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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di GENNAIO 2011

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aggiornamento al 31.01.2011

aggiornamento al 24.01.2011

aggiornamento al 17.01.2011

aggiornamento al 13.01.2011

aggiornamento al 10.01.2011

aggiornamento al 03.01.2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 31.01.2011

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NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

URBANISTICA: Oggetto: VAS - Sentenza Consiglio di Stato (Regione Lombardia, Assessore a Territorio e Urbanistica, nota 24.01.2011 n. 1798 di prot.).

PUBBLICO IMPIEGO: OGGETTO: Missioni – criteri generali, profili autorizzativi, regole operative e norme sulle spese e sui rimborsi (INPS, circolare 24.01.2011 n. 11).

UTILITA'

SICUREZZA LAVORO: Lombardia, LINEE DI INDIRIZZO PER L’ATTIVITA’ DI COORDINATORE PER LA SICUREZZA NEI CANTIERI EDILI (Regione Lombardia - Sanità, settembre 2010).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Il Ministero del Lavoro approva la “Procedura per la fornitura di calcestruzzo in cantiere”. Niente POS per le imprese fornitrici.
Nella seduta del 19.01.2010 la Commissione consultiva permanente del Ministero del Lavoro ha approvato il documento “Procedura per la fornitura di calcestruzzo in cantiere".
Il documento è stato elaborato congiuntamente da Ance (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili) e Atecap (Associazione Tecnico Economica del Calcestruzzo Preconfezionato) con l’obiettivo di fornire alle imprese esecutrici dei lavori e alle imprese fornitrici di calcestruzzo preconfezionato delle linee guida per l’adozione di procedure per la sicurezza dei lavoratori coinvolti, dal momento della richiesta di fornitura di calcestruzzo fino alla consegna nel cantiere di destinazione.
Il documento che, nei prossimi giorni, sarà diffuso ufficialmente dal Ministero del lavoro attraverso una lettera-circolare, individua compiutamente le informazioni che le imprese (esecutrice e fornitrice di calcestruzzo) devono scambiarsi nelle diverse fasi.
Il testo approvato consente di ottemperare alle prescrizioni dell’art. 26 e dell’art. 96, comma 1-bis, del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. in termini di collaborazione e informazione reciproca fra datori di lavoro di tali imprese nei casi in cui l’impresa fornitrice di calcestruzzo non partecipi in alcun modo alle lavorazioni di cantiere ma si limiti alla sola fornitura del materiale.
Se l'operatore dell'autopompa, infatti, non partecipa in alcun modo al getto, ma si limita a posizionare il braccio della pompa mediante radiocomando in base alle indicazioni dell'impresa edile si ricade sempre nel caso di mera fornitura. Pertanto, alle imprese fornitrici di calcestruzzo, Coordinatori della Sicurezza ed Ispettori del Lavoro, nelle citate ipotesi, non potranno richiedere il Piano Operativo di Sicurezza (link a www.acca.it).

VARI: Pubblicata dal GSE la guida al Terzo Conto Energia.
Il GSE ha pubblicato la guida al nuovo Conto Energia che illustra le modalità per la richiesta degli incentivi per gli impianti fotovoltaici, secondo le disposizioni del D.M. 06.08.2010 (Terzo Conto Energia).
Il Terzo Conto Energia disciplina le tariffe incentivanti per gli impianti che entreranno in esercizio nel triennio 2011-2013.
Le nuove tariffe risultano inferiori rispetto a quelle in vigore precedentemente, tuttavia la diminuzione degli incentivi è senz’altro bilanciata dall’abbattimento dei costi di realizzazione degli impianti.
Il Decreto prevede una classificazione semplificata degli impianti fotovoltaici, suddividendoli in due tipologie: ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: L'impresa virtuale dell’INAIL per valutare il rischio in 3D.
"L'impresa virtuale" è un nuovo applicativo del portale INAIL che, attraverso animazioni 3d, illustra alcune situazioni di pericolo tipiche dei diversi ambienti e attività di lavoro:
- uffici
- negozi
- logistica
- magazzino
- produzione
- imballaggio
- manutenzione
- pulizia
- fornendo, contestualmente, indicazioni sui possibili interventi per la loro eliminazione o riduzione.
Attraverso esempi concreti -precisa l’INAIL- si è voluto rappresentare soprattutto il processo di gestione della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro che mira ad individuare e adottare le soluzioni più idonee a ridurre i rischi che non possono essere eliminati del tutto; le soluzioni proposte non sono di certo le uniche possibili.
L'applicativo è l'edizione italiana del prodotto "L’entreprise virtuelle" del Ministero del Lavoro francese ed è stata realizzata e promossa dall'INAIL nell’ambito di una convenzione tra il Ministero del lavoro italiano e il Ministero del lavoro francese (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Relazione geologica e relazione geotecnica: linee guida e metodologie di lavoro dal consiglio nazionale dei geologi.
Il Consiglio Nazionale dei Geologi, con la deliberazione n. 209/2010, ha approvato il documento che definisce gli standard di lavoro da utilizzare come riferimento metodologico per gli studi specialistici, per la redazione della relazione geologica e geotecnica e per la programmazione delle indagini di supporto.
Il documento è strutturato in due parti: nella prima è descritto l’approccio metodologico (generale e analitico), nella seconda sono descritte le analisi di pericolosità geologica.
In funzione della prestazione richiesta al professionista e della tipologia di opera sono proposti schemi predefiniti che consentono la produzione di contenuti (minimi) secondo le richieste delle norme per quell’intervento.
Le tipologie di lavoro, ed i relativi standard di riferimento, sono i seguenti: ... (link a www.acca.it).

VARI: La connessione alla rete elettrica degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. La nuova domanda di connessione a Enel Distribuzione.
L’Autorità per Energia Elettrica e il Gas (AEEG) ha definito le condizioni (procedurali, economiche e tecniche) per la connessione di impianti di produzione di energia alle reti elettriche nell’Allegato A della Delibera ARG/elt 99/08 “Testo integrato delle condizioni tecniche ed economiche per la connessione alle reti elettriche con obbligo di connessione di terzi degli impianti di produzione di energia elettrica (TICA)”.
Le richieste di connessione alle reti elettriche per impianti di potenza (in immissione) inferiore a 10 MW (10.000 kW) devono essere presentate direttamente all’impresa distributrice competente nell’ambito territoriale; per potenze superiori a 10 MW, invece, devono essere presentate a Terna.
Alla presentazione della richiesta di connessione occorre versare un corrispettivo per l’ottenimento del preventivo, definito per fasce di potenza: ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Gli obblighi, le responsabilità e le sanzioni per il committente previste dal Testo Unico della Sicurezza.
Il Capo I del Titolo IV del D.Lgs. 81/2008 ha attribuito al committente (o al responsabile dei lavori che opera in sua vece) precise responsabilità di carattere penale ed amministrativo.
Gli obblighi e le sanzioni a carico dei committenti e dei responsabili dei lavori sono riassunti con chiarezza ed efficacia in una tavola sinottica realizzata dalla ASL 5 Spezzina.
L'opuscolo, dal titolo "Il lavoro non è un gioco", può costituire un utile supporto per il professionista che vuole illustrare al committente i rischi e le potenziali conseguenze di scelte eseguite con troppa superficialità o privilegiando eccessivamente gli aspetti economici.
È il committente, infatti, che sceglie le imprese sulla base dei loro requisiti tecnico-professionali, concorda l’intervento con il progettista entrando spesso nel merito delle soluzioni tecnico-operative e, non ultimo, affida i lavori sulla base di una scelta spesso soprattutto economica (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 4 del 26.01.2011, "Approvazione della Circolare «L’applicazione della valutazione ambientale di piani e programmi - VAS nel contesto comunale»" (decreto D.S. 14.12.2010 n. 13071).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 26.01.2011 n. 20, suppl. ord. n. 18/L, "Regolamento recante abrogazione espressa delle norme regolamentari vigenti che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete, a norma dell’articolo 17, comma 4-ter, della legge 23.08.1988, n. 400" (D.P.R. 13.12.2010 n. 248: file 1 - file 2 - file 3 - file 4).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Nasce PERSEO ... la previdenza complementare per la Sanità e gli Enti Locali (CGIL-FP di Bergamo, nota 26.01.2011)

PUBBLICO IMPIEGO: La mobilità volontaria tra amministrazioni pubbliche. Problemi applicativi (CGIL-FP di Bergamo, nota 24.01.2011)

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ENTI LOCALI: P. Russo e M. I Bruno, Il divieto di spese per sponsorizzazioni di cui all’art. 6, comma 9, del d.l.78/2010 e la salvaguardia dell’associazionismo locale (link a www.diritto.it).

URBANISTICA: S. Moro, Gli accordi "a monte" delle prescrizioni urbanistiche: spunti di riflessione (link a http://venetoius.myblog.it).

NEWS

CONDOMINIO: Riforma del condominio approvata dal Senato.
Via libera del Senato al disegno di legge di riforma della disciplina sul condominio. Nella seduta antimeridiana del 26.01.2011, infatti, l'Assemblea di Palazzo Madama ha approvato in prima lettura, con il nuovo titolo "Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici", il testo unificato dei disegni di legge nn. 71, 355, 399, 119 e 1283, recante "Modifiche al codice civile in materia di disciplina del condominio negli edifici". ... (link a www.acca.it).

ENTI LOCALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Enti montani, regole ad hoc. Niente scioglimento se non si approva il bilancio. Se la legge regionale dispone in merito non si applica l'art. 141 del Tuel.
È applicabile alle comunità montane la procedura di scioglimento di cui all'art. 141 del decreto legislativo n. 267/2000, in caso di mancata approvazione del bilancio di previsione e di mancata verifica degli equilibri di bilancio?
In materia di scioglimento degli enti locali per mancata approvazione del bilancio di previsione, l'art. 141 del decreto legislativo n. 267/2000 dispone che, «ove non diversamente previsto dalle leggi regionali, le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, agli altri enti locali di cui all'art. 2, comma 1, ed ai consorzi tra enti locali».
Pertanto, in presenza di una puntuale normativa regionale che disciplini la materia, l'art. 141 non è applicabile alle comunità montane (articolo ItaliaOggi del 28.01.2011 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità a carico di un consigliere comunale che, in qualità di architetto, ha ricevuto, prima e dopo la sua elezione, incarichi tecnici dallo stesso comune per la progettazione e la direzione di lavori di opere pubbliche?

La Corte di cassazione, sez. I, con sentenza n. 550 del 16.01.2004, ha affermato che l'art. 63 del dlgs n. 267/2000, comma 1, n. 2, nello stabilire la causa di «incompatibilità di interesse» non può ricoprire la carica di consigliere comunale ... 2) colui che, come titolare, ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, nell'interesse del comune) ivi prevista e rilevante nella fattispecie, pone, ai fini della sua sussistenza, una duplice, concorrente condizione: la prima, di natura soggettiva; la seconda, di natura oggettiva.
È necessario, innanzitutto (condizione soggettiva), che il soggetto, in ipotesi incompatibile all'esercizio della carica elettiva, rivesta la qualità di «titolare» (ad es. di impresa individuale), o di «amministratore» (ad es., di società di persona o di capitale..) ovvero di «dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento».
In secondo luogo, il legislatore prevede come condizione oggettiva, che deve necessariamente concorrere con quella soggettiva per la sussistenza della causa di incompatibilità di interessi, che il soggetto, rivestito di una delle predette qualità, intanto è incompatibile, in quanto «ha parte in servizi, nell'interesse del comune» e potrebbe trovarsi in una situazione di potenziale conflitto di interessi rispetto all'esercizio imparziale della carica elettiva.
Pertanto, se un professionista ha parte, nel senso ora indicato, in un servizio al quale l'ente è interessato, lo stesso non è idoneo, secondo la previsione tipica del legislatore, ad adempiere imparzialmente i doveri connessi all'esercizio della carica elettiva.
Ha ritenuto, in particolare, la Suprema corte, che il professionista cui sia conferito, dal comune presso il quale svolge il proprio mandato di consigliere, l'incarico di progettista di opere pubbliche, viene a trovarsi in una specifica situazione di incompatibilità di interessi risultante dalla contestuale e contraddittoria coincidenza, in quanto eletto alla carica di consigliere comunale, delle posizioni di controllato (quale professionista, i progetti redatti dal quale essendo assoggettati all'adozione e all'approvazione del consiglio comunale) e controllore (quale consigliere comunale chiamato a concorrere alla deliberazione di adozione ed approvazione dei progetti dal medesimo elaborati).
Pertanto, l'ipotesi prospettata in via generale configura la causa di incompatibilità prevista dal citato articolo 63, comma 1, n. 2) del decreto legislativo n. 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 28.01.2011 - link a www.ecostampa.com).

ENTI LOCALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Riforma delle utility.
A seguito dell'approvazione della riforma dei servizi pubblici locali, è applicabile agli amministratori di aziende speciali, anche consortili, la disciplina dettata per gli amministratori locali in materia di doveri e condizione giuridica, permessi , licenze e aspettative (ex art. 87 dlgs n. 267/2000)?

Con il regolamento approvato dal consiglio dei ministri in data 22.07.2010 è stata data attuazione all'art. 23-bis, comma 11, del dl 25.06.2008, n. 112 come modificato, in sede di conversione, dalla legge 06.08.2008, n. 133.
Con comunicato pubblicato il 23.07.2010, la presidenza del consiglio dei ministri ha evidenziato che «con questo provvedimento si porta a compimento la riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica».
Poiché il suddetto provvedimento è stato approvato su proposta del ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, solo tale amministrazione potrà esprimersi in merito alla realizzazione o meno della condizione prevista dall'art. 87 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (articolo ItaliaOggi del 28.01.2011 - link a www.ecostampa.com.

APPALTIGare, parola alle regioni. Spazio a regole ad hoc sulle aggiudicazioni. Per le sezioni unite gli enti possono stabilire la necessità di un successivo contratto.
Una legge regionale può derogare alla regola generale per cui l'aggiudicazione di una procedura di gara equivale a stipula del contratto; è quindi legittimo, con legge regionale, differire ad un momento successivo la competenza dal giudice ordinario, rispetto alla regola stabilita dalla legge statale.
E' quanto afferma la sentenza 11.01.2011 n. 391 della Corte di Cassazione, Sezioni unite, che decide su una questione di riparto di giurisdizione, fra giudice ordinario e giudice amministrativo.
Veniva infatti eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario rispetto ad una controversia sottoposta alla giurisdizione del giudice amministrativo, sostenendosi che la deliberazione di aggiudicazione definitiva di un compendio immobiliare,venduto all'asta pubblica, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza della Corte di appello di Bologna, non equivaleva a contratto di compravendita.
Il collegio bolognese aveva sostenuto che il processo verbale di aggiudicazione definitiva equivale a tutti gli effetti al contratto, a norma del rd n. 2440 del 1923, art. 16, e che quindi la posizione dell'acquirente, fino all'aggiudicazione è di interesse legittimo, mentre diviene di diritto soggettivo successivamente all'aggiudicazione, stante la suddetta equiparazione tra aggiudicazione e contratto, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario.
La Cassazione era quindi chiamata a decidere se il contratto di compravendita dovesse ritenersi concluso per effetto della sola aggiudicazione, come sostenuto dalla sentenza impugnata, in applicazione del rd n. 2440 del 1923, art. 16, sulla contabilità di stato, oppure se fosse necessario un successivo scambio di volontà e conclusione di un formale contratto, come prevede l'articolo 74 della legge regionale dell'Emilia Romagna n. 22 del 1980. Si trattava quindi di ricostruire i principi generali dettati dalla normativa statale, di verificare la natura di tale normativa e di rapportarli alla norma regionale.
Prima di entrare nel merito, la Corte ricorda che la cognizione del giudice ordinario, quale giudice dei diritti, diviene pienamente operativa nella successiva fase contrattuale afferente l'esecuzione del rapporto, fase aperta dalla stipula, nella quale si è entrati a seguito della conclusione -con l'aggiudicazione– della fase pubblicistica.
Nel merito dei rapporti fra norma statale e norma regionale, i giudici affermano che la legge di contabilità dello Stato del 1923 (la 2440), all'articolo 16, stabilisce che i i processi verbali di aggiudicazione definitiva equivalgono per ogni legale effetto al contratto. Ma tale disposizione, dicono i giudici, ha natura di «norma dispositiva, che si presta a essere derogata nel senso di escludere che l'aggiudicazione, oltre a concludere il procedimento di scelta del contraente, produca da sé la conclusione dell'accordo».
La Cassazione argomenta che la norma statale, che è dettata in tema di contabilità generale dello Stato, «può essere derogate da una norma regionale nell'ambito di una materia, la cui competenza appartenga alla regione». Occorre quindi verificare se nell'ambito in cui incide il contratto vi sia una competenza normativa regionale.
La Corte, nel caso di specie, si esprime positivamente in quanto nelle materie concorrenti, tra competenza legislativa dello Stato e quella delle regioni, è indicata la «tutela della salute», con la conseguenza che spetta allo stato fissare i principi fondamentali, mentre alle regioni compete dettare la disciplina attuativa di tali principi, con l'autonomia e l'autodeterminazione che, nel disegno costituzionale, ad esse sono state riconosciute.
I giudici da ciò fanno discendere che la disciplina in materia di conclusione dei contratti, risultando accessoria rispetto all'individuazione delle linee fondamentale dell'assistenza sanitaria e della tutela della salute (che spettano allo stato) ben può essere oggetto di formazione regionale (articolo ItaliaOggi del 28.01.2011 - link a www.ecostampa.com).

EDILIZIA PRIVATAIn arrivo la mappatura dei Suap comunali. Procedura on-line per partecipare al censimento.
Lavori in corso per il primo censimento dei Suap comunali. In vista dell'ormai prossima scadenza del 29.03.2011, sarà presto possibile disporre di una prima mappatura dei comuni pronti a rendere possibile l'avvio di un'attività imprenditoriale utilizzando una procedura online.
Faranno parte del censimento tutti i comuni che avranno attestato al ministero dello sviluppo economico l'istituzione di Suap conformi ai requisiti stabiliti nelle recenti normative di riforma del settore. Per farlo potranno avvantaggiarsi di una pratica procedura online messa a disposizione a fine dicembre 2010 su www.impresainungiorno.gov.it, il portale realizzato dal Sistema camerale.
È questo il primo servizio interattivo lanciato sul sito, che rappresenta anche il Punto Unico di Contatto nazionale (PSC) previsto dalla Direttiva Servizi. Superato il termine del 28 gennaio, indicato dal dpr 160 pubblicato il 30.09.2010, gli enti comunali «ritardatari» che avranno posto in essere uno Sportello unico per le attività produttive «a norma», potranno comunque ancora inviare l'attestazione di conformità online per essere accreditati.
Con l'arrivo della primavera si compierà infatti una vera e propria «rivoluzione culturale» nei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione perché, nella maggior parte dei casi, un'impresa potrà diventare operativa basandosi sull'autocertificazione dei requisiti da parte dell'imprenditore stesso. Un passo avanti significativo per rimuovere quegli ostacoli che oggi frenano il «fare impresa» in Italia. E per rispettare la tabella di marcia le camere di commercio si adopereranno al fine di assicurare le funzioni di front end del Suap per quei comuni che non abbiano provveduto ad accreditarsi sul portale.
Da fine marzo, per le attività che richiedono esclusivamente la Scia, sarà così possibile su tutto il territorio nazionale avviare l'impresa collegandosi semplicemente al portale «impresainungiorno» e inviando telematicamente la segnalazione di inizio attività. Le autorità competenti, entro 60 giorni, potranno operare i controlli di pertinenza.
Per i procedimenti più complessi per i quali sarà necessaria l'adozione di un provvedimento espresso si provvederà, invece, per via informatica a partire dal mese di ottobre del 2011.
Si tratta di una sfida importante volta ad accelerare il processo di modernizzazione del nostro paese. Ma per assicurare il successo del nuovo Suap è necessario operare collateralmente su tre importanti direttrici. Rendere disponibili a tutte le imprese gli accessi alla banda larga, indispensabili per far viaggiare il flusso delle informazioni; lavorare affinché tutte le amministrazioni coinvolte (statali, regionali, locali e centrali) possano interloquire con le medesime modalità telematiche con le imprese e i Suap; ridurre e standardizzare le procedure amministrative sul territorio.
Una recente indagine del sistema camerale sugli adempimenti amministrativi a livello locale richiesti alle imprese ha, infatti, messo in luce l'esistenza di oltre 5 mila procedure tutte diverse tra loro. È evidente che così non può funzionare.
Motivo per cui le camere di commercio hanno già sottoscritto due importanti intese con la conferenza delle regioni e delle province autonome e con l'Associazione dei comuni d'Italia proprio con l'obiettivo di armonizzare le azioni in vista dell'attuazione della riforma del Suap (articolo ItaliaOggi del 28.01.2011).

PUBBLICO IMPIEGOSulle missioni decide il dirigente. Vanno autorizzate anche quelle ispettive.
Sulle missioni decide sempre il dirigente. Anche su quelle finalizzate a compiti ispettivi, per le quali è possibile utilizzare l'autovettura propria: tale possibilità, infatti, non è più automatica e deve anch'essa essere autorizzata.

Lo precisa l'INPS nella circolare 24.01.2011 n. 11, spiegando le nuove regole su invii in missione e relativi trattamenti economici, alla luce dei recenti interventi legislativi mirati al contenimento dei costi delle pubbliche amministrazioni. ... (articolo ItaliaOggi del 26.01.2011 - link a www.ecostampa.com).

GIURISPRUDENZA

APPALTIL'amministrazione può provvedere alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria e dell’intera procedura di gara in presenza di un’unica offerta valida, senza obbligo di particolare motivazione, specialmente se l'intervento in autotutela di tipo caducatorio sia basato su una valutazione di convenienza economica.
La Sezione condivide il principio per cui l'amministrazione può provvedere alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria e dell’intera procedura di gara in presenza di un’unica offerta valida, senza obbligo di particolare motivazione, specialmente se l'intervento in autotutela di tipo caducatorio sia basato su una valutazione di convenienza economica (TAR Lazio Roma, sez. II, 09.11.2009, n. 10991; TAR Lombardia Milano, sez. III, 02.05.2006, n. 1108).
Nel caso di specie, la facoltà dell’amministrazione di non procedere alla aggiudicazione dell’appalto per ragioni di convenienza economica è stata prevista direttamente nella legge di gara ed è stata esercitata correttamente dalla stazione appaltante attraverso un provvedimento che il collegio reputa congruamente motivato.
In particolare, non appare irragionevole l’aver ritenuto che l’esiguo ribasso offerto dall’unica concorrente rimasta in gara fosse facilmente migliorabile in una nuova procedura, essendo detto ribasso assai prossimo allo zero.
Né appare illegittimo che tale previsione sia stata desunta anche dalla percentuale di ribasso offerta nella gara appena espletata dal concorrente escluso, dal momento che la predetta esclusione, motivata da ragioni meramente formali, non impediva alla stazione appaltante di assumere quella stessa offerta come semplice elemento di fatto, sintomatico dell’esistenza di una disponibilità del mercato ad offrire prezzi più convenienti.
E' quindi irrilevante che negli anni passati la ricorrente si fosse aggiudicata il servizio offrendo percentuali di ribasso non dissimili da quella ritenuta incongrua dall’amministrazione nella procedura annullata, dal momento che la nuova procedura aveva evidenziato l’esistenza di una diversa propensione del mercato: confermata, del resto, dal ribasso del 15 % con cui la stessa ricorrente si è aggiudicata la nuova procedura negoziata (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 27.01.2011 n. 114 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIL’obbligo imposto all’impresa aggiudicataria della nuova gara di mantenere in servizio i medesimi autisti già assunti dal gestore uscente integra un’evidente violazione del principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., giacché determina, in via unilaterale, l’imposizione di un vincolo a contrarre al di fuori dei casi tassativamente tipizzati dal legislatore.
L’obbligo imposto all’impresa aggiudicataria della nuova gara di mantenere in servizio i medesimi autisti già assunti dal gestore uscente integra un’evidente violazione del principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., giacché determina, in via unilaterale, l’imposizione di un vincolo a contrarre al di fuori dei casi tassativamente tipizzati dal legislatore (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 27.01.2011 n. 114 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Art. 38 d.lgs 163/2006, niente dichiarazione per i procuratori.
Il Consiglio di Stato afferma che, ai fini della dichiarazione di cui all'art. 38 del Codice Appalti, i procuratori, benché dotati di ampi poteri, non possono essere assimilati agli amministratori della società. L'ennesimo giro di valzer, visto che al riguardo, la giurisprudenza ha espresso anche soluzioni opposte.
L’interpretazione del citato art. 38 con riferimento ai soggetti per i quali la dichiarazione deve essere resa è stata oggetto di diversi orientamenti giurisprudenziali, fra i quali permane un contrasto.
L’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006 fa riferimento, per le società di capitali, agli “amministratori muniti del potere di rappresentanza”.
Secondo una parte della giurisprudenza, per l’individuazione dei soggetti tenuti alle dichiarazioni sostitutive finalizzate alla verifica del possesso dei requisiti di moralità, quando si tratti di titolari di organi di persone giuridiche da ricondurre alla nozione di "amministratori muniti di poteri di rappresentanza", occorre esaminare i poteri, le funzioni e il ruolo effettivamente e sostanzialmente attribuiti al soggetto considerato, al di là delle qualifiche formali rivestite (Cons. Stato, V, 16.11.2010 n. 8059; VI, 08.02.2007, n. 523, che nella categoria degli amministratori, ai fini dell’art. 38 cit., fanno rientrare sia i "soggetti che abbiano avuto un significativo ruolo decisionale e gestionale societario", sia i procuratori ai quali siano conferiti poteri di partecipare a pubblici appalti formulando le relative offerte).
Altra giurisprudenza ha, da un lato, aderito alla necessità di effettuare una valutazione sostanzialistica della sussistenza delle cause ostative, derivando –in assenza di più restrittive clausole di gara– l’effetto di esclusione dalla procedura solo dal mancato possesso dei requisiti, e non dalla omissione o incompletezza della dichiarazione (Cons. Stato, V, 09.11.2010, n. 7967) e, sotto altro aspetto, ha limitato la sussistenza dell’obbligo di dichiarazione ai soli amministratori muniti di potere di rappresentanza e ai direttori tecnici, e non anche a tutti i procuratori della società (TAR Basilicata, I, 22.04.2009, n. 131; TAR Liguria, II, 11.07.2008, n. 1485; TAR Calabria-Reggio Calabria, I, 08.07.2008, n. 379).
Il Collegio ritiene di dover aderire –per le considerazioni di seguito esposte- alla seconda tesi, che limita l’applicabilità della disposizione ai soli amministratori della società, e non anche ai procuratori speciali.
Ai sensi dell’art. 2380-bis c.c., la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori e può essere concentrata in un unico soggetto (amministratore unico) o affidata a più persone, che sono i componenti del consiglio di amministrazione (in caso di scelta del sistema monistico ex artt. 2380 e 2409-sexiesdecies c.c.) o del consiglio di gestione (in caso di opzione in favore del sistema dualistico ex artt. 2380 e 2409-octies c.c.): ad essi, o a taluni tra essi, spetta la rappresentanza istituzionale della società.
I procuratori speciali (o ad negotia) sono invece soggetti cui può essere conferita la rappresentanza –di diritto comune- della società, ma che non sono amministratori e ciò a prescindere dall’esame dei poteri loro assegnati.
L’art. 38 del d.lgs. n. 163/06 richiede la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza (che può essere limitato per gli amministratori ex art. 2384, comma 2, c.c.) e non vi è alcuna possibilità per estendere l’applicabilità della disposizione a soggetti, quali i procuratori, che amministratori non sono.
Del resto, si tratta di una norma che limita la partecipazione alle gare e la libertà di iniziativa economica delle imprese, essendo prescrittiva dei requisiti di partecipazione e che, in quanto tale, assume carattere eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di applicazione analogica a situazioni diverse, quale è quella dei procuratori.
Peraltro, anche l’applicazione analogica sarebbe opinabile, in presenza di una radicale diversità della situazione dell’amministratore, cui spettano compiti gestionali e decisionali di indirizzi e scelte imprenditoriali e quella del procuratore, il quale, benché possa essere munito di poteri di rappresentanza, è soggetto dotato di limitati poteri rappresentativi e gestionali, ma non decisionali (nel senso che i poteri di gestione sono pur sempre circoscritti dalle direttive fornite dagli amministratori). In altri termini le manifestazioni di volontà del procuratore possono produrre effetti nella sfera giuridica della società, ma ciò non significa che egli abbia un ruolo nella determinazione delle scelte imprenditoriali, lasciate all'amministratore.
Si deve, quindi, prendere atto che l'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 -nell'individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione- fa riferimento soltanto agli "amministratori muniti di potere di rappresentanza": ossia, ai soggetti che siano titolari di ampi e generali poteri di amministrazione, senza estendere l’obbligo ai procuratori.
La soluzione accolta, oltre ad essere maggiormente rispondente al dato letterale del citato art. 38, evita che l’obbligo della dichiarazione possa dipendere da sottili distinzioni circa l'ampiezza dei poteri del procuratore, inidonee a garantire la certezza del diritto sotto un profilo di estrema rilevanza per la libertà di iniziativa economica delle imprese, costituito dalla possibilità di partecipare ai pubblici appalti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.01.2011 n. 513 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’esclusione dalla gara per gravi inadempienze nell'esecuzione di precedenti contratti è motivata congruamente col richiamo alle stesse.
La ditta individuale in causa aveva partecipato alla gara a procedura aperta per l’affidamento dei lavori di “sistemazione parziale della viabilità nell’area cimiteriale in ampliamento” ed è stata esclusa dalla stessa, ai sensi dell’art. 38, I comma, lett. f) del decreto legislativo 12.04.2006 n. 163, perché, in qualità di capogruppo di un’ATI, era stata oggetto di risoluzione in danno di un precedente contratto, relativo ai lavori di realizzazione delle infrastrutture idriche e fognanti della zona industriale del Comune in causa, tale risoluzione, dovuta a grave inadempimento dell’appaltatore, è stata considerata tale da far venir meno il rapporto fiduciario con la stazione appaltante stante anche il breve lasso di tempo intercorso dal provvedimento di risoluzione succitato.
Il TAR, sostiene la ditta ricorrente, ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento impugnato, mediante mero richiamo alle inadempienze intervenute, alla risoluzione contrattuale ed al giudizio civile in corso, senza considerare che l’art. 38, I c., lettera f), del D.Lgs. n. 163 impone che l’esclusione sia assistita non da una semplice motivazione ma da una “motivata valutazione” della stazione appaltante; nel caso di specie l’Amministrazione avrebbe inadeguatamente motivato nel senso sopra indicato, senza operare, previa adeguata istruttoria, alcuna valutazione circa la gravità e importanza delle negligenze e delle inadempienze, nonché circa la incidenza delle infrazioni sul piano della persistente inaffidabilità del concorrente e senza tenere conto del lasso di tempo trascorso dall’adozione dell’atto di risoluzione (che non sarebbe breve ma di circa tre anni), della assenza di recidive e della instaurazione di una azione giudiziaria al riguardo da parte della parte appellante (ancora pendente).
Osserva al riguardo il Consiglio di Stato che, a ragione, il TAR ha ritenuto legittima la giustificazione dell’esclusione, giacché l’impresa, quale contraente, era incorsa in gravi inadempienze, tanto che l’Amministrazione aveva dovuto risolvere il contratto (con espressa valutazione collegantesi alla pregressa vicenda negoziale pienamente a conoscenza dell’istante) rilevando l’inconsistenza di ogni rilievo in ordine ad una mancata o superficiale considerazione della situazione e ad una carente motivazione.
Invero, in virtù dell'articolo 38, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 163 del 2006 "sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante".
Tale disposizione, nel precludere la partecipazione alle gare d'appalto alle imprese che si sono rese responsabili di gravi inadempienze nell'esecuzione di precedenti contratti (denotando ciò un'inidoneità "tecnico-morale" a contrarre con la P.A.), fissa il duplice principio che la sussistenza di tali situazioni ostative può essere desunta da qualsiasi mezzo di prova e che il provvedimento di esclusione deve essere motivato congruamente (Consiglio di Stato, V, 27.01.2010 n. 296).
Per procedere alla esclusione in questione è necessario quindi che sia fornita un'adeguata prova dell'inadempimento e che lo stesso rilevi sul piano del venir meno dell'affidabilità dell'impresa nei confronti della Amministrazione e, ai fini della sussunzione nell'ipotesi prevista dall'articolo 38, comma 1, lettera f), del codice dei contratti pubblici, occorre ricordare ulteriormente che quest'ultima postula, alternativamente, una grave negligenza o malafede nell'esecuzione di uno specifico contratto con la medesima stazione appaltante oppure un grave errore nell'esercizio della attività professionale.
La gravità deve essere peraltro idonea ad influire sull'interesse (pubblico) dell'Amministrazione a stipulare un nuovo contratto con l'impresa privata; non a liberarsi dal precedente rapporto, come nel caso della risoluzione. Ne consegue che la gravità della generica negligenza o dell'inadempimento a specifiche obbligazioni contrattuali va commisurata al pregiudizio arrecato alla fiducia, all'affidamento che la stazione appaltante deve poter riporre, ex ante, nell'impresa cui decide di affidare l'esecuzione di un nuovo rapporto contrattuale.
Quindi la valutazione assume un aspetto più soggettivo (di affidabilità) che oggettivo (il pregiudizio al concreto interesse all'esecuzione della specifica prestazione inadempiuta). Non a caso, l'articolo 38, comma 1, lett. f), in questione, include presupposti espressamente soggettivi (la malafede) oppure avulsi dallo specifico rapporto contrattuale (il grave errore nell'attività professionale), ma comunque idonei ad incidere sull'affidabilità dell'impresa privata e, quindi, sull'immagine della stessa agli occhi della stazione appaltante.
L'esclusione dalla gara pubblica per i motivi che interessano non ha quindi carattere sanzionatorio, essendo viceversa prevista a presidio dell'elemento fiduciario destinato a connotare, sin dal momento genetico, i rapporti contrattuali di appalto pubblico.
Alle formulate considerazioni consegue che, al fine del decidere, non assume alcun rilievo la contestazione da parte della impresa della suddetta valutazione amministrativa, posto che l'esigenza soddisfatta dalla richiamata previsione nel delineare la causa di esclusione è salvaguardare l'elemento fiduciario, scalfito in presenza di un giudizio formulato dall'Amministrazione circa la grave negligenza dell'aspirante partecipante (Consiglio Stato, sez. V, 27.01. 2010, n. 296).
Peraltro, la mancanza di ulteriori parametri da parte del legislatore dimostra la volontà di riconoscere in capo alla stazione appaltante un ampio spazio discrezionale nella valutazione circa la sussistenza o meno del requisito di affidabilità, perciò non possono essere condivisi i limiti e le interpretazioni restrittive proposte dalla parte appellante.
L'esclusione non può essere impedita per la semplice circostanza che la inadempienza è stata commessa da lungo tempo o per la non rilevante gravità e importanza della stessa, trattandosi di elementi che non incidono in modo determinante sulla qualificazione della commessa inadempienza, nell’ambito della valutazione della rilevanza sull'affidabilità della impresa concorrente; perciò non esiste nessun particolare onere da parte della stazione appaltante di pronunciarsi in modo specifico su tali circostanze quando venga comunque raggiunto un ragionevole convincimento, debitamente esplicitato, circa la mancanza del requisito di affidabilità, cui consegua la necessità di escludere la ditta partecipante (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.01.2011 n. 409 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Bonifica - Inquinamento determinato dal comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita - Ordinanza di bonifica diretta alla curatela fallimentare - Illegittimità - Fondamento.
La curatela fallimentare non può essere destinataria di ordinanze sindacali dirette alla bonifica di siti inquinati, per effetto del precedente comportamento commissivo od omissivo dell’impresa fallita (C.d.S., Sez. V, 29.07.2003, n. 4328).
In linea di principio, infatti, i rifiuti prodotti dall’imprenditore fallito non sono beni da acquisire alla procedura fallimentare e, quindi, non formano oggetto di apprensione da parte del curatore.
L’esclusione della possibilità di sussumere legittimamente i rifiuti nel compendio fallimentare fa, perciò, scartare l’ipotizzabilità di profili di responsabilità di carattere meramente gestorio in capo al curatore (TAR Toscana, Sez. II, 01.08.2001, n. 1318).
Per una diversa conclusione sarebbe necessario individuare un’univoca, chiara ed autonoma responsabilità in capo al curatore fallimentare nell’abbandono dei rifiuti di cui trattasi, che, però, va esclusa quando il fatto si è verificato in epoca antecedente all’apertura della procedura fallimentare.
INQUINAMENTO - Curatela fallimentare - Mancanza di responsabilità - P.A. - Esecuzione d’ufficio della opere di bonifica - Recupero delle somme - Insinuazione al passivo.
In mancanza dell’ascrivibilità alla curatela fallimentare di una condotta illecita o di un comportamento corresponsabile, alla P.A. non resta che procedere all’esecuzione d’ufficio delle opere di bonifica ed al recupero delle somme anticipate con insinuazione del relativo credito al passivo fallimentare, in conformità, del resto, all’art. 18, comma 5, del d.m. n. 471/1999 (TAR Toscana, Sez. II, n. 1318/2001) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 21.01.2011 n. 137 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIL'importo limitato dei lavori e dei servizi giustifica l’adozione delle forme procedurali semplificate e accelerate proprie del cottimo fiduciario, tra cui in particolare la riduzione della pubblicità dell’appalto e la limitazione del numero di imprese ammesse al confronto. L'amministrazione aggiudicatrice è però tenuta a compilare la lista delle imprese da invitare al confronto nel rispetto dei principi generali di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, tutti richiamati nell’art. 125, comma 11, del Dlgs. 163/2006 e, parimenti, deve condurre la procedura sulla base dei medesimi criteri.
Quando vi sono imprese che hanno già svolto analoghi lavori o servizi sulla base di procedure negoziate l’amministrazione aggiudicatrice può legittimamente decidere di favorire l’ingresso di altri soggetti escludendo dagli inviti, per un certo periodo, gli affidatari pregressi. Il principio di rotazione risulta ancora più stringente per l’amministrazione aggiudicatrice quando la situazione di mercato in un determinato contesto economico sia caratterizzata dalla presenza di numerose imprese potenzialmente idonee e interessate all’appalto. In questo caso la rotazione può essere applicata non solo ai precedenti affidatari ma anche ai soggetti che abbiano partecipato alle procedure negoziate senza conseguire l’appalto.

L'importo limitato dei lavori e dei servizi giustifica (qualora non vi sia stato artificioso frazionamento dell’appalto) l’adozione delle forme procedurali semplificate e accelerate proprie del cottimo fiduciario, tra cui in particolare la riduzione della pubblicità dell’appalto e la limitazione del numero di imprese ammesse al confronto. L'amministrazione aggiudicatrice è però tenuta a compilare la lista delle imprese da invitare al confronto nel rispetto dei principi generali di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, tutti richiamati nell’art. 125, comma 11, del Dlgs. 163/2006 e, parimenti, deve condurre la procedura sulla base dei medesimi criteri.
Quando vi sono imprese che hanno già svolto analoghi lavori o servizi sulla base di procedure negoziate l’amministrazione aggiudicatrice può legittimamente decidere di favorire l’ingresso di altri soggetti escludendo dagli inviti, per un certo periodo, gli affidatari pregressi. Il principio di rotazione risulta ancora più stringente per l’amministrazione aggiudicatrice quando la situazione di mercato in un determinato contesto economico sia caratterizzata dalla presenza di numerose imprese potenzialmente idonee e interessate all’appalto. In questo caso la rotazione può essere applicata non solo ai precedenti affidatari ma anche ai soggetti che abbiano partecipato alle procedure negoziate senza conseguire l’appalto.
Nello specifico l’applicazione del principio di rotazione appare giustificata, in quanto la ricorrente è stata più volte invitata in passato a procedure di cottimo fiduciario e in un caso è risultata anche aggiudicataria (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 21.01.2011 n. 137 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Piano regolatore generale - Osservazioni - Accoglimento - Ripubblicazione del piano - Mutamento delle caratteristiche e dei criteri essenziali.
Le osservazioni dei privati al piano regolatore generale costituiscono meri apporti collaborativi alla formazione del piano ed il loro accoglimento non determina un obbligo di ripubblicazione del piano: perché si renda necessaria la ripubblicazione deve aversi una rielaborazione complessivamente innovativa del piano stesso, e cioè un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che alla sua impostazione rispettivamente hanno presieduto (Cons. Stato, sez. IV, 25.11.2003, n. 7782; id. 19.06.2007, n. 3300) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 21.01.2011 n. 123 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: ASSOCIAZIONI E COMITATI - Associazioni ambientaliste non comprese nell’elenco di cui all’art. 13 della L. n. 349/1986 - Legittimazione ad impugnare provvedimenti lesivi di interessi ambientali - Requisiti.
Le associazioni ambientaliste non comprese nell'elenco di cui all'art. 13 della legge n. 349 del 1986, sono legittimate a impugnare i provvedimenti lesivi di interessi ambientali qualora perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale, abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità, abbiano un'area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 21.01.2011 n. 121 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Discarica o altro impianto per trattamento, smaltimento o recupero - Soggetto residente nel comune nel cui territorio l’impianto insiste - Legittimazione ad impugnare gli atti di approvazione o autorizzazione - Collegamento diretto - Interesse personale, concerto e attuale - Mera aspettativa alla salubrità del’ambiente - Insufficienza - INQUINAMENTO ACUSTICO - Legittimazione - Presupposti.
La mera presenza di una discarica o ad altro impianto per il trattamento e lo smaltimento (o recupero) di rifiuti anche a mezzo di termocombustione, non legittima il proprietario di un bene residente nel Comune nel cui territorio l’impianto insiste ad insorgere avverso gli atti con i quali si provvede all’approvazione del progetto dell’opera sotto i vari aspetti procedimentali o all’autorizzazione alla gestione e/o alla messa in esercizio dell'opera o ancora agli scarichi e immissione nell’atmosfera del prodotto della combustione, laddove non sussista un collegamento diretto, immediato e oggettivo fra quanto deliberato con i suddetti provvedimenti e un interesse giuridico personale concreto e attuale del soggetto che si ritiene leso.
Tale non può qualificarsi, per esempio, l’aspettativa alla salubrità dell’ambiente o il timore generico di possibili effetti pregiudizievoli legati esclusivamente alla presenza dell’opera pubblica o dell’impianto.
Anche con riguardo ai limiti di inquinamento acustico, la legittimazione può essere favorevolmente riconosciuta solo laddove sia accertato che effettivamente l’esercizio dell’impianto superi nei confronti della stessa ricorrente i limiti di immissione o emissione (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 21.01.2011 n. 121 - link a www.ambientediritto.it)

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Imposizione del vincolo archeologico - Interventi di bonifica o edificatori - Limitazioni - Manifestazioni di potestà espropriativa - Esclusione.
L'imposizione di vincolo archeologico su un determinato terreno non esclude -ferma restando la necessità d'acquisizione dell'autorizzazione da parte della competente Soprintendenza chiamata a valutare, ai sensi degli art. 11 e 12 l. 01.06.1939 n. 1089, la compatibilità della costruzione con la fruibilità dei beni assoggettati a vincolo- la possibilità di eseguire eventuali interventi di bonifica o di contenimento dei terreni né, in linea di principio, l’edificabilità essendo astrattamente concepibile un particolare tipo di costruzione realizzato senza che i reperti archeologici subiscano un uso incompatibile col loro carattere storico o artistico.
Ne deriva che il vincolo archeologico di norma ha carattere conformativo della proprietà, per cui le limitazioni che ne conseguono non costituiscono manifestazione della potestà espropriativa, bensì appunto di quella conformativa della proprietà privata ammessa senza indennizzo dall'art. 42, comma 2, cost. (in senso conforme si veda TAR Puglia, Bari, Sez. II, 03.09.2002, n. 3815).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Imposizione del vincolo archeologico - Sottoposizione a vincolo successivamente all’edificazione di manufatti - Irragionevolezza - Esclusione.
L’imposizione di un vincolo archeologico necessita di indagini e approfondimenti che possono richiedere anche molto tempo oltre che opportuni finanziamenti non sempre disponibili, con la conseguenza che non appare illogica la scelta di sottoporre a vincolo una determinata zona anche a distanza di vari anni ed anche successivamente alla edificazione di manufatti; anzi, il vincolo indiretto si giustifica maggiormente con la esigenza di non consentire o comunque regolare un siffatto sfruttamento una volta accertato l'interesse archeologico del sito proprio al fine di preservare l’intera zona (si veda, sul punto, Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. giurisd., 29.12.1997, n. 579 e TAR Lazio, Sez. II, 23.01.1997, n. 235) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 20.01.2011 n. 551 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIIn materia di procedure ad evidenza pubblica le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la impresa partecipante alla gara sono di stretta interpretazione, dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute e restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione.
La norma contenuta nell’art. 38, comma 1, lettera f), del Codice dei Contratti, nel prevedere quale requisito di partecipazione alla gara che il concorrente non abbia commesso “grave negligenza o malafede” nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante ovvero un “errore grave” nell’esercizio della propria attività professionale, non può essere estesa in via interpretativa a soggetti giuridici diversi (quand’anche collegati) da quello che abbia concretamente presentato la domanda di partecipazione e abbia reso la dichiarazione prevista dalla suddetta norma, essendo quest’ultima di natura eccezionale, e quindi di stretta interpretazione.

E’ principio condiviso quello per cui in materia di procedure ad evidenza pubblica le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la impresa partecipante alla gara sono di stretta interpretazione, dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute e restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione (da ultimo, Consiglio Stato, sez. V, 15.11.2010, n. 8044; Consiglio Stato, sez. V, 10.09.2010, n. 6550; Consiglio Stato, sez. V, 21.05.2010, n. 3213).
Da tale principio consegue che la norma contenuta nell’art. 38, comma 1, lettera f), del Codice dei Contratti, nel prevedere quale requisito di partecipazione alla gara che il concorrente non abbia commesso “grave negligenza o malafede” nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante ovvero un “errore grave” nell’esercizio della propria attività professionale, non può essere estesa in via interpretativa a soggetti giuridici diversi (quand’anche collegati) da quello che abbia concretamente presentato la domanda di partecipazione e abbia reso la dichiarazione prevista dalla suddetta norma, essendo quest’ultima di natura eccezionale, e quindi di stretta interpretazione (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 20.01.2011 n. 33 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Mancata indicazione preventiva dei costi di sicurezza - Incompletezza dell’offerta - Natura costituzionale degli interesse protetti.
La violazione della norma primaria che impone l’indicazione preventiva dei costi di sicurezza rende l’offerta incompleta sotto un profilo particolarmente importante alla luce della natura costituzionalmente sensibile degli interessi protetti, ed impedisce alla Stazione appaltante un adeguato controllo sull’affidabilità dell’offerta stessa (in termini Cons. Stato, Sez. V, 23.07.2010, n. 4849) (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 20.01.2011 n. 17 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vincolo indiretto - Omessa notifica al proprietario, possessore o detentore - Inefficacia del provvedimento - Esclusione - Art. 47 d.lgs. n. 42/2004.
L’art. 47 del codice dei beni culturali (d.lgs. 22.01.2004, n. 42), al primo comma, dispone che il provvedimento contenente le prescrizioni di tutela indiretta è notificato al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo degli immobili interessati, tramite messo comunale o a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento, e doveva dunque essere comunicato alla società ricorrente.
Tale disposizione non vale tuttavia a sancire il carattere recettizio del provvedimento contenente prescrizioni di tutela indiretta, con la conseguenza che la sua comunicazione non è condizione di efficacia del provvedimento.
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vincolo indiretto - Differenza con il vincolo diretto - Cornice ambientale - Imposizione del vincolo sull’area in vista o in prossimità del bene culturale.
A differenza del vincolo diretto, che riguarda il bene culturale, il vincolo indiretto si caratterizza per coinvolgere l’ambito costituente la “fascia di rispetto”, che non coincide con l’ambito materiale dei confini perimetrali dei singoli immobili, ma va stabilita in rapporto alla consistenza della c.d. “cornice ambientale”; ciò comporta che il vincolo indiretto può essere imposto sull’area che si trova in vista od in prossimità del bene culturale (tra le tante, TAR Veneto, Sez. II, 04.11.2004, n. 3846) (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 20.01.2011 n. 16 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere abusive - Ordine di demolizione intervenuto a lunga distanza di tempo dall’ultimazione dei lavori - Motivazione - Indicazione delle ragioni di pubblico interesse che giustificano l’irrogazione della sanzioni.
L’ordine di demolizione di un’opera abusiva, intervenuto a lunga distanza di tempo dall’ultimazione dei lavori, e quindi in una situazione di consolidato affidamento del privato sulla legittimità del proprio intervento, non può essere sorretto esclusivamente dal richiamo al carattere abusivo dell’opera realizzata, avendo l’amministrazione l’obbligo di dare puntualmente conto delle ragioni di pubblico interesse che giustificano l’irrogazione della sanzione della demolizione, quali, ad esempio, il pericolo di crollo o di pregiudizio per l’igiene e la sanità pubblica.
In altri termini, il decorso del tempo, in deroga al principio secondo cui la motivazione di un provvedimento repressivo in materia edilizia non necessita di alcuna motivazione diversa dal richiamo alla abusività dell’opera, impone al Comune, in ossequio alla generale regole di buona amministrazione scolpita nell’art. 97 della Costituzione, di rafforzare l’impalcatura motivazionale mediante il richiamo a situazioni che giustificano il rinnovato interesse pubblico alla rimozione della situazione antigiuridica ed al conseguente sacrificio del contrapposto interesse del privato (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 19.01.2011 n. 493 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: INFORMAZIONE AMBIENTALE - Documentazione attinente a problematiche di carattere ambientale - Prevalenza del diritto di accesso rispetto alle esigenze di riservatezza - Art. 3 d.lgs. n. 195/2005.
Nel delicato equilibrio tra le esigenze di tutela di situazioni giuridicamente tutelate ed eventuali esigenze di riservatezza dei terzi, deve ritenersi prevalente il diritto di accesso ove la documentazione richiesta sia attinente a problematiche di carattere ambientale, rispetto alle quali trova applicazione l’art. 3 del D.Lgs. n. 195 del 2005, che peraltro prescinde anche dalla titolarità di uno specifico interesse in capo all’istante (TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 19.01.2011 n. 473 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: In sede di occupazione d’urgenza l’intervento deve essere motivato congruamente.
Occorre evidenziare come la norma in questione, ossia l’art. 22-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, come introdotto dall’art. 1 D.Lgs. 27.12.2002 n. 302, prevede, al comma I, che “Qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, tale da non consentire, in relazione alla particolare natura delle opere, l'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 20, può essere emanato, senza particolari indagini e formalità, decreto motivato che determina in via provvisoria l'indennità di espropriazione, e che dispone anche l'occupazione anticipata dei beni immobili necessari”.
Accanto a tale previsione generale, l’urgenza è inoltre prevista direttamente dalla norma per gli interventi di cui alla legge 21.12.2001, n. 443, e quindi in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici, e qualora il numero dei destinatari della procedura espropriativa sia superiore a 50.
Nel caso in esame, la giurisprudenza formatasi in relazione alle modalità applicative dell’art. 22-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 si è consolidata nel senso che l’onere motivazionale dell’amministrazione si debba estendere alle oggettive ragioni che denotano la supposta urgenza, in modo che una puntuale analisi dei presupposti può essere esclusa solo qualora evincibile da altri elementi del procedimento.
Pertanto, perché possa legittimamente farsi luogo ad occupazione di urgenza ai sensi dell'art. 22-bis, d.P.R. 08.06.2001 n. 327, occorre che l'amministrazione motivi congruamente in ordine alle oggettive ragioni che denotano la conclamata urgenza dell'intervento, potendo tale obbligo motivazionale escludersi nei soli casi in cui questa risulti in re ipsa dalla natura stessa dell'intervento (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 22.05.2008, n. 2459) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.01.2011 n. 385 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Ordine di trattazione dei ricorsi, impugnabilità del bando, immodificabilità soggettiva del concorrente e a.t.i. sovrabbondanti: deciderà l'Adunanza Plenaria.
A distanza di pochi giorni dall’ordinanza n. 14, del 05.01.2011 della Quarta sezione del Consiglio di Stato (in tema di D.I.A.), un altro pacchetto di problematiche di grande rilievo è stato deferito, questa volta dalla Sesta Sezione, all’Adunanza Plenaria.
Sono tre i gruppi di questioni individuati nell’ordinanza di rimessione 18.01.2011 n. 351:
a) ai sensi dell’art. 99, co. 3, c.p.a. (“Se la sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall'adunanza plenaria”):
- quanto alla questione di ordine di esame di ricorso principale e incidentale in caso di contenzioso su gare di appalto quando tutti i concorrenti siano in giudizio ricorrenti principali (i concorrenti diversi dall’aggiudicatario) o incidentale (l’aggiudicatario);
b) ai sensi dell’art. 99, co. 5, c.p.a. (“Se ritiene che la questione è di particolare importanza, l'adunanza plenaria può comunque enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l'estinzione del giudizio”):
- quanto alla questione dell’ambito dell’onere di impugnazione immediata del bando di gara e della legittimazione all’impugnazione del medesimo e a quella dei limiti di ammissibilità di un’a.t.i. sovrabbondante;
c) ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a. (“se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali”):
- quanto alla modificabilità o meno "per riduzione" della compagine organizzativa di a.t.i. e consorzi in corso di gara; alla necessità o meno che le imprese del settore che impugnino gli atti di una procedura senza bando cui non hanno partecipato, dimostrino il possesso dei requisiti di partecipazione a quella gara.
L’ordinanza di rimessione trae spunto da una gara per l’affidamento della progettazione esecutiva e della progettazione relativo a interventi di trazione elettrica.
Tre i classificati: il secondo impugnava l’aggiudicazione; l’aggiudicatario proponeva ricorso incidentale contro il secondo; quest’ultimo, per fondare il proprio interesse strumentale al ricorso e alla rinnovazione della gara, proponeva con motivi aggiunti censure contro l’ammissione in gara della terza classificata, che a sua volta passava al contrattacco, contestando l’ammissione delle prime due, le quali reagivano con distinti ricorsi incidentali.
Insomma: tre concorrenti, tutti contro tutti.
All’esito dell’articolato giudizio di primo grado, di fatto restava in piedi l’aggiudicazione in favore della prima classificata.
1) La prima questione attiene all’ordine di esame dei ricorsi principali e dei ricorsi incidentali, non già in termini generali, ma solo nel limitato caso di gare di appalto in cui i concorrenti ammessi tendono ad escludersi a vicenda al fine di pervenire alla rinnovazione della gara.
Questione già oggetto di pronuncia da parte della Adunanza Plenaria (Cons. St., Ad. Plen., 10.11.2008 n. 11) con riferimento al caso di due soli concorrenti, ma con principi che sono estensibili anche al caso di gara con tre o più concorrenti ammessi.
La soluzione sinora accolta fa leva sulla nozione di interesse strumentale al ricorso e sul principio di imparzialità del giudice e parità delle parti, principi che prevarrebbero sulle regole ordinarie relative all’ordine di trattazione delle questioni.
Ritiene peraltro che il sistema elaborato dalla giurisprudenza in materia di contratti della p.a., oltre a favorire una litigiosità esasperata –e il caso in esame ne sarebbe un esempio illuminante–, da una parte, non garantisca la soddisfazione dell’interesse primario del concorrente (l’aggiudicazione dell’appalto); dall’altra, renderebbe estremamente difficoltosa e spesso impossibile (si pensi alla perdita di finanziamenti comunitari) l’esecuzione dell’opera pubblica.
Quindi, la materia meriterebbe un ripensamento perché a fronte dell’interesse strumentale dei concorrenti, a dir poco ipotetico, verrebbero invece sacrificati l’interesse pubblico, indubbio e attuale, all’esecuzione dell’opera (quantomeno all’esecuzione in tempi ragionevoli come auspicato e preteso in tutti i modi dal legislatore) e l’interesse del privato beneficiario dell’aggiudicazione sia pure illegittima.
2) Una seconda questione riguarda l’ammissibilità o meno della legittimazione ad impugnare il bando in capo ad un’impresa che abbia scelto di partecipare alla gara.
Viene posto in dubbio se sia corretto riconoscere la legittimazione ad impugnare il bando in capo a chi abbia partecipato alla gara (la giurisprudenza addirittura afferma la necessità, di regola e salvo limitate eccezioni, di presentare domanda di partecipazione alla gara per poterne impugnare il bando; cfr. Cons. St., ad. plen., 23.01.2003 n. 1).
La risposta negativa proposta dalla Sesta Sezione, in difformità dell’indirizzo consolidato, non sarebbe espressione di una logica sanzionatoria e formalistica, ma al contrario sarebbe ispirata al rispetto del principio di buona fede, di ovvia applicazione nelle trattative contrattuali fra privati e stranamente disatteso in rapporti che più degli altri lo esigerebbero.
3) Una terza questione, in teme di avvalimento, riguarda l’eccepito difetto di requisiti di qualificazione dell’impresa ausiliaria di cui si è avvalsa l’a.t.i. aggiudicataria, risultata priva di alcuni requisiti richiesti dall’art. 38 codice contratti.
si interroga circa le conseguenze della eventuale declaratoria di inammissibilità dell’avvalimento.
L’aggiudicatario, richiamato un orientamento interpretativo che ammette deroghe al principio di immodificabilità soggettiva del concorrente in caso di venir meno del raggruppamento o del consorzio (orientamento estendibili anche all’ipotesi del venir meno dell’impresa ausiliaria), si era difeso sostenendo la possibilità di modificare la propria compagine organizzativa –per riduzione– offrendo le restanti componenti dell’a.t.i. i requisiti che l’impresa ausiliaria non poteva più prestare.
L’interpretazione più restrittiva del divieto di modificazione previsto dall’art. 37, co. 9, del codice dei contratti pubblici, è stata di recente condivisa proprio dalla Sesta sezione, ma con puntualizzazioni che già comportano un contrasto di giurisprudenza.
Da qui l’esigenza di rimettere in discussione in radice il principio dell’ammissibilità di modifiche della compagine organizzativa del concorrente in corso di gara, affermato, sia pure con diverse sfumature, da alcune decisioni.
4) Ma almeno un’altra importante questione viene rimessa all’Adunanza Plenaria, sullo sfondo della tutela della concorrenza, circa la legittimità di a.t.i. sovradimensionate.
Viene ricordato che in taluni casi concreti l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e la giurisprudenza hanno ritenuto illecita, sul piano del diritto di concorrenza, la costituzione ex ante di a.t.i. a prescindere da ogni esigenza reale rispetto ai requisiti previsti dai bandi di gara, inserendosi in un più complesso contesto collusivo caratterizzato dall’esistenza di intese a monte rappresentate da accordi puntuali e "macroaggregazioni" aventi quale loro oggetto esplicito la disciplina del comportamento delle imprese per fini anticoncorrenziali più che per la finalità sinergica volta al miglioramento dell’offerta (Cons. St., sez. VI, 09.04.2009 n. 2203).
Anche tale questione merita, ad avviso della Sezione, un approfondimento per valutare se sia il caso di pervenire ad un divieto generalizzato, pur in difetto di espressa previsione nell’art. 38 codice appalti, ovvero di riconoscere in capo alla stazione appaltante il potere di escludere dalla gara un’a.t.i. sovrabbondante che costituisca un palese artificio in danno della concorrenza eventualmente previa espressa previsione in tal senso nel bando di gara.
Si è così cercato di sintetizzare il contenuto di questa importantissima ordinanza, la cui ricchezza di argomentazioni e sfumature merita un più attento e completo esame, anche perché le possibili implicazioni pratiche appaiono sin d’ora notevoli (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Deve impugnarsi immediatamente solo la clausola del bando univocamente lesiva.
E' illegittima la esclusione dalla partecipazione ad una gara motivata esclusivamente sulla base di un divieto non assistito dalla relativa sanzione in quanto contrastante con i principi di favor partecipationis e della tassatività delle cause di esclusione, le quali devono risultare chiaramente dal bando.
Quando l'impresa partecipante ad una gara pubblica ottiene il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione, ovvero per la semplice perdita della possibilità di aggiudicazione, non sussistono i presupposti per il risarcimento dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione.
Quanto alla lamentata perdita di chance la Sezione ritiene di aderire all'indirizzo giurisprudenziale che limita il criterio presuntivo del 10%, invocato dalla appellante, facendo applicazione del principio dell'aliunde perceptum, quale strumento per evitare indebite locupletazioni da parte del danneggiato, secondo il quale il mancato guadagno può essere risarcito per intero, se e in quanto l'impresa sarebbe stata aggiudicataria della gara e possa nel contempo documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l'espletamento di altri servizi. Laddove tale dimostrazione non sia stata offerta, è da ritenere che l'impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile

E' noto il principio giurisprudenziale, anche di recente ribadito dalla Sezione, secondo cui vi è necessità di immediata impugnazione della clausola del bando lesiva solo ove questa precluda in maniera definitiva ed univoca la partecipazione alla gara, ma non nel caso in cui la stessa clausola sia ambigua (Cons. Stato, V 15.10.2010 n. 7515).
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Si richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui è illegittima la esclusione dalla partecipazione ad una gara motivata esclusivamente sulla base di un divieto non assistito (come nel caso di specie) dalla relativa sanzione in quanto contrastante con i principi di favor partecipationis e della tassatività delle cause di esclusione, le quali devono risultare chiaramente dal bando (Cons. Stato, V, 11.12.2007 n. 6410).
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E' preferibile l’orientamento giurisprudenziale secondo cui quando l'impresa partecipante ad una gara pubblica ottiene il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione, ovvero per la semplice perdita della possibilità di aggiudicazione, non sussistono i presupposti per il risarcimento dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione (Cons. Stato , sez. IV, 07.09.2010, n. 6485).
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Quanto alla lamentata perdita di chance la Sezione ritiene di aderire all'indirizzo giurisprudenziale che limita il criterio presuntivo del 10%, invocato dalla appellante, facendo applicazione del principio dell'aliunde perceptum, quale strumento per evitare indebite locupletazioni da parte del danneggiato, secondo il quale il mancato guadagno può essere risarcito per intero, se e in quanto l'impresa sarebbe stata aggiudicataria della gara e possa nel contempo documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l'espletamento di altri servizi. Laddove tale dimostrazione non sia stata offerta, è da ritenere che l'impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 1666/2008).
L'onere di provare l'assenza dell'aliunde perceptum grava sull'impresa dovendosi ritenere che l'imprenditore, in quanto soggetto che esercita professionalmente un'attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte per tutto il tempo della gara e sino alla mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trae utili.
Poiché l'appellata non ha fornito prova al riguardo, né presentando la offerta economica, né documentando un'inutile immobilizzazione di risorse umane e mezzi tecnici, deve concludersi che essa abbia ragionevolmente riadoperato le proprie risorse per lo svolgimento di attività analoghe, con la necessità della riduzione dell'importo a base d’asta al 50%, secondo un criterio di riduzione in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c.. Questa cifra va a sua volta divisa per il numero dei partecipanti alla gara (Sez. VI, 09.03.2007, n. 1114; sez. VI, 09.11.2006 n. 6607; Sezione VI, 25.07.2006, n. 4634; sez. V 24.10.2002 n. 5860)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.01.2011 n.  329 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa necessità della concessione edilizia riguarda ogni costruzione tendenzialmente permanente che incida in modo significativo sul territorio e la stabilità non dipende in misura rilevante dalla tipologia dei materiali utilizzati, ma dal tipo di destinazione ad un bisogno che non assuma caratteri di provvisorietà.
Per valutare la necessità o meno di una concessione edilizia è necessario partire dalla descrizione del manufatto così come risulta dal verbale di sopralluogo effettuato dalla Polizia Municipale e da cui ha tratto origine l’ordinanza impugnata.
Gli agenti in data 23.07.1999 trovarono in corso di realizzazione lavori per la realizzazione su di una base di calcestruzzo di una struttura in ferro con tamponamenti in muratura ed una copertura in materiale plastico coibentato con dimensioni della superficie di mt. 7,50 per mt. 4 ed un altezza variabile tra i mt. 2,05 ed i mt. 3.
La necessità della concessione edilizia riguarda ogni costruzione tendenzialmente permanente che incida in modo significativo sul territorio e la stabilità non dipende in misura rilevante dalla tipologia dei materiali utilizzati, ma dal tipo di destinazione ad un bisogno che non assuma caratteri di provvisorietà.
Inoltre poggiando la costruzione su una base di calcestruzzo è discutibile anche la sua amovibilità.
Peraltro non ha alcun rilievo la circostanza che l’opera è al servizio del fondo agricolo poiché il ricorrente non svolge l’attività di agricoltore e quindi non è legittimato neanche a richiedere l’edificazione in zona agricola (TAR Lombardia-Milano, Sez. VI, sentenza 18.01.2011 n. 127 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'ordine di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall'avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale sanzione per l’accertamento della inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e conseguente disciplinato rigidamente dalla legge.
I provvedimenti di repressione degli abusi edilizi, in quanto atti vincolati, sono sufficientemente motivati con l'affermazione dell'accertata irregolarità dell'intervento, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla rimozione dell'abuso -anche se risalente nel tempo- senza necessità di una motivazione su puntuali ragioni di interesse pubblico e di una specifica comparazione con gli interessi privati coinvolti: l'esercizio del potere di controllo e sanzionatorio in materia urbanistico-edilizia è, difatti, imprescrittibile e costituisce atto dovuto.
L’onere della prova circa la data di realizzazione dell’immobile abusivo (o anche della attività edilizia abusiva da sanare) spetta a colui che ha commesso l’abuso e solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi, che non possono limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni, trasferisce il suddetto onere in capo all’Amministrazione.

L'ordine di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall'avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale sanzione per l’accertamento della inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e conseguente disciplinato rigidamente dalla legge (Tar Campania, Napoli, sez. IV, 10.12.2007, n. 15871) (nello stesso senso cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 26.09.2008, n. 4659, secondo cui “gli atti sanzionatori in materia edilizia -attesa la loro natura rigidamente vincolata- non risultano viziati ove non siano stati preceduti dalla comunicazione d’avvio del procedimento”).
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Nel percorso argomentativo dell’ordine di demolizione non è necessaria alcuna specificazione ulteriore rispetto alla presa d'atto dell'abusività dell'opera (cfr. sul punto, anche qui ex plurimis, TAR Lazio, I-quater, 14.01.2008 n. 174: "i provvedimenti di demolizione di opere abusive sono atti dovuti, sufficientemente motivati con l’affermazione dell’accertata realizzazione di interventi edilizi in carenza del titolo abilitativo richiesto dalla legge. Di conseguenza, in relazione a provvedimenti di tal genere, l’obbligo di motivazione è da intendere nella sua essenzialità ovvero è da intendere assolto con l’indicazione dei meri presupposti di fatto (constatazione dell’esecuzione di opere edilizie in difformità del permesso di costruire o in assenza del medesimo), che poi determinano l’applicazione dovuta delle misure ripristinatorie previste"; nello stesso senso TAR Campania, Napoli, II, 13.10.2008 n. 15498).
Né esiste un onere di maggior motivazione se è decorso del tempo dall’abuso, in quanto “i provvedimenti di repressione degli abusi edilizi, in quanto atti vincolati, sono sufficientemente motivati con l'affermazione dell'accertata irregolarità dell'intervento, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla rimozione dell'abuso -anche se risalente nel tempo- senza necessità di una motivazione su puntuali ragioni di interesse pubblico e di una specifica comparazione con gli interessi privati coinvolti: l'esercizio del potere di controllo e sanzionatorio in materia urbanistico-edilizia è, difatti, imprescrittibile e costituisce atto dovuto” (Tar Milano, II, 4648/2009) (sul punto v. anche Tar Milano, II, 377/2008: "Stante la natura vincolata del potere sanzionatorio-repressivo degli abusi edilizi e il dato giuridico per cui la sanzione demolitoria è volta, non tanto a punire il responsabile dell'abuso, quanto a ripristinare la situazione antecedente alla violazione, è legittima l'ordinanza di demolizione comminata a distanza di lungo tempo rispetto alla commissione dell'abuso edilizio, non necessitando la medesima di essere sorretta da una specifica motivazione in ordine all'esistenza di un interesse pubblico prevalente rispetto all'affidamento del privato sulla legittimità dell'opera o sul consolidamento del proprio interesse alla sua conservazione").
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In materia edilizia il principio è del tutto consolidato ed stato riaffermato da ultimo da Cons. Stato, sez. IV, 13.01.2010 n. 45, secondo cui “l’onere della prova circa la data di realizzazione dell’immobile abusivo (o anche della attività edilizia abusiva da sanare) spetta a colui che ha commesso l’abuso e solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi, che non possono limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni, trasferisce il suddetto onere in capo all’Amministrazione. La P.A., infatti, non può di solito materialmente accertare quale sia la situazione dell’intero suo territorio a quella data prevista dalla legge, mentre il privato, che propone l’istanza di concessione edilizia in sanatoria, è normalmente in grado di fornire idonea documentazione che comprovi la ultimazione dell’abuso entro la data prevista dalla legge, a costui spettando l’onere di fornire quantomeno un principio di prova su tale ultimazione e in caso contrario restando integro il potere di non concedere il condono e di irrogare la sanzione prescritta
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.01.2011 n. 69 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di una ATI da una gara per l'affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani in quanto la mandante risultava affidataria diretta di servizi pubblici locali diversi da quello posto in gara.
Il testo novellato dell'art. 23-bis, c. 9, come sostituito dall'art. 15, c. 1, lett. d), del d.l. n. 135/2009, consente alla società titolare di affidamento diretto di individuare la gara oggetto di deroga su tutto il territorio nazionale, anziché nel solo contesto territoriale interessato dall'affidamento in essere.

E' legittima l'esclusione di una ATI costituenda dalla procedura di gara, indetta da un Consorzio Obbligatorio di Comuni, avente ad oggetto l'appalto dei servizi di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani in ottantaquattro comuni della provincia, in quanto la mandante era partecipata al 49,5% da una S.p.a. la quale, a sua volta, era titolare di affidamenti diretti del servizio di distribuzione del gas naturale in molteplici comuni. Tali affidamenti, disposti senza procedura di gara, erano, infatti, suscettibili di attribuire vantaggi competitivi all'affidataria e costituivano, pertanto, presupposto per l'applicazione del divieto di partecipazione nei confronti della società partecipata, previsto dall'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, convertito in l. n. 133/2008.
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La ratio sottesa alle disposizioni normative di cui agli artt. 113, c. 6 del T.U.E.L. e 23-bis, c.9, del d.l. n. 112/2008, convertito in l.n. 133/2008 (nel testo vigente al momento della pubblicazione del bando nel caso di specie) era quella di evitare che le società titolari di affidamenti diretti, quindi operanti in un mercato protetto, potessero operare con enti diversi da quelli di riferimento e introdurre meccanismi di alterazione della concorrenza derivanti dai privilegi di cui esse godono. Il legislatore, peraltro, ha ritenuto di dettare regole transitorie che contemplavano la possibilità di partecipare alle "prime gare" aventi ad oggetto i servizi forniti da tali società. La deroga era finalizzata ad evitare un'ingiustificata dissipazione delle risorse investite nelle società già affidatarie dirette di servizi pubblici locali e di tutelare l'affidamento generato in capo alle stesse. Tenendo conto di tali finalità e della natura derogatoria, quindi eccezionale, delle disposizioni normative in esame, le stesse vanno interpretate in senso letterale, circoscrivendone conseguentemente l'applicazione alla possibilità di partecipare alla prima gara successiva per chi svolgeva in affidamento diretto il medesimo servizio.
Pertanto, nel caso di specie, è corretta la determinazione assunta dalla stazione appaltante e l'infondatezza della tesi di parte ricorrente che pretende di riferire la nozione di "prima gara" a tutte le procedure competitive indette per la prima volta, anche da enti diversi da quelli presso i quali operava l'affidatario diretto. Quest'ultima interpretazione, peraltro, non sarebbe consentita neppure dal testo novellato dell'art. 23-bis, c. 9, come sostituito dall'art. 15, c. 1, lett. d), del d.l. n. 135/2009, secondo il quale "i soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti".
Il nuovo dettato normativo, comunque inapplicabile ratione temporis alla procedura di gara, ha innovato la disciplina previgente nel senso di conferire una particolare facoltà di scelta alla società titolare di affidamento diretto la quale può ora individuare la gara oggetto di deroga su tutto il territorio nazionale, anziché nel solo contesto territoriale interessato dall'affidamento in essere.
La disposizione medesima, invece, non può essere interpretata come se contemplasse la possibilità di partecipare a tutte le prime gare indette da ciascun ente su tutto il territorio nazionale, giacché tale approccio ermeneutico, oltre a contrastare con la delineata ratio dell'art. 23-bis (anche nella nuova versione), svuoterebbe di reale significato il divieto di partecipazione posto in linea di principio dalla norma (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 14.01.2011 n. 26 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: E' illegittima l’esclusione dalla gara per omessa indicazione nella domanda di partecipazione l’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec), come prescritto dal bando di gara.
È illegittima l’esclusione da una gara d’appalto dell’impresa che abbia omesso di indicare nella domanda di partecipazione l’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec), come prescritto dal bando di gara, che prevedeva l’indicazione a pena di esclusione di varie forme di ricezione delle comunicazioni.
La clausola del bando di gara che impone la contestuale disponibilità di più forme di ricezione concernenti le comunicazioni di gara (ossia domicilio, fax e posta elettronica certificata) si pone in contrasto con la previsione generale di cui all’art. 79 d.lgs 163/2006, come da ultimo modificato dal d.lgs. n. 53 del 2010, il quale individua mezzi alternativi (e non cumulativi) di comunicazione.
La richiamata clausola, che ai fini della comunicazioni di cui agli art. 11 e 79, richiede l’indicazione necessaria della posta elettronica certificata, oltre il domicilio e il fax, appare eccessiva anche alla luce dei principi generali di cui all’art. 77 del d.lgs 163/2006 in base al quale “il mezzo di comunicazione scelto (tra stazione appaltante e operatore economico) deve essere comunemente disponibile, in modo da non limitare l’accesso degli operatori economici alla procedura di aggiudicazione” e “gli strumenti da utilizzare per comunicare per via elettronica, nonché le relative caratteristiche tecniche, devono essere di carattere non discriminatorio, comunemente disponibili al pubblico e compatibili con i prodotti della tecnologia dell’informazione e della comunicazione generalmente in uso”; in questa prospettiva la necessità che l’indirizzo di posta elettronica avesse natura certificata, a pena di esclusione, non appare requisito ragionevolmente necessario posto che comunque la stazione appaltante era in possesso di tutti i dati necessari (domicilio, fax, posta elettronica) per inviare comunicazioni alla ricorrente, anche con effetto legale (certezza dell’invio e della ricezione).
La previsione risulta infine eccessivamente onerosa anche alla luce della normativa di settore (cfr. art. 16 d.l. 185/2008, così come convertito con legge 2/2009) che impone alle società già operanti di munirsi di un indirizzo Pec solo da novembre 2011, trattandosi di un mezzo di comunicazione d all’utilizzo ancora non generalizzato (massima tratta da www.entilocali.provincia.le.it - TAR Puglia-Lece, Sez. III, sentenza 13.01.2011 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASono onerose, e non gratuite, le opere realizzate da una casa di cura privata.
La regola generale è quella dell’onerosità dei titoli edilizi, che possono essere rilasciati a titolo gratuito solo in via eccezionale, in ipotesi tassativamente indicate dalla norma e di stretta interpretazione.
La giurisprudenza, per parte sua, ha interpretato le ricordate disposizioni nel senso che, per poter addivenire al rilascio di una concessione edilizia gratuita è necessario che coesistano due diversi presupposti o requisiti: uno di carattere oggettivo e uno di carattere soggettivo.
Il primo riguarda l’opera in sé considerata, e richiede che la stessa abbia natura di opera pubblica o di interesse generale.
Questo requisito, nel caso all’esame, sicuramente sussiste. Infatti una struttura sanitaria -ancorché privata, gestita in forma societaria e con fini di lucro- può ritenersi appartenente al “genus” delle opere di interesse pubblico e/o generale, allorché -attraverso la formula organizzatoria dell’accreditamento, che la inserisce nel novero dei soggetti che rendono prestazioni sanitarie e/o assistenziali che appartengono istituzionalmente all’Amministrazione- fornisca ai cittadini assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale quelle prestazioni che l’Ente medesimo dovrebbe erogare direttamente.
Il requisito soggettivo, invece, richiede che le opere in esenzione, rientrino “nelle istituzionali competenze degli enti realizzatori”; cioè che siano realizzate da un “ente” e siano funzionali al perseguimento dei fini che gli sono propri, come determinati dalla legge.
In definitiva, la giurisprudenza ha, condivisibilmente, ritenuto (si vedano, ad esempio: C.S. n. 2226/2005; Tar Lazio, n. 1620/2009 e Tar Liguria n. 3565/2009) che l’esenzione dal contributo possa essere accorata quando l’opera sia realizzata direttamente da un Ente pubblico -ovvero da un privato dallo stesso “delegato” nei modi che la legge prevede, ad esempio con concessione- e l’opera stessa sia destinata alla cura dei pubblici interessi di cui il soggetto (pubblico) è attributario.
Non occorre spendere molte parole per rilevare come, nella specie, manchi proprio questo indefettibile requisito soggettivo: l’esecutore delle opere non è un ente pubblico, né un concessionario di questi, ma un soggetto privato, che le realizza per soddisfare un interesse proprio finalizzato -legittimamente- al profitto, e non per conseguire in via diretta un interesse pubblico suo proprio, che la legge gli abbia attribuito quale finalità istituzionale.
La circostanza che -nello svolgimento della sua attività imprenditoriale con fini di lucro– la struttura sanitaria ricorrente assolva anche, indirettamente, ad una funzione di interesse pubblico (peraltro regolarmente remunerata) non fa sì, perciò solo, che essa divenga un “ente realizzatore” che ha operato in attuazione delle proprie “istituzionali competenze”.
Il pur esistente rapporto tra la Casa di Cura privata e il Servizio Sanitario non ha caratteri tali da far ritenere che l’ampliamento della struttura privata medesima possa dirsi realizzato in nome, o per conto, della struttura pubblica o quale espressione delle “competenze istituzionali” della stessa (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 13.01.2011 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl diritto al risarcimento del danno derivante dal ritardo con il quale l'Amministrazione ha provveduto spetta solo ove i soggetti interessati abbiano reagito all'inerzia impugnando il silenzio-rifiuto; solo in caso di persistente inerzia a seguito di questa procedura può infatti configurarsi la lesione al bene della vita, risarcibile, alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede, nello svolgimento del rapporto qualificato e differenziato tra soggetto pubblico e privato.
E’ stato condivisibilmente affermato che il diritto al risarcimento del danno derivante dal ritardo con il quale l'Amministrazione ha provveduto spetta solo ove i soggetti interessati abbiano reagito all'inerzia (in quel caso) impugnando il silenzio-rifiuto; solo in caso di persistente inerzia a seguito di questa procedura può infatti configurarsi la lesione al bene della vita, risarcibile, alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede, nello svolgimento del rapporto qualificato e differenziato tra soggetto pubblico e privato (TAR Lombardia Milano, sez. IV, 18.10.2010, n. 6989).
Invero, ciò che si risarcisce non è una aspettativa all'agere legittimo dell'Amministrazione, bensì il mancato conseguimento del bene della vita cui si ambiva al momento della proposizione dell'istanza. La norma codicistica di cui all’art. 2043 c.c., infatti, subordina il risarcimento alla produzione di un danno ingiusto causalmente generato da una condotta illecita, nel caso di specie da individuarsi nell’asserito ritardo, imputabile all'Amministrazione a titolo di dolo o colpa (cfr. in proposito TAR Lazio-Roma, sez. I, 22.09.2010, n. 32382) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.01.2011 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La disposizione di cui all'art. 16, c. 4, R.D. n. 2440/1923 (l. di contabilità di Stato), secondo cui i processi verbali di aggiudicazione definitiva equivalgono per ogni legale effetto al contratto, è derogabile da una norma regionale.
Il R.D. n. 2440 del 1923, art. 16, c. 4, statuisce che: "I processi verbali di aggiudicazione definitiva, in seguito ad incanti pubblici o a private licitazioni, equivalgono per ogni legale effetto al contratto".
Sennonché il verbale di aggiudicazione di una licitazione privata non necessariamente equivale a ogni effetto legale al contratto, perché l'art. 16 della legge di contabilità dello Stato (R.D. 18.11.1923, n. 2440) è norma dispositiva, che si presta a essere derogata nel senso di escludere che l'aggiudicazione, oltre a concludere il procedimento di scelta del contraente, produca da sé la conclusione dell'accordo.
A maggior ragione quindi questa norma, che è dettata in tema di contabilità generale dello Stato, può essere derogate da una norma regionale nell'ambito di una materia, la cui competenza appartenga alla regione (Corte di Cassazione, SS.UU. civili, sentenza 11.01.2011 n. 391 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAIn materia di abuso edilizio, il ricorso proposto contro il solo verbale redatto dai vigili urbani è inammissibile, in quanto avente valore endoprocedimentale ed efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate dalla polizia municipale, alla quale non è attribuita la competenza all'adozione di atti di amministrazione attiva, a tal uopo occorrendo che la competente autorità amministrativa ne faccia proprio l'esito attraverso un formale atto di accertamento.
Come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa -formatasi in epoca coeva alla proposizione del presente ricorso e confermata dalle pronunce successive- il ricorso proposto contro il solo verbale redatto dai vigili urbani è inammissibile, in quanto avente valore endoprocedimentale ed efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate dalla polizia municipale, alla quale non è attribuita la competenza all'adozione di atti di amministrazione attiva, a tal uopo occorrendo che la competente autorità amministrativa ne faccia proprio l'esito attraverso un formale atto di accertamento (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 15.02.1999, n. 32; TAR Lazio, Sezione II-ter, 12.11.2001, n. 9155; TAR Campania, Sezione IV, 24.09.2002, n. 5582; Sezione II, 18.05.2005, n. 6526; sez. VII, 16.12.2009, n. 8816; Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. Giur., 12.11.2008, n. 930) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 08.01.2011 n. 25 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Illegittimità dell’ordinanza divieto di sosta e di transito a talune categorie di veicoli lungo una via comunale sottoscritta dal Sindaco.
È’ illegittima, per incompetenza, l’ordinanza con la quale il sindaco ha disposto il divieto di sosta e di transito, nei due sensi di marcia, a talune categorie di veicoli lungo una via comunale, atteso che l’art. 7 del d.lgs. 30.4.1992, n. 285, ovvero del codice della strada va coordinato con la norma posteriore dell’art. 107 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267, che attribuisce ai soli dirigenti comunali la competenza ad adottare gli atti e i provvedimenti che impegnino l’amministrazione verso l’esterno, ove non ricompresi “espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico amministrativo degli organi di governo dell’ente” ovvero nelle funzioni, all’evidenza qui non rilevanti, del segretario o del direttore generale.
La competenza già del Sindaco in tema di limitazioni della circolazione deve quindi ritenersi attratta nella competenza propria del dirigente di settore, in quanto si tratta di funzioni di gestione ordinaria; diversamente si potrebbe ritenere solo ove l’intervento di cui si ragiona rivestisse carattere di necessità e urgenza, ai sensi degli artt. 50 e 54 dello stesso t.u.e.l.: in tali termini espressamente Cass. civ., sez. II, 09.06.2010, n. 13885, nonché TAR Campania, Napoli, sez. I, 17.12.2009, n. 8874 e Cons. Stato, sez. II, parere 02.04.2003, n. 1661 ivi citato; solo apparentemente contraria Cons. Stato, sez. V, 17.09.2010, n. 6966, in quanto, a lettura della motivazione, si ricava che l'ntervento del Sindaco era nel caso deciso giustificato dalle citate ragioni di necessità e urgenza (massima tratta da www.entilocali.provincia.le.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 08.01.2011 n. 10 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl concetto di volume tecnico comprende esclusivamente le porzioni di fabbricato destinate ad ospitare impianti, legati da un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzazione dello stesso.
I sottotetti quando sono di altezza tale da poter essere suscettibili d'abitazione o di assolvere a funzioni complementari, quale quella ad esempio di deposito di materiali, devono essere computati ad ogni effetto sia ai fini della cubatura autorizzabile sia ai fini del calcolo dell'altezza e delle distanze ragguagliate all'altezza, non potendo essere annoverati tra i volumi tecnici.

Il concetto di volume tecnico comprende esclusivamente le porzioni di fabbricato destinate ad ospitare impianti, legati da un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzazione dello stesso.
L’intervento edilizio, impropriamente definito tetto termico, ad uso deposito, si sostanzia in effetti in un piano di copertura reso suscettibile di uso abitativo, tenuto conto della rilevante superficie ed altezza media nonché dell’apertura di balconi e di finestre (cfr. Consiglio di Stato, V Sezione, 14.01.1991 n. 44, 21.10.1992 n. 1025 e 13.05.1997 n. 483; TAR Campania, IV Sezione, 09.06.1998 n. 1777 e 12.01.2000 n. 30).
Invero, ai fini della qualificazione di una costruzione rilevano le caratteristiche obiettive della stessa, prescindendosi dall’intento dichiarato dal privato di voler destinare l’opera ad utilizzazioni più ristrette di quelle alle quali il manufatto potenzialmente si presta (cfr. Consiglio di Stato, V Sezione, 23.11.1996 n. 1406, TAR Campania, IV Sezione, 20.06.2002, n. 3632).
In materia, si è evidenziato (per tutte: TAR Campania Napoli, sez. IV, 17.06.2002, n. 3597; TAR Puglia Lecce, sez. III, 15.01.2005, n. 143 Tar Puglia - Bari sent. 2843/2004), con un orientamento del tutto condivisibile, che i sottotetti quando sono di altezza tale da poter essere suscettibili d'abitazione o di assolvere a funzioni complementari, quale quella ad esempio di deposito di materiali, devono essere computati ad ogni effetto sia ai fini della cubatura autorizzabile sia ai fini del calcolo dell'altezza e delle distanze ragguagliate all'altezza, non potendo essere annoverati tra i volumi tecnici.
In definitiva, la tipologia costruttiva e le dimensioni del manufatto realizzato in difformità rispetto al precedente titolo autorizzatorio, consistente nell’innalzamento del tetto e nella realizzazione di servizi riflette con assoluta evidenza la sussistenza del contestato abuso che, in ragione della innegabile trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio che ad esso si riconnette, imponeva il previo rilascio di uno specifico permesso di costruire ad uso abitativo, che valesse ad autorizzarne l’esecuzione.
Peraltro, la stessa elencazione delle opere abusive riflette, con immediatezza, l’evidente attitudine di tali modifiche a determinare, sul piano oggettivo, un mutamento di categoria edilizia tra l’intervento autorizzato (sottotetto non abitabile) ed il manufatto realizzato, che si presta, proprio in ragione delle difformità in contestazione, ad essere utilizzato come abitazione.
E, invero, le divisate innovazioni costruttive e la potenziale autonomia funzionale del “nuovo” manufatto accreditano, senza ombra di dubbio, la oggettiva abitabilità dei locali (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 07.01.2011 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'area di rispetto cimiteriale di 200 metri prevista dall'art. 338 del R.D. n. 1265/1934 comporta un vincolo assoluto di inedificabilità che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare, e che la deroga all’estensione del limite è consentita ai soli fini della realizzazione di “opere pubbliche e di interesse pubblico”.
Detto vincolo comporta una limitazione legale a carattere assoluto del diritto di proprietà, che preclude il rilascio della concessione per opere incompatibili col vincolo medesimo e la natura assoluta del vincolo medesimo non si pone in contraddizione con la possibilità che nella medesima area insistano degli edifici preesistenti e/o che ad esse vengano assegnate destinazioni compatibili con l'esistenza del vincolo ma mira essenzialmente ad impedire l'ulteriore addensamento edilizio dell'area giudicato ex lege, incompatibile con le prioritarie esigenze pubblicistiche sottese alla imposizione del vincolo.

Si è affermato un orientamento della giurisprudenza amministrativa, dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, in base al quale l'area di rispetto cimiteriale di 200 metri prevista dall'art. 338 del R.D. n. 1265/1934 comporta un vincolo assoluto di inedificabilità che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare, e che la deroga all’estensione del limite è consentita ai soli fini della realizzazione di “opere pubbliche e di interesse pubblico” (Cons. St., V, 29.03.2006, n. 1593)
Detto vincolo, secondo consolidata giurisprudenza, comporta, in definitiva, una limitazione legale a carattere assoluto del diritto di proprietà, che preclude il rilascio della concessione per opere incompatibili col vincolo medesimo.
D’altra parte, come si evince dal testo delle norme di cui alla legge n. 166/2002, sopra richiamata, la natura assoluta del vincolo non si pone in contraddizione con la possibilità che nella medesima area insistano degli edifici preesistenti e/o che ad esse vengano assegnate destinazioni compatibili con l'esistenza del vincolo (Cass. Civ., sez. I, n. 6510/1997), ma mira essenzialmente ad impedire l'ulteriore addensamento edilizio dell'area giudicato ex lege, incompatibile con le prioritarie esigenze pubblicistiche sottese alla imposizione del vincolo (C.G.A.R.S., sentenza 05.01.2011 n. 2 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, che si protraggono nel tempo e vengono meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni, pertanto il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere. In altri termini, l'Autorità non emana un atto "a distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica ancora sussistente.
Il deposito di una roulotte all'interno di un suolo privato debba qualificarsi quale costruzione urbanisticamente rilevante in presenza di indici in grado di supportare il carattere non precario della installazione.
La precarietà di un manufatto, tale per cui esso non necessiti di concessione edilizia, va esclusa se il manufatto stesso è destinato a recare un'utilità prolungata e perdurante nel tempo. In tal caso, infatti, esso produce una trasformazione urbanistica perché altera in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, senza che rilevino i materiali impiegati, l'eventuale precarietà strutturale e la mancanza di fondazioni, se tali elementi non si traducano in un uso contingente e limitato nel tempo, con l'effettiva rimozione delle strutture.
Con riferimento agli insediamenti abitativi abusivamente posti in essere da componenti della comunità nomade, la giurisprudenza ha evidenziato come le esigenze di tale parte della popolazione trovino unicamente soddisfazione nelle specifiche iniziative di spettanza dell’Amministrazione pubblica, ovvero nell’apprestamento di aree di sosta nei campi attrezzati, non certamente in iniziative autonome od individuali in contrasto con la normativa urbanistica ed edilizia, neppure in caso di inerzia o inadempienza degli enti coinvolti dalla legge nella tutela delle etnie nomadi.

Le opere realizzate senza titolo in zona agricola consistono in:
- n. 2 roulottes;
- casetta in legno di m. 5.61x3.98;
- manufatto in lamiera ad uso wc di m. 1.05x0.94;
- manufatto in lamiera ad uso doccia m. 1.08x1.10;
- pergolato in legno m. 5.09x3.10;
-casetta in legno ad uso pollaio m. 2.33x2.60
- vialetto d’ingresso all’area e alle roulottes, realizzato con ghiaia;
- opere di urbanizzazione quali lampioncini di illuminazione, allacciamento a quadri elettrici, fossa biologica;
- pavimentazione in autobloccanti delimitata con cordololatura;
- lavatoio su struttura in muratura.
Gli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, che si protraggono nel tempo e vengono meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni, pertanto il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere. In altri termini, l'Autorità non emana un atto "a distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica ancora sussistente (cfr. Cons. Stato sez. IV, 16.04.2010 n. 2160).
La giurisprudenza ha rilevato che il deposito di una roulotte all'interno di un suolo privato debba qualificarsi quale costruzione urbanisticamente rilevante in presenza di indici in grado di supportare il carattere non precario della installazione (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. IV, 05.05.2003, n. 4435; TAR Catanzaro n. 530 del 27.04.1999; TAR Liguria n. 202 del 03.05.1999).
La stessa giurisprudenza amministrativa ha poi chiarito da tempo che la precarietà di un manufatto, tale per cui esso non necessiti di concessione edilizia, va esclusa se il manufatto stesso è destinato a recare un'utilità prolungata e perdurante nel tempo. In tal caso, infatti, esso produce una trasformazione urbanistica perché altera in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, senza che rilevino i materiali impiegati, l'eventuale precarietà strutturale e la mancanza di fondazioni, se tali elementi non si traducano in un uso contingente e limitato nel tempo, con l'effettiva rimozione delle strutture (cfr: Consiglio di Stato, Sez. V, 31.01.2001 n. 343; id., 30.10.2000 n. 582; TAR Veneto, Sez. II, 10.02.2003, n. 1216).
Con riferimento agli insediamenti abitativi abusivamente posti in essere da componenti della comunità nomade, la giurisprudenza ha evidenziato come le esigenze di tale parte della popolazione trovino unicamente soddisfazione nelle specifiche iniziative di spettanza dell’Amministrazione pubblica, ovvero nell’apprestamento di aree di sosta nei campi attrezzati, non certamente in iniziative autonome od individuali in contrasto con la normativa urbanistica ed edilizia, neppure in caso di inerzia o inadempienza degli enti coinvolti dalla legge nella tutela delle etnie nomadi (cfr. TAR Emilia-Romagna, Sez. II, 09.07.2008 n. 3306, TAR Parma, 28.04.2009 n. 165) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 29.12.2010 n. 4986 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’autorizzazione paesistica non può superare il parere del Parco.
L'autorizzazione paesaggistica ha lo scopo di valutare la conformità dell’attività con il paesaggio, la cui tutela è prevista dall’art. 9 della Costituzione. Il parere del Parco, invece, costituisce atto di gestione delle aree protette ed ha come oggetto di tutela specifica la difesa degli ecosistemi, che costituisce un bene giuridico distinto dal paesaggio.

Rileva il Collegio come l’autorizzazione paesistica non possa superare il parere del Parco; i due atti, infatti, rispondono a forme di gestione di beni diversi.
La prima ha lo scopo di valutare la conformità dell’attività con il paesaggio, la cui tutela è prevista dall’art. 9 della Costituzione. Si tratta di un valore “primario” (Corte Cost. nn. 151/1986; 182/2006 e 183/2006) ed anche “assoluto”, se si tiene presente che il paesaggio indica essenzialmente l’ambiente ( Corte Cost. 641/1987). L’oggetto tutelato non è il concetto astratto delle “bellezze naturali”, ma l’insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano valore paesaggistico.
Il parere del Parco, invece, costituisce atto di gestione delle aree protette ed ha come oggetto di tutela specifica la difesa degli ecosistemi, che costituisce un bene giuridico distinto dal paesaggio (Corte Costituzionale 23.01.2009 n. 12).
In tale contesto, dunque, occorre rilevare che il preminente rilievo degli interessi ambientali sul piano costituzionale (art. 9 Cost.) impedisce di assimilare tale strumento a quello delle ordinarie misure di salvaguardia suscettibili di modifiche in sede di accordo di programma (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 23.12.2010 n. 38575 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'installazione di pannelli in vetro ed alluminio sul parapetto di un balcone già chiuso per i restanti lati dai muri perimetrali dell'edificio è qualificabile come intervento di trasformazione urbanistica per la sua destinazione ad uso non limitato nel tempo e per l'alterazione prodotta nello stato del territorio, stante il suo rilievo ambientale e funzionale, e determina la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, l'aumento della superficie utile e la modifica della sagoma dell'edificio stesso e, pertanto, implica il previo rilascio del titolo concessorio, a nulla rilevando l'eventuale precarietà strutturale dell'opera realizzata, in quanto non si traduca in un uso per fini contingenti e specifici.
La trasformazione di un balcone o di un terrazzo circondato da muri perimetrali in veranda, mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, non ha natura precaria né costituisce intervento di manutenzione straordinaria o di restauro, ma è opera soggetta a permesso di costruire.
Ed infatti l'installazione di pannelli in vetro ed alluminio sul parapetto di un balcone già chiuso per i restanti lati dai muri perimetrali dell'edificio è qualificabile come intervento di trasformazione urbanistica per la sua destinazione ad uso non limitato nel tempo e per l'alterazione prodotta nello stato del territorio, stante il suo rilievo ambientale e funzionale, e determina la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, l'aumento della superficie utile e la modifica della sagoma dell'edificio stesso e, pertanto, implica il previo rilascio del titolo concessorio, a nulla rilevando l'eventuale precarietà strutturale dell'opera realizzata, in quanto non si traduca in un uso per fini contingenti e specifici (TAR Campania Napoli, sez. IV, 28.02.2006, n. 2451) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 22.12.2010 n. 38237 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl permesso di costruire è rilasciato legittimamente alla parte che si qualifica proprietaria dell’immobile oggetto dell’intervento, ovvero che abbia comunque titolo per richiederlo.
L’espressione legislativa “titolo per richiederlo” è stata intesa dalla giurisprudenza nel senso di posizione che civilisticamente costituisca titolo per esercitare sul fondo un’attività costruttiva,  dunque estesa a tutte le posizioni, anche non aventi natura reale, attributive della facoltà di attuare interventi sull’immobile.

A termini dell’art. 11 D.P.R. 380/2001, il permesso di costruire è rilasciato legittimamente alla parte che si qualifica proprietaria dell’immobile oggetto dell’intervento, ovvero che abbia comunque titolo per richiederlo.
L’espressione legislativa “titolo per richiederlo” è stata intesa dalla giurisprudenza nel senso di posizione che civilisticamente costituisca titolo per esercitare sul fondo un’attività costruttiva (cfr. Cons. di Stato. Sez. V, 15.03.2001, n. 1507, ex pluris), dunque estesa a tutte le posizioni, anche non aventi natura reale, attributive della facoltà di attuare interventi sull’immobile (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 28.05.2001, n. 2882).
L’Amministrazione è chiamata allo svolgimento di un’attività istruttoria, per accertare la sussistenza del titolo legittimante.
Tuttavia, al Comune spetta soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la c.d. “posizione legittimante”, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile, allegata da chi presenta istanza edilizia (giurisprudenza pacifica, cfr., ex pluris, Cons. di Stato, sez. V, 04.02.2004, n. 368; TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 842/2010 e 1157/2009).
Salvo che, ovviamente, la sussistenza di detti fattori ostativi non emerga, con pari grado di certezza, dagli atti del procedimento eventualmente introdotti da chi ne abbia interesse
(TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 22.12.2010 n. 865 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa normativa sui distacchi tra edifici riguarda espressamente le “pareti finestrate”, nel senso che “il balcone aggettante può essere compreso nel computo delle distanze solo nel caso in cui una norma di piano preveda ciò, posto che uno sporto non integra la specie dell’intercapedine dannosa che legittima l’applicazione della norma di ordine pubblico derivante dal D.M. 02.04.1968, n. 1444".
La normativa sui distacchi tra edifici, che ha, com’è noto, la funzione di evitare la produzione di intercapedini da dannose, riguarda espressamente le “pareti finestrate”, nel senso che “il balcone aggettante può essere compreso nel computo delle distanze solo nel caso in cui una norma di piano preveda ciò, posto che uno sporto non integra la specie dell’intercapedine dannosa che legittima l’applicazione della norma di ordine pubblico derivante dal D.M. 02.04.1968, n. 1444" (cfr., ex pluris, TAR Lombardia, Milano, n. 91/2010; TAR Abruzzo, Pescara, n. 579/2009 e TAR Liguria, n. 1736/2009) (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 22.12.2010 n. 865 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALe osservazioni ed opposizioni al P.R.G. ex art. 9 della Legge urbanistica n. 1150/1942 non possono essere respinte con una formula di mero stile che, sia per la scheletrica astrattezza del suo tenore letterale, sia per il fatto di potersi, in pratica, riferire a qualsiasi rilievo, pone nell’assoluta impossibilità di acclarare se l’Amministrazione abbia effettivamente valutato il rilievo e, quindi, si sia determinata a respingerlo proprio ai fini di quel pubblico interesse che pure si asserisce di voler tutelare, essendo invece necessaria una puntuale ed adeguata motivazione.
Si afferma in giurisprudenza che: <<La facoltà dei privati di proporre osservazioni ed il conseguente obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi sulle medesime a conclusione di una vera e propria fase del procedimento svolta in contraddittorio sono intesi ad offrire elementi di valutazione non marginali ai fini del buon andamento e funzionalità dell’azione amministrativa>> (TAR Puglia, Bari, Sez. II, 17.02.2005, n. 594); ed, ancora: <<Ove fosse consentito all’ente pubblico di disattendere immotivatamente l’apporto procedimentale degli interessati, risulterebbe violata la finalità di tutela sostanziale delle posizioni giuridiche dei soggetti coinvolti dall’esplicazione del pubblico potere cui si ispirano le norme (quali, ad esempio, gli artt. 7 della legge 07.08.1990, n. 241 e n. 16 del decreto del Presidente della Repubblica del 06.06.2001, n. 327)>> (TAR Campania, Sez. V, 01.02.2007, n. 823); <<L’art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica del 06.06.2001, n. 327 tipizza un particolare avviso minuziosamente disciplinato per il proprietario dell’area ove è prevista la realizzazione dell’opera, con obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi sulle osservazioni proposte con atto motivato, beninteso che l’accoglimento, in tutto ed in parte delle stesse comporterebbe la modifica del progetto. E’ chiaro che in materia espropriativa, quindi, il Legislatore ha voluto garantire l’effettiva partecipazione dialettica del privato nella formazione, in contraddittorio, della volontà definitiva dell’amministrazione>> (TAR Calabria, Reggio Calabria, 22.03.2007, n. 243).
La Sezione, con la sentenza n. 5222 del 22.05.2008, ha rilevato che, anche a seguito della giurisprudenza formatasi successivamente alla Legge n. 241/1990, le osservazioni ed opposizioni al P.R.G. ex art. 9 della Legge urbanistica n. 1150/1942 non possono essere respinte con una formula di mero stile che, sia per la scheletrica astrattezza del suo tenore letterale, sia per il fatto di potersi, in pratica, riferire a qualsiasi rilievo, pone nell’assoluta impossibilità di acclarare se l’Amministrazione abbia effettivamente valutato il rilievo e, quindi, si sia determinata a respingerlo proprio ai fini di quel pubblico interesse che pure si asserisce di voler tutelare, essendo invece necessaria una puntuale ed adeguata motivazione (Cfr: anche: TAR Calabria, Reggio Calabria, 12.02.2004, n. 136; a 15.01.2004, n. 17; TAR Sicilia, Catania, II, 30.09.1992, n. 806; Cons. Giust. Ammin., 01.06.1993, n. 227) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 17.12.2010 n. 27621 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICINel corso di un procedimento volto alla realizzazione di un’opera pubblica il comune deve e ben può variare il progetto già approvato con altro progetto che prevede l’ubicazione dell’opera in zona diversa da quella già prescelta, nel caso in cui detta modifica si renda necessaria a seguito di giustificato riesame dei profili funzionali dell’opera in relazione alle esigenze socio urbanistiche palesatesi successivamente all’approvazione dell’originario progetto.
Posto che al progetto preliminare manca il necessario carattere della complessiva ed immodificabile configurazione dell’opera, soltanto al progetto definitivo resta attribuita, ai fini istruttori, la capacità di rendere immodificabile l’intervento approvato, sicché le garanzia di partecipazione prescritte dagli artt. 7 e ss. L. n. 241/1990, sono propedeutiche all’approvazione del progetto definitivo e non anche del progetto preliminare.
La dichiarazione di pubblica utilità consegue (soltanto) all’approvazione del progetto definitivo, il quale è quello che possiede i caratteri complessivi e non più modificabili dell’opera, mentre quello preliminare è ancora un progetto abbisognevole di modificazioni e quello esecutivo è un complesso di specificazioni meramente operative e così dettagliatamente (e voluminosamente) determinato da non poter dare neppure una precisa idea complessiva della natura dell’intervento, se non a soggetti operanti professionalmente nel settore ingegneristico.

Secondo la giurisprudenza, nel corso di un procedimento volto alla realizzazione di un’opera pubblica il comune deve e ben può variare il progetto già approvato con altro progetto che prevede l’ubicazione dell’opera in zona diversa da quella già prescelta, nel caso in cui detta modifica si renda necessaria a seguito di giustificato riesame dei profili funzionali dell’opera in relazione alle esigenze socio urbanistiche palesatesi successivamente all’approvazione dell’originario progetto: e tale scelta può essere sindacata dal G.A. proprio in caso di omessa motivazione delle ragioni di pubblico interesse che la sottendono nel caso di rigetto delle osservazioni di privati incisi ovvero nell’ipotesi di una valutazione tecnica inficiata da errori di fatto o da vizi di illogicità o contraddittorietà (Cfr: TAR Basilicata, 06.12.1982, n. 165).
Invero, fermo restando che il merito della scelta relativa alla localizzazione di un’opera pubblica resta sottratta di massima al sindacato del giudice amministrativo, con le note eccezioni della illogicità, del travisamento dei fatti e della contraddittorietà, è anche vero che l’amministrazione è tenuta a dare conto, dell’avvenuta valutazione e considerazione di tutti gli interessi coinvolti e, segnatamente, di quelli sacrificati, e che sotto il profilo dell’adeguato apprezzamento delle posizioni interessate dall’ubicazione dell’opera, le delibere che ne approvano il progetto risultano sicuramente sindacabili (Cfr: C. di S., sez. IV, 20.09.2005, n. 4849).
Inoltre il contenuto dell’obbligo motivazionale sotto il profilo da ultimo illustrato, e la latitudine del relativo sindacato giurisdizionale sono destinati ad ampliarsi nei casi nei quali risulti rilevato uno stato di fatto, in sede di progettazione preliminare, che non sia più al corrente con quello esistente all’atto dell’apposizione del vincolo ablatorio e di tanto la P.A. sia stata resa edotta, dovendo perciò provvedere alla modifica dei progetti con conseguente obbligo di riconsiderare le posizioni soggettive (Cfr: C. di S., sez. IV, 20.09.2005, n. 4849; 15.06.2004, n. 4018; 03.11.1999, n. 1654).
In materia di espropriazione per p.u., posto che al progetto preliminare manca il necessario carattere della complessiva ed immodificabile configurazione dell’opera, soltanto al progetto definitivo resta attribuita, ai fini istruttori, la capacità di rendere immodificabile l’intervento approvato, sicché le garanzia di partecipazione prescritte dagli artt. 7 e ss. L. n. 241/1990, sono propedeutiche all’approvazione del progetto definitivo e non anche del progetto preliminare (Cfr: TAR Lombardia, Milano sez II, 26.05.2003, n. 2280; C. di S., sez. IV, 11.05.2004, n. 2930).
Nell’art. 16 della L. 11.02.1994, n. 109 è stato stabilito che per qualsiasi opera pubblica vi fosse la necessità della redazione, in progresso temporale, di tre distinte fasi progettuali, denominate progetto preliminare, progetto definitivo e progetto esecutivo, individuando (all’art. 14 della legge stessa) proprio nel progetto definitivo l’atto capace di contenere quella specifica dichiarazione di pubblica utilità, unica idonea a dare inizio alla procedura espropriativa.
Appena è il caso di rilevare che i tre stadi progettuali non possono essere confusi fra loro, essendo specificati per ciascuno di essi le caratteristiche ed i gradi di approfondimento dell’indagine progettuale; infatti il progetto preliminare è una indagine operativa che abbisogna ancora di specifiche puntualizzazioni in ordine alle caratteristiche dell’opera, il progetto definitivo determina la precisa configurazione dell’opera, mentre quello esecutivo è il progetto con le “specifiche”, vale a dire con tutti i dettagli operativi, tanto che nella pratica è spesso denominato “cantierabile”, e cioè consegnabile agli addetti al cantiere per la pedissequa esecuzione.
Si intuisce, quindi, agevolmente la ratio che sottostante al fatto che la dichiarazione di pubblica utilità consegua (soltanto) all’approvazione del progetto definitivo, il quale è quello che possiede i caratteri complessivi e non più modificabili dell’opera, mentre quello preliminare è ancora un progetto abbisognevole di modificazioni e quello esecutivo è un complesso di specificazioni meramente operative e così dettagliatamente (e voluminosamente) determinato da non poter dare neppure una precisa idea complessiva della natura dell’intervento, se non a soggetti operanti professionalmente nel settore ingegneristico (Cfr: C. di S., sez. IV, 11.05.2004, n. 2930) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 17.12.2010 n. 27621 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Chi chiama l'imbianchino per i lavori di casa è responsabile della sua sicurezza.
Se si chiama l’imbianchino per dei lavori in casa si è responsabili della sua incolumità.
Lo ha stabilito la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione ove l’imputato è stato ritenuto colpevole della morte dell’artigiano per non aver verificato che l’operaio fosse dotato dei c.d. “sistemi anticaduta” previsti dalla normativa in materia di lavori effettuati ad altezze superiori ai due metri, in particolare della cintura di sicurezza e del casco (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 01.12.2010 n. 42465 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Gli obblighi delle norme anti-infortunistiche sono estensibili al proprietario dell'immobile.
Risponde di omicidio colposo, nel caso di morte dell'operaio, il privato che fa lavori in economia senza assicurarsi che la persona a cui si rivolge adotti le misure di sicurezza.
Con la sentenza 01.12.2010 n. 42465 la IV sezione della Corte di cassazione ha ulteriormente approfondito l'elaborazione del tema della responsabilità penale del committente dell'opera per l'infortunio occorso al lavoratore all'interno del cantiere costituito per realizzarla.
La legislazione in materia - Tesi che i giudici di legittimità hanno respinto, rilevando come l'intera legislazione antinfortunistica si ispiri in realtà a regole di segno diametralmente opposto (nello specifico, dovendo giudicare di fatti accaduti nel 2001, le norme prese in considerazione dalla sentenza sono quelle previgenti al Dlgs 09.04.2008, n. 81).
Infatti, secondo la Corte dal complesso di tale normativa emerge chiaramente, per un verso, come il legislatore abbia progressivamente enucleato il principio della indivisibilità delle tutele nei luoghi in cui viene esercitata un'attività lavorativa, non consentendo in tal senso di distinguere tra attività di lavoro subordinato e altre tipologie di attività lavorative svolte nel medesimo sito; per l'altro come sul committente gravino sia obblighi di garanzia specificamente posti dalle citate norme, sia un più generico obbligo di non esporre alcuno a rischi per la propria sicurezza derivanti dall'attività intrapresa.
La posizione di garanzia del committente - In definitiva la sentenza individua una precisa posizione di garanzia in capo al committente, sottolineando come i conseguenti obblighi di prevenzione, specifici o generici che siano, esulano dalla natura dell'attività del soggetto esposto ai rischi connessi all'esecuzione dell'opera commissionata.
Come accennato non è la prima volta che la giurisprudenza di legittimità afferma tali principi, soprattutto con riguardo al tema degli infortuni verificatisi nei cantieri mobili.
Per la stessa, infatti, non è dubbio che il contratto d'appalto determini il trasferimento dal committente all'appaltatore della responsabilità nell'esecuzione dei lavori, salvo che lo stesso committente assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, nel qual caso anch'egli rimane destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore (si veda Cassazione, sezione IV, 17.09.2008, Raso, in Ced 241063), ma ciò non toglie che lo stesso committente risponda comunque dell'evento che si colleghi casualmente anche alla sua colposa omissione nel consentire l'inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose e nel caso in cui l'omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile, senza che la sua responsabilità possa essere esclusa dalla circostanza che egli abbia impartito le direttive da seguire a tale scopo, essendo comunque necessario che ne abbia controllato, con prudente e continua diligenza, la puntuale osservanza (si veda in questo senso ex multis Cassazione, sezione IV, 15.03.2007, Ghelfa, in Ced 236545 e Cassazione, sezione IV, 01.07.2009, Vecchi, in Ced 245275) (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

AGGIORNAMENTO AL 24.01.2011

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 19.01.2011, "Disciplina dello spostamento di animali per ragioni di pascolo (alpeggio, transumanza, pascolo vagante) in regione Lombardia" (decreto D.U.O. 12.01.2011 n. 101).

UTILITA'

SICUREZZA LAVORO: La legislazione in materia di sicurezza.
Si è recentemente tenuta una nuova lezione del corso sull’attività professionale degli ingegneri finalizzato alla preparazione agli esami di stato organizzato dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Napoli e dalla facoltà di Ingegneria della Federico II, di cui BibLus-net si è più volte occupata nelle precedenti edizioni della newsletter.
La lezione più recente, tenuta dall’ing. Francesco Paolo Capone, ha riguardato la legislazione in materia di sicurezza. Il relatore ha illustrato la normativa e i relativi adempimenti con riferimento:
- alla prevenzione nei luoghi di lavoro;
- alla prevenzione nei cantieri.
La documentazione della lezione è disponibile on-line; essa può risultare di notevole interesse per tutti i tecnici che esercitano la professione (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Progettazione geologica e geotecnica con le NTC 2008: teoria e applicazioni.
Lo scorso ottobre si è svolto un corso di aggiornamento professionale sulla nuova normativa per le costruzioni (D.M. 14.01.2008) organizzato dall’Ordine dei Geologi del Lazio.
Il corso, sul tema "Teoria e applicazioni nella progettazione geologica e geotecnica", è stato tenuto dal prof. Eros Aiello, dell’Università degli studi di Siena. L’Ordine dei Geologi del Lazio ha reso disponibile on-line i supporti didattici del seminario.
La prima parte del corso è stata dedicata all'illustrazione delle norme tecniche in vigore dall'01.07.2009. Nella seconda parte, invece, ha trovato spazio una serie di applicazioni pratiche in ambito geotecnico: dalle fondazioni alle opere di sostegno alla stabilità dei pendii.
Nella documentazione sono riportati anche esempi di relazione geologica e geotecnica sulla base della normativa tecnica illustrata (link a www.acca.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: L. Bellagamba, La tracciabilità dei flussi finanziari dopo la L. 217/2010 (Non si applica quando la pubblica Amministrazione jure privatorum utitur – Si applica per l’affidamento degli incarichi di collaborazione – L’impiego di contante per la pubblica Amministrazione) (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: Il favor partecipationis quale limite al potere di predeterminazione dei requisiti di ammissione (link a www.mediagraphic.it).

LAVORI PUBBLICI: L’affidamento dei lavori pubblici in Italia: problemi e possibili soluzioni secondo la Banca d’Italia.
Il settore degli appalti pubblici italiano è esposto in misura considerevole ai rischi di collusione, corruzione e rinegoziazioni successive con gli aggiudicatari dei contratti. Carenze sono, inoltre, presenti sul piano della progettazione degli interventi. Tutto ciò nonostante le numerose riforme che hanno interessato il settore negli ultimi anni.
Questi, in sintesi, i risultati di un’analisi del sistema dei contratti pubblici effettuata dalla Banca d’Italia e i cui risultati sono riportati nella pubblicazione “L'affidamento dei lavori pubblici in Italia: un'analisi dei meccanismi di selezione del contraente”.
Nella pubblicazione l’istituto esegue l’analisi delle diverse procedure di gara e dei diversi criteri di aggiudicazione evidenziandone le criticità ed i rischi associati. Banca d’Italia, tuttavia, non si limita a criticare il sistema degli appalti ma propone delle soluzioni, derivate dalla letteratura internazionale, per tentare di contenere e/o contrastare le problematiche evidenziate (rischio di mancato completamento dell’opera, collusione, fenomeni di corruzione, etc.).
Le indicazioni provenienti dalla letteratura economica e i confronti internazionali suggeriscono che miglioramenti potrebbero provenire da:
1- l'eliminazione del ricorso a meccanismi di esclusione automatica delle offerte anomale, che ridurrebbe i rischi di collusione tra gli offerenti;
2- un accentramento delle valutazioni di anomalia delle offerte in capo a stazioni appaltanti di maggiori dimensioni e un innalzamento degli importi delle garanzie fideiussorie prestate dai soggetti aggiudicatari, che ridurrebbero i rischi di rinegoziazioni successive e di mancato completamento dell'opera;
3- un rafforzamento delle misure di contrasto ai fenomeni di corruzione, specie per quanto attiene ai controlli relativi alla sub-contrattazione;
4- una maggiore standardizzazione progettuale e, per gli appalti più complessi, il ricorso al dialogo competitivo (link a www.acca.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOCorte conti. Turn-over, il calcolo è annuale.
Il calcolo della spesa di personale cessato, da considerare per il turn-over, negli enti locali va effettuato tenendo conto dell'anno intero e non della frazione di anno effettivamente lavorata.
La Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Toscana, col parere 17.11.2010 n. 160, fornisce un chiarimento fondamentale per la corretta applicazione dell'articolo 14, comma 9, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010.
Tale disposizione ha modificato l'articolo 76, comma 7, del dl 112/2008, convertito in legge 133/2008, il quale ora dispone: «È fatto divieto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20% della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente».
Era fin qui rimasta incertezza rispetto al computo appunto del limite del 20% corrispondente al personale cessato l'anno precedente.
Visto il chiaro intento della manovra estiva 2010 di ridurre drasticamente la spesa pubblica, poteva desumersi che il 20% dovesse essere computato per cassa e, cioè, immaginando che un dipendente cessasse dal servizio a giugno, si dovesse conteggiare il 20% del costo sostenuto effettivamente per i sei mesi di lavoro. Era, tuttavia, chiara la conseguenza eccessivamente restrittiva di simile chiave di lettura.
Nell'esempio fatto, in effetti il limite di spesa, per la singola cessazione, sarebbe divenuto del 10%, con l'allungamento ad libitum dei tempi di copertura del turn-over e, soprattutto, con una distorsione del criterio di limitazione delle assunzioni che deve avvicinarsi quanto più possibile alla sostituzione di un dipendente, ogni cinque che cessano. Il computo della cassa ovviamente può di molto allontanare da tale risultato.
La sezione Toscana, molto semplicemente spiega che «la locuzione spesa corrispondente alle cessazioni va interpretata quale spesa annuale», estendendo agli enti locali la logica seguita dal dipartimento della Funzione pubblica nella circolare 18.10.2010 Uppa, la quale precisa che i risparmi realizzati per cessazione vanno calcolati «sempre sui 12 mesi» (articolo ItaliaOggi del 21.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOPersonale. Lo «sforamento» della spesa. I dirigenti generosi devono rimborsare gli stipendi eccessivi ai fini dell'accertamento.
La violazione delle norme sul contenimento delle spese di personale può essere fonte di responsabilità amministrativa-patrimoniale. Parola della Corte dei conti della Lombardia.
I magistrati contabili sono stati chiamati ad esprimere un parere in merito alle possibili sanzioni da erogare in caso di mancato rispetto del comma 557 della legge finanziaria 2007, ovvero alla possibilità di assumere pur sapendo che l'assunzione programmata porterebbe nel 2011 a uno sforamento del limite di spesa fissato nel 2010.
Fino al Dl 78/2010 il sistema legislativo non prevedeva alcuna sanzione sul tema. Con la manovra estiva è stato esteso al mancato contenimento delle spese di personale quel divieto di assunzione già previsto per il mancato raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità.
Agli enti che non rispettano il comma 557 è quindi vietato procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, compresi i rapporti di collaborazione continuata e continuativa e i rapporti di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. Agli stessi enti è vietata anche la stipula di contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della stessa disposizione.
La Corte dei conti del Piemonte, con il parere 07.10.2010 n. 55, ha avuto modo di precisare che il divieto non potrà che essere in concreto operante dall'esercizio successivo a quello in cui può verificarsi l'eventuale violazione. Di fatto gli enti sono quindi ora in presenza di un obbligo di legge e di una sanzione per la violazione dello stesso.
Il che significa che uno degli elementi fonte di responsabilità ... (articolo Il Sole 24 Ore del 17.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Nei comuni sotto i 15 mila abitanti il capo del consiglio è facoltativo. Presidente, elezioni subito Altrimenti si deve aspettare il rinnovo degli organi.
Un comune, avente popolazione inferiore a 15 mila abitanti, deve provvedere con immediatezza a eleggere il presidente del consiglio comunale in esecuzione delle novellate disposizioni statutarie, tenuto conto che esse devono considerarsi ormai entrate in vigore, in quanto decorsi i trenta giorni di affissione all'albo pretorio prescritti dall'art. 6, comma 5, ultimo capoverso Tuel n. 267/2000, e che non è stata adottata una apposita disciplina transitoria?
L'art. 39, comma 1, ultimo capoverso del Tuel n. 267/2000, dispone che «nei comuni con popolazione sino a 15 mila abitanti lo statuto può prevedere la figura del presidente del consiglio».
La norma prevede che, se per i comuni con popolazione superiore a 15 mila abitanti è obbligatoriamente previsto il presidente del consiglio, i comuni con popolazione sino a 15 mila hanno soltanto la facoltà di istituire la figura del presidente del consiglio mediante un'apposita scelta statutaria. Tale disposizione si colloca sistematicamente nell'ambito di un comma il cui primo periodo, sia pure con riferimento espresso ai comuni «con popolazione superiore a 15 mila abitanti», prevede testualmente che il presidente è «eletto nella prima seduta del consiglio».
Qualora i comuni con popolazione inferiore ai 15 mila abitanti recepiscano l'istituto in parola, dovranno farlo in aderenza a quanto previsto dal vigente ordinamento, «tenuto conto che è fondamento di un ordinamento democratico il principio secondo cui gli organismi rappresentativi vengono a cessare quando spira il termine di durata del loro mandato, previsto dalla legge, e quest'ultima non può stabilirne anticipatamente la cessazione se non in forma espressa e al verificarsi di circostanze preventivamente previste in via generale e astratta come suscettibili di condurre alla fine anticipata del mandato conferito dagli elettori».
Pertanto si ritiene che nella fattispecie l'elezione del presidente del consiglio non possa che avvenire successivamente al rinnovo degli organi attualmente in carica (articolo ItaliaOggi del 21.01.2011 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Rimborsi.
Qual è la disciplina applicabile ai rimborsi dovuti al datore di lavoro per i permessi utilizzati dal sindaco, dipendente privato, per l'espletamento del mandato, nonché alla quota accantonamento ai fini dell'indennità di fine rapporto di lavoro?

Ai sensi dell'art. 80 del decreto legislativo n. 267/2000, gli oneri per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici sono a carico dell'ente presso il quale il lavoratore esercita le funzioni pubbliche.
Inoltre, ai sensi del comma 1 dell'art. 86 del Tuel, l'amministrazione locale ha l'onere di rimborsare al datore di lavoro la quota annuale di accantonamento per l'indennità di fine rapporto (tfr), solo per gli amministratori che si siano posti in aspettativa non retribuita (articolo ItaliaOggi del 21.01.2011 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Indennità.
Quale disciplina si applica alla corresponsione dell'indennità di funzione nel caso di un assessore di un'Unione di comuni che ricopre anche la carica di consigliere comunale?

Sulla disciplina che regola il trattamento economico spettante agli amministratori degli enti locali è recentemente intervenuto il decreto legge n. 78 del 31.05.2010, concernente «misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica».
Il decreto prevede, tra l'altro, l'abolizione di qualsiasi forma di emolumento per gli amministratori di comunità montane e di unioni di comuni. Pertanto, l'assessore di un'Unione di comuni non ha diritto a percepire alcun compenso per la predetta carica (articolo ItaliaOggi del 21.01.2011 - link a www.ecostampa.com).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOENTI LOCALI/ Fondi decentrati, via all'austerity. Vietato superare il 2010. Tagli se i dipendenti diminuiscono. I vincoli per le amministrazioni locali si applicano sia alla parte stabile che a quella variabile.
Non superare il fondo del 2010 e tagliarlo in caso di diminuzioni del numero dei dipendenti: sono questi i vincoli che tutti gli enti locali devono rispettare nella costituzione dei fondi per la contrattazione decentrata dei dirigenti e del personale. Questi vincoli si applicano sia alla parte stabile sia a quella variabile e si sommano al tetto al trattamento economico individuale.
Il primo obbligo da rispettare è quello di non superare nel triennio 2011/2013 la consistenza del fondo per le risorse decentrate del 2010.
La disposizione, contenuta nella prima parte del comma 2-bis dell'articolo 9 del dl n. 78/2010, non modifica le regole per la costituzione del fondo, che rimangono fissate dai Ccnl, in particolare da quelli dell'1/4/1999 e 22/1/2004 per il personale e da quello del 23/12/1999 per i dirigenti. L'importante è che dall'applicazione di tali regole non discendano oneri aggiuntivi: nel caso in cui ciò si realizzasse occorre intervenire per tagliarne l'ammontare complessivo.
Bisogna prestare particolare cura all'utilizzazione della possibilità di incrementare il fondo per la realizzazione di nuovi servizi e/o l'ampliamento-miglioramento di quelli esistenti, cioè dell'articolo 15, comma 5, per il personale e dell'articolo 23, comma 3, per i dirigenti. Tale possibilità non è vietata, neppure indirettamente, ma non può determinare incrementi del totale complessivo delle risorse disponibili nel fondo.
Rimane da chiarire se le risorse previste da specifiche norme di legge, ricorrendone le condizioni, vadano aumentate, visto che in buona parte esse non vanno comprese nella spesa per il personale (come per esempio le incentivazioni per la realizzazione di opere pubbliche e Ici), ovvero se sono comprese nel tetto.
Alla determinazione del fondo senza aumenti devono seguire i tagli nel caso di diminuzione del numero dei dipendenti. Tale riduzione è obbligatoria e deve essere effettuata in modo automatico, cioè direttamente da parte dei dirigenti e senza che sia necessaria alcuna forma di contrattazione preventiva: i soggetti sindacali hanno diritto a essere informati preventivamente rispetto all'avvio della contrattazione, ma non è loro riservato alcuno spazio di intervento nel merito delle scelte, salvo che in termini di controllo.
Il metodo da applicare è il seguente: le amministrazioni quantificano il numero dei dirigenti e dei dipendenti in servizio a tempo indeterminato alla data del 31 dicembre 2010, adempimento che devono peraltro effettuare per il conto del personale. Il passaggio successivo è quello della previsione del numero delle cessazioni e delle assunzioni che saranno effettuate nel corso del 2011: anche in questo caso si possono utilizzare le rilevazioni che vengono effettuate ai fini della programmazione del fabbisogno del personale. Nel caso in cui tale saldo sia negativo occorre tagliare la consistenza del fondo. Ovviamente prima della fine dell'anno la previsione deve essere sostituita dalla puntuale rilevazione.
Si deve sottolineare che per il legislatore non hanno alcuna influenza le ragioni delle cessazioni e delle assunzioni: per cui le mobilità in uscita determinano una riduzione del numero dei dipendenti e quelle in entrata il loro aumento. Così come non sembra assumere alcun rilievo la variazione delle categorie e dei profili professionali.
Il taglio del fondo deve essere effettuato, ci dice espressamente la norma, in modo proporzionale e riferito all'insieme delle sue risorse, senza alcuna considerazione per il salario accessorio in godimento da parte dei cessati. Dal che si arriva alla conclusione che è necessario assumere il dato della incidenza media dei dipendenti sul fondo e del taglio in modo corrispondente: per esempio se il fondo per le risorse decentrate è complessivamente di 200 mila euro e i dipendenti sono 100, l'incidenza media è di 2 mila euro e per ogni diminuzione il taglio deve avere quella dimensione.
Nel primo anno, il taglio deve essere proporzionato ai mesi di cessazione, mentre negli anni successivi esso va operato in modo pieno (articolo ItaliaOggi del 21.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOLegge Brunetta operativa. Il dlgs 150 non è condizionato da norme transitorie. Dal tribunale di Pesaro la prima sentenza a favore dell'immediata applicabilità.
Si spezza il fronte, fino a oggi compatto, dei giudici del lavoro ostili alla teoria dell'immediata vigenza della riforma-Brunetta (per ribadire la quale il ministro della funzione pubblica si è visto costretto a emanare un decreto correttivo di interpretazione autentica del dlgs 150 che andrà oggi all'esame del consiglio dei ministri, si veda ItaliaOggi di ieri).
È il tribunale di Pesaro, sez. lavoro, con la sentenza n. 417/2010 ad affermare con chiarezza, dopo una serie di decreti d'urgenza di segno contrario, che la piena operatività del dlgs 150/2009 non è condizionata da un diritto transitorio.
La decisione del tribunale è estremamente importante per almeno due motivi.
In primo luogo, perché è, appunto, la prima e originale decisione del tribunale in sede di giudice del lavoro che riconosce l'inesistenza del diritto transitorio legato all'adeguamento dei contratti. La seconda, perché sin qui la gran parte delle decisioni rivendicate dalle organizzazioni sindacali come vittorie contro applicazioni del dlgs 150/2009 suppostamente illegittime e fonte di condotta anti sindacale da parte delle pubbliche amministrazioni, sono decreti adottati in via d'urgenza da giudici monocratici, all'evidenza prive del necessario approfondimento della delicata questione. Resa particolarmente complessa dalla specificità delle regole normative alla base del rapporto di lavoro pubblico, molto diverse da quelle del lavoro privato che i giudici del lavoro conoscono meglio.
La sentenza del tribunale di Pesaro smonta con efficacia tutte le teorie sulle quali sin qui si erano retti i decreti dei giudici monocratici.
Prima tesi destituita di fondamento è quella secondo la quale l'efficacia dell'articolo 5, comma 2, novellato del dlgs 165/2001, che assegna al datore di lavoro pubblico immediati e unilaterali poteri organizzativi che richiedono la sola relazione sindacale della comunicazione, sarebbe subordinata alla stipulazione di nuovi contratti collettivi nazionali di lavoro. Nulla di tutto ciò. Il tribunale di Pesaro sottolinea che le clausole contrattuali collettive contrastanti con il nuovo sistema devono intendersi sostituite di diritto con la previsione di cui alla norma di legge.
A differenza di molti giudici monocratici (in particolare quello di Trieste) il tribunale lealmente fornisce un'interpretazione del problema conforme a quella suggerita dalla circolare del ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione del 13/05/2010 n. 7, dando atto che essa era stata emanata «proprio per rispondere a dubbi interpretativi nascenti dal contrasto fra la disposizione normativa di cui al più volte citato art. 5 con quanto eventualmente già previsto dalle norme contrattuali collettive», precisando «che la norma di legge in questione è di immediata applicazione, con la conseguenza che i contratti collettivi si adeguano attraverso il meccanismo della etero integrazione».
La sentenza del tribunale fornisce una lettura che scongiura una sorta di conflitto tra poteri e prende atto dell'unica soluzione giuridicamente corretta del contrasto tra legge e contratti: sono ovviamente questi a essere necessariamente disapplicati.
In secondo luogo, la sentenza del tribunale di Pesaro inferisce un colpo decisivo alla teoria, largamente diffusa tra i giudici del lavoro monocratici ma certamente infondata, secondo la quale l'applicazione delle novità in tema di gestione del rapporto previste dalla riforma Brunetta sarebbero condizionate dall'articolo 65 del dlgs 150/2009 al previo e necessario adeguamento dei contratti decentrati.
Secondo il Tribunale «non è pertinente il richiamo all'art. 65 del dlgs 150/2009, riguardante l'adeguamento e l'efficacia dei contratti collettivi vigenti, per poter sostenere che la norma di cui all'art. 5 cit. riguarda necessariamente i contratti successivi». La decisione mette, finalmente, in evidenza una circostanza chiarissima, ma letta artatamente dalle organizzazioni sindacali e fonte di confusione nelle precedenti decisioni dei giudici del lavoro. «I commi da 1 a 4 dell'art. 65 predetto si riferiscono espressamente ai contratti collettivi integrativi, per cui le disposizioni attinenti al loro necessario adeguamento non si applicano ai contratti collettivi nazionali. In ogni caso la necessità del loro adeguamento attiene specificamente alle problematiche riguardanti i meriti ed i premi che ne derivano, come si ricava dall'esplicito riferimento al titolo 3° del decreto contenuto nel comma 1 dell'art. 65, titolo che riguarda, come detto «merito e premi»: nulla a che vedere, quindi, con le disposizioni organizzative del lavoro».
Discende, dunque, che dall'applicazione delle disposizioni fissate direttamente dalla legge non può derivare condotta antisindacale da parte delle amministrazioni. Si apre, finalmente, la strada per l'applicazione piena della riforma, nonostante l'ovvia resistenza sindacale (articolo ItaliaOggi del 21.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - VARIIl consigliere può visionare elenchi anti evasori e tabulati. La privacy cede al diritto d'accesso.
Il consigliere può acquisire i tabulati delle telefonate fatte in comune e l'elenco dei cittadini non in regola con i tributi locali; e può anche avere deliberazioni e atti preparatori via mail.
Per il privato porte aperte alle richieste di avere la copia delle cartelle esattoriali e i verbali dei sinistri stradali ... (articolo ItaliaOggi del 22.01.2011 - link a www.ecostampa.com).

PUBBLICO IMPIEGONome sul campanello per salvarsi. Se l'ammalato non è rintracciabile rischia lo stipendio.
Quando si è in malattia e si attende il medico di controllo (sotto l'impero di Brunetta, quasi sempre), non basta essere presenti a casa propria per non essere dichiarati assenti e non perdere il diritto alla retribuzione, bisogna che ci sia almeno il proprio cognome sul campanello di casa perché il medico fiscale ti possa facilmente ritrovare. Soprattutto gli si deve aprire la porta e lo si deve far accomodare. Non come quella dipendente, sul campanello della cui abitazione c'erano solo le generalità del marito e che non ha aperto la porta al medico visitatore. Il quale, non trovando il cognome della lavoratrice da controllare, aveva invano suonato a tutti i campanelli del condominio.
La Cassazione non si è fatta impietosire dalle precarie condizioni di salute con le quali la lavoratrice aveva giustificato il fatto di non aver potuto aprire la porta, e ha riconosciuto corretto il provvedimento di decadenza da ogni trattamento economico per i primi dieci giorni di malattia e nella misura della metà per i successivi giorni previsto dall'art. 5, quattordicesimo comma, del decreto legge n. 463/1983, convertito nella legge 638/1983.
Questa ed altre massime ed enunciazioni giurisprudenziali si possono ritrovare sul sito di indire, alla sezione gestire la scuola, quasi un vademecum a disposizione dei dipendenti che si assentano per malattia).
Secondo un'altra sentenza della Cassazione, invece, l'assenza alla visita di controllo, per non essere sanzionata dalla perdita del trattamento economico di malattia, pub essere giustificata, oltre che da cause di forza maggiore, da tutte quelle situazioni nelle quali il dipendente deve indifferibilmente trovarsi altrove, quindi anche durante le fasce orarie di reperibilità, ancorché quelle situazioni non siano del tutto insuperabili o non siano tali da determinare la lesione di beni primari (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 5718/2010).
Ad esempio, quando il dipendente debba assistere la propria madre, ricoverata in un centro specialistico di riabilitazione e priva di altro sostegno morale e psicologico. Oppure ancora, quando debba necessariamente sottoporsi a visita presso il proprio medico di fiducia, la visita non si possa svolgere in ore diverse da quelle di reperibilità e il dipendente fornisca ampia prova.
Invece guai a farsi scoprire, durante una malattia magari già accertata dal medico di controllo, mentre si guida la propria moto di grossa cilindrata e ci si reca in spiaggia. Oltre ad essere indice di scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri ... (articolo ItaliaOggi del 18.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGORiforma Brunetta. L'adeguamento. Automatismi dubbi sulle fasce di merito.
La temuta data del 31.12.2010 per l'adeguamento di regioni ed enti locali alla riforma Brunetta è ormai acqua passata. Gli operatori, ormai, sono già alle prese con la gestione del personale nel nuovo anno, programmazione delle assunzioni in pole position. Eppure i dubbi sul DLgs 150/2009 non si sono ancora attenuati. Anzi.
Vi è innanzitutto la preoccupazione su cosa possa succedere a quelle amministrazioni che non hanno ancora adottato le modifiche al regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi e al sistema di valutazione. Quello del 31.12.2010 non era certo un termine perentorio. C'è ancora spazio di azione, purché tutto avvenga in tempi ristretti. È infatti fondamentale che l'organizzazione e i dipendenti siano a conoscenza delle modalità di svolgimento della valutazione fin dai primi mesi dell'anno per evitare di inficiare tutta la procedura.
La questione più accesa è però l'introduzione della premialità attraverso le fasce di merito. Se l'ente non si adegua con un proprio sistema, scatteranno le fasce previste per le altre amministrazioni?
La lettura della riforma Brunetta non è così agevole da questo punto di vista. L'articolo 31, comma 4, prevede infatti che sì, scatteranno le regole delle amministrazioni centrali, ma solo per il mancato adeguamento alle norme relative al ciclo di gestione della performance e all'adozione del nuovo sistema di valutazione individuale.
Le fasce per gli enti locali sono però disciplinate al comma 2. Quindi i casi sono due: o l'obbligo di introdurre le fasce per gli enti locali era immediato, oppure siamo in presenza di una disposizione che, non prevedendo un termine preciso di adeguamento, né un automatismo in caso di inerzia delle amministrazioni, non ha scadenze particolari.
In questa seconda ipotesi si potrebbe addirittura immaginare che le amministrazioni possano aspettare la prossima tornata contrattuale per capire se il Ccnl interverrà sulla materia, restando il dubbio se sia possibile ancora applicare integralmente o parzialmente le disposizioni dei contratti vigenti. Purtroppo per le autonomie, però, l'articolo 31, comma 2, ha indicato nelle «rispettive potestà normative» la competenza ad adottare il sistema delle fasce e quindi parrebbe logico che l'azione regolamentare avvolga anche tale situazione.
I vantaggi sono peraltro molto evidenti: viene infatti data la possibilità di creare anche più fasce di merito rispetto alle tre indicate all'articolo 19, purché venga ... (articolo Il Sole 24 Ore del 17.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICA: Piano paesistico - Funzione conservative - Scelte di tipo urbanistico - Autonomia - Manufatti - Assenza di verticalizzazioni e di volumetria - Irrilevanza ai fini della tutela di zona.
Il piano paesistico, a differenza di uno strumento urbanistico, non è volto al dimensionamento dei nuovi interventi, quanto alla valutazione ex ante della loro tipologia ed incidenza qualitativa.
Il piano paesistico territoriale del resto -avendo una funzione conservativa degli ambiti reputati meritevoli di tutela- non può essere subordinato a scelte di tipo urbanistico, per loro natura orientate allo sviluppo edilizio e infrastrutturale (Cons. Stato, II, 04.02.1998, n. 3018/1997).
Ne consegue che la disciplina di tutela della zona prescinde dall’assenza di verticalizzazioni e dall’inidoneità di un manufatto (nella specie: piscina) ad introdurre una nuova volumetria (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 19.01.2011 n. 371 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di manufatti con scavo nel sottosuolo - Nuovo assetto dei luoghi.
La realizzazione di manufatti con scavo nel sottosuolo -indipendentemente dal conteggio del volume agli effetti degli indici di edificabilità secondo la disciplina riconducibile al singolo strumento urbanistico- dà luogo ad un nuovo e diverso assetto dei luoghi e determina l’asservimento a diversi utilizzi, resi possibili dalla nuova costruzione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 19.01.2011 n. 371 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Piano regolatore - Natura - Atto complesso - Regione - Introduzione di modifiche d’ufficio - Limiti.
Il Piano Regolatore si atteggia ad atto complesso con imputazione congiunta del Comune e della Regione, ben potendo quest’ultima introdurre, in sede di approvazione dello strumento urbanistico, modifiche di ufficio (cfr. Cons. Stato Sez. IV 19/01/2000 n. 245), sempreché queste non vadano ad impingere nel merito delle scelte urbanistiche spettanti all’ente locale.
Strumento urbanistico generale - Formazione e approvazione - Discrezionalità amministrativa.
Le scelte effettuate dalla P.A. in sede di formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale sono accompagnate da un’amplissima valutazione discrezionale che, nel merito, appaiono insindacabili e sono, per ciò stesso, attaccabili solo per errori di fatto, ovvero per abnormità e irrazionalità delle stesse (cfr questa Sezione 06/02/2002 n. 664; idem, di recente, 27/07/2010 n. 4920).
In ragione di tale discrezionalità l’Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate nella predetta sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l’impostazione del piano (in tal senso, sempre questa Sezione 10/08/2004 n. 4550).
Strumento urbanistico generale - Classificazione di un’area ad uso agricolo - Sottrazione di parte del territorio a nuove edificazioni.
La classificazione di un’area ad uso agricolo non deve rispondere necessariamente all’esigenza di promuovere l’insediamento di specifiche attività agricole, una siffatta destinazione potendo trovare la sua ragion d’essere nella discrezionale volontà dell’amministrazione locale di sottrarre parte del territorio comunale a nuove edificazioni (cfr. Sez. IV n.2166/2010).
Così, la destinazione di piano regolatore a verde agricolo di un’area ben può essere funzionale all’esigenza di conservazione dei valori naturalistici e di contenimento del fenomeno di espansione edilizia, di per sé idoneo, quest’ultimo, a compromettere i valori paesaggistici della zona (in tal senso, Sez. IV n. 25/05/1998 n. 869; idem n. 4920/2010 già citata).
Di qui il carattere non nemmeno abnorme né irrazionale della scelta di classificare l’area dell’appellante come agricola boscata, in linea con gli obiettivi dell’amministrazione di assicurare all’ambiente naturale dei luoghi in questione, quale bene pubblico di rango costituzionale (cfr. Cass Sez. III 10/10/2008 n.25010) una più adeguata tutela; e ciò a maggior ragione allorché i luoghi siano già contrassegnati da fenomeni di significativa urbanizzazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.01.2011 n. 352 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: La natura della convenzione di lottizzazione di accordo sostitutivo del provvedimento autorizza l'amministrazione, nell'esercizio della facoltà accordatale dal comma 4 dell'art. 11 L. 07.08.1990, n. 241, a sciogliersi dall'accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ed a regolare unilateralmente ed autoritativamente i rapporti e le attività oggetto della convenzione.
Riconoscendo pertanto tale ius variandi di fronte a sopravvenute esigenze pubbliche, a fortiori non può precludersi all’Amministrazione la facoltà di modificare la convenzione di fronte ad una errata applicazione della normativa vigente (si è pertanto ritenuto che la necessità di applicare la disciplina vigente, essendosi l’Amministrazione avveduta dell’errore nel mero calcolo delle aree destinate a parcheggio, abbia reso legittimo il provvedimento con cui unilateralmente sia stata modificata la convenzione, applicando correttamente la disciplina in materia).

Come noto la natura degli impegni assunti dai privati in una convenzione di lottizzazione deve essere ricostruita in termini di accordo sostitutivo del provvedimento di cui all'art. 11 L. 07.08.1990 n. 241.
Come già osservato da questo Tribunale (sez. I, sentenza n. 1253/2009), sull’inquadramento generale e natura giuridica da riconoscere agli accordi, si confrontano due tesi opposte: “quella privatistica che riconosce loro natura di contratti; e quella pubblicistica, che ne sottolinea invece l'afferenza al potere autoritativo e la funzione integrativa o sostitutiva rispetto al provvedimento amministrativo (in questo senso è sembrata orientarsi anche la Corte Cost., nella nota sent. 204/2004). Peraltro, in ogni caso, è stato osservato, sussistono comunque limiti insuperabili dagli accordi: “nella prospettiva pubblicistica, infatti, se è vero che l'oggetto dell'accordo è dato essenzialmente dalle modalità di esercizio del potere; si comprende come ciò presupponga pur sempre che il soggetto pubblico sia titolare di tale potere, dovendosi altrimenti affermare la radicale nullità dell'atto, per difetto assoluto di attribuzione (ovvero carenza di potere in astratto), a norma dell'art. 21-septies l. 241/1990”.
Ma anche nella prospettiva privatistica, che considera l'accordo alla stregua di un contratto” –ha osservato Tar Milano, "permane comunque in capo all'amministrazione pubblica il vincolo al perseguimento dell'interesse pubblico attribuito (dalla norma di azione) alla sua cura”, sottolineando che “l'utilizzo degli strumenti di diritto privato, quale espressione della capacità generale dell'ente pubblico, debba tuttavia essere giustificato in ragione della loro attinenza alle finalità curate dall'ente; e come il principio della capacità generale delle pubbliche amministrazioni (ex art. 11 c.c.) debba coordinarsi con il necessario rispetto del principio di legalità cui, secondo un'autorevole e persuasiva dottrina, è soggetta anche l'attività di diritto privato della p.a. e che si traduce in un "vincolo di scopo" interno all'atto negoziale”.
Pertanto la natura della convenzione di lottizzazione di accordo sostitutivo del provvedimento autorizza l'amministrazione, nell'esercizio della facoltà accordatale dall'art. 11, comma 4, l. 07.08.1990 n. 241, a sciogliersi dall'accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ed a regolare unilateralmente ed autoritativamente i rapporti e le attività oggetto della convenzione (TAR Lombardia Milano, sez. II, 29.11.2007, n. 6519).
Riconoscendo pertanto tale ius variandi di fronte a sopravvenute esigenze pubbliche, a fortiori non può precludersi all’Amministrazione la facoltà di modificare la convenzione di fronte ad una errata applicazione della normativa vigente. La necessità quindi di applicare la disciplina vigente, essendosi l’Amministrazione avveduta dell’errore nel mero calcolo delle aree destinate a parcheggio, rende legittimo il provvedimento con cui unilateralmente viene modificata la convenzione, applicando correttamente la disciplina in materia (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.01.2011 n. 104 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità della clausola di un bando di gara per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas che attribuisce un valore preponderante all'elemento economico.
E' da ritenere legittima, anche sotto il profilo della ragionevolezza, la clausola di un bando di gara che assegna un valore preponderante, ai fini della selezione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, all'elemento economico, in quanto dal dettato normativo di cui all'art. 14, c. 6, del d.lgs. n. 164/2000, si evince che il legislatore non ha predeterminato il valore ponderale da attribuire, rispettivamente, all'elemento qualità ed all'elemento prezzo delle offerte per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, lasciando spazio alla discrezionalità della P.A., da esplicare alla luce degli interessi da perseguire e delle circostanze specifiche della singola procedura in relazione alle condizioni della rete.
D'altra parte, la scelta di attribuire il peso di due terzi circa all'elemento economico non appare irragionevole né sproporzionata, in quanto, da un lato, l'elemento qualitativo non viene marginalizzato in modo da perdere ogni rilievo al fine di influenzare la scelta dell'aggiudicatario; d'altro canto, il riconoscimento di un rilievo significativo al dato economico è giustificato dalla decisione della stazione appaltante di farsi integralmente carico dell'onere di rimborso spettante al gestore uscente, ai sensi dell'art. 14, c. 8, del d.lgs. n. 164/2000, esonerando così i partecipanti dall'obbligo di sostenere il relativo costo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.01.2011 n. 224 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Offerta economicamente più vantaggiosa - Elementi di valutazione - Punteggio numerico - Sufficienza - Presupposti.
Il solo punteggio numerico assegnato agli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa può essere ritenuto idoneo a configurare motivazione sufficiente quando i prefissati criteri di valutazione, prevedenti un minimo ed un massimo, siano estremamente dettagliati; in questo caso, infatti, sussiste comunque la possibilità di ripercorrere il percorso valutativo, quindi di controllare la logicità e la congruità del giudizio tecnico (cfr., tra le più recenti, Cons. St., Sez. V, 16.06.2010 n. 3806 e 11.05.2007 n. 2355, nonché 09.04.2010 n. 1999, richiamata dall’appellante) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.01.2011 n. 222 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Attestato di agibilità - Esercizio dei poteri di repressione degli abusi edilizi - Preclusione - Inconfigurabilità.
Il procedimento volto ad attestare l’agibilità di un immobile non interferisce, difatti, con l’esercizio del potere di repressione degli abusi edilizi; né il rilascio del certificato di agibilità è sintomo di contraddittorietà della sanzione irrogata.
I due procedimenti hanno, invero, un differente oggetto: se il secondo è volto a sanzionare l’attività urbanistico-edilizia, laddove non sia stata realizzata in rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, il primo è, invece, finalizzato, unicamente, ad attestare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati (art. 24, d.P.R. n. 380/2001) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.01.2011 n. 94 - link a www.ambientediritto.it).

COMPETENZE PROGETTUALI: Immobili di interesse storico e artistico - Interventi di edilizia civile - Competenza dell’architetto - Art. 52 R.D. n. 2537/1925.
E’ tuttora vigente la limitazione posta dall’art. 52 del regolamento approvato con r.d. 2537/1925, che riserva alla professione di architetto «le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico, e il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla l. 364/1909», poi legge n. 1089/1939.
Alla stregua della anzidetta disposizione, non la totalità degli interventi concernenti gli immobili di interesse storico e artistico deve essere affidata alla specifica professionalità dell’architetto, ma solo «le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico» (Consiglio Stato, sez. VI, 11.09.2006, n. 5239; Consiglio Stato, sez. IV, 16.05.2006, n. 2776, TAR Sardegna Cagliari, sez. I, 24.10.2009, n. 1559).
Interventi su edifici esistenti di interesse storico-artistico - Interesse pubblico alla tutela dei beni artistici - Progetti di restauro e ripristino - Architetti.
Ogni intervento -seppure minimo- su edificio esistente che presenti dei particolari aspetti architettonici, e che necessiti di particolari conoscenze tecniche idonee a preservare il complesso di dette caratteristiche architettoniche, è di competenza esclusiva dell'architetto, e ciò non solo in ipotesi di beni sottoposti a vincolo, ma anche di quelli che, seppure non oggetto di uno specifico provvedimento, presentino un interesse storico-artistico (TAR Veneto Venezia, sez. I, 28.06.1999, n. 1098).
Difatti gli architetti, in ragione dello specifico corso di laurea che sono tenuti a percorrere e della conseguente professionalità (e sensibilità) artistica ed estetica che acquistano, devono ritenersi più idonei (rispetto agli ingegneri) a tutelare l'interesse pubblico connesso alla tutela dei beni artistici e storici e, quindi, a redigere i progetti di restauro e ripristino degli edifici che si caratterizzano per la loro valenza culturale (TAR Veneto Venezia, sez. II, 28.01.2005, n. 381).
Riserva di competenza degli architetti ex art. 52 R.D. n. 2537/1925 -Attività di restauro e ripristino - Terminologia atecnica - Corrispondenza con le definizioni di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 - Esclusione.
La riserva di competenza ex art. 52 R.D. n. 2537/1925, non può essere negata solo per il fatto che i lavori da appaltare consistano in un mero intervento di recupero e manutenzione straordinaria, e non di restauro in senso stretto, non essendovi ragioni per escludere tali tipologie di intervento da quelle riservate alla competenza degli architetti, tenuto anche conto che la norma in questione contempla in maniera generica le attività di restauro e ripristino.
La terminologia utilizzata dal legislatore del 1925 deve quindi essere considerata in senso atecnico, e non può essere riferita alle specifiche categorie di interventi sul patrimonio edilizio esistente poi codificate dall'art. 31 della legge 05.08.1978, n. 457 e oggi recepite nell'art. 3 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
L'espressione "restauro e ripristino" va quindi intesa in senso omnicomprensivo, come relativa a qualsiasi attività di recupero di una struttura edilizia che presenti peculiari caratteri storico-artistici (TAR Sardegna Cagliari, sez. I, 24.10.2009, n. 1559) (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 17.01.2011 n. 87 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Costituisce erronea applicazione dell'articolo 83 del D.Lgs. n. 163 del 2006, ed è pertanto illegittima, la riscontrata commistione realizzata dalla lex specialis tra requisiti soggettivi di partecipazione alla gara ed elementi oggettivi di valutazione dell'offerta.
Una tale circostanza, in particolare, trova verificazione qualora elementi di valutazione specificati nel disciplinare concernono caratteristiche organizzative e soggettive della concorrente, afferenti alla maturata esperienza pregressa ed al suo livello di capacità tecnica e specializzazione professionale, e dunque ad aspetti che, in quanto tali, possono legittimamente rilevare solo in sede di qualificazione alla gara, quali criteri di ammissione alla stessa, e non già in sede di valutazione dell'offerta.

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Ritenuta, nel merito, la fondatezza della censura intesa a lamentare l’illegittima commistione, realizzata dall’impugnata lex specialis, tra i requisiti soggettivi di ammissione ed i criteri oggettivi di valutazione delle offerte, relativamente alla previsione delle “norme di partecipazione” secondo cui “il progetto sarà valutato dalla Commissione Giudicatrice sulla base dei seguenti elementi: (…) 4. certificazione di qualità: Max 3 punti (1 punto per ogni certificazione)”;
Evidenziato infatti che “la certificazione di qualità è preordinata ad assicurare, in funzione della garanzia qualitativa di un determinato livello di esecuzione dell’intero rapporto contrattuale, l’idoneità dell’impresa ad effettuare la prestazione secondo il livello medesimo, accertata da un organismo esterno qualificato (organismo di certificazione) e secondo parametri rigorosi definiti a livello europeo, mediante attestazione che il prodotto, processo produttivo o servizio, risulta conforme ai requisiti fissati da norme tecniche, garantendone la validità nel tempo attraverso adeguata attività di sorveglianza” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 14.10.2005, n. 5800);
- Rilevato quindi che la certificazione di qualità attiene all’accertamento dell’idoneità tecnico-organizzativa di un’impresa, misurata secondo standards qualitativi di carattere oggettivo, e non alla rispondenza dell’offerta, nei suoi contenuti tecnici, alle esigenze perseguite dalla stazione appaltante mediante l’indizione della gara;
- Evidenziato quindi che l’illustrato contenuto della lex specialis, realizzando “la commistione fra requisiti soggettivi di partecipazione ed elementi oggettivi di valutazione dell’offerta che si verifica quando elementi di valutazione specificati nel disciplinare riguardano caratteristiche organizzative e soggettive della concorrente, che afferiscono all’esperienza pregressa maturata dalla concorrente ed al suo livello dì capacità tecnica e specializzazione professionale, ovvero ad aspetti che, in quanto tali, possono legittimamente rilevare solo in sede di qualificazione alla gara, e quindi solo quali criteri di ammissione alla stessa e non di valutazione dell'offerta, costituisce erronea applicazione dell’articolo 83 del d.lgs. 163 del 2006” (cfr. TAR Sardegna, Sez. I, 14.07.2010, n. 1887);
- Ritenuto che la contestata previsione della lex specialis, sebbene correlata all’attribuzione di un punteggio non particolarmente rilevante nella complessiva articolazione dei criteri di valutazione dell’offerta tecnica (3 punti su complessivi 50), sia nondimeno suscettibile di condizionare ex ante le modalità di formulazione dell’offerta da parte delle imprese concorrenti, rivelando in tal modo diretta e concreta attitudine lesiva, tale da legittimare l’impugnazione immediata della disciplina di gara;
- Ritenuta, peraltro, la fondatezza del ricorso anche nella parte in cui viene dedotta l’illegittimità della clausola in virtù della quale, ai fini della valutazione dell’offerta tecnica, viene prevista l’attribuzione di un punteggio variabile in relazione al “numero di automezzi di proprietà o in leasing che verranno utilizzati a supporto del personale che sarà in servizio”, ed in particolare di 5 punti in relazione ad una previsione di utilizzo di 5 fino a 10 automezzi, di 10 punti in relazione ad una previsione di utilizzo di 10 fino a 20 automezzi, di 15 punti in relazione ad una previsione di utilizzo di 20 fino a 30 automezzi, e di un massimo di 20 punti in corrispondenza di una previsione di utilizzo di 30 o più automezzi;
- Evidenziato invero che l’articolazione del punteggio in relazione al suddetto parametro risulta affetta dai lamentati vizi di illogicità e non proporzionalità, ove si consideri che l’allegato B del bando prevede, ai fini dell’espletamento del servizio di vigilanza, l’impiego contestuale di non più di circa 11 operatori complessivi;
- Ritenuto che, anche rispetto alla suddetta previsione ed a fortiori, sussiste la facoltà di impugnazione immediata della lex specialis, incidendo essa sulle modalità di formulazione dell’offerta da parte delle imprese concorrenti, le quali sarebbero costrette, al fine di aumentare le loro chances di aggiudicazione dell’appalto, a mettere a disposizione della stazione appaltante, ai fini dello svolgimento del servizio de quo, un numero sproporzionato di automezzi, sottraendoli alla restante gestione aziendale o comunque garantendosene -mediante acquisto o in altro modo- la disponibilità;
- Ritenuta l’irrilevanza, da quest’ultimo punto di vista, della circostanza relativa alla presentazione dell’offerta da parte dell’impresa ricorrente (cfr. nota prot. n. 3355 del 29.4.2009, allegata alla produzione difensiva dell’amministrazione intimata del 06.05.2009), non potendo escludersi che l’offerta suddetta sia stata formulata sul presupposto della illegittimità (e, quindi, senza tenerne conto) delle menzionate previsioni della lex specialis, e comunque essendo innegabile l’interesse della ditta suindicata, sulla scorta delle considerazioni precedentemente svolte in ordine alla lesività immediata delle prescrizioni impugnate, a partecipare alla gara dopo che queste ultime siano state espunte dalla relativa disciplina regolatrice;
- Ritenuto, invece, che la domanda di annullamento non possa essere accolta relativamente alla previsione di attribuzione di 5 punti in relazione al possesso dei certificati inerenti il servizio di vigilanza rilasciati al personale che le imprese concorrenti intendono utilizzare per l’espletamento del servizio, atteso che essa, concernendo i requisiti professionali posseduti dai soggetti che erogheranno concretamente il servizio di vigilanza, afferisce direttamente alle modalità qualitative di svolgimento della prestazione (e non alla complessiva idoneità tecnico-organizzativa del concorrente);
- Ritenuta la sussistenza, in capo alla stazione appaltante ed in conseguenza della presente sentenza, dell’onere di indire un nuovo procedimento di gara, ponendo a fondamento dello stesso una lex specialis emendata dai vizi riscontrati ...
(TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 17.01.2011 n. 49 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente per aver presentato la documentazione relativa al possesso dei requisiti di qualificazione redatta in lingua straniera non accompagnata da una traduzione giurata.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia presentato la documentazione relativa al possesso dei requisiti di qualificazione redatta in lingua straniera, omettendo, tuttavia, di allegarvi una traduzione giurata in lingua italiana, in quanto secondo consolidata giurisprudenza, al fine di assicurare la certezza delle situazioni giuridiche acclarate nelle certificazioni concernenti i requisiti richiesti dal bando di gara, qualora il loro originale sia stato formato in lingua straniera, è necessario che le predette certificazioni siano accompagnate dalla traduzione in lingua italiana giurata.
Per pacifica giurisprudenza, la presentazione di atti non accompagnati dalla traduzione ufficiale equivale alla non produzione degli stessi, in quanto ciò impedisce alla stazione appaltante di avere immediata, diretta e certa contezza delle referenze relative alla capacità tecnico-economica dei concorrenti.
D'altro canto, anche se la commissione avesse avuto padronanza della lingua straniera, soltanto la traduzione giurata avrebbe potuto fornire garanzia ufficiale di corrispondenza tra la documentazione prodotta in lingua originale ed il suo significato, e ciò, peraltro, conformemente all'orientamento della Corte costituzionale, secondo cui la lingua italiana è la lingua ufficiale dello Stato, da usare obbligatoriamente, salve le espresse deroghe disposte a tutela di gruppi linguistici minoritari, nell'ambito delle funzioni esercitate dai pubblici uffici.
Inoltre, grava sull'impresa partecipante l'onere di porre la stazione appaltante nella migliore condizione per poter prontamente verificare il contenuto dei documenti prodotti (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 14.01.2011 n. 325 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Richiesta di sanatoria edilizia - Titolo legittimante.
Titolo legittimante alla richiesta della sanatoria edilizia non è solo la proprietà degli immobili oggetto dei lavori: potenziale responsabile dell’abuso può essere non solo il proprietario o altro soggetto che vanti, sull’area, un diritto reale o obbligatorio, ma anche, ad esempio, il titolare o altro responsabile dell’impresa realizzatrice dei lavori, come altri soggetti che, in relazione al loro rapporto privilegiato con il bene, abbiano avuto la possibilità di realizzare l’abuso, così assumendosene la responsabilità (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 14.01.2011 n. 196 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Istanza di sanatoria - Indicazione degli adattamenti idonei a rendere l’opera compatibile con l’ambiente - Necessità - Esclusione - Diversa ipotesi della preventiva richiesta di autorizzazione.
L’organo preposto alla tutela del vincolo paesaggistico non è tenuto, in sede di esame di istanze di sanatoria, a fornire indicazioni circa gli adattamenti eventualmente idonei a rendere l’opera compatibile con l’ambiente, essendo la possibilità di indicare prescrizioni o accorgimenti prevista dalla normativa solo per la diversa ipotesi di preventiva richiesta di autorizzazione paesaggistica, allorché oggetto della valutazione è un progetto; in sede di sanatoria si tratta, invece, di opere già realizzate abusivamente, che vanno valutate per come si presentano; restano, d’altra parte, irrilevanti, atteso il carattere permanente dell’abuso, il decorso del tempo e l’eventuale inerzia dell’Amministrazione nel sanzionarlo (cfr., TAR Toscana, III, 04.03.2010 n. 625 e n. 626) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 14.01.2011 n. 75 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Interventi di restauro e risanamento conservativo - Nozione - Fattispecie.
Sono qualificabili interventi di restauro e risanamento conservativo gli interventi sistematici che, pur con rinnovo di elementi costitutivi dell'edificio preesistente, ne conservano tipologia, forma e struttura; per contro, rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia le opere rivolte a creare un organismo in tutto o in parte diverso da quello oggetto di intervento (Cons. Stato, IV, 2981/2008).
Non può pertanto integrare la tipologia del restauro conservativo un intervento edilizio che si sia sviluppato attraverso la cospicua (o maggioritaria) realizzazione di elementi strutturali del tutto nuovi, che si affiancano a pochi relitti murari preesistenti e costituiscono larga percentuale della complessiva superficie muraria, soprattutto allorquando siano lasciati integri solo alcuni elementi strutturali preesistenti allo scopo di costituire un simbolico paravento della nuova costruzione (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 14.01.2011 n. 57 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità dell'aggiudicazione di un appalto del servizio di gestione dell'asilo nido comunale ad una società cooperativa sociale consortile costituita da due gruppi di cooperative.
E' legittimo il provvedimento di aggiudicazione di un appalto del servizio di gestione dell'asilo nido comunale, adottato da una stazione appaltante nei confronti di una società cooperativa consortile costituita da due gruppi di cooperative in quanto, nel caso di specie, trattasi di un consorzio di cooperative c.d. di "secondo grado", cui si applica l'art. 27 del d.lgs. C.P.S. n. 1577/1947, in quanto tale ammesso a partecipare alle gare di appalto per l'affidamento di pubblici servizi, ai sensi dell'art. 34, lett. b), del d.lgs. n. 163/2006.
Né a diversa conclusione può condurre la presenza, tra i soggetti partecipanti al consorzio, di una società per azioni, giacché tale evenienza è espressamente prevista dalla legge, che, all'art. 8 l. n. 381/1991, prevede che la base sociale dei consorzi rientranti nel suo stesso ambito di applicazione possa essere formata, ancorché in misura inferiore al trenta per cento, anche da soggetti diversi da cooperative sociali.
Nel caso di specie, la partecipazione, con un'incidenza minima sul capitale sociale, di una società per azioni non può, quindi, precludere la qualificabilità di detta struttura consortile quale consorzio di cooperative, come tale legittimato alla partecipazione in proprio alle gare pubbliche.
Peraltro, nella fattispecie in esame, è incontestato che il possesso dei requisiti generali in ordine alla regolarità della gestione delle singole imprese sotto il profilo dell'ordine pubblico e di idoneità morale, siano stati dichiarati e verificati non solo in capo al consorzio, ma anche alle consorziate designate esecutrici del servizio, così come ritenuto necessario dalla giurisprudenza; mentre, in ordine ai soli requisiti di idoneità tecnica e finanziaria, gli stessi sono stati correttamente ritenuti cumulabili in capo al consorzio (TAR Lombardia-Brescia Sez. II, sentenza 14.01.2011 n. 51 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIRITTO DELL’ENERGIA - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Autorizzazioni unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Valutazioni di carattere paesaggistico - Espressione nell’ambito della Conferenza di servizi - Parere reso al di fuori della conferenza - Illegittimità per incompetenza assoluta.
L’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 prevede che la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione elettrica alimentate da fonti rinnovabili sono soggetti ad un'autorizzazione unica rilasciata dalla Regione, che è tenuta a convocare la conferenza di servizi entro 30 giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione (TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 578 del 20.01.2010, n. 578).
L’autorizzazione unica sostituisce quindi tutti i pareri e le autorizzazioni altrimenti necessari, e in essa confluiscono anche le valutazioni di carattere paesaggistico, nonché quelle relative all’esistenza di vincoli di carattere storico-artistico, tramite il meccanismo della Conferenza di servizi.
Pertanto, l'organo competente al rilascio dell'autorizzazione unica compie la valutazione comparativa di tutti gli interessi coinvolti, tenendo conto delle posizioni di dissenso espresse dai partecipanti alla Conferenza di servizi (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22.02.2010, n. 1020), mentre le Amministrazioni interessate dal progetto di realizzazione dell'opera, ivi compresa quella deputata alla tutela del paesaggio, sono tenute a partecipare alla predetta conferenza ed ad esprimere in tale sede i pareri di cui sono investiti per legge.
Qualora, invece, il singolo parere sia reso al di fuori della conferenza esso è illegittimo per incompetenza assoluta alla stregua di un atto adottato da un'autorità amministrativa priva di potere in materia (C.G.A.R.S., ordinanza 14.10.2009 n. 1032; C.G.A.R.S., 11.04.2008, n. 295; TAR Sicilia Palermo, sez. I, 02.02.2010, n. 1297) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 14.01.2011 n. 35 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa disciplina dettata dalla l. 122/1989, in quanto norma di favore, è letteralmente chiara ed univoca e, proprio perché introduce norma eccezionale derogatoria rispetto all’ordinaria disciplina delle distanze, non ne è legittima alcuna interpretazione estensiva.
Le autorimesse in deroga al P.R.G. devono essere realizzate interamente nel sottosuolo poiché complessivamente la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato evidenzia come la legge Tognoli, se pure è volta a favorire la realizzazione di autorimesse, è contestualmente intesa a fare salvo l’aspetto esteriore e visibile del territorio, nel senso di consentire la realizzazione di parcheggi nel sottosuolo o al piano terreno di un fabbricato preesistente, proprio perché, ubicate nei modi previsti dalla legge, tali strutture non comportano alterazioni visibili del territorio; stesso argomento è ovviamente valido per le autorimesse pertinenziali se ed in quanto sotterranee che come tali non alterano lo stato esterno dei luoghi.

In caso analogo si legge ad esempio in C. Stato Sez. IV n. 2579/2009 (ove si affronta la questione del computo delle altezze e volumetrie dopo la “sistemazione” del terreno consentito del P.R.G a partire dal nuovo piano artificialmente venutosi a creare): “Non è chi non veda l'erroneità di una tale interpretazione, la quale fa derivare la quota del piano di campagna dalle scelte progettuali e non -come invece logico e naturale- dallo stato di fatto del terreno.
Una tale tesi tende a dare un'interpretazione capziosa della nozione di "opere di sistemazione" del terreno, che sono non tutte quelle scelte dal progettista, ma quegli interventi di minima entità necessari a conformare il terreno alla futura attività edilizia (dissodamento, livellamento e interventi analoghi) ma non certo ad alterarne la caratteristiche naturali.
A seguire tale tesi si perverrebbe alla conclusone assurda che lo stacco dell'edificio dal terreno non sia ancorato a dati certi ed obiettivi, ma a scelte arbitrarie ed insindacabili del proprietario dell'immobile
.”
Prosegue il giudice d’appello: “In conclusione, un innalzamento di quasi un metro della quota naturale del terreno, tanto più ove finalizzato a realizzare un vano seminterrato, non può considerarsi lavoro o opera di sistemazione, determinando esso un'alterazione tanto significativa dello stato dei luoghi da avere comportato la creazione di un muro di sostegno del terrapieno che è risultato dai lavori.”
Ancora sostiene parte controinteressata che la disciplina dettata dalla l. 122/1989, in quanto norma di favore, sarebbe sempre suscettibile di interpretazione estensiva sicché la costruzione di autorimesse nelle aree pertinenziali sarebbe ammessa sia qualora avvenga interamente nel “sottosuolo” sia qualora avvenga in forma seminterrata.
Cita al proposito un risalente precedente (C. Stato n. 1007/1995) sul punto isolato; per altro, come evidenziato dalla ricorrente, la suddetta pronuncia riteneva la legittimità dell’autorimessa in contestazione sulla scorta della specifica disciplina urbanistica dettata dal P.R.G. applicabile nel caso affrontato.
Già si è verificato che nel caso di specie la previsione di piano regolatore che legittima, in determinati casi e presupposti, un innalzamento del piano di campagna ai fini del computo anche di cosa è definibile interrato o meno, non legittima l’operazione compiuta da parte contro interessata.
Resta, nella invocata pronuncia del 1995, una affermazione di possibile interpretazione estensiva del concetto di costruzione interrata dettata dall’art. 9 della l. 122/1989 e ivi ritenuta riferibile anche al “seminterrato”; l’assunto pare isolato e non si ritiene condivisibile.
Il dettato normativo è letteralmente chiaro ed univoco e, proprio perché introduce norma eccezionale derogatoria rispetto all’ordinaria disciplina delle distanze, non ne è legittima alcuna interpretazione estensiva.
Così chiariscono che le autorimesse in questione devono essere realizzate interamente nel sottosuolo C. Stato sez. IV 1070/2009 e C. Stato sez. V 1662/1994 poiché complessivamente la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato evidenzia come la legge Tognoli, se pure è volta a favorire la realizzazione di autorimesse, è contestualmente intesa a fare salvo l’aspetto esteriore e visibile del territorio, nel senso di consentire la realizzazione di parcheggi nel sottosuolo o al piano terreno di un fabbricato preesistente, proprio perché, ubicate nei modi previsti dalla legge, tali strutture non comportano alterazioni visibili del territorio; stesso argomento è ovviamente valido per le autorimesse pertinenziali se ed in quanto sotterranee che come tali non alterano lo stato esterno dei luoghi (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 14.01.2011 n. 31 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La sanatoria edilizia può ben intervenire anche a seguito di conformità “sopraggiunta” dell’intervento in un primo tempo illegittimamente assentito.
Anche recentemente, è stato riaffermato (cfr. Cons. Stato, VI, 07.05.2009, n. 2835) che:
- la sanatoria edilizia può ben intervenire anche a seguito di conformità “sopraggiunta” dell’intervento in un primo tempo illegittimamente assentito, divenuto cioè permissibile al momento della proposizione della nuova istanza dell’interessato, posto che questa si profila come del tutto autonoma rispetto all’originaria istanza che aveva condotto al permesso annullato in sede giurisdizionale, in quanto basata su nuovi presupposti normativi in materia edilizia; pare pertanto palesemente irragionevole negare una sanatoria di interventi che sarebbero legittimamente concedibili al momento della nuova istanza, perdendo oltretutto automaticamente efficacia, a seguito della presentazione di questa, il pregresso ordine di demolizione e ripristino, secondo l’orientamento di questo Consiglio in tema di rilevanza su tale ordine dell’istanza di sanatoria (cfr. VI, 12.11.2008, n. 5646, ex multis);
- il principio normativo della “doppia conformità”, infatti, è riferibile all’ipotesi ragionevolmente avuta di mira dal legislatore, desumibile cioè dal senso obiettivo delle parole utilizzate dall’articolo 13 della legge 47/1985, ovvero dal vigente articolo 36 del d.P.R. 380/2001, ipotesi che è quella di garantire il richiedente dalla possibile variazione in senso peggiorativo della disciplina edilizia, a seguito di adozione di strumenti che riducano o escludano, appunto, lo jus aedificandi quale sussistente al momento dell’istanza.
Quindi, la tipicità del provvedimento di accertamento in sanatoria, quale espressione di disposizione avente carattere di specialità, va rigorosamente intesa come riferimento al diritto vigente (cfr. V, 29.05.2006, n. 3267), e commisurata alla finalità di favor obiettivamente tutelata dalla previsione, in modo da risultare conforme al principio di proporzionalità e ragionevolezza nel contemperamento dell’interesse pubblico e privato;
- la norma, infatti, non può ritenersi diretta a disciplinare l’ipotesi inversa dello jus superveniens edilizio favorevole, rispetto al momento ultimativo della proposizione dell’istanza.
In effetti, imporre per un unico intervento costruttivo, comunque attualmente “conforme”, una duplice attività edilizia, demolitoria e poi identicamente riedificatoria, lede parte sostanziale dello stesso interesse pubblico tutelato, poiché per un solo intervento, che sarebbe comunque legittimamente realizzabile, si dovrebbe avere un doppio carico di iniziative industriali-edilizie, con la conseguenza, contrastante con il principio di proporzionalità, di un significativo aumento dell’impatto territoriale ed ambientale, (altrimenti considerato in termini più ridotti alla luce della ratio della norma in tema di accertamento di conformità);
- gli articolo 13 e 15 della legge 47/1985, richiedenti per la sanatoria delle opere realizzate senza concessione e delle varianti non autorizzate, che l’opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell’opera, quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, sono disposizioni contro l’inerzia dell’Amministrazione, e significano che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda.
Tale regola non preclude il diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l’autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria (cfr. V, 21.10.2003, n. 6498).
Questo Tribunale ha aderito al rammentato indirizzo giurisprudenziale (sentt. 30.03.2000, n. 290; 08.07.2002, n. 505; 29.10.2004, n. 656; 08.09.2005, n. 431; da ultimo, 20.05.2010, n. 329).
Il Collegio, pur consapevole della cautela con la quale è necessario applicare il principio in questione, non ritiene di discostarsi in questa occasione dall’orientamento ricordato (TAR Umbria, sentenza 14.01.2011 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Offerta economicamente più vantaggiosa - Variazioni migliorative in sede di offerta.
E’ insito nella scelta del criterio selettivo dell'offerta economicamente più vantaggiosa che, anche in presenza di un progetto definitivo posto a base di gara, sia consentito alle imprese proporre le variazioni migliorative rese possibili dal possesso di peculiari conoscenze tecnologiche, purché non si alterino i caratteri essenziali delle prestazioni richieste dal bando, per non ledere la par condicio (cfr. C.S., sezione IV, dec. 11.02.1999 n. 149).
In particolare (cfr. C.S., sezione V, dec. 19.02.2003 n. 923), si ammettono varianti migliorative riguardanti le modalità esecutive dell'opera o del servizio, purché non si traducano in una diversa ideazione dell'oggetto del contratto, che si ponga come del tutto alternativo rispetto a quello voluto dalla p.a.; risulta inoltre essenziale che la proposta tecnica sia migliorativa rispetto al progetto base, che l'offerente dia contezza delle ragioni giustificanti l'adattamento proposto e le variazioni alle singole prescrizioni progettuali, che si dia la prova che la variante garantisca l'efficienza del progetto e le esigenze della p.a. sottese alla prescrizione variata.
Offerta economicamente più vantaggiosa - Offerta tecnica - Punteggio - Discrezionalità della commissione - Art. 83 d.lgs. n. 163/2006.
In materia di specificazione dei criteri per la valutazione delle offerte, secondo quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, l'art. 83, comma 4, d.lgs. n. 163/2006, lascia ampia discrezionalità alla commissione nella suddivisione del punteggio da attribuire agli elementi costituenti l'offerta tecnica, secondo i criteri predefiniti nel bando di gara: tale discrezionalità tecnico-amministrativa non potrebbe essere oggetto di sindacato giurisdizionale se non in presenza di macroscopiche irrazionalità e/o incongruenze, tali non essendo la parziale riproduzione di alcuni dei punti messi in evidenza dai criteri generali di valutazione espressi dal bando, laddove la incongruità invece sarebbe stata evidente se la commissione, nell'elaborare i sottocriteri, si fosse discostata completamente dal bando (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.01.2011 n. 171 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla legittimità delle disposizioni di un bando di gara che prevedano la possibilità, per la commissione giudicatrice, di operare in composizione ridotta, e non con il "plenum" dei suoi componenti.
Sono legittime le disposizioni di un bando di gara che prevedano la possibilità, in capo ad una commissione giudicatrice, di svolgere la propria attività non in qualità di "collegio perfetto", in sede plenaria, bensì in composizione ridotta. Secondo consolidata giurisprudenza, la caratteristica del c.d. "collegio perfetto" riposa sulla circostanza che esso debba operare con il plenum dei suoi componenti, nelle fasi in cui l'organo è chiamato a compiere valutazioni tecnico-discrezionali, ovvero ad esercitare prerogative decisorie, rispetto alle quali si configura l'esigenza che tutti i suoi componenti offrano il loro contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale.
Tuttavia, tale modalità operativa si giustifica, in assenza di una norma che espressamente disponga in tal senso, quando i componenti designati non si distinguono in base alla rispettiva formazione professionale, ma si qualificano quali esperti del settore o della materia cui fa riferimento l'oggetto del procedimento selettivo. Ossia, quando i singoli componenti non rivestano la funzione di rappresentanti di interessi esterni all'amministrazione procedente.
Pertanto, non v'è quella eterogeneità di provenienza, esperienza, possesso di titoli, che avrebbe potuto giustificare l'attribuzione in via ermeneutica della qualifica di "collegio perfetto" alla commissione, in quanto formato da soggetti portatori di distinte e non sovrapponibili esperienze, la cui necessaria contemporanea compresenza garantisce lo svolgimento dei lavori della commissione.
In carenza di tale elemento, la scelta di prevedere la possibilità che la commissione renda il proprio parere pur in assenza del plenum dei propri componenti è da ritenersi legittima e non distorsiva della par condicio dei concorrenti (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 13.01.2011 n. 19 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Accesso - Atti assoggettati a registrazione - Accesso da parte di soggetti diversi dai contraenti - Autorizzazione del giudice competente - Art. 18, c. 3, d.P.R. n. 131/1986.
L'art. 24 comma 5, della legge 07.08.1990 n. 241 fa salve le disposizioni vigenti che limitano l'accesso alla documentazione amministrativa, sicché deve ritenersi che la richiesta di accesso a una denuncia di successione, come agli altri atti assoggettati a registrazione, da parte dei soggetti diversi dalle parti contraenti, dai loro aventi causa o da coloro nel cui interesse la registrazione è stata eseguita, sia disciplinata dall'art. 18, comma 3, del d.P.R. 26.04.1986 n. 131 (t.u. dell'imposta di registro) cui rinvia per i divieti l'art. 60 del d.lgs. 31.10.1990 n. 346 (t.u. delle imposte di donazione e successione), per cui il rilascio di copie di tali atti può avvenire soltanto su autorizzazione del giudice competente.
Conseguentemente, la domanda di accesso a una denuncia di successione da parte di un terzo deve essere preceduta da apposita autorizzazione del g.o. competente e la carenza di tale previa autorizzazione comporta l'insussistenza dell'obbligo dell'amministrazione finanziaria di consentire l'accesso e di rilasciare copia della denuncia richiesta (TAR Abruzzo Pescara, 22.03.2002, n. 352) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 13.01.2011 n. 7 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Bonifica - Artt. 242 e ss. d.lgs. n. 152/2006 - Obbligo di bonifica - Proprietario dell’area inquinata - Facoltà di eseguire gli interventi - Opere realizzate dall’amministrazione competente - Privilegio speciale immobiliare sul fondo.
La legge pone l’obbligo di bonifica in capo al responsabile dell’inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l’onere di ricercare ed individuare (v. gli artt. 242 e 244 del D.Lgs. n. 152/2006), mentre il proprietario non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera “facoltà” di effettuare interventi di bonifica (art. 245 D.Lgs. n. 152/2006); nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica saranno realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250 decreto cit.), salvo, a fronte delle spese da esse sostenute, l’esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo, a tutela del credito per la bonifica e la qualificazione degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso, onere destinato pertanto a trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno (art. 253 decreto cit.).
INQUINAMENTO - Bonifica - Diritto dell’amministrazione al recupero degli oneri di bonifica - Azione di ingiustificato arricchimento.
Il diritto dell’amministrazione al recupero degli oneri della bonifica va ricondotto nell’alveo delle azioni di ingiustificato arricchimento, rispetto alle quali la azione in parola si differenzia essenzialmente per l’esistenza di particolari forme di garanzia (onere reale e privilegio speciale immobiliare) che assicurano il recupero dei costi di intervento.
INQUINAMENTO - Bonifica - Responsabilità per danni all’ambiente - Natura - Responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.. - Art. 311, c. 2 d.lgs. n. 152/2006.
Dal D.Lgs. n. 152/2006 ( art. 311, comma 2) si evince che la responsabilità per i danni all’ambiente rientra nel paradigma della “tradizionale” responsabilità extracontrattuale soggettiva (c.d. “responsabilità aquiliana" ex art. 2043 c.c.), con esclusione di una qualsivoglia forma di responsabilità oggettiva.
INQUINAMENTO - Provvedimento impositivo della bonifica - Notifica al proprietario dell’area inquinata - finalità.
Il provvedimento impositivo della messa in sicurezza e bonifica va notificato al proprietario al fine di renderlo edotto dell’onere reale gravante sul fondo (che egli ha facoltà di assolvere per liberare l’area dal relativo vincolo), ma non può imporre misure di bonifica senza un adeguato accertamento della responsabilità, o corresponsabilità, del proprietario (e, anche a maggior ragione, del mero utilizzatore di cui non viene dimostrata e nemmeno minimamente postulata la responsabilità) per l’inquinamento del sito (TAR Friuli Venzia Giulia, Sez. I, sentenza 13.01.2011 n. 6 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: VAS - Autorità competente - Amministrazione diversa o separata dall’autorità procedente - Necessità - Esclusione - Art. 5 d.lgs. n. 152/2006 - Modifiche ex d.lgs. n. 128/2010 - Distinzione tra parere motivato a conclusione della fase di VAS e provvedimento di VIA.
L’autorità competente alla V.A.S. non deve essere necessariamente individuata in una pubblica amministrazione diversa da quella avente qualità di “autorità procedente”; se dalle definizioni di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 152/2006 risulta infatti chiaro che entrambe le autorità de quibus sono sempre “amministrazioni” pubbliche, in nessuna definizione del Testo Unico ambientale si trova affermato in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di amministrazioni diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente).
Tale conclusione appare confortata dalle modifiche apportate al d.lgs. nr. 152 del 2006 dal recentissimo decreto legislativo 29.06.2010, nr. 128, laddove già a livello definitorio si distingue tra il “parere motivato” che conclude la fase di V.A.S. (art. 5, comma 1, lettera m-ter) e il “provvedimento” di V.I.A. (art. 5, comma 1, lettera p): a conferma che solo nel secondo caso, e non nel primo, si è in presenza di una sequenza procedimentale logicamente e ontologicamente autonoma.
VAS - Art. 11 d.lgs. n. 152/2006 - VAS - Natura - Passaggio endoprocedimentale della procedura di pianificazione.
L’art. 11, d.lgs. nr. 152 del 2006 costruisce la V.A.S. non già come un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima (Consiglio di Stato,  Sez. IV, sentenza 12.01.2011 n. 133 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Impianti di comunicazione elettronica - Parere dell’ARPA Art. 87 d.lgs. n. 259/2003 - Necessità al fine del perfezionamento del titolo abilitativo - Esclusione.
L’art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003 postula che il parere dell’A.R.P.A. sia richiesto esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell’impianto di comunicazioni elettroniche e non anche ai fini del perfezionamento del titolo abilitativo, perché non sussiste un onere per il richiedente di allegare siffatto parere in sede di presentazione dell’istanza di titolo edilizio (della denuncia di inizio di attività), né un obbligo di far pervenire il parere medesimo all’ente procedente entro il termine di novanta giorni di cui al comma 9 dell’art. 87, cit. (Cons. Stato, Sez. VI, 28.04.2010, n. 2436).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Autorizzazione ex art. 87 d.lgs. n. 259/2003 - Rapporto con le disposizioni in materia urbanistico-edilizia.
L'autorizzazione (ovvero la formazione tacita del titolo abilitativo) di cui all'art. 87 del d.lgs. 01.08.2003, n.259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), non costituisce atto che presuppone o è presupposto rispetto a quello richiesto dal t.u. delle disposizioni in materia edilizia, ma assorbe in sé e sintetizza anche la valutazione urbanistico-edilizia che presiede al titolo edilizio.
Infatti, laddove il nuovo procedimento fosse destinato non a sostituire, ma ad abbinarsi a quello edilizio ordinario, verrebbero di fatto vanificati i principi ispiratori del Codice delle comunicazioni elettroniche, in particolare quelli della previsione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione e della riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti, nonché della regolazione uniforme dei medesimi (in tal senso: Cons. Stato, VI, 19.10.2008, n. 5044).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Installazione di stazioni radio base - Certificato di abitabilità - Necessità - Esclusione.
La disciplina nazionale in tema di rilascio dei titoli abilitativi per l’installazione delle S.R.B. per telefonia mobile non richiede il certificato di abitabilità. Un’eventuale esigenza in tal senso risulterebbe ultronea, trattandosi di installazioni assimilate per legge ad opere di urbanizzazione primaria ed in ordine alla cui realizzabilità non sembra ostare la carenza di un requisito (quello dell’abitabilità) finalizzato a ben diversi scopi (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.01.2011 n. 98 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAUna volta accertata la conformità dell’intervento edilizio agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi, l’assumere a presupposto del diniego un elemento estraneo a tale verifica, qual’è la viabilità di accesso al lotto sul quale si chiede di costruire, esula dai poteri assegnati al Comune dalla legge in sede di rilascio dl permesso di costruire.
In un caso che presenta evidenti analogie rispetto a quello in esame, si è pronunciato il Consiglio di Stato (cfr. C.d.S sez. 4^ n. 7263/2005) affermando che la concessione edilizia si configura come un provvedimento amministrativo di conformità del progetto alla disciplina urbanistica ed edilizia della zona, di natura assolutamente vincolata e non discrezionale e escludendo che il rilascio della concessione edilizia possa essere denegato, in presenza di intervento perfettamente conforme alle norme urbanistiche edilizie, per il fatto, nella specie assunto a motivo del diniego della domanda, che i realizzandi parcheggi, interessando un’area che i privati avevano ceduto al Comune ai fini di standard, creavano, di fatto, una servitù a carico di un bene pubblico.
E ancora (cfr. parere C.d.S. sez. 2^ n. 2559 del 27.02. 2002 reso in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato) “che una volta accertata la conformità dell’intervento agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi, l’assumere a presupposto del diniego un elemento estraneo a tale verifica, qual’è la viabilità di accesso al lotto sul quale si chiede di costruire, esula dai poteri assegnati al Comune dalla legge in sede di rilascio dl permesso di costruire”.
Non appare invece conferente il richiamo alla giurisprudenza invocata dalle parti resistenti (TAR Puglia Bari 3^ sezione n. 2994/2004 e TAR Piemonte 1^ sez. 07.05.2003 n. 673) che assumono che il rilascio del permesso di costruire deve ritenersi subordinato all’accertata insussistenza di posizioni soggettive di terzi suscettibili di essere pregiudicate dalle opere assentite, come comprova la clausola “salvi i diritti dei terzi” che è ritualmente apposta nei provvedimenti concessori.
Tale clausola, infatti, ritiene il Collegio, indebolisce, anziché rafforzare, la tesi che il permesso di costruire, come ogni altro provvedimento suscettibile di incidere sulla proprietà privata, in quanto rilasciato, sempre e comunque espressamente, senza pregiudizio di eventuali diritti di terzi sui beni che ne sono oggetto, sia condizionato dalla pax inter cives e quindi da eventuali pretese avanzate da soggetti estranei al rapporto amministrativo (cfr. C.d.S sez. 4^ n. 3201/2006), quali, in ipotesi i terzi che si oppongono al riconoscimento della servitù coattiva di accesso al fondo e solo ad esso (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 12.01.2011 n. 37 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fonti di energia rinnovabili - Pubblico interesse e pubblica utilità - Art. 12, c. 1 d.lgs. n. 387/2003 - Protocollo di Kyoto.
L'utilizzazione delle fonti di energia rinnovabile è considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità, e le opere relative sono dichiarate indifferibili ed urgenti (art. 12, comma 1, del D.Lgs. 387/2003), anche in considerazione del fatto che la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra attraverso la ricerca, la promozione, lo sviluppo e la maggior utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili e di tecnologie avanzate e compatibili con l'ambiente costituisce un impegno internazionale assunto dall'Italia con la sottoscrizione del cosiddetto “Protocollo di Kyoto” dell'11.12.1997 (ratificato con legge n. 120 del 2002).
Realizzazione e gestione di impianti eolici - Autorizzazione unica - Comune - Interesse urbanistico ad una corretta localizzazione - Conferenza di servizi.
La realizzazione e gestione di impianti eolici rientra tra le attività di impresa liberalizzate, che, a scopo di semplificazione burocratica ed in ossequio ai principi comunitari, viene sottoposta, previa conferenza di servizi, ad un’autorizzazione unica, che costituisce anche titolo per la costruzione dell'impianto, e, quindi, è anche sostitutiva del permesso di costruire, poiché il Comune può far valere il proprio interesse, ambientale ed urbanistico, ad una corretta localizzazione urbanistica del parco eolico e alla sua conformità edilizia, nell'ambito della suddetta previa conferenza di servizi (conf.: Cons. Stato, Sez. III par. 14.10.2008 n. 2849).
Impianti eolici - Autorizzazione - Mancata approvazione del piano energetico comunale - Determinazione negativa - Illegittimità - D. Lgs. n. 387/2003 - Termine di conclusione del procedimento - 180 gg.
E’ illegittima la determinazione negativa del Comune in ordine all’autorizzazione per la realizzazione di un impianto eolico, sul rilievo della mancata approvazione del piano energetico comunale: detta determinazione viene a tradursi, in sostanza, in una sorta di “sospensione sine die” delle richieste di autorizzazione in tale settore, in contrasto con il principio fondamentale del D.L.vo n. 383/2003, che esige la conclusione del procedimento entro il termine definito di 180 giorni, in coerenza con le regole della semplificazione amministrativa e della celerità, in modo uniforme sull'intero territorio nazionale (conf.: Corte Cost. sent. 09.11.2006 n. 364, 14.10.2005 n. 383 e n. 336 del 2005).
Produzione di energia eolica - Interesse paesaggistico - Interesse all’approvvigionamento energetico - Principio di proporzionalità.
L'impatto territoriale degli impianti per la produzione di energia eolica, sicuramente rilevante e tale da giustificare l'esercizio dei poteri urbanistici e paesaggistici, non è tuttavia un elemento da considerare in via esclusiva, dovendo l'attività in parola tener conto altresì (e principalmente) dell'interesse nazionale -costituzionalmente rilevante- all'approvvigionamento energetico, soprattutto se in forme non inquinanti, il quale richiede la necessità, in base al principio di proporzionalità, della precisa indicazione delle ragioni ostative al rilascio della autorizzazione paesaggistica, al fine di eliminare sproporzioni fra la tutela dei vincoli e la finalità di pubblico interesse sotteso alla produzione ed utilizzazione dell'energia elettrica.
Regioni - Indicazione dei luoghi ove non è possibile costruire impianti di energia rinnovabile - Preventiva approvazione delle linee guida nazionali.
L’indicazione, da parte delle Regioni, dei luoghi ove non è possibile costruire gli impianti di energia rinnovabile può avvenire solo a seguito della approvazione delle linee guida nazionali per il corretto inserimento degli impianti eolici nel paesaggio da parte della Conferenza unificata ex art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29.12.2003, n. 387 (Corte Cost.: sent. 26.03.2010 n. 119 e sent. 26.11.2010 n. 344.
Impianti di energia rinnovabile - Artt. 12 d.lgs. n. 387/2003 e 14-quater L. n. 241/1990 - Amministrazione dissenziente - Dissenso costruttivo - Indicazione delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso.
Dal combinato disposto dell'art. 12, comma 4, del D.L.vo 387/2003 e dell'art. 14-quater, comma 1, della L. 241/1990, deriva l'obbligo dell'Amministrazione dissenziente (nel caso di specie il Comune sul cui territorio deve sorgere l'impianto) di esprimere la propria opposizione con un atto "costruttivo" che oltre ad essere congruamente motivato, deve anche recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso.
Comuni - Previsioni di aree specificamente destinate ad impianti eolici - Mancanza di specifico previsioni conformative - Zone agricole - Compatibilità.
Se è vero che i Comuni possono prevedere, nell'esercizio della propria discrezionalità in materia di governo del territorio, aree specificamente destinate ad impianti eolici, anche tenuto conto delle (diverse) disposizioni vigenti in tema di sostegno nel settore agricolo, di valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, di tutela della biodiversità, di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio rurale, etc., occorre, però, ritenere che, in mancanza di alcuna espressa previsione conformativa, detti impianti possono essere localizzati, senza distinzione (almeno, per quanto riguarda la valutazione di compatibilità urbanistica), in tutte le zone agricole (conf.: TAR Umbria, 15.07.2007, n. 518) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 12.01.2011 n. 32 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Piano di lottizzazione - Approvazione - Stipula della convenzione - Separatezza - Amministrazione - Mutamento delle determinazioni pianificatorie anteriormente alla stipula della convenzione - Legittimità.
L'Amministrazione, dopo aver approvato un piano di lottizzazione e prima della stipula della relativa convenzione, possa rivedere le proprie determinazioni pianificatorie sulla medesima area (e quindi, conseguentemente, decidere di non stipulare più la convenzione di lottizzazione): ciò discende, a tacer d'altro, dalla natura meramente programmatoria del piano di lottizzazione, che è, di per sé, inidoneo a far sorgere in capo ai privati aspettative giuridicamente qualificate in ordine al regime urbanistico delle aree ricomprese nello strumento attuativo, nonché dalla separatezza tra la fase della approvazione del piano e quella della stipula della convenzione (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 12.01.2011 n. 31 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO – Classificazione acustica – Sindacato giurisdizionale – Limiti.
Il sindacato in sede giurisdizionale in materia di classificazione acustica del territorio incontra precisi limiti nell'esigenza di non impingere nel merito delle valutazioni discrezionali di spettanza dell’ente locale: di conseguenza, il sindacato suddetto è esercitabile in presenza di illogicità, irrazionalità o travisamenti che denuncino la sussistenza del vizio di eccesso di potere (cfr. Cons. St., IV, n. 9302/2009).
INQUINAMENTO ACUSTICO – Classificazione acustica – Rapporto con la pianificazione urbanistica.
La classificazione acustica del territorio deve coordinarsi e non sovrapporsi meccanicamente alla pianificazione urbanistica. se da un lato, infatti, la zonizzazione acustica si caratterizza per la tendenziale omogeneità con la zonizzazione degli strumenti urbanistici, la quale costituisce l’imprescindibile punto di partenza per la classificazione del territorio, tuttavia deve considerarsi che tale corrispondenza non è perfettamente biunivoca e che anzi esiste un naturale scollamento fra le due tipologie di pianificazione, poiché lo strumento urbanistico disciplina l'assetto del territorio ai fini prettamente urbanistici ed edilizi, individuando le zone omogenee con criteri quantitativi, mentre la classificazione acustica ha riguardo all'effettiva fruibilità dei luoghi, valendosi di indici qualitativi (cfr. Tar Veneto n. 967/2009; Tar Liguria, Sez. I, 28.06.2005, n. 985).
INQUINAMENTO ACUSTICO – Aree a destinazione industriale – Classi V e VI – Attribuzione – Presenza di abitazioni – Margini di apprezzamento discrezionale - Allegato A) del DPCM 14/11/1997.
La normativa vigente e, in particolare, l’allegato A) del DPCM 14.11.1997 e la deliberazione della Giunta regionale veneta n. 4313 del 21.09.1993, richiedono che alle aree a destinazione industriale ricomprese nelle zone territoriali omogenee di tipo D siano attribuite le classi V o VI a seconda che esse si riferiscono, rispettivamente, ad aree prevalentemente industriali (con scarsità di abitazioni) o esclusivamente industriali (prive di insediamenti abitativi, ad eccezione della casa dei custodi o dei proprietari dell’attività industriale), ed è pertanto la presenza o meno di insediamenti abitativi diversi da quelli del custode o del proprietario nell’ambito dell’attività industriale l’elemento da considerare quale criterio discretivo tra le due classi.
E’ evidente, inoltre, che l’attribuzione in concreto di una delle due classi in sede di pianificazione dell’intero territorio comunale è connotata da margini di apprezzamento discrezionale che, seppure ancorati all’accertamento di specifici presupposti di fatto, devono ricondurre a sintesi interessi tra loro confliggenti, quali la tutela della salute e la salvaguardia della libertà di iniziativa economica (cfr. Tar Lombardia, Brescia, 02.04.2008, n. 348; Tar Piemonte, Sez. II, 19.02.2007, n. 714; Tar Veneto, Sez. III, 24.01.2007, n. 187 ; Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 07.04.2005, n. 751) (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 12.01.2011 n. 24 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIIl concorrente che abbia tempestivamente richiesto il d.u.r.c. e si veda rilasciare un documento incompleto per inerzia dell’ente interpellato, non può subire conseguenze pregiudizievoli a causa dell’inefficienza del medesimo.
La società ricorrente aveva sostenuto in primo grado che l’aggiudicazione del servizio della manutenzione dell’illuminazione pubblica in un Comune campano in favore della società resistente doveva ritenersi illegittima perché il DURC prodotto dall’aggiudicataria non era idoneo a comprovare la regolarità contributiva della concorrente, essendo stato rilasciato 28 giorni dopo la richiesta e nonostante che l’Ufficio INPS competente non si fosse pronunciato per la parte di competenza.
Il TAR non ha condiviso la censura osservando che la circostanza non poteva produrre l’invalidità della procedura in quanto l’Amministrazione avrebbe svolto ulteriori controlli della regolarità contributiva in sede di stipula del contratto. Con il ricorso in commento la società ricorrente in primo grado ripropone la censura, rilevando che non è stato svolto alcun accertamento circa la regolarità contributiva della concorrente alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande di partecipazione, fissato nel 18.12.2009.
In particolare l’appellante deduce che il d.u.r.c. presentato in sede di domanda non conteneva un accertamento esplicito di regolarità contributiva non essendosi pronunziata la sede INPS di Nola; non si era, inoltre, prodotto il silenzio assenso, non essendo ancora trascorsi al momento del rilascio (02.12.2009) trenta giorni dalla data della domanda (04.11.2009); i d.u.r.c. prodotti successivamente si riferivano, infine, a periodi successivi alla data di presentazione della domanda.
Questa censura, ad avviso dei giudici del Consiglio di Stato, non può essere accolta. Gli stessi, infatti, rilevano in primo luogo che l’aggiudicataria ha presentato, unitamente alla domanda di partecipazione, un d.u.r.c. “in corso di validità”, come prescritto dal punto 11 del disciplinare, posto che il documento prodotto è stato rilasciato il 02.12.2009 e, avendo validità di un mese a norma dell’art. 7 del d.m. 24.10.2007, non era scaduto al 18 dello stesso mese.
Il d.u.r.c. presentato, tuttavia, si presentava non regolare in quanto recava l’attestazione della regolarità contributiva INAIL ma non quella INPS, non essendosi pronunciata la sede INPS competente. Inoltre, per questa parte, secondo l’assunto, non poteva ritenersi formato il silenzio assenso perché il certificato è stato rilasciato 28 giorni dopo la richiesta (4 novembre) e non un mese, come richiesto dall’art. 7 del medesimo d.m..
I giudici d’appello ritengono comunque che queste circostanze non possano produrre l’esclusione della società resistente dalla gara. Va tenuto presente che a norma dell’art. 8, comma 3, del d.m. 24.10.2007, già citato, e secondo le precisazioni contenute nella Circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 30.01.2008: “3. Ai soli fini della partecipazione a gare di appalto non osta al rilascio del DURC uno scostamento non grave tra le somme dovute e quelle versate, con riferimento a ciascun Istituto previdenziale ed a ciascuna Cassa edile. Non si considera grave lo scostamento inferiore o pari al 5% tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascun periodo di paga o di contribuzione o, comunque, uno scostamento inferiore ad € 100,00, fermo restando l'obbligo di versamento del predetto importo entro i trenta giorni successivi al rilascio del DURC.”.
La detta normativa regolamentare, che impone di dichiarate la regolarità contributiva anche in caso di violazioni non gravi dei relativi obblighi, costituisce applicazione di un principio sancito, a livello legislativo, dall’art. 38, comma 1, lett. i), del d.lgs n. 163 del 2006, a norma del quale devono essere esclusi dalle gare i soggetti: “che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti”.
La giurisprudenza si attiene costantemente dal suddetto dettato normativo, affermando: “ In materia di esclusione dalla partecipazione alle procedure di gara e dalla stipula dei relativi contratti dei soggetti che "hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana e dello Stato in cui sono stabiliti", l'art. 38, comma 1, lett. i), del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006) deve essere interpretato nel senso che il principio dell'autonomia del procedimento di rilascio del DURC (documento unico regolarità contributiva) impone che la stazione appaltante debba basarsi sulle certificazioni risultanti da quest'ultimo documento, prendendole come un dato di fatto inoppugnabile, e debba altresì valutare, innanzi tutto, se sussistono procedimenti diretti a contestare gli accertamenti degli enti previdenziali riportati nel DURC, o condoni, ed in secondo luogo se la violazione riportata nel DURC, in relazione all'appalto o fornitura in questione o alla consistenza economica della ditta concorrente o ad altre circostanze, risulti o no "grave" (Consiglio Stato , sez. IV, 15.09.2010 , n. 6907).
Il dato normativo e giurisprudenziale rende evidente che neppure in presenza di una accertata violazione degli obblighi contributivi la stazione appaltante può disporre automaticamente la esclusione dalla gara, e ciò deve indurre, per il principio di continenza, a trarre conclusioni dello stesso segno in ipotesi, come quella in esame, in cui sia presentato un d.u.r.c. in corso di validità, dal quale non emerga alcuna inadempienza ai predetti obblighi. La circostanza che l’INPS competente non si sia ancora pronunciato al 28° giorno dalla domanda non è motivo sufficiente per ribaltare la soluzione qui accolta, che appare confortata, oltre il già detto, da argomenti ulteriori.
In tema di rilascio del d.u.r.c. vige il principio del silenzio assenso che si matura al trentesimo giorno dalla data di presentazione della richiesta. L’emissione di un d.u.r.c incompleto per mancata pronuncia di uno degli enti tenuti al rilascio non impedisce di ritenere implicitamente certificata la regolarità contributiva, per la parte non considerata dalla certificazione esplicita, con il compiersi del termine prescritto per la formazione del silenzio assenso.
D’altra parte, il concorrente che abbia tempestivamente richiesto il d.u.r.c. e si veda rilasciare un documento, privo di accertamenti negativi, ma incompleto per inerzia dell’ente interpellato, non può subire conseguenze pregiudizievoli a causa dell’inefficienza del medesimo, avendo, oltre tutto, soddisfatto l’onere di produrre l’unico documento di cui poteva disporre alla scadenza del termine per la presentazione della domanda.
Né va taciuto che –secondo la giurisprudenza– il d.u.r.c., anche se formatosi in virtù del silenzio assenso, “assume la valenza di una dichiarazione di scienza, da collocarsi fra gli atti di certificazione o di attestazione redatti da un pubblico ufficiale ed aventi carattere meramente dichiarativo di dati in possesso della pubblica amministrazione, assistito da pubblica fede ai sensi dell'articolo 2700 c.c., facente pertanto prova fino a querela di falso.
Attesa la natura giuridica del DURC, non residua in capo alla stazione appaltante alcun margine di valutazione o di apprezzamento in ordine ai dati ed alle circostanze in esso contenute.” (Cons. St., sez. IV, 12.03.2009 n. 1458) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.01.2011 n. 83 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' illegittima l'esclusione di un concorrente da una gara di appalto per ragioni di inadempimento delle prescrizioni formali di gara quando le stesse prescrizioni formali siano state formulate in modo del tutto impreciso ed equivoco.
L’esclusione di un concorrente da una gara di appalto per ragioni di inadempimento delle prescrizioni formali di gara è senz’altro doverosa ed automatica soltanto quando tali prescrizioni formali risultano indicate (nel bando o nella lettera di invito o anche nel capitolato speciale di appalto) in modo del tutto chiaro e la relativa violazione risulti sanzionata in modo altrettanto chiaro ed esplicito a pena di esclusione; non, invece,quando le stesse prescrizioni formali siano state formulate in modo del tutto impreciso ed equivoco e comunque senza la previsione esplicita della sanzione della automatica esclusione dalla gara, in caso di violazione.
In questo caso, il Capitolato speciale di appalto, proprio con riferimento alle prescrizioni formali di cui alla busta “C” contenente l’offerta economica, non precisava affatto –a proposito delle firme da apporre su detta offerta e sulla relativa documentazione– che tali firme dovevano essere apposte su ogni foglio, a pena di esclusione dalla gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.01.2011 n. 78 - link a www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Complesso monumentale - Territorio adiacente - Dichiarazione di interesse storico artistico.
E’ legittimo il provvedimento che dichiara l'interesse storico artistico del territorio adiacente un complesso monumentale motivato dalla necessità di tutelare non solo il bene monumentale in sé, inteso come manufatto d'interesse storico-artistico, ma anche, con idonee misure di salvaguardia, l'habitat circostante in considerazione del carattere d'insieme inscindibile che assume la struttura nel rapporto con i terreni circostanti, i quali nel tempo ne hanno rappresentato "cornice e pertinenza" (TAR Sicilia Palermo, sez. I, 23.06.1999, n. 1289).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Apposizione di vincolo indiretto - Consistenza globale della “cornice ambientale” - Terreni sottoposti a vincolo - Assenza di pregio storico-artistico - Irrilevanza.
La legittimità delle misure apprestate dalla Soprintendenza ai fini dell’apposizione di un vincolo indiretto va stabilita con riguardo alla globale consistenza della cosiddetta cornice ambientale, la quale si estende fino a ricomprendere ogni immobile, anche non contiguo, ma pur sempre in prossimità del bene monumentale, che sia con questo in tale relazione che la sua manomissione sia idonea, secondo una valutazione ampiamente discrezionale dell’autorità, ad alterare il complesso delle caratteristiche fisiche e culturali che connotano lo spazio e quello circostante (cfr. consiglio di Stato sez. VI n. 420 del 09/06/1993).
Ciò in quanto occorre preservare una continuità storico ed artistica con gli insediamenti che circondano l’oggetto del vincolo diretto, indipendentemente, quindi, dalla circostanza che i terreni sottoposti a vincolo non presentino alcun pregio e siano in stato di abbandono (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 11.01.2011 n. 28 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fascia di rispetto autostradale - Inedificabilità assoluta - Abusi - Insuscettibilità di sanatoria.
Le opere realizzate all'interno della fascia di rispetto autostradale prevista al di fuori del perimetro del centro abitato (fascia di sessanta metri) sono ubicate in aree assolutamente inedificabili e, pertanto, se costruite dopo l'imposizione del vincolo, rientrano nella previsione di cui all'articolo 33, comma 1, lettera d), della legge 28.02.1985, n. 47 e non sono suscettibili di sanatoria.
Vincolo autostradale - Carattere assoluto - Caratteristiche dell’opera - Opere che non superino il livello della sede stradale - Rilevanza - Esclusione.
Il carattere assoluto del vincolo di cui all’art. 9 della L. n. 729/1961 sussiste a prescindere dalla concrete caratteristiche dell'opera realizzata.
Infatti il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale, posto dal menzionato art. 9 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non può essere inteso restrittivamente e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto le distanze previste dalla norma suddetta vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (in termini, Cass. civ., 01.06.1995, n. 6118) o che costituiscano mere sopralevazioni (v. Cass. civ., 14.01.1987, n. 193), o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti. (Cons. Stato, sez. IV, 30.09.2008, n. 4719; 18.10.2002 n. 5716; 25.09.2002 n. 4927; Cons. Stato, sez. V, 08.09.1994 n. 968) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 11.01.2011 n. 24 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - D.lgs. n. 259/2003 - Infrastrutture di comunicazione elettronica - Procedimento autorizzatorio unitario - Valutazioni ambientali e urbanistiche.
A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 259/2003, recepito nella Regione Siciliana con l’art. 103 della l.r. 28.12.2004, n. 17, le valutazioni urbanistiche edilizie sono assorbite nel procedimento delineato dall’art. 87 che prevede un procedimento autorizzatorio unitario per l'installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica, nel contesto del quale devono essere fatte confluire le valutazioni sia di tipo ambientale che di tipo urbanistico (cfr. Corte Costituzionale, 28.03.2006, n. 129; 06.07.2006, n. 265).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Art. 86 d.lgs. n. 259/2003 - Infrastrutture di comunicazione - Assimilazione alle opere di urbanizzazione primaria - Titolo autorizzatorio - Assoggettamento alle prescrizioni urbanistico-edilizie preesistenti - Esclusione.
In presenza della specifica previsione di cui all’art. 86 del D.lgs. n. 259/2003, il quale assimila, ad ogni effetto, le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, ed in assenza di specifiche previsioni, deve ritenersi che gli impianti di telefonia mobile non possano essere assimilati alle normali costruzioni edilizie e, pertanto, la loro realizzazione non sia soggetta a prescrizioni urbanistico-edilizie preesistenti. Conseguentemente, il titolo autorizzatorio non può essere negato se non avuto riguardo ad una specifica disciplina conformativa, che prenda in considerazione le reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il funzionamento del servizio pubblico (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 17.10.2003, n. 7725; TAR Campania, sez. I, 13.02.2002, n. 983, 20.12.2004, n. 14908).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Installazione delle reti di telecomunicazione - Competenze comunali - Determinazione di vincoli e limiti - Divieto generalizzato - Illegittimità.
Ancorché il Comune mantenga intatte le proprie competenze in materia di governo del territorio, queste tuttavia, per espressa valutazione legislativa, non possono interferire con quelle relative alla installazione delle reti di telecomunicazione e, in particolare, non possono determinare vincoli e limiti così stringenti da concretizzarsi in un divieto di carattere pressoché generalizzato (e senza prevedere alcuna possibile localizzazione alternativa), in contrasto con le esigenze tecniche necessarie a consentire la realizzazione effettiva della rete di telefonia cellulare che assicuri la copertura del servizio nell’intero nel territorio comunale (cfr. Corte Costituzionale n. 331/2003).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Reti di telecomunicazione - Comune - Regolamentazione - deroga i limiti di esposizione - Disposizioni funzionale alla tutela della salute - Competenza statale.
Il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino (cfr. in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 29.11.2006, n. 6994; TAR Sicilia-Palermo, sez. I, 06.04.2009, n. 661).
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Reti di telecomunicazione - Carattere di pubblica utilità - Art. 90 d.lgs. n. 259/2003.
L’art. 90 del D.Lgs. n. 259/2003 dispone che gli impianti di comunicazione elettronica e le opere accessorie occorrenti per la loro funzionalità hanno “carattere di pubblica utilità”, con possibilità, quindi, di essere ubicati in qualsiasi parte del territorio comunale, essendo compatibili con tutte le destinazioni urbanistiche (residenziale, verde, agricola, ecc.: cfr., in tal senso, C.G.A. ordinanza 05.07.2006, n. 543; Cons. Stato, sez. VI, 04.09.2006, n. 5096) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 11.01.2011 n. 22 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAE' legittimo l'annullamento in sede statale del nulla osta paesaggistico, qualora lo stesso sia dovuto alla carenza di istruttoria dell’autorizzazione comunale.
Sul potere di annullamento della autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza statale, questo Consiglio ha chiarito che esso “non comporta un riesame complessivo delle valutazioni discrezionali compiute dalla Regione e da un ente sub-delegato, tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una propria valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione, ma si estrinseca in un controllo di mera legittimità che si estende a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione” (cfr. Sez. VI, 13.02.2009, n. 772, in linea con i fondamentali principi enunciati dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 9 del 2001) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.01.2011 n. 50 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'esclusione da una gara di un'impresa cessionaria del ramo d'azienda, per omessa dichiarazione in ordine alla posizione del cedente.
In materia di procedure ad evidenza pubblica, le clausole di esclusione poste dal bando di gara in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la impresa partecipante sono di stretta interpretazione, dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute, restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare la par condicio dei concorrenti, nonché l'esigenza della più ampia partecipazione.
Inoltre, al fine di integrare i requisiti di partecipazione, a prescindere da un'espressa previsione del bando, sono riconducibili al patrimonio di una società o di un imprenditore cessionari di un ramo d'azienda, i requisiti posseduti dal soggetto cedente, giacché essi devono considerarsi compresi nella cessione in quanto strettamente connessi all'attività propria del ramo ceduto.
Manca nel Codice dei contratti (d.lvo 12.04.2006 n. 163) una norma, con effetto preclusivo, che preveda, in caso di cessione d'azienda antecedente alla partecipazione alla gara, un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ad i requisiti soggettivi della cedente riferita sia agli amministratori e direttori tecnici, in quanto l'art. 51 del Codice dei contratti si occupa della sola ipotesi di cessione successiva alla aggiudicazione della gara.
Ne discende che, in assenza di tale norma, e siccome la cessione di azienda comporta non una successione a titolo universale del cessionario al cedente bensì invece una successione nelle posizioni attive e passive relative all'azienda tra soggetti che conservano distinta personalità giuridica, è da ritenersi illegittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un'impresa cessionaria del ramo d'azienda, per omessa dichiarazione in ordine alla posizione del cedente (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 10.01.2011 n. 12 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIA: atto privato o provvedimento?
Va rimessa alla Adunanza Plenaria la questione inerente la qualificazione giuridica, privata o provvedimentale, dell’istituto della denuncia di inizio attività.

Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez. IV, con l’ordinanza 05.01.2011 n. 14.
Il provvedimento in esame ha ad oggetto l’azione di annullamento di una denuncia di inizio attività proposta in variante ad un permesso di costruire.
Uno dei motivi di impugnazione della sentenza di primo grado riguarda nello specifico la natura della denuncia, che costituirebbe atto del privato e non atto amministrativo impugnabile e perciò insuscettibile di rimedi demolitori.
I giudici di Palazzo Spada, rilevando l’esistenza di diversi orientamenti giurisprudenziali, ritengono che: “la tesi secondo cui è inammissibile il ricorso proposto per l’annullamento della denuncia di inizio attività, intesa come atto avente natura oggettivamente e soggettivamente privata, ha avuto il conforto in sede giurisprudenziale anche di questa Sezione (ex plurimis, da ultimo, Cons. Stato, IV, 13.05.2010, n. 2919; si veda in tal senso anche Cons. Stato, V, 22.02.2007, n. 948).
Tale inammissibilità della impugnativa troverebbe comunque un rimedio nell’azione avverso il silenzio-inadempimento; il terzo che intende opporsi all’intervento, una volta decorso il termine per l’esercizio del potere inibitorio, sarebbe legittimato unicamente a presentare all’amministrazione formale istanza per la adozione dei provvedimenti sanzionatori previsti e ad impugnare l’eventuale silenzio-rifiuto su di essa formatosi, oppure a impugnare il provvedimento emanato all’esito della avvenuta verifica.
Questa Sezione, però, sempre recentemente, ha sostenuto la opposta tesi (per così dire provvedimentale) che i terzi che ritengano di essere pregiudicati dalla effettuazione di una attività edilizia assentita in modo implicito (nella specie, DIA) possono agire dinanzi al giudice amministrativo per chiedere l’annullamento del titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine fissato dalla legge entro cui l’amministrazione può impedire gli effetti della D.I.A. (Cons. Stato; IV, 13.01.2010 n. 72)
.”
La sezione rileva, pertanto, l’esistenza di tre tesi differenti sui rimedi esperibili dal terzo:
1) nel caso in cui si consideri la dia quale provvedimento si potrebbe utilizzare la tradizionale azione di annullamento;
2) nel caso invece si qualificasse la denuncia come atto del privato sarebbe necessario agire attraverso un’azione di accertamento autonomo (negativo) della inesistenza dei presupposti per ritenere completa la fattispecie;
3) la terza tesi, partendo da una considerazione di natura privatistica, richiederebbe al privato di presentare, una volta decorsi i termini senza l’esercizio del potere inibitorio, una istanza formale e impugnare il successivo atto negativo dell’amministrazione ovvero agire avverso la successiva inerzia amministrativa (silenzio–rifiuto).
Vista l’esistenza di tali contrasti la sezione ha ritenuto opportuno chiamare in causa l’Adunanza Plenaria, la quale, si spera, fornirà le soluzioni interpretative necessarie anche in seguito all’introduzione nel panorama edilizio della segnalazione certificata di inizio attività (c.d. scia) (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'Amministrazione ha il potere di annullare l'aggiudicazione di un appalto pubblico anche dopo la stipulazione del contratto, in presenza di adeguate esigenze di interesse pubblico.
L’accertata illegittimità della procedura di affidamento di un’opera o di un servizio da parte di una pubblica amministrazione determina, in generale, oltre l’annullamento degli atti di aggiudicazione ritenuti illegittimi anche l’inefficacia del contratto eventualmente già sottoscritto (cfr. fra le più recenti, Consiglio Stato, sez. V, 09.04.2010, n. 1998).
Infatti, anche se nei contratti della Pubblica amministrazione l'aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna di norma il momento dell'incontro della volontà della stessa Amministrazione e del privato di concludere il contratto, manifestata con l'individuazione dell'offerta ritenuta migliore, non è tuttavia precluso all'Amministrazione di procedere, con atto successivo e con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, all'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione, fondandosi detta potestà di annullamento in autotutela sul principio costituzionale di buon andamento che impegna la pubblica Amministrazione ad adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire, ma con l'obbligo di fornire una adeguata motivazione in ordine ai motivi che, alla luce della comparazione dell'interesse pubblico con le contrapposte posizioni consolidate dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di autotutela (Consiglio Stato, sez. V, 10.09.2009, n. 5427; sez. V, 07.01.2009, n. 17) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.01.2011 n. 11 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTIL’accertata illegittimità della procedura di affidamento di un’opera o di un servizio determina l’inefficacia del contratto eventualmente già sottoscritto.
Dopo aver affidato al responsabile dell’Ufficio Ambiente l’incarico di reperire sul mercato proposte per lo sfruttamento dell’energia eolica e fotovoltaica, la Giunta del Comune in causa decideva di aderire ad una proposta pervenuta dalla società appellante e incaricava il Responsabile dell’Ufficio Ambiente per la sottoscrizione del contratto: lo stesso affidava a trattativa privata l’incarico a quest’ultima e lo stesso giorno veniva sottoscritta anche la relativa convenzione.
Tuttavia, il Comune, dopo aver provveduto alla sostituzione del Responsabile del Servizio Ambiente comunicava alla società l’annullamento di tutti gli atti relativi alla richiamata procedura di affidamento, ivi compresa la convenzione già sottoscritta. Il Comune, ricevute le osservazioni della parte, procedeva quindi all’annullamento degli atti avendo ritenuto che il precedente Responsabile del Servizio Ambiente, avesse a suo tempo operato in totale carenza di poteri e al di fuori degli indirizzi stabiliti dalla Giunta comunale.
Secondo l’appellante il Comune non poteva recedere da un contratto già sottoscritto, ma, i giudici del Consiglio di Stato ricordano che nella fattispecie non può parlarsi di recesso unilaterale dal contratto ma di caducazione del contratto a seguito dell’annullamento degli atti che ne hanno determinato la sottoscrizione. Infatti, l’accertata illegittimità della procedura di affidamento di un’opera o di un servizio da parte di una pubblica amministrazione determina, in generale, oltre l’annullamento degli atti di aggiudicazione ritenuti illegittimi anche l’inefficacia del contratto eventualmente già sottoscritto.
La stessa quinta Sezione, in relazione al possibile esercizio in materia dei poteri autotutela, ha affermato che, anche se nei contratti della Pubblica amministrazione l'aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna di norma il momento dell'incontro della volontà della stessa Amministrazione e del privato di concludere il contratto, manifestata con l'individuazione dell'offerta ritenuta migliore, non è tuttavia precluso all'Amministrazione di procedere, con atto successivo e con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, all'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione, fondandosi detta potestà di annullamento in autotutela sul principio costituzionale di buon andamento che impegna la pubblica Amministrazione a adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire, ma con l'obbligo di fornire un’adeguata motivazione in ordine ai motivi che, alla luce della comparazione dell'interesse pubblico con le contrapposte posizioni consolidate dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di autotutela (Consiglio Stato, sez. V, 10.09.2009, n. 5427; sez. V, 07.01.2009, n. 17).
E l'Amministrazione ha il potere di annullare l'aggiudicazione di un appalto pubblico anche dopo la stipulazione del contratto, in presenza ovviamente di adeguate esigenze di interesse pubblico.
In tale evenienza e in virtù della stretta consequenzialità tra l'aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l'annullamento giurisdizionale, ovvero, come nella specie, l'annullamento a seguito di autotutela degli atti della procedura amministrativa, comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti.
Infatti, il contratto non ha un’autonomia propria ed è destinato a subire gli effetti del vizio che affligge il provvedimento cui è inscindibilmente collegato restando “caducato” a seguito dell’annullamento degli atti che ne hanno determinato la sottoscrizione (cfr. per alcuni profili Consiglio Stato, Adunanza plenaria, 30.07.2008 n. 9, secondo cui l'annullamento del l'aggiudicazione determina un vincolo permanente e puntuale sulla successiva attività dell'amministrazione, il cui contenuto non può prescindere dall'effetto caducatorio del contratto stipulato) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.01.2011 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: L’omessa verbalizzazione delle sedute e delle prove d’esame di una procedura di concorso non comporta la nullità delle sedute e delle operazioni concorsuali.
Osserva il Collegio che nei concorsi pubblici oggetto del processo verbale sono soltanto gli aspetti più salienti e significativi dell’attività amministrativa, con la conseguenza che l’omessa verbalizzazione delle sedute e delle prove d’esame di una procedura di concorso non comporta la nullità delle sedute e delle operazioni concorsuali (Consiglio di Stato, Sez. IV, 12.02.2010, n. 805).
Invero la verbalizzazione delle prove concorsuali ha funzione strumentale e di carattere probatorio per cui le irregolarità o carenze di verbalizzazione non sono di per sé idonee ad inficiare la procedura qualora detta funzione non sia stato validamente provato che sia rimasta compromessa (Consiglio di Stato, Sez. IV, 12.11.1993, n. 1001).
La violazione di norme regolamentari sulla verbalizzazione delle prove di concorso non può determinare di per sé la invalidazione dell'intero procedimento concorsuale, se alla omessa dichiarazione non si accompagna la esistenza di detta prova, che nel caso di specie non è stata validamente fornita, limitandosi il motivo di ricorso a denunciare la violazione delle disposizioni anzidette e a paventare la possibilità di alterazione degli elaborati, senza fornire concreti elementi che possano convincere il giudicante della effettiva influenza della irregolarità posta in essere sulla par condicio dei partecipanti e sulla regolarità della correzione delle prove ed attribuzione dei relativi punteggi (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.01.2011 n. 8 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Area suscettibile di edificazione in assenza dello strumento attuativo - Area completamente urbanizzata - Nozione.
Una zona si deve considerare completamente urbanizzata quando risulta compiutamente e definitivamente collegata e integrata con già esistenti opere di urbanizzazione; la valutazione della congruità del grado di urbanizzazione spetta unicamente al comune e in ogni caso un'area può essere considerata suscettibile di edificazione anche in assenza dello strumento attuativo, soltanto quando si accerti la sussistenza di una situazione di fatto perfettamente corrispondente a quella derivante dall'attuazione del piano esecutivo e, quindi, allorché la zona sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione, primarie e secondarie, previste dagli strumenti urbanistici (ex multis Consiglio Stato, sez. IV, 10.06.2010, n. 3699) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.01.2011 n. 4 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Regione Lombardia - L.r. n. 12/2005, art. 11, c. 3 - Perequazione compensativa - Aree esterne ai piani attuativi.
La perequazione compensativa di cui all’art. 11, c. 3, l.reg. Lombardia n. 12/2005 può essere prevista unicamente con riferimento ad aree esterne ai piani attuativi (per quelle disciplinate da piani attuativi o atti di programmazione negoziata con valenza territoriale, il Comune può prevedere il meccanismo perequativo disciplinato al comma 1 del medesimo articolo. Si tratta, comunque, una facoltà, rimessa alla scelta discrezionale dell’amministrazione) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.01.2011 n. 4 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla discrezionalità della stazione appaltante in ordine alla scelta relativa alle modalità di strutturazione della legge di gara.
Con riferimento al criterio di aggiudicazione, l'art. 81, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, coerentemente con la normativa e la giurisprudenza comunitaria, laddove dispone che nei contratti pubblici, la migliore offerta è selezionata con il criterio del prezzo più basso o con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, lascia intendere che, esistendo una perfetta equivalenza tra i due sistemi, la scelta dell'uno o dell'altro è rimessa alla libera determinazione dell'amministrazione, con l'unico limite di far ricadere tale scelta su quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell'oggetto del contratto, al fine di selezionare la migliore offerta, e di garantire la qualità delle prestazioni ed il rispetto dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, ai sensi dell'art. 2 del citato d.lgs. 163/2006, con cui il legislatore nazionale ha recepito la direttiva n. 2004/18/CE.
Tale assunto trova conferma in numerose pronunce del giudice comunitario e nazionale, secondo cui rientra nei poteri discrezionali della stazione appaltante operare la scelta in ordine alle modalità di strutturazione della legge di gara, in base alle caratteristiche dell'appalto, avendo di mira la garanzia della libera concorrenza e la selezione della migliore offerta.
In relazione alle caratteristiche dei prodotti oggetto di fornitura tale predicato si traduce, nel caso di scelta del criterio di aggiudicazione del prezzo più basso, nella necessità di identificare compiutamente i prodotti desiderati, senza per questo limitarli ad una marca o ad un brevetto specifico.
Il criterio di aggiudicazione basato sul prezzo, che favorisce un più corretto svolgimento del processo competitivo, appare conforme alle previsioni di cui agli artt. 81 e 82 del d.lgs. n. 163/2006, laddove non vi siano dubbi sulle caratteristiche qualitative del bene posto a gara, atteso che la puntuale individuazione dell'oggetto della fornitura appare di per sé in grado di evitare fenomeni distorsivi della concorrenza.
Viceversa, è illogica la scelta del criterio del prezzo più basso qualora la legge di gara attribuisca rilievo ad aspetti qualitativi variabili dell'offerta. In tali casi, la pluralità di elementi presi in considerazione dalla lex specialis si pone in contrasto con l'unicità del criterio del prezzo più basso, comportando la violazione delle suddette disposizioni (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 04.01.2011 n. 1 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sul c.d. potere di soccorso della stazione appaltante ai fini della verifica della completezza della documentazione.
Nel rispetto della efficienza e della economicità dell'azione amministrativa, sussiste il cd. potere di soccorso della stazione appaltante nei confronti delle offerte non conformi alla "lex specialis" della gara, vale a dire di domandare chiarimenti in ordine alla dichiarazione presentata, ove sia del tutto evidente la sua mera erroneità materiale ed il possesso del requisito sia comunque individuabile dagli atti depositati e occorra soltanto un chiarimento ovvero un aggiornamento (Consiglio Stato, sez. I, 18.03.2009, n. 701).
Pertanto, la fase di prequalifica non consuma il potere della p.a. di valutare anche in sede di gara la sussistenza dei requisiti di partecipazione, anche alla luce di eventuali sopravvenienze, sicché è indubitabile che la documentazione in origine acquisita non possa non essere utilizzata anche nella fase successiva ai fini della verifica della completezza della documentazione (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 31.12.2010 n. 39288 - link a www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATA: Titolo edilizio - Mancata indicazione dei termini di inizio e ultimazione dei lavori - Termini massimi ex art. 15 d.P.R. n. 380/2001.
Ove il titolo edilizio non rechi un’espressa indicazione dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori, si deve intendere che operino quelli massimi consentiti dall’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001 (v., tra le altre TAR Calabria, Catanzaro, 27.06.2000 n. 838): tale soluzione interpretativa va ritenuta appropriata anche nel caso di titolo edilizio formatosi per silenzio-assenso, con la precisazione che in tale ipotesi la decorrenza del termine per l’avvio dei lavori va ricondotta alla data in cui l’assenso è tacitamente intervenuto (v. Cons. giust. amm. Reg. Sic. 15.12.2008 n. 1048; TAR Abruzzo, L’Aquila, 27.01.2004 n. 22) (TAR Emilia-Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 31.12.2010 n. 581 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI FORNITUREÈ legittimo il bando di gara che consente ai privati di sponsorizzare gli arredi scolastici.
Tre associazioni, nella pronuncia in commento, hanno impugnato l’avviso pubblico di procedura di sponsorizzazione per la fornitura di arredi scolastici negli istituti di una Provincia pugliese, sostenendo che sarebbero stati violati i principi comunitari in materia di evidenza pubblica (trasparenza, parità di trattamento, proporzionalità) ed il principio di neutralità che deve ispirare l’agire della pubblica amministrazione in quanto i messaggi pubblicitari apposti sugli arredi scolastici potrebbero incidere negativamente sul processo formativo della personalità dei minori che frequentano le aule scolastiche.
I giudici del Tribunale amministrativo di Bari evidenziano su questo argomento che «la sponsorizzazione di cui al gravato avviso pubblico è espressamente disciplinata dall’art. 43 legge n. 449/1997 (si veda in particolare il comma 1: “Al fine di favorire l’innovazione dell’organizzazione amministrativa e di realizzare maggiori economie, nonché una migliore qualità dei servizi prestati, le pubbliche amministrazioni possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione con soggetti privati ed associazioni, senza fini di lucro, costituite con atto notarile.”) e dall’art. 119 dlgs n. 267/2000 (“1. In applicazione dell’art. 43 della legge 27.12.1997, n. 449, al fine di favorire una migliore qualità dei servizi prestati, i comuni, le province e gli altri enti locali indicati nel presente testo unico, possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione, nonché convenzioni con soggetti pubblici o privati diretti a fornire consulenze o servizi aggiuntivi.”) e che pertanto l’amministrazione evocata in giudizio si è semplicemente avvalsa di una possibilità prevista dalla legislazione vigente; che, allo stato, non è possibile prevedere quale tipo di sponsorizzazione-pubblicità verrà in concreto apposta sugli arredi scolastici (ciò si potrà affermare unicamente all’esito dell’espletamento della gara, e soltanto in caso di sponsorizzazioni concretamente lesive della sfera di interessi rappresentata dal relativo ente esponenziale sarà eventualmente ipotizzabile una legittimazione del medesimo ente esponenziale ad agire in sede giurisdizionale); che comunque il bando correttamente contempla una apposita clausola finale di salvaguardia che impedisce le sponsorizzazioni “vietate” riguardanti propaganda di natura politica, sindacale, filosofica o religiosa, pubblicità diretta o collegata alla produzione o distribuzione di tabacco, prodotti alcoolici, materiale pornografico o a sfondo sessuale, messaggi offensivi incluse le espressioni di fanatismo, razzismo odio o minaccia» (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -  TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 28.12.2010 n. 4312 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIl trasferimento della proprietà delle opere di urbanizzazione in capo al comune costituisce un'obbligazione ex lege -inderogabile e indisponibile per le parti della convenzione di lottizzazione in base alla quale le opere stesse sono state realizzate-, ex art. 28 della L. n. 1150 del 17.08.1942, con la conseguenza che le parti non potrebbero legittimamente accordarsi sul loro mantenimento in capo al lottizzante, essendo tali opere strumentali allo svolgimento di pubblici servizi fisiologicamente rientranti nelle competenze dell'autorità amministrativa.
La convenzione di lottizzazione non può contenere clausole ostative al trasferimento delle opere in capo all'Ente locale, non potendosi ragionevolmente affermare che il Comune possa sottrarsi all'acquisizione delle aree ove insistono le opere di urbanizzazione.
Il legislatore, nel disciplinare le opere di urbanizzazione, ha confermato la possibilità della realizzazione diretta c.d. a scomputo dal contributo di concessione ma non ha lasciato alcun dubbio in merito al passaggio della proprietà delle stesse, una volta realizzate, in capo all'ente pubblico territoriale di riferimento, prevedendone la confluenza nel patrimonio indisponibile.

Il trasferimento della proprietà delle opere di urbanizzazione in capo al comune costituisce un'obbligazione ex lege -inderogabile e indisponibile per le parti della convenzione di lottizzazione in base alla quale le opere stesse sono state realizzate-, ex art. 28 della L. n. 1150 del 17.08.1942, con la conseguenza che le parti non potrebbero legittimamente accordarsi sul loro mantenimento in capo al lottizzante, essendo tali opere strumentali allo svolgimento di pubblici servizi fisiologicamente rientranti nelle competenze dell'autorità amministrativa (mentre la gestione degli stessi per mezzo di privati sarebbe teoricamente concepibile solo previo atto di concessione di pubblico servizio, contenente le regole da osservare per garantire l'ottimale soddisfacimento del servizio offerto ai cittadini); ove, infatti, si ammettesse la possibilità di mantenere la gestione delle opere di urbanizzazione primaria in capo al lottizzante, i cittadini interessati (che hanno diritto di pretendere servizi di qualità, che solo l'ente pubblico può garantire, non essendo la sua azione finalizzata ad ottenere un utile d'impresa) resterebbero sostanzialmente "in balia" del privato gestore, il quale avrebbe tutto l'interesse a contenere i costi di manutenzione, con presumibile decadimento della qualità dei servizi offerti (cfr. TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 19.02.2010 , n. 187).
Si consideri che il TAR Veneto, con sentenza n. 1373/2004, ha avuto modo di chiarire che, la convenzione di lottizzazione non può contenere clausole ostative al trasferimento delle opere in capo all'Ente locale, non potendosi ragionevolmente affermare che il Comune possa sottrarsi all'acquisizione delle aree ove insistono le opere di urbanizzazione, "stante il fatto che l'obbligo di tale acquisizione risulta puntualmente enunciato dall'anzidetto art. 28 della L. 1150 del 1942", ove al quinto comma si prevede -nel testo conseguente alle sostituzioni disposte per effetto dell'art. 8 della L. 765 del 1967- che la convenzione di lottizzazione debba contemplare, comunque, "la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate dall'articolo 4 della legge 29.09.1964, n. 847".
Così come deve ancora osservarsi che il legislatore, nel disciplinare le opere di urbanizzazione, ha confermato la possibilità della realizzazione diretta c.d. a scomputo dal contributo di concessione ma non ha lasciato alcun dubbio in merito al passaggio della proprietà delle stesse, una volta realizzate, in capo all'ente pubblico territoriale di riferimento, prevedendone la confluenza nel patrimonio indisponibile (art. 16 comma 2, d.lgs. n. 380 del 2001); ciò ad ulteriore riprova che si tratti di beni destinati alla fruizione pubblica.
In altri termini per le dette opere di urbanizzazione si registra una presunzione iuris et de iure di proprietà pubblica, con la conseguenza che per tali interventi, a seguito dell'entrata in vigore del T.U. edilizia, non può ipotizzarsi la permanenza in capo ai privati della relativa proprietà (cfr. TAR Puglia Bari, sez. II, 01.07.2010, n. 2815).
Quanto alle relative aree, l'esecuzione delle ricordate opere di urbanizzazione (in osservanza di un obbligo imposto dalla convenzione di lottizzazione), comporta l’asservimento all'uso pubblico delle relative aree, che, per tale motivo, non possono rimanere nella disponibilità dei privati (cfr. TAR Marche Ancona, 06.08.2003, n. 939).
E’ un dato quindi pacifico che gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria connessi alle opere di urbanizzazione ricadono interamente sull'ente locale una volta acquisite al suo patrimonio per cessione (previo collaudo sulla loro regolare esecuzione) da parte del lottizzante (cfr. TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 26.01.2009, n. 89) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 21.12.2010 n. 3018 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIi potere di adozione di un'ordinanza contingibile ed urgente di cui all'art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000 presuppone la necessità di provvedere in via d'urgenza con strumenti extra ordinem per far fronte a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale ed imminente per l'incolumità pubblica, cui non si può provvedere con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
Come questo Tribunale ha osservato, infatti, il potere di adozione di un'ordinanza contingibile ed urgente di cui all'art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000 presuppone la necessità di provvedere in via d'urgenza con strumenti extra ordinem per far fronte a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale ed imminente per l'incolumità pubblica, cui non si può provvedere con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (cfr. TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 09.09.2010, n. 2556).
Del resto, il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, pur dopo il suo ampliamento ad opera del d.l. n. 92 del 2008, convertito con modificazioni in l. n. 125 del 2008, conserva la sua connotazione atipica e residuale, ed è pertanto esercitabile, sussistendone le condizioni, tutte le volte in cui non sia conferito dalla legge il potere di emanare atti tipici, in presenza di presupposti indicati da specifiche normative di settore (cfr. TAR Toscana Firenze, sez. II, 24.08.2010, n. 4876) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 21.12.2010 n. 3018 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa casa del custode -di superficie assai modesta rispetto all’intero immobile (artigianale)– non assolve alla funzione principale di spazio abitativo ma serve a consentire un diffuso controllo e una costante vigilanza sui capannoni utilizzati per la lavorazione, lo stoccaggio ed il deposito dei materiali: a fronte di una destinazione principale di tipo produttivo il contributo di costruzione deve essere calcolato con i criteri del produttivo e non del residenziale.
Il Collegio aderisce alla prospettazione di parte ricorrente, la quale ha evidenziato che la casa –di superficie assai modesta rispetto all’intero immobile (artigianale)– non assolve alla funzione principale di spazio abitativo ma serve a consentire un diffuso controllo e una costante vigilanza sui capannoni utilizzati per la lavorazione, lo stoccaggio ed il deposito dei materiali: a fronte di una destinazione principale di tipo produttivo il contributo doveva essere calcolato con i criteri ad essa associati.
In proposito il Collegio richiama la pronuncia del TAR Milano, sez. I – 24/07/2003 n. 3639, la quale ha statuito che “… la censura relativa alla errata applicazione del costo di costruzione per la piccola parte di edificio destinato a casa del custode è fondata, in quanto il Comune non poteva non tenere conto del carattere strettamente pertinenziale di essa. Il rapporto pertinenziale, anche se non espressamente enunciato in sede di domanda, andava ricavato dalla consistenza dell’immobile e dal rapporto tra le varie superfici; in ogni caso avrebbe dovuto formare oggetto di indagine istruttoria”.
La fattispecie è analoga a quella affrontata dal Collegio, e l’amministrazione non ha sollevato obiezioni alla dedotta limitata estensione del manufatto in rapporto alla struttura produttiva. In questo contesto, il fatto che la casa del custode abbia una propria ed autonoma destinazione di tipo residenziale non è sufficiente a determinare l’assoggettamento al corrispondente contributo.
Non è neppure condivisibile l’astratta asserzione per cui l’abitazione del proprietario non sarebbe necessaria ai fini della gestione aziendale, quando la sua prossimità e connessione con l’attività e la sua attitudine ad ospitare una sola famiglia (cfr. tavola 5 prodotta in atti dalla ricorrente) conferma l’opinione opposta.
Ne consegue che, con riguardo al costo di costruzione, dovrà essere rimborsato il contributo, salvo l’importo correttamente corrisposto per la parte riferita alla destinazione artigianale.
Sulla somma così calcolata dovranno essere aggiunti gli interessi legali ex art. 2033 del codice civile: essi –non essendovi elementi per escludere la buona fede dell'amministrazione– spettano dalla data della domanda giudiziale fino al saldo (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. II – 24/03/2010 n. 728; sez. II – 18/05/2010 n. 1550) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 17.12.2010 n. 4864 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Le prescrizioni urbanistiche del piano attuativo sopravvivono alla sua decadenza.
Il TAR Abruzzo-L'Aquila, con la recente sentenza 26.11.2010 n. 817, si è pronunciato sul ricorso proposto dal proprietario di un'area che aveva impugnato un provvedimento di diniego del permesso di costruire emanato dal Comune nonché, quale atto presupposto, una previsione delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA).
I fatti di causa erano i seguenti.
L'area risultava inserita in un perimetro di maggiore consistenza a destinazione prevalentemente residenziale, classificata come B1.1 e, perciò, edificabile sulla base degli indici previsti dalle NTA.
L'area veniva poi ricompresa in un piano di lottizzazione che ne prevedeva la cessione gratuita a favore del Comune per la realizzazione di opere di urbanizzazione (viabilità, parcheggi e servizi) e così gravata da un vincolo espropriativo.
Il piano di lottizzazione contenente la previsione limitativa dell'utilizzo residenziale dell'area rimaneva inattuato, così come la relativa convenzione, per oltre trenta anni.
Risultava peraltro agli atti che la concreta necessità di utilizzare l'area per realizzare l'opera pubblica era venuta meno, in quanto tale opera era stata in effetti completata in altra zona.
Il proprietario dell'area domandava quindi al Comune un permesso di costruire sulla base della destinazione residenziale originariamente prevista dal PRG.
Il Comune rigettava la domanda, rilevando come una specifica disposizione contenuta nelle NTA prevedesse il recepimento nel PRG di tutte le previsioni relative a viabilità, parcheggi e servizi contenuti in piani di iniziativa privata decaduti per decorrenza dei termini.
Il provvedimento di diniego veniva infine impugnato dinanzi al TAR Abruzzo unitamente alla previsione delle NTA che consentiva la “sopravvivenza” della destinazione a pubblici servizi anche dopo la decadenza del piano attuativo che ne aveva previsto tale finalità; il ricorso veniva notificato al solo Comune che aveva adottato sia il provvedimento di diniego che le NTA.
Il TAR Abruzzo, con la sentenza in commento, ha ritenuto in primo luogo che il ricorso introduttivo dovesse essere notificato non soltanto al Comune, ma anche alla Regione che aveva adottato il PRG che conteneva la norma che ostava all'uso residenziale dell'area (per essere stata recepita dal piano di lottizzazione, sulla base della disposizione contenuta nelle NTA).
Ne conseguiva una pronuncia di inammissibilità del gravame e ciò coerentemente con altre pronunce del medesimo indirizzo secondo le quali il ricorso deve essere sempre notificato anche al soggetto che ha concorso alla formazione della volontà dell'Amministrazione. Nel caso in esame, i vizi denunciati non derivavano esclusivamente dall'ultimo provvedimento adottato dal Comune (diniego del permesso di costruire), bensì dall'applicazione di una norma di carattere generale sovraordinata contenuta nel PRG, adottato da altra Amministrazione, ossia dalla Regione (cfr. anche CdS, Sez. V, 04.02.2004, n. 367).
L'imposizione del vincolo di inedificabilità ed il conseguente diniego del permesso di costruire scaturiva, infatti, secondo i giudici amministrativi da un atto la cui complessità richiedeva il concorso della volontà di due enti (Comune e Regione); ne conseguiva che la mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti della Regione costituiva un vizio non suscettibile di sanatoria comportante l'inammissibilità del ricorso.
Nonostante la pronuncia di inammissibilità, il TAR Abruzzo si è però spinto ad esaminare il merito del gravame, ritenendo che, pur essendo decorso il termine decennale per la realizzazione del piano di lottizzazione, senza che allo stesso fosse stata data attuazione, l'Amministrazione non avrebbe potuto sic et simpliciter disapplicare la norma che aveva disposto il vincolo pubblicistico sull'area, facendo in tal modo rivivere la disciplina urbanistica anteriore all'imposizione del vincolo.
Ed infatti, seguendo un orientamento giurisprudenziale consolidato, risultando superata la disciplina urbanistica precedente e divenuta decaduta quella sopravvenuta, il proprietario avrebbe dovuto richiedere all'Amministrazione un nuovo esercizio del potere-dovere di dare un nuovo assetto urbanistico all'area, anche, in ipotesi, adottando un nuovo piano di lottizzazione. Sino al momento in cui l'Amministrazione non avesse adottato una nuova pianificazione dell'area in questione, e quindi un nuovo potere di pianificazione non fosse stato esercitato, l'assetto urbanistico dell'area sarebbe rimasto pianificato come da previsioni contenute nel precedente piano, pur se non concretamente attuato (cfr. anche CdS, Sez. V, 30,04.2009 n. 2768).
Ne consegue che nella fattispecie in esame, il privato, in quanto titolare di un vero e proprio interesse legittimo pretensivo a che l'Amministrazione eserciti la funzione di governo del territorio avrebbe dovuto richiedere preventivamente un nuovo assetto urbanistico dell'area e, nel caso in cui l'Amministrazione non avesse provveduto alla necessaria ripianificazione, si sarebbe potuto tutelare davanti al giudice amministrativo mediante l'impugnazione del silenzio-inadempimento (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Se il dipendente pubblico effettua telefonate brevi non vi è peculato.
Se il dipendente pubblico utilizza un cellulare aziendale o una connessione internet mentre è in ufficio, per scopi privati, non può essere penalmente perseguibile per il delitto di peculato, sempre che i costi siano contenuti (Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 25.11.2010 n. 41709 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAE' legittima la sanatoria giurisprudenziale degli abusi edilizi.
Il Tribunale è consapevole del fatto che la giurisprudenza non sia univoca sul tema giacché l'art. 36 del d.p.r. 380/2001 richiede, ove interpretato in senso strettamente letterale, la doppia conformità (alla strumentazione urbanistica vigente al momento della realizzazione delle opere e al momento della richiesta di sanatoria).
Tuttavia, si osserva come l’art. 36 cit. sia sostanzialmente analogo, per i profili che qui interessano, al precedente art. 13 L. n. 47/1985 che richiedeva, per la sanatoria delle opere prive di concessione, che esse fossero conformi alla strumentazione urbanistica approvata e non in contrasto con quella adottata al momento sia dell'edificazione, sia della richiesta di sanatoria (c.d. doppia conformità).
Orbene, è noto come in vigenza di quest'ultima norma (poi abrogata del D.P.R. n. 380/2001 cit.) la giurisprudenza abbia affermato la sufficienza della sola conformità alla strumentazione urbanistica in vigore al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria.
Questo, rilevando come l’istituto della sanatoria fosse di carattere generale e trovasse la propria genesi in giurisprudenza consolidata ed in prassi amministrative univoche ed antiche fondate sui precetti di buon andamento dell’attività amministrativa statuiti dall’art. 97 Cost. (Cons. Stato Sez. V 13.02.1995 n. 238).
Invero, si è ritenuto che di detto istituto generale l’art. 13 cit. costituisse solo una fattispecie particolare (c.d. sanatoria a regime), la cui esistenza lasciasse intatte le logiche di efficacia ed efficienza dell’attività amministrativa cui si ispirava, da sempre, il ripetuto istituto generale (Cons. Stato Sez. V n. 238/1995 cit.).
Diversamente opinando, è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, si perverrebbe all’irragionevole risultato di far demolire un’opera della quale, contemporanemente, si dovrebbe concedere la costruzione.
Questo Tribunale ha costantemente aderito al rammentato indirizzo giurisprudenziale (TAR Umbria; 30.03.2000 n. 290; id. 08.07.2002 n. 505; id. 29.10.2004 n. 656; id. 08.09.2005 n. 431) e non vede ora motivi per discostarsene, a ciò ostando il comune buon senso cui sempre deve ispirarsi il diritto (TAR Umbria, sentenza 20.05.2010 n. 329 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn merito all’invocata “sanatoria giurisprudenziale”, è ben noto l’orientamento che fonda sui principi afferenti il buon andamento e l’economia dell’azione amministrativa l’obbligo di rilasciare l’assenso edilizio in sanatoria allorquando sia regolarmente richiesto in relazione ad opere già realizzate abusivamente ma conformi alle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio.
L’istituto della sanatoria per accertamento di conformità previsto dall’art. 13 della L. 28.02.1985 n. 47 è stato introdotto, nell’ambito di una revisione complessiva del regime sanzionatorio in materia di abusi edilizi nel senso di una maggiore severità, con l’intento di consentire la sanatoria degli abusi meramente formali, vale a dire di quelle costruzioni per le quali, sussistendo ogni altro requisito di legge e regolamento, manchi soltanto il titolo rappresentativo dell’assenso dell’Amministrazione.
Il rilascio della concessione edilizia in esito ad accertamento di conformità, pertanto, attribuisce al “responsabile dell’abuso” una situazione giuridica del tutto equiparabile a quella del titolare di un’ordinaria concessione edilizia, onde non può avere a presupposto se non il fatto che la fattispecie alla quale si riferisce sia risultata conforme, sotto ogni altro aspetto, soggettivo ed oggettivo, alla normativa urbanistica complessivamente vigente.
Per il suo rilascio, in altre parole, è necessario che sussistano tutti i requisiti, anche soggettivi, che avrebbero consentito al responsabile dell’abuso di ottenere la concessione, ove l’avesse tempestivamente richiesta.
Si comprende, allora, tenendo conto altresì che si tratta pur sempre di una deroga al principio fondamentale, sancito dall’art. 1 della L. 28.01.1977 n. 10, il quale subordina all’assenso dell’Amministrazione qualsiasi attività che comporti trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, perché l’ambito di applicazione del beneficio è stato delimitato dalla norma con riferimento ai due momenti temporali in essa indicati e sopra più volte menzionati.
Si comprende, inoltre, perché i requisiti di legge che in entrambi i momenti suddetti devono sussistere sono anche quelli soggettivi, quando si consideri che ammettere al beneficio in questione un soggetto che “al momento della realizzazione dell’opera” non fosse legittimato a chiedere ed ottenere la concessione contrasterebbe con l’espressa previsione della norma, che solo al “responsabile dell’abuso” permette di richiedere la sanatoria.
L’interpretazione puramente letterale dell’espressione normativa che rapporta la doppia conformità prescritta “agli strumenti urbanistici” non appare, quindi, attendibile.
In realtà, la legge ha detto meno di quanto voleva dire, come si evince dalla dizione più comprensiva adoperata dalla disposizione che oggi sostituisce il citato art. 13 L. n. 47 del 1985, ovvero l’art. 36 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, il quale assume come parametro dell’accertamento di conformità quello più generale della “disciplina urbanistica ed edilizia vigente”.
Quanto all’invocata “sanatoria giurisprudenziale”, è ben noto l’orientamento che fonda sui principi afferenti il buon andamento e l’economia dell’azione amministrativa l’obbligo di rilasciare l’assenso edilizio in sanatoria allorquando sia regolarmente richiesto in relazione ad opere già realizzate abusivamente ma conformi alle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio.
Si tratta, tuttavia, del più generale istituto della concessione postuma -diverso dalla sanatoria per accertamento di conformità specificamente disciplinata dall’art. 13 della L. 28.02.1985 n. 47- al quale, ove, come nella specie, di esso il privato non si sia a suo tempo avvalso, non è consentito al giudice fare ricorso, sostanzialmente esercitando in tal modo un potere di cui l’Amministrazione ben può ancora far uso
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.05.2006 n. 3267 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACiò che conta, ai fini del rilascio della concessione in sanatoria (ex art. 36 dpr 380/2001) è la conformità urbanistico-edilizia al momento del rilascio del titolo, in quanto non avrebbe senso demolire ciò che può essere assentito e quindi legittimamente ricostruito subito dopo.
Quanto alla c.d. doppia conformità, testualmente richiesta dall’art. 13 della legge 47/1985, questo Tribunale in alcune pronunce ha affermato che ciò che conta, ai fini del rilascio della concessione in sanatoria è la conformità urbanistico-edilizia al momento del rilascio del titolo, in quanto non avrebbe senso demolire ciò che può essere assentito e quindi legittimamente ricostruito subito dopo.
Tale orientamento (c.d. sanatoria giurisprudenziale, che non viene più seguito dalla prevalente giurisprudenza) deve essere applicato con grande cautela, soprattutto di fronte a significative trasformazioni del territorio ed in presenza di vincoli di tipo diverso e sopraordinato rispetto a quelli urbanistici.
Nel caso in esame può tuttavia essere confermato, stante l’assenza di vincoli paesaggistici o ambientali sull’area in questione (cfr. relazione tecnica, citata) e l’oggettiva ridotta dimensione delle opere (il che non esime dalla necessità del titolo autorizzatorio edilizio, né rende meno doverosa la previa verifica dell’impatto che da esse deriva alla luce dei valori tutelati dalle previsioni del P.R.G.) (TAR Umbria, sentenza 08.09.2005 n. 431 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 17.01.2011

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UTILITA'

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Guida pratica per i contratti pubblici di servizi e forniture (a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Segretariato Generale):
- Vol. 2° - L’evidenza pubblica;
- Vol. 1° - Il mercato degli appalti (N.B.: la stesura del volume è precedente all’approvazione del Regolamento di attuazione del Codice dei contratti da parte del Consiglio dei Ministri il 18.06.2010. Il testo pertanto sarà aggiornato a cura degli autori nelle parti interessate dalle disposizioni di dettaglio contenute nel Regolamento).

INCARICHI PROFESSIONALI: Inarcassa: dall'01.01.2011 aumenta al 4% il contributo integrativo per Ingegneri e Architetti. Guida alla redazione delle fatture.
L´aumento del contributo integrativo dal 2% al 4% per ingegneri e architetti, previsto dal D.M. 05.03.2010 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19/03/2010, scatta a partire dal 01/01/2011.
Con l’occasione BibLus-net propone ai lettori alcuni esempi di redazione di fatture per prestazioni professionali considerando tutta la casistica possibile per tipologia di professionista: ... (link a www.acca.it).

CONDOMINIO: La pubblicazione di Confedilizia “La disciplina giuridica del condominio con gli adempimenti degli amministratori di condominio.
L’Ufficio legale della Confedilizia (associazione dei proprietari di immobili) ha curato la redazione della pubblicazione “La disciplina giuridica del condominio con gli adempimenti degli amministratori di condominio”.
La pubblicazione analizza le disposizioni vigenti in materia di condominio (contenute nel codice civile, nelle disposizioni attuative e nel codice di procedura civile) e la normative riguardante:
- Antenne e radiotelecomunicazioni;
- Ascensore;
- Barriere architettoniche;
- Fisco;
- Inquinamento acustico;
- Locazioni;
- Prvenzione incendi;
- Privacy;
- Riscaldamento e risparmio energetico;
- Sicurezza impianti.

In allegato la pubblicazione riporta inoltre le tabelle:
- delle maggioranze assembleari;
- sulla partecipazione alle spese condominiali dei condomini proprietari di posti auto siti in autorimesse;
- degli oneri accessori concordata tra confedilizia e sunia.

Confedilizia precisa che la pubblicazione non riporta la normativa riguardante le agevolazioni fiscali sulle ristrutturazioni edilizie e sul risparmio energetico dato il loro carattere temporaneo (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI: G.U. 10.01.2011 n. 6 "Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 07.03.2005, n. 82, recante Codice dell’amministrazione digitale, a norma dell’articolo 33 della legge 18.06.2009, n. 69" (D.Lgs. 30.12.2010 n. 235).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del 10.01.2011, "Modifica del decreto 07.02.2008 n. 970 «Indicazioni relative ai criteri e ai parametri di valutazione della compatibilità e della sostenibilità ai sensi della dgr 04.07.2007, n. VIII/5054.»" (decreto D.G. 31.12.2010 n. 13770).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Trattamenti di fine servizio: Legge 122/2010 (CISL-FPS di Bergamo, nota 12.01.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Fondo Perseo, parte la previdenza complementare per Sanità e Autonomie Locali (CISL-FPS di Bergamo, nota 12.01.2011).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Aziende speciali, anche consortili, per la gestione dei servizi alla persona (CGIL-FP di Bergamo, nota 08.01.2011).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Verso la soppressione dei consorzi di Polizia? (CGIL-FP di Bergamo, nota 07.01.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Parte la previdenza complementare per EE.LL. e Sanità: un argine alle misure del governo sulla liquidazione (CGIL-FP di Bergamo, nota 07.01.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Quesiti relativi alla efficacia delle norme relative ai cd “passaggi verticali”: circolare operativa (CSA di Milano, nota gennaio 2011).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: M. Mariano, La cessione di cubatura (link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: F. Patroni griffi, Valori e princìpi tra procedimento amministrativo e responsabilizzazione dei poteri pubblici (con un’attenzione in più per invalidità non invalidante del provvedimento, efficienza e trasparenza, danno da ritardo) (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: A. Barbiero, Tracciabilità dei flussi finanziari relativi agli appalti ed ai finanziamenti pubblici [Nota di premessa: questa elaborazione sostituisce un precedente documento prodotto in data 07.09.2010, assorbendo gli elementi di innovazione normativa dettati dal d.l. n. 197/2010 e dalla sua legge di conversione (n. 217/2010) e le interpretazioni rese dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici con le determinazioni n. 8/2010 e n. 10/2010] (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI: Capolinea consorzi. La soppressione dalla scadenza. Parere della Corte conti sugli enti socio-assistenziali.
I consorzi fra comuni per la gestione associata di servizi socio-assistenziali vanno sciolti alla prima scadenza dei rispettivi organi direttivi.
Lo ha confermato la sezione regionale di controllo per il Piemonte della Corte dei Conti con il parere 30.12.2010 n. 101, ribadendo l'orientamento già espresso pochi mesi fa dalla corrispondente magistratura campana con il parere n. 118/2010 (si veda ItaliaOggi del 13/08/2010).
Ciò per effetto dell'art. 2, c. 186, lett. e), della legge 191/2009 (legge finanziaria per il 2010), che ha disposto la soppressione di tutti i consorzi di funzioni tra gli enti locali, con la sola eccezione (prevista dall'art. 1, c. 1-quater, della legge 42/2010) dei bacini imbriferi montani.
Tali previsioni avevano suscitato più di un dubbio fra gli addetti ai lavori, in primo luogo in quanto i consorzi socio-assistenziali sono espressamente identificati da numerose leggi regionali come «obbligatori». Secondo i giudici contabili subalpini, tuttavia, tali consorzi rientrano comunque fra quelli da sopprimere, poiché, al pari di tutti i consorzi di funzioni, sono identificati dalla legislazione statale di contenimento della spesa pubblica come strutture produttive di costi per gli enti.
Essi, infatti, avendo ad oggetto attività che devono necessariamente essere svolte in favore dei cittadini in stato di bisogno, non sono soggetti all'obbligo di pareggio di bilancio da perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi, come invece accade per i consorzi per la gestione associata di servizi, ancorché privi di rilevanza economica. In tale prospettiva, si sottraggono alla tagliola i soli consorzi che gestiscono anche servizi eccedenti quelli essenziali che i comuni devono obbligatoriamente erogare.
La pronuncia della sezione piemontese chiarisce, poi, un altro aspetto controverso della suddetta disciplina, ovvero quello della decorrenza dei relativi effetti. In proposito, l'art. 1, c. 2, della legge 42/2010 cit. ha disposto che essa si applichi «a decorrere dal 2011, e per tutti gli anni a seguire, ai singoli enti per i quali ha luogo il primo rinnovo del rispettivo consiglio, con efficacia dalla data del medesimo rinnovo».
Tale formulazione sembrava legare la tempistica delle soppressioni dei consorzi di funzioni a quella dei rinnovi dei consigli degli enti locali di riferimento, con evidenti criticità laddove questi ultimi avessero scadenze elettorali diverse. Secondo il parere in commento, viceversa, il termine «enti», che appare volutamente generico, riferendosi a più fattispecie diverse fra loro, in quella che qui interessa non può che indicare, secondo un'interpretazione logico-sistematica, i singoli consorzi oggetto delle misure soppressive.
Pertanto queste ultime si applicheranno, e produrranno i propri effetti, a decorrere dal primo rinnovo, a partire dal 2011 e per tutti gli anni a seguire, del consiglio di amministrazione del consorzio interessato (articolo ItaliaOggi del 14.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Sponsorizzazioni vietate. In salvo il sostegno alle associazioni.
Il divieto di effettuare spese per sponsorizzazioni non abbraccia anche le concessioni di contributi a favore di associazioni private, a sostegno di iniziative realizzate da soggetti terzi, ma rientranti nei compiti del Comune, nell'interesse della collettività, anche sulla scorta dei principi di sussidiarietà orizzontale previsti dall'articolo 118 della Costituzione.
Il chiarimento sulla confusa portata del divieto di effettuare spese per sponsorizzazioni (articolo 6, comma 9, del decreto legge 78/2010) arriva dalla sezione di controllo della Corte dei conti per la Lombardia (parere 23.12.2010 n. 1075), in risposta a un comune pavese che, viste le diverse letture della norma, chiede lumi.
Certamente il divieto opera per le sponsorizzazioni, che sono contratti  atipici, a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive, attraverso cui una parte assume, dietro corrispettivo, l'obbligo di associare alle proprie attività il nome o il segno distintivo dell'altra parte; l'esempio classico è la sponsorizzazione della squadra di calcio.
L'elemento che consente di connotare le contribuzioni, ancora ammesse, distinguendole dalle spese di sponsorizzazioni vietate, dall'01.01.2011, a tutte le amministrazioni pubbliche (non solo quindi a comuni, province, unioni di comuni), è lo svolgimento da parte di soggetti privati di un'attività propria del comune, che rientra nelle competenze dell'ente pubblico. Sono consentite quindi le iniziative organizzate dalle amministrazioni pubbliche, sia direttamente, sia indirettamente, purché -precisa la Corte dei conti per la Puglia sulla stessa problematica (parere 15.12.2010 n. 163)- realizzate per il tramite di soggetti istituzionalmente preposti allo svolgimento di attività di valorizzazione del territorio.
A titolo esemplificativo, non rientrano nel divieto le provvidenze ad associazioni che erogano servizi pubblici a favore delle fasce deboli della popolazione (anziani, minori, eccetera) oppure a privati per la tutela di diritti garantiti dalla Costituzione (il diritto allo studio, eccetera).
L'esclusione dei contributi dall'alveo delle spese per sponsorizzazioni, precisano i magistrati lombardi, deve essere motivata nel ... (articolo Il Sole 24 Ore del 10.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Il testo integrale della deliberazione della Corte dei Conti sui rilievi che hanno condotto alla non ammissione al visto alcuni articoli del DPR n. 207/2010 (Regolamento codice contratti pubblici) (Corte dei Conti, Sez. Centrale di Controllo di Legittimità, deliberazione 14.12.2010 n. 28).

ENTI LOCALI: Revisori, no ai compensi ridotti. Ricorsi contro il taglio del 10% a decorrere dall'01/01/2011. La delibera della Corte dei conti della Toscana ha messo in fibrillazione gli operatori.
La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Toscana, con parere 09.12.2010 n. 204, ha espresso il parere che anche il compenso spettante ai revisori degli enti locali debba essere ridotto del 10% a decorrere dall'01/01/2011, rispetto agli importi risultanti al 30/04/2010, ai sensi dell'art. 6, comma 3, del dl 78/2010.
Questa associazione ritiene che tale parere che, come espresso nelle scarse motivazioni, interpreta l'intento del legislatore come indirizzato alla riduzione «indistinta» dei costi amministrativi e politici dell'apparato pubblico, non sia assolutamente condivisibile per i seguenti motivi:
a) l'art. 6, comma 3, del dl 78/2010, dispone la riduzione dall'01/01/2011 e sino al 31/12/2013, del 10% rispetto agli importi risultanti al 30/4/2010, delle indennità, compensi, gettoni, retribuzioni o altre utilità comunque denominate corrisposte dalle pubbliche amministrazioni e quindi anche enti locali, ai «componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo»;
b) l'organo di revisione non può essere definito organo di controllo. In nessuna parte del titolo VII del Tuel, dedicato alla revisione degli enti locali, è rintracciabile il termine «organo di controllo», ma bensì la definizione di «organo di revisione» o «organo di revisione economico-finanziario». Le funzioni dell'organo di revisione come elencate nell'art. 239 del Tuel, comprendono l'attività di collaborazione, di vigilanza, di attestazione dei risultati, di referto e di verifiche di cassa;
c) l'organo di revisione degli enti locali non può rientrare nella categoria degli «organi collegiali comunque denominati», stante che nella maggior parte degli enti è un organo monocratico (revisore unico);
d) il legislatore quando ha voluto comprendere nei vincoli e limitazioni di spesa l'organo di revisione lo ha esplicitamente indicato (vedi, per esempio, il successivo comma 5 del citato art. 6 del dl 78/2010);
e) ai revisori degli enti locali è attribuito un compenso determinato dal Consiglio nella delibera di nomina entro il limite massimo stabilito con decreto del ministro dell'interno (vedi dm 20/5/2005);
f) per il revisore unico nominato nei comuni da 5.000 a 15.000 abitanti il compenso non è ancora attribuito in via definitiva come indicato nella circolare FL 5/2007, del Mininterno e quindi non appare possibile ridurre un importo attribuito in via provvisoria al 30/04/2010;
g) se l'intento del legislatore era quello di ridurre anche i compensi dei revisori doveva fare riferimento diretto a quelli stabiliti dal dm di cui al comma 1 dell'art. 241 del Tuel;
h) l'art. 1, comma 4, del Tuel dispone che le modifiche al testo unico devono essere espressamente modificative delle sue disposizioni. Mentre l'art.5, comma 7 del dl 78/2010 modifica espressamente l'art. 82 del Tuel (indennità ai consiglieri), l'art. 6, comma 3, in commento non esprime nessun richiamo esplicito modificativo dell'art. 241 del Tuel;
i) trattandosi di una norma di limitazione non può essere interpretata in modo estensivo.
Si ritiene, pertanto, per le motivazioni di cui sopra, che la riduzione del 10% prevista dall'art. 6, comma 3, del dl 78/2010, non sia in alcun modo applicabile ai revisori degli enti locali.
L'Ancrel-Club dei revisori invita gli associati, in attesa di un chiarimento definitivo, a non accettare la riduzione del compenso ed a promuovere eventualmente con la nostra collaborazione ricorso avverso l'atto di riduzione (articolo ItaliaOggi del 14.01.2011).

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Le modalità di relazione tra primo cittadino e amministrazione locale. Incompatibilità limitata. Serve la concreta contrapposizione d'interessi.
È sufficiente, per configurare un'ipotesi di incompatibilità alla carica di sindaco, la chiamata in giudizio del Comune senza che sussista tra quest'ultimo e l'amministratore una concreta contrapposizione d'interessi?
La Corte di cassazione ha più volte ribadito che l'espressione “essere parte di un procedimento” va intesa in senso tecnico, per cui la pendenza di una lite va accertata con riferimento alla qualità di parte in senso processuale, quindi agli effetti della sussistenza della causa di incompatibilità della lite pendente con il comune, non sono sindacabili i motivi del giudizio pendente, dovendo unicamente rilevarsi il dato formale e obiettivo di tale pendenza, che esaurisce «ex se» il presupposto dell'incompatibilità (cfr. Cass. Civ., sez I, 16.02.1991, n. 1666).
Secondo un orientamento giurisprudenziale più recente è stato ritenuto che ad integrare gli estremi della causa di incompatibilità di cui al comma 1, n. 4 del citato art. 63, «non basta la pura e semplice constatazione dell'esistenza di un procedimento civile o amministrativo nel quale risultino coinvolti, attivamente o passivamente, l'eletto o l'ente, ma occorre che a tale dato formale corrisponda una corretta contrapposizione di parti, ossia una reale situazione di conflitto: solo in tal caso sussiste l'esigenza di evitare che il conflitto di interessi nella lite medesima possa orientare le scelte dell'eletto in pregiudizio dell'ente amministrativo, o comunque possa ingenerare all'esterno sospetti al riguardo» (cfr. Cass. Civ., sez. I, 28.07.2001, 10335). Se manca, fin dal primo grado di giudizio, una concreta contrapposizione tra le parti e, quindi una reale situazione di conflitto, non sussiste la causa di incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1, n. 4, del Tuoel.
Non sussistono, quindi, i presupposti per avviare la procedura di scioglimento del consiglio comunale per la decadenza del sindaco conseguente all'asserita causa di incompatibilità del medesimo (articolo ItaliaOggi del 14.01.2011).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Equilibri di bilancio e scioglimento.
In caso di mancata approvazione, da parte del consiglio, dello schema di delibera di presa d'atto del permanere degli equilibri di bilancio, è possibile avviare la procedura di scioglimento ex art. 141 del testo unico senza la preventiva diffida al consiglio comunale?
Ai fini della procedura sanzionatoria, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 141, comma 2, e 193, comma 4, del decreto legislativo n. 267/2000, il legislatore non ha inteso dare rilevanza ai motivi che hanno condotto alla mancata presa d'atto della permanenza degli equilibri di bilancio, ma solo al dato obiettivo della mancata adozione, entro il termine prescritto dalla legge, dei necessari provvedimenti di riequilibrio di bilancio. Non ha, cioè, rilevanza se la mancata adozione della delibera suddetta sia dovuta ad inerzia oppure ad espressa volontà contraria del consiglio.
Al verificarsi di tale evento, la norma prevede che il Prefetto debba procedere a diffidare il consiglio comunale, ai sensi dell'art. 1 del decreto legge n. 13/2002, convertito dalla legge n. 75/2002, ad approvare il fondamentale documento contabile ed a procedere, in caso di inadempimento e qualora gli statuti degli enti locali non abbiano previsto l'organo deputato a intervenire in via sostitutiva, a nominare un commissario che provveda al riguardo.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la «legge non collega all'inosservanza del termine ordinario di cui all'art. 175 alcuna immediata e concreta conseguenza dissolutoria, ma la semplice apertura di un procedimento sollecitatorio, che può condurre all'adozione della grave misura dello scioglimento dell'organo, ma il cui presupposto non è la mera inosservanza del termine suddetto bensì la constatata inadempienza a un'intimazione puntuale e ultimativa dell'organo competente, che attesta l'impossibilità, o la volontà del consiglio di non approvare il bilancio» (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 19.02.2007, n. 826).
Considerata la gravità del provvedimento di scioglimento, è comprensibile che il legislatore abbia voluto, a garanzia dell'autonomia dell'ente e in applicazione del principio costituzionale di leale collaborazione, subordinare sempre alla previa diffida l'eventuale provvedimento dissolutorio, come è previsto per l'altra ipotesi di scioglimento derivante da «gravi e persistenti violazioni di legge». Esaurita infruttuosamente anche la fase della diffida, ai fini dell'ulteriore corso della proposta di scioglimento, occorrerà attendere l'esito dell'intervento sostitutivo.
Solo laddove venisse accertata la sussistenza dello squilibrio di bilancio, con conseguente adozione dei provvedimenti di competenza da parte del commissario ad acta, si configureranno gli estremi per l'applicazione della misura di rigore (articolo ItaliaOggi del 14.01.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Entrata in vigore il 24.11.2010, la legge 183/2010 introduce novità per il pubblico impiego. Collegato lavoro, cantiere aperto. Sull’applicazione delle nuove norme serve aprire un negoziato.
Entrata in vigore il 24 novembre, la legge n.183/2010, più nota come «collegato lavoro», introduce novità significative anche per il pubblico impiego.
Il provvedimento, che segue la manovra finanziaria per gli anni 2009/2013, contiene infatti, al di là delle disposizioni in tema di controversie sul lavoro su cui si è molto dibattuto, norme in materia di riorganizzazione di enti, congedi, aspettative e permessi, mobilità, ammortizzatori sociali, trasparenza, servizi per l’impiego.
Si tratta ... (articolo ItaliaOggi del 01.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Responsabili di servizio al test della cessione delle quote.
Entro il 31/12/2010, le amministrazioni pubbliche previste all'art. 1, c. 2, del dlgs 165/2001, fra le quali rientrano gli Enti locali, avrebbero dovuto cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le partecipazioni in società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali.
La cessione non riguardava né le partecipazioni in società che erogano servizi di interesse generale, né le società quotate. Tale obbligo, previsto dall'art. 3 commi 27-29 della Legge 244/2007 (Legge Finanziaria 2008) è stato oggetto d'interpretazione, fra l'altro, da parte della Corte dei conti — Sez. Reg. di Controllo della Lombardia che, con la deliberazione n. 48 del 817/2008, ha sostenuto che il termine fissato dalla legge, e più volte posticipato, doveva essere inteso come quello entro la quale avviare la procedura di dismissione, ma non obbligatoriamente per completare tutto l'iter di cessione delle partecipazioni vietate; ciò per evitare svendite o speculazioni dei soggetti privati nella determinazione del prezzo di acquisto delle partecipazione in mano pubblica.
Nella prassi, pertanto, il comportamento tenuto dalla maggior parte degli Enti locali è stato quello di assumere entro il 31/12/2010 una decisione di Consiglio con la quale, dopo avere analizzato le partecipazioni detenute dall'Ente e verificato l'esistenza di quella condizione di stretta necessità prevista dalla legge, è stato deciso quali partecipazioni mantenere e quali cedere.
All'indomani di tale decisione è bene che il responsabile del servizio a cui è stato demandato l'espletamento del procedimento di cessione inizi a porsi il problema di cosa fare, anche per evitare che, in assenza di uno specifico termine di conclusione di tale procedimento, si rischi di non arrivare mai alla vera e propria cessione delle partecipazioni vietate.
Il procedimento di cessione, infatti, si presenta piuttosto complesso e non privo di criticità, anche in considerazione del fatto che nello stesso si intrecciano inevitabilmente norme di diritto amministrativo e norme di diritto commerciale: basti pensare, ad esempio, alla necessità di contemperare l'obbligo di evidenza pubblica coni diritti riconosciuti agli altri ... (articolo ItaliaOggi del 14.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Concertazione ancora d'obbligo. Il tribunale di Roma dà ragione ai sindacati.
La concertazione con i sindacati è ancora obbliatoria. Negli enti locali, così come nella amministrazioni centrali dello stato. Perché in materia di contrattazione collettiva la legge Brunetta (dlgs 150/2009), che ha mandato in soffitta l'obbligo di accordo con i sindacati (sostituendolo con la semplice comunicazione), si applica solo dalla tornata contrattuale successiva a quella in corso.
Lo ha deciso il tribunale di Roma (terza sezione lavoro) con la sentenza n. 687/2011 del gennaio con cui ha accolto il ricorso della Flp (Federazione lavoratori pubblici e funzioni pubbliche) contro l'Agenzia delle dogane, rea di aver dato il proprio benestare al passaggio tra aree funzionali di 544 dipendenti, senza preventivo assenso dei sindacati.
Un errore, ha riconosciuto il tribunale, in cui le Dogane sono state indotte dalla circolare n. 7/2010 della Funzione pubblica che invece aveva sostenuto l'immediata applicabilità delle norme sulla partecipazione sindacale. Ne consegue dunque la piena legittimità delle disposizioni dei contratti collettivi vigenti che prevedono la concertazione.
Tali norme, ha spiegato il giudice monocratico capitolino, «non potranno dirsi affette da nullità sopravvenuta per contrasto ... (articolo ItaliaOggi del 12.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Le partite di inizio anno. Il milleproroghe non ha introdotto deroghe sui vincoli al turn-over.
Gestione al buio nei mini-comuni. Nessuna traccia delle regole per le associazioni obbligatorie.

Che fine ha fatto l'obbligo della gestione associata della gran parte delle funzioni fondamentali? Quante assunzioni a tempo indeterminato possono essere effettuate?
Sono i principali dubbi che affliggono i piccoli comuni (con popolazione inferiore a 5mila abitanti) e che si aggiungono alle difficoltà per i crescenti vincoli imposti dalla legislazione, come l'ultimo sui rigidi tetti all'indebitamento (si veda l'articolo sotto). Una somma di dubbi e vincoli, non chiaritine attutiti dal decreto milleproroghe, che mette in difficoltà l'attività di queste amministrazioni.
Il Dl n. 78/2010, la manovra estiva, ha posto la parola fine -finora solo sulla carta- a quasi 20 anni di dibattiti su come superare il numero eccessivo dei comuni: al di sotto dei 5mila abitanti vi sono quasi 3 municipi su 4. Ha infatti stabilito che tutte le funzioni fondamentali, cioè la stragrande maggioranza dei compiti, devono essere gestite informa associata, tramite unione dei comuni e/o convenzione, nonché in via interpretativa anche tramite le comunità montane.
Lo stesso decreto ha rinviato alla legislazione regionale e a uno specifico Dpcm l'individuazione delle modalità concrete di attuazione: in particolare la soglia demografica e/o il numero di comuni minimi da raggiungere. L'ampiezza della delega è confermata dal fatto che le regioni non possono imporre il vincolo della gestione associata solamente ai comuni capoluogo di provincia e a quelli che hanno più di 100mila abitanti.
Il provvedimento ha anche indicato il termine
per l'adozione ... (articolo Il Sole 24 Ore del 10.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia - Istanza - silenzio dell’amministrazione - Ricorso giurisdizionale - Accertamento della legittimità della pretesa ad ottenere la concessione - Preclusione.
Nel caso di ricorso giurisdizionale contro il silenzio mantenuto dall'Amministrazione comunale sull'istanza di concessione edilizia, la pronuncia del giudice deve limitarsi alla declaratoria di illegittimità del silenzio (da cui discende l'obbligo di esprimersi tempestivamente sulla richiesta) e non anche estendersi all'accertamento della legittimità della pretesa ad ottenere la concessione, in quanto asseritamente fondata su una piena conformità delle opere rispetto alle previsioni della strumentazione urbanistica vigente, atteso che detto accertamento richiede una valutazione che va in primo luogo rimessa alla competenza del Comune e che postula pure apprezzamenti di ordine tecnico (TAR Campania-Napoli, n. 4698 del 26.10.2001; TAR Campania Sez. II Napoli, 12/11/2004 n. 16775; 05/08/2004 n. 11099) (TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 13.01.2011 n. 7 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente per carenza della regolarità contributiva in corso di gara.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente privo del requisito di regolarità contributiva, che pur abbia provveduto a sanare detta carenza, ma successivamente alla data all'uopo indicata dal bando, in quanto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la mancanza del predetto requisito alla data di scadenza del termine previsto dal bando per la presentazione delle offerte, non è sanato dall'eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva, atteso che tale tardivo adempimento può rilevare nelle reciproche relazioni di credito e di debito fra i soggetti del rapporto obbligatorio e non, invece, anche nei confronti dell'amministrazione appaltante deputata ad accertare la sussistenza del requisito della regolarità contributiva ai fini dell'ammissione alla gara.
Un'acquisizione tardiva della correttezza contributiva non esclude l'obbligo, in capo alla stazione appaltante, di disporre l'esclusione dell'impresa inadempiente, pena una palese violazione del principio di par condicio tra i concorrenti, in quanto, diversamente, si consentirebbe ad un soggetto carente dei requisiti prescritti dal bando -quale, come nel caso di specie, la correttezza contributiva- di sanare ex post tale mancanza, con evidente disparità di trattamento nei confronti di quelle imprese, che, conformemente alle disposizioni normative, erano in possesso di quei requisiti alla data indicata dal regolamento di gara (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.01.2011 n. 104 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Il concorrente che abbia tempestivamente richiesto il d.u.r.c. e si veda rilasciare un documento, privo di accertamenti negativi ma incompleto per inerzia dell'ente interpellato, non può subire conseguenze pregiudizievoli a causa dell'inefficienza dell'ente medesimo, avendo, oltre tutto, soddisfatto l'onere di produrre l'unico documento di cui poteva disporre alla scadenza del termine per la presentazione della domanda.
A norma dell’art. 8, comma 3, del d.m. 24.10.2007 e secondo le precisazioni contenute nella Circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 30.01.2008: “3. Ai soli fini della partecipazione a gare di appalto non osta al rilascio del DURC uno scostamento non grave tra le somme dovute e quelle versate, con riferimento a ciascun Istituto previdenziale ed a ciascuna Cassa edile. Non si considera grave lo scostamento inferiore o pari al 5% tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascun periodo di paga o di contribuzione o, comunque, uno scostamento inferiore ad € 100,00, fermo restando l'obbligo di versamento del predetto importo entro i trenta giorni successivi al rilascio del DURC.”.
La detta normativa regolamentare, che impone di dichiarate la regolarità contributiva anche in caso di violazioni non gravi dei relativi obblighi, costituisce applicazione di un principio sancito, a livello legislativo, dall’art. 38, comma 1, lett. i), del d.lgs n. 163 del 2006, a norma del quale devono essere esclusi dalle gare i soggetti: “che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti”.
La giurisprudenza si attiene costantemente dal suddetto dettato normativo, affermando: “In materia di esclusione dalla partecipazione alle procedure di gara e dalla stipula dei relativi contratti dei soggetti che "hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana e dello Stato in cui sono stabiliti", l'art. 38, comma 1, lett. i), del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006) deve essere interpretato nel senso che il principio dell'autonomia del procedimento di rilascio del DURC (documento unico regolarità contributiva) impone che la stazione appaltante debba basarsi sulle certificazioni risultanti da quest'ultimo documento, prendendole come un dato di fatto inoppugnabile, e debba altresì valutare, innanzi tutto, se sussistono procedimenti diretti a contestare gli accertamenti degli enti previdenziali riportati nel DURC, o condoni, ed in secondo luogo se la violazione riportata nel DURC, in relazione all'appalto o fornitura in questione o alla consistenza economica della ditta concorrente o ad altre circostanze, risulti o no "grave" (Consiglio Stato, sez. IV, 15.09.2010, n. 6907).
Il dato normativo e giurisprudenziale rende evidente che neppure in presenza di una accertata violazione degli obblighi contributivi la stazione appaltante può disporre automaticamente la esclusione dalla gara, e ciò deve indurre, per il principio di continenza, a trarre conclusioni dello stesso segno in ipotesi, come quella in esame, in cui sia presentato un d.u.r.c. in corso di validità, dal quale non emerga alcuna inadempienza ai predetti obblighi.
In tema di rilascio del d.u.r.c. vige il principio del silenzio assenso che si matura al trentesimo giorno dalla data di presentazione della richiesta. L’emissione di un d.u.r.c incompleto per mancata pronuncia di uno degli enti tenuti al rilascio non impedisce di ritenere implicitamente certificata la regolarità contributiva, per la parte non considerata dalla certificazione esplicita, con il compiersi del termine prescritto per la formazione del silenzio assenso.
D’altra parte, il concorrente che abbia tempestivamente richiesto il d.u.r.c. e si veda rilasciare un documento, privo di accertamenti negativi, ma incompleto per inerzia dell’ente interpellato, non può subire conseguenze pregiudizievoli a causa dell’inefficienza del medesimo, avendo, oltre tutto, soddisfatto l’onere di produrre l’unico documento di cui poteva disporre alla scadenza del termine per la presentazione della domanda.
Né va taciuto che –secondo la giurisprudenza– il d.u.r.c., anche se formatosi in virtù del silenzio assenso, “assume la valenza di una dichiarazione di scienza, da collocarsi fra gli atti di certificazione o di attestazione redatti da un pubblico ufficiale ed aventi carattere meramente dichiarativo di dati in possesso della pubblica amministrazione, assistito da pubblica fede ai sensi dell'articolo 2700 c.c., facente pertanto prova fino a querela di falso. Attesa la natura giuridica del DURC, non residua in capo alla stazione appaltante alcun margine di valutazione o di apprezzamento in ordine ai dati ed alle circostanze in esso contenute” (Cons. St., sez. IV, 12.03.2009 n. 1458)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.01.2011 n. 83 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla non applicabilità del divieto di partecipazione a gare d'appalto, imposto dall'art. 13 del D.L. n. 223/2006, alle società miste, partecipate da soggetti pubblici e privati.
Il divieto di partecipazione a gare d'appalto, previsto dall'art. 13, commi 1 e 2 del D.L. n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani 1), per le società c.d. strumentali, non si applica, anche con riferimento alle c.d. "società miste", vale a dire quelle che, come nel caso di specie, non presentano, quale oggetto sociale esclusivo, lo svolgimento dei servizi pubblici locali, in quanto le citate tipologie societarie presentano differenti caratteristiche giuridiche e diverso modello organizzativo, anche con riguardo alla finalità della speciale disciplina limitativa di cui al citato art. 13, ossia di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori.
Pertanto, mentre i divieti e gli obblighi imposti dai citati commi del predetto art. 13 trovano giustificazione per le società c.d. strumentali, non altrettanto ragionevole appare l'applicazione della stessa anche per quelle società c.d. "miste", partecipate da soggetti pubblici e privati le quali, pur non avendo un oggetto sociale esclusivo circoscritto alla sola operatività con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti e, quindi, svolgendo sia servizi pubblici locali, sia altri servizi e forniture di beni a favore degli enti pubblici e privati partecipanti nonché a favore di altri enti o loro società o aziende pubbliche e private, operano comunque nel pieno rispetto delle regole di concorrenza imposte dal mercato, nonché di quelle previste per le procedure di affidamento dei contratti pubblici (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.01.2011 n. 77 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Ogni impresa operante in un determinato settore ha un interesse tutelato a contestare la scelta della p.a. di non procedere all'indizione di una procedura di gara pubblica.
Sulle condizioni che devono sussistere affinché si possa far ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara.

Ogni impresa operante in un determinato settore ha un interesse tutelato a contestare anche la scelta della p.a. di non procedere all'indizione di una procedura di gara pubblica a tutela del principio della libera concorrenza e del criterio di effettività del diritto alla tutela giurisdizionale, atteso che la mancata indizione di una procedura di evidenza pubblica lede il suo interesse sostanziale a competere, secondo pari opportunità, ai fini dell'ottenimento di commesse da aggiudicarsi secondo le prescritte procedure.
Il ricorso alla procedura senza pubblicazione del bando di gara di cui all'art. 57 c. 2, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006 trova fondamento nella presenza di circostanze eccezionali che non consentano l'indugio degli incanti e della licitazione privata, a condizione però che l'estrema urgenza risulti da eventi imprevedibili per la stazione appaltante e non dipenda da un ritardo nell'attivazione dei procedimenti ad essa imputabile e solo quando l'estrema urgenza non sia compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara (TAR Abruzzo, Sez. I, sentenza 10.01.2011 n. 3 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'illegittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente che abbia svolto, in precedenza, servizi analoghi ma non identici a quelli richiesti dal bando.
Sulla portata del significato da attribuire al termine "servizio analogo", ai fini dell'aggiudicazione di una gara d' appalto.

E' illegittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia svolto, nel triennio precedente, servizi aventi ad oggetto prestazioni simili ma non identiche a quelle prescritte dal bando di gara.
Nel caso di specie, la lex specialis richiedeva la stipulazione di contratti sottoscritti direttamente con strutture sanitarie pubbliche o private, laddove l'impresa concorrente, invece, ha svolto analoghi servizi per una società fornitrice, a sua volta, delle predette strutture.
Ai sensi della direttiva 2004/18/CE, è inaccettabile la decisione di valorizzare soltanto contratti stipulati direttamente con Aziende sanitarie pubbliche e private. peraltro, posto che il bando richiedeva un fatturato minimo per servizi analoghi e non "identici", prestati in strutture sanitarie pubbliche o private, la stazione appaltante era tenuta ad ammettere alla competizione tutti i soggetti capaci di dimostrare l'acquisizione della necessaria esperienza, a prescindere dal titolo giuridico sottostante, e ciò a tutela del principio del favor partecipationis.
Sul punto va richiamata anche la giurisprudenza interna, avallata dagli artt. 41 e 42 del d.lgs. n. 163/2006, secondo cui un prestatore ben può comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione ad una gara di appalto pubblico di servizi, facendo riferimento alle capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi: unica condizione posta dal giudice comunitario è la prova dell'effettiva disponibilità dei mezzi necessari all'esecuzione dell'appalto, attraverso l'attestazione di rapporti giuridici idonei, spettando poi, al giudice nazionale, valutare la correttezza di tale dimostrazione.
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Ai fini della dimostrazione della capacità tecnica ed in particolare nella scelta del fatturato minimo da provare, rientra nella discrezionalità dell'amministrazione aggiudicatrice stabilire quali, tra le modalità elencate dal bando, siano utili nelle singole procedure di gara, a seconda della natura, quantità ed utilizzo dei servizi o delle forniture. Tuttavia, una volta scelto un particolare requisito, ne deve essere data un'interpretazione ampia, per non creare un'eccessiva compressione della concorrenza.
L'art. 42, c. 1, lett. a), del d.lgs. n. 163/2006, interpretato coerentemente con i principi comunitari, non limita la possibilità di partecipazione ai soli soggetti economici che abbiano già prestato i medesimi servizi o forniture.
Il concetto di "servizio analogo" va inteso non già come identità, bensì come similitudine tra le prestazioni richieste, considerando che l'interesse pubblico sottostante non è la creazione di una riserva a favore degli imprenditori già presenti sul mercato, ma l'apertura del mercato attraverso l'ammissione alle gare di tutti i concorrenti per i quali si possa raggiungere un giudizio complessivo di affidabilità.
E ciò tanto più nell'ipotesi in cui sorgano dubbi in ordine alla portata di una regola di gara, laddove è preferibile un'interpretazione volta a tutelare la più ampia partecipazione delle imprese alla gara (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 08.01.2011 n. 23 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità del recesso, da parte di un'amministrazione comunale, di un contratto già sottoscritto, per caducazione dello stesso a seguito dell'annullamento degli atti che ne hanno determinato la stipulazione.
E' legittimo l'operato di un'Amministrazione comunale che, successivamente alla sottoscrizione di un contratto con l'affidatario di un appalto aggiudicato a seguito di trattativa privata, abbia receduto dalla stesso, successivamente all'annullamento degli atti che ne hanno determinato la stipulazione, in quanto, in siffatta ipotesi, non può parlarsi di recesso unilaterale dal contratto, bensì di caducazione dello stesso.
Infatti, l'accertata illegittimità della procedura di affidamento di un'opera o di un servizio da parte di una P.A. determina anche l'inefficacia del contratto eventualmente già sottoscritto. Secondo costante giurisprudenza, in relazione al possibile esercizio in materia dei poteri autotutela, anche se nei contratti della P.A. l'aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna il momento dell'incontro tra la volontà della stessa amministrazione e quella del privato di concludere il contratto, non è tuttavia precluso alla stazione appaltante di procedere, successivamente e con richiamo ad un concreto interesse pubblico, all'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione, fondandosi detta potestà di annullamento in autotutela sul principio costituzionale di buon andamento, che impegna la P.A. ad adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire, ma con l'obbligo di fornire una adeguata motivazione in ordine ai motivi che giustificano il provvedimento di autotutela.
In virtù della stretta consequenzialità tra l'aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l'annullamento giurisdizionale, ovvero, come nel caso di specie, l'annullamento a seguito di autotutela degli atti della procedura amministrativa, comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti.
Infatti il contratto non ha una autonomia propria, pertanto è destinato a subire gli effetti del vizio che affligge il provvedimento cui è collegato, restando "caducato" a seguito dell'annullamento degli atti che ne hanno determinato la sottoscrizione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.01.2011 n. 11 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità della clausola di un bando che prescriva, a pena di esclusione, la mancanza di situazioni di collegamento o di controllo tra imprese.
Una stazione appaltante può introdurre nella lex specialis di gara clausole escludenti relative ad altri fatti e situazioni che, pur non integrando gli estremi del collegamento o controllo societario civilistico in senso stretto, siano tuttavia idonei ad alterare la serietà ed indipendenza delle offerte.
Tale orientamento è stato confermato anche alla luce di una recente pronuncia della Corte di Giustizia, secondo cui, rapporti fra imprese partecipanti alla stessa gara d'appalto possono condizionare i rispettivi comportamenti e distoglierle da quel rapporto squisitamente concorrenziale che costituisce la stessa ragion d'essere delle procedure di gara.
Prevale, quindi, l'esigenza di assicurare l'effettiva ed efficace tutela della regolarità della gara e, in particolare, la par condicio fra tutti i concorrenti, nonché la serietà e compiutezza delle offerte, e si deve evitare che, attraverso meccanismi di influenza societari, pur non integranti collegamenti o controlli di cui all'art. 2359 cod. civ., venga alterata la competizione, a discapito dell'interesse pubblico alla scelta del giusto contraente (TAR Lazio, Sez. III, sentenza 30.12.2010 n. 39154 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza quanto agli interventi di ripristino di edifici diruti precisa la relativa nozione riportandola agli organismi edilizi dotati di sole mura perimetrali e privi di copertura e, correttamente, nega che essi possano essere classificati come restauro e risanamento conservativo.
La giurisprudenza –anche di questa Sezione-, quanto agli interventi di ripristino di edifici diruti, precisa la relativa nozione riportandola agli organismi edilizi dotati di sole mura perimetrali e privi di copertura (TAR Campania, Napoli, sezione IV, 14.12.2006 n. 10553) e, correttamente, nega che essi possano essere classificati come restauro e risanamento conservativo (TAR Campania Napoli, sez. VIII, 04.03.2010, n. 1286; TAR Campania, Napoli, sez. VI, 09.11.2009 n. 7049; TAR Lazio, Latina, 15.07.2009, n. 700).
Essa pone, inoltre, una condivisibile distinzione tra le ipotesi in cui esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione, nel quale caso è possibile parlare di demolizione e fedele ricostruzione, e dunque di ristrutturazione; e le ipotesi in cui, invece, manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare, configurandosi in quest'evenienza, invero, un intervento di nuova costruzione (TAR Veneto Venezia, sez. II, 05.06.2008, n. 1667), per l’assenza degli elementi strutturali dell'edificio, in modo tale che, seppur non necessariamente "abitato" o "abitabile", esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali (Consiglio di Stato, sez. V, 10.02.2004, n. 475) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 23.12.2010 n. 28002 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn occasione dell’adozione di provvedimenti repressivi degli abusi edilizi gli stessi non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di provvedimenti tipici e vincolati emessi all’esito di un mero accertamento tecnico della consistenza delle opere realizzate e del carattere abusivo delle medesime.
Per consolidata regola giurisprudenziale, ampiamente condivisa da questo TAR, in tema di omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento (strumento principale di partecipazione) in occasione dell’adozione di provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, non devono essere preceduti dal suddetto avviso, trattandosi di provvedimenti tipici e vincolati emessi all’esito di un mero accertamento tecnico della consistenza delle opere realizzate e del carattere abusivo delle medesime (Cons. Stato, sez. IV, 30.03.2000, n. 1814; TAR Campania, sez. IV, 28.03.2001, n. 1404, 14.06.2002, n. 3499, 12.02.2003, n. 797).
Più recentemente è stato precisato che la violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento non costituisce un motivo idoneo a determinare l'annullabilità dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi, in quanto è palese, attesa l'assenza di qualsivoglia titolo abilitativo all’edificazione, che il contenuto dispositivo del provvedimento "non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato", sicché sussiste la condizione prevista dall'art. 21-octies, comma 2, della L. n. 241 del 1990 per determinare la non annullabilità del provvedimento impugnato (Consiglio di Stato, sez. IV, 15.05.2009, n. 3029)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 23.12.2010 n. 27997 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa costruzione di un soppalco, pari a 16 metri quadrati, integra l’introduzione nell’appartamento di un ambiente in più rispetto al passato, e, pertanto, di nuova superficie utile, che, come tale, integra la nozione di ristrutturazione edilizia e richiede il preventivo permesso di costruire.
Questa Sezione ha avuto modo di affermare, che, in ordine al titolo abilitativo per la realizzazione di soppalchi interni alle abitazioni occorre distinguere i casi nei quali, in relazione alla tipologia e alla dimensione dell'intervento, può essere sufficiente una denuncia di inizio di attività, dai casi nei quali occorre una vera e propria concessione edilizia, oggi permesso di costruire; deve infatti ritenersi sufficiente una d.i.a. nel caso in cui il soppalco sia di modeste dimensioni e al servizio della preesistente unità immobiliare mentre, viceversa, deve ritenersi necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell'immobile preesistente, ai sensi dell'art. 3 DPR 380/2001, comportando un incremento delle superfici dell'immobile e quindi anche un ulteriore possibile carico urbanistico (TAR Campania Napoli, sez. IV, 10.12.2007, n. 15871).
Orbene, nel caso in esame le dimensioni del soppalco, pari a 16 metri quadrati, integrano, nella sostanza, l’introduzione nell’appartamento in questione di un ambiente in più rispetto al passato, e, pertanto, di nuova superficie utile, che, come tale, integra la nozione di ristrutturazione edilizia e richiede il preventivo permesso di costruire
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 23.12.2010 n. 27997 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Informazione ambientale - Art. 3 d.lgs. n. 195/2005 - Accesso in materia ambientale - Disciplina generale prevista dalla L. n. 241/1990 - Differenza.
L'art. 3 del D.L.vo 19.08.2005 n. 195 ha introdotto una fattispecie speciale di accesso in materia ambientale, che si connota, rispetto a quella generale prevista nella L. n. 241 del 1990, per due particolarità: l'estensione del novero dei soggetti legittimati all'accesso e il contenuto delle cognizioni accessibili. Sotto il primo profilo, l'art. 3 chiarisce che le informazioni ambientali spettano a chiunque le richieda, senza necessità, in deroga alla disciplina generale sull'accesso ai documenti amministrativi, di dimostrare un suo particolare e qualificato interesse.
Quanto al secondo aspetto, la medesima disposizione estende il contenuto delle notizie accessibili alle «informazioni ambientali» (che implicano anche un'attività elaborativa da parte dell'Amministrazione debitrice delle comunicazioni richieste), assicurando, così, al richiedente una tutela più ampia di quella garantita dall'art. 22 L. n. 241 del 1990, oggettivamente circoscritta ai soli documenti amministrativi già formati e nella disponibilità dell'Amministrazione.
Informazione ambientale - Disciplina ex d.lgs. n. 195/2005 - Finalità - Direttiva 2003/4/CE.
La disciplina speciale della libertà d'accesso alle informazioni ambientali risulta preordinata, in coerenza con le finalità della direttiva 2003/4/CE di cui costituisce attuazione, a garantire la massima trasparenza sulla situazione ambientale e a consentire un controllo diffuso sulla qualità ambientale.
Tale esigenza viene, in particolare, realizzata mediante la deliberata eliminazione, resa palese dal tenore letterale dell'art. 3, di ogni ostacolo, soggettivo od oggettivo, al completo ed esauriente accesso alle informazioni sullo stato dell'ambiente.
Informazione ambientale - Limitazione della legittimazione all’accesso - Preclusione - Art. 3 d.lgs. n. 195/2005.
Ogni indebita limitazione, per via ermeneutica, della legittimazione a pretendere l'accesso alle informazioni ambientali risulta preclusa sia dal tenore letterale dell’art. 3 del d.lgs. n. 195/2005, sia dalla sua finalità (così anche TAR Lazio-Roma, sez. III, 28.06.2006, n. 5272) (TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. I, sentenza 16.12.2010 n. 1724 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimazione a costruire, istruttoria ampia.
Per gli interventi edilizi soggetti al rilascio di permesso di costruire o a d.i.a. il Comune deve verificare l'esistenza di un titolo idoneo.
Lo ha affermato il TAR Campania-Napoli, Sez. II, con la sentenza 06.12.2010 n. 26817.
Il Collegio avvia le mosse dell'esame dell'art. 11 del Testo Unico sull'edilizia (e analoga previsione è contenuta nel primo comma dell'art. 23 per gli interventi soggetti a d.i.a.) che dispone: «Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo». Sulla base di tale richiamo i giudici napoletani hanno sottolineato che l'Amministrazione comunale, cui è rimessa sul piano istruttorio la delibazione di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, fra l'altro, che esista un idoneo titolo per eseguire le opere, che assurge a presupposto di legittimità sia degli interventi che implicano il rilascio del permesso di costruire sia quelli soggetti al regime semplificato della d.i.a..
«Vero è che la giurisprudenza amministrativa», si legge nella sentenza, «esclude l'esistenza di un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile e, soprattutto in passato, era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell'attività amministrativa in materia edilizia fosse solo quello dell'accertamento della conformità dell'opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi, senza che la mancata considerazione di tali diritti potesse in qualche modo incidere sulla legittimità dell'atto».
«Tuttavia, più recentemente (per tutte Consiglio di Stato, Sezione V, 15.03.2001, n. 1507 e 21.10.2003, n. 6529; Tar Campania, Sezione II, 29.03.2007 n. 2902)», prosegue il Collegio, «ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell'attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili e ha pertanto, chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi l'amministrazione abbia il potere e il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di un'attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertar il requisito della legittimazione del richiedente» (articolo ItaliaOggi del 14.01.2011).

APPALTI: SUBAPPALTO.
Il comma 2°, dell'articolo 118 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs n. 163/2006), il quale stabilisce che tutte le prestazioni, nonché le lavorazioni a qualsiasi categoria appartengono, sono subappaltabili ed affidabili in cottimo, data la sua estrema genericità, non sembra in alcun modo supportare la tesi, che restringe la possibilità di subappaltare solamente le lavorazioni o parti delle stesse integralmente considerate.

E’ quanto statuito dal Tar Lazio-Roma, Sez. III, nella sentenza 07.09.2010 n. 32134, ove viene affrontata una peculiare problematica: la subappaltabilità delle singole prestazioni, costituenti mere parti di una lavorazione, indicata, in sede di gara, come suscettibile di richiesta autorizzatoria.
Il principale pregio della sentenza in esame è, sicuramente, costituito dallo sforzo, posto in essere dai giudici amministrativi, volto alla puntuale identificazione dell’oggetto del subappalto, cioè di “cosa” sia subappaltabile, in aderenza alla vigente ed illustrata normativa codicistica.
Secondo la stazione appaltante, come prima illustrato, non è possibile subappaltare singole prestazioni facenti parti di complesse lavorazioni, soprattutto laddove, in sede di offerta, si sia indicata la sola lavorazione.
Tale prospettazione non viene accolta dal Tar, in quanto ritenuta, come giustamente vedremo fra breve, non rispondente alla disciplina del Codice dei contratti pubblici.
L’analisi dei giudici amministrativi laziali prende le mosse, come doverosamente ovvio, dal fondamentale principio, di cui al comma 2°, cioè la regola generale della subappaltabilità di tutte le prestazioni e lavorazioni, appartenenti a qualsiasi categoria, ad eccezione dei casi normativamente previsti. Secondo il Tar, in considerazione dell’estrema genericità di tale principio, non appare possibile, in alcun modo, avvalorare tesi restrittive, come quella propugnata dall’ANAS, escludenti la possibilità di subappaltare solamente le lavorazioni o parti delle stesse integralmente considerate.
Infatti, il subappalto costituisce una possibilità dell’impresa appaltatrice, un suo diritto, ovviamente esercitabile in presenza dei legali presupposti. Orbene, se analizziamo tali presupposti, cioè le condizioni applicative prima illustrate, appare evidente che, fra queste, non è affatto contemplata alcuna particolare limitazione relativa all’oggetto. L’articolo 118, comma 2°, punto 1, del Codice, fa riferimento, quale oggetto a indicare in sede di offerta, a “lavori o parti di opere”: di conseguenza, le singole prestazioni di una più articolata lavorazione possono, senza alcun dubbio, rientrare fra le “parti di opere”, di cui alla riportata disposizione normativa del Codice. Parti di opere possono essere, dunque, anche singole prestazioni!
Secondo il Tar, gli unici limiti al subappalto ed al suo oggetto non possono che essere rinvenuti solo, ed esclusivamente, nelle già indicate condizioni applicative. In presenza di queste, non contemplanti (come ora esposto) limiti alle singole prestazioni, l'autorizzazione al subappalto costituisce un atto dovuto, “essendo escluso qualsivoglia profilo di discrezionalità da parte della staziona appaltante nell'adottare il relativo provvedimento autorizzatorio, dovendo quest'ultima limitarsi a svolgere una funzione meramente ricognitiva in ordine alla sussistenza delle condizioni di cui al predetto comma 2°”.
Il Tar Lazio esamina anche la seconda ragione di diniego, fondata, in modo non convincente, sulla disciplina legale dei prezzi del subappalto.
Come già anticipato, ai sensi del comma 4°, l’impresa appaltatrice deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall'aggiudicazione, con ribasso non superiore al venti per cento. La ratio di tale disposizione è diretta, secondo la corretta analisi dei giudici, ad evitare che siano affidati in subappalto a prezzi troppo bassi lavorazioni o prestazioni facenti parte del contratto di appalto, onde assicurare la corretta esecuzione delle medesime.
Orbene, tale ratio, se rettamente intesa, non può di per sé precludere la possibilità di ricorrere al subappalto solamente per delle prestazioni facenti parte delle lavorazioni previste nel bando. A tal riguardo, secondo il Tar non si può che ricorrere alla seguente semplice ed ovvia operazione aritmetica: scomporre il prezzo unitario delle singole lavorazioni, indicando i prezzi unitari delle prestazioni che erano ricomprese nelle medesime lavorazioni. In tal modo, la stazione appaltante può verificare il rispetto della previsione del Codice, relativa ai prezzi delle prestazioni subappaltate.
In altri termini, non può che essere evidente quanto segue: qualora l’impresa appaltatrice intenda subappaltare singole prestazioni contrattuali, il limite del 20% deve essere riferito al prezzo di queste ultime, come specificatamente indicato in sede di offerta, per cui in presenza di tale presupposto e delle altre condizioni indicate dal secondo comma, la stazione appaltante è obbligata ad autorizzare il subappalto anche di singole prestazioni
(commento tratto dalla newsletter del sito www.centrostudimarangoni.it).

APPALTI: CONSEGNA PLICHI DI GARA. LA RESPONSABILITA’ DEL VETTORE.
La mancata consegna in tempo utile del plico di partecipazione ad una gara, per l’aggiudicazione di un appalto, determina, in capo al vettore, una grave responsabilità, idonea ad interrompere qualsiasi preesistente nesso causale. Di conseguenza, insorge, in favore dell’impresa danneggiata, un diritto al risarcimento del danno, correlato alla perdita di chance, intesa quale perdita della mera possibilità di conseguire un vantaggio futuro (l’aggiudicazione dell’appalto), secondo una valutazione ex ante, da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità, in termini di conseguenza dannosa potenziale.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. III, nella sentenza n. 20808/2010, ove viene affrontata, in un’ottica sincretica civil-amministrativa, la problematica della responsabilità per intempestiva consegna dei plichi di gara.
Il vettore ha contestato, fra l’altro, la liquidazione del danno, correlato alla perdita di chance di vittoria in gara, evidenziando che sussiste, in fatto, la certezza che l’impresa N.A. non avrebbe potuto aggiudicarsi l’appalto, avendo offerto un prezzo superiore a quello degli altri operatori economici concorrenti.
La Cassazione respinge tale insidiosa censura, ricordando che “la perdita di chance, costituita dalla privazione della possibilità di vincere un concorso, configura un danno attuale e risarcibile, consistente nella perdita della mera possibilità di conseguire un vantaggio economico, secondo una valutazione ex ante”.
Proprio tale ultimo punto, cioè la necessaria correlazione della perdita di chance ad una valutazione ex ante, e non a posteriori, deve essere posto in forte evidenza, al fine di evitare facili equivoci. La perdita di chance non può essere correlata ad eventi successivi (scoperta di offerte migliori), ma deve essere ancorata alla situazione storica in cui si produce, proprio perché costituisce un pregiudizio della “possibilità” di conseguire un vantaggio (l’aggiudicazione dell’appalto). Al riguardo, deve essere segnalato che l’ambito semantico-giuridico del termine chance, è da ricondurre al diritto romano. Infatti, la parola “chance” deriva, etimologicamente, dall’espressione latina cadentia, la quale sta ad indicare il “cadere dei dadi”, e significa “buona probabilità di riuscita”.
Si tratta, dunque, di una situazione, teleologicamente orientata verso il conseguimento di un’utilità o di un vantaggio e caratterizzata da una possibilità di successo presumibilmente non priva di consistenza. Nell’importante sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5323/2006, si evidenzia, appunto, che, per comprendere in modo pieno il concetto di danno da perdita di chance, occorre tener conto che "la lesione dell’entità patrimoniale chance formerà oggetto di valutazione, ai fini del riconoscimento di un risarcimento del danno, in termini di probabilità, definitivamente perduta, a causa di una condotta illecita altrui, senza dovere fare alcun riferimento al risultato auspicato e non più realizzabile ed alla consistenza del suo assetto potenziale”.
Pertanto, a nulla vale far riferimento ad offerte migliori, che avrebbero impedito la vittoria in gara. Ciò che interessa, ai fini del danno in esame (danno da perdita di chance) è la perdita della teorica possibilità di vincere una gara, nella prospettazione temporale della partecipazione. L’intempestiva consegna del plico ha impedito all’impresa N.A. di partecipare alla gara e, quindi, di poter coltivare il potenziale vantaggio della possibile vittoria
(commento tratto dalla newsletter del sito www.centrostudimarangoni.it).

AGGIORNAMENTO AL 13.01.2011 (ore 21,00)

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GIURISPRUDENZA

URBANISTICALombardia, VAS del PGT: il Consiglio di Stato annulla la sentenza del TAR Milano che, precedentemente, aveva annullato il PGT del Comune di Cermenate (CO).
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Le conclusioni raggiunte dal primo giudice, secondo cui l’autorità competente alla V.A.S. deve essere necessariamente individuata in una pubblica amministrazione diversa da quella avente qualità di “autorità procedente”, non trova supporto nella vigente normativa comunitaria e nazionale. In nessuna definizione del Testo Unico ambientale (D.Lgs. n. 152/2006) si trova affermato in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di amministrazioni diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente).
Non risulta in linea con le richiamate disposizioni nazionali la scelta di individuare l’autorità competente alla V.A.S. ex post, in relazione al singolo e specifico procedimento di pianificazione, come avvenuto nel caso di specie (laddove –come già rilevato– la predetta autorità è stata individuata contestualmente alla comunicazione di avvio del procedimento stesso).

La Sezione osserva che il presupposto su cui si basano le conclusioni raggiunte dal primo giudice, secondo cui l’autorità competente alla V.A.S. deve essere necessariamente individuata in una pubblica amministrazione diversa da quella avente qualità di “autorità procedente”, non trova supporto nella vigente normativa comunitaria e nazionale.
Al riguardo, giova richiamare le definizioni oggi contenute nel citato d.lgs. nr. 152 del 2006, il cui art. 5, per quanto qui interessa, definisce:
- la “autorità competente” come “la pubblica amministrazione cui compete l’adozione del provvedimento di verifica di assoggettabilità, l’elaborazione del parere motivato, nel caso di valutazione di piani e programmi, e l’adozione dei provvedimenti conclusivi in materia di VIA, nel caso di progetti ovvero il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, nel caso di impianti” (lettera p);
- la “autorità procedente” come “la pubblica amministrazione che elabora il piano, programma soggetto alle disposizioni del presente decreto, ovvero nel caso in cui il soggetto che predispone il piano, programma sia un diverso soggetto pubblico o privato, la pubblica amministrazione che recepisce, adotta o approva il piano, programma”.
Orbene, se dalle riferite definizioni risulta chiaro che entrambe le autorità de quibus sono sempre “amministrazioni” pubbliche, in nessuna definizione del Testo Unico ambientale si trova affermato in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di amministrazioni diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente).
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La Sezione non condivide l’approccio ermeneutico di fondo della parte odierna appellata, che desume la necessaria “separatezza” tra le due autorità dal fatto che la V.A.S. costituirebbe un momento di controllo sull’attività di pianificazione svolta dall’autorità competente, con il corollario dell’impossibilità di una identità o immedesimazione tra controllore e controllato.
Siffatta ricostruzione, invero, è smentita dall’intero impianto normativo in subiecta materia, il quale invece evidenzia –come già accennato– che le due autorità, seppur poste in rapporto dialettico in quanto chiamate a tutelare interessi diversi, operano “in collaborazione” tra di loro in vista del risultato finale della formazione di un piano o programma attento ai valori della sostenibilità e compatibilità ambientale: ciò si ricava, testualmente, dal già citato art. 11, d.lgs. nr. 152 del 2006, che secondo l’opinione preferibile costruisce la V.A.S. non già come un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima.
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Con riferimento all’individuazione delle autorità competenti in materia di valutazioni ambientali, e con richiamo all’assetto normativo sul riparto di attribuzioni tra Stato e Regioni vigente all’epoca dell’adozione dei provvedimenti per cui è causa, vengono in rilievo:
- il comma 6 dell’art. 6 del d.lgs. nr. 152 del 2006, secondo cui l’autorità competente per la V.A.S. e la V.I.A. va individuata “secondo le disposizioni delle leggi regionali o delle province autonome”;
- il successivo comma 7 del medesimo articolo, che del pari demanda a leggi e regolamenti regionali la determinazione delle “competenze” degli altri enti locali, ivi compresi i Comuni.
Dal complesso di tali disposizioni, ad avviso della Sezione, se da un lato emerge l’intento del legislatore nazionale di lasciare alle Regioni una certa libertà di manovra quanto alla delegabilità delle competenze agli enti locali e alle modalità della loro regolamentazione, tuttavia appare evidente la volontà di assicurare che la fissazione delle “competenze” sia compiuta a priori, con atti che individuino in via generale e astratta i soggetti, uffici o organi cui viene attribuita la veste di “autorità competente”.
Ne discende che non risulta in linea con le richiamate disposizioni nazionali la scelta di individuare l’autorità competente alla V.A.S. ex post, in relazione al singolo e specifico procedimento di pianificazione, come avvenuto nel caso di specie (laddove –come già rilevato– la predetta autorità è stata individuata contestualmente alla comunicazione di avvio del procedimento stesso) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.01.2011 n. 133 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
§ § § § § § § § § § § § § § § §
NOTA DI COMMENTO: la sentenza del Consiglio di Stato ha risolto, definitivamente, gli interrogativi che attanagliavano gli Enti Locali lombardi?? Si può procedere ad adottare e/o approvare il P.G.T. in tutta tranquillità??
I termini del caso di specie.
Il comune di Cermenate (CO) si è visto impugnare -tra l'altro- da parte di un cittadino:
- le deliberazioni consiliari di controdeduzioni alle osservazioni ed approvazione del nuovo Piano di Governo del Territorio (P.G.T.);
- la delibera di Giunta Comunale recante avvio del procedimento di valutazione ambientale strategica per la formazione del P.G.T..
Il TAR Lombardia-Milano, Sez. II, con sentenza 15.05.2010 n. 1526 ha accolto il ricorso annullando, tra l'altro, le deliberazioni sopra menzionate.
Nel merito, il TAR [annullando altresì la deliberazione G.R. 27.12.2007 n. 6420, limitatamente all'art. 3.2. dell'Allegato 1 (modello generale), relativa alla procedura per la Valutazione Ambientale di Piani e Programmi (denominata anche Valutazione Ambientale Strategica o VAS] ha statuito quanto segue:
"In tema di VAS l'autorità procedente, nella scelta dell'autorità competente, deve individuare soggetti pubblici che offrano idonee garanzie non solo di competenza tecnica e di specializzazione in materia di tutela ambientale, ma altresì garanzie di imparzialità e di indipendenza rispetto all'autorità procedente, allo scopo di assolvere la funzione di valutazione ambientale nella maniera più obiettiva possibile, senza condizionamenti -anche indiretti- da parte dell'autorità procedente: infatti, qualora l'autorità procedente individuasse l'autorità competente esclusivamente fra soggetti collocati al proprio interno, il ruolo di verifica ambientale perderebbe ogni efficacia, risolvendosi in un semplice passaggio burocratico interno, con il rischio di vanificare la finalità della disciplina sulla VAS.".
La suddetta pronuncia è stata appellata dinanzi al Consiglio di Stato il quale con sentenza 12.01.2011 n. 133 ha riformato la stessa accogliendo gli appelli della Regione Lombardia e del Comune di Cermenate.
Nello specifico, il CdS ha statuito quanto segue:
-- "La Sezione osserva che il presupposto su cui si basano le conclusioni raggiunte dal primo giudice, secondo cui l’autorità competente alla V.A.S. deve essere necessariamente individuata in una pubblica amministrazione diversa da quella avente qualità di “autorità procedente”, non trova supporto nella vigente normativa comunitaria e nazionale.
Al riguardo, giova richiamare le definizioni oggi contenute nel citato d.lgs. nr. 152 del 2006, il cui art. 5, per quanto qui interessa, definisce:
- la “autorità competente” come “la pubblica amministrazione cui compete l’adozione del provvedimento di verifica di assoggettabilità, l’elaborazione del parere motivato, nel caso di valutazione di piani e programmi, e l’adozione dei provvedimenti conclusivi in materia di VIA, nel caso di progetti ovvero il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, nel caso di impianti” (lettera p);
- la “autorità procedente” come “la pubblica amministrazione che elabora il piano, programma soggetto alle disposizioni del presente decreto, ovvero nel caso in cui il soggetto che predispone il piano, programma sia un diverso soggetto pubblico o privato, la pubblica amministrazione che recepisce, adotta o approva il piano, programma”.

Orbene, se dalle riferite definizioni risulta chiaro che entrambe le autorità de quibus sono sempre “amministrazioni” pubbliche, in nessuna definizione del Testo Unico ambientale si trova affermato in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di amministrazioni diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente).";
-- "La Sezione non condivide l’approccio ermeneutico di fondo della parte odierna appellata, che desume la necessaria “separatezza” tra le due autorità dal fatto che la V.A.S. costituirebbe un momento di controllo sull’attività di pianificazione svolta dall’autorità competente, con il corollario dell’impossibilità di una identità o immedesimazione tra controllore e controllato.
Siffatta ricostruzione, invero, è smentita dall’intero impianto normativo in subiecta materia, il quale invece evidenzia –come già accennato– che le due autorità, seppur poste in rapporto dialettico in quanto chiamate a tutelare interessi diversi, operano “in collaborazione” tra di loro in vista del risultato finale della formazione di un piano o programma attento ai valori della sostenibilità e compatibilità ambientale: ciò si ricava, testualmente, dal già citato art. 11, d.lgs. nr. 152 del 2006, che secondo l’opinione preferibile costruisce la V.A.S. non già come un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima.";

-- "Con riferimento all’individuazione delle autorità competenti in materia di valutazioni ambientali, e con richiamo all’assetto normativo sul riparto di attribuzioni tra Stato e Regioni vigente all’epoca dell’adozione dei provvedimenti per cui è causa, vengono in rilievo:
- il comma 6 dell’art. 6 del d.lgs. nr. 152 del 2006, secondo cui l’autorità competente per la V.A.S. e la V.I.A. va individuata “secondo le disposizioni delle leggi regionali o delle province autonome”;
- il successivo comma 7 del medesimo articolo, che del pari demanda a leggi e regolamenti regionali la determinazione delle “competenze” degli altri enti locali, ivi compresi i Comuni.
Dal complesso di tali disposizioni, ad avviso della Sezione, se da un lato emerge l’intento del legislatore nazionale di lasciare alle Regioni una certa libertà di manovra quanto alla delegabilità delle competenze agli enti locali e alle modalità della loro regolamentazione, tuttavia appare evidente la volontà di assicurare che la fissazione delle “competenze” sia compiuta a priori, con atti che individuino in via generale e astratta i soggetti, uffici o organi cui viene attribuita la veste di “autorità competente”.
Ne discende che non risulta in linea con le richiamate disposizioni nazionali la scelta di individuare l’autorità competente alla V.A.S. ex post, in relazione al singolo e specifico procedimento di pianificazione, come avvenuto nel caso di specie (laddove –come già rilevato– la predetta autorità è stata individuata contestualmente alla comunicazione di avvio del procedimento stesso).".

Per quanto sopra esposto, si può dedurre che il Comune di Cermenate s'è visto "salvare" il proprio P.G.T. ancorché il Consiglio di Stato abbia rilevato che "non risulta in linea con le richiamate disposizioni nazionali la scelta di individuare l’autorità competente alla V.A.S. ex post, in relazione al singolo e specifico procedimento di pianificazione, come avvenuto nel caso di specie (laddove –come già rilevato– la predetta autorità è stata individuata contestualmente alla comunicazione di avvio del procedimento stesso).
Il tema, per vero, è incidentalmente evocato negli scritti difensivi della parte odierna appellata, ancorché attraverso la formula non del tutto perspicua della “abrogazione” implicita delle disposizioni regionali in subiecta materia che si sarebbe realizzata con l’entrata in vigore del d.lgs. nr. 152 del 2006; tuttavia, la già più volte rilevata carenza di ogni interesse a sollevare censure sul punto esonera da ogni approfondimento in proposito
.".
I termini della questione non dibattuti in sede giurisdizionale.
Risulta verosimile che la stragrande maggioranza dei comuni lombardi (in disparte quelli di grandi dimensioni laddove sono presenti i dirigenti) abbiano operato uniformemente nell'individuazione delle due figure in ambito di VAS del PGT ovverosia:
- l'autorità procedente è stata individuata nel Sindaco;
- l'autorità competente per la VAS è stata individuata nel responsabile dell'Ufficio Tecnico.
Al riguardo, giova qui ricordare cosa dispone in merito la normativa regionale la quale, da ultimo, risulta essere la deliberazione G.R. 10.11.2010 n. 761 (pressoché confermativa della precedente normativa, per quanto qui interessa) laddove nell'ALLEGATO 1 è stabilito quanto segue:
"
3.1-ter Autorità procedente
È la pubblica amministrazione che elabora il P/P ovvero, nel caso in cui il soggetto che predispone il P/P sia un diverso soggetto pubblico o privato, la pubblica amministrazione che recepisce, adotta o approva il piano/programma.
E’ la pubblica amministrazione cui compete l'elaborazione della dichiarazione di sintesi.
Tale autorità è individuata all’interno dell’ente tra coloro che hanno responsabilità nel procedimento di P/P.
3.2 Autorità competente per la VAS

È la pubblica amministrazione cui compete l'adozione del provvedimento di verifica di assoggettabilità e l'elaborazione del parere motivato.
L’autorità competente per la VAS è individuata all’interno dell’ente con atto formale dalla pubblica amministrazione che procede alla formazione del P/P, nel rispetto dei principi generali stabiliti dai d.lgs. 16.01.2008, n. 4 e 18.08.2000, n. 267.
Essa deve possedere i seguenti requisiti:
a) separazione rispetto all’autorità procedente;
b) adeguato grado di autonomia nel rispetto dei principi generali stabiliti dal d.lgs. 18.08.2000, n. 267, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 29, comma 4, legge n. 448/2001;
c) competenze in materia di tutela, protezione e valorizzazione ambientale e di sviluppo sostenibile.".

Ebbene, in merito alla individuazione delle due figure come sopra indicate, la Regione Lombardia -con nota 01.07.2010 n. 15812 di prot. in risposta ad un quesito comunale relativamente alla sentenza del TAR Milano de qua- ha inequivocabilmente rilevato che:
"
1. dall'analisi della documentazione pubblicata sul sito web del Comune e nella scheda del sito regionale SIVAS (www.cartografia.regione.lombardia.it/sivas), si riscontrano alcune irregolarità nell'individuazione delle Autorità in quanto l'individuazione del Sindaco quale autorità procedente non è in ogni caso corretta, essendo data tale possibilità solo ai Comuni con meno di 5.000 abitanti (come previsto dal comma 23 dell'art. 53 della legge 23.12.2000, n. 388 modificato dal comma 4 dell'art. 29 della legge 28.12.2001, n. 448, previa assunzione delle disposizioni regolamentari ed organizzative): dovrebbe invece essere individuata all'interno dell'ente tra coloro che hanno responsabilità nel procedimento di PGT (ad es. il Responsabile Unico del Procedimento);
2. inoltre, l'Autorità competente per la VAS deve possedere i requisiti richiamati nel punto 3.2 dell'allegato 1a (ndr: della DGR 30.12.2009 n. 10971) e il dirigente del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di ..., nominato Autorità competente per la VAS, sembra avere competenze in materia di pianificazione e urbanistica piuttosto che in materia di tutela, protezione e valorizzazione ambientale e di sviluppo sostenibile;
3. si suggerisce, pertanto, di individuare all'interno dell'Ente le due Autorità con nuova deliberazione di Giunta Comunale, ai sensi della DGR n. 10971 del 30.12.2009; tali Autorità dovranno accompagnare il loro primo pronunciamento con un'esplicita determinazione di convalida delle attività precedentemente svolte nell'ambito della procedura di VAS e potranno proseguire nella stessa. ...".
Non solo, da ultimo la Regione Lombardia ha altresì licenziato il decreto D.S. 14.12.2010 n. 13071 avente per oggetto «APPROVAZIONE DELLA CIRCOLARE "L'APPLICAZIONE DELLA VALUTAZIONE AMBIENTALE DI PIANI E PROGRAMMI - VAS NEL CONTESTO COMUNALE"» ove al punto 5. INDIVIDUAZIONE AUTORITA' PROCEDENTE/COMPETENTE PER LA VAS conferma sostanzialmente quanto già anticipato con la nota suddetta di risposta al quesito comunale.
Ciò premesso, è chiaro come il Consiglio di Stato non sia intervenuto su questa questione, poiché non sollevata in sede di ricorso giurisdizionale. Ora, nel caso di specie qualche comune ha provveduto a convalidare gli atti già assunti siccome proposto -al precedente punto 3.- da parte della Regione Lombardia ma molti altri, forse la maggioranza, nulla ad oggi hanno fatto al riguardo.
A questo punto è lecito porsi una DOMANDA: i comuni che, dopo la sentenza del CdS sopra citata, continuano imperterriti nell'iter burocratico di adozione e/o approvazione del P.G.T. senza aver correttamente (e legittimamente) individuato preliminarmente sia l'autorità procedente sia l'autorità competente per la VAS siccome disposto dalla dGR e confermato dalla nota regionale sopra menzionate possono dormire sonni tranquilli??
E' reale -o meno- il rischio che un cittadino qualsiasi, che si veda penalizzato sull'edificabilità dei propri terreni in sede di P.G.T. e -quindi- abbia un interesse reale e concreto a ricorrere, impugni lo stesso dinanzi al TAR eccependo -tra l'altro- l'illegittima individuazione delle due figure come sopra argomentato col risultato di ottenere l'annullamento dell'intero PGT per vizio procedurale??

13.01.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

NOVITA' NEL SITO

Bottone "CONVEGNI" n. 6 giornate di studio a Bergamo per il 19-26 gennaio e 02-09-16-23 febbraio 2011 organizzate dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella locandina.
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ULTIMI 2 GG. per l'iscrizione (solamente) on-line: entro sabato 15.01.2011.
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ATTENZIONE: la locandina è stata leggermente modificata relativamente alle modalità di partecipazione.
Pertanto, invitiamo gli interessati -a partecipare alle giornate di studio- a scaricare nuovamente la stessa.

DOTTRINA E CONTRIBUTI

URBANISTICA: Anche per impugnare la VAS é necessario dimostrare l'interesse ad agire.
Con sentenza n. 133/2011 il Consiglio di Stato, sezione IV, depositata in Cancelleria il 12.01.2011, ha riformato in toto la sentenza n. 1526/2010 del TAR Lombardia in punto VAS.
In via preliminare -e al di là delle questioni di merito- pare importante segnalare che il Consiglio di Stato ha accolto la tesi degli appellanti secondo i quali il ricorrente in primo grado non avrebbe in alcun modo chiarito quale interesse specifico e qualificato assistesse le doglianze, il cui accoglimento ha determinato un generico effetto caducante del P.G.T. nel suo complesso.
Al contrario, il TAR aveva ritenuto sussistente in capo all’istante un interesse di natura “strumentale”, avente a oggetto le determinazioni future, ed eventualmente più favorevoli ai suoli in sua proprietà, che l’Amministrazione avrebbe dovuto assumere in sede di rielaborazione dello strumento urbanistico. Il punto fondamentale -sul quale peraltro ci si era già appuntati- è quindi quello secondo cui neppure la VAS sfugge al criterio generale dell'interesse ad agire, in difetto del quale (o comunque della dimostrazione della lesività del provvedimento) l'impugnazione é inammissibile. Afferma il C.S.:
"potrà anche condividersi in via di principio il rilievo per cui “laddove la VAS si concluda con un giudizio positivo (o positivo condizionato) il soggetto che subisca determinazioni lesive della sua sfera giuridica discendenti dall’accettazione (piena o condizionata) delle proposte pianificatorie sottoposte a VAS, ben potrà censurare anche queste determinazioni preliminari condizionanti, poiché è per effetto di questo giudizio di sostenibilità complessiva di queste scelte che le stesse possono tramutarsi in atti pianificatori negativi” (pagg. 68-69); tuttavia, proprio per evitare di pervenire a una legitimatio generalis del tipo di quella sopra indicata, occorre che le “determinazioni lesive” fondanti l’interesse a ricorrere siano effettivamente “condizionate”, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., e pertanto l’istante avrebbe dovuto precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà, ciò che non ha fatto.".
La decisione del Consiglio di Stato riallinea la giurisprudenza in materia. Si vedano, infatti:
- TAR Campania Napoli, sez. II, 20.04.2010, n. 2043, dove si afferma che considerate le indicate finalità della VAS non si deve ritenere che possa vantare un interesse giuridicamente rilevante a contestare l'eventuale carenza della VAS nel procedimento di approvazione della variante urbanistica impugnata, colui il quale ricorre per ottenere una destinazione non più agricola del fondo di sua proprietà;
- Consiglio di Stato, sez. V, 26.02.2010, n. 1134: in quel caso il provvedimento di VIA impugnato era stato censurato con specifico riferimento all'assenza di idonea istruttoria con riferimento all'impatto conseguente alla realizzazione dell'impianto autorizzato con riguardo ai fondi e alle attività dei ricorrenti: ma ciò non aveva esonerato il Consiglio di Stato dal verificare approfonditamente quale fosse la situazione di stabile e significativo collegamento dei ricorrenti rispetto all'area interessata dall'impianto e in che misura la VIA avesse, o meno, valutato l'incidenza dell'impianto sulle realtà esistenti (link a http://studiospallino.blogspot.com).

GIURISPRUDENZA

CONSIGLIERI COMUNALI - URBANISTICAIn ordine alla posizione di conflitto di interessi nella quale si sarebbero trovati taluni Consiglieri Comunali, i quali avrebbero dovuto astenersi dal partecipare al voto sul P.G.T. in quanto proprietari di suoli direttamente interessati dalle scelte urbanistiche, siffatte situazioni di conflitto di interesse non determinano l’integrale caducazione del Piano, ma viziano unicamente le parti concernenti i suoli interessati dall’obbligo di astensione violato, col corollario che il vizio può essere fatto valere soltanto da chi dimostri di essere titolare di uno specifico e qualificato interesse ancorato a situazioni di “collegamento” con detti suoli (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.06.2009, nr. 3744)
Per l’ulteriore doglianza già respinta dal primo giudice in ordine alla posizione di conflitto di interessi nella quale si sarebbero trovati taluni Consiglieri Comunali, i quali avrebbero dovuto astenersi dal partecipare al voto sul P.G.T. in quanto proprietari di suoli direttamente interessati dalle scelte urbanistiche de quibus, al riguardo, va condiviso il giudizio di inammissibilità della censura espresso dal giudice di prime cure, che si pone in linea con il più recente e preferibile indirizzo giurisprudenziale, secondo cui siffatte situazioni di conflitto di interesse non determinano l’integrale caducazione del Piano, ma viziano unicamente le parti concernenti i suoli interessati dall’obbligo di astensione violato, col corollario che il vizio può essere fatto valere soltanto da chi dimostri di essere titolare di uno specifico e qualificato interesse ancorato a situazioni di “collegamento” con detti suoli (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.06.2009, nr. 3744) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.01.2011 n. 133 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALe scelte effettuate dall’Amministrazione nell’adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità, sicché anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.
Le osservazioni dei privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano.

Ca richiamato il consolidato indirizzo secondo cui le scelte effettuate dall’Amministrazione nell’adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità, sicché anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni; in sostanza le uniche evenienze, che richiedono una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali, sono date dal superamento degli standards minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; dalla lesione dell’affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione e, infine, dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 13.10.2010, nr. 7492; id., 04.05.2010, nr. 2545; id., 28.09.2009, nr. 5834; id., 21.06.2007, nr. 3400).
A ciò si aggiunge che le osservazioni dei privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 07.07.2008, nr. 3358) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.01.2011 n. 133 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 10.01.2011

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NOVITA' NEL SITO

Bottone "CONVEGNI" n. 6 giornate di studio a Bergamo per il 19-26 gennaio e 02-09-16-23 febbraio 2011 organizzate dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella locandina.
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ULTIMI 6 GG. per l'iscrizione (solamente) on-line: entro sabato 15.01.2011.
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ATTENZIONE: la locandina è stata leggermente modificata relativamente alle modalità di partecipazione.
Pertanto, invitiamo gli interessati -a partecipare alle giornate di studio- a scaricare nuovamente la stessa.

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 03.01.2011, "Proroga dei termini per la presentazione delle domande di contributo per il «Bando per la realizzazione di impianti solari termici al servizio di edifici pubblici ad uso pubblico o residenziale» indetto con ddg 10652 del 20.10.2010" (decreto D.G. 28.12.2010 n. 13712).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 03.01.2011, "Modalità per la definizione degli alberi monumentali e per la loro tutela (art. 12 l.r. 10/2008)" (deliberazione G.R. 22.12.2010 n. 1044).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie inserzioni e concorsi n. 51 del 22.12.2010, "D.G. Territorio e Urbanistica – Comunicato congiunto Direzione Generale Territorio e Urbanistica e Direzione Centrale Affari Istituzionali e Legislativo – Rettifica e integrazione del comunicato 26.05.2008, n. 107 «Modalità di pubblicazione dell’avviso di approvazione dei Piani di Governo del Territorio», pubblicato nel BURL n. 23 Serie Ordinaria del 03.06.2008" (comunicato regionale 20.12.2010 n. 141).

QUESITI & PARERI

EDILIZIA PRIVATA: Quesito per condono edilizio legge n. 724/1994. Modalità di calcolo dell'oblazione dovuta allo Stato per capannoni industriali/artigianali.
Cosa si intende per superficie coperta complessiva ai fini di procedere correttamente alla riduzione di 1/3 ovvero alla moltiplicazione per 1,5 dell'importo (dell'oblazione) di cui alla tabella di legge? (Regione Lombardia, Direzione Urbanistica, Servizio Pianificazione Strategica e Ordinamento, nota 09.03.1998 n. 8297 di prot.).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

URBANISTICA: Novità per la pubblicazione dei PGT dall’01.01.2011.
Dall’01.01.2011 il Bollettino Ufficiale di Regione Lombardia (BURL) sarà disponibile esclusivamente in formato digitale, pertanto a partire da questa data si modificano le procedure per la pubblicazione del PGT sul BURL.
In particolare:
1- per poter pubblicare l’avviso di approvazione definitiva del PGT sul BURL il comune deve aver ottenuto preventivamente un nulla osta alla pubblicazione;
2- il nulla osta, volto al controllo della completezza e della correttezza della fornitura digitale del PGT, viene rilasciato dalla DG Territorio e Urbanistica o dalla Provincia competente, previo accordo con Regione Lombardia, entro 15 giorni dalla data di registrazione;
3- una volta ricevuto il nulla osta alla pubblicazione il Comune inoltra l’avviso da pubblicare utilizzando il sito web www.bollettino.regione.lombardia.it;
4- l’applicativo di gestione infine provvederà a dare comunicazione formale via e-mail con gli estremi di pubblicazione.
Regione Lombardia comunicherà attraverso il web quali sono le Province con le quali ha provveduto alla stipula dei suddetti accordi.
Il PGT deve essere inviato alla DG Territorio e Urbanistica o alla Provincia competente in formato digitale secondo le indicazioni e con le modalità descritte sulle pagine web della DG Territorio e urbanistica dedicate al PGT .
Al momento dell’invio dei PGT alle autorità competenti per il rilascio dei pareri di compatibilità con PTCP e PTR è consigliabile l’utilizzo dello stesso formato onde evitare richieste di integrazioni e conseguenti rallentamenti della procedura.
Per ogni informazione sulla presentazione dei PGT consultare la pagina www.pgt.regione.lombardia.it (Milano 24.12.2010 - link a www.territorio.regione.lombardia.it).

EDILIZIA PRIVATAOggetto: comunicazioni in merito alla disciplina della segnalazione certificata di inizio attività, di cui all'art. 49 del D.L. n. 78 del 2010 convertito con modifiche dalla L. n. 122 del 2010 (Regione Emilia Romagna, nota 12.11.2010 n. 280997 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Ancora sulla inapplicabilità della SCIA in ambito edilizio in difetto del necessario adeguamento del DPR 380/2001: postilla sulla nota ministeriale 16.09.2010 (ANCI Toscana, nota 27.09.2010).

NEWS

PUBBLICO IMPIEGO: LA CONCILIAZIONE, IN CASO DI CONTRASTO TRA IL VALUTATORE ED IL VALUTATO, NON PUO' ESSERE AFFIDATA AL SUPERIORE GERARCHICO DEL VALUTATORE MA A SOGGETTI TERZI E IMPARZIALI.
La CIVIT (COMMISSIONE PER LA VALUTAZIONE LA TRASPARENZA E L'INTEGRITA' DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI) con la DELIBERA 22.12.2010 N. 124 boccia le procedure di conciliazione relative ai processi di valutazione della performance adottate da molte amministrazioni..
SEMBRA INFATTI CHE IN MOLTI CASI GLI ORGANISMI DI CONCILIAZIONE SIANO STATI INDIVIDUATI TRA LE FIGURE GERARCHICAMENTE SOVRAORDINATE AL VALUTATORE, VENENDO COSI' MENO L'ESIGENZA DI IMPARZIALITA' ED ESTRANEITA' ALL'AMMINISTRAZIONE PREVISTA DALLA PRECEDENTE DELIBERA N. 104.
Conclude la CIVIT affermando che l'esigenza dell'adozione di procedure di conciliazione debba essere soddisfatta o con l'istituzione di un apposito collegio o mediante il ricorso ai collegi previsti dall'art. 410 cpc, come recentemente modificato con la legge 183/2010.

EDILIZIA PRIVATA: Agevolazioni del 36 e 55 per cento agli ampliamenti del “Piano Casa”. Detrazione solo per le spese riferibili alla parte preesistente, non quelle per la “nuova costruzione.
I lavori di ampliamento dell’immobile, eseguiti in attuazione del “Piano Casa” (articolo 11 del Dl 112/2008), in deroga ai piani regolatori locali, usufruiscono delle detrazioni fiscali del 36 e 55% alle condizioni generalmente previste per gli interventi di ristrutturazione edilizia. Ciò perché le disposizioni che derogano agli strumenti urbanistici locali, in quanto introdotte da leggi regionali, non possono influire sull’applicazione di prescrizioni di carattere fiscale contenute nelle norme nazionali.
Questo il chiarimento contenuto nella risoluzione 04.01.2011 n. 4/E con la quale l’Agenzia delle Entrate fornisce la propria consulenza giuridica in merito all’interpretazione dell’articolo 1 della legge 449/1997 (“disposizioni tributarie concernenti interventi di recupero del patrimonio edilizio”). ... (link a www.nuovofiscooggi.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Permesso al consigliere. Se la seduta coincide con l'impegno di lavoro. Il binario tracciato dall'articolo 79 del decreto legislativo 267 del 2000.
Un consigliere comunale, che svolge attività lavorativa subordinata articolata in turni, ha diritto di ottenere dal datore di lavoro una giornata a titolo di recupero o riposo, nel caso in cui il consiglio si sia svolto in una giornata concomitante con il proprio giorno di riposo?
Ai sensi dell'art. 79 del dlgs n. 267/2000, i permessi in questione trovano legittimazione nel caso in cui l'espletamento delle funzioni connesse alla carica elettiva coincida temporalmente con l'impegno lavorativo (articolo ItaliaOggi del 07.01.2011, pag. 31).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Pareri degli assessori.
Rientra tra le competenze gestionali di un assessore, al quale è stata attribuita la responsabilità dell'Ufficio tecnico ai sensi dell'art. 53, comma 23, della legge n. 388/2000 come modificato dall'art. 29, comma 4, della legge n. 448/2001, quella di rilasciare il parere di regolarità tecnica sulle delibere adottate dalla giunta comunale di cui l'assessore fa parte?

L'art. 53, comma 23, della legge n. 388/2000 nel testo modificato dal comma 4 dell'art. 29 della legge n. 448/2001, prevede, in deroga al generale principio di separazione dei poteri di indirizzo e programmazione da quelli gestionali, la possibilità, per gli enti locali con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti, di adottare disposizioni regolamentari organizzative, anche al fine di operare un contenimento della spesa, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi e il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale.
La specialità della norma richiede che il contenimento della spesa sia documentato annualmente in sede di approvazione del bilancio. La legge finanziaria 2001, comprensiva delle modificazioni introdotte dalla legge finanziaria 2002, prevede l'attribuzione ai componenti dell'organo esecutivo della «responsabilità degli uffici e dei servizi» congiuntamente al «potere di adottare atti di natura tecnica gestionale», conferendo agli stessi tutte le funzioni dirigenziali o paradirigenziali che sono proprie dei responsabili di servizi ai sensi dell'art. 107 del dlgs n. 267/200.
In tali casi, pertanto, compete all'assessore, in qualità di responsabile del servizio, il rilascio del prescritto parere di regolarità tecnica da apporre sulle proposte di deliberazione, ai sensi dell'art. 49 del dlgs 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 07.01.2011, pag. 31).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Utilizzo dello stemma.
È legittimo l'utilizzo dello stemma comunale da parte di singoli consiglieri comunali, nelle comunicazioni con altre istituzioni, in luogo del proprio simbolo politico, in assenza di specifica disciplina statutaria o regolamentare?

Lo stemma comunale costituisce il segno distintivo del comune, l'elemento grafico rappresentativo dell'identità dell'ente. Pertanto, lo stesso è oggetto di proprietà dell'ente che può agire, mediante la tutela riconducibile a quella del diritto al nome di cui all'art. 7 del codice civile, contro chiunque ne faccia un uso improprio o, comunque, non consentito.
In origine disciplinato dagli artt. 31 e 66 del regio decreto 07.06.1943 n. 651 (reso esecutivo con regio decreto n. 652/1943), norme ora abrogate (la prima dall'art. 274, comma 1, del dlgs 18.08.2000, n. 267, la seconda dall'art. 24, dl 25.06.2008, n. 112), attualmente lo stemma è previsto dalla normativa sull'ordinamento degli enti locali che all'art. 6, comma 2, del Tuoel n. 267/2000, demanda all'autonomia dell'ente, e quindi allo statuto, la sua determinazione con l'eventuale previsione di una specifica disciplina regolamentare per le modalità di utilizzazione dello stesso.
Se lo statuto comunale descrive dettagliatamente la foggia dello stemma comunale ma non disciplina le modalità di utilizzo dello stesso, né risulta che l'ente abbia adottato un apposito regolamento in materia, l'uso dello stemma è comunque da considerare compatibile, da parte dei consiglieri singolarmente o quali gruppi, ove si consideri che ciascuno costituisce una parte istituzionale dell'ente locale del quale lo stemma rappresenta un elemento unitario di identificazione.
Tuttavia, in assenza di previsioni regolamentari più dettagliate (che l'ente potrebbe, comunque, decidere di adottare per prevedere, per esempio, la previa autorizzazione dell'ente a utilizzare lo stemma) l'uso e la riproduzione dello stemma comunale da parte del singolo consigliere o, anche, dei gruppi consiliari deve avvenire con la cautela necessaria a evitare la strumentalizzazione del simbolo o ambiguità in ordine alla provenienza dei documenti.
Il suo utilizzo deve essere, comunque, limitato all'esercizio del munus istituzionale di cui lo stesso è investito; pertanto sulla carta intestata deve essere prevista, insieme allo stemma comunale, la contemporanea presenza del nominativo del consigliere e del simbolo del gruppo cui appartiene con la specifica indicazione «gruppo consiliare» (articolo ItaliaOggi del 07.01.2011, pag. 31).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOGli enti alle prese con l'adeguamento. E sulle valutazioni i nodi vengono al pettine.
Il sistema di valutazione dei dipendenti è disciplinato dalla legge, l'articolo 19, del dlgs 150/2009, o può essere modificato attraverso i regolamenti di organizzazione. Non è ammessa, né risulta legittima, la contrattazione.
La data del primo gennaio 2011 era realmente «fatidica» per gli enti locali, i quali si sono, inopportunamente, crogiolati sul termine del 31/12/2010 per adeguare i propri ordinamenti ai contenuti della prima parte della riforma-Brunetta. Gli articoli 16 e 31 della riforma, infatti, avevano assegnato un anno per armonizzare la disciplina regolamentare alle disposizioni normative. In moltissimi hanno ritenuto opportuno far decorrere il termine nell'inerzia.
Giunto il 2011, i nodi vengono al pettine. Gli enti che non hanno ancora adeguato il sistema di valutazione si trovano nella necessità di dover applicare obbligatoriamente l'articolo 19, che come noto istituisce le tre fasce di valutazione, prevedendo che il 50% del fondo destinato al risultato individuale finanzi la prima, nella quale collocare solo il 25% dei dipendenti; il restante 50% finanzi la seconda, nella quale collocare il 50% dei dipendenti; nessun finanziamento c'è per la terza fascia, nella quale collocare il restante 25% dei dipendenti.
L'operatività dell'articolo 19 è certa. Infatti, è una norma avente valore «suppletivo» proprio nei confronti degli enti locali che, colpevolmente, non rimasti con le mani in mano e non si sono avvalsi della possibilità concessa loro dall'articolo 31, comma 2, del dlgs 150/2009 di modificare la disciplina delle fasce, con facoltà di istituirne anche più di tre e, soprattutto, di modificare notevolmente il loro finanziamento.
Tuttavia, proprio per il valore di norma che si sostituisce in modo sanzionatorio alla carente disciplina regolamentare locale, gli enti sono ancora in tempo a esercitare le loro potestà. Infatti, vale pur sempre l'effetto ghigliottina: l'inerzia non fa perdere il diritto, comunque assicurato dall'articolo 31, comma 2, di disciplinare le fasce valutative in modo diverso, anche successivamente al 31/12/2010. Purché, ovviamente, ciò avvenga prima di mettere mani alla valutazione. I ritardatari, dunque, debbono fare presto.
Si pone, allora, il problema di come adeguare il sistema di valutazione e, in particolare, la strutturazione delle fasce.
Molti enti stanno procedendo mediante contratti con le organizzazioni sindacali. È un errore tale da inficiare la legittimità stessa dell'adeguamento. In primo luogo, si deve osservare che il sistema di valutazione non è mai stato oggetto di contrattazione, ma di concertazione, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, lettera d), del Ccnl 31/03/1999. In secondo luogo, l'articolo 7, comma 1, del dlgs 150/2009 modifica radicalmente la situazione, qualificando il sistema di valutazione come atto unilaterale di organizzazione. Infatti, si stabilisce che «adottano con apposito provvedimento il Sistema di misurazione e valutazione della performance». Il riferimento al «provvedimento» è chiarissimo: si tratta di un atto amministrativo e non negoziale.
La contrattazione, dunque, è esclusa e laddove il sistema di valutazione fosse adottato con contratto decentrato essa sarebbe nulla. Infatti, è causa di nullità non solo la violazione di limiti e vincoli di carattere finanziario posti alla contrattazione decentrata, ma anche la cura di materie non espressamente attribuite alla competenza della contrattazione di secondo livello.
Acclarato che l'articolo 31, comma 2, del dlgs 150/2009 assegna alla potestà regolamentare degli enti la determinazione delle fasce e del loro finanziamento, resta da capire quale relazione sindacale possa essere attivata in merito.
A stretto rigore, si deve ritenere che le relazioni sindacali sul tema si limitino alla consultazione, prevista dall'articolo 6, comma 1, del dlgs 165/2001, quale presupposto dell'organizzazione e disciplina degli uffici.
Lo stesso vale per l'istituzione delle fasce. L'articolo 31, comma 2, del dlgs 150/2009 possono determinarsi in merito «nell'esercizio delle rispettive potestà normative» e cioè col regolamento di organizzazione. In questo caso, dunque, la relazione sindacale prevista, ai sensi dell'articolo 7 del Ccnl 1/4/1999 è l'informazione successiva, non quella preventiva, in quanto essa riguarda solo le materie oggetto di contrattazione e concertazione: nell'elencazione delle materie relative a tali relazioni sindacali manca, ovviamente, il riferimento alla disciplina delle fasce. È, tuttavia, comunque consigliabile anche in questo caso la consultazione delle organizzazioni sindacali (articolo ItaliaOggi del 07.01.2011, pag. 29).

PUBBLICO IMPIEGOSanzioni disciplinari doc. Il segretario controlla l'operato dei dirigenti. Circolare del ministero della pubblica amministrazione sulla riforma.
Le competenze e le responsabilità dei dirigenti nei procedimenti e nelle sanzioni disciplinari sono state fortemente aumentate dalla legge cd Brunetta, mentre sono state ridotte le attribuzioni dei responsabili nelle amministrazioni prive di dirigenti. Tale disposizione ha attribuito ai segretari il compito di sanzionare i dirigenti che non collaborano con i titolari del potere disciplinare e non avviano o non concludono i procedimenti disciplinari nei confronti dei dipendenti o utilizzano motivazioni palesemente incongruenti per arrivare alla loro «assoluzione». Le regole dettate dal dlgs n. 150/2009 prevalgono in modo automatico e immediato sulle disposizioni contrattuali contrastanti.
Possono essere così riassunte le principali indicazioni contenute nella circolare 23.12.2010 n. 14/2010 del ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione che ha come oggetto «dlgs n. 150 del 2009 - disciplina in tema di infrazioni e sanzioni disciplinari e procedimento disciplinare - problematiche applicative».
Non è la prima volta che il ministero di Palazzo Vidoni fornisce chiarimenti sulla applicazione di questa parte importantissima della legge cd Brunetta. La circolare è assai importante per i chiarimenti che fornisce su numerosi aspetti formali: si deve ricordare che molto spesso i giudici del lavoro hanno annullato le sanzioni irrogate dalle pa per errori procedurali. Per cui si raccomanda a tutti i dirigenti e agli Uffici per i procedimenti disciplinari di prestare la massima attenzione a questi aspetti.
Per esempio, la legge Brunetta consente di sostituire l'obbligo dell'affissione del codice disciplinare nel luogo di lavoro con la pubblicazione sul sito internet dell'ente: fino ad oggi il mancato rispetto di questa previsione ha determinato l'annullamento delle condanne. La circolare ci dice che questa forma di pubblicità può essere considerata sufficiente solo se tutti i dipendenti hanno a disposizione dal proprio pc d'ufficio la possibilità di accedere alla rete internet. E raccomanda di dare la massima evidenza a tale documento, sia sul sito sia sulle pagine intranet, nonché di pubblicare «le procedure previste per l'applicazione delle sanzioni, le tipologie di infrazione e le relative sanzioni; il codice di comportamento».
E ancora, ci ricorda che tutte le amministrazioni devono, nell'esercizio della propria autonomia organizzativa, istituire e disciplinare l'Ufficio per i procedimenti disciplinari, anche attribuendo questa competenza a una articolazione organizzativa esistente. Un chiarimento assai importante è quello per cui questo Ufficio è competente alla irrogazione della gran parte delle sanzioni nei confronti dei dirigenti.
Il segretario comunale può dal canto suo, sempre che non sia individuato come responsabile dell'Ufficio per i procedimenti disciplinari e che questo compito gli sia affidato, irrogare le sanzioni ai dirigenti solo nelle 2 nuove fattispecie introdotte dalla legge cd Brunetta: la violazione del dovere di collaborare con il soggetto preposto alla irrogazione di sanzioni disciplinari e il mancato avvio o la mancata conclusione entro i termini dei procedimenti disciplinari, nonché la utilizzazione di motivazioni palesemente errate per evitare di aprire o concludere con la condanna un procedimento disciplinare.
Assai importante è anche la indicazione che questo Ufficio può aprire direttamente i procedimenti, cioè anche in assenza della segnalazione del dirigente della struttura presso cui il dipendente presta la propria attività.
E infine si chiarisce che la ripartizione delle competenze è da ritenere come un vincolo non superabile, per cui ogni vizio può determinare l'annullamento della procedura e della sanzione. Ciò vale in particolare per la attribuzione ai dirigenti dei poteri di irrogare le sanzioni per le violazioni di minore gravità, quelle punibili fino alla sospensione per dieci giorni, e ai responsabili, negli enti privi di dirigenza, del potere di irrogare direttamente solo il rimprovero verbale (articolo ItaliaOggi del 07.01.2011, pag. 29).

ENTI LOCALI - VARIICI/ Sentenza della Corte di cassazione sui terreni edificabili. Servono elementi di peso per escludere le pertinenze.
Per escludere dall'Ici un terreno edificabile posto a servizio di un fabbricato si deve far riferimento esclusivo al concetto civilistico di «pertinenza» ex art. 817 del codice civile, non rilevando, in tal senso, l'esistenza di eventuali servitù; tuttavia, il vincolo pertinenziale deve essere accertato in base a concreti elementi di fatto e il bene non deve essere suscettibile di diversa destinazione, salvo interventi di radicale trasformazione.
Sono queste, in sintesi, le conclusioni a cui è giunta la Corte di cassazione nella sentenza n. 22128/2010.
I giudici di Piazza Cavour sono intervenuti con estrema precisione per fornire chiarimenti su una tematica assai controversa in giurisprudenza e, per sua stessa natura, di difficile valutazione. Nel caso di specie, infatti, si trattava di valutare l'eventuale soggezione a Ici di un terreno, edificabile secondo prg, annesso a un fabbricato principale, in parte utilizzato dal proprietario come giardino, in parte gravato da vincolo di servitù.
I due gradi di merito si erano conclusi con decisioni favorevoli al contribuente sulla scorta del fatto che, nonostante la vocazione edificatoria del terreno, l'effettivo utilizzo a mo' di giardino e l'esistenza della servitù avevano comunque inibito l'edificabilità dello stesso, configurandolo di fatto quale pertinenza del fabbricato annesso.
Di diverso parere gli Ermellini che, con la sentenza in commento, hanno ribaltato la decisione della Commissione regionale, fissando i paletti per l'individuazione di un terreno di pertinenza. Passando all'esame dei motivi che hanno portato la Corte ad accogliere il ricorso dell'amministrazione, ciò che ne deriva è un vero e proprio vademecum per la valutazione delle pertinenzialità.
In primis, la Cassazione osserva come il concetto chiave attorno al quale costruire l'analisi sia, anche in tema di Ici, il concetto di «pertinenza» dettato dall'art. 817 del c.c. («sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa»). Non può incidere, invece, in alcun modo la presenza di vincoli di servitù gravanti sul terreno in quanto, tenuto conto della loro natura privatistica, «le servitù non hanno alcuna idoneità giuridica ad escludere (e neppure a ridurre) la qualità edificatoria di un suolo, perché la stessa deriva dallo strumento urbanistico, cioè da un atto con cui si realizza l'interesse pubblico».
Chiariti questi concetti basilari, i giudici rincarano la dose nei confronti del contribuente, palesando la necessità di dimostrare la pertinenzialità in maniera concreta: «si deve semplicemente evidenziare la centralità della “verifica”, la quale deve essere tesa ad accertare l'esistenza, in base a concreti elementi fattuali, dimostrativi del necessario e insostituibile vincolo funzionale dell'area rispetto al manufatto principale».
In tal senso, la Corte boccia le modalità di valutazione della pertinenza adottate dai primi giudici in quanto «la rilevanza fiscale del preciso accertamento fattuale esclude qualsivoglia operazione logica di qualificazione come “pertinenza” del fabbricato di qualsiasi area edificabile limitrofa, sol perché considerata, o anche semplicemente utilizzata, dal proprietario del fabbricato «a giardino» (...) che in carenza di ulteriori elementi concreti non depone affatto per la sussistenza di un sicuro e durevole asservimento dell'area».
In conclusione, quale aggiuntivo «criterio-indice», la cassazione afferma che «l'accertamento dell'esistenza del vincolo pertinenziale postula anche quello dell'esistenza dell'ulteriore requisito della non suscettibilità del bene di diversa destinazione (...) senza che detta destinazione possa facilmente cessare a meno di una radicale trasformazione dell'immobile stesso» (articolo ItaliaOggi del 07.01.2011, pag. 20).

EDILIZIA PRIVATAL'ampliamento non merita bonus. I chiarimenti dell'Agenzia delle entrate sull'applicazione delle agevolazioni del 36% e 55%. Detrazioni Irpef limitate alle spese per la parte esistente.
Piano casa, stop ai benefici fiscali. le detrazioni Irpef ammesse solo in caso di ristrutturazione e limitatamente alle spese riferibili alla parte esistente, con esclusione degli eventuali ampliamenti ... (articolo ItaliaOggi del 06.01.2011 - link a www.ecostampa.com).

PUBBLICO IMPIEGO: Personale, no al fai da te. Stop a stabilizzazioni e indennità a pioggia. La Corte Costituzionale boccia norme della regione Liguria sui dipendenti.
Nuovo stop della Corte costituzionale alle stabilizzazioni selvagge, alle progressioni verticali e a sistemi di indiscriminata e non selettiva attribuzione di indennità a pioggia ai dipendenti pubblici. ... (articolo ItaliaOggi del 06.01.2011 - link a www.ecostampa.com).

PUBBLICO IMPIEGO2011, si apre la finestra mobile. L'accesso al riposo prorogato indistintamente di 12-18 mesi.
Sei mesi in più di attesa e di lavoro, in media, rima di percepire la pensione di vecchiaia.
Le nuove regole in vigore dall'01.01.2011, scaturenti dalla riforma Sacconi (legge n. 122/2010) non hanno modificato i requisiti di età e di contribuzione per la pensione di vecchiaia.
Pensione che, tuttavia, sarà erogata con più ritardo per effetto della nuova «finestra mobile». Finestra che allunga l'epoca di pensionamento di 12 mesi ai lavoratori dipendenti e di 18 mesi a quelli autonomi, indistintamente sia per la vecchiaia che per l'anzianità.
Cinque super-riforme in 30 anni. Negli ultimi 30 anni si è assistita a una continua azione di riforma del sistema previdenziale. Nel 1992, con la riforma Amato, è stato introdotto un graduale aumento dell'età per la pensione di vecchiaia. Nel 1996, con la riforma Dini, e poi nel 2004, con la riforma Maroni, anche l'età per la pensione di anzianità è stata fatta salire in misura graduale da 52 a 62 anni.
E' stata poi la volta della riforma Damiano che, con il Protocollo Welfare 2007, ha introdotto le cosiddette «quote». Infine la riforma Sacconi, con la manovra estiva (legge n. 122/10).
Tre le novità fondamentali: 1. il rinvio del momento di decorrenza della pensione di 12 mesi ai lavoratori dipendenti e di 18 mesi a quelli autonomi («finestra mobile», che significa elevare ... (articolo ItaliaOggi del 03.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALIMissioni. Le indicazioni delta Corte conti. Anche i segretari comunali senza rimborsi auto.
Le misure per frenare la spesa pubblica introdotte dalla manovra estiva sui costi di missione per il personale statale (articolo 6, comma 12, del DL 78/2010) implicano l'automatica disapplicazione delle nonne in materia contenute nei contratti collettivi nazionali del personale delle autonomie locali, anche per l'utilizzo del mezzo proprio.
Così, in base a quanto indicato nel parere 17.11.2010 n. 171 della sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Toscana, non può essere riconosciuto alcun rimborso per le spese di viaggio anche a favore dei segretari comunali e provinciali, titolari di segreterie convenzionate, nei casi in cui usino il proprio mezzo di trasporto nell'espletamento delle funzioni di servizio.
Il rimborso in questione, anche se espressamente previsto dal contratto dei segretari comunali e provinciali sottoscritto il 16.05.2001 (che riconosce al segretario titolare di segreterie convenzionate, per l'accesso alle diverse sedi, il rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute e documentabili), soggiace in via generale ai limiti di spesa che il legislatore nazionale ha posto anche agli enti locali, in funzione di coordinamento di finanza pubblica.
Sul punto il comma 12 dell'articolo 6 del Dl 78/2010 si applica infatti anche a questi ultimi, in virtù dell'espresso richiamo a tutte le amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della Pa, individuate dall'Istat ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31.12.2009, n. 196.
D'altra parte, come evidenziato dalla Corte, la norma stessa contempla specifiche e dettagliate ipotesi -tra le quali non è inclusa quella che qui interessa- escluse dal rispetto dei limiti di spesa; configura, quale illecito disciplinare e fonte di responsabilità erariale, gli atti e i contratti posti in essere in violazione di tali limiti di spesa; indicala perdita di efficacia delle «analoghe disposizioni contenute nei contratti collettivi».
Considerate pertanto le generali finalità del legislatore, ricorrono, nel caso esaminato dalla sezione, i requisiti di analogia fra le nonne di legge disapplicate per i dipendenti statali e l'articolo 47, comma 4, del Ccnl dei segretari comunali e provinciali, riferendosi ambedue le disposizioni all'ammissibilità, previa autorizzazione, dell'utilizzo del proprio mezzo di trasporto.
Non essendo coerente consentire la permanenza di un differente regime giuridico in caso di situazioni con caratteristiche analoghe, proprio alla luce della rado sottesa all'imposizione dei nuovi vincoli alla spesa. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 03.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

PUBBLICO IMPIEGOImpiegati con autorizzazione per timbrare fuori sede.
Rischia una condanna per truffa l'impiegato pubblico che, senza autorizzazione, timbra fuori sede per farsi pagare gli straordinari.

Lo ha sancito la Corte di Cassazione, Sez. II penale, sentenza 04.01.2011 n. 46, che ha annullato con rinvio il non luogo a procedere pronunciato dal Gup di Torino in favore di un'impiegata dell'Inps che, senza esserne stata autorizzata (almeno non era riuscita a provarlo), aveva timbrato fuori sede per avere gli straordinari. ... (articolo ItaliaOggi del 06.01.2011 - link a www.ecostampa.com).
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La falsa attestazione del pubblico dipendente, circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l'amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro, e integra il reato di truffa aggravata, ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare economicamente apprezzabili (Cass. Sez. 2, sentenza n. 26722 del 12.06.2008 dep. 02.07.2008 rv 240700).
La timbratura in altro luogo implica l'attestazione della continuità della prestazione, rispetto alla quale non vi era alcuna possibilità di controllo, essendo l'imputata uscita.

APPALTI: Informativa antimafia - Risultanze istruttorie a monte - Differenza - Limitazioni all’accesso.
Ai fini dell’accesso, l’’informativa antimafia, generalmente consistente nella mera formula rituale con la quale il Prefetto, sulla base delle risultanze in suo possesso, afferma la sussistenza di elementi interdittivi a carico dell'impresa, atto per sua natura pienamente ostensibile, va distinta dalle risultanze istruttorie "a monte", cui ha attinto l'Autorità prefettizia per pervenire al giudizio sfavorevole formulato a carico dell'impresa medesima, laddove l'accesso va effettivamente escluso per tutte le parti della documentazione in possesso dell'Amministrazione coperte da segreto istruttorio, in quanto afferenti a indagini preliminari o procedimenti penali in corso, o in quanto coinvolgenti, a qualunque titolo, terzi soggetti interessati dalle informative di polizia di sicurezza; ovvero, ancora, adducendo specifici motivi ostativi riconducibili ad imprescindibili esigenze di tutela di accertamenti di polizia di sicurezza e di contrasto alla delinquenza organizzata (TAR Campania, Salerno, sentenza n. 818/2007) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 30.12.2010 n. 14413 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo paesaggistico - Compromissione della bellezza naturale ad opera di preesistenti realizzazioni abusive - Intervento della soprintendenza - Giudizio di comparazione - Condizioni effettive dell’area.
L’intervento della Sovrintendenza deve tendere alla conservazione dei valori presidiati dal vincolo al fine di evitare ulteriori interventi deturpanti, a prescindere dall’esistenza di eventuali altre evidenze abusive.
Infatti la situazione di compromissione della bellezza naturale ad opera di preesistenti realizzazioni, anziché impedire, maggiormente richiede che nuove costruzioni non deturpino esteriormente l’ambito protetto. Nondimeno, perché l’azione amministrativa risulti ragionevole, deve avere per obiettivo un’effettiva tutela del paesaggio e non l’inutile evocazione di un valore astratto ed irreale.
Perciò il giudizio di comparazione dell’opera al contesto da difendere va compiuto tenendo presente le effettive condizioni dell’area in cui il manufatto è stato inserito (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 29.12.2010 n. 9578 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Avvalimento: caratteristiche generali.
Con due pronunce consecutive (CdS, Sez. VI, sent. 29.12.2010 n. 9576 e CdS, Sez. VI, sentenza 29.12.2010 n. 9577), il Consiglio di Stato ha espresso importanti principi riguardo l’istituto dell’avvalimento, proseguendo a definirne progressivamente le caratteristiche generali.
In un primo momento, infatti, con la sentenza 29.12.2010 n. 9576, è stato ribadito che l’avvalimento è un istituto di carattere generale, che ha come finalità precipua quella di consentire la massima partecipazione possibile alle gare ad evidenza pubblica.
Tale caratteristica ne consente l’applicabilità anche in settori produttivi con specifiche peculiarità.
È stato infatti sostenuto che “Attesa la portata generale dell’istituto, e in assenza di una espressa previsione derogatoria, non vi sono ragioni per ritenere che l’avvalimento non trovi applicazione per la sola ragione che la gara in oggetto abbia ad oggetto prestazioni (la fornitura di aiuti alimentari) che interessano il settore dell’agricoltura. Si tratta, invero, sempre di una gara, che quindi soggiace ai principi generali desumibili dalla normativa comunitaria, tra i quali anche il principio dell’avvalimento. Né, del resto, nell’ambito del settore agricolo, emergono peculiarità tali da giustificare una deroga così visto ai principi comunitari.”
Con la seconda pronuncia, sentenza 29.12.2010 n. 9577, i giudici amministrativi ribadiscono quanto da ultimo affermato a proposito della generalità dell’istituto e, oltre a dettare interessanti principi in materia di subappalto, di potere di soccorso della stazione appaltante e di continuità delle operazioni di gara, chiariscono che l’avvalimento, applicabile anche ai settori speciali in virtù del rinvio operato dall’art. 233, comma 6, del D.lgs. 163/2006, nei limiti della compatibilità, non può essere sottoposto ad una legge di gara che ne fissi una disciplina più rigorosa.
Infatti, il riferimento al criterio della compatibilità, intende evitare che ai settori speciali siano estese norme di eccessivo rigore, incompatibili con il dettato comunitario.
Altra questione affrontata dai giudici attiene alle dichiarazioni da rendere in caso di collegamento tra le imprese e nell’ipotesi di impresa ausiliaria estera.
Sul primo punto è stato ribadito che “Quanto alla dichiarazione formale che deve rendere l’impresa ausiliaria ai sensi dell’art. 49, comma 2, lett. e), del Codice dei contratti pubblici, di non trovarsi in una situazione di controllo "con una delle altre imprese che partecipano alla gara", essa va correttamente interpretata alla luce delle direttive comunitarie secondo cui l’avvalimento è ammesso a prescindere dalla natura giuridica dei legami tra impresa ausiliaria e impresa ausiliata. Pertanto, un eventuale rapporto di controllo tra ausiliaria e ausiliata è giuridicamente irrilevante e non deve essere dichiarato. Lo stesso è a dirsi nel caso in cui il rapporto di controllo non si ponga tra ausiliaria e ausiliata, ma tra ausiliaria e altra impresa dello stesso raggruppamento dell’ausiliata. Infatti in tal caso più imprese dello stesso raggruppamento costituiscono un medesimo concorrente, e sono irrilevanti i rapporti interni di controllo riferiti al medesimo concorrente.”
Infine, con riferimento al caso dell’impresa ausiliaria estera, il CdS ha affermato che la stessa non sia tenuta a rendere la dichiarazione sul possesso dei requisiti di capacità con le forme previste per le imprese italiane, ossia esibendo i documenti probatori, o rendendo dichiarazione sostitutiva.
Ciò in applicazione dell’art. 47, del D.lgs. 163/2006, il quale prevede che gli operatori economici stabiliti in altri Paesi dell’Unione europea si qualificano nella singola gara che si svolge in Italia producendo documentazione conforme alla normativa vigente nel Paese di appartenenza, idonea a dimostrare il possesso dei requisiti prescritti per la qualificazione e la partecipazione degli operatori economici italiani alle gare.
Secondo i giudici del CdS, tale regola, dettata per i partecipanti alla gara, non può non essere estesa alle imprese ausiliarie (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Ordine di smaltimento - Proprietario del fondo - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006.
In mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della condotta, devono ritenersi illegittimi gli ordini di smaltimento di rifiuti abbandonati in un fondo che siano indiscriminatamente rivolti al proprietario del fondo stesso in ragione della sua sola qualità.
E’ in tal senso il dato testuale dell’art. 14 d.lgs. n. 22/1997 ed è di analogo tenore il sopravvenuto art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 che reca la nuova disciplina in materia, disponendo l’abrogazione di quella precedente (cfr. art. 264).
RIFIUTI - Abbandono - Pertinenze stradali - Ente proprietario della strada - Obbligo di rimozione - Art. 14 codice della Strada.
L’art. 14 del codice della strada (d.lgs. n. 285/1992) pone un onere incondizionato di manutenzione, gestione e pulizia delle strade e “delle loro pertinenze” a carico degli enti proprietari delle strade stesse (quali l’A.N.A.S. nel caso di specie) allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione; deve pertanto ritenersi sussistente in capo all’A.N.A.S. l’obbligo di provvedere alla rimozione dei rifiuti intimata con ordinanza sindacale, a prescindere da ogni accertamento in ordine alla configurabilità in capo all’Ente proprietario di una concreta responsabilità (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 28.12.2010 n. 4313 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Impianti di telefonia - Compagnia telefonica - Localizzazione di un impianto - Conclusione di accordi con un privato - Rapporto amministrativo con il Comune - Sottrazione alla disciplina del Codice delle Comunicazioni elettroniche - Esclusione.
La circostanza che una società telefonica abbia concluso un accordo con un privato per la localizzazione di un impianto di telefonia in un’area a quest’ultimo appartenente non esclude che il rapporto amministrativo con l’ente comunale, ai fini del rilascio del titolo abilitativo ad installare la stazione radio-base, non rientri nel campo applicativo del Codice delle comunicazioni elettroniche e non debba quindi scontare il procedimento semplificato ivi previsto la formazione del titolo abilitativo.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Comuni - Criteri localizzativi - Potere regolamentare - Limiti - Art. 8 L. n. 36/2001.
Il potere regolamentare dei Comuni di fissare, ai sensi dell’art. 8 ultimo comma della legge n. 36 del 2001, criteri localizzativi per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici non si può mai tradurre nel potere di sospendere la formazione dei titoli abilitativi formati o in corso di formazione ai sensi degli artt. 86 e 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Comuni -Potestà regolamentare Generalizzato divieto di installazione in zone urbanistiche identificate - Illegittimità - Ragioni.
In materia di impianti di comunicazioni elettroniche, la potestà regolamentare dei Comuni deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico, ma non può tradursi in un generalizzato divieto di installazione in zone urbanistiche identificate.
Tale previsione verrebbe infatti a costituire una inammissibile misura di carattere generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, in contrasto con l'art. 4 l. n. 36 del 2001, che riserva alla competenza dello Stato la determinazione, con criteri unitari, dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi su tutto il territorio dello Stato (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.12.2010 n. 9414 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Concordato preventivo - Ordinanza ex art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Commissario liquidatore - Legittimazione passiva - Esclusione.
Il debitore ammesso al concordato preventivo subisce uno «spossessamento attenuato», in quanto conserva, come nel fallimento, oltre ovviamente alla proprietà, l'amministrazione e la disponibilità dei propri beni, salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all'esecuzione del concordato (Cass. civ., sez. trib., 25.02.2008, n. 4728).
In particolare, nel concordato con cessione dei beni la legittimazione a disporne viene attribuita dalla legge (art. 167 r.d. n. 267/1942) al commissario liquidatore, che agisce non in nome o per conto dei creditori concordatari, bensì nel rispetto delle direttive impartite dal tribunale al fine di provvedere alla liquidazione del patrimonio e alla distribuzione dell’attivo ai creditori (Cass. civ., sez. lav., 10.02.2009, n. 3270).
Ne discende che la Liquidazione giudiziale, non avendo la proprietà del bene in questione non è legittimata passivamente a ricevere l’ordine impartito con l’ordinanza, secondo quanto stabilito dall’art. 192 del Codice dell’ambiente.
RIFIUTI - Abbandono - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Sanzione amministrativa di tipo reintegratorio - Autore materiale - Comportamento titolato - Riconducibilità dell’evento al soggetto responsabile.
La fattispecie normativa di cui all’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006 introduce una sanzione amministrativa di tipo reintegratorio, avente a contenuto l'obbligo di rimozione, di recupero o di smaltimento e di ripristino a carico del responsabile del fatto di discarica o immissione abusiva cioè di "chiunque viola i divieti di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo", in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa.
La norma, dunque, ai fini dell'imputabilità della condotta, richiede, a carico dell'autore materiale un comportamento titolato (dolo o colpa) (Cons. Stato, sez. VI, 20/01/2003, n. 168; TAR Puglia, Bari, sez. I, 27/02/2003, n. 872; TAR Sardegna, 19/09/2004, n. 1076; TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 22/01/2008, n. 78).
È peraltro evidente che prima ancora del profilo soggettivo attinente alla qualificazione del comportamento del presunto autore materiale dell'illecito è necessario che sia verificata e provata la riconducibilità dell'evento al soggetto che viene dall'amministrazione indicato come responsabile in capo al quale gravano gli obblighi stabiliti dalla legge.
RIFIUTI - Abbandono - Proprietario - Onere reale - Previsione - Esclusione.
A differenza di quanto previsto per la bonifica dei siti inquinati, per la rimozione dei rifiuti non è stato previsto dal legislatore, a carico del proprietario, alcun onere reale che possa giustificare l’emanazione dell’ordinanza anche nei suoi confronti.
RIFIUTI - Abbandono - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Requisito della colpa - Generica culpa in vigilando - Insufficienza.
Il requisito della colpa postulato dall’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 può ben consistere nell’omissione delle cautele e degli accorgimenti che l’ordinaria diligenza suggerisce ai fini di un’efficace custodia, ma non può essere spinto, ordinariamente al di là di tale confine, fermo restando che, a tal fine, non è sufficiente una generica "culpa in vigilando" (Cons. Stato sez. V, 08.03.2005, n. 935; id., 25.08.2008, n. 4061, TAR Campania, Napoli, sez. V, 01.06.2010, n. 11437) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 23.12.2010 n. 6862 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: ACQUA - Acque di balneazione - Concentrazione di sostanze nocive per la salute - Mancato rispetto delle condizioni previste dall’Accordo tra Stato e Regioni del 16.01.2003 - Esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente - Legittimità.
Il mancato rispetto delle condizioni igienico-sanitarie minime previste dall'Accordo tra Stato e Regioni del 16.01.2003 che fissa i parametri relativi alla concentrazione di sostanze nocive per la salute all'interno delle acque destinate alla balneazione (nella specie, di una piscina) giustifica l’esercizio dei poteri di ordinanza contingibile e urgente di cui all’art. 54, comma 2, del Testo unico degli enti locali (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 23.12.2010 n. 6860 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Accertamenti tecnici - Instaurazione del contraddittorio con gli interessati - Obbligo - Esclusione.
Nella fase dell’accertamento tecnico, in presenza di un interesse pubblico che può essere tutelato solo attraverso l’esercizio dei poteri sindacali extra ordinem, non sussiste per l’Amministrazione l’obbligo di instaurare un contraddittorio con gli interessati le cui eventuali controdeduzioni potranno essere vagliate successivamente (TAR Toscana, sez. II, 20.01.1999, n. 158; TAR Abruzzo, Pescara, 24.07.2003, n. 653).
Procedimento amministrativo - Ordinanza contingibile e urgente - Art. 54 d.lgs. n. 267/2000 - Preventivo avviso di avvio del procedimento - Necessità - Esclusione.
Deve ritenersi sottratto all'obbligo di preventivo avviso di avvio del procedimento il provvedimento contingibile ed urgente, adottato per ragioni di tutela della salute pubblica ai sensi dell'art. 54 del d.lgv. n. 267 del 2000 (TAR Lazio, sez. II, 20.01.2006, n. 455; TAR Abruzzo L'Aquila, 14.12.2004, n. 1337) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 23.12.2010 n. 6860 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Bonifica - Conferenza di servizi - Determinazione conclusiva - Motivazione per relationem - Ammissibilità - Limiti.
Solo nell’ipotesi in cui la determinazione conclusiva disattenda in tutto o in parte il contenuto della conferenza di servizi risulterà assoggettata allo specifico obbligo di motivazione previsto dall’art. 14-ter, comma 6-bis, l. n. 241/1990: obbligo che, ovviamente, non potrà essere soddisfatto con motivazione “per relationem”, attraverso il mero richiamo al verbale della conferenza, visto che se ne disattendono i contenuti.
Qualora, invece, la determinazione conclusiva aderisca ai contenuti della conferenza, approvandoli e considerandoli come definitivi, non è necessaria una motivazione più articolata ed autonoma rispetto alle argomentazioni contenute nella conferenza stessa. Pertanto l’obbligo di motivazione potrà ben essere soddisfatto in tal caso “per relationem”, mediante il semplice richiamo al verbale della conferenza di servizi.
INQUINAMENTO - Bonifica - Siti di interesse nazionale - Competenza del Ministro dell’ambiente - Competenza dirigenziale - Art. 252 d.lgs. n. 152/2006.
L’art. 252 del d.lgs. n. 152/2006 distingue tra atti ed attività di competenza del Ministro dell’Ambiente ed atti e attività facenti capo al “Ministero”. Rientra così tra i primi l’individuazione, ai fini della bonifica, dei siti di interesse nazionale (art. 252, comma 2, cit.). La rilevanza politica di tale atto è, d’altro lato, dimostrata dalla necessità dell’intesa con le Regioni interessate: intesa prescritta, per l’appunto, dal citato comma 2 dell’art. 252.
Deve, invece, ritenersi che i decreti direttoriali attinenti alle modalità con cui devono essere condotti gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza (e come dovrà esserlo quello di bonifica) costituiscono un mero atto di gestione, che segue l’individuazione del sito di bonifica e, come tale, rientra nella competenza dirigenziale e non del Ministro, non concernendo le scelte di fondo che la P.A. è chiamata a compiere nel settore in questione (come accade invece per la mappatura e perimetrazione dei siti di interesse nazionale) (TAR Lombardia, BS, Sez. I, 09.10.2009, n. 1738).
INQUINAMENTO - Bonifica - Siti di interesse nazionale - Procedimento - Partecipazione del Ministero dello Sviluppo Economico - Portata - Art. 252 d.lgs. n. 152/2006.
Nell’ipotesi di bonifica di SIN, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare resta il soggetto principale del procedimento e la partecipazione del Ministero dello Sviluppo Economico si sostanzia, invece, nell’espressione di un parere obbligatorio -di cui al “sentito il Ministero” di cui all’art. 252, comma 4, d.lgs. 152/2006- la cui mancanza non è suscettibile di inficiare il provvedimento finale (in tal senso: TAR Friuli, Sez. I, 28.01.2008, n. 90).
INQUINAMENTO - Bonifica - Procedimento - Partecipazione dei destinatari delle prescrizioni - Principi di trasparenza e pubblicità.
Nei procedimenti in materia di bonifica ambientale, è necessario che la P.A. consenta ai destinatari delle prescrizioni stabilite dalla stessa P.A. di partecipare al relativo procedimento, articolato in una o più conferenze di servizi istruttorie e decisorie. Ciò, quantomeno, con riferimento alle fasi procedimentali in cui emerge l'esistenza di una contaminazione del terreno e della falda acquifera nell'area interessata e che poi sfociano nelle determinazioni assunte da una conferenza di servizi decisoria (cfr. TAR Lombardia, Mi, Sez. I, 19.04.2007, n. 1913; TAR Friuli Venezia Giulia, 27.07.2001, n. 488).
Ciò perché l'onere di effettuare gli accertamenti in contraddittorio con le parti interessate risponde ad evidenti ragioni di trasparenza e pubblicità, principi del diritto vivente cui la P.A. si deve uniformare in ogni momento della propria azione, oltre che all'interesse pubblico all'imparzialità dell'azione amministrativa.
INQUINAMENTO - Bonifica - Barrieramento fisico - Analisi comparativa con misure meno invasive - Necessità.
L’Amministrazione è tenuta a valutare ed accertare non solo l'efficacia di misure meno invasive della barriera fisica, ma anche l'effettiva necessità, efficacia e realizzabilità del sistema stesso di contenimento fisico. Pertanto, l'opzione per detto sistema, ovvero per un utilizzo combinato delle differenti tipologie di intervento, può legittimamente avere luogo soltanto all'esito di un'analisi comparativa tra le diverse alternative in discorso, in ragione delle specifiche caratteristiche dell'area.
L'analisi comparativa deve incentrarsi quantomeno sull'efficacia delle diverse alternative nel raggiungere gli obiettivi finali, nonché sulle concentrazioni residue, sui tempi di esecuzione e sulla loro compatibilità con l'urgenza del provvedere, sull'impatto rispetto all'ambiente circostante gli interventi (TAR Puglia, Le, Sez. I, 11.06.2007, n. 2247; TAR Toscana, Sez. II, 14.10.2009, n. 1540 e 18.12.2009, n. 3973).
INQUINAMENTO - Bonifica - decisioni adottate dalla P.A. - Apparato motivazionale - Attività istruttoria.
Tutte le decisioni adottate dalle competenti autorità in materia ambientale e, segnatamente, in materia di bonifica, devono essere assistite -in relazione alla pluralità ed alla rilevanza degli interessi in gioco- da un apparato motivazionale particolarmente rigoroso, che deve tenere conto di un’attività istruttoria parimente ineccepibile (TAR Friuli, n. 90/2008).
INQUINAMENTO - Bonifica - Limiti di accettabilità per la contaminazione dei suoli e delle acque superficiali - Recepimento in conferenza di servizi della posizione dell’ISS - Illegittimità -Lacuna normativa - Integrazione analogica operata da organi consultivi - Inammissibilità - Fattispecie: MTBE.
I parametri relativi ai limiti di accettabilità per la contaminazione dei suoli e delle acque superficiali e sotterranee non possono essere modificati né dall'Istituto Superiore di Sanità, né dalle conferenze di servizi (TAR Toscana, Sez. II, 24.08.2010, n. 4875; TAR Puglia, Le, 11.06.2007 n. 2247; TAR Friuli Venezia Giulia, n. 90/2008 cit.).
In particolare, in riferimento al parametro “MTBE” (sostanza non inclusa nelle tabelle allegate al d.m. 471/1999), deve ritenersi illegittimo il recepimento, da parte della conferenza di servizi, della pur autorevole posizione dell'ISS in materia (Cons. Stato, Sez. VI, 08.09.2009, n. 5256).
Come condivisibilmente rilevato in giurisprudenza, infatti, pur ammettendo, alla luce di ulteriori e più aggiornati studi in materia, la tossicità per l'uomo e l'ambiente del ”MBTE”, la lacuna normativa non può essere colmata attraverso un'attività di integrazione analogica operata da organi consultivi quali l'Istituto Superiore di Sanità o anche dalla stessa Amministrazione competente all'approvazione del progetto, sussistendo al riguardo il limite normativo che attribuisce, in via esclusiva, tale potere secondo la specifica procedura prevista dal legislatore (TAR Toscana, Sez. II, n. 4875/2010 cit.; TAR Piemonte, Sez. II, 17.03.2007, n. 1297; TAR Veneto, Sez. III, 02.07.2007, n. 2114).
INQUINAMENTO - Bonifica - Terreno - Concentrazione del campione- Allegato 2, parte IV d.lgs. n. 152/2006 - Riferimento alla totalità del materiale secco - Riferimento al solo sottovaglio - Illegittimità.
Gli Allegati alla Parte IV del Titolo V del d.lgs. n. 152/2006 e del d.m. 13.09.1999 impongono la rappresentazione dello stato di tutto il materiale secco del terreno e non solo di una sua frazione.
In particolare, l’Allegato 2, Parte IV, Titolo V, d.lgs. cit. prevede che le la concentrazione del campione dovrà essere determinata riferendosi “alla totalità dei materiali secchi, comprensiva anche dello scheletro” e che determinate modalità di campionamento sono volte ad ottenere una “maggiore estensione delle informazioni sulla verticale”, soluzione non possibile se si considera rappresentativo il solo “sottovaglio”, notoriamente disperso omogeneamente sul terreno e non rappresentativo dello stato della verticale (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 22.12.2010 n. 6798 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di un soppalco interno, sorretto da una struttura portante, in un immobile sottoposto alla tutela di cui alla L. n. 1089 del 1939, deve ritenersi subordinata al nulla-osta della Soprintendenza, non potendosi ragionevolmente qualificare il soppalco quale mero arredo interno, all’occorrenza rimuovibile ed estraneo al giacimento culturale e, quindi, non modificativo della consistenza e dell’identità del bene sottoposto a vincolo, dovendosi viceversa ritenere che tale opera si integra nella struttura dell’immobile, comportando altresì una rilevante modifica dell’altezza di considerevole parte dell’unità immobiliare.
A proposito di un soppalco si è affermato che “La realizzazione di un soppalco interno, sorretto da una struttura portante, in un immobile sottoposto alla tutela di cui alla L. n. 1089 del 1939, deve ritenersi subordinata al nulla-osta della Soprintendenza, non potendosi ragionevolmente qualificare il soppalco quale mero arredo interno, all’occorrenza rimuovibile ed estraneo al giacimento culturale e, quindi, non modificativo della consistenza e dell’identità del bene sottoposto a vincolo, dovendosi viceversa ritenere che tale opera si integra nella struttura dell’immobile, comportando altresì una rilevante modifica dell’altezza di considerevole parte dell’unità immobiliare” (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, 07.02.2007 n. 32) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 20.12.2010 n. 7595 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Bonifica - Art. 17 d.lgs. n. 22/1997 - Responsabilità - Proprietario incolpevole dell’area inquinata - Principio “chi inquina paga” - Interventi di recupero ambientale - Privilegio speciale immobiliare.
L’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 impone l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento solamente a carico di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa, postulando, da un punto di vista soggettivo, il requisito del dolo o della colpa.
E’ evidente, pertanto, che, conformemente al principio comunitario "chi inquina paga" (art. 174, ex art. 130/R, Trattato CE), secondo cui chi fa correre un rischio di inquinamento o chi provoca un inquinamento è tenuto a sostenere i costi della prevenzione o della riparazione, l'amministrazione non può imporre ai privati che non hanno alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengono individuati solo in quanto proprietari del bene, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento.
A carico del proprietario dell'area inquinata, non responsabile della contaminazione, spetta, invero, unicamente la facoltà di eseguire gli interventi ambientali in questione, al fine di evitare l'espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite anche da privilegio speciale immobiliare (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 18.12.2010 n. 4593 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - RIFIUTI - Tutela della salute pubblica - Ordinanza ex art. 38 L. n. 142/1990 - Danni temuti.
Il provvedimento contingibile ed urgente emesso dal Sindaco ai sensi dell’art. 38 L. 08.06.1990, n. 142, quando mira alla tutela della salute pubblica, può essere adottato non solo per porre rimedio a danni già verificatisi alla salute, ma anche e soprattutto per evitare che tali danni si verifichino.
Ciò anche quando la salute pubblica sia minacciata da fenomeni di inquinamento ambientale provocati da rifiuti, emissioni inquinanti nell’aria e scarichi inquinanti (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 18.12.2010 n. 4584 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAEsulano dalla eccezione prevista dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici”, atteso che i volumi tecnici, proprio in ragione dei caratteri che li contraddistinguono (già evidenziati in precedenza), sono inidonei ad introdurre un impatto sul territorio eccedente la costruzione principale.
Si tratta di aver realizzato (abusivamente) una semplice canna fumaria, opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale e che non risulta particolarmente pregiudizievole per il territorio.
Inoltre, si tratta di volume tecnico, e secondo la giurisprudenza di questa Sezione sarebbe possibile ottenere l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 167 d.lgs. 42/2004: “l’interpretazione teleologica induce inevitabilmente a ritenere che, nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due termini coordinati.
In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni al divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria (previste dall’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004) in coerenza con la ratio dell’introduzione di tale divieto induce il Collegio a ritenere che esulino dalla eccezione prevista dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici”, atteso che i volumi tecnici, proprio in ragione dei caratteri che li contraddistinguono (già evidenziati in precedenza), sono inidonei ad introdurre un impatto sul territorio eccedente la costruzione principale
" (Tar Campania, Napoli, VII, 1748/2009) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 15.12.2010 n. 27380 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' legittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente ad un fabbricato realizzato all'interno della c.d. fascia di servitù idraulica atteso che il divieto di costruzione ad una certa distanza dagli argini dei corsi d'acqua demaniali, imposto dall'art. 96, lett. f), r.d. 25.07.1904 n. 523, ha carattere assoluto ed inderogabile; pertanto, nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata in contrasto con tale divieto trova applicazione l'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il quale contempla i vincoli di inedificabilità, includendo in tale ambito i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree.
La giurisprudenza ha affermato che “è legittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente ad un fabbricato realizzato all'interno della c.d. fascia di servitù idraulica atteso che il divieto di costruzione ad una certa distanza dagli argini dei corsi d'acqua demaniali, imposto dall'art. 96, lett. f), r.d. 25.07.1904 n. 523, ha carattere assoluto ed inderogabile; pertanto, nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata in contrasto con tale divieto trova applicazione l'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il quale contempla i vincoli di inedificabilità, includendo in tale ambito i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree” (Consiglio Stato, sez. V, 26.03.2009, n. 1814)
(TAR Roma-Latina, Sez. I, sentenza 15.12.2010 n. 1981 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe norme sulle distanze in materia urbanistica di cui agli articoli 19 l. 06.08.1967 n. 765 e 4 d.m. 01.04.1968 -le quali prescrivono che le distanze minime a protezione del nastro stradale debbono osservarsi nell'edificazione fuori del perimetro dei centri abitati- hanno lo scopo di garantire la sicurezza della circolazione stradale nei confronti di quanti transitano sulle strade o passano nelle immediate vicinanze ovvero in queste abitano od operano.
Pertanto, esse impongono all'attività edificatoria un vincolo (ontologico e funzionale) d'assoluta inedificabilità la cui applicazione costituisce puntuale esecuzione dell'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47.

La Sezione condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “le norme sulle distanze in materia urbanistica di cui agli articoli 19 l. 06.08.1967 n. 765 e 4 d.m. 01.04.1968 -le quali prescrivono che le distanze minime a protezione del nastro stradale debbono osservarsi nell'edificazione fuori del perimetro dei centri abitati- hanno lo scopo di garantire la sicurezza della circolazione stradale nei confronti di quanti transitano sulle strade o passano nelle immediate vicinanze ovvero in queste abitano od operano.
Pertanto, esse impongono all'attività edificatoria un vincolo (ontologico e funzionale) d'assoluta inedificabilità la cui applicazione costituisce puntuale esecuzione dell'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 (cfr. TAR Puglia Bari, sez. II, 08.01.2003 n. 20)
"
(TAR Roma-Latina, Sez. I, sentenza 15.12.2010 n. 1981 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'Amministrazione Comunale, nel corso dell'istruttoria sul rilascio della concessione edilizia, deve verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è chiesta la concessione edilizia e ciò anche se la concessione è sempre rilasciata facendo salvi i diritti dei terzi.
Il Collegio ritiene di condividere la prevalente giurisprudenza secondo cui, posta la premessa che la concessione edilizia ovvero il permesso di costruire –come espressamente statuito dall’invocato art. 11 del D.P.R. n. 380/2001– non comportano limitazione dei diritti dei terzi, ne fa derivare, in primo luogo, l’esclusione di «un obbligo del comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile in considerazione, con particolare riferimento all'inesistenza di servitù o di altri vincoli reali che potrebbero limitare l'attività edificatoria dell'immobile» (così TAR Lombardia, sez. II, 06.02.2009, n. 1157).
Fermo restando che «l’Amministrazione Comunale, nel corso dell'istruttoria sul rilascio della concessione edilizia, deve verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è chiesta la concessione edilizia e ciò anche se la concessione è sempre rilasciata facendo salvi i diritti dei terzi» (Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223); «Ed invero la concessione edilizia è un atto amministrativo che rende legittima l'attività edilizia nell'ordinamento pubblicistico e regola il rapporto che in relazione a quell'attività si pone in essere tra l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all'attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune, con le consentite integrazioni della normativa speciale di cui all'art. 872 c.c. ed alle norme da esso richiamate» (così, ancora, Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223; si veda anche sez. IV, 26.05.2006, n. 3201)
(TAR Valle d'Aosta, sentenza 15.12.2010 n. 84 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl rilascio della concessione edilizia in carenza del previo (e positivo) nulla-osta della soprintendenza si concretizza in una mera irregolarità procedimentale. In altri termini, l’inversione dell’ordine procedimentale non assurge a vizio di legittimità del permesso di costruire, poiché non mette in pericolo la tutela degli interessi pubblici diversi attribuiti alla cura delle diverse amministrazioni (comunale, regionale).
Il Collegio ritiene di poter condividere quell’ormai risalente orientamento giurisprudenziale (formatosi in particolar modo nell’interpretazione dell’art. 25 del R.D. 03.06.1940, n. 1357, “Regolamento per l'applicazione della l. 29.06.1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali”), al quale questo Tribunale ha già dato adesione in passato (cfr. TAR Valle d’Aosta, 25.03.1992, n. 28), che considera il rilascio della concessione edilizia in carenza del previo (e positivo) nulla-osta della soprintendenza come una «mera irregolarità procedimentale»: si veda in tal senso Cons. St., Ad. Plen., 03.10.1988, n. 8; sez. V, 20.11.1989, n. 738.
In altri termini, l’inversione dell’ordine procedimentale non assurge a vizio di legittimità del permesso di costruire, poiché non mette in pericolo la tutela degli interessi pubblici diversi attribuiti alla cura delle diverse amministrazioni (comunale, regionale)
(TAR Valle d'Aosta, sentenza 15.12.2010 n. 84 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl semplice cambio di destinazione attuato senza opere non costituisce mutamento urbanistico-edilizio del territorio comunale.
Non può ritenersi che l’attribuzione di finanziamenti pubblici destinati alla residenza sia sufficiente ad impedire l’esercizio dello jus utendi, in mancanza di un atto di impegno dei proprietari nei confronti del Comune a rinunciare all’esercizio di facoltà insite, a quel tempo, nel diritto di proprietà.
A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 73/1991 per principio generale il semplice cambio di destinazione attuato senza opere non costituisce mutamento urbanistico-edilizio del territorio comunale (Cons. Stato, 28.01.1997 n. 77).
In secondo luogo la variazione senza opere non è idonea ad incidere sulla destinazione d’uso dell’immobile prevista dall’art. 8 della L. 47/1985 e quindi, anche per tale ragione, è libera.
Solo con la successiva L. 662/1996, art. 2, c. 60, che ha modificato l’art. 25 della L. 47/1985 il legislatore statale ha definitivamente scorporato, per quanto con particolari cautele, la disciplina dello jus utendi da quella del diritto di proprietà, attribuendole autonoma rilevanza giuridica, e conferendo alla potestà concorrente di Regioni e Comuni il potere di regolamentare in sede di pianificazione urbanistica gli usi (e non più soltanto le destinazioni d'uso), con conseguente rilevanza delle mere mutazioni funzionali, al fine di evitare squilibri nei carichi urbanistici presenti nelle varie zone, ma anche di favorire la salvaguardia e la rivitalizzazione in primo luogo dei centri storici.
Neppure può ritenersi che l’attribuzione di finanziamenti pubblici destinati alla residenza sia sufficiente ad impedire l’esercizio dello jus utendi, in mancanza di un atto di impegno dei proprietari nei confronti del Comune a rinunciare all’esercizio di facoltà insite, a quel tempo, nel diritto di proprietà (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 14.12.2010 n. 7462 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANella definizione di ristrutturazione edilizia ricadono, ex. art. 3 del TU, anche gli interventi “consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma dell’edificio preesistente” –dunque, senza aumenti di volume e superficie- ma deve trattarsi, in questa ipotesi, di demolizione e ricostruzione dell’intero organismo edilizio e non di una piccolissima parte di esso.
I lavori svolti dagli interessati sui piccoli locali oggetto di sanatoria nel 1995, sono da qualificarsi di manutenzione straordinaria, consistendo nella demolizione e successiva ricostruzione, con diversi materiali, di tramezzi, infissi e copertura dei due vani.
Rientrano infatti nella definizione di manutenzione straordinaria, secondo l’art. 3 del DPR 380 del 2001, “opere e modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti, anche strutturali, degli edifici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d’uso.”
I lavori di cui si tratta consistevano nella sostituzione della originaria pensilina in alluminio e plexiglas con una tettoia in legno e tegole canadesi, e nella demolizione e ricostruzione delle preesistenti pareti in alluminio e vetro con una nuova struttura, parte in muratura e parte in alluminio e vetro, nel rispetto delle misure originarie e senza, di conseguenza, alcuna alterazione di volumi e superfici, né modificazione della destinazione d’uso dei locali.
Ne deriva la fondatezza del primo motivo di ricorso, con il quale è stata dedotta l’illegittimità del provvedimento impugnato per errore sul presupposto, essendo stata applicata la sanzione demolitoria prevista dall’art. 33, c. 6-bis, e dall’art. 34, c. 2-bis, per gli interventi di ristrutturazione edilizia realizzati in difformità, rispettivamente totale e parziale, dalla DIA, ad un intervento di straordinaria manutenzione non ricadente nella fattispecie astratta di cui all’art. 10, c. 1, lettera c, del TU edilizia.
La ristrutturazione edilizia di cui alla lettera c della disposizione appena citata, infatti, va identificata con la demolizione e successiva ricostruzione di un edificio che porti alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, comportante aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti, delle superfici.
È vero che nella definizione di ristrutturazione edilizia ricadono, ex art. 3 del TU, anche gli interventi “consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma dell’edificio preesistente” –dunque, senza aumenti di volume e superficie- ma deve trattarsi, in questa ipotesi, di demolizione e ricostruzione dell’intero organismo edilizio e non di una piccolissima parte di esso.
Nella fattispecie concreta, invece, si trattava della sola demolizione e ricostruzione di due piccoli locali a copertura di un terrazzo, già condonati a suo tempo, per i quali risulta irrilevante la diversa scelta dei materiali con cui sono stati ricostruiti rispetto ai materiali originari, trattandosi, anche in questo caso, in cui la vecchia copertura in plexiglas è stata sostituita con un nuovo tetto in legno e tegole ed i vecchi tramezzi usurati rimpiazzati con nuovi materiali più resistenti, pur sempre di opere di manutenzione straordinaria per le quali le sanzioni prescritte dalla legge, in caso di difformità dalla DIA, sono quelle, pecuniarie, indicate dall’art. 37, c. 1, del DPR n. 380 del 2001, e non quelle comminate dagli articoli 33 e 34 dello stesso TU (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 14.12.2010 n. 2943 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAVa riconosciuta la legittimazione ad impugnare un titolo edilizio abilitante ai proprietari di immobili od abitazioni ubicate su un terreno confinante o comunque in prossimità dell’area interessata dall’intervento edilizio, senza che sia richiesta la prova di un danno specifico, essendo insito nella violazione edilizia il danno a tutti i membri della collettività che si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona.
Secondo condivisibile giurisprudenza del Consiglio di Stato, “Ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione, pur se è vero che occorre la conoscenza piena del provvedimento causativo della lesione, è anche vero che la tutela dell'amministrato non può ritenersi operante oltre ogni limite temporale ed in base ad elementi puramente esteriori, formali o estemporanei, quali, ad esempio, atti d'iniziativa di parte (richieste d'accesso, istanze, segnalazioni, etc.) di modo che l'attività dell'Amministrazione e le iniziative dei controinteressati siano soggette indefinitivamente o per tempi dilatati alla possibilità di impugnazione, anche quando l'interessato non si renda parte diligente nel far valere la pretesa entro i limiti temporali assicuratigli dalla legge” (Cons. Stato, Sez. VI n. 2439 - 28.04.2010 )
Per giurisprudenza consolidata (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. V, n. 397 dell'01.02.2009), va riconosciuta la legittimazione ad impugnare un titolo edilizio abilitante ai proprietari di immobili od abitazioni ubicate su un terreno confinante o comunque in prossimità dell’area interessata dall’intervento edilizio, senza che sia richiesta la prova di un danno specifico, essendo insito nella violazione edilizia il danno a tutti i membri della collettività che si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 14.12.2010 n. 2945 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUn'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera e il volume a essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione.
Per giurisprudenza consolidata, “Un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera e il volume a essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione” (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27.06.2006 n. 4117, 12.07.2004 n. 5039, 28.02.2001 n. 1074 e 26.11.1994 n. 1382) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 14.12.2010 n. 2945 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASebbene la fascia di rispetto della strada demaniale sia vincolata ad inedeficabilità assoluta dalla normativa vigente, il divieto di costruire su tale striscia di terreno non impedisce che essa sia computata come superficie fondiaria, ai fini del calcolo dell’indice di fabbricabilità.
In altri termini, il proprietario non può costruire sulla parte di fondo fiancheggiante la strada pubblica, ma ciò non impedisce che tale superficie debba essere presa in considerazione ai fini della determinazione della volumetria complessivamente edificabile, in quanto lo strumento urbanistico determina l’indice di fabbricabilità facendo riferimento al rapporto tra volume della costruzione e superficie del fondo, ivi compresa la parte vincolata al rispetto della sicurezza stradale.

Deve ritenersi che sebbene la fascia di rispetto della strada demaniale sia vincolata ad inedeficabilità assoluta dalla normativa vigente, il divieto di costruire su tale striscia di terreno non impedisce che essa sia computata come superficie fondiaria, ai fini del calcolo dell’indice di fabbricabilità.
In altri termini, il proprietario non può costruire sulla parte di fondo fiancheggiante la strada pubblica, ma ciò non impedisce che tale superficie debba essere presa in considerazione ai fini della determinazione della volumetria complessivamente edificabile, in quanto lo strumento urbanistico determina l’indice di fabbricabilità facendo riferimento al rapporto tra volume della costruzione e superficie del fondo, ivi compresa la parte vincolata al rispetto della sicurezza stradale
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 14.12.2010 n. 2945 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIl piano territoriale di coordinamento provinciale ha natura di atto di coordinamento e di indirizzo tipico della programmazione intermedia e non è sovraordinato al Piano Regolatore Comunale, non ponendosi il rapporto tra la pianificazione provinciale e quella comunale in termini di gerarchia.
Il Comune, se non può disattendere le prescrizioni di coordinamento dettate dagli enti (Regione o Provincia) titolari del relativo potere, può però discrezionalmente concretizzarne i contenuti
.

Si veda in merito una recente sentenza di questo TAR, sezione II (4616/2009), la cui massima così recita: “Il piano territoriale di coordinamento provinciale ha natura di atto di coordinamento e di indirizzo tipico della programmazione intermedia e non è sovraordinato al Piano Regolatore Comunale, non ponendosi il rapporto tra la pianificazione provinciale e quella comunale in termini di gerarchia. In un contesto ordinamentale in cui il principio di sussidiarietà, da un lato, e la spettanza al Comune di tutte le funzioni amministrative che riguardano il territorio comunale, dall'altro, orientano i vari livelli di pianificazione urbanistica secondo il criterio della competenza, il ruolo del Comune non può infatti essere confinato nell'ambito della mera attuazione di scelte precostituite in sede sovraordinata. Ciò comporta che il Comune, se non può disattendere le prescrizioni di coordinamento dettate dagli enti (Regione o Provincia) titolari del relativo potere, può però discrezionalmente concretizzarne i contenuti.” (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 13.12.2010 n. 7519 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 03.01.2011

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NOVITA' NEL SITO

Bottone "CONVEGNI" n. 6 giornate di studio a Bergamo per il 19-26 gennaio e 02-09-16-23 febbraio 2011 organizzate dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella locandina.
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Termine di iscrizione (solamente) on-line: sabato 15.01.2011.
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ATTENZIONE: la locandina è stata leggermente modificata relativamente alle modalità di partecipazione. Pertanto, invitiamo gli interessati -a partecipare alle giornate di studio- a scaricare nuovamente la stessa.

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: d.lgs. n. 150 del 2009 - disciplina in tema di infrazioni e sanzioni disciplinari e procedimento disciplinare - problematiche applicative (circolare 23.12.2010 n. 14/2010).

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: modifiche alla disciplina in materia di permessi per l'assistenza alle persone con disabilità - banca dati informatica presso il Dipartimento della funzione pubblica - legge 04.11.2010, n. 183, art. 24 (circolare 06.12.2010 n. 13/2010).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATAOggetto: DPR 07.09.2010 n. 160, art. 4, comma 10 - SUAP - Attestazione requisiti dei comuni (Ministero dello Sviluppo Economico, nota 23.12.2010 n. 196835 di prot.).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: La nota 21.12.2010 interpretativa di ANCI e UPI relativa a "Il conferimento di incarichi dirigenziali a termine negli Enti Locali".
Nella nota si forniscono chiarimenti in merito al conferimento degli incarichi dirigenziali a termine nelle amministrazioni locali alla luce delle novità introdotte dal D.Lgs n. 150/2009 e dei recenti orientamenti giurisprudenziali in materia (link a www.anci.lombardia.it).

EDILIZIA PRIVATA: Circolare in merito all'ambito di applicazione dell'art. 1-quater del decreto-legge n. 105/2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 129/2010.
Fonti Rinnovabili: emanata la circolare DIA.
La circolare "Salva-Dia" chiarisce alcuni aspetti applicativi dell'articolo 1-quater della legge 13.08.2010, n. 129 relativo alle procedure di autorizzazione per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili avviate mediante Denuncia di Inizio Attività (DIA).
L'articolo 1-quater è intervenuto per garantire la validità delle iniziative intraprese a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di alcune leggi regionali che prevedevano, per l'accesso alla procedura di DIA, soglie di potenza più elevate di quelle stabilite dalla normativa statale.
La circolare si riferisce a quegli impianti le cui DIA non erano ancora perfezionate alla data di pubblicazione delle sentenze della Corte Costituzionale.
L'atto del Ministero promuove così gli investimenti effettuati per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, con positive ricadute anche a livello occupazionale (Ministero dello Sviluppo Economico, nota 15.12.2010).

APPALTI: Oggetto: Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) - Art. 11-bis della legge 03.08.2009, n. 102, di conversione del decreto-legge 01.07.2009, n. 78, recante «Provvedimenti anticrisi, proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali» (Ministero dello Sviluppo Economico, nota 06.11.2009 n. 100166 di prot.).

APPALTI: Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – responsabilità solidale tra committente ed appaltatore per gli adempimenti previdenziali-assistenziali (Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, interpello 15.05.2009 n. 35/2009).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Impianti elettrici temporanei. Obbligo di dichiarazione di conformità (Ministero dell'Interno, circolare 23.03.2009 n. 1212 di prot.).

SINDACATI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOLegge di stabilità: le assunzioni negli enti locali dall'01.01.2011 (CGIL-FP, nota 31.12.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: Controriforma Brunetta: quando scatta il licenziamento disciplinare (CGIL-FP di Bergamo, nota 14.12.2009).

PUBBLICO IMPIEGO: Controriforma Brunetta: spazi e limiti della contrattazione integrativa (CGIL-FP di Bergamo, nota 14.12.2009).

PUBBLICO IMPIEGO: Controriforma Brunetta: a chi e come si applica il sistema delle fasce di merito (CGIL-FP di Bergamo, nota 09.12.2009).

PUBBLICO IMPIEGO: Controriforma Brunetta: la nuova disciplina della mobilità volontaria (CGIL-FP di Bergamo, nota 09.12.2009).

UTILITA'

ENTI LOCALI - VARI: Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia on-line.
Dall'01.01.2011 il Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia sarà disponibile solo in formato digitale sul sito www.bollettino.regione.lombardia.it. Non esisterà più la versione cartacea.
Tutte le informazioni per consultare e per utilizzare il nuovo servizio BURL completamente digitalizzato, gratuito ed accessibile sono già on-line.
Il BURL sarà in consultazione libera e accessibile con fascicoli firmati digitalmente a garanzia della validità legale di quanto pubblicato.
È prevista un'edizione quotidiana della Serie Ordinaria, caratterizzata dal numero della settimana e dal giorno di edizione; saranno eliminati i Supplementi Straordinari.
Nuove modalità per pubblicare un’inserzione.
Dall'01.01.2010 per poter pubblicare atti ed avvisi sul BURL, sarà necessario accreditarsi tramite il sito www.bollettino.regione.lombardia.it.
I Comuni, le Province, le Comunità Montane e gli Enti del sistema regionale riceveranno le credenziali di accreditamento (USER ID e Password) tramite PEC. Si raccomanda quindi il monitoraggio della casella PEC per visionare e conservare le citate credenziali.
Gli altri inserzionisti potranno inserire i loro avvisi mediante up-load, previo accreditamento, secondo le indicazioni fornite dal sistema.
L’applicativo permetterà di monitorarne l’iter.
Il sistema genererà in automatico una mail di avvenuta pubblicazione.
La pubblicazione sarà gratuita, salvo pagamento dell'imposta di bollo quando dovuta.
Tempistica.
Il termine per l'invio degli avvisi in pubblicazione (con le consuete modalità) sul BURL n. 52 del 29.12.2010, è fissato alle ore 12.00 di martedì 21.12.2010.
Per la pubblicazione sul n. 1 della Serie Avvisi e Concorsi del 05.01.2011, gli atti dovranno pervenire esclusivamente in modalità digitale dal sito www.bollettino.regione.lombardia.it, attraverso l'applicativo inserzioni, a partire da mercoledì 22 dicembre e fino a mercoledì 29.12.2010.
Informazioni.
Per ulteriori informazioni consultare il sito www.bollettino.regione.lombardia.it.

APPALTI: Subappalto, nolo, cottimo, fornitura con posa in opera: tutti i chiarimenti e gli adempimenti.
Con la Legge n. 136/2010 il Governo ha approvato il "Piano straordinario contro le mafie, nonché la delega al Governo in materia di normativa antimafia". La nuova legge ha fornito lo spunto agli autori dell'articolo "I subaffidamenti e la nuova legge antimafia" pubblicato sul sito della Direzione Provinciale del Lavoro di Modena.
Gli autori dell’articolo effettuano un’approfondita analisi di tutte le tipologie di sub-affidamenti possibili:
- subappalto;
- subappalto "a cascata";
- Fornitura con posa in opera;
- nolo a freddo;
- nolo a caldo;
- cottimo.
Per ciascuna tipologia sono illustrati i riferimenti normativi, le peculiarità, la corretta applicazione e anche alcuni possibili meccanismi utilizzati per aggirare la normativa.
L'articolo illustra inoltre gli obblighi del subappaltatore, le modalità di richiesta delle autorizzazioni e le sanzioni previste, concludendo con un approfondimento sugli obblighi introdotti dalla nuova normativa antimafia (L. 136/2010).
In particolare gli autori si soffermano su:
- Tracciabilità dei flussi finanziari (art. 3);
- Identificazione dei lavoratori (art. 5 -le tessere di riconoscimento degli addetti nei cantieri devono riportare anche la data di assunzione e, in caso di subappalto, la relativa autorizzazione);
- Identificazione dei mezzi di trasporto nei cantieri (art. 4 - la bolla di consegna del materiale impiegato nei cantieri deve indicare il numero di targa e il nominativo del proprietario degli automezzi adibiti al trasporto) (link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Le novità del Codice dell’Ambiente per i cantieri illustrate dall’ANCE.
Con il D.Lgs. 205/2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 288 del 10.12.2010, sono state apportate importanti modifiche alla Parte Quarta del Codice dell'Ambiente (D.Lgs. 152/2006).
Per quanto attiene ai cantieri BibLus-net ha già evidenziato (cfr. newsletter n. 216) che:
- in materia di terre e rocce da scavo continuano ad applicarsi le disposizioni dell'articolo 186 del D.Lgs. n. 152/2006. Si precisa, inoltre, che la procedura non si applica (art. 185, comma 1, lett. c) al “suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale scavato nel corso di attività di costruzione, riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato scavato”;
- coloro i quali intendono trasportare i propri rifiuti non pericolosi, senza aderire su base volontaria al SISTRI, a seguito delle modifiche introdotte, dovranno dotarsi di un registro di carico e scarico per ogni cantiere.
Per approfondire le principali novità per il settore delle costruzioni l'ANCE (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili) ha realizzato una nota esplicativa.
Con l'occasione BibLus-net ricorda che il testo originario del Codice ambiente è stato oggetto di consistenti modifiche attraverso quattro provvedimenti “correttivi”:
- D.Lgs 284/2006 (I correttivo) che aveva disposto la proroga dell’operatività delle Autorità di Bacino e la soppressione dell’Autorità di Vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti;
- D.Lgs. 4/2008 (II correttivo) che ha modificato la parte terza e quarta del Codice, in particolare le norme sugli scarichi idrici, la definizione di rifiuto e la disciplina delle materie prime secondarie, dei sottoprodotti e delle terre e rocce da scavo;
- D.Lgs. 128/2010 (III correttivo) che ha rivisto la parte prima (riconoscimento dello sviluppo sostenibile fra gli obiettivi della tutela dell’ambiente), la parte seconda (autorizzazioni ambientali) e quinta (nozione di impianto e di stabilimento);
- D.Lgs. 205/2010 (IV correttivo) che attua la direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti, detta le disposizioni sanzionatorie del Sistri, aggiorna la definizione di sottoprodotto e detta gli obiettivi di riciclaggio da raggiungere entro il 2020 (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

APPALTI: G.U. 29.12.2010 n. 303 "Comunicato relativo al decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207, concernente «Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”» (Decreto pubblicato nel Supplemento ordinario n. 270/L alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 288 del 10.12.2010)" (errata-corrige).

APPALTI - ENTI LOCALI - VARI: G.U. 29.12.2010 n. 303 "Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie" (D.L. 29.12.2010 n. 225).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. ord. al n. 52 del 28.12.2010, "Modifiche alla legge regionale 12.12.2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), in attuazione dell’articolo 2, comma 186-bis, della legge 23.12.2009, n. 191" (L.R. 27.12.2010 n. 21).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 52 del 28.12.2010, "Osservatorio del Commercio: Sistema Informativo Commercio – Atto ricognitivo della rilevazione dei punti di vendita effettuata con i Comuni – Sezione riguardante il commercio al dettaglio in sede fissa autorizzato al 30.06.2010" (decreto D.U.O. 13.12.2010 n. 12997).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 52 del 27.12.2010, "Disposizioni per l'attuazione della programmazione economico-finanziaria, ai sensi dell'art. 9-ter della legge regionale 31.03.1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) - Collegato 2011" (L.R. 23.12.2010 n. 19).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 27.12.2010 "Adeguamento del valore del soprassuolo stabilito con d.g.r. 675/2005" (deliberazione G.R. 15.12.2010 n. 13143).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 27.12.2010 "Pubblicazione ai sensi dell’art. 5 del Regolamento Regionale 21.01.2000, n. 1, dell’elenco dei «tecnici competenti» in acustica ambientale riconosciuti dalla Regione Lombardia alla data del 03.12.2010, in attuazione dell’art. 2, commi 6 e 7 della legge 26.10.1995, n. 447, della deliberazione 17.05.2006, n. 8/2561 e del decreto 30.05.2006, n. 5985" (comunicato regionale 16.12.2010 n. 138).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 27.12.2010 "Adeguamento delle sanzioni amministrative pecuniarie in materia di danni alle superfici boschive (art. 61, comma 14, l.r. n. 31/2008)" (deliberazione G.R. 15.12.2010 n. 984).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 28.12.2010 n. 302 "Modifiche ed integrazioni al decreto 17.12.2009, recante l’istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 22.12.2010).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

URBANISTICA: C. Cannizzo, Vincoli sostanzialmente espropriativi (link a www.diritto.it).

URBANISTICA: C. Cannizzo, Il Piano Particolareggiato (link a www.diritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: I. Franco, IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO A VENTI ANNI DALLA SUA CODIFICAZIONE - Le più recenti modifiche - Legami con il codice del processo amministrativo (link a www.giustizia-amministrativa.it).

NEWS

APPALTI: RIEPILOGO DISCIPLINA SULLA TRACCIABILITA’ DEI PAGAMENTI (link a www.ancebrescia.it).

APPALTI: NUOVO REGOLAMENTO DEI CONTRATTI PUBBLICI DPR 05/10/2010 N. 207 (link a www.ancebrescia.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: SISTRI - REGISTRI DI CARICO E SCARICO RIFIUTI – CONFERMATA LA PROROGA ALL'01.06.2011 (link a www.ancebrescia.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Consigliere senza conflitti. Non può presiedere un'istituzione servizi sociali. L'amministratore potrebbe influenzare il personale dell'ente strumentale.
È applicabile la causa di incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1, n. 1) del dlgs n. 267/2000 a un consigliere comunale che riveste anche la carica di presidente del consiglio di amministrazione dell'Istituzione servizi sociali del comune?
Nel caso in esame sussiste la causa di ineleggibilità di cui all'art. 60, comma 1, n. 11) del Tuel, in quanto tra le istituzioni di cui all'114 del Tuel e il comune non sussiste solo un rapporto di vigilanza, bensì di vera e propria dipendenza, come ritenuto dalla giurisprudenza in materia; l'Istituzione, ente strumentale dell'ente locale per l'esercizio dei servizi sociali, dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto approvato dal consiglio comunale, ha, infatti, l'obbligo di adempiere i compiti che le vengono affidati.
La ratio della disposizione è evidente, in quanto il presidente di un ente dipendente dal comune, al pari degli impiegati «con poteri di organizzazione e coordinamento del personale», è ineleggibile alla carica di consigliere comunale proprio in considerazione dell'influenza che può esercitare sul personale dell'ente, costituito per la quasi totalità da elettori.
Tenuto conto del rapporto di dipendenza dal comune, valgono per il caso in esame le stesse considerazioni che la giurisprudenza ha formulato per le aziende speciali; in particolare per quanto riguarda l'applicabilità dell'art. 60, comma 1, n. 11 del Tuel (cfr. Cass. civ., sez. I, 16/07/2005, n. 15105) ai membri dei consigli di amministrazione delle aziende stesse, in quanto l'azienda speciale è ente strumentale del comune che l'ha istituita ed esercita su di essa poteri di direzione e controllo, ne determina le finalità e gli indirizzi, rimuove dall'incarico i membri del consiglio di amministrazione attraverso i poteri attribuiti al sindaco.
Alla luce della definizione di ente dipendente da ultimo precisata, la giurisprudenza costante della Cassazione (a partire dalla sentenza n. 5524/1984, e proseguendo con le sentenze nn. 5594/1987 e n. 1808/1990) ha ritenuto che gli amministratori delle aziende speciali siano ineleggibili alla carica di sindaco o di consigliere del comune da cui l'azienda dipende.
Tale rapporto di dipendenza si viene a creare, anche nei confronti delle istituzioni, tenuto conto che l'art. 114 del Tuel disciplina aziende speciali e istituzioni, con la conseguente applicabilità della causa di ineleggibilità di cui all'art. 60 del dlgs n. 267/2000, comma 1, n. 11) anche al caso in questione.
In definitiva, essendo l'istituzione ente dipendente del comune, il suo presidente è ineleggibile ai sensi dell'art. 60, comma 1, n. 11) del dlgs. n. 267/2000.
Tuttavia il comune, in considerazione dell'esigenza di esercitare in modo più diretto il controllo sull'Istituzione, può prevedere, nell'ambito della propria autonomia statutaria, che non costituiscano cause di ineleggibilità o di incompatibilità gli incarichi conferiti ad amministratori del comune presso la società in questione (cfr. art. 67 del dlgs n. 267/2000) (articolo ItaliaOggi del 31.12.2010).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Permessi e rimborso oneri.
La disciplina dei permessi e del conseguente rimborso degli oneri, recata dagli art. 79 e 80 del decreto legislativo n. 267/2000, è estensibile anche agli amministratori di un'università agraria, ente pubblico non economico?

L'art. 77 del citato T.u. menziona gli istituti dei quali l'amministratore può avvalersi per evitare che il sottrarre tempo all'attività lavorativa possa turbare lo svolgimento delle funzioni pubbliche.
In particolare vengono riconosciute l'aspettativa e la fruizione dei permessi cui il lavoratore dipendente può ricorrere, e il regime delle indennità che consente all'amministratore di far fronte alle responsabilità e all'impiego richiesti.
Queste prerogative sono previste dal legislatore anche in favore di coloro che ricoprono cariche pubbliche locali non in conseguenza di un'investitura elettorale diretta, ma a seguito di successiva nomina (assessori) o di elezioni di secondo grado (consiglieri di comunità montane o consorzi), come viene confermato dalla successiva elencazione degli amministratori locali, tra i quali non figurano gli amministratori dell'Università agraria. Avendo il legislatore fornito una indicazione dettagliata e puntuale dei destinatari, ampliandola rispetto alla legge 816/1985, questa deve intendersi tassativa e non suscettibile di estensione in via analogica a quelle categorie di amministratori non espressamente contemplate, anche in considerazione dell'incidenza che le conseguenti spese hanno sul bilancio dell'ente.
Pertanto è da escludere l'attribuibilità, ai consiglieri e agli assessori in carica presso tale ente, del beneficio dei permessi previsto dall'art. 79 del decreto legislativo n. 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 31.12.2010).

PUBBLICO IMPIEGOP.a., niente paletti alle progressioni orizzontali.
Il blocco della carriera per i dipendenti pubblici, previsto dall'articolo 9, comma 21, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010, vale solo per i concorsi pubblici con riserva di posti (che hanno sostituito le progressioni verticali) e non per le progressioni orizzontali.
Il contenuto dell'ultimo paragrafo del citato articolo 9, comma 21, sta traendo in inganno molti operatori e interpreti: «Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate e i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici». Se è chiara la conseguenza della norma, cioè non consentire un incremento stipendiale, limitando il beneficio ai soli effetti giuridici, equivoca in apparenza appare la sua portata oggettiva.
Ciò che trae in inganno è il riferimento alle «progressioni di carriera» e, soprattutto, l'ulteriore specificazione «comunque denominate». Infatti, c'è chi trae la conclusione secondo la quale nelle progressioni comunque denominate possano rientrare anche quelle orizzontali.
Le cose non stanno così.
A seguito della novellazione all'articolo 52, comma 1-bis, del dlgs 165/2001, operata dalla riforma-Brunetta, e dell'articolo 24 della riforma medesima il concetto di «progressione di carriera» è ormai chiaro: si tratta solo ed esclusivamente dei concorsi pubblici con riserva di posti non superiore al 50%, che, nonostante l'ultimo colpo di coda del Tar Umbria, hanno definitivamente soppiantato le progressioni verticali già a partire dallo scorso 1° gennaio 2010. D'altra parte, a ben riflettere, solo in questo caso potrebbero esservi effetti «giuridici» ma non economici. Solo la progressione di carriera, consistente nell'ascesa a una categoria o area (a seconda del comparto) superiore implica un effetto giuridico, consistente nel cambio di mansioni e profilo. La progressione orizzontale ha solo ed esclusivamente, invece, effetti economici: il profilo, la categoria, la mansione restano identici.
Occorre precisare, tuttavia, che le progressioni orizzontali di fatto dal 2011 al 2013 sono bloccate, per effetto del comma 1 dell'articolo 9 della manovra estiva. Restano in piedi tutti i dubbi di incostituzionalità. Basti pensare a questo paradosso: un dipendente che partecipi come riservatario a un concorso pubblico con riserva indetto dal proprio ente, se lo vince fino al 2013 dovrà svolgere una mansione superiore, ma rimanendo inchiodato al precedente trattamento economico. Quello stesso dipendente se partecipasse al medesimo concorso, indetto senza la riserva, e lo vincesse, avrebbe diritto al maggiore trattamento economico (articolo ItaliaOggi del 31.12.2010).

ENTI LOCALI - VARIComuni migliori amici dei cani. Un modello di ordinanza per rendere le città a misura d'animale. Il ministro Brambilla ha firmato un'intesa con l'Anci per potenziare l'offerta turistica «dog friendly».
I cani potranno accompagnare il padrone in qualsiasi luogo pubblico con le dovute cautele di sicurezza e igiene. Ma solo nei comuni che adotteranno il modello di ordinanza proposto dal ministro Michela Vittoria Brambilla in collaborazione con l'Anci.
Il ministro ha sottoscritto un accordo con l'Associazione dei comuni per lo sviluppo dell'offerta turistica per quanti viaggiano con animali al seguito. I comuni più virtuosi potranno avvalersi di un logo originale che evidenzierà la particolare sensibilità locale verso gli amici dell'uomo. Spetterà ai singoli municipi organizzare percorsi virtuosi di segnaletica e offrire adeguati servizi e incentivi a chi vive e viaggia con animali da compagnia.
Il modello di ordinanza predisposto con l'Anci valorizza questi obiettivi liberalizzando l'accesso dei cani in tutti i luoghi pubblici o aperti al pubblico, compresi giardini e parchi. Naturalmente gli animali dovranno essere tenuti obbligatoriamente al guinzaglio, anche con l'apposita museruola.
Libero accesso degli animali anche nei pubblici esercizi con eccezione solo per gli autorizzati, per motivi di sanità ed igiene. Mentre resterà sempre vietato l'accesso degli animali nei luoghi sensibili come ospedali, asili e scuole ... (articolo ItaliaOggi del 31.12.2010).

APPALTICodice appalti, 2010 anno del fare. Da risolvere la disciplina sulle opere superspecialistiche.
Approvato il nuovo regolamento del Codice dei contratti pubblici, il 2011 vedrà il governo impegnato nell'approvazione di ulteriori modifiche al Codice dei contratti pubblici, ma anche nel tentativo di risolvere la partita sulle opere superspecialistiche e di introdurre il divieto di arbitrato; dovranno inoltre essere definite alcune discipline di dettaglio come quella sui requisiti per la validazione dei progetti.
È così che si chiude il 2010 e si apre il 2011, con il governo che ha finalmente portato a termine il lungo lavoro di messa a punto del regolamento attuativo del. Codice.
Nuovo regolamento del Codice dei contratti pubblici.
E questo infatti il risultato più importante raggiunto dopo tre anni di iter tribolato del provvedimento. Il dpr 05.10.2010, n. 207 entrerà in vigore l'08.06.2011, tranne le norme sulle sanzioni per le Soa entrate in vigore in questi giorni.
Il corposo testo, che sostituirà, fra gli altri, il dpr 554/1999 (regolamento della legge Merloni) e il dpr 34/2000, ha molte novità al suo interno fra cui il performance bond (la garanzia globale di esecuzione), la nuova disciplina sulla validazione, i nuovi requisiti di qualificazione, la nuova disciplina sugli affidamenti di servizi di ingegneria e architettura (con i limiti ai ribassi) e sui collaudi. E' rimasta incompiuta la disciplina sulla qualificazione per le opere superspecialistiche e proprio questa sarà una delle possibili patate bollenti sulla scrivania del ministro Matteoli già ad inizio anno.
Ci saranno poi da definire le norme attuative per l'accreditamento dei soggetti valida tori dei progetti, anche questa una normativa particolarmente delicata ... (articolo ItaliaOggi del 29.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOAssunzioni in libertà nei piccoli comuni. Legge di stabilità: niente limite del 20%.
La legge di stabilità per il 2011 fornisce la prova definitiva che gli enti non oggetti al patto di stabilità non incontrano il limite alle assunzioni del 20% del costo delle cessazioni dell'anno precedente.
Ai sensi dell'articolo 76, comma 7, novellato dalla manovra estiva 2010, della legge 133/2008 «è fatto divieto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente».
Sul limite del 20 per cento si registra una spaccatura interpretativa, sia in letteratura, sia tra le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. In particolare, la sezione Piemonte insiste nel ritenere che tale limite del 20% riguardi anche gli enti non soggetti al patto.
Le sezioni Lombardia, Veneto e, da ultimo, Toscana (parere 17.11.2010, n. 160) affermano il contrario. Esistono già semplicemente a guardare l'articolo 14 della legge 122/2010 fortissime motivazioni tali da privare di pregio la teoria secondo la quale gli enti non soggetti al patto sarebbero vincolati al limite del 20% del costo delle cessazioni.
Basti evidenziare che la norma è posta a salvaguardia del patto di stabilità e che il legislatore ha modificato, ma non soppresso, l'articolo 1, comma 562, della legge 296/2006, per capire come il limite di spesa del 20% delle cessazione sia disposizione finalizzata esclusivamente al rispetto del patto e, dunque, priva di qualsiasi ... (articolo ItaliaOggi del 29.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOSenza quote i dirigenti locali a termine. Municipi e province. Le indicazioni di Anci e Upi.
La riforma del pubblico impiego ha fissato un tetto agli incarichi dirigenziali a termine (10% nell'organico di prima fascia, 8% nella seconda fascia), ma la regola non è applicabile agli enti locali. Per loro continua a valere quanto previsto dal testo unico (articolo 110 del DLgs 267/2000), che non indica un tetto agli incarichi.
Lo sostengono Anci e Upi, che hanno diffuso una nota su un tema che ha impegnato, con alterne vicende, tutti gli interpreti.
La Corte costituzionale, che ha dedicato alla norma la sentenza 324/2010, non si è espressa sull'applicabilità del limite, e le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti si sono divise: Veneto (delibera 231/2010) e Puglia (44/2010) hanno detto che il nuovo limite cancella le precedenti discipline speciali degli enti locali, che di conseguenza si devono uniformare.
La Lombardia (308/2010) è di parere opposto, e sostiene che la riforma riguarda direttamente le amministrazioni statali, mentre «trova necessariamente il proprio limite nell'autonomia statutaria e regolamentare costituzionalmente garantite alle autonomie locali».
Chi cerca una posizione mediana la trova in Piemonte: secondo i magistrati contabili piemontesi (75/2010) la norma si applica in via indiretta, nel senso che i comuni e le province devono adeguare i propri statuti e i regolamenti. Per esserne certi, però, hanno chiesto lumi alle sezioni Riunite, che si devono ancora pronunciare.
I tecnici di Anci e Upi partono dà questo panorama frastagliato per constatare che «un orientamento ... (articolo Il Sole 24 Ore del 29.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa firma digitale fissa il valore del documento. Informatica e Pa. Il nuovo codice.
La neutralità tecnologica come principio base per riconoscere efficacia probatoria al documento informatico e alle sue copie e duplicati: il nuovo Codice dell'amministrazione digitale (Cad), approvato in via definitiva il 22 dicembre, riorganizza interamente la disciplina tenendo conto degli sviluppi tecnologici e delle mutate esigenze operative che richiedono strumenti più flessibili ed agili.
Il documento informatico non sottoscritto digitalmente diviene così liberamente valutabile in giudizio. Efficacia probatoria paria quella della scrittura privata, ai soli sensi dell'articolo 2702 del codice civile, gli viene tuttavia riconosciuta quando viene sottoscritto non solo con firma elettronica qualificata o digitale ma anche con firma elettronica avanzata.
Gli atti di costituzione e trasferimento dei diritti reali immobiliari (articolo 1350 del codice civile) devono essere invece obbligatoriamente sottoscritti, a pena di nullità, con firma qualificata o digitale. Ulteriori semplificazioni riguardano le copie, analogiche ed informatiche, e per i duplicati di un documento informatico cui è riconosciuto il medesimo valore probatorio dell'originale informatico da cui sono tratti.
In base al principio di neutralità tecnologica, le caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità del documento informatico ne determinano il relativo valore probatorio e la connessa idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta. Una firma elettronica avanzata, qualificata o digitale apposta al documento informatico ne potenzia comunque l'efficacia probatoria, costituendo piena prova sino a querela di falso.
Se si tratta invece di documenti contenenti scritture private di cui all'articolo 1350 del codice civile, per i quali è richiesta obbligatoriamente la forma scritta, è necessaria l'apposizione di una firma qualificata o digitale non essendo sufficiente la firma elettronica avanzata. L'articolo 23-bis del nuovo ... (articolo Il Sole 24 Ore del 29.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOTutte le novità delle pensioni 2011 per contributi, assegni e «finestre».
La previdenza è un cantiere sempre aperto. Anche quando il legislatore non interviene con riforme strutturali la materia subisce aggiustamenti continui perché il traguardo della sostenibilità complessiva del sistema non è ancora stato raggiunto.
In gennaio entrano in vigore alcune innovazioni introdotte negli ultimi anni, con il protocollo del welfare (la legge 247/2007) e con la manovra anticrisi del maggio scorso (decreto legge 78/2010). Vediamo cosa cambia. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 29.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOPoteri disciplinari anche a funzionari e dirigenti a tempo. Pa. Istruzioni della Funzione pubblica.
Il codice disciplinare dei dipendenti pubblici scritto dalla riforma Brunetta del 2009 aumenta compiti e responsabilità dei dirigenti, ma la loro funzione di giudici si estende anche fuori dai confini dell'organico dirigenziale vero e proprio.
Lo spiega la Funzione pubblica, che nella circolare 23.12.2010 n. 14/2010 detta le chiavi interpretative per le nuove procedure che sanzionane i comportamenti irregolari negli uffici pubblici.
Per le infrazioni «di minore gravità», cioè quelle che producono sanzioni inferiori alla sospensione dal servizio senza stipendio per 10 giorni, il procedimento può essere nelle mani anche dei titolari di incarichi dirigenziali a tempo, e paradossalmente i comportamenti più gravi possono finire anche sul tavolo di chi è del tutto privo di qualifiche dirigenziali.
Le infrazioni più problematiche sono infatti affidate all'ufficio dei procedimenti disciplinari che però, spiegano le istruzioni di palazzo Vidoni, non è necessariamente un ufficio a sé; le sue competenze possono essere svolte «anche nell'ambito di una struttura deputata a più ampie attribuzioni», chiarisce la circolare, e l'individuazione del titolare di questi compiti «è rimessa alla discrezionalità organizzativa di ogni amministrazione».
Qui sta il punto: soprattutto negli enti locali più piccoli (5.691 comuni, il 70% del totale, non arrivano a 5mila abitanti) è possibile ... (articolo Il Sole 24 Ore del 28.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOProgressioni vietate. Subito. Non regge la tesi della moratoria fino al 2011. Secondo il TAR Umbria le promozioni sarebbero ancora per pochi giorni legittime.
Progressioni verticali legittime fino al 31.12.2010. Ma si tratta di una svista evidente. Secondo il TAR Umbria, Sez. I, sentenza 15.12.2010 n. 536, legittimamente regioni ed enti locali avrebbero potuto effettuare progressioni verticali per tutto il 2010.
La sentenza riapre per l'ennesima volta una questione ormai da considerare ampiamente chiusa, dopo le molteplici ed uniformi deliberazioni delle sezioni regionali della Corte dei conti, della sezione autonomie, la chiarificatrice decisione del Tar Calabria, 23.08.2010, n. 914 e la sentenza della Corte costituzionale 03.05.2010 n. 169, tutte coerentemente di segno opposto alla teoria, largamente minoritaria e pacificamente non condivisibile, espressa ora dal Tar Umbria.
Detto Tar nella sentenza riprende argomentazioni ormai superate, per ridare vigore alla tesi della sussistenza di un «diritto transitorio», vigente nel 2010, entro il quale le progressioni verticali sarebbero legittime. La sentenza ancora si fonda sull'articolo 31, comma 4, del dlgs 150/2009, ai sensi del quale «nelle more dell'adeguamento di cui al comma 1, da attuarsi entro il 31.12.2010, negli ordinamenti delle regioni e degli enti locali si applicano le disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto; decorso il termine fissato per l'adeguamento si applicano le disposizioni previste nel presente titolo fino alla data di emanazione della disciplina regionale e locale».
Per il collegio umbro, tali previsioni andrebbero lette nel senso che la nuova disciplina delle progressioni di carriera, introdotta dalla riforma Brunetta si applicherebbe a regioni ed enti locali «a partire dall'01.01.2011, termine entro il quale dette amministrazioni dovranno adeguare i rispettivi ordinamenti conformemente ai principi stabiliti dal decreto delegato».
La prova di ciò risiederebbe nella circostanza che l'articolo ... (articolo ItaliaOggi del 28.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOTar Umbria. Progressioni verticali. Promozioni: stop a partire dal 2011.
La partita delle progressioni orizzontali non si è ancora conclusa. Una recente sentenza del Tar Umbria dà l'opportunità di tirare le somme sull'istituto. L'entrata in vigore del Dlgs 150/2009 sembrava aver definitivamente tolto ogni possibilità di facile passaggio di categoria: le progressioni sono di fatto ora possibili solo tramite concorso, con possibile riserva del 50% agli interni con conseguente necessità di possedere i titoli di studio richiesti per l'accesso dall'esterno.
Sull'effettiva decorrenza delle nuove regole c'è stata molta confusione. Lo stesso legislatore ha previsto infatti la nuova disposizione in un articolo di modifica al DLgs 165/2001, ma allo stesso tempo sembra aver previsto all'articolo 24 della riforma Brunetta uno slittamento al 31.12.2010 perle autonomie locali.
In una corsa al foto-finish diversi comuni e province hanno quindi adottato negli ultimi giorni del 2009 modifiche al proprio fabbisogno di personale nella speranza di procedere in tempo con progressioni riservate tutte agli interni.
E qui iniziano i problemi. A livello interpretativo infatti si sono succedute tutta una serie di deliberazioni spesso discordanti tra le sezioni regionali della Corte dei conti. Mentre, secondo l'Anci, il 15.11.2009 (data di entrata ... (articolo Il Sole 24 Ore del 27.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Comuni indietro sulla valutazione. Al via in poche città i nuovi organismi indipendenti di giudizio sulle performance. Il primo bilancio a fine anno mostra che i municipi restano ancora refrattari alla riforma Brunetta.
L'obiettivo è adeguarsi entro il 2010. Ma a pochi giorni dal tempo massimo fissato dal legislatore per allinearsi al Dlgs 150/2009, la delibera n. 121/2010 della Civit apre diverse problematiche.
Tra tutte il profilo 6 sugli «organismi indipendenti di valutazione». È lasciata alla discrezionalità del singolo comune la scelta di costruire o meno l'organismo indipendente di valutazione (Oiv). Trascurando la "virtuosità" di molti comuni che hanno già modificato i propri regolamenti e, nell'ambito della definizione di un sistema di valutazione e misurazione delle performance, hanno attivato l'Oiv seguendo i principi fondanti del Dlgs Brunetta (in questo senso si è mossa di recente Reggio Emilia), una ricerca condotta su un campione di 101 comuni italiani capoluogo di provincia (escluse le province autonome) dimostra quanto anche prima della delibera 121 gli enti sono stati refrattari alla riforma.
Il 18% degli enti coinvolti ha attivato l'Oiv e il 29% si propone di attuarlo a breve. Un dato importante è la quota di comuni in cui l'Oiv è in corso la predisposizione (54%) e che rischiano una "battuta di arresto". Nei pochissimi comuni che hanno già istituito l'Oiv si evidenzia, ancorché non obbligati, un allineamento ai contenuti delle direttive della Civit emanate prima della 121.
La tipologia di struttura del nuovo organismo più appropriata, che gli enti stessi individuano, è quella collegiale (81%), costituita nella maggior parte dei casi sia da membri interni sia esterni (con struttura mista 43,5%). Il 19% non ha ancora deciso la struttura comunque nessuno prevede l'organo monocratico.
Il numero di componenti negli organi collegiali varia tra 2 (La Spezia) e 5 (Pescara). Mediamente l'organo di valutazione è ... (articolo Il Sole 24 Ore del 27.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOSenza dirigenti il fondo "perde" la produttività.
Il fondo per le risorse decentrate, negli enti privi di dirigenza, deve essere ulteriormente ridotto del salario di produttività spettante al personale nominato titolare di posizione organizzativa.
La questione, che spesso ha comportato contrapposizioni in sede di contrattazione decentrata, è stata affrontata e chiarita dalla Corte dei conti Lombardia, parere 1037/2010, secondo la quale la quota parte del salario di produttività in precedenza spettante al titolare di posizione organizzativa non potrà essere distribuita fra gli altri dipendenti ma costituirà un'economia comportando una riduzione del fondo.
La ferma presa di posizione della magistratura contabile era già stata oggetto di chiarimenti da parte dell'Aran (parere n. 499-15B3) sin dall'applicazione del Ccnl 01.04.1999.
Secondo l'Agenzia, a seguito dell'affidamento delle posizioni organizzative e della attribuzione della relativa retribuzione di posizione, il fondo dell'articolo 15 del Ccnl dell'01.04.1999 deve essere decurtato della quota delle risorse prima destinate al pagamento dei compensi per il salario accessorio del personale interessato.
Forti di tale parere, gli ispettori della Ragioneria dello stato, in sede di verifica, hanno sempre censurato comportamenti difformi. Le organizzazioni sindacali, pur non essendo materia demandata alla contrattazione decentrata, non hanno mai condiviso l'orientamento Aran in considerazione del fatto che nel contratto collettivo nazione non è presente una specifica disposizione in tal senso.
Il vuoto normativo ha quindi determinato comportamenti differenziati da parte delle amministrazioni. L'interpretazione La Corte dei conti abbraccia la tesi datoriale che non consente di destinare ai rimanenti dipendenti la quota di salario accessorio non attribuita alle posizioni organizzative, per le quali la retribuzione di posizione e risultato vengono finanziate con risorse di bilancio. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 27.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOGli incentivi autofinanziati non sono spese di personale. Parere della Corte conti Lombardia esclude i bonus per i condoni.
Esclusi dalle spese di personale gli incentivi autofinanziati, come i corrispettivi per l'espletamento delle pratiche di condono edilizio.
Il parere 10.12.2010 n. 1046 della Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Lombardia, è una buona notizia per gli enti locali, in quanto potrebbe dirimere una serie di questioni estremamente delicate sul tema ancora nebuloso della concreta determinazione della nozione di «spese di personale». Tale concetto è in particolare indicato nell'articolo 1, commi 557 e seguenti, della legge 296/2006, ma manca un'elencazione precisa e dettagliata di tali tipologie di spesa nella legge.
L'articolo 1, comma 557-bis, della citata legge 296/2006 contiene un elenco estremamente lacunoso: solo la circolare della Ragioneria generale dello stato 9/2006 si è spinta più in là, nel tentativo di dettagliare in maniera più chiara quali spese siano da considerare di personale e quali no. Le incertezze, tuttavia, restano perché la circolare ha una funzione solo interpretativa e le chiavi di lettura sulla questione sono molteplici.
Solo di recente, grazie all'intervento della sezione autonomie della Corte dei conti (delibera 09.11.2009, n. 16), si è preso atto della necessità di escludere dal computo delle spese di personale i diritti di rogito dei segretari comunali e provinciali, i compensi per l'accertamento dell'evasione dall'Ici e gli incentivi per le progettazioni.
Proprio a partire dalle indicazioni della sezione autonomie, la sezione Lombardia afferma un principio estremamente importante: la categoria della spesa di personale non deve essere individuata sulla base della semplice circostanza che una certa somma di denaro venga assegnata dall'ente ai propri dipendenti. Occorre, invece, verificare sia la natura della specifica voce di spesa, sia l'impatto che tale spesa può avere nella gestione finanziaria.
La conclusione, allora, è coerente con la premessa. Le spese che si autoalimentano non vanno incluse nel concetto di spese di personale. Nel caso di specie, l'incentivo per i condoni, disciplinato dall'articolo 32 della legge 326/2003, è finanziato dagli oneri a carico dei soggetti interessati e, oltretutto, riguarda attività da svolgere necessariamente al di fuori dell'orario di lavoro.
Sembra, tuttavia, acclarabile per effetto del parere della sezione Lombardia che tutte le tipologie di spesa non aventi impatti negativi sul bilancio vadano escluse dai tetti della spesa di personale, sia all'effetto di valutarne la dimensione assoluta sia ai fini del rapporto con le spese correnti, che dal 2011 non potrà essere superiore al 40%.
Pare corretto, allora, sostenere che siano da escludere le spese di personale finanziate dall'Unione europea e da soggetti privati (per esempio, per sponsorizzazioni o iniziative finanziate da fondazioni bancarie) esattamente per la medesima motivazione: si tratta di somme prive di impatto per il bilancio, alimentate dall'esterno. Ulteriore conseguenza dell'esclusione dal novero delle spese di personale di quelle autoalimentate o comunque finanziate è l'ulteriore loro esclusione dagli effetti dell'articolo 9, comma 2-bis del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010.
Tale disposizione prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31.12.2013 l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale non possa superare il corrispondente importo dell'anno 2010 vada, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio.
Nel computo delle risorse «destinate annualmente al trattamento accessorio», allora, non debbono confluire le tipologie di spesa autoalimentate o finanziate così da non determinare impatti negativi (articolo ItaliaOggi del 31.12.2010 - tratto da www.corteconti.it).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

LAVORI PUBBLICI: Consultazioni on-line. Avviata una consultazione sulla realizzazione di infrastrutture e finanza di progetto.
In vista dell’audizione che si terrà presso l'Autorità il 26.01.2011 con gli operatori del settore, è stata avviata una consultazione on-line sulle problematiche per la realizzazione di infrastrutture strategiche mediante l’istituto della finanza di progetto e contraente generale (comunicato 27.12.2010 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATARisulta illegittima la deliberazione di Giunta Comunale con la quale si è inteso imporre sull’intero territorio comunale l’obbligo di realizzazione di linee elettriche interrate, rimettendo alla discrezionale scelta (dapprima della Giunta e successivamente) del Responsabile dell’Ufficio tecnico l’eventuale deroga a tale previsione.
Invero, la determinazione dell’Amministrazione comunale pare configurarsi come una preventiva e generalizzata opposizione alla realizzazione di linee aeree per i nuovi impianti e una richiesta (“incentivare e promuovere”) di sostituzione di quelli già esistenti con linee interrate risultano violati i canoni di proporzionalità e ragionevolezza, posto che la misura è assai penalizzante per il gestore della rete sia in fase realizzativa sia in fase manutentiva.

Attraverso le delibere impugnate si è, infatti, inteso imporre sull’intero territorio comunale l’obbligo di realizzazione di linee elettriche interrate, rimettendo alla discrezionale scelta (dapprima della Giunta e successivamente) del Responsabile dell’Ufficio tecnico l’eventuale deroga a tale previsione, ma l’Amministrazione comunale non possiede siffatto potere.
Invero, la L.R. 16.08.1982 n. 52 –che detta “Norme in materia di opere concernenti linee ed impianti elettrici fino a 150.000 Volt”– configura un quadro nell’ambito del quale il rilascio delle autorizzazioni alla Regione (art. 4), mentre alla Amministrazioni comunali -in forza di quanto disposto dagli artt. 2 e 3- è attribuito esclusivamente il potere di proporre sul progetto presentato dai richiedenti le proprie osservazioni ed opposizioni.
La determinazione dell’Amministrazione comunale di Gorno pare configurarsi invece come una preventiva e generalizzata opposizione alla realizzazione di linee aeree per i nuovi impianti e una richiesta (“incentivare e promuovere”) di sostituzione di quelli già esistenti con linee interrate.
Quand’anche l’espressione di una determinazione generale, in luogo della disamina delle singole richieste, dovesse considerarsi legittima (ma si pone invece in palese contrasto con la procedura disegnata dalla cit. L.R. n. 52/1982), risultano pur sempre violati i canoni di proporzionalità e ragionevolezza, posto che la misura è, come evidenziato dalla ricorrente, assai penalizzante per il gestore della rete sia in fase realizzativa sia in fase manutentiva.
Inoltre, la scelta dell’Amministrazione risulta giustificata dalla sola osservazione che “tali manufatti risultano spesse volte di notevole impatto, sia visivo che ambientale”, con la conseguenza che la motivazione risulta comunque contraddittoria e carente laddove non spiega per quale motivo il divieto debba riguardare l’intero territorio e non specifici ambiti da tutelare.
Dunque, erroneamente ed illogicamente l’Amministrazione comunale ha ritenuto di assumere una determinazione di ordine generale, invece di valutare volta per volta la specifica richiesta di autorizzazione.
Quanto alla richiesta di sostituzione delle linee aeree esistenti, ove la stessa non debba interpretarsi come una mera espressione di un “indirizzo politico”, va rilevata la carenza di base normativa all’esercizio di un siffatto potere in capo al Comune (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 29.12.2010 n. 4983 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Requisiti di partecipazione - Fusioni, incorporazioni, cessioni di ramo d’azienda - Utilizzo dei requisiti tecnici e professionali delle imprese cedute - Appalti di servizi - Applicabilità.
Costituisce principio generale che l'impresa che partecipa ad una gara d'appalto può avvalersi dei requisiti posseduti dalle imprese cedenti. Invero, la ragione delle operazioni di fusione, incorporazione, cessioni di ramo d'azienda ed operazioni similari consiste proprio nella possibilità, per la società acquirente, di utilizzare i requisiti tecnici e professionali propri delle imprese cedute.
Tale principio, che trova un addentellato normativo nella disciplina sugli appalti di lavori pubblici, attesa la sua portata generale deve ritenersi applicabile anche nel settore degli appalti di servizi (cfr. TAR Campania Napoli, sez. I, 21.03.2006, n. 3108).
Iscrizione di dati nel casellario informatico presso l’autorità di vigilanza - Avviso di avvio del procedimento - Obbligo.
Dell'eventuale avvio del procedimento di iscrizione di dati nel casellario informatico presso l'Autorità di vigilanza deve essere notiziato l'interessato, anche quando la trasmissione di atti al casellario, da parte delle stazioni appaltanti, è dovuta in adempimento di disposizioni di legge, attese le conseguenze rilevanti che derivano da tale iscrizione e l'indubbio interesse del soggetto all'esattezza delle iscrizioni, salva l’ipotesi di atti informativi equipollenti (C.d.S., Sez. VI, sentenza n. 3754 del 15.06.2010) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 27.12.2010 n. 28051 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Cemento armato - Provvedimento di sospensione dei lavori per violazione dell’art. 4 L. n. 1086/1971 - Istanza di sanatoria ex art. 13 L. n. 47/1985 - Sospensione dell’efficacia - Inidoneità.
La sospensione dei lavori disposta ai sensi dell’art. 12 della legge 1086/1971, per violazione dell’art. 4 della medesima legge (applicabile anche alle varianti in corso d’opera, ai sensi del comma 5 del medesimo art. 4) mira a salvaguardare la pubblica incolumità (cfr. Cassazione penale , sez. III, 03.06.2004, n. 36093).
Pertanto la presentazione dell’istanza di sanatoria ex art. 13 legge 47/1985, finalizzata a sanare l’abuso, non è idonea ad incidere sull’efficacia del provvedimento di sospensione dei lavori (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 27.12.2010 n. 28036 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Requisiti di capacità tecnica e professionale - Stazione appaltante - Natura, quantità e uso delle forniture o dei servizi - Elenco tipologico contenuto nell’art. 42 d.lgs. n. 163/2006 - Successiva specificazione in sede di bando - Principi di ragionevolezza, proporzionalità e logicità.
I requisiti di capacità tecnica e professionale sono stabiliti dalle stazioni appaltanti in ragione della natura, della quantità o dell'importanza e dell'uso delle forniture o dei servizi e, dunque, l’elenco tipologico contenuto nell’art. 42 del d.lgs. 163/2006 presuppone una successiva specificazione in sede di bando e disciplinare in funzione delle esigenze del singolo appalto, fermo restando il rispetto del principio di ragionevolezza, logicità e proporzionalità rispetto all’oggetto dell’affidamento (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 27.12.2010 n. 28018 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla dichiarazione ex art. 38 d.lgs. n. 163/2006 e sulla valutazione della gravità del reato.
Per giurisprudenza ormai consolidata, in tema di esclusione dalla gara per l'affidamento di appalti pubblici, l'art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 costituisce presidio dell'interesse dell'Amministrazione di non contrarre obbligazioni con soggetti che non garantiscano adeguata moralità professionale; presupposti perché l'esclusione consegua alla condanna sono la gravità del reato e il riflesso dello stesso sulla moralità professionale. La gravità del reato deve, quindi, essere valutata in relazione a quest'ultimo elemento e il contenuto del contratto oggetto della gara assume allora importanza fondamentale al fine di apprezzare il grado di moralità professionale del singolo concorrente.
In altri termini la "gravità" del reato, nell'accezione voluta dal legislatore del codice dei contratti con il citato art. 38, è un concetto giuridico a contenuto indeterminato, da valutarsi necessariamente non soltanto in sé e per sé, ma di volta in volta con riferimento ad una serie di parametri quali la maggiore o minore connessione con l'oggetto dell'appalto, il lasso di tempo intercorso dalla condanna, l'eventuale mancanza di recidiva, le ragioni in base alle quali il giudice penale ha commisurato in modo più o meno lieve la pena.
Ai sensi dell'art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, il potere di stabilire quali reati siano da indicare nella dichiarazione attestante il possesso dei requisiti richiesti per l'ammissione alla gara, in quanto possano incidere, per la loro gravità, sulla sua moralità professionale spetta al dichiarante con la conseguenza che, essendo tale valutazione rimessa alla stazione appaltante solo in sede di eventuale controllo, il concorrente può legittimamente non fare menzione dei precedenti penali non risultanti dal certificato del casellario giudiziale e da lui ritenuti non idonei a compromettere, secondo l'id quod plerumque accidit, la sua moralità professionale; pertanto va escluso che possa qualificarsi come "falsa" dichiarazione quella contenente una valutazione soggettiva del concorrente stesso, che potrebbe semmai non essere condivisa, ma non certo determinarne l'esclusione dalla gara (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 27.12.2010 n. 7715 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Dichiarazione ex art. 38 d.lgs. n. 163/2006 - Gravità del reato - Concetto a contenuto indeterminato.
La “gravità” del reato, nell’accezione voluta dal legislatore del codice dei contratti con l’art. 38, è un concetto giuridico a contenuto indeterminato, da valutarsi necessariamente non soltanto in sé e per sé, ma di volta in volta con riferimento ad una serie di parametri quali la maggiore o minore connessione con l’oggetto dell’appalto, il lasso di tempo intercorso dalla condanna, l’eventuale mancanza di recidiva, le ragioni in base alle quali il giudice penale ha commisurato in modo più o meno lieve la pena.
Dichiarazione ex art. 38 d.lgs. n. 163/2006 - Reati non idonei ad incidere sulla moralità professionale - Mancata indicazione - Irrilevanza.
Ai sensi dell'art. 38 del codice dei contratti, il potere di stabilire quali reati siano da indicare nella dichiarazione attestante il possesso dei requisiti richiesti per l'ammissione alla gara, in quanto possano incidere, per la loro gravità, sulla sua moralità professionale spetta, in prima battuta, al dichiarante con la conseguenza che, essendo tale valutazione rimessa alla stazione appaltante solo in sede di eventuale controllo, il concorrente può legittimamente non fare menzione dei precedenti penali non risultanti dal certificato del casellario giudiziale e da lui ritenuti non idonei a compromettere, secondo l'id quod plerumque accidit, la sua moralità professionale; pertanto va escluso che possa qualificarsi come “falsa” dichiarazione quella contenente una valutazione soggettiva del concorrente stesso, che potrebbe semmai non essere condivisa, ma non certo determinarne l'esclusione dalla gara (Cons. Stato, sez. V, 19.06.2009, n. 4082; anche: TAR Sardegna Cagliari, sez. I, 09.10.2009, n. 1525; Cons. Stato, sez. V, 19.06.2009, n. 4082; id. 08.09.2008, n. 4244; TAR Sicilia Catania, sez. IV, 25.02.2010, n. 395).
Una diversa lettura dell'art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006 apparirebbe legittima soltanto nel caso in cui il bando, invece di limitarsi a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione, avesse imposto, e sanzionato con l'esclusione in caso di omissione, una dichiarazione dal contenuto più ampio rispetto a quanto ivi prescritto al fine di riservare alla stazione appaltante, fin dalla prima fase di gara, la valutazione della gravità o meno dell'illecito e anche di ogni omessa dichiarazione.
Solo in siffatta ipotesi, dunque, potrebbe integrare una legittima causa di esclusione, oltre all’esistenza di una violazione penale grave, ma la mancata dichiarazione nei puntuali termini prescritti dal bando (TAR Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 07.06.2010, n. 151) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 27.12.2010 n. 7715 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Nozione di costruzione - Realizzazione di opere murarie - Necessità - Esclusione - Trasformazione del tessuto urbanistico edilizio.
La nozione di costruzione, ai fini del rilascio del permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie, essendo irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, ove si sia in presenza di un’evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e le opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale (cfr. ex multis C.d.S., Sez. IV, N. 2705/2008 in tal senso anche Consiglio Stato, V, 13.06.2006, n. 3490) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 23.12.2010 n. 28016 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Zone urbanizzate - Obbligo dello strumento attuativo - Deroga - Dotazione di infrastrutture primarie e secondarie - Verifica dell’intero comprensorio - Necessità - Ragioni.
Il principio affermato dalla giurisprudenza prevalente secondo il quale, ai fini del rilascio della concessione edilizia, nelle zone già urbanizzate è consentito derogare all’obbligo dello strumento attuativo (piano particolareggiato o piano di lottizzazione convenzionata), può trovare applicazione solo nell’ipotesi, del tutto eccezionale, che si sia già realizzata una situazione di fatto che da quegli strumenti consenta con sicurezza di prescindere, in quanto risultano oggettivamente non più necessari, essendo stato pienamente raggiunto il risultato (id est: l’adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie previste dal piano regolatore) cui sono finalizzati.
Tale situazione, del tutto peculiare, deve essere accertata in riferimento all’intero contenuto previsto dal piano regolatore generale. La stessa, cioè, deve concernere le urbanizzazioni primarie e quelle secondarie in riferimento all’assetto definitivo dell’intero ambito territoriale di riferimento.
La verifica, pertanto, non può essere limitata alle sole aree di contorno dell’edificio progettato, ma deve riguardare l’intero comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere pianificato. Ogni altra soluzione avrebbe evidentemente il torto di trasformare lo strumento attuativo in un atto sostanzialmente facoltativo, non più necessario ogniqualvolta, a causa di precedenti abusi edilizi sanati, di preesistenti edificazioni ovvero del rilascio di singole concessioni edilizie illegittime, il comprensorio abbia già subito una qualche urbanizzazione, anche se la stessa non soddisfa pienamente le indicazioni del piano regolatore (cfr. TAR Campania, Napoli, II, 15.03.2004 n. 2925; n. 11664/2004) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 23.12.2010 n. 28016 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi edilizi - Potere repressivo - Art. 31 d.P.R. n. 380/2001 - Apprezzamenti discrezionali - Esclusione - Sanabilità delle opere - Onere di verifica - Insussistenza.
Nello schema giuridico delineato dall’art. 31 del d.p.r. 380/2001 non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo costituisce atto dovuto, per il quale è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla sua rimozione (cfr. TAR Campania, Sez. IV, 24.09.2002, n. 5556; 04.07.2001, n. 3071; Consiglio Stato, sez. IV, 27.04. 2004, n. 2529).
Una volta accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce, dunque, onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività edilizia (TAR Campania, Sez. IV, 24.09.2002, n. 5556; TAR Lazio, sez. II-ter, 21.06.1999, n. 1540).
Abusi edilizi - Ingiunzione di demolizione - Indicazione delle opere abusivamente realizzate - Sufficienza - Area di sedime - Successiva specificazione in sede di acquisizione.
Il contenuto essenziale dell'ingiunzione di demolizione deve essere individuato in relazione alla funzione tipica del provvedimento, che è quella di prescrivere la rimozione delle opere abusive.
Pertanto, ai fini della legittimità dell'atto è necessaria e sufficiente l'analitica indicazione delle opere abusivamente realizzate in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente; l'indicazione dell'area di sedime, quindi, non deve essere necessariamente presente nell'ordinanza di demolizione ma può essere contenuta nel successivo atto dichiarativo dell'acquisizione (cfr. ex multis TAR Lazio Roma, sez. I, 09.02.2010, n. 1785) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 23.12.2010 n. 28016 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lotto edificabile - Calcolo della volumetria - Parziale utilizzazione su parte del lotto catastalmente divisa - Rilevanza.
Il calcolo della volumetria che può essere realizzata su un lotto edificabile deve essere effettuato tenendo conto della situazione determinata anche dalla parziale utilizzazione, da parte dell’originario proprietario, della volumetria globalmente disponibile e, quindi, eventualmente detraendo dalla cubatura richiesta quella già realizzata per il precedente edificio, a nulla rilevando che questo possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (TAR Campania, II Sezione, 30.04.2009 n. 2262, 08.06.2006, n. 6816; IV Sezione, 17.06.2002, n. 3614; Consiglio di Stato, V Sezione, 12.07.2005, n. 3777, e 23.08.2005, n. 4385) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 23.12.2010 n. 28013 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sull'interpretazione delle disposizioni della direttiva 2004/18/CE, in relazione all'affidamento di un appalto pubblico ad una società mista, senza indizione di gara.
La direttiva 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, deve essere interpretata nel senso che, qualora un'amministrazione aggiudicatrice concluda con una società privata, da essa indipendente, un contratto che preveda la costituzione di un'impresa comune, sotto forma di società per azioni, ed il cui oggetto consista, come nel caso di specie, nella fornitura di servizi sanitari e preservazione del benessere sul luogo di lavoro, l'attribuzione da parte della predetta amministrazione dell'appalto relativo ai servizi destinati ai propri dipendenti, per un valore superiore alla soglia prevista dalla direttiva in parola, e scindibile dal contratto costitutivo di tale società, deve osservare le disposizioni della suddetta direttiva applicabili ai servizi rientranti nell'allegato II B.
La direttiva 2004/18 non opera una distinzione tra gli appalti pubblici conclusi da un'amministrazione aggiudicatrice per il soddisfacimento di bisogni di interesse generale e gli appalti pubblici non correlati a tale missione, come la necessità di soddisfare, come nel caso di specie, un obbligo che le incombe quale datore di lavoro nei confronti dei suoi dipendenti.
L'applicazione del diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici è esclusa nel caso in cui, nel contempo, l'amministrazione aggiudicatrice eserciti, sull'ente aggiudicatario, un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi. Tuttavia, il fatto che un soggetto privato ed un'amministrazione aggiudicatrice cooperino nell'ambito di un'entità a capitale misto, non può giustificare il mancato rispetto, in sede di aggiudicazione di concessioni a tale soggetto privato o all'entità a capitale misto, delle disposizioni in materia di appalti pubblici.
L'intenzione delle parti contraenti di considerare gli elementi costitutivi di un contratto misto come inseparabili, deve poggiare su dati oggettivi atti a giustificarla ed a fondare la necessità di concludere un unico contratto.
Conformemente alla giurisprudenza della Corte, l'attribuzione di un appalto pubblico ad una società mista pubblico-privata, senza indizione di gara, pregiudicherebbe l'obiettivo di una concorrenza libera ed il principio della parità di trattamento, nella misura in cui una procedura siffatta offrirebbe ad un'impresa privata un maggior vantaggio rispetto ai suoi concorrenti (Corte di Giustizia europea, Sez. III, sentenza 22.12.2010 n. C-215/09 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Non è necessario che i requisiti di partecipazione siano già disponibili all'epoca della gara, mentre sono indispensabili al momento della stipula del contratto e della successiva esecuzione degli impegni negoziali.
La motivazione del giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala deve essere rigorosa ed analitica soltanto nel caso del "giudizio negativo".

Un'interpretazione finalistica e teleologica delle disposizioni in tema di requisiti di partecipazione alla gara, di cui è espressione anche il principio di avvalimento ora fissato dalle direttive UE n. 17 e 18 del 2004, porta a ritenere che, in sede di gara, possa essere fornita dimostrazione in ordine al possesso, certo ed incondizionato, al momento della stipula del contratto e della successiva esecuzione, dei requisiti e dei mezzi all'uopo necessari.
Non è, in definitiva, necessario che i mezzi siano già disponibili all'epoca della procedura, mentre è invece necessario che nel corso della procedura si dimostri che essi saranno disponibili al momento dell'assunzione e dell'esecuzione degli impegni negoziali.
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E' generale l'affermazione in giurisprudenza che la ritenuta "congruità delle offerte" non necessita di particolare motivazione, richiesta invece nel caso in cui sia espresso dalla Commissione di gara un giudizio di "non congruità dell'offerta" e quindi di insufficienza e/o inidoneità delle giustificazioni a spiegare l'anomalia. In quel caso, la motivazione si impone perché si perviene all'esclusione dell'offerta anomala in contraddittorio con l'offerente.
La motivazione del giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala deve essere rigorosa ed analitica soltanto nel caso del "giudizio negativo", mentre nel caso di "giudizio positivo" non è necessario che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti, con la conseguenza che il giudizio favorevole di non anomalia dell'offerta non richiede puntualità di argomentazioni, essendo sufficiente anche una motivazione "per relationem" alle stesse giustificazioni presentate dal concorrente sottoposto al relativo obbligo (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 17.12.2010 n. 2818 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri concessori - Beneficio della riduzione - Presupposti per il riconoscimento - Demolizione e costruzione di un singolo nuovo edificio - Modifica dell’assetto urbanistico precedente - Esclusione del beneficio - Art. 26 L.R. Friuli Venezia Giulia n. 18/1986 - Art. 31, 1° co. lett. e) L. n. 457/1978.
Il riconoscimento dell’eccezionale beneficio della riduzione degli oneri concessori, ai sensi dell’art. 26 della legge regionale del Friuli Venezia Giulia n. 18 del 1986, laddove espressamente richiama il concetto di ristrutturazione urbanistica di cui all’art. 31, 1° co. lett. e) della legge nazionale n. 457 del 1978, deve intendersi comunque limitato al solo caso in cui l’intervento progettato non sia un intervento di ristrutturazione edilizia ma risulti essere un intervento di ben più ampia portata e cioè rivolto a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso mediante un insieme sistematico di opere edilizie che determinano anche la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.
Deve, pertanto, trattarsi di un intervento di per se stesso complesso e di vaste proporzioni (ben diverso, ripetesi, da quello riferibile alla ristrutturazione ovvero alla nuova costruzione di un singolo fabbricato) che come tale modifichi tutto il “tessuto” urbanistico ed edilizio della zona determinando così una variazione molto significativa della stessa, proprio sotto il profilo dell’assetto urbanistico precedente.
Di conseguenza, è da escludere che il riconoscimento di tale beneficio possa intendersi correlato alla realizzazione di un semplice intervento di demolizione e costruzione di un singolo nuovo edificio il cui progetto, sia pure modellato alle caratteristiche tipiche della zona, non preveda altresì la realizzazione di ulteriori opere di urbanizzazione mirate alla sostituzione di tutto o di una rilevante parte del tessuto urbanistico della specifica zona da recuperare (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.12.2010 n. 8948 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L’obbligo di preavviso di decisione negativa di cui all’art. 10-bis L. 241/1190 è espressione di un principio generale dell’ordinamento che impone il contraddittorio e che, oltre che con il preavviso scritto ex art. 10-bis, è attuato anche con la convocazione degli interessati nell’ambito della seduta dell’organo collegiale procedente (si pensi ad esempio a quanto avviene in caso di convocazione di conferenza di servizi).
Non vi è pertanto ragione logica, letterale o di ratio legis per escludere dal novero delle autorità competenti cui si riferisce l’art. 10-bis anche i consigli comunali tanto più qualora provvedano, come nel caso di specie, ad adottare atti che non hanno sicuramente natura politica ma sono normalissimi atti amministrativi di composizione di interessi.
La difesa del Comune argomenta che il principio del preavviso del provvedimento di diniego non si applicherebbe agli atti di competenza di un organo collegiale di natura politica, al quale spetta adottare un atto di indirizzo, direzione e programmazione della futura attività amministrativa facente capo ai funzionari.
Il Collegio ritiene invece che l’obbligo di preavviso di decisione negativa di cui all’art. 10-bis cit. sia espressione di un principio generale dell’ordinamento che impone il contraddittorio e che, oltre che con il preavviso scritto ex art. 10-bis, è attuato anche con la convocazione degli interessati nell’ambito della seduta dell’organo collegiale procedente (si pensi ad esempio a quanto avviene in caso di convocazione di conferenza di servizi).
Non vi è pertanto ragione logica, letterale o di ratio legis per escludere dal novero delle autorità competenti cui si riferisce l’art. 10-bis anche i consigli comunali tanto più qualora provvedano, come nel caso di specie, ad adottare atti che non hanno sicuramente natura politica ma sono normalissimi atti amministrativi di composizione di interessi.
E’ appena il caso di precisare che, altrimenti opinando, la norma si esporrebbe a non pochi dubbi di costituzionalità, non essendo giustificabile che la natura dell’organo che delibera diminuisca le garanzie del cittadino (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 16.12.2010 n. 841 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Area sottoposta a tutela paesaggistica - Autorizzazioni comunali - Obbligo di motivazione - Necessità - Rigetto autorizzazione ambientale - Fattispecie: la realizzazione di alcuni stabilimenti balneari, bar ristoranti e chioschi, su area inserita nel piano spiaggia delle aree demaniali marittime del territorio comunale.
In tema di tutela paesaggistica, le autorizzazioni comunali che si limitano a rilevare una generica e apodittica integrazione dell’intervento nel contesto paesistico ambientale, non assolvono neppure in minima parte l’obbligo motivazionale necessario alla legittimità dell’assenso.
Obbligo particolarmente incombente, in specie, dato che: il progetto riguarda strutture commerciali permanenti ubicate su area demaniale utilizzata per l’uso comune di balneazione; tutto il territorio è vincolato ai fini paesaggistici; tutta la costiera è patrimonio dell’umanità.
Infine, nel rilevare la carenza di istruttoria e di motivazione dei provvedimenti esaminati, la sovrintendenza non ha sostituito un suo apprezzamento di merito alle determinazioni comunali, ma ha evidenziato le carenze estrinseche delle autorizzazioni, carenze che, per essere apprezzate, non possono non procedere dall’effettiva considerazione delle caratteristiche delle opere e del progetto complessivo in relazione al concreto contesto ambientale, in tutti gli aspetti di fatto e di diritto suoi propri (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.12.2010 n. 8934 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sono soggetti alla disciplina delle distanze tutti gli interventi edilizi, ancorché definiti come “ristrutturazione”, che comportino l’ampliamento di edifici “all’esterno della sagoma esistente”.
L’art. 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1444, pur riferendosi (comma 1, n. 2) alla realizzazione di “nuovi edifici”, è applicabile anche agli interventi di sopraelevazione e, dunque, anche alle ristrutturazioni che comportino un incremento non trascurabile dell’altezza del fabbricato.

Come statuito dal Tribunale in casi analoghi (cfr. TAR Milano 2^, 29.05.2007 n. 1991, richiamata in sede cautelare) sono soggetti alla disciplina delle distanze tutti gli interventi edilizi, ancorché definiti come “ristrutturazione”, che comportino l’ampliamento di edifici “all’esterno della sagoma esistente” [cfr. le “definizioni” di cui all’art. 27, primo comma, lettera e), n. 1), legge regionale n. 12/2005, che testualmente annovera tale fattispecie tra gli “interventi di nuova costruzione”].
L’art. 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1444, pur riferendosi (comma 1, n. 2) alla realizzazione di “nuovi edifici”, è applicabile anche agli interventi di sopraelevazione (Cass. 2^ 27.03.2001 n. 4413; Cons. Stato V, 19.10.1999 n. 1565), e dunque anche alle ristrutturazioni che -volte, come quella de qua, al recupero del sottotetto- comportino un incremento non trascurabile dell’altezza del fabbricato.
La normativa in questione, mirando ad evitare la creazione di intercapedini in grado di impedire la libera circolazione dell’aria, come tali produttive di insalubrità oltreché riduttive di luminosità e dunque non autorizzabili per motivi igienico-sanitari (Cons. Stato V, 19.10.1999 n. 1565; TAR Catania, 27.10.1994 n. 2373), risponde ad esigenze pubblicistiche che sovrastano gli interessi dei singoli, per soddisfare interessi generali, e non è pertanto suscettibile di deroghe pattizie.
Si tratta di una disciplina di carattere tassativo e inderogabile, non eludibile da parte dello strumento urbanistico comunale, e direttamente applicabile, per inserzione automatica, quale parte integrante del piano regolatore, in sostituzione di eventuali norme locali difformi, che devono essere disapplicate e, in caso di impugnazione, annullate (cfr. Cons. Stato IV, 18.06.2009 n. 4015).
A sostegno dell’opposta tesi non può essere invocato l’art. 64, secondo comma, della legge regionale 11.03.2005 n. 12 (legge per il governo del territorio), secondo cui il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti “.... è ammesso anche in deroga ai limiti e alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale …”, dovendo la norma interpretarsi nel senso che la derogabilità non opera nei casi in cui lo strumento urbanistico riproduce disposizioni normative di rango superiore, a carattere inderogabile, qual è appunto il decreto ministeriale nella parte in cui disciplina le distanze tra fabbricati, trattandosi di materia inerente all’ordinamento civile e rientrante, come tale, nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (cfr. Corte cost. 16.06.2005 n. 232).
Non a caso, l’art. 103 della legge regionale n. 12/2005, pur disponendo la disapplicazione del decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444, fa salvo, per gli interventi di nuova costruzione, il rispetto della distanza minima tra fabbricati pari a dieci metri, derogabile solo all’interno di piani attuativi (cfr. comma 1-bis, aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. xxx), l.r. 14.03.2008 n. 4) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.12.2010 n. 7505 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAAnche dopo la scadenza del piano di recupero debbono continuare ad osservarsi le prescrizioni di zona previste dal piano scaduto, giusta l'art. 17, comma primo, L. 17.08.1942 n. 1150.
L'avvenuta decadenza del piano di recupero non rende applicabili gli indici generali di edificabilità previsti per la zona dal piano regolatore generale né rende possibile all'amministrazione comunale di valutare caso per caso singole domande di intervento edilizio diretto sulla stregua di una ricognizione di fatto dello stato di urbanizzazione della zona, ma, in mancanza di una compiuta programmazione urbanistica, consente solo di effettuare quegli interventi previsti dall'art. 4, ultimo comma, della legge 28.01.1977 n. 10.
I piani particolareggiati attuativi dei piani regolatori generali hanno efficacia decennale, con esclusione degli allineamenti e delle prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso destinati ad essere applicati a tempo indeterminato anche in presenza di uno strumento urbanistico generale; conseguentemente, in considerazione della stabilità delle previsioni del piano attuativo, va affermato il principio per il quale le prescrizioni urbanistiche di un piano attuativo rilevano a tempo indeterminato, anche dopo la sua scadenza.
L'art. 17 della legge 17.08.1942 n. 1150 va inteso nel senso che, scaduto il termine di efficacia stabilito per l'esecuzione del piano particolareggiato, nella parte in cui è rimasto inattuato non possono più eseguirsi i previsti espropri come preordinati alla realizzazione delle opere pubbliche e delle opere di urbanizzazione primaria, in particolare (prima parte del comma primo) e, per converso, non si può procedere all'edificazione residenziale per assenza di tale fondamentale presupposto (v. art. 31). Dove invece il detto piano ha avuto attuazione, con la realizzazione di strade, piazze ed altre opere di urbanizzazione, l'edificazione residenziale è consentita secondo un criterio di armonico inserimento del nuovo nell'edificato esistente (seconda parte del primo comma), e cioè in base alle norme del piano attuativo scaduto che mantengono la loro integrale applicabilità. Cosicché, se il piano attuativo è un piano di zona, non può l'edificazione residenziale privata sostituire l'edificazione residenziale pubblica, senza che per ciò stesso si possa ritenere che ciò rappresenti l'illegittima introduzione di un vincolo d'inedificabilità a tempo indeterminato, essendo, piuttosto, la perpetuazione di un vincolo conformativo collegato alla subzonizzazione insita nel p.e.e.p. scaduto.
Il decorso del decennio priva di efficacia l'intera normativa del piano attuativo, visto che, per espressa previsione del citato art. 17 della Legge n. 1150/1942, continua a rimanere fermo a tempo indeterminato il contenuto inerente le prescrizioni di zona, nel rispetto sia dell'interesse pubblico per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione, sia di quello volto alla edificazione dei lotti. La norma in parola, invero, ha l'effetto di far venir meno i vincoli espropriativi, in applicazione del principio generale della loro temporaneità, mentre lascia impregiudicata l'applicabilità delle previsioni che disciplinano l'attività edilizia privata.

Il Collegio ritiene che questione di primaria importanza sia rappresentata dall’accertare, con riguardo alla fattispecie in esame, se a seguito dell’inefficacia per scadenza del piano di recupero l’area controversa diventi "zona bianca" –e venga come tale normata– ovvero se riemerga la disciplina dello strumento urbanistico propria della zona in cui è inserito il piano di recupero scaduto.
In proposito la giurisprudenza (Cons. Stato, V, 15.03.2006, n. 1375) ha affermato che “anche dopo la scadenza del piano debbono continuare ad osservarsi le prescrizioni di zona previste dal piano scaduto, giusta l'art. 17, comma primo, L. 17.08.1942 n. 1150”. La stessa Sezione ha ribadito il principio suddetto affermando che “l'avvenuta decadenza del piano di recupero non rende applicabili gli indici generali di edificabilità previsti per la zona dal piano regolatore generale né rende possibile all'amministrazione comunale di valutare caso per caso singole domande di intervento edilizio diretto sulla stregua di una ricognizione di fatto dello stato di urbanizzazione della zona, ma, in mancanza di una compiuta programmazione urbanistica, consente solo di effettuare quegli interventi previsti dall'art. 4, ultimo comma, della legge 28.01.1977 n. 10” (sent. n. 650/2007).
Anche da ultimo (Cons. Stato, IV, 27.10.2009, n. 6572; 12.12.2008, nn. 6178 e ss.; n. 6170/2007) si è precisato che “i piani particolareggiati attuativi dei piani regolatori generali hanno efficacia decennale, con esclusione degli allineamenti e delle prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso destinati ad essere applicati a tempo indeterminato anche in presenza di uno strumento urbanistico generale..." e che, conseguentemente, "in considerazione della stabilità delle previsioni del piano attuativo, va affermato il principio per il quale le prescrizioni urbanistiche di un piano attuativo rilevano a tempo indeterminato, anche dopo la sua scadenza”.
Si è dunque dell’avviso che l'art. 17 della legge 17.08.1942 n. 1150 vada inteso nel senso che, scaduto il termine di efficacia stabilito per l'esecuzione del piano particolareggiato, nella parte in cui è rimasto inattuato non possono più eseguirsi i previsti espropri come preordinati alla realizzazione delle opere pubbliche e delle opere di urbanizzazione primaria, in particolare (prima parte del comma primo) e, per converso, non si può procedere all'edificazione residenziale per assenza di tale fondamentale presupposto (v. art. 31). Dove invece il detto piano ha avuto attuazione, con la realizzazione di strade, piazze ed altre opere di urbanizzazione, l'edificazione residenziale è consentita secondo un criterio di armonico inserimento del nuovo nell'edificato esistente (seconda parte del primo comma), e cioè in base alle norme del piano attuativo scaduto che mantengono la loro integrale applicabilità. Cosicché, se il piano attuativo è un piano di zona, non può l'edificazione residenziale privata sostituire l'edificazione residenziale pubblica, senza che per ciò stesso si possa ritenere che ciò rappresenti l'illegittima introduzione di un vincolo d'inedificabilità a tempo indeterminato, essendo, piuttosto, la perpetuazione di un vincolo conformativo collegato alla subzonizzazione insita nel p.e.e.p. scaduto.
In definitiva deve escludersi che il decorso del decennio privi di efficacia l'intera normativa del piano attuativo, visto che, per espressa previsione del citato art. 17 della Legge n. 1150/1942, continua a rimanere fermo a tempo indeterminato il contenuto inerente le prescrizioni di zona, nel rispetto sia dell'interesse pubblico per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione, sia di quello volto alla edificazione dei lotti. La norma in parola, invero, ha l'effetto di far venir meno i vincoli espropriativi, in applicazione del principio generale della loro temporaneità, mentre lascia impregiudicata l'applicabilità delle previsioni che disciplinano l'attività edilizia privata (TAR Marche, 05.01.2009, n. 9).
Ora, poiché la potestà dei Comuni d'imporre vincoli preordinati all'esproprio o all'inedificabilità non è illimitata, decadendo tali vincoli al termine del quinquennio ai sensi dell'art. 2 della Legge n. 1187 del 1968, , si determina, in caso di mancata reiterazione dei vincoli pregressi o di mancato inserimento dei terreni nell'ambito di una precisa pianificazione conformativa, una condizione di «vuoto urbanistico» disciplinata dall'art. 4, ultimo comma, della Legge n. 10 del 1977, dovuta alla violazione dell'obbligo di ripianificazione incombente sulla P.A., dalla quale consegue la lesione di un interesse legittimo.
Proprio perché la decadenza dei vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione, o che comportino l'inedificabilità del suolo o che comunque privino il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico, obbliga il Comune a procedere alla nuova pianificazione dell'area rimasta non normata, si ritiene che il presente ricorso possa essere inteso come un gravame proposto contro il silenzio rifiuto formatosi su una diffida a provvedere sulla definizione urbanistica di un'area già oggetto di vincolo espropriativo scaduto; la giurisprudenza (cfr. TAR Lazio, Roma, II-quater, 26.06.2009, n. 6243; TAR Campania, Salerno, I, 03.06.2009, n. 2825) ha infatti accolto simili ricorsi non per violazione di legge ma in ragione dell’inerzia della P.A., fermo restando che l'accoglimento del gravame comporta esclusivamente l'obbligo dell'Amministrazione di provvedere sull'istanza del soggetto interessato e di attribuire all'area una specifica e appropriata destinazione urbanistica.
La decadenza di vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione obbliga infatti il Comune a procedere alla nuova pianificazione dell'area rimasta non normata, posto che l'inerzia dell'Amministrazione finisce per determinare uno stato di perdurante incertezza non tanto in ordine alle aspettative edificatorie, quanto soprattutto in ordine alla esigenza di una compiuta ed organica qualificazione delle aree.
In effetti anche nella fattispecie la scelta pianificatoria di delocalizzazione, con impossibilità per la ricorrente di ricostruire in sito il manufatto di sua proprietà, ha inciso in modo pregiudizievole sull'affidamento della parte privata; il Comune è certamente obbligato ad adottare un piano come quello in questione e, qualora sia stata disposta la delocalizzazione di un immobile, ad assegnare al proprietario dello stesso l'area in cui ricostruirlo, ma ciò non lo esime dal dover provvedere alla nuova pianificazione dell'area rimasta non normata, ciò perché il diritto di proprietà non venga pregiudicato in modo non conforme ai principi costituzionali (art. 42 Cost.).
In altri termini, di ultrattività ha un senso parlare con riguardo alla destinazione impressa, ma non certo in relazione al vincolo espropriativo che si è posto in essere quanto al bene del privato; l’obbligo di procedere ad una nuova pianificazione ridisciplinando l’area e tenendo conto degli interessi dei privati, peraltro, risponde alla necessità di carattere costituzionale di limitare il potere discrezionale dell’Amministrazione al fine di evitare che i beni dei privati siano sottoposti ad uno stato di soggezione per un tempo indeterminato (Cons. Stato, VI, 04.04.2003, n. 1768) e di far sì che la P.A., che decida di disporre della proprietà privata con l'espropriazione, ponga essa stessa dei limiti temporali per l'inizio e la conclusione dell'opera che poi dovrà rispettare (TAR Lazio, Roma, II, 10.05.2005, n. 3484; 21.06.2007, n. 5656; TAR Campania, Salerno, I, 08.09.2006, n. 1330; 11.06.2002, n. 457; TAR Abruzzo L’Aquila, 20.05.2002, n. 302; Cons. Stato, V, 25.01.2002, n. 399; IV, 17.04.2000, n. 2283; V, 11.01.1999, n. 1758; TAR Veneto, I, 25.06.1998, n. 1206; Cons. Stato, IV, 27.11.1997, n. 1326), beninteso che alla data di adozione del provvedimento di riapprovazione dovranno sussistere le condizioni di attualità e concretezza dell'interesse pubblico che si intendono conseguire (Cons. Stato, IV, 24.07.2003, n. 4239)
(TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 09.12.2010 n. 27138 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl risarcimento del danno richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, è indispensabile che sia accertata la colpa o il dolo dell’Amministrazione e che sussista un nesso causale tra l’illecito e il danno subìto.
Il risarcimento del danno richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, è indispensabile che sia accertata la colpa o il dolo dell’Amministrazione e che sussista un nesso causale tra l’illecito e il danno subìto (Cons. Stato, IV, 14.06.2001, n. 3169); con riferimento alla sussistenza dei danni, si è osservato (TAR Lazio, Roma, I, 10.05.2007, n. 4251) che compete in linea di principio a parte ricorrente l'onere di provare, ai sensi dell'art. 2697 c.c., tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (Cons. Stato, VI, 22.08.2006, n. 4932; V, 25.01.2002, n. 416), ciò perché la limitazione dell'onere probatorio che governa il processo amministrativo si fonda sulla naturale ineguaglianza delle parti, privato e Pubblica Amministrazione, e quindi sul generale possesso dei documenti da parte dei pubblici uffici che resistono in giudizio, mentre in caso di risarcimento danni per dimostrare questi ultimi si tratta in genere di documentazione in possesso dei ricorrenti (TAR Liguria, I, 21.04.2006, n. 391; TAR Calabria, Catanzaro, 19.07.2001, n. 1162) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 09.12.2010 n. 27138 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIn conseguenza della decadenza per decorso del termine quinquennale del vincolo preordinato all'esproprio, l’area va qualificata quale zona bianca, soggetta alle rigide prescrizioni edilizie di cui all'art. 4 L. 28.01.1977 n. 10, poi confluito nell'art. 9 D.P.R. n. 380 del 2001.
Tali “zone bianche” determinano nello strumento urbanistico, il quale deve coprire l'intero territorio comunale, un vuoto di disciplina che l'amministrazione è tenuta a colmare e, all'istanza in tal senso dell'interessato, l'amministrazione è tenuta a dare risposta provvedendo, in assenza di cause ostative, all'azzonamento dell'area.

Giova rammentare il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui, in conseguenza della decadenza per decorso del termine quinquennale del vincolo preordinato all'esproprio, l’area va qualificata quale zona bianca, soggetta alle rigide prescrizioni edilizie di cui all'art. 4 L. 28.01.1977 n. 10, poi confluito nell'art. 9 D.P.R. n. 380 del 2001 e, in Campania, all'art. 4, L.R. 20.03.1982 n. 17.
Peraltro, tali “zone bianche” determinano nello strumento urbanistico, il quale deve coprire l'intero territorio comunale, un vuoto di disciplina che l'amministrazione è tenuta a colmare e, all'istanza in tal senso dell'interessato, l'amministrazione è tenuta a dare risposta provvedendo, in assenza di cause ostative, all'azzonamento dell'area (TAR Campania Salerno, Sez. I, 10.07.2007, n. 810).
Dalle svolte considerazioni discende che alla decadenza del vincolo non consegue una riespansione illimitata dello “ius aedificandi” insito nel diritto di proprietà ma il progetto deve in ogni caso rispettare i limitati canoni fissati dalle norma (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 09.12.2010 n. 27130 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia rilasciata in contrasto con i vincoli paesaggistici gravanti sulla zona non presuppone una peculiare comparazione tra l’interesse pubblico all’eliminazione degli atti viziati e il confliggente interesse privato alla conservazione degli stessi, stante l’evidente sussistenza dell’interesse di rango costituzionale (art. 9 Cost.) alla tutela del paesaggio e la sua preminenza su qualunque altro interesse pubblico o privato.
Il Collegio nemmeno ignora l’indirizzo giurisprudenziale, in base al quale, in determinate ipotesi, l’interesse pubblico all’eliminazione e, vieppiù, alla sospensione dell’atto illegittimo è da considerarsi in re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di annullamento d’ufficio e, quindi, di sospensione degli effetti di un titolo abilitativo edilizio illegittimo a fronte dell’esigenza di garantire e tutelare l’equilibrato sviluppo del territorio e l’osservanza della vigente disciplina urbanistica, rispetto alla quale l’opera da realizzare si ponga in aperto e permanente contrasto (Cons. Stato, sez. V, 28.11.2005, n. 6630; sez. IV, 26.10.2007, n. 5601; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 15.06.2005, n. 1110) e, in specie, a fronte dell’esigenza di salvaguardare i caratteri e i pregi ambientali e paesaggistici dei luoghi attinti dagli interventi assentiti.
A tale ultimo riguardo, è stato rimarcato che l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia rilasciata in contrasto con i vincoli paesaggistici gravanti sulla zona non presuppone una peculiare comparazione tra l’interesse pubblico all’eliminazione degli atti viziati e il confliggente interesse privato alla conservazione degli stessi, stante l’evidente sussistenza dell’interesse di rango costituzionale (art. 9 Cost.) alla tutela del paesaggio e la sua preminenza su qualunque altro interesse pubblico o privato (cfr. Cons. stato, sez. VI, 20.01.2000, n. 278; TAR Lazio, Roma, sez. II, 04.01.2005, n. 48; TAR Campania, Napoli, sez. III, 10.04.2007, n. 3193) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 09.12.2010 n. 27127 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALa pianificazione urbanistica, nel perseguire l’ordinato assetto complessivo del territorio, coinvolge una pluralità di interessi, rispetto ai quali la disciplina di settore non pone alcuna gradazione né fissa criteri selettivi e che, pertanto, le scelte effettuate dall’amministrazione nell’adozione dello strumento urbanistico costituiscono apprezzamento di merito, connotato da ampia discrezionalità e, quindi, sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità, risultino incoerenti con l’impostazione di fondo dell’intervento pianificatorio o siano apertamente incompatibili con le caratteristiche oggettive del territorio.
L’interesse pubblico sotteso all’adozione del piano di recupero assume, in via di principio, portata preminente rispetto a quello privato dei soggetti colpiti dalle disposizioni del menzionato strumento attuativo.
A ciò si aggiunga che la pianificazione urbanistica, nel perseguire l’ordinato assetto complessivo del territorio, coinvolge una pluralità di interessi, rispetto ai quali la disciplina di settore non pone alcuna gradazione né fissa criteri selettivi e che, pertanto, alla stregua di un radicato indirizzo giurisprudenziale, le scelte effettuate dall’amministrazione nell’adozione dello strumento urbanistico costituiscono apprezzamento di merito, connotato da ampia discrezionalità e, quindi, sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità, risultino incoerenti con l’impostazione di fondo dell’intervento pianificatorio o siano apertamente incompatibili con le caratteristiche oggettive del territorio (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 08.05.2000, n. 2639; 01.0302001, n. 1145; 06.02.2002, n. 664; 04.03.2003, n. 1191; 26.05.2003, n. 2827; 25.11.2003, n. 7771; 24.02.2004, n. 738; 13.04.2004, n. 1743; 21.05.2004, n. 3316; 22.06.2004, n. 4466; sez. V, 19.04.2005, n. 1782; sez. IV, 14.10.2005, n. 5713; e n. 5716; 19.02.2007, n. 861; 21.05.2007, n. 2571; 11.10.2007, n. 5357; 27.12.2007, n. 6686; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 04.07.2002, n. 3109; TAR Abruzzo, Pescara, 19.09.2005, n. 498; 28.08.2006, n. 445; 07.03.2007, n. 215; TAR Toscana, Firenze, sez. I, 30.01.2007, n. 146; TAR Campania, Salerno, sez. I, 10.07.2007, n. 817; 13.03.2008, n. 292; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12.03.2008, n. 279; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 06.02.2009, n. 206; TAR Lazio, Roma, sez. II, 14.01.2009, n. 135) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 09.12.2010 n. 27126 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPuò attuarsi un intervento di ristrutturazione edilizia (di demolizione e ricostruzione) quando esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione.
Non è, invece, ravvisabile siffatto intervento nei confronti di ruderi o edifici da tempo demoliti, attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare. In quest'evenienza, invero, si configura un intervento di nuova costruzione, assoggettato ai limiti stabiliti dalla vigente disciplina urbanistica.

In via generale, va rilevato che secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale (cfr. ex multis TAR Veneto, Sez. II, 05.06.2008 n. 1667) in tanto può attuarsi un intervento di ristrutturazione edilizia (di demolizione e ricostruzione) in quanto esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione (cfr. Cons. St., Sez. V, 10.02.2004 n. 475).
Non è, invece, ravvisabile siffatto intervento nei confronti di ruderi o edifici da tempo demoliti, attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare (cfr. Cons. St., Sez. IV, 15.09.2006 n. 5375). In quest'evenienza, invero, si configura un intervento di nuova costruzione, assoggettato ai limiti stabiliti dalla vigente disciplina urbanistica (cfr. TAR Catanzaro, II, 04.12.2007 n. 1934; Veneto, II, 29.06.2006 n. 1944).
Con riguardo alla specifica disciplina urbanistica dettata dal Comune di Edolo –che non è in questa sede oggetto di contestazione– va posto in luce che questa trova la sua fonte nella deliberazione consiliare n. 58 del 30.11.1995 (recante ad oggetto “interpretazione autentica delle norme di regolamento edilizio relativamente al risanamento e al recupero di strutture agricole e ruderi a varie quote altimetriche.”) ove viene prescritto:
<<1) di stabilire che per il risanamento e il recupero di strutture agricole e ruderi la Commissione edilizia dovrà adottare i seguenti criteri nella valutazione delle pratiche ad essa sottoposte:
a) sarà ammesso il recupero di ruderi quando questi risultino inseriti nelle nuove o nelle vecchie mappe o quando sia possibile ricostruire con certezza il perimetro della pianta. Il Sindaco a suo insindacabile giudizio, potrà disporre specifici sopralluoghi di accertamento dello stato di fatto.
b) il recupero dovrà essere informato al massimo rispetto ambientale e impostato tenendo conto dei parametri fondamentali (dimensioni, altezze, numero dei piani, pendenze delle falde etc.) desunti dall’analisi di un congruo numero di cascine esistenti sul territorio.
c) dovranno essere fornite le prescrizioni che assicurino il massimo rispetto dell’ambiente relativamente ai materiali, alle gronde, alle aperture, ai serramenti etc. etc .>>

Dunque, la normativa comunale consente il recupero dei ruderi a condizione che:
a) questi risultino inseriti nelle mappe;
b) ovvero quando sia possibile ricostruire con certezza il perimetro della pianta.
In tale contesto, va quindi rilevato che l’imprescindibile presupposto per effettuare la ricostruzione è costituito dall’esatta determinazione delle (precedenti) dimensioni della struttura in larghezza.
A conforto delle conclusioni raggiunte, va richiamato quanto affermato, in un caso aventi profili di similitudine con quello all’esame, dal Consiglio di Stato (Sez. IV, 30.05.2005 n. 2822”:
<<La disposizione contenuta nell'articolo 53 ammette che possano essere ricostruiti edifici crollati "aventi testimonianza di esistenza catastale o comunque esattamente identificabili all'interno di atti notarili".
La norma dunque ammette non già la semplice demolizione e ricostruzione, bensì addirittura la ricostruzione di un edificio da tempo crollato. E pare logico ritenere che, a fronte di una previsione da considerare non ordinaria, si preoccupi di assicurarsi che la ricostruzione comporti la fedele riproduzione di quello che esisteva in origine, anche con riferimento alla distribuzione degli spazi interni.
In tale contesto, non può ritenersi che sia sufficiente al privato provare la preesistenza dell'edificio e che eventuali difficoltà probatorie, di ordine oggettivo (quale la mancanza di testimonianza catastale) possano essere superate da elementi indiziari o presuntivi, facendosi sostanzialmente carico all'amministrazione di dimostrare la non corrispondenza dell'intervento edilizio con la preesistenza edificatoria.
La disposizione abilita a un intervento non ordinario, come si è detto, quale è consentire la ricostruzione di edifici da tempo crollati. Accompagna tale previsione con la necessità che la ricostruzione sia assolutamente fedele alla preesistenza e richiede a tal fine elementi certi (testimonianze catastali o notarili, queste ultimi tali da consentire l'identificazione esatta dell'immobile). Ne consegue che l'intervento sarà consentito se oggettivamente il privato sia in grado di provare la fedele corrispondenza della ricostruzione con il preesistente; con l'ulteriore conseguenza che, qualora non sia possibile oggettivamente provare tale preesistenza nella sua esatta consistenza e con gli strumenti richiesti dalla norma, l'intervento di ricostruzione non può ritenersi consentito.
Una siffatta lettura della norma -imposta dal dato letterale e dalla eccezionale finalità che ne esprime la ratio- giustifica la richiesta istruttoria dell'amministrazione comunale in ordine alle schede catastali e giustifica, a fronte della diversa produzione documentale dell'istante, il diniego opposto dall'amministrazione alla realizzazione dell'intervento mediante denuncia di inizio attività.>>
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 09.12.2010 n. 4808 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'art. 138 del D.Lgs. n. 42/2004 non si riferisce al potere di pianificazione paesaggistica, che resta attribuito alla regione, ma al superiore potere di individuare i beni paesaggistici, da sottoporre a specifica tutela anche attraverso l’indicazione di norme d’uso e di indirizzi finalizzati alla conservazione non degli immobili ma dei “valori” espressi dal loro insieme in un dato luogo, espressione questa che non esclude anche interventi di recupero e trasformazione delle varie componenti il bene paesaggistico –nella loro individualità od in complessi definiti- purché ispirati ai principi chiaramente espressi dall’art. 138 secondo periodo.
L’art. 138, come modificato dall'art. 8 del D.Lgs. 24.03.2006, n. 157 e dall'art. 2, comma 1, lettera h), del D.Lgs. 26.03.2008, n. 63, dopo aver disciplinato il funzionamento delle commissioni regionali appositamente istituite per formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 136 e delle aree indicate alle lettere c) e d) del comma 1 del medesimo articolo 136, al comma 3 stabilisce che “E' fatto salvo il potere del Ministero, su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata che deve essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta, di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136”.
Tale potere, secondo parte ricorrente, sarebbe riferibile alla mera possibilità del Ministero di intervenire in sostituzione della Regione, per il caso di inerzia del competente organo regionale, e non costituirebbe alcun potere autonomo e concorrente dell’autorità statale. Ciò sarebbe, seguendo la prospettazione attorea, confermato dall’art. 142, che, nel disciplinare l’integrazione del contenuto delle dichiarazioni di notevole interesse pubblico, stabilendo al primo comma che “Il Ministero e le regioni provvedono ad integrare le dichiarazioni di notevole interesse pubblico rispettivamente adottate con la specifica disciplina di cui all'articolo 140, comma 2”, specifica al comma successivo che “Qualora le regioni non provvedano alle integrazioni di loro competenza entro il 31.12.2009, il Ministero provvede in via sostitutiva. La procedura di sostituzione e' avviata dalla soprintendenza ed il provvedimento finale e' adottato dal Ministero, sentito il competente Comitato tecnico-scientifico” ed in tal modo, a suo dire, confermerebbe la natura di tale potere statale come di limitato intervento sostitutivo ed integrativo .
Secondo la resistente, invece, l’art. 138, all’ultimo comma, avrebbe introdotto il potere autonomo e concorrente dello Stato di imporre i vincoli in questione, comportanti specifica disciplina d’uso delle aree interessate, prevalente su quella del Piano paesistico regionale, anche in assenza di previa intesa con la Regione, titolare del potere di governo del territorio, in tal modo sancendo la prevalenza dell’interesse alla salvaguardia dei valori di identità rispetto a quella di autodeterminazione degli enti esponenziali delle comunità territoriali.
E’ bene chiarire che tale norma non si riferisce al potere di pianificazione paesaggistica, che resta attribuito alla regione, ma al superiore potere di individuare i beni paesaggistici, da sottoporre a specifica tutela anche attraverso l’indicazione di norme d’uso e di indirizzi finalizzati alla conservazione non degli immobili ma dei “valori” espressi dal loro insieme in un dato luogo, espressione questa che non esclude anche interventi di recupero e trasformazione delle varie componenti il bene paesaggistico –nella loro individualità od in complessi definiti- purché ispirati ai principi chiaramente espressi dall’art. 138 secondo periodo.
In merito alla corretta impostazione ermeneutica della questione, il Collegio ritiene opportuno ricordare che, sotto il profilo costituzionale, la “…tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali…” è affidata in primo luogo alla competenza esclusiva dello Stato, mentre è attribuita alla legislazione concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.) la “valorizzazione dei beni ambientali”. La formulazione dell’art. 117 della Costituzione, in realtà non menziona direttamente tra le materie nominate “il paesaggio” per cui la predetta disposizione deve essere coordinata con l’art. 9 Cost. che, con una delle disposizioni fondamentali, assegna la “tutela del paesaggio alla Repubblica, e quindi, quando siano in gioco interessi nazionali, allo Stato.
Il paesaggio oggi non deve essere limitato al significato, meramente estetico, di bellezza naturale, ma deve essere inteso come complesso dei valori inerenti il territorio
” (cfr. Corte Cost., 07.11.1994, n. 379). Il termine “paesaggio” indica essenzialmente l’ambiente complessivamente considerato come bene “primario” ed “assoluto" (arg. ex Corte cost., 05.05.2006, nn. 182, 183). In tale prospettazione è dunque evidente che il “paesaggio”, attenendo ad un valore costituzionalmente protetto necessita di una tutela che non può che essere unitaria; e supporta anche competenze regionali, nell’ambito degli standard di tutela stabiliti dallo Stato (arg. ex Corte Cost., 22.07.2004 n. 259).
La tutela ambientale deve infatti essere considerata come una tutela “d’insieme”, e non concerne solamente i singoli elementi che la compongono, in quanto attraverso l’imposizione dei vincoli paesistici, si salvaguarda la tutela del paesaggio, ed al contempo, anche l’ambiente (cfr. Cons. Stato VI, 22.03.2005, n. 1186).
In sostanza sul territorio gravano più interessi pubblici (che pur potendo essere naturalmente antinomici, proprio per effetto della previsione della pianificazione paesistica , sono destinati a trovare un condiviso contemperamento) quali quelli concernenti in particolare:
- la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura, secondo le modifiche recenti al codice, è stata di nuovo riservata in via esclusiva allo Stato, e che attiene -come obbligo morale verso le generazioni future e come legame fra la salvaguardia della natura e l'identità nazionale- al profilo della conservazione di una risorsa assolutamente limitata ed in via di esaurimento. il territorio naturale;
- il governo, l’utilizzo e la valorizzazione dei beni ambientali, intesi essenzialmente come fruizione e sfruttamento del territorio medesimo che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, fatta salva l’autonoma potestà tuttora riconosciuta alle Regioni di individuare, con lo specifico procedimento previsto dall’art. 138, comma 1, “beni paesaggistici” ovvero aree aventi le caratteristiche di notevole interesse pubblico (cfr. Corte costituzionale, 30.05.2008, n. 180).
In via ordinaria quindi la ripartizione delle competenze in materia di paesaggio, è stabilita dall’art. 132 del Codice (sostituito dall'articolo 2, comma 1, lettera b), del D.Lgs., n. 63/2008) in conformità ai principi costituzionali e con riguardo all'applicazione della Convenzione europea sul paesaggio, adottata a Firenze il 20.10.2000 dall’art. 5 del cit, d.lgs.
Coerentemente con questa impostazione la Corte Costituzionale ha affermato che l’oggetto della tutela del paesaggio non è il concetto astratto delle "bellezze naturali", ma l'insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano “valore paesaggistico”; pertanto la tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, deve essere considerata un valore primario ed assoluto, che precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali (cfr. n. 180 cit.).
Il Codice dei Beni Culturali, riecheggiando le parole di Benedetto Croce, quale Ministro della Pubblica Istruzione del 1920, nella presentazione della sua legge in materia (“… il paesaggio altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della patria") all’art. 131 del d.lgs. n. 41/2004 e s.m. prevede in linea generale che:
1. Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.
2. Il presente Codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità' nazionale, in quanto espressione di valori culturali.
3. Salva la potestà esclusiva dello Stato di tutela del paesaggio quale limite all'esercizio delle attribuzioni delle regioni (e delle province autonome di Trento e di Bolzano cfr. corte cost. 29.07.2009 n. 226) sul territorio, le norme del presente Codice definiscono i principi e la disciplina di tutela dei beni paesaggistici
.”
Tutto l’art. 131, nella sua nuova versione introdotta dalla novella del 2008, insiste nell’affermare che tutti i soggetti che intervengano sul paesaggio e quindi anche le regioni devono assicurare “la conservazione dei suoi aspetti e caratteri peculiari”, mentre è sancito che gli interventi sul territorio devono essere informati ad un “uso consapevole e di salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche e di realizzazione di nuovi valori paesaggistici integrati e coerenti, rispondenti ai criteri di qualità e sostenibilità”.
Si tratta in sintesi di una riappropriazione di potere rispetto all’originaria impronta del codice che lasciava ampio spazio alle regioni sia nell’autonoma individuazione dei “beni paesaggistici” sia nella gestione di quella parte del paesaggio da recuperare o sviluppare attraverso i piani paesaggistici estesi a tutto il territorio regionale.
Il potere esclusivo di intervento dello Stato è specificato proprio nell’articolo 138, comma 3 (nel testo introdotto dall'articolo 2, comma 1, lettera h), del d.lgs. 26.03.2008, n. 63) del codice dei Beni Culturali per cui “E' fatto salvo il potere del Ministero, su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata che deve essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta, di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136.”.
E’ comunque evidente dalla sua stessa costruzione letterale che non prevede limiti d’intervento, che non si tratta né di una potestà, né concorrente, né sussidiaria, e né suppletiva, ma di uno speciale ed autonomo potere dovere di intervento, caratterizzato da un procedimento in parte differenziato da quello previsto dai primi due commi, che l’ordinamento giuridico ha istituito, attivabile nei casi nei quali, in base a valutazioni anche di discrezionalità tecnica, possa essere concretamente a rischio l’interesse costituzionalmente affidato allo Stato. Ed è significativo che il legislatore abbia introdotto tale modifica in aggiunta al già disciplinato potere sostitutivo in materia di pianificazione paesaggistica disciplinato dagli art. 156, terzo comma, e 143, secondo comma. Si è voluta in tal modo ribadire la coesistenza di un duplice e distinto potere attribuito all’amministrazione centrale , il primo spettantele in via diretta sulla base dei principi costituzionali ed il secondo, funzionale alla valorizzazione del paesaggio in via sostitutiva.
Si tratta manifestamente dell’introduzione di una norma “di chiusura” del sistema per porre una garanzia di una tutela effettiva del paesaggio come valore costituzionale (nel momento in cui si è modificato il procedimento paesistico).
Come ricordato anche dalla relazione allo schema di decreto legislativo, con la novella –previo parere della Conferenza Unificata Stato-Regioni- è stato riconosciuto, e disciplinato, “… il potere dello Stato di proporre vincoli paesaggistici, indipendentemente dal concomitante esercizio della medesima attività da parte delle regioni, in conformità, peraltro, a quanto già da tempo stabilito in materia dalla corte Costituzionale con la sentenza 14-24.07.1998 n. 334 …
In conseguenza, il potere è legittimamente esercitato quando, il “munus patrum” da tramandare alle generazioni future può apparire pregiudicato da scelte effettuate dagli enti locali, anche se nel corretto esercizio del potere di gestione del territorio e del suo sfruttamento a fini edificatori o di sviluppo delle città. La tutela del bene paesaggistico infatti prevale, per scelta del costituente, sulla realizzazione degli altri interessi economici.
Quando, nell’ambito del distinto procedimento di pianificazione paesaggistica e nell’esercizio dei poteri che in tali ipotesi ed in tali fasi la legge attribuisce al Ministero (intese, osservazioni..), si determini una divergenza di valutazioni sulla conservazione di oggettivi valori insiti in specifiche aree e si verifichi la prevalenza di scelte finalizzate alla gestione del territorio a fini di sviluppo edilizio ed urbanistico che appaia oggettivamente incompatibile con la tutela di valori costituzionali primari e sia quindi impossibile un’azione condivisa, la preminenza del valore “paesaggio” implica che debba esser “…fatto salvo il potere del Ministero …” (così la norma) di cui all’art. 138, 3° co., di imporre, previo parere della Regione, autonomi vincoli, se ciò è ritenuto necessario in rapporto alla messa in pericolo dei valori paesaggistici del territorio (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 06.12.2010 n. 35386 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico.
In ogni caso, in materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenza solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio.

Questa stessa Sezione (cfr. TAR Catania, Sez. I, 19.04.2010, 1154) ha di recente ribadito che “la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 15.09.2009, n. 5509; TAR Piemonte Torino, sez. I, 04.09.2009, n. 2247)
In ogni caso, in materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenza solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 13.01.2010, n. 41).
Coerentemente, la normativa nazionale, al di là della immediata applicabilità in Sicilia, ex art. 3 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380, fissa nel 20% del volume dell'edificio principale, il limite massimo per ritenere configurabile una pertinenza
” (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 30.11.2010 n. 4564 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI locali interrati non sono computabili ai fini dell'applicazione degli standards urbanistici solo se essi siano costruiti al di sotto dell'originario piano di campagna: ciò in quanto le prescrizioni dettate dagli strumenti urbanistici in tema di altezza, distanze e volumetria degli edifici sono dirette a tutelare quegli specifici valori -aria, luce, vista- sui quali incidono tutti i volumi che, sporgendo al di sopra della linea naturale del terreno, modificano in maniera significativa la conformazione del suolo e dell'ambiente.
Per quanto statuisce la decisione decisione n. 1154/2010 di questo Tribunale, “secondo una parte della Giurisprudenza (cfr. TAR Puglia Lecce, sez. I, 11.03.2009, n. 475), i piani seminterrati vanno compresi nel calcolo della volumetria, atteso che la nozione di piano interrato la cui volumetria non sia computabile va ristretta alla destinazione degli stessi ad usi episodici o meramente complementari.
Secondo altro Giudice (Cassazione penale, sez. III, 10.05.2007, n. 24464), la realizzazione di un piano interrato rientra tra gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio per i quali è necessario il permesso di costruire, trattandosi pur sempre di intervento in relazione al quale l'autorità amministrativa deve svolgere il proprio controllo sul rispetto delle norme urbanistiche ed edilizie, anche tecniche, finalizzato ad assicurare il regolare assetto e sviluppo del territorio.
Ritiene il Collegio che in Sicilia, in assenza della specifica qualificazione derivante dal sopra citato art. 3 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380, vada condivisa l’impostazione tradizionale, secondo la quale i locali interrati non sono computabili ai fini dell'applicazione degli standards urbanistici solo se essi siano costruiti al di sotto dell'originario piano di campagna: ciò in quanto le prescrizioni dettate dagli strumenti urbanistici in tema di altezza, distanze e volumetria degli edifici sono dirette a tutelare quegli specifici valori -aria, luce, vista- sui quali incidono tutti i volumi che, sporgendo al di sopra della linea naturale del terreno, modificano in maniera significativa la conformazione del suolo e dell'ambiente (cfr. TAR Puglia Lecce, sez. I, 12.09.2005, n. 4238). La medesima decisione, condivisibilmente, precisa che è principio generale quello per cui, salvo che non vi siano esplicite disposizioni normative di segno contrario, per opera interrata si intende quella che venga costruita al di sotto dell'originario piano di campagna e non di quello artificialmente creato mediante scavo e riempimento.
Ritiene il Collegio che detta precisazione sia essenziale, al fine di evitare strumentali “interramenti” delle costruzioni, da eliminare una volta ottenuto il titolo edilizio.
L’intero interramento, però, non è condizione sufficiente per escludere il carico urbanistico.
Come questa stessa Sezione ha avuto modo di chiarire (cfr. TAR Catania, I, 28.01.2009, n. 192), infatti, <<il volume edilizio è strettamente correlato con il numero di abitanti che si vogliono insediare in un determinato territorio o in un manufatto e ciò al fine di dimensionare correttamente la dotazione dei servizi e delle infrastrutture necessarie.
Nella pratica corrente, fissando il “parametro” teorico di un abitante da insediare per ogni 80-100 mc. di costruzione, si ha che in una determinata zona omogenea possono essere immessi un certo numero di abitanti a fronte di una data volumetria ammissibile e viceversa.
Poiché gli abitanti si insediano in volumi che sono “abitabili” o suscettibili di diventare tali, in generale discende che i Regolamenti Edilizi consentono di escludere dalla volumetria urbanistica ammissibile quei volumi considerati “tecnici” e quelle parti di manufatti, (depositi, cantine, garages ecc), che risultano non emergenti rispetto alle aree circostanti.
Quasi sempre, il volume fuori terra del manufatto edilizio coincide con il “volume urbanistico”, ma altre volte invece può essere sensibilmente diverso per cui, in condizioni limite, degli uffici o negozi totalmente interrati, pur avendo un volume fuori terra nullo, hanno un volume urbanistico proporzionale alle “presenze umane” che i detti contenitori possono utilmente ricevere.
In definitiva, si vuole significare che il volume urbanistico . . . è quello che, a prescindere dall’approfondimento dell’edificio nel terreno, è “contenitore” di persone e/o di attività che determinano variazioni degli standards>>.
Sicché, nello studio della computabilità del volume e del carico urbanistico nel caso di opere interrate, occorre avere riguardo, principalmente, alle previsioni degli strumenti urbanistici ed, inoltre (o in assenza), alla effettiva fruibilità della costruzione, vale a dire alla possibile stabile permanenza dell’uomo, influenzante, così, il carico urbanistico (cfr. TAR Catania, 192/2009 ult. cit; TAR Campania Napoli, sez. IV, 22.01.2007, n. 570; TAR Sicilia Palermo, sez. III, 07.06.2005, n. 960), all’assenza di strumentali interramenti e, quindi, alla preesistenza di una linea di campagna superiore al locale da realizzare coniugata all’assenza di destinazioni che determinano, comunque, la presenza (ove assentibile) di permanente insediamento abitativo o commerciale
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 30.11.2010 n. 4564 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In una zona interessata da vincolo paesaggistico la formazione del provvedimento tacito di assenso alla concessione in sanatoria, previsto dall'art. 35, co. 18, l. n. 47 del 1985, postula indefettibilmente la previa acquisizione del parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo sulla compatibilità ambientale della costruzione senza titolo; ne consegue che, se al momento dell'esame della domanda di sanatoria non risulta acquisito il parere favorevole sulla conformità dell'intervento alla disciplina paesaggistica, la formazione del silenzio-assenso è preclusa.
Il termine per la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di rilascio della concessione in sanatoria non decorre quando manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma e/o le opere non siano suscettibili di sanatoria, nonché qualora la domanda stessa sia carente della documentazione prevista dalla legge.

Ritiene il Collegio di aderire a quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale: “In una zona interessata da vincolo paesaggistico la formazione del provvedimento tacito di assenso alla concessione in sanatoria, previsto dall'art. 35, co. 18, l. n. 47 del 1985, postula indefettibilmente la previa acquisizione del parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo sulla compatibilità ambientale della costruzione senza titolo; ne consegue che, se al momento dell'esame della domanda di sanatoria non risulta acquisito il parere favorevole sulla conformità dell'intervento alla disciplina paesaggistica, la formazione del silenzio-assenso è preclusa” (TAR Campania Salerno, sez. II, 21.01.2010, n. 845).
Più in generale, “il termine per la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di rilascio della concessione in sanatoria non decorre quando manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma e/o le opere non siano suscettibili di sanatoria, nonché qualora la domanda stessa sia carente della documentazione prevista dalla legge” (TAR Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 07.01.2010, n. 4) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 15.10.2010 n. 2100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'abuso edilizio, allorquando occorra valutare la domanda del confinante di edificare sul proprio suolo, non può essere, di per sé, rilevante ed incidente sulla posizione giuridica di chi abbia diritto di edificare, pena il capovolgimento, e quindi la vulnerazione, di ogni ordinario criterio discretivo delle posizioni giuridiche tra quelle lecite e quelle illecite.
Il Collegio ritiene di dover aderire all’orientamento in base al quale l'abuso edilizio, allorquando occorra valutare la domanda del confinante di edificare sul proprio suolo, non può essere, di per sé, rilevante ed incidente sulla posizione giuridica di chi abbia diritto di edificare, pena il capovolgimento, e quindi la vulnerazione, di ogni ordinario criterio discretivo delle posizioni giuridiche tra quelle lecite e quelle illecite (Cons. Stato, sez. IV, 27.03.2009, n. 1874; cfr. anche TAR Campania, sez. IV, 21.07.2005, n. 10142).
Conseguentemente, è da reputarsi illegittimo l’impugnato annullamento d’ufficio del permesso di costruire n. 7516/2005 del 30.01.2006 per inosservanza della distanza minima da un fabbricato abusivamente ampliato, posto che la presenza di un manufatto abusivo non può essere di ostacolo allo ius aedificandi di chi ha presentato un progetto in conformità delle norme locali e statali (TAR Abruzzo, L’Aquila, 17.02.2004, n. 138) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 25.05.2010 n. 8720 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Si deve escludere che l'intervento dichiarato sia riconducibile al novero della ristrutturazione –atteso che esso comporta rilevanti modifiche nell’altezza ed alterazioni della sagoma rispetto all’immobile preesistente– dovendo piuttosto essere qualificato come di "nuova costruzione".
Ai fini dell’applicazione della normativa in materia di distanze –in mancanza di espresse norme derogatorie– per nuova costruzione deve intendersi non solo la realizzazione ex novo d’un fabbricato ma anche consistenti modificazioni d’un edificio preesistente, che ne comportino, attraverso opere in sopraelevazione, un rilevante aumento dell’altezza e della sagoma d’ingombro, a nulla rilevando che il fabbricato preesistente si trovi, eventualmente, già a distanza inferiore dal confine.

E’ ben vero che gli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui all’art. 10, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, possono portare alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal preesistente.
Tuttavia la fattispecie concreta va ricondotta all'ipotesi specifica di ristrutturazione attuata mediante demolizione e ricostruzione, che è espressamente disciplinata dall’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, con cui va coordinata l’altra previsione sopra evocata.
Al riguardo, va rammentato che la disciplina della ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, originariamente non contemplata dall'art. 31, comma 1, lettera d), della legge n. 457 del 1978, è stata per la prima volta introdotta nell'ordinamento positivo con il già menzionato art. 3, comma 1, lettera d), del T.U. sull’edilizia, il quale richiedeva, nell’originaria formulazione, la “fedele ricostruzione” della preesistenza (quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali).
Successivamente, l’art. 1 del D. L.vo 27.12.2002 n. 301, pur espungendo dalla citata previsione normativa l'originario riferimento alla "fedele ricostruzione", ha comunque ribadito che: “Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
A fronte della tassativa previsione della fonte primaria appena richiamata ed in linea con le costanti acquisizioni giurisprudenziali (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, 10.02.2004, n. 476, 11.04.2007, n. 1669; Sezione V, 04.03.2008, n. 918; TAR Campania, Sezione IV, 05.03.2004, n. 2751; Sezione II, 14.03.2006, n. 2929), può quindi escludersi che l'intervento dichiarato sia riconducibile al novero della ristrutturazione –atteso che, come sopra chiarito, esso comporta, a tacer d’altro, rilevanti modifiche nell’altezza ed alterazioni della sagoma rispetto all’immobile preesistente– dovendo piuttosto essere qualificato come di "nuova costruzione".
Ne discende che l’intervento –oltre ad essere assoggettato al regime del permesso di costruire– è sottoposto alle limitazioni stabilite dalle norme urbanistiche vigenti nella zona territoriale di riferimento, ivi comprese quelle sulle distanze dal confine (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, Sezione IV, 31.10.2006 n. 6464; Sezione V, 03.03.2004 n. 1022).
Al riguardo, mette conto evidenziare che, ai fini dell’applicazione della normativa in materia di distanze –in mancanza di espresse norme derogatorie, come nel caso di specie– per nuova costruzione deve intendersi non solo la realizzazione ex novo d’un fabbricato ma anche consistenti modificazioni d’un edificio preesistente, che ne comportino, attraverso opere in sopraelevazione, un rilevante aumento dell’altezza e della sagoma d’ingombro, a nulla rilevando che il fabbricato preesistente si trovi, eventualmente, già a distanza inferiore dal confine.
Come chiarito in giurisprudenza, infatti, il criterio della prevenzione non trova applicazione qualora la normativa vigente al momento del nuovo intervento edificatorio abbia sancito l’obbligo inderogabile di osservare una determinata distanza dal confine, atteso che la nuova disciplina, integrativa di quella codicistica, vincola anche il preveniente, che non può in tale ipotesi sopraelevare in allineamento con l’originaria costruzione (cfr. Cassazione civ., Sezione II, 11.06.2008, n. 15527 e 27.05.2003 n. 8420; TAR Campania, Sezione II, 12.04.2006, n. 3457; Consiglio di Stato, Sezione IV, 31.03.2009, n. 1998; Sezione V, 14.03.1993, n. 481) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 21.05.2010 n. 7830 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa normativa in materia di distanze minime che debbono essere osservate in caso di edificazione trova applicazione solo laddove il confinante realizzi una “costruzione”, non rilevando a tale fine la realizzazione di manufatti che, per le loro caratteristiche, non possono essere ritenute tali.
Seppure non è contestata dal ricorrente la circostanza che l’estradosso della parte del seminterrato a confine con altro lotto fuoriesce di 15 centimetri dalla recinzione del lotto assegnato alla ditta ..., non è logico assimilare ad una costruzione tale parte della copertura del seminterrato.
Infatti, la normativa in materia di distanze minime che debbono essere osservate in caso di edificazione trova applicazione solo laddove il confinante realizzi una “costruzione”, non rilevando a tale fine la realizzazione di manufatti che, per le loro caratteristiche, non possono essere ritenute tali.
Nel caso di specie, il Comune ritiene che la piccola porzione della copertura del seminterrato che fuoriesce dalla recinzione (a causa, fra l’altro, del dislivello esistente fra i due lotti) sia da equiparare ad una costruzione, la qual cosa, come detto, non appare logica, proprio a causa del limitatissimo impatto che il manufatto è in grado di provocare sulla proprietà confinante (TAR Puglia-Lecce, sez. III, sentenza 29.03.2008 n. 910 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl parere, previsto dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985 ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo, deve essere adottato tenendo conto dei vincoli esistenti al momento in cui deve essere valutata la domanda di condono, e cioè al momento dell’adozione del parere; pertanto tale obbligo sussiste anche per le opere eseguite prima che il vincolo sia stato apposto.
La disposizione di cui all’art. 33 della legge n. 47 del 1985, per la quale i vincoli di inedificabilità assoluta non consentono il conseguimento della sanatoria delle opere abusive qualora “siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse”, non implica che debbano necessariamente conseguire il condono le opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo.
La riportata disposizione, correttamente interpretata, impedisce sempre, ed a prescindere dal disvalore ambientale, la sanatoria delle opere realizzate dopo l’imposizione di un vincolo assoluto, mentre per le opere realizzate in data antecedente, la sanatoria può essere conseguita solo con il rispetto della disposizione di cui al precedente articolo 32 che subordina il condono edilizio all’acquisizione “del parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo”.
Pertanto le opere abusive di proprietà della società ricorrente, che la stessa asserisce (e le parti resistenti non contestano) essere state realizzate prima della imposizione del vincolo di inedificabilità assoluta dei 150 metri dal mare, avrebbero potuto ottenere la sanatoria soltanto con il parere favorevole dell’ufficio tutela del paesaggio.
A tal fine non rileva la data di realizzazione delle opere rispetto alla data di imposizione del vincolo, poiché, come chiarito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 22.07.1999 n. 20, il parere, previsto dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985 ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo, deve essere adottato tenendo conto dei vincoli esistenti al momento in cui deve essere valutata la domanda di condono, e cioè al momento dell’adozione del parere; pertanto tale obbligo sussiste anche per le opere eseguite prima che il vincolo sia stato apposto (in termini, Consiglio di stato, sez. VI, 07.10.2003, n. 5918; TAR Campania Napoli, sez. II, 12.02.2007, n. 1004) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 28.03.2008 n. 533 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza individua, al fine della decorrenza del termine per l’impugnazione di una concessione edilizia rilasciata a terzi, l’effettiva conoscenza dell’atto nel momento in cui la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica.
La giurisprudenza individua, al fine della decorrenza del termine per l’impugnazione di una concessione edilizia rilasciata a terzi, l’effettiva conoscenza dell’atto nel momento in cui la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica (Cons. St., IV, 19.06.2006, n. 3615; Cons. Stato, IV sez., n. 3805/2002).
La prova della piena conoscenza dei provvedimenti impugnati a far tempo da una data antecedente a tale momento deve essere fornita dalla parte che intende giovarsi della predetta eccezione; tale onere, inoltre, deve essere assolto in modo assolutamente rigoroso.
Deve pertanto escludersi che possa essere sufficiente dimostrare la conoscenza di un soggetto per ricavarne, in via assolutamente presuntiva, quella di un soggetto diverso, quand'anche si tratti di persone legate tra loro da un rapporto di parentela o di coniugio (Cons. Stato, sez. IV, 04.12.2000, n. 6486).
La conoscenza del permesso di costruire provata in capo ad uno dei comproprietari dell’immobile confinante non consente pertanto di inferire, in modo certo, la piena ed effettiva conoscenza anche in capo ad altro comproprietario (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 26.03.2008 n. 837 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’attività urbanistica ed edilizia di trasformazione del territorio è regolata da una disciplina vasta e complessa, formata da due gruppi di norme: da una parte le norme di natura pubblicistica, concernenti l’oggettiva rispondenza e conformità dell’atto di assenso edificatorio alle prescrizioni pubbliche che regolano l’assetto del territorio, dall’altra le norme di natura privatistica relative alla disciplina degli assetti proprietari.
L’attività urbanistica ed edilizia di trasformazione del territorio è regolata da una disciplina vasta e complessa, formata da due gruppi di norme: da una parte le norme di natura pubblicistica, concernenti l’oggettiva rispondenza e conformità dell’atto di assenso edificatorio alle prescrizioni pubbliche che regolano l’assetto del territorio, dall’altra le norme di natura privatistica relative alla disciplina degli assetti proprietari (Cons. di Stato, sez. V, 15.03.2001, n. 1507; Cons. di Stato, sez. V, 22.06.2000, n. 3525), che conferiscono ai privati diritti ed il potere di ottenere o l'eliminazione di quanto realizzato in violazione degli stessi o il risarcimento del danno.
Il privato ha diritto alla c.d. "doppia tutela", cioè ad una tutela concorrente ma separata di posizioni giuridiche di natura diversa, diritti soggettivi e interessi legittimi: può, così, esperire azioni civili -tra cui, come è avvenuto nel caso in esame, le azioni c.d. di enunciazione- nei confronti del proprietario dell'opera illecita e può proporre l'azione davanti al g.a. contro l'amministrazione per ottenere l'annullamento dell'atto autorizzativo illegittimo.
Le due discipline, quella pubblicistica e quella privatistica, hanno ambiti di applicazione differenti e sono altresì finalizzate alla tutela di interessi diversi tra loro (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 26.03.2008 n. 837 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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