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AGGIORNAMENTO AL 31.01.2011 |
ã |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
URBANISTICA:
Oggetto: VAS - Sentenza Consiglio di
Stato
(Regione Lombardia, Assessore a Territorio e
Urbanistica,
nota 24.01.2011 n. 1798 di prot.). |
PUBBLICO IMPIEGO:
OGGETTO: Missioni – criteri generali,
profili autorizzativi, regole operative e
norme sulle spese e sui rimborsi (INPS,
circolare 24.01.2011 n. 11). |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO:
Lombardia,
LINEE DI INDIRIZZO PER L’ATTIVITA’ DI
COORDINATORE PER LA SICUREZZA NEI CANTIERI
EDILI (Regione Lombardia -
Sanità, settembre 2010). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Il Ministero del Lavoro approva la “Procedura
per la fornitura di calcestruzzo in cantiere”.
Niente POS per le imprese fornitrici.
Nella seduta del 19.01.2010 la Commissione
consultiva permanente del Ministero del
Lavoro ha approvato il documento “Procedura
per la fornitura di calcestruzzo in cantiere".
Il documento è stato elaborato
congiuntamente da Ance (Associazione
Nazionale dei Costruttori Edili) e Atecap
(Associazione Tecnico Economica del
Calcestruzzo Preconfezionato) con
l’obiettivo di fornire alle imprese
esecutrici dei lavori e alle imprese
fornitrici di calcestruzzo preconfezionato
delle linee guida per l’adozione di
procedure per la sicurezza dei lavoratori
coinvolti, dal momento della richiesta di
fornitura di calcestruzzo fino alla consegna
nel cantiere di destinazione.
Il documento che, nei prossimi giorni, sarà
diffuso ufficialmente dal Ministero del
lavoro attraverso una lettera-circolare,
individua compiutamente le informazioni che
le imprese (esecutrice e fornitrice di
calcestruzzo) devono scambiarsi nelle
diverse fasi.
Il testo approvato consente di ottemperare
alle prescrizioni dell’art. 26 e dell’art.
96, comma 1-bis, del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.
in termini di collaborazione e informazione
reciproca fra datori di lavoro di tali
imprese nei casi in cui l’impresa fornitrice
di calcestruzzo non partecipi in alcun modo
alle lavorazioni di cantiere ma si limiti
alla sola fornitura del materiale.
Se l'operatore dell'autopompa, infatti, non
partecipa in alcun modo al getto, ma si
limita a posizionare il braccio della pompa
mediante radiocomando in base alle
indicazioni dell'impresa edile si ricade
sempre nel caso di mera fornitura. Pertanto,
alle imprese fornitrici di calcestruzzo,
Coordinatori della Sicurezza ed Ispettori
del Lavoro, nelle citate ipotesi, non
potranno richiedere il Piano Operativo di
Sicurezza (link a www.acca.it). |
VARI:
Pubblicata dal GSE la guida al Terzo Conto
Energia.
Il GSE ha pubblicato la guida al nuovo Conto
Energia che illustra le modalità per la
richiesta degli incentivi per gli impianti
fotovoltaici, secondo le disposizioni del
D.M. 06.08.2010 (Terzo Conto Energia).
Il Terzo Conto Energia disciplina le tariffe
incentivanti per gli impianti che entreranno
in esercizio nel triennio 2011-2013.
Le nuove tariffe risultano inferiori
rispetto a quelle in vigore precedentemente,
tuttavia la diminuzione degli incentivi è
senz’altro bilanciata dall’abbattimento dei
costi di realizzazione degli impianti.
Il Decreto prevede una classificazione
semplificata degli impianti fotovoltaici,
suddividendoli in due tipologie: ... (link a
www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
L'impresa virtuale dell’INAIL per valutare
il rischio in 3D.
"L'impresa virtuale" è un nuovo
applicativo del portale INAIL che,
attraverso animazioni 3d, illustra alcune
situazioni di pericolo tipiche dei diversi
ambienti e attività di lavoro:
- uffici
- negozi
- logistica
- magazzino
- produzione
- imballaggio
- manutenzione
- pulizia
- fornendo, contestualmente, indicazioni sui
possibili interventi per la loro
eliminazione o riduzione.
Attraverso esempi concreti -precisa l’INAIL-
si è voluto rappresentare soprattutto il
processo di gestione della sicurezza e
salute sui luoghi di lavoro che mira ad
individuare e adottare le soluzioni più
idonee a ridurre i rischi che non possono
essere eliminati del tutto; le soluzioni
proposte non sono di certo le uniche
possibili.
L'applicativo è l'edizione italiana del
prodotto "L’entreprise virtuelle" del
Ministero del Lavoro francese ed è stata
realizzata e promossa dall'INAIL nell’ambito
di una convenzione tra il Ministero del
lavoro italiano e il Ministero del lavoro
francese (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Relazione geologica e relazione geotecnica:
linee guida e metodologie di lavoro dal
consiglio nazionale dei geologi.
Il Consiglio Nazionale dei Geologi, con la
deliberazione n. 209/2010, ha approvato il
documento che definisce gli standard di
lavoro da utilizzare come riferimento
metodologico per gli studi specialistici,
per la redazione della relazione geologica e
geotecnica e per la programmazione delle
indagini di supporto.
Il documento è strutturato in due parti:
nella prima è descritto l’approccio
metodologico (generale e analitico), nella
seconda sono descritte le analisi di
pericolosità geologica.
In funzione della prestazione richiesta al
professionista e della tipologia di opera
sono proposti schemi predefiniti che
consentono la produzione di contenuti
(minimi) secondo le richieste delle norme
per quell’intervento.
Le tipologie di lavoro, ed i relativi
standard di riferimento, sono i seguenti:
... (link a www.acca.it). |
VARI:
La connessione alla rete elettrica degli
impianti alimentati da fonti rinnovabili. La
nuova domanda di connessione a Enel
Distribuzione.
L’Autorità per Energia Elettrica e il Gas (AEEG)
ha definito le condizioni (procedurali,
economiche e tecniche) per la connessione di
impianti di produzione di energia alle reti
elettriche nell’Allegato A della Delibera
ARG/elt 99/08 “Testo integrato delle
condizioni tecniche ed economiche per la
connessione alle reti elettriche con obbligo
di connessione di terzi degli impianti di
produzione di energia elettrica (TICA)”.
Le richieste di connessione alle reti
elettriche per impianti di potenza (in
immissione) inferiore a 10 MW (10.000 kW)
devono essere presentate direttamente
all’impresa distributrice competente
nell’ambito territoriale; per potenze
superiori a 10 MW, invece, devono essere
presentate a Terna.
Alla presentazione della richiesta di
connessione occorre versare un corrispettivo
per l’ottenimento del preventivo, definito
per fasce di potenza: ... (link a
www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Gli obblighi, le responsabilità e le
sanzioni per il committente previste dal
Testo Unico della Sicurezza.
Il Capo I del Titolo IV del D.Lgs. 81/2008
ha attribuito al committente (o al
responsabile dei lavori che opera in sua
vece) precise responsabilità di carattere
penale ed amministrativo.
Gli obblighi e le sanzioni a carico dei
committenti e dei responsabili dei lavori
sono riassunti con chiarezza ed efficacia in
una tavola sinottica realizzata dalla ASL 5
Spezzina.
L'opuscolo, dal titolo "Il lavoro non è
un gioco", può costituire un utile
supporto per il professionista che vuole
illustrare al committente i rischi e le
potenziali conseguenze di scelte eseguite
con troppa superficialità o privilegiando
eccessivamente gli aspetti economici.
È il committente, infatti, che sceglie le
imprese sulla base dei loro requisiti
tecnico-professionali, concorda l’intervento
con il progettista entrando spesso nel
merito delle soluzioni tecnico-operative e,
non ultimo, affida i lavori sulla base di
una scelta spesso soprattutto economica
(link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 4 del
26.01.2011, "Approvazione della Circolare
«L’applicazione della valutazione ambientale
di piani e programmi - VAS nel contesto
comunale»"
(decreto
D.S. 14.12.2010 n. 13071). |
ENTI LOCALI - VARI:
G.U. 26.01.2011 n. 20, suppl. ord. n. 18/L,
"Regolamento recante abrogazione espressa
delle norme regolamentari vigenti che hanno
esaurito la loro funzione o sono prive di
effettivo contenuto normativo o sono
comunque obsolete, a norma dell’articolo 17,
comma 4-ter, della legge 23.08.1988, n. 400"
(D.P.R. 13.12.2010 n. 248:
file 1 -
file 2 -
file 3 -
file 4). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Nasce PERSEO ... la previdenza
complementare per la Sanità e gli Enti
Locali
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 26.01.2011) |
PUBBLICO IMPIEGO:
La mobilità volontaria tra
amministrazioni pubbliche. Problemi
applicativi
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 24.01.2011) |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ENTI LOCALI:
P. Russo e M. I Bruno,
Il divieto di spese per sponsorizzazioni di
cui all’art. 6, comma 9, del d.l.78/2010 e
la salvaguardia dell’associazionismo locale
(link a www.diritto.it). |
URBANISTICA: S.
Moro,
Gli accordi "a monte" delle prescrizioni
urbanistiche: spunti di riflessione
(link a http://venetoius.myblog.it). |
NEWS |
CONDOMINIO:
Riforma del condominio approvata dal Senato.
Via libera del Senato al disegno di legge di
riforma della disciplina sul condominio.
Nella seduta antimeridiana del 26.01.2011,
infatti, l'Assemblea di Palazzo Madama ha
approvato in prima lettura, con il nuovo
titolo "Modifiche alla disciplina del
condominio negli edifici", il testo
unificato dei disegni di legge nn. 71, 355,
399, 119 e 1283, recante "Modifiche al
codice civile in materia di disciplina del
condominio negli edifici". ... (link a
www.acca.it). |
ENTI LOCALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Enti montani, regole ad hoc.
Niente scioglimento se non si approva il
bilancio. Se la legge regionale dispone in
merito non si applica l'art. 141 del Tuel.
È applicabile alle
comunità montane la procedura di
scioglimento di cui all'art. 141 del decreto
legislativo n. 267/2000, in caso di mancata
approvazione del bilancio di previsione e di
mancata verifica degli equilibri di
bilancio?
In materia di scioglimento degli enti locali
per mancata approvazione del bilancio di
previsione, l'art. 141 del decreto
legislativo n. 267/2000 dispone che, «ove
non diversamente previsto dalle leggi
regionali, le disposizioni di cui al
presente articolo si applicano, in quanto
compatibili, agli altri enti locali di cui
all'art. 2, comma 1, ed ai consorzi tra enti
locali».
Pertanto, in presenza di una puntuale
normativa regionale che disciplini la
materia, l'art. 141 non è applicabile alle
comunità montane
(articolo
ItaliaOggi del 28.01.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Incompatibilità.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità a
carico di un consigliere comunale che, in
qualità di architetto, ha ricevuto, prima e
dopo la sua elezione, incarichi tecnici
dallo stesso comune per la progettazione e
la direzione di lavori di opere pubbliche?
La Corte di cassazione, sez. I, con sentenza
n. 550 del 16.01.2004, ha affermato che
l'art. 63 del dlgs n. 267/2000, comma 1, n.
2, nello stabilire la causa di «incompatibilità
di interesse» non può ricoprire la
carica di consigliere comunale ... 2) colui
che, come titolare, ha parte, direttamente o
indirettamente, in servizi, nell'interesse
del comune) ivi prevista e rilevante nella
fattispecie, pone, ai fini della sua
sussistenza, una duplice, concorrente
condizione: la prima, di natura soggettiva;
la seconda, di natura oggettiva.
È necessario, innanzitutto (condizione
soggettiva), che il soggetto, in ipotesi
incompatibile all'esercizio della carica
elettiva, rivesta la qualità di «titolare»
(ad es. di impresa individuale), o di «amministratore»
(ad es., di società di persona o di
capitale..) ovvero di «dipendente con
poteri di rappresentanza o di coordinamento».
In secondo luogo, il legislatore prevede
come condizione oggettiva, che deve
necessariamente concorrere con quella
soggettiva per la sussistenza della causa di
incompatibilità di interessi, che il
soggetto, rivestito di una delle predette
qualità, intanto è incompatibile, in quanto
«ha parte in servizi, nell'interesse del
comune» e potrebbe trovarsi in una
situazione di potenziale conflitto di
interessi rispetto all'esercizio imparziale
della carica elettiva.
Pertanto, se un professionista ha parte, nel
senso ora indicato, in un servizio al quale
l'ente è interessato, lo stesso non è
idoneo, secondo la previsione tipica del
legislatore, ad adempiere imparzialmente i
doveri connessi all'esercizio della carica
elettiva.
Ha ritenuto, in particolare, la Suprema
corte, che il professionista cui sia
conferito, dal comune presso il quale svolge
il proprio mandato di consigliere,
l'incarico di progettista di opere
pubbliche, viene a trovarsi in una specifica
situazione di incompatibilità di interessi
risultante dalla contestuale e
contraddittoria coincidenza, in quanto
eletto alla carica di consigliere comunale,
delle posizioni di controllato (quale
professionista, i progetti redatti dal quale
essendo assoggettati all'adozione e
all'approvazione del consiglio comunale) e
controllore (quale consigliere comunale
chiamato a concorrere alla deliberazione di
adozione ed approvazione dei progetti dal
medesimo elaborati).
Pertanto, l'ipotesi prospettata in via
generale configura la causa di
incompatibilità prevista dal citato articolo
63, comma 1, n. 2) del decreto legislativo
n. 267/2000
(articolo
ItaliaOggi del 28.01.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
ENTI LOCALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Riforma
delle utility.
A seguito dell'approvazione della riforma
dei servizi pubblici locali, è applicabile
agli amministratori di aziende speciali,
anche consortili, la disciplina dettata per
gli amministratori locali in materia di
doveri e condizione giuridica, permessi ,
licenze e aspettative (ex art. 87 dlgs n.
267/2000)?
Con il regolamento approvato dal consiglio
dei ministri in data 22.07.2010 è stata data
attuazione all'art. 23-bis, comma 11, del dl
25.06.2008, n. 112 come modificato, in sede
di conversione, dalla legge 06.08.2008, n.
133.
Con comunicato pubblicato il 23.07.2010, la
presidenza del consiglio dei ministri ha
evidenziato che «con questo provvedimento
si porta a compimento la riforma dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica».
Poiché il suddetto provvedimento è stato
approvato su proposta del ministro per i
rapporti con le regioni e per la coesione
territoriale, solo tale amministrazione
potrà esprimersi in merito alla
realizzazione o meno della condizione
prevista dall'art. 87 del Testo unico delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali
(articolo
ItaliaOggi del 28.01.2011 - link
a www.ecostampa.com. |
APPALTI: Gare,
parola alle regioni. Spazio a regole ad hoc
sulle aggiudicazioni. Per le sezioni unite
gli enti possono stabilire la necessità di
un successivo contratto.
Una legge regionale può
derogare alla regola generale per cui
l'aggiudicazione di una procedura di gara
equivale a stipula del contratto; è quindi
legittimo, con legge regionale, differire ad
un momento successivo la competenza dal
giudice ordinario, rispetto alla regola
stabilita dalla legge statale.
E' quanto afferma la sentenza 11.01.2011 n.
391 della Corte di Cassazione, Sezioni
unite, che decide su una questione di
riparto di giurisdizione, fra giudice
ordinario e giudice amministrativo.
Veniva infatti eccepito il difetto di
giurisdizione del giudice ordinario rispetto
ad una controversia sottoposta alla
giurisdizione del giudice amministrativo,
sostenendosi che la deliberazione di
aggiudicazione definitiva di un compendio
immobiliare,venduto all'asta pubblica,
contrariamente a quanto sostenuto dalla
sentenza della Corte di appello di Bologna,
non equivaleva a contratto di compravendita.
Il collegio bolognese aveva sostenuto che il
processo verbale di aggiudicazione
definitiva equivale a tutti gli effetti al
contratto, a norma del rd n. 2440 del 1923,
art. 16, e che quindi la posizione
dell'acquirente, fino all'aggiudicazione è
di interesse legittimo, mentre diviene di
diritto soggettivo successivamente
all'aggiudicazione, stante la suddetta
equiparazione tra aggiudicazione e
contratto, con conseguente giurisdizione del
giudice ordinario.
La Cassazione era quindi chiamata a decidere
se il contratto di compravendita dovesse
ritenersi concluso per effetto della sola
aggiudicazione, come sostenuto dalla
sentenza impugnata, in applicazione del rd
n. 2440 del 1923, art. 16, sulla contabilità
di stato, oppure se fosse necessario un
successivo scambio di volontà e conclusione
di un formale contratto, come prevede
l'articolo 74 della legge regionale
dell'Emilia Romagna n. 22 del 1980. Si
trattava quindi di ricostruire i principi
generali dettati dalla normativa statale, di
verificare la natura di tale normativa e di
rapportarli alla norma regionale.
Prima di entrare nel merito, la Corte
ricorda che la cognizione del giudice
ordinario, quale giudice dei diritti,
diviene pienamente operativa nella
successiva fase contrattuale afferente
l'esecuzione del rapporto, fase aperta dalla
stipula, nella quale si è entrati a seguito
della conclusione -con l'aggiudicazione–
della fase pubblicistica.
Nel merito dei rapporti fra norma statale e
norma regionale, i giudici affermano che la
legge di contabilità dello Stato del 1923
(la 2440), all'articolo 16, stabilisce che i
i processi verbali di aggiudicazione
definitiva equivalgono per ogni legale
effetto al contratto. Ma tale disposizione,
dicono i giudici, ha natura di «norma
dispositiva, che si presta a essere derogata
nel senso di escludere che l'aggiudicazione,
oltre a concludere il procedimento di scelta
del contraente, produca da sé la conclusione
dell'accordo».
La Cassazione argomenta che la norma
statale, che è dettata in tema di
contabilità generale dello Stato, «può
essere derogate da una norma regionale
nell'ambito di una materia, la cui
competenza appartenga alla regione».
Occorre quindi verificare se nell'ambito in
cui incide il contratto vi sia una
competenza normativa regionale.
La Corte, nel caso di specie, si esprime
positivamente in quanto nelle materie
concorrenti, tra competenza legislativa
dello Stato e quella delle regioni, è
indicata la «tutela della salute»,
con la conseguenza che spetta allo stato
fissare i principi fondamentali, mentre alle
regioni compete dettare la disciplina
attuativa di tali principi, con l'autonomia
e l'autodeterminazione che, nel disegno
costituzionale, ad esse sono state
riconosciute.
I giudici da ciò fanno discendere che la
disciplina in materia di conclusione dei
contratti, risultando accessoria rispetto
all'individuazione delle linee fondamentale
dell'assistenza sanitaria e della tutela
della salute (che spettano allo stato) ben
può essere oggetto di formazione regionale
(articolo
ItaliaOggi del 28.01.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
EDILIZIA PRIVATA: In
arrivo la mappatura dei Suap comunali.
Procedura on-line per partecipare al
censimento.
Lavori in corso per il primo censimento dei
Suap comunali. In vista dell'ormai prossima
scadenza del 29.03.2011, sarà presto
possibile disporre di una prima mappatura
dei comuni pronti a rendere possibile
l'avvio di un'attività imprenditoriale
utilizzando una procedura online.
Faranno parte del censimento tutti i comuni
che avranno attestato al ministero dello
sviluppo economico l'istituzione di Suap
conformi ai requisiti stabiliti nelle
recenti normative di riforma del settore.
Per farlo potranno avvantaggiarsi di una
pratica procedura online messa a
disposizione a fine dicembre 2010 su
www.impresainungiorno.gov.it, il portale
realizzato dal Sistema camerale.
È questo il primo servizio interattivo
lanciato sul sito, che rappresenta anche il
Punto Unico di Contatto nazionale (PSC)
previsto dalla Direttiva Servizi. Superato
il termine del 28 gennaio, indicato dal dpr
160 pubblicato il 30.09.2010, gli enti
comunali «ritardatari» che avranno
posto in essere uno Sportello unico per le
attività produttive «a norma»,
potranno comunque ancora inviare
l'attestazione di conformità online per
essere accreditati.
Con l'arrivo della primavera si compierà
infatti una vera e propria «rivoluzione
culturale» nei rapporti tra imprese e
pubblica amministrazione perché, nella
maggior parte dei casi, un'impresa potrà
diventare operativa basandosi
sull'autocertificazione dei requisiti da
parte dell'imprenditore stesso. Un passo
avanti significativo per rimuovere quegli
ostacoli che oggi frenano il «fare
impresa» in Italia. E per rispettare la
tabella di marcia le camere di commercio si
adopereranno al fine di assicurare le
funzioni di front end del Suap per
quei comuni che non abbiano provveduto ad
accreditarsi sul portale.
Da fine marzo, per le attività che
richiedono esclusivamente la Scia, sarà così
possibile su tutto il territorio nazionale
avviare l'impresa collegandosi semplicemente
al portale «impresainungiorno» e
inviando telematicamente la segnalazione di
inizio attività. Le autorità competenti,
entro 60 giorni, potranno operare i
controlli di pertinenza.
Per i procedimenti più complessi per i quali
sarà necessaria l'adozione di un
provvedimento espresso si provvederà,
invece, per via informatica a partire dal
mese di ottobre del 2011.
Si tratta di una sfida importante volta ad
accelerare il processo di modernizzazione
del nostro paese. Ma per assicurare il
successo del nuovo Suap è necessario operare
collateralmente su tre importanti
direttrici. Rendere disponibili a tutte le
imprese gli accessi alla banda larga,
indispensabili per far viaggiare il flusso
delle informazioni; lavorare affinché tutte
le amministrazioni coinvolte (statali,
regionali, locali e centrali) possano
interloquire con le medesime modalità
telematiche con le imprese e i Suap; ridurre
e standardizzare le procedure amministrative
sul territorio.
Una recente indagine del sistema camerale
sugli adempimenti amministrativi a livello
locale richiesti alle imprese ha, infatti,
messo in luce l'esistenza di oltre 5 mila
procedure tutte diverse tra loro. È evidente
che così non può funzionare.
Motivo per cui le camere di commercio hanno
già sottoscritto due importanti intese con
la conferenza delle regioni e delle province
autonome e con l'Associazione dei comuni
d'Italia proprio con l'obiettivo di
armonizzare le azioni in vista
dell'attuazione della riforma del Suap
(articolo ItaliaOggi del 28.01.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Sulle
missioni decide il dirigente. Vanno
autorizzate anche quelle ispettive.
Sulle missioni decide sempre il dirigente.
Anche su quelle finalizzate a compiti
ispettivi, per le quali è possibile
utilizzare l'autovettura propria: tale
possibilità, infatti, non è più automatica e
deve anch'essa essere autorizzata.
Lo precisa l'INPS nella
circolare 24.01.2011 n. 11,
spiegando le nuove regole su invii in
missione e relativi trattamenti economici,
alla luce dei recenti interventi legislativi
mirati al contenimento dei costi delle
pubbliche amministrazioni. ...
(articolo
ItaliaOggi del 26.01.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI: L'amministrazione
può provvedere alla revoca
dell’aggiudicazione provvisoria e
dell’intera procedura di gara in presenza di
un’unica offerta valida, senza obbligo di
particolare motivazione, specialmente se
l'intervento in autotutela di tipo
caducatorio sia basato su una valutazione di
convenienza economica.
La Sezione condivide il principio per cui
l'amministrazione può provvedere alla revoca
dell’aggiudicazione provvisoria e
dell’intera procedura di gara in presenza di
un’unica offerta valida, senza obbligo di
particolare motivazione, specialmente se
l'intervento in autotutela di tipo
caducatorio sia basato su una valutazione di
convenienza economica (TAR Lazio Roma, sez.
II, 09.11.2009, n. 10991; TAR Lombardia
Milano, sez. III, 02.05.2006, n. 1108).
Nel caso di specie, la facoltà
dell’amministrazione di non procedere alla
aggiudicazione dell’appalto per ragioni di
convenienza economica è stata prevista
direttamente nella legge di gara ed è stata
esercitata correttamente dalla stazione
appaltante attraverso un provvedimento che
il collegio reputa congruamente motivato.
In particolare, non appare irragionevole
l’aver ritenuto che l’esiguo ribasso offerto
dall’unica concorrente rimasta in gara fosse
facilmente migliorabile in una nuova
procedura, essendo detto ribasso assai
prossimo allo zero.
Né appare illegittimo che tale previsione
sia stata desunta anche dalla percentuale di
ribasso offerta nella gara appena espletata
dal concorrente escluso, dal momento che la
predetta esclusione, motivata da ragioni
meramente formali, non impediva alla
stazione appaltante di assumere quella
stessa offerta come semplice elemento di
fatto, sintomatico dell’esistenza di una
disponibilità del mercato ad offrire prezzi
più convenienti.
E' quindi irrilevante che negli anni passati
la ricorrente si fosse aggiudicata il
servizio offrendo percentuali di ribasso non
dissimili da quella ritenuta incongrua
dall’amministrazione nella procedura
annullata, dal momento che la nuova
procedura aveva evidenziato l’esistenza di
una diversa propensione del mercato:
confermata, del resto, dal ribasso del 15 %
con cui la stessa ricorrente si è
aggiudicata la nuova procedura negoziata
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 27.01.2011 n. 114 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: L’obbligo
imposto all’impresa aggiudicataria della
nuova gara di mantenere in servizio i
medesimi autisti già assunti dal gestore
uscente integra un’evidente violazione del
principio di autonomia contrattuale di cui
all’art. 1322 c.c., giacché determina, in
via unilaterale, l’imposizione di un vincolo
a contrarre al di fuori dei casi
tassativamente tipizzati dal legislatore.
L’obbligo imposto all’impresa aggiudicataria
della nuova gara di mantenere in servizio i
medesimi autisti già assunti dal gestore
uscente integra un’evidente violazione del
principio di autonomia contrattuale di cui
all’art. 1322 c.c., giacché determina, in
via unilaterale, l’imposizione di un vincolo
a contrarre al di fuori dei casi
tassativamente tipizzati dal legislatore
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 27.01.2011 n. 114 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Art. 38 d.lgs 163/2006, niente
dichiarazione per i procuratori.
Il
Consiglio di Stato afferma che, ai
fini della dichiarazione di cui all'art. 38
del Codice Appalti, i procuratori, benché
dotati di ampi poteri, non possono essere
assimilati agli amministratori della
società. L'ennesimo giro di valzer, visto
che al riguardo, la giurisprudenza ha
espresso anche soluzioni opposte.
L’interpretazione del citato art. 38 con
riferimento ai soggetti per i quali la
dichiarazione deve essere resa è stata
oggetto di diversi orientamenti
giurisprudenziali, fra i quali permane un
contrasto.
L’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n.
163/2006 fa riferimento, per le società di
capitali, agli “amministratori muniti del
potere di rappresentanza”.
Secondo una parte della giurisprudenza, per
l’individuazione dei soggetti tenuti alle
dichiarazioni sostitutive finalizzate alla
verifica del possesso dei requisiti di
moralità, quando si tratti di titolari di
organi di persone giuridiche da ricondurre
alla nozione di "amministratori muniti di
poteri di rappresentanza", occorre
esaminare i poteri, le funzioni e il ruolo
effettivamente e sostanzialmente attribuiti
al soggetto considerato, al di là delle
qualifiche formali rivestite (Cons. Stato,
V, 16.11.2010 n. 8059; VI, 08.02.2007, n.
523, che nella categoria degli
amministratori, ai fini dell’art. 38 cit.,
fanno rientrare sia i "soggetti che
abbiano avuto un significativo ruolo
decisionale e gestionale societario",
sia i procuratori ai quali siano conferiti
poteri di partecipare a pubblici appalti
formulando le relative offerte).
Altra giurisprudenza ha, da un lato, aderito
alla necessità di effettuare una valutazione
sostanzialistica della sussistenza delle
cause ostative, derivando –in assenza di più
restrittive clausole di gara– l’effetto di
esclusione dalla procedura solo dal mancato
possesso dei requisiti, e non dalla
omissione o incompletezza della
dichiarazione (Cons. Stato, V, 09.11.2010,
n. 7967) e, sotto altro aspetto, ha limitato
la sussistenza dell’obbligo di dichiarazione
ai soli amministratori muniti di potere di
rappresentanza e ai direttori tecnici, e non
anche a tutti i procuratori della società
(TAR Basilicata, I, 22.04.2009, n. 131; TAR
Liguria, II, 11.07.2008, n. 1485; TAR
Calabria-Reggio Calabria, I, 08.07.2008, n.
379).
Il Collegio ritiene di dover aderire –per le
considerazioni di seguito esposte- alla
seconda tesi, che limita l’applicabilità
della disposizione ai soli amministratori
della società, e non anche ai procuratori
speciali.
Ai sensi dell’art. 2380-bis c.c., la
gestione dell’impresa spetta esclusivamente
agli amministratori e può essere concentrata
in un unico soggetto (amministratore unico)
o affidata a più persone, che sono i
componenti del consiglio di amministrazione
(in caso di scelta del sistema monistico ex
artt. 2380 e 2409-sexiesdecies c.c.) o del
consiglio di gestione (in caso di opzione in
favore del sistema dualistico ex artt. 2380
e 2409-octies c.c.): ad essi, o a taluni tra
essi, spetta la rappresentanza istituzionale
della società.
I procuratori speciali (o ad negotia)
sono invece soggetti cui può essere
conferita la rappresentanza –di diritto
comune- della società, ma che non sono
amministratori e ciò a prescindere
dall’esame dei poteri loro assegnati.
L’art. 38 del d.lgs. n. 163/06 richiede la
compresenza della qualifica di
amministratore e del potere di
rappresentanza (che può essere limitato per
gli amministratori ex art. 2384, comma 2,
c.c.) e non vi è alcuna possibilità per
estendere l’applicabilità della disposizione
a soggetti, quali i procuratori, che
amministratori non sono.
Del resto, si tratta di una norma che limita
la partecipazione alle gare e la libertà di
iniziativa economica delle imprese, essendo
prescrittiva dei requisiti di partecipazione
e che, in quanto tale, assume carattere
eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di
applicazione analogica a situazioni diverse,
quale è quella dei procuratori.
Peraltro, anche l’applicazione analogica
sarebbe opinabile, in presenza di una
radicale diversità della situazione
dell’amministratore, cui spettano compiti
gestionali e decisionali di indirizzi e
scelte imprenditoriali e quella del
procuratore, il quale, benché possa essere
munito di poteri di rappresentanza, è
soggetto dotato di limitati poteri
rappresentativi e gestionali, ma non
decisionali (nel senso che i poteri di
gestione sono pur sempre circoscritti dalle
direttive fornite dagli amministratori). In
altri termini le manifestazioni di volontà
del procuratore possono produrre effetti
nella sfera giuridica della società, ma ciò
non significa che egli abbia un ruolo nella
determinazione delle scelte imprenditoriali,
lasciate all'amministratore.
Si deve, quindi, prendere atto che l'art. 38
del d.lgs. n. 163/2006 -nell'individuare i
soggetti tenuti a rendere la dichiarazione-
fa riferimento soltanto agli "amministratori
muniti di potere di rappresentanza":
ossia, ai soggetti che siano titolari di
ampi e generali poteri di amministrazione,
senza estendere l’obbligo ai procuratori.
La soluzione accolta, oltre ad essere
maggiormente rispondente al dato letterale
del citato art. 38, evita che l’obbligo
della dichiarazione possa dipendere da
sottili distinzioni circa l'ampiezza dei
poteri del procuratore, inidonee a garantire
la certezza del diritto sotto un profilo di
estrema rilevanza per la libertà di
iniziativa economica delle imprese,
costituito dalla possibilità di partecipare
ai pubblici appalti (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 25.01.2011 n. 513 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’esclusione dalla gara per gravi
inadempienze nell'esecuzione di precedenti
contratti è motivata congruamente col
richiamo alle stesse.
La ditta individuale in causa aveva
partecipato alla gara a procedura aperta per
l’affidamento dei lavori di “sistemazione
parziale della viabilità nell’area
cimiteriale in ampliamento” ed è stata
esclusa dalla stessa, ai sensi dell’art. 38,
I comma, lett. f) del decreto legislativo
12.04.2006 n. 163, perché, in qualità di
capogruppo di un’ATI, era stata oggetto di
risoluzione in danno di un precedente
contratto, relativo ai lavori di
realizzazione delle infrastrutture idriche e
fognanti della zona industriale del Comune
in causa, tale risoluzione, dovuta a grave
inadempimento dell’appaltatore, è stata
considerata tale da far venir meno il
rapporto fiduciario con la stazione
appaltante stante anche il breve lasso di
tempo intercorso dal provvedimento di
risoluzione succitato.
Il TAR, sostiene la ditta ricorrente, ha
ritenuto adeguatamente motivato il
provvedimento impugnato, mediante mero
richiamo alle inadempienze intervenute, alla
risoluzione contrattuale ed al giudizio
civile in corso, senza considerare che
l’art. 38, I c., lettera f), del D.Lgs. n.
163 impone che l’esclusione sia assistita
non da una semplice motivazione ma da una “motivata
valutazione” della stazione appaltante;
nel caso di specie l’Amministrazione avrebbe
inadeguatamente motivato nel senso sopra
indicato, senza operare, previa adeguata
istruttoria, alcuna valutazione circa la
gravità e importanza delle negligenze e
delle inadempienze, nonché circa la
incidenza delle infrazioni sul piano della
persistente inaffidabilità del concorrente e
senza tenere conto del lasso di tempo
trascorso dall’adozione dell’atto di
risoluzione (che non sarebbe breve ma di
circa tre anni), della assenza di recidive e
della instaurazione di una azione
giudiziaria al riguardo da parte della parte
appellante (ancora pendente).
Osserva al riguardo il Consiglio di Stato
che, a ragione, il TAR ha ritenuto legittima
la giustificazione dell’esclusione, giacché
l’impresa, quale contraente, era incorsa in
gravi inadempienze, tanto che
l’Amministrazione aveva dovuto risolvere il
contratto (con espressa valutazione
collegantesi alla pregressa vicenda
negoziale pienamente a conoscenza
dell’istante) rilevando l’inconsistenza di
ogni rilievo in ordine ad una mancata o
superficiale considerazione della situazione
e ad una carente motivazione.
Invero, in virtù dell'articolo 38, comma 1,
lettera f), del D.Lgs. n. 163 del 2006 "sono
esclusi dalla partecipazione alle procedure
di affidamento delle concessioni e degli
appalti di lavori, forniture e servizi, né
possono essere affidatari di subappalti, e
non possono stipulare i relativi contratti i
soggetti che, secondo motivata valutazione
della stazione appaltante, hanno commesso
grave negligenza o malafede nell'esecuzione
delle prestazioni affidate dalla stazione
appaltante che bandisce la gara; o che hanno
commesso un errore grave nell'esercizio
della loro attività professionale, accertato
con qualsiasi mezzo di prova da parte della
stazione appaltante".
Tale disposizione, nel precludere la
partecipazione alle gare d'appalto alle
imprese che si sono rese responsabili di
gravi inadempienze nell'esecuzione di
precedenti contratti (denotando ciò
un'inidoneità "tecnico-morale" a
contrarre con la P.A.), fissa il duplice
principio che la sussistenza di tali
situazioni ostative può essere desunta da
qualsiasi mezzo di prova e che il
provvedimento di esclusione deve essere
motivato congruamente (Consiglio di Stato,
V, 27.01.2010 n. 296).
Per procedere alla esclusione in questione è
necessario quindi che sia fornita
un'adeguata prova dell'inadempimento e che
lo stesso rilevi sul piano del venir meno
dell'affidabilità dell'impresa nei confronti
della Amministrazione e, ai fini della
sussunzione nell'ipotesi prevista
dall'articolo 38, comma 1, lettera f), del
codice dei contratti pubblici, occorre
ricordare ulteriormente che quest'ultima
postula, alternativamente, una grave
negligenza o malafede nell'esecuzione di uno
specifico contratto con la medesima stazione
appaltante oppure un grave errore
nell'esercizio della attività professionale.
La gravità deve essere peraltro idonea ad
influire sull'interesse (pubblico)
dell'Amministrazione a stipulare un nuovo
contratto con l'impresa privata; non a
liberarsi dal precedente rapporto, come nel
caso della risoluzione. Ne consegue che la
gravità della generica negligenza o
dell'inadempimento a specifiche obbligazioni
contrattuali va commisurata al pregiudizio
arrecato alla fiducia, all'affidamento che
la stazione appaltante deve poter riporre,
ex ante, nell'impresa cui decide di
affidare l'esecuzione di un nuovo rapporto
contrattuale.
Quindi la valutazione assume un aspetto più
soggettivo (di affidabilità) che oggettivo
(il pregiudizio al concreto interesse
all'esecuzione della specifica prestazione
inadempiuta). Non a caso, l'articolo 38,
comma 1, lett. f), in questione, include
presupposti espressamente soggettivi (la
malafede) oppure avulsi dallo specifico
rapporto contrattuale (il grave errore
nell'attività professionale), ma comunque
idonei ad incidere sull'affidabilità
dell'impresa privata e, quindi,
sull'immagine della stessa agli occhi della
stazione appaltante.
L'esclusione dalla gara pubblica per i
motivi che interessano non ha quindi
carattere sanzionatorio, essendo viceversa
prevista a presidio dell'elemento fiduciario
destinato a connotare, sin dal momento
genetico, i rapporti contrattuali di appalto
pubblico.
Alle formulate considerazioni consegue che,
al fine del decidere, non assume alcun
rilievo la contestazione da parte della
impresa della suddetta valutazione
amministrativa, posto che l'esigenza
soddisfatta dalla richiamata previsione nel
delineare la causa di esclusione è
salvaguardare l'elemento fiduciario,
scalfito in presenza di un giudizio
formulato dall'Amministrazione circa la
grave negligenza dell'aspirante partecipante
(Consiglio Stato, sez. V, 27.01. 2010, n.
296).
Peraltro, la mancanza di ulteriori parametri
da parte del legislatore dimostra la volontà
di riconoscere in capo alla stazione
appaltante un ampio spazio discrezionale
nella valutazione circa la sussistenza o
meno del requisito di affidabilità, perciò
non possono essere condivisi i limiti e le
interpretazioni restrittive proposte dalla
parte appellante.
L'esclusione non può essere impedita per la
semplice circostanza che la inadempienza è
stata commessa da lungo tempo o per la non
rilevante gravità e importanza della stessa,
trattandosi di elementi che non incidono in
modo determinante sulla qualificazione della
commessa inadempienza, nell’ambito della
valutazione della rilevanza
sull'affidabilità della impresa concorrente;
perciò non esiste nessun particolare onere
da parte della stazione appaltante di
pronunciarsi in modo specifico su tali
circostanze quando venga comunque raggiunto
un ragionevole convincimento, debitamente
esplicitato, circa la mancanza del requisito
di affidabilità, cui consegua la necessità
di escludere la ditta partecipante (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.01.2011 n. 409 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Bonifica -
Inquinamento determinato dal comportamento
omissivo o commissivo dell’impresa fallita -
Ordinanza di bonifica diretta alla curatela
fallimentare - Illegittimità - Fondamento.
La curatela fallimentare non può essere
destinataria di ordinanze sindacali dirette
alla bonifica di siti inquinati, per effetto
del precedente comportamento commissivo od
omissivo dell’impresa fallita (C.d.S., Sez.
V, 29.07.2003, n. 4328).
In linea di principio, infatti, i rifiuti
prodotti dall’imprenditore fallito non sono
beni da acquisire alla procedura
fallimentare e, quindi, non formano oggetto
di apprensione da parte del curatore.
L’esclusione della possibilità di sussumere
legittimamente i rifiuti nel compendio
fallimentare fa, perciò, scartare l’ipotizzabilità
di profili di responsabilità di carattere
meramente gestorio in capo al curatore (TAR
Toscana, Sez. II, 01.08.2001, n. 1318).
Per una diversa conclusione sarebbe
necessario individuare un’univoca, chiara ed
autonoma responsabilità in capo al curatore
fallimentare nell’abbandono dei rifiuti di
cui trattasi, che, però, va esclusa quando
il fatto si è verificato in epoca
antecedente all’apertura della procedura
fallimentare.
INQUINAMENTO - Curatela
fallimentare - Mancanza di responsabilità -
P.A. - Esecuzione d’ufficio della opere di
bonifica - Recupero delle somme -
Insinuazione al passivo.
In mancanza dell’ascrivibilità alla curatela
fallimentare di una condotta illecita o di
un comportamento corresponsabile, alla P.A.
non resta che procedere all’esecuzione
d’ufficio delle opere di bonifica ed al
recupero delle somme anticipate con
insinuazione del relativo credito al passivo
fallimentare, in conformità, del resto,
all’art. 18, comma 5, del d.m. n. 471/1999
(TAR Toscana, Sez. II, n. 1318/2001) (TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 21.01.2011 n. 137 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: L'importo
limitato dei lavori e dei servizi giustifica
l’adozione delle forme procedurali
semplificate e accelerate proprie del
cottimo fiduciario, tra cui in particolare
la riduzione della pubblicità dell’appalto e
la limitazione del numero di imprese ammesse
al confronto. L'amministrazione
aggiudicatrice è però tenuta a compilare la
lista delle imprese da invitare al confronto
nel rispetto dei principi generali di
trasparenza, rotazione, parità di
trattamento, tutti richiamati nell’art. 125,
comma 11, del Dlgs. 163/2006 e, parimenti,
deve condurre la procedura sulla base dei
medesimi criteri.
Quando vi sono imprese che hanno già svolto
analoghi lavori o servizi sulla base di
procedure negoziate l’amministrazione
aggiudicatrice può legittimamente decidere
di favorire l’ingresso di altri soggetti
escludendo dagli inviti, per un certo
periodo, gli affidatari pregressi. Il
principio di rotazione risulta ancora più
stringente per l’amministrazione
aggiudicatrice quando la situazione di
mercato in un determinato contesto economico
sia caratterizzata dalla presenza di
numerose imprese potenzialmente idonee e
interessate all’appalto. In questo caso la
rotazione può essere applicata non solo ai
precedenti affidatari ma anche ai soggetti
che abbiano partecipato alle procedure
negoziate senza conseguire l’appalto.
L'importo limitato dei lavori e dei servizi
giustifica (qualora non vi sia stato
artificioso frazionamento dell’appalto)
l’adozione delle forme procedurali
semplificate e accelerate proprie del
cottimo fiduciario, tra cui in particolare
la riduzione della pubblicità dell’appalto e
la limitazione del numero di imprese ammesse
al confronto. L'amministrazione
aggiudicatrice è però tenuta a compilare la
lista delle imprese da invitare al confronto
nel rispetto dei principi generali di
trasparenza, rotazione, parità di
trattamento, tutti richiamati nell’art. 125,
comma 11, del Dlgs. 163/2006 e, parimenti,
deve condurre la procedura sulla base dei
medesimi criteri.
Quando vi sono imprese che hanno già svolto
analoghi lavori o servizi sulla base di
procedure negoziate l’amministrazione
aggiudicatrice può legittimamente decidere
di favorire l’ingresso di altri soggetti
escludendo dagli inviti, per un certo
periodo, gli affidatari pregressi. Il
principio di rotazione risulta ancora più
stringente per l’amministrazione
aggiudicatrice quando la situazione di
mercato in un determinato contesto economico
sia caratterizzata dalla presenza di
numerose imprese potenzialmente idonee e
interessate all’appalto. In questo caso la
rotazione può essere applicata non solo ai
precedenti affidatari ma anche ai soggetti
che abbiano partecipato alle procedure
negoziate senza conseguire l’appalto.
Nello specifico l’applicazione del principio
di rotazione appare giustificata, in quanto
la ricorrente è stata più volte invitata in
passato a procedure di cottimo fiduciario e
in un caso è risultata anche aggiudicataria
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 21.01.2011 n. 137 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Piano regolatore generale -
Osservazioni - Accoglimento -
Ripubblicazione del piano - Mutamento delle
caratteristiche e dei criteri essenziali.
Le osservazioni dei privati al piano
regolatore generale costituiscono meri
apporti collaborativi alla formazione del
piano ed il loro accoglimento non determina
un obbligo di ripubblicazione del piano:
perché si renda necessaria la
ripubblicazione deve aversi una
rielaborazione complessivamente innovativa
del piano stesso, e cioè un mutamento delle
sue caratteristiche essenziali e dei criteri
che alla sua impostazione rispettivamente
hanno presieduto (Cons. Stato, sez. IV,
25.11.2003, n. 7782; id. 19.06.2007, n.
3300) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 21.01.2011 n. 123 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
ASSOCIAZIONI E COMITATI -
Associazioni ambientaliste non comprese
nell’elenco di cui all’art. 13 della L. n.
349/1986 - Legittimazione ad impugnare
provvedimenti lesivi di interessi ambientali
- Requisiti.
Le associazioni ambientaliste non comprese
nell'elenco di cui all'art. 13 della legge
n. 349 del 1986, sono legittimate a
impugnare i provvedimenti lesivi di
interessi ambientali qualora perseguano
statutariamente in modo non occasionale
obiettivi di tutela ambientale, abbiano un
adeguato grado di rappresentatività e
stabilità, abbiano un'area di afferenza
ricollegabile alla zona in cui è situato il
bene a fruizione collettiva che si assume
leso (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 21.01.2011 n. 121 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Discarica o altro
impianto per trattamento, smaltimento o
recupero - Soggetto residente nel comune nel
cui territorio l’impianto insiste -
Legittimazione ad impugnare gli atti di
approvazione o autorizzazione - Collegamento
diretto - Interesse personale, concerto e
attuale - Mera aspettativa alla salubrità
del’ambiente - Insufficienza - INQUINAMENTO
ACUSTICO - Legittimazione - Presupposti.
La mera presenza di una discarica o ad altro
impianto per il trattamento e lo smaltimento
(o recupero) di rifiuti anche a mezzo di
termocombustione, non legittima il
proprietario di un bene residente nel Comune
nel cui territorio l’impianto insiste ad
insorgere avverso gli atti con i quali si
provvede all’approvazione del progetto
dell’opera sotto i vari aspetti
procedimentali o all’autorizzazione alla
gestione e/o alla messa in esercizio
dell'opera o ancora agli scarichi e
immissione nell’atmosfera del prodotto della
combustione, laddove non sussista un
collegamento diretto, immediato e oggettivo
fra quanto deliberato con i suddetti
provvedimenti e un interesse giuridico
personale concreto e attuale del soggetto
che si ritiene leso.
Tale non può qualificarsi, per esempio,
l’aspettativa alla salubrità dell’ambiente o
il timore generico di possibili effetti
pregiudizievoli legati esclusivamente alla
presenza dell’opera pubblica o
dell’impianto.
Anche con riguardo ai limiti di inquinamento
acustico, la legittimazione può essere
favorevolmente riconosciuta solo laddove sia
accertato che effettivamente l’esercizio
dell’impianto superi nei confronti della
stessa ricorrente i limiti di immissione o
emissione (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 21.01.2011 n. 121 - link
a www.ambientediritto.it) |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Imposizione del vincolo archeologico -
Interventi di bonifica o edificatori -
Limitazioni - Manifestazioni di potestà
espropriativa - Esclusione.
L'imposizione di vincolo archeologico su un
determinato terreno non esclude -ferma
restando la necessità d'acquisizione
dell'autorizzazione da parte della
competente Soprintendenza chiamata a
valutare, ai sensi degli art. 11 e 12 l.
01.06.1939 n. 1089, la compatibilità della
costruzione con la fruibilità dei beni
assoggettati a vincolo- la possibilità di
eseguire eventuali interventi di bonifica o
di contenimento dei terreni né, in linea di
principio, l’edificabilità essendo
astrattamente concepibile un particolare
tipo di costruzione realizzato senza che i
reperti archeologici subiscano un uso
incompatibile col loro carattere storico o
artistico.
Ne deriva che il vincolo archeologico di
norma ha carattere conformativo della
proprietà, per cui le limitazioni che ne
conseguono non costituiscono manifestazione
della potestà espropriativa, bensì appunto
di quella conformativa della proprietà
privata ammessa senza indennizzo dall'art.
42, comma 2, cost. (in senso conforme si
veda TAR Puglia, Bari, Sez. II, 03.09.2002,
n. 3815).
BENI CULTURALI E
AMBIENTALI - Imposizione del vincolo
archeologico - Sottoposizione a vincolo
successivamente all’edificazione di
manufatti - Irragionevolezza - Esclusione.
L’imposizione di un vincolo archeologico
necessita di indagini e approfondimenti che
possono richiedere anche molto tempo oltre
che opportuni finanziamenti non sempre
disponibili, con la conseguenza che non
appare illogica la scelta di sottoporre a
vincolo una determinata zona anche a
distanza di vari anni ed anche
successivamente alla edificazione di
manufatti; anzi, il vincolo indiretto si
giustifica maggiormente con la esigenza di
non consentire o comunque regolare un
siffatto sfruttamento una volta accertato
l'interesse archeologico del sito proprio al
fine di preservare l’intera zona (si veda,
sul punto, Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez.
giurisd., 29.12.1997, n. 579 e TAR Lazio,
Sez. II, 23.01.1997, n. 235) (TAR Lazio-Roma,
Sez. II-quater,
sentenza 20.01.2011 n. 551 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: In
materia di procedure ad evidenza pubblica le
clausole di esclusione poste dalla legge o
dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è
tenuta la impresa partecipante alla gara
sono di stretta interpretazione, dovendosi
dare esclusiva prevalenza alle espressioni
letterali in esse contenute e restando
preclusa ogni forma di estensione analogica
diretta ad evidenziare significati
impliciti, che rischierebbe di vulnerare
l'affidamento dei partecipanti, la par
condicio dei concorrenti e l'esigenza della
più ampia partecipazione.
La norma contenuta nell’art. 38, comma 1,
lettera f), del Codice dei Contratti, nel
prevedere quale requisito di partecipazione
alla gara che il concorrente non abbia
commesso “grave negligenza o malafede”
nell’esecuzione delle prestazioni affidate
dalla stazione appaltante ovvero un “errore
grave” nell’esercizio della propria attività
professionale, non può essere estesa in via
interpretativa a soggetti giuridici diversi
(quand’anche collegati) da quello che abbia
concretamente presentato la domanda di
partecipazione e abbia reso la dichiarazione
prevista dalla suddetta norma, essendo
quest’ultima di natura eccezionale, e quindi
di stretta interpretazione.
E’ principio condiviso quello per cui in
materia di procedure ad evidenza pubblica le
clausole di esclusione poste dalla legge o
dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è
tenuta la impresa partecipante alla gara
sono di stretta interpretazione, dovendosi
dare esclusiva prevalenza alle espressioni
letterali in esse contenute e restando
preclusa ogni forma di estensione analogica
diretta ad evidenziare significati
impliciti, che rischierebbe di vulnerare
l'affidamento dei partecipanti, la par
condicio dei concorrenti e l'esigenza
della più ampia partecipazione (da ultimo,
Consiglio Stato, sez. V, 15.11.2010, n.
8044; Consiglio Stato, sez. V, 10.09.2010,
n. 6550; Consiglio Stato, sez. V,
21.05.2010, n. 3213).
Da tale principio consegue che la norma
contenuta nell’art. 38, comma 1, lettera f),
del Codice dei Contratti, nel prevedere
quale requisito di partecipazione alla gara
che il concorrente non abbia commesso “grave
negligenza o malafede” nell’esecuzione
delle prestazioni affidate dalla stazione
appaltante ovvero un “errore grave”
nell’esercizio della propria attività
professionale, non può essere estesa in via
interpretativa a soggetti giuridici diversi
(quand’anche collegati) da quello che abbia
concretamente presentato la domanda di
partecipazione e abbia reso la dichiarazione
prevista dalla suddetta norma, essendo
quest’ultima di natura eccezionale, e quindi
di stretta interpretazione
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 20.01.2011 n. 33 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Mancata indicazione preventiva
dei costi di sicurezza - Incompletezza
dell’offerta - Natura costituzionale degli
interesse protetti.
La violazione della norma primaria che
impone l’indicazione preventiva dei costi di
sicurezza rende l’offerta incompleta sotto
un profilo particolarmente importante alla
luce della natura costituzionalmente
sensibile degli interessi protetti, ed
impedisce alla Stazione appaltante un
adeguato controllo sull’affidabilità
dell’offerta stessa (in termini Cons. Stato,
Sez. V, 23.07.2010, n. 4849) (TAR Umbria,
Sez. I,
sentenza 20.01.2011 n. 17 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Vincolo indiretto - Omessa notifica al
proprietario, possessore o detentore -
Inefficacia del provvedimento - Esclusione -
Art. 47 d.lgs. n. 42/2004.
L’art. 47 del codice dei beni culturali
(d.lgs. 22.01.2004, n. 42), al primo comma,
dispone che il provvedimento contenente le
prescrizioni di tutela indiretta è
notificato al proprietario, possessore o
detentore a qualsiasi titolo degli immobili
interessati, tramite messo comunale o a
mezzo posta raccomandata con avviso di
ricevimento, e doveva dunque essere
comunicato alla società ricorrente.
Tale disposizione non vale tuttavia a
sancire il carattere recettizio del
provvedimento contenente prescrizioni di
tutela indiretta, con la conseguenza che la
sua comunicazione non è condizione di
efficacia del provvedimento.
BENI CULTURALI E
AMBIENTALI - Vincolo indiretto - Differenza
con il vincolo diretto - Cornice ambientale
- Imposizione del vincolo sull’area in vista
o in prossimità del bene culturale.
A differenza del vincolo diretto, che
riguarda il bene culturale, il vincolo
indiretto si caratterizza per coinvolgere
l’ambito costituente la “fascia di
rispetto”, che non coincide con l’ambito
materiale dei confini perimetrali dei
singoli immobili, ma va stabilita in
rapporto alla consistenza della c.d. “cornice
ambientale”; ciò comporta che il vincolo
indiretto può essere imposto sull’area che
si trova in vista od in prossimità del bene
culturale (tra le tante, TAR Veneto, Sez. II,
04.11.2004, n. 3846) (TAR Umbria, Sez. I,
sentenza 20.01.2011 n. 16 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere abusive - Ordine di
demolizione intervenuto a lunga distanza di
tempo dall’ultimazione dei lavori -
Motivazione - Indicazione delle ragioni di
pubblico interesse che giustificano
l’irrogazione della sanzioni.
L’ordine di demolizione di un’opera abusiva,
intervenuto a lunga distanza di tempo
dall’ultimazione dei lavori, e quindi in una
situazione di consolidato affidamento del
privato sulla legittimità del proprio
intervento, non può essere sorretto
esclusivamente dal richiamo al carattere
abusivo dell’opera realizzata, avendo
l’amministrazione l’obbligo di dare
puntualmente conto delle ragioni di pubblico
interesse che giustificano l’irrogazione
della sanzione della demolizione, quali, ad
esempio, il pericolo di crollo o di
pregiudizio per l’igiene e la sanità
pubblica.
In altri termini, il decorso del tempo, in
deroga al principio secondo cui la
motivazione di un provvedimento repressivo
in materia edilizia non necessita di alcuna
motivazione diversa dal richiamo alla
abusività dell’opera, impone al Comune, in
ossequio alla generale regole di buona
amministrazione scolpita nell’art. 97 della
Costituzione, di rafforzare l’impalcatura
motivazionale mediante il richiamo a
situazioni che giustificano il rinnovato
interesse pubblico alla rimozione della
situazione antigiuridica ed al conseguente
sacrificio del contrapposto interesse del
privato (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 19.01.2011 n. 493 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
INFORMAZIONE AMBIENTALE -
Documentazione attinente a problematiche di
carattere ambientale - Prevalenza del
diritto di accesso rispetto alle esigenze di
riservatezza - Art. 3 d.lgs. n. 195/2005.
Nel delicato equilibrio tra le esigenze di
tutela di situazioni giuridicamente tutelate
ed eventuali esigenze di riservatezza dei
terzi, deve ritenersi prevalente il diritto
di accesso ove la documentazione richiesta
sia attinente a problematiche di carattere
ambientale, rispetto alle quali trova
applicazione l’art. 3 del D.Lgs. n. 195 del
2005, che peraltro prescinde anche dalla
titolarità di uno specifico interesse in
capo all’istante (TAR Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 19.01.2011 n. 473 - link
a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
In sede di occupazione d’urgenza
l’intervento deve essere motivato
congruamente.
Occorre evidenziare come la norma in
questione, ossia l’art. 22-bis del d.P.R. n.
327 del 2001, come introdotto dall’art. 1
D.Lgs. 27.12.2002 n. 302, prevede, al comma
I, che “Qualora l'avvio dei lavori
rivesta carattere di particolare urgenza,
tale da non consentire, in relazione alla
particolare natura delle opere,
l'applicazione delle disposizioni di cui ai
commi 1 e 2 dell'articolo 20, può essere
emanato, senza particolari indagini e
formalità, decreto motivato che determina in
via provvisoria l'indennità di
espropriazione, e che dispone anche
l'occupazione anticipata dei beni immobili
necessari”.
Accanto a tale previsione generale,
l’urgenza è inoltre prevista direttamente
dalla norma per gli interventi di cui alla
legge 21.12.2001, n. 443, e quindi in
materia di infrastrutture ed insediamenti
produttivi strategici, e qualora il numero
dei destinatari della procedura
espropriativa sia superiore a 50.
Nel caso in esame, la giurisprudenza
formatasi in relazione alle modalità
applicative dell’art. 22-bis del d.P.R. n.
327 del 2001 si è consolidata nel senso che
l’onere motivazionale dell’amministrazione
si debba estendere alle oggettive ragioni
che denotano la supposta urgenza, in modo
che una puntuale analisi dei presupposti può
essere esclusa solo qualora evincibile da
altri elementi del procedimento.
Pertanto, perché possa legittimamente farsi
luogo ad occupazione di urgenza ai sensi
dell'art. 22-bis, d.P.R. 08.06.2001 n. 327,
occorre che l'amministrazione motivi
congruamente in ordine alle oggettive
ragioni che denotano la conclamata urgenza
dell'intervento, potendo tale obbligo
motivazionale escludersi nei soli casi in
cui questa risulti in re ipsa dalla
natura stessa dell'intervento (da ultimo,
Consiglio di Stato, sez. IV, 22.05.2008, n.
2459) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.01.2011 n. 385 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Ordine di trattazione dei
ricorsi, impugnabilità del bando,
immodificabilità soggettiva del concorrente
e a.t.i. sovrabbondanti: deciderà l'Adunanza
Plenaria.
A distanza di pochi giorni dall’ordinanza n.
14, del 05.01.2011 della Quarta sezione del
Consiglio di Stato (in tema di D.I.A.), un
altro pacchetto di problematiche di grande
rilievo è stato deferito, questa volta dalla
Sesta Sezione, all’Adunanza Plenaria.
Sono tre i gruppi di questioni individuati
nell’ordinanza
di rimessione 18.01.2011 n. 351:
a)
ai sensi dell’art. 99, co. 3, c.p.a. (“Se
la sezione cui è assegnato il ricorso
ritiene di non condividere un principio di
diritto enunciato dall'adunanza plenaria”):
- quanto alla questione di ordine di esame
di ricorso principale e incidentale in caso
di contenzioso su gare di appalto quando
tutti i concorrenti siano in giudizio
ricorrenti principali (i concorrenti diversi
dall’aggiudicatario) o incidentale
(l’aggiudicatario);
b)
ai sensi dell’art. 99, co. 5, c.p.a. (“Se
ritiene che la questione è di particolare
importanza, l'adunanza plenaria può comunque
enunciare il principio di diritto
nell'interesse della legge anche quando
dichiara il ricorso irricevibile,
inammissibile o improcedibile, ovvero
l'estinzione del giudizio”):
- quanto alla questione dell’ambito
dell’onere di impugnazione immediata del
bando di gara e della legittimazione
all’impugnazione del medesimo e a quella dei
limiti di ammissibilità di un’a.t.i.
sovrabbondante;
c)
ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a. (“se
rileva che il punto di diritto sottoposto al
suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a
contrasti giurisprudenziali”):
- quanto alla modificabilità o meno "per
riduzione" della compagine organizzativa di
a.t.i. e consorzi in corso di gara; alla
necessità o meno che le imprese del settore
che impugnino gli atti di una procedura
senza bando cui non hanno partecipato,
dimostrino il possesso dei requisiti di
partecipazione a quella gara.
L’ordinanza di rimessione trae spunto da una
gara per l’affidamento della progettazione
esecutiva e della progettazione relativo a
interventi di trazione elettrica.
Tre i classificati: il secondo impugnava
l’aggiudicazione; l’aggiudicatario proponeva
ricorso incidentale contro il secondo;
quest’ultimo, per fondare il proprio
interesse strumentale al ricorso e alla
rinnovazione della gara, proponeva con
motivi aggiunti censure contro l’ammissione
in gara della terza classificata, che a sua
volta passava al contrattacco, contestando
l’ammissione delle prime due, le quali
reagivano con distinti ricorsi incidentali.
Insomma: tre concorrenti, tutti contro
tutti.
All’esito dell’articolato giudizio di primo
grado, di fatto restava in piedi
l’aggiudicazione in favore della prima
classificata.
1)
La prima questione attiene all’ordine di
esame dei ricorsi principali e dei ricorsi
incidentali, non già in termini generali, ma
solo nel limitato caso di gare di appalto in
cui i concorrenti ammessi tendono ad
escludersi a vicenda al fine di pervenire
alla rinnovazione della gara.
Questione già oggetto di pronuncia da parte
della Adunanza Plenaria (Cons. St., Ad. Plen.,
10.11.2008 n. 11) con riferimento al caso di
due soli concorrenti, ma con principi che
sono estensibili anche al caso di gara con
tre o più concorrenti ammessi.
La soluzione sinora accolta fa leva sulla
nozione di interesse strumentale al ricorso
e sul principio di imparzialità del giudice
e parità delle parti, principi che
prevarrebbero sulle regole ordinarie
relative all’ordine di trattazione delle
questioni.
Ritiene peraltro che il sistema elaborato
dalla giurisprudenza in materia di contratti
della p.a., oltre a favorire una litigiosità
esasperata –e il caso in esame ne sarebbe un
esempio illuminante–, da una parte, non
garantisca la soddisfazione dell’interesse
primario del concorrente (l’aggiudicazione
dell’appalto); dall’altra, renderebbe
estremamente difficoltosa e spesso
impossibile (si pensi alla perdita di
finanziamenti comunitari) l’esecuzione
dell’opera pubblica.
Quindi, la materia meriterebbe un
ripensamento perché a fronte dell’interesse
strumentale dei concorrenti, a dir poco
ipotetico, verrebbero invece sacrificati
l’interesse pubblico, indubbio e attuale,
all’esecuzione dell’opera (quantomeno
all’esecuzione in tempi ragionevoli come
auspicato e preteso in tutti i modi dal
legislatore) e l’interesse del privato
beneficiario dell’aggiudicazione sia pure
illegittima.
2)
Una seconda questione riguarda
l’ammissibilità o meno della legittimazione
ad impugnare il bando in capo ad un’impresa
che abbia scelto di partecipare alla gara.
Viene posto in dubbio se sia corretto
riconoscere la legittimazione ad impugnare
il bando in capo a chi abbia partecipato
alla gara (la giurisprudenza addirittura
afferma la necessità, di regola e salvo
limitate eccezioni, di presentare domanda di
partecipazione alla gara per poterne
impugnare il bando; cfr. Cons. St., ad. plen.,
23.01.2003 n. 1).
La risposta negativa proposta dalla Sesta
Sezione, in difformità dell’indirizzo
consolidato, non sarebbe espressione di una
logica sanzionatoria e formalistica, ma al
contrario sarebbe ispirata al rispetto del
principio di buona fede, di ovvia
applicazione nelle trattative contrattuali
fra privati e stranamente disatteso in
rapporti che più degli altri lo
esigerebbero.
3)
Una terza questione, in teme di avvalimento,
riguarda l’eccepito difetto di requisiti di
qualificazione dell’impresa ausiliaria di
cui si è avvalsa l’a.t.i. aggiudicataria,
risultata priva di alcuni requisiti
richiesti dall’art. 38 codice contratti.
si interroga circa le conseguenze della
eventuale declaratoria di inammissibilità
dell’avvalimento.
L’aggiudicatario, richiamato un orientamento
interpretativo che ammette deroghe al
principio di immodificabilità soggettiva del
concorrente in caso di venir meno del
raggruppamento o del consorzio (orientamento
estendibili anche all’ipotesi del venir meno
dell’impresa ausiliaria), si era difeso
sostenendo la possibilità di modificare la
propria compagine organizzativa –per
riduzione– offrendo le restanti componenti
dell’a.t.i. i requisiti che l’impresa
ausiliaria non poteva più prestare.
L’interpretazione più restrittiva del
divieto di modificazione previsto dall’art.
37, co. 9, del codice dei contratti
pubblici, è stata di recente condivisa
proprio dalla Sesta sezione, ma con
puntualizzazioni che già comportano un
contrasto di giurisprudenza.
Da qui l’esigenza di rimettere in
discussione in radice il principio
dell’ammissibilità di modifiche della
compagine organizzativa del concorrente in
corso di gara, affermato, sia pure con
diverse sfumature, da alcune decisioni.
4)
Ma almeno un’altra importante questione
viene rimessa all’Adunanza Plenaria, sullo
sfondo della tutela della concorrenza, circa
la legittimità di a.t.i. sovradimensionate.
Viene ricordato che in taluni casi concreti
l’Autorità garante della concorrenza e del
mercato e la giurisprudenza hanno ritenuto
illecita, sul piano del diritto di
concorrenza, la costituzione ex ante
di a.t.i. a prescindere da ogni esigenza
reale rispetto ai requisiti previsti dai
bandi di gara, inserendosi in un più
complesso contesto collusivo caratterizzato
dall’esistenza di intese a monte
rappresentate da accordi puntuali e "macroaggregazioni"
aventi quale loro oggetto esplicito la
disciplina del comportamento delle imprese
per fini anticoncorrenziali più che per la
finalità sinergica volta al miglioramento
dell’offerta (Cons. St., sez. VI, 09.04.2009
n. 2203).
Anche tale questione merita, ad avviso della
Sezione, un approfondimento per valutare se
sia il caso di pervenire ad un divieto
generalizzato, pur in difetto di espressa
previsione nell’art. 38 codice appalti,
ovvero di riconoscere in capo alla stazione
appaltante il potere di escludere dalla gara
un’a.t.i. sovrabbondante che costituisca un
palese artificio in danno della concorrenza
eventualmente previa espressa previsione in
tal senso nel bando di gara.
Si è così cercato di sintetizzare il
contenuto di questa importantissima
ordinanza, la cui ricchezza di
argomentazioni e sfumature merita un più
attento e completo esame, anche perché le
possibili implicazioni pratiche appaiono sin
d’ora notevoli (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Deve impugnarsi immediatamente
solo la clausola del bando univocamente
lesiva.
E' illegittima la esclusione dalla
partecipazione ad una gara motivata
esclusivamente sulla base di un divieto non
assistito dalla relativa sanzione in quanto
contrastante con i principi di favor
partecipationis e della tassatività delle
cause di esclusione, le quali devono
risultare chiaramente dal bando.
Quando l'impresa partecipante ad una gara
pubblica ottiene il risarcimento del danno
per mancata aggiudicazione, ovvero per la
semplice perdita della possibilità di
aggiudicazione, non sussistono i presupposti
per il risarcimento dei costi di
partecipazione alla gara, atteso che
mediante il risarcimento non può farsi
conseguire all'impresa un beneficio maggiore
di quello che deriverebbe
dall'aggiudicazione.
Quanto alla lamentata perdita di chance la
Sezione ritiene di aderire all'indirizzo
giurisprudenziale che limita il criterio
presuntivo del 10%, invocato dalla
appellante, facendo applicazione del
principio dell'aliunde perceptum, quale
strumento per evitare indebite
locupletazioni da parte del danneggiato,
secondo il quale il mancato guadagno può
essere risarcito per intero, se e in quanto
l'impresa sarebbe stata aggiudicataria della
gara e possa nel contempo documentare di non
aver potuto utilizzare mezzi e maestranze,
lasciati disponibili, per l'espletamento di
altri servizi. Laddove tale dimostrazione
non sia stata offerta, è da ritenere che
l'impresa possa avere ragionevolmente
riutilizzato mezzi e manodopera per lo
svolgimento di altri, analoghi servizi, così
vedendo in parte ridotta la propria perdita
di utilità, con conseguente riduzione in via
equitativa del danno risarcibile
E' noto il principio giurisprudenziale,
anche di recente ribadito dalla Sezione,
secondo cui vi è necessità di immediata
impugnazione della clausola del bando lesiva
solo ove questa precluda in maniera
definitiva ed univoca la partecipazione alla
gara, ma non nel caso in cui la stessa
clausola sia ambigua (Cons. Stato, V
15.10.2010 n. 7515).
---------------
Si richiama l’orientamento giurisprudenziale
secondo cui è illegittima la esclusione
dalla partecipazione ad una gara motivata
esclusivamente sulla base di un divieto non
assistito (come nel caso di specie) dalla
relativa sanzione in quanto contrastante con
i principi di favor partecipationis e
della tassatività delle cause di esclusione,
le quali devono risultare chiaramente dal
bando (Cons. Stato, V, 11.12.2007 n. 6410).
---------------
E' preferibile l’orientamento
giurisprudenziale secondo cui quando
l'impresa partecipante ad una gara pubblica
ottiene il risarcimento del danno per
mancata aggiudicazione, ovvero per la
semplice perdita della possibilità di
aggiudicazione, non sussistono i presupposti
per il risarcimento dei costi di
partecipazione alla gara, atteso che
mediante il risarcimento non può farsi
conseguire all'impresa un beneficio maggiore
di quello che deriverebbe
dall'aggiudicazione (Cons. Stato , sez. IV,
07.09.2010, n. 6485).
---------------
Quanto alla
lamentata perdita di chance la
Sezione ritiene di aderire all'indirizzo
giurisprudenziale che limita il criterio
presuntivo del 10%, invocato dalla
appellante, facendo applicazione del
principio dell'aliunde perceptum,
quale strumento per evitare indebite
locupletazioni da parte del danneggiato,
secondo il quale il mancato guadagno può
essere risarcito per intero, se e in quanto
l'impresa sarebbe stata aggiudicataria della
gara e possa nel contempo documentare di non
aver potuto utilizzare mezzi e maestranze,
lasciati disponibili, per l'espletamento di
altri servizi. Laddove tale dimostrazione
non sia stata offerta, è da ritenere che
l'impresa possa avere ragionevolmente
riutilizzato mezzi e manodopera per lo
svolgimento di altri, analoghi servizi, così
vedendo in parte ridotta la propria perdita
di utilità, con conseguente riduzione in via
equitativa del danno risarcibile (cfr. Cons.
Stato, Sez. V, n. 1666/2008).
L'onere di provare l'assenza dell'aliunde
perceptum grava sull'impresa dovendosi
ritenere che l'imprenditore, in quanto
soggetto che esercita professionalmente
un'attività economica organizzata
finalizzata alla produzione di utili,
normalmente non rimane inerte per tutto il
tempo della gara e sino alla mancata
aggiudicazione di un appalto, ma si procura
prestazioni contrattuali alternative dalla
cui esecuzione trae utili.
Poiché l'appellata non ha fornito prova al
riguardo, né presentando la offerta
economica, né documentando un'inutile
immobilizzazione di risorse umane e mezzi
tecnici, deve concludersi che essa abbia
ragionevolmente riadoperato le proprie
risorse per lo svolgimento di attività
analoghe, con la necessità della riduzione
dell'importo a base d’asta al 50%, secondo
un criterio di riduzione in via equitativa
ex artt. 1226 e 2056 c.c.. Questa cifra va a
sua volta divisa per il numero dei
partecipanti alla gara (Sez. VI, 09.03.2007,
n. 1114; sez. VI, 09.11.2006 n. 6607;
Sezione VI, 25.07.2006, n. 4634; sez. V
24.10.2002 n. 5860)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 18.01.2011 n. 329 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
necessità della concessione edilizia
riguarda ogni costruzione tendenzialmente
permanente che incida in modo significativo
sul territorio e la stabilità non dipende in
misura rilevante dalla tipologia dei
materiali utilizzati, ma dal tipo di
destinazione ad un bisogno che non assuma
caratteri di provvisorietà.
Per valutare la necessità o meno di una
concessione edilizia è necessario partire
dalla descrizione del manufatto così come
risulta dal verbale di sopralluogo
effettuato dalla Polizia Municipale e da cui
ha tratto origine l’ordinanza impugnata.
Gli agenti in data 23.07.1999 trovarono in
corso di realizzazione lavori per la
realizzazione su di una base di calcestruzzo
di una struttura in ferro con tamponamenti
in muratura ed una copertura in materiale
plastico coibentato con dimensioni della
superficie di mt. 7,50 per mt. 4 ed un
altezza variabile tra i mt. 2,05 ed i mt. 3.
La necessità della concessione edilizia
riguarda ogni costruzione tendenzialmente
permanente che incida in modo significativo
sul territorio e la stabilità non dipende in
misura rilevante dalla tipologia dei
materiali utilizzati, ma dal tipo di
destinazione ad un bisogno che non assuma
caratteri di provvisorietà.
Inoltre poggiando la costruzione su una base
di calcestruzzo è discutibile anche la sua
amovibilità.
Peraltro non ha alcun rilievo la circostanza
che l’opera è al servizio del fondo agricolo
poiché il ricorrente non svolge l’attività
di agricoltore e quindi non è legittimato
neanche a richiedere l’edificazione in zona
agricola
(TAR Lombardia-Milano, Sez. VI,
sentenza 18.01.2011 n. 127 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'ordine di demolizione di opere
edilizie abusive non deve essere preceduto
dall'avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990,
trattandosi di un atto dovuto, che viene
emesso quale sanzione per l’accertamento
della inosservanza di disposizioni
urbanistiche secondo un procedimento di
natura vincolata precisamente tipizzato dal
legislatore e conseguente disciplinato
rigidamente dalla legge.
I provvedimenti di repressione degli abusi
edilizi, in quanto atti vincolati, sono
sufficientemente motivati con l'affermazione
dell'accertata irregolarità dell'intervento,
essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla
rimozione dell'abuso -anche se risalente nel
tempo- senza necessità di una motivazione su
puntuali ragioni di interesse pubblico e di
una specifica comparazione con gli interessi
privati coinvolti: l'esercizio del potere di
controllo e sanzionatorio in materia
urbanistico-edilizia è, difatti,
imprescrittibile e costituisce atto dovuto.
L’onere della prova circa la data di
realizzazione dell’immobile abusivo (o anche
della attività edilizia abusiva da sanare)
spetta a colui che ha commesso l’abuso e
solo la deduzione, da parte di quest’ultimo,
di concreti elementi, che non possono
limitarsi a sole allegazioni documentali a
sostegno delle proprie affermazioni,
trasferisce il suddetto onere in capo
all’Amministrazione.
L'ordine di demolizione di opere edilizie
abusive non deve essere preceduto
dall'avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990,
trattandosi di un atto dovuto, che viene
emesso quale sanzione per l’accertamento
della inosservanza di disposizioni
urbanistiche secondo un procedimento di
natura vincolata precisamente tipizzato dal
legislatore e conseguente disciplinato
rigidamente dalla legge (Tar Campania,
Napoli, sez. IV, 10.12.2007, n. 15871)
(nello stesso senso cfr. anche Cons. Stato,
sez. IV, 26.09.2008, n. 4659, secondo cui “gli
atti sanzionatori in materia edilizia
-attesa la loro natura rigidamente
vincolata- non risultano viziati ove non
siano stati preceduti dalla comunicazione
d’avvio del procedimento”).
---------------
Nel percorso
argomentativo dell’ordine di demolizione non
è necessaria alcuna specificazione ulteriore
rispetto alla presa d'atto dell'abusività
dell'opera (cfr. sul punto, anche qui ex
plurimis, TAR Lazio, I-quater,
14.01.2008 n. 174: "i provvedimenti di
demolizione di opere abusive sono atti
dovuti, sufficientemente motivati con
l’affermazione dell’accertata realizzazione
di interventi edilizi in carenza del titolo
abilitativo richiesto dalla legge. Di
conseguenza, in relazione a provvedimenti di
tal genere, l’obbligo di motivazione è da
intendere nella sua essenzialità ovvero è da
intendere assolto con l’indicazione dei meri
presupposti di fatto (constatazione
dell’esecuzione di opere edilizie in
difformità del permesso di costruire o in
assenza del medesimo), che poi determinano
l’applicazione dovuta delle misure
ripristinatorie previste"; nello stesso
senso TAR Campania, Napoli, II, 13.10.2008
n. 15498).
Né esiste un onere di maggior motivazione se
è decorso del tempo dall’abuso, in quanto “i
provvedimenti di repressione degli abusi
edilizi, in quanto atti vincolati, sono
sufficientemente motivati con l'affermazione
dell'accertata irregolarità dell'intervento,
essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla
rimozione dell'abuso -anche se risalente nel
tempo- senza necessità di una motivazione su
puntuali ragioni di interesse pubblico e di
una specifica comparazione con gli interessi
privati coinvolti: l'esercizio del potere di
controllo e sanzionatorio in materia
urbanistico-edilizia è, difatti,
imprescrittibile e costituisce atto dovuto”
(Tar Milano, II, 4648/2009) (sul punto v.
anche Tar Milano, II, 377/2008: "Stante
la natura vincolata del potere
sanzionatorio-repressivo degli abusi edilizi
e il dato giuridico per cui la sanzione
demolitoria è volta, non tanto a punire il
responsabile dell'abuso, quanto a
ripristinare la situazione antecedente alla
violazione, è legittima l'ordinanza di
demolizione comminata a distanza di lungo
tempo rispetto alla commissione dell'abuso
edilizio, non necessitando la medesima di
essere sorretta da una specifica motivazione
in ordine all'esistenza di un interesse
pubblico prevalente rispetto all'affidamento
del privato sulla legittimità dell'opera o
sul consolidamento del proprio interesse
alla sua conservazione").
---------------
In materia edilizia il principio è del tutto
consolidato ed stato riaffermato da ultimo
da Cons. Stato, sez. IV, 13.01.2010 n. 45,
secondo cui “l’onere della prova circa la
data di realizzazione dell’immobile abusivo
(o anche della attività edilizia abusiva da
sanare) spetta a colui che ha commesso
l’abuso e solo la deduzione, da parte di
quest’ultimo, di concreti elementi, che non
possono limitarsi a sole allegazioni
documentali a sostegno delle proprie
affermazioni, trasferisce il suddetto onere
in capo all’Amministrazione. La P.A.,
infatti, non può di solito materialmente
accertare quale sia la situazione
dell’intero suo territorio a quella data
prevista dalla legge, mentre il privato, che
propone l’istanza di concessione edilizia in
sanatoria, è normalmente in grado di fornire
idonea documentazione che comprovi la
ultimazione dell’abuso entro la data
prevista dalla legge, a costui spettando
l’onere di fornire quantomeno un principio
di prova su tale ultimazione e in caso
contrario restando integro il potere di non
concedere il condono e di irrogare la
sanzione prescritta”
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 17.01.2011 n. 69 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di una ATI da una gara per l'affidamento del
servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti
urbani in quanto la mandante risultava
affidataria diretta di servizi pubblici
locali diversi da quello posto in gara.
Il testo novellato dell'art. 23-bis, c. 9,
come sostituito dall'art. 15, c. 1, lett.
d), del d.l. n. 135/2009, consente alla
società titolare di affidamento diretto di
individuare la gara oggetto di deroga su
tutto il territorio nazionale, anziché nel
solo contesto territoriale interessato
dall'affidamento in essere.
E' legittima l'esclusione di una ATI
costituenda dalla procedura di gara, indetta
da un Consorzio Obbligatorio di Comuni,
avente ad oggetto l'appalto dei servizi di
raccolta e trasporto dei rifiuti urbani in
ottantaquattro comuni della provincia, in
quanto la mandante era partecipata al 49,5%
da una S.p.a. la quale, a sua volta, era
titolare di affidamenti diretti del servizio
di distribuzione del gas naturale in
molteplici comuni. Tali affidamenti,
disposti senza procedura di gara, erano,
infatti, suscettibili di attribuire vantaggi
competitivi all'affidataria e costituivano,
pertanto, presupposto per l'applicazione del
divieto di partecipazione nei confronti
della società partecipata, previsto
dall'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008,
convertito in l. n. 133/2008.
---------------
La ratio sottesa alle disposizioni
normative di cui agli artt. 113, c. 6 del
T.U.E.L. e 23-bis, c.9, del d.l. n.
112/2008, convertito in l.n. 133/2008 (nel
testo vigente al momento della pubblicazione
del bando nel caso di specie) era quella di
evitare che le società titolari di
affidamenti diretti, quindi operanti in un
mercato protetto, potessero operare con enti
diversi da quelli di riferimento e
introdurre meccanismi di alterazione della
concorrenza derivanti dai privilegi di cui
esse godono. Il legislatore, peraltro, ha
ritenuto di dettare regole transitorie che
contemplavano la possibilità di partecipare
alle "prime gare" aventi ad oggetto i
servizi forniti da tali società. La deroga
era finalizzata ad evitare un'ingiustificata
dissipazione delle risorse investite nelle
società già affidatarie dirette di servizi
pubblici locali e di tutelare l'affidamento
generato in capo alle stesse. Tenendo conto
di tali finalità e della natura derogatoria,
quindi eccezionale, delle disposizioni
normative in esame, le stesse vanno
interpretate in senso letterale,
circoscrivendone conseguentemente
l'applicazione alla possibilità di
partecipare alla prima gara successiva per
chi svolgeva in affidamento diretto il
medesimo servizio.
Pertanto, nel caso di specie, è corretta la
determinazione assunta dalla stazione
appaltante e l'infondatezza della tesi di
parte ricorrente che pretende di riferire la
nozione di "prima gara" a tutte le
procedure competitive indette per la prima
volta, anche da enti diversi da quelli
presso i quali operava l'affidatario
diretto. Quest'ultima interpretazione,
peraltro, non sarebbe consentita neppure dal
testo novellato dell'art. 23-bis, c. 9, come
sostituito dall'art. 15, c. 1, lett. d), del
d.l. n. 135/2009, secondo il quale "i
soggetti affidatari diretti di servizi
pubblici locali possono comunque concorrere
su tutto il territorio nazionale alla prima
gara successiva alla cessazione del
servizio, svolta mediante procedura
competitiva ad evidenza pubblica, avente ad
oggetto i servizi da essi forniti".
Il nuovo dettato normativo, comunque
inapplicabile ratione temporis alla
procedura di gara, ha innovato la disciplina
previgente nel senso di conferire una
particolare facoltà di scelta alla società
titolare di affidamento diretto la quale può
ora individuare la gara oggetto di deroga su
tutto il territorio nazionale, anziché nel
solo contesto territoriale interessato
dall'affidamento in essere.
La disposizione medesima, invece, non può
essere interpretata come se contemplasse la
possibilità di partecipare a tutte le prime
gare indette da ciascun ente su tutto il
territorio nazionale, giacché tale approccio
ermeneutico, oltre a contrastare con la
delineata ratio dell'art. 23-bis
(anche nella nuova versione), svuoterebbe di
reale significato il divieto di
partecipazione posto in linea di principio
dalla norma (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 14.01.2011 n. 26 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
E' illegittima l’esclusione dalla
gara per omessa indicazione nella domanda di
partecipazione l’indirizzo di posta
elettronica certificata (Pec), come
prescritto dal bando di gara.
È illegittima l’esclusione da una gara
d’appalto dell’impresa che abbia omesso di
indicare nella domanda di partecipazione
l’indirizzo di posta elettronica certificata
(Pec), come prescritto dal bando di gara,
che prevedeva l’indicazione a pena di
esclusione di varie forme di ricezione delle
comunicazioni.
La clausola del bando di gara che impone la
contestuale disponibilità di più forme di
ricezione concernenti le comunicazioni di
gara (ossia domicilio, fax e posta
elettronica certificata) si pone in
contrasto con la previsione generale di cui
all’art. 79 d.lgs 163/2006, come da ultimo
modificato dal d.lgs. n. 53 del 2010, il
quale individua mezzi alternativi (e non
cumulativi) di comunicazione.
La richiamata clausola, che ai fini della
comunicazioni di cui agli art. 11 e 79,
richiede l’indicazione necessaria della
posta elettronica certificata, oltre il
domicilio e il fax, appare eccessiva anche
alla luce dei principi generali di cui
all’art. 77 del d.lgs 163/2006 in base al
quale “il mezzo di comunicazione scelto
(tra stazione appaltante e operatore
economico) deve essere comunemente
disponibile, in modo da non limitare
l’accesso degli operatori economici alla
procedura di aggiudicazione” e “gli
strumenti da utilizzare per comunicare per
via elettronica, nonché le relative
caratteristiche tecniche, devono essere di
carattere non discriminatorio, comunemente
disponibili al pubblico e compatibili con i
prodotti della tecnologia dell’informazione
e della comunicazione generalmente in uso”;
in questa prospettiva la necessità che
l’indirizzo di posta elettronica avesse
natura certificata, a pena di esclusione,
non appare requisito ragionevolmente
necessario posto che comunque la stazione
appaltante era in possesso di tutti i dati
necessari (domicilio, fax, posta
elettronica) per inviare comunicazioni alla
ricorrente, anche con effetto legale
(certezza dell’invio e della ricezione).
La previsione risulta infine eccessivamente
onerosa anche alla luce della normativa di
settore (cfr. art. 16 d.l. 185/2008, così
come convertito con legge 2/2009) che impone
alle società già operanti di munirsi di un
indirizzo Pec solo da novembre 2011,
trattandosi di un mezzo di comunicazione d
all’utilizzo ancora non generalizzato
(massima tratta da
www.entilocali.provincia.le.it - TAR
Puglia-Lece, Sez. III,
sentenza 13.01.2011 n. 15 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sono
onerose, e non gratuite, le opere realizzate
da una casa di cura privata.
La regola generale è quella dell’onerosità
dei titoli edilizi, che possono essere
rilasciati a titolo gratuito solo in via
eccezionale, in ipotesi tassativamente
indicate dalla norma e di stretta
interpretazione.
La giurisprudenza, per parte sua, ha
interpretato le ricordate disposizioni nel
senso che, per poter addivenire al rilascio
di una concessione edilizia gratuita è
necessario che coesistano due diversi
presupposti o requisiti: uno di carattere
oggettivo e uno di carattere soggettivo.
Il primo riguarda l’opera in sé considerata,
e richiede che la stessa abbia natura di
opera pubblica o di interesse generale.
Questo requisito, nel caso all’esame,
sicuramente sussiste. Infatti una struttura
sanitaria -ancorché privata, gestita in
forma societaria e con fini di lucro- può
ritenersi appartenente al “genus”
delle opere di interesse pubblico e/o
generale, allorché -attraverso la formula
organizzatoria dell’accreditamento, che la
inserisce nel novero dei soggetti che
rendono prestazioni sanitarie e/o
assistenziali che appartengono
istituzionalmente all’Amministrazione-
fornisca ai cittadini assistiti dal Servizio
Sanitario Nazionale quelle prestazioni che
l’Ente medesimo dovrebbe erogare
direttamente.
Il requisito soggettivo, invece, richiede
che le opere in esenzione, rientrino “nelle
istituzionali competenze degli enti
realizzatori”; cioè che siano realizzate
da un “ente” e siano funzionali al
perseguimento dei fini che gli sono propri,
come determinati dalla legge.
In definitiva, la giurisprudenza ha,
condivisibilmente, ritenuto (si vedano, ad
esempio: C.S. n. 2226/2005; Tar Lazio, n.
1620/2009 e Tar Liguria n. 3565/2009) che
l’esenzione dal contributo possa essere
accorata quando l’opera sia realizzata
direttamente da un Ente pubblico -ovvero da
un privato dallo stesso “delegato”
nei modi che la legge prevede, ad esempio
con concessione- e l’opera stessa sia
destinata alla cura dei pubblici interessi
di cui il soggetto (pubblico) è attributario.
Non occorre spendere molte parole per
rilevare come, nella specie, manchi proprio
questo indefettibile requisito soggettivo:
l’esecutore delle opere non è un ente
pubblico, né un concessionario di questi, ma
un soggetto privato, che le realizza per
soddisfare un interesse proprio finalizzato
-legittimamente- al profitto, e non per
conseguire in via diretta un interesse
pubblico suo proprio, che la legge gli abbia
attribuito quale finalità istituzionale.
La circostanza che -nello svolgimento della
sua attività imprenditoriale con fini di
lucro– la struttura sanitaria ricorrente
assolva anche, indirettamente, ad una
funzione di interesse pubblico (peraltro
regolarmente remunerata) non fa sì, perciò
solo, che essa divenga un “ente
realizzatore” che ha operato in
attuazione delle proprie “istituzionali
competenze”.
Il pur esistente rapporto tra la Casa di
Cura privata e il Servizio Sanitario non ha
caratteri tali da far ritenere che
l’ampliamento della struttura privata
medesima possa dirsi realizzato in nome, o
per conto, della struttura pubblica o quale
espressione delle “competenze
istituzionali” della stessa (TAR Friuli
Venezia Giulia,
sentenza 13.01.2011 n. 9 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
diritto al risarcimento del danno derivante
dal ritardo con il quale l'Amministrazione
ha provveduto spetta solo ove i soggetti
interessati abbiano reagito all'inerzia
impugnando il silenzio-rifiuto; solo in caso
di persistente inerzia a seguito di questa
procedura può infatti configurarsi la
lesione al bene della vita, risarcibile,
alla stregua dei canoni di correttezza e
buona fede, nello svolgimento del rapporto
qualificato e differenziato tra soggetto
pubblico e privato.
E’ stato condivisibilmente affermato che il
diritto al risarcimento del danno derivante
dal ritardo con il quale l'Amministrazione
ha provveduto spetta solo ove i soggetti
interessati abbiano reagito all'inerzia (in
quel caso) impugnando il silenzio-rifiuto;
solo in caso di persistente inerzia a
seguito di questa procedura può infatti
configurarsi la lesione al bene della vita,
risarcibile, alla stregua dei canoni di
correttezza e buona fede, nello svolgimento
del rapporto qualificato e differenziato tra
soggetto pubblico e privato (TAR Lombardia
Milano, sez. IV, 18.10.2010, n. 6989).
Invero, ciò che si risarcisce non è una
aspettativa all'agere legittimo
dell'Amministrazione, bensì il mancato
conseguimento del bene della vita cui si
ambiva al momento della proposizione
dell'istanza. La norma codicistica di cui
all’art. 2043 c.c., infatti, subordina il
risarcimento alla produzione di un danno
ingiusto causalmente generato da una
condotta illecita, nel caso di specie da
individuarsi nell’asserito ritardo,
imputabile all'Amministrazione a titolo di
dolo o colpa (cfr. in proposito TAR
Lazio-Roma, sez. I, 22.09.2010, n. 32382)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 12.01.2011 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La disposizione di cui all'art.
16, c. 4, R.D. n. 2440/1923 (l. di
contabilità di Stato), secondo cui i
processi verbali di aggiudicazione
definitiva equivalgono per ogni legale
effetto al contratto, è derogabile da una
norma regionale.
Il R.D. n. 2440 del 1923, art. 16, c. 4,
statuisce che: "I processi verbali di
aggiudicazione definitiva, in seguito ad
incanti pubblici o a private licitazioni,
equivalgono per ogni legale effetto al
contratto".
Sennonché il verbale di aggiudicazione di
una licitazione privata non necessariamente
equivale a ogni effetto legale al contratto,
perché l'art. 16 della legge di contabilità
dello Stato (R.D. 18.11.1923, n. 2440) è
norma dispositiva, che si presta a essere
derogata nel senso di escludere che
l'aggiudicazione, oltre a concludere il
procedimento di scelta del contraente,
produca da sé la conclusione dell'accordo.
A maggior ragione quindi questa norma, che è
dettata in tema di contabilità generale
dello Stato, può essere derogate da una
norma regionale nell'ambito di una materia,
la cui competenza appartenga alla regione
(Corte di Cassazione, SS.UU. civili,
sentenza 11.01.2011 n. 391 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di abuso edilizio, il ricorso
proposto contro il solo verbale redatto dai
vigili urbani è inammissibile, in quanto
avente valore endoprocedimentale ed
efficacia meramente dichiarativa delle
operazioni effettuate dalla polizia
municipale, alla quale non è attribuita la
competenza all'adozione di atti di
amministrazione attiva, a tal uopo
occorrendo che la competente autorità
amministrativa ne faccia proprio l'esito
attraverso un formale atto di accertamento.
Come pacificamente riconosciuto dalla
giurisprudenza amministrativa -formatasi in
epoca coeva alla proposizione del presente
ricorso e confermata dalle pronunce
successive- il ricorso proposto contro il
solo verbale redatto dai vigili urbani è
inammissibile, in quanto avente valore
endoprocedimentale ed efficacia meramente
dichiarativa delle operazioni effettuate
dalla polizia municipale, alla quale non è
attribuita la competenza all'adozione di
atti di amministrazione attiva, a tal uopo
occorrendo che la competente autorità
amministrativa ne faccia proprio l'esito
attraverso un formale atto di accertamento
(cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, sez.
giurisd., 15.02.1999, n. 32; TAR Lazio,
Sezione II-ter, 12.11.2001, n. 9155; TAR
Campania, Sezione IV, 24.09.2002, n. 5582;
Sezione II, 18.05.2005, n. 6526; sez. VII,
16.12.2009, n. 8816; Cons. Giust. Amm.
Sicilia, Sez. Giur., 12.11.2008, n. 930)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 08.01.2011 n. 25 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Illegittimità dell’ordinanza
divieto di sosta e di transito a talune
categorie di veicoli lungo una via comunale
sottoscritta dal Sindaco.
È’ illegittima, per incompetenza,
l’ordinanza con la quale il sindaco ha
disposto il divieto di sosta e di transito,
nei due sensi di marcia, a talune categorie
di veicoli lungo una via comunale, atteso
che l’art. 7 del d.lgs. 30.4.1992, n. 285,
ovvero del codice della strada va coordinato
con la norma posteriore dell’art. 107 del
d.lgs. 18.08.2000, n. 267, che attribuisce
ai soli dirigenti comunali la competenza ad
adottare gli atti e i provvedimenti che
impegnino l’amministrazione verso l’esterno,
ove non ricompresi “espressamente dalla
legge o dallo statuto tra le funzioni di
indirizzo e controllo politico
amministrativo degli organi di governo
dell’ente” ovvero nelle funzioni,
all’evidenza qui non rilevanti, del
segretario o del direttore generale.
La competenza già del Sindaco in tema di
limitazioni della circolazione deve quindi
ritenersi attratta nella competenza propria
del dirigente di settore, in quanto si
tratta di funzioni di gestione ordinaria;
diversamente si potrebbe ritenere solo ove
l’intervento di cui si ragiona rivestisse
carattere di necessità e urgenza, ai sensi
degli artt. 50 e 54 dello stesso t.u.e.l.:
in tali termini espressamente Cass. civ.,
sez. II, 09.06.2010, n. 13885, nonché TAR
Campania, Napoli, sez. I, 17.12.2009, n.
8874 e Cons. Stato, sez. II, parere
02.04.2003, n. 1661 ivi citato; solo
apparentemente contraria Cons. Stato, sez.
V, 17.09.2010, n. 6966, in quanto, a lettura
della motivazione, si ricava che l'ntervento
del Sindaco era nel caso deciso giustificato
dalle citate ragioni di necessità e urgenza
(massima tratta da
www.entilocali.provincia.le.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 08.01.2011 n. 10 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di volume tecnico comprende
esclusivamente le porzioni di fabbricato
destinate ad ospitare impianti, legati da un
rapporto di strumentalità necessaria con
l’utilizzazione dello stesso.
I sottotetti quando sono di altezza tale da
poter essere suscettibili d'abitazione o di
assolvere a funzioni complementari, quale
quella ad esempio di deposito di materiali,
devono essere computati ad ogni effetto sia
ai fini della cubatura autorizzabile sia ai
fini del calcolo dell'altezza e delle
distanze ragguagliate all'altezza, non
potendo essere annoverati tra i volumi
tecnici.
Il concetto di volume tecnico comprende
esclusivamente le porzioni di fabbricato
destinate ad ospitare impianti, legati da un
rapporto di strumentalità necessaria con
l’utilizzazione dello stesso.
L’intervento edilizio, impropriamente
definito tetto termico, ad uso deposito, si
sostanzia in effetti in un piano di
copertura reso suscettibile di uso
abitativo, tenuto conto della rilevante
superficie ed altezza media nonché
dell’apertura di balconi e di finestre (cfr.
Consiglio di Stato, V Sezione, 14.01.1991 n.
44, 21.10.1992 n. 1025 e 13.05.1997 n. 483;
TAR Campania, IV Sezione, 09.06.1998 n. 1777
e 12.01.2000 n. 30).
Invero, ai fini della qualificazione di una
costruzione rilevano le caratteristiche
obiettive della stessa, prescindendosi
dall’intento dichiarato dal privato di voler
destinare l’opera ad utilizzazioni più
ristrette di quelle alle quali il manufatto
potenzialmente si presta (cfr. Consiglio di
Stato, V Sezione, 23.11.1996 n. 1406, TAR
Campania, IV Sezione, 20.06.2002, n. 3632).
In materia, si è evidenziato (per tutte: TAR
Campania Napoli, sez. IV, 17.06.2002, n.
3597; TAR Puglia Lecce, sez. III,
15.01.2005, n. 143 Tar Puglia - Bari sent.
2843/2004), con un orientamento del tutto
condivisibile, che i sottotetti quando sono
di altezza tale da poter essere suscettibili
d'abitazione o di assolvere a funzioni
complementari, quale quella ad esempio di
deposito di materiali, devono essere
computati ad ogni effetto sia ai fini della
cubatura autorizzabile sia ai fini del
calcolo dell'altezza e delle distanze
ragguagliate all'altezza, non potendo essere
annoverati tra i volumi tecnici.
In definitiva, la tipologia costruttiva e le
dimensioni del manufatto realizzato in
difformità rispetto al precedente titolo
autorizzatorio, consistente
nell’innalzamento del tetto e nella
realizzazione di servizi riflette con
assoluta evidenza la sussistenza del
contestato abuso che, in ragione della
innegabile trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio che ad esso si
riconnette, imponeva il previo rilascio di
uno specifico permesso di costruire ad uso
abitativo, che valesse ad autorizzarne
l’esecuzione.
Peraltro, la stessa elencazione delle opere
abusive riflette, con immediatezza,
l’evidente attitudine di tali modifiche a
determinare, sul piano oggettivo, un
mutamento di categoria edilizia tra
l’intervento autorizzato (sottotetto non
abitabile) ed il manufatto realizzato, che
si presta, proprio in ragione delle
difformità in contestazione, ad essere
utilizzato come abitazione.
E, invero, le divisate innovazioni
costruttive e la potenziale autonomia
funzionale del “nuovo” manufatto
accreditano, senza ombra di dubbio, la
oggettiva abitabilità dei locali
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 07.01.2011 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'area di rispetto cimiteriale di
200 metri prevista dall'art. 338 del R.D. n.
1265/1934 comporta un vincolo assoluto di
inedificabilità che non consente in alcun
modo l'allocazione sia di edifici che di
opere incompatibili col vincolo medesimo, in
considerazione dei molteplici interessi
pubblici che tale fascia di rispetto intende
tutelare, e che la deroga all’estensione del
limite è consentita ai soli fini della
realizzazione di “opere pubbliche e di
interesse pubblico”.
Detto vincolo comporta una limitazione
legale a carattere assoluto del diritto di
proprietà, che preclude il rilascio della
concessione per opere incompatibili col
vincolo medesimo e la natura assoluta del
vincolo medesimo non si pone in
contraddizione con la possibilità che nella
medesima area insistano degli edifici
preesistenti e/o che ad esse vengano
assegnate destinazioni compatibili con
l'esistenza del vincolo ma mira
essenzialmente ad impedire l'ulteriore
addensamento edilizio dell'area giudicato ex
lege, incompatibile con le prioritarie
esigenze pubblicistiche sottese alla
imposizione del vincolo.
Si è affermato un orientamento della
giurisprudenza amministrativa, dal quale il
Collegio non ha motivo di discostarsi, in
base al quale l'area di rispetto cimiteriale
di 200 metri prevista dall'art. 338 del R.D.
n. 1265/1934 comporta un vincolo assoluto di
inedificabilità che non consente in alcun
modo l'allocazione sia di edifici che di
opere incompatibili col vincolo medesimo, in
considerazione dei molteplici interessi
pubblici che tale fascia di rispetto intende
tutelare, e che la deroga all’estensione del
limite è consentita ai soli fini della
realizzazione di “opere pubbliche e di
interesse pubblico” (Cons. St., V,
29.03.2006, n. 1593)
Detto vincolo, secondo consolidata
giurisprudenza, comporta, in definitiva, una
limitazione legale a carattere assoluto del
diritto di proprietà, che preclude il
rilascio della concessione per opere
incompatibili col vincolo medesimo.
D’altra parte, come si evince dal testo
delle norme di cui alla legge n. 166/2002,
sopra richiamata, la natura assoluta del
vincolo non si pone in contraddizione con la
possibilità che nella medesima area
insistano degli edifici preesistenti e/o che
ad esse vengano assegnate destinazioni
compatibili con l'esistenza del vincolo
(Cass. Civ., sez. I, n. 6510/1997), ma mira
essenzialmente ad impedire l'ulteriore
addensamento edilizio dell'area giudicato
ex lege, incompatibile con le
prioritarie esigenze pubblicistiche sottese
alla imposizione del vincolo
(C.G.A.R.S.,
sentenza 05.01.2011 n. 2 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
illeciti in materia urbanistica, edilizia e
paesistica, ove consistano nella
realizzazione di opere senza le prescritte
concessioni e autorizzazioni, hanno
carattere di illeciti permanenti, che si
protraggono nel tempo e vengono meno solo
con il cessare della situazione di
illiceità, vale a dire con il conseguimento
delle prescritte autorizzazioni, pertanto il
potere amministrativo repressivo può essere
esercitato senza limiti di tempo e senza
necessità di motivazione in ordine al
ritardo nell'esercizio del potere. In altri
termini, l'Autorità non emana un atto "a
distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime
una situazione antigiuridica ancora
sussistente.
Il deposito di una roulotte all'interno di
un suolo privato debba qualificarsi quale
costruzione urbanisticamente rilevante in
presenza di indici in grado di supportare il
carattere non precario della installazione.
La precarietà di un manufatto, tale per cui
esso non necessiti di concessione edilizia,
va esclusa se il manufatto stesso è
destinato a recare un'utilità prolungata e
perdurante nel tempo. In tal caso, infatti,
esso produce una trasformazione urbanistica
perché altera in modo rilevante e duraturo
lo stato del territorio, senza che rilevino
i materiali impiegati, l'eventuale
precarietà strutturale e la mancanza di
fondazioni, se tali elementi non si
traducano in un uso contingente e limitato
nel tempo, con l'effettiva rimozione delle
strutture.
Con riferimento agli insediamenti abitativi
abusivamente posti in essere da componenti
della comunità nomade, la giurisprudenza ha
evidenziato come le esigenze di tale parte
della popolazione trovino unicamente
soddisfazione nelle specifiche iniziative di
spettanza dell’Amministrazione pubblica,
ovvero nell’apprestamento di aree di sosta
nei campi attrezzati, non certamente in
iniziative autonome od individuali in
contrasto con la normativa urbanistica ed
edilizia, neppure in caso di inerzia o
inadempienza degli enti coinvolti dalla
legge nella tutela delle etnie nomadi.
Le opere realizzate senza titolo in zona
agricola consistono in:
- n. 2 roulottes;
- casetta in legno di m. 5.61x3.98;
- manufatto in lamiera ad uso wc di m.
1.05x0.94;
- manufatto in lamiera ad uso doccia m.
1.08x1.10;
- pergolato in legno m. 5.09x3.10;
-casetta in legno ad uso pollaio m.
2.33x2.60
- vialetto d’ingresso all’area e alle
roulottes, realizzato con ghiaia;
- opere di urbanizzazione quali lampioncini
di illuminazione, allacciamento a quadri
elettrici, fossa biologica;
- pavimentazione in autobloccanti delimitata
con cordololatura;
- lavatoio su struttura in muratura.
Gli illeciti in materia urbanistica,
edilizia e paesistica, ove consistano nella
realizzazione di opere senza le prescritte
concessioni e autorizzazioni, hanno
carattere di illeciti permanenti, che si
protraggono nel tempo e vengono meno solo
con il cessare della situazione di
illiceità, vale a dire con il conseguimento
delle prescritte autorizzazioni, pertanto il
potere amministrativo repressivo può essere
esercitato senza limiti di tempo e senza
necessità di motivazione in ordine al
ritardo nell'esercizio del potere. In altri
termini, l'Autorità non emana un atto "a
distanza di tempo" dall'abuso, ma
reprime una situazione antigiuridica ancora
sussistente (cfr. Cons. Stato sez. IV,
16.04.2010 n. 2160).
La giurisprudenza ha rilevato che il
deposito di una roulotte all'interno di un
suolo privato debba qualificarsi quale
costruzione urbanisticamente rilevante in
presenza di indici in grado di supportare il
carattere non precario della installazione
(cfr. TAR Campania Napoli, Sez. IV,
05.05.2003, n. 4435; TAR Catanzaro n. 530
del 27.04.1999; TAR Liguria n. 202 del
03.05.1999).
La stessa giurisprudenza amministrativa ha
poi chiarito da tempo che la precarietà di
un manufatto, tale per cui esso non
necessiti di concessione edilizia, va
esclusa se il manufatto stesso è destinato a
recare un'utilità prolungata e perdurante
nel tempo. In tal caso, infatti, esso
produce una trasformazione urbanistica
perché altera in modo rilevante e duraturo
lo stato del territorio, senza che rilevino
i materiali impiegati, l'eventuale
precarietà strutturale e la mancanza di
fondazioni, se tali elementi non si
traducano in un uso contingente e limitato
nel tempo, con l'effettiva rimozione delle
strutture (cfr: Consiglio di Stato, Sez. V,
31.01.2001 n. 343; id., 30.10.2000 n. 582;
TAR Veneto, Sez. II, 10.02.2003, n. 1216).
Con riferimento agli insediamenti abitativi
abusivamente posti in essere da componenti
della comunità nomade, la giurisprudenza ha
evidenziato come le esigenze di tale parte
della popolazione trovino unicamente
soddisfazione nelle specifiche iniziative di
spettanza dell’Amministrazione pubblica,
ovvero nell’apprestamento di aree di sosta
nei campi attrezzati, non certamente in
iniziative autonome od individuali in
contrasto con la normativa urbanistica ed
edilizia, neppure in caso di inerzia o
inadempienza degli enti coinvolti dalla
legge nella tutela delle etnie nomadi (cfr.
TAR Emilia-Romagna, Sez. II, 09.07.2008 n.
3306, TAR Parma, 28.04.2009 n. 165) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 29.12.2010 n. 4986 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’autorizzazione
paesistica non può superare il parere del
Parco.
L'autorizzazione paesaggistica ha lo scopo
di valutare la conformità dell’attività con
il paesaggio, la cui tutela è prevista
dall’art. 9 della Costituzione. Il parere
del Parco, invece, costituisce atto di
gestione delle aree protette ed ha come
oggetto di tutela specifica la difesa degli
ecosistemi, che costituisce un bene
giuridico distinto dal paesaggio.
Rileva il Collegio come l’autorizzazione
paesistica non possa superare il parere del
Parco; i due atti, infatti, rispondono a
forme di gestione di beni diversi.
La prima ha lo scopo di valutare la
conformità dell’attività con il paesaggio,
la cui tutela è prevista dall’art. 9 della
Costituzione. Si tratta di un valore “primario”
(Corte Cost. nn. 151/1986; 182/2006 e
183/2006) ed anche “assoluto”, se si
tiene presente che il paesaggio indica
essenzialmente l’ambiente ( Corte Cost.
641/1987). L’oggetto tutelato non è il
concetto astratto delle “bellezze
naturali”, ma l’insieme delle cose, beni
materiali, o le loro composizioni, che
presentano valore paesaggistico.
Il parere del Parco, invece, costituisce
atto di gestione delle aree protette ed ha
come oggetto di tutela specifica la difesa
degli ecosistemi, che costituisce un bene
giuridico distinto dal paesaggio (Corte
Costituzionale 23.01.2009 n. 12).
In tale contesto, dunque, occorre rilevare
che il preminente rilievo degli interessi
ambientali sul piano costituzionale (art. 9
Cost.) impedisce di assimilare tale
strumento a quello delle ordinarie misure di
salvaguardia suscettibili di modifiche in
sede di accordo di programma
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 23.12.2010 n. 38575 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'installazione di pannelli in
vetro ed alluminio sul parapetto di un
balcone già chiuso per i restanti lati dai
muri perimetrali dell'edificio è
qualificabile come intervento di
trasformazione urbanistica per la sua
destinazione ad uso non limitato nel tempo e
per l'alterazione prodotta nello stato del
territorio, stante il suo rilievo ambientale
e funzionale, e determina la realizzazione
di un nuovo locale autonomamente
utilizzabile, l'aumento della superficie
utile e la modifica della sagoma
dell'edificio stesso e, pertanto, implica il
previo rilascio del titolo concessorio, a
nulla rilevando l'eventuale precarietà
strutturale dell'opera realizzata, in quanto
non si traduca in un uso per fini
contingenti e specifici.
La trasformazione di un balcone o di un
terrazzo circondato da muri perimetrali in
veranda, mediante chiusura a mezzo di
installazione di pannelli di vetro su
intelaiatura metallica, non ha natura
precaria né costituisce intervento di
manutenzione straordinaria o di restauro, ma
è opera soggetta a permesso di costruire.
Ed infatti l'installazione di pannelli in
vetro ed alluminio sul parapetto di un
balcone già chiuso per i restanti lati dai
muri perimetrali dell'edificio è
qualificabile come intervento di
trasformazione urbanistica per la sua
destinazione ad uso non limitato nel tempo e
per l'alterazione prodotta nello stato del
territorio, stante il suo rilievo ambientale
e funzionale, e determina la realizzazione
di un nuovo locale autonomamente
utilizzabile, l'aumento della superficie
utile e la modifica della sagoma
dell'edificio stesso e, pertanto, implica il
previo rilascio del titolo concessorio, a
nulla rilevando l'eventuale precarietà
strutturale dell'opera realizzata, in quanto
non si traduca in un uso per fini
contingenti e specifici (TAR Campania
Napoli, sez. IV, 28.02.2006, n. 2451)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 22.12.2010 n. 38237 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
permesso di costruire è rilasciato
legittimamente alla parte che si qualifica
proprietaria dell’immobile oggetto
dell’intervento, ovvero che abbia comunque
titolo per richiederlo.
L’espressione legislativa “titolo per
richiederlo” è stata intesa dalla
giurisprudenza nel senso di posizione che
civilisticamente costituisca titolo per
esercitare sul fondo un’attività
costruttiva, dunque estesa a tutte le
posizioni, anche non aventi natura reale,
attributive della facoltà di attuare
interventi sull’immobile.
A termini dell’art. 11 D.P.R. 380/2001, il
permesso di costruire è rilasciato
legittimamente alla parte che si qualifica
proprietaria dell’immobile oggetto
dell’intervento, ovvero che abbia comunque
titolo per richiederlo.
L’espressione legislativa “titolo per
richiederlo” è stata intesa dalla
giurisprudenza nel senso di posizione che
civilisticamente costituisca titolo per
esercitare sul fondo un’attività costruttiva
(cfr. Cons. di Stato. Sez. V, 15.03.2001, n.
1507, ex pluris), dunque estesa a
tutte le posizioni, anche non aventi natura
reale, attributive della facoltà di attuare
interventi sull’immobile (cfr. Cons. di
Stato, sez. V, 28.05.2001, n. 2882).
L’Amministrazione è chiamata allo
svolgimento di un’attività istruttoria, per
accertare la sussistenza del titolo
legittimante.
Tuttavia, al Comune spetta soltanto la
verifica, in capo al richiedente, di un
titolo sostanziale idoneo a costituire la
c.d. “posizione legittimante”, senza
alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si
estenda fino alla ricerca di eventuali
fattori limitativi, preclusivi o estintivi
del titolo di disponibilità dell’immobile,
allegata da chi presenta istanza edilizia
(giurisprudenza pacifica, cfr., ex pluris,
Cons. di Stato, sez. V, 04.02.2004, n. 368;
TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 842/2010
e 1157/2009).
Salvo che, ovviamente, la sussistenza di
detti fattori ostativi non emerga, con pari
grado di certezza, dagli atti del
procedimento eventualmente introdotti da chi
ne abbia interesse
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 22.12.2010 n. 865 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
normativa sui distacchi tra edifici riguarda
espressamente le “pareti finestrate”, nel
senso che “il balcone aggettante può essere
compreso nel computo delle distanze solo nel
caso in cui una norma di piano preveda ciò,
posto che uno sporto non integra la specie
dell’intercapedine dannosa che legittima
l’applicazione della norma di ordine
pubblico derivante dal D.M. 02.04.1968, n.
1444".
La normativa
sui distacchi tra edifici, che ha, com’è
noto, la funzione di evitare la produzione
di intercapedini da dannose, riguarda
espressamente le “pareti finestrate”,
nel senso che “il balcone aggettante può
essere compreso nel computo delle distanze
solo nel caso in cui una norma di piano
preveda ciò, posto che uno sporto non
integra la specie dell’intercapedine dannosa
che legittima l’applicazione della norma di
ordine pubblico derivante dal D.M.
02.04.1968, n. 1444" (cfr., ex pluris,
TAR Lombardia, Milano, n. 91/2010; TAR
Abruzzo, Pescara, n. 579/2009 e TAR Liguria,
n. 1736/2009)
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 22.12.2010 n. 865 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Le
osservazioni ed opposizioni al P.R.G. ex
art. 9 della Legge urbanistica n. 1150/1942
non possono essere respinte con una formula
di mero stile che, sia per la scheletrica
astrattezza del suo tenore letterale, sia
per il fatto di potersi, in pratica,
riferire a qualsiasi rilievo, pone
nell’assoluta impossibilità di acclarare se
l’Amministrazione abbia effettivamente
valutato il rilievo e, quindi, si sia
determinata a respingerlo proprio ai fini di
quel pubblico interesse che pure si
asserisce di voler tutelare, essendo invece
necessaria una puntuale ed adeguata
motivazione.
Si afferma in giurisprudenza che: <<La
facoltà dei privati di proporre osservazioni
ed il conseguente obbligo
dell’Amministrazione di pronunciarsi sulle
medesime a conclusione di una vera e propria
fase del procedimento svolta in
contraddittorio sono intesi ad offrire
elementi di valutazione non marginali ai
fini del buon andamento e funzionalità
dell’azione amministrativa>> (TAR
Puglia, Bari, Sez. II, 17.02.2005, n. 594);
ed, ancora: <<Ove fosse consentito
all’ente pubblico di disattendere
immotivatamente l’apporto procedimentale
degli interessati, risulterebbe violata la
finalità di tutela sostanziale delle
posizioni giuridiche dei soggetti coinvolti
dall’esplicazione del pubblico potere cui si
ispirano le norme (quali, ad esempio, gli
artt. 7 della legge 07.08.1990, n. 241 e n.
16 del decreto del Presidente della
Repubblica del 06.06.2001, n. 327)>>
(TAR Campania, Sez. V, 01.02.2007, n. 823);
<<L’art. 16 del decreto del Presidente
della Repubblica del 06.06.2001, n. 327
tipizza un particolare avviso minuziosamente
disciplinato per il proprietario dell’area
ove è prevista la realizzazione dell’opera,
con obbligo per l’Amministrazione di
pronunciarsi sulle osservazioni proposte con
atto motivato, beninteso che l’accoglimento,
in tutto ed in parte delle stesse
comporterebbe la modifica del progetto. E’
chiaro che in materia espropriativa, quindi,
il Legislatore ha voluto garantire
l’effettiva partecipazione dialettica del
privato nella formazione, in
contraddittorio, della volontà definitiva
dell’amministrazione>> (TAR Calabria,
Reggio Calabria, 22.03.2007, n. 243).
La Sezione, con la sentenza n. 5222 del
22.05.2008, ha rilevato che, anche a seguito
della giurisprudenza formatasi
successivamente alla Legge n. 241/1990, le
osservazioni ed opposizioni al P.R.G. ex
art. 9 della Legge urbanistica n. 1150/1942
non possono essere respinte con una formula
di mero stile che, sia per la scheletrica
astrattezza del suo tenore letterale, sia
per il fatto di potersi, in pratica,
riferire a qualsiasi rilievo, pone
nell’assoluta impossibilità di acclarare se
l’Amministrazione abbia effettivamente
valutato il rilievo e, quindi, si sia
determinata a respingerlo proprio ai fini di
quel pubblico interesse che pure si
asserisce di voler tutelare, essendo invece
necessaria una puntuale ed adeguata
motivazione (Cfr: anche: TAR Calabria,
Reggio Calabria, 12.02.2004, n. 136; a
15.01.2004, n. 17; TAR Sicilia, Catania, II,
30.09.1992, n. 806; Cons. Giust. Ammin.,
01.06.1993, n. 227)
(TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 17.12.2010 n. 27621 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Nel
corso di un procedimento volto alla
realizzazione di un’opera pubblica il comune
deve e ben può variare il progetto già
approvato con altro progetto che prevede
l’ubicazione dell’opera in zona diversa da
quella già prescelta, nel caso in cui detta
modifica si renda necessaria a seguito di
giustificato riesame dei profili funzionali
dell’opera in relazione alle esigenze socio
urbanistiche palesatesi successivamente
all’approvazione dell’originario progetto.
Posto che al progetto preliminare manca il
necessario carattere della complessiva ed
immodificabile configurazione dell’opera,
soltanto al progetto definitivo resta
attribuita, ai fini istruttori, la capacità
di rendere immodificabile l’intervento
approvato, sicché le garanzia di
partecipazione prescritte dagli artt. 7 e
ss. L. n. 241/1990, sono propedeutiche
all’approvazione del progetto definitivo e
non anche del progetto preliminare.
La dichiarazione di pubblica utilità
consegue (soltanto) all’approvazione del
progetto definitivo, il quale è quello che
possiede i caratteri complessivi e non più
modificabili dell’opera, mentre quello
preliminare è ancora un progetto
abbisognevole di modificazioni e quello
esecutivo è un complesso di specificazioni
meramente operative e così dettagliatamente
(e voluminosamente) determinato da non poter
dare neppure una precisa idea complessiva
della natura dell’intervento, se non a
soggetti operanti professionalmente nel
settore ingegneristico.
Secondo la giurisprudenza, nel corso di un
procedimento volto alla realizzazione di
un’opera pubblica il comune deve e ben può
variare il progetto già approvato con altro
progetto che prevede l’ubicazione dell’opera
in zona diversa da quella già prescelta, nel
caso in cui detta modifica si renda
necessaria a seguito di giustificato riesame
dei profili funzionali dell’opera in
relazione alle esigenze socio urbanistiche
palesatesi successivamente all’approvazione
dell’originario progetto: e tale scelta può
essere sindacata dal G.A. proprio in caso di
omessa motivazione delle ragioni di pubblico
interesse che la sottendono nel caso di
rigetto delle osservazioni di privati incisi
ovvero nell’ipotesi di una valutazione
tecnica inficiata da errori di fatto o da
vizi di illogicità o contraddittorietà (Cfr:
TAR Basilicata, 06.12.1982, n. 165).
Invero, fermo restando che il merito della
scelta relativa alla localizzazione di
un’opera pubblica resta sottratta di massima
al sindacato del giudice amministrativo, con
le note eccezioni della illogicità, del
travisamento dei fatti e della
contraddittorietà, è anche vero che
l’amministrazione è tenuta a dare conto,
dell’avvenuta valutazione e considerazione
di tutti gli interessi coinvolti e,
segnatamente, di quelli sacrificati, e che
sotto il profilo dell’adeguato apprezzamento
delle posizioni interessate dall’ubicazione
dell’opera, le delibere che ne approvano il
progetto risultano sicuramente sindacabili (Cfr:
C. di S., sez. IV, 20.09.2005, n. 4849).
Inoltre il contenuto dell’obbligo
motivazionale sotto il profilo da ultimo
illustrato, e la latitudine del relativo
sindacato giurisdizionale sono destinati ad
ampliarsi nei casi nei quali risulti
rilevato uno stato di fatto, in sede di
progettazione preliminare, che non sia più
al corrente con quello esistente all’atto
dell’apposizione del vincolo ablatorio e di
tanto la P.A. sia stata resa edotta, dovendo
perciò provvedere alla modifica dei progetti
con conseguente obbligo di riconsiderare le
posizioni soggettive (Cfr: C. di S., sez. IV,
20.09.2005, n. 4849; 15.06.2004, n. 4018;
03.11.1999, n. 1654).
In materia di espropriazione per p.u., posto
che al progetto preliminare manca il
necessario carattere della complessiva ed
immodificabile configurazione dell’opera,
soltanto al progetto definitivo resta
attribuita, ai fini istruttori, la capacità
di rendere immodificabile l’intervento
approvato, sicché le garanzia di
partecipazione prescritte dagli artt. 7 e
ss. L. n. 241/1990, sono propedeutiche
all’approvazione del progetto definitivo e
non anche del progetto preliminare (Cfr: TAR
Lombardia, Milano sez II, 26.05.2003, n.
2280; C. di S., sez. IV, 11.05.2004, n.
2930).
Nell’art. 16 della L. 11.02.1994, n. 109 è
stato stabilito che per qualsiasi opera
pubblica vi fosse la necessità della
redazione, in progresso temporale, di tre
distinte fasi progettuali, denominate
progetto preliminare, progetto definitivo e
progetto esecutivo, individuando (all’art.
14 della legge stessa) proprio nel progetto
definitivo l’atto capace di contenere quella
specifica dichiarazione di pubblica utilità,
unica idonea a dare inizio alla procedura
espropriativa.
Appena è il caso di rilevare che i tre stadi
progettuali non possono essere confusi fra
loro, essendo specificati per ciascuno di
essi le caratteristiche ed i gradi di
approfondimento dell’indagine progettuale;
infatti il progetto preliminare è una
indagine operativa che abbisogna ancora di
specifiche puntualizzazioni in ordine alle
caratteristiche dell’opera, il progetto
definitivo determina la precisa
configurazione dell’opera, mentre quello
esecutivo è il progetto con le “specifiche”,
vale a dire con tutti i dettagli operativi,
tanto che nella pratica è spesso denominato
“cantierabile”, e cioè consegnabile
agli addetti al cantiere per la pedissequa
esecuzione.
Si intuisce, quindi, agevolmente la ratio
che sottostante al fatto che la
dichiarazione di pubblica utilità consegua
(soltanto) all’approvazione del progetto
definitivo, il quale è quello che possiede i
caratteri complessivi e non più modificabili
dell’opera, mentre quello preliminare è
ancora un progetto abbisognevole di
modificazioni e quello esecutivo è un
complesso di specificazioni meramente
operative e così dettagliatamente (e
voluminosamente) determinato da non poter
dare neppure una precisa idea complessiva
della natura dell’intervento, se non a
soggetti operanti professionalmente nel
settore ingegneristico (Cfr: C. di S., sez.
IV, 11.05.2004, n. 2930)
(TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 17.12.2010 n. 27621 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Chi chiama l'imbianchino per i
lavori di casa è responsabile della sua
sicurezza.
Se si chiama
l’imbianchino per dei lavori in casa si è
responsabili della sua incolumità.
Lo ha stabilito la Quarta Sezione Penale
della Corte di Cassazione ove l’imputato è
stato ritenuto colpevole della morte
dell’artigiano per non aver verificato che
l’operaio fosse dotato dei c.d. “sistemi
anticaduta” previsti dalla normativa in
materia di lavori effettuati ad altezze
superiori ai due metri, in particolare della
cintura di sicurezza e del casco (Corte di
Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza 01.12.2010 n. 42465 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli obblighi delle norme
anti-infortunistiche sono estensibili al
proprietario dell'immobile.
Risponde di omicidio
colposo, nel caso di morte dell'operaio, il
privato che fa lavori in economia senza
assicurarsi che la persona a cui si rivolge
adotti le misure di sicurezza.
Con la sentenza 01.12.2010 n. 42465
la IV sezione della Corte di cassazione ha
ulteriormente approfondito l'elaborazione
del tema della responsabilità penale del
committente dell'opera per l'infortunio
occorso al lavoratore all'interno del
cantiere costituito per realizzarla.
La legislazione in materia
-
Tesi che i giudici di legittimità hanno
respinto, rilevando come l'intera
legislazione antinfortunistica si ispiri in
realtà a regole di segno diametralmente
opposto (nello specifico, dovendo giudicare
di fatti accaduti nel 2001, le norme prese
in considerazione dalla sentenza sono quelle
previgenti al Dlgs 09.04.2008, n. 81).
Infatti, secondo la Corte dal complesso di
tale normativa emerge chiaramente, per un
verso, come il legislatore abbia
progressivamente enucleato il principio
della indivisibilità delle tutele nei luoghi
in cui viene esercitata un'attività
lavorativa, non consentendo in tal senso di
distinguere tra attività di lavoro
subordinato e altre tipologie di attività
lavorative svolte nel medesimo sito; per
l'altro come sul committente gravino sia
obblighi di garanzia specificamente posti
dalle citate norme, sia un più generico
obbligo di non esporre alcuno a rischi per
la propria sicurezza derivanti dall'attività
intrapresa.
La posizione di garanzia
del committente -
In definitiva la sentenza individua una
precisa posizione di garanzia in capo al
committente, sottolineando come i
conseguenti obblighi di prevenzione,
specifici o generici che siano, esulano
dalla natura dell'attività del soggetto
esposto ai rischi connessi all'esecuzione
dell'opera commissionata.
Come accennato non è la prima volta che la
giurisprudenza di legittimità afferma tali
principi, soprattutto con riguardo al tema
degli infortuni verificatisi nei cantieri
mobili.
Per la stessa, infatti, non è dubbio che il
contratto d'appalto determini il
trasferimento dal committente
all'appaltatore della responsabilità
nell'esecuzione dei lavori, salvo che lo
stesso committente assuma una partecipazione
attiva nella conduzione e realizzazione
dell'opera, nel qual caso anch'egli rimane
destinatario degli obblighi assunti
dall'appaltatore (si veda Cassazione,
sezione IV, 17.09.2008, Raso, in Ced
241063), ma ciò non toglie che lo stesso
committente risponda comunque dell'evento
che si colleghi casualmente anche alla sua
colposa omissione nel consentire l'inizio
dei lavori in presenza di situazioni di
fatto pericolose e nel caso in cui l'omessa
adozione delle misure di prevenzione
prescritte sia immediatamente percepibile,
senza che la sua responsabilità possa essere
esclusa dalla circostanza che egli abbia
impartito le direttive da seguire a tale
scopo, essendo comunque necessario che ne
abbia controllato, con prudente e continua
diligenza, la puntuale osservanza (si veda
in questo senso ex multis Cassazione,
sezione IV, 15.03.2007, Ghelfa, in Ced
236545 e Cassazione, sezione IV, 01.07.2009,
Vecchi, in Ced 245275) (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
AGGIORNAMENTO AL 24.01.2011 |
ã |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 3 del
19.01.2011, "Disciplina dello spostamento
di animali per ragioni di pascolo (alpeggio,
transumanza, pascolo vagante) in regione
Lombardia"
(decreto
D.U.O. 12.01.2011 n. 101). |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO:
La legislazione in materia di sicurezza.
Si è recentemente tenuta una nuova lezione
del corso sull’attività professionale degli
ingegneri finalizzato alla preparazione agli
esami di stato organizzato dall’Ordine degli
Ingegneri della Provincia di Napoli e dalla
facoltà di Ingegneria della Federico II, di
cui BibLus-net si è più volte occupata nelle
precedenti edizioni della newsletter.
La lezione più recente, tenuta dall’ing.
Francesco Paolo Capone, ha riguardato la
legislazione in materia di sicurezza. Il
relatore ha illustrato la normativa e i
relativi adempimenti con riferimento:
- alla prevenzione nei luoghi di lavoro;
- alla prevenzione nei cantieri.
La documentazione della lezione è
disponibile on-line; essa può
risultare di notevole interesse per tutti i
tecnici che esercitano la professione (link
a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Progettazione geologica e geotecnica con le
NTC 2008: teoria e applicazioni.
Lo scorso ottobre si è svolto un corso di
aggiornamento professionale sulla nuova
normativa per le costruzioni (D.M.
14.01.2008) organizzato dall’Ordine dei
Geologi del Lazio.
Il corso, sul tema "Teoria e applicazioni
nella progettazione geologica e geotecnica",
è stato tenuto dal prof. Eros Aiello,
dell’Università degli studi di Siena.
L’Ordine dei Geologi del Lazio ha reso
disponibile on-line i supporti
didattici del seminario.
La prima parte del corso è stata dedicata
all'illustrazione delle norme tecniche in
vigore dall'01.07.2009. Nella seconda parte,
invece, ha trovato spazio una serie di
applicazioni pratiche in ambito geotecnico:
dalle fondazioni alle opere di sostegno alla
stabilità dei pendii.
Nella documentazione sono riportati anche
esempi di relazione geologica e geotecnica
sulla base della normativa tecnica
illustrata (link a www.acca.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
L. Bellagamba,
La tracciabilità dei flussi finanziari dopo
la L. 217/2010 (Non si applica
quando la pubblica Amministrazione jure
privatorum utitur – Si applica per
l’affidamento degli incarichi di
collaborazione – L’impiego di contante per
la pubblica Amministrazione)
(link a www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
Il favor partecipationis quale limite
al potere di predeterminazione dei requisiti
di ammissione (link a
www.mediagraphic.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L’affidamento dei lavori pubblici in Italia:
problemi e possibili soluzioni secondo la
Banca d’Italia.
Il settore degli appalti pubblici italiano è
esposto in misura considerevole ai rischi di
collusione, corruzione e rinegoziazioni
successive con gli aggiudicatari dei
contratti. Carenze sono, inoltre, presenti
sul piano della progettazione degli
interventi. Tutto ciò nonostante le numerose
riforme che hanno interessato il settore
negli ultimi anni.
Questi, in sintesi, i risultati di
un’analisi del sistema dei contratti
pubblici effettuata dalla Banca d’Italia e i
cui risultati sono riportati nella
pubblicazione “L'affidamento dei lavori
pubblici in Italia: un'analisi dei
meccanismi di selezione del contraente”.
Nella pubblicazione l’istituto esegue
l’analisi delle diverse procedure di gara e
dei diversi criteri di aggiudicazione
evidenziandone le criticità ed i rischi
associati. Banca d’Italia, tuttavia, non si
limita a criticare il sistema degli appalti
ma propone delle soluzioni, derivate dalla
letteratura internazionale, per tentare di
contenere e/o contrastare le problematiche
evidenziate (rischio di mancato
completamento dell’opera, collusione,
fenomeni di corruzione, etc.).
Le indicazioni provenienti dalla letteratura
economica e i confronti internazionali
suggeriscono che miglioramenti potrebbero
provenire da:
1- l'eliminazione del ricorso a meccanismi
di esclusione automatica delle offerte
anomale, che ridurrebbe i rischi di
collusione tra gli offerenti;
2- un accentramento delle valutazioni di
anomalia delle offerte in capo a stazioni
appaltanti di maggiori dimensioni e un
innalzamento degli importi delle garanzie
fideiussorie prestate dai soggetti
aggiudicatari, che ridurrebbero i rischi di
rinegoziazioni successive e di mancato
completamento dell'opera;
3- un rafforzamento delle misure di
contrasto ai fenomeni di corruzione, specie
per quanto attiene ai controlli relativi
alla sub-contrattazione;
4- una maggiore standardizzazione
progettuale e, per gli appalti più
complessi, il ricorso al dialogo competitivo
(link a www.acca.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Corte
conti. Turn-over, il calcolo è annuale.
Il calcolo della spesa
di personale cessato, da considerare per il
turn-over, negli enti locali va effettuato
tenendo conto dell'anno intero e non della
frazione di anno effettivamente lavorata.
La Corte dei conti, sezione regionale di
controllo della Toscana, col
parere 17.11.2010 n.
160, fornisce un chiarimento
fondamentale per la corretta applicazione
dell'articolo 14, comma 9, del dl 78/2010,
convertito in legge 122/2010.
Tale disposizione ha modificato l'articolo
76, comma 7, del dl 112/2008, convertito in
legge 133/2008, il quale ora dispone: «È
fatto divieto agli enti nei quali
l'incidenza delle spese di personale è pari
o superiore al 40% delle spese correnti di
procedere ad assunzioni di personale a
qualsiasi titolo e con qualsivoglia
tipologia contrattuale; i restanti enti
possono procedere ad assunzioni di personale
nel limite del 20% della spesa
corrispondente alle cessazioni dell'anno
precedente».
Era fin qui rimasta incertezza rispetto al
computo appunto del limite del 20%
corrispondente al personale cessato l'anno
precedente.
Visto il chiaro intento della manovra estiva
2010 di ridurre drasticamente la spesa
pubblica, poteva desumersi che il 20%
dovesse essere computato per cassa e, cioè,
immaginando che un dipendente cessasse dal
servizio a giugno, si dovesse conteggiare il
20% del costo sostenuto effettivamente per i
sei mesi di lavoro. Era, tuttavia, chiara la
conseguenza eccessivamente restrittiva di
simile chiave di lettura.
Nell'esempio fatto, in effetti il limite di
spesa, per la singola cessazione, sarebbe
divenuto del 10%, con l'allungamento ad
libitum dei tempi di copertura del turn-over
e, soprattutto, con una distorsione del
criterio di limitazione delle assunzioni che
deve avvicinarsi quanto più possibile alla
sostituzione di un dipendente, ogni cinque
che cessano. Il computo della cassa
ovviamente può di molto allontanare da tale
risultato.
La sezione Toscana, molto semplicemente
spiega che «la locuzione spesa
corrispondente alle cessazioni va
interpretata quale spesa annuale»,
estendendo agli enti locali la logica
seguita dal dipartimento della Funzione
pubblica nella circolare 18.10.2010 Uppa, la
quale precisa che i risparmi realizzati per
cessazione vanno calcolati «sempre sui 12
mesi»
(articolo ItaliaOggi
del 21.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Personale.
Lo «sforamento» della spesa. I dirigenti
generosi devono rimborsare gli stipendi
eccessivi ai fini dell'accertamento.
La violazione delle
norme sul contenimento delle spese di
personale può essere fonte di responsabilità
amministrativa-patrimoniale. Parola della
Corte dei conti della Lombardia.
I magistrati contabili sono stati chiamati
ad esprimere un parere in merito alle
possibili sanzioni da erogare in caso di
mancato rispetto del comma 557 della legge
finanziaria 2007, ovvero alla possibilità di
assumere pur sapendo che l'assunzione
programmata porterebbe nel 2011 a uno
sforamento del limite di spesa fissato nel
2010.
Fino al Dl 78/2010 il sistema legislativo
non prevedeva alcuna sanzione sul tema. Con
la manovra estiva è stato esteso al mancato
contenimento delle spese di personale quel
divieto di assunzione già previsto per il
mancato raggiungimento degli obiettivi del
patto di stabilità.
Agli enti che non rispettano il comma 557 è
quindi vietato procedere ad assunzioni di
personale a qualsiasi titolo, con
qualsivoglia tipologia contrattuale,
compresi i rapporti di collaborazione
continuata e continuativa e i rapporti di
somministrazione, anche con riferimento ai
processi di stabilizzazione in atto. Agli
stessi enti è vietata anche la stipula di
contratti di servizio con soggetti privati
che si configurino come elusivi della stessa
disposizione.
La Corte dei conti del Piemonte, con il
parere 07.10.2010 n.
55, ha avuto modo di precisare che il
divieto non potrà che essere in concreto
operante dall'esercizio successivo a quello
in cui può verificarsi l'eventuale
violazione. Di fatto gli enti sono quindi
ora in presenza di un obbligo di legge e di
una sanzione per la violazione dello stesso.
Il che significa che uno degli elementi
fonte di responsabilità ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 17.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Nei comuni sotto i 15 mila
abitanti il capo del consiglio è
facoltativo. Presidente, elezioni subito
Altrimenti si deve aspettare il rinnovo
degli organi.
Un comune, avente
popolazione inferiore a 15 mila abitanti,
deve provvedere con immediatezza a eleggere
il presidente del consiglio comunale in
esecuzione delle novellate disposizioni
statutarie, tenuto conto che esse devono
considerarsi ormai entrate in vigore, in
quanto decorsi i trenta giorni di affissione
all'albo pretorio prescritti dall'art. 6,
comma 5, ultimo capoverso Tuel n. 267/2000,
e che non è stata adottata una apposita
disciplina transitoria?
L'art. 39, comma 1, ultimo capoverso del
Tuel n. 267/2000, dispone che «nei comuni
con popolazione sino a 15 mila abitanti lo
statuto può prevedere la figura del
presidente del consiglio».
La norma prevede che, se per i comuni con
popolazione superiore a 15 mila abitanti è
obbligatoriamente previsto il presidente del
consiglio, i comuni con popolazione sino a
15 mila hanno soltanto la facoltà di
istituire la figura del presidente del
consiglio mediante un'apposita scelta
statutaria. Tale disposizione si colloca
sistematicamente nell'ambito di un comma il
cui primo periodo, sia pure con riferimento
espresso ai comuni «con popolazione
superiore a 15 mila abitanti», prevede
testualmente che il presidente è «eletto
nella prima seduta del consiglio».
Qualora i comuni con popolazione inferiore
ai 15 mila abitanti recepiscano l'istituto
in parola, dovranno farlo in aderenza a
quanto previsto dal vigente ordinamento, «tenuto
conto che è fondamento di un ordinamento
democratico il principio secondo cui gli
organismi rappresentativi vengono a cessare
quando spira il termine di durata del loro
mandato, previsto dalla legge, e
quest'ultima non può stabilirne
anticipatamente la cessazione se non in
forma espressa e al verificarsi di
circostanze preventivamente previste in via
generale e astratta come suscettibili di
condurre alla fine anticipata del mandato
conferito dagli elettori».
Pertanto si ritiene che nella fattispecie
l'elezione del presidente del consiglio non
possa che avvenire successivamente al
rinnovo degli organi attualmente in carica
(articolo
ItaliaOggi del 21.01.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Rimborsi.
Qual è la disciplina applicabile ai rimborsi
dovuti al datore di lavoro per i permessi
utilizzati dal sindaco, dipendente privato,
per l'espletamento del mandato, nonché alla
quota accantonamento ai fini dell'indennità
di fine rapporto di lavoro?
Ai sensi dell'art. 80 del decreto
legislativo n. 267/2000, gli oneri per i
permessi retribuiti dei lavoratori
dipendenti da privati o da enti pubblici
economici sono a carico dell'ente presso il
quale il lavoratore esercita le funzioni
pubbliche.
Inoltre, ai sensi del comma 1 dell'art. 86
del Tuel, l'amministrazione locale ha
l'onere di rimborsare al datore di lavoro la
quota annuale di accantonamento per
l'indennità di fine rapporto (tfr), solo per
gli amministratori che si siano posti in
aspettativa non retribuita
(articolo
ItaliaOggi del 21.01.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Indennità.
Quale disciplina si applica alla
corresponsione dell'indennità di funzione
nel caso di un assessore di un'Unione di
comuni che ricopre anche la carica di
consigliere comunale?
Sulla disciplina che regola il trattamento
economico spettante agli amministratori
degli enti locali è recentemente intervenuto
il decreto legge n. 78 del 31.05.2010,
concernente «misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica».
Il decreto prevede, tra l'altro,
l'abolizione di qualsiasi forma di
emolumento per gli amministratori di
comunità montane e di unioni di comuni.
Pertanto, l'assessore di un'Unione di comuni
non ha diritto a percepire alcun compenso
per la predetta carica
(articolo
ItaliaOggi del 21.01.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: ENTI
LOCALI/ Fondi decentrati, via all'austerity.
Vietato superare il 2010. Tagli se i
dipendenti diminuiscono. I vincoli per le
amministrazioni locali si applicano sia alla
parte stabile che a quella variabile.
Non superare il fondo del 2010 e tagliarlo
in caso di diminuzioni del numero dei
dipendenti: sono questi i vincoli che tutti
gli enti locali devono rispettare nella
costituzione dei fondi per la contrattazione
decentrata dei dirigenti e del personale.
Questi vincoli si applicano sia alla parte
stabile sia a quella variabile e si sommano
al tetto al trattamento economico
individuale.
Il primo obbligo da rispettare è quello di
non superare nel triennio 2011/2013 la
consistenza del fondo per le risorse
decentrate del 2010.
La disposizione, contenuta nella prima parte
del comma 2-bis dell'articolo 9 del dl n.
78/2010, non modifica le regole per la
costituzione del fondo, che rimangono
fissate dai Ccnl, in particolare da quelli
dell'1/4/1999 e 22/1/2004 per il personale e
da quello del 23/12/1999 per i dirigenti.
L'importante è che dall'applicazione di tali
regole non discendano oneri aggiuntivi: nel
caso in cui ciò si realizzasse occorre
intervenire per tagliarne l'ammontare
complessivo.
Bisogna prestare particolare cura
all'utilizzazione della possibilità di
incrementare il fondo per la realizzazione
di nuovi servizi e/o
l'ampliamento-miglioramento di quelli
esistenti, cioè dell'articolo 15, comma 5,
per il personale e dell'articolo 23, comma
3, per i dirigenti. Tale possibilità non è
vietata, neppure indirettamente, ma non può
determinare incrementi del totale
complessivo delle risorse disponibili nel
fondo.
Rimane da chiarire se le risorse previste da
specifiche norme di legge, ricorrendone le
condizioni, vadano aumentate, visto che in
buona parte esse non vanno comprese nella
spesa per il personale (come per esempio le
incentivazioni per la realizzazione di opere
pubbliche e Ici), ovvero se sono comprese
nel tetto.
Alla determinazione del fondo senza aumenti
devono seguire i tagli nel caso di
diminuzione del numero dei dipendenti. Tale
riduzione è obbligatoria e deve essere
effettuata in modo automatico, cioè
direttamente da parte dei dirigenti e senza
che sia necessaria alcuna forma di
contrattazione preventiva: i soggetti
sindacali hanno diritto a essere informati
preventivamente rispetto all'avvio della
contrattazione, ma non è loro riservato
alcuno spazio di intervento nel merito delle
scelte, salvo che in termini di controllo.
Il metodo da applicare è il seguente: le
amministrazioni quantificano il numero dei
dirigenti e dei dipendenti in servizio a
tempo indeterminato alla data del 31
dicembre 2010, adempimento che devono
peraltro effettuare per il conto del
personale. Il passaggio successivo è quello
della previsione del numero delle cessazioni
e delle assunzioni che saranno effettuate
nel corso del 2011: anche in questo caso si
possono utilizzare le rilevazioni che
vengono effettuate ai fini della
programmazione del fabbisogno del personale.
Nel caso in cui tale saldo sia negativo
occorre tagliare la consistenza del fondo.
Ovviamente prima della fine dell'anno la
previsione deve essere sostituita dalla
puntuale rilevazione.
Si deve sottolineare che per il legislatore
non hanno alcuna influenza le ragioni delle
cessazioni e delle assunzioni: per cui le
mobilità in uscita determinano una riduzione
del numero dei dipendenti e quelle in
entrata il loro aumento. Così come non
sembra assumere alcun rilievo la variazione
delle categorie e dei profili professionali.
Il taglio del fondo deve essere effettuato,
ci dice espressamente la norma, in modo
proporzionale e riferito all'insieme delle
sue risorse, senza alcuna considerazione per
il salario accessorio in godimento da parte
dei cessati. Dal che si arriva alla
conclusione che è necessario assumere il
dato della incidenza media dei dipendenti
sul fondo e del taglio in modo
corrispondente: per esempio se il fondo per
le risorse decentrate è complessivamente di
200 mila euro e i dipendenti sono 100,
l'incidenza media è di 2 mila euro e per
ogni diminuzione il taglio deve avere quella
dimensione.
Nel primo anno, il taglio deve essere
proporzionato ai mesi di cessazione, mentre
negli anni successivi esso va operato in
modo pieno
(articolo ItaliaOggi
del 21.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Legge
Brunetta operativa. Il dlgs 150 non è
condizionato da norme transitorie. Dal
tribunale di Pesaro la prima sentenza a
favore dell'immediata applicabilità.
Si spezza il fronte, fino a oggi compatto,
dei giudici del lavoro ostili alla teoria
dell'immediata vigenza della
riforma-Brunetta (per ribadire la quale il
ministro della funzione pubblica si è visto
costretto a emanare un decreto correttivo di
interpretazione autentica del dlgs 150 che
andrà oggi all'esame del consiglio dei
ministri, si veda ItaliaOggi di ieri).
È il tribunale di Pesaro, sez. lavoro, con
la sentenza n. 417/2010 ad affermare con
chiarezza, dopo una serie di decreti
d'urgenza di segno contrario, che la piena
operatività del dlgs 150/2009 non è
condizionata da un diritto transitorio.
La decisione del tribunale è estremamente
importante per almeno due motivi.
In primo luogo, perché è, appunto, la prima
e originale decisione del tribunale in sede
di giudice del lavoro che riconosce
l'inesistenza del diritto transitorio legato
all'adeguamento dei contratti. La seconda,
perché sin qui la gran parte delle decisioni
rivendicate dalle organizzazioni sindacali
come vittorie contro applicazioni del dlgs
150/2009 suppostamente illegittime e fonte
di condotta anti sindacale da parte delle
pubbliche amministrazioni, sono decreti
adottati in via d'urgenza da giudici
monocratici, all'evidenza prive del
necessario approfondimento della delicata
questione. Resa particolarmente complessa
dalla specificità delle regole normative
alla base del rapporto di lavoro pubblico,
molto diverse da quelle del lavoro privato
che i giudici del lavoro conoscono meglio.
La sentenza del tribunale di Pesaro smonta
con efficacia tutte le teorie sulle quali
sin qui si erano retti i decreti dei giudici
monocratici.
Prima tesi destituita di fondamento è quella
secondo la quale l'efficacia dell'articolo
5, comma 2, novellato del dlgs 165/2001, che
assegna al datore di lavoro pubblico
immediati e unilaterali poteri organizzativi
che richiedono la sola relazione sindacale
della comunicazione, sarebbe subordinata
alla stipulazione di nuovi contratti
collettivi nazionali di lavoro. Nulla di
tutto ciò. Il tribunale di Pesaro sottolinea
che le clausole contrattuali collettive
contrastanti con il nuovo sistema devono
intendersi sostituite di diritto con la
previsione di cui alla norma di legge.
A differenza di molti giudici monocratici
(in particolare quello di Trieste) il
tribunale lealmente fornisce
un'interpretazione del problema conforme a
quella suggerita dalla circolare del
ministero per la pubblica amministrazione e
l'innovazione del 13/05/2010 n. 7, dando
atto che essa era stata emanata «proprio
per rispondere a dubbi interpretativi
nascenti dal contrasto fra la disposizione
normativa di cui al più volte citato art. 5
con quanto eventualmente già previsto dalle
norme contrattuali collettive»,
precisando «che la norma di legge in
questione è di immediata applicazione, con
la conseguenza che i contratti collettivi si
adeguano attraverso il meccanismo della
etero integrazione».
La sentenza del tribunale fornisce una
lettura che scongiura una sorta di conflitto
tra poteri e prende atto dell'unica
soluzione giuridicamente corretta del
contrasto tra legge e contratti: sono
ovviamente questi a essere necessariamente
disapplicati.
In secondo luogo, la sentenza del tribunale
di Pesaro inferisce un colpo decisivo alla
teoria, largamente diffusa tra i giudici del
lavoro monocratici ma certamente infondata,
secondo la quale l'applicazione delle novità
in tema di gestione del rapporto previste
dalla riforma Brunetta sarebbero
condizionate dall'articolo 65 del dlgs
150/2009 al previo e necessario adeguamento
dei contratti decentrati.
Secondo il Tribunale «non è pertinente il
richiamo all'art. 65 del dlgs 150/2009,
riguardante l'adeguamento e l'efficacia dei
contratti collettivi vigenti, per poter
sostenere che la norma di cui all'art. 5
cit. riguarda necessariamente i contratti
successivi». La decisione mette,
finalmente, in evidenza una circostanza
chiarissima, ma letta artatamente dalle
organizzazioni sindacali e fonte di
confusione nelle precedenti decisioni dei
giudici del lavoro. «I commi da 1 a 4
dell'art. 65 predetto si riferiscono
espressamente ai contratti collettivi
integrativi, per cui le disposizioni
attinenti al loro necessario adeguamento non
si applicano ai contratti collettivi
nazionali. In ogni caso la necessità del
loro adeguamento attiene specificamente alle
problematiche riguardanti i meriti ed i
premi che ne derivano, come si ricava
dall'esplicito riferimento al titolo 3° del
decreto contenuto nel comma 1 dell'art. 65,
titolo che riguarda, come detto «merito e
premi»: nulla a che vedere, quindi, con le
disposizioni organizzative del lavoro».
Discende, dunque, che dall'applicazione
delle disposizioni fissate direttamente
dalla legge non può derivare condotta
antisindacale da parte delle
amministrazioni. Si apre, finalmente, la
strada per l'applicazione piena della
riforma, nonostante l'ovvia resistenza
sindacale
(articolo ItaliaOggi
del 21.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - VARI: Il
consigliere può visionare elenchi anti
evasori e tabulati. La privacy cede al
diritto d'accesso.
Il consigliere può acquisire i tabulati
delle telefonate fatte in comune e l'elenco
dei cittadini non in regola con i tributi
locali; e può anche avere deliberazioni e
atti preparatori via mail.
Per il privato porte aperte alle richieste
di avere la copia delle cartelle esattoriali
e i verbali dei sinistri stradali ...
(articolo ItaliaOggi
del 22.01.2011 - link a
www.ecostampa.com). |
PUBBLICO IMPIEGO: Nome
sul campanello per salvarsi. Se l'ammalato
non è rintracciabile rischia lo stipendio.
Quando si è in malattia
e si attende il medico di controllo (sotto
l'impero di Brunetta, quasi sempre), non
basta essere presenti a casa propria per non
essere dichiarati assenti e non perdere il
diritto alla retribuzione, bisogna che ci
sia almeno il proprio cognome sul campanello
di casa perché il medico fiscale ti possa
facilmente ritrovare. Soprattutto gli si
deve aprire la porta e lo si deve far
accomodare. Non come quella dipendente, sul
campanello della cui abitazione c'erano solo
le generalità del marito e che non ha aperto
la porta al medico visitatore. Il quale, non
trovando il cognome della lavoratrice da
controllare, aveva invano suonato a tutti i
campanelli del condominio.
La Cassazione non si è fatta impietosire
dalle precarie condizioni di salute con le
quali la lavoratrice aveva giustificato il
fatto di non aver potuto aprire la porta, e
ha riconosciuto corretto il provvedimento di
decadenza da ogni trattamento economico per
i primi dieci giorni di malattia e nella
misura della metà per i successivi giorni
previsto dall'art. 5, quattordicesimo comma,
del decreto legge n. 463/1983, convertito
nella legge 638/1983.
Questa ed altre massime ed enunciazioni
giurisprudenziali si possono ritrovare sul
sito di indire, alla sezione gestire la
scuola, quasi
un vademecum a disposizione dei dipendenti
che si assentano per malattia).
Secondo un'altra sentenza della Cassazione,
invece, l'assenza alla visita di controllo,
per non essere sanzionata dalla perdita del
trattamento economico di malattia, pub
essere giustificata, oltre che da cause di
forza maggiore, da tutte quelle situazioni
nelle quali il dipendente deve
indifferibilmente trovarsi altrove, quindi
anche durante le fasce orarie di
reperibilità, ancorché quelle situazioni non
siano del tutto insuperabili o non siano
tali da determinare la lesione di beni
primari (Corte di cassazione, sezione
lavoro, sentenza n. 5718/2010).
Ad esempio, quando il dipendente debba
assistere la propria madre, ricoverata in un
centro specialistico di riabilitazione e
priva di altro sostegno morale e
psicologico. Oppure ancora, quando debba
necessariamente sottoporsi a visita presso
il proprio medico di fiducia, la visita non
si possa svolgere in ore diverse da quelle
di reperibilità e il dipendente fornisca
ampia prova.
Invece guai a farsi scoprire, durante una
malattia magari già accertata dal medico di
controllo, mentre si guida la propria moto
di grossa cilindrata e ci si reca in
spiaggia. Oltre ad essere indice di scarsa
attenzione del lavoratore alla propria
salute ed ai relativi doveri ...
(articolo ItaliaOggi
del 18.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Riforma
Brunetta. L'adeguamento. Automatismi dubbi
sulle fasce di merito.
La temuta data del 31.12.2010 per
l'adeguamento di regioni ed enti locali alla
riforma Brunetta è ormai acqua passata. Gli
operatori, ormai, sono già alle prese con la
gestione del personale nel nuovo anno,
programmazione delle assunzioni in pole
position. Eppure i dubbi sul DLgs 150/2009
non si sono ancora attenuati. Anzi.
Vi è innanzitutto la preoccupazione su cosa
possa succedere a quelle amministrazioni che
non hanno ancora adottato le modifiche al
regolamento sull'ordinamento degli uffici e
dei servizi e al sistema di valutazione.
Quello del 31.12.2010 non era certo un
termine perentorio. C'è ancora spazio di
azione, purché tutto avvenga in tempi
ristretti. È infatti fondamentale che
l'organizzazione e i dipendenti siano a
conoscenza delle modalità di svolgimento
della valutazione fin dai primi mesi
dell'anno per evitare di inficiare tutta la
procedura.
La questione più accesa è però
l'introduzione della premialità attraverso
le fasce di merito. Se l'ente non si adegua
con un proprio sistema, scatteranno le fasce
previste per le altre amministrazioni?
La lettura della riforma Brunetta non è così
agevole da questo punto di vista. L'articolo
31, comma 4, prevede infatti che sì,
scatteranno le regole delle amministrazioni
centrali, ma solo per il mancato adeguamento
alle norme relative al ciclo di gestione
della performance e all'adozione del nuovo
sistema di valutazione individuale.
Le fasce per gli enti locali sono però
disciplinate al comma 2. Quindi i casi sono
due: o l'obbligo di introdurre le fasce per
gli enti locali era immediato, oppure siamo
in presenza di una disposizione che, non
prevedendo un termine preciso di
adeguamento, né un automatismo in caso di
inerzia delle amministrazioni, non ha
scadenze particolari.
In questa seconda ipotesi si potrebbe
addirittura immaginare che le
amministrazioni possano aspettare la
prossima tornata contrattuale per capire se
il Ccnl interverrà sulla materia, restando
il dubbio se sia possibile ancora applicare
integralmente o parzialmente le disposizioni
dei contratti vigenti. Purtroppo per le
autonomie, però, l'articolo 31, comma 2, ha
indicato nelle «rispettive potestà
normative» la competenza ad adottare il
sistema delle fasce e quindi parrebbe logico
che l'azione regolamentare avvolga anche
tale situazione.
I vantaggi sono peraltro molto evidenti:
viene infatti data la possibilità di creare
anche più fasce di merito rispetto alle tre
indicate all'articolo 19, purché venga ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 17.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA:
Piano paesistico - Funzione
conservative - Scelte di tipo urbanistico -
Autonomia - Manufatti - Assenza di
verticalizzazioni e di volumetria -
Irrilevanza ai fini della tutela di zona.
Il piano paesistico, a differenza di uno
strumento urbanistico, non è volto al
dimensionamento dei nuovi interventi, quanto
alla valutazione ex ante della loro
tipologia ed incidenza qualitativa.
Il piano paesistico territoriale del resto
-avendo una funzione conservativa degli
ambiti reputati meritevoli di tutela- non
può essere subordinato a scelte di tipo
urbanistico, per loro natura orientate allo
sviluppo edilizio e infrastrutturale (Cons.
Stato, II, 04.02.1998, n. 3018/1997).
Ne consegue che la disciplina di tutela
della zona prescinde dall’assenza di
verticalizzazioni e dall’inidoneità di un
manufatto (nella specie: piscina) ad
introdurre una nuova volumetria (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 19.01.2011 n. 371 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di manufatti con
scavo nel sottosuolo - Nuovo assetto dei
luoghi.
La realizzazione di manufatti con scavo nel
sottosuolo -indipendentemente dal conteggio
del volume agli effetti degli indici di
edificabilità secondo la disciplina
riconducibile al singolo strumento
urbanistico- dà luogo ad un nuovo e diverso
assetto dei luoghi e determina
l’asservimento a diversi utilizzi, resi
possibili dalla nuova costruzione (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 19.01.2011 n. 371 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Piano regolatore - Natura - Atto
complesso - Regione - Introduzione di
modifiche d’ufficio - Limiti.
Il Piano Regolatore si atteggia ad atto
complesso con imputazione congiunta del
Comune e della Regione, ben potendo
quest’ultima introdurre, in sede di
approvazione dello strumento urbanistico,
modifiche di ufficio (cfr. Cons. Stato Sez.
IV 19/01/2000 n. 245), sempreché queste non
vadano ad impingere nel merito delle scelte
urbanistiche spettanti all’ente locale.
Strumento urbanistico
generale - Formazione e approvazione -
Discrezionalità amministrativa.
Le scelte effettuate dalla P.A. in sede di
formazione ed approvazione dello strumento
urbanistico generale sono accompagnate da
un’amplissima valutazione discrezionale che,
nel merito, appaiono insindacabili e sono,
per ciò stesso, attaccabili solo per errori
di fatto, ovvero per abnormità e
irrazionalità delle stesse (cfr questa
Sezione 06/02/2002 n. 664; idem, di recente,
27/07/2010 n. 4920).
In ragione di tale discrezionalità
l’Amministrazione non è tenuta a fornire
apposita motivazione in ordine alle scelte
operate nella predetta sede di
pianificazione del territorio comunale, se
non richiamando le ragioni di carattere
generale che giustificano l’impostazione del
piano (in tal senso, sempre questa Sezione
10/08/2004 n. 4550).
Strumento urbanistico
generale - Classificazione di un’area ad uso
agricolo - Sottrazione di parte del
territorio a nuove edificazioni.
La classificazione di un’area ad uso
agricolo non deve rispondere necessariamente
all’esigenza di promuovere l’insediamento di
specifiche attività agricole, una siffatta
destinazione potendo trovare la sua ragion
d’essere nella discrezionale volontà
dell’amministrazione locale di sottrarre
parte del territorio comunale a nuove
edificazioni (cfr. Sez. IV n.2166/2010).
Così, la destinazione di piano regolatore a
verde agricolo di un’area ben può essere
funzionale all’esigenza di conservazione dei
valori naturalistici e di contenimento del
fenomeno di espansione edilizia, di per sé
idoneo, quest’ultimo, a compromettere i
valori paesaggistici della zona (in tal
senso, Sez. IV n. 25/05/1998 n. 869; idem n.
4920/2010 già citata).
Di qui il carattere non nemmeno abnorme né
irrazionale della scelta di classificare
l’area dell’appellante come agricola boscata,
in linea con gli obiettivi
dell’amministrazione di assicurare
all’ambiente naturale dei luoghi in
questione, quale bene pubblico di rango
costituzionale (cfr. Cass Sez. III
10/10/2008 n.25010) una più adeguata tutela;
e ciò a maggior ragione allorché i luoghi
siano già contrassegnati da fenomeni di
significativa urbanizzazione (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 18.01.2011 n. 352 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La natura della convenzione di
lottizzazione di accordo sostitutivo del
provvedimento autorizza l'amministrazione,
nell'esercizio della facoltà accordatale dal
comma 4 dell'art. 11 L. 07.08.1990, n. 241,
a sciogliersi dall'accordo per sopravvenuti
motivi di pubblico interesse ed a regolare
unilateralmente ed autoritativamente i
rapporti e le attività oggetto della
convenzione.
Riconoscendo pertanto tale ius variandi di
fronte a sopravvenute esigenze pubbliche, a
fortiori non può precludersi
all’Amministrazione la facoltà di modificare
la convenzione di fronte ad una errata
applicazione della normativa vigente (si è
pertanto ritenuto che la necessità di
applicare la disciplina vigente, essendosi
l’Amministrazione avveduta dell’errore nel
mero calcolo delle aree destinate a
parcheggio, abbia reso legittimo il
provvedimento con cui unilateralmente sia
stata modificata la convenzione, applicando
correttamente la disciplina in materia).
Come noto la natura degli impegni assunti
dai privati in una convenzione di
lottizzazione deve essere ricostruita in
termini di accordo sostitutivo del
provvedimento di cui all'art. 11 L.
07.08.1990 n. 241.
Come già osservato da questo Tribunale (sez.
I, sentenza n. 1253/2009),
sull’inquadramento generale e natura
giuridica da riconoscere agli accordi, si
confrontano due tesi opposte: “quella
privatistica che riconosce loro natura di
contratti; e quella pubblicistica, che ne
sottolinea invece l'afferenza al potere
autoritativo e la funzione integrativa o
sostitutiva rispetto al provvedimento
amministrativo (in questo senso è sembrata
orientarsi anche la Corte Cost., nella nota
sent. 204/2004). Peraltro, in ogni caso, è
stato osservato, sussistono comunque limiti
insuperabili dagli accordi: “nella
prospettiva pubblicistica, infatti, se è
vero che l'oggetto dell'accordo è dato
essenzialmente dalle modalità di esercizio
del potere; si comprende come ciò
presupponga pur sempre che il soggetto
pubblico sia titolare di tale potere,
dovendosi altrimenti affermare la radicale
nullità dell'atto, per difetto assoluto di
attribuzione (ovvero carenza di potere in
astratto), a norma dell'art. 21-septies l.
241/1990”.
“Ma anche nella prospettiva privatistica,
che considera l'accordo alla stregua di un
contratto” –ha osservato Tar Milano, "permane
comunque in capo all'amministrazione
pubblica il vincolo al perseguimento
dell'interesse pubblico attribuito (dalla
norma di azione) alla sua cura”,
sottolineando che “l'utilizzo degli
strumenti di diritto privato, quale
espressione della capacità generale
dell'ente pubblico, debba tuttavia essere
giustificato in ragione della loro attinenza
alle finalità curate dall'ente; e come il
principio della capacità generale delle
pubbliche amministrazioni (ex art. 11 c.c.)
debba coordinarsi con il necessario rispetto
del principio di legalità cui, secondo
un'autorevole e persuasiva dottrina, è
soggetta anche l'attività di diritto privato
della p.a. e che si traduce in un "vincolo
di scopo" interno all'atto negoziale”.
Pertanto la natura della convenzione di
lottizzazione di accordo sostitutivo del
provvedimento autorizza l'amministrazione,
nell'esercizio della facoltà accordatale
dall'art. 11, comma 4, l. 07.08.1990 n. 241,
a sciogliersi dall'accordo per sopravvenuti
motivi di pubblico interesse ed a regolare
unilateralmente ed autoritativamente i
rapporti e le attività oggetto della
convenzione (TAR Lombardia Milano, sez. II,
29.11.2007, n. 6519).
Riconoscendo pertanto tale ius variandi
di fronte a sopravvenute esigenze pubbliche,
a fortiori non può precludersi
all’Amministrazione la facoltà di modificare
la convenzione di fronte ad una errata
applicazione della normativa vigente. La
necessità quindi di applicare la disciplina
vigente, essendosi l’Amministrazione
avveduta dell’errore nel mero calcolo delle
aree destinate a parcheggio, rende legittimo
il provvedimento con cui unilateralmente
viene modificata la convenzione, applicando
correttamente la disciplina in materia (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.01.2011 n. 104 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità della clausola
di un bando di gara per l'affidamento del
servizio di distribuzione del gas che
attribuisce un valore preponderante
all'elemento economico.
E' da ritenere legittima, anche sotto il
profilo della ragionevolezza, la clausola di
un bando di gara che assegna un valore
preponderante, ai fini della selezione
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
all'elemento economico, in quanto dal
dettato normativo di cui all'art. 14, c. 6,
del d.lgs. n. 164/2000, si evince che il
legislatore non ha predeterminato il valore
ponderale da attribuire, rispettivamente,
all'elemento qualità ed all'elemento prezzo
delle offerte per l'affidamento del servizio
di distribuzione del gas naturale, lasciando
spazio alla discrezionalità della P.A., da
esplicare alla luce degli interessi da
perseguire e delle circostanze specifiche
della singola procedura in relazione alle
condizioni della rete.
D'altra parte, la scelta di attribuire il
peso di due terzi circa all'elemento
economico non appare irragionevole né
sproporzionata, in quanto, da un lato,
l'elemento qualitativo non viene
marginalizzato in modo da perdere ogni
rilievo al fine di influenzare la scelta
dell'aggiudicatario; d'altro canto, il
riconoscimento di un rilievo significativo
al dato economico è giustificato dalla
decisione della stazione appaltante di farsi
integralmente carico dell'onere di rimborso
spettante al gestore uscente, ai sensi
dell'art. 14, c. 8, del d.lgs. n. 164/2000,
esonerando così i partecipanti dall'obbligo
di sostenere il relativo costo (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 17.01.2011 n. 224 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Offerta economicamente più
vantaggiosa - Elementi di valutazione -
Punteggio numerico - Sufficienza -
Presupposti.
Il solo punteggio numerico assegnato agli
elementi di valutazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa può essere
ritenuto idoneo a configurare motivazione
sufficiente quando i prefissati criteri di
valutazione, prevedenti un minimo ed un
massimo, siano estremamente dettagliati; in
questo caso, infatti, sussiste comunque la
possibilità di ripercorrere il percorso
valutativo, quindi di controllare la
logicità e la congruità del giudizio tecnico
(cfr., tra le più recenti, Cons. St., Sez.
V, 16.06.2010 n. 3806 e 11.05.2007 n. 2355,
nonché 09.04.2010 n. 1999, richiamata
dall’appellante) (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 17.01.2011 n. 222 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Attestato di agibilità -
Esercizio dei poteri di repressione degli
abusi edilizi - Preclusione -
Inconfigurabilità.
Il procedimento volto ad attestare
l’agibilità di un immobile non interferisce,
difatti, con l’esercizio del potere di
repressione degli abusi edilizi; né il
rilascio del certificato di agibilità è
sintomo di contraddittorietà della sanzione
irrogata.
I due procedimenti hanno, invero, un
differente oggetto: se il secondo è volto a
sanzionare l’attività urbanistico-edilizia,
laddove non sia stata realizzata in
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi, il
primo è, invece, finalizzato, unicamente, ad
attestare la sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti
negli stessi installati (art. 24, d.P.R. n.
380/2001) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.01.2011 n. 94 - link
a www.ambientediritto.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI:
Immobili di interesse storico e
artistico - Interventi di edilizia civile -
Competenza dell’architetto - Art. 52 R.D. n.
2537/1925.
E’ tuttora vigente la limitazione posta
dall’art. 52 del regolamento approvato con
r.d. 2537/1925, che riserva alla professione
di architetto «le opere di edilizia
civile che presentano rilevante carattere
artistico, e il restauro e il ripristino
degli edifici contemplati dalla l. 364/1909»,
poi legge n. 1089/1939.
Alla stregua della anzidetta disposizione,
non la totalità degli interventi concernenti
gli immobili di interesse storico e
artistico deve essere affidata alla
specifica professionalità dell’architetto,
ma solo «le parti di intervento di
edilizia civile che riguardino scelte
culturali connesse alla maggiore
preparazione accademica conseguita dagli
architetti nell’ambito del restauro e
risanamento degli immobili di interesse
storico e artistico» (Consiglio Stato,
sez. VI, 11.09.2006, n. 5239; Consiglio
Stato, sez. IV, 16.05.2006, n. 2776, TAR
Sardegna Cagliari, sez. I, 24.10.2009, n.
1559).
Interventi su edifici
esistenti di interesse storico-artistico -
Interesse pubblico alla tutela dei beni
artistici - Progetti di restauro e
ripristino - Architetti.
Ogni intervento -seppure minimo- su edificio
esistente che presenti dei particolari
aspetti architettonici, e che necessiti di
particolari conoscenze tecniche idonee a
preservare il complesso di dette
caratteristiche architettoniche, è di
competenza esclusiva dell'architetto, e ciò
non solo in ipotesi di beni sottoposti a
vincolo, ma anche di quelli che, seppure non
oggetto di uno specifico provvedimento,
presentino un interesse storico-artistico
(TAR Veneto Venezia, sez. I, 28.06.1999, n.
1098).
Difatti gli architetti, in ragione dello
specifico corso di laurea che sono tenuti a
percorrere e della conseguente
professionalità (e sensibilità) artistica ed
estetica che acquistano, devono ritenersi
più idonei (rispetto agli ingegneri) a
tutelare l'interesse pubblico connesso alla
tutela dei beni artistici e storici e,
quindi, a redigere i progetti di restauro e
ripristino degli edifici che si
caratterizzano per la loro valenza culturale
(TAR Veneto Venezia, sez. II, 28.01.2005, n.
381).
Riserva di competenza
degli architetti ex art. 52 R.D. n.
2537/1925 -Attività di restauro e ripristino
- Terminologia atecnica - Corrispondenza con
le definizioni di cui all’art. 3 del D.P.R.
n. 380/2001 - Esclusione.
La riserva di competenza ex art. 52 R.D. n.
2537/1925, non può essere negata solo per il
fatto che i lavori da appaltare consistano
in un mero intervento di recupero e
manutenzione straordinaria, e non di
restauro in senso stretto, non essendovi
ragioni per escludere tali tipologie di
intervento da quelle riservate alla
competenza degli architetti, tenuto anche
conto che la norma in questione contempla in
maniera generica le attività di restauro e
ripristino.
La terminologia utilizzata dal legislatore
del 1925 deve quindi essere considerata in
senso atecnico, e non può essere riferita
alle specifiche categorie di interventi sul
patrimonio edilizio esistente poi codificate
dall'art. 31 della legge 05.08.1978, n. 457
e oggi recepite nell'art. 3 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380.
L'espressione "restauro e ripristino"
va quindi intesa in senso omnicomprensivo,
come relativa a qualsiasi attività di
recupero di una struttura edilizia che
presenti peculiari caratteri
storico-artistici (TAR Sardegna Cagliari,
sez. I, 24.10.2009, n. 1559) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 17.01.2011 n. 87 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Costituisce erronea applicazione
dell'articolo 83 del D.Lgs. n. 163 del 2006,
ed è pertanto illegittima, la riscontrata
commistione realizzata dalla lex specialis
tra requisiti soggettivi di partecipazione
alla gara ed elementi oggettivi di
valutazione dell'offerta.
Una tale circostanza, in particolare, trova
verificazione qualora elementi di
valutazione specificati nel disciplinare
concernono caratteristiche organizzative e
soggettive della concorrente, afferenti alla
maturata esperienza pregressa ed al suo
livello di capacità tecnica e
specializzazione professionale, e dunque ad
aspetti che, in quanto tali, possono
legittimamente rilevare solo in sede di
qualificazione alla gara, quali criteri di
ammissione alla stessa, e non già in sede di
valutazione dell'offerta.
-
Ritenuta, nel
merito, la fondatezza della censura intesa a
lamentare l’illegittima commistione,
realizzata dall’impugnata lex specialis,
tra i requisiti soggettivi di ammissione ed
i criteri oggettivi di valutazione delle
offerte, relativamente alla previsione delle
“norme di partecipazione” secondo cui “il
progetto sarà valutato dalla Commissione
Giudicatrice sulla base dei seguenti
elementi: (…) 4. certificazione di qualità:
Max 3 punti (1 punto per ogni
certificazione)”;
Evidenziato infatti che “la
certificazione di qualità è preordinata ad
assicurare, in funzione della garanzia
qualitativa di un determinato livello di
esecuzione dell’intero rapporto
contrattuale, l’idoneità dell’impresa ad
effettuare la prestazione secondo il livello
medesimo, accertata da un organismo esterno
qualificato (organismo di certificazione) e
secondo parametri rigorosi definiti a
livello europeo, mediante attestazione che
il prodotto, processo produttivo o servizio,
risulta conforme ai requisiti fissati da
norme tecniche, garantendone la validità nel
tempo attraverso adeguata attività di
sorveglianza” (cfr. Consiglio di Stato,
Sez. IV, 14.10.2005, n. 5800);
- Rilevato quindi che la certificazione di
qualità attiene all’accertamento
dell’idoneità tecnico-organizzativa di
un’impresa, misurata secondo standards
qualitativi di carattere oggettivo, e non
alla rispondenza dell’offerta, nei suoi
contenuti tecnici, alle esigenze perseguite
dalla stazione appaltante mediante
l’indizione della gara;
- Evidenziato quindi che l’illustrato
contenuto della lex specialis,
realizzando “la commistione fra requisiti
soggettivi di partecipazione ed elementi
oggettivi di valutazione dell’offerta che si
verifica quando elementi di valutazione
specificati nel disciplinare riguardano
caratteristiche organizzative e soggettive
della concorrente, che afferiscono
all’esperienza pregressa maturata dalla
concorrente ed al suo livello dì capacità
tecnica e specializzazione professionale,
ovvero ad aspetti che, in quanto tali,
possono legittimamente rilevare solo in sede
di qualificazione alla gara, e quindi solo
quali criteri di ammissione alla stessa e
non di valutazione dell'offerta, costituisce
erronea applicazione dell’articolo 83 del
d.lgs. 163 del 2006” (cfr. TAR Sardegna,
Sez. I, 14.07.2010, n. 1887);
- Ritenuto che la contestata previsione
della lex specialis, sebbene
correlata all’attribuzione di un punteggio
non particolarmente rilevante nella
complessiva articolazione dei criteri di
valutazione dell’offerta tecnica (3 punti su
complessivi 50), sia nondimeno suscettibile
di condizionare ex ante le modalità di
formulazione dell’offerta da parte delle
imprese concorrenti, rivelando in tal modo
diretta e concreta attitudine lesiva, tale
da legittimare l’impugnazione immediata
della disciplina di gara;
- Ritenuta, peraltro, la fondatezza del
ricorso anche nella parte in cui viene
dedotta l’illegittimità della clausola in
virtù della quale, ai fini della valutazione
dell’offerta tecnica, viene prevista
l’attribuzione di un punteggio variabile in
relazione al “numero di automezzi di
proprietà o in leasing che verranno
utilizzati a supporto del personale che sarà
in servizio”, ed in particolare di 5
punti in relazione ad una previsione di
utilizzo di 5 fino a 10 automezzi, di 10
punti in relazione ad una previsione di
utilizzo di 10 fino a 20 automezzi, di 15
punti in relazione ad una previsione di
utilizzo di 20 fino a 30 automezzi, e di un
massimo di 20 punti in corrispondenza di una
previsione di utilizzo di 30 o più
automezzi;
- Evidenziato invero che l’articolazione del
punteggio in relazione al suddetto parametro
risulta affetta dai lamentati vizi di
illogicità e non proporzionalità, ove si
consideri che l’allegato B del bando
prevede, ai fini dell’espletamento del
servizio di vigilanza, l’impiego contestuale
di non più di circa 11 operatori
complessivi;
- Ritenuto che, anche rispetto alla suddetta
previsione ed a fortiori, sussiste la
facoltà di impugnazione immediata della
lex specialis, incidendo essa sulle
modalità di formulazione dell’offerta da
parte delle imprese concorrenti, le quali
sarebbero costrette, al fine di aumentare le
loro chances di aggiudicazione
dell’appalto, a mettere a disposizione della
stazione appaltante, ai fini dello
svolgimento del servizio de quo, un
numero sproporzionato di automezzi,
sottraendoli alla restante gestione
aziendale o comunque garantendosene
-mediante acquisto o in altro modo- la
disponibilità;
- Ritenuta l’irrilevanza, da quest’ultimo
punto di vista, della circostanza relativa
alla presentazione dell’offerta da parte
dell’impresa ricorrente (cfr. nota prot. n.
3355 del 29.4.2009, allegata alla produzione
difensiva dell’amministrazione intimata del
06.05.2009), non potendo escludersi che
l’offerta suddetta sia stata formulata sul
presupposto della illegittimità (e, quindi,
senza tenerne conto) delle menzionate
previsioni della lex specialis, e
comunque essendo innegabile l’interesse
della ditta suindicata, sulla scorta delle
considerazioni precedentemente svolte in
ordine alla lesività immediata delle
prescrizioni impugnate, a partecipare alla
gara dopo che queste ultime siano state
espunte dalla relativa disciplina
regolatrice;
- Ritenuto, invece, che la domanda di
annullamento non possa essere accolta
relativamente alla previsione di
attribuzione di 5 punti in relazione al
possesso dei certificati inerenti il
servizio di vigilanza rilasciati al
personale che le imprese concorrenti
intendono utilizzare per l’espletamento del
servizio, atteso che essa, concernendo i
requisiti professionali posseduti dai
soggetti che erogheranno concretamente il
servizio di vigilanza, afferisce
direttamente alle modalità qualitative di
svolgimento della prestazione (e non alla
complessiva idoneità tecnico-organizzativa
del concorrente);
- Ritenuta la sussistenza, in capo alla
stazione appaltante ed in conseguenza della
presente sentenza, dell’onere di indire un
nuovo procedimento di gara, ponendo a
fondamento dello stesso una lex specialis
emendata dai vizi riscontrati ...
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 17.01.2011 n.
49 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
da una gara di un concorrente per aver
presentato la documentazione relativa al
possesso dei requisiti di qualificazione
redatta in lingua straniera non accompagnata
da una traduzione giurata.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che abbia presentato la documentazione
relativa al possesso dei requisiti di
qualificazione redatta in lingua straniera,
omettendo, tuttavia, di allegarvi una
traduzione giurata in lingua italiana, in
quanto secondo consolidata giurisprudenza,
al fine di assicurare la certezza delle
situazioni giuridiche acclarate nelle
certificazioni concernenti i requisiti
richiesti dal bando di gara, qualora il loro
originale sia stato formato in lingua
straniera, è necessario che le predette
certificazioni siano accompagnate dalla
traduzione in lingua italiana giurata.
Per pacifica giurisprudenza, la
presentazione di atti non accompagnati dalla
traduzione ufficiale equivale alla non
produzione degli stessi, in quanto ciò
impedisce alla stazione appaltante di avere
immediata, diretta e certa contezza delle
referenze relative alla capacità
tecnico-economica dei concorrenti.
D'altro canto, anche se la commissione
avesse avuto padronanza della lingua
straniera, soltanto la traduzione giurata
avrebbe potuto fornire garanzia ufficiale di
corrispondenza tra la documentazione
prodotta in lingua originale ed il suo
significato, e ciò, peraltro, conformemente
all'orientamento della Corte costituzionale,
secondo cui la lingua italiana è la lingua
ufficiale dello Stato, da usare
obbligatoriamente, salve le espresse deroghe
disposte a tutela di gruppi linguistici
minoritari, nell'ambito delle funzioni
esercitate dai pubblici uffici.
Inoltre, grava sull'impresa partecipante
l'onere di porre la stazione appaltante
nella migliore condizione per poter
prontamente verificare il contenuto dei
documenti prodotti (TAR Lazio-Roma, Sez.
III-ter,
sentenza 14.01.2011 n. 325 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Richiesta di sanatoria edilizia -
Titolo legittimante.
Titolo legittimante alla richiesta della
sanatoria edilizia non è solo la proprietà
degli immobili oggetto dei lavori:
potenziale responsabile dell’abuso può
essere non solo il proprietario o altro
soggetto che vanti, sull’area, un diritto
reale o obbligatorio, ma anche, ad esempio,
il titolare o altro responsabile
dell’impresa realizzatrice dei lavori, come
altri soggetti che, in relazione al loro
rapporto privilegiato con il bene, abbiano
avuto la possibilità di realizzare l’abuso,
così assumendosene la responsabilità (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 14.01.2011 n. 196 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Istanza di sanatoria - Indicazione degli
adattamenti idonei a rendere l’opera
compatibile con l’ambiente - Necessità -
Esclusione - Diversa ipotesi della
preventiva richiesta di autorizzazione.
L’organo preposto alla tutela del vincolo
paesaggistico non è tenuto, in sede di esame
di istanze di sanatoria, a fornire
indicazioni circa gli adattamenti
eventualmente idonei a rendere l’opera
compatibile con l’ambiente, essendo la
possibilità di indicare prescrizioni o
accorgimenti prevista dalla normativa solo
per la diversa ipotesi di preventiva
richiesta di autorizzazione paesaggistica,
allorché oggetto della valutazione è un
progetto; in sede di sanatoria si tratta,
invece, di opere già realizzate
abusivamente, che vanno valutate per come si
presentano; restano, d’altra parte,
irrilevanti, atteso il carattere permanente
dell’abuso, il decorso del tempo e
l’eventuale inerzia dell’Amministrazione nel
sanzionarlo (cfr., TAR Toscana, III,
04.03.2010 n. 625 e n. 626) (TAR Toscana,
Sez. III,
sentenza 14.01.2011 n. 75 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi di restauro e
risanamento conservativo - Nozione -
Fattispecie.
Sono qualificabili interventi di restauro e
risanamento conservativo gli interventi
sistematici che, pur con rinnovo di elementi
costitutivi dell'edificio preesistente, ne
conservano tipologia, forma e struttura; per
contro, rientrano nella nozione di
ristrutturazione edilizia le opere rivolte a
creare un organismo in tutto o in parte
diverso da quello oggetto di intervento
(Cons. Stato, IV, 2981/2008).
Non può pertanto integrare la tipologia del
restauro conservativo un intervento edilizio
che si sia sviluppato attraverso la cospicua
(o maggioritaria) realizzazione di elementi
strutturali del tutto nuovi, che si
affiancano a pochi relitti murari
preesistenti e costituiscono larga
percentuale della complessiva superficie
muraria, soprattutto allorquando siano
lasciati integri solo alcuni elementi
strutturali preesistenti allo scopo di
costituire un simbolico paravento della
nuova costruzione (TAR Sicilia-Catania, Sez.
II,
sentenza 14.01.2011 n. 57 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità
dell'aggiudicazione di un appalto del
servizio di gestione dell'asilo nido
comunale ad una società cooperativa sociale
consortile costituita da due gruppi di
cooperative.
E' legittimo il provvedimento di
aggiudicazione di un appalto del servizio di
gestione dell'asilo nido comunale, adottato
da una stazione appaltante nei confronti di
una società cooperativa consortile
costituita da due gruppi di cooperative in
quanto, nel caso di specie, trattasi di un
consorzio di cooperative c.d. di "secondo
grado", cui si applica l'art. 27 del
d.lgs. C.P.S. n. 1577/1947, in quanto tale
ammesso a partecipare alle gare di appalto
per l'affidamento di pubblici servizi, ai
sensi dell'art. 34, lett. b), del d.lgs. n.
163/2006.
Né a diversa conclusione può condurre la
presenza, tra i soggetti partecipanti al
consorzio, di una società per azioni,
giacché tale evenienza è espressamente
prevista dalla legge, che, all'art. 8 l. n.
381/1991, prevede che la base sociale dei
consorzi rientranti nel suo stesso ambito di
applicazione possa essere formata, ancorché
in misura inferiore al trenta per cento,
anche da soggetti diversi da cooperative
sociali.
Nel caso di specie, la partecipazione, con
un'incidenza minima sul capitale sociale, di
una società per azioni non può, quindi,
precludere la qualificabilità di detta
struttura consortile quale consorzio di
cooperative, come tale legittimato alla
partecipazione in proprio alle gare
pubbliche.
Peraltro, nella fattispecie in esame, è
incontestato che il possesso dei requisiti
generali in ordine alla regolarità della
gestione delle singole imprese sotto il
profilo dell'ordine pubblico e di idoneità
morale, siano stati dichiarati e verificati
non solo in capo al consorzio, ma anche alle
consorziate designate esecutrici del
servizio, così come ritenuto necessario
dalla giurisprudenza; mentre, in ordine ai
soli requisiti di idoneità tecnica e
finanziaria, gli stessi sono stati
correttamente ritenuti cumulabili in capo al
consorzio (TAR Lombardia-Brescia Sez. II,
sentenza 14.01.2011 n. 51 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIRITTO DELL’ENERGIA - BENI
CULTURALI E AMBIENTALI - Impianti alimentati
da fonti rinnovabili - Autorizzazioni unica
ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Valutazioni
di carattere paesaggistico - Espressione
nell’ambito della Conferenza di servizi -
Parere reso al di fuori della conferenza -
Illegittimità per incompetenza assoluta.
L’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 prevede che
la costruzione e l'esercizio degli impianti
di produzione elettrica alimentate da fonti
rinnovabili sono soggetti ad
un'autorizzazione unica rilasciata dalla
Regione, che è tenuta a convocare la
conferenza di servizi entro 30 giorni dal
ricevimento della domanda di autorizzazione
(TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 578 del
20.01.2010, n. 578).
L’autorizzazione unica sostituisce quindi
tutti i pareri e le autorizzazioni
altrimenti necessari, e in essa confluiscono
anche le valutazioni di carattere
paesaggistico, nonché quelle relative
all’esistenza di vincoli di carattere
storico-artistico, tramite il meccanismo
della Conferenza di servizi.
Pertanto, l'organo competente al rilascio
dell'autorizzazione unica compie la
valutazione comparativa di tutti gli
interessi coinvolti, tenendo conto delle
posizioni di dissenso espresse dai
partecipanti alla Conferenza di servizi
(cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22.02.2010, n.
1020), mentre le Amministrazioni interessate
dal progetto di realizzazione dell'opera,
ivi compresa quella deputata alla tutela del
paesaggio, sono tenute a partecipare alla
predetta conferenza ed ad esprimere in tale
sede i pareri di cui sono investiti per
legge.
Qualora, invece, il singolo parere sia reso
al di fuori della conferenza esso è
illegittimo per incompetenza assoluta alla
stregua di un atto adottato da un'autorità
amministrativa priva di potere in materia (C.G.A.R.S.,
ordinanza 14.10.2009 n. 1032; C.G.A.R.S.,
11.04.2008, n. 295; TAR Sicilia Palermo,
sez. I, 02.02.2010, n. 1297) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 14.01.2011 n. 35 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
disciplina dettata dalla l. 122/1989, in
quanto norma di favore, è letteralmente
chiara ed univoca e, proprio perché
introduce norma eccezionale derogatoria
rispetto all’ordinaria disciplina delle
distanze, non ne è legittima alcuna
interpretazione estensiva.
Le autorimesse in deroga al P.R.G. devono
essere realizzate interamente nel sottosuolo
poiché complessivamente la più recente
giurisprudenza del Consiglio di Stato
evidenzia come la legge Tognoli, se pure è
volta a favorire la realizzazione di
autorimesse, è contestualmente intesa a fare
salvo l’aspetto esteriore e visibile del
territorio, nel senso di consentire la
realizzazione di parcheggi nel sottosuolo o
al piano terreno di un fabbricato
preesistente, proprio perché, ubicate nei
modi previsti dalla legge, tali strutture
non comportano alterazioni visibili del
territorio; stesso argomento è ovviamente
valido per le autorimesse pertinenziali se
ed in quanto sotterranee che come tali non
alterano lo stato esterno dei luoghi.
In caso analogo si legge ad esempio in C.
Stato Sez. IV n. 2579/2009 (ove si affronta
la questione del computo delle altezze e
volumetrie dopo la “sistemazione” del
terreno consentito del P.R.G a partire dal
nuovo piano artificialmente venutosi a
creare): “Non è chi non veda l'erroneità
di una tale interpretazione, la quale fa
derivare la quota del piano di campagna
dalle scelte progettuali e non -come invece
logico e naturale- dallo stato di fatto del
terreno.
Una tale tesi tende a dare
un'interpretazione capziosa della nozione di
"opere di sistemazione" del terreno, che
sono non tutte quelle scelte dal
progettista, ma quegli interventi di minima
entità necessari a conformare il terreno
alla futura attività edilizia (dissodamento,
livellamento e interventi analoghi) ma non
certo ad alterarne la caratteristiche
naturali.
A seguire tale tesi si perverrebbe alla
conclusone assurda che lo stacco
dell'edificio dal terreno non sia ancorato a
dati certi ed obiettivi, ma a scelte
arbitrarie ed insindacabili del proprietario
dell'immobile.”
Prosegue il giudice d’appello: “In
conclusione, un innalzamento di quasi un
metro della quota naturale del terreno,
tanto più ove finalizzato a realizzare un
vano seminterrato, non può considerarsi
lavoro o opera di sistemazione, determinando
esso un'alterazione tanto significativa
dello stato dei luoghi da avere comportato
la creazione di un muro di sostegno del
terrapieno che è risultato dai lavori.”
Ancora sostiene parte controinteressata che
la disciplina dettata dalla l. 122/1989, in
quanto norma di favore, sarebbe sempre
suscettibile di interpretazione estensiva
sicché la costruzione di autorimesse nelle
aree pertinenziali sarebbe ammessa sia
qualora avvenga interamente nel “sottosuolo”
sia qualora avvenga in forma seminterrata.
Cita al proposito un risalente precedente
(C. Stato n. 1007/1995) sul punto isolato;
per altro, come evidenziato dalla
ricorrente, la suddetta pronuncia riteneva
la legittimità dell’autorimessa in
contestazione sulla scorta della specifica
disciplina urbanistica dettata dal P.R.G.
applicabile nel caso affrontato.
Già si è verificato che nel caso di specie
la previsione di piano regolatore che
legittima, in determinati casi e
presupposti, un innalzamento del piano di
campagna ai fini del computo anche di cosa è
definibile interrato o meno, non legittima
l’operazione compiuta da parte contro
interessata.
Resta, nella invocata pronuncia del 1995,
una affermazione di possibile
interpretazione estensiva del concetto di
costruzione interrata dettata dall’art. 9
della l. 122/1989 e ivi ritenuta riferibile
anche al “seminterrato”; l’assunto
pare isolato e non si ritiene condivisibile.
Il dettato normativo è letteralmente chiaro
ed univoco e, proprio perché introduce norma
eccezionale derogatoria rispetto
all’ordinaria disciplina delle distanze, non
ne è legittima alcuna interpretazione
estensiva.
Così chiariscono che le autorimesse in
questione devono essere realizzate
interamente nel sottosuolo C. Stato sez. IV
1070/2009 e C. Stato sez. V 1662/1994 poiché
complessivamente la più recente
giurisprudenza del Consiglio di Stato
evidenzia come la legge Tognoli, se pure è
volta a favorire la realizzazione di
autorimesse, è contestualmente intesa a fare
salvo l’aspetto esteriore e visibile del
territorio, nel senso di consentire la
realizzazione di parcheggi nel sottosuolo o
al piano terreno di un fabbricato
preesistente, proprio perché, ubicate nei
modi previsti dalla legge, tali strutture
non comportano alterazioni visibili del
territorio; stesso argomento è ovviamente
valido per le autorimesse pertinenziali se
ed in quanto sotterranee che come tali non
alterano lo stato esterno dei luoghi
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 14.01.2011 n. 31 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La sanatoria edilizia può ben
intervenire anche a seguito di conformità
“sopraggiunta” dell’intervento in un primo
tempo illegittimamente assentito.
Anche recentemente, è stato riaffermato
(cfr. Cons. Stato, VI, 07.05.2009, n. 2835)
che:
- la sanatoria edilizia può ben intervenire
anche a seguito di conformità “sopraggiunta”
dell’intervento in un primo tempo
illegittimamente assentito, divenuto cioè
permissibile al momento della proposizione
della nuova istanza dell’interessato, posto
che questa si profila come del tutto
autonoma rispetto all’originaria istanza che
aveva condotto al permesso annullato in sede
giurisdizionale, in quanto basata su nuovi
presupposti normativi in materia edilizia;
pare pertanto palesemente irragionevole
negare una sanatoria di interventi che
sarebbero legittimamente concedibili al
momento della nuova istanza, perdendo
oltretutto automaticamente efficacia, a
seguito della presentazione di questa, il
pregresso ordine di demolizione e
ripristino, secondo l’orientamento di questo
Consiglio in tema di rilevanza su tale
ordine dell’istanza di sanatoria (cfr. VI,
12.11.2008, n. 5646, ex multis);
- il principio normativo della “doppia
conformità”, infatti, è riferibile
all’ipotesi ragionevolmente avuta di mira
dal legislatore, desumibile cioè dal senso
obiettivo delle parole utilizzate
dall’articolo 13 della legge 47/1985, ovvero
dal vigente articolo 36 del d.P.R. 380/2001,
ipotesi che è quella di garantire il
richiedente dalla possibile variazione in
senso peggiorativo della disciplina
edilizia, a seguito di adozione di strumenti
che riducano o escludano, appunto, lo jus
aedificandi quale sussistente al momento
dell’istanza.
Quindi, la tipicità del provvedimento di
accertamento in sanatoria, quale espressione
di disposizione avente carattere di
specialità, va rigorosamente intesa come
riferimento al diritto vigente (cfr. V,
29.05.2006, n. 3267), e commisurata alla
finalità di favor obiettivamente tutelata
dalla previsione, in modo da risultare
conforme al principio di proporzionalità e
ragionevolezza nel contemperamento
dell’interesse pubblico e privato;
- la norma, infatti, non può ritenersi
diretta a disciplinare l’ipotesi inversa
dello jus superveniens edilizio
favorevole, rispetto al momento ultimativo
della proposizione dell’istanza.
In effetti, imporre per un unico intervento
costruttivo, comunque attualmente “conforme”,
una duplice attività edilizia, demolitoria e
poi identicamente riedificatoria, lede parte
sostanziale dello stesso interesse pubblico
tutelato, poiché per un solo intervento, che
sarebbe comunque legittimamente
realizzabile, si dovrebbe avere un doppio
carico di iniziative industriali-edilizie,
con la conseguenza, contrastante con il
principio di proporzionalità, di un
significativo aumento dell’impatto
territoriale ed ambientale, (altrimenti
considerato in termini più ridotti alla luce
della ratio della norma in tema di
accertamento di conformità);
- gli articolo 13 e 15 della legge 47/1985,
richiedenti per la sanatoria delle opere
realizzate senza concessione e delle
varianti non autorizzate, che l’opera sia
conforme tanto alla normativa urbanistica
vigente al momento della realizzazione
dell’opera, quanto a quella vigente al
momento della domanda di sanatoria, sono
disposizioni contro l’inerzia
dell’Amministrazione, e significano che, se
sussiste la doppia conformità, a colui che
ha richiesto la sanatoria non può essere
opposta una modificazione della normativa
urbanistica successiva alla presentazione
della domanda.
Tale regola non preclude il diritto ad
ottenere la concessione in sanatoria di
opere che, realizzate senza concessione o in
difformità dalla concessione, siano conformi
alla normativa urbanistica vigente al
momento in cui l’autorità comunale provvede
sulla domanda in sanatoria (cfr. V,
21.10.2003, n. 6498).
Questo Tribunale ha aderito al rammentato
indirizzo giurisprudenziale (sentt.
30.03.2000, n. 290; 08.07.2002, n. 505;
29.10.2004, n. 656; 08.09.2005, n. 431; da
ultimo, 20.05.2010, n. 329).
Il Collegio, pur consapevole della cautela
con la quale è necessario applicare il
principio in questione, non ritiene di
discostarsi in questa occasione
dall’orientamento ricordato (TAR Umbria,
sentenza 14.01.2011 n. 9 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Offerta economicamente più
vantaggiosa - Variazioni migliorative in
sede di offerta.
E’ insito nella scelta del criterio
selettivo dell'offerta economicamente più
vantaggiosa che, anche in presenza di un
progetto definitivo posto a base di gara,
sia consentito alle imprese proporre le
variazioni migliorative rese possibili dal
possesso di peculiari conoscenze
tecnologiche, purché non si alterino i
caratteri essenziali delle prestazioni
richieste dal bando, per non ledere la par
condicio (cfr. C.S., sezione IV, dec.
11.02.1999 n. 149).
In particolare (cfr. C.S., sezione V, dec.
19.02.2003 n. 923), si ammettono varianti
migliorative riguardanti le modalità
esecutive dell'opera o del servizio, purché
non si traducano in una diversa ideazione
dell'oggetto del contratto, che si ponga
come del tutto alternativo rispetto a quello
voluto dalla p.a.; risulta inoltre
essenziale che la proposta tecnica sia
migliorativa rispetto al progetto base, che
l'offerente dia contezza delle ragioni
giustificanti l'adattamento proposto e le
variazioni alle singole prescrizioni
progettuali, che si dia la prova che la
variante garantisca l'efficienza del
progetto e le esigenze della p.a. sottese
alla prescrizione variata.
Offerta economicamente
più vantaggiosa - Offerta tecnica -
Punteggio - Discrezionalità della
commissione - Art. 83 d.lgs. n. 163/2006.
In materia di specificazione dei criteri per
la valutazione delle offerte, secondo quello
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
l'art. 83, comma 4, d.lgs. n. 163/2006,
lascia ampia discrezionalità alla
commissione nella suddivisione del punteggio
da attribuire agli elementi costituenti
l'offerta tecnica, secondo i criteri
predefiniti nel bando di gara: tale
discrezionalità tecnico-amministrativa non
potrebbe essere oggetto di sindacato
giurisdizionale se non in presenza di
macroscopiche irrazionalità e/o
incongruenze, tali non essendo la parziale
riproduzione di alcuni dei punti messi in
evidenza dai criteri generali di valutazione
espressi dal bando, laddove la incongruità
invece sarebbe stata evidente se la
commissione, nell'elaborare i sottocriteri,
si fosse discostata completamente dal bando
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.01.2011 n. 171 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità delle
disposizioni di un bando di gara che
prevedano la possibilità, per la commissione
giudicatrice, di operare in composizione
ridotta, e non con il "plenum" dei suoi
componenti.
Sono legittime le disposizioni di un bando
di gara che prevedano la possibilità, in
capo ad una commissione giudicatrice, di
svolgere la propria attività non in qualità
di "collegio perfetto", in sede
plenaria, bensì in composizione ridotta.
Secondo consolidata giurisprudenza, la
caratteristica del c.d. "collegio
perfetto" riposa sulla circostanza che
esso debba operare con il plenum dei suoi
componenti, nelle fasi in cui l'organo è
chiamato a compiere valutazioni
tecnico-discrezionali, ovvero ad esercitare
prerogative decisorie, rispetto alle quali
si configura l'esigenza che tutti i suoi
componenti offrano il loro contributo ai
fini di una corretta formazione della
volontà collegiale.
Tuttavia, tale modalità operativa si
giustifica, in assenza di una norma che
espressamente disponga in tal senso, quando
i componenti designati non si distinguono in
base alla rispettiva formazione
professionale, ma si qualificano quali
esperti del settore o della materia cui fa
riferimento l'oggetto del procedimento
selettivo. Ossia, quando i singoli
componenti non rivestano la funzione di
rappresentanti di interessi esterni
all'amministrazione procedente.
Pertanto, non v'è quella eterogeneità di
provenienza, esperienza, possesso di titoli,
che avrebbe potuto giustificare
l'attribuzione in via ermeneutica della
qualifica di "collegio perfetto" alla
commissione, in quanto formato da soggetti
portatori di distinte e non sovrapponibili
esperienze, la cui necessaria contemporanea
compresenza garantisce lo svolgimento dei
lavori della commissione.
In carenza di tale elemento, la scelta di
prevedere la possibilità che la commissione
renda il proprio parere pur in assenza del
plenum dei propri componenti è da ritenersi
legittima e non distorsiva della par
condicio dei concorrenti (TAR Sardegna, Sez.
I,
sentenza 13.01.2011 n. 19 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Accesso - Atti assoggettati a registrazione
- Accesso da parte di soggetti diversi dai
contraenti - Autorizzazione del giudice
competente - Art. 18, c. 3, d.P.R. n.
131/1986.
L'art. 24 comma 5, della legge 07.08.1990 n.
241 fa salve le disposizioni vigenti che
limitano l'accesso alla documentazione
amministrativa, sicché deve ritenersi che la
richiesta di accesso a una denuncia di
successione, come agli altri atti
assoggettati a registrazione, da parte dei
soggetti diversi dalle parti contraenti, dai
loro aventi causa o da coloro nel cui
interesse la registrazione è stata eseguita,
sia disciplinata dall'art. 18, comma 3, del
d.P.R. 26.04.1986 n. 131 (t.u. dell'imposta
di registro) cui rinvia per i divieti l'art.
60 del d.lgs. 31.10.1990 n. 346 (t.u. delle
imposte di donazione e successione), per cui
il rilascio di copie di tali atti può
avvenire soltanto su autorizzazione del
giudice competente.
Conseguentemente, la domanda di accesso a
una denuncia di successione da parte di un
terzo deve essere preceduta da apposita
autorizzazione del g.o. competente e la
carenza di tale previa autorizzazione
comporta l'insussistenza dell'obbligo
dell'amministrazione finanziaria di
consentire l'accesso e di rilasciare copia
della denuncia richiesta (TAR Abruzzo
Pescara, 22.03.2002, n. 352) (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 13.01.2011 n. 7 - link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Bonifica - Artt.
242 e ss. d.lgs. n. 152/2006 - Obbligo di
bonifica - Proprietario dell’area inquinata
- Facoltà di eseguire gli interventi - Opere
realizzate dall’amministrazione competente -
Privilegio speciale immobiliare sul fondo.
La legge pone l’obbligo di bonifica in capo
al responsabile dell’inquinamento, che le
Autorità amministrative hanno l’onere di
ricercare ed individuare (v. gli artt. 242 e
244 del D.Lgs. n. 152/2006), mentre il
proprietario non responsabile
dell’inquinamento o altri soggetti
interessati hanno una mera “facoltà”
di effettuare interventi di bonifica (art.
245 D.Lgs. n. 152/2006); nel caso di mancata
individuazione del responsabile o di assenza
di interventi volontari, le opere di
bonifica saranno realizzate dalle
Amministrazioni competenti (art. 250 decreto
cit.), salvo, a fronte delle spese da esse
sostenute, l’esistenza di un privilegio
speciale immobiliare sul fondo, a tutela del
credito per la bonifica e la qualificazione
degli interventi relativi come onere reale
sul fondo stesso, onere destinato pertanto a
trasmettersi unitamente alla proprietà del
terreno (art. 253 decreto cit.).
INQUINAMENTO - Bonifica
- Diritto dell’amministrazione al recupero
degli oneri di bonifica - Azione di
ingiustificato arricchimento.
Il diritto dell’amministrazione al recupero
degli oneri della bonifica va ricondotto
nell’alveo delle azioni di ingiustificato
arricchimento, rispetto alle quali la azione
in parola si differenzia essenzialmente per
l’esistenza di particolari forme di garanzia
(onere reale e privilegio speciale
immobiliare) che assicurano il recupero dei
costi di intervento.
INQUINAMENTO - Bonifica
- Responsabilità per danni all’ambiente -
Natura - Responsabilità aquiliana ex art.
2043 c.c.. - Art. 311, c. 2 d.lgs. n.
152/2006.
Dal D.Lgs. n. 152/2006 ( art. 311, comma 2)
si evince che la responsabilità per i danni
all’ambiente rientra nel paradigma della “tradizionale”
responsabilità extracontrattuale soggettiva
(c.d. “responsabilità aquiliana" ex
art. 2043 c.c.), con esclusione di una
qualsivoglia forma di responsabilità
oggettiva.
INQUINAMENTO -
Provvedimento impositivo della bonifica -
Notifica al proprietario dell’area inquinata
- finalità.
Il provvedimento impositivo della messa in
sicurezza e bonifica va notificato al
proprietario al fine di renderlo edotto
dell’onere reale gravante sul fondo (che
egli ha facoltà di assolvere per liberare
l’area dal relativo vincolo), ma non può
imporre misure di bonifica senza un adeguato
accertamento della responsabilità, o
corresponsabilità, del proprietario (e,
anche a maggior ragione, del mero
utilizzatore di cui non viene dimostrata e
nemmeno minimamente postulata la
responsabilità) per l’inquinamento del sito
(TAR Friuli Venzia Giulia, Sez. I,
sentenza 13.01.2011 n. 6 - link a
www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
VAS - Autorità competente -
Amministrazione diversa o separata
dall’autorità procedente - Necessità -
Esclusione - Art. 5 d.lgs. n. 152/2006 -
Modifiche ex d.lgs. n. 128/2010 -
Distinzione tra parere motivato a
conclusione della fase di VAS e
provvedimento di VIA.
L’autorità competente alla V.A.S. non deve
essere necessariamente individuata in una
pubblica amministrazione diversa da quella
avente qualità di “autorità procedente”;
se dalle definizioni di cui all’art. 5 del
d.lgs. n. 152/2006 risulta infatti chiaro
che entrambe le autorità de quibus
sono sempre “amministrazioni”
pubbliche, in nessuna definizione del Testo
Unico ambientale si trova affermato in
maniera esplicita che debba necessariamente
trattarsi di amministrazioni diverse o
separate (e che, pertanto, sia precluso
individuare l’autorità competente in diverso
organo o articolazione della stessa
amministrazione procedente).
Tale conclusione appare confortata dalle
modifiche apportate al d.lgs. nr. 152 del
2006 dal recentissimo decreto legislativo
29.06.2010, nr. 128, laddove già a livello
definitorio si distingue tra il “parere
motivato” che conclude la fase di V.A.S.
(art. 5, comma 1, lettera m-ter) e il “provvedimento”
di V.I.A. (art. 5, comma 1, lettera p): a
conferma che solo nel secondo caso, e non
nel primo, si è in presenza di una sequenza
procedimentale logicamente e ontologicamente
autonoma.
VAS - Art. 11 d.lgs. n.
152/2006 - VAS - Natura - Passaggio
endoprocedimentale della procedura di
pianificazione.
L’art. 11, d.lgs. nr. 152 del 2006
costruisce la V.A.S. non già come un
procedimento o subprocedimento autonomo
rispetto alla procedura di pianificazione,
ma come un passaggio endoprocedimentale di
esso, concretantesi nell’espressione di un “parere”
che riflette la verifica di sostenibilità
ambientale della pianificazione medesima
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.01.2011 n. 133 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di comunicazione elettronica -
Parere dell’ARPA Art. 87 d.lgs. n. 259/2003
- Necessità al fine del perfezionamento del
titolo abilitativo - Esclusione.
L’art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003 postula che
il parere dell’A.R.P.A. sia richiesto
esclusivamente ai fini della concreta
attivazione dell’impianto di comunicazioni
elettroniche e non anche ai fini del
perfezionamento del titolo abilitativo,
perché non sussiste un onere per il
richiedente di allegare siffatto parere in
sede di presentazione dell’istanza di titolo
edilizio (della denuncia di inizio di
attività), né un obbligo di far pervenire il
parere medesimo all’ente procedente entro il
termine di novanta giorni di cui al comma 9
dell’art. 87, cit. (Cons. Stato, Sez. VI,
28.04.2010, n. 2436).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Autorizzazione ex art. 87
d.lgs. n. 259/2003 - Rapporto con le
disposizioni in materia urbanistico-edilizia.
L'autorizzazione (ovvero la formazione
tacita del titolo abilitativo) di cui
all'art. 87 del d.lgs. 01.08.2003, n.259
(Codice delle comunicazioni elettroniche),
non costituisce atto che presuppone o è
presupposto rispetto a quello richiesto dal
t.u. delle disposizioni in materia edilizia,
ma assorbe in sé e sintetizza anche la
valutazione urbanistico-edilizia che
presiede al titolo edilizio.
Infatti, laddove il nuovo procedimento fosse
destinato non a sostituire, ma ad abbinarsi
a quello edilizio ordinario, verrebbero di
fatto vanificati i principi ispiratori del
Codice delle comunicazioni elettroniche, in
particolare quelli della previsione di
procedure tempestive, non discriminatorie e
trasparenti per la concessione del diritto
di installazione e della riduzione dei
termini per la conclusione dei procedimenti,
nonché della regolazione uniforme dei
medesimi (in tal senso: Cons. Stato, VI,
19.10.2008, n. 5044).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Installazione di stazioni
radio base - Certificato di abitabilità -
Necessità - Esclusione.
La disciplina nazionale in tema di rilascio
dei titoli abilitativi per l’installazione
delle S.R.B. per telefonia mobile non
richiede il certificato di abitabilità.
Un’eventuale esigenza in tal senso
risulterebbe ultronea, trattandosi di
installazioni assimilate per legge ad opere
di urbanizzazione primaria ed in ordine alla
cui realizzabilità non sembra ostare la
carenza di un requisito (quello
dell’abitabilità) finalizzato a ben diversi
scopi (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 12.01.2011 n. 98 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
volta accertata la conformità
dell’intervento edilizio agli strumenti
urbanistici e ai regolamenti edilizi,
l’assumere a presupposto del diniego un
elemento estraneo a tale verifica, qual’è la
viabilità di accesso al lotto sul quale si
chiede di costruire, esula dai poteri
assegnati al Comune dalla legge in sede di
rilascio dl permesso di costruire.
In un caso che presenta evidenti analogie
rispetto a quello in esame, si è pronunciato
il Consiglio di Stato (cfr. C.d.S sez. 4^ n.
7263/2005) affermando che la concessione
edilizia si configura come un provvedimento
amministrativo di conformità del progetto
alla disciplina urbanistica ed edilizia
della zona, di natura assolutamente
vincolata e non discrezionale e escludendo
che il rilascio della concessione edilizia
possa essere denegato, in presenza di
intervento perfettamente conforme alle norme
urbanistiche edilizie, per il fatto, nella
specie assunto a motivo del diniego della
domanda, che i realizzandi parcheggi,
interessando un’area che i privati avevano
ceduto al Comune ai fini di standard,
creavano, di fatto, una servitù a carico di
un bene pubblico.
E ancora (cfr. parere C.d.S. sez. 2^ n. 2559
del 27.02. 2002 reso in sede di ricorso
straordinario al Capo dello Stato) “che
una volta accertata la conformità
dell’intervento agli strumenti urbanistici e
ai regolamenti edilizi, l’assumere a
presupposto del diniego un elemento estraneo
a tale verifica, qual’è la viabilità di
accesso al lotto sul quale si chiede di
costruire, esula dai poteri assegnati al
Comune dalla legge in sede di rilascio dl
permesso di costruire”.
Non appare invece conferente il richiamo
alla giurisprudenza invocata dalle parti
resistenti (TAR Puglia Bari 3^ sezione n.
2994/2004 e TAR Piemonte 1^ sez. 07.05.2003
n. 673) che assumono che il rilascio del
permesso di costruire deve ritenersi
subordinato all’accertata insussistenza di
posizioni soggettive di terzi suscettibili
di essere pregiudicate dalle opere
assentite, come comprova la clausola “salvi
i diritti dei terzi” che è ritualmente
apposta nei provvedimenti concessori.
Tale clausola, infatti, ritiene il Collegio,
indebolisce, anziché rafforzare, la tesi che
il permesso di costruire, come ogni altro
provvedimento suscettibile di incidere sulla
proprietà privata, in quanto rilasciato,
sempre e comunque espressamente, senza
pregiudizio di eventuali diritti di terzi
sui beni che ne sono oggetto, sia
condizionato dalla pax inter cives e
quindi da eventuali pretese avanzate da
soggetti estranei al rapporto amministrativo
(cfr. C.d.S sez. 4^ n. 3201/2006), quali, in
ipotesi i terzi che si oppongono al
riconoscimento della servitù coattiva di
accesso al fondo e solo ad esso
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 12.01.2011 n. 37 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fonti di energia rinnovabili -
Pubblico interesse e pubblica utilità - Art.
12, c. 1 d.lgs. n. 387/2003 - Protocollo di
Kyoto.
L'utilizzazione delle fonti di energia
rinnovabile è considerata di pubblico
interesse e di pubblica utilità, e le opere
relative sono dichiarate indifferibili ed
urgenti (art. 12, comma 1, del D.Lgs.
387/2003), anche in considerazione del fatto
che la riduzione delle emissioni di gas ad
effetto serra attraverso la ricerca, la
promozione, lo sviluppo e la maggior
utilizzazione di fonti energetiche
rinnovabili e di tecnologie avanzate e
compatibili con l'ambiente costituisce un
impegno internazionale assunto dall'Italia
con la sottoscrizione del cosiddetto
“Protocollo di Kyoto” dell'11.12.1997
(ratificato con legge n. 120 del 2002).
Realizzazione e gestione
di impianti eolici - Autorizzazione unica -
Comune - Interesse urbanistico ad una
corretta localizzazione - Conferenza di
servizi.
La realizzazione e gestione di impianti
eolici rientra tra le attività di impresa
liberalizzate, che, a scopo di
semplificazione burocratica ed in ossequio
ai principi comunitari, viene sottoposta,
previa conferenza di servizi, ad
un’autorizzazione unica, che costituisce
anche titolo per la costruzione
dell'impianto, e, quindi, è anche
sostitutiva del permesso di costruire,
poiché il Comune può far valere il proprio
interesse, ambientale ed urbanistico, ad una
corretta localizzazione urbanistica del
parco eolico e alla sua conformità edilizia,
nell'ambito della suddetta previa conferenza
di servizi (conf.: Cons. Stato, Sez. III
par. 14.10.2008 n. 2849).
Impianti eolici -
Autorizzazione - Mancata approvazione del
piano energetico comunale - Determinazione
negativa - Illegittimità - D. Lgs. n.
387/2003 - Termine di conclusione del
procedimento - 180 gg.
E’ illegittima la determinazione negativa
del Comune in ordine all’autorizzazione per
la realizzazione di un impianto eolico, sul
rilievo della mancata approvazione del piano
energetico comunale: detta determinazione
viene a tradursi, in sostanza, in una sorta
di “sospensione sine die” delle
richieste di autorizzazione in tale settore,
in contrasto con il principio fondamentale
del D.L.vo n. 383/2003, che esige la
conclusione del procedimento entro il
termine definito di 180 giorni, in coerenza
con le regole della semplificazione
amministrativa e della celerità, in modo
uniforme sull'intero territorio nazionale (conf.:
Corte Cost. sent. 09.11.2006 n. 364,
14.10.2005 n. 383 e n. 336 del 2005).
Produzione di energia
eolica - Interesse paesaggistico - Interesse
all’approvvigionamento energetico -
Principio di proporzionalità.
L'impatto territoriale degli impianti per la
produzione di energia eolica, sicuramente
rilevante e tale da giustificare l'esercizio
dei poteri urbanistici e paesaggistici, non
è tuttavia un elemento da considerare in via
esclusiva, dovendo l'attività in parola
tener conto altresì (e principalmente)
dell'interesse nazionale -costituzionalmente
rilevante- all'approvvigionamento
energetico, soprattutto se in forme non
inquinanti, il quale richiede la necessità,
in base al principio di proporzionalità,
della precisa indicazione delle ragioni
ostative al rilascio della autorizzazione
paesaggistica, al fine di eliminare
sproporzioni fra la tutela dei vincoli e la
finalità di pubblico interesse sotteso alla
produzione ed utilizzazione dell'energia
elettrica.
Regioni - Indicazione
dei luoghi ove non è possibile costruire
impianti di energia rinnovabile - Preventiva
approvazione delle linee guida nazionali.
L’indicazione, da parte delle Regioni, dei
luoghi ove non è possibile costruire gli
impianti di energia rinnovabile può avvenire
solo a seguito della approvazione delle
linee guida nazionali per il corretto
inserimento degli impianti eolici nel
paesaggio da parte della Conferenza
unificata ex art. 12, comma 10, del decreto
legislativo 29.12.2003, n. 387 (Corte Cost.:
sent. 26.03.2010 n. 119 e sent. 26.11.2010
n. 344.
Impianti di energia
rinnovabile - Artt. 12 d.lgs. n. 387/2003 e
14-quater L. n. 241/1990 - Amministrazione
dissenziente - Dissenso costruttivo -
Indicazione delle modifiche progettuali
necessarie ai fini dell’assenso.
Dal combinato disposto dell'art. 12, comma
4, del D.L.vo 387/2003 e dell'art.
14-quater, comma 1, della L. 241/1990,
deriva l'obbligo dell'Amministrazione
dissenziente (nel caso di specie il Comune
sul cui territorio deve sorgere l'impianto)
di esprimere la propria opposizione con un
atto "costruttivo" che oltre ad
essere congruamente motivato, deve anche
recare le specifiche indicazioni delle
modifiche progettuali necessarie ai fini
dell'assenso.
Comuni - Previsioni di
aree specificamente destinate ad impianti
eolici - Mancanza di specifico previsioni
conformative - Zone agricole -
Compatibilità.
Se è vero che i Comuni possono prevedere,
nell'esercizio della propria discrezionalità
in materia di governo del territorio, aree
specificamente destinate ad impianti eolici,
anche tenuto conto delle (diverse)
disposizioni vigenti in tema di sostegno nel
settore agricolo, di valorizzazione delle
tradizioni agroalimentari locali, di tutela
della biodiversità, di tutela del patrimonio
culturale e del paesaggio rurale, etc.,
occorre, però, ritenere che, in mancanza di
alcuna espressa previsione conformativa,
detti impianti possono essere localizzati,
senza distinzione (almeno, per quanto
riguarda la valutazione di compatibilità
urbanistica), in tutte le zone agricole (conf.:
TAR Umbria, 15.07.2007, n. 518) (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 12.01.2011 n. 32 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Piano di lottizzazione -
Approvazione - Stipula della convenzione -
Separatezza - Amministrazione - Mutamento
delle determinazioni pianificatorie
anteriormente alla stipula della convenzione
- Legittimità.
L'Amministrazione, dopo aver approvato un
piano di lottizzazione e prima della stipula
della relativa convenzione, possa rivedere
le proprie determinazioni pianificatorie
sulla medesima area (e quindi,
conseguentemente, decidere di non stipulare
più la convenzione di lottizzazione): ciò
discende, a tacer d'altro, dalla natura
meramente programmatoria del piano di
lottizzazione, che è, di per sé, inidoneo a
far sorgere in capo ai privati aspettative
giuridicamente qualificate in ordine al
regime urbanistico delle aree ricomprese
nello strumento attuativo, nonché dalla
separatezza tra la fase della approvazione
del piano e quella della stipula della
convenzione (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 12.01.2011 n. 31 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO –
Classificazione acustica – Sindacato
giurisdizionale – Limiti.
Il sindacato in sede giurisdizionale in
materia di classificazione acustica del
territorio incontra precisi limiti
nell'esigenza di non impingere nel merito
delle valutazioni discrezionali di spettanza
dell’ente locale: di conseguenza, il
sindacato suddetto è esercitabile in
presenza di illogicità, irrazionalità o
travisamenti che denuncino la sussistenza
del vizio di eccesso di potere (cfr. Cons.
St., IV, n. 9302/2009).
INQUINAMENTO ACUSTICO –
Classificazione acustica – Rapporto con la
pianificazione urbanistica.
La classificazione acustica del territorio
deve coordinarsi e non sovrapporsi
meccanicamente alla pianificazione
urbanistica. se da un lato, infatti, la
zonizzazione acustica si caratterizza per la
tendenziale omogeneità con la zonizzazione
degli strumenti urbanistici, la quale
costituisce l’imprescindibile punto di
partenza per la classificazione del
territorio, tuttavia deve considerarsi che
tale corrispondenza non è perfettamente
biunivoca e che anzi esiste un naturale
scollamento fra le due tipologie di
pianificazione, poiché lo strumento
urbanistico disciplina l'assetto del
territorio ai fini prettamente urbanistici
ed edilizi, individuando le zone omogenee
con criteri quantitativi, mentre la
classificazione acustica ha riguardo
all'effettiva fruibilità dei luoghi,
valendosi di indici qualitativi (cfr. Tar
Veneto n. 967/2009; Tar Liguria, Sez. I,
28.06.2005, n. 985).
INQUINAMENTO ACUSTICO –
Aree a destinazione industriale – Classi V e
VI – Attribuzione – Presenza di abitazioni –
Margini di apprezzamento discrezionale -
Allegato A) del DPCM 14/11/1997.
La normativa vigente e, in particolare,
l’allegato A) del DPCM 14.11.1997 e la
deliberazione della Giunta regionale veneta
n. 4313 del 21.09.1993, richiedono che alle
aree a destinazione industriale ricomprese
nelle zone territoriali omogenee di tipo D
siano attribuite le classi V o VI a seconda
che esse si riferiscono, rispettivamente, ad
aree prevalentemente industriali (con
scarsità di abitazioni) o esclusivamente
industriali (prive di insediamenti
abitativi, ad eccezione della casa dei
custodi o dei proprietari dell’attività
industriale), ed è pertanto la presenza o
meno di insediamenti abitativi diversi da
quelli del custode o del proprietario
nell’ambito dell’attività industriale
l’elemento da considerare quale criterio
discretivo tra le due classi.
E’ evidente, inoltre, che l’attribuzione in
concreto di una delle due classi in sede di
pianificazione dell’intero territorio
comunale è connotata da margini di
apprezzamento discrezionale che, seppure
ancorati all’accertamento di specifici
presupposti di fatto, devono ricondurre a
sintesi interessi tra loro confliggenti,
quali la tutela della salute e la
salvaguardia della libertà di iniziativa
economica (cfr. Tar Lombardia, Brescia,
02.04.2008, n. 348; Tar Piemonte, Sez. II,
19.02.2007, n. 714; Tar Veneto, Sez. III,
24.01.2007, n. 187 ; Tar Lombardia, Milano,
Sez. II, 07.04.2005, n. 751) (TAR Veneto,
Sez. III,
sentenza 12.01.2011 n. 24 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: Il
concorrente che abbia tempestivamente
richiesto il d.u.r.c. e si veda rilasciare
un documento incompleto per inerzia
dell’ente interpellato, non può subire
conseguenze pregiudizievoli a causa
dell’inefficienza del medesimo.
La società ricorrente aveva sostenuto in
primo grado che l’aggiudicazione del
servizio della manutenzione
dell’illuminazione pubblica in un Comune
campano in favore della società resistente
doveva ritenersi illegittima perché il DURC
prodotto dall’aggiudicataria non era idoneo
a comprovare la regolarità contributiva
della concorrente, essendo stato rilasciato
28 giorni dopo la richiesta e nonostante che
l’Ufficio INPS competente non si fosse
pronunciato per la parte di competenza.
Il TAR non ha condiviso la censura
osservando che la circostanza non poteva
produrre l’invalidità della procedura in
quanto l’Amministrazione avrebbe svolto
ulteriori controlli della regolarità
contributiva in sede di stipula del
contratto. Con il ricorso in commento la
società ricorrente in primo grado ripropone
la censura, rilevando che non è stato svolto
alcun accertamento circa la regolarità
contributiva della concorrente alla data di
scadenza del termine per la presentazione
delle domande di partecipazione, fissato nel
18.12.2009.
In particolare l’appellante deduce che il
d.u.r.c. presentato in sede di domanda non
conteneva un accertamento esplicito di
regolarità contributiva non essendosi
pronunziata la sede INPS di Nola; non si
era, inoltre, prodotto il silenzio assenso,
non essendo ancora trascorsi al momento del
rilascio (02.12.2009) trenta giorni dalla
data della domanda (04.11.2009); i d.u.r.c.
prodotti successivamente si riferivano,
infine, a periodi successivi alla data di
presentazione della domanda.
Questa censura, ad avviso dei giudici del
Consiglio di Stato, non può essere accolta.
Gli stessi, infatti, rilevano in primo luogo
che l’aggiudicataria ha presentato,
unitamente alla domanda di partecipazione,
un d.u.r.c. “in corso di validità”,
come prescritto dal punto 11 del
disciplinare, posto che il documento
prodotto è stato rilasciato il 02.12.2009 e,
avendo validità di un mese a norma dell’art.
7 del d.m. 24.10.2007, non era scaduto al 18
dello stesso mese.
Il d.u.r.c. presentato, tuttavia, si
presentava non regolare in quanto recava
l’attestazione della regolarità contributiva
INAIL ma non quella INPS, non essendosi
pronunciata la sede INPS competente.
Inoltre, per questa parte, secondo
l’assunto, non poteva ritenersi formato il
silenzio assenso perché il certificato è
stato rilasciato 28 giorni dopo la richiesta
(4 novembre) e non un mese, come richiesto
dall’art. 7 del medesimo d.m..
I giudici d’appello ritengono comunque che
queste circostanze non possano produrre
l’esclusione della società resistente dalla
gara. Va tenuto presente che a norma
dell’art. 8, comma 3, del d.m. 24.10.2007,
già citato, e secondo le precisazioni
contenute nella Circolare del Ministero del
lavoro e della previdenza sociale
30.01.2008: “3. Ai soli fini della
partecipazione a gare di appalto non osta al
rilascio del DURC uno scostamento non grave
tra le somme dovute e quelle versate, con
riferimento a ciascun Istituto previdenziale
ed a ciascuna Cassa edile. Non si considera
grave lo scostamento inferiore o pari al 5%
tra le somme dovute e quelle versate con
riferimento a ciascun periodo di paga o di
contribuzione o, comunque, uno scostamento
inferiore ad € 100,00, fermo restando
l'obbligo di versamento del predetto importo
entro i trenta giorni successivi al rilascio
del DURC.”.
La detta normativa regolamentare, che impone
di dichiarate la regolarità contributiva
anche in caso di violazioni non gravi dei
relativi obblighi, costituisce applicazione
di un principio sancito, a livello
legislativo, dall’art. 38, comma 1, lett.
i), del d.lgs n. 163 del 2006, a norma del
quale devono essere esclusi dalle gare i
soggetti: “che hanno commesso violazioni
gravi, definitivamente accertate, alle norme
in materia di contributi previdenziali e
assistenziali, secondo la legislazione
italiana o dello Stato in cui sono stabiliti”.
La giurisprudenza si attiene costantemente
dal suddetto dettato normativo, affermando:
“ In materia di esclusione dalla
partecipazione alle procedure di gara e
dalla stipula dei relativi contratti dei
soggetti che "hanno commesso violazioni
gravi, definitivamente accertate, alle norme
in materia di contributi previdenziali e
assistenziali, secondo la legislazione
italiana e dello Stato in cui sono stabiliti",
l'art. 38, comma 1, lett. i), del Codice dei
contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006)
deve essere interpretato nel senso che il
principio dell'autonomia del procedimento di
rilascio del DURC (documento unico
regolarità contributiva) impone che la
stazione appaltante debba basarsi sulle
certificazioni risultanti da quest'ultimo
documento, prendendole come un dato di fatto
inoppugnabile, e debba altresì valutare,
innanzi tutto, se sussistono procedimenti
diretti a contestare gli accertamenti degli
enti previdenziali riportati nel DURC, o
condoni, ed in secondo luogo se la
violazione riportata nel DURC, in relazione
all'appalto o fornitura in questione o alla
consistenza economica della ditta
concorrente o ad altre circostanze, risulti
o no "grave" (Consiglio Stato , sez.
IV, 15.09.2010 , n. 6907).
Il dato normativo e giurisprudenziale rende
evidente che neppure in presenza di una
accertata violazione degli obblighi
contributivi la stazione appaltante può
disporre automaticamente la esclusione dalla
gara, e ciò deve indurre, per il principio
di continenza, a trarre conclusioni dello
stesso segno in ipotesi, come quella in
esame, in cui sia presentato un d.u.r.c. in
corso di validità, dal quale non emerga
alcuna inadempienza ai predetti obblighi. La
circostanza che l’INPS competente non si sia
ancora pronunciato al 28° giorno dalla
domanda non è motivo sufficiente per
ribaltare la soluzione qui accolta, che
appare confortata, oltre il già detto, da
argomenti ulteriori.
In tema di rilascio del d.u.r.c. vige il
principio del silenzio assenso che si matura
al trentesimo giorno dalla data di
presentazione della richiesta. L’emissione
di un d.u.r.c incompleto per mancata
pronuncia di uno degli enti tenuti al
rilascio non impedisce di ritenere
implicitamente certificata la regolarità
contributiva, per la parte non considerata
dalla certificazione esplicita, con il
compiersi del termine prescritto per la
formazione del silenzio assenso.
D’altra parte, il concorrente che abbia
tempestivamente richiesto il d.u.r.c. e si
veda rilasciare un documento, privo di
accertamenti negativi, ma incompleto per
inerzia dell’ente interpellato, non può
subire conseguenze pregiudizievoli a causa
dell’inefficienza del medesimo, avendo,
oltre tutto, soddisfatto l’onere di produrre
l’unico documento di cui poteva disporre
alla scadenza del termine per la
presentazione della domanda.
Né va taciuto che –secondo la
giurisprudenza– il d.u.r.c., anche se
formatosi in virtù del silenzio assenso,
“assume la valenza di una dichiarazione di
scienza, da collocarsi fra gli atti di
certificazione o di attestazione redatti da
un pubblico ufficiale ed aventi carattere
meramente dichiarativo di dati in possesso
della pubblica amministrazione, assistito da
pubblica fede ai sensi dell'articolo 2700
c.c., facente pertanto prova fino a querela
di falso.
Attesa la natura giuridica del DURC, non
residua in capo alla stazione appaltante
alcun margine di valutazione o di
apprezzamento in ordine ai dati ed alle
circostanze in esso contenute.” (Cons. St.,
sez. IV, 12.03.2009 n. 1458)
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 11.01.2011 n. 83 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' illegittima l'esclusione di un
concorrente da una gara di appalto per
ragioni di inadempimento delle prescrizioni
formali di gara quando le stesse
prescrizioni formali siano state formulate
in modo del tutto impreciso ed equivoco.
L’esclusione di un concorrente da una gara
di appalto per ragioni di inadempimento
delle prescrizioni formali di gara è
senz’altro doverosa ed automatica soltanto
quando tali prescrizioni formali risultano
indicate (nel bando o nella lettera di
invito o anche nel capitolato speciale di
appalto) in modo del tutto chiaro e la
relativa violazione risulti sanzionata in
modo altrettanto chiaro ed esplicito a pena
di esclusione; non, invece,quando le stesse
prescrizioni formali siano state formulate
in modo del tutto impreciso ed equivoco e
comunque senza la previsione esplicita della
sanzione della automatica esclusione dalla
gara, in caso di violazione.
In questo caso, il Capitolato speciale di
appalto, proprio con riferimento alle
prescrizioni formali di cui alla busta “C”
contenente l’offerta economica, non
precisava affatto –a proposito delle firme
da apporre su detta offerta e sulla relativa
documentazione– che tali firme dovevano
essere apposte su ogni foglio, a pena di
esclusione dalla gara (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 11.01.2011 n. 78 - link
a www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Complesso monumentale - Territorio adiacente
- Dichiarazione di interesse storico
artistico.
E’ legittimo il provvedimento che dichiara
l'interesse storico artistico del territorio
adiacente un complesso monumentale motivato
dalla necessità di tutelare non solo il bene
monumentale in sé, inteso come manufatto
d'interesse storico-artistico, ma anche, con
idonee misure di salvaguardia, l'habitat
circostante in considerazione del carattere
d'insieme inscindibile che assume la
struttura nel rapporto con i terreni
circostanti, i quali nel tempo ne hanno
rappresentato "cornice e pertinenza"
(TAR Sicilia Palermo, sez. I, 23.06.1999, n.
1289).
BENI CULTURALI E
AMBIENTALI - Apposizione di vincolo
indiretto - Consistenza globale della
“cornice ambientale” - Terreni sottoposti a
vincolo - Assenza di pregio
storico-artistico - Irrilevanza.
La legittimità delle misure apprestate dalla
Soprintendenza ai fini dell’apposizione di
un vincolo indiretto va stabilita con
riguardo alla globale consistenza della
cosiddetta cornice ambientale, la quale si
estende fino a ricomprendere ogni immobile,
anche non contiguo, ma pur sempre in
prossimità del bene monumentale, che sia con
questo in tale relazione che la sua
manomissione sia idonea, secondo una
valutazione ampiamente discrezionale
dell’autorità, ad alterare il complesso
delle caratteristiche fisiche e culturali
che connotano lo spazio e quello circostante
(cfr. consiglio di Stato sez. VI n. 420 del
09/06/1993).
Ciò in quanto occorre preservare una
continuità storico ed artistica con gli
insediamenti che circondano l’oggetto del
vincolo diretto, indipendentemente, quindi,
dalla circostanza che i terreni sottoposti a
vincolo non presentino alcun pregio e siano
in stato di abbandono (TAR Sicilia-Palermo,
Sez. II,
sentenza 11.01.2011 n. 28 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fascia di rispetto autostradale -
Inedificabilità assoluta - Abusi -
Insuscettibilità di sanatoria.
Le opere realizzate all'interno della fascia
di rispetto autostradale prevista al di
fuori del perimetro del centro abitato
(fascia di sessanta metri) sono ubicate in
aree assolutamente inedificabili e,
pertanto, se costruite dopo l'imposizione
del vincolo, rientrano nella previsione di
cui all'articolo 33, comma 1, lettera d),
della legge 28.02.1985, n. 47 e non sono
suscettibili di sanatoria.
Vincolo autostradale -
Carattere assoluto - Caratteristiche
dell’opera - Opere che non superino il
livello della sede stradale - Rilevanza -
Esclusione.
Il carattere assoluto del vincolo di cui
all’art. 9 della L. n. 729/1961 sussiste a
prescindere dalla concrete caratteristiche
dell'opera realizzata.
Infatti il divieto di costruire ad una certa
distanza dalla sede autostradale, posto dal
menzionato art. 9 e dal successivo d.m.
01.04.1968, non può essere inteso
restrittivamente e cioè come previsto al
solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali emergenti dal suolo e
suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all'occorrenza, dal
concessionario, per l'esecuzione dei lavori,
per l'impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto le distanze previste dalla norma
suddetta vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il
livello della sede stradale (in termini,
Cass. civ., 01.06.1995, n. 6118) o che
costituiscano mere sopralevazioni (v. Cass.
civ., 14.01.1987, n. 193), o che, pur
rientrando nella fascia, siano arretrate
rispetto alle opere preesistenti. (Cons.
Stato, sez. IV, 30.09.2008, n. 4719;
18.10.2002 n. 5716; 25.09.2002 n. 4927;
Cons. Stato, sez. V, 08.09.1994 n. 968) (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 11.01.2011 n. 24 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
D.lgs. n. 259/2003 - Infrastrutture di
comunicazione elettronica - Procedimento
autorizzatorio unitario - Valutazioni
ambientali e urbanistiche.
A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs.
n. 259/2003, recepito nella Regione
Siciliana con l’art. 103 della l.r.
28.12.2004, n. 17, le valutazioni
urbanistiche edilizie sono assorbite nel
procedimento delineato dall’art. 87 che
prevede un procedimento autorizzatorio
unitario per l'installazione delle
infrastrutture di comunicazione elettronica,
nel contesto del quale devono essere fatte
confluire le valutazioni sia di tipo
ambientale che di tipo urbanistico (cfr.
Corte Costituzionale, 28.03.2006, n. 129;
06.07.2006, n. 265).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Art. 86 d.lgs. n.
259/2003 - Infrastrutture di comunicazione -
Assimilazione alle opere di urbanizzazione
primaria - Titolo autorizzatorio -
Assoggettamento alle prescrizioni
urbanistico-edilizie preesistenti -
Esclusione.
In presenza della specifica previsione di
cui all’art. 86 del D.lgs. n. 259/2003, il
quale assimila, ad ogni effetto, le
infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione alle opere di urbanizzazione
primaria, ed in assenza di specifiche
previsioni, deve ritenersi che gli impianti
di telefonia mobile non possano essere
assimilati alle normali costruzioni edilizie
e, pertanto, la loro realizzazione non sia
soggetta a prescrizioni urbanistico-edilizie
preesistenti. Conseguentemente, il titolo
autorizzatorio non può essere negato se non
avuto riguardo ad una specifica disciplina
conformativa, che prenda in considerazione
le reti infrastrutturali tecnologiche
necessarie per il funzionamento del servizio
pubblico (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI,
17.10.2003, n. 7725; TAR Campania, sez. I,
13.02.2002, n. 983, 20.12.2004, n. 14908).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Installazione delle reti
di telecomunicazione - Competenze comunali -
Determinazione di vincoli e limiti - Divieto
generalizzato - Illegittimità.
Ancorché il Comune mantenga intatte le
proprie competenze in materia di governo del
territorio, queste tuttavia, per espressa
valutazione legislativa, non possono
interferire con quelle relative alla
installazione delle reti di
telecomunicazione e, in particolare, non
possono determinare vincoli e limiti così
stringenti da concretizzarsi in un divieto
di carattere pressoché generalizzato (e
senza prevedere alcuna possibile
localizzazione alternativa), in contrasto
con le esigenze tecniche necessarie a
consentire la realizzazione effettiva della
rete di telefonia cellulare che assicuri la
copertura del servizio nell’intero nel
territorio comunale (cfr. Corte
Costituzionale n. 331/2003).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Reti di telecomunicazione
- Comune - Regolamentazione - deroga i
limiti di esposizione - Disposizioni
funzionale alla tutela della salute -
Competenza statale.
Il Comune non può, mediante il formale
utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure, le
quali nella sostanza costituiscano una
deroga ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici fissati dallo Stato, quali,
esemplificativamente, il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare in tutte
le zone territoriali omogenee, ovvero la
introduzione di distanze fisse da osservare
rispetto alle abitazioni e ai luoghi
destinati alla permanenza prolungata delle
persone o al centro cittadino (cfr. in tal
senso, Cons. Stato, sez. VI, 29.11.2006, n.
6994; TAR Sicilia-Palermo, sez. I,
06.04.2009, n. 661).
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali
non al governo del territorio, ma alla
tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo e si trasformano in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva
allo Stato.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Reti di telecomunicazione
- Carattere di pubblica utilità - Art. 90
d.lgs. n. 259/2003.
L’art. 90 del D.Lgs. n. 259/2003 dispone che
gli impianti di comunicazione elettronica e
le opere accessorie occorrenti per la loro
funzionalità hanno “carattere di pubblica
utilità”, con possibilità, quindi, di
essere ubicati in qualsiasi parte del
territorio comunale, essendo compatibili con
tutte le destinazioni urbanistiche
(residenziale, verde, agricola, ecc.: cfr.,
in tal senso, C.G.A. ordinanza 05.07.2006,
n. 543; Cons. Stato, sez. VI, 04.09.2006, n.
5096) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 11.01.2011 n. 22 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
legittimo l'annullamento in sede statale del
nulla osta paesaggistico, qualora lo stesso
sia dovuto alla carenza di istruttoria
dell’autorizzazione comunale.
Sul potere di annullamento della
autorizzazione paesaggistica da parte della
Soprintendenza statale, questo Consiglio ha
chiarito che esso “non comporta un
riesame complessivo delle valutazioni
discrezionali compiute dalla Regione e da un
ente sub-delegato, tale da consentire la
sovrapposizione o sostituzione di una
propria valutazione di merito a quella
compiuta in sede di rilascio
dell'autorizzazione, ma si estrinseca in un
controllo di mera legittimità che si estende
a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso
di potere per difetto di istruttoria e di
motivazione” (cfr. Sez. VI, 13.02.2009,
n. 772, in linea con i fondamentali principi
enunciati dall’Adunanza Plenaria con la
sentenza n. 9 del 2001)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.01.2011 n. 50 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione da una gara di un'impresa
cessionaria del ramo d'azienda, per omessa
dichiarazione in ordine alla posizione del
cedente.
In materia di procedure ad evidenza
pubblica, le clausole di esclusione poste
dal bando di gara in ordine alle
dichiarazioni cui è tenuta la impresa
partecipante sono di stretta
interpretazione, dovendosi dare esclusiva
prevalenza alle espressioni letterali in
esse contenute, restando preclusa ogni forma
di estensione analogica diretta ad
evidenziare significati impliciti, che
rischierebbe di vulnerare la par condicio
dei concorrenti, nonché l'esigenza della più
ampia partecipazione.
Inoltre, al fine di integrare i requisiti di
partecipazione, a prescindere da un'espressa
previsione del bando, sono riconducibili al
patrimonio di una società o di un
imprenditore cessionari di un ramo
d'azienda, i requisiti posseduti dal
soggetto cedente, giacché essi devono
considerarsi compresi nella cessione in
quanto strettamente connessi all'attività
propria del ramo ceduto.
Manca nel Codice dei contratti (d.lvo
12.04.2006 n. 163) una norma, con effetto
preclusivo, che preveda, in caso di cessione
d'azienda antecedente alla partecipazione
alla gara, un obbligo specifico di
dichiarazioni in ordine ad i requisiti
soggettivi della cedente riferita sia agli
amministratori e direttori tecnici, in
quanto l'art. 51 del Codice dei contratti si
occupa della sola ipotesi di cessione
successiva alla aggiudicazione della gara.
Ne discende che, in assenza di tale norma, e
siccome la cessione di azienda comporta non
una successione a titolo universale del
cessionario al cedente bensì invece una
successione nelle posizioni attive e passive
relative all'azienda tra soggetti che
conservano distinta personalità giuridica, è
da ritenersi illegittimo il provvedimento di
esclusione adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un'impresa
cessionaria del ramo d'azienda, per omessa
dichiarazione in ordine alla posizione del
cedente (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 10.01.2011 n. 12 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIA: atto privato o provvedimento?
Va rimessa alla Adunanza Plenaria la
questione inerente la qualificazione
giuridica, privata o provvedimentale,
dell’istituto della denuncia di inizio
attività.
Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez.
IV, con l’ordinanza
05.01.2011 n. 14.
Il provvedimento in esame ha ad oggetto
l’azione di annullamento di una denuncia di
inizio attività proposta in variante ad un
permesso di costruire.
Uno dei motivi di impugnazione della
sentenza di primo grado riguarda nello
specifico la natura della denuncia, che
costituirebbe atto del privato e non atto
amministrativo impugnabile e perciò
insuscettibile di rimedi demolitori.
I giudici di Palazzo Spada, rilevando
l’esistenza di diversi orientamenti
giurisprudenziali, ritengono che: “la
tesi secondo cui è inammissibile il ricorso
proposto per l’annullamento della denuncia
di inizio attività, intesa come atto avente
natura oggettivamente e soggettivamente
privata, ha avuto il conforto in sede
giurisprudenziale anche di questa Sezione
(ex plurimis, da ultimo, Cons. Stato, IV,
13.05.2010, n. 2919; si veda in tal senso
anche Cons. Stato, V, 22.02.2007, n. 948).
Tale inammissibilità della impugnativa
troverebbe comunque un rimedio nell’azione
avverso il silenzio-inadempimento; il terzo
che intende opporsi all’intervento, una
volta decorso il termine per l’esercizio del
potere inibitorio, sarebbe legittimato
unicamente a presentare all’amministrazione
formale istanza per la adozione dei
provvedimenti sanzionatori previsti e ad
impugnare l’eventuale silenzio-rifiuto su di
essa formatosi, oppure a impugnare il
provvedimento emanato all’esito della
avvenuta verifica.
Questa Sezione, però, sempre recentemente,
ha sostenuto la opposta tesi (per così dire
provvedimentale) che i terzi che ritengano
di essere pregiudicati dalla effettuazione
di una attività edilizia assentita in modo
implicito (nella specie, DIA) possono agire
dinanzi al giudice amministrativo per
chiedere l’annullamento del titolo
abilitativo formatosi per il decorso del
termine fissato dalla legge entro cui
l’amministrazione può impedire gli effetti
della D.I.A. (Cons. Stato; IV, 13.01.2010 n.
72).”
La sezione rileva, pertanto, l’esistenza di
tre tesi differenti sui rimedi esperibili
dal terzo:
1) nel caso in cui si consideri la dia quale
provvedimento si potrebbe utilizzare la
tradizionale azione di annullamento;
2) nel caso invece si qualificasse la
denuncia come atto del privato sarebbe
necessario agire attraverso un’azione di
accertamento autonomo (negativo) della
inesistenza dei presupposti per ritenere
completa la fattispecie;
3) la terza tesi, partendo da una
considerazione di natura privatistica,
richiederebbe al privato di presentare, una
volta decorsi i termini senza l’esercizio
del potere inibitorio, una istanza formale e
impugnare il successivo atto negativo
dell’amministrazione ovvero agire avverso la
successiva inerzia amministrativa
(silenzio–rifiuto).
Vista l’esistenza di tali contrasti la
sezione ha ritenuto opportuno chiamare in
causa l’Adunanza Plenaria, la quale, si
spera, fornirà le soluzioni interpretative
necessarie anche in seguito all’introduzione
nel panorama edilizio della segnalazione
certificata di inizio attività (c.d. scia)
(commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'Amministrazione ha il potere di
annullare l'aggiudicazione di un appalto
pubblico anche dopo la stipulazione del
contratto, in presenza di adeguate esigenze
di interesse pubblico.
L’accertata illegittimità della procedura di
affidamento di un’opera o di un servizio da
parte di una pubblica amministrazione
determina, in generale, oltre l’annullamento
degli atti di aggiudicazione ritenuti
illegittimi anche l’inefficacia del
contratto eventualmente già sottoscritto
(cfr. fra le più recenti, Consiglio Stato,
sez. V, 09.04.2010, n. 1998).
Infatti, anche se nei contratti della
Pubblica amministrazione l'aggiudicazione,
quale atto conclusivo del procedimento di
scelta del contraente, segna di norma il
momento dell'incontro della volontà della
stessa Amministrazione e del privato di
concludere il contratto, manifestata con
l'individuazione dell'offerta ritenuta
migliore, non è tuttavia precluso
all'Amministrazione di procedere, con atto
successivo e con richiamo ad un preciso e
concreto interesse pubblico,
all'annullamento d'ufficio
dell'aggiudicazione, fondandosi detta
potestà di annullamento in autotutela sul
principio costituzionale di buon andamento
che impegna la pubblica Amministrazione ad
adottare atti il più possibile rispondenti
ai fini da conseguire, ma con l'obbligo di
fornire una adeguata motivazione in ordine
ai motivi che, alla luce della comparazione
dell'interesse pubblico con le contrapposte
posizioni consolidate dei partecipanti alla
gara, giustificano il provvedimento di
autotutela (Consiglio Stato, sez. V,
10.09.2009, n. 5427; sez. V, 07.01.2009, n.
17) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.01.2011 n. 11 - link
a www.mediagraphic.it). |
APPALTI: L’accertata
illegittimità della procedura di affidamento
di un’opera o di un servizio determina
l’inefficacia del contratto eventualmente
già sottoscritto.
Dopo aver affidato al responsabile
dell’Ufficio Ambiente l’incarico di reperire
sul mercato proposte per lo sfruttamento
dell’energia eolica e fotovoltaica, la
Giunta del Comune in causa decideva di
aderire ad una proposta pervenuta dalla
società appellante e incaricava il
Responsabile dell’Ufficio Ambiente per la
sottoscrizione del contratto: lo stesso
affidava a trattativa privata l’incarico a
quest’ultima e lo stesso giorno veniva
sottoscritta anche la relativa convenzione.
Tuttavia, il Comune, dopo aver provveduto
alla sostituzione del Responsabile del
Servizio Ambiente comunicava alla società
l’annullamento di tutti gli atti relativi
alla richiamata procedura di affidamento,
ivi compresa la convenzione già
sottoscritta. Il Comune, ricevute le
osservazioni della parte, procedeva quindi
all’annullamento degli atti avendo ritenuto
che il precedente Responsabile del Servizio
Ambiente, avesse a suo tempo operato in
totale carenza di poteri e al di fuori degli
indirizzi stabiliti dalla Giunta comunale.
Secondo l’appellante il Comune non poteva
recedere da un contratto già sottoscritto,
ma, i giudici del Consiglio di Stato
ricordano che nella fattispecie non può
parlarsi di recesso unilaterale dal
contratto ma di caducazione del contratto a
seguito dell’annullamento degli atti che ne
hanno determinato la sottoscrizione.
Infatti, l’accertata illegittimità della
procedura di affidamento di un’opera o di un
servizio da parte di una pubblica
amministrazione determina, in generale,
oltre l’annullamento degli atti di
aggiudicazione ritenuti illegittimi anche
l’inefficacia del contratto eventualmente
già sottoscritto.
La stessa quinta Sezione, in relazione al
possibile esercizio in materia dei poteri
autotutela, ha affermato che, anche se nei
contratti della Pubblica amministrazione
l'aggiudicazione, quale atto conclusivo del
procedimento di scelta del contraente, segna
di norma il momento dell'incontro della
volontà della stessa Amministrazione e del
privato di concludere il contratto,
manifestata con l'individuazione
dell'offerta ritenuta migliore, non è
tuttavia precluso all'Amministrazione di
procedere, con atto successivo e con
richiamo ad un preciso e concreto interesse
pubblico, all'annullamento d'ufficio
dell'aggiudicazione, fondandosi detta
potestà di annullamento in autotutela sul
principio costituzionale di buon andamento
che impegna la pubblica Amministrazione a
adottare atti il più possibile rispondenti
ai fini da conseguire, ma con l'obbligo di
fornire un’adeguata motivazione in ordine ai
motivi che, alla luce della comparazione
dell'interesse pubblico con le contrapposte
posizioni consolidate dei partecipanti alla
gara, giustificano il provvedimento di
autotutela (Consiglio Stato, sez. V,
10.09.2009, n. 5427; sez. V, 07.01.2009, n.
17).
E l'Amministrazione ha il potere di
annullare l'aggiudicazione di un appalto
pubblico anche dopo la stipulazione del
contratto, in presenza ovviamente di
adeguate esigenze di interesse pubblico.
In tale evenienza e in virtù della stretta
consequenzialità tra l'aggiudicazione della
gara pubblica e la stipula del relativo
contratto, l'annullamento giurisdizionale,
ovvero, come nella specie, l'annullamento a
seguito di autotutela degli atti della
procedura amministrativa, comporta la
caducazione automatica degli effetti
negoziali del contratto successivamente
stipulato, stante la preordinazione
funzionale tra tali atti.
Infatti, il contratto non ha un’autonomia
propria ed è destinato a subire gli effetti
del vizio che affligge il provvedimento cui
è inscindibilmente collegato restando “caducato”
a seguito dell’annullamento degli atti che
ne hanno determinato la sottoscrizione (cfr.
per alcuni profili Consiglio Stato, Adunanza
plenaria, 30.07.2008 n. 9, secondo cui
l'annullamento del l'aggiudicazione
determina un vincolo permanente e puntuale
sulla successiva attività
dell'amministrazione, il cui contenuto non
può prescindere dall'effetto caducatorio del
contratto stipulato)
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 04.01.2011 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
L’omessa verbalizzazione delle
sedute e delle prove d’esame di una
procedura di concorso non comporta la
nullità delle sedute e delle operazioni
concorsuali.
Osserva il Collegio che nei concorsi
pubblici oggetto del processo verbale sono
soltanto gli aspetti più salienti e
significativi dell’attività amministrativa,
con la conseguenza che l’omessa
verbalizzazione delle sedute e delle prove
d’esame di una procedura di concorso non
comporta la nullità delle sedute e delle
operazioni concorsuali (Consiglio di Stato,
Sez. IV, 12.02.2010, n. 805).
Invero la verbalizzazione delle prove
concorsuali ha funzione strumentale e di
carattere probatorio per cui le irregolarità
o carenze di verbalizzazione non sono di per
sé idonee ad inficiare la procedura qualora
detta funzione non sia stato validamente
provato che sia rimasta compromessa
(Consiglio di Stato, Sez. IV, 12.11.1993, n.
1001).
La violazione di norme regolamentari sulla
verbalizzazione delle prove di concorso non
può determinare di per sé la invalidazione
dell'intero procedimento concorsuale, se
alla omessa dichiarazione non si accompagna
la esistenza di detta prova, che nel caso di
specie non è stata validamente fornita,
limitandosi il motivo di ricorso a
denunciare la violazione delle disposizioni
anzidette e a paventare la possibilità di
alterazione degli elaborati, senza fornire
concreti elementi che possano convincere il
giudicante della effettiva influenza della
irregolarità posta in essere sulla par
condicio dei partecipanti e sulla regolarità
della correzione delle prove ed attribuzione
dei relativi punteggi (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 04.01.2011 n. 8 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Area suscettibile di edificazione
in assenza dello strumento attuativo - Area
completamente urbanizzata - Nozione.
Una zona si deve considerare completamente
urbanizzata quando risulta compiutamente e
definitivamente collegata e integrata con
già esistenti opere di urbanizzazione; la
valutazione della congruità del grado di
urbanizzazione spetta unicamente al comune e
in ogni caso un'area può essere considerata
suscettibile di edificazione anche in
assenza dello strumento attuativo, soltanto
quando si accerti la sussistenza di una
situazione di fatto perfettamente
corrispondente a quella derivante
dall'attuazione del piano esecutivo e,
quindi, allorché la zona sia dotata di tutte
le opere di urbanizzazione, primarie e
secondarie, previste dagli strumenti
urbanistici (ex multis Consiglio
Stato, sez. IV, 10.06.2010, n. 3699) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.01.2011 n. 4 - link a
www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Regione Lombardia - L.r. n.
12/2005, art. 11, c. 3 - Perequazione
compensativa - Aree esterne ai piani
attuativi.
La perequazione compensativa di cui all’art.
11, c. 3, l.reg. Lombardia n. 12/2005 può
essere prevista unicamente con riferimento
ad aree esterne ai piani attuativi (per
quelle disciplinate da piani attuativi o
atti di programmazione negoziata con valenza
territoriale, il Comune può prevedere il
meccanismo perequativo disciplinato al comma
1 del medesimo articolo. Si tratta,
comunque, una facoltà, rimessa alla scelta
discrezionale dell’amministrazione) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.01.2011 n. 4 - link a
www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla discrezionalità della
stazione appaltante in ordine alla scelta
relativa alle modalità di strutturazione
della legge di gara.
Con riferimento al criterio di
aggiudicazione, l'art. 81, c. 1, del d.lgs.
n. 163/2006, coerentemente con la normativa
e la giurisprudenza comunitaria, laddove
dispone che nei contratti pubblici, la
migliore offerta è selezionata con il
criterio del prezzo più basso o con il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, lascia intendere che, esistendo
una perfetta equivalenza tra i due sistemi,
la scelta dell'uno o dell'altro è rimessa
alla libera determinazione
dell'amministrazione, con l'unico limite di
far ricadere tale scelta su quello più
adeguato in relazione alle caratteristiche
dell'oggetto del contratto, al fine di
selezionare la migliore offerta, e di
garantire la qualità delle prestazioni ed il
rispetto dei principi di libera concorrenza,
parità di trattamento, non discriminazione,
ai sensi dell'art. 2 del citato d.lgs.
163/2006, con cui il legislatore nazionale
ha recepito la direttiva n. 2004/18/CE.
Tale assunto trova conferma in numerose
pronunce del giudice comunitario e
nazionale, secondo cui rientra nei poteri
discrezionali della stazione appaltante
operare la scelta in ordine alle modalità di
strutturazione della legge di gara, in base
alle caratteristiche dell'appalto, avendo di
mira la garanzia della libera concorrenza e
la selezione della migliore offerta.
In relazione alle caratteristiche dei
prodotti oggetto di fornitura tale predicato
si traduce, nel caso di scelta del criterio
di aggiudicazione del prezzo più basso,
nella necessità di identificare
compiutamente i prodotti desiderati, senza
per questo limitarli ad una marca o ad un
brevetto specifico.
Il criterio di aggiudicazione basato sul
prezzo, che favorisce un più corretto
svolgimento del processo competitivo, appare
conforme alle previsioni di cui agli artt.
81 e 82 del d.lgs. n. 163/2006, laddove non
vi siano dubbi sulle caratteristiche
qualitative del bene posto a gara, atteso
che la puntuale individuazione dell'oggetto
della fornitura appare di per sé in grado di
evitare fenomeni distorsivi della
concorrenza.
Viceversa, è illogica la scelta del criterio
del prezzo più basso qualora la legge di
gara attribuisca rilievo ad aspetti
qualitativi variabili dell'offerta. In tali
casi, la pluralità di elementi presi in
considerazione dalla lex specialis si
pone in contrasto con l'unicità del criterio
del prezzo più basso, comportando la
violazione delle suddette disposizioni (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 04.01.2011 n. 1 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sul c.d. potere di soccorso della
stazione appaltante ai fini della verifica
della completezza della documentazione.
Nel rispetto della efficienza e della
economicità dell'azione amministrativa,
sussiste il cd. potere di soccorso della
stazione appaltante nei confronti delle
offerte non conformi alla "lex specialis"
della gara, vale a dire di domandare
chiarimenti in ordine alla dichiarazione
presentata, ove sia del tutto evidente la
sua mera erroneità materiale ed il possesso
del requisito sia comunque individuabile
dagli atti depositati e occorra soltanto un
chiarimento ovvero un aggiornamento
(Consiglio Stato, sez. I, 18.03.2009, n.
701).
Pertanto, la fase di prequalifica non
consuma il potere della p.a. di valutare
anche in sede di gara la sussistenza dei
requisiti di partecipazione, anche alla luce
di eventuali sopravvenienze, sicché è
indubitabile che la documentazione in
origine acquisita non possa non essere
utilizzata anche nella fase successiva ai
fini della verifica della completezza della
documentazione (TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 31.12.2010 n. 39288 -
link a www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Titolo edilizio - Mancata
indicazione dei termini di inizio e
ultimazione dei lavori - Termini massimi ex
art. 15 d.P.R. n. 380/2001.
Ove il titolo edilizio non rechi un’espressa
indicazione dei termini di inizio e di
ultimazione dei lavori, si deve intendere
che operino quelli massimi consentiti
dall’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001 (v.,
tra le altre TAR Calabria, Catanzaro,
27.06.2000 n. 838): tale soluzione
interpretativa va ritenuta appropriata anche
nel caso di titolo edilizio formatosi per
silenzio-assenso, con la precisazione che in
tale ipotesi la decorrenza del termine per
l’avvio dei lavori va ricondotta alla data
in cui l’assenso è tacitamente intervenuto
(v. Cons. giust. amm. Reg. Sic. 15.12.2008
n. 1048; TAR Abruzzo, L’Aquila, 27.01.2004
n. 22) (TAR Emilia-Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 31.12.2010 n. 581 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI FORNITURE: È
legittimo il bando di gara che consente ai
privati di sponsorizzare gli arredi
scolastici.
Tre associazioni, nella pronuncia in
commento, hanno impugnato l’avviso pubblico
di procedura di sponsorizzazione per la
fornitura di arredi scolastici negli
istituti di una Provincia pugliese,
sostenendo che sarebbero stati violati i
principi comunitari in materia di evidenza
pubblica (trasparenza, parità di
trattamento, proporzionalità) ed il
principio di neutralità che deve ispirare
l’agire della pubblica amministrazione in
quanto i messaggi pubblicitari apposti sugli
arredi scolastici potrebbero incidere
negativamente sul processo formativo della
personalità dei minori che frequentano le
aule scolastiche.
I giudici del Tribunale amministrativo di
Bari evidenziano su questo argomento che «la
sponsorizzazione di cui al gravato avviso
pubblico è espressamente disciplinata
dall’art. 43 legge n. 449/1997 (si veda in
particolare il comma 1: “Al fine di
favorire l’innovazione dell’organizzazione
amministrativa e di realizzare maggiori
economie, nonché una migliore qualità dei
servizi prestati, le pubbliche
amministrazioni possono stipulare contratti
di sponsorizzazione ed accordi di
collaborazione con soggetti privati ed
associazioni, senza fini di lucro,
costituite con atto notarile.”) e
dall’art. 119 dlgs n. 267/2000 (“1. In
applicazione dell’art. 43 della legge
27.12.1997, n. 449, al fine di favorire una
migliore qualità dei servizi prestati, i
comuni, le province e gli altri enti locali
indicati nel presente testo unico, possono
stipulare contratti di sponsorizzazione ed
accordi di collaborazione, nonché
convenzioni con soggetti pubblici o privati
diretti a fornire consulenze o servizi
aggiuntivi.”) e che pertanto
l’amministrazione evocata in giudizio si è
semplicemente avvalsa di una possibilità
prevista dalla legislazione vigente; che,
allo stato, non è possibile prevedere quale
tipo di sponsorizzazione-pubblicità verrà in
concreto apposta sugli arredi scolastici
(ciò si potrà affermare unicamente all’esito
dell’espletamento della gara, e soltanto in
caso di sponsorizzazioni concretamente
lesive della sfera di interessi
rappresentata dal relativo ente esponenziale
sarà eventualmente ipotizzabile una
legittimazione del medesimo ente
esponenziale ad agire in sede
giurisdizionale); che comunque il bando
correttamente contempla una apposita
clausola finale di salvaguardia che
impedisce le sponsorizzazioni “vietate”
riguardanti propaganda di natura politica,
sindacale, filosofica o religiosa,
pubblicità diretta o collegata alla
produzione o distribuzione di tabacco,
prodotti alcoolici, materiale pornografico o
a sfondo sessuale, messaggi offensivi
incluse le espressioni di fanatismo,
razzismo odio o minaccia»
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 28.12.2010 n. 4312 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Il
trasferimento della proprietà delle opere di
urbanizzazione in capo al comune costituisce
un'obbligazione ex lege -inderogabile e
indisponibile per le parti della convenzione
di lottizzazione in base alla quale le opere
stesse sono state realizzate-, ex art. 28
della L. n. 1150 del 17.08.1942, con la
conseguenza che le parti non potrebbero
legittimamente accordarsi sul loro
mantenimento in capo al lottizzante, essendo
tali opere strumentali allo svolgimento di
pubblici servizi fisiologicamente rientranti
nelle competenze dell'autorità
amministrativa.
La convenzione di lottizzazione non può
contenere clausole ostative al trasferimento
delle opere in capo all'Ente locale, non
potendosi ragionevolmente affermare che il
Comune possa sottrarsi all'acquisizione
delle aree ove insistono le opere di
urbanizzazione.
Il legislatore, nel disciplinare le opere di
urbanizzazione, ha confermato la possibilità
della realizzazione diretta c.d. a scomputo
dal contributo di concessione ma non ha
lasciato alcun dubbio in merito al passaggio
della proprietà delle stesse, una volta
realizzate, in capo all'ente pubblico
territoriale di riferimento, prevedendone la
confluenza nel patrimonio indisponibile.
Il trasferimento della proprietà delle opere
di urbanizzazione in capo al comune
costituisce un'obbligazione ex lege
-inderogabile e indisponibile per le parti
della convenzione di lottizzazione in base
alla quale le opere stesse sono state
realizzate-, ex art. 28 della L. n. 1150 del
17.08.1942, con la conseguenza che le parti
non potrebbero legittimamente accordarsi sul
loro mantenimento in capo al lottizzante,
essendo tali opere strumentali allo
svolgimento di pubblici servizi
fisiologicamente rientranti nelle competenze
dell'autorità amministrativa (mentre la
gestione degli stessi per mezzo di privati
sarebbe teoricamente concepibile solo previo
atto di concessione di pubblico servizio,
contenente le regole da osservare per
garantire l'ottimale soddisfacimento del
servizio offerto ai cittadini); ove,
infatti, si ammettesse la possibilità di
mantenere la gestione delle opere di
urbanizzazione primaria in capo al
lottizzante, i cittadini interessati (che
hanno diritto di pretendere servizi di
qualità, che solo l'ente pubblico può
garantire, non essendo la sua azione
finalizzata ad ottenere un utile d'impresa)
resterebbero sostanzialmente "in balia"
del privato gestore, il quale avrebbe tutto
l'interesse a contenere i costi di
manutenzione, con presumibile decadimento
della qualità dei servizi offerti (cfr. TAR
Sardegna Cagliari, sez. II, 19.02.2010 , n.
187).
Si consideri che il TAR Veneto, con sentenza
n. 1373/2004, ha avuto modo di chiarire che,
la convenzione di lottizzazione non può
contenere clausole ostative al trasferimento
delle opere in capo all'Ente locale, non
potendosi ragionevolmente affermare che il
Comune possa sottrarsi all'acquisizione
delle aree ove insistono le opere di
urbanizzazione, "stante il fatto che
l'obbligo di tale acquisizione risulta
puntualmente enunciato dall'anzidetto art.
28 della L. 1150 del 1942", ove al
quinto comma si prevede -nel testo
conseguente alle sostituzioni disposte per
effetto dell'art. 8 della L. 765 del 1967-
che la convenzione di lottizzazione debba
contemplare, comunque, "la cessione
gratuita entro termini prestabiliti delle
aree necessarie per le opere di
urbanizzazione primaria, precisate
dall'articolo 4 della legge 29.09.1964, n.
847".
Così come deve ancora osservarsi che il
legislatore, nel disciplinare le opere di
urbanizzazione, ha confermato la possibilità
della realizzazione diretta c.d. a scomputo
dal contributo di concessione ma non ha
lasciato alcun dubbio in merito al passaggio
della proprietà delle stesse, una volta
realizzate, in capo all'ente pubblico
territoriale di riferimento, prevedendone la
confluenza nel patrimonio indisponibile
(art. 16 comma 2, d.lgs. n. 380 del 2001);
ciò ad ulteriore riprova che si tratti di
beni destinati alla fruizione pubblica.
In altri termini per le dette opere di
urbanizzazione si registra una presunzione
iuris et de iure di proprietà
pubblica, con la conseguenza che per tali
interventi, a seguito dell'entrata in vigore
del T.U. edilizia, non può ipotizzarsi la
permanenza in capo ai privati della relativa
proprietà (cfr. TAR Puglia Bari, sez. II,
01.07.2010, n. 2815).
Quanto alle relative aree, l'esecuzione
delle ricordate opere di urbanizzazione (in
osservanza di un obbligo imposto dalla
convenzione di lottizzazione), comporta
l’asservimento all'uso pubblico delle
relative aree, che, per tale motivo, non
possono rimanere nella disponibilità dei
privati (cfr. TAR Marche Ancona, 06.08.2003,
n. 939).
E’ un dato quindi pacifico che gli oneri di
manutenzione ordinaria e straordinaria
connessi alle opere di urbanizzazione
ricadono interamente sull'ente locale una
volta acquisite al suo patrimonio per
cessione (previo collaudo sulla loro
regolare esecuzione) da parte del
lottizzante (cfr. TAR Sardegna Cagliari,
sez. II, 26.01.2009, n. 89)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 21.12.2010 n. 3018 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Ii
potere di adozione di un'ordinanza
contingibile ed urgente di cui all'art. 54,
d.lgs. n. 267 del 2000 presuppone la
necessità di provvedere in via d'urgenza con
strumenti extra ordinem per far fronte a
situazioni di natura eccezionale ed
imprevedibile di pericolo attuale ed
imminente per l'incolumità pubblica, cui non
si può provvedere con gli strumenti ordinari
apprestati dall'ordinamento.
Come questo Tribunale ha osservato, infatti,
il potere di adozione di un'ordinanza
contingibile ed urgente di cui all'art. 54,
d.lgs. n. 267 del 2000 presuppone la
necessità di provvedere in via d'urgenza con
strumenti extra ordinem per far
fronte a situazioni di natura eccezionale ed
imprevedibile di pericolo attuale ed
imminente per l'incolumità pubblica, cui non
si può provvedere con gli strumenti ordinari
apprestati dall'ordinamento (cfr. TAR
Calabria Catanzaro, sez. II, 09.09.2010, n.
2556).
Del resto, il potere di emanare ordinanze
contingibili ed urgenti, pur dopo il suo
ampliamento ad opera del d.l. n. 92 del
2008, convertito con modificazioni in l. n.
125 del 2008, conserva la sua connotazione
atipica e residuale, ed è pertanto
esercitabile, sussistendone le condizioni,
tutte le volte in cui non sia conferito
dalla legge il potere di emanare atti
tipici, in presenza di presupposti indicati
da specifiche normative di settore (cfr. TAR
Toscana Firenze, sez. II, 24.08.2010, n.
4876)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 21.12.2010 n. 3018 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
casa del custode -di superficie assai
modesta rispetto all’intero immobile
(artigianale)– non assolve alla funzione
principale di spazio abitativo ma serve a
consentire un diffuso controllo e una
costante vigilanza sui capannoni utilizzati
per la lavorazione, lo stoccaggio ed il
deposito dei materiali: a fronte di una
destinazione principale di tipo produttivo
il contributo di costruzione deve essere
calcolato con i criteri del produttivo e non
del residenziale.
Il Collegio aderisce alla prospettazione di
parte ricorrente, la quale ha evidenziato
che la casa –di superficie assai modesta
rispetto all’intero immobile (artigianale)–
non assolve alla funzione principale di
spazio abitativo ma serve a consentire un
diffuso controllo e una costante vigilanza
sui capannoni utilizzati per la lavorazione,
lo stoccaggio ed il deposito dei materiali:
a fronte di una destinazione principale di
tipo produttivo il contributo doveva essere
calcolato con i criteri ad essa associati.
In proposito il Collegio richiama la
pronuncia del TAR Milano, sez. I –
24/07/2003 n. 3639, la quale ha statuito che
“… la censura relativa alla errata
applicazione del costo di costruzione per la
piccola parte di edificio destinato a casa
del custode è fondata, in quanto il Comune
non poteva non tenere conto del carattere
strettamente pertinenziale di essa. Il
rapporto pertinenziale, anche se non
espressamente enunciato in sede di domanda,
andava ricavato dalla consistenza
dell’immobile e dal rapporto tra le varie
superfici; in ogni caso avrebbe dovuto
formare oggetto di indagine istruttoria”.
La fattispecie è analoga a quella affrontata
dal Collegio, e l’amministrazione non ha
sollevato obiezioni alla dedotta limitata
estensione del manufatto in rapporto alla
struttura produttiva. In questo contesto, il
fatto che la casa del custode abbia una
propria ed autonoma destinazione di tipo
residenziale non è sufficiente a determinare
l’assoggettamento al corrispondente
contributo.
Non è neppure condivisibile l’astratta
asserzione per cui l’abitazione del
proprietario non sarebbe necessaria ai fini
della gestione aziendale, quando la sua
prossimità e connessione con l’attività e la
sua attitudine ad ospitare una sola famiglia
(cfr. tavola 5 prodotta in atti dalla
ricorrente) conferma l’opinione opposta.
Ne consegue che, con riguardo al costo di
costruzione, dovrà essere rimborsato il
contributo, salvo l’importo correttamente
corrisposto per la parte riferita alla
destinazione artigianale.
Sulla somma così calcolata dovranno essere
aggiunti gli interessi legali ex art. 2033
del codice civile: essi –non essendovi
elementi per escludere la buona fede
dell'amministrazione– spettano dalla data
della domanda giudiziale fino al saldo (cfr.
TAR Lombardia Milano, sez. II – 24/03/2010
n. 728; sez. II – 18/05/2010 n. 1550)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 17.12.2010 n. 4864 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Le prescrizioni urbanistiche del
piano attuativo sopravvivono alla sua
decadenza.
Il TAR Abruzzo-L'Aquila, con la recente
sentenza 26.11.2010 n. 817, si è
pronunciato sul ricorso proposto dal
proprietario di un'area che aveva impugnato
un provvedimento di diniego del permesso di
costruire emanato dal Comune nonché, quale
atto presupposto, una previsione delle Norme
Tecniche di Attuazione (NTA).
I fatti di causa erano i seguenti.
L'area risultava inserita in un perimetro di
maggiore consistenza a destinazione
prevalentemente residenziale, classificata
come B1.1 e, perciò, edificabile sulla base
degli indici previsti dalle NTA.
L'area veniva poi ricompresa in un piano di
lottizzazione che ne prevedeva la cessione
gratuita a favore del Comune per la
realizzazione di opere di urbanizzazione
(viabilità, parcheggi e servizi) e così
gravata da un vincolo espropriativo.
Il piano di lottizzazione contenente la
previsione limitativa dell'utilizzo
residenziale dell'area rimaneva inattuato,
così come la relativa convenzione, per oltre
trenta anni.
Risultava peraltro agli atti che la concreta
necessità di utilizzare l'area per
realizzare l'opera pubblica era venuta meno,
in quanto tale opera era stata in effetti
completata in altra zona.
Il proprietario dell'area domandava quindi
al Comune un permesso di costruire sulla
base della destinazione residenziale
originariamente prevista dal PRG.
Il Comune rigettava la domanda, rilevando
come una specifica disposizione contenuta
nelle NTA prevedesse il recepimento nel PRG
di tutte le previsioni relative a viabilità,
parcheggi e servizi contenuti in piani di
iniziativa privata decaduti per decorrenza
dei termini.
Il provvedimento di diniego veniva infine
impugnato dinanzi al TAR Abruzzo unitamente
alla previsione delle NTA che consentiva la
“sopravvivenza” della destinazione a
pubblici servizi anche dopo la decadenza del
piano attuativo che ne aveva previsto tale
finalità; il ricorso veniva notificato al
solo Comune che aveva adottato sia il
provvedimento di diniego che le NTA.
Il TAR Abruzzo, con la sentenza in commento,
ha ritenuto in primo luogo che il ricorso
introduttivo dovesse essere notificato non
soltanto al Comune, ma anche alla Regione
che aveva adottato il PRG che conteneva la
norma che ostava all'uso residenziale
dell'area (per essere stata recepita dal
piano di lottizzazione, sulla base della
disposizione contenuta nelle NTA).
Ne conseguiva una pronuncia di
inammissibilità del gravame e ciò
coerentemente con altre pronunce del
medesimo indirizzo secondo le quali il
ricorso deve essere sempre notificato anche
al soggetto che ha concorso alla formazione
della volontà dell'Amministrazione. Nel caso
in esame, i vizi denunciati non derivavano
esclusivamente dall'ultimo provvedimento
adottato dal Comune (diniego del permesso di
costruire), bensì dall'applicazione di una
norma di carattere generale sovraordinata
contenuta nel PRG, adottato da altra
Amministrazione, ossia dalla Regione (cfr.
anche CdS, Sez. V, 04.02.2004, n. 367).
L'imposizione del vincolo di inedificabilità
ed il conseguente diniego del permesso di
costruire scaturiva, infatti, secondo i
giudici amministrativi da un atto la cui
complessità richiedeva il concorso della
volontà di due enti (Comune e Regione); ne
conseguiva che la mancata instaurazione del
contraddittorio nei confronti della Regione
costituiva un vizio non suscettibile di
sanatoria comportante l'inammissibilità del
ricorso.
Nonostante la pronuncia di inammissibilità,
il TAR Abruzzo si è però spinto ad esaminare
il merito del gravame, ritenendo che, pur
essendo decorso il termine decennale per la
realizzazione del piano di lottizzazione,
senza che allo stesso fosse stata data
attuazione, l'Amministrazione non avrebbe
potuto sic et simpliciter disapplicare la
norma che aveva disposto il vincolo
pubblicistico sull'area, facendo in tal modo
rivivere la disciplina urbanistica anteriore
all'imposizione del vincolo.
Ed infatti, seguendo un orientamento
giurisprudenziale consolidato, risultando
superata la disciplina urbanistica
precedente e divenuta decaduta quella
sopravvenuta, il proprietario avrebbe dovuto
richiedere all'Amministrazione un nuovo
esercizio del potere-dovere di dare un nuovo
assetto urbanistico all'area, anche, in
ipotesi, adottando un nuovo piano di
lottizzazione. Sino al momento in cui
l'Amministrazione non avesse adottato una
nuova pianificazione dell'area in questione,
e quindi un nuovo potere di pianificazione
non fosse stato esercitato, l'assetto
urbanistico dell'area sarebbe rimasto
pianificato come da previsioni contenute nel
precedente piano, pur se non concretamente
attuato (cfr. anche CdS, Sez. V, 30,04.2009
n. 2768).
Ne consegue che nella fattispecie in esame,
il privato, in quanto titolare di un vero e
proprio interesse legittimo pretensivo a che
l'Amministrazione eserciti la funzione di
governo del territorio avrebbe dovuto
richiedere preventivamente un nuovo assetto
urbanistico dell'area e, nel caso in cui
l'Amministrazione non avesse provveduto alla
necessaria ripianificazione, si sarebbe
potuto tutelare davanti al giudice
amministrativo mediante l'impugnazione del
silenzio-inadempimento (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Se il dipendente pubblico
effettua telefonate brevi non vi è peculato.
Se il dipendente pubblico utilizza un
cellulare aziendale o una connessione
internet mentre è in ufficio, per scopi
privati, non può essere penalmente
perseguibile per il delitto di peculato,
sempre che i costi siano contenuti (Corte di
Cassazione, Sez. VI penale,
sentenza 25.11.2010 n. 41709 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
legittima la sanatoria giurisprudenziale
degli abusi edilizi.
Il Tribunale è consapevole del fatto che la
giurisprudenza non sia univoca sul tema
giacché l'art. 36 del d.p.r. 380/2001
richiede, ove interpretato in senso
strettamente letterale, la doppia conformità
(alla strumentazione urbanistica vigente al
momento della realizzazione delle opere e al
momento della richiesta di sanatoria).
Tuttavia, si osserva come l’art. 36 cit. sia
sostanzialmente analogo, per i profili che
qui interessano, al precedente art. 13 L. n.
47/1985 che richiedeva, per la sanatoria
delle opere prive di concessione, che esse
fossero conformi alla strumentazione
urbanistica approvata e non in contrasto con
quella adottata al momento sia
dell'edificazione, sia della richiesta di
sanatoria (c.d. doppia conformità).
Orbene, è noto come in vigenza di
quest'ultima norma (poi abrogata del D.P.R.
n. 380/2001 cit.) la giurisprudenza abbia
affermato la sufficienza della sola
conformità alla strumentazione urbanistica
in vigore al momento della presentazione
dell'istanza di sanatoria.
Questo, rilevando come l’istituto della
sanatoria fosse di carattere generale e
trovasse la propria genesi in giurisprudenza
consolidata ed in prassi amministrative
univoche ed antiche fondate sui precetti di
buon andamento dell’attività amministrativa
statuiti dall’art. 97 Cost. (Cons. Stato
Sez. V 13.02.1995 n. 238).
Invero, si è ritenuto che di detto istituto
generale l’art. 13 cit. costituisse solo una
fattispecie particolare (c.d. sanatoria a
regime), la cui esistenza lasciasse intatte
le logiche di efficacia ed efficienza
dell’attività amministrativa cui si
ispirava, da sempre, il ripetuto istituto
generale (Cons. Stato Sez. V n. 238/1995
cit.).
Diversamente opinando, è stato ripetutamente
affermato dalla giurisprudenza, si
perverrebbe all’irragionevole risultato di
far demolire un’opera della quale,
contemporanemente, si dovrebbe concedere la
costruzione.
Questo Tribunale ha costantemente aderito al
rammentato indirizzo giurisprudenziale (TAR
Umbria; 30.03.2000 n. 290; id. 08.07.2002 n.
505; id. 29.10.2004 n. 656; id. 08.09.2005
n. 431) e non vede ora motivi per
discostarsene, a ciò ostando il comune buon
senso cui sempre deve ispirarsi il diritto
(TAR Umbria,
sentenza 20.05.2010 n. 329 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
merito
all’invocata
“sanatoria giurisprudenziale”, è ben noto
l’orientamento che fonda sui principi
afferenti il buon andamento e l’economia
dell’azione amministrativa l’obbligo di
rilasciare l’assenso edilizio in sanatoria
allorquando sia regolarmente richiesto in
relazione ad opere già realizzate
abusivamente ma conformi alle norme
urbanistiche vigenti al momento del
rilascio.
L’istituto della sanatoria per accertamento
di conformità previsto dall’art. 13 della L.
28.02.1985 n. 47 è stato introdotto,
nell’ambito di una revisione complessiva del
regime sanzionatorio in materia di abusi
edilizi nel senso di una maggiore severità,
con l’intento di consentire la sanatoria
degli abusi meramente formali, vale a dire
di quelle costruzioni per le quali,
sussistendo ogni altro requisito di legge e
regolamento, manchi soltanto il titolo
rappresentativo dell’assenso
dell’Amministrazione.
Il rilascio della concessione edilizia in
esito ad accertamento di conformità,
pertanto, attribuisce al “responsabile
dell’abuso” una situazione giuridica del
tutto equiparabile a quella del titolare di
un’ordinaria concessione edilizia, onde non
può avere a presupposto se non il fatto che
la fattispecie alla quale si riferisce sia
risultata conforme, sotto ogni altro
aspetto, soggettivo ed oggettivo, alla
normativa urbanistica complessivamente
vigente.
Per il suo rilascio, in altre parole, è
necessario che sussistano tutti i requisiti,
anche soggettivi, che avrebbero consentito
al responsabile dell’abuso di ottenere la
concessione, ove l’avesse tempestivamente
richiesta.
Si comprende, allora, tenendo conto altresì
che si tratta pur sempre di una deroga al
principio fondamentale, sancito dall’art. 1
della L. 28.01.1977 n. 10, il quale
subordina all’assenso dell’Amministrazione
qualsiasi attività che comporti
trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio, perché l’ambito di applicazione
del beneficio è stato delimitato dalla norma
con riferimento ai due momenti temporali in
essa indicati e sopra più volte menzionati.
Si comprende, inoltre, perché i requisiti di
legge che in entrambi i momenti suddetti
devono sussistere sono anche quelli
soggettivi, quando si consideri che
ammettere al beneficio in questione un
soggetto che “al momento della
realizzazione dell’opera” non fosse
legittimato a chiedere ed ottenere la
concessione contrasterebbe con l’espressa
previsione della norma, che solo al “responsabile
dell’abuso” permette di richiedere la
sanatoria.
L’interpretazione puramente letterale
dell’espressione normativa che rapporta la
doppia conformità prescritta “agli
strumenti urbanistici” non appare,
quindi, attendibile.
In realtà, la legge ha detto meno di quanto
voleva dire, come si evince dalla dizione
più comprensiva adoperata dalla disposizione
che oggi sostituisce il citato art. 13 L. n.
47 del 1985, ovvero l’art. 36 del testo
unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia approvato
con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, il quale
assume come parametro dell’accertamento di
conformità quello più generale della “disciplina
urbanistica ed edilizia vigente”.
Quanto
all’invocata “sanatoria giurisprudenziale”,
è ben noto l’orientamento che fonda sui
principi afferenti il buon andamento e
l’economia dell’azione amministrativa
l’obbligo di rilasciare l’assenso edilizio
in sanatoria allorquando sia regolarmente
richiesto in relazione ad opere già
realizzate abusivamente ma conformi alle
norme urbanistiche vigenti al momento del
rilascio.
Si tratta, tuttavia, del più generale
istituto della concessione postuma -diverso
dalla sanatoria per accertamento di
conformità specificamente disciplinata
dall’art. 13 della L. 28.02.1985 n. 47- al
quale, ove, come nella specie, di esso il
privato non si sia a suo tempo avvalso, non
è consentito al giudice fare ricorso,
sostanzialmente esercitando in tal modo un
potere di cui l’Amministrazione ben può
ancora far uso
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.05.2006 n. 3267 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ciò
che conta, ai fini del rilascio della
concessione in sanatoria (ex art. 36 dpr
380/2001) è la conformità
urbanistico-edilizia al momento del rilascio
del titolo, in quanto non avrebbe senso
demolire ciò che può essere assentito e
quindi legittimamente ricostruito subito
dopo.
Quanto alla c.d. doppia conformità,
testualmente richiesta dall’art. 13 della
legge 47/1985, questo Tribunale in alcune
pronunce ha affermato che ciò che conta, ai
fini del rilascio della concessione in
sanatoria è la conformità
urbanistico-edilizia al momento del rilascio
del titolo, in quanto non avrebbe senso
demolire ciò che può essere assentito e
quindi legittimamente ricostruito subito
dopo.
Tale orientamento (c.d. sanatoria
giurisprudenziale, che non viene più seguito
dalla prevalente giurisprudenza) deve essere
applicato con grande cautela, soprattutto di
fronte a significative trasformazioni del
territorio ed in presenza di vincoli di tipo
diverso e sopraordinato rispetto a quelli
urbanistici.
Nel caso in esame può tuttavia essere
confermato, stante l’assenza di vincoli
paesaggistici o ambientali sull’area in
questione (cfr. relazione tecnica, citata) e
l’oggettiva ridotta dimensione delle opere
(il che non esime dalla necessità del titolo
autorizzatorio edilizio, né rende meno
doverosa la previa verifica dell’impatto che
da esse deriva alla luce dei valori tutelati
dalle previsioni del P.R.G.)
(TAR Umbria,
sentenza 08.09.2005 n. 431 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 17.01.2011 |
ã |
UTILITA' |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Guida pratica per i contratti
pubblici di servizi e forniture (a cura
della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Segretariato Generale):
-
Vol. 2° - L’evidenza
pubblica;
-
Vol. 1° - Il mercato
degli appalti (N.B.: la stesura
del volume è precedente all’approvazione del
Regolamento di attuazione del Codice dei
contratti da parte del Consiglio dei
Ministri il 18.06.2010. Il testo pertanto
sarà aggiornato a cura degli autori nelle
parti interessate dalle disposizioni di
dettaglio contenute nel Regolamento). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Inarcassa: dall'01.01.2011 aumenta al 4% il
contributo integrativo per Ingegneri e
Architetti. Guida alla redazione delle
fatture.
L´aumento del contributo integrativo dal 2%
al 4% per ingegneri e architetti, previsto
dal D.M. 05.03.2010 pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19/03/2010,
scatta a partire dal 01/01/2011.
Con l’occasione BibLus-net propone ai
lettori alcuni esempi di redazione di
fatture per prestazioni professionali
considerando tutta la casistica possibile
per tipologia di professionista: ... (link a
www.acca.it). |
CONDOMINIO:
La pubblicazione di Confedilizia “La
disciplina giuridica del condominio con gli
adempimenti degli amministratori di
condominio”.
L’Ufficio legale della Confedilizia
(associazione dei proprietari di immobili)
ha curato la redazione della pubblicazione “La
disciplina giuridica del condominio con gli
adempimenti degli amministratori di
condominio”.
La pubblicazione analizza le disposizioni
vigenti in materia di condominio (contenute
nel codice civile, nelle disposizioni
attuative e nel codice di procedura civile)
e la normative riguardante:
- Antenne e radiotelecomunicazioni;
- Ascensore;
- Barriere architettoniche;
- Fisco;
- Inquinamento acustico;
- Locazioni;
- Prvenzione incendi;
- Privacy;
- Riscaldamento e risparmio energetico;
- Sicurezza impianti.
In allegato la pubblicazione riporta inoltre
le tabelle:
- delle maggioranze assembleari;
- sulla partecipazione alle spese
condominiali dei condomini proprietari di
posti auto siti in autorimesse;
- degli oneri accessori concordata tra
confedilizia e sunia.
Confedilizia precisa che la pubblicazione
non riporta la normativa riguardante le
agevolazioni fiscali sulle ristrutturazioni
edilizie e sul risparmio energetico dato il
loro carattere temporaneo (link a
www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI:
G.U. 10.01.2011 n. 6 "Modifiche ed
integrazioni al decreto legislativo
07.03.2005, n. 82, recante Codice
dell’amministrazione digitale, a norma
dell’articolo 33 della legge 18.06.2009, n.
69" (D.Lgs.
30.12.2010 n. 235). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del
10.01.2011, "Modifica del decreto
07.02.2008 n. 970 «Indicazioni relative ai
criteri e ai parametri di valutazione della
compatibilità e della sostenibilità ai sensi
della dgr 04.07.2007, n. VIII/5054.»" (decreto
D.G. 31.12.2010 n. 13770). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Trattamenti di fine servizio:
Legge 122/2010
(CISL-FPS di Bergamo,
nota 12.01.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Fondo Perseo, parte la previdenza
complementare per Sanità e Autonomie Locali
(CISL-FPS di Bergamo,
nota 12.01.2011). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Aziende speciali, anche
consortili, per la gestione dei servizi alla
persona
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 08.01.2011). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Verso la soppressione dei
consorzi di Polizia?
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 07.01.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Parte la previdenza complementare
per EE.LL. e Sanità: un argine alle misure
del governo sulla liquidazione
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 07.01.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Quesiti relativi alla efficacia
delle norme relative ai cd “passaggi
verticali”: circolare operativa
(CSA di Milano,
nota
gennaio 2011). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Mariano,
La cessione di cubatura
(link a www.altalex.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
F. Patroni griffi,
Valori e princìpi tra procedimento
amministrativo e responsabilizzazione dei
poteri pubblici (con un’attenzione in più
per invalidità non invalidante del provvedimento,
efficienza e trasparenza, danno da ritardo)
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
A. Barbiero,
Tracciabilità dei flussi finanziari relativi
agli appalti ed ai finanziamenti pubblici
[Nota di premessa: questa elaborazione
sostituisce un precedente documento prodotto
in data 07.09.2010, assorbendo gli elementi
di innovazione normativa dettati dal d.l. n.
197/2010 e dalla sua legge di conversione
(n. 217/2010) e le interpretazioni rese
dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti
Pubblici con le determinazioni n. 8/2010 e
n. 10/2010] (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI:
Capolinea consorzi. La
soppressione dalla scadenza. Parere della
Corte conti sugli enti socio-assistenziali.
I consorzi fra comuni
per la gestione associata di servizi
socio-assistenziali vanno sciolti alla prima
scadenza dei rispettivi organi direttivi.
Lo ha confermato la sezione regionale di
controllo per il Piemonte della Corte dei
Conti con il
parere 30.12.2010 n. 101,
ribadendo l'orientamento già espresso pochi
mesi fa dalla corrispondente magistratura
campana con il parere n. 118/2010 (si veda
ItaliaOggi del 13/08/2010).
Ciò per effetto dell'art. 2, c. 186, lett.
e), della legge 191/2009 (legge finanziaria
per il 2010), che ha disposto la
soppressione di tutti i consorzi di funzioni
tra gli enti locali, con la sola eccezione
(prevista dall'art. 1, c. 1-quater, della
legge 42/2010) dei bacini imbriferi montani.
Tali previsioni avevano suscitato più di un
dubbio fra gli addetti ai lavori, in primo
luogo in quanto i consorzi
socio-assistenziali sono espressamente
identificati da numerose leggi regionali
come «obbligatori». Secondo i giudici
contabili subalpini, tuttavia, tali consorzi
rientrano comunque fra quelli da sopprimere,
poiché, al pari di tutti i consorzi di
funzioni, sono identificati dalla
legislazione statale di contenimento della
spesa pubblica come strutture produttive di
costi per gli enti.
Essi, infatti, avendo ad oggetto attività
che devono necessariamente essere svolte in
favore dei cittadini in stato di bisogno,
non sono soggetti all'obbligo di pareggio di
bilancio da perseguire attraverso
l'equilibrio dei costi e dei ricavi, come
invece accade per i consorzi per la gestione
associata di servizi, ancorché privi di
rilevanza economica. In tale prospettiva, si
sottraggono alla tagliola i soli consorzi
che gestiscono anche servizi eccedenti
quelli essenziali che i comuni devono
obbligatoriamente erogare.
La pronuncia della sezione piemontese
chiarisce, poi, un altro aspetto controverso
della suddetta disciplina, ovvero quello
della decorrenza dei relativi effetti. In
proposito, l'art. 1, c. 2, della legge
42/2010 cit. ha disposto che essa si
applichi «a decorrere dal 2011, e per
tutti gli anni a seguire, ai singoli enti
per i quali ha luogo il primo rinnovo del
rispettivo consiglio, con efficacia dalla
data del medesimo rinnovo».
Tale formulazione sembrava legare la
tempistica delle soppressioni dei consorzi
di funzioni a quella dei rinnovi dei
consigli degli enti locali di riferimento,
con evidenti criticità laddove questi ultimi
avessero scadenze elettorali diverse.
Secondo il parere in commento, viceversa, il
termine «enti», che appare
volutamente generico, riferendosi a più
fattispecie diverse fra loro, in quella che
qui interessa non può che indicare, secondo
un'interpretazione logico-sistematica, i
singoli consorzi oggetto delle misure
soppressive.
Pertanto queste ultime si applicheranno, e
produrranno i propri effetti, a decorrere
dal primo rinnovo, a partire dal 2011 e per
tutti gli anni a seguire, del consiglio di
amministrazione del consorzio interessato (articolo
ItaliaOggi del 14.01.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Sponsorizzazioni vietate. In
salvo il sostegno alle associazioni.
Il divieto di effettuare
spese per sponsorizzazioni non abbraccia
anche le concessioni di contributi a favore
di associazioni private, a sostegno di
iniziative realizzate da soggetti terzi, ma
rientranti nei compiti del Comune,
nell'interesse della collettività, anche
sulla scorta dei principi di sussidiarietà
orizzontale previsti dall'articolo 118 della
Costituzione.
Il chiarimento sulla confusa portata del
divieto di effettuare spese per
sponsorizzazioni (articolo 6, comma 9, del
decreto legge 78/2010) arriva dalla sezione
di controllo della Corte dei conti per la
Lombardia (parere
23.12.2010 n. 1075), in risposta
a un comune pavese che, viste le diverse
letture della norma, chiede lumi.
Certamente il divieto opera per le
sponsorizzazioni, che sono contratti
atipici, a titolo oneroso e a prestazioni
corrispettive, attraverso cui una parte
assume, dietro corrispettivo, l'obbligo di
associare alle proprie attività il nome o il
segno distintivo dell'altra parte; l'esempio
classico è la sponsorizzazione della squadra
di calcio.
L'elemento che consente di connotare le
contribuzioni, ancora ammesse,
distinguendole dalle spese di
sponsorizzazioni vietate, dall'01.01.2011, a
tutte le amministrazioni pubbliche (non solo
quindi a comuni, province, unioni di
comuni), è lo svolgimento da parte di
soggetti privati di un'attività propria del
comune, che rientra nelle competenze
dell'ente pubblico. Sono consentite quindi
le iniziative organizzate dalle
amministrazioni pubbliche, sia direttamente,
sia indirettamente, purché -precisa la Corte
dei conti per la Puglia sulla stessa
problematica (parere
15.12.2010 n. 163)- realizzate
per il tramite di soggetti istituzionalmente
preposti allo svolgimento di attività di
valorizzazione del territorio.
A titolo esemplificativo, non rientrano nel
divieto le provvidenze ad associazioni che
erogano servizi pubblici a favore delle
fasce deboli della popolazione (anziani,
minori, eccetera) oppure a privati per la
tutela di diritti garantiti dalla
Costituzione (il diritto allo studio,
eccetera).
L'esclusione dei contributi dall'alveo delle
spese per sponsorizzazioni, precisano i
magistrati lombardi, deve essere motivata
nel ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 10.01.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Il testo integrale della deliberazione della
Corte dei Conti sui rilievi che hanno
condotto alla non ammissione al visto alcuni
articoli del DPR n. 207/2010 (Regolamento
codice contratti pubblici) (Corte dei Conti,
Sez. Centrale di Controllo di Legittimità,
deliberazione
14.12.2010 n. 28). |
ENTI LOCALI:
Revisori, no ai compensi ridotti.
Ricorsi contro il taglio del 10% a decorrere
dall'01/01/2011. La delibera della Corte dei
conti della Toscana ha messo in
fibrillazione gli operatori.
La Corte dei conti, sezione regionale di
controllo per la Toscana, con
parere 09.12.2010 n. 204, ha
espresso il parere che anche il compenso
spettante ai revisori degli enti locali
debba essere ridotto del 10% a decorrere
dall'01/01/2011, rispetto agli importi
risultanti al 30/04/2010, ai sensi dell'art.
6, comma 3, del dl 78/2010.
Questa associazione ritiene che tale parere
che, come espresso nelle scarse motivazioni,
interpreta l'intento del legislatore come
indirizzato alla riduzione «indistinta»
dei costi amministrativi e politici
dell'apparato pubblico, non sia
assolutamente condivisibile per i seguenti
motivi:
a)
l'art. 6, comma 3, del dl 78/2010, dispone
la riduzione dall'01/01/2011 e sino al
31/12/2013, del 10% rispetto agli importi
risultanti al 30/4/2010, delle indennità,
compensi, gettoni, retribuzioni o altre
utilità comunque denominate corrisposte
dalle pubbliche amministrazioni e quindi
anche enti locali, ai «componenti di
organi di indirizzo, direzione e controllo,
consigli di amministrazione e organi
collegiali comunque denominati ed ai
titolari di incarichi di qualsiasi tipo»;
b)
l'organo di revisione non può essere
definito organo di controllo. In nessuna
parte del titolo VII del Tuel, dedicato alla
revisione degli enti locali, è
rintracciabile il termine «organo di
controllo», ma bensì la definizione di «organo
di revisione» o «organo di revisione
economico-finanziario». Le funzioni
dell'organo di revisione come elencate
nell'art. 239 del Tuel, comprendono
l'attività di collaborazione, di vigilanza,
di attestazione dei risultati, di referto e
di verifiche di cassa;
c)
l'organo di revisione degli enti locali non
può rientrare nella categoria degli «organi
collegiali comunque denominati», stante
che nella maggior parte degli enti è un
organo monocratico (revisore unico);
d)
il legislatore quando ha voluto comprendere
nei vincoli e limitazioni di spesa l'organo
di revisione lo ha esplicitamente indicato
(vedi, per esempio, il successivo comma 5
del citato art. 6 del dl 78/2010);
e)
ai revisori degli enti locali è attribuito
un compenso determinato dal Consiglio nella
delibera di nomina entro il limite massimo
stabilito con decreto del ministro
dell'interno (vedi dm 20/5/2005);
f)
per il revisore unico nominato nei comuni da
5.000 a 15.000 abitanti il compenso non è
ancora attribuito in via definitiva come
indicato nella circolare FL 5/2007, del
Mininterno e quindi non appare possibile
ridurre un importo attribuito in via
provvisoria al 30/04/2010;
g)
se l'intento del legislatore era quello di
ridurre anche i compensi dei revisori doveva
fare riferimento diretto a quelli stabiliti
dal dm di cui al comma 1 dell'art. 241 del
Tuel;
h)
l'art. 1, comma 4, del Tuel dispone che le
modifiche al testo unico devono essere
espressamente modificative delle sue
disposizioni. Mentre l'art.5, comma 7 del dl
78/2010 modifica espressamente l'art. 82 del
Tuel (indennità ai consiglieri), l'art. 6,
comma 3, in commento non esprime nessun
richiamo esplicito modificativo dell'art.
241 del Tuel;
i)
trattandosi di una norma di limitazione non
può essere interpretata in modo estensivo.
Si ritiene, pertanto, per le motivazioni di
cui sopra, che la riduzione del 10% prevista
dall'art. 6, comma 3, del dl 78/2010, non
sia in alcun modo applicabile ai revisori
degli enti locali.
L'Ancrel-Club dei revisori invita gli
associati, in attesa di un chiarimento
definitivo, a non accettare la riduzione del
compenso ed a promuovere eventualmente con
la nostra collaborazione ricorso avverso
l'atto di riduzione (articolo ItaliaOggi del
14.01.2011). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Le
modalità di relazione tra primo cittadino e
amministrazione locale. Incompatibilità
limitata. Serve la concreta contrapposizione
d'interessi.
È sufficiente, per
configurare un'ipotesi di incompatibilità
alla carica di sindaco, la chiamata in
giudizio del Comune senza che sussista tra
quest'ultimo e l'amministratore una concreta
contrapposizione d'interessi?
La Corte di cassazione ha più volte ribadito
che l'espressione “essere parte di un
procedimento” va intesa in senso
tecnico, per cui la pendenza di una lite va
accertata con riferimento alla qualità di
parte in senso processuale, quindi agli
effetti della sussistenza della causa di
incompatibilità della lite pendente con il
comune, non sono sindacabili i motivi del
giudizio pendente, dovendo unicamente
rilevarsi il dato formale e obiettivo di
tale pendenza, che esaurisce «ex se»
il presupposto dell'incompatibilità (cfr.
Cass. Civ., sez I, 16.02.1991, n. 1666).
Secondo un orientamento giurisprudenziale
più recente è stato ritenuto che ad
integrare gli estremi della causa di
incompatibilità di cui al comma 1, n. 4 del
citato art. 63, «non basta la pura e
semplice constatazione dell'esistenza di un
procedimento civile o amministrativo nel
quale risultino coinvolti, attivamente o
passivamente, l'eletto o l'ente, ma occorre
che a tale dato formale corrisponda una
corretta contrapposizione di parti, ossia
una reale situazione di conflitto: solo in
tal caso sussiste l'esigenza di evitare che
il conflitto di interessi nella lite
medesima possa orientare le scelte
dell'eletto in pregiudizio dell'ente
amministrativo, o comunque possa ingenerare
all'esterno sospetti al riguardo» (cfr.
Cass. Civ., sez. I, 28.07.2001, 10335). Se
manca, fin dal primo grado di giudizio, una
concreta contrapposizione tra le parti e,
quindi una reale situazione di conflitto,
non sussiste la causa di incompatibilità di
cui all'art. 63, comma 1, n. 4, del Tuoel.
Non sussistono, quindi, i presupposti per
avviare la procedura di scioglimento del
consiglio comunale per la decadenza del
sindaco conseguente all'asserita causa di
incompatibilità del medesimo (articolo
ItaliaOggi del 14.01.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Equilibri di bilancio e
scioglimento.
In caso di mancata approvazione, da parte
del consiglio, dello schema di delibera di
presa d'atto del permanere degli equilibri
di bilancio, è possibile avviare la
procedura di scioglimento ex art. 141 del
testo unico senza la preventiva diffida al
consiglio comunale?
Ai fini della procedura sanzionatoria, ai
sensi del combinato disposto dagli artt.
141, comma 2, e 193, comma 4, del decreto
legislativo n. 267/2000, il legislatore non
ha inteso dare rilevanza ai motivi che hanno
condotto alla mancata presa d'atto della
permanenza degli equilibri di bilancio, ma
solo al dato obiettivo della mancata
adozione, entro il termine prescritto dalla
legge, dei necessari provvedimenti di
riequilibrio di bilancio. Non ha, cioè,
rilevanza se la mancata adozione della
delibera suddetta sia dovuta ad inerzia
oppure ad espressa volontà contraria del
consiglio.
Al verificarsi di tale evento, la norma
prevede che il Prefetto debba procedere a
diffidare il consiglio comunale, ai sensi
dell'art. 1 del decreto legge n. 13/2002,
convertito dalla legge n. 75/2002, ad
approvare il fondamentale documento
contabile ed a procedere, in caso di
inadempimento e qualora gli statuti degli
enti locali non abbiano previsto l'organo
deputato a intervenire in via sostitutiva, a
nominare un commissario che provveda al
riguardo.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha
chiarito che la «legge non collega
all'inosservanza del termine ordinario di
cui all'art. 175 alcuna immediata e concreta
conseguenza dissolutoria, ma la semplice
apertura di un procedimento sollecitatorio,
che può condurre all'adozione della grave
misura dello scioglimento dell'organo, ma il
cui presupposto non è la mera inosservanza
del termine suddetto bensì la constatata
inadempienza a un'intimazione puntuale e
ultimativa dell'organo competente, che
attesta l'impossibilità, o la volontà del
consiglio di non approvare il bilancio»
(cfr. Consiglio di Stato, Sez. V,
19.02.2007, n. 826).
Considerata la gravità del provvedimento di
scioglimento, è comprensibile che il
legislatore abbia voluto, a garanzia
dell'autonomia dell'ente e in applicazione
del principio costituzionale di leale
collaborazione, subordinare sempre alla
previa diffida l'eventuale provvedimento
dissolutorio, come è previsto per l'altra
ipotesi di scioglimento derivante da «gravi
e persistenti violazioni di legge».
Esaurita infruttuosamente anche la fase
della diffida, ai fini dell'ulteriore corso
della proposta di scioglimento, occorrerà
attendere l'esito dell'intervento
sostitutivo.
Solo laddove venisse accertata la
sussistenza dello squilibrio di bilancio,
con conseguente adozione dei provvedimenti
di competenza da parte del commissario ad
acta, si configureranno gli estremi per
l'applicazione della misura di rigore
(articolo ItaliaOggi del 14.01.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Entrata in vigore il 24.11.2010,
la legge 183/2010 introduce novità per il
pubblico impiego. Collegato lavoro, cantiere
aperto. Sull’applicazione delle nuove norme
serve aprire un negoziato.
Entrata in vigore il 24 novembre, la legge
n.183/2010, più nota come «collegato
lavoro», introduce novità significative
anche per il pubblico impiego.
Il provvedimento, che segue la manovra
finanziaria per gli anni 2009/2013, contiene
infatti, al di là delle disposizioni in tema
di controversie sul lavoro su cui si è molto
dibattuto, norme in materia di
riorganizzazione di enti, congedi,
aspettative e permessi, mobilità,
ammortizzatori sociali, trasparenza, servizi
per l’impiego.
Si tratta ... (articolo
ItaliaOggi del 01.01.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Responsabili di servizio al test
della cessione delle quote.
Entro il 31/12/2010, le amministrazioni
pubbliche previste all'art. 1, c. 2, del
dlgs 165/2001, fra le quali rientrano gli
Enti locali, avrebbero dovuto cedere, nel
rispetto delle procedure ad evidenza
pubblica, le partecipazioni in società
aventi per oggetto attività di produzione di
beni e di servizi non strettamente
necessarie per il perseguimento delle
proprie finalità istituzionali.
La cessione non riguardava né le
partecipazioni in società che erogano
servizi di interesse generale, né le società
quotate. Tale obbligo, previsto dall'art. 3
commi 27-29 della Legge 244/2007 (Legge
Finanziaria 2008) è stato oggetto
d'interpretazione, fra l'altro, da parte
della Corte dei conti — Sez. Reg. di
Controllo della Lombardia che, con la
deliberazione n. 48 del 817/2008, ha
sostenuto che il termine fissato dalla
legge, e più volte posticipato, doveva
essere inteso come quello entro la quale
avviare la procedura di dismissione, ma non
obbligatoriamente per completare tutto
l'iter di cessione delle partecipazioni
vietate; ciò per evitare svendite o
speculazioni dei soggetti privati nella
determinazione del prezzo di acquisto delle
partecipazione in mano pubblica.
Nella prassi, pertanto, il comportamento
tenuto dalla maggior parte degli Enti locali
è stato quello di assumere entro il
31/12/2010 una decisione di Consiglio con la
quale, dopo avere analizzato le
partecipazioni detenute dall'Ente e
verificato l'esistenza di quella condizione
di stretta necessità prevista dalla legge, è
stato deciso quali partecipazioni mantenere
e quali cedere.
All'indomani di tale decisione è bene che il
responsabile del servizio a cui è stato
demandato l'espletamento del procedimento di
cessione inizi a porsi il problema di cosa
fare, anche per evitare che, in assenza di
uno specifico termine di conclusione di tale
procedimento, si rischi di non arrivare mai
alla vera e propria cessione delle
partecipazioni vietate.
Il procedimento di cessione, infatti, si
presenta piuttosto complesso e non privo di
criticità, anche in considerazione del fatto
che nello stesso si intrecciano
inevitabilmente norme di diritto
amministrativo e norme di diritto
commerciale: basti pensare, ad esempio, alla
necessità di contemperare l'obbligo di
evidenza pubblica coni diritti riconosciuti
agli altri ... (articolo
ItaliaOggi del 14.01.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Concertazione ancora d'obbligo.
Il tribunale di Roma dà ragione ai
sindacati.
La concertazione con i
sindacati è ancora obbliatoria. Negli enti
locali, così come nella amministrazioni
centrali dello stato. Perché in materia di
contrattazione collettiva la legge Brunetta
(dlgs 150/2009), che ha mandato in soffitta
l'obbligo di accordo con i sindacati
(sostituendolo con la semplice
comunicazione), si applica solo dalla
tornata contrattuale successiva a quella in
corso.
Lo ha deciso il tribunale di Roma (terza
sezione lavoro) con la sentenza n. 687/2011
del gennaio con cui ha accolto il ricorso
della Flp (Federazione lavoratori pubblici e
funzioni pubbliche) contro l'Agenzia delle
dogane, rea di aver dato il proprio
benestare al passaggio tra aree funzionali
di 544 dipendenti, senza preventivo assenso
dei sindacati.
Un errore, ha riconosciuto il tribunale, in
cui le Dogane sono state indotte dalla
circolare n. 7/2010 della Funzione pubblica
che invece aveva sostenuto l'immediata
applicabilità delle norme sulla
partecipazione sindacale. Ne consegue dunque
la piena legittimità delle disposizioni dei
contratti collettivi vigenti che prevedono
la concertazione.
Tali norme, ha spiegato il giudice
monocratico capitolino, «non potranno
dirsi affette da nullità sopravvenuta per
contrasto ... (articolo
ItaliaOggi del 12.01.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Le partite di inizio anno. Il
milleproroghe non ha introdotto deroghe sui
vincoli al turn-over.
Gestione al buio nei mini-comuni. Nessuna
traccia delle regole per le associazioni
obbligatorie.
Che fine ha fatto
l'obbligo della gestione associata della
gran parte delle funzioni fondamentali?
Quante assunzioni a tempo indeterminato
possono essere effettuate?
Sono i principali dubbi che affliggono i
piccoli comuni (con popolazione inferiore a
5mila abitanti) e che si aggiungono alle
difficoltà per i crescenti vincoli imposti
dalla legislazione, come l'ultimo sui rigidi
tetti all'indebitamento (si veda l'articolo
sotto). Una somma di dubbi e vincoli, non
chiaritine attutiti dal decreto
milleproroghe, che mette in difficoltà
l'attività di queste amministrazioni.
Il Dl n. 78/2010, la manovra estiva, ha
posto la parola fine -finora solo sulla
carta- a quasi 20 anni di dibattiti su come
superare il numero eccessivo dei comuni: al
di sotto dei 5mila abitanti vi sono quasi 3
municipi su 4. Ha infatti stabilito che
tutte le funzioni fondamentali, cioè la
stragrande maggioranza dei compiti, devono
essere gestite informa associata, tramite
unione dei comuni e/o convenzione, nonché in
via interpretativa anche tramite le comunità
montane.
Lo stesso decreto ha rinviato alla
legislazione regionale e a uno specifico
Dpcm l'individuazione delle modalità
concrete di attuazione: in particolare la
soglia demografica e/o il numero di comuni
minimi da raggiungere. L'ampiezza della
delega è confermata dal fatto che le regioni
non possono imporre il vincolo della
gestione associata solamente ai comuni
capoluogo di provincia e a quelli che hanno
più di 100mila abitanti.
Il provvedimento ha anche indicato il
termine
per l'adozione ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 10.01.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione edilizia - Istanza -
silenzio dell’amministrazione - Ricorso
giurisdizionale - Accertamento della
legittimità della pretesa ad ottenere la
concessione - Preclusione.
Nel caso di ricorso giurisdizionale contro
il silenzio mantenuto dall'Amministrazione
comunale sull'istanza di concessione
edilizia, la pronuncia del giudice deve
limitarsi alla declaratoria di illegittimità
del silenzio (da cui discende l'obbligo di
esprimersi tempestivamente sulla richiesta)
e non anche estendersi all'accertamento
della legittimità della pretesa ad ottenere
la concessione, in quanto asseritamente
fondata su una piena conformità delle opere
rispetto alle previsioni della
strumentazione urbanistica vigente, atteso
che detto accertamento richiede una
valutazione che va in primo luogo rimessa
alla competenza del Comune e che postula
pure apprezzamenti di ordine tecnico (TAR
Campania-Napoli, n. 4698 del 26.10.2001; TAR
Campania Sez. II Napoli, 12/11/2004 n.
16775; 05/08/2004 n. 11099) (TAR
Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 13.01.2011 n. 7 - link a
www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un concorrente per carenza della
regolarità contributiva in corso di gara.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
privo del requisito di regolarità
contributiva, che pur abbia provveduto a
sanare detta carenza, ma successivamente
alla data all'uopo indicata dal bando, in
quanto, secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, la mancanza del predetto
requisito alla data di scadenza del termine
previsto dal bando per la presentazione
delle offerte, non è sanato dall'eventuale
adempimento tardivo dell'obbligazione
contributiva, atteso che tale tardivo
adempimento può rilevare nelle reciproche
relazioni di credito e di debito fra i
soggetti del rapporto obbligatorio e non,
invece, anche nei confronti
dell'amministrazione appaltante deputata ad
accertare la sussistenza del requisito della
regolarità contributiva ai fini
dell'ammissione alla gara.
Un'acquisizione tardiva della correttezza
contributiva non esclude l'obbligo, in capo
alla stazione appaltante, di disporre
l'esclusione dell'impresa inadempiente, pena
una palese violazione del principio di par
condicio tra i concorrenti, in quanto,
diversamente, si consentirebbe ad un
soggetto carente dei requisiti prescritti
dal bando -quale, come nel caso di specie,
la correttezza contributiva- di sanare ex
post tale mancanza, con evidente disparità
di trattamento nei confronti di quelle
imprese, che, conformemente alle
disposizioni normative, erano in possesso di
quei requisiti alla data indicata dal
regolamento di gara (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 12.01.2011 n. 104 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Il concorrente che abbia
tempestivamente richiesto il d.u.r.c. e si
veda rilasciare un documento, privo di
accertamenti negativi ma incompleto per
inerzia dell'ente interpellato, non può
subire conseguenze pregiudizievoli a causa
dell'inefficienza dell'ente medesimo,
avendo, oltre tutto, soddisfatto l'onere di
produrre l'unico documento di cui poteva
disporre alla scadenza del termine per la
presentazione della domanda.
A norma
dell’art. 8, comma 3, del d.m. 24.10.2007 e
secondo le precisazioni contenute nella
Circolare del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale 30.01.2008: “3. Ai
soli fini della partecipazione a gare di
appalto non osta al rilascio del DURC uno
scostamento non grave tra le somme dovute e
quelle versate, con riferimento a ciascun
Istituto previdenziale ed a ciascuna Cassa
edile. Non si considera grave lo scostamento
inferiore o pari al 5% tra le somme dovute e
quelle versate con riferimento a ciascun
periodo di paga o di contribuzione o,
comunque, uno scostamento inferiore ad €
100,00, fermo restando l'obbligo di
versamento del predetto importo entro i
trenta giorni successivi al rilascio del
DURC.”.
La detta normativa regolamentare, che impone
di dichiarate la regolarità contributiva
anche in caso di violazioni non gravi dei
relativi obblighi, costituisce applicazione
di un principio sancito, a livello
legislativo, dall’art. 38, comma 1, lett.
i), del d.lgs n. 163 del 2006, a norma del
quale devono essere esclusi dalle gare i
soggetti: “che hanno commesso violazioni
gravi, definitivamente accertate, alle norme
in materia di contributi previdenziali e
assistenziali, secondo la legislazione
italiana o dello Stato in cui sono stabiliti”.
La giurisprudenza si attiene costantemente
dal suddetto dettato normativo, affermando:
“In materia di esclusione dalla
partecipazione alle procedure di gara e
dalla stipula dei relativi contratti dei
soggetti che "hanno commesso violazioni
gravi, definitivamente accertate, alle norme
in materia di contributi previdenziali e
assistenziali, secondo la legislazione
italiana e dello Stato in cui sono
stabiliti", l'art. 38, comma 1, lett. i),
del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n.
163 del 2006) deve essere interpretato nel
senso che il principio dell'autonomia del
procedimento di rilascio del DURC (documento
unico regolarità contributiva) impone che la
stazione appaltante debba basarsi sulle
certificazioni risultanti da quest'ultimo
documento, prendendole come un dato di fatto
inoppugnabile, e debba altresì valutare,
innanzi tutto, se sussistono procedimenti
diretti a contestare gli accertamenti degli
enti previdenziali riportati nel DURC, o
condoni, ed in secondo luogo se la
violazione riportata nel DURC, in relazione
all'appalto o fornitura in questione o alla
consistenza economica della ditta
concorrente o ad altre circostanze, risulti
o no "grave" (Consiglio Stato, sez. IV,
15.09.2010, n. 6907).
Il dato normativo e giurisprudenziale rende
evidente che neppure in presenza di una
accertata violazione degli obblighi
contributivi la stazione appaltante può
disporre automaticamente la esclusione dalla
gara, e ciò deve indurre, per il principio
di continenza, a trarre conclusioni dello
stesso segno in ipotesi, come quella in
esame, in cui sia presentato un d.u.r.c. in
corso di validità, dal quale non emerga
alcuna inadempienza ai predetti obblighi.
In tema di rilascio del d.u.r.c. vige il
principio del silenzio assenso che si matura
al trentesimo giorno dalla data di
presentazione della richiesta. L’emissione
di un d.u.r.c incompleto per mancata
pronuncia di uno degli enti tenuti al
rilascio non impedisce di ritenere
implicitamente certificata la regolarità
contributiva, per la parte non considerata
dalla certificazione esplicita, con il
compiersi del termine prescritto per la
formazione del silenzio assenso.
D’altra parte, il concorrente che abbia
tempestivamente richiesto il d.u.r.c. e si
veda rilasciare un documento, privo di
accertamenti negativi, ma incompleto per
inerzia dell’ente interpellato, non può
subire conseguenze pregiudizievoli a causa
dell’inefficienza del medesimo, avendo,
oltre tutto, soddisfatto l’onere di produrre
l’unico documento di cui poteva disporre
alla scadenza del termine per la
presentazione della domanda.
Né va taciuto che –secondo la
giurisprudenza– il d.u.r.c., anche se
formatosi in virtù del silenzio assenso, “assume
la valenza di una dichiarazione di scienza,
da collocarsi fra gli atti di certificazione
o di attestazione redatti da un pubblico
ufficiale ed aventi carattere meramente
dichiarativo di dati in possesso della
pubblica amministrazione, assistito da
pubblica fede ai sensi dell'articolo 2700
c.c., facente pertanto prova fino a querela
di falso. Attesa la natura giuridica del
DURC, non residua in capo alla stazione
appaltante alcun margine di valutazione o di
apprezzamento in ordine ai dati ed alle
circostanze in esso contenute” (Cons.
St., sez. IV, 12.03.2009 n. 1458)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.01.2011 n. 83 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla non applicabilità del
divieto di partecipazione a gare d'appalto,
imposto dall'art. 13 del D.L. n. 223/2006,
alle società miste, partecipate da soggetti
pubblici e privati.
Il divieto di partecipazione a gare
d'appalto, previsto dall'art. 13, commi 1 e
2 del D.L. n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani
1), per le società c.d. strumentali, non si
applica, anche con riferimento alle c.d. "società
miste", vale a dire quelle che, come nel
caso di specie, non presentano, quale
oggetto sociale esclusivo, lo svolgimento
dei servizi pubblici locali, in quanto le
citate tipologie societarie presentano
differenti caratteristiche giuridiche e
diverso modello organizzativo, anche con
riguardo alla finalità della speciale
disciplina limitativa di cui al citato art.
13, ossia di evitare alterazioni o
distorsioni della concorrenza e del mercato
e di assicurare la parità degli operatori.
Pertanto, mentre i divieti e gli obblighi
imposti dai citati commi del predetto art.
13 trovano giustificazione per le società
c.d. strumentali, non altrettanto
ragionevole appare l'applicazione della
stessa anche per quelle società c.d. "miste",
partecipate da soggetti pubblici e privati
le quali, pur non avendo un oggetto sociale
esclusivo circoscritto alla sola operatività
con gli enti costituenti o partecipanti o
affidanti e, quindi, svolgendo sia servizi
pubblici locali, sia altri servizi e
forniture di beni a favore degli enti
pubblici e privati partecipanti nonché a
favore di altri enti o loro società o
aziende pubbliche e private, operano
comunque nel pieno rispetto delle regole di
concorrenza imposte dal mercato, nonché di
quelle previste per le procedure di
affidamento dei contratti pubblici
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.01.2011 n. 77 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Ogni impresa operante in un
determinato settore ha un interesse tutelato
a contestare la scelta della p.a. di non
procedere all'indizione di una procedura di
gara pubblica.
Sulle condizioni che devono sussistere
affinché si possa far ricorso alla procedura
negoziata senza previa pubblicazione di un
bando di gara.
Ogni impresa operante in un determinato
settore ha un interesse tutelato a
contestare anche la scelta della p.a. di non
procedere all'indizione di una procedura di
gara pubblica a tutela del principio della
libera concorrenza e del criterio di
effettività del diritto alla tutela
giurisdizionale, atteso che la mancata
indizione di una procedura di evidenza
pubblica lede il suo interesse sostanziale a
competere, secondo pari opportunità, ai fini
dell'ottenimento di commesse da aggiudicarsi
secondo le prescritte procedure.
Il ricorso alla procedura senza
pubblicazione del bando di gara di cui
all'art. 57 c. 2, lett. c), d.lgs. n. 163 del
2006 trova fondamento nella presenza di
circostanze eccezionali che non consentano
l'indugio degli incanti e della licitazione
privata, a condizione però che l'estrema
urgenza risulti da eventi imprevedibili per
la stazione appaltante e non dipenda da un
ritardo nell'attivazione dei procedimenti ad
essa imputabile e solo quando l'estrema
urgenza non sia compatibile con i termini
imposti dalle procedure aperte, ristrette o
negoziate previa pubblicazione di un bando
di gara (TAR Abruzzo, Sez. I,
sentenza 10.01.2011 n. 3 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione da una gara di un
concorrente che abbia svolto, in precedenza,
servizi analoghi ma non identici a quelli
richiesti dal bando.
Sulla portata del significato da attribuire
al termine "servizio analogo", ai fini
dell'aggiudicazione di una gara d' appalto.
E' illegittimo il provvedimento di
esclusione adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che abbia svolto, nel triennio precedente,
servizi aventi ad oggetto prestazioni simili
ma non identiche a quelle prescritte dal
bando di gara.
Nel caso di specie, la lex specialis
richiedeva la stipulazione di contratti
sottoscritti direttamente con strutture
sanitarie pubbliche o private, laddove
l'impresa concorrente, invece, ha svolto
analoghi servizi per una società fornitrice,
a sua volta, delle predette strutture.
Ai sensi della direttiva 2004/18/CE, è
inaccettabile la decisione di valorizzare
soltanto contratti stipulati direttamente
con Aziende sanitarie pubbliche e private.
peraltro, posto che il bando richiedeva un
fatturato minimo per servizi analoghi e non
"identici", prestati in strutture
sanitarie pubbliche o private, la stazione
appaltante era tenuta ad ammettere alla
competizione tutti i soggetti capaci di
dimostrare l'acquisizione della necessaria
esperienza, a prescindere dal titolo
giuridico sottostante, e ciò a tutela del
principio del favor partecipationis.
Sul punto va richiamata anche la
giurisprudenza interna, avallata dagli artt.
41 e 42 del d.lgs. n. 163/2006, secondo cui
un prestatore ben può comprovare il possesso
dei requisiti economici, finanziari e
tecnici di partecipazione ad una gara di
appalto pubblico di servizi, facendo
riferimento alle capacità di altri soggetti,
qualunque sia la natura giuridica dei
vincoli che ha con essi: unica condizione
posta dal giudice comunitario è la prova
dell'effettiva disponibilità dei mezzi
necessari all'esecuzione dell'appalto,
attraverso l'attestazione di rapporti
giuridici idonei, spettando poi, al giudice
nazionale, valutare la correttezza di tale
dimostrazione.
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Ai fini della dimostrazione della capacità
tecnica ed in particolare nella scelta del
fatturato minimo da provare, rientra nella
discrezionalità dell'amministrazione
aggiudicatrice stabilire quali, tra le
modalità elencate dal bando, siano utili
nelle singole procedure di gara, a seconda
della natura, quantità ed utilizzo dei
servizi o delle forniture. Tuttavia, una
volta scelto un particolare requisito, ne
deve essere data un'interpretazione ampia,
per non creare un'eccessiva compressione
della concorrenza.
L'art. 42, c. 1, lett. a), del d.lgs. n.
163/2006, interpretato coerentemente con i
principi comunitari, non limita la
possibilità di partecipazione ai soli
soggetti economici che abbiano già prestato
i medesimi servizi o forniture.
Il concetto di "servizio analogo" va
inteso non già come identità, bensì come
similitudine tra le prestazioni richieste,
considerando che l'interesse pubblico
sottostante non è la creazione di una
riserva a favore degli imprenditori già
presenti sul mercato, ma l'apertura del
mercato attraverso l'ammissione alle gare di
tutti i concorrenti per i quali si possa
raggiungere un giudizio complessivo di
affidabilità.
E ciò tanto più nell'ipotesi in cui sorgano
dubbi in ordine alla portata di una regola
di gara, laddove è preferibile
un'interpretazione volta a tutelare la più
ampia partecipazione delle imprese alla gara
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 08.01.2011 n. 23 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità del recesso, da
parte di un'amministrazione comunale, di un
contratto già sottoscritto, per caducazione
dello stesso a seguito dell'annullamento
degli atti che ne hanno determinato la
stipulazione.
E' legittimo l'operato di un'Amministrazione
comunale che, successivamente alla
sottoscrizione di un contratto con
l'affidatario di un appalto aggiudicato a
seguito di trattativa privata, abbia
receduto dalla stesso, successivamente
all'annullamento degli atti che ne hanno
determinato la stipulazione, in quanto, in
siffatta ipotesi, non può parlarsi di
recesso unilaterale dal contratto, bensì di
caducazione dello stesso.
Infatti, l'accertata illegittimità della
procedura di affidamento di un'opera o di un
servizio da parte di una P.A. determina
anche l'inefficacia del contratto
eventualmente già sottoscritto. Secondo
costante giurisprudenza, in relazione al
possibile esercizio in materia dei poteri
autotutela, anche se nei contratti della
P.A. l'aggiudicazione, quale atto conclusivo
del procedimento di scelta del contraente,
segna il momento dell'incontro tra la
volontà della stessa amministrazione e
quella del privato di concludere il
contratto, non è tuttavia precluso alla
stazione appaltante di procedere,
successivamente e con richiamo ad un
concreto interesse pubblico,
all'annullamento d'ufficio
dell'aggiudicazione, fondandosi detta
potestà di annullamento in autotutela sul
principio costituzionale di buon andamento,
che impegna la P.A. ad adottare atti il più
possibile rispondenti ai fini da conseguire,
ma con l'obbligo di fornire una adeguata
motivazione in ordine ai motivi che
giustificano il provvedimento di autotutela.
In virtù della stretta consequenzialità tra
l'aggiudicazione della gara pubblica e la
stipula del relativo contratto,
l'annullamento giurisdizionale, ovvero, come
nel caso di specie, l'annullamento a seguito
di autotutela degli atti della procedura
amministrativa, comporta la caducazione
automatica degli effetti negoziali del
contratto successivamente stipulato, stante
la preordinazione funzionale tra tali atti.
Infatti il contratto non ha una autonomia
propria, pertanto è destinato a subire gli
effetti del vizio che affligge il
provvedimento cui è collegato, restando "caducato"
a seguito dell'annullamento degli atti che
ne hanno determinato la sottoscrizione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.01.2011 n. 11 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità della clausola
di un bando che prescriva, a pena di
esclusione, la mancanza di situazioni di
collegamento o di controllo tra imprese.
Una stazione appaltante può introdurre nella
lex specialis di gara clausole
escludenti relative ad altri fatti e
situazioni che, pur non integrando gli
estremi del collegamento o controllo
societario civilistico in senso stretto,
siano tuttavia idonei ad alterare la serietà
ed indipendenza delle offerte.
Tale orientamento è stato confermato anche
alla luce di una recente pronuncia della
Corte di Giustizia, secondo cui, rapporti
fra imprese partecipanti alla stessa gara
d'appalto possono condizionare i rispettivi
comportamenti e distoglierle da quel
rapporto squisitamente concorrenziale che
costituisce la stessa ragion d'essere delle
procedure di gara.
Prevale, quindi, l'esigenza di assicurare
l'effettiva ed efficace tutela della
regolarità della gara e, in particolare, la
par condicio fra tutti i concorrenti, nonché
la serietà e compiutezza delle offerte, e si
deve evitare che, attraverso meccanismi di
influenza societari, pur non integranti
collegamenti o controlli di cui all'art.
2359 cod. civ., venga alterata la
competizione, a discapito dell'interesse
pubblico alla scelta del giusto contraente
(TAR Lazio, Sez. III,
sentenza 30.12.2010 n. 39154 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza quanto agli interventi di
ripristino di edifici diruti precisa la
relativa nozione riportandola agli organismi
edilizi dotati di sole mura perimetrali e
privi di copertura e, correttamente, nega
che essi possano essere classificati come
restauro e risanamento conservativo.
La giurisprudenza –anche di questa Sezione-,
quanto agli interventi di ripristino di
edifici diruti, precisa la relativa nozione
riportandola agli organismi edilizi dotati
di sole mura perimetrali e privi di
copertura (TAR Campania, Napoli, sezione IV,
14.12.2006 n. 10553) e, correttamente, nega
che essi possano essere classificati come
restauro e risanamento conservativo (TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 04.03.2010, n.
1286; TAR Campania, Napoli, sez. VI,
09.11.2009 n. 7049; TAR Lazio, Latina,
15.07.2009, n. 700).
Essa pone, inoltre, una condivisibile
distinzione tra le ipotesi in cui esista un
organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura in stato di conservazione tale da
consentire la sua fedele ricostruzione, nel
quale caso è possibile parlare di
demolizione e fedele ricostruzione, e dunque
di ristrutturazione; e le ipotesi in cui,
invece, manchino elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell'edificio da recuperare,
configurandosi in quest'evenienza, invero,
un intervento di nuova costruzione (TAR
Veneto Venezia, sez. II, 05.06.2008, n.
1667), per l’assenza degli elementi
strutturali dell'edificio, in modo tale che,
seppur non necessariamente "abitato"
o "abitabile", esso possa essere
comunque individuato nei suoi connotati
essenziali (Consiglio di Stato, sez. V,
10.02.2004, n. 475)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 23.12.2010 n. 28002 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
occasione dell’adozione di provvedimenti
repressivi degli abusi edilizi gli stessi
non devono essere preceduti dalla
comunicazione di avvio del procedimento,
trattandosi di provvedimenti tipici e
vincolati emessi all’esito di un mero
accertamento tecnico della consistenza delle
opere realizzate e del carattere abusivo
delle medesime.
Per consolidata regola giurisprudenziale,
ampiamente condivisa da questo TAR, in tema
di omissione della comunicazione dell’avvio
del procedimento (strumento principale di
partecipazione) in occasione dell’adozione
di provvedimenti repressivi degli abusi
edilizi, non devono essere preceduti dal
suddetto avviso, trattandosi di
provvedimenti tipici e vincolati emessi
all’esito di un mero accertamento tecnico
della consistenza delle opere realizzate e
del carattere abusivo delle medesime (Cons.
Stato, sez. IV, 30.03.2000, n. 1814; TAR
Campania, sez. IV, 28.03.2001, n. 1404,
14.06.2002, n. 3499, 12.02.2003, n. 797).
Più recentemente è stato precisato che la
violazione dell'obbligo di comunicazione
dell'avvio del procedimento non costituisce
un motivo idoneo a determinare
l'annullabilità dei provvedimenti
sanzionatori in materia di abusi edilizi, in
quanto è palese, attesa l'assenza di
qualsivoglia titolo abilitativo
all’edificazione, che il contenuto
dispositivo del provvedimento "non
avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato", sicché sussiste la
condizione prevista dall'art. 21-octies,
comma 2, della L. n. 241 del 1990 per
determinare la non annullabilità del
provvedimento impugnato (Consiglio di Stato,
sez. IV, 15.05.2009, n. 3029)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 23.12.2010 n. 27997 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
costruzione di un soppalco,
pari a 16 metri quadrati, integra
l’introduzione nell’appartamento di un
ambiente in più rispetto al passato, e,
pertanto, di nuova superficie utile, che,
come tale, integra la nozione di
ristrutturazione edilizia e richiede il
preventivo permesso di costruire.
Questa Sezione
ha avuto modo di affermare, che, in ordine
al titolo abilitativo per la realizzazione
di soppalchi interni alle abitazioni occorre
distinguere i casi nei quali, in relazione
alla tipologia e alla dimensione
dell'intervento, può essere sufficiente una
denuncia di inizio di attività, dai casi nei
quali occorre una vera e propria concessione
edilizia, oggi permesso di costruire; deve
infatti ritenersi sufficiente una d.i.a. nel
caso in cui il soppalco sia di modeste
dimensioni e al servizio della preesistente
unità immobiliare mentre, viceversa, deve
ritenersi necessario il permesso di
costruire quando il soppalco sia di
dimensioni non modeste e comporti una
sostanziale ristrutturazione dell'immobile
preesistente, ai sensi dell'art. 3 DPR
380/2001, comportando un incremento delle
superfici dell'immobile e quindi anche un
ulteriore possibile carico urbanistico (TAR
Campania Napoli, sez. IV, 10.12.2007, n.
15871).
Orbene, nel caso in esame le dimensioni del
soppalco, pari a 16 metri quadrati,
integrano, nella sostanza, l’introduzione
nell’appartamento in questione di un
ambiente in più rispetto al passato, e,
pertanto, di nuova superficie utile, che,
come tale, integra la nozione di
ristrutturazione edilizia e richiede il
preventivo permesso di costruire
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 23.12.2010 n. 27997 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Informazione ambientale - Art. 3
d.lgs. n. 195/2005 - Accesso in materia
ambientale - Disciplina generale prevista
dalla L. n. 241/1990 - Differenza.
L'art. 3 del D.L.vo 19.08.2005 n. 195 ha
introdotto una fattispecie speciale di
accesso in materia ambientale, che si
connota, rispetto a quella generale prevista
nella L. n. 241 del 1990, per due
particolarità: l'estensione del novero dei
soggetti legittimati all'accesso e il
contenuto delle cognizioni accessibili.
Sotto il primo profilo, l'art. 3 chiarisce
che le informazioni ambientali spettano a
chiunque le richieda, senza necessità, in
deroga alla disciplina generale sull'accesso
ai documenti amministrativi, di dimostrare
un suo particolare e qualificato interesse.
Quanto al secondo aspetto, la medesima
disposizione estende il contenuto delle
notizie accessibili alle «informazioni
ambientali» (che implicano anche
un'attività elaborativa da parte
dell'Amministrazione debitrice delle
comunicazioni richieste), assicurando, così,
al richiedente una tutela più ampia di
quella garantita dall'art. 22 L. n. 241 del
1990, oggettivamente circoscritta ai soli
documenti amministrativi già formati e nella
disponibilità dell'Amministrazione.
Informazione ambientale
- Disciplina ex d.lgs. n. 195/2005 -
Finalità - Direttiva 2003/4/CE.
La disciplina speciale della libertà
d'accesso alle informazioni ambientali
risulta preordinata, in coerenza con le
finalità della direttiva 2003/4/CE di cui
costituisce attuazione, a garantire la
massima trasparenza sulla situazione
ambientale e a consentire un controllo
diffuso sulla qualità ambientale.
Tale esigenza viene, in particolare,
realizzata mediante la deliberata
eliminazione, resa palese dal tenore
letterale dell'art. 3, di ogni ostacolo,
soggettivo od oggettivo, al completo ed
esauriente accesso alle informazioni sullo
stato dell'ambiente.
Informazione ambientale
- Limitazione della legittimazione
all’accesso - Preclusione - Art. 3 d.lgs. n.
195/2005.
Ogni indebita limitazione, per via
ermeneutica, della legittimazione a
pretendere l'accesso alle informazioni
ambientali risulta preclusa sia dal tenore
letterale dell’art. 3 del d.lgs. n.
195/2005, sia dalla sua finalità (così anche
TAR Lazio-Roma, sez. III, 28.06.2006, n.
5272) (TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. I,
sentenza 16.12.2010 n. 1724 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Legittimazione a costruire,
istruttoria ampia.
Per gli interventi
edilizi soggetti al rilascio di permesso di
costruire o a d.i.a. il Comune deve
verificare l'esistenza di un titolo idoneo.
Lo ha affermato il TAR Campania-Napoli, Sez.
II, con la
sentenza 06.12.2010 n. 26817.
Il Collegio avvia le mosse dell'esame
dell'art. 11 del Testo Unico sull'edilizia
(e analoga previsione è contenuta nel primo
comma dell'art. 23 per gli interventi
soggetti a d.i.a.) che dispone: «Il
permesso di costruire è rilasciato al
proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo». Sulla base di
tale richiamo i giudici napoletani hanno
sottolineato che l'Amministrazione comunale,
cui è rimessa sul piano istruttorio la
delibazione di conformità urbanistica di
ogni progetto edilizio, deve verificare, fra
l'altro, che esista un idoneo titolo per
eseguire le opere, che assurge a presupposto
di legittimità sia degli interventi che
implicano il rilascio del permesso di
costruire sia quelli soggetti al regime
semplificato della d.i.a..
«Vero è che la giurisprudenza
amministrativa», si legge nella
sentenza, «esclude l'esistenza di un
obbligo del Comune di effettuare complessi
accertamenti diretti a ricostruire tutte le
vicende riguardanti l'immobile e,
soprattutto in passato, era prevalentemente
orientata nel senso che il parametro
valutativo dell'attività amministrativa in
materia edilizia fosse solo quello
dell'accertamento della conformità
dell'opera alla disciplina pubblicistica che
ne regola la realizzazione, salvi i diritti
dei terzi, senza che la mancata
considerazione di tali diritti potesse in
qualche modo incidere sulla legittimità
dell'atto».
«Tuttavia, più recentemente (per tutte
Consiglio di Stato, Sezione V, 15.03.2001,
n. 1507 e 21.10.2003, n. 6529; Tar Campania,
Sezione II, 29.03.2007 n. 2902)»,
prosegue il Collegio, «ha avuto occasione
di precisare che la necessaria distinzione
tra gli aspetti civilistici e quelli
pubblicistici dell'attività edificatoria non
impedisce di rilevare la presenza di
significativi punti di contatto tra i due
diversi profili e ha pertanto, chiarito che
non è seriamente contestabile che nel
procedimento di rilascio dei titoli edilizi
l'amministrazione abbia il potere e il
dovere di verificare l'esistenza, in capo al
richiedente, di un idoneo titolo di
godimento sull'immobile, interessato dal
progetto di trasformazione urbanistica,
trattandosi di un'attività istruttoria che
non è diretta, in via principale, a
risolvere i conflitti di interesse tra le
parti private in ordine all'assetto
proprietario degli immobili interessati, ma
che risulta finalizzata, più semplicemente,
ad accertar il requisito della
legittimazione del richiedente»
(articolo ItaliaOggi del 14.01.2011). |
APPALTI:
SUBAPPALTO.
Il comma 2°, dell'articolo 118 del Codice
dei contratti pubblici (D.Lgs n. 163/2006),
il quale stabilisce che tutte le
prestazioni, nonché le lavorazioni a
qualsiasi categoria appartengono, sono
subappaltabili ed affidabili in cottimo,
data la sua estrema genericità, non sembra
in alcun modo supportare la tesi, che
restringe la possibilità di subappaltare
solamente le lavorazioni o parti delle
stesse integralmente considerate.
E’ quanto statuito dal Tar Lazio-Roma, Sez.
III, nella
sentenza 07.09.2010 n. 32134, ove
viene affrontata una peculiare problematica:
la subappaltabilità delle singole
prestazioni, costituenti mere parti di una
lavorazione, indicata, in sede di gara, come
suscettibile di richiesta autorizzatoria.
Il principale pregio della sentenza in esame
è, sicuramente, costituito dallo sforzo,
posto in essere dai giudici amministrativi,
volto alla puntuale identificazione
dell’oggetto del subappalto, cioè di “cosa”
sia subappaltabile, in aderenza alla vigente
ed illustrata normativa codicistica.
Secondo la stazione appaltante, come prima
illustrato, non è possibile subappaltare
singole prestazioni facenti parti di
complesse lavorazioni, soprattutto laddove,
in sede di offerta, si sia indicata la sola
lavorazione.
Tale prospettazione non viene accolta dal
Tar, in quanto ritenuta, come giustamente
vedremo fra breve, non rispondente alla
disciplina del Codice dei contratti
pubblici.
L’analisi dei giudici amministrativi laziali
prende le mosse, come doverosamente ovvio,
dal fondamentale principio, di cui al comma
2°, cioè la regola generale della
subappaltabilità di tutte le prestazioni e
lavorazioni, appartenenti a qualsiasi
categoria, ad eccezione dei casi
normativamente previsti. Secondo il Tar, in
considerazione dell’estrema genericità di
tale principio, non appare possibile, in
alcun modo, avvalorare tesi restrittive,
come quella propugnata dall’ANAS, escludenti
la possibilità di subappaltare solamente le
lavorazioni o parti delle stesse
integralmente considerate.
Infatti, il subappalto costituisce una
possibilità dell’impresa appaltatrice, un
suo diritto, ovviamente esercitabile in
presenza dei legali presupposti. Orbene, se
analizziamo tali presupposti, cioè le
condizioni applicative prima illustrate,
appare evidente che, fra queste, non è
affatto contemplata alcuna particolare
limitazione relativa all’oggetto. L’articolo
118, comma 2°, punto 1, del Codice, fa
riferimento, quale oggetto a indicare in
sede di offerta, a “lavori o parti di
opere”: di conseguenza, le singole
prestazioni di una più articolata
lavorazione possono, senza alcun dubbio,
rientrare fra le “parti di opere”, di
cui alla riportata disposizione normativa
del Codice. Parti di opere possono essere,
dunque, anche singole prestazioni!
Secondo il Tar, gli unici limiti al
subappalto ed al suo oggetto non possono che
essere rinvenuti solo, ed esclusivamente,
nelle già indicate condizioni applicative.
In presenza di queste, non contemplanti
(come ora esposto) limiti alle singole
prestazioni, l'autorizzazione al subappalto
costituisce un atto dovuto, “essendo
escluso qualsivoglia profilo di
discrezionalità da parte della staziona
appaltante nell'adottare il relativo
provvedimento autorizzatorio, dovendo
quest'ultima limitarsi a svolgere una
funzione meramente ricognitiva in ordine
alla sussistenza delle condizioni di cui al
predetto comma 2°”.
Il Tar Lazio esamina anche la seconda
ragione di diniego, fondata, in modo non
convincente, sulla disciplina legale dei
prezzi del subappalto.
Come già anticipato, ai sensi del comma 4°,
l’impresa appaltatrice deve praticare, per
le prestazioni affidate in subappalto, gli
stessi prezzi unitari risultanti
dall'aggiudicazione, con ribasso non
superiore al venti per cento. La ratio
di tale disposizione è diretta, secondo la
corretta analisi dei giudici, ad evitare che
siano affidati in subappalto a prezzi troppo
bassi lavorazioni o prestazioni facenti
parte del contratto di appalto, onde
assicurare la corretta esecuzione delle
medesime.
Orbene, tale ratio, se rettamente
intesa, non può di per sé precludere la
possibilità di ricorrere al subappalto
solamente per delle prestazioni facenti
parte delle lavorazioni previste nel bando.
A tal riguardo, secondo il Tar non si può
che ricorrere alla seguente semplice ed
ovvia operazione aritmetica: scomporre il
prezzo unitario delle singole lavorazioni,
indicando i prezzi unitari delle prestazioni
che erano ricomprese nelle medesime
lavorazioni. In tal modo, la stazione
appaltante può verificare il rispetto della
previsione del Codice, relativa ai prezzi
delle prestazioni subappaltate.
In altri termini, non può che essere
evidente quanto segue: qualora l’impresa
appaltatrice intenda subappaltare singole
prestazioni contrattuali, il limite del 20%
deve essere riferito al prezzo di queste
ultime, come specificatamente indicato in
sede di offerta, per cui in presenza di tale
presupposto e delle altre condizioni
indicate dal secondo comma, la stazione
appaltante è obbligata ad autorizzare il
subappalto anche di singole prestazioni
(commento
tratto dalla newsletter del sito
www.centrostudimarangoni.it). |
APPALTI:
CONSEGNA PLICHI DI GARA. LA
RESPONSABILITA’ DEL VETTORE.
La mancata consegna in tempo utile del plico
di partecipazione ad una gara, per
l’aggiudicazione di un appalto, determina,
in capo al vettore, una grave
responsabilità, idonea ad interrompere
qualsiasi preesistente nesso causale. Di
conseguenza, insorge, in favore dell’impresa
danneggiata, un diritto al risarcimento del
danno, correlato alla perdita di chance,
intesa quale perdita della mera possibilità
di conseguire un vantaggio futuro
(l’aggiudicazione dell’appalto), secondo una
valutazione ex ante, da ricondursi,
diacronicamente, al momento in cui il
comportamento illecito ha inciso su tale
possibilità, in termini di conseguenza
dannosa potenziale.
E’ quanto affermato dalla Corte di
Cassazione, Sez. III, nella sentenza n.
20808/2010, ove viene affrontata, in
un’ottica sincretica civil-amministrativa,
la problematica della responsabilità per
intempestiva consegna dei plichi di gara.
Il vettore ha contestato, fra l’altro, la
liquidazione del danno, correlato alla
perdita di chance di vittoria in gara,
evidenziando che sussiste, in fatto, la
certezza che l’impresa N.A. non avrebbe
potuto aggiudicarsi l’appalto, avendo
offerto un prezzo superiore a quello degli
altri operatori economici concorrenti.
La Cassazione respinge tale insidiosa
censura, ricordando che “la perdita di
chance, costituita dalla privazione della
possibilità di vincere un concorso,
configura un danno attuale e risarcibile,
consistente nella perdita della mera
possibilità di conseguire un vantaggio
economico, secondo una valutazione ex ante”.
Proprio tale ultimo punto, cioè la
necessaria correlazione della perdita di
chance ad una valutazione ex ante, e
non a posteriori, deve essere posto in forte
evidenza, al fine di evitare facili
equivoci. La perdita di chance non può
essere correlata ad eventi successivi
(scoperta di offerte migliori), ma deve
essere ancorata alla situazione storica in
cui si produce, proprio perché costituisce
un pregiudizio della “possibilità” di
conseguire un vantaggio (l’aggiudicazione
dell’appalto). Al riguardo, deve essere
segnalato che l’ambito semantico-giuridico
del termine chance, è da ricondurre al
diritto romano. Infatti, la parola “chance”
deriva, etimologicamente, dall’espressione
latina cadentia, la quale sta ad
indicare il “cadere dei dadi”, e
significa “buona probabilità di riuscita”.
Si tratta, dunque, di una situazione,
teleologicamente orientata verso il
conseguimento di un’utilità o di un
vantaggio e caratterizzata da una
possibilità di successo presumibilmente non
priva di consistenza. Nell’importante
sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n.
5323/2006, si evidenzia, appunto, che, per
comprendere in modo pieno il concetto di
danno da perdita di chance, occorre tener
conto che "la lesione dell’entità
patrimoniale chance formerà oggetto di
valutazione, ai fini del riconoscimento di
un risarcimento del danno, in termini di
probabilità, definitivamente perduta, a
causa di una condotta illecita altrui, senza
dovere fare alcun riferimento al risultato
auspicato e non più realizzabile ed alla
consistenza del suo assetto potenziale”.
Pertanto, a nulla vale far riferimento ad
offerte migliori, che avrebbero impedito la
vittoria in gara. Ciò che interessa, ai fini
del danno in esame (danno da perdita di
chance) è la perdita della teorica
possibilità di vincere una gara, nella
prospettazione temporale della
partecipazione. L’intempestiva consegna del
plico ha impedito all’impresa N.A. di
partecipare alla gara e, quindi, di poter
coltivare il potenziale vantaggio della
possibile vittoria
(commento
tratto dalla newsletter del sito
www.centrostudimarangoni.it). |
AGGIORNAMENTO AL 13.01.2011 (ore 21,00) |
ã |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA: Lombardia,
VAS del PGT: il Consiglio di Stato annulla
la sentenza del TAR Milano che,
precedentemente, aveva annullato il PGT del
Comune di Cermenate (CO).
---------------
Le conclusioni raggiunte dal primo giudice,
secondo cui l’autorità competente alla
V.A.S. deve essere necessariamente
individuata in una pubblica amministrazione
diversa da quella avente qualità di “autorità
procedente”, non trova supporto nella
vigente normativa comunitaria e nazionale.
In nessuna definizione del Testo Unico
ambientale (D.Lgs. n. 152/2006) si trova
affermato in maniera esplicita che debba
necessariamente trattarsi di amministrazioni
diverse o separate (e che, pertanto, sia
precluso individuare l’autorità
competente in diverso organo o
articolazione della stessa
amministrazione procedente).
Non risulta in linea con le richiamate
disposizioni nazionali la scelta di
individuare l’autorità competente alla
V.A.S. ex post, in relazione al singolo e
specifico procedimento di pianificazione,
come avvenuto nel caso di specie (laddove
–come già rilevato– la predetta autorità è
stata individuata contestualmente alla
comunicazione di avvio del procedimento
stesso).
La Sezione osserva che il presupposto su cui
si basano le conclusioni raggiunte dal primo
giudice, secondo cui l’autorità competente
alla V.A.S. deve essere necessariamente
individuata in una pubblica amministrazione
diversa da quella avente qualità di “autorità
procedente”, non trova supporto nella
vigente normativa comunitaria e nazionale.
Al riguardo, giova richiamare le definizioni
oggi contenute nel citato d.lgs. nr. 152 del
2006, il cui art. 5, per quanto qui
interessa, definisce:
- la “autorità competente”
come “la pubblica amministrazione cui
compete l’adozione del provvedimento di
verifica di assoggettabilità, l’elaborazione
del parere motivato, nel caso di valutazione
di piani e programmi, e l’adozione dei
provvedimenti conclusivi in materia di VIA,
nel caso di progetti ovvero il rilascio
dell'autorizzazione integrata ambientale,
nel caso di impianti” (lettera p);
- la “autorità procedente”
come “la pubblica amministrazione che
elabora il piano, programma soggetto alle
disposizioni del presente decreto, ovvero
nel caso in cui il soggetto che predispone
il piano, programma sia un diverso soggetto
pubblico o privato, la pubblica
amministrazione che recepisce, adotta o
approva il piano, programma”.
Orbene, se dalle riferite definizioni
risulta chiaro che entrambe le autorità
de quibus sono sempre “amministrazioni”
pubbliche, in nessuna definizione del Testo
Unico ambientale si trova affermato in
maniera esplicita che debba necessariamente
trattarsi di amministrazioni diverse o
separate (e che, pertanto, sia precluso
individuare l’autorità competente in diverso
organo o articolazione della stessa
amministrazione procedente).
---------------
La Sezione non condivide l’approccio
ermeneutico di fondo della parte odierna
appellata, che desume la necessaria “separatezza”
tra le due autorità dal fatto che la V.A.S.
costituirebbe un momento di controllo
sull’attività di pianificazione svolta
dall’autorità competente, con il corollario
dell’impossibilità di una identità o
immedesimazione tra controllore e
controllato.
Siffatta ricostruzione, invero, è smentita
dall’intero impianto normativo in
subiecta materia, il quale invece
evidenzia –come già accennato– che le due
autorità, seppur poste in rapporto
dialettico in quanto chiamate a tutelare
interessi diversi, operano “in
collaborazione” tra di loro in vista del
risultato finale della formazione di un
piano o programma attento ai valori della
sostenibilità e compatibilità ambientale:
ciò si ricava, testualmente, dal già citato
art. 11, d.lgs. nr. 152 del 2006, che
secondo l’opinione preferibile costruisce la
V.A.S. non già come un procedimento o
subprocedimento autonomo rispetto alla
procedura di pianificazione, ma come un
passaggio endoprocedimentale di esso,
concretantesi nell’espressione di un “parere”
che riflette la verifica di sostenibilità
ambientale della pianificazione medesima.
---------------
Con riferimento all’individuazione delle
autorità competenti in materia di
valutazioni ambientali, e con richiamo
all’assetto normativo sul riparto di
attribuzioni tra Stato e Regioni vigente
all’epoca dell’adozione dei provvedimenti
per cui è causa, vengono in rilievo:
- il comma 6 dell’art. 6 del d.lgs. nr. 152
del 2006, secondo cui l’autorità
competente per la V.A.S. e la V.I.A. va
individuata “secondo le disposizioni
delle leggi regionali o delle province
autonome”;
- il successivo comma 7 del medesimo
articolo, che del pari demanda a leggi e
regolamenti regionali la determinazione
delle “competenze” degli altri enti
locali, ivi compresi i Comuni.
Dal complesso di tali disposizioni, ad
avviso della Sezione, se da un lato emerge
l’intento del legislatore nazionale di
lasciare alle Regioni una certa libertà di
manovra quanto alla delegabilità delle
competenze agli enti locali e alle modalità
della loro regolamentazione, tuttavia appare
evidente la volontà di assicurare che la
fissazione delle “competenze” sia
compiuta a priori, con atti che individuino
in via generale e astratta i soggetti,
uffici o organi cui viene attribuita la
veste di “autorità competente”.
Ne discende che non risulta in linea con le
richiamate disposizioni nazionali la scelta
di individuare l’autorità competente alla
V.A.S. ex post, in relazione al
singolo e specifico procedimento di
pianificazione, come avvenuto nel caso di
specie (laddove –come già rilevato– la
predetta autorità è stata individuata
contestualmente alla comunicazione di avvio
del procedimento stesso)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.01.2011 n. 133 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
§ § § § § § § § § § § § § § § §
NOTA DI COMMENTO: la sentenza del
Consiglio di Stato ha risolto,
definitivamente, gli interrogativi che
attanagliavano gli Enti Locali lombardi?? Si
può procedere ad adottare e/o approvare il
P.G.T. in tutta tranquillità??
I termini del caso
di specie.
Il comune di Cermenate (CO) si è visto
impugnare -tra l'altro- da parte di un
cittadino:
- le deliberazioni consiliari di
controdeduzioni alle osservazioni ed
approvazione del nuovo Piano di Governo del
Territorio (P.G.T.);
- la delibera di Giunta Comunale recante
avvio del procedimento di valutazione
ambientale strategica per la formazione del
P.G.T..
Il TAR Lombardia-Milano, Sez. II, con
sentenza 15.05.2010 n. 1526 ha
accolto il ricorso annullando, tra l'altro,
le deliberazioni sopra menzionate.
Nel merito, il TAR [annullando altresì la
deliberazione G.R. 27.12.2007 n. 6420,
limitatamente all'art. 3.2. dell'Allegato 1
(modello generale), relativa alla procedura
per la Valutazione Ambientale di Piani e
Programmi (denominata anche Valutazione
Ambientale Strategica o VAS] ha statuito
quanto segue:
"In tema di VAS l'autorità procedente,
nella scelta dell'autorità competente, deve
individuare soggetti pubblici che offrano
idonee garanzie non solo di competenza
tecnica e di specializzazione in materia di
tutela ambientale, ma altresì garanzie di
imparzialità e di indipendenza rispetto
all'autorità procedente, allo scopo di
assolvere la funzione di valutazione
ambientale nella maniera più obiettiva
possibile, senza condizionamenti -anche
indiretti- da parte dell'autorità
procedente: infatti, qualora l'autorità
procedente individuasse l'autorità
competente esclusivamente fra soggetti
collocati al proprio interno, il ruolo di
verifica ambientale perderebbe ogni
efficacia, risolvendosi in un semplice
passaggio burocratico interno, con il
rischio di vanificare la finalità della
disciplina sulla VAS.".
La suddetta pronuncia è stata appellata
dinanzi al Consiglio di Stato il quale con
sentenza 12.01.2011 n. 133 ha
riformato la stessa accogliendo gli appelli
della Regione Lombardia e del Comune di
Cermenate.
Nello specifico, il CdS ha statuito quanto
segue:
-- "La Sezione osserva che il presupposto
su cui si basano le conclusioni raggiunte
dal primo giudice, secondo cui l’autorità
competente alla V.A.S. deve essere
necessariamente individuata in una pubblica
amministrazione diversa da quella avente
qualità di “autorità procedente”, non
trova supporto nella vigente normativa
comunitaria e nazionale.
Al riguardo, giova richiamare le definizioni
oggi contenute nel citato d.lgs. nr. 152 del
2006, il cui art. 5, per quanto qui
interessa, definisce:
- la “autorità competente” come “la
pubblica amministrazione cui compete
l’adozione del provvedimento di verifica di
assoggettabilità, l’elaborazione del parere
motivato, nel caso di valutazione di piani e
programmi, e l’adozione dei provvedimenti
conclusivi in materia di VIA, nel caso di
progetti ovvero il rilascio
dell'autorizzazione integrata ambientale,
nel caso di impianti” (lettera p);
- la “autorità procedente” come “la
pubblica amministrazione che elabora il
piano, programma soggetto alle disposizioni
del presente decreto, ovvero nel caso in cui
il soggetto che predispone il piano,
programma sia un diverso soggetto pubblico o
privato, la pubblica amministrazione che
recepisce, adotta o approva il piano,
programma”.
Orbene, se dalle riferite definizioni
risulta chiaro che entrambe le autorità de
quibus sono sempre “amministrazioni”
pubbliche, in nessuna definizione del Testo
Unico ambientale si trova affermato in
maniera esplicita che debba necessariamente
trattarsi di amministrazioni diverse o
separate (e che, pertanto, sia precluso
individuare l’autorità competente in diverso
organo o articolazione della stessa
amministrazione procedente).";
-- "La Sezione non condivide l’approccio
ermeneutico di fondo della parte odierna
appellata, che desume la necessaria
“separatezza” tra le due autorità dal fatto
che la V.A.S. costituirebbe un momento di
controllo sull’attività di pianificazione
svolta dall’autorità competente, con il
corollario dell’impossibilità di una
identità o immedesimazione tra controllore e
controllato.
Siffatta ricostruzione, invero, è smentita
dall’intero impianto normativo in subiecta
materia, il quale invece evidenzia –come già
accennato– che le due autorità, seppur poste
in rapporto dialettico in quanto chiamate a
tutelare interessi diversi, operano “in
collaborazione” tra di loro in vista del
risultato finale della formazione di un
piano o programma attento ai valori della
sostenibilità e compatibilità ambientale:
ciò si ricava, testualmente, dal già citato
art. 11, d.lgs. nr. 152 del 2006, che
secondo l’opinione preferibile costruisce la
V.A.S. non già come un procedimento o
subprocedimento autonomo rispetto alla
procedura di pianificazione, ma come un
passaggio endoprocedimentale di esso,
concretantesi nell’espressione di un
“parere” che riflette la verifica di
sostenibilità ambientale della
pianificazione medesima.";
-- "Con riferimento all’individuazione
delle autorità competenti in materia di
valutazioni ambientali, e con richiamo
all’assetto normativo sul riparto di
attribuzioni tra Stato e Regioni vigente
all’epoca dell’adozione dei provvedimenti
per cui è causa, vengono in rilievo:
- il comma 6 dell’art. 6 del d.lgs. nr. 152
del 2006, secondo cui l’autorità competente
per la V.A.S. e la V.I.A. va individuata
“secondo le disposizioni delle leggi
regionali o delle province autonome”;
- il successivo comma 7 del medesimo
articolo, che del pari demanda a leggi e
regolamenti regionali la determinazione
delle “competenze” degli altri enti locali,
ivi compresi i Comuni.
Dal complesso di tali disposizioni, ad
avviso della Sezione, se da un lato emerge
l’intento del legislatore nazionale di
lasciare alle Regioni una certa libertà di
manovra quanto alla delegabilità delle
competenze agli enti locali e alle modalità
della loro regolamentazione, tuttavia appare
evidente la volontà di assicurare che la
fissazione delle “competenze” sia compiuta a
priori, con atti che individuino in via
generale e astratta i soggetti, uffici o
organi cui viene attribuita la veste di
“autorità competente”.
Ne discende che non risulta in linea con le
richiamate disposizioni nazionali la scelta
di individuare l’autorità competente alla
V.A.S. ex post, in relazione al singolo e
specifico procedimento di pianificazione,
come avvenuto nel caso di specie (laddove
–come già rilevato– la predetta autorità è
stata individuata contestualmente alla
comunicazione di avvio del procedimento
stesso).".
Per quanto sopra esposto, si può dedurre che
il Comune di Cermenate s'è visto "salvare"
il proprio P.G.T. ancorché il Consiglio di
Stato abbia rilevato che "non risulta in
linea con le richiamate disposizioni
nazionali la scelta di individuare
l’autorità competente alla V.A.S. ex post,
in relazione al singolo e specifico
procedimento di pianificazione, come
avvenuto nel caso di specie (laddove –come
già rilevato– la predetta autorità è stata
individuata contestualmente alla
comunicazione di avvio del procedimento
stesso).
Il tema, per vero, è incidentalmente evocato
negli scritti difensivi della parte odierna
appellata, ancorché attraverso la formula
non del tutto perspicua della “abrogazione”
implicita delle disposizioni regionali in
subiecta materia che si sarebbe realizzata
con l’entrata in vigore del d.lgs. nr. 152
del 2006; tuttavia, la già più volte
rilevata carenza di ogni interesse a
sollevare censure sul punto esonera da ogni
approfondimento in proposito.".
I termini della
questione non dibattuti in sede
giurisdizionale.
Risulta verosimile che la stragrande
maggioranza dei comuni lombardi (in disparte
quelli di grandi dimensioni laddove sono
presenti i dirigenti) abbiano operato
uniformemente nell'individuazione delle due
figure in ambito di VAS del PGT ovverosia:
- l'autorità procedente è stata
individuata nel Sindaco;
- l'autorità competente per la VAS è
stata individuata nel responsabile
dell'Ufficio Tecnico.
Al riguardo, giova qui ricordare cosa
dispone in merito la normativa regionale la
quale, da ultimo, risulta essere la deliberazione
G.R. 10.11.2010 n. 761 (pressoché
confermativa della precedente normativa, per
quanto qui interessa) laddove nell'ALLEGATO
1 è stabilito quanto segue:
"3.1-ter Autorità
procedente
È la pubblica amministrazione che elabora il
P/P ovvero, nel caso in cui il soggetto che
predispone il P/P sia un diverso soggetto
pubblico o privato, la pubblica
amministrazione che recepisce, adotta o
approva il piano/programma.
E’ la pubblica amministrazione cui compete
l'elaborazione della dichiarazione di
sintesi.
Tale autorità è individuata all’interno
dell’ente tra coloro che hanno
responsabilità nel procedimento di P/P.
3.2 Autorità competente per
la VAS
È la pubblica amministrazione cui compete
l'adozione del provvedimento di verifica di
assoggettabilità e l'elaborazione del parere
motivato.
L’autorità competente per la VAS è
individuata all’interno dell’ente con atto
formale dalla pubblica amministrazione che
procede alla formazione del P/P, nel
rispetto dei principi generali stabiliti dai
d.lgs. 16.01.2008, n. 4 e 18.08.2000, n.
267.
Essa deve possedere i seguenti requisiti:
a) separazione rispetto all’autorità
procedente;
b) adeguato grado di autonomia nel rispetto
dei principi generali stabiliti dal d.lgs.
18.08.2000, n. 267, fatto salvo quanto
previsto dall'articolo 29, comma 4, legge n.
448/2001;
c) competenze in materia di tutela,
protezione e valorizzazione ambientale e di
sviluppo sostenibile.".
Ebbene, in merito alla individuazione delle
due figure come sopra indicate, la Regione
Lombardia -con
nota 01.07.2010 n. 15812 di prot.
in risposta ad un quesito comunale
relativamente alla sentenza del TAR Milano
de qua- ha inequivocabilmente
rilevato che:
"1.
dall'analisi della documentazione pubblicata
sul sito web del Comune e nella scheda del
sito regionale SIVAS
(www.cartografia.regione.lombardia.it/sivas),
si riscontrano alcune irregolarità
nell'individuazione delle Autorità in quanto
l'individuazione del Sindaco quale autorità
procedente non è in ogni caso corretta,
essendo data tale possibilità solo ai Comuni
con meno di 5.000 abitanti (come previsto
dal comma 23 dell'art. 53 della legge
23.12.2000, n. 388 modificato dal comma 4
dell'art. 29 della legge 28.12.2001, n. 448,
previa assunzione delle disposizioni
regolamentari ed organizzative): dovrebbe
invece essere individuata all'interno
dell'ente tra coloro che hanno
responsabilità nel procedimento di PGT (ad
es. il Responsabile Unico del Procedimento);
2.
inoltre, l'Autorità competente per la VAS
deve possedere i requisiti richiamati nel
punto 3.2 dell'allegato 1a (ndr: della
DGR
30.12.2009 n. 10971) e il dirigente del
Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del
Comune di ..., nominato Autorità competente
per la VAS, sembra avere competenze in
materia di pianificazione e urbanistica
piuttosto che in materia di tutela,
protezione e valorizzazione ambientale e di
sviluppo sostenibile;
3.
si suggerisce, pertanto, di individuare
all'interno dell'Ente le due Autorità con
nuova deliberazione di Giunta Comunale, ai
sensi della
DGR n. 10971 del 30.12.2009;
tali Autorità dovranno accompagnare il loro
primo pronunciamento con un'esplicita
determinazione di convalida delle attività
precedentemente svolte nell'ambito della
procedura di VAS e potranno proseguire nella
stessa. ...".
Non solo, da ultimo la Regione Lombardia ha
altresì licenziato il
decreto D.S. 14.12.2010 n. 13071
avente per oggetto «APPROVAZIONE DELLA
CIRCOLARE "L'APPLICAZIONE DELLA VALUTAZIONE
AMBIENTALE DI PIANI E PROGRAMMI - VAS NEL
CONTESTO COMUNALE"» ove al punto 5.
INDIVIDUAZIONE AUTORITA'
PROCEDENTE/COMPETENTE PER LA VAS
conferma sostanzialmente quanto già
anticipato con la nota suddetta di risposta
al quesito comunale.
Ciò premesso, è chiaro come il Consiglio di
Stato non sia intervenuto su questa
questione, poiché non sollevata in sede di
ricorso giurisdizionale. Ora, nel caso di
specie qualche comune ha provveduto a
convalidare gli atti già assunti siccome
proposto -al precedente punto 3.- da parte
della Regione Lombardia ma molti altri,
forse la maggioranza, nulla ad oggi hanno
fatto al riguardo.
A
questo punto è lecito porsi una
DOMANDA: i comuni che, dopo la sentenza
del CdS sopra citata, continuano
imperterriti nell'iter burocratico di
adozione e/o approvazione del P.G.T. senza
aver correttamente (e legittimamente)
individuato preliminarmente sia l'autorità
procedente sia l'autorità competente
per la VAS siccome disposto dalla dGR e
confermato dalla nota regionale sopra
menzionate possono dormire sonni
tranquilli??
E' reale -o meno- il rischio che un
cittadino qualsiasi, che si veda penalizzato
sull'edificabilità dei propri terreni in
sede di P.G.T. e -quindi- abbia un interesse
reale e concreto a ricorrere, impugni lo
stesso dinanzi al TAR eccependo -tra
l'altro- l'illegittima individuazione delle
due figure come sopra argomentato col
risultato di ottenere l'annullamento
dell'intero PGT per vizio procedurale??
13.01.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
NOVITA' NEL
SITO |
Bottone "CONVEGNI"
n. 6 giornate di studio a Bergamo per il 19-26
gennaio e 02-09-16-23 febbraio 2011 organizzate dal portale
PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella
locandina.
---------------
ULTIMI 2 GG. per
l'iscrizione (solamente) on-line: entro sabato 15.01.2011.
---------------
ATTENZIONE: la locandina è
stata leggermente modificata relativamente alle modalità di
partecipazione.
Pertanto, invitiamo gli interessati -a partecipare alle giornate di
studio- a scaricare nuovamente la stessa. |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
URBANISTICA:
Anche per impugnare la VAS é necessario
dimostrare l'interesse ad agire.
Con sentenza n. 133/2011
il Consiglio di Stato, sezione IV,
depositata in Cancelleria il 12.01.2011, ha
riformato in toto la sentenza n. 1526/2010
del TAR Lombardia in punto VAS.
In via preliminare -e al di là delle
questioni di merito- pare importante
segnalare che il Consiglio di Stato ha
accolto la tesi degli appellanti secondo i
quali il ricorrente in primo grado non
avrebbe in alcun modo chiarito quale
interesse specifico e qualificato assistesse
le doglianze, il cui accoglimento ha
determinato un generico effetto caducante
del P.G.T. nel suo complesso.
Al contrario, il TAR aveva ritenuto
sussistente in capo all’istante un interesse
di natura “strumentale”, avente a
oggetto le determinazioni future, ed
eventualmente più favorevoli ai suoli in sua
proprietà, che l’Amministrazione avrebbe
dovuto assumere in sede di rielaborazione
dello strumento urbanistico. Il punto
fondamentale -sul quale peraltro ci si era
già appuntati- è quindi quello secondo cui
neppure la VAS sfugge al criterio generale
dell'interesse ad agire, in difetto del
quale (o comunque della dimostrazione della
lesività del provvedimento) l'impugnazione é
inammissibile. Afferma il C.S.:
"potrà anche condividersi in via di
principio il rilievo per cui “laddove la VAS
si concluda con un giudizio positivo (o
positivo condizionato) il soggetto che
subisca determinazioni lesive della sua
sfera giuridica discendenti
dall’accettazione (piena o condizionata)
delle proposte pianificatorie sottoposte a
VAS, ben potrà censurare anche queste
determinazioni preliminari condizionanti,
poiché è per effetto di questo giudizio di
sostenibilità complessiva di queste scelte
che le stesse possono tramutarsi in atti
pianificatori negativi” (pagg. 68-69);
tuttavia, proprio per evitare di pervenire a
una legitimatio generalis del tipo di quella
sopra indicata, occorre che le
“determinazioni lesive” fondanti l’interesse
a ricorrere siano effettivamente
“condizionate”, ossia causalmente
riconducibili in modo decisivo, alle
preliminari conclusioni raggiunte in sede di
V.A.S., e pertanto l’istante avrebbe dovuto
precisare come e perché tali conclusioni
nella specie abbiano svolto un tale ruolo
decisivo sulle opzioni relative ai suoli in
sua proprietà, ciò che non ha fatto.".
La decisione del Consiglio di Stato
riallinea la giurisprudenza in materia. Si
vedano, infatti:
- TAR Campania Napoli, sez. II, 20.04.2010,
n. 2043, dove si afferma che considerate le
indicate finalità della VAS non si deve
ritenere che possa vantare un interesse
giuridicamente rilevante a contestare
l'eventuale carenza della VAS nel
procedimento di approvazione della variante
urbanistica impugnata, colui il quale
ricorre per ottenere una destinazione non
più agricola del fondo di sua proprietà;
- Consiglio di Stato, sez. V, 26.02.2010, n.
1134: in quel caso il provvedimento di VIA
impugnato era stato censurato con specifico
riferimento all'assenza di idonea
istruttoria con riferimento all'impatto
conseguente alla realizzazione dell'impianto
autorizzato con riguardo ai fondi e alle
attività dei ricorrenti: ma ciò non aveva
esonerato il Consiglio di Stato dal
verificare approfonditamente quale fosse la
situazione di stabile e significativo
collegamento dei ricorrenti rispetto
all'area interessata dall'impianto e in che
misura la VIA avesse, o meno, valutato
l'incidenza dell'impianto sulle realtà
esistenti (link a http://studiospallino.blogspot.com). |
GIURISPRUDENZA |
CONSIGLIERI COMUNALI - URBANISTICA: In
ordine alla posizione di conflitto di
interessi nella quale si sarebbero trovati
taluni Consiglieri Comunali, i quali
avrebbero dovuto astenersi dal partecipare
al voto sul P.G.T. in quanto proprietari di
suoli direttamente interessati dalle scelte
urbanistiche,
siffatte situazioni di conflitto di
interesse non determinano l’integrale
caducazione del Piano, ma viziano unicamente
le parti concernenti i suoli interessati
dall’obbligo di astensione violato, col
corollario che il vizio può essere fatto
valere soltanto da chi dimostri di essere
titolare di uno specifico e qualificato
interesse ancorato a situazioni di
“collegamento” con detti suoli (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 12.06.2009, nr. 3744)
Per l’ulteriore doglianza già respinta dal
primo giudice in ordine alla posizione di
conflitto di interessi nella quale si
sarebbero trovati taluni Consiglieri
Comunali, i quali avrebbero dovuto astenersi
dal partecipare al voto sul P.G.T. in quanto
proprietari di suoli direttamente
interessati dalle scelte urbanistiche de
quibus, al riguardo, va condiviso il
giudizio di inammissibilità della censura
espresso dal giudice di prime cure, che si
pone in linea con il più recente e
preferibile indirizzo giurisprudenziale,
secondo cui siffatte situazioni di conflitto
di interesse non determinano l’integrale
caducazione del Piano, ma viziano unicamente
le parti concernenti i suoli interessati
dall’obbligo di astensione violato, col
corollario che il vizio può essere fatto
valere soltanto da chi dimostri di essere
titolare di uno specifico e qualificato
interesse ancorato a situazioni di “collegamento”
con detti suoli (cfr. Cons. Stato, sez. V,
12.06.2009, nr. 3744)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.01.2011 n. 133 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Le
scelte effettuate dall’Amministrazione
nell’adozione degli strumenti urbanistici
costituiscono apprezzamento di merito
sottratto al sindacato di legittimità, salvo
che non siano inficiate da errori di fatto o
abnormi illogicità, sicché anche la
destinazione data alle singole aree non
necessita di apposita motivazione, oltre
quella che si può evincere dai criteri
generali, di ordine tecnico discrezionale,
seguiti nell’impostazione del piano stesso,
essendo sufficiente l’espresso riferimento
alla relazione di accompagnamento al
progetto di modificazione al piano
regolatore generale, salvo che particolari
situazioni non abbiano creato aspettative o
affidamenti in favore di soggetti le cui
posizioni appaiano meritevoli di specifiche
considerazioni.
Le osservazioni dei privati ai progetti di
strumenti urbanistici sono un mero apporto
collaborativo alla formazione di detti
strumenti e non danno luogo a peculiari
aspettative, con la conseguenza che il loro
rigetto non richiede una specifica
motivazione, essendo sufficiente che esse
siano state esaminate e ritenute in
contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della
formazione del piano.
Ca richiamato il consolidato indirizzo
secondo cui le scelte effettuate
dall’Amministrazione nell’adozione degli
strumenti urbanistici costituiscono
apprezzamento di merito sottratto al
sindacato di legittimità, salvo che non
siano inficiate da errori di fatto o abnormi
illogicità, sicché anche la destinazione
data alle singole aree non necessita di
apposita motivazione, oltre quella che si
può evincere dai criteri generali, di ordine
tecnico discrezionale, seguiti
nell’impostazione del piano stesso, essendo
sufficiente l’espresso riferimento alla
relazione di accompagnamento al progetto di
modificazione al piano regolatore generale,
salvo che particolari situazioni non abbiano
creato aspettative o affidamenti in favore
di soggetti le cui posizioni appaiano
meritevoli di specifiche considerazioni; in
sostanza le uniche evenienze, che richiedono
una più incisiva e singolare motivazione
degli strumenti urbanistici generali, sono
date dal superamento degli standards minimi
di cui al d.m. 02.04.1968, con riferimento
alle previsioni urbanistiche complessive di
sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di
determinate aree; dalla lesione
dell’affidamento qualificato del privato,
derivante da convenzioni di lottizzazione,
accordi di diritto privato intercorsi fra il
Comune e i proprietari delle aree,
aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di concessioni edilizie o di
silenzio rifiuto su una domanda di
concessione e, infine, dalla modificazione
in zona agricola della destinazione di
un’area limitata, interclusa da fondi
edificati in modo non abusivo (cfr. ex
plurimis Cons. Stato, sez. IV,
13.10.2010, nr. 7492; id., 04.05.2010, nr.
2545; id., 28.09.2009, nr. 5834; id.,
21.06.2007, nr. 3400).
A ciò si aggiunge che le osservazioni dei
privati ai progetti di strumenti urbanistici
sono un mero apporto collaborativo alla
formazione di detti strumenti e non danno
luogo a peculiari aspettative, con la
conseguenza che il loro rigetto non richiede
una specifica motivazione, essendo
sufficiente che esse siano state esaminate e
ritenute in contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della
formazione del piano (cfr. Cons. Stato, sez.
IV, 07.07.2008, nr. 3358)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.01.2011 n. 133 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 10.01.2011 |
ã |
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stata leggermente modificata relativamente alle modalità di
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Pertanto, invitiamo gli interessati -a partecipare alle giornate di
studio- a scaricare nuovamente la stessa. |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del
03.01.2011, "Proroga dei termini per la
presentazione delle domande di contributo
per il «Bando per la realizzazione di
impianti solari termici al servizio di
edifici pubblici ad uso pubblico o
residenziale» indetto con ddg 10652 del
20.10.2010" (decreto
D.G. 28.12.2010 n. 13712). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del
03.01.2011, "Modalità per la definizione
degli alberi monumentali e per la loro
tutela (art. 12 l.r. 10/2008)"
(deliberazione G.R.
22.12.2010 n. 1044). |
URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, serie inserzioni e
concorsi n. 51 del 22.12.2010, "D.G.
Territorio e Urbanistica – Comunicato
congiunto Direzione Generale Territorio e
Urbanistica e Direzione Centrale Affari
Istituzionali e Legislativo – Rettifica e
integrazione del comunicato 26.05.2008, n.
107 «Modalità di pubblicazione dell’avviso
di approvazione dei Piani di Governo del
Territorio», pubblicato nel BURL n. 23 Serie
Ordinaria del 03.06.2008" (comunicato
regionale 20.12.2010 n. 141). |
QUESITI &
PARERI |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito per condono edilizio
legge n. 724/1994. Modalità di calcolo
dell'oblazione dovuta allo Stato per
capannoni industriali/artigianali.
Cosa si intende per superficie coperta
complessiva ai fini di procedere
correttamente alla riduzione di 1/3 ovvero
alla moltiplicazione per 1,5 dell'importo
(dell'oblazione) di cui alla tabella di
legge? (Regione Lombardia, Direzione
Urbanistica, Servizio Pianificazione
Strategica e Ordinamento,
nota 09.03.1998 n.
8297 di prot.). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
URBANISTICA:
Novità per la pubblicazione dei PGT
dall’01.01.2011.
Dall’01.01.2011 il Bollettino Ufficiale di
Regione Lombardia (BURL) sarà disponibile
esclusivamente in formato digitale, pertanto
a partire da questa data si modificano le
procedure per la pubblicazione del PGT sul
BURL.
In particolare:
1- per poter pubblicare l’avviso di
approvazione definitiva del PGT sul BURL il
comune deve aver ottenuto preventivamente un
nulla osta alla pubblicazione;
2- il nulla osta, volto al controllo della
completezza e della correttezza della
fornitura digitale del PGT, viene rilasciato
dalla DG Territorio e Urbanistica o dalla
Provincia competente, previo accordo con
Regione Lombardia, entro 15 giorni dalla
data di registrazione;
3- una volta ricevuto il nulla osta alla
pubblicazione il Comune inoltra l’avviso da
pubblicare utilizzando il sito web
www.bollettino.regione.lombardia.it;
4- l’applicativo di gestione infine
provvederà a dare comunicazione formale via
e-mail con gli estremi di pubblicazione.
Regione Lombardia comunicherà attraverso il
web quali sono le Province con le quali ha
provveduto alla stipula dei suddetti
accordi.
Il PGT deve essere inviato alla DG
Territorio e Urbanistica o alla Provincia
competente in formato digitale secondo le
indicazioni e con le modalità descritte
sulle pagine web della DG Territorio e
urbanistica dedicate al PGT .
Al momento dell’invio dei PGT alle autorità
competenti per il rilascio dei pareri di
compatibilità con PTCP e PTR è consigliabile
l’utilizzo dello stesso formato onde evitare
richieste di integrazioni e conseguenti
rallentamenti della procedura.
Per ogni informazione sulla presentazione
dei PGT consultare la pagina
www.pgt.regione.lombardia.it (Milano
24.12.2010 - link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
comunicazioni in merito alla disciplina
della segnalazione certificata di inizio
attività, di cui all'art. 49 del D.L. n. 78
del 2010 convertito con modifiche dalla L.
n. 122 del 2010 (Regione Emilia Romagna,
nota 12.11.2010 n.
280997 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ancora sulla inapplicabilità della SCIA
in ambito edilizio in difetto del necessario
adeguamento del DPR 380/2001: postilla sulla
nota ministeriale 16.09.2010 (ANCI
Toscana,
nota
27.09.2010). |
NEWS |
PUBBLICO IMPIEGO:
LA CONCILIAZIONE, IN CASO DI
CONTRASTO TRA IL VALUTATORE ED IL VALUTATO,
NON PUO' ESSERE AFFIDATA AL SUPERIORE
GERARCHICO DEL VALUTATORE MA A SOGGETTI
TERZI E IMPARZIALI.
La CIVIT (COMMISSIONE PER LA VALUTAZIONE LA
TRASPARENZA E L'INTEGRITA' DELLE PUBBLICHE
AMMINISTRAZIONI) con la
DELIBERA 22.12.2010 N.
124 boccia le procedure di
conciliazione relative ai processi di
valutazione della performance adottate da
molte amministrazioni..
SEMBRA INFATTI CHE IN MOLTI CASI GLI
ORGANISMI DI CONCILIAZIONE SIANO STATI
INDIVIDUATI TRA LE FIGURE GERARCHICAMENTE
SOVRAORDINATE AL VALUTATORE, VENENDO COSI'
MENO L'ESIGENZA DI IMPARZIALITA' ED
ESTRANEITA' ALL'AMMINISTRAZIONE PREVISTA
DALLA PRECEDENTE DELIBERA N. 104.
Conclude la CIVIT affermando che l'esigenza
dell'adozione di procedure di conciliazione
debba essere soddisfatta o con l'istituzione
di un apposito collegio o mediante il
ricorso ai collegi previsti dall'art. 410
cpc, come recentemente modificato con la
legge 183/2010. |
EDILIZIA PRIVATA:
Agevolazioni del 36 e 55 per cento agli
ampliamenti del “Piano Casa”.
Detrazione solo per le spese riferibili alla
parte preesistente, non quelle per la “nuova
costruzione”.
I lavori di ampliamento dell’immobile,
eseguiti in attuazione del “Piano Casa”
(articolo 11 del Dl 112/2008), in deroga ai
piani regolatori locali, usufruiscono delle
detrazioni fiscali del 36 e 55% alle
condizioni generalmente previste per gli
interventi di ristrutturazione edilizia. Ciò
perché le disposizioni che derogano agli
strumenti urbanistici locali, in quanto
introdotte da leggi regionali, non possono
influire sull’applicazione di prescrizioni
di carattere fiscale contenute nelle norme
nazionali.
Questo il chiarimento contenuto nella
risoluzione 04.01.2011 n. 4/E con
la quale l’Agenzia delle Entrate fornisce la
propria consulenza giuridica in merito
all’interpretazione dell’articolo 1 della
legge 449/1997 (“disposizioni tributarie
concernenti interventi di recupero del
patrimonio edilizio”). ... (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Permesso al consigliere. Se la
seduta coincide con l'impegno di lavoro. Il
binario tracciato dall'articolo 79 del
decreto legislativo 267 del 2000.
Un consigliere comunale,
che svolge attività lavorativa subordinata
articolata in turni, ha diritto di ottenere
dal datore di lavoro una giornata a titolo
di recupero o riposo, nel caso in cui il
consiglio si sia svolto in una giornata
concomitante con il proprio giorno di
riposo?
Ai sensi dell'art. 79 del dlgs n. 267/2000,
i permessi in questione trovano
legittimazione nel caso in cui
l'espletamento delle funzioni connesse alla
carica elettiva coincida temporalmente con
l'impegno lavorativo
(articolo ItaliaOggi del 07.01.2011, pag.
31). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Pareri
degli assessori.
Rientra tra le competenze gestionali di un
assessore, al quale è stata attribuita la
responsabilità dell'Ufficio tecnico ai sensi
dell'art. 53, comma 23, della legge n.
388/2000 come modificato dall'art. 29, comma
4, della legge n. 448/2001, quella di
rilasciare il parere di regolarità tecnica
sulle delibere adottate dalla giunta
comunale di cui l'assessore fa parte?
L'art. 53, comma 23, della legge n. 388/2000
nel testo modificato dal comma 4 dell'art.
29 della legge n. 448/2001, prevede, in
deroga al generale principio di separazione
dei poteri di indirizzo e programmazione da
quelli gestionali, la possibilità, per gli
enti locali con popolazione inferiore ai 5
mila abitanti, di adottare disposizioni
regolamentari organizzative, anche al fine
di operare un contenimento della spesa,
attribuendo ai componenti dell'organo
esecutivo la responsabilità degli uffici e
dei servizi e il potere di adottare atti
anche di natura tecnica gestionale.
La specialità della norma richiede che il
contenimento della spesa sia documentato
annualmente in sede di approvazione del
bilancio. La legge finanziaria 2001,
comprensiva delle modificazioni introdotte
dalla legge finanziaria 2002, prevede
l'attribuzione ai componenti dell'organo
esecutivo della «responsabilità degli
uffici e dei servizi» congiuntamente al
«potere di adottare atti di natura
tecnica gestionale», conferendo agli
stessi tutte le funzioni dirigenziali o
paradirigenziali che sono proprie dei
responsabili di servizi ai sensi dell'art.
107 del dlgs n. 267/200.
In tali casi, pertanto, compete
all'assessore, in qualità di responsabile
del servizio, il rilascio del prescritto
parere di regolarità tecnica da apporre
sulle proposte di deliberazione, ai sensi
dell'art. 49 del dlgs 267/2000
(articolo ItaliaOggi del 07.01.2011, pag.
31). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Utilizzo dello stemma.
È legittimo l'utilizzo dello stemma comunale
da parte di singoli consiglieri comunali,
nelle comunicazioni con altre istituzioni,
in luogo del proprio simbolo politico, in
assenza di specifica disciplina statutaria o
regolamentare?
Lo stemma comunale costituisce il segno
distintivo del comune, l'elemento grafico
rappresentativo dell'identità dell'ente.
Pertanto, lo stesso è oggetto di proprietà
dell'ente che può agire, mediante la tutela
riconducibile a quella del diritto al nome
di cui all'art. 7 del codice civile, contro
chiunque ne faccia un uso improprio o,
comunque, non consentito.
In origine disciplinato dagli artt. 31 e 66
del regio decreto 07.06.1943 n. 651 (reso
esecutivo con regio decreto n. 652/1943),
norme ora abrogate (la prima dall'art. 274,
comma 1, del dlgs 18.08.2000, n. 267, la
seconda dall'art. 24, dl 25.06.2008, n.
112), attualmente lo stemma è previsto dalla
normativa sull'ordinamento degli enti locali
che all'art. 6, comma 2, del Tuoel n.
267/2000, demanda all'autonomia dell'ente, e
quindi allo statuto, la sua determinazione
con l'eventuale previsione di una specifica
disciplina regolamentare per le modalità di
utilizzazione dello stesso.
Se lo statuto comunale descrive
dettagliatamente la foggia dello stemma
comunale ma non disciplina le modalità di
utilizzo dello stesso, né risulta che l'ente
abbia adottato un apposito regolamento in
materia, l'uso dello stemma è comunque da
considerare compatibile, da parte dei
consiglieri singolarmente o quali gruppi,
ove si consideri che ciascuno costituisce
una parte istituzionale dell'ente locale del
quale lo stemma rappresenta un elemento
unitario di identificazione.
Tuttavia, in assenza di previsioni
regolamentari più dettagliate (che l'ente
potrebbe, comunque, decidere di adottare per
prevedere, per esempio, la previa
autorizzazione dell'ente a utilizzare lo
stemma) l'uso e la riproduzione dello stemma
comunale da parte del singolo consigliere o,
anche, dei gruppi consiliari deve avvenire
con la cautela necessaria a evitare la
strumentalizzazione del simbolo o ambiguità
in ordine alla provenienza dei documenti.
Il suo utilizzo deve essere, comunque,
limitato all'esercizio del munus
istituzionale di cui lo stesso è investito;
pertanto sulla carta intestata deve essere
prevista, insieme allo stemma comunale, la
contemporanea presenza del nominativo del
consigliere e del simbolo del gruppo cui
appartiene con la specifica indicazione «gruppo
consiliare»
(articolo ItaliaOggi del 07.01.2011, pag.
31). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Gli
enti alle prese con l'adeguamento. E sulle
valutazioni i nodi vengono al pettine.
Il sistema di
valutazione dei dipendenti è disciplinato
dalla legge, l'articolo 19, del dlgs
150/2009, o può essere modificato attraverso
i regolamenti di organizzazione. Non è
ammessa, né risulta legittima, la
contrattazione.
La data del primo gennaio 2011 era realmente
«fatidica» per gli enti locali, i
quali si sono, inopportunamente, crogiolati
sul termine del 31/12/2010 per adeguare i
propri ordinamenti ai contenuti della prima
parte della riforma-Brunetta. Gli articoli
16 e 31 della riforma, infatti, avevano
assegnato un anno per armonizzare la
disciplina regolamentare alle disposizioni
normative. In moltissimi hanno ritenuto
opportuno far decorrere il termine
nell'inerzia.
Giunto il 2011, i nodi vengono al pettine.
Gli enti che non hanno ancora adeguato il
sistema di valutazione si trovano nella
necessità di dover applicare
obbligatoriamente l'articolo 19, che come
noto istituisce le tre fasce di valutazione,
prevedendo che il 50% del fondo destinato al
risultato individuale finanzi la prima,
nella quale collocare solo il 25% dei
dipendenti; il restante 50% finanzi la
seconda, nella quale collocare il 50% dei
dipendenti; nessun finanziamento c'è per la
terza fascia, nella quale collocare il
restante 25% dei dipendenti.
L'operatività dell'articolo 19 è certa.
Infatti, è una norma avente valore «suppletivo»
proprio nei confronti degli enti locali che,
colpevolmente, non rimasti con le mani in
mano e non si sono avvalsi della possibilità
concessa loro dall'articolo 31, comma 2, del
dlgs 150/2009 di modificare la disciplina
delle fasce, con facoltà di istituirne anche
più di tre e, soprattutto, di modificare
notevolmente il loro finanziamento.
Tuttavia, proprio per il valore di norma che
si sostituisce in modo sanzionatorio alla
carente disciplina regolamentare locale, gli
enti sono ancora in tempo a esercitare le
loro potestà. Infatti, vale pur sempre
l'effetto ghigliottina: l'inerzia non fa
perdere il diritto, comunque assicurato
dall'articolo 31, comma 2, di disciplinare
le fasce valutative in modo diverso, anche
successivamente al 31/12/2010. Purché,
ovviamente, ciò avvenga prima di mettere
mani alla valutazione. I ritardatari,
dunque, debbono fare presto.
Si pone, allora, il problema di come
adeguare il sistema di valutazione e, in
particolare, la strutturazione delle fasce.
Molti enti stanno procedendo mediante
contratti con le organizzazioni sindacali. È
un errore tale da inficiare la legittimità
stessa dell'adeguamento. In primo luogo, si
deve osservare che il sistema di valutazione
non è mai stato oggetto di contrattazione,
ma di concertazione, ai sensi dell'articolo
16, comma 2, lettera d), del Ccnl
31/03/1999. In secondo luogo, l'articolo 7,
comma 1, del dlgs 150/2009 modifica
radicalmente la situazione, qualificando il
sistema di valutazione come atto unilaterale
di organizzazione. Infatti, si stabilisce
che «adottano con apposito provvedimento
il Sistema di misurazione e valutazione
della performance». Il riferimento al «provvedimento»
è chiarissimo: si tratta di un atto
amministrativo e non negoziale.
La contrattazione, dunque, è esclusa e
laddove il sistema di valutazione fosse
adottato con contratto decentrato essa
sarebbe nulla. Infatti, è causa di nullità
non solo la violazione di limiti e vincoli
di carattere finanziario posti alla
contrattazione decentrata, ma anche la cura
di materie non espressamente attribuite alla
competenza della contrattazione di secondo
livello.
Acclarato che l'articolo 31, comma 2, del
dlgs 150/2009 assegna alla potestà
regolamentare degli enti la determinazione
delle fasce e del loro finanziamento, resta
da capire quale relazione sindacale possa
essere attivata in merito.
A stretto rigore, si deve ritenere che le
relazioni sindacali sul tema si limitino
alla consultazione, prevista dall'articolo
6, comma 1, del dlgs 165/2001, quale
presupposto dell'organizzazione e disciplina
degli uffici.
Lo stesso vale per l'istituzione delle
fasce. L'articolo 31, comma 2, del dlgs
150/2009 possono determinarsi in merito «nell'esercizio
delle rispettive potestà normative» e
cioè col regolamento di organizzazione. In
questo caso, dunque, la relazione sindacale
prevista, ai sensi dell'articolo 7 del Ccnl
1/4/1999 è l'informazione successiva, non
quella preventiva, in quanto essa riguarda
solo le materie oggetto di contrattazione e
concertazione: nell'elencazione delle
materie relative a tali relazioni sindacali
manca, ovviamente, il riferimento alla
disciplina delle fasce. È, tuttavia,
comunque consigliabile anche in questo caso
la consultazione delle organizzazioni
sindacali
(articolo ItaliaOggi del 07.01.2011, pag.
29). |
PUBBLICO IMPIEGO: Sanzioni
disciplinari doc. Il segretario controlla
l'operato dei dirigenti. Circolare del
ministero della pubblica amministrazione
sulla riforma.
Le competenze e le
responsabilità dei dirigenti nei
procedimenti e nelle sanzioni disciplinari
sono state fortemente aumentate dalla legge
cd Brunetta, mentre sono state ridotte le
attribuzioni dei responsabili nelle
amministrazioni prive di dirigenti. Tale
disposizione ha attribuito ai segretari il
compito di sanzionare i dirigenti che non
collaborano con i titolari del potere
disciplinare e non avviano o non concludono
i procedimenti disciplinari nei confronti
dei dipendenti o utilizzano motivazioni
palesemente incongruenti per arrivare alla
loro «assoluzione». Le regole dettate dal
dlgs n. 150/2009 prevalgono in modo
automatico e immediato sulle disposizioni
contrattuali contrastanti.
Possono essere così riassunte le principali
indicazioni contenute nella
circolare 23.12.2010 n. 14/2010
del ministro per la pubblica amministrazione
e l'innovazione che ha come oggetto «dlgs
n. 150 del 2009 - disciplina in tema di
infrazioni e sanzioni disciplinari e
procedimento disciplinare - problematiche
applicative».
Non è la prima volta che il ministero di
Palazzo Vidoni fornisce chiarimenti sulla
applicazione di questa parte importantissima
della legge cd Brunetta. La circolare è
assai importante per i chiarimenti che
fornisce su numerosi aspetti formali: si
deve ricordare che molto spesso i giudici
del lavoro hanno annullato le sanzioni
irrogate dalle pa per errori procedurali.
Per cui si raccomanda a tutti i dirigenti e
agli Uffici per i procedimenti disciplinari
di prestare la massima attenzione a questi
aspetti.
Per esempio, la legge Brunetta consente di
sostituire l'obbligo dell'affissione del
codice disciplinare nel luogo di lavoro con
la pubblicazione sul sito internet
dell'ente: fino ad oggi il mancato rispetto
di questa previsione ha determinato
l'annullamento delle condanne. La circolare
ci dice che questa forma di pubblicità può
essere considerata sufficiente solo se tutti
i dipendenti hanno a disposizione dal
proprio pc d'ufficio la possibilità di
accedere alla rete internet. E raccomanda di
dare la massima evidenza a tale documento,
sia sul sito sia sulle pagine intranet,
nonché di pubblicare «le procedure
previste per l'applicazione delle sanzioni,
le tipologie di infrazione e le relative
sanzioni; il codice di comportamento».
E ancora, ci ricorda che tutte le
amministrazioni devono, nell'esercizio della
propria autonomia organizzativa, istituire e
disciplinare l'Ufficio per i procedimenti
disciplinari, anche attribuendo questa
competenza a una articolazione organizzativa
esistente. Un chiarimento assai importante è
quello per cui questo Ufficio è competente
alla irrogazione della gran parte delle
sanzioni nei confronti dei dirigenti.
Il segretario comunale può dal canto suo,
sempre che non sia individuato come
responsabile dell'Ufficio per i procedimenti
disciplinari e che questo compito gli sia
affidato, irrogare le sanzioni ai dirigenti
solo nelle 2 nuove fattispecie introdotte
dalla legge cd Brunetta: la violazione del
dovere di collaborare con il soggetto
preposto alla irrogazione di sanzioni
disciplinari e il mancato avvio o la mancata
conclusione entro i termini dei procedimenti
disciplinari, nonché la utilizzazione di
motivazioni palesemente errate per evitare
di aprire o concludere con la condanna un
procedimento disciplinare.
Assai importante è anche la indicazione che
questo Ufficio può aprire direttamente i
procedimenti, cioè anche in assenza della
segnalazione del dirigente della struttura
presso cui il dipendente presta la propria
attività.
E infine si chiarisce che la ripartizione
delle competenze è da ritenere come un
vincolo non superabile, per cui ogni vizio
può determinare l'annullamento della
procedura e della sanzione. Ciò vale in
particolare per la attribuzione ai dirigenti
dei poteri di irrogare le sanzioni per le
violazioni di minore gravità, quelle
punibili fino alla sospensione per dieci
giorni, e ai responsabili, negli enti privi
di dirigenza, del potere di irrogare
direttamente solo il rimprovero verbale
(articolo ItaliaOggi del 07.01.2011, pag.
29). |
ENTI LOCALI - VARI: ICI/
Sentenza della Corte di cassazione sui
terreni edificabili. Servono elementi di
peso per escludere le pertinenze.
Per escludere dall'Ici
un terreno edificabile posto a servizio di
un fabbricato si deve far riferimento
esclusivo al concetto civilistico di
«pertinenza» ex art. 817 del codice civile,
non rilevando, in tal senso, l'esistenza di
eventuali servitù; tuttavia, il vincolo
pertinenziale deve essere accertato in base
a concreti elementi di fatto e il bene non
deve essere suscettibile di diversa
destinazione, salvo interventi di radicale
trasformazione.
Sono queste, in sintesi, le conclusioni a
cui è giunta la Corte di cassazione nella
sentenza n. 22128/2010.
I giudici di Piazza Cavour sono intervenuti
con estrema precisione per fornire
chiarimenti su una tematica assai
controversa in giurisprudenza e, per sua
stessa natura, di difficile valutazione. Nel
caso di specie, infatti, si trattava di
valutare l'eventuale soggezione a Ici di un
terreno, edificabile secondo prg, annesso a
un fabbricato principale, in parte
utilizzato dal proprietario come giardino,
in parte gravato da vincolo di servitù.
I due gradi di merito si erano conclusi con
decisioni favorevoli al contribuente sulla
scorta del fatto che, nonostante la
vocazione edificatoria del terreno,
l'effettivo utilizzo a mo' di giardino e
l'esistenza della servitù avevano comunque
inibito l'edificabilità dello stesso,
configurandolo di fatto quale pertinenza del
fabbricato annesso.
Di diverso parere gli Ermellini che, con la
sentenza in commento, hanno ribaltato la
decisione della Commissione regionale,
fissando i paletti per l'individuazione di
un terreno di pertinenza. Passando all'esame
dei motivi che hanno portato la Corte ad
accogliere il ricorso dell'amministrazione,
ciò che ne deriva è un vero e proprio
vademecum per la valutazione delle
pertinenzialità.
In primis, la Cassazione osserva come
il concetto chiave attorno al quale
costruire l'analisi sia, anche in tema di
Ici, il concetto di «pertinenza» dettato
dall'art. 817 del c.c. («sono pertinenze
le cose destinate in modo durevole a
servizio o ad ornamento di un'altra cosa»).
Non può incidere, invece, in alcun modo la
presenza di vincoli di servitù gravanti sul
terreno in quanto, tenuto conto della loro
natura privatistica, «le servitù non
hanno alcuna idoneità giuridica ad escludere
(e neppure a ridurre) la qualità
edificatoria di un suolo, perché la stessa
deriva dallo strumento urbanistico, cioè da
un atto con cui si realizza l'interesse
pubblico».
Chiariti questi concetti basilari, i giudici
rincarano la dose nei confronti del
contribuente, palesando la necessità di
dimostrare la pertinenzialità in maniera
concreta: «si deve semplicemente
evidenziare la centralità della “verifica”,
la quale deve essere tesa ad accertare
l'esistenza, in base a concreti elementi
fattuali, dimostrativi del necessario e
insostituibile vincolo funzionale dell'area
rispetto al manufatto principale».
In tal senso, la Corte boccia le modalità di
valutazione della pertinenza adottate dai
primi giudici in quanto «la rilevanza
fiscale del preciso accertamento fattuale
esclude qualsivoglia operazione logica di
qualificazione come “pertinenza” del
fabbricato di qualsiasi area edificabile
limitrofa, sol perché considerata, o anche
semplicemente utilizzata, dal proprietario
del fabbricato «a giardino» (...) che in
carenza di ulteriori elementi concreti non
depone affatto per la sussistenza di un
sicuro e durevole asservimento dell'area».
In conclusione, quale aggiuntivo «criterio-indice»,
la cassazione afferma che «l'accertamento
dell'esistenza del vincolo pertinenziale
postula anche quello dell'esistenza
dell'ulteriore requisito della non
suscettibilità del bene di diversa
destinazione (...) senza che detta
destinazione possa facilmente cessare a meno
di una radicale trasformazione dell'immobile
stesso»
(articolo ItaliaOggi del 07.01.2011, pag.
20). |
EDILIZIA PRIVATA: L'ampliamento
non merita bonus. I chiarimenti dell'Agenzia
delle entrate sull'applicazione delle
agevolazioni del 36% e 55%. Detrazioni Irpef
limitate alle spese per la parte esistente.
Piano casa, stop ai benefici fiscali. le
detrazioni Irpef ammesse solo in caso di
ristrutturazione e limitatamente alle spese
riferibili alla parte esistente, con
esclusione degli eventuali ampliamenti ...
(articolo
ItaliaOggi del 06.01.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Personale, no al fai da te. Stop
a stabilizzazioni e indennità a pioggia. La
Corte Costituzionale boccia norme della
regione Liguria sui dipendenti.
Nuovo stop della Corte costituzionale alle
stabilizzazioni selvagge, alle progressioni
verticali e a sistemi di indiscriminata e
non selettiva attribuzione di indennità a
pioggia ai dipendenti pubblici. ...
(articolo
ItaliaOggi del 06.01.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
PUBBLICO IMPIEGO: 2011,
si apre la finestra mobile. L'accesso al
riposo prorogato indistintamente di 12-18
mesi.
Sei mesi in più di attesa e di lavoro, in
media, rima di percepire la pensione di
vecchiaia.
Le nuove regole in vigore dall'01.01.2011,
scaturenti dalla riforma Sacconi (legge n.
122/2010) non hanno modificato i requisiti
di età e di contribuzione per la pensione di
vecchiaia.
Pensione che, tuttavia, sarà erogata con più
ritardo per effetto della nuova «finestra
mobile». Finestra che allunga l'epoca di
pensionamento di 12 mesi ai lavoratori
dipendenti e di 18 mesi a quelli autonomi,
indistintamente sia per la vecchiaia che per
l'anzianità.
Cinque super-riforme in 30
anni.
Negli ultimi 30 anni si è assistita a una
continua azione di riforma del sistema
previdenziale. Nel 1992, con la riforma
Amato, è stato introdotto un graduale
aumento dell'età per la pensione di
vecchiaia. Nel 1996, con la riforma Dini, e
poi nel 2004, con la riforma Maroni, anche
l'età per la pensione di anzianità è stata
fatta salire in misura graduale da 52 a 62
anni.
E' stata poi la volta della riforma Damiano
che, con il Protocollo Welfare 2007, ha
introdotto le cosiddette «quote».
Infine la riforma Sacconi, con la manovra
estiva (legge n. 122/10).
Tre le novità fondamentali: 1. il rinvio del
momento di decorrenza della pensione di 12
mesi ai lavoratori dipendenti e di 18 mesi a
quelli autonomi («finestra mobile»,
che significa elevare ...
(articolo
ItaliaOggi del 03.01.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Missioni.
Le indicazioni delta Corte conti. Anche i
segretari comunali senza rimborsi auto.
Le misure per frenare la spesa pubblica
introdotte dalla manovra estiva sui costi di
missione per il personale statale (articolo
6, comma 12, del DL 78/2010) implicano
l'automatica disapplicazione delle nonne in
materia contenute nei contratti collettivi
nazionali del personale delle autonomie
locali, anche per l'utilizzo del mezzo
proprio.
Così, in base a quanto indicato nel
parere 17.11.2010 n.
171 della sezione regionale di
controllo della Corte dei conti per la
Toscana, non può essere riconosciuto alcun
rimborso per le spese di viaggio anche a
favore dei segretari comunali e provinciali,
titolari di segreterie convenzionate, nei
casi in cui usino il proprio mezzo di
trasporto nell'espletamento delle funzioni
di servizio.
Il rimborso in questione, anche se
espressamente previsto dal contratto dei
segretari comunali e provinciali
sottoscritto il 16.05.2001 (che riconosce al
segretario titolare di segreterie
convenzionate, per l'accesso alle diverse
sedi, il rimborso delle spese di viaggio
effettivamente sostenute e documentabili),
soggiace in via generale ai limiti di spesa
che il legislatore nazionale ha posto anche
agli enti locali, in funzione di
coordinamento di finanza pubblica.
Sul punto il comma 12 dell'articolo 6 del Dl
78/2010 si applica infatti anche a questi
ultimi, in virtù dell'espresso richiamo a
tutte le amministrazioni inserite nel conto
economico consolidato della Pa, individuate
dall'Istat ai sensi del comma 3
dell'articolo 1 della legge 31.12.2009, n.
196.
D'altra parte, come evidenziato dalla Corte,
la norma stessa contempla specifiche e
dettagliate ipotesi -tra le quali non è
inclusa quella che qui interessa- escluse
dal rispetto dei limiti di spesa; configura,
quale illecito disciplinare e fonte di
responsabilità erariale, gli atti e i
contratti posti in essere in violazione di
tali limiti di spesa; indicala perdita di
efficacia delle «analoghe disposizioni
contenute nei contratti collettivi».
Considerate pertanto le generali finalità
del legislatore, ricorrono, nel caso
esaminato dalla sezione, i requisiti di
analogia fra le nonne di legge disapplicate
per i dipendenti statali e l'articolo 47,
comma 4, del Ccnl dei segretari comunali e
provinciali, riferendosi ambedue le
disposizioni all'ammissibilità, previa
autorizzazione, dell'utilizzo del proprio
mezzo di trasporto.
Non essendo coerente consentire la
permanenza di un differente regime giuridico
in caso di situazioni con caratteristiche
analoghe, proprio alla luce della rado
sottesa all'imposizione dei nuovi vincoli
alla spesa. ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 03.01.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
PUBBLICO IMPIEGO: Impiegati
con autorizzazione per timbrare fuori sede.
Rischia una condanna per truffa l'impiegato
pubblico che, senza autorizzazione, timbra
fuori sede per farsi pagare gli
straordinari.
Lo ha sancito la Corte di Cassazione, Sez.
II penale,
sentenza
04.01.2011 n. 46, che ha annullato
con rinvio il non luogo a procedere
pronunciato dal Gup di Torino in favore di
un'impiegata dell'Inps che, senza esserne
stata autorizzata (almeno non era riuscita a
provarlo), aveva timbrato fuori sede per
avere gli straordinari. ...
(articolo
ItaliaOggi del 06.01.2011 - link
a www.ecostampa.com).
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La falsa attestazione del pubblico
dipendente, circa la presenza in ufficio
riportata sui cartellini marcatempo o nei
fogli di presenza, è condotta fraudolenta,
idonea oggettivamente ad indurre in errore
l'amministrazione di appartenenza circa la
presenza su luogo di lavoro, e integra il
reato di truffa aggravata, ove il pubblico
dipendente si allontani senza far risultare,
mediante timbratura del cartellino o della
scheda magnetica, i periodi di assenza,
sempre che siano da considerare
economicamente apprezzabili (Cass. Sez. 2,
sentenza n. 26722 del 12.06.2008 dep.
02.07.2008 rv 240700).
La timbratura in altro luogo implica
l'attestazione della continuità della
prestazione, rispetto alla quale non vi era
alcuna possibilità di controllo, essendo
l'imputata uscita. |
APPALTI:
Informativa antimafia -
Risultanze istruttorie a monte - Differenza
- Limitazioni all’accesso.
Ai fini dell’accesso, l’’informativa
antimafia, generalmente consistente nella
mera formula rituale con la quale il
Prefetto, sulla base delle risultanze in suo
possesso, afferma la sussistenza di elementi
interdittivi a carico dell'impresa, atto per
sua natura pienamente ostensibile, va
distinta dalle risultanze istruttorie "a
monte", cui ha attinto l'Autorità
prefettizia per pervenire al giudizio
sfavorevole formulato a carico dell'impresa
medesima, laddove l'accesso va
effettivamente escluso per tutte le parti
della documentazione in possesso
dell'Amministrazione coperte da segreto
istruttorio, in quanto afferenti a indagini
preliminari o procedimenti penali in corso,
o in quanto coinvolgenti, a qualunque
titolo, terzi soggetti interessati dalle
informative di polizia di sicurezza; ovvero,
ancora, adducendo specifici motivi ostativi
riconducibili ad imprescindibili esigenze di
tutela di accertamenti di polizia di
sicurezza e di contrasto alla delinquenza
organizzata (TAR Campania, Salerno, sentenza
n. 818/2007) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 30.12.2010 n. 14413 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo paesaggistico -
Compromissione della bellezza naturale ad
opera di preesistenti realizzazioni abusive
- Intervento della soprintendenza - Giudizio
di comparazione - Condizioni effettive
dell’area.
L’intervento della Sovrintendenza deve
tendere alla conservazione dei valori
presidiati dal vincolo al fine di evitare
ulteriori interventi deturpanti, a
prescindere dall’esistenza di eventuali
altre evidenze abusive.
Infatti la situazione di compromissione
della bellezza naturale ad opera di
preesistenti realizzazioni, anziché
impedire, maggiormente richiede che nuove
costruzioni non deturpino esteriormente
l’ambito protetto. Nondimeno, perché
l’azione amministrativa risulti ragionevole,
deve avere per obiettivo un’effettiva tutela
del paesaggio e non l’inutile evocazione di
un valore astratto ed irreale.
Perciò il giudizio di comparazione
dell’opera al contesto da difendere va
compiuto tenendo presente le effettive
condizioni dell’area in cui il manufatto è
stato inserito (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.12.2010 n. 9578 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Avvalimento: caratteristiche
generali.
Con due pronunce consecutive (CdS, Sez. VI,
sent. 29.12.2010 n. 9576 e CdS, Sez. VI,
sentenza 29.12.2010 n. 9577), il Consiglio
di Stato ha espresso importanti principi
riguardo l’istituto dell’avvalimento,
proseguendo a definirne progressivamente le
caratteristiche generali.
In un primo momento, infatti, con la
sentenza 29.12.2010 n. 9576, è
stato ribadito che l’avvalimento è un
istituto di carattere generale, che ha come
finalità precipua quella di consentire la
massima partecipazione possibile alle gare
ad evidenza pubblica.
Tale caratteristica ne consente
l’applicabilità anche in settori produttivi
con specifiche peculiarità.
È stato infatti sostenuto che “Attesa la
portata generale dell’istituto, e in assenza
di una espressa previsione derogatoria, non
vi sono ragioni per ritenere che l’avvalimento
non trovi applicazione per la sola ragione
che la gara in oggetto abbia ad oggetto
prestazioni (la fornitura di aiuti
alimentari) che interessano il settore
dell’agricoltura. Si tratta, invero, sempre
di una gara, che quindi soggiace ai principi
generali desumibili dalla normativa
comunitaria, tra i quali anche il principio
dell’avvalimento. Né, del resto, nell’ambito
del settore agricolo, emergono peculiarità
tali da giustificare una deroga così visto
ai principi comunitari.”
Con la seconda pronuncia,
sentenza 29.12.2010 n. 9577, i
giudici amministrativi ribadiscono quanto da
ultimo affermato a proposito della
generalità dell’istituto e, oltre a dettare
interessanti principi in materia di
subappalto, di potere di soccorso della
stazione appaltante e di continuità delle
operazioni di gara, chiariscono che l’avvalimento,
applicabile anche ai settori speciali in
virtù del rinvio operato dall’art. 233,
comma 6, del D.lgs. 163/2006, nei limiti
della compatibilità, non può essere
sottoposto ad una legge di gara che ne fissi
una disciplina più rigorosa.
Infatti, il riferimento al criterio della
compatibilità, intende evitare che ai
settori speciali siano estese norme di
eccessivo rigore, incompatibili con il
dettato comunitario.
Altra questione affrontata dai giudici
attiene alle dichiarazioni da rendere in
caso di collegamento tra le imprese e
nell’ipotesi di impresa ausiliaria estera.
Sul primo punto è stato ribadito che “Quanto
alla dichiarazione formale che deve rendere
l’impresa ausiliaria ai sensi dell’art. 49,
comma 2, lett. e), del Codice dei contratti
pubblici, di non trovarsi in una situazione
di controllo "con una delle altre imprese
che partecipano alla gara", essa va
correttamente interpretata alla luce delle
direttive comunitarie secondo cui l’avvalimento
è ammesso a prescindere dalla natura
giuridica dei legami tra impresa ausiliaria
e impresa ausiliata. Pertanto, un eventuale
rapporto di controllo tra ausiliaria e
ausiliata è giuridicamente irrilevante e non
deve essere dichiarato. Lo stesso è a dirsi
nel caso in cui il rapporto di controllo non
si ponga tra ausiliaria e ausiliata, ma tra
ausiliaria e altra impresa dello stesso
raggruppamento dell’ausiliata. Infatti in
tal caso più imprese dello stesso
raggruppamento costituiscono un medesimo
concorrente, e sono irrilevanti i rapporti
interni di controllo riferiti al medesimo
concorrente.”
Infine, con riferimento al caso dell’impresa
ausiliaria estera, il CdS ha affermato che
la stessa non sia tenuta a rendere la
dichiarazione sul possesso dei requisiti di
capacità con le forme previste per le
imprese italiane, ossia esibendo i documenti
probatori, o rendendo dichiarazione
sostitutiva.
Ciò in applicazione dell’art. 47, del D.lgs.
163/2006, il quale prevede che gli operatori
economici stabiliti in altri Paesi
dell’Unione europea si qualificano nella
singola gara che si svolge in Italia
producendo documentazione conforme alla
normativa vigente nel Paese di appartenenza,
idonea a dimostrare il possesso dei
requisiti prescritti per la qualificazione e
la partecipazione degli operatori economici
italiani alle gare.
Secondo i giudici del CdS, tale regola,
dettata per i partecipanti alla gara, non
può non essere estesa alle imprese
ausiliarie (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Ordine di
smaltimento - Proprietario del fondo - Art.
192 d.lgs. n. 152/2006.
In mancanza di adeguata dimostrazione da
parte dell'amministrazione procedente, sulla
base di un'istruttoria completa e di
un'esauriente motivazione (quand'anche
fondata su ragionevoli presunzioni o su
condivisibili massime d'esperienza),
dell'imputabilità soggettiva della condotta,
devono ritenersi illegittimi gli ordini di
smaltimento di rifiuti abbandonati in un
fondo che siano indiscriminatamente rivolti
al proprietario del fondo stesso in ragione
della sua sola qualità.
E’ in tal senso il dato testuale dell’art.
14 d.lgs. n. 22/1997 ed è di analogo tenore
il sopravvenuto art. 192 del d.lgs. n.
152/2006 che reca la nuova disciplina in
materia, disponendo l’abrogazione di quella
precedente (cfr. art. 264).
RIFIUTI - Abbandono -
Pertinenze stradali - Ente proprietario
della strada - Obbligo di rimozione - Art.
14 codice della Strada.
L’art. 14 del codice della strada (d.lgs. n.
285/1992) pone un onere incondizionato di
manutenzione, gestione e pulizia delle
strade e “delle loro pertinenze” a
carico degli enti proprietari delle strade
stesse (quali l’A.N.A.S. nel caso di specie)
allo scopo di garantire la sicurezza e la
fluidità della circolazione; deve pertanto
ritenersi sussistente in capo all’A.N.A.S.
l’obbligo di provvedere alla rimozione dei
rifiuti intimata con ordinanza sindacale, a
prescindere da ogni accertamento in ordine
alla configurabilità in capo all’Ente
proprietario di una concreta responsabilità
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 28.12.2010 n. 4313 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di telefonia - Compagnia telefonica
- Localizzazione di un impianto -
Conclusione di accordi con un privato -
Rapporto amministrativo con il Comune -
Sottrazione alla disciplina del Codice delle
Comunicazioni elettroniche - Esclusione.
La circostanza che una società telefonica
abbia concluso un accordo con un privato per
la localizzazione di un impianto di
telefonia in un’area a quest’ultimo
appartenente non esclude che il rapporto
amministrativo con l’ente comunale, ai fini
del rilascio del titolo abilitativo ad
installare la stazione radio-base, non
rientri nel campo applicativo del Codice
delle comunicazioni elettroniche e non debba
quindi scontare il procedimento semplificato
ivi previsto la formazione del titolo
abilitativo.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Comuni - Criteri
localizzativi - Potere regolamentare -
Limiti - Art. 8 L. n. 36/2001.
Il potere regolamentare dei Comuni di
fissare, ai sensi dell’art. 8 ultimo comma
della legge n. 36 del 2001, criteri
localizzativi per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti e minimizzare l'esposizione
della popolazione ai campi elettromagnetici
non si può mai tradurre nel potere di
sospendere la formazione dei titoli
abilitativi formati o in corso di formazione
ai sensi degli artt. 86 e 87 del Codice
delle comunicazioni elettroniche.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Comuni -Potestà
regolamentare Generalizzato divieto di
installazione in zone urbanistiche
identificate - Illegittimità - Ragioni.
In materia di impianti di comunicazioni
elettroniche, la potestà regolamentare dei
Comuni deve tradursi in regole ragionevoli,
motivate e certe, poste a presidio di
interessi di rilievo pubblico, ma non può
tradursi in un generalizzato divieto di
installazione in zone urbanistiche
identificate.
Tale previsione verrebbe infatti a
costituire una inammissibile misura di
carattere generale, sostanzialmente
cautelativa rispetto alle emissioni
derivanti dagli impianti di telefonia
mobile, in contrasto con l'art. 4 l. n. 36
del 2001, che riserva alla competenza dello
Stato la determinazione, con criteri
unitari, dei limiti di esposizione, dei
valori di attenzione e degli obiettivi di
qualità, in base a parametri da applicarsi
su tutto il territorio dello Stato
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.12.2010 n. 9414 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Concordato
preventivo - Ordinanza ex art. 192 d.lgs. n.
152/2006 - Commissario liquidatore -
Legittimazione passiva - Esclusione.
Il debitore ammesso al concordato preventivo
subisce uno «spossessamento attenuato»,
in quanto conserva, come nel fallimento,
oltre ovviamente alla proprietà,
l'amministrazione e la disponibilità dei
propri beni, salve le limitazioni connesse
alla natura stessa della procedura, la quale
impone che ogni atto sia comunque funzionale
all'esecuzione del concordato (Cass. civ.,
sez. trib., 25.02.2008, n. 4728).
In particolare, nel concordato con cessione
dei beni la legittimazione a disporne viene
attribuita dalla legge (art. 167 r.d. n.
267/1942) al commissario liquidatore, che
agisce non in nome o per conto dei creditori
concordatari, bensì nel rispetto delle
direttive impartite dal tribunale al fine di
provvedere alla liquidazione del patrimonio
e alla distribuzione dell’attivo ai
creditori (Cass. civ., sez. lav.,
10.02.2009, n. 3270).
Ne discende che la Liquidazione giudiziale,
non avendo la proprietà del bene in
questione non è legittimata passivamente a
ricevere l’ordine impartito con l’ordinanza,
secondo quanto stabilito dall’art. 192 del
Codice dell’ambiente.
RIFIUTI - Abbandono -
Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Sanzione
amministrativa di tipo reintegratorio -
Autore materiale - Comportamento titolato -
Riconducibilità dell’evento al soggetto
responsabile.
La fattispecie normativa di cui all’art. 192
del d.lgs. n. 152 del 2006 introduce una
sanzione amministrativa di tipo
reintegratorio, avente a contenuto l'obbligo
di rimozione, di recupero o di smaltimento e
di ripristino a carico del responsabile del
fatto di discarica o immissione abusiva cioè
di "chiunque viola i divieti di abbandono
e di deposito incontrollato di rifiuti sul
suolo", in solido con il proprietario e
con i titolari di diritti reali o personali
di godimento sull'area ai quali tale
violazione sia imputabile a titolo di dolo o
di colpa.
La norma, dunque, ai fini dell'imputabilità
della condotta, richiede, a carico
dell'autore materiale un comportamento
titolato (dolo o colpa) (Cons. Stato, sez.
VI, 20/01/2003, n. 168; TAR Puglia, Bari,
sez. I, 27/02/2003, n. 872; TAR Sardegna,
19/09/2004, n. 1076; TAR Emilia Romagna,
Bologna, sez. II, 22/01/2008, n. 78).
È peraltro evidente che prima ancora del
profilo soggettivo attinente alla
qualificazione del comportamento del
presunto autore materiale dell'illecito è
necessario che sia verificata e provata la
riconducibilità dell'evento al soggetto che
viene dall'amministrazione indicato come
responsabile in capo al quale gravano gli
obblighi stabiliti dalla legge.
RIFIUTI - Abbandono -
Proprietario - Onere reale - Previsione -
Esclusione.
A differenza di quanto previsto per la
bonifica dei siti inquinati, per la
rimozione dei rifiuti non è stato previsto
dal legislatore, a carico del proprietario,
alcun onere reale che possa giustificare
l’emanazione dell’ordinanza anche nei suoi
confronti.
RIFIUTI - Abbandono -
Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Requisito
della colpa - Generica culpa in vigilando -
Insufficienza.
Il requisito della colpa postulato dall’art.
192 del d.lgs. n. 152/2006 può ben
consistere nell’omissione delle cautele e
degli accorgimenti che l’ordinaria diligenza
suggerisce ai fini di un’efficace custodia,
ma non può essere spinto, ordinariamente al
di là di tale confine, fermo restando che, a
tal fine, non è sufficiente una generica "culpa
in vigilando" (Cons. Stato sez. V,
08.03.2005, n. 935; id., 25.08.2008, n.
4061, TAR Campania, Napoli, sez. V,
01.06.2010, n. 11437) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 23.12.2010 n. 6862 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
ACQUA - Acque di balneazione -
Concentrazione di sostanze nocive per la
salute - Mancato rispetto delle condizioni
previste dall’Accordo tra Stato e Regioni
del 16.01.2003 - Esercizio del potere di
ordinanza contingibile e urgente -
Legittimità.
Il mancato rispetto delle condizioni
igienico-sanitarie minime previste
dall'Accordo tra Stato e Regioni del
16.01.2003 che fissa i parametri relativi
alla concentrazione di sostanze nocive per
la salute all'interno delle acque destinate
alla balneazione (nella specie, di una
piscina) giustifica l’esercizio dei poteri
di ordinanza contingibile e urgente di cui
all’art. 54, comma 2, del Testo unico degli
enti locali (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 23.12.2010 n. 6860 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Accertamenti tecnici - Instaurazione del
contraddittorio con gli interessati -
Obbligo - Esclusione.
Nella fase dell’accertamento tecnico, in
presenza di un interesse pubblico che può
essere tutelato solo attraverso l’esercizio
dei poteri sindacali extra ordinem,
non sussiste per l’Amministrazione l’obbligo
di instaurare un contraddittorio con gli
interessati le cui eventuali controdeduzioni
potranno essere vagliate successivamente
(TAR Toscana, sez. II, 20.01.1999, n. 158;
TAR Abruzzo, Pescara, 24.07.2003, n. 653).
Procedimento
amministrativo - Ordinanza contingibile e
urgente - Art. 54 d.lgs. n. 267/2000 -
Preventivo avviso di avvio del procedimento
- Necessità - Esclusione.
Deve ritenersi sottratto all'obbligo di
preventivo avviso di avvio del procedimento
il provvedimento contingibile ed urgente,
adottato per ragioni di tutela della salute
pubblica ai sensi dell'art. 54 del d.lgv. n.
267 del 2000 (TAR Lazio, sez. II,
20.01.2006, n. 455; TAR Abruzzo L'Aquila,
14.12.2004, n. 1337) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 23.12.2010 n. 6860 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Bonifica -
Conferenza di servizi - Determinazione
conclusiva - Motivazione per relationem -
Ammissibilità - Limiti.
Solo nell’ipotesi in cui la determinazione
conclusiva disattenda in tutto o in parte il
contenuto della conferenza di servizi
risulterà assoggettata allo specifico
obbligo di motivazione previsto dall’art.
14-ter, comma 6-bis, l. n. 241/1990: obbligo
che, ovviamente, non potrà essere
soddisfatto con motivazione “per
relationem”, attraverso il mero richiamo
al verbale della conferenza, visto che se ne
disattendono i contenuti.
Qualora, invece, la determinazione
conclusiva aderisca ai contenuti della
conferenza, approvandoli e considerandoli
come definitivi, non è necessaria una
motivazione più articolata ed autonoma
rispetto alle argomentazioni contenute nella
conferenza stessa. Pertanto l’obbligo di
motivazione potrà ben essere soddisfatto in
tal caso “per relationem”, mediante
il semplice richiamo al verbale della
conferenza di servizi.
INQUINAMENTO - Bonifica
- Siti di interesse nazionale - Competenza
del Ministro dell’ambiente - Competenza
dirigenziale - Art. 252 d.lgs. n. 152/2006.
L’art. 252 del d.lgs. n. 152/2006 distingue
tra atti ed attività di competenza del
Ministro dell’Ambiente ed atti e attività
facenti capo al “Ministero”. Rientra
così tra i primi l’individuazione, ai fini
della bonifica, dei siti di interesse
nazionale (art. 252, comma 2, cit.). La
rilevanza politica di tale atto è, d’altro
lato, dimostrata dalla necessità dell’intesa
con le Regioni interessate: intesa
prescritta, per l’appunto, dal citato comma
2 dell’art. 252.
Deve, invece, ritenersi che i decreti
direttoriali attinenti alle modalità con cui
devono essere condotti gli interventi di
messa in sicurezza d’emergenza (e come dovrà
esserlo quello di bonifica) costituiscono un
mero atto di gestione, che segue
l’individuazione del sito di bonifica e,
come tale, rientra nella competenza
dirigenziale e non del Ministro, non
concernendo le scelte di fondo che la P.A. è
chiamata a compiere nel settore in questione
(come accade invece per la mappatura e
perimetrazione dei siti di interesse
nazionale) (TAR Lombardia, BS, Sez. I,
09.10.2009, n. 1738).
INQUINAMENTO - Bonifica
- Siti di interesse nazionale - Procedimento
- Partecipazione del Ministero dello
Sviluppo Economico - Portata - Art. 252
d.lgs. n. 152/2006.
Nell’ipotesi di bonifica di SIN, il
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare resta il soggetto
principale del procedimento e la
partecipazione del Ministero dello Sviluppo
Economico si sostanzia, invece,
nell’espressione di un parere obbligatorio
-di cui al “sentito il Ministero” di
cui all’art. 252, comma 4, d.lgs. 152/2006-
la cui mancanza non è suscettibile di
inficiare il provvedimento finale (in tal
senso: TAR Friuli, Sez. I, 28.01.2008, n.
90).
INQUINAMENTO - Bonifica
- Procedimento - Partecipazione dei
destinatari delle prescrizioni - Principi di
trasparenza e pubblicità.
Nei procedimenti in materia di bonifica
ambientale, è necessario che la P.A.
consenta ai destinatari delle prescrizioni
stabilite dalla stessa P.A. di partecipare
al relativo procedimento, articolato in una
o più conferenze di servizi istruttorie e
decisorie. Ciò, quantomeno, con riferimento
alle fasi procedimentali in cui emerge
l'esistenza di una contaminazione del
terreno e della falda acquifera nell'area
interessata e che poi sfociano nelle
determinazioni assunte da una conferenza di
servizi decisoria (cfr. TAR Lombardia, Mi,
Sez. I, 19.04.2007, n. 1913; TAR Friuli
Venezia Giulia, 27.07.2001, n. 488).
Ciò perché l'onere di effettuare gli
accertamenti in contraddittorio con le parti
interessate risponde ad evidenti ragioni di
trasparenza e pubblicità, principi del
diritto vivente cui la P.A. si deve
uniformare in ogni momento della propria
azione, oltre che all'interesse pubblico
all'imparzialità dell'azione amministrativa.
INQUINAMENTO - Bonifica
- Barrieramento fisico - Analisi comparativa
con misure meno invasive - Necessità.
L’Amministrazione è tenuta a valutare ed
accertare non solo l'efficacia di misure
meno invasive della barriera fisica, ma
anche l'effettiva necessità, efficacia e
realizzabilità del sistema stesso di
contenimento fisico. Pertanto, l'opzione per
detto sistema, ovvero per un utilizzo
combinato delle differenti tipologie di
intervento, può legittimamente avere luogo
soltanto all'esito di un'analisi comparativa
tra le diverse alternative in discorso, in
ragione delle specifiche caratteristiche
dell'area.
L'analisi comparativa deve incentrarsi
quantomeno sull'efficacia delle diverse
alternative nel raggiungere gli obiettivi
finali, nonché sulle concentrazioni residue,
sui tempi di esecuzione e sulla loro
compatibilità con l'urgenza del provvedere,
sull'impatto rispetto all'ambiente
circostante gli interventi (TAR Puglia, Le,
Sez. I, 11.06.2007, n. 2247; TAR Toscana,
Sez. II, 14.10.2009, n. 1540 e 18.12.2009,
n. 3973).
INQUINAMENTO - Bonifica
- decisioni adottate dalla P.A. - Apparato
motivazionale - Attività istruttoria.
Tutte le decisioni adottate dalle competenti
autorità in materia ambientale e,
segnatamente, in materia di bonifica, devono
essere assistite -in relazione alla
pluralità ed alla rilevanza degli interessi
in gioco- da un apparato motivazionale
particolarmente rigoroso, che deve tenere
conto di un’attività istruttoria parimente
ineccepibile (TAR Friuli, n. 90/2008).
INQUINAMENTO - Bonifica
- Limiti di accettabilità per la
contaminazione dei suoli e delle acque
superficiali - Recepimento in conferenza di
servizi della posizione dell’ISS -
Illegittimità -Lacuna normativa -
Integrazione analogica operata da organi
consultivi - Inammissibilità - Fattispecie:
MTBE.
I parametri relativi ai limiti di
accettabilità per la contaminazione dei
suoli e delle acque superficiali e
sotterranee non possono essere modificati né
dall'Istituto Superiore di Sanità, né dalle
conferenze di servizi (TAR Toscana, Sez. II,
24.08.2010, n. 4875; TAR Puglia, Le,
11.06.2007 n. 2247; TAR Friuli Venezia
Giulia, n. 90/2008 cit.).
In particolare, in riferimento al parametro
“MTBE” (sostanza non inclusa nelle tabelle
allegate al d.m. 471/1999), deve ritenersi
illegittimo il recepimento, da parte della
conferenza di servizi, della pur autorevole
posizione dell'ISS in materia (Cons. Stato,
Sez. VI, 08.09.2009, n. 5256).
Come condivisibilmente rilevato in
giurisprudenza, infatti, pur ammettendo,
alla luce di ulteriori e più aggiornati
studi in materia, la tossicità per l'uomo e
l'ambiente del ”MBTE”, la lacuna normativa
non può essere colmata attraverso
un'attività di integrazione analogica
operata da organi consultivi quali
l'Istituto Superiore di Sanità o anche dalla
stessa Amministrazione competente
all'approvazione del progetto, sussistendo
al riguardo il limite normativo che
attribuisce, in via esclusiva, tale potere
secondo la specifica procedura prevista dal
legislatore (TAR Toscana, Sez. II, n.
4875/2010 cit.; TAR Piemonte, Sez. II,
17.03.2007, n. 1297; TAR Veneto, Sez. III,
02.07.2007, n. 2114).
INQUINAMENTO - Bonifica
- Terreno - Concentrazione del campione-
Allegato 2, parte IV d.lgs. n. 152/2006 -
Riferimento alla totalità del materiale
secco - Riferimento al solo sottovaglio -
Illegittimità.
Gli Allegati alla Parte IV del Titolo V del
d.lgs. n. 152/2006 e del d.m. 13.09.1999
impongono la rappresentazione dello stato di
tutto il materiale secco del terreno e non
solo di una sua frazione.
In particolare, l’Allegato 2, Parte IV,
Titolo V, d.lgs. cit. prevede che le la
concentrazione del campione dovrà essere
determinata riferendosi “alla totalità
dei materiali secchi, comprensiva anche
dello scheletro” e che determinate
modalità di campionamento sono volte ad
ottenere una “maggiore estensione delle
informazioni sulla verticale”, soluzione
non possibile se si considera
rappresentativo il solo “sottovaglio”,
notoriamente disperso omogeneamente sul
terreno e non rappresentativo dello stato
della verticale (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 22.12.2010 n. 6798 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di un soppalco interno,
sorretto da una struttura portante, in un
immobile sottoposto alla tutela di cui alla
L. n. 1089 del 1939, deve ritenersi
subordinata al nulla-osta della
Soprintendenza, non potendosi
ragionevolmente qualificare il soppalco
quale mero arredo interno, all’occorrenza
rimuovibile ed estraneo al giacimento
culturale e, quindi, non modificativo della
consistenza e dell’identità del bene
sottoposto a vincolo, dovendosi viceversa
ritenere che tale opera si integra nella
struttura dell’immobile, comportando altresì
una rilevante modifica dell’altezza di
considerevole parte dell’unità immobiliare.
A proposito di un soppalco si è affermato
che “La realizzazione di un soppalco
interno, sorretto da una struttura portante,
in un immobile sottoposto alla tutela di cui
alla L. n. 1089 del 1939, deve ritenersi
subordinata al nulla-osta della
Soprintendenza, non potendosi
ragionevolmente qualificare il soppalco
quale mero arredo interno, all’occorrenza
rimuovibile ed estraneo al giacimento
culturale e, quindi, non modificativo della
consistenza e dell’identità del bene
sottoposto a vincolo, dovendosi viceversa
ritenere che tale opera si integra nella
struttura dell’immobile, comportando altresì
una rilevante modifica dell’altezza di
considerevole parte dell’unità immobiliare”
(TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
07.02.2007 n. 32)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 20.12.2010 n. 7595 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Bonifica - Art. 17
d.lgs. n. 22/1997 - Responsabilità -
Proprietario incolpevole dell’area inquinata
- Principio “chi inquina paga” - Interventi
di recupero ambientale - Privilegio speciale
immobiliare.
L’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 impone
l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti
che definitive, idonee a fronteggiare la
situazione di inquinamento solamente a
carico di colui che di tale situazione sia
responsabile, per avervi dato causa,
postulando, da un punto di vista soggettivo,
il requisito del dolo o della colpa.
E’ evidente, pertanto, che, conformemente al
principio comunitario "chi inquina paga"
(art. 174, ex art. 130/R, Trattato CE),
secondo cui chi fa correre un rischio di
inquinamento o chi provoca un inquinamento è
tenuto a sostenere i costi della prevenzione
o della riparazione, l'amministrazione non
può imporre ai privati che non hanno alcuna
responsabilità diretta sull'origine del
fenomeno contestato, ma che vengono
individuati solo in quanto proprietari del
bene, lo svolgimento di attività di recupero
e di risanamento.
A carico del proprietario dell'area
inquinata, non responsabile della
contaminazione, spetta, invero, unicamente
la facoltà di eseguire gli interventi
ambientali in questione, al fine di evitare
l'espropriazione del terreno interessato
gravato da onere reale, al pari delle spese
sostenute per gli interventi di recupero
ambientale assistite anche da privilegio
speciale immobiliare (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 18.12.2010 n. 4593 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - RIFIUTI - Tutela
della salute pubblica - Ordinanza ex art. 38
L. n. 142/1990 - Danni temuti.
Il provvedimento contingibile ed urgente
emesso dal Sindaco ai sensi dell’art. 38 L.
08.06.1990, n. 142, quando mira alla tutela
della salute pubblica, può essere adottato
non solo per porre rimedio a danni già
verificatisi alla salute, ma anche e
soprattutto per evitare che tali danni si
verifichino.
Ciò anche quando la salute pubblica sia
minacciata da fenomeni di inquinamento
ambientale provocati da rifiuti, emissioni
inquinanti nell’aria e scarichi inquinanti
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 18.12.2010 n. 4584 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Esulano
dalla eccezione prevista dall’articolo 167,
comma 4, lettera a), gli interventi che
abbiano contestualmente determinato la
realizzazione di nuove superfici utili e di
nuovi volumi e che, di converso, siano
suscettibili di accertamento della
compatibilità paesistica anche i soppalchi,
i volumi interrati ed i volumi tecnici”,
atteso che i volumi tecnici, proprio in
ragione dei caratteri che li
contraddistinguono (già evidenziati in
precedenza), sono inidonei ad introdurre un
impatto sul territorio eccedente la
costruzione principale.
Si tratta di aver realizzato (abusivamente)
una semplice canna fumaria, opera priva di
autonoma rilevanza urbanistico-funzionale e
che non risulta particolarmente
pregiudizievole per il territorio.
Inoltre, si tratta di volume tecnico, e
secondo la giurisprudenza di questa Sezione
sarebbe possibile ottenere l’autorizzazione
paesaggistica in sanatoria ex art. 167
d.lgs. 42/2004: “l’interpretazione
teleologica induce inevitabilmente a
ritenere che, nonostante l’utilizzo della
particella disgiuntiva “o” nella frase “che
non abbiano determinato creazione di
superfici utili o volumi”, il duplice
riferimento alle nuove superfici utili e ai
nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia
una modalità di esprimere un concetto
unitario con due termini coordinati.
In altri termini, la necessità di
interpretare le eccezioni al divieto di
rilasciare l’autorizzazione paesistica in
sanatoria (previste dall’articolo 167, comma
4, del decreto legislativo n. 42/2004) in
coerenza con la ratio dell’introduzione di
tale divieto induce il Collegio a ritenere
che esulino dalla eccezione prevista
dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli
interventi che abbiano contestualmente
determinato la realizzazione di nuove
superfici utili e di nuovi volumi e che, di
converso, siano suscettibili di accertamento
della compatibilità paesistica anche i
soppalchi, i volumi interrati ed i volumi
tecnici”, atteso che i volumi tecnici,
proprio in ragione dei caratteri che li
contraddistinguono (già evidenziati in
precedenza), sono inidonei ad introdurre un
impatto sul territorio eccedente la
costruzione principale" (Tar Campania,
Napoli, VII, 1748/2009)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 15.12.2010 n. 27380 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
legittimo il diniego di rilascio di
concessione edilizia in sanatoria
relativamente ad un fabbricato realizzato
all'interno della c.d. fascia di servitù
idraulica atteso che il divieto di
costruzione ad una certa distanza dagli
argini dei corsi d'acqua demaniali, imposto
dall'art. 96, lett. f), r.d. 25.07.1904 n.
523, ha carattere assoluto ed inderogabile;
pertanto, nell'ipotesi di costruzione
abusiva realizzata in contrasto con tale
divieto trova applicazione l'art. 33 l.
28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il
quale contempla i vincoli di inedificabilità,
includendo in tale ambito i casi in cui le
norme vietino in modo assoluto di edificare
in determinate aree.
La giurisprudenza ha affermato che “è
legittimo il diniego di rilascio di
concessione edilizia in sanatoria
relativamente ad un fabbricato realizzato
all'interno della c.d. fascia di servitù
idraulica atteso che il divieto di
costruzione ad una certa distanza dagli
argini dei corsi d'acqua demaniali, imposto
dall'art. 96, lett. f), r.d. 25.07.1904 n.
523, ha carattere assoluto ed inderogabile;
pertanto, nell'ipotesi di costruzione
abusiva realizzata in contrasto con tale
divieto trova applicazione l'art. 33 l.
28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il
quale contempla i vincoli di inedificabilità,
includendo in tale ambito i casi in cui le
norme vietino in modo assoluto di edificare
in determinate aree” (Consiglio Stato,
sez. V, 26.03.2009, n. 1814)
(TAR Roma-Latina, Sez. I,
sentenza 15.12.2010 n. 1981 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
norme sulle distanze in materia urbanistica
di cui agli articoli 19 l. 06.08.1967 n. 765
e 4 d.m. 01.04.1968 -le quali prescrivono
che le distanze minime a protezione del
nastro stradale debbono osservarsi
nell'edificazione fuori del perimetro dei
centri abitati- hanno lo scopo di garantire
la sicurezza della circolazione stradale nei
confronti di quanti transitano sulle strade
o passano nelle immediate vicinanze ovvero
in queste abitano od operano.
Pertanto, esse impongono all'attività
edificatoria un vincolo (ontologico e
funzionale) d'assoluta inedificabilità la
cui applicazione costituisce puntuale
esecuzione dell'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47.
La Sezione
condivide l’orientamento giurisprudenziale
secondo cui “le norme sulle distanze in
materia urbanistica di cui agli articoli 19
l. 06.08.1967 n. 765 e 4 d.m. 01.04.1968 -le
quali prescrivono che le distanze minime a
protezione del nastro stradale debbono
osservarsi nell'edificazione fuori del
perimetro dei centri abitati- hanno lo scopo
di garantire la sicurezza della circolazione
stradale nei confronti di quanti transitano
sulle strade o passano nelle immediate
vicinanze ovvero in queste abitano od
operano.
Pertanto, esse impongono all'attività
edificatoria un vincolo (ontologico e
funzionale) d'assoluta inedificabilità la
cui applicazione costituisce puntuale
esecuzione dell'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47
(cfr. TAR Puglia Bari, sez. II, 08.01.2003
n. 20)"
(TAR Roma-Latina, Sez. I,
sentenza 15.12.2010 n. 1981 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'Amministrazione
Comunale, nel corso dell'istruttoria sul
rilascio della concessione edilizia, deve
verificare che esista il titolo per
intervenire sull'immobile per il quale è
chiesta la concessione edilizia e ciò anche
se la concessione è sempre rilasciata
facendo salvi i diritti dei terzi.
Il
Collegio ritiene di condividere la
prevalente giurisprudenza secondo cui, posta
la premessa che la concessione edilizia
ovvero il permesso di costruire –come
espressamente statuito dall’invocato art. 11
del D.P.R. n. 380/2001– non comportano
limitazione dei diritti dei terzi, ne fa
derivare, in primo luogo, l’esclusione di «un
obbligo del comune di effettuare complessi
accertamenti diretti a ricostruire tutte le
vicende riguardanti l'immobile in
considerazione, con particolare riferimento
all'inesistenza di servitù o di altri
vincoli reali che potrebbero limitare
l'attività edificatoria dell'immobile»
(così TAR Lombardia, sez. II, 06.02.2009, n.
1157).
Fermo restando che «l’Amministrazione
Comunale, nel corso dell'istruttoria sul
rilascio della concessione edilizia, deve
verificare che esista il titolo per
intervenire sull'immobile per il quale è
chiesta la concessione edilizia e ciò anche
se la concessione è sempre rilasciata
facendo salvi i diritti dei terzi»
(Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223);
«Ed invero la concessione edilizia è un
atto amministrativo che rende legittima
l'attività edilizia nell'ordinamento
pubblicistico e regola il rapporto che in
relazione a quell'attività si pone in essere
tra l'autorità amministrativa che lo emette
ed il soggetto a favore del quale è emesso,
ma non attribuisce a favore di tale soggetto
diritti soggettivi conseguenti all'attività
stessa, la cui titolarità deve essere sempre
verificata alla stregua della disciplina
fissata dal diritto comune, con le
consentite integrazioni della normativa
speciale di cui all'art. 872 c.c. ed alle
norme da esso richiamate» (così, ancora,
Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223; si
veda anche sez. IV, 26.05.2006, n. 3201)
(TAR
Valle d'Aosta,
sentenza 15.12.2010 n. 84 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio della concessione edilizia in
carenza del previo (e positivo) nulla-osta
della soprintendenza si concretizza in una
mera irregolarità procedimentale. In altri
termini, l’inversione dell’ordine
procedimentale non assurge a vizio di
legittimità del permesso di costruire,
poiché non mette in pericolo la tutela degli
interessi pubblici diversi attribuiti alla
cura delle diverse amministrazioni
(comunale, regionale).
Il Collegio
ritiene di poter condividere quell’ormai
risalente orientamento giurisprudenziale
(formatosi in particolar modo
nell’interpretazione dell’art. 25 del R.D.
03.06.1940, n. 1357, “Regolamento per
l'applicazione della l. 29.06.1939, n. 1497,
sulla protezione delle bellezze naturali”),
al quale questo Tribunale ha già dato
adesione in passato (cfr. TAR Valle d’Aosta,
25.03.1992, n. 28), che considera il
rilascio della concessione edilizia in
carenza del previo (e positivo) nulla-osta
della soprintendenza come una «mera
irregolarità procedimentale»: si veda in
tal senso Cons. St., Ad. Plen., 03.10.1988,
n. 8; sez. V, 20.11.1989, n. 738.
In altri termini, l’inversione dell’ordine
procedimentale non assurge a vizio di
legittimità del permesso di costruire,
poiché non mette in pericolo la tutela degli
interessi pubblici diversi attribuiti alla
cura delle diverse amministrazioni
(comunale, regionale) (TAR
Valle d'Aosta,
sentenza 15.12.2010 n. 84 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
semplice cambio di destinazione attuato
senza opere non costituisce mutamento
urbanistico-edilizio del territorio
comunale.
Non può ritenersi che l’attribuzione di
finanziamenti pubblici destinati alla
residenza sia sufficiente ad impedire
l’esercizio dello jus utendi, in mancanza di
un atto di impegno dei proprietari nei
confronti del Comune a rinunciare
all’esercizio di facoltà insite, a quel
tempo, nel diritto di proprietà.
A seguito della sentenza della Corte
costituzionale n. 73/1991 per principio
generale il semplice cambio di destinazione
attuato senza opere non costituisce
mutamento urbanistico-edilizio del
territorio comunale (Cons. Stato, 28.01.1997
n. 77).
In secondo luogo la variazione senza opere
non è idonea ad incidere sulla destinazione
d’uso dell’immobile prevista dall’art. 8
della L. 47/1985 e quindi, anche per tale
ragione, è libera.
Solo con la successiva L. 662/1996, art. 2,
c. 60, che ha modificato l’art. 25 della L.
47/1985 il legislatore statale ha
definitivamente scorporato, per quanto con
particolari cautele, la disciplina dello
jus utendi da quella del diritto di
proprietà, attribuendole autonoma rilevanza
giuridica, e conferendo alla potestà
concorrente di Regioni e Comuni il potere di
regolamentare in sede di pianificazione
urbanistica gli usi (e non più soltanto le
destinazioni d'uso), con conseguente
rilevanza delle mere mutazioni funzionali,
al fine di evitare squilibri nei carichi
urbanistici presenti nelle varie zone, ma
anche di favorire la salvaguardia e la
rivitalizzazione in primo luogo dei centri
storici.
Neppure può ritenersi che l’attribuzione di
finanziamenti pubblici destinati alla
residenza sia sufficiente ad impedire
l’esercizio dello jus utendi, in
mancanza di un atto di impegno dei
proprietari nei confronti del Comune a
rinunciare all’esercizio di facoltà insite,
a quel tempo, nel diritto di proprietà
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 14.12.2010 n. 7462 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nella
definizione di ristrutturazione edilizia
ricadono, ex. art. 3 del TU, anche gli
interventi “consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma dell’edificio preesistente” –dunque,
senza aumenti di volume e superficie- ma
deve trattarsi, in questa ipotesi, di
demolizione e ricostruzione dell’intero
organismo edilizio e non di una piccolissima
parte di esso.
I lavori svolti dagli interessati sui
piccoli locali oggetto di sanatoria nel
1995, sono da qualificarsi di manutenzione
straordinaria, consistendo nella demolizione
e successiva ricostruzione, con diversi
materiali, di tramezzi, infissi e copertura
dei due vani.
Rientrano infatti nella definizione di
manutenzione straordinaria, secondo l’art. 3
del DPR 380 del 2001, “opere e modifiche
necessarie per rinnovare e sostituire parti,
anche strutturali, degli edifici, sempre che
non alterino i volumi e le superfici delle
singole unità immobiliari e non comportino
modifiche delle destinazioni d’uso.”
I lavori di cui si tratta consistevano nella
sostituzione della originaria pensilina in
alluminio e plexiglas con una tettoia in
legno e tegole canadesi, e nella demolizione
e ricostruzione delle preesistenti pareti in
alluminio e vetro con una nuova struttura,
parte in muratura e parte in alluminio e
vetro, nel rispetto delle misure originarie
e senza, di conseguenza, alcuna alterazione
di volumi e superfici, né modificazione
della destinazione d’uso dei locali.
Ne deriva la fondatezza del primo motivo di
ricorso, con il quale è stata dedotta
l’illegittimità del provvedimento impugnato
per errore sul presupposto, essendo stata
applicata la sanzione demolitoria prevista
dall’art. 33, c. 6-bis, e dall’art. 34, c.
2-bis, per gli interventi di
ristrutturazione edilizia realizzati in
difformità, rispettivamente totale e
parziale, dalla DIA, ad un intervento di
straordinaria manutenzione non ricadente
nella fattispecie astratta di cui all’art.
10, c. 1, lettera c, del TU edilizia.
La ristrutturazione edilizia di cui alla
lettera c della disposizione appena citata,
infatti, va identificata con la demolizione
e successiva ricostruzione di un edificio
che porti alla realizzazione di un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente, comportante aumento di unità
immobiliari, modifiche del volume, della
sagoma, dei prospetti, delle superfici.
È vero che nella definizione di
ristrutturazione edilizia ricadono, ex art.
3 del TU, anche gli interventi “consistenti
nella demolizione e ricostruzione con la
stessa volumetria e sagoma dell’edificio
preesistente” –dunque, senza aumenti di
volume e superficie- ma deve trattarsi, in
questa ipotesi, di demolizione e
ricostruzione dell’intero organismo edilizio
e non di una piccolissima parte di esso.
Nella fattispecie concreta, invece, si
trattava della sola demolizione e
ricostruzione di due piccoli locali a
copertura di un terrazzo, già condonati a
suo tempo, per i quali risulta irrilevante
la diversa scelta dei materiali con cui sono
stati ricostruiti rispetto ai materiali
originari, trattandosi, anche in questo
caso, in cui la vecchia copertura in
plexiglas è stata sostituita con un nuovo
tetto in legno e tegole ed i vecchi tramezzi
usurati rimpiazzati con nuovi materiali più
resistenti, pur sempre di opere di
manutenzione straordinaria per le quali le
sanzioni prescritte dalla legge, in caso di
difformità dalla DIA, sono quelle,
pecuniarie, indicate dall’art. 37, c. 1, del
DPR n. 380 del 2001, e non quelle comminate
dagli articoli 33 e 34 dello stesso TU
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 14.12.2010 n. 2943 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Va
riconosciuta la legittimazione ad impugnare
un titolo edilizio abilitante ai proprietari
di immobili od abitazioni ubicate su un
terreno confinante o comunque in prossimità
dell’area interessata dall’intervento
edilizio, senza che sia richiesta la prova
di un danno specifico, essendo insito nella
violazione edilizia il danno a tutti i
membri della collettività che si trovi in
una situazione di stabile collegamento con
la zona.
Secondo condivisibile giurisprudenza del
Consiglio di Stato, “Ai fini della
decorrenza del termine per l'impugnazione,
pur se è vero che occorre la conoscenza
piena del provvedimento causativo della
lesione, è anche vero che la tutela
dell'amministrato non può ritenersi operante
oltre ogni limite temporale ed in base ad
elementi puramente esteriori, formali o
estemporanei, quali, ad esempio, atti
d'iniziativa di parte (richieste d'accesso,
istanze, segnalazioni, etc.) di modo che
l'attività dell'Amministrazione e le
iniziative dei controinteressati siano
soggette indefinitivamente o per tempi
dilatati alla possibilità di impugnazione,
anche quando l'interessato non si renda
parte diligente nel far valere la pretesa
entro i limiti temporali assicuratigli dalla
legge” (Cons. Stato, Sez. VI n. 2439 -
28.04.2010 )
Per giurisprudenza consolidata (cfr. da
ultimo Cons. Stato, sez. V, n. 397
dell'01.02.2009), va riconosciuta la
legittimazione ad impugnare un titolo
edilizio abilitante ai proprietari di
immobili od abitazioni ubicate su un terreno
confinante o comunque in prossimità
dell’area interessata dall’intervento
edilizio, senza che sia richiesta la prova
di un danno specifico, essendo insito nella
violazione edilizia il danno a tutti i
membri della collettività che si trovi in
una situazione di stabile collegamento con
la zona
(TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 14.12.2010 n. 2945 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un'area
edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo
quando la costruzione su di essa realizzata
non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio
dell'ulteriore permesso di costruire,
dovendosi considerare non solo la superficie
libera e il volume a essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in
relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie
impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria di cui si
chiede la realizzazione.
Per
giurisprudenza consolidata, “Un'area
edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo
quando la costruzione su di essa realizzata
non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio
dell'ulteriore permesso di costruire,
dovendosi considerare non solo la superficie
libera e il volume a essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in
relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie
impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria di cui si
chiede la realizzazione” (Cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 27.06.2006 n. 4117,
12.07.2004 n. 5039, 28.02.2001 n. 1074 e
26.11.1994 n. 1382) (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 14.12.2010 n. 2945 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sebbene
la fascia di rispetto della strada demaniale
sia vincolata ad inedeficabilità assoluta
dalla normativa vigente, il divieto di
costruire su tale striscia di terreno non
impedisce che essa sia computata come
superficie fondiaria, ai fini del calcolo
dell’indice di fabbricabilità.
In altri termini, il proprietario non può
costruire sulla parte di fondo
fiancheggiante la strada pubblica, ma ciò
non impedisce che tale superficie debba
essere presa in considerazione ai fini della
determinazione della volumetria
complessivamente edificabile, in quanto lo
strumento urbanistico determina l’indice di
fabbricabilità facendo riferimento al
rapporto tra volume della costruzione e
superficie del fondo, ivi compresa la parte
vincolata al rispetto della sicurezza
stradale.
Deve ritenersi
che sebbene la fascia di rispetto della
strada demaniale sia vincolata ad
inedeficabilità assoluta dalla normativa
vigente, il divieto di costruire su tale
striscia di terreno non impedisce che essa
sia computata come superficie fondiaria, ai
fini del calcolo dell’indice di
fabbricabilità.
In altri termini, il proprietario non può
costruire sulla parte di fondo
fiancheggiante la strada pubblica, ma ciò
non impedisce che tale superficie debba
essere presa in considerazione ai fini della
determinazione della volumetria
complessivamente edificabile, in quanto lo
strumento urbanistico determina l’indice di
fabbricabilità facendo riferimento al
rapporto tra volume della costruzione e
superficie del fondo, ivi compresa la parte
vincolata al rispetto della sicurezza
stradale (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 14.12.2010 n. 2945 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Il
piano territoriale di coordinamento
provinciale ha natura di atto di
coordinamento e di indirizzo tipico della
programmazione intermedia e non è
sovraordinato al Piano Regolatore Comunale,
non ponendosi il rapporto tra la
pianificazione provinciale e quella comunale
in termini di gerarchia.
Il Comune, se non può disattendere le
prescrizioni di coordinamento dettate dagli
enti (Regione o Provincia) titolari del
relativo potere, può però discrezionalmente
concretizzarne i contenuti.
Si veda in merito una recente sentenza di
questo TAR, sezione II (4616/2009), la cui
massima così recita: “Il piano
territoriale di coordinamento provinciale ha
natura di atto di coordinamento e di
indirizzo tipico della programmazione
intermedia e non è sovraordinato al Piano
Regolatore Comunale, non ponendosi il
rapporto tra la pianificazione provinciale e
quella comunale in termini di gerarchia. In
un contesto ordinamentale in cui il
principio di sussidiarietà, da un lato, e la
spettanza al Comune di tutte le funzioni
amministrative che riguardano il territorio
comunale, dall'altro, orientano i vari
livelli di pianificazione urbanistica
secondo il criterio della competenza, il
ruolo del Comune non può infatti essere
confinato nell'ambito della mera attuazione
di scelte precostituite in sede
sovraordinata. Ciò comporta che il Comune,
se non può disattendere le prescrizioni di
coordinamento dettate dagli enti (Regione o
Provincia) titolari del relativo potere, può
però discrezionalmente concretizzarne i
contenuti.”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 13.12.2010 n. 7519 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 03.01.2011 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
Bottone "CONVEGNI"
n. 6 giornate di studio a Bergamo per il 19-26
gennaio e 02-09-16-23 febbraio 2011 organizzate dal portale
PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella
locandina.
---------------
Termine di iscrizione
(solamente) on-line: sabato 15.01.2011.
---------------
ATTENZIONE: la locandina è
stata leggermente modificata relativamente alle modalità di
partecipazione.
Pertanto, invitiamo gli interessati -a partecipare alle giornate di
studio- a scaricare nuovamente la stessa. |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: d.lgs. n. 150 del 2009 -
disciplina in tema di infrazioni e sanzioni
disciplinari e procedimento disciplinare -
problematiche applicative (circolare
23.12.2010 n. 14/2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: modifiche alla disciplina in
materia di permessi per l'assistenza alle
persone con disabilità - banca dati
informatica presso il Dipartimento della
funzione pubblica - legge 04.11.2010, n.
183, art. 24 (circolare
06.12.2010 n. 13/2010). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
DPR 07.09.2010 n. 160, art. 4, comma 10 -
SUAP - Attestazione requisiti dei comuni
(Ministero dello Sviluppo Economico,
nota 23.12.2010 n.
196835 di prot.). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
La nota 21.12.2010 interpretativa di ANCI e
UPI relativa a "Il conferimento di
incarichi dirigenziali a termine negli Enti
Locali".
Nella nota si forniscono chiarimenti in
merito al conferimento degli incarichi
dirigenziali a termine nelle amministrazioni
locali alla luce delle novità introdotte dal
D.Lgs n. 150/2009 e dei recenti orientamenti
giurisprudenziali in materia (link a
www.anci.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Circolare in merito all'ambito di
applicazione dell'art. 1-quater del
decreto-legge n. 105/2010 convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 129/2010.
Fonti Rinnovabili:
emanata la circolare DIA.
La circolare "Salva-Dia" chiarisce
alcuni aspetti applicativi dell'articolo
1-quater della legge 13.08.2010, n. 129
relativo alle procedure di autorizzazione
per la realizzazione di impianti alimentati
da fonti rinnovabili avviate mediante
Denuncia di Inizio Attività (DIA).
L'articolo 1-quater è intervenuto per
garantire la validità delle iniziative
intraprese a seguito della dichiarazione di
illegittimità costituzionale di alcune leggi
regionali che prevedevano, per l'accesso
alla procedura di DIA, soglie di potenza più
elevate di quelle stabilite dalla normativa
statale.
La circolare si riferisce a quegli impianti
le cui DIA non erano ancora perfezionate
alla data di pubblicazione delle sentenze
della Corte Costituzionale.
L'atto del Ministero promuove così gli
investimenti effettuati per la realizzazione
di impianti alimentati da fonti rinnovabili,
con positive ricadute anche a livello
occupazionale (Ministero dello Sviluppo
Economico,
nota
15.12.2010). |
APPALTI:
Oggetto: Documento Unico di Regolarità
Contributiva (DURC) - Art. 11-bis della
legge 03.08.2009, n. 102, di conversione del
decreto-legge 01.07.2009, n. 78, recante
«Provvedimenti anticrisi, proroga di termini
e della partecipazione italiana a missioni
internazionali» (Ministero dello
Sviluppo Economico,
nota 06.11.2009 n. 100166 di prot.). |
APPALTI:
Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 –
responsabilità solidale tra committente ed
appaltatore per gli adempimenti
previdenziali-assistenziali (Ministero
del Lavoro, della Salute e delle Politiche
Sociali,
interpello
15.05.2009 n. 35/2009). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Impianti elettrici temporanei.
Obbligo di dichiarazione di conformità
(Ministero dell'Interno,
circolare 23.03.2009
n. 1212 di prot.). |
SINDACATI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Legge
di stabilità: le assunzioni negli enti
locali dall'01.01.2011
(CGIL-FP,
nota
31.12.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Controriforma Brunetta: quando
scatta il licenziamento disciplinare
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 14.12.2009). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Controriforma Brunetta: spazi e
limiti della contrattazione integrativa
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 14.12.2009). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Controriforma Brunetta: a chi e
come si applica il sistema delle fasce di
merito
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 09.12.2009). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Controriforma Brunetta: la nuova
disciplina della mobilità volontaria
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 09.12.2009). |
UTILITA' |
ENTI LOCALI - VARI:
Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia
on-line.
Dall'01.01.2011 il Bollettino Ufficiale
della Regione Lombardia sarà disponibile
solo in formato digitale sul sito
www.bollettino.regione.lombardia.it. Non
esisterà più la versione cartacea.
Tutte le informazioni per consultare e per
utilizzare il nuovo servizio BURL
completamente digitalizzato, gratuito ed
accessibile sono già on-line.
Il BURL sarà in consultazione libera e
accessibile con fascicoli firmati
digitalmente a garanzia della validità
legale di quanto pubblicato.
È prevista un'edizione quotidiana della
Serie Ordinaria, caratterizzata dal numero
della settimana e dal giorno di edizione;
saranno eliminati i Supplementi
Straordinari.
Nuove modalità per
pubblicare un’inserzione.
Dall'01.01.2010 per poter pubblicare atti ed
avvisi sul BURL, sarà necessario
accreditarsi tramite il sito
www.bollettino.regione.lombardia.it.
I Comuni, le Province, le Comunità Montane e
gli Enti del sistema regionale riceveranno
le credenziali di accreditamento (USER ID e
Password) tramite PEC. Si raccomanda quindi
il monitoraggio della casella PEC per
visionare e conservare le citate
credenziali.
Gli altri inserzionisti potranno inserire i
loro avvisi mediante up-load, previo
accreditamento, secondo le indicazioni
fornite dal sistema.
L’applicativo permetterà di monitorarne
l’iter.
Il sistema genererà in automatico una mail
di avvenuta pubblicazione.
La pubblicazione sarà gratuita, salvo
pagamento dell'imposta di bollo quando
dovuta.
Tempistica.
Il termine per l'invio degli avvisi in
pubblicazione (con le consuete modalità) sul
BURL n. 52 del 29.12.2010, è fissato alle
ore 12.00 di martedì 21.12.2010.
Per la pubblicazione sul n. 1 della Serie
Avvisi e Concorsi del 05.01.2011, gli atti
dovranno pervenire esclusivamente in
modalità digitale dal sito
www.bollettino.regione.lombardia.it,
attraverso l'applicativo inserzioni, a
partire da mercoledì 22 dicembre e fino a
mercoledì 29.12.2010.
Informazioni.
Per ulteriori informazioni consultare il
sito www.bollettino.regione.lombardia.it. |
APPALTI:
Subappalto, nolo, cottimo, fornitura con
posa in opera: tutti i chiarimenti e gli
adempimenti.
Con la Legge n. 136/2010 il Governo ha
approvato il "Piano straordinario contro
le mafie, nonché la delega al Governo in
materia di normativa antimafia". La
nuova legge ha fornito lo spunto agli autori
dell'articolo "I subaffidamenti e la
nuova legge antimafia" pubblicato sul
sito della Direzione Provinciale del Lavoro
di Modena.
Gli autori dell’articolo effettuano
un’approfondita analisi di tutte le
tipologie di sub-affidamenti possibili:
- subappalto;
- subappalto "a cascata";
- Fornitura con posa in opera;
- nolo a freddo;
- nolo a caldo;
- cottimo.
Per ciascuna tipologia sono illustrati i
riferimenti normativi, le peculiarità, la
corretta applicazione e anche alcuni
possibili meccanismi utilizzati per aggirare
la normativa.
L'articolo illustra inoltre gli obblighi del
subappaltatore, le modalità di richiesta
delle autorizzazioni e le sanzioni previste,
concludendo con un approfondimento sugli
obblighi introdotti dalla nuova normativa
antimafia (L. 136/2010).
In particolare gli autori si soffermano su:
- Tracciabilità dei flussi finanziari (art.
3);
- Identificazione dei lavoratori (art. 5 -le
tessere di riconoscimento degli addetti nei
cantieri devono riportare anche la data di
assunzione e, in caso di subappalto, la
relativa autorizzazione);
- Identificazione dei mezzi di trasporto nei
cantieri (art. 4 - la bolla di consegna del
materiale impiegato nei cantieri deve
indicare il numero di targa e il nominativo
del proprietario degli automezzi adibiti al
trasporto) (link a www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Le novità del Codice dell’Ambiente per i
cantieri illustrate dall’ANCE.
Con il D.Lgs. 205/2010, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 288 del 10.12.2010,
sono state apportate importanti modifiche
alla Parte Quarta del Codice dell'Ambiente (D.Lgs.
152/2006).
Per quanto attiene ai cantieri BibLus-net ha
già evidenziato (cfr. newsletter n. 216)
che:
- in materia di terre e rocce da scavo
continuano ad applicarsi le disposizioni
dell'articolo 186 del D.Lgs. n. 152/2006. Si
precisa, inoltre, che la procedura non si
applica (art. 185, comma 1, lett. c) al “suolo
non contaminato e altro materiale allo stato
naturale scavato nel corso di attività di
costruzione, riutilizzato a fini di
costruzione allo stato naturale e nello
stesso sito in cui è stato scavato”;
- coloro i quali intendono trasportare i
propri rifiuti non pericolosi, senza aderire
su base volontaria al SISTRI, a seguito
delle modifiche introdotte, dovranno dotarsi
di un registro di carico e scarico per ogni
cantiere.
Per approfondire le principali novità per il
settore delle costruzioni l'ANCE
(Associazione Nazionale dei Costruttori
Edili) ha realizzato una
nota esplicativa.
Con l'occasione BibLus-net ricorda che il
testo originario del Codice ambiente è stato
oggetto di consistenti modifiche attraverso
quattro provvedimenti “correttivi”:
- D.Lgs 284/2006 (I correttivo) che aveva
disposto la proroga dell’operatività delle
Autorità di Bacino e la soppressione
dell’Autorità di Vigilanza sulle risorse
idriche e sui rifiuti;
- D.Lgs. 4/2008 (II correttivo) che ha
modificato la parte terza e quarta del
Codice, in particolare le norme sugli
scarichi idrici, la definizione di rifiuto e
la disciplina delle materie prime
secondarie, dei sottoprodotti e delle terre
e rocce da scavo;
- D.Lgs. 128/2010 (III correttivo) che ha
rivisto la parte prima (riconoscimento dello
sviluppo sostenibile fra gli obiettivi della
tutela dell’ambiente), la parte seconda
(autorizzazioni ambientali) e quinta
(nozione di impianto e di stabilimento);
- D.Lgs. 205/2010 (IV correttivo) che attua
la direttiva 2008/98/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti,
detta le disposizioni sanzionatorie del
Sistri, aggiorna la definizione di
sottoprodotto e detta gli obiettivi di
riciclaggio da raggiungere entro il 2020
(link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
APPALTI:
G.U. 29.12.2010 n. 303 "Comunicato
relativo al decreto del Presidente della
Repubblica 05.10.2010, n. 207, concernente
«Regolamento di esecuzione ed attuazione del
decreto legislativo 12.04.2006, n. 163,
recante “Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE”» (Decreto pubblicato nel
Supplemento ordinario n. 270/L alla Gazzetta
Ufficiale - serie generale - n. 288 del
10.12.2010)" (errata-corrige). |
APPALTI - ENTI LOCALI - VARI: G.U.
29.12.2010 n. 303 "Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative e di
interventi urgenti in materia tributaria e
di sostegno alle imprese e alle famiglie"
(D.L. 29.12.2010 n.
225). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. ord. al n. 52 del
28.12.2010, "Modifiche alla legge
regionale 12.12.2003, n. 26 (Disciplina dei
servizi locali di interesse economico
generale. Norme in materia di gestione dei
rifiuti, di energia, di utilizzo del
sottosuolo e di risorse idriche), in
attuazione dell’articolo 2, comma 186-bis,
della legge 23.12.2009, n. 191"
(L.R.
27.12.2010 n. 21). |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 52 del
28.12.2010, "Osservatorio del Commercio:
Sistema Informativo Commercio – Atto
ricognitivo della rilevazione dei punti di
vendita effettuata con i Comuni – Sezione
riguardante il commercio al dettaglio in
sede fissa autorizzato al 30.06.2010" (decreto
D.U.O. 13.12.2010 n. 12997). |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 52 del
27.12.2010, "Disposizioni per
l'attuazione della programmazione
economico-finanziaria, ai sensi dell'art.
9-ter della legge regionale 31.03.1978, n.
34 (Norme sulle procedure della
programmazione, sul bilancio e sulla
contabilità della Regione) - Collegato 2011"
(L.R.
23.12.2010 n. 19). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del
27.12.2010 "Adeguamento del valore del
soprassuolo stabilito con d.g.r. 675/2005"
(deliberazione
G.R. 15.12.2010 n. 13143). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del
27.12.2010 "Pubblicazione ai sensi
dell’art. 5 del Regolamento Regionale
21.01.2000, n. 1, dell’elenco dei «tecnici
competenti» in acustica ambientale
riconosciuti dalla Regione Lombardia alla
data del 03.12.2010, in attuazione dell’art.
2, commi 6 e 7 della legge 26.10.1995, n.
447, della deliberazione 17.05.2006, n.
8/2561 e del decreto 30.05.2006, n. 5985"
(comunicato
regionale 16.12.2010 n. 138). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 52 del
27.12.2010 "Adeguamento delle sanzioni
amministrative pecuniarie in materia di
danni alle superfici boschive (art. 61,
comma 14, l.r. n. 31/2008)"
(deliberazione
G.R. 15.12.2010 n. 984). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
28.12.2010 n. 302 "Modifiche ed
integrazioni al decreto 17.12.2009, recante
l’istituzione del sistema di controllo della
tracciabilità dei rifiuti"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 22.12.2010). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
URBANISTICA: C.
Cannizzo,
Vincoli sostanzialmente espropriativi
(link a www.diritto.it). |
URBANISTICA: C.
Cannizzo,
Il Piano Particolareggiato (link a www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
I. Franco,
IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO A VENTI ANNI
DALLA SUA CODIFICAZIONE - Le più recenti
modifiche - Legami con il codice del
processo amministrativo
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
NEWS |
APPALTI:
RIEPILOGO DISCIPLINA SULLA TRACCIABILITA’
DEI PAGAMENTI (link a
www.ancebrescia.it). |
APPALTI:
NUOVO REGOLAMENTO DEI CONTRATTI PUBBLICI DPR
05/10/2010 N. 207 (link a
www.ancebrescia.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
SISTRI - REGISTRI DI CARICO E SCARICO
RIFIUTI – CONFERMATA LA PROROGA
ALL'01.06.2011 (link a
www.ancebrescia.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Consigliere senza conflitti.
Non può presiedere un'istituzione servizi
sociali.
L'amministratore potrebbe influenzare il
personale dell'ente strumentale.
È applicabile la causa di incompatibilità di
cui all'art. 63, comma 1, n. 1) del dlgs n.
267/2000 a un consigliere comunale che
riveste anche la carica di presidente del
consiglio di amministrazione
dell'Istituzione servizi sociali del comune?
Nel caso in esame sussiste la causa di
ineleggibilità di cui all'art. 60, comma 1,
n. 11) del Tuel, in quanto tra le
istituzioni di cui all'114 del Tuel e il
comune non sussiste solo un rapporto di
vigilanza, bensì di vera e propria
dipendenza, come ritenuto dalla
giurisprudenza in materia; l'Istituzione,
ente strumentale dell'ente locale per
l'esercizio dei servizi sociali, dotato di
personalità giuridica, di autonomia
imprenditoriale e di proprio statuto
approvato dal consiglio comunale, ha,
infatti, l'obbligo di adempiere i compiti
che le vengono affidati.
La ratio della disposizione è evidente, in
quanto il presidente di un ente dipendente
dal comune, al pari degli impiegati «con
poteri di organizzazione e coordinamento del
personale», è ineleggibile alla carica di
consigliere comunale proprio in
considerazione dell'influenza che può
esercitare sul personale dell'ente,
costituito per la quasi totalità da
elettori.
Tenuto conto del rapporto di
dipendenza dal comune, valgono per il caso
in esame le stesse considerazioni che la
giurisprudenza ha formulato per le aziende
speciali; in particolare per quanto riguarda
l'applicabilità dell'art. 60, comma 1, n. 11
del Tuel (cfr. Cass. civ., sez. I,
16/07/2005, n. 15105) ai membri dei consigli
di amministrazione delle aziende stesse, in
quanto l'azienda speciale è ente strumentale
del comune che l'ha istituita ed esercita su
di essa poteri di direzione e controllo, ne
determina le finalità e gli indirizzi,
rimuove dall'incarico i membri del consiglio
di amministrazione attraverso i poteri
attribuiti al sindaco.
Alla luce della definizione di ente
dipendente da ultimo precisata, la
giurisprudenza costante della Cassazione (a
partire dalla sentenza n. 5524/1984, e
proseguendo con le sentenze nn. 5594/1987 e
n. 1808/1990) ha ritenuto che gli
amministratori delle aziende speciali siano
ineleggibili alla carica di sindaco o di
consigliere del comune da cui l'azienda
dipende.
Tale rapporto di dipendenza si viene a
creare, anche nei confronti delle
istituzioni, tenuto conto che l'art. 114 del
Tuel disciplina aziende speciali e
istituzioni, con la conseguente
applicabilità della causa di ineleggibilità
di cui all'art. 60 del dlgs n. 267/2000,
comma 1, n. 11) anche al caso in questione.
In definitiva, essendo l'istituzione ente
dipendente del comune, il suo presidente è
ineleggibile ai sensi dell'art. 60, comma 1,
n. 11) del dlgs. n. 267/2000.
Tuttavia il comune, in considerazione
dell'esigenza di esercitare in modo più
diretto il controllo sull'Istituzione, può
prevedere, nell'ambito della propria
autonomia statutaria, che non costituiscano
cause di ineleggibilità o di incompatibilità
gli incarichi conferiti ad amministratori
del comune presso la società in questione
(cfr. art. 67 del dlgs n. 267/2000)
(articolo ItaliaOggi
del 31.12.2010). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Permessi e
rimborso oneri.
La disciplina dei permessi e del conseguente
rimborso degli oneri, recata dagli art. 79 e
80 del decreto legislativo n. 267/2000, è
estensibile anche agli amministratori di
un'università agraria, ente pubblico non
economico?
L'art. 77 del citato T.u. menziona gli
istituti dei quali l'amministratore può
avvalersi per evitare che il sottrarre tempo
all'attività lavorativa possa turbare lo
svolgimento delle funzioni pubbliche.
In particolare vengono riconosciute
l'aspettativa e la fruizione dei permessi
cui il lavoratore dipendente può ricorrere,
e il regime delle indennità che consente
all'amministratore di far fronte alle
responsabilità e all'impiego richiesti.
Queste prerogative sono previste dal
legislatore anche in favore di coloro che
ricoprono cariche pubbliche locali non in
conseguenza di un'investitura elettorale
diretta, ma a seguito di successiva nomina
(assessori) o di elezioni di secondo grado
(consiglieri di comunità montane o
consorzi), come viene confermato dalla
successiva elencazione degli amministratori
locali, tra i quali non figurano gli
amministratori dell'Università agraria.
Avendo il legislatore fornito una
indicazione dettagliata e puntuale dei
destinatari, ampliandola rispetto alla legge
816/1985, questa deve intendersi tassativa e
non suscettibile di estensione in via
analogica a quelle categorie di
amministratori non espressamente
contemplate, anche in considerazione
dell'incidenza che le conseguenti spese
hanno sul bilancio dell'ente.
Pertanto è da escludere l'attribuibilità, ai
consiglieri e agli assessori in carica
presso tale ente, del beneficio dei permessi
previsto dall'art. 79 del decreto
legislativo n. 267/2000
(articolo ItaliaOggi
del 31.12.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO: P.a.,
niente paletti alle progressioni
orizzontali.
Il blocco della carriera
per i dipendenti pubblici, previsto
dall'articolo 9, comma 21, del dl 78/2010,
convertito in legge 122/2010, vale solo per
i concorsi pubblici con riserva di posti
(che hanno sostituito le progressioni
verticali) e non per le progressioni
orizzontali.
Il contenuto dell'ultimo paragrafo del
citato articolo 9, comma 21, sta traendo in
inganno molti operatori e interpreti: «Per
il personale contrattualizzato le
progressioni di carriera comunque denominate
e i passaggi tra le aree eventualmente
disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno
effetto, per i predetti anni, ai fini
esclusivamente giuridici». Se è chiara
la conseguenza della norma, cioè non
consentire un incremento stipendiale,
limitando il beneficio ai soli effetti
giuridici, equivoca in apparenza appare la
sua portata oggettiva.
Ciò che trae in inganno è il riferimento
alle «progressioni di carriera» e,
soprattutto, l'ulteriore specificazione
«comunque denominate». Infatti, c'è chi trae
la conclusione secondo la quale nelle
progressioni comunque denominate possano
rientrare anche quelle orizzontali.
Le cose non stanno così.
A seguito della novellazione all'articolo
52, comma 1-bis, del dlgs 165/2001, operata
dalla riforma-Brunetta, e dell'articolo 24
della riforma medesima il concetto di «progressione
di carriera» è ormai chiaro: si tratta
solo ed esclusivamente dei concorsi pubblici
con riserva di posti non superiore al 50%,
che, nonostante l'ultimo colpo di coda del
Tar Umbria, hanno definitivamente
soppiantato le progressioni verticali già a
partire dallo scorso 1° gennaio 2010.
D'altra parte, a ben riflettere, solo in
questo caso potrebbero esservi effetti «giuridici»
ma non economici. Solo la progressione di
carriera, consistente nell'ascesa a una
categoria o area (a seconda del comparto)
superiore implica un effetto giuridico,
consistente nel cambio di mansioni e
profilo. La progressione orizzontale ha solo
ed esclusivamente, invece, effetti
economici: il profilo, la categoria, la
mansione restano identici.
Occorre precisare, tuttavia, che le
progressioni orizzontali di fatto dal 2011
al 2013 sono bloccate, per effetto del comma
1 dell'articolo 9 della manovra estiva.
Restano in piedi tutti i dubbi di
incostituzionalità. Basti pensare a questo
paradosso: un dipendente che partecipi come
riservatario a un concorso pubblico con
riserva indetto dal proprio ente, se lo
vince fino al 2013 dovrà svolgere una
mansione superiore, ma rimanendo inchiodato
al precedente trattamento economico. Quello
stesso dipendente se partecipasse al
medesimo concorso, indetto senza la riserva,
e lo vincesse, avrebbe diritto al maggiore
trattamento economico
(articolo ItaliaOggi
del 31.12.2010). |
ENTI LOCALI - VARI: Comuni
migliori amici dei cani. Un modello di
ordinanza per rendere le città a misura
d'animale. Il ministro Brambilla ha firmato
un'intesa con l'Anci per potenziare
l'offerta turistica «dog friendly».
I cani potranno
accompagnare il padrone in qualsiasi luogo
pubblico con le dovute cautele di sicurezza
e igiene. Ma solo nei comuni che adotteranno
il modello di ordinanza proposto dal
ministro Michela Vittoria Brambilla in
collaborazione con l'Anci.
Il ministro ha sottoscritto un accordo con
l'Associazione dei comuni per lo sviluppo
dell'offerta turistica per quanti viaggiano
con animali al seguito. I comuni più
virtuosi potranno avvalersi di un logo
originale che evidenzierà la particolare
sensibilità locale verso gli amici
dell'uomo. Spetterà ai singoli municipi
organizzare percorsi virtuosi di segnaletica
e offrire adeguati servizi e incentivi a chi
vive e viaggia con animali da compagnia.
Il modello di ordinanza predisposto con l'Anci
valorizza questi obiettivi liberalizzando
l'accesso dei cani in tutti i luoghi
pubblici o aperti al pubblico, compresi
giardini e parchi. Naturalmente gli animali
dovranno essere tenuti obbligatoriamente al
guinzaglio, anche con l'apposita museruola.
Libero accesso degli animali anche nei
pubblici esercizi con eccezione solo per gli
autorizzati, per motivi di sanità ed igiene.
Mentre resterà sempre vietato l'accesso
degli animali nei luoghi sensibili come
ospedali, asili e scuole ...
(articolo ItaliaOggi
del 31.12.2010). |
APPALTI: Codice
appalti, 2010 anno del fare. Da risolvere la
disciplina sulle opere superspecialistiche.
Approvato il nuovo regolamento del Codice
dei contratti pubblici, il 2011 vedrà il
governo impegnato nell'approvazione di
ulteriori modifiche al Codice dei contratti
pubblici, ma anche nel tentativo di
risolvere la partita sulle opere
superspecialistiche e di introdurre il
divieto di arbitrato; dovranno inoltre
essere definite alcune discipline di
dettaglio come quella sui requisiti per la
validazione dei progetti.
È così che si chiude il 2010 e si apre il
2011, con il governo che ha finalmente
portato a termine il lungo lavoro di messa a
punto del regolamento attuativo del. Codice.
Nuovo regolamento del
Codice dei contratti pubblici.
E questo infatti il risultato più importante
raggiunto dopo tre anni di iter tribolato
del provvedimento. Il dpr 05.10.2010, n. 207
entrerà in vigore l'08.06.2011, tranne le
norme sulle sanzioni per le Soa entrate in
vigore in questi giorni.
Il corposo testo, che sostituirà, fra gli
altri, il dpr 554/1999 (regolamento della
legge Merloni) e il dpr 34/2000, ha molte
novità al suo interno fra cui il performance
bond (la garanzia globale di esecuzione), la
nuova disciplina sulla validazione, i nuovi
requisiti di qualificazione, la nuova
disciplina sugli affidamenti di servizi di
ingegneria e architettura (con i limiti ai
ribassi) e sui collaudi. E' rimasta
incompiuta la disciplina sulla
qualificazione per le opere
superspecialistiche e proprio questa sarà
una delle possibili patate bollenti sulla
scrivania del ministro Matteoli già ad
inizio anno.
Ci saranno poi da definire le norme
attuative per l'accreditamento dei soggetti
valida tori dei progetti, anche questa una
normativa particolarmente delicata ...
(articolo ItaliaOggi
del 29.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Assunzioni
in libertà nei piccoli comuni. Legge di
stabilità: niente limite del 20%.
La legge di stabilità per il 2011 fornisce
la prova definitiva che gli enti non oggetti
al patto di stabilità non incontrano il
limite alle assunzioni del 20% del costo
delle cessazioni dell'anno precedente.
Ai sensi dell'articolo 76, comma 7,
novellato dalla manovra estiva 2010, della
legge 133/2008 «è fatto divieto agli enti
nei quali l'incidenza delle spese di
personale è pari o superiore al 40% delle
spese correnti di procedere ad assunzioni di
personale a qualsiasi titolo e con
qualsivoglia tipologia contrattuale; i
restanti enti possono procedere ad
assunzioni di personale nel limite del 20
per cento della spesa corrispondente alle
cessazioni dell'anno precedente».
Sul limite del 20 per cento si registra una
spaccatura interpretativa, sia in
letteratura, sia tra le sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti. In
particolare, la sezione Piemonte insiste nel
ritenere che tale limite del 20% riguardi
anche gli enti non soggetti al patto.
Le sezioni Lombardia, Veneto e, da ultimo,
Toscana (parere 17.11.2010, n. 160)
affermano il contrario. Esistono già
semplicemente a guardare l'articolo 14 della
legge 122/2010 fortissime motivazioni tali
da privare di pregio la teoria secondo la
quale gli enti non soggetti al patto
sarebbero vincolati al limite del 20% del
costo delle cessazioni.
Basti evidenziare che la norma è posta a
salvaguardia del patto di stabilità e che il
legislatore ha modificato, ma non soppresso,
l'articolo 1, comma 562, della legge
296/2006, per capire come il limite di spesa
del 20% delle cessazione sia disposizione
finalizzata esclusivamente al rispetto del
patto e, dunque, priva di qualsiasi ...
(articolo ItaliaOggi
del 29.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Senza
quote i dirigenti locali a termine. Municipi
e province. Le indicazioni di Anci e Upi.
La riforma del pubblico
impiego ha fissato un tetto agli incarichi
dirigenziali a termine (10% nell'organico di
prima fascia, 8% nella seconda fascia), ma
la regola non è applicabile agli enti
locali. Per loro continua a valere quanto
previsto dal testo unico (articolo 110 del
DLgs 267/2000), che non indica un tetto agli
incarichi.
Lo sostengono Anci e Upi, che hanno diffuso
una nota su un tema che ha impegnato, con
alterne vicende, tutti gli interpreti.
La Corte costituzionale, che ha dedicato
alla norma la sentenza 324/2010, non si è
espressa sull'applicabilità del limite, e le
sezioni regionali di controllo della Corte
dei conti si sono divise: Veneto (delibera
231/2010) e Puglia (44/2010) hanno detto che
il nuovo limite cancella le precedenti
discipline speciali degli enti locali, che
di conseguenza si devono uniformare.
La Lombardia (308/2010) è di parere opposto,
e sostiene che la riforma riguarda
direttamente le amministrazioni statali,
mentre «trova necessariamente il proprio
limite nell'autonomia statutaria e
regolamentare costituzionalmente garantite
alle autonomie locali».
Chi cerca una posizione mediana la trova in
Piemonte: secondo i magistrati contabili
piemontesi (75/2010) la norma si applica in
via indiretta, nel senso che i comuni e le
province devono adeguare i propri statuti e
i regolamenti. Per esserne certi, però,
hanno chiesto lumi alle sezioni Riunite, che
si devono ancora pronunciare.
I tecnici di Anci e Upi partono dà questo
panorama frastagliato per constatare che «un
orientamento ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 29.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
firma digitale fissa il valore del
documento. Informatica e Pa. Il nuovo
codice.
La neutralità tecnologica come principio
base per riconoscere efficacia probatoria al
documento informatico e alle sue copie e
duplicati: il nuovo Codice
dell'amministrazione digitale (Cad),
approvato in via definitiva il 22 dicembre,
riorganizza interamente la disciplina
tenendo conto degli sviluppi tecnologici e
delle mutate esigenze operative che
richiedono strumenti più flessibili ed
agili.
Il documento informatico non sottoscritto
digitalmente diviene così liberamente
valutabile in giudizio. Efficacia probatoria
paria quella della scrittura privata, ai
soli sensi dell'articolo 2702 del codice
civile, gli viene tuttavia riconosciuta
quando viene sottoscritto non solo con firma
elettronica qualificata o digitale ma anche
con firma elettronica avanzata.
Gli atti di costituzione e trasferimento dei
diritti reali immobiliari (articolo 1350 del
codice civile) devono essere invece
obbligatoriamente sottoscritti, a pena di
nullità, con firma qualificata o digitale.
Ulteriori semplificazioni riguardano le
copie, analogiche ed informatiche, e per i
duplicati di un documento informatico cui è
riconosciuto il medesimo valore probatorio
dell'originale informatico da cui sono
tratti.
In base al principio di neutralità
tecnologica, le caratteristiche oggettive di
qualità, sicurezza, integrità ed
immodificabilità del documento informatico
ne determinano il relativo valore probatorio
e la connessa idoneità a soddisfare il
requisito della forma scritta. Una firma
elettronica avanzata, qualificata o digitale
apposta al documento informatico ne potenzia
comunque l'efficacia probatoria, costituendo
piena prova sino a querela di falso.
Se si tratta invece di documenti contenenti
scritture private di cui all'articolo 1350
del codice civile, per i quali è richiesta
obbligatoriamente la forma scritta, è
necessaria l'apposizione di una firma
qualificata o digitale non essendo
sufficiente la firma elettronica avanzata.
L'articolo 23-bis del nuovo ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 29.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Tutte
le novità delle pensioni 2011 per
contributi, assegni e «finestre».
La previdenza è un cantiere sempre aperto.
Anche quando il legislatore non interviene
con riforme strutturali la materia subisce
aggiustamenti continui perché il traguardo
della sostenibilità complessiva del sistema
non è ancora stato raggiunto.
In gennaio entrano in vigore alcune
innovazioni introdotte negli ultimi anni,
con il protocollo del welfare (la legge
247/2007) e con la manovra anticrisi del
maggio scorso (decreto legge 78/2010).
Vediamo cosa cambia. ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 29.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Poteri
disciplinari anche a funzionari e dirigenti
a tempo. Pa. Istruzioni della Funzione
pubblica.
Il codice disciplinare
dei dipendenti pubblici scritto dalla
riforma Brunetta del 2009 aumenta compiti e
responsabilità dei dirigenti, ma la loro
funzione di giudici si estende anche fuori
dai confini dell'organico dirigenziale vero
e proprio.
Lo spiega la Funzione pubblica, che nella circolare
23.12.2010 n. 14/2010 detta le
chiavi interpretative per le nuove procedure
che sanzionane i comportamenti irregolari
negli uffici pubblici.
Per le infrazioni «di minore gravità»,
cioè quelle che producono sanzioni inferiori
alla sospensione dal servizio senza
stipendio per 10 giorni, il procedimento può
essere nelle mani anche dei titolari di
incarichi dirigenziali a tempo, e
paradossalmente i comportamenti più gravi
possono finire anche sul tavolo di chi è del
tutto privo di qualifiche dirigenziali.
Le infrazioni più problematiche sono infatti
affidate all'ufficio dei procedimenti
disciplinari che però, spiegano le
istruzioni di palazzo Vidoni, non è
necessariamente un ufficio a sé; le sue
competenze possono essere svolte «anche
nell'ambito di una struttura deputata a più
ampie attribuzioni», chiarisce la
circolare, e l'individuazione del titolare
di questi compiti «è rimessa alla
discrezionalità organizzativa di ogni
amministrazione».
Qui sta il punto: soprattutto negli enti
locali più piccoli (5.691 comuni, il 70% del
totale, non arrivano a 5mila abitanti) è
possibile ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 28.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Progressioni
vietate. Subito. Non regge la tesi della
moratoria fino al 2011. Secondo il TAR
Umbria le promozioni sarebbero ancora per
pochi giorni legittime.
Progressioni verticali legittime fino al
31.12.2010. Ma si tratta di una svista
evidente. Secondo il TAR Umbria, Sez. I,
sentenza 15.12.2010 n. 536,
legittimamente regioni ed enti locali
avrebbero potuto effettuare progressioni
verticali per tutto il 2010.
La sentenza riapre per l'ennesima volta una
questione ormai da considerare ampiamente
chiusa, dopo le molteplici ed uniformi
deliberazioni delle sezioni regionali della
Corte dei conti, della sezione autonomie, la
chiarificatrice decisione del Tar Calabria,
23.08.2010, n. 914 e la sentenza della Corte
costituzionale 03.05.2010 n. 169, tutte
coerentemente di segno opposto alla teoria,
largamente minoritaria e pacificamente non
condivisibile, espressa ora dal Tar Umbria.
Detto Tar nella sentenza riprende
argomentazioni ormai superate, per ridare
vigore alla tesi della sussistenza di un «diritto
transitorio», vigente nel 2010, entro il
quale le progressioni verticali sarebbero
legittime. La sentenza ancora si fonda
sull'articolo 31, comma 4, del dlgs
150/2009, ai sensi del quale «nelle more
dell'adeguamento di cui al comma 1, da
attuarsi entro il 31.12.2010, negli
ordinamenti delle regioni e degli enti
locali si applicano le disposizioni vigenti
alla data di entrata in vigore del presente
decreto; decorso il termine fissato per
l'adeguamento si applicano le disposizioni
previste nel presente titolo fino alla data
di emanazione della disciplina regionale e
locale».
Per il collegio umbro, tali previsioni
andrebbero lette nel senso che la nuova
disciplina delle progressioni di carriera,
introdotta dalla riforma Brunetta si
applicherebbe a regioni ed enti locali «a
partire dall'01.01.2011, termine entro il
quale dette amministrazioni dovranno
adeguare i rispettivi ordinamenti
conformemente ai principi stabiliti dal
decreto delegato».
La prova di ciò risiederebbe nella
circostanza che l'articolo ...
(articolo ItaliaOggi
del 28.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Tar
Umbria. Progressioni verticali. Promozioni:
stop a partire dal 2011.
La partita delle progressioni orizzontali
non si è ancora conclusa. Una recente
sentenza del Tar Umbria dà l'opportunità di
tirare le somme sull'istituto. L'entrata in
vigore del Dlgs 150/2009 sembrava aver
definitivamente tolto ogni possibilità di
facile passaggio di categoria: le
progressioni sono di fatto ora possibili
solo tramite concorso, con possibile riserva
del 50% agli interni con conseguente
necessità di possedere i titoli di studio
richiesti per l'accesso dall'esterno.
Sull'effettiva decorrenza delle nuove regole
c'è stata molta confusione. Lo stesso
legislatore ha previsto infatti la nuova
disposizione in un articolo di modifica al
DLgs 165/2001, ma allo stesso tempo sembra
aver previsto all'articolo 24 della riforma
Brunetta uno slittamento al 31.12.2010 perle
autonomie locali.
In una corsa al foto-finish diversi comuni e
province hanno quindi adottato negli ultimi
giorni del 2009 modifiche al proprio
fabbisogno di personale nella speranza di
procedere in tempo con progressioni
riservate tutte agli interni.
E qui iniziano i problemi. A livello
interpretativo infatti si sono succedute
tutta una serie di deliberazioni spesso
discordanti tra le sezioni regionali della
Corte dei conti. Mentre, secondo l'Anci, il
15.11.2009 (data di entrata ...
(articolo Il
Sole 24 Ore
del 27.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Comuni indietro sulla
valutazione. Al via in poche città i nuovi
organismi indipendenti di giudizio sulle
performance. Il primo bilancio a fine anno
mostra che i municipi restano ancora
refrattari alla riforma Brunetta.
L'obiettivo è adeguarsi entro il 2010. Ma a
pochi giorni dal tempo massimo fissato dal
legislatore per allinearsi al Dlgs 150/2009,
la delibera n. 121/2010 della Civit apre
diverse problematiche.
Tra tutte il profilo 6 sugli «organismi
indipendenti di valutazione». È lasciata
alla discrezionalità del singolo comune la
scelta di costruire o meno l'organismo
indipendente di valutazione (Oiv).
Trascurando la "virtuosità" di molti
comuni che hanno già modificato i propri
regolamenti e, nell'ambito della definizione
di un sistema di valutazione e misurazione
delle performance, hanno attivato l'Oiv
seguendo i principi fondanti del Dlgs
Brunetta (in questo senso si è mossa di
recente Reggio Emilia), una ricerca condotta
su un campione di 101 comuni italiani
capoluogo di provincia (escluse le province
autonome) dimostra quanto anche prima della
delibera 121 gli enti sono stati refrattari
alla riforma.
Il 18% degli enti coinvolti ha attivato l'Oiv
e il 29% si propone di attuarlo a breve. Un
dato importante è la quota di comuni in cui
l'Oiv è in corso la predisposizione (54%) e
che rischiano una "battuta di arresto".
Nei pochissimi comuni che hanno già
istituito l'Oiv si evidenzia, ancorché non
obbligati, un allineamento ai contenuti
delle direttive della Civit emanate prima
della 121.
La tipologia di struttura del nuovo
organismo più appropriata, che gli enti
stessi individuano, è quella collegiale
(81%), costituita nella maggior parte dei
casi sia da membri interni sia esterni (con
struttura mista 43,5%). Il 19% non ha ancora
deciso la struttura comunque nessuno prevede
l'organo monocratico.
Il numero di componenti negli organi
collegiali varia tra 2 (La Spezia) e 5
(Pescara). Mediamente l'organo di
valutazione è ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 27.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Senza
dirigenti il fondo "perde" la produttività.
Il fondo per le risorse
decentrate, negli enti privi di dirigenza,
deve essere ulteriormente ridotto del
salario di produttività spettante al
personale nominato titolare di posizione
organizzativa.
La questione, che spesso ha comportato
contrapposizioni in sede di contrattazione
decentrata, è stata affrontata e chiarita
dalla Corte dei conti Lombardia, parere
1037/2010, secondo la quale la quota parte
del salario di produttività in precedenza
spettante al titolare di posizione
organizzativa non potrà essere distribuita
fra gli altri dipendenti ma costituirà
un'economia comportando una riduzione del
fondo.
La ferma presa di posizione della
magistratura contabile era già stata oggetto
di chiarimenti da parte dell'Aran (parere n.
499-15B3) sin dall'applicazione del Ccnl
01.04.1999.
Secondo l'Agenzia, a seguito
dell'affidamento delle posizioni
organizzative e della attribuzione della
relativa retribuzione di posizione, il fondo
dell'articolo 15 del Ccnl dell'01.04.1999
deve essere decurtato della quota delle
risorse prima destinate al pagamento dei
compensi per il salario accessorio del
personale interessato.
Forti di tale parere, gli ispettori della
Ragioneria dello stato, in sede di verifica,
hanno sempre censurato comportamenti
difformi. Le organizzazioni sindacali, pur
non essendo materia demandata alla
contrattazione decentrata, non hanno mai
condiviso l'orientamento Aran in
considerazione del fatto che nel contratto
collettivo nazione non è presente una
specifica disposizione in tal senso.
Il vuoto normativo ha quindi determinato
comportamenti differenziati da parte delle
amministrazioni. L'interpretazione La Corte
dei conti abbraccia la tesi datoriale che
non consente di destinare ai rimanenti
dipendenti la quota di salario accessorio
non attribuita alle posizioni organizzative,
per le quali la retribuzione di posizione e
risultato vengono finanziate con risorse di
bilancio. ...
(articolo Il Sole 24
Ore
del 27.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Gli
incentivi autofinanziati non sono spese di
personale. Parere della Corte conti
Lombardia esclude i bonus per i condoni.
Esclusi dalle spese di
personale gli incentivi autofinanziati, come
i corrispettivi per l'espletamento delle
pratiche di condono edilizio.
Il
parere 10.12.2010
n. 1046 della Corte dei conti,
sezione regionale di controllo della
Lombardia, è una buona notizia per gli enti
locali, in quanto potrebbe dirimere una
serie di questioni estremamente delicate sul
tema ancora nebuloso della concreta
determinazione della nozione di «spese di
personale». Tale concetto è in
particolare indicato nell'articolo 1, commi
557 e seguenti, della legge 296/2006, ma
manca un'elencazione precisa e dettagliata
di tali tipologie di spesa nella legge.
L'articolo 1, comma 557-bis, della citata
legge 296/2006 contiene un elenco
estremamente lacunoso: solo la circolare
della Ragioneria generale dello stato 9/2006
si è spinta più in là, nel tentativo di
dettagliare in maniera più chiara quali
spese siano da considerare di personale e
quali no. Le incertezze, tuttavia, restano
perché la circolare ha una funzione solo
interpretativa e le chiavi di lettura sulla
questione sono molteplici.
Solo di recente, grazie all'intervento della
sezione autonomie della Corte dei conti
(delibera 09.11.2009, n. 16), si è preso
atto della necessità di escludere dal
computo delle spese di personale i diritti
di rogito dei segretari comunali e
provinciali, i compensi per l'accertamento
dell'evasione dall'Ici e gli incentivi per
le progettazioni.
Proprio a partire dalle indicazioni della
sezione autonomie, la sezione Lombardia
afferma un principio estremamente
importante: la categoria della spesa di
personale non deve essere individuata sulla
base della semplice circostanza che una
certa somma di denaro venga assegnata
dall'ente ai propri dipendenti. Occorre,
invece, verificare sia la natura della
specifica voce di spesa, sia l'impatto che
tale spesa può avere nella gestione
finanziaria.
La conclusione, allora, è coerente con la
premessa. Le spese che si autoalimentano non
vanno incluse nel concetto di spese di
personale. Nel caso di specie, l'incentivo
per i condoni, disciplinato dall'articolo 32
della legge 326/2003, è finanziato dagli
oneri a carico dei soggetti interessati e,
oltretutto, riguarda attività da svolgere
necessariamente al di fuori dell'orario di
lavoro.
Sembra, tuttavia, acclarabile per effetto
del parere della sezione Lombardia che tutte
le tipologie di spesa non aventi impatti
negativi sul bilancio vadano escluse dai
tetti della spesa di personale, sia
all'effetto di valutarne la dimensione
assoluta sia ai fini del rapporto con le
spese correnti, che dal 2011 non potrà
essere superiore al 40%.
Pare corretto, allora, sostenere che siano
da escludere le spese di personale
finanziate dall'Unione europea e da soggetti
privati (per esempio, per sponsorizzazioni o
iniziative finanziate da fondazioni
bancarie) esattamente per la medesima
motivazione: si tratta di somme prive di
impatto per il bilancio, alimentate
dall'esterno. Ulteriore conseguenza
dell'esclusione dal novero delle spese di
personale di quelle autoalimentate o
comunque finanziate è l'ulteriore loro
esclusione dagli effetti dell'articolo 9,
comma 2-bis del dl 78/2010, convertito in
legge 122/2010.
Tale disposizione prevede che a decorrere
dal 1° gennaio 2011 e sino al 31.12.2013
l'ammontare complessivo delle risorse
destinate annualmente al trattamento
accessorio del personale, anche di livello
dirigenziale non possa superare il
corrispondente importo dell'anno 2010 vada,
comunque, automaticamente ridotto in misura
proporzionale alla riduzione del personale
in servizio.
Nel computo delle risorse «destinate
annualmente al trattamento accessorio»,
allora, non debbono confluire le tipologie
di spesa autoalimentate o finanziate così da
non determinare impatti negativi
(articolo ItaliaOggi
del 31.12.2010 - tratto da www.corteconti.it). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
LAVORI PUBBLICI:
Consultazioni on-line. Avviata
una consultazione sulla realizzazione di
infrastrutture e finanza di progetto.
In vista dell’audizione che si terrà presso
l'Autorità il 26.01.2011 con gli operatori
del settore, è stata avviata una
consultazione on-line sulle problematiche
per la realizzazione di infrastrutture
strategiche mediante l’istituto della
finanza di progetto e contraente generale (comunicato
27.12.2010 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: Risulta
illegittima la deliberazione di Giunta
Comunale con la quale si è inteso imporre
sull’intero territorio comunale l’obbligo di
realizzazione di linee elettriche interrate,
rimettendo alla discrezionale scelta
(dapprima della Giunta e successivamente)
del Responsabile dell’Ufficio tecnico
l’eventuale deroga a tale previsione.
Invero, la determinazione
dell’Amministrazione comunale pare
configurarsi come una preventiva e
generalizzata opposizione alla realizzazione
di linee aeree per i nuovi impianti e una
richiesta (“incentivare e promuovere”) di
sostituzione di quelli già esistenti con
linee interrate risultano violati i canoni
di proporzionalità e ragionevolezza, posto
che la misura è assai penalizzante per il
gestore della rete sia in fase realizzativa
sia in fase manutentiva.
Attraverso le delibere impugnate si è,
infatti, inteso imporre sull’intero
territorio comunale l’obbligo di
realizzazione di linee elettriche interrate,
rimettendo alla discrezionale scelta
(dapprima della Giunta e successivamente)
del Responsabile dell’Ufficio tecnico
l’eventuale deroga a tale previsione, ma
l’Amministrazione comunale non possiede
siffatto potere.
Invero, la L.R. 16.08.1982 n. 52 –che detta
“Norme in materia di opere concernenti
linee ed impianti elettrici fino a 150.000
Volt”– configura un quadro nell’ambito
del quale il rilascio delle autorizzazioni
alla Regione (art. 4), mentre alla
Amministrazioni comunali -in forza di quanto
disposto dagli artt. 2 e 3- è attribuito
esclusivamente il potere di proporre sul
progetto presentato dai richiedenti le
proprie osservazioni ed opposizioni.
La determinazione dell’Amministrazione
comunale di Gorno pare configurarsi invece
come una preventiva e generalizzata
opposizione alla realizzazione di linee
aeree per i nuovi impianti e una richiesta
(“incentivare e promuovere”) di
sostituzione di quelli già esistenti con
linee interrate.
Quand’anche l’espressione di una
determinazione generale, in luogo della
disamina delle singole richieste, dovesse
considerarsi legittima (ma si pone invece in
palese contrasto con la procedura disegnata
dalla cit. L.R. n. 52/1982), risultano pur
sempre violati i canoni di proporzionalità e
ragionevolezza, posto che la misura è, come
evidenziato dalla ricorrente, assai
penalizzante per il gestore della rete sia
in fase realizzativa sia in fase
manutentiva.
Inoltre, la scelta
dell’Amministrazione risulta giustificata
dalla sola osservazione che “tali
manufatti risultano spesse volte di notevole
impatto, sia visivo che ambientale”, con
la conseguenza che la motivazione risulta
comunque contraddittoria e carente laddove
non spiega per quale motivo il divieto debba
riguardare l’intero territorio e non
specifici ambiti da tutelare.
Dunque, erroneamente ed illogicamente
l’Amministrazione comunale ha ritenuto di
assumere una determinazione di ordine
generale, invece di valutare volta per volta
la specifica richiesta di autorizzazione.
Quanto alla richiesta di sostituzione delle
linee aeree esistenti, ove la stessa non
debba interpretarsi come una mera
espressione di un “indirizzo politico”,
va rilevata la carenza di base normativa
all’esercizio di un siffatto potere in capo
al Comune
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 29.12.2010 n. 4983 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Requisiti di partecipazione -
Fusioni, incorporazioni, cessioni di ramo
d’azienda - Utilizzo dei requisiti tecnici e
professionali delle imprese cedute - Appalti
di servizi - Applicabilità.
Costituisce principio generale che l'impresa
che partecipa ad una gara d'appalto può
avvalersi dei requisiti posseduti dalle
imprese cedenti. Invero, la ragione delle
operazioni di fusione, incorporazione,
cessioni di ramo d'azienda ed operazioni
similari consiste proprio nella possibilità,
per la società acquirente, di utilizzare i
requisiti tecnici e professionali propri
delle imprese cedute.
Tale principio, che trova un addentellato
normativo nella disciplina sugli appalti di
lavori pubblici, attesa la sua portata
generale deve ritenersi applicabile anche
nel settore degli appalti di servizi (cfr.
TAR Campania Napoli, sez. I, 21.03.2006, n.
3108).
Iscrizione di dati nel
casellario informatico presso l’autorità di
vigilanza - Avviso di avvio del procedimento
- Obbligo.
Dell'eventuale avvio del procedimento di
iscrizione di dati nel casellario
informatico presso l'Autorità di vigilanza
deve essere notiziato l'interessato, anche
quando la trasmissione di atti al
casellario, da parte delle stazioni
appaltanti, è dovuta in adempimento di
disposizioni di legge, attese le conseguenze
rilevanti che derivano da tale iscrizione e
l'indubbio interesse del soggetto
all'esattezza delle iscrizioni, salva
l’ipotesi di atti informativi equipollenti
(C.d.S., Sez. VI, sentenza n. 3754 del
15.06.2010) (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 27.12.2010 n. 28051 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cemento armato - Provvedimento di
sospensione dei lavori per violazione
dell’art. 4 L. n. 1086/1971 - Istanza di
sanatoria ex art. 13 L. n. 47/1985 -
Sospensione dell’efficacia - Inidoneità.
La sospensione dei lavori disposta ai sensi
dell’art. 12 della legge 1086/1971, per
violazione dell’art. 4 della medesima legge
(applicabile anche alle varianti in corso
d’opera, ai sensi del comma 5 del medesimo
art. 4) mira a salvaguardare la pubblica
incolumità (cfr. Cassazione penale , sez.
III, 03.06.2004, n. 36093).
Pertanto la presentazione dell’istanza di
sanatoria ex art. 13 legge 47/1985,
finalizzata a sanare l’abuso, non è idonea
ad incidere sull’efficacia del provvedimento
di sospensione dei lavori (TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 27.12.2010 n. 28036 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Requisiti di capacità tecnica e
professionale - Stazione appaltante -
Natura, quantità e uso delle forniture o dei
servizi - Elenco tipologico contenuto
nell’art. 42 d.lgs. n. 163/2006 - Successiva
specificazione in sede di bando - Principi
di ragionevolezza, proporzionalità e
logicità.
I requisiti di capacità tecnica e
professionale sono stabiliti dalle stazioni
appaltanti in ragione della natura, della
quantità o dell'importanza e dell'uso delle
forniture o dei servizi e, dunque, l’elenco
tipologico contenuto nell’art. 42 del d.lgs.
163/2006 presuppone una successiva
specificazione in sede di bando e
disciplinare in funzione delle esigenze del
singolo appalto, fermo restando il rispetto
del principio di ragionevolezza, logicità e
proporzionalità rispetto all’oggetto
dell’affidamento (TAR Campania-Napoli, Sez.
I,
sentenza 27.12.2010 n. 28018 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla dichiarazione ex art. 38
d.lgs. n. 163/2006 e sulla valutazione della
gravità del reato.
Per giurisprudenza ormai consolidata, in
tema di esclusione dalla gara per
l'affidamento di appalti pubblici, l'art. 38
del D.Lgs. n. 163/2006 costituisce presidio
dell'interesse dell'Amministrazione di non
contrarre obbligazioni con soggetti che non
garantiscano adeguata moralità
professionale; presupposti perché
l'esclusione consegua alla condanna sono la
gravità del reato e il riflesso dello stesso
sulla moralità professionale. La gravità del
reato deve, quindi, essere valutata in
relazione a quest'ultimo elemento e il
contenuto del contratto oggetto della gara
assume allora importanza fondamentale al
fine di apprezzare il grado di moralità
professionale del singolo concorrente.
In altri termini la "gravità" del
reato, nell'accezione voluta dal legislatore
del codice dei contratti con il citato art.
38, è un concetto giuridico a contenuto
indeterminato, da valutarsi necessariamente
non soltanto in sé e per sé, ma di volta in
volta con riferimento ad una serie di
parametri quali la maggiore o minore
connessione con l'oggetto dell'appalto, il
lasso di tempo intercorso dalla condanna,
l'eventuale mancanza di recidiva, le ragioni
in base alle quali il giudice penale ha
commisurato in modo più o meno lieve la
pena.
Ai sensi dell'art. 38 del D.Lgs. n.
163/2006, il potere di stabilire quali reati
siano da indicare nella dichiarazione
attestante il possesso dei requisiti
richiesti per l'ammissione alla gara, in
quanto possano incidere, per la loro
gravità, sulla sua moralità professionale
spetta al dichiarante con la conseguenza
che, essendo tale valutazione rimessa alla
stazione appaltante solo in sede di
eventuale controllo, il concorrente può
legittimamente non fare menzione dei
precedenti penali non risultanti dal
certificato del casellario giudiziale e da
lui ritenuti non idonei a compromettere,
secondo l'id quod plerumque accidit,
la sua moralità professionale; pertanto va
escluso che possa qualificarsi come "falsa"
dichiarazione quella contenente una
valutazione soggettiva del concorrente
stesso, che potrebbe semmai non essere
condivisa, ma non certo determinarne
l'esclusione dalla gara (TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 27.12.2010 n. 7715 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Dichiarazione ex art. 38 d.lgs.
n. 163/2006 - Gravità del reato - Concetto a
contenuto indeterminato.
La “gravità” del reato,
nell’accezione voluta dal legislatore del
codice dei contratti con l’art. 38, è un
concetto giuridico a contenuto
indeterminato, da valutarsi necessariamente
non soltanto in sé e per sé, ma di volta in
volta con riferimento ad una serie di
parametri quali la maggiore o minore
connessione con l’oggetto dell’appalto, il
lasso di tempo intercorso dalla condanna,
l’eventuale mancanza di recidiva, le ragioni
in base alle quali il giudice penale ha
commisurato in modo più o meno lieve la
pena.
Dichiarazione ex art. 38
d.lgs. n. 163/2006 - Reati non idonei ad
incidere sulla moralità professionale -
Mancata indicazione - Irrilevanza.
Ai sensi dell'art. 38 del codice dei
contratti, il potere di stabilire quali
reati siano da indicare nella dichiarazione
attestante il possesso dei requisiti
richiesti per l'ammissione alla gara, in
quanto possano incidere, per la loro
gravità, sulla sua moralità professionale
spetta, in prima battuta, al dichiarante con
la conseguenza che, essendo tale valutazione
rimessa alla stazione appaltante solo in
sede di eventuale controllo, il concorrente
può legittimamente non fare menzione dei
precedenti penali non risultanti dal
certificato del casellario giudiziale e da
lui ritenuti non idonei a compromettere,
secondo l'id quod plerumque accidit,
la sua moralità professionale; pertanto va
escluso che possa qualificarsi come “falsa”
dichiarazione quella contenente una
valutazione soggettiva del concorrente
stesso, che potrebbe semmai non essere
condivisa, ma non certo determinarne
l'esclusione dalla gara (Cons. Stato, sez.
V, 19.06.2009, n. 4082; anche: TAR Sardegna
Cagliari, sez. I, 09.10.2009, n. 1525; Cons.
Stato, sez. V, 19.06.2009, n. 4082; id.
08.09.2008, n. 4244; TAR Sicilia Catania,
sez. IV, 25.02.2010, n. 395).
Una diversa lettura dell'art. 38 del D.Lgs.
n. 163 del 2006 apparirebbe legittima
soltanto nel caso in cui il bando, invece di
limitarsi a chiedere una generica
dichiarazione di insussistenza delle cause
di esclusione, avesse imposto, e sanzionato
con l'esclusione in caso di omissione, una
dichiarazione dal contenuto più ampio
rispetto a quanto ivi prescritto al fine di
riservare alla stazione appaltante, fin
dalla prima fase di gara, la valutazione
della gravità o meno dell'illecito e anche
di ogni omessa dichiarazione.
Solo in siffatta ipotesi, dunque, potrebbe
integrare una legittima causa di esclusione,
oltre all’esistenza di una violazione penale
grave, ma la mancata dichiarazione nei
puntuali termini prescritti dal bando (TAR
Trentino Alto Adige Trento, sez. I,
07.06.2010, n. 151) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. I,
sentenza 27.12.2010 n. 7715 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire - Nozione
di costruzione - Realizzazione di opere
murarie - Necessità - Esclusione -
Trasformazione del tessuto urbanistico
edilizio.
La nozione di costruzione, ai fini del
rilascio del permesso di costruire, si
configura in presenza di opere che attuino
una trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello
stato dei luoghi, a prescindere dal fatto
che essa avvenga mediante realizzazione di
opere murarie, essendo irrilevante che le
opere siano state realizzate in metallo, in
laminati di plastica, in legno o altro
materiale, ove si sia in presenza di
un’evidente trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio e le opere siano
preordinate a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale (cfr.
ex multis C.d.S., Sez. IV, N.
2705/2008 in tal senso anche Consiglio
Stato, V, 13.06.2006, n. 3490) (TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 23.12.2010 n. 28016 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Zone urbanizzate - Obbligo dello
strumento attuativo - Deroga - Dotazione di
infrastrutture primarie e secondarie -
Verifica dell’intero comprensorio -
Necessità - Ragioni.
Il principio affermato dalla giurisprudenza
prevalente secondo il quale, ai fini del
rilascio della concessione edilizia, nelle
zone già urbanizzate è consentito derogare
all’obbligo dello strumento attuativo (piano
particolareggiato o piano di lottizzazione
convenzionata), può trovare applicazione
solo nell’ipotesi, del tutto eccezionale,
che si sia già realizzata una situazione di
fatto che da quegli strumenti consenta con
sicurezza di prescindere, in quanto
risultano oggettivamente non più necessari,
essendo stato pienamente raggiunto il
risultato (id est: l’adeguata
dotazione di infrastrutture, primarie e
secondarie previste dal piano regolatore)
cui sono finalizzati.
Tale situazione, del tutto peculiare, deve
essere accertata in riferimento all’intero
contenuto previsto dal piano regolatore
generale. La stessa, cioè, deve concernere
le urbanizzazioni primarie e quelle
secondarie in riferimento all’assetto
definitivo dell’intero ambito territoriale
di riferimento.
La verifica, pertanto, non può essere
limitata alle sole aree di contorno
dell’edificio progettato, ma deve riguardare
l’intero comprensorio che dagli strumenti
attuativi dovrebbe essere pianificato. Ogni
altra soluzione avrebbe evidentemente il
torto di trasformare lo strumento attuativo
in un atto sostanzialmente facoltativo, non
più necessario ogniqualvolta, a causa di
precedenti abusi edilizi sanati, di
preesistenti edificazioni ovvero del
rilascio di singole concessioni edilizie
illegittime, il comprensorio abbia già
subito una qualche urbanizzazione, anche se
la stessa non soddisfa pienamente le
indicazioni del piano regolatore (cfr. TAR
Campania, Napoli, II, 15.03.2004 n. 2925; n.
11664/2004) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 23.12.2010 n. 28016 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Abusi edilizi - Potere repressivo
- Art. 31 d.P.R. n. 380/2001 - Apprezzamenti
discrezionali - Esclusione - Sanabilità
delle opere - Onere di verifica -
Insussistenza.
Nello schema giuridico delineato dall’art.
31 del d.p.r. 380/2001 non vi è spazio per
apprezzamenti discrezionali, atteso che
l’esercizio del potere repressivo di un
abuso edilizio consistente nell’esecuzione
di un’opera in assenza del titolo
abilitativo costituisce atto dovuto, per il
quale è "in re ipsa" l’interesse
pubblico alla sua rimozione (cfr. TAR
Campania, Sez. IV, 24.09.2002, n. 5556;
04.07.2001, n. 3071; Consiglio Stato, sez.
IV, 27.04. 2004, n. 2529).
Una volta accertata l'esecuzione di opere in
assenza di concessione ovvero in difformità
totale dal titolo abilitativo, non
costituisce, dunque, onere del Comune
verificare la sanabilità delle opere in sede
di vigilanza sull'attività edilizia (TAR
Campania, Sez. IV, 24.09.2002, n. 5556; TAR
Lazio, sez. II-ter, 21.06.1999, n. 1540).
Abusi edilizi -
Ingiunzione di demolizione - Indicazione
delle opere abusivamente realizzate -
Sufficienza - Area di sedime - Successiva
specificazione in sede di acquisizione.
Il contenuto essenziale dell'ingiunzione di
demolizione deve essere individuato in
relazione alla funzione tipica del
provvedimento, che è quella di prescrivere
la rimozione delle opere abusive.
Pertanto, ai fini della legittimità
dell'atto è necessaria e sufficiente
l'analitica indicazione delle opere
abusivamente realizzate in modo da
consentire al destinatario della sanzione di
rimuoverle spontaneamente; l'indicazione
dell'area di sedime, quindi, non deve essere
necessariamente presente nell'ordinanza di
demolizione ma può essere contenuta nel
successivo atto dichiarativo
dell'acquisizione (cfr. ex multis TAR
Lazio Roma, sez. I, 09.02.2010, n. 1785)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 23.12.2010 n. 28016 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Lotto edificabile - Calcolo della
volumetria - Parziale utilizzazione su parte
del lotto catastalmente divisa - Rilevanza.
Il calcolo della volumetria che può essere
realizzata su un lotto edificabile deve
essere effettuato tenendo conto della
situazione determinata anche dalla parziale
utilizzazione, da parte dell’originario
proprietario, della volumetria globalmente
disponibile e, quindi, eventualmente
detraendo dalla cubatura richiesta quella
già realizzata per il precedente edificio, a
nulla rilevando che questo possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa
(TAR Campania, II Sezione, 30.04.2009 n.
2262, 08.06.2006, n. 6816; IV Sezione,
17.06.2002, n. 3614; Consiglio di Stato, V
Sezione, 12.07.2005, n. 3777, e 23.08.2005,
n. 4385) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 23.12.2010 n. 28013 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sull'interpretazione delle
disposizioni della direttiva 2004/18/CE, in
relazione all'affidamento di un appalto
pubblico ad una società mista, senza
indizione di gara.
La direttiva 2004/18/CE, relativa al
coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, forniture e servizi, deve essere
interpretata nel senso che, qualora
un'amministrazione aggiudicatrice concluda
con una società privata, da essa
indipendente, un contratto che preveda la
costituzione di un'impresa comune, sotto
forma di società per azioni, ed il cui
oggetto consista, come nel caso di specie,
nella fornitura di servizi sanitari e
preservazione del benessere sul luogo di
lavoro, l'attribuzione da parte della
predetta amministrazione dell'appalto
relativo ai servizi destinati ai propri
dipendenti, per un valore superiore alla
soglia prevista dalla direttiva in parola, e
scindibile dal contratto costitutivo di tale
società, deve osservare le disposizioni
della suddetta direttiva applicabili ai
servizi rientranti nell'allegato II B.
La direttiva 2004/18 non opera una
distinzione tra gli appalti pubblici
conclusi da un'amministrazione
aggiudicatrice per il soddisfacimento di
bisogni di interesse generale e gli appalti
pubblici non correlati a tale missione, come
la necessità di soddisfare, come nel caso di
specie, un obbligo che le incombe quale
datore di lavoro nei confronti dei suoi
dipendenti.
L'applicazione del diritto dell'Unione in
materia di appalti pubblici è esclusa nel
caso in cui, nel contempo, l'amministrazione
aggiudicatrice eserciti, sull'ente
aggiudicatario, un controllo analogo a
quello da esso esercitato sui propri
servizi. Tuttavia, il fatto che un soggetto
privato ed un'amministrazione aggiudicatrice
cooperino nell'ambito di un'entità a
capitale misto, non può giustificare il
mancato rispetto, in sede di aggiudicazione
di concessioni a tale soggetto privato o
all'entità a capitale misto, delle
disposizioni in materia di appalti pubblici.
L'intenzione delle parti contraenti di
considerare gli elementi costitutivi di un
contratto misto come inseparabili, deve
poggiare su dati oggettivi atti a
giustificarla ed a fondare la necessità di
concludere un unico contratto.
Conformemente alla giurisprudenza della
Corte, l'attribuzione di un appalto pubblico
ad una società mista pubblico-privata, senza
indizione di gara, pregiudicherebbe
l'obiettivo di una concorrenza libera ed il
principio della parità di trattamento, nella
misura in cui una procedura siffatta
offrirebbe ad un'impresa privata un maggior
vantaggio rispetto ai suoi concorrenti
(Corte di Giustizia europea, Sez. III,
sentenza 22.12.2010 n. C-215/09 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Non è necessario che i requisiti
di partecipazione siano già disponibili
all'epoca della gara, mentre sono
indispensabili al momento della stipula del
contratto e della successiva esecuzione
degli impegni negoziali.
La motivazione del giudizio di verifica
della congruità di un'offerta anomala deve
essere rigorosa ed analitica soltanto nel
caso del "giudizio negativo".
Un'interpretazione finalistica e teleologica
delle disposizioni in tema di requisiti di
partecipazione alla gara, di cui è
espressione anche il principio di
avvalimento ora fissato dalle direttive UE
n. 17 e 18 del 2004, porta a ritenere che,
in sede di gara, possa essere fornita
dimostrazione in ordine al possesso, certo
ed incondizionato, al momento della stipula
del contratto e della successiva esecuzione,
dei requisiti e dei mezzi all'uopo
necessari.
Non è, in definitiva, necessario
che i mezzi siano già disponibili all'epoca
della procedura, mentre è invece necessario
che nel corso della procedura si dimostri
che essi saranno disponibili al momento
dell'assunzione e dell'esecuzione degli
impegni negoziali.
---------------
E' generale l'affermazione in giurisprudenza
che la ritenuta "congruità delle offerte"
non necessita di particolare motivazione,
richiesta invece nel caso in cui sia
espresso dalla Commissione di gara un
giudizio di "non congruità dell'offerta"
e quindi di insufficienza e/o inidoneità
delle giustificazioni a spiegare l'anomalia.
In quel caso, la motivazione si impone
perché si perviene all'esclusione
dell'offerta anomala in contraddittorio con
l'offerente.
La motivazione del giudizio di
verifica della congruità di un'offerta
anomala deve essere rigorosa ed analitica
soltanto nel caso del "giudizio negativo",
mentre nel caso di "giudizio positivo"
non è necessario che la relativa
determinazione sia fondata su un'articolata
motivazione ripetitiva delle medesime
giustificazioni ritenute accettabili o
espressiva di ulteriori apprezzamenti, con
la conseguenza che il giudizio favorevole di
non anomalia dell'offerta non richiede
puntualità di argomentazioni, essendo
sufficiente anche una motivazione "per
relationem" alle stesse giustificazioni
presentate dal concorrente sottoposto al
relativo obbligo (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 17.12.2010 n. 2818 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Oneri concessori - Beneficio
della riduzione - Presupposti per il
riconoscimento - Demolizione e costruzione
di un singolo nuovo edificio - Modifica
dell’assetto urbanistico precedente -
Esclusione del beneficio - Art. 26 L.R.
Friuli Venezia Giulia n. 18/1986 - Art. 31,
1° co. lett. e) L. n. 457/1978.
Il riconoscimento dell’eccezionale beneficio
della riduzione degli oneri concessori, ai
sensi dell’art. 26 della legge regionale del
Friuli Venezia Giulia n. 18 del 1986,
laddove espressamente richiama il concetto
di ristrutturazione urbanistica di cui
all’art. 31, 1° co. lett. e) della legge
nazionale n. 457 del 1978, deve intendersi
comunque limitato al solo caso in cui
l’intervento progettato non sia un
intervento di ristrutturazione edilizia ma
risulti essere un intervento di ben più
ampia portata e cioè rivolto a sostituire
l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con
altro diverso mediante un insieme
sistematico di opere edilizie che
determinano anche la modificazione del
disegno dei lotti, degli isolati e della
rete stradale.
Deve, pertanto, trattarsi di un intervento
di per se stesso complesso e di vaste
proporzioni (ben diverso, ripetesi, da
quello riferibile alla ristrutturazione
ovvero alla nuova costruzione di un singolo
fabbricato) che come tale modifichi tutto il
“tessuto” urbanistico ed edilizio
della zona determinando così una variazione
molto significativa della stessa, proprio
sotto il profilo dell’assetto urbanistico
precedente.
Di conseguenza, è da escludere che il
riconoscimento di tale beneficio possa
intendersi correlato alla realizzazione di
un semplice intervento di demolizione e
costruzione di un singolo nuovo edificio il
cui progetto, sia pure modellato alle
caratteristiche tipiche della zona, non
preveda altresì la realizzazione di
ulteriori opere di urbanizzazione mirate
alla sostituzione di tutto o di una
rilevante parte del tessuto urbanistico
della specifica zona da recuperare
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.12.2010 n. 8948 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L’obbligo di preavviso di
decisione negativa di cui all’art. 10-bis L.
241/1190 è espressione di un principio
generale dell’ordinamento che impone il
contraddittorio e che, oltre che con il
preavviso scritto ex art. 10-bis, è attuato
anche con la convocazione degli interessati
nell’ambito della seduta dell’organo
collegiale procedente (si pensi ad esempio a
quanto avviene in caso di convocazione di
conferenza di servizi).
Non vi è pertanto ragione logica, letterale
o di ratio legis per escludere dal novero
delle autorità competenti cui si riferisce
l’art. 10-bis anche i consigli comunali
tanto più qualora provvedano, come nel caso
di specie, ad adottare atti che non hanno
sicuramente natura politica ma sono
normalissimi atti amministrativi di
composizione di interessi.
La difesa del Comune argomenta che il
principio del preavviso del provvedimento di
diniego non si applicherebbe agli atti di
competenza di un organo collegiale di natura
politica, al quale spetta adottare un atto
di indirizzo, direzione e programmazione
della futura attività amministrativa facente
capo ai funzionari.
Il Collegio ritiene invece che l’obbligo di
preavviso di decisione negativa di cui
all’art. 10-bis cit. sia espressione di un
principio generale dell’ordinamento che
impone il contraddittorio e che, oltre che
con il preavviso scritto ex art. 10-bis, è
attuato anche con la convocazione degli
interessati nell’ambito della seduta
dell’organo collegiale procedente (si pensi
ad esempio a quanto avviene in caso di
convocazione di conferenza di servizi).
Non vi è pertanto ragione logica, letterale
o di ratio legis per escludere dal
novero delle autorità competenti cui si
riferisce l’art. 10-bis anche i consigli
comunali tanto più qualora provvedano, come
nel caso di specie, ad adottare atti che non
hanno sicuramente natura politica ma sono
normalissimi atti amministrativi di
composizione di interessi.
E’ appena il caso di precisare che,
altrimenti opinando, la norma si esporrebbe
a non pochi dubbi di costituzionalità, non
essendo giustificabile che la natura
dell’organo che delibera diminuisca le
garanzie del cittadino (TAR Friuli Venezia
Giulia,
sentenza 16.12.2010 n. 841 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Area sottoposta a tutela
paesaggistica - Autorizzazioni comunali -
Obbligo di motivazione - Necessità - Rigetto
autorizzazione ambientale - Fattispecie: la
realizzazione di alcuni stabilimenti
balneari, bar ristoranti e chioschi, su area
inserita nel piano spiaggia delle aree
demaniali marittime del territorio comunale.
In tema di tutela paesaggistica, le
autorizzazioni comunali che si limitano a
rilevare una generica e apodittica
integrazione dell’intervento nel contesto
paesistico ambientale, non assolvono neppure
in minima parte l’obbligo motivazionale
necessario alla legittimità dell’assenso.
Obbligo particolarmente incombente, in
specie, dato che: il progetto riguarda
strutture commerciali permanenti ubicate su
area demaniale utilizzata per l’uso comune
di balneazione; tutto il territorio è
vincolato ai fini paesaggistici; tutta la
costiera è patrimonio dell’umanità.
Infine, nel rilevare la carenza di
istruttoria e di motivazione dei
provvedimenti esaminati, la sovrintendenza
non ha sostituito un suo apprezzamento di
merito alle determinazioni comunali, ma ha
evidenziato le carenze estrinseche delle
autorizzazioni, carenze che, per essere
apprezzate, non possono non procedere
dall’effettiva considerazione delle
caratteristiche delle opere e del progetto
complessivo in relazione al concreto
contesto ambientale, in tutti gli aspetti di
fatto e di diritto suoi propri (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 15.12.2010 n. 8934 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sono soggetti alla disciplina
delle distanze tutti gli interventi edilizi,
ancorché definiti come “ristrutturazione”,
che comportino l’ampliamento di edifici
“all’esterno della sagoma esistente”.
L’art. 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1444, pur
riferendosi (comma 1, n. 2) alla
realizzazione di “nuovi edifici”, è
applicabile anche agli interventi di
sopraelevazione e, dunque, anche alle
ristrutturazioni che comportino un
incremento non trascurabile dell’altezza del
fabbricato.
Come statuito dal Tribunale in casi analoghi
(cfr. TAR Milano 2^, 29.05.2007 n. 1991,
richiamata in sede cautelare) sono soggetti
alla disciplina delle distanze tutti gli
interventi edilizi, ancorché definiti come “ristrutturazione”,
che comportino l’ampliamento di edifici “all’esterno
della sagoma esistente” [cfr. le “definizioni”
di cui all’art. 27, primo comma, lettera e),
n. 1), legge regionale n. 12/2005, che
testualmente annovera tale fattispecie tra
gli “interventi di nuova costruzione”].
L’art. 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1444, pur
riferendosi (comma 1, n. 2) alla
realizzazione di “nuovi edifici”, è
applicabile anche agli interventi di
sopraelevazione (Cass. 2^ 27.03.2001 n.
4413; Cons. Stato V, 19.10.1999 n. 1565), e
dunque anche alle ristrutturazioni che
-volte, come quella de qua, al
recupero del sottotetto- comportino un
incremento non trascurabile dell’altezza del
fabbricato.
La normativa in questione, mirando ad
evitare la creazione di intercapedini in
grado di impedire la libera circolazione
dell’aria, come tali produttive di
insalubrità oltreché riduttive di luminosità
e dunque non autorizzabili per motivi
igienico-sanitari (Cons. Stato V, 19.10.1999
n. 1565; TAR Catania, 27.10.1994 n. 2373),
risponde ad esigenze pubblicistiche che
sovrastano gli interessi dei singoli, per
soddisfare interessi generali, e non è
pertanto suscettibile di deroghe pattizie.
Si tratta di una disciplina di carattere
tassativo e inderogabile, non eludibile da
parte dello strumento urbanistico comunale,
e direttamente applicabile, per inserzione
automatica, quale parte integrante del piano
regolatore, in sostituzione di eventuali
norme locali difformi, che devono essere
disapplicate e, in caso di impugnazione,
annullate (cfr. Cons. Stato IV, 18.06.2009
n. 4015).
A sostegno dell’opposta tesi non può essere
invocato l’art. 64, secondo comma, della
legge regionale 11.03.2005 n. 12 (legge per
il governo del territorio), secondo cui il
recupero a fini abitativi dei sottotetti
esistenti “.... è ammesso anche in deroga
ai limiti e alle prescrizioni degli
strumenti di pianificazione comunale …”,
dovendo la norma interpretarsi nel senso che
la derogabilità non opera nei casi in cui lo
strumento urbanistico riproduce disposizioni
normative di rango superiore, a carattere
inderogabile, qual è appunto il decreto
ministeriale nella parte in cui disciplina
le distanze tra fabbricati, trattandosi di
materia inerente all’ordinamento civile e
rientrante, come tale, nella competenza
legislativa esclusiva dello Stato (cfr.
Corte cost. 16.06.2005 n. 232).
Non a caso, l’art. 103 della legge regionale
n. 12/2005, pur disponendo la
disapplicazione del decreto ministeriale
02.04.1968, n. 1444, fa salvo, per gli
interventi di nuova costruzione, il rispetto
della distanza minima tra fabbricati pari a
dieci metri, derogabile solo all’interno di
piani attuativi (cfr. comma 1-bis, aggiunto
dall'art. 1, comma 1, lett. xxx), l.r.
14.03.2008 n. 4)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.12.2010 n. 7505 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Anche
dopo la scadenza del piano di recupero
debbono continuare ad osservarsi le
prescrizioni di zona previste dal piano
scaduto, giusta l'art. 17, comma primo, L.
17.08.1942 n. 1150.
L'avvenuta decadenza del piano di recupero
non rende applicabili gli indici generali di
edificabilità previsti per la zona dal piano
regolatore generale né rende possibile
all'amministrazione comunale di valutare
caso per caso singole domande di intervento
edilizio diretto sulla stregua di una
ricognizione di fatto dello stato di
urbanizzazione della zona, ma, in mancanza
di una compiuta programmazione urbanistica,
consente solo di effettuare quegli
interventi previsti dall'art. 4, ultimo
comma, della legge 28.01.1977 n. 10.
I piani particolareggiati attuativi dei
piani regolatori generali hanno efficacia
decennale, con esclusione degli allineamenti
e delle prescrizioni di zona stabiliti dal
piano stesso destinati ad essere applicati a
tempo indeterminato anche in presenza di uno
strumento urbanistico generale;
conseguentemente, in considerazione della
stabilità delle previsioni del piano
attuativo, va affermato il principio per il
quale le prescrizioni urbanistiche di un
piano attuativo rilevano a tempo
indeterminato, anche dopo la sua scadenza.
L'art. 17 della legge 17.08.1942 n. 1150 va
inteso nel senso che, scaduto il termine di
efficacia stabilito per l'esecuzione del
piano particolareggiato, nella parte in cui
è rimasto inattuato non possono più
eseguirsi i previsti espropri come
preordinati alla realizzazione delle opere
pubbliche e delle opere di urbanizzazione
primaria, in particolare (prima parte del
comma primo) e, per converso, non si può
procedere all'edificazione residenziale per
assenza di tale fondamentale presupposto (v.
art. 31). Dove invece il detto piano ha
avuto attuazione, con la realizzazione di
strade, piazze ed altre opere di
urbanizzazione, l'edificazione residenziale
è consentita secondo un criterio di armonico
inserimento del nuovo nell'edificato
esistente (seconda parte del primo comma), e
cioè in base alle norme del piano attuativo
scaduto che mantengono la loro integrale
applicabilità. Cosicché, se il piano
attuativo è un piano di zona, non può
l'edificazione residenziale privata
sostituire l'edificazione residenziale
pubblica, senza che per ciò stesso si possa
ritenere che ciò rappresenti l'illegittima
introduzione di un vincolo d'inedificabilità
a tempo indeterminato, essendo, piuttosto,
la perpetuazione di un vincolo conformativo
collegato alla subzonizzazione insita nel
p.e.e.p. scaduto.
Il decorso del decennio priva di efficacia
l'intera normativa del piano attuativo,
visto che, per espressa previsione del
citato art. 17 della Legge n. 1150/1942,
continua a rimanere fermo a tempo
indeterminato il contenuto inerente le
prescrizioni di zona, nel rispetto sia
dell'interesse pubblico per l'esecuzione
delle opere di urbanizzazione, sia di quello
volto alla edificazione dei lotti. La norma
in parola, invero, ha l'effetto di far venir
meno i vincoli espropriativi, in
applicazione del principio generale della
loro temporaneità, mentre lascia
impregiudicata l'applicabilità delle
previsioni che disciplinano l'attività
edilizia privata.
Il Collegio ritiene che questione di
primaria importanza sia rappresentata
dall’accertare, con riguardo alla
fattispecie in esame, se a seguito
dell’inefficacia per scadenza del piano di
recupero l’area controversa diventi "zona
bianca" –e venga come tale normata–
ovvero se riemerga la disciplina dello
strumento urbanistico propria della zona in
cui è inserito il piano di recupero scaduto.
In proposito la giurisprudenza (Cons. Stato,
V, 15.03.2006, n. 1375) ha affermato che “anche
dopo la scadenza del piano debbono
continuare ad osservarsi le prescrizioni di
zona previste dal piano scaduto, giusta
l'art. 17, comma primo, L. 17.08.1942 n.
1150”. La stessa Sezione ha ribadito il
principio suddetto affermando che “l'avvenuta
decadenza del piano di recupero non rende
applicabili gli indici generali di
edificabilità previsti per la zona dal piano
regolatore generale né rende possibile
all'amministrazione comunale di valutare
caso per caso singole domande di intervento
edilizio diretto sulla stregua di una
ricognizione di fatto dello stato di
urbanizzazione della zona, ma, in mancanza
di una compiuta programmazione urbanistica,
consente solo di effettuare quegli
interventi previsti dall'art. 4, ultimo
comma, della legge 28.01.1977 n. 10”
(sent. n. 650/2007).
Anche da ultimo (Cons. Stato, IV,
27.10.2009, n. 6572; 12.12.2008, nn. 6178 e
ss.; n. 6170/2007) si è precisato che “i
piani particolareggiati attuativi dei piani
regolatori generali hanno efficacia
decennale, con esclusione degli allineamenti
e delle prescrizioni di zona stabiliti dal
piano stesso destinati ad essere applicati a
tempo indeterminato anche in presenza di uno
strumento urbanistico generale..." e
che, conseguentemente, "in considerazione
della stabilità delle previsioni del piano
attuativo, va affermato il principio per il
quale le prescrizioni urbanistiche di un
piano attuativo rilevano a tempo
indeterminato, anche dopo la sua scadenza”.
Si è dunque dell’avviso che l'art. 17 della
legge 17.08.1942 n. 1150 vada inteso nel
senso che, scaduto il termine di efficacia
stabilito per l'esecuzione del piano
particolareggiato, nella parte in cui è
rimasto inattuato non possono più eseguirsi
i previsti espropri come preordinati alla
realizzazione delle opere pubbliche e delle
opere di urbanizzazione primaria, in
particolare (prima parte del comma primo) e,
per converso, non si può procedere
all'edificazione residenziale per assenza di
tale fondamentale presupposto (v. art. 31).
Dove invece il detto piano ha avuto
attuazione, con la realizzazione di strade,
piazze ed altre opere di urbanizzazione,
l'edificazione residenziale è consentita
secondo un criterio di armonico inserimento
del nuovo nell'edificato esistente (seconda
parte del primo comma), e cioè in base alle
norme del piano attuativo scaduto che
mantengono la loro integrale applicabilità.
Cosicché, se il piano attuativo è un piano
di zona, non può l'edificazione residenziale
privata sostituire l'edificazione
residenziale pubblica, senza che per ciò
stesso si possa ritenere che ciò rappresenti
l'illegittima introduzione di un vincolo d'inedificabilità
a tempo indeterminato, essendo, piuttosto,
la perpetuazione di un vincolo conformativo
collegato alla subzonizzazione insita nel
p.e.e.p. scaduto.
In definitiva deve escludersi che il decorso
del decennio privi di efficacia l'intera
normativa del piano attuativo, visto che,
per espressa previsione del citato art. 17
della Legge n. 1150/1942, continua a
rimanere fermo a tempo indeterminato il
contenuto inerente le prescrizioni di zona,
nel rispetto sia dell'interesse pubblico per
l'esecuzione delle opere di urbanizzazione,
sia di quello volto alla edificazione dei
lotti. La norma in parola, invero, ha
l'effetto di far venir meno i vincoli
espropriativi, in applicazione del principio
generale della loro temporaneità, mentre
lascia impregiudicata l'applicabilità delle
previsioni che disciplinano l'attività
edilizia privata (TAR Marche, 05.01.2009, n.
9).
Ora, poiché la potestà dei Comuni d'imporre
vincoli preordinati all'esproprio o all'inedificabilità
non è illimitata, decadendo tali vincoli al
termine del quinquennio ai sensi dell'art. 2
della Legge n. 1187 del 1968, , si
determina, in caso di mancata reiterazione
dei vincoli pregressi o di mancato
inserimento dei terreni nell'ambito di una
precisa pianificazione conformativa, una
condizione di «vuoto urbanistico»
disciplinata dall'art. 4, ultimo comma,
della Legge n. 10 del 1977, dovuta alla
violazione dell'obbligo di ripianificazione
incombente sulla P.A., dalla quale consegue
la lesione di un interesse legittimo.
Proprio perché la decadenza dei vincoli
urbanistici preordinati all'espropriazione,
o che comportino l'inedificabilità del suolo
o che comunque privino il diritto di
proprietà del suo sostanziale valore
economico, obbliga il Comune a procedere
alla nuova pianificazione dell'area rimasta
non normata, si ritiene che il presente
ricorso possa essere inteso come un gravame
proposto contro il silenzio rifiuto
formatosi su una diffida a provvedere sulla
definizione urbanistica di un'area già
oggetto di vincolo espropriativo scaduto; la
giurisprudenza (cfr. TAR Lazio, Roma,
II-quater, 26.06.2009, n. 6243; TAR
Campania, Salerno, I, 03.06.2009, n. 2825)
ha infatti accolto simili ricorsi non per
violazione di legge ma in ragione
dell’inerzia della P.A., fermo restando che
l'accoglimento del gravame comporta
esclusivamente l'obbligo
dell'Amministrazione di provvedere
sull'istanza del soggetto interessato e di
attribuire all'area una specifica e
appropriata destinazione urbanistica.
La decadenza di vincoli urbanistici
preordinati all'espropriazione obbliga
infatti il Comune a procedere alla nuova
pianificazione dell'area rimasta non normata,
posto che l'inerzia dell'Amministrazione
finisce per determinare uno stato di
perdurante incertezza non tanto in ordine
alle aspettative edificatorie, quanto
soprattutto in ordine alla esigenza di una
compiuta ed organica qualificazione delle
aree.
In effetti
anche nella fattispecie la scelta
pianificatoria di delocalizzazione, con
impossibilità per la ricorrente di
ricostruire in sito il manufatto di sua
proprietà, ha inciso in modo pregiudizievole
sull'affidamento della parte privata; il
Comune è certamente obbligato ad adottare un
piano come quello in questione e, qualora
sia stata disposta la delocalizzazione di un
immobile, ad assegnare al proprietario dello
stesso l'area in cui ricostruirlo, ma ciò
non lo esime dal dover provvedere alla nuova
pianificazione dell'area rimasta non normata,
ciò perché il diritto di proprietà non venga
pregiudicato in modo non conforme ai
principi costituzionali (art. 42 Cost.).
In altri termini, di ultrattività ha un
senso parlare con riguardo alla destinazione
impressa, ma non certo in relazione al
vincolo espropriativo che si è posto in
essere quanto al bene del privato; l’obbligo
di procedere ad una nuova pianificazione
ridisciplinando l’area e tenendo conto degli
interessi dei privati, peraltro, risponde
alla necessità di carattere costituzionale
di limitare il potere discrezionale
dell’Amministrazione al fine di evitare che
i beni dei privati siano sottoposti ad uno
stato di soggezione per un tempo
indeterminato (Cons. Stato, VI, 04.04.2003,
n. 1768) e di far sì che la P.A., che decida
di disporre della proprietà privata con
l'espropriazione, ponga essa stessa dei
limiti temporali per l'inizio e la
conclusione dell'opera che poi dovrà
rispettare (TAR Lazio, Roma, II, 10.05.2005,
n. 3484; 21.06.2007, n. 5656; TAR Campania,
Salerno, I, 08.09.2006, n. 1330; 11.06.2002,
n. 457; TAR Abruzzo L’Aquila, 20.05.2002, n.
302; Cons. Stato, V, 25.01.2002, n. 399; IV,
17.04.2000, n. 2283; V, 11.01.1999, n. 1758;
TAR Veneto, I, 25.06.1998, n. 1206; Cons.
Stato, IV, 27.11.1997, n. 1326), beninteso
che alla data di adozione del provvedimento
di riapprovazione dovranno sussistere le
condizioni di attualità e concretezza
dell'interesse pubblico che si intendono
conseguire (Cons. Stato, IV, 24.07.2003, n.
4239) (TAR
Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 09.12.2010 n. 27138 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
risarcimento del danno richiede la positiva
verifica di tutti i requisiti previsti dalla
legge: oltre alla lesione della situazione
soggettiva di interesse tutelata
dall’ordinamento, è indispensabile che sia
accertata la colpa o il dolo
dell’Amministrazione e che sussista un nesso
causale tra l’illecito e il danno subìto.
Il risarcimento
del danno richiede la positiva verifica di
tutti i requisiti previsti dalla legge:
oltre alla lesione della situazione
soggettiva di interesse tutelata
dall’ordinamento, è indispensabile che sia
accertata la colpa o il dolo
dell’Amministrazione e che sussista un nesso
causale tra l’illecito e il danno subìto
(Cons. Stato, IV, 14.06.2001, n. 3169); con
riferimento alla sussistenza dei danni, si è
osservato (TAR Lazio, Roma, I, 10.05.2007,
n. 4251) che compete in linea di principio a
parte ricorrente l'onere di provare, ai
sensi dell'art. 2697 c.c., tutti gli
elementi costitutivi della domanda di
risarcimento del danno per fatto illecito
(Cons. Stato, VI, 22.08.2006, n. 4932; V,
25.01.2002, n. 416), ciò perché la
limitazione dell'onere probatorio che
governa il processo amministrativo si fonda
sulla naturale ineguaglianza delle parti,
privato e Pubblica Amministrazione, e quindi
sul generale possesso dei documenti da parte
dei pubblici uffici che resistono in
giudizio, mentre in caso di risarcimento
danni per dimostrare questi ultimi si tratta
in genere di documentazione in possesso dei
ricorrenti (TAR Liguria, I, 21.04.2006, n.
391; TAR Calabria, Catanzaro, 19.07.2001, n.
1162) (TAR
Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 09.12.2010 n. 27138 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: In
conseguenza della decadenza per decorso del
termine quinquennale del vincolo preordinato
all'esproprio, l’area va qualificata quale
zona bianca, soggetta alle rigide
prescrizioni edilizie di cui all'art. 4 L.
28.01.1977 n. 10, poi confluito nell'art. 9
D.P.R. n. 380 del 2001.
Tali “zone bianche” determinano nello
strumento urbanistico, il quale deve coprire
l'intero territorio comunale, un vuoto di
disciplina che l'amministrazione è tenuta a
colmare e, all'istanza in tal senso
dell'interessato, l'amministrazione è tenuta
a dare risposta provvedendo, in assenza di
cause ostative, all'azzonamento dell'area.
Giova rammentare il consolidato orientamento
della giurisprudenza amministrativa secondo
cui, in conseguenza della decadenza per
decorso del termine quinquennale del vincolo
preordinato all'esproprio, l’area va
qualificata quale zona bianca, soggetta alle
rigide prescrizioni edilizie di cui all'art.
4 L. 28.01.1977 n. 10, poi confluito
nell'art. 9 D.P.R. n. 380 del 2001 e, in
Campania, all'art. 4, L.R. 20.03.1982 n. 17.
Peraltro, tali “zone bianche”
determinano nello strumento urbanistico, il
quale deve coprire l'intero territorio
comunale, un vuoto di disciplina che
l'amministrazione è tenuta a colmare e,
all'istanza in tal senso dell'interessato,
l'amministrazione è tenuta a dare risposta
provvedendo, in assenza di cause ostative,
all'azzonamento dell'area (TAR Campania
Salerno, Sez. I, 10.07.2007, n. 810).
Dalle svolte considerazioni discende che
alla decadenza del vincolo non consegue una
riespansione illimitata dello “ius
aedificandi” insito nel diritto di
proprietà ma il progetto deve in ogni caso
rispettare i limitati canoni fissati dalle
norma (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 09.12.2010 n. 27130 -
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EDILIZIA PRIVATA:
L’annullamento d’ufficio di una
concessione edilizia rilasciata in contrasto
con i vincoli paesaggistici gravanti sulla
zona non presuppone una peculiare
comparazione tra l’interesse pubblico
all’eliminazione degli atti viziati e il
confliggente interesse privato alla
conservazione degli stessi, stante
l’evidente sussistenza dell’interesse di
rango costituzionale (art. 9 Cost.) alla
tutela del paesaggio e la sua preminenza su
qualunque altro interesse pubblico o
privato.
Il Collegio nemmeno ignora l’indirizzo
giurisprudenziale, in base al quale, in
determinate ipotesi, l’interesse pubblico
all’eliminazione e, vieppiù, alla
sospensione dell’atto illegittimo è da
considerarsi in re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di
annullamento d’ufficio e, quindi, di
sospensione degli effetti di un titolo
abilitativo edilizio illegittimo a fronte
dell’esigenza di garantire e tutelare
l’equilibrato sviluppo del territorio e
l’osservanza della vigente disciplina
urbanistica, rispetto alla quale l’opera da
realizzare si ponga in aperto e permanente
contrasto (Cons. Stato, sez. V, 28.11.2005,
n. 6630; sez. IV, 26.10.2007, n. 5601; TAR
Calabria, Catanzaro, sez. II, 15.06.2005, n.
1110) e, in specie, a fronte dell’esigenza
di salvaguardare i caratteri e i pregi
ambientali e paesaggistici dei luoghi
attinti dagli interventi assentiti.
A tale ultimo riguardo, è stato rimarcato
che l’annullamento d’ufficio di una
concessione edilizia rilasciata in contrasto
con i vincoli paesaggistici gravanti sulla
zona non presuppone una peculiare
comparazione tra l’interesse pubblico
all’eliminazione degli atti viziati e il
confliggente interesse privato alla
conservazione degli stessi, stante
l’evidente sussistenza dell’interesse di
rango costituzionale (art. 9 Cost.) alla
tutela del paesaggio e la sua preminenza su
qualunque altro interesse pubblico o privato
(cfr. Cons. stato, sez. VI, 20.01.2000, n.
278; TAR Lazio, Roma, sez. II, 04.01.2005,
n. 48; TAR Campania, Napoli, sez. III,
10.04.2007, n. 3193) (TAR Campania-Napoli,
Sez. VIII,
sentenza 09.12.2010 n. 27127 -
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URBANISTICA: La
pianificazione urbanistica, nel perseguire
l’ordinato assetto complessivo del
territorio, coinvolge una pluralità di
interessi, rispetto ai quali la disciplina
di settore non pone alcuna gradazione né
fissa criteri selettivi e che, pertanto, le
scelte effettuate dall’amministrazione
nell’adozione dello strumento urbanistico
costituiscono apprezzamento di merito,
connotato da ampia discrezionalità e,
quindi, sottratto al sindacato di
legittimità, salvo che non siano inficiate
da errori di fatto o da abnormi illogicità,
risultino incoerenti con l’impostazione di
fondo dell’intervento pianificatorio o siano
apertamente incompatibili con le
caratteristiche oggettive del territorio.
L’interesse pubblico sotteso all’adozione
del piano di recupero assume, in via di
principio, portata preminente rispetto a
quello privato dei soggetti colpiti dalle
disposizioni del menzionato strumento
attuativo.
A ciò si aggiunga che la pianificazione
urbanistica, nel perseguire l’ordinato
assetto complessivo del territorio,
coinvolge una pluralità di interessi,
rispetto ai quali la disciplina di settore
non pone alcuna gradazione né fissa criteri
selettivi e che, pertanto, alla stregua di
un radicato indirizzo giurisprudenziale, le
scelte effettuate dall’amministrazione
nell’adozione dello strumento urbanistico
costituiscono apprezzamento di merito,
connotato da ampia discrezionalità e,
quindi, sottratto al sindacato di
legittimità, salvo che non siano inficiate
da errori di fatto o da abnormi illogicità,
risultino incoerenti con l’impostazione di
fondo dell’intervento pianificatorio o siano
apertamente incompatibili con le
caratteristiche oggettive del territorio
(cfr., ex multis, Cons. Stato, sez.
IV, 08.05.2000, n. 2639; 01.0302001, n.
1145; 06.02.2002, n. 664; 04.03.2003, n.
1191; 26.05.2003, n. 2827; 25.11.2003, n.
7771; 24.02.2004, n. 738; 13.04.2004, n.
1743; 21.05.2004, n. 3316; 22.06.2004, n.
4466; sez. V, 19.04.2005, n. 1782; sez. IV,
14.10.2005, n. 5713; e n. 5716; 19.02.2007,
n. 861; 21.05.2007, n. 2571; 11.10.2007, n.
5357; 27.12.2007, n. 6686; TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 04.07.2002, n. 3109; TAR
Abruzzo, Pescara, 19.09.2005, n. 498;
28.08.2006, n. 445; 07.03.2007, n. 215; TAR
Toscana, Firenze, sez. I, 30.01.2007, n.
146; TAR Campania, Salerno, sez. I,
10.07.2007, n. 817; 13.03.2008, n. 292; TAR
Lombardia, Brescia, sez. I, 12.03.2008, n.
279; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 06.02.2009,
n. 206; TAR Lazio, Roma, sez. II,
14.01.2009, n. 135) (TAR Campania-Napoli,
Sez. VIII,
sentenza 09.12.2010 n. 27126 -
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EDILIZIA PRIVATA: Può
attuarsi un intervento di ristrutturazione
edilizia (di demolizione e ricostruzione)
quando esista un organismo edilizio dotato
di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura in stato di conservazione tale da
consentire la sua fedele ricostruzione.
Non è, invece, ravvisabile siffatto
intervento nei confronti di ruderi o edifici
da tempo demoliti, attesa la mancanza di
elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche
dell'edificio da recuperare. In
quest'evenienza, invero, si configura un
intervento di nuova costruzione,
assoggettato ai limiti stabiliti dalla
vigente disciplina urbanistica.
In via generale, va rilevato che secondo il
consolidato indirizzo giurisprudenziale
(cfr. ex multis TAR Veneto, Sez. II,
05.06.2008 n. 1667) in tanto può attuarsi un
intervento di ristrutturazione edilizia (di
demolizione e ricostruzione) in quanto
esista un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura in stato di conservazione tale da
consentire la sua fedele ricostruzione (cfr.
Cons. St., Sez. V, 10.02.2004 n. 475).
Non è, invece, ravvisabile siffatto
intervento nei confronti di ruderi o edifici
da tempo demoliti, attesa la mancanza di
elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche
dell'edificio da recuperare (cfr. Cons. St.,
Sez. IV, 15.09.2006 n. 5375). In
quest'evenienza, invero, si configura un
intervento di nuova costruzione,
assoggettato ai limiti stabiliti dalla
vigente disciplina urbanistica (cfr. TAR
Catanzaro, II, 04.12.2007 n. 1934; Veneto,
II, 29.06.2006 n. 1944).
Con riguardo alla specifica disciplina
urbanistica dettata dal Comune di Edolo –che
non è in questa sede oggetto di
contestazione– va posto in luce che questa
trova la sua fonte nella deliberazione
consiliare n. 58 del 30.11.1995 (recante ad
oggetto “interpretazione autentica delle
norme di regolamento edilizio relativamente
al risanamento e al recupero di strutture
agricole e ruderi a varie quote altimetriche.”)
ove viene prescritto:
<<1) di stabilire che per il risanamento
e il recupero di strutture agricole e ruderi
la Commissione edilizia dovrà adottare i
seguenti criteri nella valutazione delle
pratiche ad essa sottoposte:
a) sarà ammesso il recupero di ruderi quando
questi risultino inseriti nelle nuove o
nelle vecchie mappe o quando sia possibile
ricostruire con certezza il perimetro della
pianta. Il Sindaco a suo insindacabile
giudizio, potrà disporre specifici
sopralluoghi di accertamento dello stato di
fatto.
b) il recupero dovrà essere informato al
massimo rispetto ambientale e impostato
tenendo conto dei parametri fondamentali
(dimensioni, altezze, numero dei piani,
pendenze delle falde etc.) desunti
dall’analisi di un congruo numero di cascine
esistenti sul territorio.
c) dovranno essere fornite le prescrizioni
che assicurino il massimo rispetto
dell’ambiente relativamente ai materiali,
alle gronde, alle aperture, ai serramenti
etc. etc .>>
Dunque, la normativa comunale consente il
recupero dei ruderi a condizione che:
a) questi risultino inseriti nelle mappe;
b) ovvero quando sia possibile ricostruire
con certezza il perimetro della pianta.
In tale contesto, va quindi rilevato che
l’imprescindibile presupposto per effettuare
la ricostruzione è costituito dall’esatta
determinazione delle (precedenti) dimensioni
della struttura in larghezza.
A conforto delle conclusioni raggiunte, va
richiamato quanto affermato, in un caso
aventi profili di similitudine con quello
all’esame, dal Consiglio di Stato (Sez. IV,
30.05.2005 n. 2822”:
<<La disposizione contenuta nell'articolo
53 ammette che possano essere ricostruiti
edifici crollati "aventi testimonianza di
esistenza catastale o comunque esattamente
identificabili all'interno di atti
notarili".
La norma dunque ammette non già la semplice
demolizione e ricostruzione, bensì
addirittura la ricostruzione di un edificio
da tempo crollato. E pare logico ritenere
che, a fronte di una previsione da
considerare non ordinaria, si preoccupi di
assicurarsi che la ricostruzione comporti la
fedele riproduzione di quello che esisteva
in origine, anche con riferimento alla
distribuzione degli spazi interni.
In tale contesto, non può ritenersi che sia
sufficiente al privato provare la
preesistenza dell'edificio e che eventuali
difficoltà probatorie, di ordine oggettivo
(quale la mancanza di testimonianza
catastale) possano essere superate da
elementi indiziari o presuntivi, facendosi
sostanzialmente carico all'amministrazione
di dimostrare la non corrispondenza
dell'intervento edilizio con la preesistenza
edificatoria.
La disposizione abilita a un intervento non
ordinario, come si è detto, quale è
consentire la ricostruzione di edifici da
tempo crollati. Accompagna tale previsione
con la necessità che la ricostruzione sia
assolutamente fedele alla preesistenza e
richiede a tal fine elementi certi
(testimonianze catastali o notarili, queste
ultimi tali da consentire l'identificazione
esatta dell'immobile). Ne consegue che
l'intervento sarà consentito se
oggettivamente il privato sia in grado di
provare la fedele corrispondenza della
ricostruzione con il preesistente; con
l'ulteriore conseguenza che, qualora non sia
possibile oggettivamente provare tale
preesistenza nella sua esatta consistenza e
con gli strumenti richiesti dalla norma,
l'intervento di ricostruzione non può
ritenersi consentito.
Una siffatta lettura della norma -imposta
dal dato letterale e dalla eccezionale
finalità che ne esprime la ratio- giustifica
la richiesta istruttoria
dell'amministrazione comunale in ordine alle
schede catastali e giustifica, a fronte
della diversa produzione documentale
dell'istante, il diniego opposto
dall'amministrazione alla realizzazione
dell'intervento mediante denuncia di inizio
attività.>> (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza 09.12.2010 n. 4808 -
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EDILIZIA PRIVATA:
L'art. 138 del D.Lgs. n. 42/2004
non si riferisce al potere di pianificazione
paesaggistica, che resta attribuito alla
regione, ma al superiore potere di
individuare i beni paesaggistici, da
sottoporre a specifica tutela anche
attraverso l’indicazione di norme d’uso e di
indirizzi finalizzati alla conservazione non
degli immobili ma dei “valori” espressi dal
loro insieme in un dato luogo, espressione
questa che non esclude anche interventi di
recupero e trasformazione delle varie
componenti il bene paesaggistico –nella loro
individualità od in complessi definiti-
purché ispirati ai principi chiaramente
espressi dall’art. 138 secondo periodo.
L’art. 138, come modificato dall'art. 8 del
D.Lgs. 24.03.2006, n. 157 e dall'art. 2,
comma 1, lettera h), del D.Lgs. 26.03.2008,
n. 63, dopo aver disciplinato il
funzionamento delle commissioni regionali
appositamente istituite per formulare
proposte per la dichiarazione di notevole
interesse pubblico degli immobili indicati
alle lettere a) e b) del comma 1
dell'articolo 136 e delle aree indicate alle
lettere c) e d) del comma 1 del medesimo
articolo 136, al comma 3 stabilisce che “E'
fatto salvo il potere del Ministero, su
proposta motivata del soprintendente, previo
parere della regione interessata che deve
essere motivatamente espresso entro e non
oltre trenta giorni dalla richiesta, di
dichiarare il notevole interesse pubblico
degli immobili e delle aree di cui
all'articolo 136”.
Tale potere, secondo parte ricorrente,
sarebbe riferibile alla mera possibilità del
Ministero di intervenire in sostituzione
della Regione, per il caso di inerzia del
competente organo regionale, e non
costituirebbe alcun potere autonomo e
concorrente dell’autorità statale. Ciò
sarebbe, seguendo la prospettazione attorea,
confermato dall’art. 142, che, nel
disciplinare l’integrazione del contenuto
delle dichiarazioni di notevole interesse
pubblico, stabilendo al primo comma che “Il
Ministero e le regioni provvedono ad
integrare le dichiarazioni di notevole
interesse pubblico rispettivamente adottate
con la specifica disciplina di cui
all'articolo 140, comma 2”, specifica al
comma successivo che “Qualora le regioni
non provvedano alle integrazioni di loro
competenza entro il 31.12.2009, il Ministero
provvede in via sostitutiva. La procedura di
sostituzione e' avviata dalla soprintendenza
ed il provvedimento finale e' adottato dal
Ministero, sentito il competente Comitato
tecnico-scientifico” ed in tal modo, a
suo dire, confermerebbe la natura di tale
potere statale come di limitato intervento
sostitutivo ed integrativo .
Secondo la resistente, invece, l’art. 138,
all’ultimo comma, avrebbe introdotto il
potere autonomo e concorrente dello Stato di
imporre i vincoli in questione, comportanti
specifica disciplina d’uso delle aree
interessate, prevalente su quella del Piano
paesistico regionale, anche in assenza di
previa intesa con la Regione, titolare del
potere di governo del territorio, in tal
modo sancendo la prevalenza dell’interesse
alla salvaguardia dei valori di identità
rispetto a quella di autodeterminazione
degli enti esponenziali delle comunità
territoriali.
E’ bene chiarire che tale norma non si
riferisce al potere di pianificazione
paesaggistica, che resta attribuito alla
regione, ma al superiore potere di
individuare i beni paesaggistici, da
sottoporre a specifica tutela anche
attraverso l’indicazione di norme d’uso e di
indirizzi finalizzati alla conservazione non
degli immobili ma dei “valori”
espressi dal loro insieme in un dato luogo,
espressione questa che non esclude anche
interventi di recupero e trasformazione
delle varie componenti il bene paesaggistico
–nella loro individualità od in complessi
definiti- purché ispirati ai principi
chiaramente espressi dall’art. 138 secondo
periodo.
In merito alla corretta impostazione
ermeneutica della questione, il Collegio
ritiene opportuno ricordare che, sotto il
profilo costituzionale, la “…tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni
culturali…” è affidata in primo luogo
alla competenza esclusiva dello Stato,
mentre è attribuita alla legislazione
concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.)
la “valorizzazione dei beni ambientali”.
La formulazione dell’art. 117 della
Costituzione, in realtà non menziona
direttamente tra le materie nominate “il
paesaggio” per cui la predetta
disposizione deve essere coordinata con
l’art. 9 Cost. che, con una delle
disposizioni fondamentali, assegna la “tutela
del paesaggio alla Repubblica, e quindi,
quando siano in gioco interessi nazionali,
allo Stato.
Il paesaggio oggi non deve essere limitato
al significato, meramente estetico, di
bellezza naturale, ma deve essere inteso
come complesso dei valori inerenti il
territorio” (cfr. Corte Cost.,
07.11.1994, n. 379). Il termine “paesaggio”
indica essenzialmente l’ambiente
complessivamente considerato come bene “primario”
ed “assoluto" (arg. ex Corte cost.,
05.05.2006, nn. 182, 183). In tale
prospettazione è dunque evidente che il “paesaggio”,
attenendo ad un valore costituzionalmente
protetto necessita di una tutela che non può
che essere unitaria; e supporta anche
competenze regionali, nell’ambito degli
standard di tutela stabiliti dallo Stato
(arg. ex Corte Cost., 22.07.2004 n. 259).
La tutela ambientale deve infatti essere
considerata come una tutela “d’insieme”,
e non concerne solamente i singoli elementi
che la compongono, in quanto attraverso
l’imposizione dei vincoli paesistici, si
salvaguarda la tutela del paesaggio, ed al
contempo, anche l’ambiente (cfr. Cons. Stato
VI, 22.03.2005, n. 1186).
In sostanza sul territorio gravano più
interessi pubblici (che pur potendo essere
naturalmente antinomici, proprio per effetto
della previsione della pianificazione
paesistica , sono destinati a trovare un
condiviso contemperamento) quali quelli
concernenti in particolare:
- la conservazione ambientale e
paesaggistica, la cui cura, secondo le
modifiche recenti al codice, è stata di
nuovo riservata in via esclusiva allo Stato,
e che attiene -come obbligo morale verso le
generazioni future e come legame fra la
salvaguardia della natura e l'identità
nazionale- al profilo della conservazione di
una risorsa assolutamente limitata ed in via
di esaurimento. il territorio naturale;
- il governo, l’utilizzo e la valorizzazione
dei beni ambientali, intesi essenzialmente
come fruizione e sfruttamento del territorio
medesimo che sono affidati alla competenza
concorrente dello Stato e delle Regioni,
fatta salva l’autonoma potestà tuttora
riconosciuta alle Regioni di individuare,
con lo specifico procedimento previsto
dall’art. 138, comma 1, “beni
paesaggistici” ovvero aree aventi le
caratteristiche di notevole interesse
pubblico (cfr. Corte costituzionale,
30.05.2008, n. 180).
In via ordinaria quindi la ripartizione
delle competenze in materia di paesaggio, è
stabilita dall’art. 132 del Codice
(sostituito dall'articolo 2, comma 1,
lettera b), del D.Lgs., n. 63/2008) in
conformità ai principi costituzionali e con
riguardo all'applicazione della Convenzione
europea sul paesaggio, adottata a Firenze il
20.10.2000 dall’art. 5 del cit, d.lgs.
Coerentemente con questa impostazione la
Corte Costituzionale ha affermato che
l’oggetto della tutela del paesaggio non è
il concetto astratto delle "bellezze
naturali", ma l'insieme delle cose, beni
materiali, o le loro composizioni, che
presentano “valore paesaggistico”;
pertanto la tutela ambientale e
paesaggistica, gravando su un bene complesso
ed unitario, deve essere considerata un
valore primario ed assoluto, che precede e
comunque costituisce un limite alla tutela
degli altri interessi pubblici assegnati
alla competenza concorrente delle regioni in
materia di governo del territorio e di
valorizzazione dei beni culturali e
ambientali (cfr. n. 180 cit.).
Il Codice dei Beni Culturali, riecheggiando
le parole di Benedetto Croce, quale Ministro
della Pubblica Istruzione del 1920, nella
presentazione della sua legge in materia (“…
il paesaggio altro non è che la
rappresentazione materiale e visibile della
patria") all’art. 131 del d.lgs. n.
41/2004 e s.m. prevede in linea generale
che:
“1. Per paesaggio si intende il
territorio espressivo di identità, il cui
carattere deriva dall'azione di fattori
naturali, umani e dalle loro interrelazioni.
2. Il presente Codice tutela il paesaggio
relativamente a quegli aspetti e caratteri
che costituiscono rappresentazione materiale
e visibile dell'identità' nazionale, in
quanto espressione di valori culturali.
3. Salva la potestà esclusiva dello Stato di
tutela del paesaggio quale limite
all'esercizio delle attribuzioni delle
regioni (e delle province autonome di Trento
e di Bolzano cfr. corte cost. 29.07.2009 n.
226) sul territorio, le norme del presente
Codice definiscono i principi e la
disciplina di tutela dei beni paesaggistici.”
Tutto l’art. 131, nella sua nuova versione
introdotta dalla novella del 2008, insiste
nell’affermare che tutti i soggetti che
intervengano sul paesaggio e quindi anche le
regioni devono assicurare “la
conservazione dei suoi aspetti e caratteri
peculiari”, mentre è sancito che gli
interventi sul territorio devono essere
informati ad un “uso consapevole e di
salvaguardia delle caratteristiche
paesaggistiche e di realizzazione di nuovi
valori paesaggistici integrati e coerenti,
rispondenti ai criteri di qualità e
sostenibilità”.
Si tratta in sintesi di una riappropriazione
di potere rispetto all’originaria impronta
del codice che lasciava ampio spazio alle
regioni sia nell’autonoma individuazione dei
“beni paesaggistici” sia nella
gestione di quella parte del paesaggio da
recuperare o sviluppare attraverso i piani
paesaggistici estesi a tutto il territorio
regionale.
Il potere esclusivo di intervento dello
Stato è specificato proprio nell’articolo
138, comma 3 (nel testo introdotto
dall'articolo 2, comma 1, lettera h), del
d.lgs. 26.03.2008, n. 63) del codice dei
Beni Culturali per cui “E' fatto salvo il
potere del Ministero, su proposta motivata
del soprintendente, previo parere della
regione interessata che deve essere
motivatamente espresso entro e non oltre
trenta giorni dalla richiesta, di dichiarare
il notevole interesse pubblico degli
immobili e delle aree di cui all'articolo
136.”.
E’ comunque evidente dalla sua stessa
costruzione letterale che non prevede limiti
d’intervento, che non si tratta né di una
potestà, né concorrente, né sussidiaria, e
né suppletiva, ma di uno speciale ed
autonomo potere dovere di intervento,
caratterizzato da un procedimento in parte
differenziato da quello previsto dai primi
due commi, che l’ordinamento giuridico ha
istituito, attivabile nei casi nei quali, in
base a valutazioni anche di discrezionalità
tecnica, possa essere concretamente a
rischio l’interesse costituzionalmente
affidato allo Stato. Ed è significativo che
il legislatore abbia introdotto tale
modifica in aggiunta al già disciplinato
potere sostitutivo in materia di
pianificazione paesaggistica disciplinato
dagli art. 156, terzo comma, e 143, secondo
comma. Si è voluta in tal modo ribadire la
coesistenza di un duplice e distinto potere
attribuito all’amministrazione centrale , il
primo spettantele in via diretta sulla base
dei principi costituzionali ed il secondo,
funzionale alla valorizzazione del paesaggio
in via sostitutiva.
Si tratta manifestamente dell’introduzione
di una norma “di chiusura” del
sistema per porre una garanzia di una tutela
effettiva del paesaggio come valore
costituzionale (nel momento in cui si è
modificato il procedimento paesistico).
Come ricordato anche dalla relazione allo
schema di decreto legislativo, con la
novella –previo parere della Conferenza
Unificata Stato-Regioni- è stato
riconosciuto, e disciplinato, “… il
potere dello Stato di proporre vincoli
paesaggistici, indipendentemente dal
concomitante esercizio della medesima
attività da parte delle regioni, in
conformità, peraltro, a quanto già da tempo
stabilito in materia dalla corte
Costituzionale con la sentenza 14-24.07.1998
n. 334 …”
In conseguenza, il potere è legittimamente
esercitato quando, il “munus patrum”
da tramandare alle generazioni future può
apparire pregiudicato da scelte effettuate
dagli enti locali, anche se nel corretto
esercizio del potere di gestione del
territorio e del suo sfruttamento a fini
edificatori o di sviluppo delle città. La
tutela del bene paesaggistico infatti
prevale, per scelta del costituente, sulla
realizzazione degli altri interessi
economici.
Quando, nell’ambito del distinto
procedimento di pianificazione paesaggistica
e nell’esercizio dei poteri che in tali
ipotesi ed in tali fasi la legge attribuisce
al Ministero (intese, osservazioni..), si
determini una divergenza di valutazioni
sulla conservazione di oggettivi valori
insiti in specifiche aree e si verifichi la
prevalenza di scelte finalizzate alla
gestione del territorio a fini di sviluppo
edilizio ed urbanistico che appaia
oggettivamente incompatibile con la tutela
di valori costituzionali primari e sia
quindi impossibile un’azione condivisa, la
preminenza del valore “paesaggio”
implica che debba esser “…fatto salvo il
potere del Ministero …” (così la norma)
di cui all’art. 138, 3° co., di imporre,
previo parere della Regione, autonomi
vincoli, se ciò è ritenuto necessario in
rapporto alla messa in pericolo dei valori
paesaggistici del territorio (TAR Lazio-Roma,
Sez. II-quater,
sentenza 06.12.2010 n. 35386 -
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EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di pertinenza urbanistica ha
peculiarità sue proprie, che la
differenziano da quella civilistica dal
momento che il manufatto deve essere non
solo preordinato ad una oggettiva esigenza
dell'edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, ma deve essere
anche sfornito di autonomo valore di mercato
e dotato comunque di un volume modesto
rispetto all'edificio principale, in modo da
evitare il c.d. carico urbanistico.
In ogni caso, in materia urbanistica, a
differenza che nella materia civilistica,
possono costituire pertinenza solo i
manufatti di dimensioni modeste e ridotte,
inidonei, quindi, ad alterare in modo
significativo l'assetto del territorio.
Questa stessa Sezione (cfr. TAR Catania,
Sez. I, 19.04.2010, 1154) ha di recente
ribadito che “la nozione di pertinenza
urbanistica ha peculiarità sue proprie, che
la differenziano da quella civilistica dal
momento che il manufatto deve essere non
solo preordinato ad una oggettiva esigenza
dell'edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, ma deve essere
anche sfornito di autonomo valore di mercato
e dotato comunque di un volume modesto
rispetto all'edificio principale, in modo da
evitare il c.d. carico urbanistico (cfr.
Consiglio Stato, sez. IV, 15.09.2009, n.
5509; TAR Piemonte Torino, sez. I,
04.09.2009, n. 2247)
In ogni caso, in materia urbanistica, a
differenza che nella materia civilistica,
possono costituire pertinenza solo i
manufatti di dimensioni modeste e ridotte,
inidonei, quindi, ad alterare in modo
significativo l'assetto del territorio (cfr.
Consiglio Stato, sez. IV, 13.01.2010, n.
41).
Coerentemente, la normativa nazionale, al di
là della immediata applicabilità in Sicilia,
ex art. 3 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380,
fissa nel 20% del volume dell'edificio
principale, il limite massimo per ritenere
configurabile una pertinenza” (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 30.11.2010 n. 4564 -
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EDILIZIA PRIVATA: I
locali interrati non sono computabili ai
fini dell'applicazione degli standards
urbanistici solo se essi siano costruiti al
di sotto dell'originario piano di campagna:
ciò in quanto le prescrizioni dettate dagli
strumenti urbanistici in tema di altezza,
distanze e volumetria degli edifici sono
dirette a tutelare quegli specifici valori
-aria, luce, vista- sui quali incidono tutti
i volumi che, sporgendo al di sopra della
linea naturale del terreno, modificano in
maniera significativa la conformazione del
suolo e dell'ambiente.
Per quanto
statuisce la decisione decisione n.
1154/2010 di questo Tribunale, “secondo
una parte della Giurisprudenza (cfr. TAR
Puglia Lecce, sez. I, 11.03.2009, n. 475), i
piani seminterrati vanno compresi nel
calcolo della volumetria, atteso che la
nozione di piano interrato la cui volumetria
non sia computabile va ristretta alla
destinazione degli stessi ad usi episodici o
meramente complementari.
Secondo altro Giudice (Cassazione penale,
sez. III, 10.05.2007, n. 24464), la
realizzazione di un piano interrato rientra
tra gli interventi di trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio per i
quali è necessario il permesso di costruire,
trattandosi pur sempre di intervento in
relazione al quale l'autorità amministrativa
deve svolgere il proprio controllo sul
rispetto delle norme urbanistiche ed
edilizie, anche tecniche, finalizzato ad
assicurare il regolare assetto e sviluppo
del territorio.
Ritiene il Collegio che in Sicilia, in
assenza della specifica qualificazione
derivante dal sopra citato art. 3 del D.P.R.
06.06.2001 n. 380, vada condivisa
l’impostazione tradizionale, secondo la
quale i locali interrati non sono
computabili ai fini dell'applicazione degli
standards urbanistici solo se essi siano
costruiti al di sotto dell'originario piano
di campagna: ciò in quanto le prescrizioni
dettate dagli strumenti urbanistici in tema
di altezza, distanze e volumetria degli
edifici sono dirette a tutelare quegli
specifici valori -aria, luce, vista- sui
quali incidono tutti i volumi che, sporgendo
al di sopra della linea naturale del
terreno, modificano in maniera significativa
la conformazione del suolo e dell'ambiente
(cfr. TAR Puglia Lecce, sez. I, 12.09.2005,
n. 4238). La medesima decisione,
condivisibilmente, precisa che è principio
generale quello per cui, salvo che non vi
siano esplicite disposizioni normative di
segno contrario, per opera interrata si
intende quella che venga costruita al di
sotto dell'originario piano di campagna e
non di quello artificialmente creato
mediante scavo e riempimento.
Ritiene il Collegio che detta precisazione
sia essenziale, al fine di evitare
strumentali “interramenti” delle
costruzioni, da eliminare una volta ottenuto
il titolo edilizio.
L’intero interramento, però, non è
condizione sufficiente per escludere il
carico urbanistico.
Come questa stessa Sezione ha avuto modo di
chiarire (cfr. TAR Catania, I, 28.01.2009,
n. 192), infatti, <<il volume edilizio è
strettamente correlato con il numero di
abitanti che si vogliono insediare in un
determinato territorio o in un manufatto e
ciò al fine di dimensionare correttamente la
dotazione dei servizi e delle infrastrutture
necessarie.
Nella pratica corrente, fissando il
“parametro” teorico di un abitante da
insediare per ogni 80-100 mc. di
costruzione, si ha che in una determinata
zona omogenea possono essere immessi un
certo numero di abitanti a fronte di una
data volumetria ammissibile e viceversa.
Poiché gli abitanti si insediano in volumi
che sono “abitabili” o suscettibili di
diventare tali, in generale discende che i
Regolamenti Edilizi consentono di escludere
dalla volumetria urbanistica ammissibile
quei volumi considerati “tecnici” e quelle
parti di manufatti, (depositi, cantine,
garages ecc), che risultano non emergenti
rispetto alle aree circostanti.
Quasi sempre, il volume fuori terra del
manufatto edilizio coincide con il “volume
urbanistico”, ma altre volte invece può
essere sensibilmente diverso per cui, in
condizioni limite, degli uffici o negozi
totalmente interrati, pur avendo un volume
fuori terra nullo, hanno un volume
urbanistico proporzionale alle “presenze
umane” che i detti contenitori possono
utilmente ricevere.
In definitiva, si vuole significare che il
volume urbanistico . . . è quello che, a
prescindere dall’approfondimento
dell’edificio nel terreno, è “contenitore”
di persone e/o di attività che determinano
variazioni degli standards>>.
Sicché, nello studio della computabilità del
volume e del carico urbanistico nel caso di
opere interrate, occorre avere riguardo,
principalmente, alle previsioni degli
strumenti urbanistici ed, inoltre (o in
assenza), alla effettiva fruibilità della
costruzione, vale a dire alla possibile
stabile permanenza dell’uomo, influenzante,
così, il carico urbanistico (cfr. TAR
Catania, 192/2009 ult. cit; TAR Campania
Napoli, sez. IV, 22.01.2007, n. 570; TAR
Sicilia Palermo, sez. III, 07.06.2005, n.
960), all’assenza di strumentali
interramenti e, quindi, alla preesistenza di
una linea di campagna superiore al locale da
realizzare coniugata all’assenza di
destinazioni che determinano, comunque, la
presenza (ove assentibile) di permanente
insediamento abitativo o commerciale”
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 30.11.2010 n. 4564 -
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EDILIZIA PRIVATA:
In una zona interessata da
vincolo paesaggistico la formazione del
provvedimento tacito di assenso alla
concessione in sanatoria, previsto dall'art.
35, co. 18, l. n. 47 del 1985, postula
indefettibilmente la previa acquisizione del
parere favorevole dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo sulla compatibilità
ambientale della costruzione senza titolo;
ne consegue che, se al momento dell'esame
della domanda di sanatoria non risulta
acquisito il parere favorevole sulla
conformità dell'intervento alla disciplina
paesaggistica, la formazione del
silenzio-assenso è preclusa.
Il termine per la formazione del
silenzio-assenso sulla domanda di rilascio
della concessione in sanatoria non decorre
quando manchino i presupposti di fatto e di
diritto previsti dalla norma e/o le opere
non siano suscettibili di sanatoria, nonché
qualora la domanda stessa sia carente della
documentazione prevista dalla legge.
Ritiene il Collegio di aderire a
quell’orientamento giurisprudenziale secondo
il quale: “In una zona interessata da
vincolo paesaggistico la formazione del
provvedimento tacito di assenso alla
concessione in sanatoria, previsto dall'art.
35, co. 18, l. n. 47 del 1985, postula
indefettibilmente la previa acquisizione del
parere favorevole dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo sulla compatibilità
ambientale della costruzione senza titolo;
ne consegue che, se al momento dell'esame
della domanda di sanatoria non risulta
acquisito il parere favorevole sulla
conformità dell'intervento alla disciplina
paesaggistica, la formazione del
silenzio-assenso è preclusa” (TAR
Campania Salerno, sez. II, 21.01.2010, n.
845).
Più in generale, “il termine per la
formazione del silenzio-assenso sulla
domanda di rilascio della concessione in
sanatoria non decorre quando manchino i
presupposti di fatto e di diritto previsti
dalla norma e/o le opere non siano
suscettibili di sanatoria, nonché qualora la
domanda stessa sia carente della
documentazione prevista dalla legge”
(TAR Trentino Alto Adige Trento, sez. I,
07.01.2010, n. 4) (TAR Puglia-Lecce, Sez.
III,
sentenza 15.10.2010 n. 2100 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'abuso edilizio, allorquando
occorra valutare la domanda del confinante
di edificare sul proprio suolo, non può
essere, di per sé, rilevante ed incidente
sulla posizione giuridica di chi abbia
diritto di edificare, pena il
capovolgimento, e quindi la vulnerazione, di
ogni ordinario criterio discretivo delle
posizioni giuridiche tra quelle lecite e
quelle illecite.
Il Collegio ritiene di dover aderire
all’orientamento in base al quale l'abuso
edilizio, allorquando occorra valutare la
domanda del confinante di edificare sul
proprio suolo, non può essere, di per sé,
rilevante ed incidente sulla posizione
giuridica di chi abbia diritto di edificare,
pena il capovolgimento, e quindi la
vulnerazione, di ogni ordinario criterio
discretivo delle posizioni giuridiche tra
quelle lecite e quelle illecite (Cons.
Stato, sez. IV, 27.03.2009, n. 1874; cfr.
anche TAR Campania, sez. IV, 21.07.2005, n.
10142).
Conseguentemente, è da reputarsi illegittimo
l’impugnato annullamento d’ufficio del
permesso di costruire n. 7516/2005 del
30.01.2006 per inosservanza della distanza
minima da un fabbricato abusivamente
ampliato, posto che la presenza di un
manufatto abusivo non può essere di ostacolo
allo ius aedificandi di chi ha
presentato un progetto in conformità delle
norme locali e statali (TAR Abruzzo,
L’Aquila, 17.02.2004, n. 138)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 25.05.2010 n. 8720 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Si
deve escludere che l'intervento dichiarato
sia riconducibile al novero della
ristrutturazione –atteso che esso comporta
rilevanti modifiche nell’altezza ed
alterazioni della sagoma rispetto
all’immobile preesistente– dovendo piuttosto
essere qualificato come di "nuova
costruzione".
Ai fini dell’applicazione della normativa
in materia di distanze –in mancanza di
espresse norme derogatorie– per nuova
costruzione deve intendersi non solo la
realizzazione ex novo d’un fabbricato ma
anche consistenti modificazioni d’un
edificio preesistente, che ne comportino,
attraverso opere in sopraelevazione, un
rilevante aumento dell’altezza e della
sagoma d’ingombro, a nulla rilevando che il
fabbricato preesistente si trovi,
eventualmente, già a distanza inferiore dal
confine.
E’ ben vero che gli interventi di
ristrutturazione edilizia, di cui all’art.
10, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380
del 2001, possono portare alla realizzazione
di un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal preesistente.
Tuttavia la fattispecie concreta va
ricondotta all'ipotesi specifica di
ristrutturazione attuata mediante
demolizione e ricostruzione, che è
espressamente disciplinata dall’art. 3,
comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del
2001, con cui va coordinata l’altra
previsione sopra evocata.
Al riguardo, va rammentato che la disciplina
della ristrutturazione mediante demolizione
e ricostruzione, originariamente non
contemplata dall'art. 31, comma 1, lettera
d), della legge n. 457 del 1978, è stata per
la prima volta introdotta nell'ordinamento
positivo con il già menzionato art. 3, comma
1, lettera d), del T.U. sull’edilizia, il
quale richiedeva, nell’originaria
formulazione, la “fedele ricostruzione”
della preesistenza (quanto a sagoma, volumi,
area di sedime e caratteristiche dei
materiali).
Successivamente, l’art. 1 del D. L.vo
27.12.2002 n. 301, pur espungendo dalla
citata previsione normativa l'originario
riferimento alla "fedele ricostruzione",
ha comunque ribadito che: “Nell’ambito
degli interventi di ristrutturazione
edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve
le sole innovazioni necessarie per
l’adeguamento alla normativa antisismica”.
A fronte della tassativa previsione della
fonte primaria appena richiamata ed in linea
con le costanti acquisizioni
giurisprudenziali (cfr. Consiglio di Stato,
Sezione IV, 10.02.2004, n. 476, 11.04.2007,
n. 1669; Sezione V, 04.03.2008, n. 918; TAR
Campania, Sezione IV, 05.03.2004, n. 2751;
Sezione II, 14.03.2006, n. 2929), può quindi
escludersi che l'intervento dichiarato sia
riconducibile al novero della
ristrutturazione –atteso che, come sopra
chiarito, esso comporta, a tacer d’altro,
rilevanti modifiche nell’altezza ed
alterazioni della sagoma rispetto
all’immobile preesistente– dovendo piuttosto
essere qualificato come di "nuova
costruzione".
Ne discende che l’intervento –oltre ad
essere assoggettato al regime del permesso
di costruire– è sottoposto alle limitazioni
stabilite dalle norme urbanistiche vigenti
nella zona territoriale di riferimento, ivi
comprese quelle sulle distanze dal confine
(cfr., sul punto, Consiglio di Stato,
Sezione IV, 31.10.2006 n. 6464; Sezione V,
03.03.2004 n. 1022).
Al riguardo, mette conto evidenziare che, ai
fini dell’applicazione della normativa in
materia di distanze –in mancanza di espresse
norme derogatorie, come nel caso di specie–
per nuova costruzione deve intendersi non
solo la realizzazione ex novo d’un
fabbricato ma anche consistenti
modificazioni d’un edificio preesistente,
che ne comportino, attraverso opere in
sopraelevazione, un rilevante aumento
dell’altezza e della sagoma d’ingombro, a
nulla rilevando che il fabbricato
preesistente si trovi, eventualmente, già a
distanza inferiore dal confine.
Come chiarito in giurisprudenza, infatti, il
criterio della prevenzione non trova
applicazione qualora la normativa vigente al
momento del nuovo intervento edificatorio
abbia sancito l’obbligo inderogabile di
osservare una determinata distanza dal
confine, atteso che la nuova disciplina,
integrativa di quella codicistica, vincola
anche il preveniente, che non può in tale
ipotesi sopraelevare in allineamento con
l’originaria costruzione (cfr. Cassazione
civ., Sezione II, 11.06.2008, n. 15527 e
27.05.2003 n. 8420; TAR Campania, Sezione II,
12.04.2006, n. 3457; Consiglio di Stato,
Sezione IV, 31.03.2009, n. 1998; Sezione V,
14.03.1993, n. 481)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 21.05.2010 n. 7830 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
normativa in materia di distanze minime che
debbono essere osservate in caso di
edificazione trova applicazione solo laddove
il confinante realizzi una “costruzione”,
non rilevando a tale fine la realizzazione
di manufatti che, per le loro
caratteristiche, non possono essere ritenute
tali.
Seppure non è contestata dal ricorrente la
circostanza che l’estradosso della parte del
seminterrato a confine con altro lotto
fuoriesce di 15 centimetri dalla recinzione
del lotto assegnato alla ditta ..., non è
logico assimilare ad una costruzione tale
parte della copertura del seminterrato.
Infatti, la normativa in materia di distanze
minime che debbono essere osservate in caso
di edificazione trova applicazione solo
laddove il confinante realizzi una “costruzione”,
non rilevando a tale fine la realizzazione
di manufatti che, per le loro
caratteristiche, non possono essere ritenute
tali.
Nel caso di specie, il Comune ritiene che la
piccola porzione della copertura del
seminterrato che fuoriesce dalla recinzione
(a causa, fra l’altro, del dislivello
esistente fra i due lotti) sia da equiparare
ad una costruzione, la qual cosa, come
detto, non appare logica, proprio a causa
del limitatissimo impatto che il manufatto è
in grado di provocare sulla proprietà
confinante
(TAR Puglia-Lecce, sez. III,
sentenza 29.03.2008 n. 910 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
parere, previsto dall’art. 32 della legge n.
47 del 1985 ai fini del rilascio della
concessione edilizia in sanatoria per opere
ricadenti in zone sottoposte a vincolo, deve
essere adottato tenendo conto dei vincoli
esistenti al momento in cui deve essere
valutata la domanda di condono, e cioè al
momento dell’adozione del parere; pertanto
tale obbligo sussiste anche per le opere
eseguite prima che il vincolo sia stato
apposto.
La disposizione di cui all’art. 33 della
legge n. 47 del 1985, per la quale i vincoli
di inedificabilità assoluta non consentono
il conseguimento della sanatoria delle opere
abusive qualora “siano stati imposti
prima della esecuzione delle opere stesse”,
non implica che debbano necessariamente
conseguire il condono le opere realizzate
prima dell’imposizione del vincolo.
La riportata disposizione, correttamente
interpretata, impedisce sempre, ed a
prescindere dal disvalore ambientale, la
sanatoria delle opere realizzate dopo
l’imposizione di un vincolo assoluto, mentre
per le opere realizzate in data antecedente,
la sanatoria può essere conseguita solo con
il rispetto della disposizione di cui al
precedente articolo 32 che subordina il
condono edilizio all’acquisizione “del
parere favorevole delle amministrazioni
preposte alla tutela del vincolo”.
Pertanto le opere abusive di proprietà della
società ricorrente, che la stessa asserisce
(e le parti resistenti non contestano)
essere state realizzate prima della
imposizione del vincolo di inedificabilità
assoluta dei 150 metri dal mare, avrebbero
potuto ottenere la sanatoria soltanto con il
parere favorevole dell’ufficio tutela del
paesaggio.
A tal fine non rileva la data di
realizzazione delle opere rispetto alla data
di imposizione del vincolo, poiché, come
chiarito dall’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, con la sentenza
22.07.1999 n. 20, il parere, previsto
dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985 ai
fini del rilascio della concessione edilizia
in sanatoria per opere ricadenti in zone
sottoposte a vincolo, deve essere adottato
tenendo conto dei vincoli esistenti al
momento in cui deve essere valutata la
domanda di condono, e cioè al momento
dell’adozione del parere; pertanto tale
obbligo sussiste anche per le opere eseguite
prima che il vincolo sia stato apposto (in
termini, Consiglio di stato, sez. VI,
07.10.2003, n. 5918; TAR Campania Napoli,
sez. II, 12.02.2007, n. 1004)
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 28.03.2008 n. 533 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza individua, al
fine della decorrenza del termine per
l’impugnazione di una concessione edilizia
rilasciata a terzi, l’effettiva conoscenza
dell’atto nel momento in cui la costruzione
realizzata rivela in modo certo ed univoco
le essenziali caratteristiche dell’opera e
l’eventuale non conformità della stessa al
titolo o alla disciplina urbanistica.
La giurisprudenza individua, al fine della
decorrenza del termine per l’impugnazione di
una concessione edilizia rilasciata a terzi,
l’effettiva conoscenza dell’atto nel momento
in cui la costruzione realizzata rivela in
modo certo ed univoco le essenziali
caratteristiche dell’opera e l’eventuale non
conformità della stessa al titolo o alla
disciplina urbanistica (Cons. St., IV,
19.06.2006, n. 3615; Cons. Stato, IV sez.,
n. 3805/2002).
La prova della piena conoscenza dei
provvedimenti impugnati a far tempo da una
data antecedente a tale momento deve essere
fornita dalla parte che intende giovarsi
della predetta eccezione; tale onere,
inoltre, deve essere assolto in modo
assolutamente rigoroso.
Deve pertanto escludersi che possa essere
sufficiente dimostrare la conoscenza di un
soggetto per ricavarne, in via assolutamente
presuntiva, quella di un soggetto diverso,
quand'anche si tratti di persone legate tra
loro da un rapporto di parentela o di
coniugio (Cons. Stato, sez. IV, 04.12.2000,
n. 6486).
La conoscenza del permesso di costruire
provata in capo ad uno dei comproprietari
dell’immobile confinante non consente
pertanto di inferire, in modo certo, la
piena ed effettiva conoscenza anche in capo
ad altro comproprietario (TAR Puglia-Lecce,
Sez. III,
sentenza 26.03.2008 n. 837 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’attività urbanistica ed
edilizia di trasformazione del territorio è
regolata da una disciplina vasta e
complessa, formata da due gruppi di norme:
da una parte le norme di natura
pubblicistica, concernenti l’oggettiva
rispondenza e conformità dell’atto di
assenso edificatorio alle prescrizioni
pubbliche che regolano l’assetto del
territorio, dall’altra le norme di natura
privatistica relative alla disciplina degli
assetti proprietari.
L’attività urbanistica ed edilizia di
trasformazione del territorio è regolata da
una disciplina vasta e complessa, formata da
due gruppi di norme: da una parte le norme
di natura pubblicistica, concernenti
l’oggettiva rispondenza e conformità
dell’atto di assenso edificatorio alle
prescrizioni pubbliche che regolano
l’assetto del territorio, dall’altra le
norme di natura privatistica relative alla
disciplina degli assetti proprietari (Cons.
di Stato, sez. V, 15.03.2001, n. 1507; Cons.
di Stato, sez. V, 22.06.2000, n. 3525), che
conferiscono ai privati diritti ed il potere
di ottenere o l'eliminazione di quanto
realizzato in violazione degli stessi o il
risarcimento del danno.
Il privato ha diritto alla c.d. "doppia
tutela", cioè ad una tutela concorrente
ma separata di posizioni giuridiche di
natura diversa, diritti soggettivi e
interessi legittimi: può, così, esperire
azioni civili -tra cui, come è avvenuto nel
caso in esame, le azioni c.d. di
enunciazione- nei confronti del proprietario
dell'opera illecita e può proporre l'azione
davanti al g.a. contro l'amministrazione per
ottenere l'annullamento dell'atto
autorizzativo illegittimo.
Le due discipline, quella pubblicistica e
quella privatistica, hanno ambiti di
applicazione differenti e sono altresì
finalizzate alla tutela di interessi diversi
tra loro (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 26.03.2008 n. 837 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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