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AGGIORNAMENTO AL 29.11.2010 |
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UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Dissertazioni sulla SCIA.
Sul sito http://tv.architettiroma.it è
possibile accedere ai video del Convegno
nazionale sulla semplificazione delle
procedure edilizie, tenutosi martedì
05.10.2010.
Suggeriamo di ascoltare
l'intervento del Cons. Chinè,
capo ufficio legislativo Ministero per la
semplificazione normativa.
Intervento che non solo ignora le
problematiche giuridiche sollevate da più
parti (ANCI in prima linea) sulla
correttezza dell'interpretazione
dell'articolo 19 l. 241/1990 fornita dal
Ministero, ma che rivela l'affanno e
l'imbarazzo del Ministero
(minuto 21:30)
nel momento in cui la platea ne contesta la
posizione.
Segnaliamo che, a seguito dell'incontro con
il Ministero della Semplificazione, il
Consiglio Nazionale Architetti ha richiesto
la riscrittura del testo legislativo sulla
materia della SCIA, tenuto conto della "diffusa
incertezza da parte degli operatori
professionali, imprenditoriali nonché degli
Enti locali nell'applicazione della nuova
disciplina, oltre che della possibile
disomogeneità interpretativa sul territorio
nazionale, si ritiene utile suggerire la
emanazione di un urgente provvedimento
legislativo che consenta di dirimere i dubbi
circa la applicazione del nuovo regime
semplificazione".
Si ascolti, altresì,
la replica sempre del Cons. Chiné
a fronte di alcuni quesiti formulati in
sala.
Buona visione (commento tratto dalla
newsletter del sito http://studiospallino.blogspot.com). |
EDILIZIA PRIVATA: C'è
ancora qualcuno che sia convinto
dell'esistenza della SCIA in luogo della DIA
in materia edilizia??
Il Governo, nella settimana del’08.11.2010,
ha presentato
l’emendamento n. 1.500 al ddl di
stabilità per il 2011 (A.C. 3778) e cioè la
Finanziaria 2011, il quale all’art. 4 recita
“Semplificazioni in materia di
urbanistica, edilizia e di segnalazione
certificata di inizio attività”.
Invero, l’art. 4 de quo è stato
ritenuto “inammissibile” dal
Presidente della Camera dei Deputati (si
legga la "Sintesi
del contenuto ed analisi degli effetti
finanziari" a cura della
Camera stessa).
E’ interessante, comunque, evidenziare ed
approfondire il contenuto del suddetto art.
4 in ordine alla volontà del legislatore di
introdurre ancòra novità nel panorama
legislativo in materia di edilizia ed
urbanistica. E ciò che preme qui evidenziare
è l’intenzione di chiarire la portata della
Scia (Segnalazione certificata di inizio
attività) anche nell’ambito edilizio di cui
al D.P.R. n. 380/2001 in virtù delle
numerose prese di posizione, da più parti-
in ordine alla non applicabilità della
stessa in materia edilizia.
Nella fattispecie, l’art. 4, comma 10, lett.
b), così recita:
«b)
all’art. 19, comma 1, primo periodo, dopo le
parole: “nonché di quelli”, sono aggiunte le
seguenti: “previsti dalla normativa per le
costruzioni in zone sismiche e di quelli” e
dopo il comma 6 sono aggiunti, in fine, i
seguenti commi:
“6-bis. Le disposizioni del presente
articolo si interpretano nel senso che le
stesse si applicano limitatamente alle
denunce di inizio attività in materia
edilizia disciplinate dal decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, con esclusione dei casi in cui le
denunce stesse, in base alla normativa
statale o regionale, siano alternative o
sostitutive del permesso di costruire, e che
non sostituiscano la disciplina prevista
dalle leggi regionali che, in attuazione
dell’articolo 22, comma 4, del decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, abbiano ampliato l’ambito
applicativo delle disposizioni di cui
all’articolo 22, comma 3, del medesimo
decreto.
6-ter. Nei casi di segnalazione certificata
di inizio attività in materia edilizia, il
termine di cui al periodo del comma 3 è
ridotto a trenta giorni. Fatta salva
l’applicazione delle disposizioni di cui al
comma 6, restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza
sull’attività urbanistico-edilizia, alle
responsabilità e alle sanzioni previste dal
decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno 2001, n. 380, e delle leggi
regionali.”».
Il Ragioniere Generale dello Stato (Canzio),
con
nota 11.11.2010 n. 95098 di prot.
di accompagnamento della relazione tecnica
di finanza pubblica all'emendamento de
quo, scrive -tra l'altro- che "Viene
altresì specificato meglio l'ambito di
applicazione della Scia, introducendo un
comma aggiuntivo all'articolo 19 della legge
241 del 1990, al fine di chiarire i dubbi
interpretativi emersi in sede di prima
applicazione dell'istituto, precisando che
esso si estende anche alla materia edilizia,
con esclusione dei casi di Superdia, in
linea con quanto già osservato nella nota
esplicativa del Ministero per la
semplificazione normativa. ...".
Ebbene, che bisogno c'era
di integrare ulteriormente il novellato art.
19 della L. n. 241/1990?? La circolare del
Cons. Chinè non era sufficiente, come dallo
stesso dichiarato pubblicamente, a fugare
ogni sorta di dubbio??
Evidentemente NO!!
Comunque, l'emendamento alla Finanziaria
2011 che avrebbe integrato l'art. 19 della
L. n. 241/1990 non è stato ammesso e,
quindi, siamo al punto di partenza:
ad oggi la SCIA, in materia
edilizia, NON ESISTE!!
Tuttavia, circola voce che l'emendamento in
questione sarà riproposto, nei suoi
contenuti, nel consueto decreto "milleproroghe"
di fine anno ... quindi, ci riaggiorniamo.
29.11.2010 - LA SEGRETERIA PTPL |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia,
Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il
31.12.2010 il cui effetto sarà efficace a decorrere
dall'01.01.2011: ecco il fac-simile di determinazione (file
1 -
file 2).
ATTENZIONE:
se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la
suddetta scadenza per tutto il 2011 si dovrà
applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno
2010 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni:
ad oggi, il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla
variazione del mese di maggio 2010, mentre quello di giugno
2010 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile.
Abbiamo scritto all'ISTAT di Roma e ci hanno risposto come
segue:
L'ultimo
comunicato contenente il dato provvisorio di Giugno e' stato
pubblicato il 13.09.2010 al seguente link:
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100913_00/
Pur non disponendo di un calendario per questo tipo di
uscite, presumo che la pubblicazione dei 3 mesi successivi
(e quindi anche del dato definitivo di giugno)
avverrà entro la fine del 2010.
Cordiali saluti
Luigi Di Gennaro
Pertanto, si consiglia di adottare la
determinazione di aggiornamento del costo di costruzione,
per l'anno 2011, verso la fine di dicembre 2010
poiché è verosimile che, entro il 31.12.2010, possa essere
pubblicato dall'ISTAT il dato ufficiale relativo a giugno
2010 ed avere, così, un valore maggiore (rispetto a maggio
2010) della variazione ISTAT per il calcolo del costo di
costruzione (e, quindi, non perdere soldi per le casse
comunali ...).
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ENTI LOCALI:
Linee guida per i Comuni in materia di
videosorveglianza alla luce del
provvedimento Garante privacy 08.04.2010
(ANCI,
documento
novembre 2010). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Linee Guida per l’utilizzo di scale
portatili nei cantieri temporanei e mobili.
Il Gruppo di Lavoro “Lavori in quota”
della Regione Lombardia ha individuato
nell’uso della scala una condizione
operativa connotata da elevata pericolosità
caratterizzata, inoltre, da una pressoché
nulla percezione di pericolo da parte di
tutti i soggetti operanti nel cantiere.
Per contrastare questa diffusa sottostima
del rischio generato dal diffuso cattivo
utilizzo delle scale, il Gruppo di Lavoro ha
predisposto indicazioni operative di facile
utilizzabilità in cantiere da parte delle
persone che vi operano, per fare sì che le
scale portatili siano considerate non già
strumenti di libero utilizzo a fronte di
qualsivoglia bisogno, ma bensì attrezzature
d utilizzo mirato per accessi a luoghi
elevati e per posizionamenti in relazione a
lavori di piccola entità e breve durata.
Le Linee Guida realizzate si compongono di
una parte generale e di “schede di attività”
... (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Lo schema di contratto per la fornitura di
calcestruzzo dell’ANCE aggiornato alle nuove
norme.
Il Comitato calcestruzzo dell’ANCE
(Associazione Nazionale dei Costruttori
Edili) ha provveduto ad aggiornare il “Contratto
per la fornitura di Calcestruzzo
preconfezionato”, adeguandolo alle nuove
normative.
Lo schema di contratto che regola i rapporti
tra impresa e fornitore, definendo ruoli e
responsabilità, è così strutturato:
Art. 1 - Premesse
Art. 2 - Modalità di esecuzione della
fornitura
Art. 3 - Descrizioni tecniche, Responsabilità
Art. 4 - Prove sul materiale
Art. 5 - Oneri a carico delle parti
Art. 6 - Assicurazione
Art. 7 - Sospensione - Risoluzione
Art. 8 - Prezzi
Art. 9 - Pagamenti e Penali
Art. 10 - Controversie relative o derivanti da
contestazioni sul prodotto - Clausola
compromissoria
Art. 11 - Rinvio alle norme di Legge
Allegato 1 - Informazioni fornite dall’impresa
esecutrice
Allegato 2 - Informazioni fornite dall’impresa
fornitrice di calcestruzzo preconfezionato
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fotovoltaico: l’AEEG definisce le modalità,
i tempi e le condizioni per l’erogazione
delle tariffe incentivanti.
Con la deliberazione n. 181/2010 del
20/10/2010 l’Autorità per l’Energia
Elettrica e il Gas, in base all’art. 15,
comma 1, del DM 06.08.2010 (nuovo conto
energia fotovoltaico) ha definito:
- le modalità, i tempi e le condizioni per
l’erogazione delle tariffe incentivanti,
delle maggiorazioni e del premio;
- le modalità per la verifica del rispetto
delle disposizioni del decreto;
- le modalità con le quali le risorse per
l’erogazione delle tariffe incentivanti,
delle maggiorazioni e del premio, nonché per
la gestione delle attività previste dal
decreto, trovano copertura nel gettito della
componente tariffaria A3 delle tariffe
dell’energia elettrica.
La delibera n. 181/2010 si applica a tutti
gli impianti fotovoltaici che entrano in
esercizio a partire dall'01.01.2011.
La deliberazione prevede, per quanto
concerne l’accesso alle tariffe
incentivanti, che il soggetto responsabile
dell’impianto fotovoltaico debba dichiarare,
sotto la propria responsabilità, di
rispettare i requisiti per l’ammissibilità
alla tariffa incentivante previsti dal
decreto, nonché:
- di essere proprietario del bene immobile
ove è installato l’impianto o, diversamente,
disporre dell’autorizzazione sottoscritta
dal proprietario, o dai proprietari, di tale
bene immobile, qualora detto proprietario/i
sia/siano diverso/i dal soggetto
responsabile;
- di aver conseguito tutte le autorizzazioni
necessarie alla costruzione e all’esercizio
dell’impianto, nel rispetto dei vincoli
architettonici e paesaggistici, della
normativa esistente in materia di sicurezza
durante le attività di costruzione ed
esercizio dell’impianto e dei relativi
allacciamenti (link a www.acca.it). |
ARAN E SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il foglio dei lavoratori della
Funzione Pubblica
(CGIL-FP di Bergamo,
novembre 2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: Rappresentanze Sindacali
Unitarie (ARAN,
nota 26.11.2010 n. 10700 di prot.
- link a www.aranagenzia.it).
---------------
... nell'attesa della
definizione dei nuovi comparti di
contrattazione, le RSU attualmente vigenti
resteranno in carica anche oltre il
30.11.2010, conservando tutte le loro
prerogative, fino alle prossime elezioni. |
PUBBLICO IMPIEGO:
Tremonti contro Brunetta
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 23.11.2010). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI: G.U.
27.11.2010 n. 278 "Modalità attuative
dell’articolo 2, comma 589, della legge
24.12.2007, n. 244 (legge finanziaria 2008),
recante disposizioni in materia di posta
elettronica"
(Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Dipartimento per la Pubblica Amministrazione
e l'Innovazione,
decreto 24.09.2010). |
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 47 del
25.11.2010, "Determinazione della
procedura di Valutazione ambientale di piani
e programmi – VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005;
d.c.r. n. 351/2007) – Recepimento delle
disposizioni di cui al d.lgs. 29.06.2010, n.
128, con modifica ed integrazione delle
dd.g.r. 27.12.2008, n. 6420 e 30.12.2009, n.
10971"
(deliberazione
G.R. 10.11.2010 n. 761 - link a www.infopoint.it).
---------------
N.B.: per caso, la
Regione Lombardia rivisita la disciplina
della VAS prima che si pronunzi il Consiglio
di Stato, il prossimo 07.12.2010, in merito
alla sentenza TAR Lombardia-Milano che ha
bocciato il PGT del Comune di Cermenate?? |
ENTI LOCALI - VARI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 45
dell'08.11.2010, "Modifica del d.D.G. n.
7686 del 13.05.2003 «Linee guida in materia
di interventi di sanità pubblica per la
prevenzione del fenomeno delle morsicature
da cani»" (decreto
D.G. 14.10.2010 n. 10401 - link a
www.infopoint.it). |
NOTE,
CIRCOLARI & COMUNICATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: Art. 31 della legge 04.11.2010
n. 183. Conciliazioni presso le Direzioni
provinciali del lavoro. Prime indicazioni
operative nella fase transitoria
(Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali,
nota
25.11.2010 n. 3428 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
Procedimenti per l'autorizzazione alla
realizzazione di impianti fotovoltaici a
terra maggiori di 20 kW
(Ministero dello Sviluppo Economico,
nota 28.10.2010 n.
19813 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ancora sulla SCIA: la Regione Liguria dice
no all'applicazione all'edilizia,
soprattutto in ambiti vincolati.
Il 28.10.2010 la Regione Liguria ha
trasmesso alle amministrazioni locali la
nota 08.09.2010 n.
126099 di prot. -a firma del Vice
Presidente della Giunta Regionale e
Assessore alla Pianificazione Territoriale,
Urbanistica- in risposta al quesito posto
dal Comune di Genova relativamente alla
applicabilità in materia di attività
edilizia del nuovo istituto della
Segnalazione certificata di inizio attività
(SCIA).
Oltre a ricordare di aver proposto ricorso
alla Corte Costituzionale con altre otto
regioni, la Regione ha evidenziato che la
procedura pare essere circoscritta alle
attività di Impresa, maggiormente bisognose
di "semplificazione", escludendone in
ogni caso l'applicazione in casi in cui
sussistono vincoli ambientali, paesaggistici
o culturali (commento tratto e link a
http://studiospallino.blogspot.com). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
Il termine di impugnazione decorre dalla
comunicazione del provvedimento lesivo nella
sua forma integrale (link a
www.mediagraphic.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
V. Tedesco,
Le missioni nel pubblico impiego. La
tormentata questione dell'utilizzo del mezzo
proprio dopo la legge 122/2010
(link a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Muntoni,
Cessione gratuita quale corrispettivo del
permesso di costruire
(link a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
P. C. Cretì,
Il paesaggio nel titolo V della Costituzione
e nel D.Lgs. 42/2004 “Codice dei beni
culturali e del paesaggio” (link
a www.entilocali.provincia.le.it). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Montagna,
parla la regione. Potere sostitutivo dei
prefetti in via residuale. Se i governatori
hanno legiferato non si applicano le norme
statali.
Il prefetto è competente
a procedere alla diffida dei consigli delle
comunità montane che non hanno adempiuto
all'approvazione del bilancio di previsione
e a provvedere all'eventuale nomina di un
commissario ad acta, qualora lo statuto
regionale attribuisca al presidente della
giunta regionale l'adozione di
«provvedimenti urgenti e sostitutivi di
competenza della regione»?
Il nostro ordinamento prevedeva, già prima
della riforma costituzionale del 2001, che
le norme della legislazione statale in
materia di scioglimento dei consigli
comunali e provinciali si applicassero alle
Comunità montane solo «ove non
diversamente previsto dalle leggi regionali»
(art. 141, comma 8, del Tuel 267/2000).
A seguito della legge costituzionale
18.10.2001, n. 3 la disciplina delle
comunità montane è stata attribuita alla
competenza residuale regionale, come più
volte chiarito dalla Corte costituzionale,
da ultimo con la recente sentenza n. 237 del
16.07.2009.
Pertanto, se la regione ha esercitato tale
potere legislativo, sia in sede di
emanazione del proprio statuto, sia con
legge regionale -che prevede, nelle materie
di competenza legislativa regionale e nel
rispetto del principio di leale
collaborazione, l'esercizio di un potere
sostitutivo sugli enti locali nei casi in
cui vi sia una accertata e persistente
inattività nell'esercizio obbligatorio di
funzioni amministrative, anche attraverso la
nomina di un commissario- non sono
applicabili le norme della legislazione
statale che attribuiscono ai prefetti la
competenza a nominare un commissario ad
acta in caso di mancata approvazione,
nei termini, del bilancio da parte delle
comunità montane (articolo
ItaliaOggi del 26.11.2010 - link
a www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Disciplina dei permessi.
Come si applica la disciplina dei permessi
retribuiti previsti dall'art. 79 del decreto
legislativo n. 267/2000 ad un dipendente
pubblico che ricopre diversi incarichi
politici?
L'art. 79 (commi 1-5) differenzia le
modalità di fruizione dell'istituto
prevedendo che solo per le sedute del
consiglio il consigliere ha diritto al
permesso lavorativo per l'intera giornata,
oltre a quella successiva in caso di durata
oltre la mezzanotte, mentre per le riunioni
di organi esecutivi e commissioni gli
amministratori hanno diritto di assentarsi
dal lavoro per la durata delle riunioni
degli organi di cui fanno parte, oltre che
per il tempo necessario per raggiungere il
luogo di riunione e rientrare nella sede di
lavoro.
Tale norma, inoltre, prevede la possibilità
di assentarsi ulteriormente dal lavoro,
entro un limite massimo di 24 ore lavorative
al mese, e riconosce ai lavoratori
dipendenti il diritto di usufruire di
ulteriori permessi non retribuiti, sino a un
massimo di 24 ore lavorative mensili,
qualora risultino necessari per
l'espletamento del mandato, da utilizzare
anche per lo studio preliminare e la
trattazione degli argomenti inseriti
nell'ordine del giorno della riunione.
In merito all'attestazione dei permessi, il
lavoratore dipendente ha l'obbligo di
documentare, con apposita certificazione,
l'attività e i tempi di espletamento del
mandato (comma 6, art. 79 T.u.),
quantificando anche il tempo impiegato per
lo spostamento da e per il luogo di lavoro.
In assenza di specifica norma regolamentare,
l'attestazione dell'utilizzo dei permessi
retribuiti e non retribuiti può essere
rilasciata dal sindaco, dal segretario
comunale, dal segretario del collegio cui
partecipano gli amministratori interessati,
da un consigliere facente le veci di
segretario, ovvero dal presidente
dell'adunanza.
In ordine alla carica di capogruppo
consiliare, l'art. 79, comma 4, del T.u. fa
espresso riferimento alla figura di «presidente
del gruppo consiliare», pertanto i
permessi retribuiti possono essere fruiti
dall'amministratore che ricopre la carica di
capogruppo consiliare solo nel caso in cui,
in base a norme statutarie e regolamentari
del comune, tale figura sia in tutto
assimilabile, per compiti e attribuzioni, a
quella di presidente di gruppo consiliare.
Infine, il comma 1 dell'art. 85 del Testo
unico stabilisce che le norme relative alla
posizione, al trattamento e ai permessi dei
lavoratori pubblici e privati chiamati a
funzioni elettive, si applicano anche alla
partecipazione dei rappresentanti degli enti
locali alle associazioni internazionali,
nazionali e regionali tra enti locali.
La richiamata normativa non pone un limite
alle spese per i rimborsi, tranne quello
costituito dal monte ore previsto dal
menzionato art. 79, pertanto
all'amministratore spettano i permessi
specificatamente previsti per ogni singola
carica ricoperta, a meno che non si
verifichi una coincidenza nell'ambito della
stessa giornata tra le convocazioni dei
rispettivi organi (articolo
ItaliaOggi del 26.11.2010 - link
a www.ecostampa.com). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Legittimo estendere la riforma
Brunetta a regioni e autonomie. L'analisi:
cosa cambia dopo la sentenza della consulta.
La riforma-Brunetta è
costituzionalmente legittima, nella parte
che estende espressamente a regioni ed enti
locali la disciplina degli incarichi
dirigenziali a tempo determinato per
soggetti non appartenenti ai ruoli,
contenuta nell'articolo 19, comma 6, del
dlgs 165/2001.
È la Corte costituzionale, con la sentenza
12.11.2010, n. 324 a chiarire
definitivamente la legittimità
costituzionale dell'operazione legislativa
posta in essere dal dlgs 150/2009 si
sovrapporsi all'articolo 110 del dlgs
267/2000, del quale indirettamente si
conferma l'irrimediabile disapplicazione.
La Consulta ha dichiarato infondate le
questioni di legittimità costituzionale
poste dalle regioni Piemonte, Toscana e
Marche, in merito all'articolo 40, comma 1,
lettera f), del d.lgs 150/2009, nella parte
in cui ha introdotto nell'articolo 19 del
dlgs 165/2001 il comma 6-ter.
Tale disposizione stabilisce che i commi
precedenti 6 e 6-bis del citato articolo 19
si applicano anche alle amministrazioni di
cui all'articolo 1, comma 2, sempre del dlgs
165/2001: dunque, anche a regioni ed enti
locali.
L'Anci e molta parte della dottrina hanno
rilevato la presunta incostituzionalità di
tale norma, che avrebbe compresso
l'autonomia organizzativa costituzionalmente
garantita, tanto alle regioni, quanto agli
enti locali, impedendo di applicare le più
estensive norme regionali o la disciplina
dell'articolo 110 del dlgs 267/2000. In
particolare, l'articolo 19, comma 6, è stato
ritenuto penalizzante per le amministrazioni
locali, soprattutto per le rigide e
contenute percentuali entro le quali
consente di assumere dirigenti esterni con
contratti a tempo determinato.
Le regioni ricorrenti, in particolare,
avevano lamentato la violazione degli
articoli 76, 117, comma 3 e 4, e 119 della
Costituzione, ritenendo che la norma
introdotta dalla riforma-Brunetta avrebbe
leso la potestà legislativa generale e
residuale delle regioni, estesa, a loro
giudizio, all'organizzazione ed alle
modalità di reclutamento del personale
regionale e degli enti locali. Una legge
statale non avrebbe potuto fissare e
certamente non col dettaglio dell'articolo
19, comma 6, del dlgs 165/2001
l'acquisizione di dirigenti a tempo
determinato non appartenenti ai ruoli.
La Consulta ha totalmente rigettato
l'impostazione delle regioni ricorrenti,
evidenziando che il legislatore statale ha
correttamente esercitato la propria potestà
legislativa, trattandosi di una normativa
riconducibile alla materia dell'ordinamento
civile. L'articolo 117, comma 2, lettera l),
della Costituzione attribuisce, infatti,
alla competenza legislativa esclusiva dello
stato appunto la materia dell'ordinamento
civile. E il conferimento di incarichi
dirigenziali a soggetti esterni si
determina, spiega la sentenza 324/2010
attraverso «la stipulazione di un
contratto di lavoro di diritto privato.
Conseguentemente, la disciplina della fase
costitutiva di tale contratto, così come
quella del rapporto che sorge per effetto
della conclusione di quel negozio giuridico,
appartengono alla materia dell'ordinamento
civile».
La sentenza della Consulta rileva che
l'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001
non riguarda né procedure concorsuali
pubblicistiche per l'accesso al pubblico
impiego, né la scelta delle modalità di
costituzione di quel rapporto giuridico.
Dunque, non c'è violazione degli articoli
117, commi 3 e 4, e 119 della Costituzione,
proprio perché perché la norma impugnata
dalle regioni non attiene a materie di
competenza concorrente (coordinamento della
finanza pubblica) o residuale regionale
(organizzazione delle regioni e degli uffici
regionali, organizzazione degli enti
locali).
Come rilevato, dalla sentenza della Consulta
discende la conferma della disapplicazione
dell'articolo 110, commi 1, 2 e 5, del dlgs
267/2000. Il comma 1 risulta assolutamente
incompatibile con l'articolo 19, comma 6,
perché non prevede alcuna limitazione
percentuale all'incarico di dirigenti a
tempo determinato. L'estensione
dell'articolo 19, comma 6, invece impone di
rispettare il limite massimo agli incarichi,
che a questo punto non può non coincidere
con l'8% relativo ai dirigenti di seconda
fascia, poiché il limite del 10%,
riguardante esclusivamente poche centinaia
di dirigenti dello stato di prima fascia,
non può estendersi all'ordinamento locale.
A sua volta, il comma 2 dell'articolo 110
deve considerarsi del tutto abolito: esso,
infatti, a differenza dell'articolo 19,
comma 6, prevede l'acquisizione di dirigenti
a tempo determinato oltre i limiti della
dotazione organica. Anche il comma 5, ai
sensi del quale il rapporto di lavoro dei
dipendenti degli enti locali si risolve di
diritto, non può considerarsi operante,
rispetto all'estensione anche
all'ordinamento locale dell'articolo 19,
comma 6, per effetto del quale, invece,
scatta l'aspettativa d'ufficio (articolo
ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il tetto agli aumenti blocca
tutto. Semaforo rosso all'erogazione di
compensi aggiuntivi. Parere della Ragioneria
generale dello stato in risposta a un
quesito sul dl 78 del 2010.
Il tetto del 3,2% agli
aumenti contrattuali del biennio economico
2008/2009 si applica al personale degli enti
locali e blocca la erogazione di compensi
aggiuntivi non corrisposti concretamente
prima della entrata in vigore del dl n.
78/2010, cd manovra estiva, e finanziati
dall'aumento del fondo 2009 disposto per gli
enti cd virtuosi.
Non si producono effetti né sugli aumenti di
stipendio disposti dallo stesso contratto,
anche se gli aumenti superano il tetto del
3,2%, né sui pagamenti del fondo derivanti
dall'aumento previsto per gli enti virtuosi
e già corrisposti in precedenza, né sulle
risorse aggiuntive inserite nei fondi dalla
contrattazione decentrata.
Possono essere così riassunte le principali
indicazioni dettate dalla Ragioneria
generale dello stato nel
parere 16.11.2010 n. 96618 di prot.,
reso in risposta a un quesito posto dall'Anci
che si faceva portavoce dei dubbi esistenti
in numerosi comuni. Ricordiamo che negli
stessi termini si era espressa nelle scorse
settimane anche la sezione regionale di
controllo della Corte dei conti della
Toscana, con il parere n. 123: per cui non
vi sono dubbi interpretativi o incertezze da
invocare nel caso di contenziosi. La
conclusione lascia l'amaro in bocca ai
dipendenti di quelle amministrazioni in cui
le somme aggiuntive sono state inserite nel
fondo, ma non sono state corrisposte e, a
seguito del dl n. 78/2010, non possono
essere erogate, mentre in numerosi altri
enti ciò è invece avvenuto.
Vediamo il dato
legislativo.
L'articolo 9, comma 4, della manovra estiva
dispone che dallo scorso giugno, cioè dal
mese successivo alla entrata in vigore del
dl n. 78/2010, siano diventate «inefficaci»
le clausole dei contratti collettivi
nazionali di lavoro che dispongono aumenti
superiori al 3,2% per il biennio economico
200/2009. E inoltre ha stabilito che «i
trattamenti retributivi saranno
conseguentemente adeguati». Nell'ambito
di questa norma rientrano i contratti
collettivi dei dirigenti e dei dipendenti
della sanità e dei dipendenti degli enti
locali (Ccnl 31/7/2009).
Si deve subito precisare che la norma non si
occupa degli aumenti previsti da singoli
contratti collettivi decentrati integrativi
in applicazione delle previsioni dei
contratti nazionali che consentono aumenti
del fondo per le risorse decentrate. E non
rientrano neppure gli aumenti di stipendio
corrisposti alle singole posizioni di
progressione economica: anche se si supera
il tetto del 3,2% di aumento, si deve
considerare che comunque non si supera il
tetto complessivo dell'incremento del 3,2%
del costo medio: infatti il Ccnl non prevede
nessun aumento del fondo per le risorse
decentrate, per cui gli aumenti stipendiali
devono superare tale cifra.
L'aumento che ha superato il tetto dettato
dal legislatore è quello che viene
consentito agli enti cd virtuosi nella
misura massima dello 1% del monte salari
20007: Tale aumento poteva essere
ulteriormente incrementato fino allo 1,5% in
presenza di condizioni di forte
differenziazione. E ciò nonostante che tale
aumento sia espressamente una tantum per il
fondo del 2009. E che tali aumenti vadano
nella parte variabile e non in quella
stabile, quindi non possono essere
utilizzati per finanziare le progressioni
economiche e/o per la indennità dei titolari
di posizione organizzativa e/o la maggior
parte della indennità di comparto.
Da qui la conclusione della Ragioneria
generale dello stato: non si possono erogare
i «predetti emolumenti anche con
riferimento alle somme che, pur se
stanziate, non siano state ancora
corrisposte» al personale. Mentre invece
non è necessario operare alcun recupero in
caso di erogazione avvenuta in precedenza.
Alla base di tale scelta, oltre che lo scopo
di evitare impatti traumatici, quali il
recupero di somme già percepite, peraltro
dagli esiti assai dubbi in caso di
contenziosi. Questa differenza sicuramente
lascia, più che legittimamente, l'amaro in
bocca a coloro che speravano in tali aumenti
e che li vedono percepiti dai colleghi di
altri enti (articolo
ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Progressioni bandite. Assunzioni
nulle. Paga il dirigente. È fuorviante
pensare che il divieto non preveda sanzioni.
Lo svolgimento di
progressioni verticali, in violazione della
disciplina della riforma-Brunetta, che le ha
eliminate, comporta la nullità delle
assunzioni e potenziali elementi di
responsabilità amministrativa.
Nonostante a partire dalla deliberazione
10/2010 della Corte dei conti, sezione
autonomie, la magistratura contabile abbia
assunto una posizione chiarissima, secondo
la quale per effetto degli articoli 52,
comma 1-bis, del dlgs 165/2001 e 24 del dlgs
150/2009 le progressioni verticali siano
state eliminate, molte amministrazioni
locali hanno continuato per tutto il 2010, a
riforma vigente, ad espletare le relative
procedure.
Si è ingenerata, infatti, la convinzione che
tutto sommato non vi sarebbero
controindicazioni a procedere egualmente,
visto che il legislatore non prevede
espressamente sanzioni nel caso in cui si
dia corso alle progressioni verticali. È,
tuttavia, una visione erronea e
semplicistica.
Non si tiene sufficientemente in
considerazione che la disciplina per le
progressioni di carriera (che hanno
sostituito le progressioni verticali) è
contenuta nell'articolo 52, comma 1-bis, del
dlgs 165/2001, il quale ammette
esclusivamente il concorso pubblico, con
eventuale riserva di posti non superiore al
50%. Tale norma, come tutte quelle del dlgs
165/2001, è qualificata come «imperativa»
dall'articolo 2, comma 2, del medesimo dlgs
165/2001. Dunque, la violazione di tali
norme comporta di per sé la totale nullità
dei provvedimenti che le violino e degli
atti negoziali, i contratti di lavoro,
conseguenti.
Allora, risultano evidenti le conseguenze
delle assunzioni mediante progressioni
verticali vietate. Si tratta, infatti, di
assunzioni in una nuova categoria o area
senza un valido titolo giuridico, sicché
l'erogazione del compenso diviene
illegittima e, dunque, possibile fonte di
responsabilità amministrativa dell'ente e
del dirigente che vi abbia dato corso (fermo
restando il diritto del dipendente a
percepire l'incremento stipendiale, fino a
disapplicazione del provvedimento).
Il vulnus derivante dal perdurante
utilizzo delle progressioni verticali
nonostante la loro eliminazione
dall'ordinamento viene ulteriormente
comprovato dal danno potenziale che esse
arrecano ai lavoratori posti in
disponibilità e, dunque, alle soglie del
licenziamento. Gli enti, quando avviano le
progressioni verticali, non adempiono
all'articolo 34-bis del dlgs 165/2001 e
dunque non verificano se vi sono dipendenti
pubblici inseriti nelle liste di
disponibilità, per l'attivazione della
mobilità obbligatoria. Tale verifica,
invece, è obbligatoria quando si proceda
mediante concorso pubblico.
Di conseguenza, proseguire nelle
progressioni verticali non solo implica le
responsabilità viste prima, ma compromette
le protezioni sul lavoro che l'ordinamento
ha previsto a beneficio dei lavoratori
pubblici in disponibilità, ciascuno dei
quali potrebbe vantare un diritto al
risarcimento del danno subito dalla perdita
della possibilità di ricollocarsi in
un'amministrazione, derivante dall'illecito
utilizzo delle progressioni verticali (articolo
ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
P.a., web sdoganato. Dipendenti
al pc: niente peculato. Per la Cassazione
importante è che non ci sia danno.
La Cassazione sdogana la
navigazione in internet negli uffici
pubblici che hanno contratti prepagati. Il
dipendente pubblico che usa il cellulare di
lavoro per mandare sms o fare chiamate
private e naviga su internet dal pc
dell'ufficio per ragioni personali non
risponde di peculato, se il danno provocato
all'amministrazione è di scarsa entità.
È quanto sancito dalla Suprema corte che,
con la sentenza 25.11.2010 n. 41709, ha
respinto il ricorso della procura di Torino
contro la sentenza di non luogo a procedere
emessa dal Gip nei confronti di un
dipendente comunale accusato di peculato e
abuso d'ufficio.
L'uomo aveva usato il telefono cellulare
datogli in dotazione dall'ente locale per
chiamare i suoi amici e familiari, per un
totale di 25 ore a un costo di 75 euro. Il
dipendente inoltre aveva usato il computer
dell'ufficio navigando su internet per
ragioni personali. Il danno
all'amministrazione era ridottissimo nel
caso del telefono, e nullo per quel che
riguardava la navigazione su internet, dal
momento che il comune pagava un canone fisso
mensile di abbonamento per la connessione.
La Cassazione ha quindi confermato il
proscioglimento da ogni accusa, ricordando
che «non integra il reato di peculato
l'utilizzo da parte del pubblico ufficiale
dei telefoni di cui ha la disponibilità per
ragioni di ufficio per comunicazioni di
carattere privato o l'uso del pc collegato
alla rete internet per ragioni personali
qualora i danni al patrimonio della pubblica
amministrazione siano di scarsa entità o
nulli, finendo per essere irrilevanti,
rilevandosi le condotte inoffensive del bene
giuridico tutelato».
Non solo, i giudici pur affermando che la
giurisprudenza della Corte sull'argomento «ha
giudicato in modo differente è vero che le
diversità sono dovute essenzialmente alla
diversa misura di tale utilizzazioni» e
tutte le sentenze pronunciate «sono
concordi nel ritenere che danni al
patrimonio della pubblica amministrazione di
scarsa entità finiscono per essere
irrilevanti per rivelarsi le condotte
inoffensive del bene giuridico tutelato».
Sul fronte internet, poi, la sesta sezione
penale ha inoltre chiarito che, dato
l'abbonamento che il Comune aveva stipulato
con la Telecom, «nessun danno è stato
cagionato alla pubblica amministrazione».
Infatti, ha poi aggiunto il Collegio di
legittimità, «ravvisabile un concreto
incremento patrimoniale» da parte
dell'indagato e quindi «un vantaggio
ingiusto» (articolo
ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da
www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Regolamento per gli incarichi
agli esterni.
La pubblica
amministrazione non può affidare un incarico
ad un soggetto estraneo se prima non si è
dotata di un apposito regolamento che
disciplini il conferimento di incarichi di
collaborazione, così come prevede l'articolo
7, comma 6-bis del testo unico sul pubblico
impiego. Inoltre, affinché l'incarico abbia
efficacia, è necessaria una verifica
preliminare che all'interno
dell'organizzazione dell'ente manchi il
personale idoneo, sia sotto il profilo
qualitativo che quantitativo e che le
prestazioni da conferire siano di carattere
eccezionale e temporaneo, escludendo a
priori proroghe di incarichi già conferiti.
È quanto ha rilevato la Sezione centrale di
controllo di legittimità della Corte dei
Conti, nel testo della
deliberazione 19.11.2010 n. 25,
con la quale ha ricusato il visto e non ha
ammesso a registrazione il conferimento da
parte dell'Autorità portuale di Trieste, di
un incarico di consulenza legale nello staff
della presidenza.
Il collegio della Corte, ha rilevato infatti
che, in violazione di quanto previsto
dall'articolo 7, comma 6-bis del dlgs n.
165/2001, l'ente non si è ancora dotato del
regolamento che disciplina e rende pubbliche
le procedure comparative per il conferimento
di incarichi di collaborazione e, la
mancanza di questo fondamentale presupposto
già di per è sarebbe condizione per la non
ammissione al vaglio del provvedimento di
incarico.
Quanto al merito dell'incarico, secondo
giurisprudenza ormai consolidata della
stessa magistratura contabile, il
conferimento di un incarico di consulenza a
soggetti esterni all'apparato amministrativo
può ritenersi legittimo ove si renda
necessario per affrontare problematiche di
particolare complessità o urgenza che non
possano essere adeguatamente o
tempestivamente risolte avvalendosi delle
professionalità interne e a condizione che
il medesimo incarico sia sufficientemente
determinato nei suoi contenuti e nella sua
durata.
Nel conferimento delle consulenze esterne,
pertanto, le amministrazioni pubbliche
devono attenersi a quattro fondamentali
principi. Innanzitutto, l'effettiva
rispondenza dell'incarico a obiettivi
specifici dell'amministrazione conferente.
Poi, dovrà essere certificato il carattere
eccezionale e temporaneo delle prestazioni
che costituiscono l'oggetto della
consulenza, nonché la comprovata mancanza
all'interno dell'organizzazione dell'Ente,
di personale idoneo, sotto il profilo
quantitativo o qualitativo, a sopperire alle
esigenze che determinano il ricorso alla
consulenza e, come detto, che l'attribuzione
ad esperti di particolare e comprovata
specializzazione, avvenga mediante una
procedura concorsuale che sia disciplinata
da un apposito regolamento interno. Nel caso
posto al vaglio della Corte, l'incarico
difetta dei requisiti di eccezionalità e
temporaneità, in quanto non fa riferimento
ad una problematica eccezionale, ma
abbraccia «tutte le implicazioni giuridiche
sottese alle normali attività istituzionali»
dell'autorità portuale di Trieste.
Quanto al carattere temporaneo, poi, la
Corte ha rilevato che «è evidente che
tali complesse attività non hanno neanche la
caratteristica di essere meramente
temporanee, giacché le prestazioni del
consulente si protraggono ormai da tre anni,
trattandosi di una proroga della consulenza
medesima».
Infine, l'ente concedente non ha
adeguatamente motivato la mancanza di
specifiche professionalità idonee allo
svolgimento di tali compiti all'interno
delle strutture organizzative. Anzi, si è
affermato che, in relazione al mancato
adeguamento della pianta organica alle
proprie esigenze, sono stati assunti alle
dipendenze dell'Autorità portuale due unità
in possesso di specifiche professionalità
parzialmente idonee ad assumere in
prospettiva mansioni di rilevante
responsabilità, dopo adeguato inserimento e
maturazione della necessaria esperienza (articolo
ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Lo statale si paga la benzina.
Utilizzo del mezzo proprio solo se
assicurato. Corte dei conti Toscana scrive
un nuovo capitolo della querelle aperta
dalla manovra.
La pubblica
amministrazione può autorizzare il
dipendente all'utilizzo del mezzo proprio,
in particolare quando tale soluzione sia più
conveniente per la stessa amministrazione.
L'amministrazione dovrà farsi carico di
stipulare una polizza assicurativa che copra
eventuali sinistri occorsi al dipendente
(ovvero a mantenere quella in essere), ma i
costi relativi al carburante devono restare
esclusivamente a carico dello stesso
dipendente autorizzato. Questo perché la
volontà dei legislatore, che sul punto è
intervenuto con la manovra correttiva dei
conti pubblici del maggio 2010, non è stata
quella di abrogare la possibilità di
utilizzare il mezzo del dipendente, bensì
quella di ridurre la spesa che ne consegue.
E' quanto ha messo nero su bianco la sezione
regionale di controllo della Corte dei conti
per la Toscana, nel testo del
parere 17.11.2010 n.
170 che arricchisce di un nuovo
capitolo la querelle sulla corretta
interpretazione da dare alle disposizioni
contenute all'articolo 6, comma 12 del
decreto legge n. 78/2010, in merito alla
possibilità o meno del dipendente di poter
utilizzare il mezzo proprio,
nell'espletamento di un compito d'istituto e
al correlato rimborso delle spese da questi
sostenute ... (articolo
ItaliaOggi del 25.11.2010 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Manager a termine, vale la
Brunetta. Abrogate le disposizioni del Tuel
sulla dirigenza non di ruolo. Corte conti
Veneto: gli enti locali possono conferire
incarichi solo a norma del dlgs 150/2009.
Gli incarichi
dirigenziali a tempo determinato possono
essere conferiti dagli enti locali
esclusivamente nel rispetto delle previsioni
dell'articolo 19, comma 6, del dlgs
165/2001. Non risulta più applicabile,
dunque, l'articolo 110, commi 1 e 2, del
dlgs 267/2000, che risulta incompatibile con
la riforma Brunetta e con una lettura delle
disposizioni costituzionalmente orientata.
Dopo la sentenza della Corte costituzionale
12.11.2010, n. 324 che ha sancito la
conformità a Costituzione dell'articolo 19,
comma 6-ter, del dlgs 165/2001, ai sensi del
quale si estende a tutte le amministrazioni
pubbliche, comprese regioni ed enti locali,
la regolamentazione degli incarichi
dirigenziali a contratto prevista nel
precedente comma 6, è la Corte dei conti,
Sezione regionale di controllo del Veneto,
che col
parere
15.11.2010 n. 231 chiude le questioni
interpretative poste, decretando
l'abrogazione dell'articolo 110, commi 1 e
2, del Tuel.
La sezione dirime i dubbi interpretativi,
negando la sostenibilità delle tesi
contrarie, poggiate principalmente su due
elementi: la natura «speciale»
dell'articolo 110 del dlgs 267/2000 e la
clausola di rafforzamento del medesimo dlgs
267/2000, contenuta nel suo articolo 1,
comma 4.
La prima argomentazione non ha pregio.
Secondo la sezione, l'articolo 19, comma 6,
è a sua volta norma speciale: in effetti,
contiene una regolamentazione specifica per
l'acquisizione di dirigenti non di ruolo.
Poiché il nuovo comma 6-ter dell'articolo 19
stabilisce che la nuova norma speciale
riguardante la dirigenza statale vada
applicata anche in tutte le altre
amministrazioni pubbliche, allora non si può
che rilevare l'inefficacia delle relative
norme speciali previgenti riguardanti la
medesima questione.
Del resto, evidenzia la sezione, il
legislatore ha manifestato chiaramente
l'intento di ricondurre ad unità la
disciplina degli incarichi dirigenziali a
contratto, allo scopo di contenerne il
numero e di adeguarla alle sentenze della
Corte costituzionale che, a partire dalla
sentenza 103/2007, hanno rilevato la
contrarietà a Costituzione di una dirigenza
non di ruolo. Infatti, l'articolo 6, comma
2, lettera h), della legge 15/2009 (le legge
delega da cui è scaturito il dlgs 150/2009)
ha demandato al legislatore delegato il
compito di ridefinire la «disciplina
relativa al conferimento degli incarichi ai
soggetti estranei alla pubblica
amministrazione e ai dirigenti non
appartenenti ai ruoli, prevedendo comunque
la riduzione, rispetto a quanto previsto
dalla normativa vigente, delle quote
percentuali di dotazione organica entro cui
è possibile il conferimento degli incarichi
medesimi». Tale delega è stata attuata
con una disciplina unitaria degli incarichi
a contratto, valevole per ogni
amministrazione pubblica.
D'altra parte, l'articolo 110, commi 1 (in
particolare) e 2, cozza contro una lettura
costituzionalmente orientata del corpo
normativo come indicata dalla Consulta, in
quanto tale norma consente un'eccessivamente
stretta correlazione il dirigente a
contratto e l'organo di governo, che
pregiudicherebbe l'effettività della
distinzione funzionale tra i compiti di
indirizzo politico-amministrativo e quelli
di gestione.
In secondo luogo, non vale a fare salvo
l'articolo 110 il comma 4 dell'articolo 1
del dlgs 267/2000. La sezione del Veneto
richiama quanto già rilevato affermato dalla
sezione delle autonomie della Corte dei
conti con la delibera 10/2010, ribadendo che
detto articolo 1, comma 4, è da considerarsi
come non esistesse, poiché contrasta
platealmente con principi fondamentali in
merito alla struttura delle fonti
dell'ordinamento, in applicazione del quale
«tra fonti dello stesso grado gerarchico,
promulgate in tempi successivi e regolanti
la stessa materia, la legge posteriore
deroga la legge precedente».
L'articolo 1, comma 4, altro non è se non
una sorta di invito di natura «politica» che
l'estensore del dlgs 267/2000 ha rivolto ai
futuri legislatori, del tutto privo di ogni
rilievo e cogenza giuridica.
Di particolare rilievo, ancora,
l'affermazione del parere della sezione,
secondo la quale l'applicazione diretta
dell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2000
non trova ostacolo nell'autonomia
regolamentare in materia di organizzazione
riconosciuta agli enti locali dall'articolo
117, comma 6, della Costituzione. Infatti si
tratta di accesso al pubblico impiego,
ambito di disciplina riservato alla legge ai
sensi dell'articolo 97, comma 3, della
Costituzione, rispetto al quale
l'organizzazione delle funzioni non ha nulla
a che vedere (articolo
ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da
www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Sul principio di concentrazione e
continuità delle operazioni di gara in
materia di appalti pubblici.
Gli adempimenti concernenti la verifica
dell'integrità dei plichi contenenti
l'offerta devono svolgersi in seduta
pubblica.
Al fine di assicurare imparzialità,
pubblicità, trasparenza e speditezza
all'azione amministrativa, le sedute di una
commissione di gara devono ispirarsi al
principio di concentrazione e di continuità.
La fase di valutazione delle offerte
tecniche ed economiche deve essere
concentrata in un'unica seduta, onde poter
scongiurare possibili influenze esterne ed
assicurare l'assoluta indipendenza di
giudizio dell'organo incaricato dell'esame.
Il principio di continuità e concentrazione
della gara è suscettibile di eccezioni,
potendo verificarsi particolari circostanze
che, in concreto, impediscano l'espletamento
delle operazioni nel breve termine, tra cui
la complessità delle valutazioni da svolgere
o l'elevato numero delle offerte da
giudicare. In siffatte ipotesi, tuttavia,
l'esigenza di continuità impone comunque
l'osservanza del minimo intervallo temporale
tra una seduta e l'altra e delle massime
garanzie di conservazione dei plichi
contenenti le singole offerte.
---------------
Devono svolgersi in seduta pubblica gli
adempimenti concernenti la verifica
dell'integrità dei plichi contenenti
l'offerta, sia che si tratti di
documentazione amministrativa sia che si
tratti di documentazione afferente l'offerta
tecnica (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.11.2010 n. 8155 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un concorrente per omessa allegazione
della copia fotostatica del documento
d'identità all'offerta economica.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un concorrente che abbia omesso
di allegare, alla busta contenente l'offerta
economica, copia fotostatica del documento
di identità, come prescritto dal bando di
gara, in quanto nelle gare pubbliche le
regole stabilite dalla lex specialis
vincolano rigidamente la stazione
appaltante, la quale è tenuta ad applicarle
senza alcun margine di discrezionalità nella
loro interpretazione, a tutela della par
condicio ed in virtù del principio generale
che vieta la disapplicazione del bando,
quale atto con cui l'amministrazione si sia,
in origine, autovincolata. A maggior ragione
la commissione non può interpretare
discrezionalmente le norme di gara qualora
le stesse, come nel caso di specie,
contengano espresse clausole "a pena di
esclusione".
Infatti, nell'ipotesi in cui il bando
commini espressamente l'esclusione
obbligatoria in conseguenza di determinate
violazioni, anche soltanto formali,
l'amministrazione è tenuta a dare precisa ed
incondizionata esecuzione a tali previsioni,
senza alcuna possibilità di valutazione
discrezionale circa la rilevanza
dell'inadempimento, l'incidenza di questo
sulla regolarità della procedura selettiva e
la congruità della sanzione contemplata
nella lex specialis.
Peraltro, la giurisprudenza ha chiarito che
deve ritenersi indefettibile la produzione
della copia fotostatica del documento
d'identità nel caso in cui si tratti di
supportare la più importante delle
dichiarazioni di volontà che intervengono
nella procedura concorsuale, vale a dire
l'offerta economica, stante che la
prescritta formalità assolve all'essenziale
funzione di ricondurre al suo autore
l'autenticità dell'apposta sottoscrizione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.11.2010 n. 8152 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il richiamo alla sussistenza del
vincolo paesaggistico e alla lesione del
cono ottico non giustifica il divieto di
collocazione dei cartelli pubblicitari.
Il Collegio ha già statuito che la
motivazione non può tradursi in formule
generiche, e deve invece dare contezza delle
ragioni per le quali viene ritenuta la non
compatibilità del manufatto con le esigenze
di tutela paesistica del contesto ambientale
tutelato; ciò in quanto, altrimenti
opinando, mediante l’adozione di formule di
stile e ripetitive verrebbe a configurarsi
di fatto un divieto generalizzato di
collocazione dei cartelli pubblicitari nelle
zone sottoposte a vincolo paesaggistico, in
contrasto con la vigente disciplina
legislativa di rango statale ossia con
l’art. 153, comma 1, del D. Lgs. 22/01/2004
n. 42 (cfr. sentenze Sezione 03/03/2006 n.
266; 28/05/2009 n. 1153; 17/07/2009 n. 1516)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 19.11.2010 n. 4663 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'attività di repressione degli
abusi edilizi non è soggetta a termini di
decadenza o di prescrizione.
Rammenta in proposito il Collegio che la
giurisprudenza predica in maniera costante e
risalente (Consiglio di Stato, Sez. V,
27.06.1983, n. 277) che il potere dovere
dell’Amministrazione di reprimere gli abusi
edilizi irrogando le misure sanzionatorie
variamente prescritte dalla legge per le
varie tipologie dei medesimi (demolizione
con eventuale acquisizione dell’area di
sedime per il caso della realizzazione di un
opus in assenza di permesso di
costruire o in totale difformità; “fiscalizzazione”
qualora la demolizione non possa essere
eseguita senza pregiudizio per la parte di
edificio conforme; sanzione pecuniaria pari
al valore venale all’aumento di valore
arrecato dall’opera eseguita in parziale
difformità dal permesso di costruire per il
caso della mera realizzazione in parziale
difformità dal titolo; sanzione pecuniaria
non inferiore ad € 500 per le opere
assoggettate a d.i.a. e realizzate in
assenza di quest’ultima) non soggiace a
termini prescrizionali o decadenziali.
Si è di recente in tal senso ribadito,
infatti, che “l'attività di repressione
degli abusi edilizi, essendo collegata alla
tutela dell'interesse pubblico all'ordinato
sviluppo del territorio, così come delineato
nello strumento urbanistico e nella
regolamentazione edilizia vigenti, non è
soggetta a termini di decadenza o di
prescrizione e può essere esercitata anche a
notevole distanza di tempo dalla commissione
dell'abuso” (TAR Campania Napoli, sez.
VII, 29.07.2010, n. 17176; TAR Campania
Napoli, sez. III, 13.07.2010, n. 16693)
altresì precisandosi, nell’ottica
dell’assicurazione della legalità
dell’attività dei privati, che “il potere
di ripristino dello status quo, infatti, non
è soggetto ad alcun termine di prescrizione
né è tacitamente rinunciabile, poiché il
semplice trascorrere del tempo non può
legittimare una situazione di illegalità, né
imporre all'Amministrazione la necessità di
una comparazione dell'interesse del privato
alla conservazione dell'abuso con
l'interesse pubblico alla repressione
dell'illecito” (TAR Puglia-Lecce, sez.
III, 28.01.2010 , n. 335) (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 19.11.2010 n. 4164 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Le opere assoggettate al titolo
edilizio della autorizzazione non possono
formare oggetto di sanzione reale
demolitoria ma unicamente di sanzione
pecuniaria.
La Sezione ha più volte precisato e
recentemente ribadito come costituisca
regola pietrificata, scaturente dal tenore e
dal disposto dell’art. 7 (e in particolare
dal comma 3) dell’abrogata L. n. 47/1985
quella secondo la quale le opere
assoggettate al titolo edilizio della
autorizzazione non possono formare oggetto
di sanzione reale demolitoria ma unicamente
di sanzione pecuniaria (TAR Piemonte, Sez.
I,
sentenza 19.11.2010 n. 4153 -
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APPALTI:
Sulla legittimità del
provvedimento di esclusione di un
concorrente per anomalia dell'offerta
presentata, nell'ipotesi in cui lo stesso si
giustifichi in base ad una motivazione c.d.
"per relationem".
Il giudizio di non anomalia, ovvero di
congruità dell'offerta, non richiede, di
regola, una motivazione puntuale ed
analitica, poiché le giustificazioni
presentate dall'offerente possono
costituire, per relationem, la
motivazione stessa del provvedimento.
E' fatto, invero, obbligo, in capo alla
stazione appaltante, di motivare
puntualmente il provvedimento conclusivo
nell'ipotesi di giudizio di anomalia, che
porti ad escludere l'impresa offerente che
abbia formulato il migliore ribasso.
Considerato che, nel caso di specie, recante
esclusione per ritenuta anomalia, il
suddetto provvedimento risulta motivato
per relationem, mediante richiamo ai
verbali della commissione tecnica incaricata
dello scrutinio dell'anomalia, che
esplicitano compiutamente le ragioni del
giudizio di incongruità dell'offerta; ed
applicando i comuni principi vigenti in tema
di motivazione dei provvedimenti per
relationem, ai sensi del'art. 3, c. 2,
della L. n. 241/1990, è da ritenere
legittimo un provvedimento di esclusione di
un'offerta dall'ulteriore corso di una
pubblica gara in virtù della ritenuta
anomalia, che sia motivato con riferimento a
valutazioni e giudizi adeguatamente espressi
in precedenti atti valutativi promananti da
un organo tecnico della stazione appaltante,
anche qualora si tratti di una apposita
sottocommissione tecnica, nonché assunti in
esito al contraddittorio effettuato con
l'impresa stessa (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 19.11.2010 n. 4152 -
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EDILIZIA PRIVATA:
L'installazione di infrastrutture
per impianti radioelettrici non può
ritenersi implicitamente autorizzata in
virtù della concessione ministeriale per
l’attività di radiodiffusione.
Ai sensi dell’art. 86, d.lgs. n. 259/2003, l'installazione di
infrastrutture per impianti radioelettrici e
la modifica delle caratteristiche di
emissione di questi ultimi e, in specie,
l'installazione di torri, di tralicci, di
impianti radio-trasmittenti, di ripetitori
di servizi di comunicazione elettronica, di
stazioni radio base per reti di
comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS,
per reti di diffusione, distribuzione e
contribuzione dedicate alla televisione
digitale terrestre, per reti a
radiofrequenza dedicate alle emergenze
sanitarie ed alla protezione civile, nonché
per reti radio a larga banda
punto-multipunto nelle bande di frequenza
all'uopo assegnate, viene autorizzata dagli
Enti locali, previo accertamento, da parte
dell'Organismo competente ad effettuare i
controlli, di cui all'articolo 14 della
legge 22.02.2001, n. 36, della compatibilità
del progetto con i limiti di esposizione, i
valori di attenzione e gli obiettivi di
qualità, stabiliti uniformemente a livello
nazionale in relazione al disposto della
citata legge 22.02.2001, n. 36, e relativi
provvedimenti di attuazione.
Nel caso di specie, era stato acclarato che
l’antenna era stata installata senza alcuna
autorizzazione; pur non essendo necessaria
quella edilizia, occorreva quella di cui
all’art. 86 citato, che difettava, non
potendo l’autorizzazione di cui al citato
art. 86, di competenza comunale, essere
ritenuta implicita nella concessione
ministeriale per l’esercizio dell’attività
di radiodiffusione.
Né l’Amministrazione era tenuta a sospendere
l’ordine di rimozione, nelle more del nuovo
procedimento autorizzatorio attivato
dall’interessato, perché il nuovo
procedimento non ha natura giuridica di
condono (con il conseguente effetto
sospensivo), per l’elementare ragione che il
nuovo procedimento riguarda un nuovo e
diverso impianto da ubicarsi in diversa
località, e non la sanatoria dell’impianto
preesistente (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 18.11.2010 n. 8099 -
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APPALTI:
L’impresa concorrente deve essere
in regola con gli obblighi contributivi e
fiscali fin dal momento di presentazione
della domanda.
Secondo l’orientamento ormai consolidato in
giurisprudenza, la correttezza contributiva
e fiscale è infatti richiesta, alle imprese
partecipanti alla selezione per
l’aggiudicazione dell’appalto, come
requisito indispensabile non solo per la
stipulazione del contratto, bensì per
l’ammissione alla gara, con la conseguenza
che, ai fini della valida partecipazione,
l’impresa deve essere in regola con tali
obblighi fin dalla presentazione della
domanda e conservare la correttezza del
rapporto per tutto lo svolgimento di essa,
restando irrilevante un eventuale
adempimento tardivo delle obbligazioni
previdenziali e tributarie (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 27.12.2004 n. 8215; Id.,
sez. IV, 20.09.2005 n. 4817; Id., sez. IV,
30.01.2006 n. 288; Id., sez. IV, 12.03.2009
n. 1458; Id., sez. VI, 11.08.2009 n. 4928;
Id. sez. VI, 05.07.2010 n. 4243).
L’assunto non è smentito (e trova anzi
conferma) dal disposto dell’art. 8, terzo
comma, del decreto 24.10.2007 del Ministero
del Lavoro e della Previdenza sociale, in
base al quale è ammessa, ai fini della
partecipazione alle gare pubbliche, la
regolarizzazione tardiva entro trenta giorni
dall’emissione del d.u.r.c., purché si
tratti di scostamenti inferiori o pari al 5%
tra le somme dovute e quelle versate o,
comunque, inferiori all’importo di 100 euro.
Per tutte le altre violazioni di entità
superiore alla soglia di irrilevanza fissata
dal d.m. del 2007, può considerarsi in
regola solo l’impresa che, incorsa in
situazione di irregolarità nel passato,
abbia già condonato o in altro modo sanato
le sue posizioni al momento della
partecipazione.
E’ infatti indiscusso che il
requisito di regolarità contributiva e
fiscale sia richiesto dalla legge non già ai
fini della stipulazione del contratto, ma
per la stessa partecipazione alla gara:
l’art. 38, comma 1, del Codice dei contratti
pubblici dispone che “sono esclusi dalla
partecipazione alle procedure di
affidamento… e non possono stipulare i
relativi contratti…” i soggetti ai quali sia
imputabile una delle situazioni elencate
nella norma.
L’impresa concorrente deve pertanto essere
in regola con gli obblighi contributivi e
fiscali fin dal momento di presentazione
della domanda, con conseguente irrilevanza a
tali fini di ogni adempimento tardivo
dell’obbligazione, anche se riconducibile al
momento della scadenza del termine del
pagamento.
La giurisprudenza ha in tal senso chiarito
che i meccanismi di regolarizzazione
tardiva, tipici del diritto tributario e
previdenziale, possono rilevare nelle
reciproche relazioni di debito e credito tra
l’impresa e l’Amministrazione o l’ente
previdenziale, nel senso di consentire al
contribuente, con l’adempimento successivo,
di evitare le conseguenze del ritardo e di
conseguire i medesimi benefici che avrebbe
ottenuto in caso di esatto adempimento. Tale
finzione giuridica non può però valere a
costituire nei confronti della stazione
appaltante quella correttezza fiscale e
contributiva, che la norma prescrive al
momento di partecipazione alla gara, come
qualificazione soggettiva dell’impresa in
termini di rispetto degli obblighi di legge,
e quindi come espressione di affidabilità
della stessa.
D’altronde, a ritenere legittima una
regolarizzazione tardiva con efficacia
retroattiva, successiva al momento della
partecipazione, ne discenderebbe la modifica
della natura del requisito di
partecipazione, che si trasformerebbe in
requisito per la stipulazione del contratto;
si consentirebbe una violazione della par
condicio tra i concorrenti, in quanto
l’aggiudicatario, dapprima non in regola con
gli adempimenti di legge, potrebbe sanare
ex post la propria situazione di
irregolarità, con evidente disparità di
trattamento nei confronti delle imprese che,
in conformità della legge, avevano adempiuto
agli obblighi fiscali e previdenziali prima
di presentare l’offerta.
Inoltre, ha osservato la giurisprudenza che
tale ampliamento della nozione di regolarità
avrebbe anche l’effetto deleterio di
indebolire l’osservanza della normativa
fiscale e previdenziale, che al contrario,
pur nell’ambito della normativa settoriale
sull’espletamento delle gare, si vuol
rafforzare. Le imprese sarebbero quasi
incentivate alla violazione di legge,
considerando di poter poi provvedere
comodamente alla regolarizzazione, con
l’effetto vantaggioso di poter scegliere se
farlo o meno in funzione dell’utile
risultato dell’aggiudicazione, senza il
rischio di pregiudizio per il conseguimento
dell’appalto (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 18.11.2010 n. 3917 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Deve escludersi una
trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio comunale in caso di realizzazione
di un manufatto in legno.
Si può parlare di trasformazione urbanistica
ed edilizia del territorio , secondo un
condivisibile orientamento giurisprudenziale
, in presenza di “ogni intervento che
alteri in modo rilevante e duraturo lo stato
del territorio, a nulla rilevando
l'eventuale precarietà strutturale se ad
essa non si accompagna un uso assolutamente
temporaneo e per fini contingenti e
specifici” (vedi Tar Puglia, sez. III ,
10.06.2010 n. 2406).
Deve, pertanto, escludersi –in applicazione
degli enunciati parametri giurisprudenziali–
una trasformazione urbanistica ed edilizia
del territorio comunale nel senso inteso dal
legislatore in caso di realizzazione di un
manufatto in legno , il quale per le sue
caratteristiche di non rilevante entità, di
mancanza di ancoraggio al suolo, e per il
fatto di essere asservito a copertura degli
agenti atmosferici durante il periodo estivo
è privo della capacità di alterazione
duratura dello stato del territorio tale da
esigere il preventivo atto concessorio (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 18.11.2010 n. 2675 -
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EDILIZIA PRIVATA:
L’autorizzazione per
l’insediamento di impianti produttivi deve
essere preceduta da una valutazione
favorevole del progetto, espressa in sede di
Conferenza di Servizi.
L'art. 5 del DPR 447/1998 introduce un
procedimento semplificato per l’insediamento
di impianti produttivi, conformi alla
normativa vigente in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro, che
verranno localizzati e realizzati anche in
variante allo strumento urbanistico vigente,
allorché questo non individui aree per
insediamenti produttivi.
Si tratta di una normativa chiaramente
finalizzata a favorire lo sviluppo economico
e a consentire, perciò, la realizzazione di
nuovi impianti produttivi anche se in
contrasto con lo strumento urbanistico
vigente, quando non vi siano ragioni per
ritenere che il nuovo insediamento possa
cagionare danni all’ambiente circostante e
alla salute pubblica.
Secondo l’orientamento prevalente,
l’autorizzazione a realizzare siffatti
impianti deve essere preceduta da una
valutazione favorevole del progetto,
espressa in sede di Conferenza di Servizi al
termine di una istruttoria che ha ad
oggetto, essenzialmente, il rispetto della
normativa ambientale, sanitaria e
lavoristica. Un’ulteriore valutazione, di
carattere invece eminentemente discrezionale
,viene poi effettuata dal Consiglio
Comunale, al quale spetta la decisione di
approvare o meno la variante necessaria per
conformare lo strumento urbanistico al nuovo
impianto produttivo (così Tar Milano,
27.01.2010, n. 193).
Il compito del Dirigente, antecedente a
quello della Conferenza di servizi, si
esaurisce nel verificare le condizioni di
ammissibilità della domanda, cioè l’assenza
di aree idonee destinate all’insediamento di
impianti produttivi (TAR Puglia-Lecce, Sez.
I,
sentenza 18.11.2010 n. 2672 -
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ENTI LOCALI:
E' illegittima l’ordinanza
sindacale che vieta alla popolazione di
offrire alimenti ai gatti randagi.
È illegittima l’ordinanza con la quale il
sindaco, ritenendo necessaria un’azione
preventiva a salvaguardia della salute
pubblica e a tutela delle aree interessate
da una notevole presenza di colonie feline
che costituivano causa diretta di rischio
epidemiologico e di degrado degli spazi
aperti, ha ordinato alla popolazione tutta
di non offrire alcun alimento, anche
saltuariamente, ai gatti randagi,
considerato che nessuna norma di legge fa
divieto di alimentare i gatti randagi nei
luoghi in cui essi trovano rifugio.
Inoltre, il divieto di deporre alimenti per
la nutrizione dei gatti randagi o che
comunque vivano in libertà contrasta con
l’art. 2 della legge 281/1991 (legge quadro
nazionale a prevenzione del randagismo e a
tutela degli animali da affezione).
Le colonie feline devono essere poste sotto
controllo e sterilizzate dalle autorità
competenti: pertanto, il metodo scelto dal
comune per ridurre la popolazione di gatti
randagi presenti sul territorio comunale nel
caso in esame è illegittimo, dato che non
rientra in nessuna delle opzioni consentite
dalla legge.
Inoltre, il sindaco non risulta abbia
fornito alcuna prova, nessuna valutazione né
alcuno studio comprovanti la pericolosità
per la salute pubblica di questi animali.
Tantomeno risulta essere stato richiesto un
parere all’Asl, nonostante spetti proprio
all’Asl programmare le limitazioni e il
controllo delle nascite e l’identificazione
delle colonie feline.
L’Asl è l’organismo deputato in via generale
alla sorveglianza sul fenomeno del
randagismo. Per tale ragione, occorre che le
affermazioni su possibili rischi per la
salute umana a causa di malattie trasmesse
attraverso colonie feline siano convalidate,
ad es., da una relazione redatta dal
Servizio veterinario dell’Asl competente
(massima tratta da
www.entilocali.provincia.le.it - TAR Veneto,
Sez. III,
sentenza 16.11.2010 n. 6045 -
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APPALTI:
Sulla possibilità, ai sensi
dell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006, di
regolarizzare una dichiarazione non
pienamente conforme a quella richiesta dal
bando di gara.
Sulla mancata soggezione, al giudizio di
verifica di anomalia di un'offerta, in
materia di affidamento del servizio
farmaceutico e sul potere di una stazione
appaltante di definire i criteri relativi
alla valutazione delle offerte.
E' legittimo l'affidamento del servizio di
gestione di una farmacia ad un concorrente
che abbia presentato un'offerta priva della
dichiarazione, richiesta a pena di
esclusione dal bando di gara, avente ad
oggetto l'impegno alla prestazione della
garanzia definitiva, in caso di
aggiudicazione del contratto, in quanto, nel
caso di specie, l'affidatario ha dichiarato
di "essere in possesso di una solidità
economica e finanziaria che sarà
successivamente dimostrata e garantita
mediante dichiarazioni bancarie";
infatti, sussiste la possibilità, ove la
commissione nutra dubbi circa il carattere
impegnativo della dichiarazione ovvero la
sua piena conformità alla legge di gara, di
richiedere una regolarizzazione, in virtù
dell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006, senza
che ciò integri violazione della parità di
trattamento, dato che la dichiarazione,
ancorché non identica a quella del bando, è
stata comunque presentata.
In materia di procedure per l'affidamento
del servizio farmaceutico, la mancata
soggezione della relativa offerta al
giudizio di verifica dell'anomalia non
integra violazione degli artt. 86, 87 e 88
del d.lgs. n. 163/2006; la gara in
contestazione, infatti, non è diretta a
consentire all'amministrazione di acquisire
un servizio, con conseguente obbligo a suo
carico di pagare, per esso, un corrispettivo
all'aggiudicatario; trattasi, invero, di una
concessione di pubblico servizio in cui, a
fronte dell'attribuzione, al concessionario,
del diritto di gestire autonomamente e a
proprio rischio il servizio, erogato al
pubblico, appropriandosi dei risultati di
tale gestione, egli si assume l'obbligo di
corrispondere all'amministrazione un canone.
Il fatto che la disciplina che impone alla
stazione appaltante di procedere
obbligatoriamente alla verifica
dell'anomalia non sia direttamente
applicabile alla procedura in oggetto, non
implica che alla stessa non siano
applicabili i principi generali in materia
di gare, in particolare quello che obbliga
la commissione a verificare che l'offerta
sia seria e remunerativa. Tuttavia, nel caso
di specie, non sussiste alcun elemento tale
da far ritenere l'offerta non idonea a
garantire una gestione in utile della
farmacia e per la quale, pertanto, la
commissione avrebbe dovuto pretendere una
giustificazione.
L'operato di una stazione appaltante che
abbia definito, in via discrezionale, i
criteri di valutazione relativi alle offerte
presentate dai concorrenti, non integra
alcuna violazione dell'art. 83 del d.lgs. n
163/2006, in quanto, benché il testo
attualmente vigente della predetta
disposizione abbia soppresso siffatto
potere, tuttavia la regola in essa contenuta
non vale come principio generale in materia
di affidamento del servizio farmaceutico,
come si può desumere dalla circostanza che,
sino alle modifiche da ultimo introdotte,
l'art. 83 riconosceva alla commissione
giudicatrice il potere di stabilire criteri
di valutazione e la giurisprudenza aveva
sino ad allora sempre ritenuto che ciò fosse
possibile e persino auspicabile nell'ottica
di una limitazione, sulla base di parametri
predefiniti, della soggettività dei giudizi
delle commissioni (TAR Lazio-Latina,
sentenza 16.11.2010 n. 1890 -
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COMPETENZE PROGETTUALI:
Prima del rilascio di un titolo
edilizio, l’autorità comunale deve sempre
anche accertare se la progettazione sia
stata affidata ad un professionista
competente in relazione alla natura ed
importanza della costruzione.
Il criterio per accertare se una costruzione
sia da considerare modesta, e rientri quindi
nella competenza professionale dei geometri,
va individuato nelle difficoltà tecniche
che la progettazione e l’esecuzione
dell’opera comportano e nelle capacità
occorrenti per superarle;
a questo fine assumono specifico rilievo,
oltre alla complessità della struttura e
delle relative modalità costruttive, anche,
ma in via complementare, il costo presunto
dell’opera, in quanto si tratta di un
elemento sintomatico che vale ad evidenziare
le difficoltà tecniche che coinvolgono la
costruzione.
La
competenza professionale dei geometri in
materia di progettazione e direzione dei
lavori di opere edili riguarda anche le
piccole costruzioni accessorie in cemento
armato che non richiedono particolari
operazioni di calcolo e che per la loro
destinazione non possono comunque implicare
pericolo per la incolumità delle persone.
E’ noto che prima del rilascio di un titolo
edilizio, l’autorità comunale deve sempre
anche accertare se la progettazione sia
stata affidata ad un professionista
competente in relazione alla natura ed
importanza della costruzione. Ed in questi
casi, come sembra evidente, l’attività
amministrativa di diritto pubblico non può
qualificarsi come strumento teso a
comprimere o negare un diritto soggettivo,
ma a verificarne il regolare esercizio
nell’ambito di un procedimento
amministrativo in relazione al quale la
disciplina della professione e della
capacità progettuale assume rilievo
meramente incidentale e la relativa
valutazione fatta dalla P.A. un effetto
meramente strumentale all’adozione del
provvedimento concessorio finale.
Inoltre, come pacificamente e costantemente
ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa
(cfr., da ultimo, Cons. St., sez. IV,
12.03.2010, n. 1457), non appare seriamente
contestabile la sussistenza dell’interesse e
della legittimazione attiva del ricorrente a
dedurre l’illegittimità di un atto
certamente lesivo dei propri interessi.
---------------
La questione
che nella sostanza il Collego è chiamato a
risolvere è quella volta ad accertare se il
ricorrente, in possesso del diploma di
geometra, avrebbe potuto o meno redigere il
progetto dell’intervento costruttivo in
questione.
Come è noto, la materia trova la sua
disciplina fondamentale nell’art. 16 del
R.D. 11.02.1929, n. 274 (Regolamento per la
professione di geometra), che, nel precisare
l’oggetto ed i limiti dell’esercizio
professionale dei geometri, dispone alla
lettera l) che tali professionisti possano,
tra l’altro, svolgere attività di
progettazione di costruzioni rurali (“progetto,
direzione, sorveglianza e liquidazione di
costruzioni rurali e di edifici per uso
d’industrie agricole, di limitata
importanza, di struttura ordinaria, comprese
piccole costruzioni accessorie in cemento
armato, che non richiedono particolari
operazioni di calcolo e per la loro
destinazione non possono comunque implicare
pericolo per la incolumità delle persone;
nonché di piccole opere inerenti alle
aziende agrarie, come strade vicinali senza
rilevanti opere d'arte, lavori d'irrigazione
e di bonifica, provvista d'acqua per le
stesse aziende e riparto della spesa per
opere consorziali relative, esclusa,
comunque, la redazione di progetti generali
di bonifica idraulica ed agraria e relativa
direzione”) ed alla lettera m) che tali
professionisti possano, inoltre, svolgere
l’attività di progettazione, direzione e
vigilanza “di modeste costruzioni civili”.
Tali norme, come sembra evidente, nel
regolare l’esercizio ed i limiti di
applicazione delle professioni di geometra,
architetto ed ingegnere sono dettate per
assicurare che la compilazione dei progetti
e la direzione dei lavori siano assegnati a
chi abbia la preparazione adeguata
all’importanza delle opere, a salvaguardia
sia dell’economia pubblica e privata, che
dell’incolumità delle persone.
E va, al riguardo, evidenziato che
-relativamente agli edifici residenziali
quali quelli ora all’esame- l’espressione
utilizzata (“modeste costruzioni civili”)
è stata variamente interpretata dalla
giurisprudenza, talvolta in senso fortemente
restrittivo e tal’altra in senso più
permissivo, in relazione non solo alla
possibilità del geometra di redigere un
progetto, che preveda strutture in cemento
armato, ed alla possibilità di far
effettuare i relativi calcoli da un tecnico
abilitato, ma anche in relazione alla
individuazione di limiti quantitativi e
qualitativi che la costruzione deve
possedere, al fine di stabilire se la stessa
rientri o meno nella nozione di modesta
costruzione civile.
Invero, i limiti posti dal predetto art. 16,
lettera m), alla competenza professionale
dei geometri, se è pur vero che rispondono
ad una scelta inequivoca del legislatore
dettata da evidenti ragioni di pubblico
interesse, lasciano nella sostanza
all’interprete ampi margini in ordine alla
valutazione dei requisiti della “modestia”
della costruzione, della non necessità di
complesse operazioni di calcolo e
dell’assenza di implicazioni per la pubblica
incolumità.
Della questione, va ricordato, si è
recentemente già occupato con sentenza
05.03.2009, n. 134, anche questo Tribunale
che in tale occasione ha precisato che il
criterio per accertare se una costruzione
sia da considerare modesta, e rientri quindi
nella competenza professionale dei geometri,
vada individuato nelle difficoltà tecniche
che la progettazione e l’esecuzione
dell’opera comportano e nelle capacità
occorrenti per superarle; ed ha ritenuto che
a questo fine assumono specifico rilievo,
oltre alla complessità della struttura e
delle relative modalità costruttive, anche,
ma in via complementare, il costo presunto
dell’opera, in quanto si tratta di un
elemento sintomatico che vale ad evidenziare
le difficoltà tecniche che coinvolgono la
costruzione.
In aggiunta, ha anche precisato che la
competenza professionale dei geometri in
materia di progettazione e direzione dei
lavori di opere edili riguarda anche le
piccole costruzioni accessorie in cemento
armato che non richiedono particolari
operazioni di calcolo e che per la loro
destinazione non possono comunque implicare
pericolo per la incolumità delle persone. Ed
in tale occasione si è ritenuto che la
realizzazione di un garage di modeste
dimensioni ben avrebbe potuto essere
progettato da un geometra, in quanto, pur se
realizzato in cemento armato, tale manufatto
non richiedeva per la sua progettazione
particolari operazioni di calcolo e che,
inoltre, tale opera per la sua collocazione
(totalmente interrato) e per la sua
specifica destinazione (a garage) non poteva
comunque implicare pericolo per la
incolumità delle persone.
Da tali conclusione il Collegio non rinviene
allo stato motivi per discostarsi.
Ciò posto e per passare all’esame del caso
di specie, ritiene la Sezione che nella
specie la costruzione progettata non possa
ritenersi una “modesta costruzione civile”,
con riguardo sia alla struttura
dell’edificio che alle relative modalità
costruttive.
Dall’esame degli atti progettuali versati in
giudizio si rileva, infatti, che i due
edifici progettati sono costituiti da dieci
appartamenti, con una superficie totale di
mq. 727 e con un volume complessivo di circa
mc. 4000, con l’utilizzo del cemento armato,
sia pur limitato alla cordonatura
perimetrale dei solai; tali edifici hanno,
inoltre, un’altezza massima alla linea di
gronda di m. 7,50 e si articolano nella
sostanza su tre piani (un piano terra, un
primo piano ed un secondo piano, indicato
come sottotetto/soffitta non abitabile, di
circa 60 mq., avente un’altezza interna al
colmo di m. 3,14).
In definitiva, ritiene la Sezione che
l’opera progettata per le sue dimensioni e
per l’uso cui è destinata per un verso
richiede per la sua progettazione
particolari operazioni di calcolo e per
altro verso, in riferimento alla sua
specifica destinazione abitativa, può
implicare pericolo per la incolumità delle
persone. E tali circostanze sono state tutte
adeguatamente individuate e diffusamente
rappresentate nell’atto impugnato.
Né appaiono in merito rilevanti le
considerazioni sviluppate dal ricorrente con
il gravame secondo le quali gli edifici da
realizzare non hanno strutture portanti
verticali in cemento armato, l’opera non
presenta una particolare complessità
costruttiva, non si era tenuto conto del
fatto che è adeguatamente garantita la
sicurezza dall’opera, anche in relazione
alla indubbia capacità professionale del
ricorrente od al fatto che era stato
presentato un disegno di legge che consente
ai geometri di realizzare in zona sismica
anche edifici di due piani fuori terra.
In realtà, ad avviso del Collegio, non può
ritenersi “modesta”, così come
previsto dal diritto vigente, una
costruzione avente le particolari dimensioni
e caratteristiche sopra indicate; per cui,
prescindendo dalle capacità ed esperienze
professionali del ricorrente (che in questa
sede non sono contestate) tale costruzione
avrebbe potuto essere progettata solo da un
professionista laureato
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 16.11.2010 n. 1213 -
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APPALTI:
Sull'inapplicabilità della
disciplina di cui al d.p.c.m. n. 117/1999,
richiamata dall'art. 83, c. 5, del d.lgs.
n. 163/2006, alla gara avente ad oggetto
l'affidamento di servizi di raccolta e
trasporto rifiuti da raccolta differenziata
sul territorio .
Nelle gare governate dal criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
i metodi di attribuzione del punteggio
possono essere i più disparati.
Alla gara avente ad oggetto "affidamento
di servizi di raccolta e trasporto rifiuti
da raccolta differenziata sul territorio
della Provincia" non è direttamente
applicabile la disciplina di cui al d.p.c.m.
n. 117 del 1999, richiamata dall'art. 83,
quinto comma, del d.lgs. n. 163 del 2006, in
quanto il decreto è riferibile ai soli
appalti di pulizia degli edifici ed il
richiamo operato dal Codice dei contratti
pubblici è finalizzato esclusivamente a
fornire un indirizzo operativo in sede di
disciplina dell'emanando regolamento, non
già a generalizzarne l'ambito di efficacia.
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Nelle gare governate dal criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
-in mancanza di parametri rigidi ed
ineludibili- i metodi di attribuzione del
punteggio possono essere i più disparati -da
quelli proporzionali a quelli progressivi,
secondo differenti curve di progressività- e
sono suscettibili -de plano- a
condurre a risultati affatto diversi tra di
loro: sempreché -come accaduto nella specie-
venga assicurato, in relazione al tipo di
gara, un equilibrato rapporto tra offerta
economica ed offerta tecnica, evitando, in
particolare, di assegnare un peso
determinante a quest'ultima, mediante una
compressione assolutamente sproporzionata ed
illogica del punteggio per il ribasso
percentuale (TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 11.11.2010 n. 751 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Diritto di accesso alla
documentazione posta a corredo dell’offerta
presentata in una gara pubblica nel caso in
cui la ditta accedente abbia fatto senza
successo ricorso giurisdizionale avverso la
propria esclusione dalla gara medesima.
E’ legittimo il rigetto di una istanza
ostensiva avanzata da una ditta concorrente
ad una gara, tendente ad ottenere copia
della documentazione posta a corredo
dell’offerta tecnico-progettuale ed
economico-finanziaria presentata da un altro
concorrente, ove la ditta accedente abbia
coltivato, senza successo, il ricorso
giurisdizionale avverso la propria
esclusione dalla stessa gara; infatti,
l’esaurimento dei mezzi di tutela
giurisdizionale a disposizione del
concorrente escluso da una procedura di
evidenza pubblica, priva detto concorrente
di quel nesso diretto che lega l’interesse
all’accesso ai documenti amministrativi alla
situazione giuridicamente rilevante
sottostante all’interesse all'accesso
medesimo (Cfr. TAR Liguria, Sez. II,
04.02.2004, n. 122.
Ha osservato, in particolare, il TAR Liguria
con la sentenza in rassegna, che
l’esclusione dalla gara ormai definitiva
aveva privato quindi la ricorrente di quella
posizione differenziata e qualificata che
sola avrebbe potuto fondare il diritto
all’accesso ai documenti di gara: infatti la
Società che aveva chiesto il rilascio degli
atti non poteva ormai vantare la possibilità
di ricorrere avverso la mancata esclusione
di altro concorrente dalla procedura, in
particolare di altra ditta, unico
concorrente rimasto, poiché del tutto priva
di titoli per avanzare in giudizio simili
pretese) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR Liguria, Sez.
II,
sentenza 10.11.2010 n. 10262 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il giudice amministrativo può
riconoscere, caso per caso, la
legittimazione ad impugnare atti
amministrativi incidenti sull'ambiente ad
associazioni locali (indipendentemente dalla
loro natura giuridica).
Il giudice amministrativo può riconoscere,
caso per caso, la legittimazione ad
impugnare atti amministrativi incidenti
sull'ambiente ad associazioni locali
indipendentemente dalla loro natura
giuridica, purché perseguano statutariamente
in modo non occasionale obiettivi di tutela
ambientale ed abbiano un adeguato grado di
rappresentatività e stabilità in un'area di
afferenza ricollegabile alla zona in cui è
situato il bene a fruizione collettiva che
si assume leso.
Il Comune è legittimato ad impugnare per
motivi sostanziali i provvedimenti adottati
dalla Regione in sostituzione dell'ente
locale inadempiente (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 08.11.2010 n. 7907 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'interesse a ricorrere avverso
il provvedimento di rilascio di concessione
edilizia è sussistente in presenza di una
situazione di stabile collegamento con la
zona ove sorge la costruzione che, se
illegittimamente assentita, è idonea ad
arrecare un pregiudizio ai valori
urbanistici della zona medesima.
Per orientamento giurisprudenziale
assolutamente costante, “l'interesse a
ricorrere avverso il provvedimento di
rilascio di concessione edilizia è
sussistente in presenza di una situazione di
stabile collegamento con la zona ove sorge
la costruzione che, se illegittimamente
assentita, è idonea ad arrecare un
pregiudizio ai valori urbanistici della zona
medesima; pertanto, la qualifica giuridica
di proprietario di un bene immobile
confinante, che nello specifico sussiste,
per come pacifico tra le parti ed accertato
dal verificatore, è sufficiente a creare la
legittimazione e l'interesse al ricorso, non
occorrendo altresì la verifica della
concreta lesione di un qualsiasi altro
interesse specifico” (C.G.A.R.S.,
sentenza 04.11.2010 n. 1369 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quando
il muro divisorio è comune “la distanza va
calcolata dalla parete esterna del muro più
vicina ai manufatti, per l'assorbente e
decisiva considerazione che, in tal ipotesi,
il confine tra il fondo di proprietà
esclusiva in cui si trovano le opere per le
quali è prescritta la distanza e quello di
proprietà aliena, è costituito dal detto
muro e non dalla sua linea mediana, perché
l'intero muro, essendo indiviso, si
considera anche altrui rispetto al
proprietario del fondo nel quale sono state
sistemate le opere in questione.
La
Giurisprudenza ha avuto occasione di
osservare che quando il muro divisorio è
comune “la distanza va calcolata dalla
parete esterna del muro più vicina ai
manufatti, per l'assorbente e decisiva
considerazione che, in tal ipotesi, il
confine tra il fondo di proprietà esclusiva
in cui si trovano le opere per le quali è
prescritta la distanza e quello di proprietà
aliena, è costituito dal detto muro e non
dalla sua linea mediana, perché l'intero
muro, essendo indiviso, si considera anche
altrui rispetto al proprietario del fondo
nel quale sono state sistemate le opere in
questione (Cassazione civile, sez. II,
10.03.1987, n. 2479)”.
Per cui, quand’anche il muro si ritenesse
comune, in ogni caso la erigenda costruzione
avrebbe dovuto arretrarsi di 5 mt. rispetto
la parete esterna del muro, senza
considerarne lo spessore, atteso che
nell’ipotesi di muro comune, giustamente
osserva la giurisprudenza, l’intero muro, in
quanto in proprietà indivisa, dev’essere
considerato alieno rispetto al proprietario
del fondo che deve costruire
(C.G.A.R.S.,
sentenza 04.11.2010 n. 1369 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - COMPETENZE GESTIONALI: La
Giunta Comunale è incompetente alla adozione
di atti di natura gestionale quali quelli
oggetto della controversia in esame, ossia
la nomina della commissione di gara e la
scelta del soggetto contraente.
L'articolo 107 del d.lgs. n. 267/2000 (Testo
unico enti locali) attribuisce ai dirigenti,
ovvero ai responsabili dei servizi, in via
esclusiva, la gestione amministrativa,
tecnica e finanziaria, specificando altresì
(art. 107, comma 3) che è loro attribuita la
responsabilità delle procedure di appalto e
la stipulazione dei contratti.
Nell'ambito delle procedure di affidamento
dei contratti pubblici rientrano sia la fase
(o subprocedimento) di predisposizione e
approvazione dell'avviso o del bando con il
quale si dà avvio alla procedura stessa, sia
la fase di nomina della commissione
giudicatrice, sia la fase conclusiva di
aggiudicazione definitiva del contratto (o
della concessione o della convenzione).
La Giunta Comunale, i cui compiti
-essenzialmente residuali (rispetto, da un
lato, ai dirigenti [art. 107 cit.]; e,
dall'altro lato, al Consiglio Comunale [art.
42 TUEL])- sono ricavabili dall'art. 48 del
T.U.E.L. cit., è conseguentemente
incompetente alla adozione di atti di natura
gestionale quali quelli oggetto della
controversia in esame, ossia la nomina della
commissione di gara (avvenuta con la
deliberazione n. 27 del 21.02.2001) e la
scelta del soggetto contraente (avvenuta con
deliberazione della medesima Giunta, n. 110
del 04.06.2001)
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 28.10.2010 n. 2350 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Inedificabilità di un'area asservita o
accorpata o comunque utilizzata a fini
edificatori - Obbligo di trascrizione del
vincolo nei registi immobiliari - Non
sussiste - Opponibilità a terzi acquirenti -
Sussiste - Rilevanza ai fini edificatori
delle vicende relative alla proprietà dei
terreni - Non sussiste.
L'inedificabilità di un'area asservita o
accorpata o comunque utilizzata a fini
edificatori costituisce una qualità
obiettiva del fondo che, pur non vigendo
l'obbligo di trascrizione del vincolo nei
registri immobiliari, è opponibile a terzi
acquirenti, ed ha l'effetto di impedirne
l'ulteriore edificazione oltre i limiti
previsti, a nulla rilevando che la proprietà
dell'area sia stata trasferita, che manchino
specifici negozi giuridici privati volti
all'asservimento o che l'edificio sia
collocato in una parte del lotto
catastalmente divisa.
In altri termini,
un'area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di una
concessione edilizia, non può essere
considerata libera neppure parzialmente,
agli effetti della volumetria realizzabile,
in sede di rilascio di una seconda
concessione, nella perdurante esistenza del
primo edificio, restando irrilevanti le
vicende inerenti alla proprietà dei terreni
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 29.06.2010 n.
2668 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Diniego di condono edilizio - D.Lgs. n. 269/2003 - Opere eseguite oltre il
termine - Onere del ricorrente - Prova
ultimazione dell'abuso - Non sussiste.
2. Verbale di
acquisizione dell'area e dell'opera al
patrimonio del Comune - Mancata impugnazione
dell'ordine di demolizione - Atto
presupposto - Inammissibilità.
1. E' legittimo il diniego di condono
edilizio per la mancata ultimazione delle
opere entro il termine di legge del
31.03.2003, in quanto gli elementi probatori
offerti dalla ricorrente, non solo
contrastano con il contenuto dei verbali di
sopralluogo, ma non possono ritenersi
sufficienti, in assenza di ulteriori
elementi (quali fatture o fotografie) dai
quali risulti univocamente l'ultimazione
dell'edificio entro la data prescritta dalla
legge, atteso che la semplice produzione
della dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà non può in alcun modo assurgere al
rango di prova, seppur presuntiva,
sull'epoca dell'abuso, e che è onere del
privato richiedente la concessione in
sanatoria di fornire quantomeno un principio
di prova in ordine all'ultimazione dei
lavori.
2. Poiché l'ordine di demolizione è l'atto
immediatamente lesivo, con la cui
impugnazione l'interessato deve tutelare le
proprie ragioni, mentre il verbale con cui
viene accertata la mancata ottemperanza
all'ordinanza di demolizione, così come la
successiva ordinanza di acquisizione
gratuita al patrimonio comunale dell'area e
dell'opera abusiva, rappresentano meri atti
procedimentali aventi contenuto conoscitivo
e di accertamento di un fatto storico,
inidonei, di per sé, a ledere situazioni
giuridiche, in assenza dell'impugnazione
dell'atto lesivo, cioè l'ordinanza di
demolizione, il ricorso avverso gli atti
successivi, deve essere dichiarato
inammissibile per omessa impugnazione
dell'atto presupposto (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.06.2010 n.
2667 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi eseguiti in
assenza di permesso di costruire - Art 31,
D.P.R. n. 380/2001 - Ingiunzione a demolire
- Mancata adozione nel termine di 45 giorni
dall'accertamento - Perdita di efficacia
dell'ordine di sospensione lavori - Sussiste
- Preclusione all'adozione del provvedimento
di demolizione - Non sussiste.
L'Amministrazione, a fronte di un
accertamento di abusività, ha l'obbligo di
disporre la demolizione delle opere, previo
ordine di sospensione lavori, che ha effetto
fino all'adozione dei provvedimenti
definitivi e comunque non oltre il 45°
giorno.
La mancata adozione del
provvedimento di demolizione nel suddetto
termine comporta solo la perdita di
efficacia della sospensione, ma non preclude
alla P.A. la facoltà di adottare l'ordine di
demolizione anche oltre il termine dei 45
giorni, atteso il potere-dovere del Comune
di agire a tutela dell'ordine urbanistico
violato, mediante l'adozione, allo stesso
sempre consentita, delle successive misure
repressive (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.06.2010 n.
2666 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Diniego di condono edilizio - D.L. n.
269/2003 - Titolo di legittimazione - Art.
31 L. n. 47/1985 - Sopraelevazione - Muro di
proprietà di terzo - Legittimità.
In sede di domanda di condono è onere
dell'Amministrazione verificare secondo un
ordinario criterio di diligenza la
titolarità da parte del richiedente di ogni
titolo edilizio, anche in sanatoria, delle
aree o dei sedimi oggetto dell'intervento, e
rigettare l'istanza nel caso in cui sia
stata rappresentata e documentata una
situazione di incertezza in ordine alla
proprietà dell'immobile ovvero la
contrarietà di soggetti titolari di diritti
reali incompatibili o contrastanti con il
diritto del richiedente.
Peraltro, sebbene
l'art. 31 L. n. 47/1985 preveda che l'istanza
di condono possa essere presentata da altri
soggetti e non solo dal proprietario, tale
norma si riferisce a quei soggetti
destinatari delle sanzioni, che possono
avere un vantaggio dal condono, ma non porta
ad ammettere che possano essere condonate
opere realizzate sulla proprietà altrui
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 29.06.2010 n.
2665 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Tettoie e strutture similari -
Assoggettamento a permesso di costruire -
Sussiste se arrecano una visibile
alterazione all'edificio, non avendo più
carattere accessorio.
2. Impianto
tecnologico - Esigenza di ridotto
dimensionamento - Sussiste - Esigenza di
collegamento funzionale con la cosa
principale - Sussiste.
1. Sono assoggettate a permesso di costruire
le tettoie e strutture similari quando, per
le loro consistenti dimensioni, arrecano una
visibile alterazione all'edificio o alle
parti in cui vengono inserite, non avendo
quindi più carattere accessorio
dell'edificio principale.
2. Il concetto di "impianto tecnologico",
posto al servizio di un fabbricato
esistente, presuppone in primo luogo
l'esiguità quantitativa del manufatto -nel
senso che il medesimo deve essere di entità
tale da non alterare in modo rilevante
l'assetto del territorio- ed inoltre,
l'esistenza di un collegamento funzionale
tra tale manufatto e la cosa principale, con
conseguente impossibilità per il primo di
essere utilizzato separatamente ed
autonomamente (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.06.2010 n.
2662 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Variante P.R.G. - Eccesso di
potere - Norma tecnica eccessivamente
restrittiva - D.Lgs. n. 42/2004 - Sussiste.
2. Variante P.R.G.
- Eccesso di potere - Zone di rispetto -
Piantumazione - Art. 23 Cost. - Sussiste.
1. Risulta illegittima per eccesso di potere
la variante al P.R.G. impugnata nella parte
in cui introduce per alcune zone, in cui
sono inclusi alcuni immobili della
ricorrente, una disciplina edilizia con
limiti d'intervento sugli immobili esistenti
eccessivamente cogenti, paradossalmente più
stringenti di quelli che la legislazione
vigente -d.lgs. n. 42/2004, Codice dei beni
culturali e del paesaggio, artt. 20 ss.-
prevede per gli immobili soggetti a vincolo
storico-artistico (non risultando, fra
l'altro, neppure che un simile vincolo sia
apposto sui fondi della ricorrente).
2. La norma tecnica della variante al P.R.G.
impugnata secondo cui le zone di rispetto
"possono essere soggette coattivamente a
piantumazione" non si sottrae alla censura
di eccesso di potere per perplessità,
difetto di motivazione e violazione
dell'art. 23 Cost. in quanto non appare
chiaro se per tali zone sussista un vero o
proprio obbligo o un'opportunità (come
ritiene il Comune) e, nella prima ipotesi,
in base a quale specifica norma, o principio
generale, possa imporsi ai privati l'obbligo
di un facere, come quello di collocare
piante nella zona di rispetto (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.06.2010 n.
2661 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRAVI:
Determinazione
dirigenziale - Idoneità a confermare la
volontà di altro e diverso organo
dell'Amministrazione - Non sussiste.
Una determinazione dirigenziale non è
idonea, come tale, a confermare la volontà
di altro e diverso organo
dell'Amministrazione, quale il Consiglio
comunale.
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.06.2010 n. 2660 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Variante allo strumento
urbanistico generale - Obbligo di puntuale
motivazione - Sussiste solo in caso di
affidamento qualificato del privato e non di
aspettative di mero fatto.
In caso di variante allo strumento
urbanistico generale, la motivazione deve
essere puntuale solo in caso di affidamento
qualificato del privato, rientrando in tale
ultima ipotesi le situazioni di chi ha
ottenuto un giudicato di annullamento di una
precedente destinazione di zona ovvero di un
diniego di titolo edilizio oppure ancora del
silenzio-rifiuto formatosi su una domanda
edilizia. Alle situazioni sopra indicate,
viene inoltre equiparata la condizione del
privato che ha stipulato accordi vincolanti
con la Pubblica Amministrazione, quale ad
esempio una convenzione di lottizzazione.
Al contrario, a fronte di aspettative di
mero fatto, le scelte di natura urbanistica,
rimesse all'Amministrazione nell'interesse
generale sono, di regola, sufficientemente
motivate con l'indicazione dei profili
generali e dei criteri che hanno sorretto la
previsione in variante, senza necessità di
una motivazione mirata (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.06.2010 n. 2660 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. attuativa di un P.I.I.
- Parere negativo Collegio di Vigilanza
sull'accordo di programma - Mutamento di
destinazione - Legittimità.
2. D.I.A.
attuativa di un P.I.I. - Diffida comunale
all'esecuzione dei lavori - Attività di
commercio vietata - Sospensione domanda
agibilità - Legittimità.
1. Risulta legittimo il parere negativo
adottato dalla Commissione di Vigilanza
sull'accordo di programma in merito ad una
D.I.A. implicante un mutamento di
destinazione, dalla vendita al dettaglio a
quella all'ingrosso, delle realizzande
strutture al piano sotterraneo di un
complesso cinematografico, in quanto la
destinazione ad attività di vendita
all'ingrosso non è compatibile con le
previsioni degli atti di pianificazione,
P.I.I. e relativo Accordo di Programma,
relativi alla struttura multisala prevedendo
tali atti pianificatori un ruolo accessorio
e sussidiario degli spazi di vendita
rispetto alla principale funzione della
struttura, cioè lo svolgimento di spettacoli
cinematografici.
2. Considerato che l'attività di commercio
all'ingrosso risulta vietata negli spazi
interessati dalla D.I.A. in relazione alla
quale è stata assunta la diffida
all'esecuzione dei lavori impugnata, risulta
legittima la contestuale sospensione della
domanda di agibilità adottata dal Comune in
relazione a tale pratica urbanistica, tenuto
anche conto del potere del Comune di
verificare -ed eventualmente revocare- in
ogni momento l'agibilità dei locali, in
relazione alle loro concrete caratteristiche
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.06.2010 n.
2646 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Programma integrato di
intervento - Accordo di programma - Standard
- Possibilità di superamento - Sussiste,
purché adeguatamente motivato.
La giurisprudenza amministrativa, del resto,
ha sempre riconosciuto alle Amministrazioni,
in sede di pianificazione urbanistica, la
possibilità di incrementare il minimo legale
degli standard, purché tale superamento,
soprattutto se ampio, sia adeguatamente
motivato e giustificato alla luce della
concreta situazione comunale (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.06.2010 n.
2645 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Contributo per
le urbanizzazioni - Opere a scomputo -
Diritto soggettivo alla realizzazione - Non
sussiste, presupponendosi sempre il consenso
e la volontà da parte dell'Ente locale.
2. Opere di
urbanizzazione - Tipicità - Sussiste -
Standard urbanistici - Tipicità - Non
sussiste - Legittimità di principio della
realizzazione di standard in aggiunta alle
opere di urbanizzazione - Sussiste.
1. La realizzazione di opere a scomputo del
contributo per le urbanizzazioni non
costituisce una sorta di diritto soggettivo
in capo all'operatore, ma presuppone sempre
il consenso e la volontà da parte dell'Ente
locale.
2. A proposito del rapporto fra opere di
urbanizzazione e standard urbanistici, le
prime sono previste espressamente dalla
legge, secondo un principio di tipicità; i
secondi costituiscono invece una categoria
aperta, che si attaglia alle specifiche
realtà locali, da considerarsi quindi anche
come qualcosa di aggiuntivo, sicché non
appare illegittimo, quanto meno in linea di
principio, che alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione si accompagni la
cessione di aree o la realizzazione di
standard da parte del privato (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.06.2010 n.
2645 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Convenzione Urbanistica attuativa di P.I.I. - Struttura cinematografica - Art. 20
D.L. n. 26/1994 - Oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione - Agevolazione -
Interpretazione.
L'art. 20, c. 7, D.L. 14.01.1994 n. 26
convertito con L. n. 153 dell'01.03.1994,
recante "interventi urgenti a favore del
cinema", e relativo ad un particolare
sistema di agevolazione nel rilascio delle
concessioni edilizie, in forza del quale la
volumetria necessaria per realizzare le sale
cinematografiche non è computata nella
determinazione della volumetria complessiva
in base alla quale sono calcolati gli "oneri
di concessione" (così testualmente definiti
dalla legge) deve essere interpretato con
riferimento ai soli oneri di urbanizzazione
in quanto la volumetria degli edifici assume
rilevanza esclusivamente in sede di
quantificazione degli oneri di
urbanizzazione ma non acquista rilievo
alcuno allorché è determinato il costo di
costruzione, che è commisurato al computo
metrico estimativo dell'opera, considerata
nel suo complesso.
Peraltro
un'interpretazione di tale norma estensiva
dell'agevolazione anche al contributo sul
costo di costruzione, finirebbe di fatto per
introdurre un regime di gratuità del
permesso di costruire relativamente alle
sale cinematografiche, che, andando in
deroga alla regola generale dell'onerosità,
avrebbe richiesto un'espressa previsione
della gratuità dell'intervento da parte del
legislatore così come è stato espressamente
previsto dallo stesso negli altri casi di
gratuità di determinati interventi edilizi
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.06.2010 n.
2644 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Diniego di permesso di costruire in
sanatoria - Difetto di motivazione -
Violazione art. 10-bis L. n. 241/1990 -
Potere vincolato - Art. 21-octies L. n.
241/1990 - Legittimità.
In considerazione della natura vincolata del
potere esercitato e della correttezza del
contenuto dispositivo del provvedimento
diniego di permesso di costruire in
sanatoria impugnato, sia l'incompletezza
della motivazione sia la mancata
comunicazione del c.d. preavviso di rigetto,
prevista dall'art. 10-bis L. n. 241/1990,
non possono portare all'annullamento
dell'atto, in conformità a quanto previsto
dall'art. 21-octies della L. 07.08.1990
n. 241 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 23.06.2010 n.
2211 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Impugnazione -
Pluralità di motivi del provvedimento -
Legittimità di uno solo dei motivi -
Annullabilità del provvedimento - Non
sussiste.
In presenza di un provvedimento sostenuto da
più motivi, ciascuno autonomamente idoneo a
darne giustificazione è sufficiente che sia
verificata la legittimità di uno di essi per
escludere che l'atto possa essere annullato
in sede giurisdizionale (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.06.2010 n.
2210 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Diniego di sanatoria - Abuso
edilizio - Qualificazione giuridica - Artt.
31 o 33 D.P.R. n. 380/2001 - Demolizione o
pena pecuniaria - Legittimità.
2. Diniego di
sanatoria - Incompetenza - Segretario
comunale - Art. 97 d.lgs. n. 267/2000 - Sovraordinazione ai dirigenti - Legittimità.
3. Ordine di
demolizione - Attività sanzionatoria
vincolata - Cessione di una porzione di area
- Irrilevanza.
4. Ordine di
demolizione - Acquisizione gratuita al
patrimonio comunale - Fondo patrimoniale -
Art. 169 c.c. - Disponibilità dei beni -
Sussiste.
1. Un (abusivo) ampliamento di edifici
preesistenti non deve essere automaticamente
ascritto alla fattispecie della
ristrutturazione (sebbene l'art. 10, 1 c.,
lett. c), D.P.R. n. 380/2001 preveda anche
ristrutturazioni c.d. pesanti con modifiche
di volume, sagoma, prospetti e superfici) e
nel caso in cui sia tale, per dimensioni e
consistenza, da snaturare le caratteristiche
dell'edificio originario è legittimamente
sanzionato a termini dell'art. 31 (e non
dell'art. 33) D.P.R. n. 380/2001 che
qualifica come interventi eseguiti in totale
difformità dal permesso di costruire anche
quelli che comportano "l'esecuzione di
volumi edilizi oltre i limiti indicati nel
progetto e tali da costituire un organismo
edilizio o parte di esso con specifica
rilevanza ed autonomamente utilizzabile",
con la rimozione o la demolizione dell'abuso
edilizio.
2. Considerato che in base all'ordinamento
delle autonomie locali, d.lgs. n. 267/2000,
il segretario comunale partecipa
all'amministrazione attiva dell'Ente locale,
in posizione sovraordinata rispetto ai
dirigenti, in quanto, ai sensi dell'art. 97
d.lgs. n. 267/2000 "sovraintende allo
svolgimento delle funzioni dei dirigenti e
ne coordina l'attività" (comma 4) e inoltre
"esercita ogni altra funzione attribuitagli
dallo statuto o dai regolamenti, o
conferitagli dal sindaco o dal presidente
della provincia" (comma 4, lett. d)), lo
stesso può anche porre in essere atti che
impegnano l'Ente locale verso l'esterno,
assumendo funzioni proprie dei dirigenti,
risultando conseguentemente competente anche
a sottoscrivere l'ordinanza di rigetto di
sanatoria impugnata.
3. In materia di abusi edilizi l'attività
sanzionatoria dell'Amministrazione è
vincolata, e non discrezionale o passibile
di negoziazioni transattive risultando
conseguentemente del tutto impraticabile la
valutazione richiesta all'Amministrazione di
potere, in cambio della cessione gratuita di
una porzione di area, applicare una sanzione
pecuniaria in luogo del legittimo ordine di
demolizione dell'abuso edilizio impugnato.
4. Poiché i limiti alla facoltà di disporre
dei beni del fondo sono posti al titolare
dei beni nell'interesse della famiglia (art.
169 c.c.) e non riguardano la disciplina
della responsabilità penale, così essi non
riguardano il regime della responsabilità
derivante dall'illecito amministrativo e non
escludono l'applicazione delle sanzioni
previste dalla normativa di settore.
Conseguentemente è privo di fondamento che
l'immobile (parzialmente abusivo),
costituito in fondo patrimoniale ex art. 167
c.c., non sarebbe suscettibile di
demolizione ed (in mancanza) di acquisizione
al patrimonio comunale (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.06.2010 n.
2107 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Piano di governo del
territorio - Impugnazione - Ricorso
collettivo - Ammissibilità - Necessaria
identità degli interessi dei vari ricorrenti
- Non sussiste - Conflitto di interessi tra
i ricorrenti - Inammissibilità del ricorso
collettivo - Sussiste.
2. Piano di governo
del territorio - Privati interessati -
Aspettativa qualificata ad una destinazione
edificatoria - Non sussiste - Aspettativa
generica al mantenimento di una destinazione
urbanistica o ad una reformatio in melius -
Sussiste.
1. In presenza di soggetti portatori di un
interesse contrastante, gli uni ad una
rideterminazione più favorevole sul piano
dell'edificabilità, gli altri al
mantenimento della destinazione agricola,
non vi sono i presupposti per proporre un
ricorso collettivo, per il quale non è
necessario che gli interessi dei vari
ricorrenti siano identici, ma l'autonomia
delle loro posizioni giuridiche e fattuali
differenziate non deve giungere fino a
determinare un conflitto, in modo che
l'esito favorevole del ricorso possa giovare
a uno, con l'esclusione degli altri. Infatti
il ricorso collettivo risulta inammissibile
quando proposto da parte di soggetti diversi
con posizioni anche solo fra loro
divergenti, perché priva il giudice della
possibilità di controllare la concreta e
individuale pretesa vantata da ciascuno di
essi.
2. In capo ai privati coinvolti nelle
previsioni di piano non è configurabile
un'aspettativa qualificata ad una
destinazione edificatoria in relazione ad
una precedente determinazione
dell'amministrazione, ma soltanto
un'aspettativa generica al mantenimento
della destinazione urbanistica "gradita"
ovvero ad una reformatio in melius, analoga
a quella di ogni altro proprietario di aree,
che aspiri ad una utilizzazione comunque
proficua dell'immobile (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
16.06.2010 n.
1894 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Piano casa - L.R. 13/2009 -
Interpretazione dell'art. 3, comma 6 -
Fattispecie.
2. Piano casa - L.R. 13/2009 - Interpretazione dell'art. 3,
comma 6 - Volumetria esistente -
Fattispecie.
1. Nell'ipotesi in cui un privato presenti
una DIA per la demolizione dell'edificio
preesistente, seguita in stretta
consequenzialità temporale da altra d.i.a.
per la nuova edificazione, ben può trovare
applicazione l'art. 3, comma 6, della L.R.
13/2009, che prevede la sostituzione di
edifici totalmente residenziali con un nuovo
organismo edilizio di volumetria maggiore
(il TAR ha chiarito che poiché le due d.i.a.,
funzionali l'una all'altra, sono chiaramente
correlate e si iscrivono in un unico
disegno, va scartata la tesi "estremista"
secondo cui nessun incremento volumetrico
spetterebbe nell'assenza -conseguente alla
demolizione in forza della prima d.i.a.- di
un volume fisico riscontrabile al momento
della presentazione della seconda d.i.a.)
2. La locuzione "volume esistente"
utilizzata all'art. 3, comma 6, della L.R.
13/2009 è riferibile alla volumetria
esistente e non alla volumetria di piano,
cioè alla volumetria massima realizzabile in
base all'indice di edificabilità fondiaria
stabilito dallo strumento urbanistico.
Una
interpretazione siffatta sarebbe non solo in
contrasto col tenore letterale della norma,
e dunque col criterio cardine di ogni
operazione ermeneutica, ma anche con la ratio della normativa in esame che è quella
di promuovere, per un periodo circoscritto
di diciotto mesi, interventi conformi alle
proprie finalità generali, autorizzando una
tantum la sostituzione di vecchi edifici con
nuovi organismi edilizi passibili di
incrementi volumetrici rapportati non alla
volumetria teorica, ma alla volumetria
effettivamente in situ (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.06.2010 n.
1840 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
1.
Comunicazione avvio procedimento -
Comunicazione al soggetto non proprietario
catastale - Illegittimità.
2.
Espropriazione illegittima - Determinazione
del risarcimento danno - Criteri.
1. Lo svolgimento della procedura
espropriativa nei confronti di un soggetto
che, alla data dell'espropriazione, non era
proprietario catastale, integra una
violazione di legge: non possono, pertanto,
trovare applicazione i principi elaborati
dalla giurisprudenza con riferimento alle
differenti fattispecie in cui la P.A., pur
non avendo notificato il decreto di
esproprio al proprietario effettivo, abbia
però svolto la procedura espropriativa nei
confronti del soggetto che figura in catasto
quale proprietario (cfr. Cassaz. Civile ,
sent. n. 21622/2004; Cons. di Stato, sent.
n. 2423/2006).
2. In materia di espropriazione illegittima,
il risarcimento del danno va quantificato
tenendo conto del valore di mercato
dell'area, nonché del deprezzamento del
valore residuo dei beni di proprietà del
ricorrente, mentre per la determinazione di
tali valori occorre fare riferimento alla
data dell'esproprio: infatti, dal momento
che il pregiudizio da risarcire consiste
nella perdita del valore patrimoniale in cui
si sostanzia il diritto di proprietà, il
danno deve essere necessariamente correlato
all'entità economica del bene nel momento in
cui è definitivamente sottratto alla
titolarità del privato ed è acquisito al
patrimonio dell'amministrazione (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, 25.05.2009, n.
483) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 08.06.2010 n.
1754 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Pianificazione urbanistica
comunale - Vincoli paesaggistici e
ambientali - Facoltà di dettare norme a
tutela dell'ambiente e del paesaggio -
Sussiste.
2. Pianificazione
urbanistica comunale - Vincoli paesaggistici
e ambientali - Facoltà di dettare norme a
tutela dell'ambiente e del paesaggio -
Sussiste ex art. 7, Legge 1150/1942.
3. Pianificazione
urbanistica comunale - Vincoli paesaggistici
e ambientali - Facoltà di effettuare
ricognizione di vincoli imposti in virtù di
leggi speciali e di costituire vincoli
autonomi per la tutela di valori ambientali
e paesaggistici - Sussiste - Conseguenze.
4. PRG -
Planimetrie allegate allo strumento
urbanistico - Natura di prescrizioni
precettive - Presupposti.
5. PRG -
Planimetrie allegate allo strumento
urbanistico -Contrasto tra prescrizioni
normative dello strumento urbanistico e
planimetrie - Prevalenza delle prescrizioni
normative.
6. Pianificazione
urbanistica comunale - Vincoli paesaggistici
e ambientali - Apposizione di vincolo ad
edificio precedentemente non incluso tra
quelli sottoposti a prescrizioni particolari
- Legittimità - Ratio.
7. Pianificazione
urbanistica comunale - Vincoli paesaggistici
e ambientali - Sindacato sulle scelte
discrezionali della P.A. - Possibilità -
Limiti - Errore di fatto o abnorme
illogicità della decisione di sottoposizione
a vincolo.
1. In materia di tutela del paesaggio o
dell'ambiente i piani regolatori possono
dettare norme ad essa relative, poiché
rientra nell'ampia discrezionalità del
Comune la facoltà di orientare gli
insediamenti urbani e produttivi in
determinate direzioni, ovvero di
salvaguardare precisi equilibri dell'assetto
territoriale (cfr. Cons. di Stato, sent. nn.
2843/2010, 5478/2008, 5723/2005, 1567/2001).
2. A prescindere dall'esistenza e
dall'impiego di strumenti specifici,
generali e particolari, a tutela del
paesaggio e dell'ambiente, non è negabile il
potere degli organi preposti alla formazione
del piano regolatore generale di
salvaguardare, per il tramite di questo
strumento, anche gli interessi ambientali,
come emerge dalla legislazione urbanistica
specificamente dall'art. 7, n. 5, Legge 1942
n. 1150/1942, secondo cui il piano
regolatore indica, tra l'altro, i vincoli da
osservare nelle zone a carattere storico,
ambientale, paesistico (cfr. Cons. di Stato,
sent. nn. 74/2004, 1226/1998).
3. In sede di pianificazione urbanistica
sono consentite al Comune sia la
ricognizione di vincoli imposti in virtù di
leggi speciali, sia la costituzione di
vincoli autonomi per la tutela di valori
ambientali e paesaggistici considerati in
una prospettiva specificamente urbanistica:
pertanto, il Comune può legittimamente
limitare l'edificazione di manufatti in aree
di particolare pregio, così come può
adottare varianti al piano regolatore
generale dichiaratamente destinate a
tutelare, tra gli altri valori, quello
ambientale, motivandole, anche senza
necessità di diffuse analisi argomentative,
con riguardo al valore fondamentale del
paesaggio, protetto dall'art. 9 della
Costituzione (cfr. Cons. di Stato, sent. nn.
2653/2001, 823/1999, n. 2934/ 2000,
1679/2001; TAR Milano, sent. n.
5747/2008).
4. Le indicazioni grafiche contenute nelle
planimetrie allegate allo strumento
urbanistico hanno natura di prescrizioni precettive esclusivamente alla luce e nei
limiti delle prescrizioni normative
contenute nello stesso piano: pertanto, la
rappresentazione grafica di uno strumento
urbanistico ne costituisce parte integrante
solo qualora non si ponga in contrasto con
le prescrizioni normative (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 1520/1998).
5. Qualora vi sia un contrasto insanabile
fra le indicazioni grafiche e le
prescrizioni normative dello strumento
urbanistico sono queste ultime a prevalere,
poiché in sede di interpretazione degli atti
urbanistici pianificatori le risultanze
grafiche hanno il solo scopo di chiarire e
completare ciò che è normativamente
stabilito nel testo (cfr. Cons. di Stato,
sent. nn. 917/1998, 924/1995, 4462/2000).
6. Non è sintomo di contraddittorietà la
mancata inclusione di un edificio tra quelli
sottoposti a prescrizioni particolari sotto
il profilo paesistico in precedenti piani
regolatori generali, dal momento che è
possibile per la P.A. operare, a distanza di
anni, una differente ponderazione
dell'interesse pubblico e ritenere,
pertanto, necessario sottoporre a tutela
l'edificio.
7. In materia di apposizione di vincoli paesistico-ambientali, gli unici vizi che
consentono un sindacato delle scelte
ampiamente discrezionali effettuate dalla
P.A. in sede di adozione-approvazione del
piano regolatore generale sono l'errore di
fatto o l'abnorme illogicità della decisione
di sottoporre a vincolo l'edificio in
questione: e in tali figure non possono
essere annovearte le semplici incongruenze
nella classificazione di alcuni edifici
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2571/2007)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 03.06.2010 n.
1743 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. P.R.G. - Osservazioni dei
privati - Natura collaborativa - Rigetto
delle osservazioni - Motivazione particolare
- Necessità - Non sussiste.
2. Pianificazione
urbanistica - Ampia discrezionalità
amministrativa - Sussiste - Limiti - Ratio.
1. In sede di formazione del piano
regolatore, il rigetto delle osservazioni
proposte dai privati non richiede una
particolare motivazione: ciò, dal momento
che esse hanno natura di meri apporti
collaborativi dati dai cittadini alla
formazione dello strumento urbanistico, con
la conseguenza che è sufficiente che esse
siano state esaminate e ritenute in
contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della
formazione del piano (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 5357/2007, TAR Milano, sent. n.
268/2010).
2. Qualora nelle scelte di pianificazione
non siano ravvisabili contrasti con
l'impostazione tecnico-urbanistica dello
strumento urbanistico o non si evidenzi la
contrarietà ai principi della logica è da
escludere che le stesse possano ritenersi
inficiate e non è possibile dare ingresso a
censure di disparità di trattamento: ciò,
dal momento che la scelta amministrativa
sottesa all'esercizio del potere di
pianificazione di settore deve obbedire solo
al superiore criterio di razionalità nella
definizione delle linee dell'assetto
territoriale, nell'interesse pubblico alla
sicurezza delle persone e dell'ambiente, e
non anche ai criteri di proporzionalità
distributiva degli oneri e dei vincoli, con
la conseguenza che in relazione ad essa non
può prospettarsi una disparità di
trattamento (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
2837/2008) (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.06.2010 n.
1742 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Opere abusive - Accertamento
ultimazione lavori - Verbale della polizia
locale nell'esercizio delle funzioni di
polizia giudiziaria - Efficacia probatoria
privilegiata - Sussiste fino a querela di
falso.
2. Provvedimento amministrativo - Motivi
autonomi - Legittimità di un solo motivo -
Annullabilità del provvedimento -
Inconfigurabilità.
1. Relativamente alle opere edilizie in
corso di realizzazione ai fini della
determinazione dell'ultimazione o meno delle
opere abusive, il verbale redatto polizia
locale nell'esercizio delle funzioni di
polizia giudiziaria ha efficacia probatoria
privilegiata e fa fede fino a querela di
falso (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
177/2003).
2. In presenza di un provvedimento sostenuto
da più motivi, ciascuno autonomamente idoneo
a darne giustificazione, è sufficiente che
sia verificata la legittimità di uno di
essi, per escludere che l'atto possa essere
annullato in sede giurisdizionale (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 3259/2006; TAR
Milano, sent. n. 22/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.06.2010 n.
1730 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Distanze legali tra fabbricati
- In caso di nuova costruzione -
Applicabilità normativa sulle distanze
legali - Necessità.
2. Distanze legali
tra fabbricati - Mancato rispetto delle
distanze - Ordinanza di sospensione lavori -
Presupposti - Necessità di indagine sul
carattere originario o sopravvenuto della
violazione - Non sussiste.
1. Nei rapporti tra proprietà immobiliari
private, ancorché facenti parte del medesimo
condominio, ovvero nei rapporti tra
condominio e singolo condòmino, operano le
norme sulle distanze ogniqualvolta un
intervento, comunque lo si qualifichi,
comporti l'aggiunta, alle preesistenze, di
nuovi elementi, tale da configurare, sotto
questo profilo, una "nuova costruzione"
(cfr. Cassaz. Civile, sent. n. 7044/2004, n.
8978/2003).
2. La realizzazione di un'opera edilizia a
distanza inferiore a quella legale è
sufficiente a legittimare l'ordine di
sospensione dei lavori: ciò, a prescindere
dall'indagine se la violazione della
distanza trovi causa nelle difformità dal
progetto, ovvero nel progetto originario
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 31.05.2010 n.
1725 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Manufatto assentito come precario e
removibile ab origine - Ordinanza di
rimozione - Necessità di motivazione - Non
sussiste.
In caso di manufatti (nella fattispecie,
box) assentiti fin dall'origine come
costruzioni precarie e rimovibili su
richiesta della P.A. e collocati in zona
destinata a servizi, il successivo
provvedimento di rimozione degli stessi non
necessita di alcuna specifica motivazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.05.2010 n.
1686 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Abusi edilizi - Ordinanza di
demolizione - Comunicazione avvio del
procedimento - Necessità - Non sussiste - Ratio.
2. Abusi edilizi -
Misure ripristinatorie - Sistema
sanzionatorio vigente all'epoca
dell'adozione del provvedimento repressivo -
Applicabilità.
3. Abusi edilizi -
Ordinanza di demolizione - Obbligo di
preventiva diffida - Non sussiste.
1.
Dal momento che l'ordine di demolizione di
opere edilizie abusive ha natura di atto
dovuto, il relativo procedimento non è
inficiato dall'omissione della comunicazione
di avvio del procedimento ex art. 7, Legge
241/1990, poiché in tal caso trova
applicazione l'art. 21-octies Legge
241/1990, secondo il quale non è annullabile
il provvedimento adottato in violazione
delle norme sul procedimento qualora sia
palese che il suo contenuto non avrebbe
potuto essere diverso da quello
concretamente adottato.
2. In materia di abusi edilizi, il principio
della irretroattività della legge assume
rilevanza solo in riferimento alle norme che
prevedono sanzioni afflittive e non anche a
quelle che introducono misure ripristinatorie quali la demolizione,
diretta a ristabilire l'assetto urbanistico
violato dall'abuso, con la conseguenza che,
ai fini della normativa applicabile, si deve
fare riferimento al sistema sanzionatorio
vigente all'epoca dell'adozione del
provvedimento repressivo, attesi gli effetti
permanenti dell'abuso.
3. Nel caso di interventi edilizi abusivi,
l'ingiunzione di demolizione costituisce la
prima ed obbligatoria fase del procedimento
repressivo, in quanto la sanzione demolitoria ha natura di diffida: pertanto
la relativa ordinanza non deve essere
preceduta da apposita diffida (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.05.2010 n.
1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Manufatto
precario e provvisorio - Nozione.
In materia di edilizia, ricorre il
concetto di precarietà di una costruzione
ogniqualvolta il manufatto sia privo di una
propria autonomia funzionale e strutturale e
sia destinato a soddisfare unicamente
esigenze contingibili e provvisorie del
soggetto utilizzante (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.05.2010 n.
1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi edilizi -
Ordinanza di demolizione - Obbligo di
motivazione analitica circa l'interesse
pubblico alla demolizione - Non sussiste - Ratio.
A fronte di un abuso edilizio oggettivamente
riscontrato, la motivazione dell'ingiunzione
di demolizione non deve essere
particolarmente analitica ed è sufficiente
il richiamo all'interesse pubblico del
ripristino della legalità, essendo doverosa
per la P.A. l'applicazione delle norme
sanzionatorie poste a presidio
dell'integrità del territorio, soprattutto
allorché -come del caso di specie-
l'intervento repressivo sia tempestivo (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 2160/2010; TAR
Veneto, sent. n. 532/2010 e TAR Milano,
sent. n. 5290/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.05.2010 n.
1684 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Infrastrutture e
insediamenti produttivi strategici e di
interesse nazionale - Approvazione progetto
preliminare - Presupposti - Comunicazione
agli interessati - Non è presupposto
necessario.
Ai sensi della L. 443/2001 e del relativo
D.Lgs. 190/2002 di attuazione, per la
realizzazione delle infrastrutture e degli
insediamenti produttivi strategici e di
interesse nazionale, ai fini
dell'approvazione del progetto preliminare,
non è richiesta la comunicazione agli
interessati alle attività espropriative
prevista ex art. 11, D.P.R. 327/2001:
pertanto, anche nel caso in cui il progetto
comporti l'avvio del procedimento
espropriativo, non è prevista alcuna forma
di partecipazione dei soggetti privati
portatori di interessi contrapposti a quello
pubblico né é necessaria la comunicazione
individuale, con la conseguenza che il
termine per l'impugnazione degli atti, anche
quelli relativi al progetto, deve essere
fatto decorrere dalla pubblicazione della
delibera sulla G.U., essendo questa l'unica
forma di pubblicità da rispettare (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenze 24.05.2010 nn. 1660,
1669 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Inquinamento
elettromagnetico - Impianto di
telecomunicazione - Regolamentazione
urbanistica - Competenza Statale.
2. Inquinamento
elettromagnetico - Impianto di
telecomunicazione - Regolamentazione
urbanistica - Competenza Statale -
Disposizioni regolamentari restrittive o
singoli provvedimenti negativi delle
Amministrazioni Comunali - Illegittimità.
3. Inquinamento
elettromagnetico - Impianto di
telecomunicazione - Installazione -
Necessità rilascio autonomo titolo edilizio
da parte delle Amministrazioni Comunali -
Non sussiste.
1. La tutela sanitaria della popolazione
dalle emissioni elettromagnetiche esula
dalle competenze dei Comuni, essendo
affidata al legislatore statale, il quale ha
prescelto un criterio basato esclusivamente
su limiti di immissione delle irradiazioni
nei luoghi particolarmente protetti:
pertanto, i Comuni non possono, attraverso
atti regolamentari o di pianificazione
urbanistica, introdurre divieti di
localizzazione di ordine generale per talune
porzioni di territorio, dal momento che la
potestà riconosciuta agli enti locali
dall'art. 8, Legge 36/2001 non può tradursi
in divieti assoluti di localizzazione di
impianti di telefonia mobile su parti del
territorio non interessate da obiettivi
sensibili (cfr. TAR, Milano, sent. n.
1815/2008; Cons. di Stato, sent. n.
7274/2002).
2. Sono illegittime le disposizioni
regolamentari ovvero i singoli provvedimenti
negativi con i quali le Amministrazioni
Comunali mirino a limitare o escludere la
collocazione di impianti di
telecomunicazioni, inferiori a 300W, in
determinate zone del territorio.
3. Gli impianti di telecomunicazione,
equiparati ad ogni effetto alle opere di
urbanizzazione primaria, non solo possono
essere collocati sul territorio a
prescindere dalla destinazione urbanistica
del sito individuato per la loro
installazione, ma neppure necessitano di
valutazione in materia edilizia da parte del
Comune, in quanto l'autorizzazione
rilasciata ai sensi dell'art. 87 D.Lgs.
259/2003 non costituisce titolo abilitativo
aggiuntivo rispetto a quello richiesto dal
T.U. delle disposizioni in materia edilizia,
ma assorbe in sé ogni valutazione
urbanistico-edilizia (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 100/2005) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenze 24.05.2010 nn.
1656,
1657,
1658,
1659,
1661 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Variante a
strumento urbanistico generale - Avviso di
avvio del procedimento - Omessa
pubblicazione su quotidiano locale - In
presenza di articoli di stampa relativi alla
variante - Legittimità della variante -
Sussiste.
2. Approvazione PRG o PGT - Violazione dell'obbligo di
astensione da parte dei consiglieri ex art.
78 D.Lgs. 267/2000 - Nullità parziale dello
strumento urbanistico - Configurabilità -
Ratio - Principio "utile per inutile non
vitiatur".
3. Approvazione PRG o PGT - Violazione dell'obbligo di
astensione da parte dei consiglieri ex art.
78 D.Lgs. 267/2000 - Interesse a ricorrere -
Prova del pregiudizio diretto al fondo del
ricorrente - Necessità.
4. Variante a
strumento urbanistico generale - Obbligo di
motivazione - Indicazione di profili
generali e criteri fondanti la previsione in
variante - In presenza di aspettative di
mero fatto - Sufficienza.
5. Piani
regolatori generali - Delibera di adozione -
Obbligo di impugnazione - Non sussiste -
Possibilità di impugnazione di successiva
delibera di approvazione - Sussiste.
1. Qualora, in caso di omessa pubblicazione
su un quotidiano o periodico a diffusione
locale di un apposito avviso riguardante
l'avvio del procedimento di formazione della
variante allo strumento urbanistico
generale, pubblicazione prevista ex art. 3,
comma 14, lett. a), L.R. 1/2000, siano
tuttavia apparsi numerosi articoli
riguardanti il procedimento di approvazione
della variante di cui è causa, lo scopo al
quale tende la norma regionale è stato
comunque raggiunto, in quanto la notizia del
procedimento di variante è stata in ogni
modo diffusa fra il pubblico attraverso la
stampa locale: pertanto, non può essere
considerata causa di illegittimità
dell'intero strumento urbanistico la
semplice assenza di un formale avviso su un
quotidiano locale, nel quale sia stata data
-comunque- ampia diffusione del
procedimento di variante generale (cfr.
TAR Brescia, sent. n. 380/2008; TAR
Milano, sent. n. 607/2006).
2. Nel caso di piano urbanistico per il
quale si sia verificata l'ipotesi di un
conflitto di interessi dell'amministratore
pubblico devono essere annullate, ex art.
78, comma 4, D.Lgs. 267/2000, le sole parti
dello strumento per le quali sia stata
accertata la correlazione fra il contenuto
del medesimo e gli specifici interessi
dell'amministratore e dei suoi parenti: ciò
poiché il conflitto di interesse
dell'amministratore non travolge l'intero
piano urbanistico ma solo le parti ritenute
"collegate" all'interesse personale dello
stesso, secondo il principio "utile per
inutile non vitiatur".
3. Il proprietario di aree comprese nello
strumento urbanistico per il quale si sia
verificata l'ipotesi di un conflitto di
interessi dell'amministratore pubblico ha
interesse a denunciare la violazione
dell'art. 78, D.Lgs. 267/2000, laddove provi
che l'interesse personale del consigliere,
che avrebbe dovuto imporre a quest'ultimo
l'astensione, ha arrecato un diretto
pregiudizio anche ai propri fondi; in caso
contrario, qualora l'intervento in consiglio
di detto amministratore non abbia avuto
alcun effetto sul regime giuridico delle
aree dell'esponente, l'interesse di
quest'ultimo alla denuncia non sussiste, dal
momento che l'eventuale accoglimento del
gravame avrebbe conseguenze soltanto su
fondi non di proprietà del ricorrente, che
non vedrebbe pertanto mutato il regime
giuridico dei propri immobili (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 3744/2009; TAR Milano,
sent. n. 1526/2010; TAR Brescia, sent. n.
1461/2009).
4. In presenza di aspettative di mero fatto
da parte del privato, le scelte di natura
tanto ambientale quanto urbanistica, rimesse
alla P.A. nell'interesse generale sono, di
regola, sufficientemente motivate con
l'indicazione dei profili generali e dei
criteri che hanno sorretto la previsione in
variante, senza necessità di una motivazione
mirata (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
2843/2010; TAR Milano, sent. n.
556/2010).
5. L'impugnazione della delibera di adozione
di uno strumento urbanistico è meramente
facoltativa: infatti, l'interessato può
limitarsi a gravare, senza incorrere in
nessuna decadenza, solo la deliberazione di
approvazione definitiva del piano
urbanistico (cfr. Cons. di Stato, Ad.
Plenaria n. 1/1983; Cons. di Stato, sent. n.
50/2010; TAR Latina, sent. n. 20/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 21.05.2010 n.
1649 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 24.11.2010 |
ã |
UTILITA' |
VARI:
SALDO ICI per il 2010: VERSAMENTO ENTRO il
16.12.2010 (link a
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
GURI -GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 47 del
22.11.2010, "Approvazione delle
«Disposizioni tecniche per il monitoraggio
del Fondo Aree Verdi di cui al punto 4
dell’allegato 1 alla d.g.r. 8757/2008 e note
esplicative delle Linee guida approvate con
d.g.r. 8757/2008 e 11297/2010»" (decreto
D.G. 15.11.2010 n. 11514 - link a www.infopoint.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
CONTROVERSIE DI LAVORO: TRA
NOVITA' E CONTRADDIZIONI.
Inspiegabili contraddizioni tra la
cosiddetta "RIFORMA BRUNETTA"
ed il collegato-lavoro in materia di
contenzioso disciplinare.
E' indispensabile un chiarimento della
Funzione Pubblica, per evitare che i
lavoratori pubblici siano privati di un
fondamentale strumento di tutela in
alternativa al ricorso al giudice del lavoro (nota
22.11.2010 - link a
www.uilpa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Le fasce di merito e la
deliberazione 111/2010 della Civit
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 20.11.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Comportamento antisindacale e
"riforma Brunetta"
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 20.11.2010). |
NOTE,
CIRCOLARI & COMUNICATI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Chiarimenti in ordine all'ambito
applicativo della disposizione contenuta
nell'articolo 9, comma 4, del decreto legge
n. 78/2010, che impone il divieto di
definire trattamenti retributivi superiori
al 3,2% per il biennio contrattuale
2008-2009 (risposta ad un quesito posto
dall'ANCI).
OGGETTO: Richiesta di chiarimenti in
merito all’applicazione dell’articolo 9,
comma 4, del decreto legge n. 78 del
31.05.2010, convertito in legge 30.07.2010,
n. 122 (Ministero dell'Economia e delle
Finanze,
nota 16.11.2010 n. 96618 di prot.).
- link a www.rgs.mef.gov.it). |
QUESITI &
PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Il contratto di affitto di azienda comporta
di per sé anche la disponibilità
dell’immobile sede dell’azienda?
(link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Quali saranno sommariamente i punti
riformati dal terzo correttivo alla Parte IV
del Testo Unico Ambientale? (link
a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Nell’ipotesi in cui si stipula tra due
società che gestiscono rifiuti un contratto
di affitto di azienda e il titolo
autorizzatorio sia l’A.I.A la cessione del
titolo è temporanea? (link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Può aversi un contratto di affitto di
azienda tra società aventi i medesimi
amministratori? (link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Come è sanzionato il mancato rispetto delle
prescrizioni dell’A.I.A. dopo il terzo
correttivo al Testo Unico ambientale?
(link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Come si inquadra e come è sanzionato il
reato di abbandono dei rifiuti?
(link a www.ambientelegale.it). |
AUTORITA'
CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Tracciabilità: Pubblicate le
linee guida sulla tracciabilità dei flussi
finanziari.
Emanate dall’Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici (AVCP) le linee guida
sulla tracciabilità dei flussi finanziari a
seguito del piano straordinario contro le
mafie.
La
determinazione 18.11.2010 n. 8
tratta gli ambiti di applicazione della
tracciabilità, fornisce indicazioni generali
sulle modalità di attuazione della stessa,
sulla richiesta e l’indicazione del codice
identificativo di gara (CIG) e del codice
unico di progetto (CUP) e sulla gestione dei
movimenti finanziari e le comunicazioni
obbligatorie (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
I bandi di gara non possono
contenere limitazioni di carattere
territoriale.
Firmato dal Presidente dell’AVCP, Giuseppe
Brienza, un comunicato per richiamare
l’attenzione delle stazioni appaltanti a non
inserire nei bandi di gara clausole che
riconoscano una qualche preferenza alle
imprese operanti sul territorio di
riferimento, violando i principi di
uguaglianza, non discriminazione, parità di
trattamento e concorrenza (comunicato
del Presidente 20.10.2010 - link
a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Rilascio dei Certificati
Esecuzione Lavori.
I Certificati di Esecuzione Lavori (CEL)
devono essere rilasciati in via telematica
secondo quanto disposto con comunicato del
Presidente dell’AVCP del 06.07.2006.
Da verifiche effettuate nella Banca Dati
dell’Autorità, è emerso che molte stazioni
appaltanti hanno continuato ad emettere i
CEL in formato cartaceo. Pertanto, tutte le
stazioni appaltanti sono invitate ad
emettere nuovamente i CEL già rilasciati in
forma cartacea, secondo le modalità indicate
nel richiamato comunicato del 2006 (comunicato
del Presidente 05.10.2010 - link
a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Pubblicazione di bandi e avvisi
di gara sulla Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana.
Dall'01.11.2010 è fatto obbligo ai soggetti
che richiedano la pubblicazione di bandi e
avvisi di gara sulla Gazzetta Ufficiale
della Repubblica Italiana di indicare il
codice CIG (codice identificativo gara)
rilasciato dall'Autorità.
Pertanto, a decorrere dalla predetta data,
il formulario di richiesta di inserzione
sulla GURI sarà modificato prevedendo
l'acquisizione obbligatoria del CIG ovvero
della causa di esclusione dall'obbligo di
richiesta del medesimo nei casi indicati con
Deliberazione del 15.02.2010, art. 3,
dell'Autorità (comunicato
del Presidente 01.10.2010 - link
a www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI: Il
divieto posto dal Decreto Bersani non opera
nel caso di società a partecipazione
pubblica che producono beni o servizi per il
pubblico (consumatori o utenti), in regime
di concorrenza.
L’interessante sentenza tratta
dell’applicazione di una delle tante norme
che disciplinano le partecipazioni
societarie delle pubbliche amministrazioni.
In questa nota si è ritenuto di dover
riportare integralmente i passaggi più
rilevanti in ragione della particolare
chiarezza del testo della sentenza: “Ai
sensi di quanto disposto dal comma 1
dell’art. 13 del D.L. 04.07.2006 n. 223,
convertito in legge 04.08.2006, n. 248 e
s.m.i., le società a capitale interamente
pubblico o misto –costituite dalle
amministrazioni pubbliche regionali e locali
per la produzione di beni e servizi
strumentali all'attività di tali enti,
nonché, nei casi consentiti dalla legge, per
lo svolgimento di funzioni amministrative di
loro competenza– devono operare
esclusivamente con gli enti costituenti ed
affidanti, non possono svolgere prestazioni
a favore di altri soggetti pubblici o
privati, né in affidamento diretto né con
gara, e non possono partecipare ad altre
società o enti.
L’art. 13 del d.l. 04.07.2006, n. 223,
nell’imporre tali limiti alle società a
capitale interamente pubblico o misto,
costituite o partecipate dalle
amministrazioni pubbliche regionali o
locali, come affermato anche dalla Corte
Costituzionale con la sentenza n. 326
dell'01.08.2008, ha il fine di evitare
alterazioni o distorsioni della concorrenza
e del mercato e di assicurare la parità
degli operatori ed ha quindi lo scopo di
impedire che soggetti intrinsecamente
connessi all’espletamento di funzioni della
Pubblica Amministrazione possano, in forza
della propria rendita di posizione, agire
sul libero mercato (Consiglio di Stato, Sez.
IV, 05.03.2008, n. 946; Sez. V, 07.07.2009
n. 4346).
Il divieto introdotto dall’art. 13 non è
rivolto in via generale a tutte le società
costituite o comunque partecipate da
amministrazioni locali (come si era in un
primo momento da alcuni ritenuto: cfr. anche
il parere dell’Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture n. 135 del 2007), ma riguarda solo
quelle società che possono definirsi
“strumentali”, vale a dire quelle società
costituite o partecipate per la produzione
di beni e servizi strumentali all’attività
dell’amministrazione regionale o locale in
funzione della medesima e con esclusione dei
servizi pubblici locali (Consiglio di Stato,
Sez. V, 12.06.2009 n. 3767).
La giurisprudenza ha quindi distinto due
diverse categorie di società a
partecipazione pubblica ed ha ritenuto
necessario ed indefettibile per
l’applicazione della norma contenuta nel
decreto Bersani che la società sia
strumentale perché destinata a produrre beni
e servizi finalizzati a soddisfare
l’esigenza dell’ente pubblico partecipante,
mentre la disposizione non può trovare
applicazione quando le società a
partecipazione pubblica sono esercitate
secondo modelli paritetici e il ruolo degli
enti territoriali non si differenzia da
quello dell’azionista di una società per
azioni (Consiglio di Stato, Sez. IV,
05.03.2008, n. 946 cit.).
Infatti il divieto che colpisce le società
strumentali è giustificato dalla circostanza
che esse costituiscono una longa manus delle
amministrazioni pubbliche ed operano quindi
essenzialmente per queste ultime e non già
per il pubblico (Consiglio di Stato, Sez. V,
n. 1282 del 05.03.2010; Sez. V, n. 3766 del
12.06.2009). In altre parole il divieto
trova applicazione quando le società sono
state costituite e svolgono la loro attività
per l’esercizio dell’attività amministrativa
in forma privatistica e le società di
capitali operano per conto di una pubblica
amministrazione; il divieto non opera invece
nel caso di società a partecipazione
pubblica che producono beni o servizi per il
pubblico (consumatori o utenti), in regime
di concorrenza.
Di recente questa Sezione, con la citata
sentenza n. 1282 del 05.03.2010, dopo aver
ricordato che il divieto di partecipazione a
gare pubbliche previsto dall’art. 13 del
D.L. 04.07.2006, n. 223, convertito dalla L.
04.08.2006, n. 248 e s.m.i. per le società,
a capitale interamente pubblico o misto,
costituite o partecipate dalle
amministrazioni pubbliche regionali e locali
per la produzioni di beni e servizi
strumentali alla loro attività, ha lo scopo
(rilevato anche dalla Corte Costituzionale
con la sentenza 01.08.2008, n. 326) di
evitare che soggetti dotati di privilegi
operino in mercati concorrenziali,
costituendo fattori distorsivi della
concorrenza, ha in proposito affermato che è
<>, concludendo che <>.
Per concludere sul punto si può quindi
affermare che è solo la specifica missione
strumentale della società rispetto all’ente
che l’ha costituita ovvero la partecipa a
giustificare il divieto legislativo di
operare per altri soggetti pubblici o
privati, in modo che tale società non possa
godere della posizione privilegiata sul
mercato che è determinata proprio dalla
predetta strumentalità ritenuta dal
legislatore fonte di alterazione o di
distorsione della concorrenza e di
violazione del principio di parità degli
operatori.
La specialità della norma in questione poi
non ne consente, per giurisprudenza
pacifica, l’interpretazione analogica e
l’applicazione a casi diversi da quelli
espressamente previsti (Consiglio di Stato,
Sez. V, n. 1282 del 05.03.2010 cit.)”
(massima tratta da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 16.11.2010 n. 8069 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’art.
36, comma 5, del codice dei contratti
pubblici non è applicabile alla materia
dell’avvalimento.
Estrapoliamo dalla pronuncia in rassegna una
rilevante problematica interpretativa: si
pone la questione della applicabilità
dell’art. 36, comma 5, del codice dei
contratti pubblici (d.lgs. 12.04.2006, n.
163), alla materia dell’avvalimento.
Nell’impianto del codice dei contratti
pubblici, secondo i giudici del Consiglio di
Stato, una soluzione del quesito in senso
positivo non sembra ammissibile sia per
ragioni testuali, ove si tenga conto che
l’art. 36, comma 5, ha come destinatari
esclusivi i soggetti che formulano
l’offerta; sia per ragioni sistematiche, in
quanto, quando il legislatore ha voluto
equiparare la disciplina delle imprese
offerenti e delle imprese ausiliarie, ha
provveduto espressamente (come nel caso, di
cui si dirà più avanti, della dichiarazione
dei requisiti di ordine generale di cui
all’art. 38, che l’art. 49, comma 2, lettera
c), del codice dei contratti pubblici,
estende alle imprese ausiliarie).
Ad avviso dei giudici di Palazzo Spada una
diversa soluzione non potrebbe argomentarsi
nemmeno sul presupposto della responsabilità
in solido della impresa ausiliaria (di cui
all’art. 49, comma 4, e all’art. 50, comma
3, del codice dei contratti pubblici).
L’obbligazione solidale comporta
indubbiamente la facoltà
dell’amministrazione appaltante di
pretendere l’adempimento delle prestazioni
contrattuali da parte dell’impresa
ausiliaria, ma questo non dimostra che
l’impresa ausiliaria debba essere
assoggettata ai medesimi oneri
procedimentali cui sono sottoposte le
imprese partecipanti alla gara (a meno che
in tal senso non disponga espressamente la
legge, come visto).
In tal caso, allorché l’amministrazione
intendesse rivolgersi all’impresa ausiliaria
per l’adempimento delle prestazioni
contrattuali, e si tratti della esecuzione
di lavori, dovrà previamente verificare il
possesso in capo all’impresa ausiliaria
della qualificazione necessaria (posto che,
indiscutibilmente, l’art. 40 impone che “i
soggetti esecutori a qualsiasi titolo di
lavori pubblici devono essere qualificati …”).
L’applicabilità dell’art. 36, comma 5,
concludono gli stessi giudici, deve essere
esclusa anche alla luce della ratio
sottesa alla prescrizione, imposta ai
consorzi stabili, di indicare espressamente,
in sede di offerta, le imprese consorziate
per i quali concorrono, e al “divieto di
partecipare, in qualsiasi altra forma, alla
medesima gara” per i consorziati
indicati. Ratio da identificare nella
tutela della trasparenza della gara,
evitando la presentazione di offerte
coordinate tra i diversi concorrenti, il che
influirebbe sulla scelta del contraente da
parte della stazione appaltante.
Tuttavia, l’art. 49, comma 2, lettera e),
già prevede l’obbligo di rendere “una
dichiarazione sottoscritta dall'impresa
ausiliaria con cui questa attesta che non
partecipa alla gara in proprio o associata o
consorziata ai sensi dell’art. 34”.
Lo scopo di impedire la contemporanea
partecipazione alla gara del consorzio
stabile, in proprio, e delle singole imprese
consorziate, è raggiunto dal legislatore,
anche in questa particolare ipotesi,
attraverso una norma espressa (confermando
l’esistenza di un principio di tendenziale
distinzione tra la disciplina dettata per le
imprese offerenti e quella dedicata alle
imprese ausiliarie in regime di avvalimento,
per cui l’ambito di applicazione della prima
non può essere automaticamente esteso alla
seconde)
(massima tratta da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 16.11.2010 n. 8059 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: La
PA, nel procedere ad una pianificazione di
recupero, può legittimamente richiedere gli
standards necessari con riferimento alle
preesistenze edilizie delle quali il piano
prevede la conservazione.
In ordine alla prima e centrale questione,
va condiviso l’orientamento del primo
giudice in particolare ove ha posto in
rilievo che contenere la dotazione degli “standards”
a corredo del piano, rapportandola alle sole
nuove edificazioni, costituirebbe una
ingiustificata compressione del potere
pianificatorio, soprattutto preclusiva di un
miglioramento delle condizioni di vivibilità
relativamente agli edifici preesistenti,
realizzandosi così un aumento del deficit
urbanistico del tutto contrario alla
finalità stessa del piano di recupero.
Peraltro collima con questa interpretazione
l’orientamento già espresso da questo
Consiglio in merito, per il quale l’art. 22,
comma terzo, della L.R. lombarda n. 51/1975,
per la determinazione degli “standards”
non si è riferito al volume fisico fuori
terra degli edifici, bensì alla "capacità
insediativa residenziale teorica" (Cons
di Stato, sez. IV, n. 860/2007 e n.
797/1997); in tale concetto, e con
riferimento ad un piano di recupero che per
definizione vede ampia parte destinata alla
conservazione immobiliare, risulta quindi
del tutto logico che nella quantificazione
degli “standards” minimi necessari si
tenga conto di tutte le edificazioni che
l’area può giuridicamente e nel complesso
recepire e quindi necessariamente anche
degli edifici preesistenti
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.11.2010 n. 7727 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La tutela del paesaggio, avente
valore costituzionale e funzione di
preminente interesse pubblico, non è
riducibile a quella dell’urbanistica, che
risponde ad esigenze diverse e che, in ogni
caso, non inquadra in una visione globale il
territorio sotto il profilo
paesaggistico-ambientale, rispetto al quale
l’edificabilità dei suoli, seppure
consentita dal PRG in vigore, va comunque
coordinata quantomeno in relazione al dovuto
nulla osta.
La tutela del paesaggio, avente valore
costituzionale e funzione di preminente
interesse pubblico, non è riducibile a
quella dell’urbanistica, che risponde ad
esigenze diverse e che, in ogni caso, non
inquadra in una visione globale il
territorio sotto il profilo
paesaggistico-ambientale, rispetto al quale
l’edificabilità dei suoli, seppure
consentita dal PRG in vigore, va comunque
coordinata quantomeno in relazione al dovuto
nulla osta (Consiglio Stato, VI, 21.06.2006,
n. 1903) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.10.2010 n. 7491 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Telefonia
mobile - Regolamento recante disciplina
temporanea dell'installazione di
stazioni-radio base - Impugnabilità del
regolamento unitamente all'impugnazione del
relativo atto applicativo - Possibilità - Ratio.
Il regolamento comunale recante la
disciplina temporanea dell'installazione di
stazioni radio base per telefonia mobile, in
considerazione della sua natura
regolamentare, è suscettibile di ripetuta
applicazione ed esplica effetto lesivo nel
momento in cui è adottato l'atto applicativo
e, pertanto, esso può formare oggetto di
censura in occasione della impugnazione di
quest'ultimo: ciò, dal momento che l'effetto
lesivo del regolamento si rinnova in
occasione dell'adozione di ogni
provvedimento applicativo ed è da tale
momento che decorre, ogni volta, il termine
per l'impugnazione dell'atto regolamentare
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1567/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 20.05.2010 n.
1571 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Contributo di
concessione - Controversie sul contributo -
Autonomia rispetto al rilascio del permesso
di costruire - Sussiste.
2. Contributo di
concessione - Natura giuridica.
3. Contributo di
concessione - Natura giuridica - È
prestazione patrimoniale imposta -
Conseguenze.
4. Contributo di
concessione - Interventi di ricostruzione
preceduti da demolizione totale o parziale -
Applicabilità del contributo previsto per le
nuove costruzioni.
1. Le controversie sul contributo di
concessione, ora contributo di costruzione,
devolute alla giurisdizione esclusiva del
G.A., introducono un giudizio sul rapporto,
che prescinde dall'impugnazione di atti: la
determinazione del contributo è, infatti,
cosa diversa ed autonoma rispetto al
rilascio del permesso di costruire, sia
perché persegue finalità sue proprie, sia
perché si conclude con un atto -
concettualmente diverso da quello concessivo
del titolo a costruire - che può essere
contestato e caducato in sede
giurisdizionale senza ripercussioni sul
titolo edilizio (cfr. Cons. di Stato, sent.
n. 2438/2009).
2. Il contributo di concessione, pur non
avendo carattere strettamente tributario, si
configura come corrispettivo di diritto
pubblico connesso al rilascio della
concessione edilizia, a titolo di
partecipazione del concessionario ai costi
delle opere di urbanizzazione in proporzione
ai benefici che la nuova costruzione ne
ritrae (Cons. Stato 2^, 21.11.07 n. 11073 e
10060/2004).
3. Il contributo di concessione ha natura di
prestazione patrimoniale imposta, da
determinarsi sulla base delle norme che
regolano i relativi criteri di conteggio, le
quali sono cogenti sia per il contribuente,
sia per la P.A.: da ciò discende, da un
lato, che relativamente al contributo, il
rapporto tra titolare del permesso edilizio
e P.A. ha carattere paritetico, e non autoritativo, con conseguente esigenza di
determinare ciò che è dovuto per legge,
restando improponibili le censure tipiche
dell'impugnativa dei provvedimenti
amministrativi volte a far valere i c.d.
vizi sintomatici dell'eccesso di potere
(cfr. TAR Milano, sent. n. 1817/1998 e n.
1820/1998); dall'altro, che la c.d.
"'impugnazione" dell'atto di determinazione
del contributo per vizi propri, per esempio
computo errato, comportando la lesione di un
diritto, è proponibile nei termini di
prescrizione (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
2463/2006); infine, che in caso di errore
nella liquidazione del contributo, la P.A.
può parimenti pretenderne l'integrazione o
il conguaglio nel termine di prescrizione
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2686/2008 e
n. 11073/2007), così come a prescrizione è
soggetta l'azione di ripetizione
dell'interessato che, dopo avere pagato il
contributo, ne chieda la restituzione -totale o parziale- per indebito oggettivo.
4. Ai sensi dell'art. 44, comma 10, L.R.
12/2005 gli interventi di ricostruzione
preceduti da demolizione totale o parziale
scontano il contributo concessorio previsto
per le nuove costruzioni (cfr. TAR Milano,
sent. n. 4455/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 18.05.2010 n.
1566 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Lottizzazione
abusiva - Lottizzazione abusiva materiale e
lottizzazione abusiva cartolare - Nozione.
2. Lottizzazione
abusiva - Lottizzazione abusiva cartolare
- Accertamento - Presupposti - Mero
frazionamento o vendita dell'area -
Insufficienza.
1. Ai sensi dell'art. 30, comma 1°, D.P.R.
380/2001 sono ravvisabili due tipi di
lottizzazione abusiva -che possono peraltro
coesistere-: una materiale, qualora siano
iniziate sul terreno opere che comportino
trasformazione urbanistica o edilizia del
medesimo in violazione delle prescrizioni
degli strumenti urbanistici o comunque senza
le prescritte autorizzazioni; dall'altro una
lottizzazione abusiva cartolare o formale,
quando la trasformazione è predisposta
attraverso il frazionamento e la vendita del
terreno in lotti che, per le loro
caratteristiche particolari, denuncino in
modo inequivoco la destinazione a scopo
edificatorio.
2. In materia di lottizzazione abusiva
cartolare il relativo accertamento non può
essere affidato al mero riscontro del
frazionamento o della vendita dell'area,
essendo invece necessaria la ricostruzione
di un quadro indiziario sulla scorta degli
elementi indicati dalla norma di legge,
dalla quale sia possibile desumere in
maniera inequivoca la destinazione a scopo
edificatorio degli atti posti in essere
dalle parti (cfr. TAR Lazio, sent. n.
10872/2009; TAR Lecce, sent. n. 3178/2009;
Cons. di Stato, sent. n. 6810/2004) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 18.05.2010 n.
1553 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
PRG - Varianti
- In assenza di modifiche che mutino le
caratteristiche essenziali del piano -
Obbligo ripubblicazione - Non sussiste.
Non sussiste l'obbligo di nuova
pubblicazione delle varianti o dei piani,
qualora le modifiche introdotte non diano
luogo ad una rielaborazione complessiva del
piano, ovvero quando non ne siano mutate le
caratteristiche essenziali (cfr. TAR Milano,
sent. n. 4301/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 18.05.2010 n.
1552 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Giunta Comunale
- Competenza - In relazione a provvedimenti
consequenziali a decisioni assunte dal
Consiglio Comunale - Sussiste.
E' ammissibile l'approvazione da parte della
Giunta Comunale del progetto preliminare
relativo ad un Piano particolareggiato con
variante, a condizione che l'opera sia già
stata assentita dal Consiglio Comunale
attraverso l'approvazione del relativo
Programma Triennale cui il progetto
preliminare si riferisce (cfr. TAR Liguria,
sent. n. 109/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 18.05.2010 n.
1552 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Competenza e giurisdizione - Condono
edilizio - Ricorso per accertamento
dell'inesistenza del credito vantato dalla
P.A. - E' controversia su diritti soggettivi
- Termine decadenziale per impugnazione
dell'atto di condono - Inconfigurabilità.
2. Condono
edilizio - Rinuncia alla domanda di condono
- Presupposti - Anteriorità rispetto alla
conclusione del procedimento di condono - Ratio.
1. In materia di condono edilizio, nel caso
di ricorso per l'accertamento
dell'inesistenza del credito vantato
dall'Amministrazione comunale nei confronti
del ricorrente, oltre che del presunto
diritto di quest'ultimo al rimborso delle
somme già versate a favore del Comune,
trattandosi di controversia su diritti
soggettivi, non sussiste alcun onere del
ricorrente di impugnazione nel termine decadenziale del provvedimento di condono
(cfr. TAR Milano, sent. n. 5071/2009).
2.
E' ammissibile la rinuncia alla domanda di
condono a condizione che la stessa sia
anteriore alla conclusione del relativo
procedimento (cfr. TAR Toscana, sent. n.
6520/2004): a tale riguardo, il procedimento
deve reputarsi concluso anche qualora il
ricorrente non abbia mai materialmente
ritirato il titolo cartaceo depositato negli
uffici comunali né abbia completamente
versato le somme richieste, essendo queste
ultime fattispecie irrilevanti ai fini della
conclusione del procedimento.
Poiché infatti il condono edilizio è volto
alla celere definizione di illeciti avente
ordinariamente natura non solo
amministrativa ma anche penale, ne consegue
che l'eventuale rinuncia allo stesso, magari
in seguito al decorso di un lungo termine
dalla presentazione della relativa istanza,
rischierebbe di assicurare all'autore
dell'opera abusiva una sostanziale immunità
penale, ad esempio sfruttando l'eventuale
prescrizione del reato edilizio, oltre a
garantirgli il recupero pecuniario delle
somme già versate (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.05.2010 n.
1551 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi edilizi -
Domanda di condono - Silenzio-assenso -
Presupposti.
In materia di abusi edilizi la formazione
del silenzio assenso sulla domanda di
condono presuppone che quest'ultima sia
stata presentata unitamente a tutta la
necessaria documentazione e che sia stato
interamente versato il contributo
concessorio (nel caso di specie il TAR ha
ritenuto che la domanda di condono fosse
completa e che fosse pertanto maturato il
silenzio assenso decorsi ventiquattro mesi
dalla presentazione della domanda, essendo
irrilevanti, in quanto non previste dalla
legge, le richieste di integrazione
documentale formulate dal Comune) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 18.05.2010 n.
1550 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi edilizi -
Sanzione pecuniaria - Stima dell'Agenzia del
Territorio - E' atto infraprocedimentale -
Conseguenze - Onere di impugnabilità della
stima - Non sussiste - Necessità di notifica
all'Agenzia del Territorio - Non sussiste.
In materia di repressione di abusi edilizi,
il provvedimento lesivo impugnabile dal
privato è l'atto terminale che definisce il
procedimento applicando la sanzione
pecuniaria, mentre la relativa stima
dell'Agenzia del territorio, ancorché
conosciuta anticipatamente dall'interessato,
ha carattere infraprocedimentale e non
determina l'onere di impugnazione immediata:
ne consegue che l'Agenzia del Territorio non
è un contraddittore necessario al quale il
ricorso debba essere notificato a pena di
inammissibilità (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.05.2010 n.
1546 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Abusi edilizi -
Opere su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità o destinate ad opere e spazi
pubblici o ad interventi di edilizia
residenziale pubblica - Intimazione di
sgombero - Legittimità.
2. Abusi edilizi -
Opere su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità o destinate ad opere e spazi
pubblici o ad interventi di edilizia
residenziale pubblica - Preventivo ordine di
demolizione ed accertamento della relativa
inottemperanza - Necessità - Non sussiste.
1. In caso di opere eseguite senza titolo su
aree assoggettate, da leggi statali,
regionali o da altre norme urbanistiche
vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e
spazi pubblici ovvero ad interventi di
edilizia residenziale pubblica,
l'intimazione di sgombero da parte del
dirigente responsabile, ancorché non
prevista dalla legge, non è illegittima, non
avendo altro scopo che preavvisare
l'interessato della imminente demolizione e
porlo nella condizione di liberare
spontaneamente i manufatti abusivi, nel
proprio interesse, da persone e cose.
2. La demolizione ed il ripristino dello
stato dei luoghi ex art. 27, comma 2, D.P.R.
380/2001, non richiede un preventivo ordine
di demolizione e l'accertamento della
relativa inottemperanza, dal momento che
mira ad assicurare all'autorità di vigilanza
strumenti tempestivi di intervento a tutela
delle aree gravate da vincoli di inedificabilità (cfr. TAR
Lazio, sent. n. 11295/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.05.2010 n.
1529 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento - Mancata
comunicazione di avvio - In presenza di
comunicazioni de facto - Legittimità.
La comunicazione di avvio del procedimento
non è necessaria laddove l'interessato sia
stato altrimenti reso edotto del
procedimento in corso (nella fattispecie,
l'interessato è stato destinatario di
ripetute ordinanze di sospensione lavori e
di demolizione): inoltre, la mancata
comunicazione di avvio del procedimento non
vizia la determinazione che abbia, come
nella fattispecie, natura necessitata e
vincolata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.05.2010 n.
1529 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi edilizi - Ordinanza di
sospensione lavori - Mancata notifica
all'affittuario - Legittimità.
Il proprietario del terreno, responsabile
dell'abuso, destinatario di relativa
ordinanza di sospensione lavori non è
legittimato a dedurre l'omessa notifica
dell'atto a terzi: pertanto, il ricorrente,
cui l'ordinanza sia stata ritualmente
notificata come proprietario del terreno
interessato dagli abusi edilizi, non ha
titolo alcuno a dedurre l'omessa
notificazione dell'ordinanza all'affittuario
(cfr. TAR Milano, sent. n. 3657/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.05.2010 n.
1528 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Approvazione PRG o PGT - Violazione dell'obbligo di
astensione da parte dei consiglieri ex art.
78 D.Lgs. 267/2000 - Nullità parziale dello
strumento urbanistico - Configurabilità -
Ratio - Principio "utile per inutile non
vitiatur".
2. Approvazione PRG o PGT - Violazione dell'obbligo di
astensione da parte dei consiglieri ex art.
78 D.Lgs. 267/2000 - Interesse a ricorrere -
Prova del pregiudizio diretto al fondo del
ricorrente - Necessità.
3. Impugnazione di PRG o PGT - Soggetti proprietari di aree
interessate dal Piano e soggetti menzionati
nel ricorso - Automatica qualificazione di
controinteressati - Non sussiste.
1. Nel caso di piano urbanistico per il
quale si sia verificata l'ipotesi di un
conflitto di interessi dell'amministratore
pubblico devono essere annullate, ex art.
78, comma 4, D.Lgs. 267/2000, le sole parti
dello strumento per le quali sia stata
accertata la correlazione fra il contenuto
del medesimo e gli specifici interessi
dell'amministratore e dei suoi parenti: ciò
poiché il conflitto di interesse
dell'amministratore non travolge l'intero
piano urbanistico ma solo le parti ritenute
"collegate" all'interesse personale dello
stesso, secondo il principio "utile per
inutile non vitiatur".
2. Il proprietario di aree comprese nello
strumento urbanistico per il quale si sia
verificata l'ipotesi di un conflitto di
interessi dell'amministratore pubblico ha
interesse a denunciare la violazione
dell'art. 78, D.Lgs. 267/2000, laddove provi
che l'interesse personale del consigliere,
che avrebbe dovuto imporre a quest'ultimo
l'astensione, ha arrecato un diretto
pregiudizio anche ai propri fondi; in caso
contrario, qualora l'intervento in consiglio
di detto amministratore non abbia avuto
alcun effetto sul regime giuridico delle
aree dell'esponente, l'interesse di
quest'ultimo alla denuncia non sussiste, dal
momento che l'eventuale accoglimento del
gravame avrebbe conseguenze soltanto su
fondi non di proprietà del ricorrente, che
non vedrebbe pertanto mutato il regime
giuridico dei propri immobili (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 3744/2009; TAR Brescia,
sent. n. 1461/2009).
3. I proprietari di aree comprese nel PRG o
nel PGT non sono qualificabili come
controinteressati al momento
dell'impugnazione del Piano stesso (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 1184/2010 e n.
4712/2008), né risultano tali le altre
persone indicate in ricorso, dal momento che
l'eventuale accoglimento di quest'ultimo non
determinerebbe alcuna diretta ed immediata
lesione della loro sfera giuridica, non
essendo del resto sufficiente la semplice
menzione di un soggetto nel provvedimento
impugnato o nel ricorso, per fare assurgere
al medesimo il ruolo di controinteressato
(cfr. TAR Catanzaro, sent. n. 2004/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Valutazione ambientale strategica -
Scelta dell'autorità competente - Principio
di separazione dell'autorità competente
rispetto a quella procedente - Necessità - Ratio.
In tema di VAS l'autorità procedente,
nella scelta dell'autorità competente, deve
individuare soggetti pubblici che offrano
idonee garanzie non solo di competenza
tecnica e di specializzazione in materia di
tutela ambientale, ma altresì garanzie di
imparzialità e di indipendenza rispetto
all'autorità procedente, allo scopo di
assolvere la funzione di valutazione
ambientale nella maniera più obiettiva
possibile, senza condizionamenti -anche
indiretti- da parte dell'autorità
procedente: infatti, qualora l'autorità
procedente individuasse l'autorità
competente esclusivamente fra soggetti
collocati al proprio interno, il ruolo di
verifica ambientale perderebbe ogni
efficacia, risolvendosi in un semplice
passaggio burocratico interno, con il
rischio di vanificare la finalità della
disciplina sulla VAS (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. P.I.I. in
variante al P.R.G. - Violazione art. 25 L.R.
n. 12/2005 - Delibera regionale modalità
applicative - Dichiarazione di congruenza -
Applicazione ai piani in itinere - Sussiste.
2. P.I.I. in
variante al P.R.G. - Omissione della
valutazione ambientale strategica (V.A.S.) -
L.R. n. 12/2005 - Non assoggettabile a
verifica di esclusione - Sussiste.
3. P.I.I. in
variante al P.R.G. - Rilevanza regionale -
Art. 92 L.R. n. 12/2005 - Qualificazione
delle strutture - Medie strutture - Non
sussiste.
1. Posto che l'art. 25, c. 7, L.R. n.
12/2005 -secondo cui i Comuni, fino
all'approvazione del P.G.T., non possono dar
corso all'approvazione di P.I.I. in variante
al P.R.G. salvo che abbiano carattere
strategico e di riqualificazione da valutare
sulla base dei criteri adottati con delibera
regionale- si applica anche ai programmi
adottati ma non ancora approvati al momento
dell'entrata in vigore della disposizione,
anche la delibera regionale, che impone
l'adozione di una dichiarazione di
congruenza con i criteri e le modalità di
cui all'art. 25, c. 7, L.R. n. 12/2005
-laddove dispone di applicarsi sia alle
proposte di P.I.I. presentate al Comune dopo
la novella legislativa, sia a quelle
presentate prima ma non oggetto di adozione-
deve essere interpretata in conformità alla
norma primaria, e deve applicarsi anche ai
piani in itinere (adottati ma non ancora
approvati), risultando il P.I.I. impugnato
illegittimo in mancanza dell'elaborato
tecnico richiesto dalla delibera regionale 06.05.2009 n. 8/9413.
2. Posto che l'art. 4 L.R. n. 12/2005
prescrive la valutazione ambientale
strategica (V.A.S.) di piani e programmi
urbanistici salvo quelli che in base alla
delibera regionale attuativa della
disposizione (Delibera C.R. 13.03.2007 n.
VIII/351) siano assoggettabili a mera
verifica di esclusione della V.A.S., si deve
ritenere che il P.I.I. impugnato in quanto
in variante allo strumento urbanistico e
comportante la riqualificazione di un'ampia
area industriale dismessa, il cambio di
destinazione di aree agricole e la
realizzazione di un polo scolastico, non
rientri nel novero dei piani/programmi
assoggettabili a mera verifica di esclusione
della V.A.S., tali essendo solo i piani e
programmi che determinano l'uso di piccole
aree a livello locale o modifiche minori, e
debba essere soggetto a V.A.S..
3. La circostanza che una media struttura di
vendita possa integrare un centro
commerciale o che due medie strutture di
vendita possano integrare un parco
commerciale ai sensi della delibera di
giunta regionale 04.07.2007 n. 8/5054 può
avere effetti ai fini della disciplina
commerciale e del rilascio delle relative
autorizzazioni, ma non costituisce ragione
sufficiente per conferire all'intervento,
rango di rilevanza regionale e radicare, di
conseguenza, per l'approvazione del P.I.I.,
la competenza della Regione ex art. 92 L.R.
n. 12/2005 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 10.05.2010 n.
1452 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Programma integrato di intervento
- Impugnazione - Legittimazione al ricorso -
Operatore economico del settore - Titolarità
di interessi diffusi in materia ambientale -
Non sussiste - Necessità di allegazione di
una lesione effettiva, attuale e concreta -
Sussiste.
In ipotesi di impugnazione di un programma
integrato di intervento, l'asserita qualità
di "operatore del settore" non è sufficiente
a concretizzare la legittimazione a
ricorrere in assenza di elementi concreti
atti a qualificare e differenziare
l'interesse azionato da quello di un quisque
de populo.
L'operatore economico non è infatti titolato
a far valere interessi diffusi in materia
ambientale e, pertanto, non è legittimato a
dedurre la violazione delle normative di
tutela ambientale, e neppure della normativa
edilizia e urbanistica, senza l'allegazione
di una lesione effettiva, attuale e concreta
che il contestato intervento edilizio
arrecherebbe alla sua sfera patrimoniale,
intesa come complesso di beni, interessi ed
aspettative che fanno capo ad un soggetto
giuridico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 10.05.2010 n.
1451 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Progetto di
restauro nucleo storico - Parere negativo -
Art. 21 D.Lgs. n. 42/2004 - Carenza di
potere - Sussiste.
E' illegittimo il parere negativo adottato
dalla Soprintendenza in merito ad un
progetto di restauro e riqualificazione di
un nucleo storico nel caso in cui sia
carente l'individuazione delle disposizioni
specificamente applicate, limitandosi il
provvedimento impugnato a richiamare
genericamente i titoli II e III d.lgs. n.
42/2004 senza specificare quale sia la fonte
normativa del potere esercitato e non
potendosi inquadrare la fattispecie nella
previsione di cui all'art. 21 d.lgs. n.
42/2004 che consente al Soprintendente di
dettare prescrizioni o di variare quelle già
date nel caso in cui i lavori autorizzati
non inizino entro 5 anni dal rilascio
dell'autorizzazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 07.05.2010 n.
1368 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Opere di
urbanizzazione - Esecuzione diretta -
Scomputo - Carattere facoltativo - Sussiste
- Obbligo di accettazione da parte della
P.A. - Non sussiste - Facoltà di mutamento
unilaterale ex post delle condizioni da
parte del promittente - Non sussiste.
2. Opere di
urbanizzazione - Oneri - Misura degli oneri
incassati dalla P.A. superiore al dovuto -
Divieto di legge - Non sussiste -
Impugnabilità - Non sussiste, in quanto si
verte in tema di diritti disponibili.
1. Il ricorso allo scomputo, in conseguenza
dell'esecuzione diretta delle opere di
urbanizzazione, costituisce una facoltà
rimessa alla parte richiedente, che, ove lo
ritenga opportuno, può obbligarsi verso
l'amministrazione ad eseguire opere di
urbanizzazione.
Spetta, comunque,
all'amministrazione, in base
all'obbligazione unilateralmente assunta
dalla parte, accettare o meno la proposta e
subordinarla a condizioni o prescrizioni
specifiche; solo una volta intervenuta tale
approvazione diviene, poi, pienamente
efficace l'atto d'obbligo; con la
conseguenza che la parte promittente non può
mutare unilateralmente, in un momento
successivo, le condizioni sulle quali è
intervenuto il consenso comunale, altrimenti
venendosi ad alterare ingiustificatamente,
mediante l'iniziativa unilaterale del
medesimo obbligato principale, le basi
stesse del consenso.
2.
Il fatto che la P.A. ottenga un'opera di
urbanizzazione di un determinato valore ed
incassi oneri in misura superiore rispetto
al complessivo dovuto non può costituire
oggetto di impugnazione, in quanto si verte
in tema di diritti disponibili e il
legislatore non ha affatto inteso escludere
che la parte promittente possa liberamente
assumere impegni patrimoniali più onerosi
rispetto a quelli astrattamente previsti
dalla legge (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 07.05.2010 n.
1365 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Recupero
sottotetti in deroga allo strumento
urbanistico - Normativa applicabile - L.R.
n. 12/2005 - Lavori non assentibili.
In caso di denunzia di inizio attività
relativa a lavori di recupero sottotetti
trovano applicazione le prescrizione degli
strumenti urbanistici e le norme legislative
e regolamentari eventualmente sopravvenute,
vigenti al momento della scadenza del
termine di trenta giorni dalla sua
presentazione, non applicandosi di
conseguenza nella specie la L.R. n. 15/1996,
che consentiva il recupero dei sottotetti
anche in deroga allo strumento urbanistico,
ma la L.R. n. 12/2005 che, anche nella
versione antecedente alle innovazioni della
L.R. n. 20/2005, non ha previsto la
possibilità di eseguire trasformazioni dei
sottotetti in deroga ad indici e parametri
stabiliti dagli strumenti urbanistici
comunali (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 06.05.2010 n.
1242 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Art. 3, comma
3°, L. n. 241/1990 - Motivazione per relationem - Disponibilità dell'atto -
Necessità di materiale allegazione - Non
sussiste, purché sia l'atto individuato nei
suoi estremi e suscettibile di conoscenza
attraverso il procedimento di accesso agli
atti amministrativi.
In relazione all'obbligo di cui all'art. 3,
comma 3°, della legge 241/1990, il concetto
di disponibilità di cui al citato comma
terzo deve intendersi come disponibilità a
norma di legge, nel senso cioè che l'atto
non deve essere necessariamente
materialmente allegato, purché sia
individuato nei suoi estremi e suscettibile
di conoscenza attraverso il procedimento di
accesso agli atti amministrativi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 05.05.2010 n.
1237 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
1. Espropriazione
per Pubblica Utilità - P.I.I. - Art. 34
D.Lgs. n. 267/2000 - Rito accelerato ex art.
23-bis L. n. 1034/1971 - Deposito ricorso
oltre termine dimidiato - Inammissibilità.
2.
Decreto d'occupazione d'urgenza - Mancata
indicazione ragioni d'urgenza - Art. 22 bis
D.P.R. n. 327/2001 - Legittimità.
1. Essendo oggetto dell'impugnazione gli
atti della procedura espropriativa e
l'approvazione di un P.I.I che, in base
all'art. 34 d.lgs. n. 267/2000 comporta
dichiarazione di pubblica utilità,
indifferibilità ed urgenza delle opere ivi
previste, si applica il c.d. rito accelerato
di cui all'art. 23-bis L. n. 1034/1971,
introdotto dalla L. n. 205/2000, risultando
inammissibile il ricorso principale in
quanto depositato oltre il termine dimidiato.
2.
In presenza dei presupposti procedimentali
prescritti dall'art. 22-bis D.P.R.
08.06.2001 n. 327 per l'emanazione
dell'ordinanza di occupazione d'urgenza, e
cioè il vincolo preordinato all'esproprio e
la dichiarazione di pubblica utilità,
l'Amministrazione può immettersi senz'altro
nel possesso dell'area in esecuzione della
suddetta ordinanza, per realizzare le opere
per le quali vi è stata l'approvazione del
progetto e lo stanziamento delle relative
risorse, essendo sufficiente che l'ordinanza
si limiti a richiamare espressamente la
dichiarazione di pubblica utilità, che
costituisce l'unico presupposto e che
consente di rilevare l'urgenza della
realizzazione delle opere, essendo
irrilevante una specifica dichiarazione di
indifferibilità ed urgenza in presenza di
tali presupposti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 05.05.2010 n.
1236 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Diniego di
sanatoria - Classificazione giuridica delle
strutture - Attività edilizia libera ex art.
33 L.R. n. 12/2005 - Serre - Titolo
abilitativo - Legittimità.
2. Diniego di
sanatoria - Fascia di rispetto cimiteriale -
Art. 38 R.D. n. 1265/1934 - Inedificabilità
ex lege - Motivazione - Legittimità.
3. Ordine di
demolizione - Notifica all'affittuaria
responsabile dell'abuso - Mancata notifica
al proprietario dell'area - Carenza di
interesse - Inammissibilità.
1. Per quanto la L.R. n. 12/2005 non detti
prescrizioni analitiche circa le dimensioni
delle coperture stagionali di cui all'art.
33 della stessa legge, ragioni di ordine
sistematico e letterale, inducono alla
conclusione che debba trattarsi di
dimensioni tutto sommato contenute, essendo
tali opere destinate alla protezione delle
colture e dei piccoli animali -da allevare
all'aria aperta-, quindi con dimensioni
compatibili con la sola funzione di
protezione e non con altre funzioni, quali
l'accesso delle persone o l'esercizio nella
struttura di attività commerciali di
vendita, tali da non avere impatto sul
territorio, impatto che sarebbe
incompatibile con il regime di totale
liberalizzazione dell'attività edilizia di
cui al c. 2 dello stesso art. 33 L.R. n.
12/2005.
Pertanto, in assenza sia del
carattere di semplice copertura che di
quello di stagionalità richiesti dall'art.
33 L.R. n. 12/2005, risulta corretta la
classificazione giuridica assunta dal Comune
che ritiene le strutture di cui è causa
"serre" e come tali, allorché soddisfino
stabilmente le esigenze di esercizio
dell'impresa agricola e siano destinate ad
una indeterminata permanenza, necessitanti
il rilascio di un permesso di costruire.
2. Le disposizioni sulla fascia di rispetto
cimiteriale sono dettate da ragioni di
ordine pubblico, sia di carattere
igienico-sanitario sia di rispetto della
sacralità dei luoghi di sepoltura, per cui
il vincolo cimiteriale costituisce
un'ipotesi di inedificabilità ex lege,
destinata a prevalere su eventuali
disposizioni difformi degli strumenti
urbanistici generali.
Di conseguenza, in
caso di opere abusive collocate in zona
cimiteriale, il diniego di sanatoria non
deve necessariamente, al fine
dell'assolvimento dell'obbligo di
motivazione dell'atto amministrativo,
effettuare una comparazione fra le opere
realizzate ed i valori salvaguardati dal
vincolo essendo sufficiente quest'ultimo.
3. La censura di illegittimità
dell'ingiunzione a demolire, in quanto
rivolta contro l'affittuaria dell'area e non
contro i proprietari, è infondata, se non
addirittura inammissibile, non riuscendosi a
comprendere quale interesse abbia la
ricorrente affittuaria a lamentare la
mancata notifica del provvedimento ad un
soggetto giuridicamente distinto dalla
stessa, che dovrebbe semmai essere fatto
valere dai proprietari e non dall'esponente,
la quale ha in ogni caso realizzato le opere
abusive ed è quindi giuridicamente obbligata
a demolirle, quale "responsabile
del'abuso", indipendentemente da
eventuali irregolarità della notificazione
dell'ingiunzione a demolire (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 05.05.2010 n.
1234 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Variante
urbanistica - Associazioni di categoria -
Legittimazione al ricorso - Va riconosciuta
solo a tutela della totalità dei loro
iscritti.
2. Variante
urbanistica - Esercizio commerciale -
Stabile collegamento con la zona
d'insediamento della nuova struttura -
Legittimazione al ricorso del titolare -
Sussiste.
3. Strumento
urbanistico comunale - Parere provinciale di
compatibilità - Competenza della Giunta
provinciale - Sussiste.
1. Va riconosciuta la legittimazione a
proporre ricorso alle associazioni di
categoria solo a tutela della totalità dei
loro iscritti, e non anche per la
salvaguardia di posizioni proprie di una
parte sola di essi in danno di altri.
2. Integra la legittimazione al ricorso lo
stabile collegamento del commerciante con la
zona d'insediamento della nuova struttura,
la cui realizzazione incide sulla attività,
determinandone un futuro pregiudizio
all'area del commercio.
3.
È di competenza della giunta provinciale
emettere pareri di compatibilità di uno
strumento urbanistico comunale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 04.05.2010 n.
1221 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Art. 25, L.R. n.
12/2005 - Progetti in variante ex art. 5
D.P.R. n. 447/1998 - Approvazione - Può
sempre intervenire, indipendentemente
dall'adeguamento della pianificazione alle
disposizioni in materia commerciale.
2. Art. 5 D.P.R. n.
447/1998 - Termine di trenta giorni entro
cui il Consiglio Comunale deve pronunciarsi
sulla proposta di variante - Carattere
perentorio - Non sussiste.
1. In base all'art. 25 della L.R. n. 12/2005,
i Comuni possano sempre procedere
all'approvazione di progetti in variante di
cui all'art. 5 D.P.R. n. 447/1998.
Il
procedimento di cui al D.P.R. n. 447/1998,
stante la sua natura eccezionale ed acceleratoria, può intervenire
indipendentemente dall'adeguamento della
pianificazione alle disposizioni in materia
commerciale.
2. Il termine di trenta giorni entro cui il
Consiglio Comunale deve pronunciarsi sulla
proposta di variante ex art. 5 D.P.R. n.
447/1998, ha carattere acceleratorio, non
avendo la legge specificato la natura
perentoria dello stesso né avendo previsto
alcuna specifica conseguenza per il suo
eventuale superamento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 04.05.2010 n.
1221 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Permesso
di costruire - Violazione delle distanze fra
edifici D.M. n. 1444/1968 - Opere di
ristrutturazione - Inapplicabilità.
Non sussiste in relazione al permesso di
costruire impugnato la lamentata violazione
della disciplina sulle distanze tra edifici,
prevista sia dal codice civile sia dal D.M.
n. 1444/1968, in quanto tale disciplina
trova applicazione in caso di nuove
costruzioni ma non di ristrutturazione
mediante demolizione di edificio esistente e
costruzione nel rispetto del volume e della
sagoma originari, con mantenimento
dell'originaria distanza (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.05.2010 n.
1220 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di
costruire giudizialmente sospeso - Lavori
parzialmente eseguiti - Nuovo titolo
edilizio - Violazione procedura di cui
all'art. 36 D.P.R. n. 380/2001 - Art.
21-octies L. n. 241/1990 - Non sussiste.
2. Permesso di
costruire giudizialmente sospeso -
Prosecuzione lavori - Istanza risarcimento
del danno - Condotta di soggetti privati -
Incompetenza.
1. In un'ottica di economicità ed efficienza
dell'azione amministrativa ed in
applicazione della fattispecie dell'art.
21-octies L. n. 241/1990, risulta legittima
la scelta dell'Amministrazione di rilasciare
un nuovo permesso di costruire, pur in
presenza di lavori già effettuati, vista la
loro accertata conformità urbanistica (in
quanto le opere già eseguite in attuazione
del precedente permesso di costruire
giudizialmente sospeso sarebbero in ogni
modo suscettibili di sanatoria) in quanto,
una soluzione differente, quale il diniego
del nuovo permesso e la richiesta di
accertamento di conformità per i lavori
eseguiti avrebbe portato al medesimo
risultato di quello attuale, attraverso un
primo provvedimento di sanatoria ed il
successivo rilascio del permesso di
costruire dal contenuto conforme a quello
impugnato.
2.
Un'istanza risarcitoria per danni che paiono
attenere non al comportamento illegittimo
dell'Amministrazione comunale, i cui atti
sono stati sospesi dal giudice, quanto alla
condotta di soggetti privati che avrebbero
proseguito nei lavori edilizi nonostante la
sospensione dell'efficacia del titolo a
costruire, è sottratta totalmente alla
giurisdizione del tribunale amministrativo
che può conoscere esclusivamente di
controversie in cui almeno una delle parti
sia un'amministrazione pubblica o un
soggetto alla stessa equiparato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.05.2010 n.
1220 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Provvedimento
amministrativo - Memorie ex art. 10, lett.
b), L. n. 241/1990 - Obbligo di valutazione
- Sussiste - Omessa valutazione - Difetto di
istruttoria e motivazione - Sussiste.
2. Provvedimento
amministrativo - Formazione - Partecipazione
del privato - Art. 21-octies, L. n. 241/1990
- Applicabilità - Non sussiste ove l'apporto
partecipativo risulti determinante per
l'assunzione della scelta amministrativa.
1. Incorre in un evidente vizio di difetto
di istruttoria e di motivazione un
provvedimento che ometta di prendere in
considerazione le memorie presentate ai
sensi dell'art. 10, lett. b), della legge
241/1990, finendo così per trascurare
totalmente la pregressa situazione venutasi
a creare.
2. L'art. 21-octies della legge 241/1990 non
può trovare applicazione in tutte le ipotesi
in cui, per la complessità delle questioni,
l'apporto partecipativo del privato avrebbe
potuto indurre il Comune a scelte differenti
da quella in concreto operata, con ciò
dovendosi escludere il carattere non
vincolato del provvedimento richiesto dalla
norma (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.05.2010 n.
1219 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abuso edilizio - Sanatoria -
Mutamenti di destinazione d'uso senza opere
- Art. 32, comma 27, D.L. n. 269/2001 -
Vincolo a carattere relativo - Art. 32 L. n.
47/1985 - Mutamenti di destinazione d'uso
meramente funzionali - Possibilità di
sanatoria - Sussiste, previo riconoscimento
di compatibilità con il vincolo da parte
dall'Autorità competente.
Il rinvio operato dall'art. 32, comma 27,
D.L. n. 269/2001 all'art. 32 L. n. 47/1985
(che disciplina le ipotesi di abuso in
presenza di vincolo a carattere relativo,
superabili cioè sulla base di un giudizio di
compatibilità con il vincolo) e la
preclusione della sanatoria per le opere
abusive realizzate su immobili soggetti a
vincolo monumentale inducono a ritenere che
gli interventi abusivi realizzati senza
opere (come i mutamenti di destinazione
d'uso meramente funzionali) sono
suscettibili di sanatoria quante volte siano
dalla competente autorità riconosciuti
compatibili con il vincolo gravante
sull'immobile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 30.04.2010 n.
1213 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono edilizio giudizialmente
annullato - Giudizio di ottemperanza -
Variante P.R.G. - Ulteriori provvedimenti -
Annullamento - Insindacabilità - Rigetto.
La pretesa dei ricorrenti di dichiarare
nulli i titoli abilitativi, rilasciati in un
momento successivo al condono edilizio già
giudizialmente annullato, che, a torto o a
ragione, assumono a proprio presupposto un
diverso quadro circostanziato e normativo,
segnatamente l'approvazione di una variante
al P.R.G. anteriore al provvedimento di
condono ed alla sentenza che ha annullato
tale provvedimento, non può essere
ricondotta nell'ambito del giudizio di
ottemperanza avendo detta sentenza esaurito
i propri effetti con l'annullamento
dell'atto all'epoca impugnato, senza
influenzare l'evolversi della vicenda
edilizia in un contesto, in fatto e in
diritto, diverso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 29.04.2010 n.
1185 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Artt. 32, D.L. n. 269/2003 e 32,
L. n. 47/1985 - Immobili soggetti a vincolo
monumentale - Intervento abusivo senza opere
- Sanabilità - Sussiste, se riconosciuto
compatibile con il vincolo gravante
sull'immobile dalla competente autorità.
Il rinvio operato dall'art. 32, comma 27,
del D.L. n. 269/2003 all'art. 32 della legge
n. 47/1985 (che disciplina le ipotesi di
abuso in presenza di vincoli a carattere
relativo, superabili cioè sulla base di un
giudizio di compatibilità col vincolo) e la
preclusione della sanatoria per le opere
abusive realizzate su immobili soggetti a
vincolo monumentale inducono a ritenere che
gli interventi abusivi realizzati senza
opere (come i mutamenti di destinazione
d'uso meramente funzionali) sono
suscettibili di sanatoria quante volte siano
dalla competente autorità riconosciuti
compatibili con il vincolo gravante
sull'immobile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 29.04.2010 n.
1184 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Art. 36, D.P.R.
n. 380/2001 - Istanza di accertamento di
conformità - Ordine di demolizione
precedentemente adottato - Efficacia - Non
sussiste - Obbligo di esame dell'istanza di
sanatoria - Sussiste - Rigetto della domanda
di sanatoria - Obbligo di emettere un nuovo
ordine di demolizione - Sussiste -
Inefficacia dell'originaria ingiunzione a
demolire - Sussiste.
2. Opera abusiva -
Doverosità della demolizione per la P.A. -
Sussiste - Potere pubblico di vigilanza
sull'attività edilizia - Prescrizione o
decadenza - Non sussistono.
1. La presentazione di istanza di
accertamento di conformità (c.d. sanatoria),
ai sensi dell'art. 36 del DPR 380/2001,
priva di ogni efficacia l'ordine di
demolizione precedentemente adottato
dall'Amministrazione, in quanto quest'ultima
è obbligata ad esaminare l'istanza di
sanatoria, adottando di conseguenza un nuovo
provvedimento.
In caso di rigetto della
domanda di sanatoria, la stessa
Amministrazione dovrà poi porre in essere un
nuovo ordine di demolizione, contro il quale
potrà essere proposto un ulteriore gravame,
avendo perso infatti ogni efficacia
l'originaria ingiunzione a demolire.
2.
La doverosità, per l'Amministrazione, della
demolizione di un'opera abusiva non viene
meno per effetto del decorso del tempo,
visto che il potere pubblico di vigilanza
sull'attività edilizia non è soggetto né a
prescrizione né a decadenza (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 29.04.2010 n.
1183 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordinanza di sgombero - Termine
adeguato - Immobile acquisito al patrimonio
comunale - Proroga per assegnazione casa
popolare - Non sussiste.
L'assegnazione di un termine ristretto per
lo sgombero non costituisce di per sé
ragione di illegittimità dell'ordinanza
considerando la durata dell'occupazione e la
posizione del ricorrente che, in seguito
all'acquisizione dell'immobile al patrimonio
comunale, è quella di occupante senza
titolo.
Il ricorrente peraltro, pur potendo chiedere
una proroga del termine per meritevoli
esigenze, non ha titolo a pretendere che lo
sgombero e la demolizione delle opere
abusive (risultato di reiterate violazioni
edilizie a lui imputabili) siano subordinati
all'assegnazione di un alloggio di edilizia
residenziale pubblica, e cioè al
soddisfacimento di una pretesa che deve
essere avanzata e perseguita nell'osservanza
della normativa di settore (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 29.04.2010 n.
1182 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di sgombero - Mancanza di
autorizzazione ricovero animali -
Concessione edilizia - Preesistenza del
locale - Irrilevanza.
L'autorizzazione all'attivazione di ricoveri
per animali è atto distinto ed ulteriore
rispetto alla concessione che ne ha
autorizzato l'edificazione, o la
ristrutturazione, ai fini edilizi: il primo
ha la finalità di attestare la conformità
dell'impianto alle norme dettate in materia
di igiene e salute pubblica il secondo alle
norme urbanistiche ed edilizie.
In mancanza dell'autorizzazione prevista dal
regolamento locale di igiene, non rilevando
la circostanza che il locale (una stalla)
fosse preesistente ai lavori di
ristrutturazione, è legittimo l'ordine di
sgombero di animali (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.04.2010 n.
1170 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di
costruire in sanatoria - Titolo per
richiederlo - Accertamento da parte
dell'Amministrazione - Ulteriori
accertamenti - Non competono.
2. Permesso di
costruire in sanatoria - Contenuto ed
effetti - Violazione norme edilizie - Art.
872 c.c. - Salvezza dei diritti dei terzi -
Tutela nelle sedi opportune.
1. Il Comune ha l'obbligo, nel corso
dell'istruttoria sul rilascio del permesso
di costruire in sanatoria, di verificare che
esista un titolo per intervenire
sull'immobile per il quale è richiesto il
permesso edilizio e che quindi, ex art. 11
D.P.R. n. 380/2001, questo sia rilasciato al
proprietario dell'area o a chi abbia titolo
per richiederlo.
L'Amministrazione non è
tuttavia tenuta a compiere complesse
ricognizioni giuridico-documentali o
accertamenti in ordine a eventuali pretese
che potrebbero essere avanzate da soggetti
estranei al rapporto concessorio, e,
segnatamente, ad accertare l'esistenza di
difformità tra la situazione di fatto e
quanto risultante dalla mappa catastale, per
verificare gli esatti confini tra i mappali
di proprietà della ricorrente e quelli del
richiedente il titolo edilizio.
2. Il permesso di costruire è un atto
amministrativo che rende legittima
l'attività edilizia nell'ordinamento
pubblicistico e regola il rapporto che in
relazione a quell'attività si pone in essere
tra l'autorità amministrativa che lo emette
ed il soggetto a favore del quale è emesso,
ma non attribuisce a favore di tale soggetto
diritti soggettivi conseguenti all'attività
stessa, la cui titolarità deve essere
verificata alla stregua della disciplina
comune, con le consentite integrazioni della
normativa speciale di cui all'art. 872 c.c.
ed alla norme da esso richiamate.
Conseguentemente il permesso di costruire in
sanatoria impugnato non pregiudica i diritti
della ricorrente (nella specie il diritto di
proprietà su parte dell'area su cui
insistono le opere assentite) per la tutela
dei quali dovrà agire nelle opportune sedi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.04.2010 n.
1168 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
1. Retrocessione totale del bene
espropriato - Domanda di retrocessione-
Giurisdizione del G.A. - Non sussiste -
Giurisdizione del G.O. - Sussiste.
2. Espropriazione
per p.u. - Art. 53, d.P.R. n. 327/2001 -
Cessione volontaria - Integrazione o
riliquidazione dell'indennità -
Giurisdizione del G.O. - Sussiste.
1. Nelle ipotesi di retrocessione totale del
bene espropriato, l'Amministrazione -la
quale è autorizzata a sottrarre il bene al
legittimo proprietario solo ed
esclusivamente nella misura in cui
effettivamente il bene stesso sia utilizzato
per il conseguimento dello specifico
interesse pubblico fissato con la
dichiarazione di pubblica utilità- pone in
essere un comportamento che non è
riconducibile all'esercizio di un pubblico
potere proprio perché il bene non è stato
utilizzato per la realizzazione dell'opera
pubblica prevista nella dichiarazione di
pubblica utilità, o è stato utilizzato per
realizzare un'opera totalmente differente da
quella programmata.
La giurisdizione sulla
domanda di retrocessione totale appartiene,
dunque, al giudice ordinario.
2. Alla luce dell'art. 53, d.P.R. n.
327/2001, in caso di cessione volontaria
sono devolute alla giurisdizione del g.o.,
vertendosi in materia di diritti soggettivi,
le controversie promosse dal cedente non
soltanto per il pagamento dell'indennità ma
anche per l'integrazione o la sua totale
riliquidazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.04.2010 n.
1167 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordinanza di demolizione
- Avviso di avvio del procedimento -
Contributo partecipativo degli interessati -
Mancanza della comunicazione ex art. 7 L. n.
241/90 - Illegittimità.
Sebbene, di regola, l'adozione di un
provvedimento demolitorio non deve essere
necessariamente preceduta dalla
comunicazione di avviso ex art. 7 L. n.
241/1990, attesa la natura vincolata del
potere sanzionatorio degli abusi edilizi,
nel caso in cui il contributo partecipativo
delle ricorrenti avrebbe potuto determinare
un esito diverso, e ciò in considerazione
del coinvolgimento nelle operazioni di
verifica solamente di una delle parte
interessate, delle incertezze nella
individuazione della provenienza dell'opera
e del suo reale posizionamento, risulta
illegittimo l'ordine di demolizione adottato
in assenza dell'avviso di avvio del
procedimento (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.04.2010 n.
1166 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dichiarazione inizio attività
- Termine di impugnazione - Azione di
accertamento - Impugnazione diretta -
Oscillazione giurisprudenziale - Errore
scusabile - Rimessione in termini -
Sussiste.
In ragione dell'oscillazione
giurisprudenziale in merito alle modalità di
impugnazione di una D.I.A., ovvero nel
considerarla o un atto privato in relazione
al quale al terzo è riconosciuta solo
un'azione di accertamento dell'insussistenza
dei presupposti per la presentazione o, al
contrario, un provvedimento amministrativo
tacito passibile di impugnazione diretta per
l'annullamento da parte del terzo,
sussistono i presupposti per il
riconoscimento dell'errore scusabile in capo
ai ricorrenti in merito al termine per la
presentazione del ricorso (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.04.2010 n.
1150 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di
costruire - Termine di impugnazione - Art.
20 D.P.R. n. 380/2001 - Art. 103, c. 1,
lett. a), L.R. Lombardia n. 12/2005 -
Diritto di difesa ex art. 24 Cost. -
Decorrenza dalla percezione della lesività
dell'opera.
2. Permesso di
costruire - Violazione art. 41-quinquies L.
n. 1150/1942 - Piano attuativo - Sufficiente
urbanizzazione - Derogabilità.
1. L'art. 20 D.P.R. n. 380/2001, che farebbe
decorrere il termine per impugnare un
permesso di costruire dalla mera indicazione
degli estremi del titolo edilizio sul
cartello di cantiere, senza che i soggetti
terzi abbiano piena consapevolezza della
portata lesiva delle opere, è insuscettibile
di applicazione in Lombardia, vista
l'esplicita previsione in tal senso
dell'art. 103, c. 1, lett. a), L.R. n.
12/2005, ed in quanto la norma non appare
comunque rispettosa del diritto di difesa,
come garantito sia dalla Costituzione (art.
24), sia dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo (artt. 6
e 13). Conseguentemente il termine di
impugnazione del permesso di costruire
decorre dal momento in cui è possibile
percepire la lesività dell'opera realizzata,
il che si verifica quando la costruzione già
rivela in modo inequivoco le essenziali
caratteristiche dell'opera e l'eventuale non
conformità della stessa al titolo o alla
disciplina urbanistica.
2. Il permesso di costruire impugnato non
risulta illegittimo per violazione dell'art.
41-quinquies della L. n. 1150/1942, che, al
comma 6 (tuttora in vigore), vieta di
realizzare edifici con altezza superiore a
25 metri, se non previa approvazione di un
piano particolareggiato o di lottizzazione
convenzionata, in quanto, laddove gli
interventi si collochino in una zona
sufficientemente ed adeguatamente
urbanizzata, che rende superflua l'adozione
preventiva di un piano attuativo, la norma
sopracitata è derogabile (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.04.2010 n.
1150 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione edilizia -
Impugnazione - Termine - Decorre dal momento
in cui è percepibile la lesività dell'opera
realizzata e non dalla mera esposizione del
cartello di cantiere.
Il termine di impugnazione della
concessione di costruzione decorre dal
momento in cui è percepibile la lesività
dell'opera realizzata, il che si verifica
quando la costruzione già rivela in modo
inequivoco le essenziali caratteristiche
dell'opera e l'eventuale non conformità
della stessa al titolo o alla disciplina
urbanistica e non dalla mera esposizione del
cartello di cantiere indicante gli estremi
del titolo edilizio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 26.04.2010 n.
1149 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Piano di governo
del territorio - Standard - Facoltà di
monetizzazione - Preclusione per gli Enti
locali in attesa dell'approvazione del Piano
dei servizi - Non sussiste.
La facoltà di monetizzazione degli
standard, già prevista dalla legislazione
previgente alla LR 12/2005 (art. 1, comma 5,
legge regionale 1/2001), non può certo
ritenersi preclusa per gli enti locali, in
attesa dell'approvazione del piano dei
servizi; in tal senso, il comma 5-bis
dell'art. 51 della legge regionale 12/2005
ha previsto che "Fino all'approvazione degli
atti di PGT ai sensi dell'articolo 26, commi
2 e 3, le disposizioni del presente
articolo, nonché degli articoli 52 e 53, si
applicano in riferimento agli strumenti
urbanistici comunali vigenti" e a tale
disposizione deve attribuirsi una valenza
interpretativa, nel senso cioè di consentire
in ogni caso, nelle more dell'introduzione
del PGT, la monetizzazione degli standard
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 26.04.2010 n.
1149 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Ordinanza di demolizione -
Permesso di costruire in sanatoria -
Contraddittorietà - Illegittimità.
2. Ordinanza di
demolizione - Individuazione dell'abuso -
Genericità - Carenza di motivazione -
Illegittimità.
1. L'ordinanza impugnata che ordina la
demolizione di opere che sono già state
sanate, in quanto ricomprese in una delle
tavole allegata alla domanda di permesso di
costruire in sanatoria, è illegittima per
contraddittorietà con il precedente permesso
in sanatoria, ed in quanto adottata senza il
previo annullamento parziale del permesso in
sanatoria già rilasciato.
2. La natura sanzionatoria dell'atto recante
la demolizione e la riduzione in pristino
postula la necessità che l'Amministrazione
competente abbia accertato compiutamente in
tutti i suoi elementi l'illecito edilizio
compiuto dal soggetto destinatario del
provvedimento, mentre il generico
riferimento alla non sanabilità delle opere,
in assenza di ulteriori specificazioni in
ordine all'entità ed alla esatta
individuazione delle stesse, rende
insufficientemente motivata la prescrizione demolitoria impugnata (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.04.2010 n.
1148 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Usufruttuario - Titolarità di
situazione giuridica meritevole di tutela -
Sussiste - Impugnabilità di provvedimenti
amministrativi condizionanti o limitanti il
godimento del bene - Sussiste.
2. Titolo edilizio
- Termine per impugnazione - Non decorre
dalla pubblicazione all'albo pretorio, ma
dalla piena conoscenza del titolo nei suoi
elementi essenziali.
1. Non può disconoscersi, nella posizione
autonoma dell'usufruttuario, una situazione
giuridica meritevole di tutela (sia pur
diversa da quella del proprietario) e
differenziata, tale da integrare una
relazione qualificata con il bene, che lo
legittima ad insorgere avverso provvedimenti
amministrativi che ne condizionano o
limitano il godimento.
2. Il termine per l'impugnazione del titolo
edilizio da parte del proprietario
confinante non decorre dalla pubblicazione
all'albo pretorio, ma dalla piena conoscenza
del titolo, che si verifica con la
consapevolezza del contenuto specifico di
essa o del progetto edilizio ovvero quando
la costruzione realizzata rivela in modo
certo ed univoco le essenziali
caratteristiche dell'opera e la eventuale
non conformità della stessa alla disciplina
urbanistica, con la precisazione che, con la
locuzione "piena conoscenza" del
provvedimento non si intende che il
destinatario deve aver conosciuto l'atto in
tutti i suoi elementi, essendo sufficiente
che egli sia stato edotto di quelli
essenziali, quali l'autorità amministrativa
che l'ha emanato, la data, il contenuto
dispositivo e, soprattutto, il suo effetto
lesivo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 26.04.2010 n.
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URBANISTICA:
1. Art. 11, L.R. n. 12/2005 -
Perequazione urbanistica - Principio della
necessaria partecipazione di tutti i
proprietari alla rendita edilizia - Sussiste
- Obbligo di prevedere per tutte le aree del
territorio comunale un identico indice di
edificabilità territoriale, inferiore a
quello minimo fondiario - Sussiste.
2. Impugnazione di
strumento urbanistico recante nuove
destinazioni - Affidamento generico del
proprietario di un suolo edificabile alla reformatio in melius - Obbligo di
motivazione specifica - Non sussiste,
neppure in caso di preesistente possibilità
edificatoria.
3. Impugnazione di
strumento urbanistico recante nuove
destinazioni - Affidamento generico del
proprietario di un suolo edificabile alla reformatio in melius - Diniego di
concessione edilizia espresso sulla base di
una variante di piano annullata -
Risarcibilità - Non sussiste - Danno da
ritardo nell'adozione e approvazione di uno
strumento urbanistico - Non sussiste.
1. L'istituto della perequazione di cui
all'art. 11, L.R. n. 12/2005, richiede la
previsione di un indice territoriale unico e
di un indice fondiario minimo, il primo
inferiore al secondo, di modo che i
proprietari di aree edificabili (aree di
trasformazione, ovvero aree "di
atterraggio") siano tenuti ad acquisire la
volumetria espressa dalle aree destinate a
standard (aree "di decollo").
In altri
termini, nel sistema perequativo legale la
partecipazione di tutti i proprietari al
mercato edilizio è necessaria e, nell'ambito
della perequazione generalizzata ex art. 11,
comma 2, L.R. 12/2005, il principio della
necessaria partecipazione di tutti i
proprietari alla rendita edilizia consegue
all'obbligo di prevedere per tutte le aree
del territorio comunale un "identico indice
di edificabilità territoriale, inferiore a
quello minimo fondiario".
2. L'affidamento generico alla
reformatio in
melius o alla non reformatio in pejus delle
previsioni di uno strumento urbanistico non
richiede una motivazione specifica delle
nuove destinazioni urbanistiche oltre a
quella che può evincersi dai criteri di
ordine tecnico-urbanistico seguiti per la
redazione dello strumento, senza necessità
di apposita motivazione riguardo alle
destinazioni delle singole aree, neppure in
caso di preesistente possibilità
edificatoria, perché il mutamento di
destinazione trova esauriente
giustificazione, ai sensi dell'art. 10,
comma 7, legge 17.08.1942, n. 1150, nelle
sopravvenute ragioni che determinino la
totale o parziale inattuabilità del piano o
la convenienza di migliorarlo.
3. Laddove la posizione del proprietario di
un suolo edificabile debba qualificarsi in
termini di mera aspettativa, non sussistono
i presupposti per l'instaurazione di un
giudizio risarcitorio a seguito del diniego
di concessione edilizia espresso sulla base
di una variante di piano annullata, né è
configurabile un danno da ritardo, anche
solo in termini di chance, nell'adozione e
approvazione di uno strumento urbanistico
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 23.04.2010 n.
1145 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
1. Impugnazione decreto di
esproprio - Art. 23-bis L. n. 1034/1971 -
Rito abbreviato - Termine per ricorrere -
Termine per deposito ricorso - Dimezzamento
- Inammissibilità.
2. Precedente contenzioso civile - Art. 126 disp. att. c.p.c. - C.T.U. - Utilizzabilità.
3.
Occupazione illegittima - Illecito aquiliano
- Individuazione responsabile - Società
mandataria della procedura ablativa -
Risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. -
Sussiste.
1. Nell'impugnazione di un decreto di
esproprio in cui i termini processuali sono
ridotti alla metà, salvo quello per la
proposizione del ricorso ex art. 23-bis, c.
2, L. n. 1034/1971 (introdotto dalla L. n.
205/2000), si deve ritenere che il
dimezzamento non riguarda il termine di
60 giorni per la notificazione
dell'atto introduttivo del giudizio, ma
quello di 30 giorni per il suo
successivo deposito. Sicché, essendo
quest'ultimo pari a 15 giorni, deve
reputarsi inammissibile, per tardività del
deposito, il ricorso notificato.
2. I mezzi di prova o le consulenze tecniche
d'ufficio svolte, in una causa tra le stesse
parti, davanti al giudice ordinario,
dichiaratosi incompetente, ed acquisite agli
atti del contenzioso amministrativo in
applicazione analogica dell'art. 126
disposizioni attuative c.p.c., sono
utilizzabili nel processo amministrativo,
salvo il principio della loro libera
valutazione da parte del magistrato
amministrativo.
3. In merito all'occupazione illegittima di
aree prima dell'adozione dei provvedimenti
di esproprio e all'occupazione illegittima
di altro mappale, mai ritualmente
espropriato, è responsabile, non la società
a cui è stato conferito il mandato per le
fasi della procedura ablatoria, ma la
Pubblica Amministrazione espropriante a cui
devono ascriversi le condotte -anche
omissive- illecite.
Sussistendo tutte le
condizioni di cui all'art. 2043 c.c., ovvero
il pregiudizio patrimoniale cagionato dalla
lunga occupazione illegittima, il nesso
causale tra il danno e la condotta
dell'Amministrazione e la colpa di
quest'ultima, desumibile dalla palese ed
inescusabile violazione delle norme che, nel
caso di specie, presiedevano all'esercizio
dell'azione amministrativa, attesa la
tardività dell'adozione dei decreti di
esproprio e l'occupazione senza titolo di
altro mappale, l'Amministrazione è tenuta al
risarcimento del danno ingiusto da liquidare
con le modalità di cui all'art. 35 D.Lgs. n.
80/1998 dalla cessazione della occupazione
legittima sino al momento dell'adozione dei
decreti di esproprio (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.04.2010 n.
1143 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Regolamento locale di igiene -
Delibera consiliare recante deroga - Lesività - Non sussiste prima del rilascio
del titolo edilizio in deroga - Impugnazione
- È ammissibile solo al momento del rilascio
del titolo edilizio.
2. Piano di
lottizzazione - Permesso di costruire
rilasciato al proprietario confinante -
Interesse all'azione - Sussiste in capo al
proprietario di aree incluse nel P.L. se
lamenta lesione dei valori urbanistici
garantiti dalle previsioni urbanistiche
della zona.
1. La delibera consiliare recante deroga ad
un regolamento locale di igiene, che è atto
presupposto del permesso di costruire in
deroga, non può ritenersi lesiva fino
all'effettivo rilascio del titolo edilizio e
va impugnata congiuntamente a quest'ultimo.
2. Il proprietario di aree incluse in un
P.L. vanta un interesse personale, diretto e
attuale all'annullamento di un permesso di
costruire rilasciato al proprietario
confinante con le aree incluse nel P.L.,
anche se appartenenti ad altri lottizzanti,
quando lamenta una lesione dei valori
urbanistici, intesi in senso ampio,
garantiti dalle previsioni urbanistiche
relative alla zona (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.04.2010 n.
1104 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. - Recupero abitativo
sottotetto - Successione di norme - Norme
applicabili - Scadenza del termine di
presentazione.
2. D.I.A. -
Recupero abitativo sottotetto - Diffida
dall'iniziare le opere - Conformarsi a legge
sopravvenuta - L.R. Lombardia n. 12/2005 -
Difetto di motivazione - Sussiste.
1. In caso di denuncia di inizio attività
trovano applicazione le prescrizioni degli
strumenti urbanistici e le norme legislative
e regolamentari eventualmente sopravvenute
vigenti al momento della scadenza del
termine di 30 giorni dalla sua
presentazione, in quanto l'art. 39, c. 5-bis, e l'art. 40, c. 4-bis, D.P.R. n.
380/2001, dispongono, nel disciplinare la
potestà regionale di annullamento del
permesso di costruire e, rispettivamente, i
poteri sostitutivi della regione in tema di
sospensione o demolizione di interventi
abusivi, di sanzionare gli interventi
edilizi realizzati su D.I.A. in contrasto
con la normativa urbanistico-edilizia
vigente al momento della scadenza del
termine di 30 giorni dalla presentazione
della denuncia di inizio attività.
2. Il generico rilievo, mosso con la diffida
dall'iniziare le opere, secondo cui la
D.I.A. deve conformarsi alla sopravvenuta
legge regionale n. 12 del 2005 non consente
in alcun modo di comprendere sotto quale
profilo il progetto presentato con la D.I.A.
si ponga, ad avviso del Comune, in contrasto
con la normativa sopravvenuta, risultando
conseguentemente la diffida impugnata
illegittima per difetto di motivazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 20.04.2010 n.
1103 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione edilizia -
Annullamento in autotutela - Istanza di
variante funzionale alla rimozione del vizio
- Necessità di esame preventivo - Sussiste.
L'annullamento di una concessione edilizia,
per un vizio che il titolare intenda
rimuovere con una variante progettuale,
richiede quanto meno, in base ai principi di
proporzionalità e di economicità dei mezzi,
l'esame preventivo dell'istanza di variante,
che va definita prima di ricorrere
all'esercizio dell'autotutela (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 20.04.2010 n.
1102 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia Inizio Attività -
Preavviso di diniego - Art. 10-bis L. n.
241/1990 - Clausola di salvezza -
Inapplicabile.
La presentazione di una D.I.A. non dà avvio
ad un procedimento ad istanza di parte
pertanto l'onere del preavviso di diniego
dell'art. 10-bis L. n. 241/1990 è
inapplicabile e, inoltre, incompatibile con
il termine ristretto entro il quale
l'Amministrazione deve provvedere, non
essendo fra l'altro previste parentesi
procedimentali produttive di sospensione del
termine stesso (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 19.04.2010 n.
1100 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Provvedimento inibitorio
dei lavori di cui alla D.I.A. - Giudizio di
impatto paesistico negativo - Riformulazione
del progetto - Legittimità.
L'Amministrazione può, in relazione a
progetti che superino la soglia di rilevanza
ambientale (e non anche quella di
tolleranza), per le ipotesi in cui
l'intervento progettato comprometta valori o
risorse paesistici non riproducibili,
esprimere una valutazione di impatto
paesistico negativo prospettando una
riprogettazione o adeguate forme di
mitigazione (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 19.04.2010 n.
1100 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Scelte effettuate dalla P.A.
in sede di PRG e sue varianti generali -
Ampia discrezionalità - Sussiste -
Sindacabilità da parte del giudice
amministrativo - Solo nei limiti della
manifesta illogicità ed evidente
travisamento dei fatti.
2. Scelte
effettuate dalla P.A. in sede di PRG e sue
varianti generali - Apposita motivazione -
Necessità - Non sussiste.
3. Scelte
effettuate dalla P.A. in sede di PRG e sue
varianti generali - Aspettative o
affidamenti in favore di soggetti le cui
posizioni appaiano meritevoli di specifiche
considerazioni - Presupposti - Numerus
clausus.
1. Le scelte compiute dalla P.A. in sede di
formazione del piano regolatore o di
variante dello stesso sono espressione
dell'ampia discrezionalità tecnica di cui
essa dispone in materia: pertanto, la sindacabilità di tali scelte è ammissibile
solo nei ristretti limiti della manifesta
illogicità, arbitrarietà ed evidente
travisamento dei fatti (Cons. di Stato,
sent. n. 6686/2007; TAR Milano, sent. n.
3653/2009).
2. Le scelte discrezionali della P.A.
riguardo alla destinazione di singole aree,
di regola, non necessitano di apposita
motivazione, oltre a quella che si può
evincere dai criteri generali, di ordine
tecnico-discrezionale, seguiti
nell'impostazione del piano stesso mediante
l'espresso riferimento alla relazione di
accompagnamento al piano regolatore generale
(cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., sent. n.
24/1999; Cons. Stato, sent. n. 173/2002;
Sez. IV, n. 6917/2002; Sez. IV, n. 2899/2002).
3. Le evenienze ritenute idonee a creare
aspettative o affidamenti in favore di
soggetti le cui posizioni appaiano
meritevoli di specifiche considerazioni sono
sussumibili sotto le tre seguenti
fattispecie:
a) superamento degli standards
minimi di cui al DM 02.04.1968, con
l'avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni
urbanistiche complessive di
sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di
determinate aree;
b) nella lesione
dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione,
accordi di diritto privato intercorsi fra il
Comune e i proprietari delle aree,
aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di concessione
edilizia o di silenzio rifiuto su domanda di
concessione edilizia etc. (cfr. Cons. di
Stato, Ad. Plen., sent. n. 24/1999);
c)
nella modificazione in zona agricola della
destinazione di un'area limitata, interclusa
da fondi edificati in modo non abusivo (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 594/1999) (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 15.04.2010 n.
1093 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia
di inizio attività - Inibizione
dell'esecuzione - Annullamento del
provvedimento inibitorio - Conseguenze -
Perfezionamento titolo - Non sussiste -
Decorrenza nuovo termine di verifica per la
P.A. - Sussiste.
L'annullamento giurisdizionale di
decisione negativa in sede di controllo (nel
caso di specie, provvedimenti inibitori
dell'attività costruttiva oggetto di DIA)
comporta necessariamente il riesercizio del
relativo potere da parte della P.A.
controllante, salvo quando l'annullamento si
sia basato sulla tardività della decisione
di controllo, entro un nuovo termine
decorrente dalla comunicazione in via
amministrativa della sentenza (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 194/1994) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.04.2010 n.
1092 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Annullamento
giurisdizionale di decisione negativa in
sede di controllo - Mutamenti della
disciplina urbanistica intervenuti sino alla
notifica della sentenza di annullamento -
Obbligo per la P.A. di considerare la nuova
disciplina in sede di nuovo controllo -
Sussiste.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno ex art. 2043 c.c. - Requisito
della colpevolezza - Errore scusabile -
Presupposti - Oggettive difficoltà di
interpretazione della norma applicabile e
complessità nella verifica della situazione
di fatto esistente.
3. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno ex art. 2043 c.c. - Principio
dell'onere della prova - Applicabilità -
Onere del principio di prova -
Inapplicabilità - Conseguenze - C.T.U. per
accertare l'an del danno dedotto -
Inammissibilità.
4. Annullamento di
provvedimento illegittimo che abbia
comportato la perdita della originaria
destinazione residenziale dell'area -
Risarcimento danno - Spetta - Facoltà di
chiedere alla P.A. di valutare una eventuale
variante alla nuova disciplina urbanistica -
Sussiste.
1. In caso di annullamento giurisdizionale
di decisione negativa in sede di controllo,
il potere che la P.A. è chiamata a
riesercitare deve tenere in considerazione
anche i mutamenti della disciplina
urbanistica intervenuti: pertanto, in caso
di annullamento di un diniego di concessione
edilizia, la nuova valutazione della domanda
deve essere svolta con riferimento alla
disciplina urbanistica vigente al momento in
cui viene notificata al Comune interessato
la sentenza di annullamento del diniego,
venendo così in rilievo anche la nuova
disciplina intervenuta nelle more del
giudizio (cfr. Cons. di Stato, Ad. Plen.,
sent. n. 1/1986).
2. In materia di risarcimento del danno e di
individuazione della colpa in capo alla
P.A., l'errore da essa commesso in sede di
provvedimento amministrativo illegittimo può
ritenersi scusabile solo qualora
l'illegittimità commessa con la violazione
della normativa possa ritenersi determinata
da oggettive difficoltà di interpretazione
della norma applicabile alla fattispecie
concreta, chiara nella sua formulazione, ovvero da complessità nella verifica della
situazione di fatto esistente.
3. In materia di risarcimento del danno,
poiché si verte in tema di diritti
soggettivi, trova piena applicazione il
principio dell'onere della prova e non
invece l'onere del principio di prova che,
in genere, si applica in materia di
interessi legittimi; pertanto, il giudice
può intervenire in via suppletiva, con la
liquidazione equitativa del danno, solo
qualora non possa essere fornita la prova
precisa del quantum di danno, ma resta fermo
che l'an del danno va provato
dall'interessato; né può invocarsi la
consulenza tecnica d'ufficio, dal momento
che questa non è un mezzo di prova, bensì
strumento di valutazione delle prove già
fornite dalle parti. Dunque, il giudice non
può disporre una c.t.u., pena la violazione
del principio di parità delle parti, per
accertare l'an del danno dedotto (Cons.
Stato, sent. n. 1716/2009).
4. In caso di annullamento di provvedimento
illegittimo che abbia comportato la perdita
della originaria destinazione residenziale
dell'area in esame, spetta al proprietario
il risarcimento del danno e, trattandosi di
debito di valore, spetta altresì la
rivalutazione monetaria dal giorno in cui è
stato adottato il primo provvedimento
lesivo, sino alla formulazione dell'offerta
risarcitoria.; resta, inoltre, ferma la
facoltà del proprietario dell'area di
chiedere alla P.A. di valutare una eventuale
variante alla nuova disciplina urbanistica
per consentire il pieno soddisfacimento
della propria situazione giuridica
ingiustamente lesa (cfr. Cons. di Stato, Ad. Plen., sent. n. 1/1986) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.04.2010 n.
1092 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Misure repressive - Termine di
decadenza o prescrizione - Non sussiste -
Affidamento del privato - Inconfigurabilità.
2. Ricorso giurisdizionale - Impugnazione di
nuovo provvedimento al fine di rimettere in
discussione provvedimento definitivo
presupposto non impugnato- Inammissibilità -
Fattispecie.
3. Misure
repressive - Termine perentorio per
inoltrare parere di ammissibilità delle
opere edilizie - Effetti sulla validità ed
efficacia della originaria ordinanza demolitoria - Non sussistono.
1. Dal momento che l'esercizio del potere
sanzionatorio del Comune in materia urbanistico-edilizia non è soggetto a
prescrizione o decadenza, l'eventuale
vetustà dell'opera abusiva non esclude il
relativo potere di controllo dal parte della
P.A.: pertanto, l'accertamento dell'illecito
amministrativo, con applicazione della
relativa sanzione, può intervenire anche a
notevole distanza di tempo dalla commissione
dell'abuso, senza che il ritardo
nell'adozione della sanzione comporti
sanatoria o il sorgere di affidamenti o
situazioni consolidate (cfr. TAR Milano,
sent. n. 2045/2008).
2. E' inammissibile l'impugnazione
giurisdizionale di un provvedimento
amministrativo volto a rimettere in
discussione la legittimità del provvedimento
definitivo presupposto, divenuto
inoppugnabile (nel caso di specie la
ricorrente ha prestato acquiescenza al
provvedimento di rigetto dell'istanza di
sanatoria delle opere abusivamente
realizzate ed alla relativa ordinanza di
demolizione, in tal modo decadendo dalla
possibilità di rimettere in discussione
l'abusività delle opere in sede di
impugnazione dell'ordine di demolizione
d'ufficio, atteso che quest'ultimo trova il
proprio presupposto nei precedenti atti non
impugnati).
3. Il caso della P.A. che, in seguito ad
ordinanza demolitoria, abbia concesso al
privato un termine perentorio per inoltrare
parere di ammissibilità delle opere
edilizie, non implica che essa abbia inteso
porre nel nulla, nell'esercizio di un potere
di autotutela, la precedente ordinanza
demolitoria: al contrario, tale atto -non
riconducibile ad alcuna previsione
legislativa ex D.P.R. 380/2001 recante la
disciplina delle sanzioni degli abusi
edilizi- non può in alcun modo incidere
sulla piena validità ed efficacia
dell'ordinanza demolitoria né tale atto
consente di qualificare il provvedimento
sanzionatorio quale mero atto
endoprocedimentale (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.04.2010 n.
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URBANISTICA:
1. Piano di lottizzazione -
Termine di validità decennale -
Applicabilità.
2. Piano di
lottizzazione - Termine di validità
decennale - Portata.
3. Piano di
lottizzazione - Perdita di efficacia della
lottizzazione convenzionata per scadenza del
termine decennale - Conseguenze - Tutela
dell'affidamento del privato - Inconfigurabilità.
4. Attività
dirette alla realizzazione dello strumento
urbanistico - Scadenza del termine di
attuazione - Potere-dovere della P.A. di
dare nuovo assetto urbanistico alla parti
non realizzate - Sussiste.
1. In materia di piani di lottizzazione deve
ritenersi ad essi applicabile, nel silenzio
della legge, il termine di validità
decennale previsto con specifico riferimento
ai piani particolareggiati dall'art. 16,
Legge n. 1150/1942 (cfr. Cons. di Stato,
sent. nn. 4803/2004 e 200/2003; TAR
Milano, sent. n. 16/1987).
2. Il termine decennale di efficacia ex art.
16, Legge n. 1150/1942 vale sia per
l'esecuzione delle opere di urbanizzazione,
sia per l'edificazione dei singoli lotti,
dovendosi escludere che restino efficaci
sino all'approvazione di un successivo piano
particolareggiato le disposizioni di zona
relative all'edificabilità dei suoli (Cons.
di Stato, sent. nn. 286/1999, 1412/1998,
267/1984).
3. La perdita di efficacia della
lottizzazione convenzionata per scadenza del
termine decennale fa venir meno, sul piano
oppositivo, i presupposti dello jus
aedificandi, e, sul piano pretensivo,
l'affidamento circa l'intangibilità della
destinazione urbanistica, per cui un nuovo
strumento urbanistico non deve
necessariamente tenerne conto (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 1412/1998).
4. Le attività dirette alla realizzazione
dello strumento urbanistico, sia
convenzionale che autoritativo, non possono
essere attuate ai sensi di legge oltre un
certo termine, scaduto il quale l'Autorità
competente riacquista il potere-dovere di
dare un nuovo assetto urbanistico alla parti
non realizzate (cfr. Cons. di Stato, sent.
n. 2768/2009) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.04.2010 n.
1001 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1.
Inquinamento elettromagnetico - Tutela
sanitaria della popolazione - Competenza -
Spetta alla normativa statale.
2. Inquinamento
elettromagnetico - Tutela sanitaria della
popolazione - Regolamenti locali o strumenti
urbanistici con obiettivi di protezione
sanitaria più ampi delle ipotesi previste
dalla normativa regionale di settore -
Illegittimità.
3. Edilizia ed urbanistica - Infrastrutture
di reti pubbliche di comunicazione -
Assimilabilità alle opere di urbanizzazione
primaria - Sussiste - Compatibilità con la
zona agricola - Sussiste.
4. Inquinamento
elettromagnetico - Tutela sanitaria della
popolazione - Individuazione dei siti di trasmissione e di
impianti per telefonia mobile - Competenza -
Spetta alla normativa regionale.
1. La tutela sanitaria della popolazione
dalle esposizioni ai campi elettromagnetici
non rientra nelle competenze dei Comuni, in
quanto tale tutela è assicurata dalla
normativa statale -Legge 36/2001- mediante
norme già improntate al principio di
precauzione (cfr. Cons. di Stato, sent. nn.
3095/2002, 673/2003, 4841/2003).
2. Sono illegittime le norme di regolamenti
locali o di strumenti urbanistici che
perseguano obiettivi di protezione sanitaria
estesi ben oltre le specifiche ipotesi
previste dalla normativa regionale di
settore e che prescrivano in via
generalizzata, per gli impianti di telefonia
cellulare e similari, distanze minime da
insediamenti residenziali, da edifici e
attrezzature di uso collettivo, ovvero dal
confine delle zone territoriali omogenee che
prevedono tali destinazioni (cfr. Corte
Cost., sent. 331/2003; Cons. di Stato, sent.
n. 450/2005; TAR Lazio, sent. n.
8170/2001).
3. Ai sensi dell'art. 86, comma 3, D.Lgs.
259/2003 -codice delle comunicazioni
elettroniche- le infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione sono ad ogni
effetto assimilate alle opere di
urbanizzazione primaria: ne consegue che
tali infrastrutture sono compatibili anche
con la destinazione agricola (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 673/2003; TAR Milano,
sent. n. 5305/2008).
4. Ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. a),
legge-quadro n. 36/2001 è di competenza
delle regioni l'esercizio delle funzioni
relative all'individuazione dei siti di
trasmissione e degli impianti per telefonia
mobile, ossia stabilire i criteri di
localizzazione degli impianti e affidare ai
comuni il compito di definire, nel p.r.g. o
nelle sue varianti, i siti dove localizzare
o delocalizzare le antenne per la telefonia
mobile, nel rispetto dei criteri di
funzionamento della rete e dei servizi (cfr.
Corte Cost., sent. n. 103/2006) (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 06.04.2010 n.
999 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Denuncia di inizio attività -
Scadenza del termine di trenta giorni -
Prescrizioni di strumenti urbanistici e
innovazioni normative sopravvenute -
Applicabilità.
2. Denuncia di
inizio attività - Notifica dell'atto
inibitorio - Obbligo di osservanza del
termine di trenta giorni - Non sussiste.
1. In caso di denuncia di inizio attività
trovano applicazione le prescrizioni degli
strumenti urbanistici e le norme legislative
e regolamentari eventualmente medio tempore
sopravvenute, vigenti al momento della
scadenza del termine di 30 giorni dalla sua
presentazione (cfr. TAR Milano, sent. n.
587/2006, confermata anche in appello da
Cons. di Stato, sent. n. 3758/2007).
2. Il termine di
30 giorni dalla
presentazione della d.i.a., valevole per
l'emanazione dell'ordine di non effettuare
l'intervento, non vale anche per la notifica
(cfr. TAR Milano, sent. nn. 1793/2006 e
586/2006) (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.04.2010 n.
972 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Ristrutturazione edilizia -
Immobile di epoca assai risalente - Onere
della prova circa la documentazione
dell'originaria costruzione e relativo stato
di fatto - Sussiste in capo al privato ed
alla P.A. - Ratio - Principio di leale
collaborazione.
2.
Ristrutturazione edilizia - Immobile di
epoca assai risalente - Periodo di
realizzazione - Prova - Risultanze catastali
- Insufficienza.
1. In caso di rilascio di titolo abilitativo
per un intervento di ristrutturazione di
immobile costruito in epoca molto risalente,
l'onere della prova relativa alla
documentazione dell'originaria costruzione
e/o allo stato di fatto dell'immobile deve
essere ripartito fra il privato e
l'Amministrazione per il principio di leale
collaborazione fra cittadino e P.A. (TAR
Lecce, sent. n. 3316/2008).
2. A fronte della particolare difficoltà
nella ricostruzione storica dell'epoca di
realizzazione dei beni oggetto di richiesta
di titolo abilitativo per intervento di
ristrutturazione, il solo richiamo alle
risultanze catastali non è sufficiente a
provare l'esatto periodo in cui collocare la
realizzazione dei beni: tali risultanze
infatti non sempre sono affidabili e dunque
gli accertamenti in materia edilizia non
possono fondarsi esclusivamente su questi
ultimi, aventi uno scopo essenzialmente
fiscale (cfr. TAR Genova, sent. n.
5/2008) (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.04.2010 n.
971 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Intervento di recupero
abitativo di sottotetto - Presupposti -
Preesistenza del volume sottotetto,
praticabilità e abitabilità originarie -
Necessità.
2. Intervento di
recupero abitativo di sottotetto -
Presupposti - Corrispondenza del nuovo
organismo edilizio a quello preesistente -
Necessità - In caso di modifica di sagoma,
volume e superficie - Nuova costruzione -
Sussiste.
3. Intervento di
recupero abitativo di sottotetto -
Presupposti - Ultimo piano sormontato da
mera intercapedine - Sottotetto - Inconfigurabilità.
1. In materia di recupero abitativo dei
sottotetti, presupposto affinché possa
configurarsi tale fattispecie è che sia
identificabile come già esistente un volume
sottotetto passibile di recupero, ovverossia
di riutilizzo a fini abitativi: ciò richiede
che il sottotetto abbia, sin dall'origine,
dimensioni tali da essere praticabile e da
poter essere abitabile, sia pure con gli
aggiustamenti occorrenti per raggiungere i
requisiti minimi di abitabilità, ossia
altezza media ponderale m. 2.40, come
prescritto dall'art. 2 LR 15/1996, oggi art.
63, ultimo comma, LR 12/2005 (cfr. in senso
contrario, in tema di praticabilità, TAR
Milano, sent. n. 457/2004).
2. Ricorre la fattispecie del recupero di
sottotetto solo qualora il nuovo organismo
edilizio corrisponda a quello preesistente,
senza alterarne in misura sostanziale
sagoma, volume e superficie; in caso
contrario l'intervento si risolverebbe nella
realizzazione di un piano aggiuntivo, che
eccede i caratteri della ristrutturazione e
che configurerebbe un intervento di nuova
costruzione (cfr. TAR Milano, sent. n.
1007/2003)
3. Non ricorre la fattispecie di sottotetto
laddove (come nella caso di specie) l'ultimo
piano abitabile sia sormontato da uno
spazio, compreso tra la soletta e la
copertura in tegole, di entità tale da
presentarsi come una mera intercapedine (nel
caso di specie l'altezza massima dello
spazio sottostante la copertura
dell'edificio non raggiunge 1 metro),
cosicché la realizzazione di vani abitabili
finirebbe per risolversi non già nel
recupero di uno spazio già esistente, ma
nella sopraelevazione di un piano ulteriore
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 02.04.2010 n.
970 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi edilizi -
Sanatoria - Provvedimento di quantificazione
oneri - Impugnabilità - Spetta solo al
proprietario.
Non ha legittimazione ad impugnare l'atto di
quantificazione degli oneri per il rilascio
di sanatoria di un immobile, la parte non
proprietaria, che risulti soltanto
utilizzatrice del bene (nel caso di specie,
in forza di contratto di leasing): essa
infatti, presentando analogie con la figura
dell'affittuario, è legittimata ad impugnare
solo i provvedimenti che incidono sul
godimento del bene, ma rimane estranea al
rapporto debitorio, scaturente dalla
sanatoria (cfr. TAR Milano, sent. n.
96/1998) (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.04.2010 n.
933 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 22.11.2010 |
ã |
QUESITI &
PARERI |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, procedimento
semplificato di rilascio autorizzazione
paesaggistica ex D.P.R. 09.07.2010 n. 139.
DOMANDA 1: in Lombardia, la
Commissione Comunale per il Paesaggio si
deve esprimere, sempre e comunque, sulle
istanze di autorizzazione paesaggistica, a
prescindere che sia stata invocata -dal
richiedente- la procedura ordinaria ovvero
la procedura semplificata?
DOMANDA 2: la procedura semplificata
è obbligatoria per le n. 39 fattispecie
edilizie elencate nel D.P.R. 139/2010 oppure
il cittadino può scegliere di richiedere
(sempre per le n. 39 fattispecie edilizie in
questione) l'autorizzazione paesaggistica
ordinaria di cui all'art. 146 del D.Lgs. n.
42/2004? (Regione Lombardia, Direzione
Generale Sistemi Verdi e Paesaggio,
nota 10.11.2010 n. 12330 di prot.). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Nella seduta del 10.11.2010, in risposta ad
un quesito formulato dal Comune di Cantù, la
Commissione ha precisato che
è il
Sindaco l’organo competente a nominare i
componenti degli Organismi indipendenti di
valutazione e che il Segretario
comunale/Direttore generale non può far
parte dell’OIV (Commissione per
la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità
delle amministrazioni pubbliche).
---------------
Con il quesito in oggetto, è stato chiesto
di chiarire:
1. quali sono i requisiti che devono avere i
componenti degli Organismi indipendenti di
valutazione con riferimento al Comparto
Regioni Autonomie Locali e come l’Ente può
procedere alla nomina degli stessi;
2. se il Segretario/Direttore generale possa
continuare a svolgere la valutazione dei
dirigenti e, in caso negativo, se il Sindaco
possa svolgere la valutazione dei dirigenti;
3. se la Giunta possa essere identificata
quale organo di indirizzo
politico-amministrativo competente per la
nomina degli Organismi indipendenti di
valutazione.
Risposta.
Con riferimento al quesito 1., si evidenzia
che, con delibera n. 4/2010, questa
Commissione ha chiarito i requisiti ed il
procedimento di nomina, da parte dell’organo
di indirizzo politico-amministrativo, dei
componenti degli Organismi indipendenti di
valutazione della performance.
Con riferimento al quesito 2., si precisa
che, nella risposta dell'01.07.2010 al
quesito formulato dal Comune di Pastrengo,
questa Commissione ha già ritenuto che “Il
ruolo dell’OIV nella valutazione del
segretario comunale porta ad escludere la
possibilità che lo stesso possa far parte di
tale Organismo e, contemporaneamente,
continuare a svolgere il proprio ruolo
istituzionale nel medesimo ente. Si
tratterebbe, infatti, di una inammissibile
sovrapposizione tra valutatore e valutato.
Inoltre, l’OIV deve essere composto da
membri che assicurino la totale indipendenza
dall’organo di indirizzo politico
amministrativo, il che risulterebbe
compromesso qualora si ammettesse la
partecipazione del segretario comunale alla
formazione dell’Organismo”. E tale
previsione deve essere ribadita nonostante
la previsione di cui all’articolo 14, comma
1, del decreto legislativo 27.10.2009, n.
150, secondo la quale la costituzione
dell’Organismo indipendente di valutazione
deve essere effettuata “senza nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica”
o, comunque, “nei limiti delle risorse
attualmente destinate ai servizi di
controllo interno”, in quanto è
possibile che gli Enti locali utilizzino
altri stanziamenti già posti in bilancio,
ancorché non destinati alle spese per la
costituzione ed il funzionamento degli
Organismi indipendenti di valutazione.
Alla luce delle considerazioni che
precedono, il Segretario generale non può
far parte dell’Organismo indipendente di
valutazione.
Le medesime considerazioni valgono per il
Direttore generale considerato che, secondo
quanto previsto dall’articolo 108 del
decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, è il
Sindaco che nomina e (eventualmente) revoca
il Direttore generale, il cui incarico ha
una durata che non può eccedere quella del
mandato del Sindaco.
La valutazione dei dirigenti di vertice
(Segretario generale e Direttore generale)
dovrà quindi essere svolta dal Sindaco, su
proposta dell’Organismo indipendente di
valutazione.
Con riferimento al quesito 3., si ricorda
che l’articolo 14, comma 3, del decreto
legislativo n. 150 del 2009 attribuisce
all’organo di indirizzo
politico-amministrativo la nomina
dell’Organismo indipendente di valutazione e
che l’articolo 50, comma 1, del decreto
legislativo n. 267 del 2000 prevede che “Il
sindaco e il presidente della provincia sono
gli organi responsabili dell’amministrazione
del comune e della provincia”; ne
consegue che, nei Comuni, la competenza per
la nomina dell’Organismo indipendente di
valutazione spetta al Sindaco. |
PUBBLICO IMPIEGO:
Nella seduta del 10.11.2010, in risposta ad
un quesito formulato dall’Agenzia del
Farmaco, la Commissione ha precisato che
né
l’Organismo indipendente di valutazione né i
singoli componenti dello stesso possono
essere individuati quali soggetti cui
affidare le procedure di conciliazione di
cui all’articolo 7 del D.Lgs. n. 150/2009 (Commissione per
la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità
delle amministrazioni pubbliche).
---------------
Con il quesito in oggetto, sono stati
chiesti chiarimenti in ordine alla
possibilità che l’Organismo indipendente di
valutazione sia preposto alle procedure di
conciliazione.
Risposta.
La Commissione è dell’avviso di escludere
che l’OIV possa essere individuato quale
soggetto cui affidare le procedure di
conciliazione di cui all’articolo 7 del
D.Lgs. n. 150/2009.
L’articolo 14 del D.Lgs. n. 150/2009,
infatti, non contempla tra le competenze
dell’OIV l’attività di conciliazione.
Una simile attribuzione, inoltre,
comporterebbe che l’Organismo, chiamato in
sede di prima applicazione a definire il
Sistema, si trovi, in veste di organo di
conciliazione, a riesaminare la valutazione
contestata in applicazione dei criteri di
valutazione dallo stesso individuati nel
Sistema medesimo. Tale attività risulterebbe
quindi in contrasto con la funzione
assegnata all’OIV di garantire la
correttezza dei processi di misurazione e
valutazione, nonché dell’utilizzo dei premi
(articolo 14, comma 4, lett. d, del D.Lgs.
n. 150/2009).
Le medesime argomentazioni sono di ostacolo
anche alla nomina, nell’ambito del collegio
di conciliazione, di un singolo componente
dell’OIV dell’amministrazione interessata,
mentre non precludono di affidare l’incarico
ad un componente di un OIV di
amministrazione diversa.
Si ribadisce infine la necessità che le
procedure di conciliazione siano affidate ad
un soggetto “terzo” rispetto a
valutatore e valutato. |
EDILIZIA PRIVATA: Lombardia,
sull'interpretazione dell'art. 21, comma 7,
delle N.T.A. del P.T.C. Parco Adda Nord
(Zona di di interesse
naturalistico-paesistico) (Regione
Lombardia, Direzione Generale Sistemi Verdi
e Paesaggio,
nota 09.11.2010 n. 12230 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA: Individuazione
bene culturale (fattispecie relativa al
cimitero comunale) ex art. 10 D.Lgs. n.
42/2004.
DOMANDA 1: nel caso prospettato, del
cimitero nella sua dimensione originaria
avente più di 50 anni, per “bene
culturale” si intende l’intero complesso
edificato, comprensivo di ogni singolo
manufatto ivi presente qualunque esso sia
oppure si devono intendere i singoli
manufatti (edicole funerarie, cappella,
loculi, tomba singola e/o di famiglia, ecc.)
che hanno più di 50 anni ed il cui autore
non sia più vivente??
La risposta è necessaria conoscere al fine
di capire se per l’intervento edilizio –che
si vorrebbe realizzare- di posa pannelli
fotovoltaici sopra la copertura di una
campata di loculi, costruiti 10 anni or
sono, necessiti –o meno- acquisire
preliminarmente l’autorizzazione del
Soprintendente ex art. 21, comma 4, del
Codice.
DOMANDA 2: la parte di cimitero
ampliata 10 anni or sono, ed annessa alla
parte originaria demolendo/modificando il
muro di cinta, deve intendersi anch’essa “bene
culturale” oppure lo diverrà decorsi 50
anni dalla sua costruzione e sempre che
l’autore non sia più vivente??
Lo stesso dicasi per i singoli manufatti
(edicole funerarie, cappella, loculi, tomba
singola e/o di famiglia, ecc.) ivi costruiti
nel frattempo
(Soprintendenza di Milano,
nota 02.11.2010 n.
14123 di prot.). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO: Collegato
al lavoro e part-time
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 15.11.2010). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE -
PUBBLICO IMPIEGO: Collegato
al lavoro e incentivi alla progettazione
interna
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 15.11.2010). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
APPALTI: G.U.
18.11.2010 n. 270 "Indicazione delle
attività che sono escluse dall’applicazione
del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163
(codice dei contratti pubblici) a norma
dell’articolo 219 dello stesso decreto
legislativo" (Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Dipartimento per il
Coordinamento delle Politiche Comunitarie,
D.M. 05.08.2010). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, Modalità per il monitoraggio del
Fondo Aree Verdi ex L.R. 12/2005.
Sono state approvate con decreto del
Direttore Generale n. 11517 del 15.11.2010
(vedi allegato) le disposizioni tecniche per
il monitoraggio del Fondo Aree Verdi.
Il decreto verrà pubblicato sul Burl Serie
Ordinaria n. 47 del 22.11.2010.
Con questo atto vengono fornite le modalità
e le specifiche tecniche secondo cui
ciascuna Amministrazione comunale
trasmetterà le informazioni necessarie per
il monitoraggio di cui al paragrafo 4 della
D.G.R. 2008/8757. Vengono inoltre comunicate
indicazioni utili per l’operatività dei
disposti normativi di cui all’art. 43, commi
2-bis, 2-bis1 e 2-bis2, della Legge
regionale n. 12/2005 e dei successivi
provvedimenti attuativi (D.G.R. 8757/2008 e
D.G.R. 11297/2010).
Il monitoraggio del Fondo verrà effettuato
attraverso un sistema informativo (front
office) attivato entro il 10.01.2011.
Nelle more dell’avvio del sistema di
monitoraggio informatico tutti i Comuni
trasmettono a Regione Lombardia, Direzione
Generale Sistemi Verdi e Paesaggio, le
informazioni necessarie al monitoraggio
secondo le modalità contenute al paragrafo
6. Versamenti e modalità di monitoraggio
nelle more dell’esercizio del front
office dell’Allegato A al d.D.G n. 11517
del 15.11.2010.
Le informazioni richieste riguardano ciascun
titolo abilitativo che da luogo alle
maggiorazioni previste dalla norma e ciascun
progetto di intervento forestale di
rilevanza ecologica e di incremento della
naturalità attuato attraverso l’utilizzo
delle suddette maggiorazioni.
In allegato puoi scaricare i seguenti file:
-
Decreto del Direttore Generale 15.11.2010 n.
11517/2010;
-
TABELLA MONITOR TITOLI ABILITATIVI;
-
TABELLA MONITOR PROGETTI.
Per informazioni:
Struttura Sistemi Verdi Integrati
Agostino Marino, tel. 02.6765.8027
Aurelio Camolese, tel. 02.6765.5089
Franceso Monzani, tel. 02.6765.8000 (link a
www.regione.lombardia.it). |
SICUREZZA LAVORO:
OGGETTO: lettera circolare in ordine alla
approvazione delle indicazioni necessarie
alla valutazione del rischio da stress
lavoro-correlato di cui all'articolo 28,
comma 1-bis, del decreto legislativo
09.04.2008, n. 81, e successive modifiche e
integrazioni (Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali,
nota 18.11.2010 n. 23692 di prot.). |
APPALTI:
OGGETTO: Validità temporale del DURC.
Circolare del Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali n. 35 dell’08.10.2010
(INPS,
circolare 17.11.2010 n. 145). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: SUAP- Sportello Unico per le
attività produttive (ANCI Lombardia,
circolare 16.11.2010
n. 89/2010). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI:
OGGETTO: Tassa per lo smaltimento dei
rifiuti solidi urbani (TARSU), tariffa di
igiene ambientale di cui all’art. 49 del
D.Lgs. 05.02.1997, n. 22 e tariffa integrata
ambientale di cui all’art. 238 del D.Lgs.
03.04.2006, n. 152. Chiarimenti in merito
alle problematiche sulla vigenza delle
normative relative alle diverse tipologie di
prelievo (Ministero dell'Economia e
delle Finanze,
circolare 11.11.2010 n. 3 - link
a http://def.finanze.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
PUBBLICO IMPIEGO:
G. Neri,
Le collaborazioni nella pubblica
amministrazione (link a
www.filodiritto.com). |
APPALTI SERVIZI:
R. Camporesi,
Holding comunali, attività finanziaria e
modelli di governance (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
S. Sileoni e L. Archimi,
Le partecipazioni dei comuni nelle società
che gestiscono i servizi pubblici locali
aventi rilevanza economica. L'art. 14, c.
32, del d.l. 78/2010 ed il principio di
specialità dell'art. 23-bis, c. 2, lett. b)
e c. 3 del d.l. 112/2008 in subiecta
materia (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Novità ristrutturazioni edilizie: è in Rete
l’update della guida.
On line le istruzioni aggiornate per
usufruire dello sconto d’imposta previsto
per il recupero degli immobili
Detrazione Irpef per le spese di
ristrutturazione, chi può beneficiarne e in
che misura, come fare la comunicazione di
inizio lavori, quali sono i tipi di
interventi ammessi all’agevolazione: sono
questi alcuni degli argomenti di rilievo
contenuti nella Guida alla agevolazioni
fiscali per le ristrutturazioni edilizie.
Le istruzioni per poter utilizzare al meglio
gli sconti d'imposta previsti per gli
interventi di recupero edilizio sono
disponibili, on line, sul sito
internet dell’Agenzia delle Entrate, nella
versione aggiornata a ottobre 2010 della
Guida, con tutte le novità contenute nella
legge finanziaria 2010 e negli ultimi
interventi normativi (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La procedura per la gestione delle
comunicazioni di fine lavori degli impianti
fotovoltaici è attiva dal 1° al 31 dicembre.
Il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) ha
reso noto che le tariffe incentivanti
previste per l'anno 2010 sono riconosciute a
tutti i soggetti che, entro il 31.12.2010,
abbiano concluso l'installazione
dell'impianto fotovoltaico.
Per poter usufruire delle tariffe
incentivanti previste per il 2010 è tuttavia
necessario che:
* entro il 31/12/2010 sia stata comunicata
la fine dei lavori all'amministrazione
competente al rilascio dell'autorizzazione,
al gestore di rete e al GSE
* l'entrata in esercizio avvenga non oltre
il 30.06.2011 (Legge 13.08.2010, n. 129)
Il GSE ha predisposto una procedura
operativa che illustra i requisiti necessari
e le modalità per la presentazione delle
comunicazioni di fine lavori (allo stesso
GSE).
L'invio avverrà esclusivamente per via
telematica attraverso una specifica sezione
del portale applicativo web alla quale sarà
possibile accedere nel periodo compreso tra
l'01.12.2010 e il 31.12.2010 (link a
www.acca.it). |
NEWS |
APPALTI:
DURC - Dal 1° gennaio 2011 al via la
verifica di congruità del costo della
manodopera per tutti i lavori: i valori
minimi.
Le parti sociali dell'edilizia hanno firmato
lo scorso 28/10/2010 un accordo finalizzato
a contrastare il lavoro irregolare negli
appalti pubblici e privati.
L'accordo prevede l'introduzione nel
documento unico di regolarità contributiva
di "indici di congruità della manodopera"
in accordo alle disposizioni dell'art. 118,
comma 6-bis, del D. Lgs. 163/2006.
In particolare si prevede che la Cassa Edili
verifichi, con riferimento allo specifico
contratto, la congruità dell'incidenza sul
valore complessivo dell'opera del costo
della manodopera.
L'accordo sottoscritto riporta in allegato
le percentuali di incidenza del costo del
lavoro (comprensivo dei contributi INPS,
INAIL e Casse Edili) che costituiscono
valori minimi, al di sotto dei quali scatta
la presunzione di non congruità
dell'impresa.
Tali percentuali saranno oggetto di un
periodo di sperimentazione (dal 01/01/2011
al 31/12/2011), che coinvolgerà
esclusivamente i lavori che avranno inizio a
partire dal 01/01/2011.
Durante il periodo della sperimentazione,
eventuali irregolarità sulla congruità
dell´incidenza della manodopera sui lavori
non avranno effetto sulla regolarità del
DURC.
Il sistema della verifica della congruità
dell´incidenza del costo del lavoro sul
valore dell'opera, andrà in vigore a regime
a partire dal 01/01/2012, per i lavori che
avranno inizio a partire da quella data.
Per i lavori privati la verifica di
congruità sarà applicata esclusivamente a
quelli di entità pari o superiore a 70.000
Euro (link a www.acca.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Nelle comunità montane le
prerogative sono ridotte rispetto ai
municipi. Montagna, accesso limitato. Il
consigliere comunale non può visionare ogni
atto.
Qual è la natura giuridica dell'ente
Comunità montana? I consiglieri comunali
possono esercitare il diritto di accesso
agli atti dell'ente stesso a norma dell'art.
43 del dlgs 267/2000?
Le comunità montane vengono definite «un
caso speciale di unioni di comuni»,
create per la valorizzazione delle zone
montane, in linea con la previsione
dell'art. 27 del Testo unico 267/2000 che
recita «Le comunità montane sono Unioni
di comuni, enti locali costituiti fra comuni
montani e parzialmente montani, anche
appartenenti a province diverse, per la
valorizzazione delle zone montane per
l'esercizio di funzioni proprie, di funzioni
conferite e per l'esercizio associato delle
funzioni comunali».
In giurisprudenza è ormai consolidato il
principio in virtù del quale il consigliere
comunale (o provinciale) ha un diritto
«ampio» di accedere agli atti dell'ente di
appartenenza in ragione della specificità
della sua funzione. Per converso il
consigliere –sia di maggioranza che di
minoranza– di un comune aderente a una
comunità montana risulta carente di
legittimazione diretta all'accesso ai
documenti amministrativi di quest'ultima;
dal momento, infatti, che la comunità
montana non ha alcun tipo di rapporto di
dipendenza dai comuni che ad essa
partecipano, i consiglieri dei comuni che di
essa fanno parte non sono titolari di alcun
munus pubblico nei confronti della
medesima.
Ciò non esclude, comunque, che il
consigliere comunale possa proporre
richiesta nei confronti del comune di
appartenenza, il quale autonomamente
valuterà in ordine all'accoglibilità o meno
della richiesta, tenendo presente,
naturalmente, il limite che debba trattarsi
di documenti effettivamente formati o
detenuti stabilmente da tale
amministrazione.
Tuttavia, poiché negli organi della comunità
i comuni hanno loro rappresentanti, titolari
di un ufficio conferito dai rispettivi enti,
i consiglieri di ciascun comune hanno
diritto di ricevere, dai rispettivi
rappresentanti in seno alla comunità
montana, le notizie e le informazioni che
questi ultimi avrebbero diritto di ottenere
dagli uffici e dagli enti del proprio comune
(articolo
ItaliaOggi del 19.11.2010 - link a www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Comunità
montane, mozione di sfiducia.
È applicabile l'art. 52 del Tuel che
disciplina la presentazione della mozione di
sfiducia, al presidente della Comunità
montana, in assenza di una previsione
statutaria?
L'istituto della mozione di sfiducia è
regolato dall'art. 52 Tuel specificatamente
per sindaco e presidente della provincia,
pertanto non è estensibile al presidente
della comunità montana.
In assenza di una norma statutaria della
comunità montana, che dovrà tener conto
delle diverse modalità elettive del
presidente e dell'organo esecutivo, e
disciplinare termini e modalità di
applicazione, la mozione di sfiducia nei
confronti del presidente della comunità
montana, come configurata in linea generale,
non appare applicabile
(articolo
ItaliaOggi del 19.11.2010 - link a www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Incompatibilità.
Sussiste una causa di ineleggibilità nel
caso in cui il neoeletto sindaco di un
comune ricopra anche la carica di
consigliere provinciale e quella di
consigliere di una unione di comuni?
L' art. 60, comma 1, n. 12, del decreto
legislativo n. 267/2000 dispone
l'ineleggibilità alla carica di sindaco, di
presidente della provincia, di consigliere
comunale, provinciale e circoscrizionale,
per chi riveste le stesse cariche,
rispettivamente in altro comune, provincia o
circoscrizione.
Si tratta di un' ipotesi di ineleggibilità
che si pone fra enti omologhi e non, come
nella fattispecie in questione, tra enti
diversi (comune e provincia). Analogamente,
anche l'art. 65 del medesimo decreto
legislativo prevede l'incompatibilità tra
cariche ricoperte tra enti omologhi.
Relativamente, poi, al caso del sindaco che
ricopra anche la carica di consigliere di
un'Unione di Comuni, il Tuel non individua,
nella coesistenza delle due specifiche
cariche, un'ipotesi di ineleggibilità.
Anzi, l'art. 32, comma 3, del medesimo Testo
unico dispone che lo statuto delle Unioni di
comuni «deve comunque prevedere il
presidente dell'unione scelto tra i sindaci
dei comuni interessati e deve prevedere che
altri organi siano formati da componenti
delle giunte e dei consigli dei comuni
associati, garantendo la rappresentanza
delle minoranze».
In mancanza di espressa previsione, la causa
ostativa all'espletamento del mandato deve,
quindi, ritenersi insussistente, in quanto
le disposizioni richiamate, incidendo sul
diritto di elettorato passivo, sono di
stretta interpretazione, come tali non
suscettibili di ricorso all'analogia
(articolo
ItaliaOggi del 19.11.2010 - link a www.ecostampa.com). |
SICUREZZA LAVORO: Rischio
stress ad andamento lento. Dal 31.12.2010
partono le fasi per la valutazione. Il
ministero del lavoro diffonde le istruzioni
operative della Commissione consultiva
permanente.
La data del 31.12.2010,
fissata dal T.u. sicurezza come decorrenza
dell'obbligo di valutazione del rischio
stress lavoro correlato, va intesa come data
di avvio e non di conclusione delle attività
di valutazione.
È quanto precisano le istruzioni della
Commissione consultiva permanente al nuovo
adempimento a carico dei datori di lavoro,
approvate il 17 novembre e diffuse ieri dal
ministero del lavoro con
nota 18.11.2010 prot. n. 23692.
Le istruzioni, che rappresentano il livello
minimo di attuazione del nuovo obbligo per
tutti i datori di lavoro, pubblici e privati
(se osservate, dunque, escludono la
sanzionabilità), indicano una metodologia su
due fasi: la prima necessaria, la seconda
eventuale.
Il documento del 17
novembre.
Le indicazioni della Commissione hanno il
fine di aiutare imprese e datori di lavoro
nelle difficoltà operative circa
l'individuazione di corrette modalità di
attuazione del nuovo obbligo di valutazione,
tra i rischi per la sicurezza sul lavoro, di
quello cosiddetto stress lavoro correlato.
In tal senso, dunque, individuano un
percorso metodologico che rappresenta il
livello minimo di attuazione dell'obbligo,
valevole per tutti i datori di lavoro
pubblici e privati che, se correttamente
attuato, esclude la sanzionabilità (ai sensi
del T.u. sicurezza).
Le definizioni.
Per definire lo stress lavoro correlato la
Commissione si richiama all'accordo Ue
dell'08.10.2004 ai sensi del quale è la «condizione
che può essere accompagnata da disturbi o
disfunzioni di natura fisica, psicologia o
sociale ed è conseguenza del fatto che
taluni individui non si sentono in grado di
corrispondere alla richieste o aspettativa
riposte in loro».
Tuttavia, spiega la Commissione, non tutte
le manifestazioni di stress sul lavoro sono
da considerarsi come stress lavoro
correlato; quest'ultimo è solo quello
causato da vari fattori propri del contesto
e del contenuto del lavoro.
Stress e valutazione dei
rischi.
La valutazione del rischio stress lavoro è
parte integrante della valutazione dei
rischi e va effettuata dal datore di lavoro
avvalendosi del responsabile del servizio di
prevenzione e protezione (Rspp) con il
coinvolgimento del medico competente,
laddove presente, e previa consultazione del
rappresentante dei lavoratori (Rls/Rlst).
Tutti i lavoratori, ma in
gruppi.
La valutazione del rischio stress lavoro
correlato deve essere compiuta con
riferimento a tutte le lavoratrici e a tutti
i lavoratori compresi dirigenti e preposti.
Non riguarda i singoli, ma gruppi omogenei
di lavoratori che risultino esposti a rischi
dello stesso tipo in base a una
individuazione che il datore di lavoro può
fare autonomamente (per esempio, lavoratori
che svolgono la stessa mansione; i turnisti;
i dipendenti di un settore ecc.).
Le metodologia.
La metodologia operativa suggerita dalla
Commissione si articola in due fasi: una
necessaria (la valutazione preliminare),
l'altra eventuale, ossia da attivare nel
caso in cui la valutazione preliminare abbia
rivelato elementi di rischio e le misure di
correzione, di conseguenza adottate dal
datore di lavoro, si rivelino inefficaci.
La valutazione preliminare consiste nella
rilevazione di indicatori oggettivi e
verificabili, ove siano numericamente
apprezzabili, appartenenti quanto meno alle
tre distinte famiglie indicate in tabella.
Se dalla valutazione preliminare non
emergono elementi di rischio, il datore di
lavoro è tenuto solo a darne conto del
Documento di valutazione dei rischi (Dvr) e
a prevedere un piano di monitoraggio.
Se, invece, emergono elementi di rischio
allora il datore di lavoro deve procedere ad
azioni correttive pianificando gli opportuni
interventi anche mediante una successiva
fase di valutazione approfondita.
Si parte a dicembre.
La Commissione, infine, precisa che la data
del 31.12.2010 di decorrenza del nuovo
obbligo va intesa come data «di avvio»
delle attività di valutazione, di cui il
datore di lavoro dovrà rendere conto
(insieme alla data finale e ai risultati
conseguiti) nel documento di valutazione dei
rischi. Di tanto terranno conto gli
ispettori in sede di vigilanza
(articolo ItaliaOggi
del 19.11.2010, pag. 27). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI: Il
limite del 20% non vale per tutti. Il tetto
di spesa non si applica ai comuni non
soggetti al Patto. Un parere della Corte
conti Lombardia conferma l'emendamento
Milanese alla manovra.
Non si applica ai comuni
non soggetti al patto di stabilità il limite
alle assunzioni pari al 20% della spesa del
personale cessato dell'anno precedente. Il
vincolo previsto dall'articolo 14, comma 9,
del dl 78/2010, convertito in legge
122/2010, vale esclusivamente per gli enti
soggetti al patto di stabilità.
Lo sancisce la Corte dei Conti, Sezione
regionale di controllo della Lombardia, col
parere 08.11.2010 n.
989, e lo conferma indirettamente la
stesura del sub-emendamento Milanese alla
manovra finanziaria per il 2011, tendente a
modificare proprio il contenuto
dell'articolo 14, comma 9 (si veda
ItaliaOggi del 17/11/2010)
Il parere della Corte dei
conti.
La sezione milanese ha espresso un parere
estremamente chiaro, sradicando ogni
possibile dubbio residuo sull'esclusione dei
comuni non soggetti al patto del vincolo
finanziario alle assunzioni, pari al 20% del
costo del personale cessato.
Il parere in maniera chiarissima conclude
nel senso che i comuni con popolazione
inferiore a 5 mila abitanti a partire
dall'01/01/2010 possono effettuare
assunzioni nel rispetto di tre condizioni:
sostituire integralmente il personale
cessato l'anno precedente, senza alcuna
limitazione della spesa (turn-over pieno);
verificare che la spesa del personale incida
sul totale della spesa corrente per una
misura uguale o inferiore al 40%; verificare
che la spesa assoluta di personale sia
inferiore a quella sostenuta nel 2004.
Il parere si diffonde in maniera convincente
sulle motivazioni alla base della
conclusione secondo la quale gli enti non
soggetti al patto non ricadono nel limite
alle assunzioni derivante dal 20% della
spesa corrispondente alle cessazioni
dell'anno precedente. Come rilevato prima,
la combinazione tra le disposizioni della
manovra estiva 2010 e l'articolo 1, comma
562, della legge 296/2006 impongono agli
enti non soggetti al patto tre limiti alle
assunzioni. L'operatività dell'ulteriore
limite della spesa risulta incompatibile su
ben tre piani distinti.
In primo luogo, la disposizione sul
contenimento delle assunzioni nel 20% della
spesa delle cessazioni si pone in contrasto
con le espresse previsioni del citato
articolo 1, comma 562. La Corte non manca di
rilevare che l'articolo 14, novellando detto
comma 562, ne conferma l'attuale vigenza:
esso prevede un'integrale possibilità di
sostituzione del personale cessato, purché
si rispettino le altre condizioni di
carattere finanziario, sicché costituisce
l'unica specifica norma posta a regolare le
assunzioni negli enti non soggetti al patto.
In secondo luogo, sul piano della pura
razionalità, secondo la Corte se non si
accedesse alla tesi da essa prospettata, si
verificherebbero effetti paradossali, come
l'impossibilità sostanziale di sostituire il
personale che cessa dal servizio: gli enti
si potrebbero trovare in breve tempo con
forti carenze di personale, considerando che
la mancata sostituzione anche di una sola
unità ha un'incidenza rilevantissima, presso
enti dotati di pochi dipendenti.
In terzo luogo, la sezione rileva che le
conclusioni tratte sono le uniche
compatibili con un'interpretazione
costituzionalmente orientata al rispetto dei
principi di buon andamento ed efficacia
dell'azione amministrativa.
Il sub-emendamento.
Il parlamento ha approvato un
sub-emendamento alla legge di stabilità 2011
tendente, di fatto, a relegare il vincolo
delle assunzioni al 20% della spesa
corrispondente alle cessazioni dell'anno
precedente a una ipotesi piuttosto
improbabile.
Il sub-emendamento aggiunge un nuovo periodo
all'articolo 76, comma 7, della legge
133/2008, come modificato dall'articolo 14,
comma 9, della manovra estiva 2010, ai sensi
del quale «per gli enti nei quali
l'incidenza delle spese di personale è pari
od inferiore al 35% delle spese correnti
sono ammesse, in deroga a limite del 20% e
comunque nel rispetto degli obiettivi del
Patto di stabilità e dei limiti di
contenimento complessivi delle spese di
personale, le assunzioni per turnover che
consentano l'esercizio delle funzioni
fondamentali previste dall'articolo 21,
comma 3, della legge 05.05.2009 n. 42».
Si nota che la deroga alla regola del 20% è
intimamente connessa al «rispetto degli
obiettivi del patto di stabilità». Una
volta approvata la manovra finanziaria 2011
e confermata la novellazione dell'articolo
9, comma 14, della legge 122/2010, la norma
costituirà necessariamente, in aggiunta alle
già conclusive prospettazioni della sezione
Lombardia, la prova dell'applicabilità del
limite del 20% ai soli enti soggetti al
patto.
Infatti, vale solo per questi, ad esclusione
degli altri, il limite del 20%, come vincolo
finanziario finalizzato al miglior
perseguimento delle regole poste a garantire
appunto il rispetto del patto di stabilità
(articolo
ItaliaOggi del 19.11.2010 - link a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI:
Art. 23-bis del d.l. 25.06.2008,
n. 112, conv. con mod. in l. n. 133/2008 nel
testo originario ed in quello mod. dall'art.
15, c. 1, del d.l. n. 135/2009, conv. con
mod. in l. n. 166/2009; art. 15, c. 1-ter,
del d.l. n. 135/2009, conv. con mod. in l.
n. 166/2009.
Illegittimità costituzionale - illegittimità
costituzionale parziale - non fondatezza -
inammissibilità.
Sebbene in àmbito comunitario non venga mai
utilizzata l'espressione "servizio
pubblico locale di rilevanza economica",
ma solo quella di "servizio di interesse
economico generale" (SIEG), la nozione
comunitaria di SIEG, ove limitata all'àmbito
locale, e quella interna di SPL di rilevanza
economica hanno "contenuto omologo".
Lo stesso c. 1 dell'art. 23-bis del d.l. n.
112 del 2008 conferma tale interpretazione,
attribuendo espressamente ai SPL di
rilevanza economica un significato
corrispondente a quello di "servizi di
interesse generale in àmbito locale" di
rilevanza economica, di evidente derivazione
comunitaria.
Entrambe le suddette nozioni, interna e
comunitaria, fanno riferimento, infatti, ad
un servizio che:
a) è reso mediante un'attività economica (in
forma di impresa pubblica o privata), intesa
in senso ampio, come "qualsiasi attività
che consista nell'offrire beni o servizi su
un determinato mercato";
b) fornisce prestazioni considerate
necessarie (dirette, cioè, a realizzare
anche "fini sociali") nei confronti
di una indifferenziata generalità di
cittadini, a prescindere dalle loro
particolari condizioni.
Le due nozioni, inoltre, assolvono
l'identica funzione di identificare i
servizi la cui gestione deve avvenire di
regola, al fine di tutelare la concorrenza,
mediante affidamento a terzi secondo
procedure competitive ad evidenza pubblica.
La disciplina comunitaria del SIEG e quella
censurata del SPL divergono, invece, in
ordine all'individuazione delle eccezioni
alla regola dell'evidenza pubblica:
a) la normativa comunitaria consente, ma non
impone, agli Stati membri di prevedere, in
via di eccezione e per alcuni casi
determinati, la gestione diretta del
servizio pubblico da parte dell'ente locale;
b) lo Stato italiano, facendo uso della
sfera di discrezionalità attribuitagli
dall'ordinamento comunitario al riguardo, ha
effettuato la sua scelta nel senso di
vietare di regola la gestione diretta dei
SPL ed ha, perciò, emanato una normativa che
pone tale divieto.
---------------
Il testo vigente dell'art. 23-bis del d.l.
n. 112/2008, è conforme alla normativa
comunitaria, nella parte in cui consente
l'affidamento diretto della gestione del
servizio, "in via ordinaria", ad una
società mista, alla doppia condizione che la
scelta del socio privato "avvenga
mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica" e che a tale socio siano
attribuiti "specifici compiti operativi
connessi alla gestione del servizio"
(cosiddetta gara ad evidenza pubblica a
doppio oggetto: scelta del socio e
attribuzione degli specifici compiti
operativi).
La stessa nuova formulazione dell'art.
23-bis si discosta, però, dal diritto
comunitario nella parte in cui pone
l'ulteriore condizione, al fine del suddetto
affidamento diretto, che al socio privato
sia attribuita "una partecipazione non
inferiore al 40 per cento".
Tale misura minima della partecipazione (non
richiesta dal diritto comunitario, ma
neppure vietata) si risolve in una
restrizione dei casi eccezionali di
affidamento diretto del servizio e, quindi,
la sua previsione perviene al risultato di
far espandere i casi in cui deve essere
applicata la regola generale comunitaria di
affidamento a terzi mediante gara ad
evidenza pubblica. Ne consegue la piena
compatibilità della normativa interna con
quella comunitaria.
---------------
Secondo la normativa comunitaria, le
condizioni integranti la gestione in house
ed alle quali è subordinata la possibilità
del suo affidamento diretto debbono essere
interpretate restrittivamente, costituendo
l'in house providing un'eccezione
rispetto alla regola generale
dell'affidamento a terzi mediante gara ad
evidenza pubblica. Tuttavia, la
giurisprudenza comunitaria non pone
ulteriori requisiti per procedere a tale
tipo di affidamento diretto, ma si limita a
chiarire via via la concreta portata delle
condizioni.
Al contrario, il legislatore nazionale,
nella versione vigente dell'art. 23-bis del
d.l. n. 112/2008, non soltanto richiede
espressamente, per l'affidamento diretto in
house, la sussistenza delle condizioni poste
dal diritto comunitario, ma esige il
concorso delle seguenti ulteriori
condizioni:
a) una previa "pubblicità adeguata" e
una motivazione della scelta di tale tipo di
affidamento da parte dell'ente in base ad
un'"analisi di mercato", con
successiva trasmissione di una "relazione"
dall'ente affidante alle autorità di
settore, ove costituite (testo originario
dell'art. 23-bis), ovvero all'AGCM (testo
vigente dell'art. 23-bis), per un parere
preventivo e obbligatorio, ma non
vincolante, che deve essere reso entro 60
giorni dalla ricezione;
b) la sussistenza di "situazioni che, a
causa di peculiari caratteristiche
economiche, sociali, ambientali e
geomorfologiche del contesto territoriale di
riferimento" (commi 3 e 4 del testo
originario dell'art. 23-bis), ovvero di
"situazioni eccezionali che, a causa di
peculiari caratteristiche economiche,
sociali, ambientali e geomorfologiche del
contesto territoriale di riferimento" (commi
3 e 4 del testo vigente del medesimo art.
23-bis), "non permettono un efficace ed
utile ricorso al mercato".
Siffatte ulteriori condizioni si risolvono
in una restrizione delle ipotesi in cui è
consentito il ricorso alla gestione in house
del servizio e, quindi, della possibilità di
derogare alla regola comunitaria
concorrenziale dell'affidamento del servizio
stesso mediante gara pubblica.
È infatti innegabile l'esistenza di un "margine
di apprezzamento" del legislatore
nazionale rispetto a princípi di tutela,
minimi ed indefettibili, stabiliti
dall'ordinamento comunitario con riguardo ad
un valore ritenuto meritevole di specifica
protezione, quale la tutela della
concorrenza "nel" mercato e "per"
il mercato. Ne deriva, in particolare, che
al legislatore italiano non è vietato
adottare una disciplina che preveda regole
concorrenziali -come sono quelle in tema di
gara ad evidenza pubblica per l'affidamento
di servizi pubblici- di applicazione più
ampia rispetto a quella richiesta dal
diritto comunitario.
---------------
La disciplina delle modalità di affidamento
della gestione dei servizi pubblici locali
di rilevanza economica -ivi compreso il
servizio idrico- rientra nella materia "tutela
della concorrenza" di competenza
esclusiva statale, ai sensi dell'art. 117,
c. 2, lett. e), Cost.
---------------
Non appare irragionevole, anche se non
costituzionalmente obbligata, una disciplina
intesa a restringere ulteriormente -rispetto
al diritto comunitario- i casi di
affidamento diretto in house (cioè i casi in
cui l'affidatario costituisce la longa
manus di un ente pubblico che lo
controlla pienamente e totalmente).
Tale normativa si innesta coerentemente in
un sistema normativo interno in cui già vige
il divieto della gestione diretta mediante
azienda speciale o in economia (introdotto
dai non censurati artt. 35 della l. n.
448/2001 e 14 del d.l. n. 269 del 2003) e
nel quale, pertanto, i casi di affidamento
in house, quale modello organizzativo
succedaneo della (vietata) gestione diretta
da parte dell'ente pubblico, debbono essere
eccezionali e tassativamente previsti.
L'ordinamento comunitario, in tema di tutela
della concorrenza e, in particolare, in tema
di affidamento della gestione dei servizi
pubblici, costituisce solo un minimo
inderogabile per il legislatore degli Stati
membri e, pertanto, non osta a che la
legislazione interna disciplini più
rigorosamente, nel senso di favorire
l'assetto concorrenziale di un mercato, le
modalità di tale affidamento. Pertanto, il
legislatore nazionale ha piena libertà di
scelta tra una pluralità di discipline
ugualmente legittime.
---------------
Il regime transitorio degli affidamenti non
conformi (art. 23-bis, c. 8 del d.l. n.
112/2008), è congruo e proporzionato
all'entità ed agli effetti delle modifiche
normative introdotte e, dunque, ragionevole.
Tali ampi margini temporali assicurano una
concreta possibilità di attenuare le
conseguenze economiche negative della
cessazione anticipata della gestione e,
pertanto, escludono la possibilità di
invocare quell'incolpevole affidamento del
gestore nella durata naturale del contratto
di servizio che, solo, potrebbe determinare
una possibile irragionevolezza della norma.
---------------
La nozione di "rilevanza economica",
al pari di quella omologa di "interesse
economico" propria del diritto
comunitario, va utilizzata, nell'àmbito
della disciplina del mercato dei servizi
pubblici, quale criterio discretivo per
l'applicazione delle norme concorrenziali e
concorsuali comunitarie in materia di
affidamento della gestione di tali servizi.
Ne deriva che, proprio per tale suo àmbito
di utilizzazione, la determinazione delle
condizioni di rilevanza economica è
riservata alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato in tema di "tutela
della concorrenza", ai sensi del secondo
comma, lettera e), dell'art. 117 Cost..
Poiché l'ordinamento comunitario esclude che
gli Stati membri, ivi compresi gli enti
infrastatuali, possano soggettivamente e a
loro discrezione decidere sulla sussistenza
dell'interesse economico del servizio,
conseguentemente il legislatore statale si è
adeguato a tale principio dell'ordinamento
comunitario nel promuovere l'applicazione
delle regole concorrenziali e ha escluso che
gli enti infrastatuali possano
soggettivamente e a loro discrezione
decidere sulla sussistenza della rilevanza
economica del servizio.
---------------
"L'interesse economico generale", in
quanto funzionale ad una disciplina
comunitaria diretta a favorire l'assetto
concorrenziale dei mercati, è riferito alla
possibilità di immettere una specifica
attività nel mercato corrispondente (reale o
potenziale) ed ha, pertanto, natura
essenzialmente oggettiva. Ne deriva che,
l'ordinamento comunitario, in considerazione
della rilevata portata oggettiva della
nozione di "interesse economico",
vieta che gli Stati membri e gli enti
infrastatuali possano soggettivamente e a
loro discrezione decidere circa la
sussistenza di tale interesse.
In particolare, la previsione di condizioni
per l'affidamento diretto del servizio
pubblico locale più restrittive di quelle
previste dall'ordinamento comunitario non
integra alcuna violazione dei princípi
comunitari della concorrenza, perché tali
princípi costituiscono solo un minimo
inderogabile per gli Stati membri, i quali
hanno la facoltà di dettare una disciplina
più rigorosamente concorrenziale, che,
restringendo le eccezioni all'applicazione
della regola della gara ad evidenza pubblica
-posta a tutela della concorrenza-, rende
più estesa l'applicazione di tale regola.
---------------
Il legislatore statale, in coerenza con la
normativa comunitaria e sull'incontestabile
presupposto che il servizio idrico integrato
si inserisce in uno specifico e peculiare
mercato, ha correttamente qualificato tale
servizio come di rilevanza economica,
conseguentemente escludendo ogni potere
degli enti infrastatuali di pervenire ad una
diversa qualificazione.
---------------
La competenza legislativa esclusiva statale
nella materia "tutela della concorrenza"
comprende anche la disciplina amministrativa
relativa all'organizzazione delle modalità
di gestione dei servizi pubblici locali, a
prescindere dall'avocazione allo Stato di
competenze amministrative degli altri
livelli territoriali di governo.
---------------
E' costituzionalmente illegittima la prima
parte della lett. a) del c. 10 dell'art.
23-bis del d.l. n. 112 del 2008, in cui si
prevede che la potestà regolamentare dello
Stato prescriva l'assoggettamento dei
soggetti affidatari diretti di servizi
pubblici locali al patto di stabilità
interno.
L'ambito di applicazione del patto di
stabilità interno attiene infatti alla
materia del coordinamento della finanza
pubblica, di competenza legislativa
concorrente, e non a materie di competenza
legislativa esclusiva statale, per le quali
soltanto l'art. 117, c. 6, Cost. attribuisce
allo Stato la potestà regolamentare.
---------------
La disciplina del servizio idrico integrato
va ascritta alla competenza esclusiva dello
Stato nelle materie "tutela della
concorrenza" e "tutela dell'ambiente"
e, pertanto, è inibito alle Regioni derogare
a detta disciplina. Ne consegue che, è
costituzionalmente illegittimo il c. 1
dell'art. 4 della l. R. Liguria n. 39/2008,
in quanto attribuisce alla Giunta regionale
una serie di competenze amministrative
spettanti al COVIRI (ora CONVIRI), ai sensi
dell'art. 161, c. 4, l. c), del d.lgs. n.
152 del 2006. Risulta così violato l' art.
117, c. 2, lett. s), Cost., che riserva allo
Stato la competenza legislativa nella
materia "tutela dell'ambiente".
Inoltre, è costituzionalmente illegittimo il
c. 4 dell'art. 4 della l.R. Liguria n.
39/2008, il quale prevede la competenza
dell'Autorità d'àmbito a provvedere
all'affidamento del servizio idrico
integrato, "nel rispetto dei criteri di
cui all'articolo 113, c. 7, del d.lgs.
267/2000 e delle modalità di cui agli
articoli 150 e 172 del d.lgs.152/2006".
La norma censurata impone, infatti,
l'applicazione del c. 5 dell'art. 113 TUEL,
cioè di un comma abrogato per
incompatibilità dall'art. 23-bis del d.l. n.
112/2008, con il quale, pertanto, si pone in
contrasto. In particolare, il citato c. 5
dell'art. 113 è palesemente incompatibile
con i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis,
perché disciplina le modalità di affidamento
del SPL in modo difforme da quanto previsto
da detti commi.
Sono, altresì, costituzionalmente
illegittimi i commi 5 e 6 dell'art. 4 della
l. R. Liguria n. 39/2008, in quanto tali
norme impongono l'applicazione del c. 15-bis
dell'art. 113 TUEL, abrogato per
incompatibilità dall'art. 23-bis, con il
quale, pertanto, si pone in contrasto. Il
citato c. 15-bis dell'art. 113 TUEL,
infatti, è incompatibile con il suddetto
art. 23-bis, perché disciplina il regime
transitorio degli affidamenti diretti del
servizio pubblico locale in modo difforme da
quanto previsto dal parametro interposto. Ne
deriva, pertanto, la violazione dell'art.
117, c. 2, lett. e), Cost.
Infine, è costituzionalmente illegittimo il
c. 14 dell'art. 4 della l.R. Liguria n.
39/2008, il quale affida all'Autorità d'àmbito
territoriale ottimale (AATO) la competenza a
definire "i contratti di servizio, gli
obiettivi qualitativi dei servizi erogati,
il monitoraggio delle prestazioni, gli
aspetti tariffari, la partecipazione dei
cittadini e delle associazioni dei
consumatori di cui alla l.r. 02.07.2002, n.
26", in quanto si pone "in contrasto
con la normativa statale", cioè con il
c. 4, lett. c), del nuovo testo dell'art.
161 del d.lgs. n. 152/2006, il quale ha
attribuito al COVIRI la relativa competenza.
Anche in tal caso, infatti, la Regione è
intervenuta, nella materia "tutela
dell'ambiente", attribuendo all'Autorità
d'àmbito una serie di competenze
amministrative spettanti, invece, al COVIRI
(ora CONVIRI), ai sensi dell'art. 161, c. 4,
lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006, ed
ha pertanto violato l'art. 117, c. 2, lett.
s), Cost.
-----------------
E' costituzionalmente illegittimo il c. 1
dell'art. 1 della l. R. Campania n. 2/2010,
il quale prevede la competenza della
medesima Regione a disciplinare il servizio
idrico integrato regionale come servizio
privo di rilevanza economica ed a stabilire
autonomamente sia le forme giuridiche dei
soggetti cui affidare il servizio sia il
termine di decadenza degli affidamenti in
essere, in quanto essa si pone in contrasto
con gli artt. 141 e 154 del d.lgs. n. 152
del 2006, l'art. 23-bis del d.l. n.
112/2008, il d.l. n. 135 del 2009 e l'art.
113 TUEL, che ricomprendono il servizio
idrico integrato tra i servizi dotati di
rilevanza economica.
La disciplina statale pone una nozione
generale e oggettiva di rilevanza economica,
alla quale le Regioni non possono sostituire
una nozione meramente soggettiva, incentrata
cioè su una valutazione discrezionale da
parte dei singoli enti territoriali e
ponendosi, altresì, in contrasto con il
regime transitorio disciplinato dall'art.
23-bis del d.l. n. 112/2008, il quale non
può essere oggetto di deroga da parte delle
Regioni (Corte Costituzionale,
sentenza 17.11.2010 n. 325 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
E' legittimo il provvedimento di
decadenza dell'attestazione S.O.A.
rilasciata sulla base di falsa
documentazione, nonostante la falsità non
sia imputabile all'impresa che l'ha
conseguita.
Nell'ipotesi di un'attestazione S.O.A.
rilasciata sulla base di falsa
documentazione, sussiste la responsabilità
dell'impresa che, al fine di ottenere la
suddetta certificazione, abbia delegato
l'intera attività procedurale ad un
professionista esterno, in quanto ciò che
rileva in vista dell'annullamento
dell'attestazione in siffatte ipotesi, è la
circostanza oggettiva della falsità dei
documenti sulla base dei quali essa è stata
conseguita, a prescindere da qualsivoglia
ricerca sulla imputabilità soggettiva del
falso.
In altre parole, rileva la nozione oggettiva
di imputabilità, per la quale la colpa deve
consistere nell'inosservanza della normale
diligenza, intesa come sforzo volitivo e
tecnico da parametrare ad obiettivi canoni
sociali e professionali di condotta; la
circostanza di aver fatto ricorso ad un
professionista esterno per la cura del
rilascio di un'attestazione non può
rappresentare, per la società richiedente,
un motivo di esonero da un eventuale
controllo in ordine alle modalità con cui il
terzo esegue la suddetta attività, e ciò in
virtù della facoltà di controllo prevista
dall'art. 2224 c.c. in materia di contratto
d'opera, applicabile alla prestazione di
opera intellettuale in forza del rinvio di
cui all'art. 2230 c.c..
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il
provvedimento di decadenza
dell'attestazione, nonostante la falsità non
sia imputabile all'impresa che l'ha
conseguita (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.11.2010 n. 8054 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
I pareri legali che rappresentano
un passaggio istruttorio di un procedimento
amministrativo in corso sono soggetti
all’accesso mentre quelli che sono chiesti
dall’Amministrazione al fine di definire la
propria strategia difensiva nei contenziosi,
non destinati a sfociare in una
determinazione amministrativa finale,
restano riservati e non possono essere
oggetto di ostensione.
Costituisce, ormai, affermazione costante
della giurisprudenza quella secondo cui i
pareri legali che rappresentano un passaggio
istruttorio di un procedimento
amministrativo in corso sono soggetti
all’accesso mentre quelli che sono chiesti
dall’Amministrazione al fine di definire la
propria strategia difensiva nei contenziosi,
non destinati a sfociare in una
determinazione amministrativa finale,
restano riservati e non possono essere
oggetto di ostensione (per tutte, da ultimo,
Cons. Stato, sez. VI, 30.09.2010, n. 7237)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 11.11.2010 n. 33419 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
In riferimento ai dipendenti
degli enti locali, lo svolgimento di
mansioni superiori non assume rilievo
neanche per ciò che riguarda la mera
maggiorazione retributiva.
Il Collegio osserva che pur non essendo
controverso nella specie l’avvenuto
svolgimento delle mansioni superiori,
riveste carattere decisivo l’orientamento
giurisprudenziale -pienamente condivisibile-
secondo il quale il diritto del dipendente
pubblico, che abbia svolto mansioni
superiori, al trattamento economico relativo
alla qualifica immediatamente superiore, va
riconosciuto con carattere di generalità
solo a decorrere dalla data di entrata in
vigore dell'art. 15 D.Lgs. 29.10.1998, n.
387 (22.11.1998), atteso il carattere
innovativo delle disposizioni in esso
contenute che non riverbera in alcun modo la
propria efficacia su situazioni pregresse,
né è rilevante la circostanza che si tratti
di mansioni superiori protratte nel tempo
anche se con assegnazione mediante atti
formali di incarico, a meno che tali effetti
derivino da una espressa previsione
normativa e salvo il diritto alle differenze
retributive per il periodo successivo
all'entrata in vigore del citato art. 15 del
D.Lgs. n. 387 del 1998, circostanza che
nella specie non è neppure riscontrabile
attesa la durata del rapporto di lavoro del
ricorrente presso il Comune dal marzo 1980
al 15.01.1988 (cfr. da ultimo, Cons. Stato,
sez. IV, 16.07.2010, n. 4596; idem, sez. V,
17.09.2010, n. 6949; TAR Lazio, Roma, sez.
III, 07.07.2010, n. 23246).
A ciò va aggiunto, inoltre, che con
riferimento ai dipendenti degli enti locali,
lo svolgimento di mansioni superiori non
assume rilievo neanche per ciò che riguarda
la mera maggiorazione retributiva, tenuto
conto che -già prima delle previsioni degli
artt. 56 e 57, D.Lgs. 03.02.1993, n. 29- la
norma speciale, di cui all'art. 72 del
D.P.R. 13.05.1987, n. 268, prevedeva la
corresponsione della retribuzione per lo
svolgimento di funzioni superiori soltanto
nel caso di incarichi di livello
dirigenziale, formalmente attribuiti,
relativamente a posti di responsabili delle
massime strutture organizzative dell'Ente,
subordinandola peraltro al formale
conferimento dell'incarico da parte dei
competenti organi di vertice, non essendo
sufficiente la disposizione organizzativa
impartita dal superiore gerarchico (cfr. TAR
Marche, sez. I, 07.06.2010, n. 1222), con la
conseguenza che indipendentemente dallo
svolgimento in concreto delle pretese
mansioni superiori, lo svolgimento, in tutte
le sue forme, di mansioni superiori
nell'ambito del pubblico impiego è
irrilevante, sotto il profilo giuridico ed
economico, salvo che tali effetti derivino
da un'espressa previsione normativa.
Né appare condivisibile la tesi del
ricorrente riguardo l’applicabilità in
materia dei principi costituzionali
riguardanti la proporzionalità e sufficienza
della retribuzione del lavoratore né quelli
di cui all’art. 13 dello Statuto dei
lavoratori, quest’ultimo non applicabile nel
settore del pubblico impiego.
Ed invero, la pretesa di chi venga adibito a
mansioni superiori ad una retribuzione più
elevata rispetto a quella stabilita dalla
normativa di settore non può trovare
fondamento nell'art. 36 Cost., considerato
che, tale norma non trova incondizionata
applicazione nel rapporto di pubblico
impiego, concorrendo in detto ambito altri
principi di pari rilevanza costituzionale,
quali quelli previsti dall'art. 98 Cost.
che, nel disporre che i pubblici impiegati
sono al servizio esclusivo della Nazione,
vieta che la valutazione del rapporto di
pubblico impiego sia ridotta alla pura
logica del rapporto di scambio, e dall'art.
97 Cost., contrastando l'esercizio di
mansioni superiori, rispetto alla qualifica
rivestita, con il buon andamento e
l'imparzialità dell'Amministrazione, nonché
con la rigida determinazione delle sfere di
competenza, attribuzioni e responsabilità
dei dipendenti; tale contrasto impedisce
anche l'applicazione di istituti civilistici
quali il rapporto contrattuale di fatto, la
gestione di affari altrui o l'arricchimento
senza causa (cfr. Cons. Stato, sez. V,
25.05.2010, n. 3314; TAR Puglia, Bari, sez.
III, 15.04.2010, n. 1386; TAR Lazio Roma,
sez. III, 01.06.2010, n. 14507).
E al riguardo va precisato che non possono
ritenersi rilevanti a tale scopo i meri
ordini di servizio o le altre attestazioni a
carattere meramente ricognitivo, allegati in
atti, poiché essi non raggiungono lo scopo
dell’investitura formale, soprattutto sotto
il profilo della certezza delle situazioni
giuridiche e della spesa pubblica, previa
necessità di previsione normativa.
Peraltro, va posto in rilievo che il diritto
del pubblico dipendente al corrispettivo ex
art. 2041 c.c., per l'espletamento di
mansioni superiori, non può fondarsi
sull'ingiustificato arricchimento
dell'amministrazione, non sussistendo i
presupposti dell'azione generale di
arricchimento, atteso che l'esercizio di
mansioni superiori rispetto a quelle della
qualifica rivestita, svolte durante
l'ordinaria prestazione lavorativa, non
risulta aver arrecato alcuna effettiva
diminuzione patrimoniale ai danni del
dipendente ossia il c.d. depauperamento, che
dell'azione in parola è requisito essenziale
(cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 23.02.2000, n.
11; idem, sez. V, 02.08.2010, n. 5064; TAR
Lombardia, Milano, sez. I, 21.04.2010, n.
1108).
Infine, la domanda del ricorrente risulta,
altresì, inammissibile anche in
considerazione della particolarità della
pretesa, in disparte la carenza dei predetti
requisiti per il riconoscimento delle
differenze retributive, anche perché si
tratta di richiesta di mansioni superiori "per
saltum", non ammesse nell’ambito del
pubblico impiego essendo possibile soltanto
-ricorrendone le condizioni e la sussistenza
dei requisiti- l'attribuzione ad un
dipendente inquadrato in una qualifica
immediatamente inferiore rispetto a quella
del dipendente il cui posto si sia reso
vacante, previa previsione normativa (cfr.
TAR Campania, Salerno, sez. II, 10.07.2001,
n. 1065; TAR Sicilia Catania, sez. III,
10.02.2004, n. 179) (TAR Lazio-Roma, Sez.
II-bis,
sentenza 11.11.2010 n. 33413 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Secondo
i giudici amministrativi toscani "l'area
direttiva" ex all’art. 110 del d.lgs.
18.08.2000, n. 267 non può che identificarsi
nella categoria D.
La presente vicenda trae origine dalla
scelta dell’Amministrazione di conferire
l’incarico di responsabile dell'ufficio di
pianificazione urbanistica mediante ricorso
alle potestà di cui all’art. 110 del d.lgs.
18.08.2000, n. 267 anziché con indizione di
pubblico concorso o scorrimento della
graduatoria concorsuale, nella quale il
ricorrente era il primo degli idonei.
Con il ricorso originario il ricorrente
impugna la deliberazione di Giunta e il
presupposto regolamento comunale
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi
lamentando che l'incarico affidato al
controinteressato supererebbe il limite del
totale della dotazione organica della
dirigenza e dell'area direttiva entro il
quale è consentita l'assunzione di soggetti
esterni all'amministrazione.
A suo dire infatti la percentuale di
incarichi che possono essere affidati
all'esterno, stabilita nella misura del 4%
dal regolamento comunale sull'ordinamento
degli uffici e dei servizi, dovrebbe essere
calcolata sulla base oltre che del personale
dirigenziale, dei soli funzionari titolari
di posizioni organizzative.
Il Tribunale amministrativo di Firenze ha
ritenuto tale motivo di ricorso infondato
spiegando che l’art. 110 del d.lgs. 267/2000
individua la base su cui calcolare la
percentuale di incarichi conferiti a tempo
determinato nella “dotazione organica
della dirigenza e dell'area direttiva”.
Non essendo in contestazione il significato
del primo termine, il ricorrente sostiene
che l'area direttiva da prendere in
considerazione a tal fine consisterebbe nei
soli funzionari con responsabilità di
posizione organizzativa.
I giudici toscani, tuttavia, non concordano
con questa ricostruzione attestando che la
norma deve essere interpretata alla luce
dell'inquadramento del personale effettuato
dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
del 31.03.1999, che ha istituito la
categoria “D” prevedendo all’art. 8 che al
suo interno possano essere istituite
posizioni di lavoro “che richiedono, con
assunzione diretta di elevata responsabilità
di prodotto e di risultato:
a) lo svolgimento di funzioni di direzione
di unità organizzative di particolare
complessità, caratterizzate da elevato grado
di autonomia gestionale e organizzativa;
b) lo svolgimento di attività con contenuti
di alta professionalità e specializzazione
correlate a diplomi di laurea e/o di scuole
universitarie e/o alla iscrizione ad albi
professionali;
c) lo svolgimento di attività di staff e/o
di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza
e controllo caratterizzate da elevate
autonomia ed esperienza”.
Si tratta delle “posizioni organizzative”
che non costituiscono però una categoria a
sé stante, ma una specificazione dei compiti
e delle responsabilità attribuite a taluni
dipendenti inquadrati nella generale
categoria D.
L’art. 110 del d.lgs. 267/2000 non fa
riferimento a posizioni organizzative ma ad
una generale “area direttiva”,
alludendo quindi ad una categoria generale
di inquadramento del personale, che alla
luce delle previsioni del suddetto C.C.N.L.
non può che identificarsi nella categoria D.
L’interpretazione appare coerente con il
dato letterale della legge, e consente anche
di contemperare le esigenze di flessibilità
proprie delle moderne amministrazioni con la
necessità di salvaguardare i principi della
trasparenza nella provvista di risorse
umane.
Le amministrazioni, in base a tale
interpretazione, hanno una disponibilità
relativamente ampia nell'individuazione di
incarichi da attribuire con contratto a
tempo determinato per rispondere ad
obiettivi ed esigenze transitorie; tuttavia
ciò possono fare solo rispettando il
principio concorsuale, e pertanto i soggetti
cui conferire gli incarichi devono essere
individuati tramite procedure selettive da
pubblicizzare adeguatamente.
Nel computo degli incarichi affidati ai
sensi dell'art. 110 del d.lgs. 267/2000 non
rientrano poi quelli relativi agli uffici
posti alle dirette dipendenze degli organi
politici per l'esercizio delle loro funzioni
di indirizzo e controllo. Per questi vige
infatti una disciplina specifica, come
correttamente deduce l'Amministrazione,
contenuta nell’art. 90 del medesimo d.lgs.
267/2000.
Trattasi di diversa ipotesi che (infatti)
viene disciplinata da una norma di specie;
l'art. 110 del d.lgs. 267/2000 trova invece
il suo ambito di applicazione relativamente
all’affidamento di incarichi all'interno
della struttura amministrativa dell'ente.
Per le medesime motivazioni non rientra nel
computo suddetto nemmeno l’affidamento
dell’incarico di direttore generale,
disciplinato dall’art. 108 del d.lgs.
267/2000
(massima tratta da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 11.11.2010 n. 6578 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Ai
fini della costituzione del raggruppamento
l’impegno a conferire il mandato collettivo
speciale con rappresentanza è componente
indefettibile dell’offerta.
Nella pronuncia in commento due imprese
S.r.l. avevano chiesto di partecipare alla
gara “come A.T.l. di tipo verticale”
da costituirsi in caso di aggiudicazione. In
sede di prequalifica, le due ditte
ricorrenti hanno chiarito che avrebbero
partecipato in A.T.I. verticale, l’una, come
“capogruppo mandataria” e l’altra,
come “mandante”.
Nella documentazione prodotta in sede di
partecipazione alla gara la prima ditta non
ha tuttavia prodotto l’impegno a conferire
il mandato irrevocabile alla seconda ai fini
della costituzione del raggruppamento,
pertanto i giudici del Consiglio di Stato
hanno ribadito il provvedimento di
esclusione adottato dalla stazione
appaltante. L’art. 37, comma 8, del D.Lgs.
n. 163 del 2006, infatti, impone ai soggetti
di cui all’art. 34, comma 1, lett. d) ed e),
l’impegno, in sede di offerta, a rilasciare
un mandato collettivo speciale con
rappresentanza ad una componente del
raggruppamento per il caso di
aggiudicazione.
La formulazione di tale impegno è una
componente indefettibile dell’offerta
richiesta da una norma primaria puntuale che
non necessita della mediazione data dalla
lex specialis.
I giudici d’appello ricordano che l’impegno
a conferire il mandato collettivo speciale
con rappresentanza e, quindi, a costituire
il raggruppamento, ha natura negoziale, ed è
elemento essenziale della «espressione
della volontà contrattuale» del
concorrente in sede di gara. Segnatamente,
continuano gli stessi giudici, se la
sottoscrizione congiunta dell'offerta
risponde all'esigenza di assicurare la
contitolarità del rapporto contrattuale tra
le imprese concorrenti, l'esigenza che,
nell'ipotesi di imprese associate, queste si
presentino unitariamente nei confronti della
controparte pubblica, resterebbe
insoddisfatta in difetto dell'impegno, da
assumere contestualmente all'offerta, a
rilasciare un mandato collettivo speciale
con rappresentanza ad una di esse per il
caso di aggiudicazione (così Consiglio
Stato, sez. V, 19.06.2003, n. 3657).
In definitiva, detto impegno mira a
garantire alla stazione appaltante la
serietà della partecipazione alla procedura
di raggruppamenti formalmente non ancora
costituiti, in guisa da garantire la
stazione appaltante in ordine all’effettiva
costituzione del soggetto collettivo
chiamato alla stipulazione del contratto a
seguito dell’aggiudicazione.
Il soddifacimento di tale interesse
richiede, in definitiva, l’assunzione di un
impegno formale giuridicamente vincolante
nei termini richiesti dalla normativa
primaria –ossia un contratto preliminare di
mandato condizionato all’aggiudicazione-
come tale non sostituibile con dichiarazioni
di altro tenore che consentano di desumere
aliunde l’intenzione di costituire il
raggruppamento temporaneo senza avere eguale
portata giuridicamente impegnativa.
Va soggiunto, concludono i giudici di
Palazzo Spada, che, nella vicenda in
rassegna, detto impegno non è stato prodotto
neanche in sede di prequalifica, pertanto,
vertendosi in tema di deficienza sostanziale
di un documento teleologicamente essenziale
e non di mera irregolarità della
documentazione, non sussistono, alla luce
del principio della par condicio. i
presupposti per la regolarizzazione della
documentazione mediante il cd. dovere di
soccorso amministrativo
(massima tratta da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 10.11.2010 n. 7996 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di una costituenda A.T.I. verticale che
abbia omesso di produrre l'impegno a
rilasciare un mandato collettivo speciale
con rappresentanza ad una componente del
raggruppamento per il caso di
aggiudicazione.
L'art. 37, c. 8, del D.Lgs. n. 163 del 2006,
impone ai soggetti di cui all'art. 34, c. 1,
lett. d) ed e), l'impegno, in sede di
offerta, a rilasciare un mandato collettivo
speciale con rappresentanza ad una
componente del raggruppamento per il caso di
aggiudicazione.
La formulazione di tale impegno è una
componente indefettibile dell'offerta
richiesta da una norma primaria puntuale che
non necessita della mediazione data dalla
lex specialis; inoltre, l'impegno a
conferire il mandato collettivo speciale con
rappresentanza e, quindi, a costituire il
raggruppamento, ha natura negoziale, ed è
elemento essenziale della "espressione
della volontà contrattuale" del
concorrente in sede di gara.
Detto impegno mira a garantire alla stazione
appaltante la serietà della partecipazione
alla procedura di raggruppamenti formalmente
non ancora costituiti, in guisa da garantire
la stazione appaltante in ordine
all'effettiva costituzione del soggetto
collettivo chiamato alla stipulazione del
contratto a seguito dell'aggiudicazione.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il
provvedimento di esclusione adottato da una
stazione appaltante nei confronti di una
costituenda A.T.I. "verticale", la
cui impresa mandante, in sede di
prequalifica, abbia omesso di produrre
l'impegno a rilasciare un mandato collettivo
speciale con rappresentanza ad una
componente del raggruppamento, in vista di
una eventuale, futura aggiudicazione.
Va aggiunto che il suddetto impegno non è
stato prodotto neanche in sede di
prequalifica e che, vertendosi in tema di
deficienza sostanziale di un documento
teleologicamente essenziale e non di mera
irregolarità della documentazione, non
sussistono, alla luce del principio della
par condicio, i presupposti per la
regolarizzazione della documentazione
mediante il cd. dovere di soccorso
amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.11.2010 n. 7996 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Codice del processo amministrativo:
annullamento del contratto d'appalto per
gravi violazioni.
Il TAR Toscana, Sez. I, con
sentenza 10.11.2010 n. 6570 ha
-tra le altre cose- dichiarato inefficace
con effetto retroattivo un contratto
stipulato per la fornitura di servizi
editoriali e di prodotti per la
comunicazione istituzionale, facendo
applicazione dell'articolo 121 del Codice
del processo amministrativo (Inefficacia del
contratto nei casi di gravi violazioni).
Nella fattispecie il contratto di cottimo
fiduciario era stato stipulato a distanza di
nove giorni dal provvedimento di
aggiudicazione, con violazione del termine
dilatorio (di 35 giorni) stabilito dall’art.
11, comma 10, del decreto legislativo
12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti).
Il che a dire, come evidenzia il TAR, che se
nell'articolo 122 la decisione circa
l'inefficacia del contratto é rimessa alla
valutazione discrezionale del Collegio,
qualora ci si imbatta in una delle
fattispecie elencate del'articolo 121
l'esito è obbligato.
Nessuna nuova, dunque, dalla decisione, che
merita invece di essere segnalata per
l'applicazione anche alle procedure di
affidamento mediante cottimo fiduciario
delle disposizioni di cui al citato art. 11,
comma 10, del codice dei contratti, che a
sua volta richiama l’art. 79 del codice dei
contratti pubblici, riguardante gli obblighi
informativi che gravano sulle stazioni
appaltanti in ordine all'esito dei
procedimenti di aggiudicazione degli
appalti.
Dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n.
53/2010 -afferma il TAR- l'obbligo di
comunicazione del provvedimento di
aggiudicazione definitiva ex art. 79, comma
5, lett. a), e la clausola standstill
cui al citato (e novellato) art. 11, comma
10, sono divenuti funzionali a garantire
la tempestività e dunque l'efficacia
dell'esercizio del diritto di agire in
giudizio da parte dei concorrenti che si
ritengano ingiustamente pregiudicati
dall'esito della gara; e poiché tale
obiettivo è privilegiato dall'ordinamento
nazionale ed europeo rispetto alla celerità
nella conclusione del contratto, appare
logico ritenere che tanto i menzionati
obblighi informativi ex art. 79 quanto la
clausola standstill ex art. 11, comma 10,
sono applicabili anche al cottimo
fiduciario, perché finalizzati ad assicurare
l’effettività di un principio fondamentale e
generale nel settore dei contratti pubblici,
che oltretutto non attiene specificamente
alle modalità di svolgimento della procedura
di affidamento, a cui fa riferimento il
comma 11 dell’art. 125.
Nel caso di specie la clausola in questione
è rimasta inosservata e ciò ha privato il
ricorrente della possibilità di proporre
ricorso a questo TAR prima della
stipulazione del contratto.
Risulta quindi concretata la fattispecie di
cui all’art. 121, comma 1, lett. c), del
codice del processo amministrativo, così che
il TAR -dopo aver annullato l'aggiudicazione
definitiva impugnata- si è visto tenuto a
dichiarare l'inefficacia del contratto in
questione non ravvisandosi (e non essendo
neppure state prospettate) esigenze di segno
contrario, ai sensi del comma 2 del citato
art. 121 (e risultando irrilevante il
richiamo contenuto nella memoria conclusiva
della controinteressata, a pretese ragioni
di urgenza, genericamente affermate, che
giustificherebbero l'inosservanza della
clausola standstill) (commento tratto e
link a http://studiospallino.blogspot.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
dalla gara di un concorrente che abbia
omesso di rendere la dichiarazione relativa
alla sussistenza di una pronuncia ex art.
444 c.p.p.
Sul potere della stazione appaltante di
richiedere ai concorrenti, ai fini della
partecipazione ad una gara, dichiarazioni
ulteriori e più restrittive rispetto a
quelle previste dall'art. 38 del d.lgs. n.
163/2006.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un concorrente che abbia omesso
la dichiarazione relativa ad una sentenza
penale di condanna pronunciata, ai sensi
dell'art. 444 c.p.p., a carico di un
amministratore non più socio dell'impresa, e
ciò in violazione di quanto prescritto dalla
lex specialis di gara, in quanto
detta mancanza integra una dichiarazione
mendace. Inoltre, l'eventuale decorso del
termine, prescritto dall'art. 445 comma 2
c.p.p ai fini dell'estinzione del reato, non
opera automaticamente, ma necessita di una
pronuncia del giudice dell'esecuzione che
accerti concretamente la sussistenza dei
presupposti, cui la norma subordina
l'effetto estintivo.
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La stazione appaltante ha il potere di
richiedere ai concorrenti, ai fini della
partecipazione ad una gara pubblica,
dichiarazioni più specifiche e maggiormente
restrittive rispetto a quelle prescritte
dall'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006; essa,
infatti, può imporre il rilascio di una
dichiarazione relativa a tutte le condanne
penali, anche a quelle per le quali le
imprese partecipanti abbiano usufruito del
beneficio della non menzione.
L'incompletezza di tali dichiarazioni
integra la violazione, da un lato, di una
prescrizione imposta dalla disciplina di
gara, dall'altro del più generale obbligo di
rendere autodichiarazioni veritiere, il che
legittima, di conseguenza, un provvedimento
di esclusione dalla gara.
Peraltro, spetta all'Amministrazione
appaltante, e non già al concorrente,
valutare la gravità del reato e la sua
incidenza sul requisito della moralità
professionale (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 10.11.2010 n. 6569 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel costituire una servitù di uso
pubblico il requisito della protrazione
dell’uso stesso da tempo immemorabile deve
essere rigorosamente dimostrato.
Come ripetutamente rilevato in
giurisprudenza, affinché su di un’area possa
dirsi costituita una servitù di uso
pubblico, devono sussistere i tre requisiti
del passaggio esercitato iure servitutis
publicae da una collettività di persone
qualificate dall’appartenenza ad una
comunità territoriale, della concreta
idoneità dell’area a soddisfare esigenze di
interesse generale e di un titolo valido a
sorreggere l’affermazione del diritto di uso
pubblico, potendo tale ultimo requisito
identificarsi nell’acquisto per usucapione
(per decorso del termine ventennale) ovvero
nella protrazione dell’uso stesso da tempo
immemorabile –la quale tuttavia deve essere
rigorosamente dimostrata–, onde si rende
necessaria la prova specifica di un
effettivo e pacifico uso dell’area da parte
della generalità dei cittadini e
dell’acquiescenza del proprietario, per non
essere sufficiente che le singole
utilizzazioni dedotte a prova dell’esistenza
della servitù si risolvano in sporadici
episodi svoltisi in maniera discontinua e
per tolleranza del legittimo proprietario,
tanto più che anche la costituzione di una
servitù di uso pubblico mediante dicatio
ad patriam postula un comportamento del
proprietario univocamente rivolto, con
carattere di continuità e non di precarietà
e tolleranza, a porre a disposizione del
pubblico una cosa propria oggettivamente
idonea al soddisfacimento di un’esigenza
comune alla collettività (v. in questi
termini, TAR Lombardia, Brescia, n.
1365/2005 cit.).
Nella fattispecie, però, l’Amministrazione
comunale non ha fornito elementi che
dimostrino l’uso continuativo del bene da
parte della comunità locale per un periodo
di tempo utile alla costituzione
dell’invocata servitù di uso pubblico,
essendosi la stessa limitata a richiamare
tale circostanza senza fornire riscontri
oggettivi di alcun tipo, salva l’esibizione
di fotografie che evidenzierebbero sì il
pregresso libero accesso all’area ma non
anche la risalenza e l’ininterrotto
protrarsi nel tempo di tale situazione, e
neppure risulta documentato, o in altro modo
comprovato, l’asserito ripetersi degli
interventi di manutenzione e delle altre
attività che, a dire dell’ente locale,
contraddistinguerebbero l’uso pubblico del
bene.
E’ pur vero, poi, che la ricorrente aveva
dato il proprio assenso ai lavori comunali
di riqualificazione della zona comprendenti
l’area in esame, ma non aveva ella in tal
modo inteso anche prestare acquiescenza ad
una destinazione pubblica del bene, rispetto
al quale anzi aveva comunicato
all’Amministrazione la volontà di “…conservazione
dei diritti di utilizzazione della piazza
come attualmente esistenti e/o esercitati,
senza alcuna rinuncia al riguardo …” (v.
nota del 04.02.2004) (TAR Emilia
Romagna-Parma,
sentenza 10.11.2010 n. 487 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’incameramento della cauzione
provvisoria è sempre possibile non solo per
la mancata stipula del contratto, ma anche
per dichiarazioni comunque non veritiere.
Il TAR ha giustamente rammentato, sul piano
generale, che l’incameramento della cauzione
provvisoria è sempre possibile non solo per
la mancata stipula del contratto, ma anche
per dichiarazioni comunque non veritiere “poiché
la cauzione provvisoria si profila come
garanzia del rispetto dell’ampio patto
d’integrità cui si vincola chi partecipa a
gare pubbliche” (cfr. Cons. St., Sez. V,
06.04.2009, n. 2140; Sez. IV, 20.07.2007, n.
4098).
Il TAR, inoltre, altrettanto correttamente
ha ritenuto legittima la segnalazione
all'Autorità di Vigilanza, trattandosi,
anche questo, di adempimento vincolato ai
sensi dell’art. 48, 1° comma, D.Lgs. n.
163/2006, in conseguenza della omessa
dimostrazione dei requisiti di
partecipazione alla gara (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 09.11.2010 n. 7963 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità della proroga
del termine relativo alla presentazione
delle offerte, qualora lo stesso sia stato
comunicato a tutti i concorrenti prima della
scadenza del termine originario.
E' legittimo e, pertanto, non integra
violazione della par condicio dei
concorrenti, l'operato di una stazione
appaltante che abbia concesso una proroga
del termine relativo alla presentazione
delle offerte, previa comunicazione della
stessa ai concorrenti interessati, prima
della scadenza del termine originario, in
quanto secondo un consolidato orientamento
della giurisprudenza amministrativa, non
risulta violato il suddetto principio,
allorquando la proroga sia stata comunicata
espressamente alle imprese invitate,
consentendo loro, in tal modo, di migliorare
l'offerta già presentata; in siffatta
ipotesi, è rimessa alla discrezionalità
della stazione appaltante la valutazione
motivata della opportunità della proroga del
termine; nel caso di specie, la stazione
appaltante, avendo ricevuto numerose istanze
di proroga motivate con la difficoltà della
predisposizione del progetto ed avendo
riscontrato il mancato arrivo di offerte per
la gara, si è legittimamente determinata nel
senso della proroga, e ciò a tutela
dell'interesse pubblico ed in omaggio al
principio della massima partecipazione alla
procedura concorsuale (TAR Lombardia-Milano,
Sez. I,
sentenza 09.11.2010 n. 7214 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'azione avverso la DIA non può
essere esperita oltre i termini previsti per
l'azione contro i titoli edilizi tipici e
nominati, quali il permesso di costruire, la
concessione o l’autorizzazione edilizia.
Sono noti al Collegio i diversi orientamenti
giurisprudenziali che si fronteggiano
riguardo alla natura della DIA
(qualificabile come atto di natura
privatistica oppure come vera e propria
autorizzazione implicita di natura
provvedimentale).
Questo Tribunale ha, tuttavia, già
manifestato adesione all'orientamento
secondo cui la DIA sia da assimilarsi ad un
provvedimento assentivo espresso (cfr. TAR
Marche 27.09.2010 n. 3305 che richiama Cons.
Stato, Sez. VI, 05.04.2007 n. 1550 e Sez. IV,
13.01.2010, n. 72), con la conseguenza che
dopo il decorso del termine di 30 giorni
previsto per la verifica dei presupposti e
requisiti di legge, ossia dopo il
consolidarsi del titolo edilizio,
l’Amministrazione può provvedere
all’adozione di eventuali atti repressivi
solo dopo aver esercitato i propri poteri di
autotutela, qualora ne ricorrano i
presupposti di legge (cfr. Cons. Stato, Sez.
IV, 10.12.2009, n. 7730).
L'odierno Collegio non intravede elementi
per aderire ora al diverso orientamento
privatistico.
Va comunque osservato che entrambi gli
orientamenti paiono concordare nel ritenere
che l'azione avverso la DIA non possa essere
esperita oltre i termini previsti per
l'azione contro i titoli edilizi tipici e
nominati, quali il permesso di costruire, la
concessione o l’autorizzazione edilizia
(cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 13.01.2010 n.
72; id. IV, 25.11.2008 n. 5811; id.
29.07.2008 n. 3742; id. 12.09.2007 n. 4828;
id. 05.04.2007 n. 1550, per l'orientamento
provvedimentale, e Cons. Stato, Sez. VI,
09.02.2009 n. 717 per l'orientamento
privatistico).
In sostanza la determinazione del dies a
quo per impugnare la DIA o per
contestare il silenzio-inadempimento serbato
dal Comune, segue la tesi tradizionale,
ossia quella secondo cui, al fine della
decorrenza del termine per l'impugnazione di
una concessione edilizia rilasciata a terzi,
l'effettiva conoscenza dell'atto si ha
quando la costruzione realizzata rivela in
modo certo ed univoco le essenziali
caratteristiche dell'opera e l'eventuale non
conformità della stessa al titolo o alla
disciplina urbanistica, sicché, in mancanza
di altri ed inequivoci elementi probatori,
il termine decorre non con il mero inizio
dei lavori, bensì con il loro completamento,
a meno che non si deducano l'assoluta
inedificabilità dell'area o analoghe
censure, nel qual caso risulta sufficiente
la conoscenza dell'iniziativa in corso (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 08.07.2002 n. 3805).
Del resto questo Collegio osserva che
dilungare ulteriormente il termine per
proporre l'azione giudiziaria violerebbe il
principio di certezza alle situazioni
giuridiche poiché, in caso contrario, si
finirebbe per ammettere “sine die” la
contestabilità di un intervento edilizio
realizzato mediante DIA, poiché sarebbe
sufficiente presentare, in qualunque tempo,
una semplice denuncia di contrasto tra il
titolo e la relativa disciplina, per
rimettere tutto in discussione (peraltro
disponendo del termine lungo per denunciare
la pretesa illegittima inerzia
dell'amministrazione; termine che può essere
protratto fino ad un anno dalla scadenza del
termine assegnato all'amministrazione per
provvedere, salvo poi rinnovarlo con la
presentazione di una nuova denuncia) (TAR
Marche,
sentenza 08.11.2010 n. 3373 - TAR
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cassazione: nelle distanze tra
costruzioni regole più restrittive non sono
retroattive.
Con la
sentenza 22.09.2010 n. 20038 la
Corte di Cassazione, Sez. è
intervenuta sul tema delle distanze tra
costruzioni quando intervengano regole più
restrittive durante il corso
dell'edificazione.
La Corte di Cassazione ha affermato che
nelle distanze tra le costruzioni, eventuali
sopravvenute disposizioni più restrittive
devono essere applicate per tutte le nuove
costruzioni che siano ancora da realizzare
anche se il titolo abilitativo è stato
rilasciato precedentemente all'entrata in
vigore delle nuove disposizioni, mentre non
hanno efficacia quando si tratta di
manufatti che possono considerarsi già
completati nelle strutture essenziali (link
a www.acca.it). |
APPALTI: 1.
Impugnazione dell'aggiudicazione definitiva
che ha recepito i risultati di quella
provvisoria già oggetto di precedente
ricorso giurisdizionale definito in senso
sfavorevole al ricorrente - Necessità -
Sussiste in quanto l'aggiudicazione
definitiva ha carattere costitutivo.
2. Specificazione dei criteri di valutazione
delle offerte da parte della Commissione di
gara - Legittimità - Condizioni.
3. Sindacato giurisdizionale sulle
valutazioni tecnico discrezionali - E'
limitato alle ipotesi di palese illogicità e
travisamento dei fatti.
1.
In materia di procedure per l'affidamento di
pubblici appalti, sussiste la necessità di
autonoma impugnazione dell'aggiudicazione
definitiva, anche ove la stessa recepisca
integralmente i risultati di quella
provvisoria già oggetto di precedente
ricorso giurisdizionale definito in senso
sfavorevole al ricorrente, in quanto
soltanto l'aggiudicazione definitiva ha
natura costitutiva (Fattispecie nella quale
il Collegio ha respinto l'eccezione
dell'amministrazione resistente di
inammissibilità del ricorso per violazione
del principio del ne bis in idem. Cfr. sul
punto, anche TAR Lazio, Roma, sez. III,
02.02.2010, n. 1376).
2.
La Commissione giudicatrice in una gara
d'appalto può introdurre elementi di
specificazione e integrazione dei criteri
generali di valutazione delle offerte già
indicati nel bando di gara o nella lettera
d'invito, a condizione però che vi provveda
prima dell'apertura delle buste recanti le
offerte stesse e che non introduca nuovi
elementi di valutazione non previsti dal
bando (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.02.2010,
n. 1029).
3.
Secondo un principio ormai consolidato, le
valutazioni compiute dalla commissione di
gara frutto di apprezzamento tecnico
discrezionale sono sindacabili in sede
giurisdizionale limitatamente alle ipotesi
di palese illogicità e travisamento dei
fatti (TAR Calabria, Catanzaro, sez. II,
13.01.2010, n. 13)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 30.06.2010 n.
2670 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Valutazione
dei precedenti penali che incidono sulla
moralità professionale - Non deve basarsi su
criteri astratti ma essere parametrata alla
specificità dell'appalto da aggiudicare.
La valutazione preordinata
all'individuazione dei reati che incidono
sulla moralità professionale, e che pertanto
conducono all'esclusione dalla procedura
selettiva ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett.
c, d.lgs. n. 163/2006, non deve
cristallizzarsi in criteri astratti ed
automatici, ma deve essere parametrata alle
peculiarità dell'appalto da aggiudicare
(Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 25.11.2002 n.
6482, TAR Sicilia Palermo, sez. II,
29.03.2004 n. 606)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 17.06.2010 n.
1926 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: False
dichiarazioni rese in sede di gara -
Interdizione annuale dalle gare pubbliche -
Decorrenza - Annotazione nel casellario da
parte dell'Autorità di Vigilanza sui
Contratti pubblici.
Secondo un recente orientamento
giurisprudenziale, il termine iniziale
dell'interdizione annuale dalle gare
pubbliche per chi ha reso false
dichiarazioni in sede di svolgimento delle
operazioni concorsuali, ai sensi dell'art.
38 comma 1 lett. h, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, decorre dalla data in cui le
stesse sono state certificate dall'Autorità
di vigilanza sui Contratti pubblici con
l'annotazione nel Casellario (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 17.05.2010, n. 3125)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 17.06.2010 n.
1924 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Gara pubblica - Offerta anomala -
Contratti di lavoro a progetto del personale
- Costo del lavoro inferiore alle tabelle
ministeriali - Possibilità.
2. Sindacato giurisdizionale sull'anomalia -
Verifica sulla correttezza del criterio
tecnico e del procedimento applicativo -
Verifica dell'anomalia in sede di gara -
Giudizio di natura tecnico-discrezionale -
Giudizio della commissione sull'anomalia -
Necessità di motivazione analitica solamente
in caso di giudizio negativo.
1. Non può essere ritenuta anomala l'offerta
dell'aggiudicataria di un pubblico incanto
che, ancorché consideri un costo del lavoro
inferiore alla tabella ministeriale,
legittimamente non preveda alcune voci di
spesa previste dalla tabella, relative a
oneri pensionistici e indennità, non dovute
o dovute in ammontare inferiore al proprio
personale, né può essere in sé considerato
illegittimo l'impiego di lavoratori con
contratto a progetto, essendo ammissibili in
ogni caso rapporti di lavoro autonomo
fondati sulla collaborazione coordinata e
continuativa, genus cui detto tipo di
rapporto appartiene (TAR Friuli Venezia
Giulia Trieste, 23.02.2006, n. 144).
Peraltro, nel caso di specie, la ricorrente
non ha posto in dubbio la legittimità del
ricorso a siffatta forma flessibile di
lavoro essendosi limitata a censurare la
presunta erroneità dell'operato della
commissione di gara in sede di verifica di
anomalia dell'offerta.
2. Il sindacato giurisdizionale sull'esito
favorevole della verifica dell'anomalia
dell'offerta può anche spingersi, ove ciò
sia necessario, al profilo della correttezza
quanto a criterio tecnico e procedimento
applicativo, fermo restando che esula dal
compito del giudice il riesame delle
autonome valutazioni dell'interesse pubblico
compiute dall'amministrazione; invero,
l'apprezzamento svolto in sede di verifica
dell'anomalia dell'offerta è di natura
tecnico-discrezionale, sindacabile soltanto
per manifesta illogicità, errore di fatto,
insufficiente motivazione (TAR Liguria
Genova, sez. II, 03.02.2010, n. 233).
La motivazione del giudizio di verifica
della congruità di un'offerta anomala deve
essere rigorosa ed analitica soltanto nel
caso di giudizio negativo, mentre nel caso
di giudizio positivo non è necessario che la
relativa determinazione sia fondata su
un'articolata motivazione ripetitiva delle
medesime giustificazioni ritenute
accettabili o espressiva di ulteriori
apprezzamenti, con la conseguenza che il
giudizio favorevole di non anomalia
dell'offerta non richiede puntualità di
argomentazioni, essendo sufficiente anche
una motivazione per relationem alle stesse
giustificazioni presentate dal concorrente
sottoposto al relativo obbligo (TAR
Trentino Alto Adige-Bolzano, sez. I, 26.06.2009, n. 230; in senso contrario vedi
Tar Milano, sez. I, 20.05.2010, n. 1575)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.06.2010 n.
1885 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: Enti
Locali - Responsabile del Servizio -
Rappresentanza a stare in giudizio -
Legittimità - Condizioni.
In riferimento alla procura rilasciata
dal Responsabile del Servizio anziché dal
Sindaco deve richiamarsi l'ormai consolidato
orientamento per cui nel nuovo sistema
istituzionale e costituzionale degli enti
locali, delineato dagli art. 6, 50 e 107
dell'ordinamento degli enti locali di cui al
d.lgs. n. 267 del 2000, interpretati alla
luce della successiva evoluzione normativa e
in particolare della riforma dell'art. 114,
comma 2, cost. e dell'art. 4 L. n. 131 del
2003 di attuazione di tale riforma, lo
statuto del Comune può legittimamente
affidare la rappresentanza a stare in
giudizio ai dirigenti, nell'ambito dei
rispettivi settori di competenza, quale
espressione del potere gestionale loro
proprio, ovvero a esponenti apicali della
struttura burocratico-amministrativa del
Comune (per tutte: Cass., sez. I,
19.12.2008, n. 29837)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.06.2010 n.
1884 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Esercizio di poteri altamente
discrezionali - Necessità di equilibrio tra
interesse inciso e interesse pubblico - Sindacabilità - Limiti.
2. Provvedimento amministrativo - Contrasto
con la documentazione allegata - Vizio di
eccesso di potere per contraddittorietà
intrinseca - Sussiste.
3. Tutela risarcitoria - Presupposto
dell'illegittimità dell'atto - Necessario ma
non sufficiente - Prova dell'esistenza del
danno - Necessità - Nesso di causalità tra
evento dannoso e danno - Esistenza di tutti
gli elementi della fattispecie aquiliana -
Necessità.
1. Il punto di equilibrio tra l'interesse
inciso dal provvedimento e l'interesse
pubblico ad esso sotteso è dato dal canone
di ragionevolezza, il quale deve essere
tenuto sempre presente dall'autorità, anche
nell'esercizio di poteri altamente
discrezionali come quello in esame; canone
che segna anche i limiti del sindacato che
l'autorità giudiziaria può compiere (cfr.
TAR Lombardia Milano, sez. III, 05.06.2009, n. 3927).
Pertanto, se il
provvedimento si basa, come nel caso di
specie, su una motivazione incongrua, frutto
di apprezzamenti fuorvianti e valutazioni
irragionevoli, esso è annullabile in sede di
giudizio di legittimità.
2. E' da ritenersi illegittimo il
provvedimento il cui dispositivo contrasti
con la documentazione allegata,
espressamente dichiarata parte integrante
del provvedimento stesso, in tal senso
affetto dal vizio di eccesso di potere per
contraddittorietà intrinseca tra parti dello
stesso atto (cfr. TAR Molise, 08.06.1994, n. 135).
3. E' orientamento consolidato che, ai fini
della tutela risarcitoria l'accertamento
dell'illegittimità del provvedimento, dal
quale deriva la lesione in capo al soggetto
titolare dell'interesse legittimo,
costituisce presupposto necessario, ma non
sufficiente, affinché si configuri una
responsabilità dell'apparato amministrativo
procedente; occorre infatti la prova
dell'esistenza di un danno, che
l'interessato deve fornire, l'accertamento
del nesso di causalità diretta tra l'evento
dannoso e l'operato dell'Amministrazione e,
infine, l'imputazione dell'elemento dannoso
a titolo di dolo o colpa della Pubblica
amministrazione da ritenersi sussistente
nell'ipotesi in cui l'adozione della
determinazione illegittima, che apporti
lesione all'interesse del soggetto, si sia
verificata in violazione delle regole di
imparzialità, di correttezza e di buona
amministrazione a cui deve ispirarsi
l'attività amministrativa nel proprio
esercizio (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22.02.2010, n. 1038)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.06.2010 n.
1884 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Gara pubblica - Moralità professionale -
Valutazione di non gravità di un precedente
penale - Motivazione implicita attraverso
l'ammissione alla gara - Sufficienza.
La stazione appaltante che ritenga il
precedente penale dichiarato dal concorrente
non incisivo della sua moralità
professionale, non è tenuta ed esplicitare
in maniera analitica le ragioni di siffatto
suo convincimento, potendo la motivazione di
non gravità del reato risultare anche
implicita o per facta concludentia, ossia
con l'ammissione alla gara dell'impresa
stessa; è invece la valutazione di gravità
che richiede l'assolvimento di un
particolare onere motivazionale (TAR
Piemonte Torino, sez. I, 22.03.2010, n.
1555; TAR Liguria Genova, sez. II, 20.12.2005, n. 1774)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.06.2010 n.
1883 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: 1. Servizi pubblici locali a rilevanza
economica - Art. 23-bis, D.L. 112/2008 -
Art. 113 D.lgs. 267/2000 - Affidamento in
house - Ammissibile solamente per le
procedure già iniziate alla data di entrata
in vigore della legge di conversione -
Prevalenza sulle norme di settore con esso
incompatibili - Affidamento nel rispetto dei
principi comunitari - Necessità.
2. Servizi pubblici locali a rilevanza
economica - Affidamento in house - Art. 23-bis, DL 112/2008 - Ammissibile solamente per
le procedure già iniziate alla data di
entrata in vigore della legge di
conversione.
1. L'art. 23-bis del D.L. 112/2008 prevale
sugli ordinamenti di settore con esso
incompatibili, compreso l'art. 113 del T.U.E.L. Tale norma, infatti, prevale sugli
ordinamenti di settore con esso
incompatibili, compreso il d.lgs n. 152 del
2006 nonché sull'art. 113 del T.U.E.L. [?].
Invero l'art. 113 T.U.E.L. nella sua attuale
formulazione, vigente nella parte non in
contrasto con l'art. 23-bis del D.L. n. 112
del 2008, non prevede l'affidamento diretto
come modalità di gestione di un servizio
pubblico a rilevanza economica, stante la
necessità di applicare la disciplina
comunitaria ai servizi pubblici locali a
rilevanza economica (in tal senso: TAR
Emilia Romagna Bologna, sez. I, 29.01.2010, n. 460).
2. L'art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008,
costituisce una disposizione completamente
innovativa nel quadro della tematica dei
così detti affidamenti in house, e la
disposizione di cui all'ultimo comma, che
prevede la persistenza del regime
precedentemente in vigore relativamente alle
sole procedure già avviate all'entrata in
vigore della legge di conversione del
decreto deve essere restrittivamente intesa
(cfr. TAR Veneto Venezia, sez. I, 08.02.2010, n. 336)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
16.06.2010 n.
1882 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Associazione temporanea di imprese -
Principio della corrispondenza tra quote di
qualificazione e quote di partecipazione -
Art. 37 D.lgs. 163/2006 - Art. 95 DPR
554/1999 - Dichiarazione della quota di
partecipazione - Verifica della stazione
appaltante dei requisiti di carattere
economico e organizzativo.
2. Parallelismo tra quote di partecipazione
e quote di esecuzione - Necessità.
1. La violazione del principio di
corrispondenza sostanziale tra quote di
qualificazione e quote di partecipazione
all'A.T.I., non consente alla stazione
appaltante di poter concretamente verificare
la serietà ed affidabilità dell'offerta. Dal
combinato disposto degli artt. 37 del d.lgs.
n. 163 del 2006 e 95 del D.P.R. n. 554 del
1999 si ricava la regola secondo cui
soltanto se si impone alle imprese di
dichiarare la quota di partecipazione sin
dalla fase procedimentale è possibile per la
stazione appaltante verificare, secondo le
modalità prescritte dal codice degli
appalti, il rispetto da parte delle stesse
imprese dei requisiti di carattere economico
e organizzativo.
2. Ai sensi dell'art. 37, comma 13, i
concorrenti riuniti in raggruppamenti
temporanei devono eseguire le prestazioni
nella percentuale corrispondente alla quota
di partecipazione, secondo la regola del
parallelismo tra quote di partecipazione e
quote di esecuzione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.06.2010 n.
1879 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Contratti pubblici - Informativa antimafia
della Prefettura - Art. 10 della L. 575/1965
- Cause ostative per i soggetti condannati -
Automaticità dell'effetto interdittivo -
Art. 4 del D.lgs. 490/1994 - Divieto di
contrattazione in presenza di tentativi di
infiltrazione mafiosa - Necessità di
accertamenti - Presupposto.
L'art. 10 della L. n. 575, ai commi 1, 2 e
4, prevede una serie di misure interdittive
a carico di soggetti assoggettati a misura
di prevenzione e dispone, al comma 5-ter,
che "le disposizioni dei commi 1, 2 e 4 si
applicano anche nei confronti delle persone
condannate con sentenza definitiva o,
ancorché non definitiva, confermata in grado
di appello, per uno dei delitti di cui
all'articolo 51, comma 3- bis , del codice
di procedura penale".
L'art. 4 del D. L.vo
n. 490, al comma 1, stabilisce che "le
pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici
e gli altri soggetti di cui all'art. 1,
devono acquisire le informazioni di cui al
comma 4 prima di stipulare, approvare o
autorizzare i contratti e subcontratti".
Il
richiamato comma 4 prescrive che "il
prefetto trasmette alle amministrazioni
richiedenti, nel termine massimo di quindici
giorni dalla ricezione della richiesta, le
informazioni concernenti la sussistenza o
meno, a carico di uno dei soggetti indicati
nelle lettere d) ed e) dell'allegato 4,
delle cause di divieto o di sospensione dei
procedimenti indicate nell'allegato 1,
nonché le informazioni relative ad eventuali
tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti
a condizionare le scelte e gli indirizzi
delle società o imprese interessate.
A tal
fine il prefetto, anche avvalendosi dei
poteri di accesso e di accertamento delegati
dal Ministro dell'interno, dispone le
necessarie verifiche nell'ambito della
provincia e, ove occorra, richiede ai
prefetti competenti che le stesse siano
effettuate nelle rispettive province".
A
norma del comma 6 del medesimo articolo,
"quando, a seguito delle verifiche disposte
a norma del comma 4, emergono elementi
relativi a tentativi di infiltrazione
mafiosa nelle società o imprese
interessate", le amministrazioni cui sono
fornite le relative informazioni dal
prefetto, non possono stipulare, approvare o
autorizzare i contratti o subcontratti, né
autorizzare, rilasciare o comunque
consentire le concessioni e le erogazioni.
Le due norme (art. 10 e art. 4), come si
evince in tutta evidenza dal confronto dei
testi sopra riportati, disciplinano dunque
due ipotesi diverse: l'art. 10 della L. n.
575 prevede cause ostative che operano nei
confronti di soggetti condannati ai sensi di
fattispecie penali espressamente
individuate, mentre l'art. 4 del D.L.vo n.
490, pone un divieto di contrattazione in
presenza di accertati "tentativi di
infiltrazione mafiosa nella società tendenti
a condizionare le scelte e gli indirizzi
delle società".
Dalla prima fattispecie
discende, in via automatica, l'effetto interdittivo, mentre la seconda presuppone
una serie di accertamenti finalizzati
all'accertamento di attività di
condizionamento poste in essere da
organizzazioni mafiose, o da loro esponenti,
tendenti ad incidere sulla gestione della
società
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.06.2010 n.
1849 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Gara pubblica - Art. 83 D.lgs. 163/2006 -
Criteri di valutazione delle offerte -
Pertinenza diretta con l'oggetto del
contratto - Necessità.
Ai sensi dell'art. 83, d.lgs. 12.04.2006
n. 163, "i criteri di valutazione
dell'offerta delle imprese partecipanti
devono essere riferiti direttamente ed
esclusivamente alle prestazioni che formano
oggetto specifico dell'appalto, nel senso
che devono essere pertinenti alla natura,
all'oggetto e al contenuto del contratto"
(Consiglio Stato Sez. V, 21.11.2007 n.
5911), attesa la necessità di adeguare i
criteri al mero oggetto di gara, e quindi di
contratto (TAR Liguria Genova, sez. II,
27.02.2008 n. 335)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.06.2010 n.
1828 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Divieti di partecipazione alle gare
pubbliche - Art. 38, comma 1, lett. f del
D.lgs. 163/2006 - Gravi inadempienze in
precedenti contratti - Valutazione
discrezionale della P.A. - Vincolo della
motivazione - Sufficienza del richiamo per
relationem al precedente atto di risoluzione
contrattuale per inadempimenti del
concorrente.
L'art. 38, comma 1, lett. f), del D.lgs.
163/2006 preclude la partecipazione alle
gare d'appalto agli operatori economici che
si sono resi responsabili di gravi
inadempienze nell'esecuzione di precedenti
contratti sancendo il principio per cui la
sussistenza di tali situazioni ostative può
essere desunta da qualsiasi mezzo di prova
sulla base di una valutazione della Stazione
appaltante circa l'incidenza del fatto sul
rapporto fiduciario che deve necessariamente
legare la medesima all'aggiudicatario.
Ne
deriva che l'Amministrazione, in materia,
agisce nell'esercizio della propria
discrezionalità dovendosi ritenere vincolata
al solo obbligo di motivazione che,
peraltro, data l'ampiezza del potere
esercitato, può risolversi in un semplice
richiamo a vicende incidenti
sull'affidabilità del contraente.
L'esclusione ex art. 38, comma 1, lett. f), come la
giurisprudenza ha avuto modo di precisare,
non "presuppone il definitivo accertamento
di tale comportamento, essendo sufficiente
la valutazione fatta dalla stessa
amministrazione col richiamo per relationem
all'atto con cui, in altro rapporto
contrattuale di appalto, la stessa
amministrazione aveva provveduto alla
risoluzione per inadempimenti contrattuali.
(cfr. Cons. Stato, IV 3092 del 2007; VI Sez.
n. 1071 del 2004 e IV Sez. n. 4999 del
2006)" (Cons. Stato, Sez. V, 27.01.2010, n. 296)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.06.2010 n.
1822 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Responsabilità civile della P.A. - Schema
generale della responsabilità aquiliana -
Riconoscimento del danno al privato -
necessità di tutti gli elementi dell'art.
2043 c.c. - Antigiuridicità del
comportamento e nesso di causalità.
2. Responsabilità della P.A. - Annullamento
giurisdizionale del provvedimento impugnato
- Condizione non sufficiente per il
risarcimento del danno - Dimostrazione del
danno e del nesso causale - Necessità -
Presenza degli elementi della colpa grave,
dell'imperizia e della negligenza.
1. Secondo l'ormai prevalente orientamento
della giurisprudenza amministrativa la
responsabilità civile della pubblica
amministrazione, pur presentando
connotazioni di specialità sia in relazione
alla qualificazione pubblica ed autoritativa
del soggetto agente che in considerazione
della natura pubblica degli interessi
sottesi all'esplicazione della funzione
amministrativa, deve essere ricompresa nello
schema generale della responsabilità civile
aquiliana (cfr., sul punto, Cons. Stato,
sez. VI, 11.01.2010, n. 14, ove si
citano numerose pronunce in senso conforme).
Per poter riconoscere come responsabile
della lesione inferta alla posizione del
privato e, quindi, obbligata al risarcimento
del danno l'amministrazione, devono
sussistere, dunque, tutti gli elementi
costitutivi dell'illecito extracontrattuale
ai sensi dell'art. 2043 c.c.:
antigiuridicità del comportamento -che si
identifica con l'illegittimità dell'atto
amministrativo- danno provocato al singolo
mediante tale comportamento, nesso di
causalità tra il comportamento antigiuridico
ed il danno, elemento soggettivo.
2. Il risarcimento del danno non è una
conseguenza automatica dell'annullamento
giurisdizionale del provvedimento impugnato,
richiedendosi la positiva verifica di tutti
i requisiti previsti, e cioè la lesione
della situazione soggettiva tutelata, la
colpa dell'amministrazione, l'esistenza di
un danno patrimoniale e la sussistenza di un
nesso causale tra l'illecito ed il danno
subito e, riguardo all'elemento soggettivo,
è indispensabile accedere ad una nozione di
tipo oggettivo, che tenga conto dei vizi che
inficiano il provvedimento, nonché, in
conformità con quanto emerge dalle
indicazioni della giurisprudenza
comunitaria, della gravità della violazione
commessa dall'amministrazione, anche alla
luce dell'ampiezza delle valutazioni
discrezionali ad essa rimesse, dei
precedenti giurisprudenziali, delle
condizioni concrete e dell'apporto dato dai
privati nel procedimento.
La responsabilità
va, dunque, affermata quando la violazione
risulti grave e commessa in un contesto di
circostanze di fatto e in un quadro di
riferimenti normativi e giuridici tale da
palesare la negligenza e l'imperizia
dell'organo nell'assunzione del
provvedimento viziato; viceversa, va negata
quando l'indagine conduca al riconoscimento
di un errore scusabile, per la sussistenza
di contrasti giurisprudenziali, per
l'incertezza del quadro normativo di
riferimento o per la complessità della
situazione di fatto
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.06.2010 n.
1811 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: 1. Delibera contenente le controdeduzioni
del Comune al PRG - Atto infraprocedimentale
- Inammissibilità dell'impugnazione.
2. Vincoli preordinati all'esproprio -
Indennizzabili - Vincoli di destinazione
urbanistica - Non indennizzabili.
1. E' inammissibile l'impugnazione della
delibera con cui il Comune si pronuncia -controdeducendo- sulle osservazioni dei
privati, perché si tratta di atto infraprocedimentale, impugnabile solo con il
provvedimento regionale che approva il piano
regolatore generale (cfr. Cons. Stato IV, n.
8254/2003 e n. 544/1990; Cons. Stato, II n.
2730/95; TAR Milano II, n. 3781/2005).
2. Secondo la giurisprudenza -costituzionale e di legittimità- in
materia, sono indennizzabili soltanto i
vincoli urbanistici preordinati
all'espropriazione o di carattere
sostanzialmente espropriativo, in quanto
implicanti uno svuotamento incisivo della
proprietà; mentre non lo sono i vincoli di
destinazione imposti dal piano regolatore
per attrezzature e servizi realizzabili
anche ad iniziativa privata o promiscua, in
regime di economia di mercato, anche se
accompagnati da strumenti di
convenzionamento (ad. es. parcheggi,
impianti sportivi, mercati e strutture
commerciali, edifici sanitari, zone
artigianali, industriali o residenziali)
(cfr. Corte cost. n. 179/1999; Cons. Stato IV, n. 4340/2002, n. 3524/2005).
In questa
prospettiva le destinazioni a parco urbano,
a verde urbano, a verde pubblico, verde
pubblico attrezzato, parco giochi, e simili
si pongono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo -con le connesse
garanzie costituzionali (indennizzo o durata
predefinita)- e costituiscono espressione
di potestà conformativa (avente validità a
tempo indeterminato) quando lo strumento
urbanistico consente di realizzare tali
previsioni, non già ad esclusiva iniziativa
pubblica, ma ad iniziativa privata o
promiscua pubblico-privata, senza necessità
di ablazione del bene (Cons. Stato IV, n.
2718/2005, n. 5490/2004; vedi pure CGA n.
1017/2007, n. 1113/2008)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 10.06.2010 n.
1772 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
logge (alla pari dei balconi coperti e
tamponati) costituiscono perimetro del
fabbricato e quindi valgono ai fini del
computo delle distanze previste per le
pareti esterne.
Vale la regola per cui le logge (alla pari
dei balconi coperti e tamponati)
costituiscono perimetro del fabbricato e
quindi valgono ai fini del computo delle
distanze previste per le pareti esterne, ai
sensi dell’articolo 65 del regolamento
edilizio comunale.
Oltre alla previsione del regolamento
edilizio comunale, si può richiamare anche
l’articolo 873 codice civile, in materia di
distanze tra costruzioni, quale principio
generale della materia.
Ai sensi di tale articolo “le costruzioni
sui fondi finitimi, se non sono unite e
aderenti, devono essere tenute a distanza
non minore di tre metri. Nei regolamenti
locali può essere stabilita una distanza
maggiore.”
La giurisprudenza ritiene al proposito che
il concetto di costruzione, proprio per
l’interesse tutelato dalla norma, comprenda
tutte le opere infisse stabilmente al suolo,
anche se in legno o altro materiale idoneo.
Il concetto di costruzione, ai fini del
rispetto della regola delle distanze, non
necessariamente quindi deve essere un
edificio, ma anche un qualsiasi manufatto e
quindi anche un loggiato, come nella specie
(in tal senso, per il caso di una tettoia,
avente caratteristiche di consistenza e
stabilità o che emerge in modo sensibile dal
suolo, Cassazione civile, n. 3199 del
06.03.2002)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.06.2010 n. 3542 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso ai
documenti amministrativi - Diniego -
Applicabilità dell'art. 10-bis, L. 07.08.1990, n. 241 - Esclusa - Preavviso di
rigetto - Non occorre - Ragioni.
Deve ritenersi inapplicabile l'art. 10-bis,
L. n. 07.08.1990, n. 241 ai procedimenti
diretti ad ottenere l'accesso agli atti
amministrativi, sia in base all'elemento
testuale, in quanto l'elenco dei
procedimenti cui la norma non è applicabile
non si ritiene che abbia carattere di
tassatività, sia in base al dato
sistematico, poiché il procedimento di
accesso realizza un interesse meramente
partecipativo, strumentale alla
soddisfazione di un interesse primario, che
non si concilia con la previsione di
un'ulteriore fase subprocedimentale (Conf.
TAR Lazio Roma, sez. II, 07.01.2008,
n. 71)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 28.05.2010 n.
1707 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Risarcimento
del danno - Spese sostenute per la
partecipazione alla gara - Risarcibilità
ammessa solo in caso di illegittima
esclusione da una gara di appalto -
Risarcibilità in caso di mancata
aggiudicazione - Non sussiste - Condizioni.
Le spese sostenute da un'impresa per la
partecipazione alla gara (versamenti in
favore dell'Autorità di Vigilanza, costi
gestionali interni e di consulenza per
l'approntamento dell'offerta) rappresentano
costi qualificabili come danno emergente
unicamente in caso di illegittima
esclusione, perché solo in tale ipotesi si
palesa una lesione del diritto soggettivo
della partecipante a non essere coinvolta in
inutili trattative (Cons. Stato, Sez. VI, 04.09.2002, n. 4435), mentre in caso di
mancata aggiudicazione trovano ristoro
mediante il rinnovo delle operazioni di gara
residuando la possibilità di un risarcimento
per equivalente unicamente nel caso in cui
tale rinnovo non sia possibile (Cons. Stato,
Sez. VI, 09.06.2008, n. 2751)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 28.05.2010 n.
1705 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: 1.
Contratti
della p.a. - Impugnazione proposta da
un'impresa esclusa da una gara pubblica - Controinteressati - Onere di notifica alla
ditta aggiudicataria provvisoria - Sussiste
solo se l'esclusione è contestuale
all'aggiudicazione provvisoria.
2. Opere pubbliche - Gara - Procedura di
project financing - Proposta - Disamina -
Piano economico e finanziario "PEF" -
Rilevanza prioritaria.
3. Contratti
della p.a. - Project financing - Gara -
Concorrenti - Richiesta di chiarimenti o
integrazioni - Limiti - Rispetto della par
condicio dei concorrenti.
4. Aggiudicazione
provvisoria - Riesame - Previa comunicazione
ex art. 7 L. 7 agosto 1990, n. 241 -
Necessità - Non sussiste - Neppure
nell'ipotesi di procedura di affidamento
attraverso project financing.
1. L'aggiudicatario, anche in via
provvisoria, di una gara di appalto indetta
dalla p.a. assume la veste di soggetto controinteressato al quale deve essere
notificato il ricorso proposto dal
concorrente escluso, solo se l'esclusione e
l'aggiudicazione siano avvenute
contestualmente, nella stessa seduta di
gara, potendo la ditta esclusa rendersi
conto del fatto che la sua impugnativa
incide sulla posizione di altro soggetto
privato.
2. Nella procedura di
project financing il
piano economico finanziario "PEF"
rappresenta il nucleo centrale degli
interventi, anche perché consente di
verificare la sostenibilità della proposta
di iniziativa privata da parte del promotore
sotto il profilo dei ricavi e dei relativi
flussi di cassa attesi in rapporto ai costi
di produzione e gestione.
3. La facoltà riconosciuta alle stazioni
appaltanti di richiedere chiarimenti e
integrazioni ai concorrenti non può supplire
ad errori o dimenticanze imputabili
unicamente agli stessi -qual è la mancata
indicazione nel piano economico finanziario
"PEF" di un project financing dei costi del
personale- né consente interventi
radicalmente modificativi dei termini
negoziali dell'offerta, pena una
inammissibile violazione del principio della
par condicio dei concorrenti.
4. Il principio consolidato in tema di
procedura ad evidenza pubblica -secondo cui
stante la natura di atto endoprocedimentale
dell'aggiudicazione provvisoria, per il suo
riesame non occorre la previa comunicazione
di cui all'art. 7, L. 07.08.1990, n. 241,
versandosi ancora nell'unico procedimento
iniziato con l'istanza di partecipazione
alla gara- deve ritenersi applicabile anche
nel procedimento preordinato all'affidamento
in concessione di un'autostrada attraverso
la finanza di progetto, sul presupposto
della natura unitaria della relativa
procedura
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 28.05.2010 n.
1701 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Art.
43 Testo Unico Enti Locali - Diritti dei
consiglieri comunali - Accesso ai documenti
amministrativi - Sussiste in modo
incondizionato.
Secondo il disposto dell'art. 43 del D.Lgs.
18.08.2000, n. 267, i consiglieri
comunali hanno l'incondizionato diritto di
accesso a tutti gli atti che possano essere
d'utilità per l'espletamento del proprio
mandato, prerogativa prevista dalla legge
anche al fine di permettere loro di valutare
-con piena cognizione- la correttezza e
l'efficacia dell'operato
dell'Amministrazione, nonché per promuovere,
anche nell'ambito del Consiglio comunale, le
iniziative che spettano ai singoli
rappresentanti del corpo elettorale locale,
senza peraltro incontrare alcuna limitazione
derivante dalla natura eventualmente
riservata del documento, atteso che il
consigliere è vincolato all'osservanza del
segreto
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 20.05.2010 n.
1578 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Contratti
della p.a. - Sedute di gara -
Verbalizzazione non contestuale -
Condizioni.
2. Contratti
della p.a. - Gara - Valutazione delle
offerte - Giudizio di anomalia - Motivazione
congrua e dettagliata - Necessità - Sussiste
- Sia in caso di giudizio finale negativo,
sia in caso di giudizio finale positivo -
Ragioni.
1.
È possibile, in linea di principio, che la
verbalizzazione non sia contestuale alle
sedute di gara a condizione che la
successiva attività di documentazione
avvenga entro un termine ragionevole (Nella
specie è stato ritenuto legittimo l'operato
dell'Amministrazione che aveva provveduto ad
effettuare l'attività di verbalizzazione a
distanza di tre mesi dalla prima seduta di
gara, sul presupposto che tale lasso
temporale, considerevole se valutato in
astratto, è stato ritenuto congruo e
ragionevole essendo a cavallo della pausa
estiva del mese di agosto).
2. Deve condividersi l'orientamento
restrittivo secondo cui l'obbligo di una
adeguata motivazione si impone non solo nel
caso in cui la verifica di anomalia di
un'offerta abbia esito finale negativo, ma
anche nel caso di giudizio finale positivo e
ciò sia in ossequio all'obbligo generale di
motivazione dei provvedimenti
amministrativi, sia a tutela, negli appalti,
del principio di par condicio fra i
concorrenti (Conf. Cons. Stato, sez. IV, 22.03.2005, n. 1231; in senso contrario si
v. Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2006,
n. 5191; TAR Lombardia Milano, sez. I, 16.06.2010, n. 1885; TAR Lombardia
Milano, sez. I, 18.05.2010, n. 1560)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 20.05.2010 n.
1574 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Impiegati dello Stato - Trasferimento per
incompatibilità ambientale - Presupposti -
Valutazione da parte della p.a. - Ampia
discrezionalità - Sussiste - Obbligo di
motivazione sui motivi dell'allontanamento -
Sussiste.
Il trasferimento per incompatibilità
ambientale non ha carattere sanzionatorio o
natura disciplinare, né postula un
comportamento contrario ai doveri di
ufficio, ma è subordinato ad una valutazione
ampiamente discrezionale dei fatti, da parte
della pubblica amministrazione, che porti a
ritenere nociva per il prestigio, il decoro
e la funzionalità dell'ufficio, l'ulteriore
permanenza del dipendente in una determinata
sede lavorativa.
Nondimeno, affinché detta
valutazione non sfoci nell'arbitrio, è
necessario che siano esaminati attentamente
i fatti che hanno originato tale
incompatibilità ambientale, dandone contezza
nella parte motiva del provvedimento che
eventualmente dispone l'allontanamento del
dipendente, in conformità all'interesse
pubblico alla tutela del buon funzionamento
degli uffici e del prestigio
dell'Amministrazione stessa (cfr. TAR
Lazio Roma, sez. III, 11.09.2009, n.
8585)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 19.05.2010 n.
1567 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Contratti
della p.a. - Gara - Dichiarazioni ex art.
38, comma 1, lett. c), D.Lgs. 163/2006 -
Precedenti penali in materia di prevenzioni
di infortuni sul lavoro e lesioni personali
colpose - Obbligo di dichiarazione -
Sussiste in ogni caso - Esclusione dalla
gara - Legittima.
2. Responsabilità aquiliana - Elemento soggettivo - Incertezza
del quadro giurisprudenziale di riferimento
- Esclusione.
1. L'obbligo, posto a carico soggetti
individuati dall'art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs. 163/2006, di dichiarare tutti i
provvedimenti penali subìti -ivi incluse le
eventuali condanne per reati in materia di
prevenzione degli infortuni sul lavoro e per
lesioni personali colpose- risponde alla
finalità di consentire all'Amministrazione
la più ampia valutazione nel caso concreto,
per stabilire la rilevanza o meno di una
data condanna penale.
Il giudizio di
rilevanza non è rimesso all'apprezzamento
dell'impresa che ha, invece, l'obbligo di
dichiarare tutte le sentenze emesse nei suoi
confronti, con la conseguenza che l'omessa
indicazione, nell'ambito di
un'autocertificazione, di una sentenza di
condanna, si configura come
autocertificazione non veritiera cui
consegue l'esclusione dalla gara.
La mancata
dichiarazione, da parte dell'imprenditore,
della esistenza di condanne penali a suo
carico costituisce una circostanza che ha
valore autonomo, e che incide sulla sua
moralità professionale indipendentemente da
un'espressa previsione di esclusione
automatica nella lex specialis (Conf.
TAR Lombardia Milano, sez. I, 19.06.2008, n. 2096).
2. Non ricorre l'elemento soggettivo
dell'illecito richiesto dall'art. 2043 cod.
civ. qualora si riscontrino nella
fattispecie concreta particolari
circostanze, come l'esistenza di un
contrasto di orientamenti giurisprudenziali,
che abbiano contribuito in misura
determinante a condizionare negativamente
l'operato dell'Amministrazione.
L'incertezza
del quadro giurisprudenziale può, quindi,
essere sempre valorizzato come esimente
della colpa dell'Amministrazione, poiché la
stessa si dimensiona, non solo nella misura
oggettiva data dalla violazione della regola
di comportamento precauzionale, ma anche
nella misura soggettiva data dalla rimproverabilità del pur accertato
scostamento dal parametro dell'agente
modello, in ragione della concreta
esigibilità della condotta doverosa, in
termini di prevedibilità ed evitabilità
della lesione arrecata (Cfr. Cass., sez. I,
21.10.2005, n. 20454; TAR Lombardia
Milano, sez. III, 14.04.2010, n. 1043)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.05.2010 n.
1565 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Verifica dell'anomalia
delle offerte - Attività caratterizzata da
discrezionalità tecnica - Sindacato
giurisdizionale - Limiti.
2. Verifica dell'anomalia
delle offerte - Onere di motivazione del
giudizio di valutazione della commissione -
Soltanto in caso di valutazione negativa
delle giustificazioni fornite dall'impresa.
1. Il giudizio reso della stazione
appaltante in ordine alle giustificazioni
fornite dall'impresa nell'ambito del
procedimento di verifica di anomalia
dell'offerta costituisce esplicazione di
discrezionalità tecnica, come tale
sindacabile in sede giurisdizionale soltanto
per illogicità manifesta o travisamento dei
fatti.
2. L'onere di motivazione del giudizio
sull'anomalia dell'offerta si impone
soltanto in caso di valutazione negativa
delle giustificazioni fornite dall'impresa
in contraddittorio con la commissione,
mentre in caso di verifica positiva l'iter
logico seguito dalla commissione è arguibile
dal rinvio alle giustificazioni fornite
dall'offerta sottoposta a verifica (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 08.07.2008, n. 3406.
Contra: TAR Lombardia, Milano, sez. I, 20.05.2010, n. 1574)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.05.2010 n.
1560 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Procedure
ad evidenza pubblica - Prova di resistenza -
Verifica prognostica - Mancato ottenimento
del bene della vita - Anche in caso di
accoglimento della domanda - Effetti -
Inammissibilità del gravame.
Nelle controversie aventi per oggetto
procedure ad evidenza pubblica, non può
prescindersi dalla verifica della c.d. prova
di resistenza, con riferimento alla
posizione della parte ricorrente rispetto
alla procedura le cui operazioni sono
prospettate come illegittime, dovendosi
dichiarare inammissibile per carenza di
interesse il gravame allorquando, in esito
ad una verifica prognostica, risulti che la
parte ricorrente non otterrebbe il bene
della vita ambito nemmeno in ipotesi di
accoglimento della domanda (Nella specie,
il ricorso è stato dichiarato inammissibile
sul presupposto che all'esito di una
verifica nel Casellario Informatico delle
Imprese erano risultati carichi pendenti nei
confronti della ricorrente la quale,
inoltre, aveva presentato un'offerta con un
ribasso inferiore a quello proposto
dall'aggiudicataria, che non le avrebbe
permesso di conseguire alcun risultato utile
quand'anche ammessa alla gara. (Conf. TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 14.01.2010, n.
87; TAR Lazio Roma, sez. II, 09.12.2009, n.
12636; Cons. Stato, sez. V, 19.10.2009, n.
6406) (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.05.2010 n. 1559 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Motivazione per relationem
- Legittima - In caso di rinvio ad altro
provvedimento completo ed esaustivo - Per il
destinatario.
Un provvedimento può legittimamente essere
motivato per relationem a condizione
che il documento cui l'Amministrazione
rinvia sia completo ed esaustivo e renda
possibile la ricostruzione delle ragioni in
fatto e in diritto su cui l'Amministrazione
fonda la propria decisione (in
applicazione di tale principio il TAR ha
ritenuto illegittimo il provvedimento di
rigetto della domanda di emersione di lavoro
irregolare motivato sulla base di un
richiamo al diniego di nulla osta della
Questura recante la semplice indicazione
della condanna dell'istante per i reati di
cui agli artt. 624, 625 n. 2, 110 c.p. senza
specificare gli estremi della sentenza di
riferimento e senza dare conto di ulteriori
accertamenti o documenti)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.05.2010 n.
1557 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Opere
Pubbliche - Diritti e obblighi delle parti -
Causa di esclusione ex art. 38, comma 1,
lett. f), D.Lgs. 163/2006 - Risoluzione del
contratto d'appalto per inadempimento
dell'appaltatore - Effetti - Esclusione
dalla partecipazione a successive gare -
Legittima - Ragioni.
La risoluzione per inadempimento degli
obblighi contrattuali è circostanza di per
sé idonea ad integrare la fattispecie di
necessaria esclusione da una gara d'appalto
per l'affidamento di contratti pubblici
prevista dall'art. 38, comma 1, lett. f),
D.Lgs. 163/2006 e non presuppone neanche il
necessario accertamento in sede
giurisdizionale del comportamento di grave
negligenza tenuto dall'operatore nel corso
del pregresso rapporto contrattuale,
trattandosi di disposizione non avente
carattere sanzionatorio, bensì posta a
presidio dell'elemento fiduciario destinato
a connotare, sin dal momento genetico, gli
appalti pubblici
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.05.2010 n.
1549 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1.
Contratti della p.a. - Gara - Art. 38 comma
1, lett. c), D.Lgs. 163/2006 - Dichiarazione
su precedenti penali dichiarati estinti
dall'Autorità giudiziaria - Non necessaria.
2. Giustizia amministrativa - Bando -
Clausola relativa a requisiti di
partecipazione - Sproporzione fra l'importo
a base d'asta e l'ammontare del fatturato
medio annuo minimo - Impugnazione immediata
- Necessaria - A pena di irricevibilità del
ricorso.
1.
Nelle procedure indette per l'aggiudicazione
di appalti pubblici, i reati commessi in
passato dal partecipante e dichiarati
estinti dalla competente Autorità
giudiziaria sono ininfluenti in sede di
valutazione della sua moralità professionale
e non devono neppure essere dichiarati (Conf.
Cons. Stato, sez. V, 19.11.2009, n. 7257).
2.
E' irricevibile il gravame con cui il
ricorrente assuma la sproporzione tra
l'importo a base d'asta previsto dalla
lex specialis di gara e l'ammontare del
fatturato medio annuo minimo previsto quale
requisito di partecipazione, atteso che
-trattandosi di clausola immediatamente
lesiva perché richiedente un requisito
minimo di partecipazione alla gara- essa
deve essere impugnata nel termine di
decadenza decorrente dalla conoscenza della
stessa (Conf. Cons. Stato, sez. V,
23.06.2008, n. 3110)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 17.05.2010 n.
1524 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Consiglio
di Stato: d.i.a., e' atto privato.
Nuovo giro, nuova corsa. Contraddicendo
varie sentenze precedenti il Consiglio di
Stato afferma che la d.ia. costituisce atto
privato, non impugnabile. E' invece
impugnabile il silenzio dell p.a.
sull'istanza del privato volta a rimuoverne
gli effetti.
Cosa accadrà con la scia?
E' prioritario stabilire se sia ammissibile
l’impugnativa diretta di una d.i.a.
edilizia.
Sul punto il collegio non intende
discostarsi dalle conclusioni cui è giunta
la giurisprudenza di questo Consiglio che
reputa inammissibile una domanda di
annullamento di un atto che ha natura
oggettivamente e soggettivamente privata
(cfr. Cons. St., sez. IV, 12.03.2009, n.
1474; 19.09.2008, n. 4513, cui si rinvia a
mente dell’art. 9, l. n. 205 del 2000).
Deve pertanto essere confermata la
statuizione del primo giudice in ordine
all’inammissibilità del ricorso nrg.
4586/2004 e dei connessi motivi aggiunti
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.05.2010 n. 2919 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1.
Partecipazione alla gara da parte di imprese
in rapporto di controllo - Art. 10, comma 1-bis, L. 11.02.1994, n. 109 - Ambito
oggettivo di applicazione - Qualunque
rapporto di controllo - Effetti -
Contrarietà ai principi comunitari di parità
di trattamento e trasparenza - Sussiste.
2. Partecipazione alla
gara da parte di imprese in rapporto di
controllo - Art. 10, comma 1-bis, L.
11.02.1994, n. 109 - Influenza sul contenuto
delle rispettive offerte - Verifica in
concreto - Spetta all'Amministrazione
aggiudicatrice - Effetti - Esclusione dalla
gara - Soltanto in caso di accertata
influenza sul contenuto delle rispettive
offerte.
1.
L'art. 10, comma 1-bis, L. 11.02.1994, n.
109 -secondo cui «non possono partecipare
alla medesima gara imprese che si trovino
fra loro in una delle situazioni di
controllo previste dall'articolo 2359 codice
civile»- nella misura in cui estende il
divieto di partecipazione ad una medesima
procedura di aggiudicazione anche alle
situazioni in cui il rapporto di controllo
tra le imprese interessate sia ininfluente
rispetto al contenuto delle offerte
presentate da queste ultime, è una norma che
eccede quanto necessario per conseguire
l'obiettivo di garantire l'applicazione dei
principi di parità di trattamento e di
trasparenza previsti dall'Ordinamento
comunitario.
2.
Spetta all'Amministrazione aggiudicatrice
verificare in concreto se un rapporto di
controllo fra due o più imprese partecipanti
ad una gara abbia esercitato un'influenza
sul contenuto delle rispettive offerte
depositate dalle imprese medesime. La
constatazione di un'influenza siffatta, in
qualunque forma, è condizione sufficiente
per escludere tali imprese dalla procedura.
Per contro, la semplice constatazione
dell'esistenza di un rapporto di controllo
tra le imprese considerate, risultante
dall'assetto proprietario o dal numero dei
diritti di voto che possono esercitarsi
nelle assemblee ordinarie, non è sufficiente
affinché l'Amministrazione aggiudicatrice
possa escludere automaticamente tali imprese
dalla procedura di aggiudicazione
dell'appalto, senza verificare se un tale
rapporto abbia avuto un impatto concreto sul
loro rispettivo comportamento nell'ambito di
questa procedura (Conf. TAR Lombardia
Milano, sez. I, 30.04.2010, n. 1201)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 30.04.2010 n.
1215 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1.
Contratti della p.a. - Appalto - Gara -
Offerta economicamente più vantaggiosa -
Valutazione - Fissazione nel bando di
criteri valutativi sufficientemente rigidi e
precisi - Necessità per la Commissione
giudicatrice di definire criteri valutativi
ulteriori - Non sussiste.
2. Contratti della p.a. - Gara - Segretezza
- Documenti di gara - Obbligo di custodia -
Si presume assolto dalla p.a. - In assenza
di specifici rilievi da parte del
ricorrente.
1.
Nel caso in cui, in una procedura di scelta
del contraente secondo il metodo della "offerta
economicamente più vantaggiosa", la
lex specialis di gara già preveda
criteri e sottocriteri di valutazione
sufficientemente rigidi e precisi, tali da
determinare una griglia di sottovoci che
consenta un esercizio "guidato" e
controllabile della discrezionalità tecnica
ed amministrativa propria del giudizio della
Commissione giudicatrice, legittimamente
quest'ultima omette di stabilire criteri più
dettagliati.
2.
L'obbligo di custodia dei documenti di una
gara pubblica da parte della stazione
appaltante si presume assolto
dall'Amministrazione secondo le normali
garanzie di conservazione degli atti
amministrativi, tali da assicurare la
genuinità ed integrità dei plichi; ne
consegue che è onere del ricorrente addurre
elementi concreti e specifici, atti a far
ritenere che possa essersi verificata la
sottrazione o la sostituzione dei pieghi, la
manomissione delle offerte o un altro fatto
rilevante ai fini della regolarità della
procedura (Conf. TAR Lombardia Milano, sez.
I, 28.04.2010, n. 1177)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 28.04.2010 n.
1179 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Contratti
della p.a. - Gara - Criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa - L. R.
Lombardia 19 maggio 1997, n. 14 -
Composizione della Commissione giudicatrice
- Componenti interni/esterni - Potere di
scelta della p.a. - Sussiste.
L'art. 14, comma 5, Legge Regione Lombardia
19.05.1997, n. 14 secondo cui "in caso di
aggiudicazione sono costituite commissioni
giudicatrici [?] con la presenza di esperti,
dotati di competenza tecnica nel settore nel
quale si colloca la fornitura di beni ovvero
la prestazione di servizi, che valutano le
offerte in seduta riservata" -non
distinguendo tra componenti interni ed
esterni della Commissione giudicatrice,
purché siano in ogni caso esperti della
materia- assegna alle stazioni appaltanti un
ampio potere di scelta in ordine alla
provenienza dei commissari medesimi
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 28.04.2010 n.
1177 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1.
Contratti della p.a. - Gara - Dichiarazioni
ex art. 38, comma 1, lett. c) D.Lgs. 163/06
- In caso di fusione per incorporazione -
Obbligo - Sussiste - Solo con riferimento
agli amministratori della società risultante
dalla fusione.
2. Contratti della p.a. - Gara - Offerta -
Verifica di anomalia - Ampia discrezionalità
tecnica - Sindacabilità - Limiti.
1.
A seguito di un'operazione di fusione per
incorporazione, la società incorporata cessa
di far parte del mondo giuridico, dando
luogo ad un nuovo soggetto con propri
amministratori ai quali esclusivamente
occorre fare riferimento per stabilire la
sussistenza dei requisiti di moralità
professionale di cui all'art. 38, comma 1,
lett. c), D.Lgs. 163/2006.
2.
Il procedimento di valutazione di anomalia
di un'offerta è connotato dall'esercizio di
discrezionalità tecnica, come tale non
sindacabile dal Giudice amministrativo se
non per macroscopici vizi di illogicità e
irragionevolezza. La verifica dell'anomalia
dell'offerta è, infatti, espressione di una
potestà tecnico-discrezionale dell'Autorità
amministrativa, non sindacabile in sede di
legittimità se non per aspetti di manifesta
illogicità, insufficiente motivazione ovvero
errore di fatto.
Pertanto il Giudice in tali giudizi deve
limitarsi ad un controllo formale ed
estrinseco dell'iter logico seguito
dall'Amministrazione (Conf., ex plurimis,
Cons. Stato, sez. V, 12.06.2009, n. 3769;
Cons. Stato, sez. IV, 20.05.2008, n. 2348;
Cons. Stato, sez. IV, 12.06.2007, n. 3097;
Cons. Stato, sez. V, 11.11.2004, n. 7346)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 28.04.2010 n.
1162 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Affidamento
senza gara ad altra Amministrazione di un
appalto di servizi a titolo oneroso -
Legittimità.
Sulla scorta dei pronunciamenti del Giudice
comunitario deve ritenersi che un'autorità
pubblica possa adempiere ai compiti ad essa
incombenti mediante propri strumenti o in
collaborazione con altre autorità pubbliche,
senza essere obbligata a far ricorso a
entità esterne all'apparato pubblico (cfr.
CGCE, 18.11.2008, causa C- 324/2007).
Ne deriva che, nell'ottica della più
proficua collaborazione tra soggetti
pubblici, è consentito alle Amministrazioni
aggiudicatrici, in alternativa allo
svolgimento di una procedura di evidenza
pubblica di scelta del contraente, stipulare
accordi a titolo oneroso con altri soggetti
pubblici, cui affidare lo svolgimento di uno
o più servizi (cfr. Corte di Giustizia CE,
09.06.2009, causa C-480/06, TAR Lombardia,
Milano, 19.01.2010, n. 74)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.04.2010 n.
1123 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Contratti
della p.a. - Appalto - Procedure di
affidamento - Project financing - Criteri
per la scelta del contraente - Elevata
discrezionalità della stazione appaltante -
Sindacabilità in sede giurisdizionale -
Limiti.
Nel project financing, la procedura
di scelta del promotore, pur articolandosi
come confronto concorrenziale tra più
proposte, non è soggetta, in linea generale,
alle regole rigorose di una vera e propria
gara, ma è caratterizzata da un elevato
livello di discrezionalità
dell'Amministrazione che, dopo aver valutato
le proposte presentate, provvede ad
individuare quella che ritiene di pubblico
interesse, sulla base di valutazioni di
fattibilità strettamente connesse a scelte
interne di carattere economico e tecnico,
sindacabili in sede giurisdizionale soltanto
sotto il profilo della manifesta illogicità,
irrazionalità e contraddittorietà degli
errori di fatto (Conf. Cons. Stato, sez. V,
23.03.2009, n. 1741)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.04.2010 n.
1111 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Sindaco
del Comune - Provvedimenti contingibili e
urgenti - Presupposti - Prevenzione di danni
futuri - Onere di contestazione specifica
dei relativi presupposti - Sussiste - In
capo al destinatario del provvedimento.
L'ordinanza contingibile e urgente, emessa
dal Sindaco ai sensi dell'art. 38, L.
08.06.1990, n. 142, può essere adottata non
soltanto per porre rimedio a danni già
verificatisi in materia di sanità ed igiene,
ma anche per prevenire possibili danni
futuri e la parte che intende dedurne
l'illegittimità ai fini dell'annullamento ha
l'onere di contestare espressamente la
sussistenza dei presupposti di fatto e di
diritto previsti per l'adozione della
medesima
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.04.2010 n.
1110 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Provvedimenti
contingibili e urgenti - In materia di
smaltimento rifiuti - Presupposti - Eventi
di carattere eccezionale - Potere del
Sindaco - Sussiste - Limiti - Preventiva
autorizzazione - Non necessaria.
Le ordinanze extra ordinem c.d. di
necessità in materia di smaltimento dei
rifiuti, disciplinate in generale dall'art.
38, comma 2, L. 08.06.1990 n. 142 e, in
particolare, dall'art. 12 D.P.R. 10.09.1982,
n. 915, sono provvedimenti che si
riferiscono ad evenienze di carattere
eccezionale, determinate da un fatto
imprevisto, per le quali risulterebbe
impossibile l'utilizzazione dei normali
mezzi predisposti dall'ordinamento.
Pertanto, il Sindaco può emanare ordinanze
contingibili e urgenti, per far fronte ad
eccezionali ed urgenti necessità di tutela
della salute pubblica o dell'ambiente, in
deroga alle disposizioni vigenti, senza
chiedere particolari autorizzazioni e
basandosi soltanto sulle risultanze
dell'istruttoria condotta da amministratori
e tecnici comunali (Conf. TAR Puglia Lecce,
sez. II, 18.04.2006, n. 1962)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.04.2010 n.
1109 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi
pubblici - Procedimento - Commissioni
esaminatrici - Natura - Collegio perfetto -
Rettifica del verbale - Assenza di uno o più
commissari - Effetti - Senza riconvocazione
della Commissione - Illegittima.
Stante la natura di collegio perfetto delle
Commissioni di concorso nell'assunzione
delle determinazioni rilevanti, deve
escludersi che la rettifica del verbale
effettuata senza una formale riconvocazione
della Commissione medesima e senza che siano
presenti tutti i componenti -soprattutto
qualora manchi proprio il soggetto
verbalizzante oltre ad un commissario- possa
atteggiarsi alla stregua di un legittimo
esercizio del potere di autotutela
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 01.04.2010 n.
848 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 15.11.2010 |
ã |
A V V I S O |
Relativamente
alle 5 giornate di studio in programma a Bergamo
(si veda cliccando qui: "CONVEGNI") per il 17-24
novembre e 01-09-16 dicembre 2010 organizzate dal portale PTPL,
si avvisano i Sigg. partecipanti che è stata cambiata la
sala convegni che risulta essere la SALA NEMBRINI (e
non più la Sala degli Angeli). |
QUESITI &
PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Un’azienda
che produce rifiuti da attività di cernita
di materiali può effettuare un trasporto di
rifiuti in discarica autorizzata in
procedura ordinaria con l’autorizzazione in
categoria 2 oppure occorreva categoria 4?
(link a www.ambietelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Cosa si intende per gestione integrata dei
rifiuti? (link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Quando si generano le materie prime
secondarie in seguito a recupero di materia?
(link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Ai fini del risarcimento del danno
ambientale vale sempre il criterio che gli
operatori siano tenuti a pagare i danni
cagionati? (link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Come si configura nell’ordinamento italiano
l’azione per il risarcimento del danno
ambientale?
(link a www.ambientelegale.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO: Dirigenza
e valutazioni delle prestazioni
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 08.11.2010) |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Ancora
sulle assunzioni nei comuni non soggetti al
patto di stabilità dal 1° gennaio 2011
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 03.11.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
“COLLEGATO LAVORO”: LE NOVITA’ SUL
PUBBLICO IMPIEGO dopo le ulteriori modifiche
parlamentari (link a
www.uilpa.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
APPALTI:
G.U. 12.11.2010 n. 265 "Misure urgenti in
materia di sicurezza"
(D.L. 12.11.2010 n.
187).
---------------
Dispone modifiche alla
L. 13.08.2010 n. 136 in materia di
tracciabilità dei flussi finanziari. |
VARI: G.U.
02.11.2010 n. 256 "Regolamento recante
istituzione e gestione del registro pubblico
degli abbonati che si oppongono all’utilizzo
del proprio numero telefonico per vendite o
promozioni commerciali" (D.P.R.
07.09.2010 n. 178). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI SERVIZI:
L. Manassero,
Soggetti legittimati alla partecipazione
alle gare per il servizio di distribuzione
del gas nel periodo transitorio e...oltre?
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E.
Boscolo,
La segnalazione certificata di inizio
attività: tra esigenze di semplificazione ed
effettività dei controlli (link a www.upel.va.it). |
EDILIZIA PRIVATA: M.
C. Colombo,
Passaggio dalla D.I.A. alla S.C.I.A. in
materia edilizia: provvedimenti riguardanti
le D.I.A. presentate dopo il 30.07.2010 (link a www.upel.va.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
P. Giampietro,
Quando un residuo produttivo va qualificato
“sottoprodotto” (e non “rifiuto”)
secondo l’art. 5, della direttiva 2008/98/CE
(Per una corretta attuazione della
disciplina comunitaria) (link a
www.ambientediritto.it). |
NEWS |
VARI:
Telefonate promozionali, un Registro a
tutela di chi si oppone.
Entrerà in vigore il 17.11.2010 il
Regolamento che istituisce il registro
pubblico delle opposizioni, che accoglierà
tutti gli abbonati telefonici che non
desiderano essere contattati telefonicamente
per fini commerciali o promozionali: gli
abbonati potranno chiedere, gratuitamente e
secondo modalità semplificate, che il
proprio numero telefonico sia iscritto nel
registro.
Un vantaggio per la riservatezza degli
utenti, quindi, ma anche uno stimolo per la
competitività delle imprese, che potranno
utilizzare con maggiore efficacia gli
strumenti del telemarketing, indirizzando le
proprie campagne solo a quanti non si
avvarranno del "diritto di opporsi".
Sarà il Ministero dello Sviluppo economico a
provvede alla gestione e al funzionamento
del Registro, anche affidandone la
realizzazione ad un soggetto terzo.
In particolare, entro 90 giorni dal
02.11.2010, data di pubblicazione in
Gazzetta del D.P.R. contenente il
Regolamento, il Ministero o il soggetto
affidatario del contratto di servizio
dovranno provvedere all’attivazione delle
modalità tecniche ed operative di iscrizione
al registro da parte degli abbonati. Queste
alcune delle prescrizioni del Decreto.
Ogni abbonato può chiedere al proprio
gestore telefonico che la numerazione della
quale è intestatario sia iscritta
gratuitamente nel registro secondo le
seguenti modalità: mediante compilazione di
apposito modulo elettronico sul sito web del
gestore del registro pubblico; mediante
chiamata effettuata dalla linea telefonica
con numerazione corrispondente a quella per
la quale si chiede l'iscrizione nel
registro, al numero telefonico gratuito
appositamente predisposto dal gestore del
registro (link a www.governo.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
DIRITTO PROCESSUALE
AMMINISTRATIVO - Artt. 121 e 122 codice del
processo amministrativo - Annullamento
dell’aggiudicazione - Dichiarazione di
inefficacia del contratto - “Casi di gravi
violazioni” - “Altri casi”.
Gli artt. 121 e 122 del codice del processo
amministrativo attribuiscono al giudice che
annulla l'aggiudicazione il potere di
dichiarare l'inefficacia del contratto e
distinguono i "casi di gravi violazioni"
(in cui la conseguenza dell'inefficacia
costituisce la regola, salvo eccezioni)
dagli "altri casi" (in cui la
decisione circa l'inefficacia è rimessa alla
valutazione del giudice stesso).
Obblighi informativi ex
art. 79 codice dei contratti pubblici -
Clausola standstill ex art. 10, c. 11 -
Applicabilità al cottimo fiduciario -
Fondamento - Fattispecie - Stipulazione del
contratto - Mancata osservanza del termine
dilatorio di trentacinque giorni
dall’aggiudicazione.
Tanto gli obblighi informativi che gravano
sulle stazioni appaltanti in ordine
all'esito dei procedimenti di aggiudicazione
degli appalti ex art. 79 del codice dei
contratti pubblici, quanto la clausola
standstill ex art. 11, comma 10, sono
applicabili anche al cottimo fiduciario,
perché finalizzati ad assicurare
l’effettività di un principio fondamentale e
generale nel settore dei contratti pubblici
(nel caso di specie, il termine dilatorio di
trentacinque giorni di cui al citato art.
11, c. 10, è rimasto inosservato, avendo
l’amministrazione stipulato il contratto a
distanza di nove giorni dall’aggiudicazione,
con ciò integrando un caso di grave
violazione ex art. 121, c. 1, lett. c), del
codice del processo amministrativo) (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 10.11.2010 n. 6570 -
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APPALTI:
Estinzione del reato - Art. 445,
c. 2 cpp - Effetto estintivo automatico -
Esclusione - Omessa dichiarazione circa
l’esistenza di una sentenza di condanna ex
art. 444 c.p.p. - <revoca
dell’aggiudicazione provvisoria -
Legittimità.
L'estinzione ex art. 445, comma 2, c.p.p.
non opera automaticamente, ma necessita di
una pronuncia del giudice dell'esecuzione
che deve accertare la sussistenza dei
presupposti a cui la norma subordina
l'effetto estintivo (in tal senso Cass.
Penale, Sez. I, 24.11.2009 n. 49987;
conforme è anche l'orientamento del Giudice
amministrativo: cfr. Consiglio di Stato,
Sez. VI, 24.06.2010 n. 4019; TAR Liguria,
Sez. II, 18.02.2009 n. 233; TAR Piemonte,
Sez. I, 10.10.2008 n. 2568).
E’ pertanto legittimo il provvedimento di
decadenza dell’aggiudicazione provvisoria,
ove la stazione appaltante abbia accertato
l’esistenza di una sentenza ex art. 444
c.p.p. passata in giudicato e non
dichiarata.
Condanne - Art. 38 del
codice dei contratti pubblici - Stazione
appaltante - Richiesta di dichiarazioni più
specifiche e dettagliate - Legittimità.
La stazione appaltante può richiedere, in
ordine ai profili di cui all’art. 38 del
Codice dei contratti pubblici, dichiarazioni
più specifiche e dettagliate di quelle
prescritte dalla norma; in particolare, per
quanto riguarda il comma 1, lett. c), può
imporre di dichiarare tutte le condanne
penali o equiparate (Consiglio di Stato,
Sez. VI, 24.06.2010 n. 4019 e 04.08.2009 n.
4905).
L'incompletezza di tali dichiarazioni
concreta la violazione, da un lato, di un
obbligo prescritto dalla disciplina di gara,
dall'altro del più generale obbligo di
rendere autodichiarazioni veritiere (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 10.11.2010 n. 6569 -
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APPALTI:
Opere pubbliche - Infrastrutture
strategiche di interesse nazionale - Artt.
165 e 166 d.lgs. n. 163/2006 - Progetto
preliminare - Coinvolgimento delle autonomie
locali - Esplicitazione del consenso o del
motivato dissenso - Principio di
intangibilità - Localizzazione e
caratteristiche essenziali delle opere.
In tema di infrastrutture strategiche di
interesse nazionale, a mente degli artt. 165
e 166 del d.lgs. n. 163/2006, il
coinvolgimento del sistema delle autonomie
locali è assicurato attraverso la
trasmissione del progetto preliminare alle
Regioni o province autonome competenti per
territorio, enti esponenziali delle comunità
locali interessate dall’opera pubblica.
Detta partecipazione, oltreché tradursi
nella espressione interlocutoria di “proprie
valutazioni al Ministero”, in
accoglimento delle quali può prodursi
l’effetto di una rimodulazione del progetto
- può culminare nella esplicitazione di un
consenso ovvero nella formulazione di un
motivato dissenso della Regione al progetto
preliminare.
La formulazione del motivato dissenso da
parte della Regione in ordine al progetto
preliminare introduce un sub-procedimento
variamente strutturato in rapporto alla
tipologia di opera pubblica in discussione,
atto a comporre il dissenso medesimo e a
ricercare una soluzione condivisa sul piano
tecnico. Invece, la manifestazione del
consenso sul progetto preliminare ne
determina l’intangibilità.
Il principio dell’intangibilità del progetto
preliminare è peraltro circoscritto
significativamente alla localizzazione e
alle caratteristiche essenziali delle opere,
posto che la Regione, non diversamente dalle
altre amministrazioni interessate alla
realizzazione dell’opera, ben può elaborare
motivate proposte di adeguamento, richieste
di prescrizioni per il progetto definitivo o
varianti migliorative.
Opere pubbliche -
Infrastrutture strategiche di interesse
nazionale - Artt. 161 e 162 d.lgs. n.
163/2006 - Approvazione del progetto - CIPE
allargato - Manifestazione del dissenso con
modalità atipiche - Effetti - Limiti.
Le disposizioni di cui agli artt. 161 e 162
del d.lgs. n. 163/2006 prevedono la
approvazione dei progetti nella sede
istituzionale del CIPE allargato, ossia di
un comitato interministeriale che registra,
al suo interno, la presenza dei vertici
istituzionali degli enti locali interessati
dalle infrastrutture strategiche in corso di
approvazione. Anche il dissenso deve essere
manifestato esclusivamente nella sede
istituzionale appropriata, quale è quella
del CIPE allargato.
La esternazione del dissenso con modalità
atipiche e cioè distanti da quelle previste
dal legislatore attraverso appositi schemi
di manifestazione di volontà provvedimentale
normativamente contemplati non può pertanto
conseguire gli effetti divisati dall’ente
dissenziente (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 10.11.2010 n. 2634 -
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APPALTI:
L'omessa dichiarazione sul
possesso dei requisiti ex art. 38 d.lgs.
n.163/06 non può dar luogo ad esclusione
dalla gara nel caso in cui il bando non
preveda puntuali prescrizioni sulle modalità
e sull'oggetto della dichiarazione.
Sulla discrezionalità della commissione di
gara in sede di valutazione dell'offerta
tecnica e di attribuzione dei punteggi.
Secondo un orientamento giurisprudenziale
l'art. 38, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006,
ricollega l'esclusione dalla gara al dato
sostanziale del mancato possesso dei
requisiti indicati, mentre il c. 2 non
prevede analoga sanzione per l'ipotesi della
mancata o non perspicua dichiarazione. Da
ciò discende che solo la sussistenza, in
concreto, delle cause di esclusione previste
dal citato art. 38 comporta, ope legis,
l'automatico effetto espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in
possesso di tutti i requisiti richiesti e la
lex specialis non preveda
espressamente a pena di esclusione puntuali
prescrizioni sulle modalità e sull'oggetto
della dichiarazione, facendo generico
richiamo all'assenza delle cause impeditive
di cui all'art. 38, come nel caso di specie,
in cui nessuna condanna è stata contestata
ai quattro soggetti cessati, l'omissione non
produce alcun pregiudizio agli interessi
presidiati dalla norma, ricorrendo
un'ipotesi di "falso innocuo", come
tale insuscettibile, in carenza di una
espressa previsione legislativa o della
legge di gara, a fondare l'esclusione, le
cui ipotesi sono tassative.
In senso conforme alla prospettata soluzione
depone anche l'art. 45 della direttiva
2004/18/CE che ricollega l'esclusione alle
sole ipotesi di grave colpevolezza di false
dichiarazioni nel fornire informazioni, non
rinvenibile nel caso in cui il concorrente
non consegua alcun vantaggio in termini
competitivi, essendo in possesso di tutti i
requisiti previsti.
---------------
In sede di valutazione dell'offerta tecnica
e di attribuzione dei punteggi, la
commissione di gara dispone di margini di
discrezionalità, entro determinati limiti
stabiliti dalla legge di gara, correlata
all'apprezzamento degli aspetti tecnici e
sottratta, pertanto, al sindacato del G.A.
Ciò, però, a patto che non emergano
violazioni dei parametri indicati nel bando,
ovvero profili di illogicità della
valutazione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.11.2010 n. 7973 -
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APPALTI:
E' legittima la determinazione
con la quale l'amministrazione non ha
approvato l'aggiudicazione provvisoria dalla
gara per l'affidamento del servizio di
trasporto scolastico per le dichiarazioni
non veritiere sulla disponibilità degli
automezzi.
Sulla legittimità dell'incameramento della
cauzione e della segnalazione all'Autorità
di Vigilanza per le dichiarazioni non
veritiere.
E' legittima la determinazione con la quale
la stazione appaltante non ha approvato
l'aggiudicazione nei confronti della società
aggiudicataria provvisoria della gara per
l'affidamento del servizio di trasporto
scolastico, poiché alla data di scadenza del
termine per la presentazione delle offerte,
la stessa non disponeva, diversamente da
quanto da essa dichiarato, degli automezzi
necessari allo svolgimento del servizio
oggetto della gara.
Nel diritto pubblico e, segnatamente, nella
delicata materia delle gare d'appalto,
rilevano eminentemente i rapporti giuridici
definiti e tipici e non le situazioni di
mero fatto, ancorché rivenienti da accordi
fra privati i quali ben possono regolare i
loro rapporti con modalità atipiche e
flessibili, inibite invece alle pubbliche
amministrazioni.
Pertanto, nel caso di specie, correttamente
l'amministrazione, sul piano sostanziale, ha
considerato non veritiere le dichiarazioni
rese in sede di gara circa la disponibilità
degli automezzi per l'assenza di un valido
titolo giuridico essendo scaduto il
contratto di leasing in capo alla sua dante
causa (cessionaria del ramo d'azienda) e ciò
era più che sufficiente per non approvare
l'aggiudicazione.
Inoltre, è legittimo, nel caso di specie,
l'incameramento della cauzione provvisoria,
in quanto l'incameramento si applica anche
per le dichiarazioni non veritiere,
profilandosi come garanzia del rispetto
dell'ampio patto d'integrità cui si vincola
chi partecipa a gare pubbliche, e
altrettanto legittima è la segnalazione
all'Autorità di Vigilanza, trattandosi,
anche questo, di adempimento vincolato ai
sensi dell'art. 48, 1° c. del D.Lgs. n.
163/2006, in conseguenza della omessa
dimostrazione dei requisiti di
partecipazione alla gara (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 09.11.2010 n. 7963 -
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APPALTI:
Termine per la presentazione
delle offerte - Proroga - Violazione della
par condicio - Esclusione - Comunicazione
alle imprese invitate.
Non risulta violato il principio di "par
condicio" tra i concorrenti quando la
proroga del termine di presentazione delle
offerte è stata comunicata alle imprese
invitate, dando così ad esse la possibilità
di migliorare eventualmente l'offerta già
presentata, essendo rimessa, in tal caso,
alla stazione appaltante la valutazione
motivata della opportunità della proroga
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.11.2010 n. 7214 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di demolizione - Atto
dovuto - Interesse pubblico - Abuso
risalente nel tempo - Affidamento del
contravventore - Configurabilità -
Esclusione.
Il presupposto dell’ordine di demolizione di
opere abusive è solo la constatata
esecuzione delle medesime in totale
difformità o in assenza della concessione
edilizia, con la conseguenza che tale
provvedimento, ove ricorrano i predetti
requisiti, è atto dovuto ed è
sufficientemente motivato con l’affermazione
dell’accertata abusività dell’opera, essendo
in re ipsa l’interesse pubblico alla
sua rimozione: l’abuso, quindi, anche se
risalente nel tempo, non giustifica alcun
legittimo affidamento del contravventore a
veder conservata una situazione di fatto che
il semplice trascorrere del tempo non può
legittimare (fra le ultime, Consiglio Stato,
IV, 31.08.2010, n. 3955; Tar Campania
Napoli, VI, 26.08.2010, n. 17238).
Ordine di demolizione -
Contestazione - Tempo di ultimazione del
manufatto - Entrata in vigore della L. n.
765/1967 - Principio di prova.
Chi contesta la legittimità dell’ordinanza
di demolizione di un manufatto abusivo
realizzato fuori dal centro abitato ha
l’onere di fornire perlomeno un principio di
in ordine al tempo dell’ultimazione di
quest’ultimo ove asserisca che esso è stato
realizzato prima dell’entrata in vigore
della legge 06.08.1967 n. 765, ossia quando
per tali tipi di costruzione non era
prescritta alcuna licenza edilizia (Tar
Campania Salerno, II, 18.12.2007, n. 3224;
Consiglio Stato, V, 13.02.1998, n. 157).
Provvedimenti
sanzionatori in materia edilizia -
Comunicazione di avvio del procedimento -
Necessità - Esclusione.
Per i provvedimenti sanzionatori in materia
edilizia non è necessaria la comunicazione
di avvio del procedimento ex art. 7 l. 241
del 1990, trattandosi di atti dovuti e
rigorosamente vincolati, rispetto ai quali
non sono richiesti apporti partecipativi del
soggetto destinatario (fra le ultime, Tar
Lazio Roma, I, 10.05.2010, n. 10470; Tar
Campania Napoli, VII, 05.05.2010, n. 2667)
(TAR PUGLIA-Lecce, Sez. III,
sentenza 09.11.2010 n. 2631 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Zone urbanizzate - Strumenti
attuativi - Necessità - Circostanze -
Possibilità di deroga - Lotto residuale
intercluso.
Va esclusa la necessità di strumenti
attuativi per il rilascio di concessioni in
zone già urbanizzate nei casi nei quali la
situazione di fatto, in presenza di una
pressoché completa edificazione della zona,
sia addirittura incompatibile con un piano
attuativo come nella circostanza del lotto
residuale ed intercluso in area
compiutamente urbanizzata (Cons. Stato, Sez.
V, 26.09.1995, n. 1351): non anche però
nelle ipotesi in cui, per effetto di una
edificazione disomogenea, ci si trovi di
fronte ad una situazione che assai più di
altre esige un piano attuativo idoneo a
restituire efficienza all’abitato,
riordinando e talora addirittura definendo
ex novo un disegno urbanistico di
completamento della zona.
La necessità di uno strumento attuativo può
riconoscersi, ad esempio, quando tenuto
conto “della situazione esistente e non
delle opere solo programmate” (sez. V,
01.02.1995, n. 162), debba essere completato
il sistema della viabilità secondaria nella
zona o quando debba essere integrata
l’urbanizzazione esistente garantendo il
rispetto dei prescritti standards minimi per
spazi e servizi pubblici e le condizioni per
l’armonico collegamento con le zone contigue
già asservite all’edificazione (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 09.11.2010 n. 2630 -
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URBANISTICA:
Lottizzazione dei terreni a scopo
edilizio - Comune - Compiti -
Regolamentazione dei rapporti obbligatori
relativi al’uso delle opere di
urbanizzazione o determinazione sulle
eventuali controversie - Estraneità.
Il Comune deve provvedere sulla
lottizzazione dei terreni a scopo edilizio
in uno dei modi previsti dall’art. 28 della
legge urbanistica 17.08.1942 n. 1150,
modificato dall’art. 8 della legge
06.08.1967 n. 765, vale a dire o acquisendo
gratuitamente le aree necessarie por poter
realizzare le opere di urbanizzazione
primaria nonché, entro certi limiti, quelle
di urbanizzazione secondaria, oppure ponendo
a carico del proprietario lottizzante gli
oneri relativi alle opere di urbanizzazione
ovvero monetizzando i rispettivi costi.
Non è compito del Comune, invece, regolare i
rapporti obbligatori relativi all’uso delle
opere di urbanizzazione già esistenti, né
decidere in chiave preventiva, sostituendosi
al Giudice civile, sulle eventuali relative
controversie tra i privati e, nello
specifico, sulle servitù che gravano la
lottizzazione servente in favore del lotto
intercluso (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 09.11.2010 n. 2630 -
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APPALTI:
Taglio delle ali - Art. 86, c. 1,
d.lgs. n. 163/2006 - Nozione - Finalità -
Individuazione della soglia di anomalia -
Esclusione automatica delle offerte
marginali - Illegittimità.
Ai sensi dell’art. 86, comma 1, del d.lgs.
n. 163 del 2006, il cd. “taglio delle ali”,
vale a dire l’esclusione dal computo della
media aritmetica del dieci per cento,
arrotondato all’unità superiore,
rispettivamente delle offerte di maggior
ribasso e di quelle di minor ribasso,
incrementata dello scarto medio aritmetico
dei ribassi percentuali che superano la
predetta media, è operazione virtuale,
finalizzata unicamente all’individuazione
della soglia di anomalia e non invece
all’esclusione automatica delle offerte
marginali (cfr. Tar Liguria Genova, II,
21.11.2006, n. 1554; Consiglio Stato, V,
30.08.2004, n. 5656) (TAR Puglia-Lecce, Sez.
III,
sentenza 09.11.2010 n. 2629 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Opere di ristrutturazione su
immobili abusivi - Effetto preclusivo sulla
potestà demolitoria - Esclusione.
Non possono svolgersi opere di
ristrutturazione o di manutenzione
straordinaria su un manufatto abusivo e mai
oggetto di sanatoria edilizia: tale
ulteriore attività costruttiva non può
spiegare alcun effetto preclusivo sulla
potestà di reprimere l'opera abusiva nella
sua interezza (Cons. St., sez. V. 29.10.1991
n. 1279).
Ne consegue che non può invocare il regime
sanzionatorio più favorevole previsto per il
recupero del patrimonio edilizio esistente
legittimamente realizzato, colui che ha
svolto opere edilizie su immobili abusivi,
le quali assumono la stessa qualificazione
giuridica dell’immobile abusivamente
realizzato.
In caso contrario, infatti, l’abuso minore
successivo in sostanza giustificherebbe
l’applicazione di una sanzione minore,
addirittura non demolitoria, estinguendo la
potestà sanzionatoria nei confronti
dell’abuso maggiore precedente (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 08.11.2010 n. 7206 -
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APPALTI:
E' legittimo il provvedimento che
ha disposto la decadenza di una società
dall'aggiudicazione provvisoria del servizio
di mensa scolastica per dichiarazioni non
veritiere in ordine al possesso dei
requisiti di cui all'art. 38, lett. g),
d.lgs.163/2006.
E' legittimo il provvedimento con cui il
responsabile dell'ufficio segreteria ha
disposto la decadenza di una società
dall'aggiudicazione provvisoria del servizio
di mensa scolastica, adottato a seguito
delle verifiche sulla veridicità della
dichiarazione resa per l'ammissione alla
gara, da cui è emerso, contrariamente a
quanto dichiarato, che la medesima si
trovava nella condizione di cui all'art. 38,
lett. g), del d.lgs. n. 163/2006 (soggetti
che hanno commesso violazioni,
definitivamente accertate, rispetto agli
obblighi relativi al pagamento delle imposte
e tasse, secondo la legislazione italiana o
quella dello Stato in cui sono stabiliti),
così come attestato dall'Agenzia delle
entrate che comunicava l'esistenza di una
cartella esattoriale insoluta.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, non può ammettersi che,
attraverso lo strumento
dell'autocertificazione, si possa
agevolmente eludere l'obbligo di
rappresentare con fedeltà, diligenza e
trasparenza la reale situazione in cui
l'impresa versa ai fini della verifica in
ordine al possesso dei requisiti di
partecipazione alla gara. Di conseguenza, la
falsa dichiarazione resa in sede di
autocertificazione costituisce, di per se,
causa oggettiva di esclusione, a prescindere
da ogni indagine sulla gravità della
irregolarità sottaciuta, nonché sulla
sussistenza dell'elemento psicologico del
dolo o della colpa all'atto della
dichiarazione.
Del resto la ratio
dell'autocertificazione è proprio quella di
semplificare i rapporti con
l'amministrazione responsabilizzando però
l'utenza, per cui, di fronte a una
dichiarazione non veritiera (perché
obiettivamente in contrasto con la realtà),
l'amministrazione deve prenderne atto per i
conseguenti provvedimenti amministrativi
senza dover svolgere alcuna verifica di
natura soggettiva (che rileva solo in campo
penale per l'accertamento di eventuali reati
di falso).
Peraltro, indipendentemente dai profili
riguardanti la falsità della dichiarazione,
l'impedimento di cui all'art. 38, lett. g),
del D.Lgs. n. 163/2006 sussisteva sia alla
data della domanda di partecipazione alla
gara che alla data di aggiudicazione
provvisoria, e ciò costituiva "ex se"
motivo ostativo all'aggiudicazione
definitiva (TAR Marche,
sentenza 08.11.2010 n. 3382 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non può essere accolta l'istanza
di sanatoria di manufatti, quand’anche gli
stessi ben potrebbero essere realizzati
sulla base della disciplina urbanistica
vigente al momento della pronuncia
sull’istanza medesima ancorché non conformi
alla disciplina vigente al momento della
loro realizzazione, tanto comportando il
sostanziale ripudio dell'esigenza della
doppia conformità, ad onta della sua
esplicita previsione negli artt. 13 e 36
cit. e dello stesso principio di legalità.
In sede di accertamento di conformità ex
art. 13 della legge n. 47/1985 (ed ora ex
art. 36 del d.P.R. n. 380/2001,
sostanzialmente identico, per quanto qui ne
occupa, all’art. 140 della L.R. Toscana n.
1/2005), non può essere accolta l'istanza di
sanatoria di manufatti, quand’anche gli
stessi ben potrebbero essere realizzati
sulla base della disciplina urbanistica
vigente al momento della pronuncia
sull’istanza medesima ancorché non conformi
alla disciplina vigente al momento della
loro realizzazione, tanto comportando il
sostanziale ripudio dell'esigenza della
doppia conformità, ad onta della sua
esplicita previsione negli artt. 13 e 36
cit. e dello stesso principio di legalità
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
ordinanza 06.11.2010 n. 5046 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In tema di distanze nelle
costruzioni, qualora gli strumenti
urbanistici stabiliscano determinate
distanze dal confine e nulla aggiungano
sulla possibilità di costruire «in aderenza»
od «in appoggio», la preclusione di dette
facoltà non consente l'operatività del
principio della prevenzione.
In tema di distanze nelle costruzioni,
qualora gli strumenti urbanistici
stabiliscano determinate distanze dal
confine e nulla aggiungano sulla possibilità
di costruire «in aderenza» od «in
appoggio», la preclusione di dette
facoltà non consente l'operatività del
principio della prevenzione (Cassazione
civile, sez. II, 09.04.2010, n. 8465 )
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
ordinanza 06.11.2010 n. 5046 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La sanzione (demolitoria o
pecuniaria) è legata all'abusività
dell'opera e dunque la stessa non necessita
di un'ulteriore motivazione in ordine
all’interesse pubblico ad essa sotteso.
La sanzione (demolitoria o pecuniaria) è
legata all'abusività dell'opera e dunque la
stessa non necessita di un'ulteriore
motivazione in ordine all’interesse pubblico
ad essa sotteso
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
ordinanza 06.11.2010 n. 5046 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla natura del giudizio di
verifica dell'anomalia delle offerte.
Nelle procedure indette per l'aggiudicazione
di appalti pubblici, la verifica
dell'anomalia dell'offerta è espressione di
una potestà tecnico-discrezionale
dell'autorità amministrativa, non
sindacabile in sede di legittimità, a meno
di essere viziata da profili di manifesta
illogicità, insufficiente motivazione,
ovvero errore di fatto.
Peraltro, il giudizio di verifica della
congruità di un'offerta anomala ha natura
globale e sintetica sulla serietà, o meno,
dell'offerta nel suo complesso, e l'art. 88,
c. 7, del d.lgs. n. 163/2006, nella parte in
cui prevede che, all'esito del procedimento
di verifica dell'anomalia, la stazione
appaltante dichiara l'eventuale esclusione
dell'offerta che risulta, "nel suo
complesso", inaffidabile, va inteso nel
senso che la valutazione
dell'Amministrazione deve verificare
l'affidabilità globale dell'offerta, e
l'esito della gara può essere travolto dalla
pronuncia del G.A. solo allorquando il
giudizio negativo sul piano
dell'attendibilità riguardi voci che rendano
l'intera operazione economica non plausibile
e, dunque, non suscettibile di accettazione
da parte della stazione appaltante.
Nel caso di specie, le censure proposte
dalla ricorrente non hanno evidenziato,
nell'ambito del suboprocedimento di verifica
di anomalia dell'offerta aggiudicataria,
vizi di manifesta illogicità, di
travisamento del fatto o di insufficiente
istruttoria. Al contrario, il procedimento
in esame è stato condotto con rigoroso
approfondimento istruttorio e si è concluso
con la formulazione di un giudizio coerente,
logico e ragionevole (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 05.11.2010 n. 4085 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Il
termine di 10 giorni previsto dall'art. 48
d.lgs. 12.04.2006 n. 163 deve considerarsi
perentorio, legittimando l'esclusione dalla
gara del concorrente che fornisca la
documentazione del possesso dei requisiti
prescritti nel bando oltre tale termine, in
ossequio ad esigenze di celerità e alla
necessità di chiusura del procedimento nel
più breve tempo possibile.
Secondo l’interpretazione maggioritaria
condivisa dal Collegio in materia di
pubblici appalti, il termine di 10 giorni
previsto dall'art. 48, d.lgs. 12.04.2006 n.
163, deve considerarsi perentorio,
legittimando l'esclusione dalla gara del
concorrente che fornisca la documentazione
del possesso dei requisiti prescritti nel
bando oltre tale termine, in ossequio ad
esigenze di celerità e alla necessità di
chiusura del procedimento nel più breve
tempo possibile (TAR Lazio Roma, sez. III,
23.07.2009, n. 7493)
(TAR Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 05.11.2010 n. 1864 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Art. 14, c. 1, d.lgs. n. 81/2008
- Provvedimenti di sospensione dell’attività
imprenditoriale - Applicazione delle
disposizioni di cui alla legge n. 241/1990 -
Deroga - Illegittimità costituzionale.
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 14, comma 1, del decreto
legislativo 09.04.2008, n. 81 (Attuazione
dell’art. 1 della legge 03.08.2007, n. 123,
in materia di tutela della salute e di
sicurezza nei luoghi di lavoro), come
sostituito dall’articolo 11, comma 1,
lettera a), del decreto legislativo
03.08.2009, n. 106 (Disposizioni integrative
e correttive del decreto legislativo
09.04.2008, n. 81, in materia di tutela
della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro), nella parte in cui, stabilendo che
ai provvedimenti di sospensione
dell’attività imprenditoriale previsti dalla
citata norma non si applicano le
disposizioni di cui alla legge 07.08.1990,
n. 241 (Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi),
esclude l’applicazione ai medesimi
provvedimenti dell’articolo 3, comma 1,
della legge n. 241 del 1990 (Corte
Costituzionale,
sentenza 05.11.2010 n. 310 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Non è consentito demandare a
soggetti esterni alla commissione di gara le
valutazioni tecniche delle offerte
presentate dalle ditte partecipanti alla
procedura.
L'art. 84, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006,
prevede che la commissione sia composta da
esperti nello specifico settore cui si
riferisce l'oggetto dell'appalto e che la
stessa sia nominata dall'organo della
stazione appaltante competente ad effettuare
la scelta del soggetto affidatario.
E' evidente che la norma preveda come le
specifiche professionalità necessarie ad
effettuare le valutazioni delle offerte
tecniche debbano rintracciarsi all'interno
della stessa commissione e, pertanto, non è
consentito demandare sostanzialmente a
soggetti esterni alla commissione di gara le
valutazioni tecniche poste alla base della
scelta e nemmeno influire in qualche modo su
di esse.
In ogni caso la scelta degli "esperti",
ammesso e non concesso che possano essere
individuati all'esterno della commissione
stessa, non potrà mai essere effettuata
dalla medesima commissione, in quanto la
norma ne demanda l'individuazione all'organo
competente ad effettuare la scelta del
soggetto affidatario.
Ne consegue che, nel caso di specie, è
illegittimo l'operato di una commissione di
gara, regolarmente nominata dalla stazione
appaltante, per essersi avvalsa di "esperti"
esterni alla commissione stessa per valutare
l'offerta tecnica delle ditte partecipanti
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza 04.11.2010 n. 33183 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Programmi di investimento - Interessi
pretensivi - Ritardo nella conclusione del
procedimento - Incertezza sui tempi di
realizzazione - Aumento del rischio
amministrativo - Fattispecie.
Il ritardo nella conclusione di un qualunque
procedimento, qualora incidente su interessi
pretensivi agganciati a programmi di
investimento di cittadini o imprese, è
sempre un costo, dal momento che il fattore
tempo costituisce una essenziale variabile
nella predisposizione e nell’attuazione di
piani finanziari relativi a qualsiasi
intervento, condizionandone la relativa
convenienza economica.
In questa prospettiva ogni incertezza sui
tempi di realizzazione di un investimento si
traduce nell’aumento del c.d. “rischio
amministrativo” e, quindi, in maggiori
costi, attesa l’immanente dimensione
diacronica di ogni operazione di
investimento e di finanziamento (nella
specie, il CGA ha accolto la domanda
risarcitoria fondata sul ritardo
dell’amministrazione nel rilascio di un
provvedimento autorizzatorio alle emissioni
in atmosfera, cui la conferenza di servizi
aveva condizionato il rilascio
dell’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs.
n. 387/2003. Tale ritardo, protrattosi per
oltre tre anni, era stato causa della revoca
di un contributo comunitario previamente
concesso) (C.G.A.R.S., Sez. I,
sentenza 04.11.2010 n. 1368 -
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ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Il verbale di sopralluogo del
tecnico comunale è dotato di fede
privilegiata.
La Sezione richiama in primis la
giurisprudenza del giudice amministrativo
che ha riconosciuto che il verbale di
sopralluogo con cui tecnici comunali od
agenti di polizia municipale accertano abusi
edilizi sono atti dotati di fede
privilegiata nel senso che fanno fede dei
fatti accertati fino a querela di falso (da
ultimo, Consiglio Stato, sez. I, 08.01.2010,
n. 250) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 03.11.2010 n. 7770 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Sulla modalità di formazione del
silenzio-assenso di un'istanza di condono
edilizio.
La giurisprudenza ha rilevato al riguardo
che il mero decorso del termine legale per
la formazione del silenzio positivamente
significativo dalla presentazione della
domanda di condono non è sufficiente per
integrare l'ipotesi normativa di
silenzio-assenso, occorrendo, altresì, la
sussistenza degli ulteriori presupposti
indicati dalla legge (Cons. Stato, V,
12.07.2004, n. 5039 ).
In particolare, la formazione del
silenzio-assenso richiede, quale presupposto
essenziale, oltre al pagamento delle somme
dovute a titolo di oblazione, che siano
stati integralmente assolti dall'interessato
gli oneri di documentazione (che si
risolvono evidentemente nella sussistenza di
requisiti sostanziali) relativi al tempo di
ultimazione dei lavori, all'ubicazione, alla
consistenza delle opere e ad ogni altro
elemento rilevante affinché possano essere
utilmente esercitati i poteri di verifica
dell'amministrazione comunale (Cons. Stato,
V, 25.06.2002 n. 3441; IV, 30.06.2010 n.
4174) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 03.11.2010 n. 7770 -
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EDILIZIA PRIVATA:
L'art. 9 del d.m. 02.04.1968 n.
1444, che detta disposizioni in tema di
distanze tra le costruzioni, stante la
natura di norma primaria, sostituisce
eventuali disposizioni contrarie contenute
nelle norme tecniche di attuazione.
La distanza di 10 metri tra pareti
finestrate di edifici antistanti, prevista
dall'art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444, va
calcolata con riferimento ad ogni punto dei
fabbricati e non alle sole parti che si
fronteggiano e a tutte le pareti finestrate
e non solo a quella principale, prescindendo
anche dal fatto che esse siano o meno in
posizione parallela.
Ai fini del computo delle distanze assumono
rilievo tutti gli elementi costruttivi,
anche accessori, qualunque ne sia la
funzione, aventi i caratteri della solidità,
della stabilità e della immobilizzazione,
salvo che non si tratti di sporti e di
aggetti di modeste dimensioni con funzione
meramente decorativa e di rifinitura, tali
da potersi definire di entità trascurabile
rispetto all’interesse tutelato dalla norma
riguardata nel suo triplice aspetto della
sicurezza, della salubrità e dell’igiene.
Gli sporti, cioè le sporgenze da non
computare ai fini delle distanze perché non
attinenti alle caratteristiche del corpo di
fabbrica che racchiude il volume che si vuol
distanziare, sono i manufatti come le
mensole, le lesene, i risalti verticali
delle parti con funzione decorativa, gli
elementi in oggetto di ridotte dimensioni,
le canalizzazioni di gronde e i loro
sostegni, non invece le sporgenze, anche dei
generi ora indicati, ma di particolari
dimensioni, che siano quindi destinate anche
ad estendere ed ampliare per l'intero fronte
dell'edificio la parte utilizzabile per
l'uso abitativo.
Come deduce
parte appellante, i numerosi balconi in
muratura che reciprocamente sono inseriti
nelle costruzioni riducono la distanza
assoluta di metri 10 (prevista dal DM
1444/1968) a circa sette metri, come emerge
dalla verificazione effettuata in primo
grado.
Il primo giudice ha ritenuto che la deroga
alle distanze minime di cui all’art. 9 del
DM 1444 del 1968 sarebbe consentita –oltre
che per i piani particolareggiati e per le
lottizzazioni convenzionate, come prevede la
normativa– anche per gli interventi edilizi
diretti, consentiti dallo strumento
urbanistico, interventi tra i quali
ricomprendere il permesso di costruire
rilasciato alla s.r.l. CBS.
Al contrario, contestando, in punto di
fatto, che la s.r.l. CBS ha nel tempo
frazionato catastalmente il suo terreno
(creando quindi più lotti, con la
conseguenza che ogni edificio di pertinenza
è tenuto a rispettare le distanze previste
dall’art. 38 RUE), la appellante lamenta in
punto di diritto la violazione della
disciplina imperativa prevista dall’art. 9
del d.m. n. 1444 del 1968.
Il motivo è fondato, sia perché la
disciplina imperativa delle distanze di cui
all’art. 9 prevale, sia perché tra gli
interventi diretti che consentirebbero la
deroga non è contemplato il titolo
abilitativo diretto, ma solo la
pianificazione attuativa.
Sul primo punto, l'art. 9 del d.m.
02.04.1968 n. 1444, che detta disposizioni
in tema di distanze tra le costruzioni,
stante la natura di norma primaria,
sostituisce eventuali disposizioni contrarie
contenute nelle norme tecniche di attuazione
(Consiglio Stato , sez. IV, 05.12.2005, n.
6909).
Le distanze legali previste dagli standards
urbanistici sono immediatamente applicabili
ai rapporti privati, ove gli strumenti
urbanistici prevedono distanze minori.
L'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444, laddove
prescrive la distanza di 10 metri tra le
pareti finestrate di edifici antistanti, va
rispettata in tutti i casi, trattandosi di
norma volta ad impedire la formazione di
intercapedini nocive sotto il profilo
igienico-sanitario, e pertanto non è
eludibile.
Pertanto, le distanze tra le costruzioni
sono predeterminate con carattere cogente in
via generale ed astratta, in considerazione
delle esigenze collettive connesse ai
bisogni di igiene e di sicurezza, di modo
che al giudice non è lasciato alcun margine
di discrezionalità nell'applicazione della
disciplina in materia di equo
contemperamento degli opposti interessi
(Consiglio Stato, sez. IV, 05.12.2005, n.
6909).
In materia di distanze legali, l’art. 136
d.P.R. n. 380 del 2001 ha mantenuto in
vigore l’art. 47-quinquies, commi 6, 8, 9,
della legge nazionale n. 1150 del 1942, per
cui in forza dell’art. 9 del d.m. n. 1444
del 1968 la distanza minima inderogabile di
10 metri tra le pareti finestrate e di
edifici antistanti è quella che tutti i
Comuni sono tenuti ad osservare, ed il
giudice è tenuto ad applicare tale
disposizione anche in presenza di norme
contrastanti incluse negli strumenti
urbanistici locali, dovendosi essa ritenere
automaticamente inserita nel prg al posto
della norma illegittima (Cassazione civile,
Sez. II, 29.05.2006, n. 12741).
Inoltre, se la deroga è consentita solo per
piani particolareggiati e le lottizzazioni
convenzionate, in tale previsione non può
ricomprendersi il permesso di costruire.
Sussiste pertanto la lamentata violazione
della distanza minima assoluta di 10 metri
tra le costruzioni finestrate, non
contenendo l’art. 38 del RUE di Parma alcuna
previsione di distanza in deroga inferiore e
essendo state in fatto verificate distanze
di circa sette metri tra l’edificio
assentito a CBS, tenendo conto degli aggetti
in muratura (balconi e scale esterne).
Con riguardo a tale ultima considerazione,
si richiamano i precedenti secondo cui la
distanza di 10 metri tra pareti finestrate
di edifici antistanti, prevista dall'art. 9
del d.m. 02.04.1968, n. 1444, va calcolata
con riferimento ad ogni punto dei fabbricati
e non alle sole parti che si fronteggiano e
a tutte le pareti finestrate e non solo a
quella principale, prescindendo anche dal
fatto che esse siano o meno in posizione
parallela (così, Consiglio Stato, Sez. IV,
05.12.2005, n. 6909).
Ai fini del computo delle distanze assumono
rilievo tutti gli elementi costruttivi,
anche accessori, qualunque ne sia la
funzione, aventi i caratteri della solidità,
della stabilità e della immobilizzazione,
salvo che non si tratti di sporti e di
aggetti di modeste dimensioni con funzione
meramente decorativa e di rifinitura, tali
da potersi definire di entità trascurabile
rispetto all’interesse tutelato dalla norma
riguardata nel suo triplice aspetto della
sicurezza, della salubrità e dell’igiene
(Consiglio di Stato, Sez. V, 19.03.1996, n.
268).
Gli sporti, cioè le sporgenze da non
computare ai fini delle distanze perché non
attinenti alle caratteristiche del corpo di
fabbrica che racchiude il volume che si vuol
distanziare, sono i manufatti come le
mensole, le lesene, i risalti verticali
delle parti con funzione decorativa, gli
elementi in oggetto di ridotte dimensioni,
le canalizzazioni di gronde e i loro
sostegni, non invece le sporgenze, anche dei
generi ora indicati, ma di particolari
dimensioni, che siano quindi destinate anche
ad estendere ed ampliare per l'intero fronte
dell'edificio la parte utilizzabile per
l'uso abitativo (Consiglio Stato, Sez. IV,
05.12.2005, n. 6909)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.11.2010 n. 7731 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I volumi tecnici sono solo quelli
destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l'utilizzo dell'abitazione e
che non possono essere ubicati al suo
interno.
Pertanto non sono tali le soffitte, gli
stenditoi chiusi e quelli "di sgombero"; e
non è volume tecnico il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente, in realtà, una mansarda in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda.
I volumi
tecnici sono solo quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno.
Pertanto non sono tali -e quindi sono
computabili ai fini della volumetria
consentita- le soffitte, gli stenditoi
chiusi e quelli "di sgombero"; e non
è volume tecnico il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente, in realtà, una mansarda in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda (così, Consiglio
Stato, sez. V, 13.05.1997, n. 483)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.11.2010 n. 7731 -
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EDILIZIA PRIVATA:
In genere, viene considerata una
costruzione, rilevante ai fini delle
distanze legali dai confini, anche un
terrapieno, se creato artificialmente al di
sopra del livello medio del piano di
campagna originario.
Costituisce orientamento consolidato che, ai
fini della osservanza delle norme sulle
distanze dal confine, il terrapieno ed il
muro di contenimento, che producono un
dislivello o aumentano quello già esistente
per la natura dei luoghi, costituiscono
nuove costruzioni, idonee a incidere sulla
osservanza delle norme in tema di distanze
dal confine (così, Consiglio Stato, Sez. IV,
24.04.2009, n. 2579; Consiglio Stato, Sez.
V, 28.06.2000, n. 3637).
Ai fini della osservanza delle norme sulle
distanze dal confine, il terrapieno ed il
muro di contenimento, che hanno prodotto un
dislivello oppure hanno aumentato quello già
esistente per la natura dei luoghi,
costituiscono nuove costruzioni (Cons.
Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579).
In genere, viene considerata una
costruzione, rilevante ai fini delle
distanze legali, anche un terrapieno, se
creato artificialmente al di sopra del
livello medio del piano di campagna
originario (così Cassazione civile, Sez. II,
11.11.2003, n. 1695; Consiglio Stato, Sez.
V, 26.06.2000, n. 3637; anche Cassazione
Sez. II, 15.06.2001, n. 8144, secondo cui,
ai fini della applicazione delle distanze
legali, il muro di sostegno costituisce
costruzione)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.11.2010 n. 7731 -
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APPALTI SERVIZI:
Il sindaco con ordinanza può
assicurare la prosecuzione del servizio di
raccolta e smaltimento dei rifiuti mediante
l'affidamento di questo al precedente
affidatario ma deve rivalutare il
corrispettivo economico fissato con il
precedente contratto.
E' illegittima l'ordinanza emessa ai sensi
dell'art. 38, c. 2, l. 08.06.1990 n. 142,
con cui il sindaco assicura la prosecuzione
del servizio di raccolta e smaltimento dei
rifiuti mediante l'affidamento di questo al
precedente affidatario, nella parte in cui
mantiene il corrispettivo economico fissato
col precedente contratto, dovendo in ogni
caso essere rispettata l'esigenza di
arrecare il minor sacrificio possibile al
privato destinatario dell'ordinanza e quindi
di non imporre corrispettivi raccordati a
valori risalenti nel tempo e senza verifica
della loro idoneità a remunerare con
carattere di effettività il servizio reso
(TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 02.11.2010 n. 4316 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Responsabilità
ambientale - Imputabilità dell’inquinamento
- Condotte attive ed omissive - Prova
diretta ed indiretta - Presunzioni semplici
ex art. 2727 c.c. - Principio dell’”id quod
plerumque accidit”.
In materia di individuazione di
responsabilità ambientale, la giurisprudenza
ha recentemente concluso nel senso per cui
alla luce dell'esigenza di effettività della
protezione dell'ambiente, ferma la
doverosità degli accertamenti indirizzati a
individuare con specifici elementi i
responsabili dei fatti di contaminazione,
l'imputabilità dell'inquinamento può
avvenire per condotte attive ma anche per
condotte omissive e la prova può essere data
in via diretta od indiretta, ossia, in
quest'ultimo caso, l'Amministrazione
pubblica preposta alla tutela ambientale si
può avvalere di presunzioni semplici di cui
all'art. 2727 Cod. civ., prendendo in
considerazione elementi di fatto dai quali
possano trarsi indizi gravi e precisi e
concordanti che inducano a ritenere
verosimile, secondo l'”id quod plerumque
accidit”, che sia verificato un
inquinamento e che questo sia attribuibile a
determinati autori (Cons. Stato, Sez. V,
16.06.2009, n. 3885) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 27.10.2010 n. 6538 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione abusiva -
Responsabilità del proprietario non
formalmente committente dell'opera -
Presupposti - Artt. 44 e 165, D.P.R. n.
380/2001.
In materia edilizia può essere attribuita al
proprietario, non formalmente committente
dell'opera, la responsabilità per la
violazione dell'art. 44 D.P.R. n. 380/2001,
sulla base di valutazioni fattuali, quali
l'accertamento che questi abiti nello stesso
territorio comunale ove è stata eretta la
costruzione abusiva, che sia stato
individuato sul luogo, che sia destinatario
finale dell'opera, che abbia presentato
richieste di provvedimenti abilitativi anche
in sanatoria (Cass. pen. sez. 3 n. 9536 del
20.01.2004).
L'art. 165 consente, infatti, di subordinare
la sospensione della pena alla eliminazione
delle conseguenze dannose del reato (tale
certamente deve ritenersi per l'assetto del
territorio l'opera abusivamente realizzata).
Reati edilizi -
Demolizione dell'opera abusiva e beneficio
della sospensione condizionale della pena.
In tema di reati edilizi, il giudice, nella
sentenza di condanna, può subordinare il
beneficio della sospensione condizionale
della pena alla demolizione dell'opera
abusiva, in quanto il relativo ordine ha la
funzione di eliminare le conseguenze dannose
del reato (Cass. sez. 3 n. 38071 del
19.09.2007; Cass. sez. 3 n. 18304 del
17.01.2003).
Violazione di sigilli -
Responsabilità del custode - Esistenza del
caso fortuito o della forza maggiore - Onere
della prova - Art. 349 c.p..
In tema di violazioni di sigilli, il custode
è obbligato ad esercitare sulla cosa
sottoposta a sequestro e sulla integrità dei
relativi sigilli una custodia continua ed
attenta. Egli non può sottrarsi a tale
obbligo se non adducendo oggettive ragioni
di impedimento e, quindi, chiedendo ed
ottenendo di essere sostituito, ovvero,
qualora non abbia avuto il tempo e la
possibilità di farlo, fornendo la prova del
caso fortuito o della forza maggiore che gli
abbiano impedito di esercitare la dovuta
vigilanza.
Ne consegue che, qualora venga accertata la
violazione dei sigilli, senza che il custode
abbia provveduto ad avvertire dell'accaduto
l'autorità, è lecito ritenere che detta
violazione sia opera dello stesso custode,
da solo o in concorso con altri, tranne che
lo stesso non dimostri di non essere stato
in grado di avere conoscenza del fatto per
caso fortuito o forza maggiore: ciò non
configura alcuna ipotesi di responsabilità
oggettiva, estranea alla fattispecie, ma un
onere della prova che incombe sul custode
(Cass. pen. sez. VI, 11/05/1993 n. 4815;
conf. Cass. pen. sez. 3 n. 2989 del
28.01.2000).
Risponde, pertanto del reato di cui
all'art.349 c.p. il custode che non dimostri
l'esistenza del caso fortuito o della forza
maggiore, dal momento che su di lui grava
l'obbligo di impedire la violazione dei
sigilli (Cass. pen. sez. 3 24.05.2006 n.
19424) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 25.10.2010 n. 37829 -
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APPALTI: Non
è configurabile alcun onere di partecipare
alla gara di un appalto a carico di un
soggetto la cui partecipazione viene ad
essere preclusa direttamente dallo stesso
bando di gara.
Appartiene alla discrezionalità della
stazione appaltante fissare i requisiti di
partecipazione alla singola gara, anche
superiori rispetto a quelli previsti dalla
legge alla luce del suo potere-dovere di
apprestare gli strumenti più adeguati ai
fini del perseguimento dell'interesse
pubblico concreto, oggetto dell'appalto da
affidare, e che unico limite alla
insindacabilità che l’esercizio di tale
potere incontra è legato alla una
valutazione di manifesta irragionevolezza di
quanto richiesto in correlazione al valore
dell'appalto.
Il collegio ritiene di condividere in via di
principio l’orientamento (cfr. Consiglio
Stato, sez. V, 02.08.2010, n. 5069;
09.04.2010, n. 1999; 19.03.2009, n. 1624),
che sembra consolidarsi dopo Corte giustizia
CE, sez. VI, 12.02.2004, nel procedimento
C-230/02, secondo cui non è configurabile
alcun onere di partecipare alla gara di un
appalto a carico di un soggetto la cui
partecipazione viene ad essere preclusa
direttamente dallo stesso bando di gara.
La lesione dell’interesse non può essere
infatti derivare da un atto che si
risolverebbe in un mero adempimento formale,
atteso l'esito scontato di esclusione dalla
gara, non essendo il bando suscettibile di
disapplicazione (cfr. TAR Lazio, sez. II-ter,
08.03.2006, n. 1775 e giurisprudenza ivi
citata).
---------------
Va ricordato
che appartiene alla discrezionalità della
stazione appaltante fissare i requisiti di
partecipazione alla singola gara, anche
superiori rispetto a quelli previsti dalla
legge alla luce del suo potere-dovere di
apprestare (attraverso la specifica
individuazione dei requisiti di ammissione e
di partecipazione ad una gara) gli strumenti
più adeguati ai fini del perseguimento
dell'interesse pubblico concreto, oggetto
dell'appalto da affidare (ex multis
Cons. Stato, 37 del 2007) e che unico limite
alla insindacabilità che l’esercizio di tale
potere incontra è legato alla una
valutazione di manifesta irragionevolezza di
quanto richiesto in correlazione al valore
dell'appalto (cfr. Cons. Stato, sez. V,
14.12.2006 n. 7460; Cons. Stato, sez. V,
13.12.2005 n. 7081).
Più in particolare “il potere delle
stazioni appaltanti di stabilire i requisiti
di partecipazione, e tra questi anche il
livello del fatturato richiesto nell'ultimo
triennio, è sindacabile solo in caso di
scelte che appaiono, "ictu oculi",
irrazionali, fondate su errori di fatto o
sproporzionate in relazione alla rilevanza
economica del contratto da stipulare”
(Consiglio Stato, sez. V, 23.01.2006, n.
206).
In ordine al requisito, in parola viene
evidenziato (cfr. TAR Emilia Romagna
Bologna, sez. I, 11.04.2008, n. 1424) che
l'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture
(cfr. deliberazione 24.01.2007, n. 20), che
svolge (anche) una funzione di
interpretazione e orientamento per le
stazioni appaltanti, ha, al riguardo,
rilevato come il giudice amministrativo
abbia ritenuto immotivata la fissazione, per
un appalto di pulizie, dell'iscrizione al
registro delle imprese per un importo
superiore a cinque volte il valore
dell'appalto, ovvero, in relazione al
fatturato, per un importo nove volte
superiore al valore dell'appalto, mentre
(cfr. Cons. Stato, Sez. V, 31.01.2006, n.
348 ) si è ritenuta non incongrua né
limitativa dell'accesso alla gara la
richiesta di un fatturato, nel triennio
pregresso, sino al doppio dell'importo posto
a base della stessa.
Lo stesso G.A. stima, invece, irrazionale,
eccessiva e sproporzionata, la richiesta di
un importo eccedente di circa sette volte
l'oggetto del contratto (si veda la
decisione coeva e della stessa Sez. V,
23.01.2006, n. 206); ovvero illegittima la
clausola del bando di gara che prevede, a
dimostrazione del possesso del requisito di
capacità economico-finanziaria, un fatturato
dell'ultimo triennio che si attesti su una
soglia minima pari a più di quindici volte
l'ammontare dell'importo posto a base
dell'appalto (TAR Lecce, sez. II,
02.01.2008, n. 1).
D’altra parte, TAR Lazio, Roma, sez. II,
08.03.2006 n. 1775, richiamata in ricorso,
in fattispecie analoga alla presente ha
ritenuto incongrua la richiesta di un
fatturato dell’ultimo triennio pari a tre
volte l’importo a base d’asta
(TAR
Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 20.10.2010 n. 710 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Insidia stradale: è
indispensabile accertare la sussistenza del
nesso di causalità.
Colui il quale intende far valere una
responsabilità contrattuale o
extracontrattuale della Pubblica
Amministrazione deve dimostrare il nesso
causale tra l'eventuale evento dannoso e
l'insidia o trabocchetto, nascente da
situazione di fatto, creatrici di un
pericolo per l'utente della strada (Corte di
cassazione, Sez. III civile,
sentenza 06.10.2010 n. 20757 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: La
traslazione della proprietà (o di altro
diritto idoneo) dell’area comporta
l’assoggettamento dell’avente causa
all’obbligazione relativa agli oneri
concessori solo ed in quanto questi acquista
la posizione legittimante all’ottenimento
della concessione, al cui rilascio è
correlato l’assolvimento degli oneri stessi.
L’obbligazione consistente nel pagamento del
contributo ex legge n. 10/1977 non
costituisce un onere reale né rappresenta
un’obbligazione propter rem, cioè un debito
pecuniario che si trasferisce,
automaticamente e forzosamente, su coloro
che subentrano nella proprietà dell’area
trasformata e/o edificata per effetto del
rilascio della concessione qualora, all’atto
del rilascio stesso, il contributo non sia
stato in tutto o in parte assolto.
L’obbligazione relativa al pagamento del
contributo dovuto per le trasformazioni
urbanistiche ed edilizie che il Comune abbia
facultato a realizzare attraverso il
rilascio della concessione edilizia ai sensi
della L. 28.01.1977, n. 10 è un’obbligazione
personale, nel senso che essa grava su
coloro dai quali la concessione stessa sia
stata richiesta ed ai quali venga quindi
accordata (i proprietari dell’area o coloro
che abbiano titolo a domandarla: cfr. l’art.
4 della L. n. 10/1977).
Qualora la proprietà (o la titolarità di
altro diritto idoneo al rilascio della
concessione) sia trasferita prima che il
richiedente l’abbia ottenuta, l’avente causa
subentra anche nella posizione di aspirante
al rilascio e, quindi, nella titolarità
della concessione poi a lui rilasciata; e
solo in questo caso l’obbligazione relativa
al versamento del contributo compete al
nuovo proprietario (o al nuovo titolare del
diritto idoneo).
In definitiva, la traslazione della
proprietà (o di altro diritto idoneo)
dell’area comporta l’assoggettamento
dell’avente causa all’obbligazione relativa
agli oneri concessori solo ed in quanto
questi acquista la posizione legittimante
all’ottenimento della concessione, al cui
rilascio è correlato l’assolvimento degli
oneri stessi.
L’obbligazione consistente nel pagamento del
contributo ex legge n. 10/1977 non
costituisce un onere reale né rappresenta
un’obbligazione propter rem, cioè un
debito pecuniario che si trasferisce,
automaticamente e forzosamente, su coloro
che subentrano nella proprietà dell’area
trasformata e/o edificata per effetto del
rilascio della concessione qualora, all’atto
del rilascio stesso, il contributo non sia
stato in tutto o in parte assolto (cfr.
l’art. 11 della L. n. 10/1977, sopra
citato).
Sia gli oneri reali che le obbligazioni
propter rem [ammesso che le due
categorie siano tra loro distinte: il che
viene negato da un’autorevole dottrina]
costituiscono figure tipiche, o numerus
clausus; la loro esistenza deriva, cioè,
esclusivamente, da specifiche norme, vuoi
civilistiche che pubblicistiche, le quali
prevedano che soggetto passivo
dell’obbligazione sia o divenga colui che
del bene è o diviene proprietario (o,
talvolta, possessore). Nessuna disposizione
in tal senso è dato, assolutamente,
rinvenire nella legge n. 10/1977.
Peraltro, trattandosi di vincolo o peso
gravante sulla proprietà di un immobile
(l’area trasformata o edificata in virtù
della concessione edilizia), una previsione
legislativa in tal senso avrebbe dovuto,
imprescindibilmente, essere inserita e/o
coordinata col regime civilistico della
trascrizione di cui agli artt. 2643 e ss.
del c.c.. Del che, pure, non v’è traccia
nella legge n. 10/1977
(TAR Marche,
sentenza 05.08.2010 n. 3266 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento di autorizzazione o
concessione edilizia può essere accordato al
proprietario dell’area o a chi ha titolo per
richiederla, quale titolare di un diritto
reale ovvero un diritto obbligatorio che
accordi al richiedente la disponibilità del
suolo o la potestà edificatoria.
Per edificare è necessario che il soggetto
istante sia o il titolare del diritto di
proprietà sul fondo o chi, pur essendo
titolare di altro diritto, reale o di
obbligazione, abbia, per effetto di questo
obbligo o facoltà di eseguire i lavori per
cui chiede il permesso, quindi, ad esempio,
anche il locatario se il contratto di
locazione reca l’esplicita o implicita, ma
inequivocabile, autorizzazione
all’esecuzione di dati interventi di
trasformazione del bene in funzione dell’uso
per il quale lo stesso è stato concesso ad
altri.
Il provvedimento di autorizzazione o
concessione edilizia può essere accordato al
proprietario dell’area o a chi ha titolo per
richiederla, quale titolare di un diritto
reale ovvero un diritto obbligatorio che
accordi al richiedente la disponibilità del
suolo o la potestà edificatoria, mentre una
semplice relazione di fatto, ancorché
tutelata, quale quella legata al mero
possesso dell’area, non è idonea a conferire
il diritto ad ottenere il rilascio del
titolo concessorio.
Il richiedente il permesso di costruire
deve, infatti, avere la disponibilità
giuridica dell’area interessata alla
costruzione in progetto, non essendo
sufficiente la mera disponibilità di fatto
di essa.
Analogamente un richiesta di variante o la
denuncia di inizio attività deve essere
prodotta, ai sensi dell’art. 23, primo comma
del DPR 06.06.2001 n. 380, dal soggetto
legittimato, ovvero dal proprietario
dell’immobile o da chi abbia titolo per
presentare la denuncia di inizio attività.
La formulazione ultima richiama, invero,
quella dell’art. 11 del DPR 380/2001, a sua
volta ispirata dall’art. 4 della legge
28.01.1977 n. 10.
In altre parole, per edificare è necessario
che il soggetto istante sia o il titolare
del diritto di proprietà sul fondo o chi,
pur essendo titolare di altro diritto, reale
o di obbligazione, abbia, per effetto di
questo obbligo o facoltà di eseguire i
lavori per cui chiede il permesso, quindi,
ad esempio, anche il locatario se il
contratto di locazione reca l’esplicita o
implicita, ma inequivocabile, autorizzazione
all’esecuzione di dati interventi di
trasformazione del bene in funzione dell’uso
per il quale lo stesso è stato concesso ad
altri.
E d’altra parte, certamente spetta al Comune
la verifica del possesso del titolo, la cui
mancanza impedisce all’Amministrazione di
procedere oltre nell’esame del progetto
(TAR Basilicata,
sentenza 26.07.2010 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
disposto di cui all’art. 4, comma 6, della
legge 28.01.1977, n. 10 (attualmente
contenuto nell’art. 11, comma 2, del d.p.r.
06.06.2001, n. 380) pone limitazioni al
potere di revoca espressione dello ius
poenitendi dell’amministrazione, che non può
formulare nuove valutazioni di opportunità
sulla stessa situazione già oggetto di
considerazione, pentendosi della decisione
assunta; il potere di revoca in questione,
invece, non soggiace alla limitazione
contenuta nell’art. 11, comma 2, del d.p.r.
06.06.2001, n. 380, poiché è esercitato per
via di un semplice mutamento della
situazione di fatto, che rende non più
adeguata la conservazione della decisione
originaria, presa alla luce di determinati
presupposti che sono venuti meno e risponde
quindi al principio di efficacia dell’azione
amministrativa sancito all’art. 1 della
legge n. 241 del 1990, alla luce del quale
gli effetti del provvedimento originario
sono mantenuti sino a quando siano
rispondenti all’assetto degli interessi
originariamente perseguiti, sicché il
sopravvenuto modificarsi della situazione di
fatto, rende pienamente legittimo
l’esercizio del potere di revoca.
Nell'atto di revoca di una concessione
edilizia (o permesso di costruire)
l’amministrazione deve sì effettuare una
puntuale comparazione degli interessi dei
destinatari del provvedimento e dei
controinteressati eventualmente coinvolti;
tuttavia, tali interessi assurgono ad un
livello apprezzabile qualora si sia
ingenerato un legittimo affidamento nel
privato in ordine alle prescrizioni
contenute nel titolo edilizio rilasciato,
mentre tale affidamento è da escludersi
tutte le volte in cui gli elementi volontari
ed intenzionali del soggetto richiedente
inducano a ritenere che lo stesso conoscesse
adeguatamente le condizioni derivanti dal
titolo abilitativo rilasciato.
Invero, con riferimento alla asserita
carenza motivazionale del provvedimento che
non avrebbe tenuto in considerazione
l’interesse privato alla conservazione del
manufatto edilizio, osserva il Collegio che
le ragioni poste alla base del provvedimento
di revoca sono ravvisate:
a) nella precarietà della struttura
autorizzata;
b) nell’impegno assunto dal ..., al momento
della presentazione della richiesta di
rilascio del titolo abilitativo, alla
rimozione del manufatto a semplice richiesta
dell’amministrazione;
c) nell’avvenuta alienazione del locale
adibito a laboratorio artigiano e del
trasferimento dell’attività del ... in altra
località.
Alla luce di tali presupposti di fatto
l’amministrazione, ritenendo essere venute
meno le ragioni sulla base delle quali era
rilasciata la concessione edilizia n.
36/1985, ne disponeva la revoca.
Le motivazioni poste alla base del
provvedimento erano pertanto
sufficientemente esplicate in relazione a
nuove circostanze sopravvenute. La revoca,
nella sostanza, è stata legittimamente
adottata in conformità al principio di
efficacia dell’azione amministrativa
espresso nell’art. 1 della legge 07.08.1990,
n. 241, in virtù del quale gli scopi
raggiunti attraverso il provvedimento
originario devono essere mantenuti, ma in
caso di sopravvenuto mutamento dei
presupposti di fatto, che determinarono
l’adozione del provvedimento,
l’amministrazione valuta l’opportunità in
ordine al mantenimento degli effetti
derivanti dal provvedimento originario,
decidendo per la loro eliminazione, qualora
tali effetti non siano più rispondenti
all’assetto di interessi originariamente
perseguiti.
A ben guardare, nella fattispecie, non siamo
in presenza di un potere di revoca
espressione dello ius poenitendi
dell’amministrazione, che valuta nuovamente
la stessa situazione già oggetto di
ponderazione al momento dell’emanazione del
provvedimento originario e, accorgendosi di
aver mal valutato, si pente della decisione
a suo tempo assunta e decide di rimuovere il
provvedimento di cui è ritenuta inopportuna
la permanenza.
Al contrario, il potere amministrativo in
questione è ascrivibile alla revoca per
mutamento della situazione di fatto, che si
realizza quando il provvedimento pregresso
ha curato in modo ottimale il pubblico
interesse, ma con il passare del tempo la
modificazione dei presupposti di fatto rende
non più adeguata la conservazione della
decisione originaria.
Mentre nella prima ipotesi l’amministrazione
che esercita lo ius poenitendi, è
tenuta a comparare adeguatamente le ragioni
di interesse pubblico che inducano alla
rimozione del provvedimento e al sacrificio
degli interessi dei privati che avevano
fatto affidamento sulla stabilità del
provvedimento, anche alla luce del tempo
trascorso, tenendo presente che tanto più
sarà lungo il tempo trascorso tanto meno
saranno recessivi gli interessi dei privati
coinvolti.
Nella seconda ipotesi, nel caso di revoca
per sopravvenuto mutamento della situazione
di fatto, che è quella che viene in rilievo
nella fattispecie, poiché la nascita del
provvedimento e quindi la concessione di
situazioni soggettive di vantaggio è
condizionata dalla sussistenza di una serie
di presupposti di fatto conosciuti ab
origine dal privato, i soggetti
beneficiari del provvedimento non possono
non essere pienamente consapevoli che la
conservazione del provvedimento è
subordinata alla persistenza delle medesime
condizioni che ne avevano determinato
l’adozione.
Ne consegue l’inconferenza della censura
relativa alla mancanza di un interesse
pubblico alla demolizione, quali ad esempio
il pericolo di danni a terzi, proprio perché
l’interesse pubblico è evidenziato
dall’amministrazione nel sopravvenuto venir
meno delle circostanze di fatto che avevano
originariamente determinato
l’amministrazione a rilasciare il titolo
abilitativo per la costruzione di una
struttura precaria. Da qui discende la non
irragionevolezza dell’ordine di demolizione
della baracca, in quanto non fondato sullo
stato di fatiscenza dell’edificio o sui
pericoli da esso derivanti, ma sul
sopravvenuto mutamento della situazione di
fatto che aveva legittimato il rilascio
della concessione edilizia.
Il Collegio reputa, inoltre, superfluo che
l’amministrazione desse conto, nella
motivazione, della comparazione tra
l’interesse pubblico alla demolizione e
l’interesse privato alla conservazione del
manufatto edilizio, in quanto il ... non
aveva maturato alcun interesse
giuridicamente tutelabile alla conservazione
della baracca.
Ciò in quanto in primo luogo la concessione
edilizia era stata rilasciata in conformità
all’istanza del sig. ..., il quale si
limitava a chiedere “l’installazione di
una baracca con struttura precaria” per
i motivi specificati nella relazione tecnica
ovvero “per uso deposito del materiale da
lui usato per la sua attività” e si
impegnava espressamente a rimuovere la
baracca, in qualsiasi momento, su richiesta
dell’amministrazione. In secondo luogo, la
concessione edilizia n. 36/1985 era
rilasciata anche sulla base del parere del
tecnico comunale del 13.09.1985, il quale si
esprimeva in favore dell’accoglimento
dell’istanza di costruzione, con la
previsione, però, dell’obbligo di rimuovere
la struttura in qualsiasi momento
l’amministrazione comunale lo avesse
ritenuto opportuno.
Ne consegue che sia i presupposti di fatto
che fondavano la concessione edilizia sia il
contenuto stesso di tale provvedimento, che
abilitava non alla costruzione di una
struttura di carattere permanente, ma
precaria, escludevano in modo assoluto
l’ingenerarsi di qualsiasi affidamento in
ordine alla possibilità di conservare in
modo permanente sul suolo il manufatto
edilizio, la cui costruzione era stata
autorizzata, giova ripeterlo, sulla base
dell’approvazione del progetto presentato
dallo stesso ..., che ne aveva sottolineato
la natura precaria e la funzione servente al
suo lavoro da artigiano, per il deposito di
materiale. Inoltre, la natura precaria della
struttura assentita costituiva
ontologicamente sintomo della impossibilità
di conservare la stessa in modo permanente
sul suolo e pertanto risulta inconferente
quanto affermato dai ricorrenti in ordine
alla circostanza che la concessione edilizia
non era stata rilasciata per un periodo
temporaneo.
La disposizione
di cui all’art. 4, comma 6, della legge
28.01.1977, n. 10, in ordine alla
irrevocabilità della concessione edilizia
(oggi permesso di costruire), è attualmente
contenuta nell’art. 11, comma 2, del d.p.r.
06.06.2001, n. 380.
Al riguardo occorre innanzitutto chiarire
che tale norma non sancisce un generale
divieto di autotutela, ma si riferisce
esclusivamente alla preclusione per
l'Amministrazione della possibilità di
rinnovare, dopo il rilascio del titolo
abilitativo, ogni valutazione di merito,
quali ad esempio quelle in ordine alla
compatibilità estetico-ambientale dei
lavori, da porre a fondamento del riesame
(Consiglio Stato, sez. VI, 27.06.2005 , n.
3414).
Il potere generale di revoca dei
provvedimenti amministrativi è stato
introdotto dall’art. 14 della legge
11.02.2005, n. 15, che ha inserito nella
legge n. 241 del 1990 l’art. 21-quinquies il
quale sancisce che “…per sopravvenuti
motivi di pubblico interesse ovvero nel caso
di mutamento della situazione di fatto o di
nuova valutazione dell’interesse pubblico
originario, il provvedimento amministrativo
ad efficacia durevole può essere revocato da
parte dell’organo che lo ha emanato…”.
In ogni caso, il disposto di cui all’art. 4,
comma 6, della legge 28.01.1977, n. 10
(attualmente contenuto nell’art. 11, comma
2, del d.p.r. 06.06.2001, n. 380) pone
limitazioni al potere di revoca espressione
dello ius poenitendi
dell’amministrazione, che non può formulare
nuove valutazioni di opportunità sulla
stessa situazione già oggetto di
considerazione, pentendosi della decisione
assunta; il potere di revoca in questione,
invece, non soggiace alla limitazione
contenuta nell’art. 11, comma 2, del d.p.r.
06.06.2001, n. 380, poiché è esercitato per
via di un semplice mutamento della
situazione di fatto, che rende non più
adeguata la conservazione della decisione
originaria, presa alla luce di determinati
presupposti che sono venuti meno e risponde
quindi al principio di efficacia dell’azione
amministrativa sancito all’art. 1 della
legge n. 241 del 1990, alla luce del quale
gli effetti del provvedimento originario
sono mantenuti sino a quando siano
rispondenti all’assetto degli interessi
originariamente perseguiti, sicché il
sopravvenuto modificarsi della situazione di
fatto, rende pienamente legittimo
l’esercizio del potere di revoca
(TAR Basilicata,
sentenza 26.07.2010 n. 529 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
concessione in sanatoria -in quanto
provvedimento tipico che elimina
l’antigiuridicità dell’abuso, estinguendo il
potere repressivo dell’Amministrazione- è
ammessa soltanto entro i limiti delineati
dal legislatore (doppia conformità), senza
alcuna estensione discrezionale da parte
della P.A..
Il comma primo dell'art. 36 DPR 380/2001,
nel disciplinare l’accertamento di
conformità in materia edilizia, stabilisce
testualmente che “…il responsabile
dell’abuso o l’attuale proprietario
dell’immobile possono ottenere il permesso
in sanatoria se l’intervento risulti
conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda…”.
La chiara lettera della norma non consente
spazi interpretativi, nel senso che la
concessione in sanatoria -in quanto
provvedimento tipico che elimina
l’antigiuridicità dell’abuso, estinguendo il
potere repressivo dell’Amministrazione- è
ammessa soltanto entro i limiti delineati
dal legislatore, senza alcuna estensione
discrezionale da parte della P.A..
In tal senso è anche il recente orientamento
del Consiglio di Stato (cfr., per tutte,
C.d.S. Sez. VI, 26.04.2006, n. 2306)
(C.G.A.R.S.,
sentenza 15.10.2009 n. 941 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento di sanatoria in esito ad
accertamento di conformità può essere
rilasciato solo al ricorrere del duplice
presupposto richiamato all’articolo 36 del
T.U. n. 380 del 2001 in materia edilizia.
In aggiunta all’accertamento di doppia
conformità -tanto alla normativa urbanistica
vigente al momento della realizzazione
dell'opera quanto a quella vigente al
momento della domanda– previsto a regime
dall’art. 13 della legge n. 47 del 1985, un
indirizzo giurisprudenziale ha ammesso una
più ampia possibilità di sanatoria per le
opere difformi dalla normativa urbanistica
vigente al momento dell’abuso ma conformi a
quella successivamente intervenuta (cfr. V
Sez. 13.02.1995 n. 238 nonché V sez.
21.10.2003, n. 6498).
In tal senso è stato osservato che la regola
desumibile dalle disposizioni citate non
preclude il diritto ad ottenere la
concessione in sanatoria di opere che,
realizzate senza concessione o in difformità
dalla concessione, siano conformi alla
normativa urbanistica vigente al momento in
cui l'Autorità comunale provvede sulla
domanda di sanatoria, non essendovi nessuna
ragione di ritenere che l'ordinamento
imponga di demolire un'opera prima di
ottenere la concessione per realizzarla
nuovamente (V Sez. n. 6498 del 2003 cit.).
Secondo un opposto orientamento, diffuso
soprattutto in primo grado, con la legge n.
47 del 1985 è entrata in vigore una
disciplina esaustiva e puntuale delle
ipotesi di sanatoria, anche ai fini
amministrativi, che non lascia alcun margine
interpretativo.
Secondo tale impostazione, il principio di
conservazione dei valori –che farebbe
ritenere illogica la demolizione dell'opera,
quando la stessa potrebbe essere autorizzata
sulla base della sopravvenuta strumentazione
urbanistica- deve quindi retrocedere
dinnanzi al principio costituzionale di
legalità, che impone la necessaria e stretta
osservanza della disciplina dettata dalla
legge (cfr. per tutte TAR Toscana, III Sez.,
15.04.2002, n. 724, e TAR Veneto, II Sez.,
20.02.2003, n. 1498).
Al riguardo il Collegio osserva che la
concessione in sanatoria è un provvedimento
tipico, che elimina l'antigiuridicità
dell'abuso, estinguendo il potere repressivo
dell'Amministrazione, con la conseguenza che
il suo ambito di applicazione non può che
essere specificamente disciplinato dalla
normativa, non risultando consentito
l'esercizio, da parte dell'Amministrazione,
di un potere di sanatoria che vada oltre i
limiti imposti dal Legislatore.
A ciò deve aggiungersi, soprattutto, che il
T.U. n. 380 del 2001, continuando a
postulare (art. 36) l’accertamento di
duplice conformità nei termini già divisati
dall’art. 13 della legge n. 47 del 1985, non
ha recepito la possibilità di sanatoria di
cui si discute, nonostante che la
possibilità di riconoscere a livello
normativo l’ammissibilità, entro certi
limiti, di tale istituto giurisprudenziale
fosse stata espressamente prospettata tra
l’altro dall’Adunanza Generale di questo
Consiglio di Stato nel parere all’uopo reso
in data 29.03.2001.
Non avendo il Legislatore, per le ragioni
indicate nella Relazione, ritenuto di poter
valorizzare tale opzione, deve concludersi
–per le esposte ragioni testuali e
sistematiche- nel senso che il provvedimento
di sanatoria in esito ad accertamento di
conformità può essere rilasciato solo al
ricorrere del duplice presupposto richiamato
all’articolo 36 del T.U. n. 380 del 2001 in
materia edilizia
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.04.2006 n. 2306 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 10.11.2010 |
ã |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
INCENTIVO PROGETTAZIONE - PUBBLICO IMPIEGO: G.U.
09.11.2010, suppl. ord. n. 243/L, "Deleghe
al Governo in materia di lavori usuranti, di
riorganizzazione di enti, di congedi,
aspettative e permessi, di ammortizzatori
sociali, di servizi per l’impiego, di
incentivi all’occupazione, di apprendistato,
di occupazione femminile, nonché misure
contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie di
lavoro" (L.
04.11.2010 n. 183).
---------------
Il ripristino al 2% dell'incentivo alla
progettazione interna è legge ed entrerà in
vigore dal 24.11.2010.
Al riguardo, si legga l'art. 35, comma 3, il
quale così dispone:
"3.
All'articolo 61 del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112, convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il comma
7-bis, introdotto dall'articolo 18, comma
4-sexies, del decreto-legge 29 novembre
2008, n. 185, convertito, con modificazioni,
dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, è
abrogato." |
AGGIORNAMENTO ALL'08.11.2010 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
Bottone "CONVEGNI"
n. 5 giornate di studio a Bergamo per il 17-24
novembre e 01-09-16 dicembre 2010 organizzate dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella
locandina.
---------------
Termine di iscrizione
(solamente) on-line: sabato 13.11.2010. |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Detrazioni 55%: la nuova guida dell'Agenzia
delle Entrate.
L'Agenzia delle Entrate ha aggiornato la
guida sulle detrazioni fiscali per gli
interventi di riqualificazione energetica
degli edifici.
Attualmente, i contribuenti che fino al
31.12.2010 sostengono spese per interventi
finalizzati al risparmio energetico possono
usufruire della particolare detrazione
d'imposta nella misura del 55%.
Dal momento dell'introduzione delle
agevolazioni (L. Finanziaria 2007) le norme
che disciplinano le procedure da seguire per
avvalersi correttamente delle agevolazioni
sono state oggetto di numerosi cambiamenti,
quali, ad esempio:
- l'introduzione dell'obbligo di inviare una
comunicazione all'Agenzia delle Entrate
(quando i lavori proseguono oltre un periodo
d'imposta);
- la ripartizione unica, in cinque rate
annuali di pari importo, del totale della
spesa sostenuta;
- la sostituzione della tabella dei valori
limite della trasmittanza termica.
La nuova edizione della guida ha l'obiettivo
di fare il punto della situazione,
illustrando i vari tipi di intervento per i
quali si può fruire del beneficio e gli
adempimenti necessari per ottenerlo.
In sintesi:
- la detrazione dalle imposte sui redditi
(Irpef o Ires) è pari al 55% delle spese
sostenute, entro un limite massimo che varia
a seconda della tipologia dell'intervento
eseguito;
- l'agevolazione non è cumulabile con altri
benefici fiscali previsti da disposizioni di
legge nazionali o altri incentivi
riconosciuti dalla Comunità Europea;
- non è necessario effettuare alcuna
comunicazione preventiva di inizio dei
lavori all'Agenzia delle Entrate;
- i contribuenti non titolari di reddito
d'impresa devono effettuare il pagamento
delle spese sostenute mediante bonifico
bancario o postale (i titolari di reddito di
impresa sono invece esonerati da tale
obbligo);
- è previsto l'esonero dalla presentazione
della certificazione energetica per la
sostituzione di finestre, per gli impianti
di climatizzazione invernale e per
l'installazione di pannelli solari;
- dal 1° luglio 2010, al momento del
pagamento del bonifico effettuato dal
contribuente che intende avvalersi della
detrazione, le banche e le Poste Italiane
Spa hanno l'obbligo di effettuare una
ritenuta del 10% a titolo di acconto
dell'imposta sul reddito dovuta dall'impresa
che effettua i lavori;
- per gli interventi eseguiti dal 2009 è
obbligatorio ripartire la detrazione in
cinque rate annuali di pari importo (per il
2008 andava da un minimo di tre ad un
massimo di 10 anni, mentre solo per l'anno
2007 c'era l'obbligo di ripartire la spesa
in 3 rate annuali uguali) (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
55% anche se i lavori proseguono oltre il
31.12.2010.
L'ENEA ha chiarito che, in assenza di
proroga della detrazione del 55%, potranno
usufruire della detrazione del 55% i lavori
avviati e non ultimati entro il 31.12.2010.
La detrazione sarà naturalmente applicabile
sulle sole spese sostenute entro il 2010 e
non sarà applicabile, invece, su quelle
necessarie al completamento dei lavori
sostenute successivamente.
La precisazione è contenuta nella Faq n. 65,
ove è riportato che "per venire incontro
alle esigenze degli utenti che non
riuscissero a concludere i lavori entro il
2010, in accordo con l'Agenzia delle
Entrate, si ritiene che detti lavori possano
anche continuare nel 2011, fermo restando
che eventuali spese sostenute in quest'anno
(ossia nel 2011, ndr) non possono essere
ritenute detraibili".
L'invio della documentazione all'Enea deve
essere effettuato entro 90 giorni dalla fine
dei lavori.
L'ENEA precisa inoltre che "Quanto sopra
vale in caso di mancato rinnovo delle
detrazioni per il 2011" e che "il
mancato termine dei lavori nel 2010 va
comunicato telematicamente all'Agenzia delle
Entrate entro il 31.03.2011, specificando
quanto pagato nel 2010" (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Disponibile Gratuitamente la guida UNI-CIG "protezione
catodica della rete in acciaio di
distribuzione del gas".
Il Comitato Italiano Gas (CIG) ha
distribuito le Linee Guida elaborate dall'A.P.C.E.
(Associazione per la Protezione dalle
Corrosioni Elettrolitiche - Sede legale c/o
Italgas Via del Commercio, 11 - 00154 Roma)
sulla PROTEZIONE CATODICA DELLA RETE IN
ACCIAIO DI DISTRIBUZIONE DEL GAS.
Le linee guida sono parte di una serie
dedicata al servizio di distribuzione del
gas; le raccomandazioni contenute in questa
e nelle altre linee guida della serie
costituiscono i requisiti essenziali per
l'effettuazione delle attività trattate per
aspetti non coperti o sufficientemente
regolati da norme tecniche nazionali o
europee.
Ai sensi della delibera n. ARG/gas 120/2008
dell'Autorità per l'energia elettrica e il
gas (articolo 28.2), nel caso in cui
risultino mancanti norme tecniche,
specifiche tecniche o rapporti tecnici
applicabili, vengono adottate linee guida
definite dagli organismi tecnici competenti
Cig e Apce, pubblicate dall'Uni.
In caso di contrasto fra una raccomandazione
delle Linee Guida e una prescrizione
contenuta in una Regola Tecnica o Norma
Tecnica, la prescrizione è prevalente sulla
raccomandazione (link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 44 del
04.11.2010, "Modifica delle dd.g.r. nn.
7868/2002, 13950/2003, 8943/2007 e
8127/2008, in materia di canoni demaniali di
polizia idraulica" (deliberazione
G.R. 26.10.2010 713 - link a
www.infopoint.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ATTI AMMINISTRATIVI:
M. Asprone Maurizio e S. Martini,
Il responsabile del procedimento
amministrativo: l’istruttoria e i profili di
responsabilità (link a
www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
M. Asprone,
La nuova conferenza dei servizi decisoria
dopo l’introduzione della legge 15/2005
(link a www.diritto.it). |
NEWS |
VARI:
Riparte lo shopping incentivato. Fondo unico
di 110 milioni di euro I contributi ancora a
disposizione sono utilizzabili,
indistintamente, in tutti i settori “agevolati”.
Da oggi (03.11.2010) e fino al 31 dicembre
di quest’anno -sempre che le risorse non
vadano esaurite prima- sarà ancora possibile
usufruire degli incentivi statali stanziati
–dall'articolo 4 del decreto legge n. 40 del
25.03.2010, per complessivi 300 milioni di
euro– per favorire la domanda in determinati
settori produttivi, perseguendo obiettivi di
efficienza energetica, ecocompatibilità e
sicurezza sul lavoro. L’agevolazione è
riconosciuta sotto forma di riduzione del
prezzo di vendita praticata dal venditore al
momento dell’acquisto.
I comparti agevolati sono stati individuati
dal decreto interministeriale del
26.03.2010: cucine componibili,
elettrodomestici, efficienza energetica
industriale, motocicli, nautica, rimorchi,
macchine agricole e movimentazione terra,
gru a torre per l’edilizia, banda larga,
immobili ad alta efficienza energetica.
Il provvedimento, inoltre, ha fissato gli
importi assegnati a ciascuno di essi, il
contributo unitario spettante e i requisiti
necessari per accedervi ... (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Il caso di un consigliere la cui
moglie amministra una snc che lavora per
l'ente. Incompatibilità da valutare.
Conflitti di interesse da accertare caso per
caso.
Sussiste un'ipotesi di
incompatibilità ex art. 63, comma 1, n. 2
del dlgs n. 267/2000 nei confronti di un
consigliere comunale, la cui moglie è
socio-amministratore di una società in nome
collettivo che ha stipulato con il comune un
contratto per la gestione di un servizio
pubblico?
L'art. 63, comma 1, n. 2, del dlgs n.
267/2000 stabilisce che non può ricoprire
cariche elettive locali colui che, come
titolare, amministratore, dipendente con
poteri di rappresentanza o di coordinamento
abbia parte, direttamente o indirettamente,
in servizi, esazioni di diritti,
somministrazioni o appalti, nell'interesse
del comune.
La ratio della causa di
incompatibilità «consiste nell'impedire
che possano concorrere all'esercizio delle
funzioni dei consigli comunali soggetti
portatori di interessi confliggenti con
quelli del comune o i quali si trovino
comunque in condizioni che ne possano
compromettere l'imparzialità» (C.Cost.
sent. n. 44/1977, n. 450/2000 e n.
220/2003).
La Corte di Cassazione ha chiarito che la
norma è volta ad evitare il pericolo di
deviazioni nell'esercizio del mandato da
parte degli eletti ed il conflitto, anche
solo potenziale, che la medesima persona
sarebbe chiamata a dirimere se dovesse
scegliere tra l'interesse che deve tutelare
in quanto amministratore dell'ente che
gestisce il servizio e quello che deve
garantire in quanto consigliere del comune
che di quel servizio fruisce.
Inoltre ha precisato che il legislatore ha
inteso rafforzare l'effettività della norma
non soltanto nei confronti del soggetto al
quale, in ragione della partecipazione al
servizio con una determinata qualità
soggettiva, il conflitto di interessi sia
immediatamente riferibile, ma anche nei
confronti del soggetto che, al di là della
qualità soggettiva di colui che partecipa «formalmente»
al servizio, debba considerarsi come il «reale»
portatore dell'interesse «particolare»
potenzialmente confliggente con quelli «generali»
connessi all'esercizio della carica elettiva
(cfr. Cass. civile sent. n. 11959/2003, sez.
I, sent. n. 550/2004).
Il conflitto è rintracciabile anche
nell'ipotesi in cui la partecipazione
all'impresa avvenga attraverso la semplice
titolarità di quote di capitale di una
società appaltatrice di lavori per conto del
comune, in quanto i vantaggi economici
connessi agli appalti spiegheranno effetti
diretti sulla posizione patrimoniali dei
soci (cfr. Cass. civile, sez., I, n.
1733/2001); la causa d'ineleggibilità
prevista «nei confronti di coloro che,
direttamente o indirettamente, abbiano parte
in appalti in favore del comune, mira ad
evitare posizioni di conflitto, anche
potenziale, fra l'interesse pubblico e
quello privato degli amministratori
municipali, e, quindi, comprende pure le
situazioni di fatto non esteriorizzate
formalmente, con eventuale interposizione di
altri soggetti, sempreché le situazioni
medesime, tenuto conto che si verte in tema
di eccezioni al diritto di elettorato
passivo, risultino rigorosamente accertate»
(cfr. Cass., sez. I, sent. n. 1622/1980).
Pertanto, qualora il consigliere comunale
sia anche socio della società in nome
collettivo, la situazione giuridica
dell'amministratore può essere ricondotta
alla causa ostativa di cui al punto 2),
comma 1, dell'art. 63 del Tuel; se, invece
l'amministratore non è socio, il rapporto di
coniugio che lo lega al socio-amministratore
della società chiamata alla gestione dei
servizi non è sufficiente, da solo, a
configurare un'ipotesi di conflitto
sostanziale con l'ente, che andrà di volta
in volta «rigorosamente accertato»;
se gli interessi dell'impresa che gestisce
l'appalto o il servizio rimangono riferibili
esclusivamente al coniuge l'incompatibilità
non sussiste, fermo restando l'obbligo di
cui all'art. 78 del dlgs n. 267/2000, che
impone agli amministratori di improntare il
proprio comportamento, nell'esercizio delle
funzioni, all'imparzialità e al principio di
buona amministrazione e di astenersi dal
prendere parte alla discussione ed alla
votazione delle delibere riguardanti
interessi propri o di loro parenti e affini
sino al quarto grado.
In tal caso, la verifica delle cause
ostative all'espletamento del mandato è
compiuta con la procedura consiliare di cui
all'art. 69 del Tuel, che garantisce il
contraddittorio tra organo e amministratore,
assicurando a quest'ultimo l'esercizio del
diritto alla difesa e la possibilità di
rimuovere entro un congruo termine la causa
di incompatibilità contestata.
L'art. 61, comma 1-bis, del dlgs n.
267/2000, infine, dispone che non può
ricoprire la carica di sindaco o di
presidente della provincia colui che ha
ascendenti o discendenti ovvero parenti o
affini fino al secondo grado che coprano,
nelle rispettive amministrazioni, il posto
di appaltatore di lavori o di servizi
comunali.
La previsione colpisce gli amministratori
anche in assenza di un vantaggio diretto o
indiretto che possa essere imputato loro
personalmente, ma rimanga esclusivo del
parente che gestisce l'appalto o il
servizio, a salvaguardia del principio
d'imparzialità dell'azione amministrativa
(articolo
ItaliaOggi del 05.11.2010 - link a www.ecostampa.com). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Legge
Brunetta, comuni in affanno. Enti alla prese
con valutazione e merito. Ma si chiede un
rinvio. Le amministrazioni devono adottare
le regole entro il 2010. Le ipotesi di
proroga sul tavolo della Civit.
I comuni stanno avviando le procedure per
dare concreta applicazione alla legge cd
Brunetta sul versante della adozione delle
nuove metodologie di valutazione, della
introduzione degli istituti meritocratici e
dell'adattamento del proprio regolamento di
organizzazione. Ricordiamo che il termine
entro cui le amministrazioni devono avere
adottato le nuove regole è fissato per la
fine del mese di dicembre.
Si deve aggiungere che in molte realtà si
ritiene, e in alcune si chiede, che tale
termine venga rinviato. Peraltro in molti
comuni si è sparsa la voce che una ipotesi
di rinvio sarebbe attualmente all'esame
della Commissione nazionale per la
valutazione, l'integrità e la trasparenza
delle pubbliche amministrazioni (Civit).
Alla base di tale rinvio sarebbe la mancanza
di risorse aggiuntive da destinare alla
incentivazione del personale e dei dirigenti
che otterranno le migliori valutazioni ed il
blocco della contrattazione collettiva.
Il primo passaggio che i comuni devono
realizzare, per dare attuazione alle
prescrizioni dettate dalla legge Brunetta, è
costituito dalla deliberazione da parte del
consiglio delle linee guida per la
introduzione delle novità previste da tale
disposizione. Essendo in presenza di
prescrizioni che devono essere realizzate
attraverso la modifica del regolamento
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi,
avendo tali modifiche un carattere
radicalmente innovativo ed avendo una
notevole rilevanza, la deliberazione
preventiva del consiglio è indispensabile.
Ricordiamo che, sulla base delle regole
stabilite dal testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali, la
competenza alla adozione del regolamento di
organizzazione è della giunta, ma il
consiglio è chiamato a dettare i criteri
generali. La giunta dovrà recepire in una
norma regolamentare le prescrizioni dettate
dal dlgs n. 150/2009. Un primo argomento è
costituito dalla disciplina dell'Organismo
indipendente di valutazione. A partire dalla
scelta, che si caldeggia per i piccoli e
medi centri, di dare vita ad una forma di
gestione associata.
Ed ancora, si deve fissare il numero dei
componenti e la composizione, tra le opzioni
esclusivamente esterna e quella mista.
Ricordiamo che negli ultimi mesi la Civit,
modificando il suo orientamento iniziale ed
aderendo alla impostazione dell'Anci, si è
espressa perché il segretario non possa far
parte di tale organismo, in quanto lo stesso
venga chiamato a proporre anche la
metodologia di valutazione della sua
prestazione.
Occorre inoltre operare una scelta sul
livello della professionalità richiesta
(ricordiamo che la Civit ha dettato criteri
molto rigorosi per i requisiti), nonché
sulla durata, sul suo modo di operare, sul
compenso, sulla eventuale clausola di
esclusività (che nella stragrande
maggioranza dei comuni non appare
necessaria), sulle incompatibilità e sulle
procedure di nomina. Il regolamento dovrà
inoltre dare attuazione alla suddivisione
dei dirigenti, delle posizioni organizzative
e del personale in fasce di merito, sulla
base degli esiti delle valutazioni.
I vincoli legislativi sono: le fasce devono
essere almeno tre, il numero di ogni fascia
deve essere prefissato e la quota prevalente
delle risorse deve essere destinata alla
incentivazione di coloro che sono collocati
nella fascia più alta. La scelta potrà
confermare le differenziazioni previste
dalla legge per le amministrazioni dello
stato, accrescerle o diminuirle: ricordiamo
che non vi è un vincolo a negare ogni forma
di incentivazione a coloro che sono inseriti
nella fascia più bassa.
Il regolamento decide il numero delle fasce
e la quantità di dipendenti, dirigenti o
posizioni organizzative da inserire nelle
singole fasce, nonché nelle amministrazioni
più rilevanti potrà anche prevedere che la
suddivisione sia operata nell'ambito delle
varie articolazioni organizzative. Spetta
invece alla contrattazione decentrata
fissare la quantità di risorse da assegnare
ad ogni fascia.
In sede regolamentare dovranno inoltre
essere fissati i capisaldi del nuovo sistema
di valutazione dei dirigenti, delle
posizioni organizzative e dei dipendenti.
Nel nuovo sistema si dovrà tenere conto sia
della performance individuale, che di quella
organizzativa, nonché dei comportamenti e
delle competenze tecniche e, per i
dirigenti, della capacità di valutare in
modo differenziato il personale.
I criteri generali di valutazione sono
oggetto di informazione e, a richiesta dei
soggetti sindacali, di concertazione per
dirigenti e posizioni organizzative; sono
oggetto di contrattazione per il personale
(articolo
ItaliaOggi del 05.11.2010 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Piani
delle performance, conta l'utilità per i
cittadini. Le linee guida della civit per
adempiere alla legge brunetta.
Sono i benefici che l'azione amministrativa
assicura alla comunità amministrata il faro
che deve guidare le pubbliche
amministrazioni nell'elaborazione dei piani
della performance.
La
deliberazione 28.10.2010 n. 112
(allegato:
carte di lavoro <---> allegato:
termini e concetti chiave del Piano della
performance)
della Commissione per la valutazione, la
trasparenza e l'integrità delle
amministrazioni pubbliche (Civit), che
formula le linee guida per l'adozione del
piano, fondamentale per la crescita della
produttività e qualità del lavoro nelle
pubbliche amministrazioni, insiste molto
sulla necessità di programmare gli obiettivi
ed i risultati, così da rendere evidenti le
ricadute benefiche sui cittadini.
Il piano della performance non deve, cioè,
ridursi ad un mero esercizio burocratico,
finalizzato per adempiere formalmente alle
disposizioni dell'articolo 10 del dlgs
150/2009. I suoi contenuti debbono rendere
chiaro all'esterno che gli sforzi
organizzativi, economici posti in essere per
conseguire obiettivi sui quali, poi,
valutare la produttività risultino «utili».
Per questa ragione, la Civit insiste molto
anche sulla comprensibilità del documento,
il quale deve essere intelligibile per i
cittadini, esplicitando legame sussistente
tra i loro i bisogni, la missione
istituzionale di ciascun ente, le priorità
politiche, le strategie, gli obiettivi e gli
indicatori dell'amministrazione.
La Civit fissa anche l'indice ed i contenuti
di fondo del documento. Particolarmente
interessanti sono gli spunti che offre e le
schede operative di esempio sulla
concretezza e misurabilità degli obiettivi,
i quali debbono indicare gli indicatori in
base ai quali risulti possibile valutarne il
raggiungimento secondo grandezze numeriche
da mettere in rapporto. Per queste ragioni,
occorre necessariamente esplicitare la
formula matematica di valutazione
dell'indicatore, la sua unità di misura, il
valore storico di partenza (così da poter
confrontare la crescita di valore).
La delibera suggerisce di prendere a
riferimento anche il valore benchmark, cioè
il confronto con i risultati di
amministrazioni simili o con indicatori
standard e l'illustrazione del risultato
assoluto atteso in ciascuno dei tre anni di
cui si compone il programma. La delibera
evidenzia anche la necessità di disaggregare
gli obiettivi strategici o generali in
azioni o attività concrete, da assegnare
alla diretta responsabilità dei dirigenti,
insieme con le risorse umane, strumentali e
finanziarie, anch'esse da tracciare per
verificare concretamente l'adeguatezza delle
risorse e la capacità di spenderle nel
rispetto delle finalità.
Non mancano, tuttavia, ridondanze. La Civit
si sofferma molto, per esempio, sulla
necessità che il piano descriva una
«identità» dell'amministrazione indicando
gli elementi che consentano di identificarne
il mandato istituzionale, e la missione,
qualificando questi contenuti come «indispensabili»
per l'attuazione delle finalità di qualità e
comprensibilità della rappresentazione della
performance.
Inoltre, dedica uno spazio larghissimo alla
necessità di analizzare il «contesto interno
ed esterno all'amministrazione», dedicando
spazio ai gruppi di cittadini ed imprese che
possano beneficiare dell'azione
dell'amministrazione ed orientarne gli
obiettivi. Oggettivamente, lo spazio e
l'attenzione assegnata a questi elementi
appaiono eccessivi. Esigenze di trasparenza
possono ovviamente suggerire che
l'amministrazione enunci le sue competenze,
allo scopo di evidenziare che la creazione
di «valore aggiunto» delle sue
attività sia coerente con il mandato
istituzionale. Ma l'elemento vero e concreto
della performance è il sistema di
valutazione e misurazione.
Per quanto riguarda l'analisi del contesto,
la delibera appare troppo suggestionata
dalle metodologie di compilazione delle
domande di ammissione a bandi per
finanziamenti europei o statali, prese
indubbiamente a modello. La individuazione
dei benefici attesi dalla cittadinanza è
certamente importante, ma non pare pensabile
che annualmente possa farsi una sorta di «negoziazione»
degli obiettivi da cogliere, anche perché vi
sono precisi programmi
politico-amministrativi alla base del
mandato elettorale. Probabilmente l'indagine
del contesto risulta più rilevante per gli
enti privi di una rappresentanza diretta di
tipo rappresentativo.
La delibera induce anche gli enti a
pubblicizzare attivamente i contenuti del
piano, non ritenendo sufficiente la mera
pubblicazione sui portali. Forse, sfugge che
dal 2011 le risorse per tali attività di
comunicazione sono ridotte dell'80% rispetto
al 2009, per effetto della manovra economica
d'estate.
Elementi operativi essenziali del piano sono
le modalità con cui l'amministrazione lo
collega ed integra con la programmazione
economico-finanziaria e le fasi gestionali.
La delibera 112 enuncia espressamente il suo
campo di applicazione immediato e diretto:
essa vale per i ministeri, le aziende ed
amministrazioni dello stato ad ordinamento
autonomo, gli enti pubblici non economici
nazionali e le agenzie di cui al decreto
legislativo 30.07.1999, n. 300, con
esclusione dell'Agenzia del demanio.
Non è, dunque, direttamente applicabile a
regioni, enti locali ed amministrazioni del
Servizio sanitario nazionale. Nei confronti
di tali enti assume valore di linee guida.
In particolare, gli enti locali che abbiano
attuato correttamente le norme contenute nel
dlgs 267/2000 in tema di controllo di
gestione non dovrebbero porsi problemi di
adeguamento o di compatibilità con le linee
guida della Civit. Lo stesso per gli enti
del sistema sanitario nazionale, dotati di
atti aziendali e sistemi di valutazione
effettivamente di natura «industriale».
A proposito del servizio sanitario
nazionale, la delibera 113 della Civit
conferma che i contenuti del dlgs 150/2009
relativi proprio il sistema di valutazione e
premiale non sono direttamente applicabili,
finché le regioni non abbiano esercitato la
propria funzione normativa in merito
(articolo
ItaliaOggi del 05.11.2010 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Tracciabilità
degli appalti a due vie. Conti dedicati e
pagamenti sotto esame per i nuovi contratti.
Oggi in Cdm il decreto legge sicurezza, che
consente di adeguare i vecchi accordi entro
marzo 2011.
Dal 07.09.2010 la
tracciabilità dei flussi finanziari è
applicabile per tutti i contratti,
subappalti e subcontratti di appalto
stipulati dopo il sette settembre 2010 e per
tutti i concessionari di finanziamenti
pubblici. Entro il 07.03.2011, invece,
dovranno essere adeguati agli obblighi di
tracciabilità i contratti, subappalti e
subcontratti stipulati prima del 07.09.2010.
È quanto prevede lo schema di decreto legge
in materia di sicurezza che contiene anche
le disposizioni in materia di tracciabilità
dei flussi finanziari, integrative e
attuative delle disposizioni della legge
136/2010.
Il provvedimento andrà stamane al vaglio del
consiglio dei ministri.
Le due norme dedicate al tema della
tracciabilità non comprendono quindi alcuna
sospensione dell'efficacia dell'obbligo
previsto dall'articolo 3 della legge
136/2010 (fortemente richiesta dalle
organizzazioni imprenditoriali «per tutti
i contratti», con un comunicato
confindustriale emesso martedì): l'efficacia
delle norme è quindi piena anche se con
regimi differenziati a seconda della data
della stipula dei contratti; prevede invece
chiarimenti e integrazioni alla disciplina
varata nei mesi scorsi con la legge 136.
Infatti, il decreto conferma che la
tracciabilità opera per i contratti
stipulati successivamente al sette settembre
2010, nonché ai relativi subcontratti e
subappalti, e per i concessionari di
finanziamenti pubblici; per i contratti (e
relativi subappalti e subcontratti)
stipulati prima del 7 settembre il decreto
legge consentirà l'adeguamento di tutti i
contratti e dei subcontratti alle
disposizioni sulla tracciabilità previste
dalla legge 136 e dal decreto legge stesso,
entro 180 giorni, cioè entro il 07.03.2011.
Una delle novità è la soppressione del
rinvio al dpcm che avrebbe dovuto dettare
entro sei mesi ulteriori norme attuative da
seguire. Nella sostanza il decreto legge
chiude a ogni possibile integrazione
successiva e offre un quadro di riferimento
finalmente chiaro e univoco anche per quel
che attiene alle sanzioni da irrogare e ai
sistemi alternativi al bonifico bancario o
postale che gli operatori potranno
utilizzare.
Su quest'ultimo punto viene chiarito che per
i pagamenti destinati a dipendenti,
consulenti e fornitori di beni e servizi
rientranti tra le spese generali, nonché per
i pagamenti destinati all'acquisto di
immobilizzazioni tecniche, nonché per il
pagamento di spese estranee a lavori,
forniture e servizi che necessitano di somme
provenienti dai «conti dedicati»,
sarà possibile utilizzare, oltre al bonifico
bancario o postale, anche altri strumenti di
pagamento idonei a consentire la piena
tracciabilità delle operazioni, per l'intero
importo dovuto.
Un'altra novità è rappresentata dal fatto
che gli strumenti di pagamento (bonifici,
Rid ecc.) dovranno indicare in relazione ad
ogni transazione finanziaria il Codice
identificativo di gara (Cig) assegnato
dall'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici e, soltanto nei casi in cui ciò sia
obbligatoriamente previsto dalla legge
2/2003, il Codice unico di progetto (Cup),
che quindi, in queste ipotesi, si
aggiungerebbe al Cig.
Viene poi soppressa la norma che imponeva
alla stazione appaltante di chiedere il Cup
al dipartimento competente della presidenza
del consiglio. Viene confermata la
definizione di «filiera delle imprese» con
riguardo (oltre ai contratti principali) ai
subappalti e ai subcontratti stipulati «per
l'esecuzione anche non esclusiva del
contratto»; si tratta di un chiarimento
che sembra ricomprendere anche i fornitori
dei subappaltatori, laddove la fornitura non
sia generica, ma preordinata alla specifica
esecuzione del contratto.
Il decreto chiarisce che l'utilizzo «anche
in via non esclusiva» di un conto
dedicato per i pagamenti relativi a commesse
pubbliche, consente di utilizzare il o i
conti dedicati (bancari o postali) «anche
promiscuamente per più commesse, purché per
ciascuna commessa sia effettuata la
comunicazione alla stazione appaltante»;
in sostanza si potranno su questi conti
effettuare anche operazioni estranee alle
commesse pubbliche comunicate.
Per quel che riguarda le sanzioni per
violazione degli obblighi di legge saranno i
prefetti della provincia dove ha sede la
stazione appaltante o concedente i
finanziamenti pubblici
(articolo
ItaliaOggi del 05.11.2010 -
tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
L'elemento soggettivo relativo
alla qualifica del richiedente (agricoltore
o imprenditore agricolo) il permesso di
costruire in zona agricola è del tutto
irrilevante se il soggetto non intende
avvalersi dell'esonero del pagamento degli
oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è, invece,
la titolarità della proprietà o l'esistenza
di altro titolo idoneo di disponibilità del
bene, oltre naturalmente alla compatibilità
con gli strumenti urbanistici.
Come già affermato dal TAR Sicilia (Palermo
Sez. III sentenza n. 3 del 2008) l'elemento
soggettivo relativo alla qualifica del
richiedente (agricoltore o imprenditore
agricolo) il permesso di costruire in zona
agricola è del tutto irrilevante se il
soggetto non intende avvalersi dell'esonero
del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è invece
la titolarità della proprietà o l'esistenza
di altro titolo idoneo di disponibilità del
bene, oltre naturalmente alla compatibilità
con gli strumenti urbanistici
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 02.11.2010 n. 33106 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non sussiste l'obbligo, in capo
alla stazione appaltante, di comunicare
l'avvio del procedimento di autotutela
nell'ipotesi di annullamento
dell'aggiudicazione provvisoria.
Sulle differenze tra oggetto sociale ed
attività effettivamente esercitata da
un'impresa.
In caso di annullamento dell'aggiudicazione
provvisoria di una gara d'appalto, non
sussiste l'obbligo, in capo alla stazione
appaltante, di comunicare alla concorrente
interessata l'avvio del procedimento in
autotutela secondo il disposto di cui
all'art. 7 della legge n. 241/1990, in
quanto siffatto adempimento si rende
superfluo, in virtù della natura meramente
endoprocedimentale dell'atto di
aggiudicazione provvisoria, il quale si
inserisce nell'iter di scelta del contraente
come momento necessario ma non decisivo,
giacché l'individuazione finale
dell'affidatario dell'appalto si
cristallizza soltanto nell'aggiudicazione
definitiva; pertanto, vantando in tal caso
l'aggiudicatario provvisorio solo una mera
aspettativa alla conclusione del
procedimento, la stazione appaltante non è
onerata di comunicare l'avvio del
procedimento di annullamento in autotutela.
---------------
L'oggetto sociale ancorché segni il campo
delle attività che un'impresa può
astrattamente svolgere, sul piano della
capacità di agire dei suoi legali
rappresentanti, non equivale ad attestare,
in alcun modo, il prescritto esercizio in
concreto di detta attività.
Oggetto sociale e attività effettivamente
esercitata, quest'ultima da comprovare
mediante la prescritta dichiarazione
verificabile in base alla certificazione
camerale, infatti, non possono essere
considerati come concetti coincidenti,
atteso che un'attività può ben essere
prevista nell'oggetto sociale -risultante
dall'iscrizione sotto la voce "dati
identificativi dell'impresa"- senza
essere attivata poi in concreto.
La prescrizione della lex specialis
della gara, con la quale si richiede ai
concorrenti, ai fini della partecipazione,
l'iscrizione alla Camera di Commercio per
una definita attività da appaltare, non può
perciò che essere finalizzata a selezionare
ditte che abbiano una esperienza specifica
nel settore interessato: in caso contrario
la prescrizione avrebbe ad oggetto la mera
iscrizione alla CCIAA, ovvero richiederebbe
un'attestazione della camera di commercio
riferita solo all'inclusione del servizio da
appaltare nell'oggetto sociale, ma ciò la
clausola dovrebbe fare in modo esplicito,
tale cioè da escludere il significato
normale altrimenti attribuibile alla chiara
lettera della stessa, predisposta come di
prassi.
È ovvio, quindi, che - salvo voler privare
la clausola della lettera d'invito di
significato - nessun rilievo possa
attribuirsi all'oggetto sociale
dell'impresa, il quale abilita quest'ultima
a svolgere quella determinata attività, ma
nulla dice sull'effettivo svolgimento della
stessa (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 02.11.2010 n. 22122 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della osservanza delle norme sulle
distanze dal confine, il terrapieno ed il
muro di contenimento, che producono un
dislivello o aumentano quello già esistente
per la natura dei luoghi, costituiscono
nuove costruzioni, idonee a incidere sulla
osservanza delle norme in tema di distanze
dal confine.
Ai fini della osservanza delle norme sulle
distanze dal confine, il terrapieno ed il
muro di contenimento, che hanno prodotto un
dislivello oppure hanno aumentato quello già
esistente per la natura dei luoghi,
costituiscono nuove costruzioni.
Viene considerata una costruzione, rilevante
ai fini delle distanze legali, anche un
terrapieno, se creato artificialmente al di
sopra del livello medio del piano di
campagna originario.
Costituisce orientamento consolidato che, ai
fini della osservanza delle norme sulle
distanze dal confine, il terrapieno ed il
muro di contenimento, che producono un
dislivello o aumentano quello già esistente
per la natura dei luoghi, costituiscono
nuove costruzioni, idonee a incidere sulla
osservanza delle norme in tema di distanze
dal confine (così, Consiglio Stato, Sez. IV,
24.04.2009, n. 2579; Consiglio Stato, Sez.
V, 28.06.2000, n. 3637).
Ai fini della osservanza delle norme sulle
distanze dal confine, il terrapieno ed il
muro di contenimento, che hanno prodotto un
dislivello oppure hanno aumentato quello già
esistente per la natura dei luoghi,
costituiscono nuove costruzioni (Cons.
Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579).
In genere, viene considerata una
costruzione, rilevante ai fini delle
distanze legali, anche un terrapieno, se
creato artificialmente al di sopra del
livello medio del piano di campagna
originario (così Cassazione civile, Sez. II,
11.11.2003, n. 1695; Consiglio Stato, Sez.
V, 26.06.2000, n. 3637; anche Cassazione
Sez. II, 15.06.2001, n. 8144, secondo cui,
ai fini della applicazione delle distanze
legali, il muro di sostegno costituisce
costruzione)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.11.2010 n. 7731 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
9 del d.m. 02.04.1968 n. 1444, che detta
disposizioni in tema di distanze tra le
costruzioni, stante la natura di norma
primaria, sostituisce eventuali disposizioni
contrarie contenute nelle norme tecniche di
attuazione.
La distanza di dieci metri tra pareti
finestrate di edifici antistanti, prevista
dall'art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444, va
calcolata con riferimento ad ogni punto dei
fabbricati e non alle sole parti che si
fronteggiano e a tutte le pareti finestrate
e non solo a quella principale, prescindendo
anche dal fatto che esse siano o meno in
posizione parallela.
Ai fini del computo delle distanze assumono
rilievo tutti gli elementi costruttivi,
anche accessori, qualunque ne sia la
funzione, aventi i caratteri della solidità,
della stabilità e della immobilizzazione,
salvo che non si tratti di sporti e di
aggetti di modeste dimensioni con funzione
meramente decorativa e di rifinitura, tali
da potersi definire di entità trascurabile
rispetto all’interesse tutelato dalla norma
riguardata nel suo triplice aspetto della
sicurezza, della salubrità e dell’igiene.
Gli sporti, cioè le sporgenze da non
computare ai fini delle distanze perché non
attinenti alle caratteristiche del corpo di
fabbrica che racchiude il volume che si vuol
distanziare, sono i manufatti come le
mensole, le lesene, i risalti verticali
delle parti con funzione decorativa, gli
elementi in oggetto di ridotte dimensioni,
le canalizzazioni di gronde e i loro
sostegni, non invece le sporgenze, anche dei
generi ora indicati, ma di particolari
dimensioni, che siano quindi destinate anche
ad estendere ed ampliare per l'intero fronte
dell'edificio la parte utilizzabile per
l'uso abitativo.
L'art. 9 del
d.m. 02.04.1968 n. 1444, che detta
disposizioni in tema di distanze tra le
costruzioni, stante la natura di norma
primaria, sostituisce eventuali disposizioni
contrarie contenute nelle norme tecniche di
attuazione (Consiglio Stato, sez. IV,
05.12.2005, n. 6909).
Le distanze legali previste dagli standards
urbanistici sono immediatamente applicabili
ai rapporti privati, ove gli strumenti
urbanistici prevedono distanze minori.
L'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444, laddove
prescrive la distanza di 10 metri tra le
pareti finestrate di edifici antistanti, va
rispettata in tutti i casi, trattandosi di
norma volta ad impedire la formazione di
intercapedini nocive sotto il profilo
igienico-sanitario, e pertanto non è
eludibile.
Pertanto, le distanze tra le costruzioni
sono predeterminate con carattere cogente in
via generale ed astratta, in considerazione
delle esigenze collettive connesse ai
bisogni di igiene e di sicurezza, di modo
che al giudice non è lasciato alcun margine
di discrezionalità nell'applicazione della
disciplina in materia di equo
contemperamento degli opposti interessi
(Consiglio Stato, sez. IV, 05.12.2005, n.
6909).
In materia di distanze legali, l’art. 136
d.P.R. n. 380 del 2001 ha mantenuto in
vigore l’art. 47-quinquies, commi 6, 8, 9,
della legge nazionale n. 1150 del 1942, per
cui in forza dell’art. 9 del d.m. n. 1444
del 1968 la distanza minima inderogabile di
10 metri tra le pareti finestrate e di
edifici antistanti è quella che tutti i
Comuni sono tenuti ad osservare, ed il
giudice è tenuto ad applicare tale
disposizione anche in presenza di norme
contrastanti incluse negli strumenti
urbanistici locali, dovendosi essa ritenere
automaticamente inserita nel prg al posto
della norma illegittima (Cassazione civile,
Sez. II, 29.05.2006, n. 12741).
Inoltre, se la deroga è consentita solo per
piani particolareggiati e le lottizzazioni
convenzionate, in tale previsione non può
ricomprendersi il permesso di costruire.
La distanza di dieci metri tra pareti
finestrate di edifici antistanti, prevista
dall'art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444, va
calcolata con riferimento ad ogni punto dei
fabbricati e non alle sole parti che si
fronteggiano e a tutte le pareti finestrate
e non solo a quella principale, prescindendo
anche dal fatto che esse siano o meno in
posizione parallela (così, Consiglio Stato,
Sez. IV, 05.12.2005, n. 6909).
Ai fini del computo delle distanze assumono
rilievo tutti gli elementi costruttivi,
anche accessori, qualunque ne sia la
funzione, aventi i caratteri della solidità,
della stabilità e della immobilizzazione,
salvo che non si tratti di sporti e di
aggetti di modeste dimensioni con funzione
meramente decorativa e di rifinitura, tali
da potersi definire di entità trascurabile
rispetto all’interesse tutelato dalla norma
riguardata nel suo triplice aspetto della
sicurezza, della salubrità e dell’igiene
(Consiglio di Stato, Sez. V, 19.03.1996,
n.268).
Gli sporti, cioè le sporgenze da non
computare ai fini delle distanze perché non
attinenti alle caratteristiche del corpo di
fabbrica che racchiude il volume che si vuol
distanziare, sono i manufatti come le
mensole, le lesene, i risalti verticali
delle parti con funzione decorativa, gli
elementi in oggetto di ridotte dimensioni,
le canalizzazioni di gronde e i loro
sostegni, non invece le sporgenze, anche dei
generi ora indicati, ma di particolari
dimensioni, che siano quindi destinate anche
ad estendere ed ampliare per l'intero fronte
dell'edificio la parte utilizzabile per
l'uso abitativo (Consiglio Stato , Sez. IV,
05.12.2005, n. 6909)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.11.2010 n. 7731 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
volumi tecnici sono solo quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno.
Pertanto non sono tali -e quindi sono
computabili ai fini della volumetria
consentita- le soffitte, gli stenditoi
chiusi e quelli "di sgombero"; e non è
volume tecnico il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente, in realtà, una mansarda in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda.
I volumi
tecnici sono solo quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno.
Pertanto non sono tali -e quindi sono
computabili ai fini della volumetria
consentita- le soffitte, gli stenditoi
chiusi e quelli "di sgombero"; e non
è volume tecnico il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente, in realtà, una mansarda in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda (così, Consiglio
Stato , sez. V, 13.05.1997, n. 483)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.11.2010 n. 7731 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Categoria OG11 - Categorie
specialistiche - Principio di assorbenza -
Operatività - Esclusione - Difetto del
requisito specifico di qualificazione nella
categoria specialistica richiesta dal bando
- Qualificazione nella categoria generale -
Sanatoria - Esclusione.
La qualificazione nella categoria OG11 non
ricomprende ed assorbe necessariamente anche
le qualificazioni singolarmente previste
nelle categorie specialistiche (OS3, OS5,
OS28 e OS30): pertanto, per un verso un
bando di gara può legittimamente richiedere
la qualificazione in una delle predette
categorie specialistiche e, per altro verso,
il difetto del requisito specifico della
qualificazione nella categoria speciale, in
presenza di tale lex specialis, non
può essere sanato con la sola qualificazione
per la categoria generale OG11 (Consiglio di
Stato, sez. V, 30.10.2003, n. 6760) (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 28.10.2010 n. 21850 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sui limiti del sindacato del
giudice amministrativo in materia di
valutazione dell'anomalia delle offerte.
La motivazione del giudizio formulato in
merito all'anomalia delle offerte in una
gara d'appalto di opera pubblica costituisce
elemento decisivo ai fini della verifica
giurisdizionale, in quanto consente un
controllo sulla ratio dello stesso,
non potendo il giudice sostituirsi alla p.a.
o entrare nel merito dell'azione
amministrativa.
Il sindacato del G.A. sulle valutazioni
espressione di discrezionalità tecnica deve
limitarsi al controllo formale dell'iter
logico seguito nell'attività amministrativa;
peraltro, esso deve involgere
l'attendibilità delle operazioni tecniche,
sotto il profilo della loro correttezza con
riferimento ai criteri tecnici e relativo
procedimento applicativo, ma esula dalla sua
sfera di competenza il riesame delle
autonome valutazioni dell'interesse
pubblico, compiute dalla p.a. sulla base
delle cognizioni tecniche acquisite.
Pertanto, compito del giudice è verificare
se il potere amministrativo sia stato
tecnicamente esercitato in modo conforme ai
criteri di logicità, congruità, razionalità
e corretto apprezzamento dei fatti; tuttavia
gli è preclusa la possibilità di sovrapporre
la sua idea tecnica al giudizio non erroneo
né illogico formulato dall'organo
amministrativo, cui la legge attribuisca la
tutela dell'interesse pubblico
nell'apprezzamento del caso concreto.
Di conseguenza, la pronuncia del G.A. può
travolgere l'esito della gara, solo
allorquando il giudizio negativo sul piano
dell'attendibilità riguardi voci che rendano
l'intera operazione economica non plausibile
e non suscettibile di accettazione da parte
della stazione appaltante, a causa dei dubbi
inerenti l'idoneità dell'offerta a garantire
l'efficace perseguimento dell'interesse
pubblico (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.10.2010 n. 7631 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità della
segretezza in sede di apertura delle buste
contenenti le offerte nell'ambito di una
procedura di cottimo fiduciario.
E' legittimo l'operato di una commissione
giudicatrice che abbia proceduto
all'apertura delle buste, contenenti le
offerte, in seduta segreta, in quanto ai
sensi dell'art. 125 del d.lgs. n. 163/2006
(Codice dei contratti), in materia di
cottimo fiduciario, non è previsto il
rispetto di forme particolari, trattandosi
di una gara informale, né il principio di
pubblicità delle gare (TAR Friuli Venezia
Giulia,
sentenza 28.10.2010 n. 716 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Noleggio di macchine con
conducente: le responsabilità individuate
dalla Corte di Cassazione.
Il nolo di macchine operatrici a Caldo,
ovvero con conducente, è una circostanza
ricorrente nei cantieri edili. Come sono
attribuite le responsabilità in materia di
sicurezza in tali casi?
Alcuni chiarimenti giungono dalla Corte di
Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza n. 1514/2010.
La sentenza è relativa ad un infortunio
occorso ad un lavoratore rimasto mortalmente
folgorato mentre operava su una pompa
autocarrata presa a noleggio ed utilizzata
per la posa del calcestruzzo, pompa venuta
in contatto di una linea elettrica
sovrastante il mezzo e posta ad una distanza
risultata non regolare.
In primo grado sono stati condannati (per il
delitto di omicidio colposo in danno del
lavoratore infortunato) il responsabile
legale della società che ha noleggiato la
macchina, il datore di lavoro dell'impresa
che l'ha presa a noleggio ed il coordinatore
per la sicurezza in fase di esecuzione.
In appello è stata confermata la condanna
degli imputati riducendo la pena del solo
noleggiatore.
Contro la sentenza di secondo grado ha
proposto ricorso il solo responsabile legale
dell'impresa che aveva dato a noleggio
l'attrezzatura.
La Corte di Cassazione ha rigettato il
ricorso (link a www.acca.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il servizio di verifica
(cosiddette "ispezioni") sugli impianti
termici siti negli stabili esistenti nei
territori dei comuni della provincia con
popolazione fino a 40.000 abitanti non è un
servizio pubblico locale.
Sull'applicabilità del divieto di cui
all'art. 13 del d.l. n. 223/2006, solo per
le società che svolgono servizi strumentali
agli enti pubblici da cui sono partecipate.
La vigente normativa in materia di esercizio
e manutenzione di impianti termici obbliga i
comuni (con più di quarantamila abitanti) e
le province (per comuni con meno abitanti)
ad "effettuare i controlli necessari e
verificare con cadenza almeno biennale
l'osservanza delle norme relative al
rendimento di combustione "anche avvalendosi
di organismi esterni aventi specifica
competenza tecnica, con onere a carico degli
utenti".
Tale attività oggetto dell'affidamento, nel
caso di specie, pertanto, non consiste in
una prestazione resa "a favore" della
collettività locale o di singoli utenti,
interessi sociali che l'ente locale s'è
assunto per realizzare fini di promozione
dello sviluppo economico e civile (cd.
funzione di promozione), ma consiste
piuttosto in una tipica funzione pubblica
(cd. funzione di ordine) -esercitabile dagli
enti locali direttamente o mediante
organismi esterni dotati di specifiche
competenze tecniche, ma mantenendone
comunque la titolarità- che consiste
nell'esercizio di un'attività di controllo e
vigilanza su beni appartenenti a privati
-che sono tenuti, in quanto conduttori di
impianti potenzialmente pericolosi per
l'ambiente, a subirli- al fine di
verificare, nel superiore interesse pubblico
alla salubrità dell'aria ed alla sicurezza
ambientale, che questi rispettino gli
standard previsti dalla legge a tutela della
salute pubblica ed all'ambiente.
In altri termini, si tratta, evidentemente,
di un compito che l'ente locale non ha
assunto per libera scelta, ma che
costituisce un obbligo imposto dal
legislatore nazionale; dal canto loro, i
privati, che tali verifiche sono tenuti a
subire, si vengono a trovare nella posizione
non già di "beneficiari" delle
prestazioni erogate dall'ente esponenziale,
bensì nello stato di soggezione alle
verifiche effettuate dall'autorità investita
delle funzioni di controllo o dal soggetto
da questa "delegato".
Ne consegue che, la natura del "servizio"
in questione -rilevante in quanto
determinativa della disciplina applicabile-
non sia quella di "servizio pubblico
locale".
---------------
Nel caso di specie, è legittimo l'operato
della commissione aggiudicatrice che, ha
respinto la richiesta di esclusione della
società ai sensi dell'art. 13 del D.L.
4-7-2006 n. 223, convertito con
modificazioni in L. 04.08.2006, n. 248, in
quanto la suddetta società non è soggetto
che "svolge servizi strumentali agli enti
pubblici da cui è partecipata".
Non si ravvisano, infatti, la sussistenza
dei caratteri di strumentalità e
funzionalità, che devono sussistere per
l'applicabilità del divieto di cui all'art.
13 del D.L. n. 223/2006, in considerazione
dell'oggetto sociale della medesima e del
prospetto sintetico delle attività svolte
-che indica un'attività di natura
imprenditoriale, diversificata sia per sua
natura sia per clienti destinatari- nonché
della partecipazione minoritaria degli enti
territoriali interessati e della sostanziale
mancanza di influenza sulle decisioni
societarie.
Dalla documentazione prodotta, la suddetta
società non risulta essere stata costituita
come società strumentale, non ha ad oggetto
specifico ed esclusivo lo svolgimento di
servizi strumentali agli enti pubblici da
cui è partecipata, ma si rivolge ad operare
sul mercato come imprenditore privato, con
indubbia "vocazione commerciale",
anche al fine di occupare lavoratori
specializzati provenienti da diversi settori
produttivi e svolge attività operativa in
diversi settori, che vanno da servizi di
varia natura, destinati a clienti pubblici e
privati, alla formazione del personale,
all'attività di controllo ambientale; sotto
il profilo dei soggetti destinatari,
inoltre, si rivolge non solo ad enti
pubblici, ma anche a favore di soggetti
privati.
Né risulta che l'attività svolta a favore
dell'ente locale ne costituisca la parte
principale, né prevalente, tanto da
consentirle di sfruttare la derivante "rendita
di posizione" per acquisire commesse
ulteriori a danno degli altri operatori sul
mercato (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 27.10.2010 n. 33046 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Società miste e partecipazione
alle gare.
La deroga al principio della libera
concorrenza degli operatori economici nel
mercato, prevista a carico delle società a
capitale interamente pubblico o misto
secondo le previsioni dell’art. 13 del D.L.
04.07.2006 n. 223, e s.m.i., non può essere
oggetto di applicazione analogica.
Così ha stabilito il TAR Lazio-Roma, Sez.
II-quater, con la
sentenza 27.10.2010 n. 33046,
affrontando un caso relativo all’
affidamento di servizi da parte di un ente
pubblico.
Nel caso di specie una delle imprese
concorrenti aveva impugnato l’aggiudicazione
della gara ad una società mista, affidataria
in via diretta di servizi pubblici locali
per di Genova.
I giudici amministrativi, accertata la
risoluzione del rapporto tra
l’aggiudicataria e l’amministrazione
provinciale in un periodo antecedente alla
gara, concentrano la propria attenzione
sulla possibilità per una società a
partecipazione pubblico-privata di
partecipare ad una procedura ad evidenza
pubblica e concorrere in condizioni di
parità con gli altri operatori economici.
I magistrati del Tar delineando la portata
dell’art. 13 del D.L. 04.07.2006 n. 223,
affermano che la norma “si applica nel
caso in cui le società abbiano come oggetto
sociale la produzione di beni e servizi
strumentali all’attività degli enti
(costituenti o partecipanti o affidanti) in
funzione della loro attività oppure lo
svolgimento esternalizzato di funzioni
amministrative di competenza degli enti
proprietari”.
Questa disposizione, quindi, “introduce
una disciplina speciale consistente in una
serie di limitazioni della loro autonomia
negoziale, che da un lato restringono
l’ordinaria capacità di agire delle società
strumentali, limitandone l’attività
operativa sotto il profilo dei soggetti
destinatari e, quindi, incidendo
pesantemente sull’autonomia negoziale della
società – imponendo alle stesse di operare
in esclusiva con gli enti costituenti e
partecipanti o affidanti e precludendo la
possibilità di rendere prestazioni a favore
di altri soggetti pubblici o
privati…..dall’altro costringendone
pesantemente l’autonomia statutaria.”
All’interno di questo tema tanto discusso in
dottrina e giurisprudenza la sentenza in
esame conclude ribadendo il principio per
cui, al fine dell’applicazione del divieto
sopra citato, va verificato caso per caso se
una società presenti i caratteri di
strumentalità e funzionalità rispetto
all’ente pubblico oppure si caratterizzi per
operare nel mercato in diretta concorrenza
con le altre imprese pubbliche o private,
con il conseguente riconoscimento di agire
in regime di parità di trattamento (si
vedano altresì Cds sez. V, 22.03.2010, n.
1651; Tar Lazio sez. II, 05.06.2007, n.
5192).
Saranno, dunque, elementi dirimenti, la
valutazione dell’oggetto sociale, del
prospetto sintetico delle attività svolte
nonché la quota societaria detenuta dagli
enti pubblici e la loro effettiva influenza
sulle decisioni societarie (commento tratto
da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'esame delle offerte economiche
prima di (o contestualmente a) quelle
tecniche costituisce una palese violazione
dei principi inderogabili di trasparenza e
di imparzialità che devono presiedere le
gare pubbliche.
Nella questione in esame si contesta
l’omessa previsione, nella lettera d’invito,
dell’invio in buste separate dell’offerta
economica e della documentazione relativa ai
profili qualitativi dell’offerta, in
violazione dei principi di imparzialità,
trasparenza e buon andamento.
Infatti, costituisce jus receptum il
principio per cui, nelle procedure indette
per l'aggiudicazione di appalti con la
Pubblica amministrazione sulla base del
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, la commissione di gara è tenuta
a valutare prima i profili tecnici delle
offerte e, successivamente, le offerte
economiche.
A tal fine è irrilevante che il bando rechi
una specifica disposizione per stabilire
quale delle due deve essere esaminata con
priorità sull'altra, atteso che l'esame
delle offerte economiche prima di (o
contestualmente a) quelle tecniche
costituisce una palese violazione dei
principi inderogabili di trasparenza e di
imparzialità che devono presiedere le gare
pubbliche, giacché la conoscenza preventiva
dell'offerta economica consente di modulare
il giudizio sull'offerta tecnica in modo non
conforme alla parità di trattamento dei
concorrenti e tale possibilità, ancorché
remota ed eventuale, inficia la regolarità
della procedura (Cons. Stato, sez. V,
25.05.2009, n. 3217; TAR Sardegna, sez. I,
14.03.2009, n. 311; TAR Campania, Napoli,
sez. I, 06.02.2008, n. 573) (TAR Toscana,
Sez. II,
sentenza 27.10.2010 n. 6532 -
link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
Nelle procedure indette per
l'aggiudicazione di appalti con la p.a.
sulla base del criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, la
commissione di gara è tenuta a valutare
prima i profili tecnici delle offerte.
Costituisce jus receptum il principio
per cui, nelle procedure indette per
l'aggiudicazione di appalti con la p.a.
sulla base del criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, la
commissione di gara è tenuta a valutare
prima i profili tecnici delle offerte e,
successivamente, le offerte economiche.
A tal fine è irrilevante che il bando rechi
una specifica disposizione per stabilire
quale delle due deve essere esaminata con
priorità sull'altra, atteso che l'esame
delle offerte economiche prima di (o
contestualmente a) quelle tecniche
costituisce una palese violazione dei
principi inderogabili di trasparenza e di
imparzialità che devono presiedere le gare
pubbliche, giacché la conoscenza preventiva
dell'offerta economica consente di modulare
il giudizio sull'offerta tecnica in modo non
conforme alla parità di trattamento dei
concorrenti e tale possibilità, ancorché
remota ed eventuale, inficia la regolarità
della procedura.
E' necessario, dunque, che le modalità di
presentazione dell'offerta recate nella
lex specialis di gara rechino
prescrizioni adeguate ad evitare che il
contenuto dell'offerta economica sia reso
conoscibile alla commissione anteriormente
all'esame dell'aspetto tecnico della
medesima, in quanto anche la sola
possibilità della conoscenza dell'entità
dell'offerta economica anteriormente alle
caratteristiche di quella tecnica mette in
pericolo la garanzia dell'imparzialità
dell'operato dell'organo valutativo.
Ne discende, nel caso di specie, che non
avendo la lettera d'invito stabilito
modalità adeguate ad impedire la
contemporanea conoscibilità dell'offerta
economica e di quella tecnica la procedura
di gara ne resta irrimediabilmente viziata
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 27.10.2010 n. 6532 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'applicabilità dei soli artt.
68, 65 e 225 del d.lgs. 163/2006, per gli
appalti riconducibili tra quelli di cui al
n. 23 dell'allegato II B.
Non può essere esclusa da una gara l'impresa
cessionaria del ramo d'azienda che non abbia
presentato le relative dichiarazioni in
ordine alla posizione della cedente -
Sull'illegittimità della clausola di un
bando di gara che richieda la fornitura di
un prodotto di determinata una marca.
Agli appalti che rientrano tra quelli di cui
al n. 23 dell'allegato II B, si applicano
solo gli artt. 68, 65 e 225 del d.lgs.
163/2006, nonché i soli principi generali in
materia di affidamenti pubblici desumibili
dalla normativa comunitaria e nazionale. Ne
discende che, nel caso di specie, mancando
una esplicita previsione in tal senso da
parte della disciplina di gara, la norma di
cui all'art. 75 d.lgs. 163/2006 deve
ritenersi inapplicabile con conseguente
idoneità della fideiussione rilasciata a
favore della sola mandataria a consentire la
partecipazione alla gara del costituendo
raggruppamento.
Manca nel codice appalti una norma, con
effetto preclusivo, che preveda, in caso di
cessione d'azienda, un obbligo specifico di
dichiarazioni in ordine ai requisiti
soggettivi della cedente, riferito sia agli
amministratori e direttori tecnici della
cedente sia ai debiti tributari e
previdenziali dalla stessa contratti, mentre
l'art. 51 del d.lgs. 163/2006 si occupa
della sola ipotesi di cessione del ramo di
azienda successiva alla aggiudicazione della
gara. Ne discende che, in assenza di tale
norma e per il principio di soggettività e
personalità della responsabilità, non può
essere esclusa l'impresa cessionaria del
ramo d'azienda che non abbia presentato le
relative dichiarazioni in ordine alla
posizione della cedente.
L'art. 68 d.lgs. 163/2006, che vieta
l'introduzione nelle clausole contrattuali
di specifiche tecniche che menzionano
prodotti di una determinata fabbricazione o
l'indicazione di un'origine o di una
produzione determinata, costituisce, in
virtù della sua finalità intrinseca di
tutela dei principi della libera concorrenza
e di non discriminazione, principio di
generale applicazione e di diretta
derivazione comunitaria; pertanto,
l'eventuale indicazione nel bando di marchi
o prodotti deve essere necessariamente
collegata a diciture o clausole del tipo "o
equivalente" o "tipo" che rendano
manifesta la volontà dell'amministrazione di
utilizzare il marchio o la denominazione del
prodotto solo a titolo esemplificativo, per
meglio individuare le caratteristiche del
bene richiesto (TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 26.10.2010 n. 7069 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Cd. “occupazione acquisitiva” o
“accessione invertita” - Procedura
espropriativa - Conferimento ad una
cooperativa edilizia - Decreto di esproprio
- Scadenza del termine dell’occupazione
legittima - Effetti - Corresponsabilità
dell’Ente delegante per lesione patrimoniale
- Presupposti - Risarcimento ex artt. 2043 e
2055 c.c..
In tema di espropriazione per pubblica
utilità, qualora una cooperativa edilizia,
cui sia stato conferito dal Comune
espropriante l’incarico di compiere la
procedura espropriativa e non soltanto di
curare la realizzazione dell’opera, non
abbia ottenuto la pronuncia del decreto di
esproprio prima della scadenza del termine
dell’occupazione legittima, ma, consapevole
dell’illegittimità del persistere di questa,
abbia provveduto all’esecuzione dell’opera
stessa e reso irreversibile la destinazione
pubblica dell’area, permanendo nel possesso
dell’immobile pur dopo la scadenza di
siffatto termine, è a detta cooperativa che,
in veste di autrice materiale della radicale
trasformazione del bene e, quindi, di
responsabile per la lesione patrimoniale
subita dal proprietario a seguito del
maturarsi, in difetto di tempestiva
emanazione del richiamato decreto, dei
presupposti della figura della cosiddetta “occupazione
acquisitiva” o “accessione invertita”,
deve imputarsi l’illecito aquiliano
risultante dal concorso di tale
trasformazione e dall’illegittimità
dell’occupazione in ragione del perdurare
senza titolo di questa, ricadendo sul
delegato, ancorché superficiario ovvero
indipendentemente dalla circostanza che
l’opera eseguita non entri nel patrimonio
dell’autore della condotta, l’onere di
attivarsi affinché il decreto di esproprio
intervenga tem-pestivamente e la fattispecie
venga mantenuta entro la sua fisiologica
cornice di legittimità.
In tal caso, sussiste una corresponsabilità
dell’Ente delegante il quale avrebbe dovuto
promuovere la procedura espropriativa,
atteso che siffatta procedura si svolge non
solo “in nome e per conto” del
Comune, ma “d’intesa” con esso (art.
60 della legge 22.10.1971, n. 865), sicché è
da ritenere che detto Ente non si spogli,
con la delega, della responsabilità relativa
allo svolgimento della procedura stessa, ma
conservi un potere di controllo e di stimolo
dei comportamenti del delegato, il cui
mancato o insufficiente esercizio, sotto il
profilo della negligenza o dell’inerzia, è
ragione di corresponsabilità con il medesimo
delegato per i danni da quest’ultimo
materialmente arrecati, restando pur sempre
l’Ente, anche nell’ipotesi in cui ricorra
all’istituto della delega, dominus della
procedura e, quindi, responsabile della
condotta del delegato, in applicazione del
principio in forza del quale la delega ad un
altro soggetto della cura della procedura
espropriativa non fa venir meno, in chi tale
delega abbia conferito, la qualità di
espropriante e, quindi, il dovere di
cooperare al controllo del razionale e
tempestivo svolgimento della procedura
stessa, cui si accompagna, quindi, come
accennato, nell’ipotesi di mancata,
tempestiva emanazione del decreto di
esproprio, una posizione di
corresponsabilità che obbliga lo stesso
delegante, ove ne ricorrano tutti i
presupposti (condotta attiva od omissiva;
elemento psicologico della colpa; danno,
nesso di causalità tra condotta e
pregiudizio), al relativo risarcimento ai
sensi del combinato disposto degli artt.
2043 e 2055 c.c.). (Cass. Civ., sez. I,
12/07/2001, n. 9424, Cass. Civ. sez. I,
19/10/2007, n. 21096) (C.G.A.R.S.,
sentenza 26.10.2010 n. 1334 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Atti di localizzazione
di una discarica - Impugnazione - Comuni
confinanti - Legittimazione - Dimostrazione
del danno ambientale.
Poiché la circostanza della prossimità
all’opera da realizzare non è in sé idonea a
radicare l’interesse al ricorso, i comuni
confinanti hanno titolo ad impugnare gli
atti di localizzazione di una discarica di
rifiuti nel solo caso in cui siano in grado
di fornire una congrua dimostrazione del
danno ambientale che deriverebbe
dall’impianto all’ambito territoriale di
loro competenza (v., tra le altre, Cons.
Stato, Sez. V, 02.10.2006 n. 5713 e
14.04.2008 n. 1725) (TAR Emilia
Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 26.10.2010 n. 473 - link
a www.ambientediritto.it). |
ENTI LOCALI:
Alienazione di un bene immobile
di proprietà comunale. Validità della
graduatoria entro il limite delle prime due
offerte.
E’ legittima la clausola di un bando di gara
per l’alienazione di un bene immobile di
proprietà comunale secondo cui, in caso di
rinuncia da parte dell’aggiudicatario
(quindi del primo miglior offerente),
l’aggiudicazione spetta al secondo miglior
offerente, ossia all’offerta economica,
espressa in rialzo rispetto alla base d’asta
indicata, immediatamente più conveniente per
l’amministrazione, senza alcuno ulteriore
scorrimento della graduatoria (che pertanto
deve essere considerata valida e/o utile
solo entro il limite delle prime due
offerte).
La ratio di tale limitazione,
infatti, risiede nella stessa tipologia di
gara, con la quale l’Amministrazione tende
ad ottenere il massimo profitto dalla
vendita dell’immobile, con ciò limitando
l’aggiudicazione al solo secondo miglior
offerente proprio per evitare di procedere
ad ulteriori ribassi e quindi ad aggiudicare
a prezzi molto vicini alla base d’asta (con
evidente minimo vantaggio economico per il
Comune) (commento tratto da
www.regione.piemonte.it - TAR Veneto, Sez.
I,
sentenza 25.10.2010 n. 5758 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Devono essere dichiarate tutte le
condanne riportate e non solo quelle
incidenti sulla moralità professionale
poiché la valutazione di gravità compete
unicamente all'amministrazione appaltante.
La sanzione accessoria della segnalazione
all'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici è illegittima ove il dichiarante
versi in situazione di buona fede.
La non veridicità della dichiarazione circa
la sussistenza di condanne penali ex art.
38, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006,
integra una autonoma causa di esclusione
dalla gara, a prescindere dalla valutazione
in ordine all'idoneità della condanna
riportata ad incidere la moralità
professionale dell'impresa, la quale compete
unicamente all'Amministrazione appaltante.
Inoltre, anche le sentenze assistite dal
beneficio della non menzione nel casellario
giudiziale e quelle a pena patteggiata vanno
dichiarate dal concorrente e che la "non
veridicità di quanto dichiarato dal
partecipante a gara d'appalto in ordine
all'assenza di condanne penali a suo carico
rileva sotto un profilo oggettivo e conduce
alla decadenza dai benefici ottenuti con
l'autodichiarazione non veritiera
indipendentemente da ogni indagine della
stazione appaltante sull'elemento soggettivo"
essendo le conseguenze decadenziali "legate
solo alla obiettiva non veridicità
dell'autodichiarazione resa".
Sono soggette, altresì, all'obbligo della
dichiarazione tutte le sentenze e i decreti
penali di condanna divenuti irrevocabili e
non estinte con formale provvedimento
dell'Autorità Giudiziaria in veste di
Giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art.
445 c.p.p..
---------------
La sanzione accessoria della segnalazione
del fatto all'Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici è illegittima allorché
l'impresa concorrente sia stata esclusa per
aver dichiarato di possedere un requisito
poi accertato insussistente, versando in
situazione soggettiva di sostanziale buona
fede, nella misura in cui essa non era a
conoscenza dell'irrilevanza del mero decorso
del tempo ai fini del maturarsi
dell'estinzione del reato senza il
provvedimento ancorché dichiarativo del
Giudice penale dell'esecuzione (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 22.10.2010 n. 3738 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Mancanza o illeggibilità della
firma apposta in calce, mancanza di
autentica nella copia di un atto
amministrativo.
La mancanza della sottoscrizione dell'atto
amministrativo ovvero la mancata autentica
della sua copia non integra un vizio
assoluto di legittimità; con la conseguenza
che, in mancanza di altri elementi,
l'eventuale illeggibilità della firma
nell’atto o nella sua copia si risolve in
una mera irregolarità, in quanto consente
comunque di dimostrare la provenienza
dell'atto dal soggetto titolare di quel
potere e non determina la giuridica
inesistenza dell'atto stesso (Cfr. TAR
Campania-Napoli, sez. III, 08.09.2006, n.
7983; TAR Toscana, sez. III, 19.03.1999, n.
42.
Ha precisato la sentenza in rassegna che, se
è vero che la sottoscrizione dell'atto
amministrativo è un elemento essenziale e
necessario -per attestarne l'effettiva
riferibilità alla p.a. emanante- è tuttavia
irrilevante, nel senso che non è causa di
invalidità o nullità, l'illeggibilità della
firma apposta in calce ad un atto
amministrativo, quando sia comunque
possibile individuarne l'autore, ad esempio
grazie alla dicitura dattiloscritta ed al
timbro apposto sull'atto).
Né la mancanza di autentica sulla copia può
essere elemento di illegittimità del
provvedimento originale, fatti salvi i casi
di falsità in atti da parte del pubblico
ufficiale (commento tratto da
www.regione.piemonte.it - TAR Lazio-Roma,
Sez. II-quater,
sentenza 21.10.2010 n. 32942 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’identità
della volumetria e della sagoma costituisce
un limite solo per gli interventi di
ristrutturazione che comportano la previa
demolizione dell’edificio; viceversa tali
limiti non valgono per quegli interventi di
ristrutturazione ordinaria (cioè senza
previa demolizione) i quali devono mantenere
inalterati gli elementi strutturali che
individuano e qualificano l’edificio
preesistente, potendo però comportare
integrazioni strutturali e cioè in pratica
anche modifiche non stravolgenti alla sagoma
nonché limitati incrementi di superficie e
volume.
Il concetto di ristrutturazione edilizia
comprende anche la demolizione seguita dalla
fedele ricostruzione del manufatto, purché
tale ricostruzione assicuri la piena
conformità di sagoma, di volume e di
superficie tra il vecchio ed il nuovo
manufatto, e venga, comunque, effettuata in
un tempo ragionevolmente prossimo a quello
della demolizione.
Deve ritenersi illegittimo il titolo
edilizio relativo ad un intervento edilizio
di ristrutturazione che contempli
demolizione e ricostruzione, laddove il
nuovo edificio, pur caratterizzato da una
volumetria inferiore, non rispetti le
caratteristiche strutturali di quello
demolito, quanto all’altezza e al numero di
piani.
La giurisprudenza amministrativa può dirsi
ormai consolidata sui seguenti concetti
-espressi ex multis da Cons. St. Sez.
IV 08.10.2007 n. 5214- che di seguito si
riportano, in quanto condivisi :
“Come è noto, la nozione di
ristrutturazione edilizia si rinviene oggi
nell’art. 3, comma 1, lettera d), del T.U.
n. 380 del 2001 (interventi rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante
un insieme di opere che possono portare ad
un organismo in tutto o in parte diverso dal
precedente) e nell’art. 10, comma 1, lettera
c), del citato T.U. (interventi .. che
comportino modifiche del volume, della
sagoma, dei prospetti e delle superfici..).
Per quanto riguarda invece la ipotesi
specifica di derivazione giurisprudenziale
della ristrutturazione mediante demolizione
e ricostruzione, la relativa disciplina è
stata per la prima volta introdotta
nell’ordinamento positivo con l’art. 3,
comma 1, lettera d), del T.U. n. 380 del
2001, il quale richiedeva la fedele
ricostruzione (sagoma, volume, sedime e
materiali) della preesistenza.
Successivamente, l’art. 1, comma 6, lettera
b), della legge delega sulle infrastrutture
n. 443 del 2001 ha richiesto identità di
volume e sagoma.
Da ultimo, riprendendo tale impostazione, il
D.L.vo n. 301 del 2002 ha eliminato
dall’art. 3 del T.U. edilizia l’originario
riferimento alla “fedele ricostruzione”
(espungendo così ad es. il richiamo alle
caratteristiche dei materiali) ma ha tenuto
fermo che la ricostruzione costituisce
ristrutturazione solo se il risultato finale
coincide con la volumetria e sagoma
preesistenti.
Dal raffronto fra i corpi normativi ora
richiamati emerge con chiarezza, a giudizio
del Collegio, che l’identità della
volumetria e della sagoma costituisce un
limite solo per gli interventi di
ristrutturazione che comportano la previa
demolizione dell’edificio; viceversa tali
limiti non valgono per quegli interventi di
ristrutturazione ordinaria (cioè senza
previa demolizione) i quali devono mantenere
inalterati gli elementi strutturali che
individuano e qualificano l’edificio
preesistente, potendo però comportare
integrazioni strutturali e cioè in pratica
anche modifiche non stravolgenti alla sagoma
nonché limitati incrementi di superficie e
volume.
Né le limitazioni suddette, apposte ora
dalla legge solo all’ipotesi di
ristrutturazione con previa demolizione,
possono considerarsi irrazionali, in quanto
si rapportano agli evidenti vantaggi (si
pensi all’ipotesi di più restrittivi
strumenti urbanistici sopravvenuti) che
discendono dall’inquadramento dell’attività
ricostruttiva di ciò che è stato demolito
nell’ambito della ristrutturazione anziché
in quello della nuova costruzione.
La giurisprudenza di questo Consiglio di
Stato ha ripetutamente chiarito che, ai
sensi della norma avanti citata, il concetto
di ristrutturazione edilizia comprende anche
la demolizione seguita dalla fedele
ricostruzione del manufatto, purché tale
ricostruzione assicuri la piena conformità
di sagoma, di volume e di superficie tra il
vecchio ed il nuovo manufatto, e venga,
comunque, effettuata in un tempo
ragionevolmente prossimo a quello della
demolizione (si veda fra le tante: C. Stato,
sez. V, 03.04.2000, n. 1906).”.
In proposito
sarà sufficiente richiamare, ad
abundantiam, la decisione di Cons. St.
n. 4011 del 2005, in ordine al concetto di
demolizione (sia totale che parziale) e
ricostruzione, laddove si rimarca che la
ristrutturazione edilizia, per essere tale e
non finire per coincidere con la nuova
costruzione, deve conservare le
caratteristiche fondamentali dell’edificio
preesistente e la successiva ricostruzione
dell’edificio deve riprodurre le precedenti
linee fondamentali quanto a sagoma e volumi,
censurando, altresì, ogni diversa
indicazione contenuta nei regolamenti locali
recante previsione difforme dalla normativa
nazionale e regionale (nella fattispecie
esaminata dal Consiglio di Stato, è stata
censurata la norma regolamentare del Comune
di Riccione ritenuta confliggente con la
normativa di riferimento e la traiettoria
ermeneutica ivi riportata appare utile anche
per lo scrutinio della questione oggetto di
delibazione).
“Infatti, l'articolo 31 è formulato in
modo di favorire le opere migliorative
eseguite su manufatti già esistenti. Al
riguardo, è significativo che la
disposizione considera espressamente
l'elenco delle attività disciplinate come
"interventi di recupero del patrimonio
edilizio esistente".
In particolare, poi, l'art. 31, lettera d),
qualifica la ristrutturazione edilizia come
intervento volto a "trasformare gli
organismi edilizi". In tal modo, dunque,
il legislatore indica con chiarezza che
l'intento perseguito è quello di agevolare
il recupero estetico e funzionale di
manufatti già inseriti nel tessuto edilizio,
senza determinare un incremento del carico
urbanistico dell'area considerata.
La trasformazione dell'edificio
preesistente, finalizzata al suo recupero
funzionale, può essere compiuta anche
attraverso la demolizione radicale e la
ricostruzione (fedele) di parti rilevanti
del manufatto, specie quando ciò risulti più
conveniente sotto il profilo tecnico od
economico. E la Sezione ha ulteriormente
allargato questa possibilità, estendendola
alle ipotesi di totale demolizione e
ricostruzione dell'edificio.
È stato sottolineato, tuttavia, che, anche
in questo caso, l'intervento assentito con
la concessione di ristrutturazione resta
nell'ambito dell'articolo 31, lettera d),
perché il nuovo edificio corrisponde
pienamente a quello preesistente.
Al riguardo, è significativa la circostanza
che la giurisprudenza segue un orientamento
rigoroso, imponendo la piena conformità di
sagoma, volume, e superficie, tra il vecchio
ed il nuovo manufatto.
Nello specifico contesto del recupero del
patrimonio edilizio esistente, quindi, la
demolizione effettuata dallo stesso
interessato (preventivamente e regolarmente
assentita dall'amministrazione comunale)
rappresenta lo strumento necessario per la
realizzazione del risultato finale,
costituito dal pieno ripristino del
manufatto….E’ appena il caso di aggiungere,
poi, che tale conclusione non sarebbe
diversa ove volesse farsi riferimento alle
disposizioni di cui all’art. 3 del D.P.R.
06.06.1980, n. 380, e successive
modificazioni, che, com’è noto, non contiene
più i limiti della “fedele ricostruzione”.
Anche se, per effetto della nuova normativa,
la nozione di ristrutturazione è stata
ulteriormente estesa, non per questo vengono
meno i limiti che ne condizionano le
caratteristiche e consentono di distinguerla
dall’intervento di nuova costruzione: vale a
dire la necessità che la ricostruzione sia
identica, per sagoma, volumetria e
superficie, al fabbricato demolito.
Anche escludendo il superato criterio della
fedele ricostruzione, esigenze di
interpretazione logico-sistematica della
nuova normativa inducono a ritenere che la
ristrutturazione edilizia, per essere tale e
non finire per coincidere con la nuova
costruzione, deve conservare le
caratteristiche fondamentali dell’edificio
preesistente e la successiva ricostruzione
dell’edificio deve riprodurre le precedenti
linee fondamentali quanto a sagoma e volumi.
Nel caso in esame, non può dubitarsi che
l’intervento progettato, consistente nella
sostituzione di un manufatto –abusivamente
realizzato, costituito da un piano terra
destinato a deposito-autorimessa, da un
primo piano e da un piano
sottotetto-mansarda destinati ad abitazione-
con quattro villette unifamiliari non possa
ricondursi alla nozione di ristrutturazione
edilizia, atteso che l’attività edilizia
richiesta, pur consistendo nella demolizione
e ricostruzione, non avviene nel rispetto
della stessa volumetria, sagoma e superficie
del manufatto preesistente, e, quindi, è da
qualificare come nuova costruzione,
assoggettata al permesso di costruire e,
quindi alle previsioni delle norme
urbanistiche dettate in proposito dallo
strumento urbanistico vigente (ex
pluribus, C.d.S., sez. IV, 18.03.2008,
n. 1117; 22.03.2007, n. 1388; 16.03.2007, n.
1276; 31.10.2006, n. 6464; sez. V,
04.03.2008, n. 918; Cass. Pen., sez. III,
08.04.2008, n. 28212; 26.10.2007, n. 47046),
che, nella specie, non consente nuove
edificazioni.
Deve ritenersi illegittimo il titolo
edilizio relativo ad un intervento edilizio
di ristrutturazione che contempli
demolizione e ricostruzione, laddove il
nuovo edificio, pur caratterizzato da una
volumetria inferiore, non rispetti le
caratteristiche strutturali di quello
demolito, quanto all’altezza e al numero di
piani (C.d.S., sez. V, 30.08.2006, n. 5061)
(TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 21.10.2010 n. 11911 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Legittimazione di un ricorso
avverso una Concessione edilizia.
Nel caso di proposizione di un ricorso
avverso una concessione edilizia, la
legittimazione deve essere per lo meno
specificata nell'impugnativa, con
riferimento alla situazione concreta e
fattuale, indicando la ragione, il come e la
misura con cui il provvedimento impugnato si
rifletta sulla propria posizione sostanziale
determinandone una lesione concreta,
immediata e attuale (Cfr. Cons. Stato, Sez.
V, 07.07.2005, n. 3757).
Ne consegue che il presupposto processuale
in questione ricorre allorché si "giustifichi"
il petitum indicando la natura del
collegamento ed il danno asseritamente
subìto.
La legittimazione a impugnare una
concessione edilizia deve essere
riconosciuta al proprietario di un immobile
sito nella zona interessata alla
costruzione, o comunque a chi si trovi in
una situazione di stabile collegamento con
la zona stessa, la quale non postula
necessariamente l'adiacenza fra gli
immobili, essendo sufficiente la semplice
prossimità, senza che sia necessario
dimostrare ulteriormente la sussistenza di
un interesse qualificato alla tutela
giurisdizionale (Cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
16.03.2010, n. 1535).
Tale legittimazione sussiste anche nel caso
in cui ci si dolga di un paventato pericolo
per l’ambiente o di un danno derivante dallo
stato idrogeologico dell’area (e non si
prospettino interessi "patrimoniali ed
egoistici") (commento tratto da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 20.10.2010 n. 7591 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'onere per l'impresa di
impugnare tempestivamente gli atti della
procedura di evidenza pubblica sorge solo a
seguito dell'emanazione del provvedimento di
aggiudicazione definitiva.
Il Collegio osserva che la res
controversa possa essere definita facendo
puntuale applicazione del consolidato (e qui
condiviso) orientamento giurisprudenziale
secondo cui l’aggiudicazione provvisoria di
un appalto pubblico ha natura di atto
endoprocedimentale, ad effetti ancora
instabili e del tutto interinali, sicché è
inidonea a produrre la definitiva lesione
dell’impresa non risultata aggiudicataria,
che si verifica solo con l'aggiudicazione
definitiva, la quale non costituisce atto
meramente confermativo della prima ed in
riferimento esclusivamente alla quale,
quindi, va verificata la tempestività del
ricorso.
Di conseguenza, l'onere per l'impresa di
impugnare tempestivamente gli atti della
procedura di evidenza pubblica, ad eccezione
dell'esclusione dalla stessa e delle
clausole del bando che rendano impossibile
la partecipazione alla gara, sorge solo a
seguito dell'emanazione del provvedimento di
aggiudicazione definitiva (in tal senso –ex
plurimis-: Cons. Stato, Sez. V, sent.
12.07.2010, n. 4483; id., Sez. VI, sent.
06.04.2010, n. 1907; id., Sez. I, sent.
14.11.2008, n. 5691) (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 20.10.2010 n. 7586 -
link a
www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
vicini controinteressati non sono
annoverabili tra i soggetti destinatari, ai
sensi dell'art. 7 della L. n. 241/1990,
della comunicazione di avvio di un
procedimento per il rilascio di un titolo
edilizio anche in sanatoria, poiché
l'invocata estensione ad essi della predetta
comunicazione comporterebbe un aggravio
procedimentale in contrasto con i principi
di economicità e di efficienza dell'attività
amministrativa.
Il Collegio ritiene che i vicini
controinteressati non siano annoverabili tra
i soggetti destinatari, ai sensi dell'art. 7
della L. n. 241/1990, della comunicazione di
avvio di un procedimento per il rilascio di
un titolo edilizio anche in sanatoria,
poiché l'invocata estensione ad essi della
predetta comunicazione comporterebbe un
aggravio procedimentale in contrasto con i
principi di economicità e di efficienza
dell'attività amministrativa (cfr. Cons.
Stato, sez. VI, 18.04.2005, n. 1773; TAR
Veneto, 09.02.2007, n. 365).
E ciò vale a maggior ragione quando si
tratti di soggetti (come, appunto, i
ricorrenti) che in precedenza non si erano
opposti all'attività edilizia del
proprietario confinante
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 14.10.2010 n. 194 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
ristrutturazione edilizia postula
necessariamente la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare -ossia di un
organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura-, onde la ricostruzione su ruderi
o su un edificio già da tempo demolito,
anche se soltanto in parte, costituisce una
nuova opera e, come tale, è soggetta alle
comuni regole edilizie e paesistico-ambientali vigenti al momento
della riedificazione.
Secondo costanti e consolidati precedenti
giurisprudenziali di questo Consiglio, una
ristrutturazione edilizia postula
necessariamente la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare -ossia di un
organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura-, onde la ricostruzione su ruderi
o su un edificio già da tempo demolito,
anche se soltanto in parte, costituisce una
nuova opera e, come tale, è soggetta alle
comuni regole edilizie e paesistico-ambientali vigenti al momento
della riedificazione (Consiglio di Stato,
sez. IV, 15.09.2006, n. 5375 e sez. V:
15.04.2004, n. 2142; 29.10.2001, n. 5642;
01.12.1999, n. 2021; 10.03.1997, n. 240)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.10.2010 n. 7476 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: La
decadenza dei vincoli urbanistici che
comportano l'inedificabilità assoluta ovvero
che privano il diritto di proprietà del suo
sostanziale valore economico obbliga il
Comune a procedere alla nuova pianificazione
dell'area rimasta priva di disciplina
urbanistica, obbligo che può però essere
assolto a mezzo sia di una variante
specifica che di una variante generale, che
sono gli unici strumenti che consentono
all'amministrazione comunale di verificare
la persistente compatibilità delle
destinazioni già impresse ad aree situate
nelle zone più diverse del territorio
comunale rispetto ai principi informatori
della vigente disciplina del piano
regolatore ed alle nuove esigenze di
pubblico interesse.
La decadenza dei vincoli urbanistici che
comportano l'inedificabilità assoluta ovvero
che privano il diritto di proprietà del suo
sostanziale valore economico, determinata
dall'inutile decorso del termine
quinquennale di cui all'art. 2, comma 1, l.
19.11.1968 n. 1187, decorrente
dall'approvazione del piano regolatore
generale, obbliga il Comune a procedere alla
nuova pianificazione dell'area rimasta priva
di disciplina urbanistica, obbligo che può
però essere assolto a mezzo sia di una
variante specifica che di una variante
generale, che sono gli unici strumenti che
consentono all'amministrazione comunale di
verificare la persistente compatibilità
delle destinazioni già impresse ad aree
situate nelle zone più diverse del
territorio comunale rispetto ai principi
informatori della vigente disciplina del
piano regolatore ed alle nuove esigenze di
pubblico interesse (Consiglio Stato, sez. IV, 21.08.2006, n. 4843)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.10.2010 n. 7442 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La fascia di rispetto stradale ha
un contenuto omnicomprensivo, che incide
sulla recinzione e su qualsiasi altro
manufatto avente carattere di consistenza e
stabilità.
Gli interventi in questione, oggetto
dell’impugnata ordinanza, sono costituiti
dall’installazione di sette pali metallici
alti 9 metri posti a sostegno di fari, dieci
lampioni alti 3,50 metri, quattro pali
portabandiera alti 7-8 metri, una zona
lavaggio auto con calcestruzzo grigliato, un
cartellone pubblicitario, due tettoie, zona
pavimentata con grigliato in calcestruzzo,
recinzione e cancello metallici anziché in
legno, recinzione su cordolo in cemento
armato.
Trattasi di opere che, nell’insieme, per
dimensioni e destinazione modificano in via
definitiva l’assetto del territorio, in
contrasto sia con la zonizzazione agricola,
sia con le preclusioni derivanti dalla
fascia di rispetto stradale in cui esse
ricadono.
Le ricorrenti, in particolare, affermano che
la recinzione ed il cancello in esame
rientrano tra gli interventi liberamente
realizzabili, in quanto espressione del
diritto di escludere i terzi dalla proprietà
privata.
Al riguardo occorre considerare che la
predetta fascia di rispetto ha un contenuto
omnicomprensivo, che incide sulla recinzione
e su qualsiasi altro manufatto avente
carattere di consistenza e stabilità (TAR
Toscana, III, 20/05/2002, n. 1035).
Inoltre, come specificato al punto 10 della
contestata ordinanza, una parte della
recinzione è su cordolo in calcestruzzo, il
quale richiede il rilascio del permesso di
costruire e giustifica di per sé l’ordine di
rimessa in pristino, a prescindere dagli
effetti della destinazione a fascia di
rispetto stradale (TAR Lombardia, Milano, IV,
29/12/2009, n. 6266) (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 04.10.2010 n. 6437 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’individuazione dell’area da
acquisire (nel caso di abuso edilizio) non
costituisce requisito di legittimità
dell’ordine di demolizione, ben potendo
essere posticipata al momento
dell’accertamento dell’inottemperanza o al
momento dell’acquisizione.
Vale qui
richiamare l’orientamento giurisprudenziale,
ormai pacificamente affermatosi, secondo cui
l’individuazione dell’area da acquisire non
costituisce requisito di legittimità
dell’ordine di demolizione, ben potendo
essere posticipata al momento
dell’accertamento dell’inottemperanza o al
momento dell’acquisizione (Cons. Stato, IV,
26/09/2008, n. 4659; TAR Toscana, III,
20/01/2009, n. 24; idem, 23/01/2008, n. 42)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 04.10.2010 n. 6437 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una
recinzione e di un “piano inghiaiato rullato
sovrastante a stabilizzato di cava”
costituiscono trasformazione permanente del
territorio; esse contraddicono inoltre la
vocazione agricola impressa dallo strumento
urbanistico.
Con il settimo
rilievo le deducenti sostengono che non vi è
stata trasformazione urbanistico edilizia,
trattandosi peraltro di manufatti assentiti
con le autorizzazioni n. 6/2000 e n. 4/2001
sull’evidente presupposto della loro
precarietà; in particolare, le società
istanti affermano l’irrilevanza, dal punto
di vista urbanistico, della recinzione e del
“piano inghiaiato rullato sovrastante a
stabilizzato di cava”.
Il motivo non è condivisibile.
Le predette opere, funzionali ad un
permanente utilizzo commerciale dell’area e
non ad uno scopo contingente o occasionale,
come tali costituiscono trasformazione
permanente del territorio; esse
contraddicono inoltre la vocazione agricola
impressa dallo strumento urbanistico.
Orbene, alla luce del recente orientamento
giurisprudenziale, al quale il Collegio
ritiene di aderire, anche il mero
spargimento di ghiaia senza titolo edilizio,
su un’area che in precedenza ne era priva,
può essere oggetto dell’ordine di
reintegrare il pregresso stato dei luoghi,
allorché sia preordinato alla modifica della
precedente destinazione d’uso.
Richiedono, infatti, il permesso di
costruire anche la modificazione dello stato
materiale e della conformazione del suolo
per adattarlo ad un impiego diverso da
quello che gli è proprio in relazione alla
sua condizione naturale e alla sua
qualificazione (Cons. Stato, V, 31/12/2008,
n. 6756; idem, 22/12/2005, n. 7343; TAR
Lombardia, Brescia, 11/01/2006, n. 32).
D’altra parte è stata riconosciuta la
rilevanza urbanistica anche del solo
spianamento di un terreno agricolo con
riporto di sabbia e ghiaia, realizzato al
fine di ottenere un piazzale per deposito e
smistamento di autocarri (Cass. pen., III,
09/06/1982)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 04.10.2010 n. 6437 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per individuare la natura
precaria di un’opera si deve seguire non il
criterio strutturale ma quello funzionale,
con la conseguenza che rientrano nella
nozione giuridica di costruzione, per la
quale occorre il permesso di costruire, i
manufatti che, anche se non infissi nel
suolo, alterino per loro intrinseca
destinazione lo stato del luogo in modo
stabile.
Per individuare
la natura precaria di un’opera si deve
seguire non il criterio strutturale ma
quello funzionale, con la conseguenza che
rientrano nella nozione giuridica di
costruzione, per la quale occorre il
permesso di costruire, i manufatti che,
anche se non infissi nel suolo, alterino per
loro intrinseca destinazione lo stato del
luogo in modo stabile (TAR Lombardia,
Brescia, I, 30/03/2009, n. 720)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 04.10.2010 n. 6437 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - URBANISTICA: Un
privato che sia danneggiato da una
previsione urbanistica estranea al conflitto
di interessi degli amministratori comunali
non può avvalersi di questa situazione di
illegittimità per ottenere la caducazione
dell’intero piano urbanistico.
Per quanto riguarda i piani urbanistici la
rilevanza del conflitto di interessi è stata
però ridimensionata dall’art. 78 commi 2 e
4, del Dlgs. 267/2000 sotto due profili:
(a) l’obbligo di astensione vale solo “nei
casi in cui sussista una correlazione
immediata e diretta fra il contenuto della
deliberazione e specifici interessi
dell'amministratore o di parenti o affini
fino al quarto grado”;
(b) l’illegittimità derivante dalla
violazione dell’obbligo di astensione non si
estende all’intero piano urbanistico ma alle
sole parti immediatamente e direttamente
correlate agli interessi dell'amministratore
o di parenti o affini fino al quarto grado.
Dunque un privato che sia danneggiato da una
previsione urbanistica estranea al conflitto
di interessi degli amministratori non può
avvalersi di questa situazione di
illegittimità per ottenere la caducazione
dell’intero piano urbanistico (v. TAR
Brescia, Sez. I, 08.07.2009 n. 1461).
Pur essendo successiva ai fatti di causa la
disposizione dell’art. 78, commi 2 e 4, del
Dlgs. 267/2000 può essere considerata
applicabile, sia perché può essere letta
come una norma di chiarimento non
necessariamente innovativa rispetto all’art.
279 del RD 383/1934, sia in omaggio al
principio di conservazione degli atti (utile
per inutile non vitiatur)
(TAR Lombardia-Brescia, sez. I,
sentenza 04.10.2010 n. 3724 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Autocertificazione e requisiti
morali.
La mera sussistenza di una condanna
definitiva per reati astrattamente incidenti
sulla moralità professionale delle imprese,
non vale a integrare la causa di esclusione
di cui all'art. 38, c. 1°, lett. c), del
D.Lgs. n. 163 del 2006, occorrendo invece
una concreta valutazione da parte della
stazione appaltante della gravità di tale
condanna.
Non può dirsi insussistente il requisito
della moralità professionale dell’impresa
nel caso in cui il legale rappresentante di
una delle imprese sia stato condannato, con
sentenza irrevocabile, per violazione delle
norme in materia di controllo dell’attività
urbana edilizia ex art. 20, l. n. 47 del
1985, per un reato non connesso all’attività
professionale svolta e non grave
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.09.2010 n. 6694 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Interpretazione del bando,
regolarizzazione documentale e ipotesi di
esclusione.
Costituisce principio generale quello che
afferma l’equipollenza della spedizione
postale alla presentazione diretta; tale
principio, che può essere desunto da
numerose disposizioni di legge, è inteso a
sollevare il privato dal rischio di
disfunzioni del servizio postale ed a
consentirgli l’integrale disponibilità del
termine.
Pertanto, in mancanza di una regola diversa
fissata nella lex specialis di una
procedura ad evidenza pubblica, il termine
finale per la presentazione della domanda
del privato alla pubblica amministrazione
deve considerarsi osservato ove tale domanda
sia inoltrata in tempo utile a mezzo
raccomandata, rilevando in tal caso la data
di spedizione e non quella di ricezione da
parte della destinataria (massima tratta da
http://doc.sspal.it -
Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 14.09.2010 n. 6678 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Bandi di gara, requisiti
ulteriori e onere di immediata impugnazione.
Non possono ritenersi illegittime le regole
delle procedure ad evidenza pubblica
richiedenti, a pena di esclusione, la
presentazione delle giustificazioni
preventive, pure ulteriori rispetto a quelle
indicate dagli artt. 86 e 87 del Codice dei
contratti pubblici, giacché tale richiesta
non si pone in contrasto con alcuna
disposizione normativa, sia nazionale che
comunitaria. Anzi la stessa richiesta è
ragionevole, non comporta un onere
documentale incongruo ed eccessivo e
risponde a finalità di accelerazione e
semplificazione della procedura, essendo
garanzia di serietà dell’offerta,
scongiurando il pericolo che le
giustificazioni vengano ricostruite solo
ex post, anziché essere realmente
esistenti al momento della formulazione
dell’offerta.
Nel caso in cui il bando di gara richieda, a
pena di esclusione, la presentazione di
giustificazioni preventive delle offerte, va
disposta l’estromissione dalla gara di una
ditta che non abbia rispettato tale
clausola, indipendentemente dal fatto che il
prezzo offerto possa rivelarsi congruo ad
una successiva ed ipotetica verifica.
In tal caso, peraltro, la esclusione va
disposta senza la necessità di instaurazione
del previo contraddittorio, trattandosi di
una fase anteriore a quella di verifica
delle offerte sospettate di essere anomale (massima
tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2010 n. 6518 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Esame delle offerte e anomalie.
L'esame delle offerte economiche prima di
quelle tecniche costituisce una palese
violazione dei principi inderogabili di
trasparenza e di imparzialità che devono
presiedere le gare pubbliche, in quanto la
conoscenza preventiva dell'offerta economica
consente di modulare il giudizio
sull'offerta tecnica in modo non conforme
alla parità di trattamento dei concorrenti e
tale possibilità, ancorché remota ed
eventuale, inficia la regolarità della
procedura.
Anche la sola possibilità della conoscenza
dell'entità dell'offerta economica e delle
caratteristiche di quella tecnica mette in
pericolo la garanzia dell'imparzialità
dell'operato dell'organo valutativo,
comportando il rischio che i criteri siano
plasmati ed adattati alle offerte in modo
che ne sortisca un effetto potenzialmente
premiante nei confronti di una di esse; è
pertanto legittima l’esclusione dalla gara
di appalto di una impresa che abbia inserito
nel documento informatico dell’offerta
tecnica il computo metrico estimativo
corredato dai relativi prezzi, rendendo così
esplicito, nell’ambito della documentazione
di tipo tecnico, l’incidenza dei costi
sull’offerta economica
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2010 n. 6509 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Bandi di gara, requisiti
ulteriori e onere di immediata impugnazione.
E’ illegittima la clausola della lex
specialis di una gara di appalto che, in
contrasto con i principi di ragionevolezza e
proporzionalità che presiedono le procedure
di gara, impone, a pena di esclusione,
l’indicazione dell’oggetto della gara, oltre
che sul plico contenente l’offerta, anche
sulla busta interna a detto plico, recante
in separati involucri la documentazione
amministrativa e l’offerta economica; è
conseguentemente illegittimo il
provvedimento di esclusione adottato in
applicazione della suddetta clausola del
bando nei confronti di una ditta che ha
presentato l’offerta con l’indicazione
dell’oggetto della gara solo sul plico
esterno e non anche sulla busta interna (massima
tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2010 n. 6507 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Procedura di gara, vincolo
contrattuale e autotutela.
Non può essere accolta la domanda di
risarcimento del danno avanzata da un
concorrente ad una gara pubblica, derivante
da asserita responsabilità precontrattuale
della P.A., ex art. 1337 c.c., per avere la
stazione appaltante dapprima indetto una
gara e, successivamente, revocato in
autotutela i relativi atti, a causa della
carenza di disponibilità finanziaria, ed al
fine di svolgere in economia i servizi da
appaltare, nel caso in cui la revoca sia
intervenuta in costanza del termine di
scadenza per la presentazione delle domande
di partecipazione alla gara
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2010 n. 6489 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Collegamento tra imprese.
E’ illegittima l’esclusione da una gara di
appalto di due o più imprese per la
sussistenza di un collegamento "sostanziale"
tra le stesse ove tale collegamento sia
stato desunto dalla presenza di intrecci
societari tra le imprese interessate, che
non siano indicativi di una situazione di
collegamento sostanziale tra le stesse
imprese, nel caso in cui la clausola di
esclusione prevista dal bando faccia
riferimento, in base ai principi che la
legittimano, unicamente al collegamento tra
le società e alla connessa influenza
decisionale tra le stesse, rispetto alla
quale la mera presenza di soci comuni non
ha, di per sé, valore dirimente
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.09.2010 n. 6469 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Bandi di gara, requisiti
ulteriori e onere di immediata impugnazione.
In tema di requisiti di partecipazione alle
gare pubbliche, deve ritenersi che,
nonostante la discrezionalità che
caratterizza la previsione, da parte della
stazione appaltante, di tali requisiti nella
stesura del bando, tale scelta non è
insindacabile ogni volta che trascenda i
principi della razionalità e
proporzionalità, traducendosi in un’indebita
restrizione della concorrenza.
E’ illegittimo, in quanto eccessivamente
restrittivo per la partecipazione delle
ditte concorrenti ed in contrasto con i
principi nazionali e comunitari di libera
concorrenza, razionalità e proporzionalità,
un bando di gara per l’affidamento di un
appalto di servizi di ristorazione, per un
limitato periodo di tempo (nella specie, si
trattava di un anno) che contenga la
previsione secondo la quale le ditte
partecipanti devono necessariamente
possedere la certificazione di qualità
rispetto ad una prestazione meramente
accessoria quale la pulizia e sanificazione
delle stoviglie e dei locali, e secondo la
quale tali certificazioni di qualità debbano
essere possedute da almeno cinque anni; tali
requisiti, infatti, devono ritenersi
sproporzionati, anche in relazione al
modesto importo del contratto posto a base
di gara, determinato dalla breve durata del
servizio
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 27.08.2010 n. 3262 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Interpretazione del bando,
regolarizzazione documentale e ipotesi di
esclusione.
La stazione appaltante è tenuta ad applicare
in modo rigoroso ed incondizionato le
clausole inserite nella "lex specialis"
relative ai requisiti, formali e
sostanziali, di partecipazione, ovvero alle
cause di esclusione, atteso che proprio il
formalismo caratterizza la disciplina delle
procedure di gara, rispondendo esso, per un
verso, ad esigenze pratiche di certezza e
celerità e, per altro verso, alla necessità
di garantire l'imparzialità dell'azione
amministrativa e la parità di condizioni.
Non può ritenersi irrazionale le modalità di
presentazione delle offerte comprendenti sia
la sigillatura con la ceralacca sia la
controfirma del rappresentante dell’impresa
sui lembi di chiusura, in quanto mirano ad
assicurare l’autenticità dell’offerta e,
comunque, non appaiono particolarmente
gravosi per i partecipanti alla procedura di
gara.
Pertanto deve ritenersi legittima
l’esclusione di una ditta nel caso in cui
abbia presentato un plico sigillato con
ceralacca ma privo della controfirma sui
lembi di chiusura, in contrasto con
un’espressa previsione del bando
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Emilia
Romagna-Parma,
sentenza 23.08.2010 n. 430 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Accesso agli atti e
comunicazioni.
Una comunicazione effettuata dalla stazione
appaltante ad una impresa, dell’avvenuta
esclusione dell’impresa stessa da una gara
pubblica, trasmessa a mezzo fax, è idonea a
far decorrere il termine per l’impugnazione,
nel caso in cui l'uso del fax sia
sostanzialmente previsto dalla lex
specialis di gara e l’impresa
destinataria della comunicazione abbia di
fatto accettato le precedenti
comunicazioni della P.A. a mezzo fax (nella
specie, si trattava di comunicazioni sul
controllo dei requisiti) al numero indicato
in precedenza all'Amministrazione per la
ricezione di comunicazioni inerenti la gara;
infatti, la previsione da parte della lex
specialis di tale mezzo di trasmissione
rende idonea la comunicazione via fax anche
dell’atto di esclusione, ai fini della piena
cognizione del contenuto del provvedimento,
e risulta rispettosa dell’art. 77 del d.lgs.
n. 163 del 2006, il quale stabilisce la
facoltà per le stazioni appaltanti e per gli
operatori economici di inviare le
comunicazioni via telefax, purché di ciò si
dia comunicazione nel bando o nell’invito (massima
tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 18.08.2010 n. 5845 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Esame delle offerte e anomalie.
E’ legittima l’esclusione di una ditta da
una gara per l’affidamento di un appalto
pubblico, che sia motivata con riferimento
all’anomalia e/o all’incongruità
dell’offerta presentata dalla ditta esclusa,
nel caso in cui tale ditta abbia dichiarato
(applicando conseguentemente i relativi
minori costi) di voler prendere in
considerazione, per il trattamento economico
dei propri dipendenti, durante il corso
dell’espletamento dell’appalto, i dati di un
contratto collettivo nazionale di lavoro
diverso da quello relativo al settore di
attività oggetto dell’appalto e, pertanto,
inapplicabile al medesimo appalto, nonché di
gran lunga economicamente più favorevole
all’impresa, in quanto comportante costi del
personale fortemente meno onerosi per
l’impresa stessa
(massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza
18.08.2010 n. 5820 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Esame delle offerte e anomalie.
E’ legittimo il giudizio di anomalia
espresso dalla P.A. in sede di verifica
delle offerte nel caso in cui risulti che il
prezzo offerto non avrebbe superato il solo
costo della manodopera e non sia stata
fornita dal concorrente alcuna prova che gli
operai addetti al servizio, al momento dello
svolgimento della gara, fossero in possesso
dei requisiti necessari (requisito di
iscrizione, come disoccupati, da almeno due
anni presso il competente Centro
dell’impiego e quello del reddito annuale da
lavoro, inferiore al limite degli 8.000,00
euro) per poter godere degli sgravi
contributivi previsti dalla legge n. 407 del
1990
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.08.2010 n. 5638 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Interpretazione del bando,
regolarizzazione documentale e ipotesi di
esclusione.
L’omessa allegazione di un documento o di
una dichiarazione previsti a pena di
esclusione non può considerarsi alla stregua
di un’irregolarità sanabile e, quindi, non
ne è permessa l’integrazione o la
regolarizzazione postuma, non trattandosi di
rimediare a vizi puramente formali; ciò
tanto più quando non sussistano equivoci o
incertezze generati dall’ambiguità di
clausole della legge di gara.
In presenza di
una prescrizione chiara, infatti, la
regolarizzazione costituirebbe violazione
della par condicio fra i concorrenti.
Ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs. n. 163/2006
(Codice dei contratti pubblici), i criteri
esposti ai fini dell’integrazione
documentale riguardano semplici chiarimenti
di un documento incompleto, ma non possono
servire a sopperire la mancanza di un
documento (quali, ad esempio, la
certificazione dei carichi pendenti o la
dichiarazione sostitutiva)
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez V,
sentenza
02.08.2010 n. 5084 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Accesso agli atti e
comunicazioni.
L’art. 13, c. 6°, del D.lgs. n. 163/2006,
non costituisce una previsione derogatoria
di carattere generale, ma piuttosto
un’ipotesi di speciale deroga, da applicare
esclusivamente nei casi in cui l’accesso sia
inibito in ragione della tutela di segreti
tecnici o commerciali motivatamente
evidenziati dall’offerte in sede di
presentazione dell’offerta.
Il carattere segreto delle informazioni
tecniche e commerciali -che deve risultare
da motivata dichiarazione dell’offerente
prodotta in sede di presentazione
dell’offerta- non può costituire ostacolo
alla esibizione della restante
documentazione di gara nei confronti dei
terzi contro interessati, potendo, tutt’al
più, consentirne lo stralcio dalla
documentazione da esibire, con facili
accorgimenti tecnici (ad esempio “omissis”)
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza
30.07.2010 n. 5062 - - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Autocertificazione e requisiti
morali.
Ai fini della ricorrenza causa di esclusione
dalle gare di cui all’art. 38, comma 1,
lett. f), del D.L.vo n. 163 del 2006, non è
necessario che il comportamento di grave
negligenza o mala fede sia accertato in sede
giurisdizionale, essendo sufficiente la
valutazione che la stessa Amministrazione
abbia fatto in sede amministrativa del
comportamento tenuto in precedenti rapporti
contrattuali.
L’art. 38, comma 1, lett. f), citato, nel
prevedere l’esclusione dalle gare di appalto
dell’impresa che ha commesso grave
negligenza o malafede nell’esecuzione di
precedenti appalti, non ha carattere
sanzionatorio, ma contempla una misura a
presidio dell’elemento fiduciario, che
esclude di per sé qualsiasi automatismo,
perché l’esclusione deve essere il risultato
di una "motivata valutazione"; la
motivazione, tuttavia, può essere costituita
dal riferimento all’episodio contestato, in
base ad un’attività di mero riscontro della
fattispecie concreta con quella astratta
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 28.07.2010 n. 5030
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Procedura di gara, vincolo
contrattuale e autotutela.
L’orientamento passato della giurisprudenza
secondo cui nei contratti stipulati della
P.A. il processo verbale di aggiudicazione
definitiva equivarrebbe, ad ogni effetto
legale, al contratto stipulato, è da
ritenere ormai superato dalla giurisprudenza
più recente, la quale riconosce al verbale
di aggiudicazione della licitazione privata
carattere meramente provvisorio. Deve
ritenersi infatti che l'art. 16, 4° comma,
del R.D. 18.11.1923 n. 2440 (secondo cui
l’aggiudicazione equivale al contratto) non
ha di per sé natura automatica e
obbligatoria, non potendosi escludere che la
P.A. stessa, cui spetta valutare
discrezionalmente l'interesse pubblico,
possa rinviare, anche implicitamente, la
costituzione del vincolo al momento della
stipulazione del contratto, fino al quale
non esiste un diritto soggettivo
dell'aggiudicataria all'esecuzione dello
stesso.
Anche se nei contratti della P.A.
l'aggiudicazione, quale atto conclusivo del
procedimento di scelta del contraente, segna
di norma il momento dell'incontro della
volontà della stessa Amministrazione e del
privato di concludere il contratto
(manifestata con l'individuazione
dell'offerta ritenuta migliore), non è
tuttavia precluso alla P.A. stessa di
procedere, con atto successivo e con
richiamo ad un preciso e concreto interesse
pubblico, all'annullamento d'ufficio
dell'aggiudicazione, fondandosi detta
potestà di annullamento in autotutela sul
principio costituzionale di buon andamento
che impegna la P.A. ad adottare atti il più
possibile rispondenti ai fini da conseguire,
ma con l'obbligo incombente su di essa di
fornire una adeguata motivazione in ordine
alle ragioni che, alla luce della
comparazione dell'interesse pubblico con le
contrapposte posizioni consolidate dei
partecipanti alla gara, giustificano il
provvedimento di autotutela.
Non occorre una specifica motivazione
sull’interesse pubblico per l’adozione di un
atto di annullamento dell’aggiudicazione di
una gara intervenuto a breve distanza da
essa, essendo sufficiente in tal caso, in
considerazione del breve lasso intercorso,
il riferimento all’illegittimità della
disposta aggiudicazione, dovendosi ritenere
l’interesse pubblico in re ipsa
(massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 26.07.2010 n.
4864 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Esame delle offerte e anomalie.
Nelle gare di appalto, in sede di verifica
delle offerte anomale, il responsabile unico
del procedimento (RUP) non è competente ad
esprimere un giudizio definitivo sul
carattere o meno anomalo delle offerte, a
nulla rilevando che tale giudizio sia stato
seguito dalla presa d’atto da parte della
commissione di gara; il RUP (anche se
competente nel settore al quale attiene
l’oggetto della gara) può, infatti, dare
pareri d’ordine tecnico, ragguagli ed altri
elementi utili alla valutazione delle
offerte presentate in sede di gara con
aggiudicazione all’offerta più vantaggiosa,
ma non può essere rimesso allo stesso il
giudizio definitivo sulla congruità delle
offerte allorché sia stata costituita
un’apposita Commissione valutatrice.
Sono pertanto illegittime le valutazioni
espresse dal RUP, poi fatte proprie dalla
Commissione valutatrice della gara con una
semplice presa d’atto (che non risulta avere
effettuato alcuna autonoma valutazione), con
le quali è stato escluso, a seguito di
apposita verifica, che l’offerta
dell’impresa aggiudicataria fosse affetta da
anomalia
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza
15.07.2010 n. 4584 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Sull'istituto
della "convalida" degli atti amministrativi
affetti da vizi di legittimità.
Come è noto la giurisprudenza, già in epoca
antecedente alla novella apportata dall’art.
14 della legge n. 15 del 2005, ha
costantemente riconosciuto
all’Amministrazione la facoltà di sanare i
propri atti affetti da vizi di legittimità
-sulla base del principio di economia dei
mezzi giuridici- con una manifestazione di
volontà intesa ad eliminare il vizio da cui
l'atto è inficiato.
Nel caso in cui alla sanatoria provvede
l’autorità competente all’adozione dell’atto
posto in essere in modo viziato –sia stata o
meno essa ad adottare quest’ultimo– si ha la
convalida, che in sostanza consiste in una
dichiarazione espressamente rivolta ad
eliminare il vizio dell’atto invalido.
In concreto il fenomeno può verificarsi nel
caso di atti invalidi per vizi formali o di
procedura o per incompetenza: in tale ultima
ipotesi il potere di convalida è
naturalmente di spettanza di una autorità
diversa da quella che ha adottato l’atto
originario.
Per costante giurisprudenza, l’esercizio
della facoltà di convalida comporta
l'emanazione di un provvedimento, nuovo ed
autonomo rispetto al provvedimento da
convalidare, di carattere costitutivo, che
si ricollega all'atto convalidato al fine di
mantenerne fermi gli effetti fin dal momento
in cui esso venne emanato (c.d. efficacia "ex
tunc" della convalida).
Da ciò consegue che gli effetti giuridici –a
differenza di quanto avviene nel caso della
rinnovazione dell’atto viziato- si imputano
all'atto convalidato, rispetto al quale
quello convalidante si pone soltanto come
causa ostativa all'eventuale annullamento
per illegittimità.
Applicando questi criteri al caso in esame
deve perciò confermarsi la tardività delle
censure rivolte avverso gli atti
convalidati, atti dei quali è stata infatti
già accertata –con efficacia di giudicato
derivante dalle sentenze TAR Marche n. 1047
del 2000 e IV Sez. n. 3878 del 2001– la
pregressa e risalente piena conoscenza da
parte dell’originario ricorrente.
Con la prima parte del secondo motivo
l’appellante deduce che, nel caso di
sanatoria operata da organo amministrativo
diverso da quello che ha emanato l’atto
illegittimo, non può parlarsi di convalida,
essendo tale istituto applicabile solo
quando lo stesso organo che ha emanato
l’atto invalido provvede ad eliminare il
vizio.
Questa tesi non è condivisibile, essendo
pacifico in dottrina e giurisprudenza –come
si è sopra detto- che alla convalida può
provvedere anche una autorità diversa da
quella che ha adottato l’atto da
convalidare.
Dirimenti indicazioni in tal senso, del
resto, si rinvengono nell’art. 6 della legge
n. 249 del 1968 che ammette la convalida,
anche nel corso del giudizio, dell’atto
viziato per incompetenza
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 09.07.2010 n. 4460 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Autocertificazione e requisiti
morali.
Sussiste il falso innocuo quando esso si
riveli in concreto inidoneo a ledere
l'interesse tutelato dalla genuinità dei
documenti e cioè quando non abbia la
capacità di conseguire uno scopo
antigiuridico, nel senso che l'infedele
attestazione o la compiuta alterazione
appaiano del tutto irrilevanti ai fini del
significato dell'atto e del suo valore
probatorio e, pertanto, inidonee al
conseguimento delle finalità che con l'atto
falso si intendevano raggiungere; in tal
caso, infatti, la falsità non esplica
effetti sulla funzione documentale che
l'atto è chiamato a svolgere, che è quella
di attestare i dati in esso indicati, con la
conseguenza che l'innocuità non deve essere
valutata con riferimento all'uso che
dell'atto falso venga fatto
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 08.07.2010 n. 4436 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Esame delle offerte e anomalie.
Nel caso di procedura di gara indetta
secondo il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, la
valutazione dell’anomalia non si limita
all’elemento prezzo, ma è rivolta anche agli
elementi qualitativi dell’offerta, nonché al
rapporto tra le due componenti, in presenza
di un significativo scarto tra ridotto
prezzo offerto ed elevato standard
qualitativo delle prestazioni.
Le operazioni di verifica delle offerte
anomale vanno compiute normalmente dalla
stessa commissione di gara fino alla formale
chiusura della gara pubblica, in difetto di
una disposizione normativa ovvero di una
espressa previsione che disponga in senso
contrario
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 08.07.2010 n. 4434 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Per l'approvazione di un Piano di
Recupero non è necessario il parere della
Commissione Edilizia.
Non è fondato neanche il secondo motivo di
ricorso in cui si deduce che la delibera
approvata sarebbe illegittima per aver
omesso in corso di procedimento
l’acquisizione del parere della Commissione
edilizia comunale.
A giudizio della giurisprudenza
amministrativa, non è necessaria
l’acquisizione del parere per la procedura
di approvazione del piano di recupero (cfr.
Tar Venezia, I, 443/1998: il piano di
recupero di iniziativa privata deve
chiudersi con un provvedimento espresso da
parte del consiglio comunale. Non è
obbligatorio richiedere il parere della
commissione edilizia; ma nel caso in cui
tale parere venga richiesto, esso non può
sostituire il necessariamente espresso e
formale provvedimento terminale del
procedimento che solo il consiglio comunale
è deputato ad emettere)
(TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 17.06.2010 n. 2329 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
I piani di recupero
possono avere ad oggetto non solo un
semplice recupero edilizio, ma anche un
recupero urbanistico vero e proprio, che può
essere attuato anche mediante la demolizione
di edifici preesistenti; in tal caso, il
piano di recupero si presenta come strumento
del tutto autonomo, ed alternativo, rispetto
al piano particolareggiato.
Non è fondato
neanche il terzo motivo del ricorso
principale in cui si deduce che la delibera
approvata sarebbe illegittima per violazione
della l. 457/1978 in quanto i piani di
recupero dovrebbero agevolare il recupero
del patrimonio edilizio esistente, laddove
il progetto presentato dalla controinteressata prevede che gli edifici
siano demoliti (in realtà, che siano
demoliti solo in parte).
La norma attributiva del potere esercitato
in concreto dall’amministrazione nel caso in
esame è l’art. 27 l. 457/1978 che dispone nel
suo primo periodo che “i comuni individuano,
nell'ambito degli strumenti urbanistici
generali, le zone ove, per le condizioni di
degrado, si rende opportuno il recupero del
patrimonio edilizio ed urbanistico esistente
mediante interventi rivolti alla
conservazione, al risanamento, alla
ricostruzione e alla migliore utilizzazione
del patrimonio stesso”.
Le espressioni usata dalla norma attributiva
di potere sono, pertanto, “conservazione, al
risanamento, alla ricostruzione e alla
migliore utilizzazione” del patrimonio. Non
si parla espressamente di demolizione, ma si
usano termini come “ricostruzione” che
lasciano sottendere la possibilità di
disporre demolizione nell’approvazione di un
piano di recupero.
Questa interpretazione è stata confermata
dalla giurisprudenza amministrativa che si è
espressa più volte sulla compatibilità tra
piano di recupero e demolizione degli
edifici da recuperare ed ha sempre ammesso
la possibilità di ricorrere ad esse.
Sul
punto, ad esempio, CdS, IV, 4759/2009, secondo
cui “il piano di recupero, in quanto
strumento attuativo, è suscettibile di
perseguire sia finalità di recupero del
patrimonio edilizio esistente in misura più
complessa degli interventi di manutenzione
ordinaria e di ristrutturazione edilizia,
sia finalità di recupero urbanistico, e può
quindi prevedere interventi rivolti a
sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso,
mediante un insieme sistematico di
interventi edilizi anche con la
modificazione del disegno dei lotti, degli
isolati e della rete stradale”.
In termini
più espliciti Tar Toscana, I, 2831/2003,
secondo cui “il piano di recupero è per sua
natura finalizzato ad organizzare
razionalmente ed esteticamente il patrimonio
edilizio esistente, eliminando situazioni di
degrado e di disarmonia: pertanto può
tradursi in interventi edilizi diretti, di
volta in volta, alla conservazione, al
risanamento, alla ricostruzione o comunque
ad una migliore utilizzazione di un
preesistente immobile e può consistere in
sole opere di manutenzione ordinaria e
straordinaria o di restauro, in opere di
ristrutturazione più o meno ampia, sino a
giungere ad un recupero cosiddetto pesante,
costituito dalla demolizione e ricostruzione
di un edificio: ne consegue che dette opere
di ristrutturazione possono legittimamente
tradursi, ancorché entro certi limiti, in un
organismo che per consistenza e
caratteristiche tipologiche rechi persino
connotazioni di novità rispetto all'edificio
preesistente”.
Nello stesso senso d’altronde
si era già espresso in passato CdS, IV,
96/1996, secondo cui “i piani di recupero
possono avere ad oggetto non solo un
semplice recupero edilizio, ma anche un
recupero urbanistico vero e proprio, che può
essere attuato anche mediante la demolizione
di edifici preesistenti; in tal caso, il
piano di recupero si presenta come strumento
del tutto autonomo, ed alternativo, rispetto
al piano particolareggiato”.
Ne consegue che il motivo di ricorso in cui
si deduce che la delibera approvata sarebbe
illegittima per violazione della l. 457/1978
in quanto i piani di recupero dovrebbero
recuperare, e non demolire il patrimonio
edilizio esistente deve essere respinto
(TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 17.06.2010 n. 2329 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
E'
illegittima la
delibera consiliare di approvazione di un
Piano di Recupero in variante al vigente
P.R.G. ex l.r. n. 23/1997 nella parte in cui
essa ha violato l’art. 8 delle n.t.a. del p.r.g. che fissa i limiti agli
interventi eseguibili anche con piano di
recupero nelle zone del centro storico.
Occorre anzitutto rilevare che già, in linea
generale, l’idea di un piano di recupero in
variante al p.r.g. contiene elementi di
contraddizione in termini. Infatti, “il
piano di recupero è notoriamente, sotto il
profilo giuridico, uno strumento urbanistico
sostanzialmente attuativo delle scelte
urbanistiche primarie contenute nel piano
regolatore generale ed è quindi equivalente
al piano particolareggiato, dal quale si
differenzia in quanto finalizzato piuttosto
che alla complessiva trasformazione del
territorio al recupero del patrimonio
edilizio ed urbanistico esistente con
interventi rivolti alla conservazione,
ricostruzione e alla migliore utilizzazione
del patrimonio stesso” (CdS, IV, 05.03.2008, n. 922) (la massima prosegue
affermando che “così che in sede di sua
modifica non possono essere introdotti,
logicamente oltre che giuridicamente,
vincoli nuovi ed ulteriori rispetto a quelli
esistenti nello strumento urbanistico
generale in vigore, neppure quanto tale
modifica trovi la sua giustificazione in una
richiesta del privato”; nel caso in esame,
invece, ci troviamo nell’ipotesi -opposta
sul piano pratico, ma analoga sul piano
giuridico- di piano di recupero che elimina
vincoli previsti dal piano generale).
Queste perplessità sulla legittimità della
procedura di variante seguita dal Comune si
acuiscono nel caso di specie caratterizzato
da un particolarissimo tipo di variante
avente ad oggetto un unico edificio. Delle
perplessità sulla scelta di un piano di
recupero in variante al p.r.g relativo ad un
solo immobile le aveva manifestate in tempi
relativamente recenti anche questo Tribunale
che aveva affermato che “pur non potendosi
aprioristicamente escludere l'utilizzo di un
Piano attuativo in variante al P.R.G. in
riferimento ad un singolo immobile -con i
contenuti di cui all'art. 3 comma 1 della
l.r. 19/1992- è peraltro indispensabile che
una scelta così circoscritta sia
accompagnata da una specifica motivazione
che dia conto dell'interesse pubblico
perseguito” (TAR Lombardia, Brescia,
28/02/2006 n. 244).
Sono evidenti, d’altronde, le perplessità
che possono sorgere a proposito della
legittimità dell’utilizzo di un piano di
recupero in variante al p.r.g. relativo ad
un solo immobile, in quanto –come ben
evidenziato dalla difesa del ricorrente
negli scritti depositati in corso di
processo– in questo modo si finisce con il
sottrarre un immobile alle prescrizioni
della zonizzazione urbanistica, e si finisce
per creare una disciplina di piano valida
soltanto per esso e non per tutti gli altri
immobili rientranti nella stessa zona.
Il caso di specie, peraltro, è ancor più
particolare, perché non solo si utilizza un
piano attuativo in deroga, non solo lo si
realizza per un singolo immobile, ma per di
più lo si fa con le procedure semplificate
della l.r. 23/1997 nel periodo transitorio
previsto dall’art. 25 l.r. 12/2005 (si ricorda
che
il principio della domanda concerne il
monopolio della parte privata nella
individuazione del diritto fatto valere in
giudizio, non l’articolazione del
ragionamento giuridico attraverso cui
giungere al riconoscimento di tale diritto,
che rimane affidato al tradizionale iura
novit curia).
La norma dell’art. 25, co. 1, l.r. 12/2005
stabilisce, infatti, che “fino
all’adeguamento dei PRG vigenti, a norma
dell’art. 26, e comunque non oltre il
predetto termine di quattro anni, i comuni
ad eccezione di quelli di cui al comma 2,
possono procedere unicamente
all’approvazione di atti di programmazione
negoziata, di progetti in variante ai sensi
dell’ art. 5 d.p.r. 447/1998, previo parere
vincolante della Regione qualora non sia
vigente il P.T.C.P. e con l’applicazione
dell’art. 97 della presente legge, nonché di
varianti nei casi di cui all’ art. 2, co. 2,
l.r. 23/1997 e di piani attuativi in variante,
con la procedura di cui all’ art. 3 l.r.
23/1997”.
Nel caso in esame vengono in questione solo
le ipotesi di cui agli artt. 2 e 3 l.r.
23/1997, a norma della quale è stato approvato
il piano di recupero in questione.
L’art. 2, co. 2, l.r. 23/1997 stabilisce che:
“il procedimento semplificato di cui
all’art. 3 si applica in presenza di una o
più delle seguenti fattispecie:
a) varianti
dirette a localizzare opere pubbliche di
competenza comunale, nonché a modificare i
relativi parametri urbanistici ed edilizi,
eccettuati i casi in cui la legislazione
statale o regionale già ammetta la
possibilità di procedere a tali adempimenti
senza preventiva variante urbanistica;
b)
varianti volte ad adeguare le originarie
previsioni di localizzazione dello strumento
urbanistico generale vigente, alla
progettazione esecutiva di servizi e
infrastrutture di interesse pubblico,
ancorché realizzate da soggetti non
istituzionalmente preposti;
c) varianti atte
ad apportare agli strumenti urbanistici
generali, sulla scorta di rilevazioni
cartografiche aggiornate, dell’effettiva
situazione fisica e morfologica dei luoghi,
delle risultanze catastali e delle confinanze, le modificazioni necessarie a
conseguire la realizzabilità delle
previsioni urbanistiche anche mediante
rettifiche delle delimitazioni tra zone
omogenee diverse;
d) varianti dirette a
modificare le modalità di intervento sul
patrimonio edilizio esistente, nel caso in
cui esse non concretino ristrutturazione
urbanistica e non comportino incremento del
peso insediativo in misura superiore al 10%
rispetto a quanto stabilito dallo strumento
urbanistico vigente; ove necessario, le
varianti potranno altresì prevedere il
conseguente adeguamento della dotazione di
aree a standard;
e) varianti di
completamento interessanti ambiti
territoriali di zone omogenee già
classificate ai sensi dell’ art. 2 d.m.
1444/1968 come zone B, C, e D che comportino,
con o senza incremento della superficie azzonata, un aumento della relativa capacità
edificatoria non superiore al 10% di quella
consentita nell’ambito oggetto della
variante dal vigente P.R.G., ove necessario
tali varianti potranno altresì prevedere il
conseguente adeguamento della dotazione di
aree a standard;
f) varianti che comportino
modificazioni dei perimetri degli ambiti
territoriali subordinati a piani attuativi,
finalizzate ad assicurare un migliore
assetto urbanistico nell’ambito
dell’intervento, opportunamente motivato e
tecnicamente documentato, ovvero a
modificare la tipologia dello strumento
urbanistico attuativo;
g) varianti
finalizzate alla individuazione delle zone
di recupero del patrimonio edilizio
esistente, di cui all’ art. 27 l. 457/1978;
h)
varianti relative a comparti soggetti a
piano attuativo che comportino una diversa
dislocazione delle aree destinate a
infrastrutture e servizi;
i) varianti
concernenti le modificazioni della normativa
dello strumento urbanistico generale,
dirette esclusivamente a specificare la
normativa stessa, nonché a renderla
congruente con disposizioni normative
sopravvenute, eccettuati espressamente i
casi in cui ne derivi una rideterminazione
ex-novo della disciplina delle aree”.
Nella delibera impugnata il Comune di
Casalmaggiore non si è curato di specificare
in base a quale tra le ipotesi previste
dall’art. 2 l.r. 23/1997 veniva approvato il
piano di recupero in variante.
Vanno sicuramente escluse, peraltro, le
ipotesi delle lettere a) e b) (varianti di
localizzazione), c) (varianti di correzione
cartografica), e) (varianti di completamento
zone B, C, D), h) (varianti di
ridislocazione), i) (varianti di
specificazione o di adeguamento a normativa
sopravvenuta), in quanto totalmente
inconferenti.
Va esclusa anche la lettera d) (varianti
volte a modificare le modalità di intervento
sul patrimonio edilizio esistente), perché
per disposto della stessa norma sono
possibili soltanto “nel caso in cui esse non
concretino ristrutturazione urbanistica” (si
ricorderà che l’intervento sul comparto 1
del complesso Castra maiora è stato
qualificato dall’amministrazione comunale
proprio come ristrutturazione urbanistica).
Restano soltanto le ipotesi previste dalle
lettere f) e g), che si ripropongono di
seguito per comodità di lettura: “f)
varianti che comportino modificazioni dei
perimetri degli ambiti territoriali
subordinati a piani attuativi, finalizzate
ad assicurare un migliore assetto
urbanistico nell’ambito dell’intervento,
opportunamente motivato e tecnicamente
documentato, ovvero a modificare la
tipologia dello strumento urbanistico
attuativo; g) varianti finalizzate alla
individuazione delle zone di recupero del
patrimonio edilizio esistente, di cui all’art. 27 l. 457/1978”.
La lettera f) sembra inconferente, in quanto
presuppone la modificazione di un piano
attuativo già approvato, mentre nel caso in
esame il complesso degli 11 edifici oggetto
del piano di recupero non era subordinato
prima dell’approvazione della delibera
impugnata ad alcun piano attuativo, essendo
soggetto come tutti gli edifici della stessa
zona all’edificazione mediante
ristrutturazione con vincolo conservativo
parziale.
Resta la lettera g), che in effetti è
orientata a disciplinare proprio i piani di
recupero, in quanto consente l’approvazione
di “varianti finalizzate alla individuazione
delle zone di recupero del patrimonio
edilizio esistente, di cui all’art. 27 l.
457/1978”.
E l’art. 27 l. 457/1978, in effetti, prevede:
“I comuni individuano, nell'ambito degli
strumenti urbanistici generali, le zone ove,
per le condizioni di degrado, si rende
opportuno il recupero del patrimonio
edilizio ed urbanistico esistente mediante
interventi rivolti alla conservazione, al
risanamento, alla ricostruzione e alla
migliore utilizzazione del patrimonio
stesso. Dette zone possono comprendere
singoli immobili, complessi edilizi, isolati
ed aree, nonché edifici da destinare ad
attrezzature. Le zone sono individuate in
sede di formazione dello strumento
urbanistico generale ovvero, per i comuni
che, alla data di entrata in vigore della
presente legge, ne sono dotati, con
deliberazione del consiglio comunale
sottoposta al controllo di cui all'art. 59
della legge 10.02.1953, n. 62.
Nell'ambito delle zone, con la deliberazione
di cui al precedente comma o successivamente
con le stesse modalità di approvazione,
possono essere individuati gli immobili, i
complessi edilizi, gli isolati e le aree per
i quali il rilascio della concessione è
subordinato alla formazione dei piani di
recupero di cui al successivo art. 28. ...”.
Nella procedura prevista dall’art. 27,
pertanto, sono previsti due momenti
separati:
1) la individuazione delle zone
dove per le condizioni di degrado esistente
si rende opportuno il recupero del
patrimonio edilizio ed urbanistico
esistente;
2) la individuazione degli
immobili, situati all’interno delle zone di
cui al punto 1, per i quali il rilascio
della concessione è subordinato alla
formazione di piano di recupero.
Una volta individuate le zone del territorio
comunale, ed individuati i singoli immobili
che dovranno essere oggetto del piano, la
procedura di perfezionamento del piano di
recupero si completa con l’approvazione del
piano di recupero in senso proprio che detta
i parametri concreti dell’edificazione.
Riassumendo: i passaggi di cui si compone
l’approvazione di un piano di recupero sono
tre:
1) individuazione delle zone dove per le
condizioni di degrado esistente si rende
opportuno il recupero del patrimonio
edilizio ed urbanistico esistente;
2) individuazione degli immobili, situati
all’interno delle zone di cui al punto 1,
per i quali il rilascio della concessione è
subordinato alla formazione di piano di
recupero;
3) approvazione del piano di recupero che
detta i parametri concreti
dell’edificazione.
Non tutte queste tre operazioni possono, in
realtà, essere realizzate con la procedura
semplificata della l.r. 23/1997. Si è
ricordato, infatti, che l’art. 2, co. 2,
lett. f), ammette con tale procedura soltanto
le “varianti finalizzate alla individuazione
delle zone di recupero del patrimonio
edilizio esistente, di cui all’art. 27 l.
457/1978”, e cioè soltanto il primo dei tre
passaggi logici di cui consta l’approvazione
del piano di recupero.
Ma la delibera impugnata non si limita ad
individuare le zone, anzi non individua
affatto le zone di recupero del patrimonio
edilizio esistente, in quanto già il p.r.g.
prevedeva che nel centro storico fosse
astrattamente assentibile l’utilizzo di
piano di recupero, e prevedeva anche i
parametri per l’edificazione in base a piano
di recupero.
Nel caso in esame, in cui l’art. 8 p.r.g.
individuava già la zona del centro storico
come astrattamente assoggettabile a piano di
recupero e fissava anche i limiti che
avrebbe dovuto incontrare l’edificazione in
base ai piano di recupero in centro storico
(possibilità di “lievi spostamenti
volumetrici a saldo zero finalizzati ad un
miglioramento delle condizioni minime
prescritte di abitabilità, di sicurezza e di
riqualificazione architettonica e
tipologica”), il Comune di Casalmaggiore non
avrebbe potuto con lo strumento della
variante semplificata modificare i limiti
massimi dell’intervento edilizio fissati dal
piano generale.
Per spiegare meglio il concetto: nel caso in
esame non c’era alcun bisogno di approvare
il piano di recupero in variante posto che
la zona in esame era già assoggettabile al
piano, ma -come nota acutamente e
correttamente la difesa di parte ricorrente– l’approvazione del piano di recupero è
servita in realtà soltanto ad eliminare i
limiti all’edificazione in centro storico
previsti in via generale dal p.r.g.
Si è già detto d’altronde sopra del giudizio
di disfavore dato dalla giurisprudenza del
Consiglio di Stato sulla possibilità per il
piano di recupero di introdurre “logicamente
oltre che giuridicamente, vincoli nuovi ed
ulteriori rispetto a quelli esistenti nello
strumento urbanistico generale in vigore” (CdS,
IV, 05.03.2008, n. 922), ipotesi speculare
a quella di eliminazione di vincoli che è
avvenuta nel caso di specie, e si è già
detto anche del giudizio di disfavore
espresso nella sentenza 244/2006 di questo
Tribunale sulla possibilità di approvare un
piano di recupero in deroga relativo ad un
solo immobile cui sono stati posti limiti
rigorosi di motivazione, a questo punto si
aggiunge che in altro precedente
giurisprudenziale più risalente di questo
Tribunale si è espresso un ulteriore
giudizio di disfavore sulla possibilità di
utilizzare la variante semplificata ex l.r.
23/1997 per modificare situazioni soggettive
consolidate in forza del p.r.g..
Nella
pronuncia 1593/2001 questo Tribunale ha
affermato, infatti, che “i casi eterogenei
di più svariato genere (della l.r. 23/1997, n.d.E.), in cui non sembra decisivo il
criterio quantitativo in sé abbastanza
evanescente dell'estensione spaziale delle
aree coinvolte dalla variante, mostrano un
elemento comune, un collante che le lega.
Esso è individuato nelle varianti agli
strumenti urbanistici che non pregiudichino
le situazioni soggettive dei terzi già
consolidate in forza del P.R.G..
Se si ha
cura di scorrere l'elencazione di cui
all'art. 2 si leggono: a) varianti dirette a
localizzare opere di competenza comunale; b)
varianti volte ad adeguare le originarie
previsioni di localizzazione dello strumento
urbanistico alla progettazione esecutiva; c)
varianti atte ad apportare agli strumenti
urbanistici generali le modificazioni
necessarie a conseguire la realizzabilità
delle previsioni urbanistiche; d) varianti
dirette a modificare le modalità di
intervento sul patrimonio edilizio
esistente; e) varianti di completamento; f)
varianti che comportino modificazioni dei
perimetri territoriali esistenti subordinati
ai piani attuativi, finalizzate ad
assicurare un migliore asseto urbanistico
nell'ambito dell'intervento opportunamente
motivato e tecnicamente documentato, ovvero
a modificare la tipologia dello strumento
urbanistico attuativo; g) varianti
finalizzate alla individuazione delle zone
di recupero del patrimonio edilizio
esistente; h) varianti relative a comparti
soggetti a piani attuativi; i) varianti
concernenti le modificazioni della normativa
dello strumento urbanistico generale.
Ad
eccezione dell'ipotesi delineata sub a)
sulla localizzazione delle opere pubbliche
comunali per la quale non si fa altro che
riproporre lo stesso congegno normativo
previsto dall'art. 1 l. 03.01.1978 n. 1,
in tutti gli altri casi la variante in forma
semplificata non è idonea a mutare la
destinazione delle aree come prevista dal
P.R.G., e quindi a vanificare le situazioni
giuridiche consolidatesi in forza della
disciplina impressa dallo strumento
urbanistico primario.
In definitiva la
normativa regionale, alla stregua dell'art.
25, comma 1, lett. a), l. 28.02.1985 n.
47, mira a rendere più agile e flessibile il
rapporto tra i diversi livelli di
pianificazione, preservando peraltro il
nesso di derivazione di quello secondario
rispetto a quello primario, che non può
essere unilateralmente alterato da parte
dell'amministrazione comunale senza il
concorso di quella regionale”.
In un passo
successivo il Tribunale aggiunge che “la riperimetrazione degli ambiti territoriali
omogenei al fine di modificare la tipologia
del preesistente strumento attuativo,
prevista all'art. 2, comma 2, lett. f), L.r.
23.06.1997 n. 23, è stata invece
l'occasione, affatto esclusa dalla norma,
per assoggettare aree suscettibili di
diretta edificazione allo strumento
urbanistico attuativo, pregiudicando la
situazione giuridica soggettiva dominicale
della ricorrente consolidatasi in forza
della disciplina impartita dal P.R.G.”.
Il principio enucleato dal tribunale
nell’ormai lontano precedente del 2001,
secondo cui la normativa regionale della
l.r. 23/1997 mira a rendere più agile e
flessibile il rapporto tra i diversi livelli
di pianificazione, ma non può pregiudicando
la situazione giuridica soggettiva
dominicale di chi intende edificare, non può
non essere applicato per ragioni logiche
anche alle situazioni soggettive dominicali
non solo di coloro che sono interessati
all’edificazione, ma anche di quelli, come
nel caso in esame, che ad essa sono controinteressati.
In definitiva, la delibera oggetto di
impugnazione, che ha modificato i parametri
urbanistici cui avrebbe dovuto essere
assoggettata la ristrutturazione del
complesso di edifici denominati Castra
maiora – che per p.r.g. avrebbero potuto
essere caratterizzati solo da lievi
spostamenti volumetrici a saldo zero, e di
cui invece con provvedimento ad hoc è stata
permessa la parziale (pressoché integrale)
demolizione con traslazione dei volumi fino
a determinare la quintuplicazione dei vani
abitabili, e quindi del carico urbanistico
generato dalla costruzione, urta contro
diversi profili di legittimità (sia relativi
alla legge statale, sia relativi alla
normativa regionale lombarda) già affrontati
in passato dalla giurisprudenza
amministrativa, anche di questo Tribunale.
Ne consegue che deve essere accolto il
motivo di impugnazione in cui si afferma la
illegittimità della delibera impugnata nella
parte in cui essa ha violato l’art. 8 delle n.t.a. del p.r.g. che fissava i limiti agli
interventi eseguibili anche con piano di
recupero nelle zone del centro storico
(TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 17.06.2010 n. 2329 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Collegamento tra imprese.
Ai fini di escludere due o più imprese da
una gara di appalto per la sussistenza tra
loro di un collegamento sostanziale, sono da
ritenere insufficienti eventuali comunanze a
livello strutturale tra le imprese, essendo
necessario verificare se tale comunanza
abbia avuto un impatto concreto sul
rispettivo comportamento nell’ambito della
gara, con l’effetto di determinare la
presentazione di offerte riconducibili ad un
unico centro decisionale; inoltre, agli
stessi fini, la sola somiglianza della veste
formale delle offerte non dimostra
l’identità del centro decisionale, che
invece postula una somiglianza del contenuto
sostanziale delle offerte (massima
tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza
08.06.2010 n. 3637 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Procedura di gara, vincolo
contrattuale e autotutela.
Come chiarito dall’art. 11, comma 7, del
d.lgs. n. 163 del 2006 (secondo cui "L’aggiudicazione
definitiva non equivale ad accettazione
dell’offerta"), il rapporto contrattuale
con la P.A. non sorge con l’aggiudicazione
definitiva, con la conseguenza che spetta
alla giurisdizione esclusiva del Giudice
amministrativo la cognizione di
comportamenti ed atti assunti prima
dell'aggiudicazione e nella successiva fase
compresa tra l'aggiudicazione e la stipula
del contratto (massima tratta da
http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 21.04.2010 n. 2254 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Mobbing. Il danno non
patrimoniale per demansionamento può essere
provato con presunzioni.
Il demansionamento sussiste tutte le volte
che il dipendente è addetto ad attività del
tutto marginali ed assolutamente non
riconducibili al suo livello di
inquadramento.
Una volta accertato il demansionamento
professionale del lavoratore, il giudice
corretamente può desumere l’esistenza del
relativo danno in base ad una valutazione
presuntiva, riferendosi alle circostanze
concrete della operata dequalificazione.
Ciò in quanto il danno conseguente al
demansionamento va dimostrato in giudizio
con tutti i mezzi consentiti
dall’ordinamento, assumendo peraltro
precipuo rilievo la prova per presunzioni,
per cui dalla complessiva valutazione di
precisi elementi dedotti (caratteristiche,
durata, gravità, frustrazione professionale)
si possa, attraverso un prudente
apprezzamento, coerentemente risalire al
fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno,
facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115
c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti
dall’esperienza, delle quali ci si serve nel
ragionamento presuntivo e nella valutazione
delle prove (cfr. Cass., sez. un. n. 6572
del 2006; Cass. n. 29832 del 2008; n, 28274
del 2008).
Con riguardo, in particolare, al danno non
patrimoniale, occorre rilevare che nella
disciplina del rapporto di lavoro, ove
numerose disposizioni assicurano una tutela
rafforzata alla persona del lavoratore con
il riconoscimento di diritti oggetto di
tutela costituzionale, il danno non
patrimoniale è configurabile ogni qual volta
la condotta illecita del datore di lavoro
abbia violato, in modo grave, tali diritti:
questi, non essendo regolati ex ante
da norme di legge, per essere suscettibili
di tutela risarcitoria dovranno essere
individuati, caso per caso, dal giudice del
merito, il quale, senza duplicare il
risarcimento (con l’attribuzione di nomi
diversi a pregiudizi identici), dovrà
discriminare i meri pregiudizi
–concretizzatisi in disagi o lesioni di
interessi privi di qualsiasi consistenza e
gravità, come tali non risarcibili– dai
danni che vanno risarciti (cfr. Cass. n.
10864 del 2009).
Il danno risarcibile, dunque, è
correttamente identificato negli aspetti di
vissuta e credibile mortificazione derivanti
al dipendente dalla situazione lavorativa in
cui si è trovato ad operare, secondo una
valutazione che si fonda sull’accertamento
del nesso causale tra la condotta illecita
datoriale e lo stato di mortificazione del
lavoratore (Corte di Cassazione, Sezz. Unite
civili,
sentenza 22.02.2010 n. 4063 -
link a www.litis.it). |
APPALTI:
Interpretazione del bando,
regolarizzazione documentale e ipotesi di
esclusione.
L’esclusione di un’impresa da una gara di
appalto costituisce un provvedimento
eccezionale, che contraddice il favor
partecipationis e la libera concorrenza,
e che può essere adottato solo in presenza
di cause certe e tassativamente previste
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
16.06.2009 n. 3878 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Bandi di gara, requisiti
ulteriori e onere di immediata impugnazione.
La normativa vigente non preclude alle
Stazioni appaltanti la possibilità di
chiedere con i bandi di gara requisiti
ulteriori, logicamente connessi all'oggetto
dell'appalto. Per cui nel bando di gara
l'Amministrazione appaltante può di certo
autolimitare il proprio potere discrezionale
di apprezzamento mediante apposite clausole,
rientrando nella sua discrezionalità la
fissazione di requisiti di partecipazione ad
una gara d'appalto diversi, ulteriori e più
restrittivi di quelli legali, salvo però il
limite della logicità e ragionevolezza dei
requisiti richiesti e della loro pertinenza
e congruità a fronte dello scopo perseguito.
In materia di requisiti di ammissione alle
gare di appalto della Pubblica
amministrazione, difatti, le norme
regolatrici, sia comunitarie che interne,
prevedono fattispecie elastiche, strutturate
su concetti non tassativi, ma indeterminati,
che implicano, per la loro definizione da
parte dell'interprete, un rinvio alla realtà
sociale
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza
04.06.2009 n. 3448 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Autocertificazione e requisiti
morali.
In base al combinato-disposto degli artt.
21, comma 1 e 38, commi 2-3 del d.P.R. n.
445 del 2000, nel caso di dichiarazioni
sostitutive, l'allegazione della copia
fotostatica, sia pure non autenticata, del
documento di identità dell'interessato vale
a conferire legale autenticità alla
sottoscrizione apposta in calce ad una
istanza o ad una dichiarazione, e non
rappresenta un vuoto formalismo ma semmai si
configura come l'elemento della fattispecie
normativa diretto a comprovare, oltre alle
generalità del dichiarante,
l'imprescindibile nesso di imputabilità
soggettiva della dichiarazione ad una
determinata persona fisica; tale incombente
riveste natura nodale, ed è insuscettibile
di regolarizzazione.
Le autocertificazioni, necessitano, per la
loro giuridica esistenza ed efficacia, della
sottoscrizione del legale rappresentante del
dichiarante, resa in presenza di un
dipendente addetto, ovvero dell'allegazione
di copia fotostatica, ancorché non
autenticata, di un documento del
sottoscrittore; va, pertanto, disposta
l'esclusione dalla gara di appalto della
P.A. per la mancata allegazione, da parte
del concorrente, della fotocopia del
documento di riconoscimento alla
dichiarazione sostitutiva ed ai documenti
prodotti in fotocopia autocertificata,
atteso che l'obbligo di produrre copia del
documento di identità risulta inderogabile
in considerazione della sua introduzione
quale forma di semplificazione, né è data
possibilità di regolarizzazione o
integrazione del documento mancante, nel
rispetto anche della "par condicio"
tra i concorrenti
(massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza
04.06.2009 n. 3445 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Bandi di gara, requisiti
ulteriori e onere di immediata impugnazione.
L’onere di immediata impugnazione delle
clausole del bando di gara sussiste solo in
relazione a:
a) clausole che impediscono la
partecipazione del concorrente, ad es.
prescrivendo requisiti che il concorrente
non possiede;
b) clausole manifestamente incomprensibili o
implicanti oneri per la partecipazione del
tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai
contenuti della gara (massima tratta da
http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza
03.06.2009 n. 3404 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
computo del limite di altezza, entro il
quale è consentita l'edificazione, va
effettuato prendendo come parametro
l'originario piano di campagna, cioè il
livello naturale del terreno di sedime e non
la quota del terreno sistemato.
Va ribadito il principio generale secondo
cui il computo del limite di altezza, entro
il quale è consentita l'edificazione, va
effettuato prendendo come parametro
l'originario piano di campagna, cioè il
livello naturale del terreno di sedime e non
la quota del terreno sistemato; principio
derogabile da normative regolamentari
espresse (Cons. Stato, sez. V, 27.02.1986,
n. 147; cfr. Cassazione penale, sez. III,
11.07.1978) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.04.2009 n. 2579 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini dell'osservanza delle norme sulle
distanze dal confine, il terrapieno ed il
muro di contenimento che hanno prodotto un
dislivello oppure hanno aumentato quello già
esistente per natura dei luoghi
costituiscono costruzioni.
Si richiama
l'indirizzo di questo Consiglio che ha avuto
modo di osservare come ai fini
dell'osservanza delle norme sulle distanze
dal confine, il terrapieno ed il muro di
contenimento che hanno prodotto un
dislivello oppure hanno aumentato quello già
esistente per natura dei luoghi
costituiscono costruzioni (Cons. St., sez.
V, 12.04.2005, n. 1619; id., n. 2000, n.
3637; Cass. civ., sez. II, 01.03.1995, n.
2342; id., 28.11.1991, n. 12763)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.04.2009 n. 2579 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un
determinato status o una qualifica
professionale del richiedente
(specificamente, ai sensi della norma
riportata, di imprenditore agricolo) viene
in rilievo, in deroga alla regola
dell’onerosità, esclusivamente ai fini del
rilascio gratuito della concessione edilizia
per determinati tipi di opere, mentre status
o qualifiche professionali del richiedente
sono in linea generale del tutto
irrilevanti; ciò che rileva, infatti, è, per
un verso, la titolarità, da parte del
richiedente, della proprietà o di altro
idoneo titolo di disponibilità dell’immobile
sul quale è destinato a svolgersi
l’intervento previsto, e per altro verso la
conformità di tale intervento alla
disciplina urbanistica in concreto
applicabile.
Ai sensi della legge 28.01.1977, n. 10 (che
ha introdotto l’istituto della concessione
edilizia in sostituzione della licenza
edilizia di cui alla normativa previgente),
“La concessione è data dal sindaco al
proprietario o a chi abbia titolo per
richiederla…, in conformità alle previsioni
degli strumenti urbanistici e dei
regolamenti edilizi…, nonché delle ulteriori
norme regionali” (art. 4, primo comma).
La concessione è di regola onerosa, salvo
talune eccezioni tassativamente determinate,
tra cui, per quanto qui specificamente
rileva, “le opere da realizzare nelle
zone agricole, ivi comprese le residenze, in
funzione della conduzione del fondo e delle
esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo
principale, ai sensi dell’art. 12 della
legge 09.05.1975, n. 153” (art. 9, primo
comma, lett. a).
Come si vede, un determinato status o
una qualifica professionale del richiedente
(specificamente, ai sensi della norma
riportata, di imprenditore agricolo) viene
in rilievo, in deroga alla regola
dell’onerosità, esclusivamente ai fini del
rilascio gratuito della concessione edilizia
per determinati tipi di opere, mentre
status o qualifiche professionali del
richiedente sono in linea generale del tutto
irrilevanti; ciò che rileva, infatti, è, per
un verso, la titolarità, da parte del
richiedente, della proprietà o di altro
idoneo titolo di disponibilità dell’immobile
sul quale è destinato a svolgersi
l’intervento previsto, e per altro verso la
conformità di tale intervento alla
disciplina urbanistica in concreto
applicabile.
Lo stesso è a dirsi per quanto attiene alla
disciplina del “permesso di costruire”,
che in forza del D.P.R. 06.06.2001, n. 380
(T.U. delle disposizioni in materia
edilizia) ha ora sostituito la concessione
edilizia (cfr. artt. 7 e segg.).
Il possesso della qualifica di agricoltore o
di imprenditore agricolo può rilevare, come
s’è visto, esclusivamente ai fini del
rilascio gratuito della concessione
edilizia: fermo restando che la mancanza di
tale qualifica non può di per sé essere
preclusiva del rilascio del titolo
abilitativo, ove non sussistano o comunque
non vengano addotte altre ragioni
oggettivamente rilevanti (delle quali, nella
specie, non è cenno alcuno nel provvedimento
impugnato), come è dato anche desumere dalla
giurisprudenza in materia (cfr. Cons. St.,
V, 11.01.2006, n. 31)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 04.01.2008 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Rientrano
nella nozione di ristrutturazione edilizia
gli interventi edilizi che alterino, anche
sotto il profilo della distribuzione
interna, l’originaria consistenza fisica di
un immobile e comportino altresì
l’inserimento di nuovi impianti e la
modifica e ridistribuzione dei volumi, che
non possono pertanto configurarsi né come
manutenzione straordinaria, né come restauro
o risanamento conservativo.
Affinché sia ravvisabile un intervento di
ristrutturazione edilizia è sufficiente che
risultino modificati la distribuzione della
superficie interna e dei volumi
dell’edificio, ovvero l’ordine in cui
risultavano disposte le diverse porzioni
dell’edificio, per il solo fine di rendere
più agevole la destinazione d’uso esistente,
poiché anche in questi casi sussistono un
rinnovo degli elementi costitutivi
dell’edificio ed un’alterazione
dell’originaria fisionomia e consistenza
fisica dell’immobile, incompatibili con i
concetti di manutenzione straordinaria e di
risanamento conservativo, che presuppongono
la realizzazione di opere che lascino
inalterata la struttura dell’edificio e la
distribuzione interna della sua superficie.
Con riferimento alla distinzione tra
interventi di ristrutturazione edilizia e di
risanamento conservativo l'elemento
differenziatore è da ritenere costituito dal
fatto che nella ristrutturazione il
risultato può portare ad un edificio anche
in tutto diverso dal precedente, nel caso di
restauro e risanamento conservativo il
risultato va inteso e valutato nel
complesso, e non nelle singole parti, per
cui l'edificio deve restare il medesimo
soprattutto come forma, sia pure con
modifiche non rilevanti architettonicamente.
Con riferimento alla nozione di “ristrutturazione
edilizia”, la giurisprudenza ha avuto
modo di affermare che rientrano in tale
nozione gli interventi edilizi che alterino,
anche sotto il profilo della distribuzione
interna, l’originaria consistenza fisica di
un immobile e comportino altresì
l’inserimento di nuovi impianti e la
modifica e ridistribuzione dei volumi, che
non possono pertanto configurarsi né come
manutenzione straordinaria, né come restauro
o risanamento conservativo (Cons. St., sez.
V, 17.12.1996, n. 1551).
In altre parole, affinché sia ravvisabile un
intervento di ristrutturazione edilizia è
sufficiente che risultino modificati la
distribuzione della superficie interna e dei
volumi dell’edificio, ovvero l’ordine in cui
risultavano disposte le diverse porzioni
dell’edificio, per il solo fine di rendere
più agevole la destinazione d’uso esistente,
poiché anche in questi casi sussistono un
rinnovo degli elementi costitutivi
dell’edificio ed un’alterazione
dell’originaria fisionomia e consistenza
fisica dell’immobile, incompatibili con i
concetti di manutenzione straordinaria e di
risanamento conservativo, che presuppongono
la realizzazione di opere che lascino
inalterata la struttura dell’edificio e la
distribuzione interna della sua superficie.
Sempre con riferimento alla distinzione tra
interventi di ristrutturazione edilizia e di
risanamento conservativo, la stessa
giurisprudenza ha altresì chiarito come la
differenza sia da ricercarsi nella
differenza del risultato finale
dell'intervento nei riguardi dell'edificio
preesistente.
Non è, infatti, elemento caratteristico il
mezzo, ossia il lavoro di consolidamento nel
primo caso, di sostituzione delle strutture
nel secondo, in quanto il rinnovo degli
elementi strutturali è ammesso anche nel
primo caso, mentre la modifica estetica è
ammessa (sia pure con lieve entità) sia nel
primo che nel secondo caso, dovendosi in
sede di restauro eliminare le
superfetazioni.
L'elemento differenziatore è da ritenere
costituito dal fatto che nella
ristrutturazione il risultato può portare ad
un edificio anche in tutto diverso dal
precedente, nel caso di restauro e
risanamento conservativo il risultato va
inteso e valutato nel complesso, e non nelle
singole parti, per cui l'edificio deve
restare il medesimo soprattutto come forma,
sia pure con modifiche non rilevanti
architettonicamente (cfr., per tutte, Cons.
St. sez. V, 02.07.1994, n. 807 e TAR
Toscana, sez. II, 31.01.2006, n. 249)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.05.2007 n. 3070 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di restauro e di risanamento
conservativo richiede la conservazione
dell’organismo edilizio originario “nel
rispetto degli elementi tipologici, formali
e strutturali dell'organismo stesso” (art.
31, lett. c, L. 457/1978) e, pertanto, non
si attaglia ad interventi che alterino la
struttura interna dell’edificio.
Ai sensi dell’art. 31 della legge 05.08.1978
n. 457 (norme per l’edilizia residenziale)
sono interventi di manutenzione
straordinaria (lett. b) “le opere e le
modifiche necessarie per rinnovare e
sostituire parti anche strutturali degli
edifici, nonché per realizzare ed integrare
i servizi igienico-sanitari e tecnologici,
sempre che non alterino i volumi e le
superfici delle singole unità immobiliari e
non comportino modifiche delle destinazioni
di uso”; sono interventi di
ristrutturazione edilizia (lett. d) “quelli
rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme sistematico di opere che
posso-no portare ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente.
Tali interventi comprendono il ripristino o
la sostituzione di alcuni elementi
costitutivi dell'edificio, la eliminazione,
la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti”.
La nozione di restauro e di risanamento
conservativo richiede la conservazione
dell’organismo edilizio originario “nel
rispetto degli elementi tipologici, formali
e strutturali dell'organismo stesso”
(art. 31 cit., lett. c), e pertanto non si
attaglia ad interventi che alterino la
struttura interna dell’edificio (cfr. Cons.
Stato V 27.08.1999 n. 999)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 16.12.2005 n. 5010 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
definire manutenzione straordinaria un
intervento edilizio, non basta che esso miri
alla conservazione della destinazione d'uso
dell'edificio, occorrendo altresì che esso
soggiaccia a due ulteriori limiti, uno
di carattere funzionale (costituito dalla
necessità che i lavori siano diretti alla
mera sostituzione o al puro rinnovo di parti
dell'edificio stesso) e l'altro di
natura strutturale (consistente nel divieto
d'alterare i volumi e le superfici delle
singole unità immobiliari), pervenendo alla
conclusione che un intervento che modifichi
profondamente la consistenza fisica, interna
ed esterna, delle preesistenze e si limiti a
salvaguardare in parte la precedente
destinazione d'uso ha natura ristrutturativa
e non manutentiva.
Non possono rientrare nel concetto di
manutenzione straordinaria gli interventi
-seppur di modesta entità- che comportino
l’alterazione della consistenza fisica del
manufatto esistente, cosicché fuoriescono da
tale tipologia, per ricadere nell’ambito
della ristrutturazione, gli interventi che
provochino l’alterazione degli elementi
estetici della costruzione ovvero che
inducano, mediante l’apertura di un balcone,
la trasformazione dei loro aspetti
prospettici
L'ipotesi della manutenzione straordinaria
ricorre solo quando gli interventi edilizi
siano contenuti in opere di accomodamento od
anche di rinnovazione e sostituzione di
parti degli elementi costitutivi
dell'edificio, nel rispetto degli elementi
tipologici strutturali e formali nella loro
originaria edificazione.
Il Consiglio di Stato (cfr. Sez. V,
23.05.2000, n. 2988) ha precisato che, per
definire manutenzione straordinaria un
intervento edilizio, non basta che esso miri
alla conservazione della destinazione d'uso
dell'edificio, occorrendo altresì che esso
soggiaccia a due ulteriori limiti, uno
di carattere funzionale (costituito dalla
necessità che i lavori siano diretti alla
mera sostituzione o al puro rinnovo di parti
dell'edificio stesso) e l'altro di
natura strutturale (consistente nel divieto
d'alterare i volumi e le superfici delle
singole unità immobiliari), pervenendo alla
conclusione che un intervento che modifichi
profondamente la consistenza fisica, interna
ed esterna, delle preesistenze e si limiti a
salvaguardare in parte la precedente
destinazione d'uso ha natura ristrutturativa
e non manutentiva.
La Sezione (cfr. Tar Brescia, 14.01.2000 n.
48 e 18.12.1991 n. 1011) ha già avuto
occasione di rilevare che non possono
rientrare nel concetto di manutenzione
straordinaria gli interventi -seppur di
modesta entità- che comportino l’alterazione
della consistenza fisica del manufatto
esistente, cosicché fuoriescono da tale
tipologia, per ricadere nell’ambito della
ristrutturazione, gli interventi che
provochino l’ alterazione degli elementi
estetici della costruzione (cfr. Cons. St.
Sez. V 14.04.1997 n. 348) ovvero che
inducano, mediante l’apertura di un balcone,
la trasformazione dei loro aspetti
prospettici (cfr. Cons. St. Sez. V,
03.07.1995, n. 1004).
L'ipotesi della
manutenzione straordinaria ricorre solo
quando gli interventi edilizi siano
contenuti in opere di accomodamento od anche
di rinnovazione e sostituzione di parti
degli elementi costitutivi dell'edificio,
nel rispetto degli elementi tipologici
strutturali e formali nella loro originaria
edificazione (cfr. Consiglio Stato sez. V,
25.11.1999, n. 1971)
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.08.2002 n. 1145 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lavori
non autorizzati di ristrutturazione a
edificio vincolato ex l. 1089/1939 -
Sanzione pecuniaria - Criteri di
determinazione
È illegittimo il provvedimento che
quantifica la sanzione pecuniaria relativa a
lavori abusivi di ristrutturazione di
edificio vincolato ex l. n. 1089/1939 sulla
base del maggior valore commerciale
dell'immobile derivante dai lavori eseguiti.
Infatti a termini dell'art. 59, comma 4,
della legge 1089/1939, la sanzione
pecuniaria deve essere rapportata al valore
integrale della cosa (definitivamente
perduta) ovvero alla diminuzione di valore
subita dall'immobile in quanto bene
protetto, come conseguenza dei lavori
abusivamente realizzati.
Come è stato recentemente precisato dalla
giurisprudenza (sia pure in riferimento ad
opere ritenute difformi dalle prescrizioni
dell'autorità competente), l'art. 59 n.
1089/1939 impone il ripristino dello stato
originario del bene, con l'esecuzione dei
lavori ritenuti necessari per riparare ai
danni prodotti alla cosa; pertanto, rispetto
al fine primario di conferire al bene
l'assetto precedente perché più idoneo alla
salvaguardia del suo valore artistico e
architettonico, la sanzione pecuniaria pari
al valore della cosa perduta o alla
diminuzione di valore subita a seguito della
trasgressione ha valenza residuale ed è
applicabile solo quando la riduzione in
pristino non sia possibile (Cons. Stato, IV,
18.05.1998 n. 818).
Così delineato dalla norma applicata nella
fattispecie, il criterio di che trattasi si
differenzia dalla corrispondente sanzione
pecuniaria prevista dall'art. 15 della legge
29.06.1939 n. 1497, in caso di impossibilità
di ripristino dell'originario stato dei
luoghi, la quale è invece commisurata alla "maggiore
somma tra il danno arrecato e il profitto
conseguito mediante la commessa
trasgressione".
La riprova della esattezza della tesi che si
afferma emerge dal quarto comma della norma
in esame.
Infatti, nell'ipotesi in cui la
contestazione del trasgressore investa la
misura della sanzione applicata in relazione
al valore storico-artistico del bene perduto
o danneggiato, cioè nel caso in cui vengano
in evidenza valutazioni di merito sul valore
della cosa in quanto opera riconosciuta di
particolare interesse storico o artistico,
il giudizio, presupponendo particolari
conoscenze di ordine tecnico ed artistico, è
rimesso "insindacabilmente ed in modo
irrevocabile" ad una commissione di
esperti (Cons. Stato, IV, 01.10.1991 n.
759).
La ratio della norma va infatti
individuata non tanto nella materiale
custodia e conservazione del bene (che
comporterebbe una visione esclusivamente
patrimoniale), quanto piuttosto nella
conservazione del valore storico-artistico
che il bene stesso rappresenta (Cass.
penale, II, 22.05.1982 n. 1987).
Pertanto, l'art. 59, in esame, contempla, in
alternativa all'ipotesi della riduzione in
pristino, quella della sanzione risarcitoria
del danno arrecato, rimettendo
all'apprezzamento discrezionale
dell'amministrazione la valutazione
dell'esistenza o meno della possibilità di
ripristino, possibilità da intendersi non in
senso materiale ma piuttosto, trattandosi di
valori storico-artistici, nel senso della
congruità e della convenienza in relazione
all'oggetto della tutela; ne consegue che
l'applicazione della sanzione pecuniaria non
presuppone né una minore gravità dell'abuso,
né, tanto meno, la sua compatibilità con
l'interesse pubblico alla conservazione del
bene vincolato (TAR Lazio, Roma, II,
28.03.1987 n. 461)
(TAR Toscana, Sez. I, sentenza 18.03.1999 n.
220). |
AGGIORNAMENTO AL 03.11.2010 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
Bottone "CONVEGNI"
n. 5 giornate di studio a Bergamo per il 17-24
novembre e 01-09-16 dicembre 2010 organizzate dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella
locandina. |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Tagli alle tredicesime per i
dipendenti pubblici?
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 02.11.2010). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Il nuovo art. 208 del codice
della strada: il
parere 20.10.2010 n. 961 della
Corte dei Conti della Lombardia
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 02.11.2010).
---------------
Il parere ha ad oggetto la possibilità per
gli enti locali di destinare -mediante
appositi progetti- i proventi derivanti da
violazioni del codice della strada al
trattamento accessorio del personale di
polizia municipale. |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Arbitrato: è valida la clausola
compromissoria contenuta in un documento
diverso dal contratto a cui si riferisce.
In materia di arbitrato, il requisito della
forma scritta ad substantiam,
richiesto dall'art. 807 c.p.c., è
soddisfatto ogniqualvolta la volontà
negoziale di compromettere la causa sia
contenuta in un atto scritto e non postula
indefettibilmente che essa sia espressa in
un unico documento, avuto riguardo
all'autonomia di detta clausola rispetto al
contratto cui essa accede (Corte di
Cassazione, Sez. I civile,
sentenza 30.09.2010 n. 20504 -
link a www.eius.it). |
APPALTI:
Per i contratti della P.A. è
necessaria la forma scritta "ad substantiam".
La Pubblica Amministrazione non può assumere
impegni né può stipulare contratti se non in
forma scritta, a pena di nullità assoluta
dell'atto, rilevabile dal giudice anche
d'ufficio (Corte di Cassazione, Sez. III
civile,
sentenza 28.09.2010 n. 20340 -
link a www.giustizia-eius.it). |
AGGIORNAMENTO AL 02.11.2010 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel bottone
MODULISTICA è stato inserito il
fac-simile (modificabile a piacimento):
1-
dell'avviso di avvenuta emanazione del
provvedimento di compatibilità paesaggistica
(art. 167 D.Lgs. n. 42/2004);
2-
del
provvedimento di compatibilità paesaggistica
(art. 167 D.Lgs. n. 42/2004). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 43 del
29.10.2010, "Approvazione dei bandi per
la diffusione degli impianti solari termici
e per l'uso razionale dell'energia negli
edifici pubblici o soggetti ad uso pubblico"
(decreto
D.G. 20.10.2010 n. 10652 - link a www.infopoint.it). |
QUESITI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Quando un veicolo si considera fuori uso?
(link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L’accumulo di limo inutilizzato per diversi
anni può essere definito rifiuto?
(link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Si applica il principio di precauzione in
tema di rifiuti? (link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Quando si configura il reato di omessa
bonifica? (link a
www.ambientelegale.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Chiarimenti
in ordine all'applicazione dell'articolo 6,
comma 12, decreto legge 31.05.2010, n. 78,
convertito in legge, con modificazioni,
dall'articolo 1, comma 1, legge 30.07.2010,
n. 122, recante misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica. Utilizzo del mezzo
proprio in missione
(Ragioneria Generale dello Stato,
nota 22.10.2010 n. 89530 di prot.
- link a www.rgs.mef.gov.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Bottone,
La commissione? E' morta ... Il paesaggio
vive? (in materia di procedimento
semplificato per il rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Pavone,
Autorizzazione paesaggistica: la nuova
procedura (link a
www.altalex.com). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
G. Neri,
Pubblico impiego: disciplina del contratto
di formazione e lavoro negli Enti Locali
(link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
W. Fumagalli,
La nuova frontiera dell'edilizia libera
(AL n. 07-08/2010) |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia,
Corso di specializzazione sull'applicazione
della L.R. n. 12/2005:
4^ lezione (parte B) - I parcheggi
pertinenziali (Geometra Orobico n.
4/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Luchetti,
Attività edilizia dei privati su aree
demaniali (link a
www.altalex.com). |
APPALTI:
M. Beoni,
Accesso agli atti di gara e tutela dei
segreti commerciali delle imprese a seguito
del Codice dei contratti pubblici - D.Lgs.
n. 163 del 2006 (link a www.altalex.com). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Uso del mezzo proprio dei
dipendenti degli Enti Locali.
Col
parere 12.10.2010
n. 949 la Corte dei Conti, Sezione
controllo Lombardia, interviene su una
materia rispetto alla quale sono emerse
diverse interpretazioni, concernente l’uso
del mezzo proprio da parte dei dipendenti
degli enti locali per lo svolgimento dei
servizi istituzionali.
I dubbi erano scaturiti dalla norma di cui
all’art. 6, comma 12, del D.L. n. 78,
convertito nella legge 122 del 2010, che
prevede che a decorrere dall’anno 2011 “le
amministrazioni pubbliche inserite nel conto
economico consolidato della pubblica
amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica
(ISTAT) non possono effettuare spese per
missioni, anche all'estero, (omissis).
A decorrere dalla data di entrata in
vigore del presente decreto gli articoli 15
della legge 18.12.1973, n. 836 e 8 della
legge 26.07.1978, n. 417 e relative
disposizioni di attuazione, non si applicano
al personale contrattualizzato di cui al
D.Lgs. 165 del 2001 e cessano di avere
effetto eventuali analoghe disposizioni
contenute nei contratti collettivi”.
Si ricorda che l'articolo 15 della legge
18.12.1973, n. 836, stabilisce un’indennità
chilometrica per il personale che, svolgendo
funzioni ispettive, ha frequente necessità
di recarsi in località comprese nell'ambito
della circoscrizione territoriale
dell'ufficio di appartenenza e comunque non
oltre i limiti di quella provinciale,
utilizzando il proprio mezzo di trasporto;
mentre l’art. 8 della legge 26.07.1978, n.
417, disciplina l'entità dell'indennità
chilometrica di cui al primo comma del
suddetto art. 15 della legge 836/1973 (un
quinto del prezzo di un litro di benzina
super vigente nel tempo, nonché rimborso
dell'eventuale spesa sostenuta per pedaggio
autostradale).
Da questo quadro normativo è sorto il
dubbio, prospettato dalla provincia che ha
formulato la richiesta di parere alla Corte
dei Conti Lombardia, se il legislatore abbia
inteso disapplicare anche l’art. 41 del CCNL
del 14.09.2000 dei dipendenti delle regioni
e degli enti locali, il cui 4 comma,
rispettivamente, consente eccezionalmente,
da un lato, l’autorizzazione all’utilizzo
del proprio mezzo di trasporto, qualora più
conveniente dei normali servizi di linea e
riconosce conseguentemente, dall’altro, la
relativa indennità.
Nel merito la Corte dei Conti osserva che la
norma contenuta nell’art. 9, della legge del
1978 n. 417, che prevede che ”quando
particolari esigenze di servizio lo
impongano e qualora risulti economicamente
più conveniente, l’uso del proprio mezzo di
trasporto può essere autorizzato, con
provvedimento motivato, anche oltre i limiti
della circoscrizione provinciale”, non è
stata espressamente abrogata e quindi
continua ad esplicare i suoi effetti, in
quanto attiene alle modalità di
organizzazione di servizi pubblici e non
riguarda la razionalizzazione della spesa
del personale.
In particolare la Corte evidenzia che nelle
ipotesi nelle quali “l’uso del mezzo
proprio da parte del dipendente è funzionale
all’organizzazione del servizio e risponde
perciò a finalità proprie
dell’amministrazione di assicurare
particolari esigenze di servizio non
conseguibili o più difficilmente
conseguibili con diverse modalità
organizzative, la spesa conseguente all’uso
del mezzo proprio non attiene alla natura
della razionalizzazione e riduzione della
spesa del personale, ma più propriamente
alla natura delle pubbliche amministrazioni,
la cui attività deve rispondere ai ben noti
criteri di buon andamento".
Concludendo la Corte dei Conti ritiene, che
pur raccomandandosi un’attenta valutazione
della fattispecie, la norma di cui all’art.
6, comma 12, del d.l. n. 78, convertito
nella legge 122 del 2010, non può
intervenire nell’organizzazione dei servizi
degli enti locali.
Pertanto, in vigenza dell’art. 9 della legge
26.07.1978, n. 417 sopra indicato e in
presenza delle due condizioni previste dalla
medesima norma, ovvero le particolari
esigenze di servizio e la convenienza
economica, l’uso del mezzo proprio può
essere autorizzato, con la rifusione delle
spese effettivamente sostenute, tenuto conto
della peculiarità del servizio espletato e
delle funzioni dell’ente locale, garantite
dall’ordinamento.
Per una lettura più completa in allegato si
trasmette il testo della delibera, che può
rappresentare un valido sostegno a fronte di
dubbi e/o interpretazioni restrittive del
quadro normativo. |
ENTI LOCALI: No
ai mutui per pagarne altri. Le risorse da
rinegoziazione non devono finanziare la
spesa. La Corte conti Basilicata ha
condannato gli amministratori di un ente.
Anche in assenza di danno.
Utilizzare le risorse
provenienti dalla rinegoziazione di un mutuo
per finanziare la spesa corrente determina
il maturare di responsabilità amministrativa
nella forma non della sanzione di tipo
risarcitorio, ma di quella connessa al
mancato rispetto di una norma di legge.
È questo il più importante principio dettato
dalla Corte dei conti della Basilicata nella
recente
sentenza 07.10.2010 n. 216.
Si deve pervenire alla condanna di chi si è
reso colpevole di una tale condotta, anche
se non si è prodotto uno specifico danno
alle risorse dell'ente e se, in un qualche
modo, si può parlare di una sorta di
condotta necessitata dalla esigenza di fare
fronte ad una condizione di squilibrio nella
gestione. Nel caso specifico le risorse
provenienti dalla rinegoziazione di un mutuo
sono state utilizzare per pagare le rate di
un mutuo precedentemente contratto da parte
dello stesso ente. Alla base di tale
conclusione il fatto che, in modo certo ed
univoco, il pagamento delle rate di un mutuo
costituisce spesa corrente e non spesa di
investimento.
Sulla base delle previsioni dell'articolo
119, comma 6, della Costituzione, nel testo
introdotto dalla legge costituzionale n.
3/2001, gli enti locali possono ricorrere
all'indebitamento esclusivamente per il
finanziamento di spesa per investimenti.
Questo principio era già presente nel testo
unico delle leggi sull'ordinamento degli
enti locali; la sua costituzionalizzazione è
stata voluta per rafforzarne il rilievo
vincolante e per prevenire una delle cause
di più frequente maturazione di
indebitamento. Sulla scorta di questa
previsione, la legge finanziaria 2003 ha
previsto il maturare di responsabilità
amministrativa in caso di violazione del
principio costituzionale ed ha provveduto
alla quantificazione del danno da risarcire
in relazione alla indennità di carica in
godimento da parte degli amministratori.
Sulla scorta dei principi già affermati
dalla giurisprudenza della Corte dei conti,
la sentenza in commento afferma che la
violazione di queste disposizioni «configura
una particolare fattispecie di
responsabilità sanzionatoria che differisce
e va tenuta nettamente distinta dalla
ordinaria responsabilità amministrativa
contabile per danno di tipo risarcitorio, di
cui solitamente conosce il giudice contabile».
Siamo in presenza di una forma «tipizzata
di illeciti amministrativo-contabili»,
una forma di responsabilità che si aggiunge
a quelle previste dalla consolidata
giurisprudenza della magistratura contabile
in materia di «responsabilità
sanzionatoria».
Alla base della condanna vi è la
constatazione che «i pagamenti delle rate
dei mutui, quota capitale e quota interesse,
si configurano come spese correnti». Per
tali finalità non possono quindi essere
utilizzate le entrate derivanti dalla
rinegoziazione di un mutuo che ha
determinato la trasformazione dello stesso,
augurabilmente, in modo più favorevole
all'ente locale.
Viene affermato dalla sentenza, richiamando
le indicazioni già espresse dalla stessa
magistratura contabile, che la violazione di
questa disposizione «viene sanzionata a
prescindere dalla produzione di un danno,
avendo il legislatore ritenuto meritevole di
particolare protezione la regola
dell'equilibrio di bilancio anche quando la
sua violazione non comporti un danno attuale
e concreto valutabile economicamente».
Per cui deve essere ricordato che è
sufficiente la constatazione della semplice
infrazione di norme di legge, tesi
rafforzata dal fatto «che la violazione
del divieto costituzionale può non avere
cagionato danni rilevanti», ma ciò non
di meno matura questa forma inedita di
responsabilità amministrativa.
Occorre ovviamente dimostrare inoltre che
sussiste il requisito del dolo o, quanto
meno, della colpa grave. Nel caso in esame
la sentenza parla di una «colpa cosciente»,
con ciò intendendo la consapevolezza della
condizione di illegittimità ovvero la «necessità
di evitare un pericolo, tra l'altro, non
altrimenti evitabile, sempre che il fatto
sia proporzionato al pericolo». Non può
invocarsi la scriminante della condizione di
necessità dell'ente perché non risultano
avviate forme di verifica della «possibilità
di un'ulteriore contrazione delle spese
correnti per fronteggiare la necessità di
pagare le rate dei mutui precedentemente
contratti».
Da qui la conclusione che «pur a fronte
di uno stato di squilibrio finanziario che
non permette di far adeguato fronte agli
impegni già contratti, il ricorso
all'indebitamento per pagare spese correnti,
assurge a rimedio peggiore del male, per cui
non può ritenersi sussistente il requisito
della proporzionalità tra il pericolo che si
vuole scongiurare ed il fatto produttivo di
danno, sottolineandosi ancora che, in caso
di impossibilità di far fronte agli impegni
finanziari già contratti, lo stesso
legislatore ha previsto l'istituto del
dissesto con la conseguente procedura di
risanamento, come percorso non eludibile»
(articolo
ItaliaOggi del 29.10.2010 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Controllo qualità al comune.
Fuorigioco le associazioni dei consumatori.
La Corte dei conti ha risposto a un quesito
del comune di Torino.
L'attività di
monitoraggio sulle carte della qualità dei
servizi e delle prestazioni erogate, come
previste dall'articolo 2, comma 461, della
legge finanziaria 2008, non può essere
affidata direttamente alle associazioni dei
consumatori, in quanto la normativa prevede
esclusivamente una partecipazione di tali
associazioni all'attività di controllo
dell'ente sul servizio pubblico.
È quanto ha precisato la Sez. regionale di
controllo della Corte dei Conti per la
regione Piemonte, nel testo del
parere 07.10.2010 n. 56, in
risposta ad un preciso quesito sul punto,
formulato dal sindaco di Torino, Sergio
Chiamparino.
Nei fatti oggetto della pronuncia della
magistratura contabile, il primo cittadino
del capoluogo piemontese chiedeva se
l'attività di monitoraggio prevista
dall'articolo 2, comma 461, della legge
finanziaria 2008, «potesse essere oggetto
di affidamento diretto, a prescindere
dall'importo stabilito per finanziare tali
attività, a favore delle associazioni dei
consumatori, regolandone le modalità
attraversi apposita convenzione tra
l'amministrazione comunale e le predette
associazioni».
Come si ricorderà, la norma invocata ha
introdotto alcune disposizioni di
rafforzamento della tutela dei diritti dei
consumatori e degli utenti dei servizi
pubblici locali, a garanzia della qualità e
dell'economicità delle prestazioni di
servizio pubblico. In dettaglio, vi è
l'obbligo, per il soggetto gestore, di
emanare una «carta della qualità dei
servizi», che rechi gli standard di
qualità e quantità relativi alle prestazioni
erogate e che disciplini le modalità di
accesso, reclamo e ristoro dell'utenza.
In sede di redazione della predetta Carta,
che di una sua successiva verifica, vi è poi
il coinvolgimento delle associazioni dei
consumatori. Sul punto, la possibilità
ventilata dal Chiamparino non sembra
collimare con il tenore letterale della
norma, nella quale si evidenzia un «monitoraggio
svolto sotto la responsabilità dell'ente
locale con la partecipazione delle
associazioni dei consumatori».
Pertanto, rileva la Corte,
un'interpretazione della norma che giungesse
a ritenere possibile l'affidamento tout
court dell'attività di monitoraggio in
maniera esclusiva alle associazioni dei
consumatori forzerebbe la previsione
testuale della norma, che invece richiama
espressamente e specificamente il concetto
di partecipazione. Le disposizioni in
materia, invece, appaiono «valorizzare una
visione triangolare del controllo sul
servizio pubblico, che coinvolga
contemporaneamente l'ente locale, i
consumatori ed il gestore».
È pertanto coerente a tale ratio,
avvisa il collegio piemontese della Corte
dei conti, una regolazione concordata tra
l'ente locale e le associazioni dei
consumatori di «forme di partecipazione
di quest'ultime all'esercizio del controllo
sul servizio, anziché un affidamento
esclusivo del monitoraggio in capo alle
associazioni stesse».
Basti pensare che un contratto di servizio è
un contratto ad oggetto pubblico, con il
quale si possono trasferire al gestore
poteri pubblici. Ciò rende obbligatorio, in
capo alla p.a. titolare del servizio, il
monitoraggio sul servizio stesso, proprio
perché è esercizio di funzione
istituzionale.
In quest'ottica, ha concluso la Corte, il
monitoraggio concreta una vera e propria
attività istituzionale dell'ente, la cui
esternalizzazione mediante affidamento ad un
soggetto terzo (nel caso specifico, le
associazioni dei consumatori) risulta «alquanto
dubbia».
In definitiva, si deve ritenere che l'ente
locale debba senz'altro favorire la
partecipazione delle associazioni dei
consumatori, ma senza spogliarsi
dell'esercizio della funzione di
monitoraggio
(articolo
ItaliaOggi del 22.10.2010 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: I
revisori pagano in prima persona per il
funzionario comunale infedele. Secondo i
giudici marchigiani la responsabilità scatta
in caso di mancata vigilanza.
Se un funzionario
comunale si appropria di somme di pertinenza
delle casse comunali, ovvero gestisce
«allegramente» i conti del bilancio
comunale, del relativo danno erariale ne
rispondono anche i revisori dei conti
dell'ente, qualora si accerti che questi non
hanno mai effettuato le verifiche
obbligatorie sui conti previste dal Tuel.
Ciò, in quanto è evidente che se l'attività
di verifica fosse stata effettuata con
scrupolo e diligenza secondo le norme
contenute nel citato Tuel, nonché secondo le
regole di revisione comunque esistenti ed
applicabili agli enti locali, si sarebbe
potuto evitare il danno o quanto meno
ridurre il suo ammontare.
È quanto ha messo nero su bianco la Sez.
giurisdizionale della Corte dei Conti per la
regione Marche, nel testo della
sentenza 06.10.2010 n. 163, con
la quale ha condannato, tra gli altri, anche
il collegio dei revisori dei conti di un
comune del Pesarese per l'omessa e
inefficiente verifica effettuata sui conti e
sulle poste di bilancio dell'ente.
Nei fatti oggetto del giudizio della
magistratura contabile marchigiana, chiamata
a decidere su una vicenda di irregolarità
sui conti dell'ente, per la quale anche il
funzionario coinvolto è stato condannato, si
è accertato che il collegio dei revisori dei
conti ha omesso la sua «doverosa attività
di sostanziale e sistematico riscontro sulla
regolare tenuta della contabilità».
Secondo la Corte marchigiana, la condotta
del funzionario comunale è stata, infatti, «oggettivamente
agevolata dall'inerzia o dal superficiale e
grossolano controllo dei revisori cosicché
le contestazioni addebitategli non possono
non essere ascritte anche alla colpa grave
degli organi di revisione responsabili».
Sul punto, lo stesso collegio ha richiamato
un importante principio (cfr. sentenza Cdc
Marche n. 64/2010) laddove è stata
sottolineata l'importanza del controllo dei
revisori, nonché del ruolo e dei compiti che
in generale, incombono sui revisori dei
conti, anche per quel che concerne le
modalità di effettuazione mirata del
controllo, detto anche «a campione».
Nella sentenza in esame, infatti, si censura
«l'inconsistente controllo svolto dai
suddetti organi, non risultando essere
intervenute significative pronunce o
segnalazioni nelle forme dovute e non
essendo sufficienti le relazioni sul conto
consuntivo ovvero meri richiami orali non
verbalizzati, né sulle modalità di
svolgimento della gestione comunale, né
sulle relative rappresentazioni contabili,
pur in presenza di vistose discrasie e
irregolarità».
Pertanto, ha rilevato il collegio
giudicante, risulta evidente che se
l'attività di verifica fosse stata
effettuata con scrupolo e diligenza secondo
le norme contenute nel Tuel (artt. 223 e 239
e segg.), così come anche dalle prescrizioni
contenute nel regolamento di contabilità del
comune interessato, nonché secondo le regole
di revisione comunque esistenti ed
applicabili agli enti locali, si sarebbe
potuto evitare il verificarsi del danno o
quanto meno ridurre il suo ammontare.
In definitiva, su un danno erariale
quantificato dal collegio in 25.000 euro,
diecimila euro devono essere restituiti dai
componenti del collegio dei revisori dei
conti dell'ente locale
(articolo
ItaliaOggi del 29.10.2010 -
tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Lo
staff del sindaco non lavora gratis. I
componenti dell'ufficio di supporto devono
avere un contratto. Per i magistrati
contabili della Calabria il rimborso spese
non basta.
All'interno degli uffici
alle dirette dipendenze degli organi di
vertice politico degli enti locali non si
può lavorare a titolo gratuito. Come
prescrive l'articolo 90 del Tuel, infatti, i
componenti esterni degli uffici di supporto
devono essere inquadrati con contratto di
lavoro a tempo determinato al quale si
applicano integralmente le norme del
contratto collettivo nazionale di lavoro del
personale degli enti locali.
Una norma, questa, che non è suscettibile di
alcuna deroga, in quanto si tratta di
disposizione imperativa, posta a tutela del
lavoratore, al quale viene garantito un
trattamento economico equivalente a quello
disciplinato dalla contrattazione collettiva
nazionale del personale degli enti locali.
È questa l'importante precisazione che la
Sez. regionale di controllo della Corte dei
Conti calabrese ha posto nel testo del
parere 02.08.2010 n. 395, con il
quale ha fatto luce sulla natura e sulle
modalità di retribuzione dei componenti
degli organi di supporto ai vertici politici
degli enti locali e territoriali (cosiddetto
staff), così come prevede l'articolo 90 del
testo unico sull'ordinamento degli enti
locali.
Nei fatti oggetto del parere in
osservazione, il quesito posto dal sindaco
di Cerchiara di Calabria (Cs) ha inteso
conoscere la possibilità di prevedere,
nell'organigramma dei predetti uffici di
supporto, oltre a personale dipendente
dell'ente e a soggetti esterni inquadrati
con contratto di lavoro a tempo determinato,
anche altri soggetti, sempre esterni
all'ente, da inserire come semplici
collaboratori, i quali presterebbero la
propria opera a titolo gratuito e a cui
verrebbe corrisposto il solo rimborso delle
spese effettivamente sostenute
nell'esercizio dell'attività, previa idonea
documentazione.
Il collegio della Corte calabra ha però
stoppato le attese del comune istante.
Infatti, una simile previsione appare
incompatibile con quanto statuisce il citato
articolo 90 del Tuel, ove si prescrive che
al personale assunto con contratto di lavoro
subordinato a tempo determinato «si deve
applicare il contratto collettivo nazionale
di lavoro del personale degli enti locali».
Una norma che non può essere in alcun modo
derogata, in quanto imperativa e posta a
tutela del lavoratore, al quale viene
garantito un trattamento economico
equivalente a quello disciplinato dalla
contrattazione collettiva del personale
degli enti locali.
Come d'altronde insegna l'orientamento
consultivo fin qui seguito da altri collegi
della Corte dei conti, per il personale
adibito a staff degli organi di vertice non
si possono stipulare contratti di lavoro
autonomo, in quanto in contrasto con le
previsioni del Ccnl, soprattutto per i
riflessi in merito all'entità della
retribuzione (Corte conti Puglia, parere n.
241/2007). Senza dimenticare che il
personale di staff, rientra a tutti gli
effetti nell'ambito della dotazione organica
dell'ente, con la conseguenza che «l'unico
rapporto configurabile sarebbe solo quello
di lavoro subordinato» (cfr. Corte dei
conti Toscana, parere n. 622/2004).
Ma vi è di più, fa notare la Corte calabra.
L'articolo 90 del Tuel, prevede, quale unica
condizione per l'assunzione di collaboratori
esterni da adibire agli uffici di staff,
posti alle dirette dipendenze degli organi
di vertice, che l'ente non versi in una
situazione di dissesto o di deficit
strutturale.
In conclusione, l'ente locale che intende
costituire uffici alle dirette dipendenze
degli organi di vertice politico, può ben
farlo con l'espressa previsione nel proprio
regolamento sull'ordinamento degli uffici,
nel rispetto dei limiti di legge in materia
di spese per il personale e assicurando ai
componenti il trattamento economico previsto
dalla contrattazione collettiva nazionale
del personale degli enti locali
(articolo
ItaliaOggi del 29.10.2010 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il Sindaco del comune di San Giacomo delle
Segnate (MN) ha chiesto alla Sezione di
rendere parere in merito
alla possibilità di proseguire la procedura
di gara d’appalto per l’affidamento del
servizio di distribuzione del gas naturale,
avviata in seguito alla scadenza del
precedente contratto, o se debba, invece,
alla luce della normativa vigente,
considerare legittima la tesi del blocco
delle gare fino alla data di creazione degli
ATEM (Ambiti Territoriali Minimi), da
realizzarsi a cura del Governo entro la data
del 31/12/2012.
... In conclusione, il comune di San Giacomo
Delle Segnate in materia di erogazione del
servizio pubblico di distribuzione del gas,
dovrà applicare le norme speciali previste
dal D.Lgs. 146/2000 (e sue successive
modifiche ed integrazioni); la disciplina
degli affidamenti del servizio è contenuta
negli artt. 14 e 15 del D.Lgs. 164/2000
(c.d. decreto Letta), che regola la sorte
delle gestioni in essere durante il periodo
transitorio, nonché i rapporti economici fra
gestori temporalmente contigui e fra gestori
ed ente locale, ferma rimanendo la
discrezionalità dell’ente di procedere al
riscatto diretto delle reti e di stabilire
le modalità di allocazione dei costi di
transizione, mediante la predisposizione di
apposite clausole convenzionali nel
successivo bando di gara.
In attesa della determinazione governativa
degli ATEM entro il termine legislativamente
previsto, appare preferibile la tesi della
sospensione temporanea di nuove gare per
l’affidamento del servizio, con conseguente
prorogatio delle gestioni precedenti
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere 17.02.2010 n. 225). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Chi è contemporaneamente
consigliere comunale e provinciale dovrà
scegliere. Gettoni non cumulabili. Un solo
emolumento per chi ricopre due incarichi.
Sono cumulabili i gettoni di presenza
percepiti da un consigliere comunale che
ricopre anche la carica di consigliere
provinciale, alla luce delle modifiche
apportate all'art. 82 del Tuel dal dl
31/05/2010, n. 78, convertito in legge, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge 30/07/2010, n. 122?
L'art. 5, comma 11, del dl n. 78/2010 ha
stabilito che chi è eletto o nominato in
organi appartenenti a diversi livelli di
governo non può ricevere più di un
emolumento, comunque denominato, a sua
scelta.
Ne deriva che il legislatore, estendendo il
divieto di cumulo originariamente
contemplato solo tra due diverse indennità
di funzione, ha precluso a chi ricopre la
carica di consigliere comunale e quella di
ci consigliere provinciale, la possibilità
di percepire i gettoni di presenza previsti
per entrambe le cariche ricoperte.
Pertanto, l'amministratore interessato dovrà
optare per uno dei due emolumenti
(articolo
ItaliaOggi del 29.10.2010, pag. 37
- link a www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Incompatibilità.
Sussiste una causa di
ineleggibilità ovvero di incompatibilità, in
relazione agli articoli 60 e 63 del decreto
legislativo n. 267/2000, nei confronti di un
consigliere comunale successivamente eletto
alla carica di sindaco presso altro comune?
L'art. 60, comma 1, n. 12 del decreto
legislativo n. 267/2000 prevede
l'ineleggibilità alla carica di sindaco, di
presidente della provincia, di consigliere
comunale, provinciale e circoscrizionale,
per chi riveste le stesse cariche,
rispettivamente in altro comune, provincia o
circoscrizione.
La Corte di cassazione, sezione I, in data
20.05.2006, con la sentenza n. 11894,
nell'effettuare un esame dell'evoluzione
legislativa in tema di ineleggibilità, si è
pronunciata a favore dell'ipotesi di
ineleggibilità alla carica di sindaco per
chi ricopre la carica di consigliere in
altro comune. L'Avvocatura generale, nel
novembre 2009, si è espressa in senso
conforme all'indirizzo enunciato dalla Corte
di cassazione.
Pertanto, alla luce del nuovo orientamento
giurisprudenziale, ricorre l'ipotesi di
ineleggibilità alla carica di sindaco per
chi ricopre la carica di consigliere in
altro comune di cui al citato art. 60, comma
1, n. 12 del decreto n. 267/2000, mentre,
nei confronti della carica consiliare si
viene a concretizzare l'ipotesi
dell'incompatibilità prevista dal successivo
art. 63, comma 1, n. 7. per colui che, nel
corso del mandato, viene a trovarsi in una
condizione di ineleggibilità.
La rimozione dell'incompatibilità va operata
con la presentazione di formali e tempestive
dimissioni dalla carica di sindaco
ricoperta; viceversa l'accertamento della
causa ostativa, oltre che in via
amministrativa, con la procedura prevista
dall'art. 69 del Tuel può essere promosso da
qualsiasi cittadino elettore dei comuni
interessati o da chiunque vi abbia interesse
davanti al tribunale civile, ai sensi
dell'art. 70 del Testo unico
(articolo
ItaliaOggi del 29.10.2010, pag. 37
- link a www.ecostampa.com). |
ENTI LOCALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Comunità Montane.
Qual è la disciplina
introdotta dalla legge finanziaria 2010 in
materia di finanziamenti statali alle
comunità montane?
Il comma 187 dell'art. 2 della legge
finanziaria 2010, ha previsto che «a
decorrere dalla data di entrata in vigore
della presente legge, lo stato cessa di
concorrere al finanziamento delle comunità
montane previsto dall'art. 34 del dlgs
30/12/1992 n. 504 e che «nelle more
dell'attuazione della legge 05/05/2009 n.
42, il 30% delle risorse finanziarie di cui
al citato art. 34 è assegnato ai comuni
montani».
In coerenza col quadro costituzionale
attuale, pertanto, le regioni, in base
all'art. 119 della Cost., «devono
provvedere al loro finanziamento insieme ai
comuni di cui costituiscono la proiezione»,
considerata l'autonomia finanziaria delle
regioni e degli enti locali.
Così, infatti, ha ribadito la recente
giurisprudenza costituzionale che ha anche
sottolineato che le regioni, nell'ambito
della loro autonomia legislativa, potranno
stabilire forme e modi di ulteriore
finanziamento oppure addivenire alla
risoluzione finale di sopprimerle (C. cost.
n. 237/2009 e C. cost. n. 27/2010).
Tuttavia la recente legge n. 42/2010, di
conversione del dl 25/1/2010 n. 2, ha
modificato, tra gli altri, l'art. 2, comma
187, della legge n. 191/2009 (legge
Finanziaria 2010) stabilendo di sostituire
le parole «ai comuni montani» con
quelle «ai comuni appartenenti alle
comunità montane», con riferimento agli
enti destinatari delle risorse finanziarie
previste dal decreto legislativo n. 504/1992
e dalle altre disposizioni relative alle
comunità montane.
Pertanto, nel rinnovato quadro normativo, e
in assenza di una mirata normazione
regionale, i comuni ricompresi nell'area
delle comunità montane, che non dovessero
essere in grado di approvare il bilancio di
previsione nei termini stabiliti, faranno
riferimento alle disposizioni di cui al
Testo unico per l'ordinamento degli enti
locali, e in particolare all'art. 141
(articolo
ItaliaOggi del 29.10.2010 - link a www.ecostampa.com). |
LAVORI PUBBLICI:
Rotatorie, niente pubblicità.
Nel centro delle rotonde stradali e attorno
a questi diffusi manufatti non è possibile
posizionare cartelli pubblicitari. Si tratta
infatti di intersezioni a raso dove secondo
il codice stradale è vietato applicare
qualsiasi distrazione per l'utente
motorizzato.
Lo ha ribadito il Ministero dei Trasporti
con il parere 09.09.2010 n. 72763.
La città di Aosta ha richiesto chiarimenti
circa la diffusa realizzazione di rotatorie
stradali sponsorizzate da soggetti privati
con marchi, insegne e informazioni
pubblicitarie.
Questa pratica è vietata, ha spiegato il
ministero, in quanto le rotatorie, anche se
non vengono citate dal codice della strada,
sono tecnicamente definibili come delle
intersezioni a raso su cui si applica il
conseguente divieto di posizionamento di
impianti pubblicitari previsto dall'art. 51
del regolamento stradale.
In buona sostanza, sono fuori legge tutte le
iniziative locali che hanno ricercato
sponsor per contribuire alla realizzazione
dei diffusi manufatti stradali posizionando
le pubblicità dell'azienda privata nel bel
mezzo della rotonda.
Questi impianti possono infatti creare
distrazione e ingenerare pericolo per la
circolazione
(articolo ItaliaOggi del 29.10.2010, pag.
22). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE: Gli
incentivi ai progettisti tornano al 2%. Ma
continua a porsi il problema della
decorrenza.
Nuovamente al 2% lordo
dell'importo a base di gara l'incentivo per
i progettisti delle pubbliche
amministrazioni.
Il «collegato lavoro» approvato in
via definitiva, ripristina la vecchia soglia
massima dell'incentivo, abolendo, con
l'articolo 35, comma 3, il comma 7-bis
dell'articolo 67 del dl 112/2008, convertito
in legge 133/2008, che l'aveva ridotta allo
0,5%. Tutto torna, dunque, come prima.
Gli enti potranno nuovamente contare su una
più piena disponibilità dei propri
progettisti, superando i malumori
determinati dalla riduzione di ben tre
quarti dell'incentivo da anni previsto dalla
normativa. Si riproporrà, tuttavia,
nuovamente il problema delle decorrenze.
Come è noto la magistratura contabile, in
particolare la Sezione autonomie della Corte
dei conti, ha ritenuto che la riduzione
dell'incentivo allo 0,5% massimo dovesse
valere solo per le progettazioni affidate ai
tecnici successivamente alla data
dell'01.01.2009, ritenendola non
retroattiva; una teoria certamente di favore
nei confronti dei tecnici, ma non
completamente persuasiva, per altro
contraria alle interpretazioni fornite,
invece, della Ragioneria generale dello
stato.
Sta di fatto che le amministrazioni hanno
continuato a liquidare al 2% gli incentivi
per progettazioni affidate antecedentemente
al primo gennaio 2009; mentre hanno iniziato
a liquidare allo 0,5% per quelle successive.
Applicando, adesso, il medesimo criterio
interpretativo, allora, non dovrebbe essere
possibile per le amministrazioni agire
diversamente, ora che l'aliquota è stata
portata al 2%. Il principio
dell'irretroattività dovrebbe continuare a
valere.
Dunque, tutti gli incarichi di progettazione
interna affidati prima dell'entrata in
vigore del collegato alla finanziaria
dovrebbero continuare ad essere pagati allo
0,5% nel massimo. Soprattutto se gli enti
avessero impegnato a tale fine la spesa
limitatamente all'importo dello 0,5%, come
molti in realtà hanno fatto
(articolo
ItaliaOggi del 22.10.2010 -
tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: COLLEGATO
LAVORO/ Al restyling i contratti part-time.
La p.a. ha 180 giorni per rivedere i
provvedimenti autorizzatori. Ancora incerto
l'orizzonte temporale fino a cui potrà
spingersi la revisione.
Le pubbliche
amministrazioni potranno riconsiderare i
provvedimenti di concessione del part-time
ai propri dipendenti.
Il collegato lavoro approvato i giorni
scorsi in parlamento all'articolo 16
consente alle pubbliche amministrazioni una
nuova valutazione delle trasformazioni del
rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo
parziale a suo tempo assentite «in sede
di prima applicazione» delle
disposizioni introdotte dall'articolo 73 del
dl 112/2008, convertito in legge 133/2008.
La facoltà di rivedere i provvedimenti
favorevoli al part-time va esercitata entro
centottanta giorni dalla data di entrata in
vigore del «collegato alla finanziaria»,
nel rispetto dei principi di correttezza e
buona fede.
Le amministrazioni avranno l'opportunità di
rivedere i provvedimenti di concessione
della trasformazione del rapporto di lavoro
da tempo pieno a tempo parziale già adottati
prima della data di entrata in vigore del
citato dl 112/2008.
La disposizione non è esente da problemi
attuativi, cosa, d'altra parte, attestata
dal richiamo al rispetto dei principi di
correttezza e buona fede.
Le amministrazioni sono, evidentemente,
invitate a esercitare la facoltà che con
cautela e, naturalmente, in presenza di
specifiche e circostanziate motivazioni,
tali da mostrare appunto il rispetto dei
principi espressamente enunciati dal
legislatore.
Non risulta, però, chiaro quali siano i
provvedimenti oggetto della possibile
revisione. La norma parla di quelli adottati
prima della vigenza della manovra d'estate
2008. È chiaro, però, che tale arco di
tempo, non espressamente determinato dalla
legge, può essere infinito. C'è, dunque, da
chiedersi se le amministrazioni possano
rivedere anche concessioni di part-time
adottate anni addietro.
In senso contrario conduce la circostanza
che il passare del tempo ha certamente
consolidato la situazione del lavoratore,
sicché risulterebbe certo meno agevole, per
l'amministrazione datrice, enucleare una
motivazione rispettosa della correttezza e
della buona fede.
La norma potrebbe intendersi riferita ai
provvedimenti di concessione adottati nel
mese di giugno 2008, nell'imminenza della
vigenza della manovra d'estate. Infatti, la
contrattazione collettiva prevede(va) che le
domande per la collocazione a tempo parziale
debbono essere presentate nei mesi di
dicembre e giugno.
Pertanto, a giugno 2008 certamente molti
lavoratori hanno presentato domande di
collocazione a part-time, sulle quali, prima
del 25.12.2008, in mancanza di gravi
motivazioni che giustificassero il rinvio di
sei mesi, le amministrazioni potrebbero
essersi viste costrette ad adottare da
subito provvedimenti di accoglimento. Che,
magari, pochi giorni dopo avrebbero potuto,
invece, non emettere.
Nel caso in cui il dipendente avesse
presentato prima del 25.06.2008 istanza di
trasformazione a part-time e tale istanza
fosse stata formalmente accolta, con
decorrenza differita, opera il principio
tempus regit actum, perché l'atto
decisionale sarebbe stato comunque adottato,
ancorché i suoi effetti si producessero
successivamente alla vigenza del dl
112/2008.
Sembra, dunque, plausibile che il collegato
lavoro si riferisca alle istanze di
part-time presentate nel giugno 2008, come
lascerebbe intuire il riferimento alla prima
applicazione della manovra d'estate. Tra
l'altro, parlare di prima applicazione a
oltre due anni di distanza dall'entrata in
vigore del dl 112/2008 appare una forzatura,
tale da rendere l'attuazione concreta della
facoltà concessa dalla legge piuttosto
complicata.
Sarebbe stato necessario che il legislatore
avesse chiarito questi aspetti con una
disposizione esplicita, sì da dirimere i
dubbi. Così non è stato, nonostante la
lunghissima gestazione della legge e i tanti
emendamenti apportati
(articolo
ItaliaOggi del 22.10.2010 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Dall'01.01.2011 sarà molto più difficile
erogare contributi. Il divieto di
sponsorizzazioni travolgerà le feste
patronali.
Il divieto di effettuare
sponsorizzazioni da parte di tutte le p.a.
determinerà un drastico calo degli eventi
culturali, spettacolari e sportivi e può
determinare in molti casi l'effetto che
anche le festività locali possano essere
drasticamente ridimensionate.
E' questa la condizione che si determinerà a
partire dal prossimo 1° gennaio 2011, come
effetto congiunto del divieto di effettuare
sponsorizzazioni e della drastica riduzione
della capacità di spesa dei soggetti
pubblici per convegni, mostre, relazioni
pubbliche, rappresentanza e pubblicità,
prescrizioni contenute nella cd manovra
estiva.
Sulla legittimità costituzionale di questi
vincoli sussistono molti dubbi, in quanto da
più parti si dubita che essi finiscano con
il limitare l'autonomia delle singole
amministrazioni regionali e locali.
Per evitare questo rischio, quanto meno in
termini di impugnazione da parte delle
regioni, per tale livello istituzionale è
stato previsto che questa sia una norma di
principio e che la mancata applicazione
determini per esse il taglio del 10% dei
trasferimenti statali.
Sicuramente è questo un tema su cui la
sensibilità degli amministratori si
manifesterà in modo assai marcato non appena
si toccheranno con mano gli effetti della
disposizione. Ed inoltre, la concreta
applicazione di questi vincoli determinerà
una drastica limitazione anche degli eventi
culturali e spettacolari che le p.a.
sostengono spesso in misura assai elevata.
L'articolo 6, comma 9 del dl n. 78/2010, per
come convertito dalla legge n. 122/2010,
dispone espressamente che dal prossimo 1°
gennaio 2011 tutte le p.a. non possano più
«effettuare spese per sponsorizzazioni». In
termini sostanziali si può definire come
sponsorizzazione la erogazione di un
contributo a fronte del quale lo sponsor
riceve una specifica visibilità.
Quindi sembrano ascrivibili a questo
istituto, ad esempio, non solo la
concessione di contributi ad una squadra
sportiva che nella maglietta porterà la
scritta «città di» o «provincia di»
ovvero il sostegno alla nazionale di calcio,
ma anche le molto più diffuse e pratiche di
concessione di contributi a fronte della
inclusione del logo del comune nel manifesto
ovvero della utilizzazione della formula «con
la collaborazione del comune di» o «con
il patrocinio del comune di».
L'esperienza ci dice che questo è lo
strumento che le amministrazioni regionali,
provinciali e comunali, utilizzano
largamente per permettere la realizzazione
di sagre, feste patronali, eventi culturali
o spettacolari etc. E questo a prescindere
dal volume del contributo erogato.
Si deve inoltre chiarire se anche la pratica
di sostenere queste iniziative con
contributi indiretti rientri in tale ambito:
come esempi di contributi indiretti possiamo
citare la concessione gratuita di locali o
strutture, la esenzione o la riduzione dal
pagamento della Tosap o del canone per
l'occupazione del suolo ovvero dalla imposta
o dal canone di pubblicità o dalla tassa o
tariffa sui rifiuti.
In termini formali per sponsorizzazione si
deve invece intendere uno specifico
contratto che viene sottoscritto tra le
parti, il che potrebbe consentire di
escludere buona parte degli esempi prima
citati. Ma la lettura della norma ci
impedisce di arrivare a questa conclusione;
infatti il divieto non viene dettato solo
per i contratti di sponsorizzazione, ma in
termini assai più generali per le «spese
per sponsorizzazioni».
Occorre aggiungere che la disposizione non
vieta la erogazione di contributi, materia
che è disciplinata dal precedente comma 8
dello stesso articolo 9 del dl n. 78/2010,
con la scelta della drastica riduzione delle
risorse a tal fine disponibili, che
dall'01.01.2011 non dovranno superare il
tetto del 20% delle analoghe spese sostenute
nell'anno 2009. Ma è evidente che la loro
erogazione sarà legittima solo le
amministrazioni non ne riceveranno un
contraccambio in termini di visibilità
(articolo ItaliaOggi del 22.10.2010, pag.
78). |
PUBBLICO IMPIEGO: Arriva
l'aspettativa per nuove attività. Un anno
senza stipendio e anzianità.
Nuova ipotesi di
aspettativa per i dipendenti pubblici che
vogliano sperimentare l'avvio di attività
professionali o imprenditoriali.
L'articolo 18 del collegato lavoro
attribuisce ai dipendenti pubblici la
possibilità di chiedere agli enti dai quali
dipendono la collocazione in aspettativa
senza assegni e senza decorrenza
dell'anzianità di servizio, per un periodo
massimo di dodici mesi. In questo arco di
tempo, gli interessati potranno anche
avviare attività professionali e
imprenditoriali, senza che si determino,
ovviamente, cause di incompatibilità.
Le amministrazioni non sono obbligate ad
acconsentire alle richieste: la concessione
dell'aspettativa rimane facoltativa e
subordinata alla valutazione delle esigenze
organizzative, previo esame della
documentazione prodotta dall'interessato.
Intento non tanto nascosto della
disposizione del collegato lavoro è favorire
un esodo volontario dal lavoro pubblico
verso il lavoro privato, permettendo ai
dipendenti interessati a nuove e diverse
esperienze di lavoro di dedicarsi a tempo
pieno alle nuove attività.
Scaduto il periodo di aspettativa, i
dipendenti interessati dovranno scegliere se
proseguire nell'attività privata avviata
durante l'aspettativa, o rientrare nei ruoli
dell'ente di appartenenza: infatti,
l'inapplicabilità delle norme
sull'incompatibilità di cui all'articolo 53
del dlgs 165/2001 perdura solo fino al
periodo concesso di aspettativa.
La norma può rivelarsi particolarmente utile
per quei dipendenti con orario di lavoro a
tempo parziale al di sotto del 50% del tempo
pieno, i quali hanno chiesto ed ottenuto
tale tipologia di part-time, nella maggior
parte dei casi, allo scopo di poter svolgere
ulteriori attività lavorativa, oltre a
quella condotta con l'ente di appartenenza.
Un periodo di aspettativa come quello
consentito dal collegato permetterebbe loro
di valutare meglio, con la prova concreta
sul campo, la possibilità di fare il passo
decisivo verso lo svolgimento di un lavoro
interamente in proprio e non più alle
dipendenze di amministrazioni pubbliche.
Ciò potrebbe contribuire alla diminuzione
del personale pubblico e al contenimento dei
costi del personale, obiettivo fondamentale
di tutte le riforme attivate dal legislatore
(articolo ItaliaOggi del 22.10.2010, pag.
47). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Assessori regionali sindaci.
Niente incompatibilità se scelti fuori dal
consiglio. Le norme limitative
dell'elettorato passivo sono di stretta
interpretazione.
Sussiste una causa di
incompatibilità, prevista dal decreto
legislativo n. 267/2000, nei confronti di
due neo eletti assessori esterni alla
regione che rivestono anche la carica di
sindaco presso comuni compresi nel
territorio regionale?
A seguito della modifica del titolo V della
Costituzione, con la legge costituzionale n.
3/2001, spetta alle regioni disciplinare le
cause di incompatibilità alle cariche
elettive regionali e, fino all'entrata in
vigore delle discipline regionali,
continuano ad applicarsi le disposizioni
statali in materia, in forza del principio
di cui all'art. 1, comma 2, della legge n.
131/2003.
Se la regione non ha disciplinato
espressamente la materia, si applica,
pertanto, la norma di cui all'art. 65 del
decreto legislativo n. 267/2000, che prevede
l' incompatibilità tra la carica di
consigliere regionale e quella di sindaco di
uno dei comuni compresi nel territorio della
regione.
La fattispecie esaminata, tuttavia, riguarda
un'ipotesi di cumulo di cariche elettive non
puntualmente disciplinata dal Tuel. In sede
applicativa si sono registrate incertezza in
ordine alla sussistenza dell'incompatibilità
nel caso in cui l'assessore venga
individuato dal sindaco o dal presidente al
di fuori dei componenti del consiglio,
fattispecie diversa da quella specificamente
prevista dall'art. 65 del Tuel, ma per
l'esercizio della quale l'art. 47, commi 3 e
4, richiede il possesso dei requisiti di
candidabilità, eleggibilità e compatibilità
richiesti per la carica di consigliere.
Il supremo consesso, intervenuto sul tema,
ha confermato il consolidato orientamento
della giurisprudenza costituzionale,
ordinaria e amministrativa che non ammette
l'interpretazione estensiva di norme
limitative dell'elettorato passivo, per il
carattere derogatorio delle stesse al
principio di libera accessibilità alle
cariche amministrative, e ha espresso
l'avviso che le ipotesi previste dagli
articoli 64 e 65 del Testo unico in tema di
incompatibilità si applicano solo nei casi
ivi testualmente menzionati, ritenendo che
il ricorso all'analogia non sia consentito
dal principio interpretativo generale per
cui le norme che restringono eccezionalmente
diritti di status sono di stretta
interpretazione. Pertanto, non ricorre
alcuna ipotesi di incompatibilità per la
fattispecie menzionata
(articolo
ItaliaOggi del 22.10.2010 - link
a www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Oneri per
permessi retribuiti.
Il comune è tenuto a corrispondere gli oneri
per i permessi retribuiti, previsti
dall'art. 80 del dlgs n. 267/2000, per il
sindaco che è dipendente di una società,
nata dalla fusione per incorporazione di
altre società per azioni, ha la forma
giuridica di società di capitali, è soggetto
gestore del servizio idrico integrato ed è
partecipata esclusivamente dai comuni
rientranti nell'unico ambito?
L'art. 80 del Tuel precisa che gli oneri per
i permessi retribuiti dei lavoratori
dipendenti da privati o da enti pubblici
economici sono a carico dell'ente presso il
quale gli stessi lavoratori esercitano le
funzioni pubbliche di cui all'art. 79 Tuel.
Con l'espressione «lavoratori dipendenti
da privati o da enti pubblici economici»
il legislatore ha voluto escludere i
lavoratori dipendenti dallo stato e da altri
enti pubblici non economici.
Se la natura giuridica della spa è quella di
una società in house, secondo la
giurisprudenza comunitaria e nazionale
l'importante è che il controllo esercitato
sulla società concessionaria sia effettivo,
pur non risultando indispensabile che sia
individuale, cioè del singolo socio
pubblico; ciò anche se «il controllo
analogo» richiesto dall'ordinamento per
la configurabilità di tale modello
societario è esercitato non dal singolo
comune ma, congiuntamente, da tutti gli enti
costituenti l'Autorità d'ambito (cfr. ex
plurimis, Consiglio di stato,
26.08.2009, n. 5082 cui potrà farsi
riferimento per verificare la sussistenza,
in base allo statuto e all'atto costitutivo
della società, di tutti gli elementi
richiesti per la configurabilità del «controllo
analogo»).
Il giudice amministrativo si è da tempo
orientato nel senso di escludere che la
semplice veste formale di spa sia idonea a
trasformare la natura pubblicistica di
soggetti che, in mano al controllo totale
dell'azionista pubblico, continuano ad
essere affidatari di rilevanti interessi
pubblici e possono, pertanto, considerarsi
soggetti strumentali degli enti locali, al
pari delle aziende speciali (cfr. Tar
Campania, I sez., 19.03.2008, n. 2533).
D'altra parte, risulta determinante il
riferimento alla ratio del citato
art. 80, che è quella di ristorare il
privato degli oneri derivanti dai permessi
concessi ai propri dipendenti per
l'esercizio di un mandato elettorale,
ristoro che non avrebbe senso se operato a
favore di una persona giuridica il cui
capitale è interamente pubblico.
Pertanto l'ente non è tenuto a rimborsare
alla società gli oneri per i permessi
retribuiti spettanti al proprio sindaco
(articolo
ItaliaOggi del 22.10.2010 - link
a www.ecostampa.com). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Revoca attestazione SOA -
Possesso dei requisiti - False attestazione
- Non imputabilità della falsità all'impresa
- Effetti - Richiesta di nuova attestazione
- Verifica.
L'attestazione di qualificazione rilasciata
sulla base di falsi documenti va annullata
anche se in ipotesi la falsità non sia
imputabile all'impresa che ha conseguito
l'attestazione, d’altra parte, la non
imputabilità della falsità all'impresa che
ha conseguito l'attestazione acquista
rilevanza in sede di e ai fini del rilascio
di nuova attestazione. Pertanto, in caso di
falso non imputabile sussiste il requisito
di ordine generale di non aver reso false
dichiarazioni circa il possesso dei
requisiti richiesti per l'ammissione agli
appalti e per il conseguimento
dell'attestazione di qualificazione (Cons.
Stato, sez. VI, n 128/2005; Id., 04/02/2010,
n. 515).
Ciò comporta, tuttavia, che, nel definire il
procedimento avviato con la richiesta di
nuova attestazione presentata da soggetto
che, in passato, ha già conseguito
attestazione di qualificazione fornendo dati
oggettivamente falsi, il soggetto preposto
alla definizione dell’istanza non può
omettere di verificare l’imputabilità o meno
al soggetto istante della pregressa falsità.
Né d’altra parte la non imputabilità può
dirsi esclusa per il solo fatto che la
falsità ha nel caso di specie involto
certificazioni rilasciate da un ente
pubblico, in specie dalla Provincia di
Imperia: dato, questo, da sé solo non
dirimente in sede di verifica
dell’imputabilità, al soggetto che ha
chiesto il rilascio dell’attestazione, della
falsità del dato prodotto con l’esibizione
della certificazione (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 28.10.2010 n. 7646 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Esecuzione dell’appalto - Danni
derivati a terzi - Responsabilità del
committente - Colpa “in eligendo” e di
omesso controllo - Artt. 2043 e 2049 c.c. -
Immobile dichiarato di interesse
storico-artistico - Demolizione non
autorizzata - Fattispecie - Art. 160 D.Lgs.
n. 42/2004.
La responsabilità del committente (nella
specie il comune di Bitonto) per danni
derivati a terzi dall’appalto non si basa
soltanto sull’art. 2049 c.c., secondo cui la
particolare autonomia contrattuale di cui
gode l’appaltatore esclude la possibilità di
configurare in genere la esistenza di un
rapporto di preposizione che
giustificherebbe la responsabilità del
committente stesso (il quale non risponde,
quindi, normalmente, dei danni cagionati a
terzi dall’appaltatore), ma si basa, in
talune ipotesi, come appunto quella in
esame, sulla clausola generale dell’art.
2043 c.c.; e cioè sulla c.d. colpa “in
eligendo”, potendo il committente essere
eccezionalmente corresponsabile in via
diretta con l’appaltatore per i danni
derivati a terzi dall’esecuzione
dell’appalto. Fattispecie: totale
distruzione di un bene assoggettato a
vincolo storico-artistico (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 28.10.2010 n. 7635 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Bene sottoposto a vincolo
storico-artistico - Totale distruzione -
Responsabilità dell’ente - Criterio per la
commisurazione della sanzione pecuniaria -
Esercizio di discrezionalità tecnica -
Contestazione - Presupposti -
Irragionevolezza e illogicità - Art. 160, c.
4, D.Lgs n. 42/2004.
Ai sensi dell’art. 160, comma 4, del D.Lgs.
n. 42/2004, qualora non sia possibile la
reintegrazione del bene protetto, il
responsabile deve corrispondere allo Stato
una somma pari al valore della cosa perduta
o alla diminuzione di valore subita dalla
stessa (nella specie, totale demolizione
senza autorizzazione di un immobile
sottoposto a vincolo storico-artistico per
lavori di allargamento della strada
provinciale).
Dal che la conseguenza che è privo di
fondamento il rilievo relativo all’asserita
contraddittorietà e l’illogicità della
sanzione pecuniaria non sorretta dalla
necessaria indicazione delle ragioni di
fatto e di diritto a base dell’asserita
responsabilità del Comune.
Inoltre, in merito alla concreta
determinazione del “quantum” della
sanzione pecuniaria irrogata, trattandosi di
espressione di esercizio di discrezionalità
tecnica, essa può essere contestata soltanto
per irragionevolezza e illogicità (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 28.10.2010 n. 7635 -
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APPALTI:
Offerta anomala - Verifica -
Artt. 87 e 88, d.lgs. n. 163/2006.
La verifica dell’anomalia, alla stregua dei
parametri di riscontro di cui agli artt. 87
e 88, del d.lgs. n. 163/2006, deve
svolgersi, con valutazione globale previa
attendibilità dell’analisi dei prezzi
redatta dall’interessata offerente.
Di regola, la verifica dell'offerta anomala
si estrinseca in un sub-procedimento
formalmente distinto rispetto a quello ad
evidenza pubblica diretto
all'aggiudicazione, anche se ad esso
collegato (C.S., sez. VI, 03/04/2002 n.
1853).
Gara d’appalto di opera
pubblica - Anomalia delle offerte - Verifica
giurisdizionale dell'anomalia - D.L.vo n.
163/2006.
La motivazione della valutazione effettuata
circa l'anomalia delle offerte in una gara
d’appalto di opera pubblica costituisce
l'elemento decisivo ai fini della verifica
giurisdizionale, in quanto permette un
controllo sulla logicità della stessa, senza
possibilità per il giudice di sostituirsi
alla p.a. o trasmodare nelle determinazioni
che appartengono al merito dell'azione
amministrativa.
Pertanto, in tema di anomalia, compito
primario del giudice è quello di verificare
se il potere amministrativo sia stato
tecnicamente esercitato in modo conforme ai
criteri di logicità, congruità, razionalità
e corretto apprezzamento dei fatti.
Sicché, nella verifica dell'anomalia,
l'esito della gara può essere travolto dalla
pronuncia del giudice amministrativo solo
quando il giudizio negativo sul piano
dell'attendibilità riguardi voci che, per la
loro rilevanza ed incidenza complessiva,
rendano l'intera operazione economica non
plausibile e, per l'effetto, non
suscettibile di accettazione da parte della
stazione appaltante, a causa dei residui
dubbi circa l'idoneità dell'offerta,
insidiata da indici strutturali di carente
affidabilità, a garantire l'efficace
perseguimento dell'interesse pubblico (C.S.,
sez. VI, dec. 03/05/2002 n. 2334) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 28.10.2010 n. 7631 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Condono degli abusi edilizi -
Formazione del silenzio assenso -
Presupposti - Mero decorso del termine -
Insufficienza.
Il termine legale per la formazione del
silenzio-assenso in materia di condono degli
abusi edilizi presuppone che la domanda sia
stata corredata dalla prescritta
documentazione, non sia infedele, sia stata
interamente pagata l'oblazione e, altresì e
soprattutto, che l'opera sia stata ultimata
nel termine di legge e non sia in contrasto
con i vincoli di inedificabilità di cui
all'art. 33, l. 28.02.1985, n. 47 (Consiglio
Stato, sez. IV, 22.07.2010, n. 4823;
Consiglio Stato, sez. IV, 30.06.2010, n.
4174).
Il semplice decorso del termine per
provvedere costituisce, pertanto, solo uno
degli elementi necessari, ma di per se non
sufficiente, per il perfezionamento della
fattispecie (TAR Puglia Lecce, sez. III,
03.03.2010, n. 676).
Abusi edilizi - Decorso
del tempo - Provvedimento sanzionatorio -
Motivazione rafforzata.
In materia edilizia, non può ammettersi che
il mero decorso del tempo legittimi la
conservazione di una situazione di fatto
abusiva (TAR Lombardia Brescia, sez. I,
08.07.2009, n. 1450; TAR Sicilia Palermo,
sez. III, 20.10.2009, n. 1665; TAR Emilia
Romagna Bologna, sez. II, 07.07.2009, n.
1053), ponendosi, al più, esclusivamente il
problema di una motivazione “rafforzata”
in ordine all’adozione del provvedimento
sanzionatorio che indichi il pubblico
interesse, evidentemente diverso da quello
al ripristino della legalità, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato (TAR Campania Napoli, sez.
III, 18.09.2008, n. 10345) (TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 25.10.2010 n. 21436 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Abusi - Demolizione - Pregiudizio
per le parti realizzate legittimamente -
Possibilità di non procedere alla rimozione
- Limiti.
La possibilità di non procedere alla
rimozione delle parti abusive, quando ciò
sia pregiudizievole per quelle legittime,
costituisce solo un'eventualità della fase
esecutiva, subordinato alla circostanza
dell'impossibilità del ripristino dello
stato di luoghi (cfr. Consiglio Stato, sez.
V, 21.05.1999, n. 587).
Senza contare che siffatta evenienza resta
ammissibile nelle sole ipotesi di cui agli
artt. 33 e 34 del d.p.r. 380/2001
(rispettivamente di ristrutturazione abusiva
e di difformità parziali), mentre non è
predicabile rispetto ai più gravi abusi
sanzionati dall’art. 31 del d.p.r. 380/2001
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 25.10.2010 n. 21381 -
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APPALTI:
Inesistenza di condanne a carico
di amministratori e direttori tecnici -
Dichiarazione sostitutiva ex art. 47, c. 2,
d.P.R. n. 445/2000 - Puntualizzazione “per
quanto a mia conoscenza” - Mancanza di vera
e propria assunzione di responsabilità -
Validità - Esclusione.
La puntualizzazione del tipo "per quanto
a mia conoscenza" inserita in una
dichiarazione sostitutiva, resa ai sensi
dell’art. 47, co. 2, del D.P.R. n. 445/2000,
relativa all’inesistenza di condanne nei
confronti di amministratori e direttori
tecnici cessati dalla carica, rende del
tutto priva di valore e tamquam non esset
la dichiarazione rilasciata, venendo a
mancare una vera e propria assunzione di
responsabilità insita, invece, in tale tipo
di dichiarazione e alla base
dell’affidamento che è chiamata a riporvi
l’amministrazione appaltante. (C.G.A.,
06.09.2010, n. 1153; Cons. Stato, V,
27.01.2009, n. 375; cfr. TAR Sicilia,
Catania, 07.04.2010, n. 1029) (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 22.10.2010 n. 13015 -
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APPALTI:
Le imprese consorziate per le
quali il consorzio ha dichiarato di
concorrere devono possedere una
qualificazione minima pari almeno al 10% di
quella richiesta nel complesso per
partecipare ai lavori.
Secondo la tesi dell’impresa appellante il
d.lgs. n. 163 del 2006, nell’art. 36, impone
ai consorzi stabili di indicare in sede di
offerta per quali consorziati concorrano,
vietando a questi di partecipare in altra
forma alla stessa gara; che in esso si
rinvia all’emanando regolamento per la
fissazione delle condizioni e limiti alla
facoltà del consorzio di eseguire
prestazioni tramite i consorziati e che,
negli articoli 253 e 256, si stabilisce, in
attesa del detto regolamento, che continua
ad applicarsi il d.P.R. n. 554 del 1999, nei
limiti di compatibilità con il Codice, non
disponendosi, infine, l’abrogazione gli
articoli 95 e 97 del detto d.P.R.; ne
consegue l’erroneità della tesi per cui
l’indicazione della consorziata designata
per l’esecuzione dell’opera è atto a mera
rilevanza interna, poiché così si equipara
l’ipotesi del consorzio stabile impegnato ad
eseguire direttamente l’opera con quella del
consorzio che, invece, designi a tale fine
una consorziata, laddove, come visto, il
citato art. 36 espressamente richiama per
l’affidamento delle prestazioni a singoli
consorziati un quadro di condizioni e
limiti, dovendosi perciò ritenere vigenti
quelli già posti con gli articoli 95 e 97
citati, secondo il principio della garanzia
della qualità delle prestazioni che informa
la normativa del d.lgs. n. 163 del 2006.
Ad
avviso dei giudici del Consiglio di Stato è
da ritenere fondato tale motivo di appello:
l’art. 36 del d.lgs. n. 163 del 2006
stabilisce che i consorzi stabili si
qualificano cumulando le qualificazioni
delle singole consorziate; ai sensi
dell’art. 253, comma 3, dello stesso d.lgs.
il d.P.R. n. 554 del 1999 continua ad
applicarsi ai lavori pubblici, fino
all’approvazione del nuovo regolamento, “nei
limiti di compatibilità con il presente
codice”; l’art. 97, comma 2, del detto d.P.R. (non abrogato dall’art. 256 del
d.lgs. n. 163 del 2006) dispone che i
consorzi stabili “conseguono la
qualificazione a seguito di verifica
dell’effettiva sussistenza in capo alle
singole consorziate dei corrispondenti
requisiti”: A sua volta il medesimo art. 97
del d.P.R. n. 554 del 1999 prescrive, nella
seconda parte del comma 4 (anche non
abrogato dal d.lgs. n. 163 del 2006), che
“alle singole imprese consorziate si
applicano le disposizioni previste per le
imprese mandanti dei raggruppamenti
temporanei di imprese”; le disposizioni cui
così si rinvia sono quelle recate dall’art.
95, comma 2, dello stesso d.P.R. (altresì
non abrogato dal d.lgs. n. 163 del 2006) in
base al quale, in sintesi (come ivi previsto
per i raggruppamenti temporanei di imprese)
le imprese consorziate per le quali il
consorzio ha dichiarato di concorrere devono
possedere una qualificazione minima pari
almeno al 10%% di quella richiesta nel
complesso per partecipare ai lavori; i
giudici di Palazzo Spada ritengono che tale
prescrizione sia tuttora vigente per due
concorrenti motivi, testuale e connesso alla
ratio della normativa.
Per il primo profilo
emerge con chiarezza, dall’insieme delle
norme sopra richiamate, che la seconda parte
del comma 4 dell’art. 97 ed il comma 2
dell’art. 95 del d.P.R. n. 554 del 1999 non
risultano abrogati dal d.lgs. n. 163 del
2006, che pure reca un articolo (256) in cui
le abrogazioni sono espresse e disposte
perciò con puntuale individuazione di
ciascuna disposizione abrogata; ciò che si
riscontra, per quanto qui interessa in
particolare, riguardo al d.P.R. n. 554 del
1999 i cui articoli e commi abrogati sono
elencati con precisione (come è per i commi
5, 6 e 7 dell’art. 95), e ciò, come anche
visto, nel contesto della conferma espressa
dell’applicabilità del d.P.R. n. 554 del
1999, nelle more dell’approvazione del nuovo
regolamento.
La attuale permanenza della previsione del
requisito minimo di qualificazione per le
consorziate risulta sorretta, peraltro, da
una ragionevole motivazione sostanziale, che
avvalora il dato formale ora esposto e
perciò la non incompatibilità della
previsione con il sistema normativo del
d.lgs. n. 163 del 2006.
Pur restando infatti l’autonomia soggettiva
del consorzio stabile a fronte del
committente è non di meno congruo ritenere
che la qualificazione dell’impresa
consorziata rivesta un rilievo specifico per
la stazione appaltante, nel momento in cui
la consorziata è indicata come soggetto per
cui si concorre ed esecutrice di lavori, al
fine della garanzia per l’ente appaltante
della necessaria competenza tecnica per la
corretta esecuzione dell’intervento
assicurato da tale impresa (commento tratto
da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 22.10.2010 n. 7609 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI:
Allegazione della copia
fotostatica del documento di identità -
Artt. 38, c. 3 e 47, c. 1, d.P.R. n.
445/2000 - Forma essenziale ex lege -
Applicazione in concreto - Principio della
massima partecipazione alle procedure
competitive.
Ai sensi degli artt. 38, comma 3, e 47,
comma 1, del d.P.R. n. 445 del 2000,
l’allegazione della copia fotostatica del
documento di identità…costituisce un
fondamentale onere del sottoscrittore,
conferendo legale autenticità alla sua
sottoscrizione e configurandosi come
elemento della fattispecie normativa diretta
a comprovare, oltre alle generalità del
dichiarante, l’imprescindibile nesso di
imputabilità soggettiva della dichiarazione
ad una determinata persona fisica (Cons.
Stato, Sez. VI, n. 4420 del 2009),
trattandosi perciò di un caso di forma
essenziale stabilita dalla legge (Cons.
Stato, Sez. V, n. 3690 del 2009).
Questa, pure essenziale, prescrizione di
carattere formale deve però essere applicata
verificando se nel contesto dei singoli casi
lo scopo della normativa non sia comunque
raggiunto, evitando interpretazioni che in
concreto possano risultare di sproporzionato
e perciò inutile rigore, venendo con ciò a
ledere, per converso, l’altresì rilevante
principio della massima partecipazione alle
procedure competitive (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 22.10.2010 n. 7608 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI:
Sull'allegazione della copia
fotostatica del documento di identità da
parte dei soggetti che partecipano alle
procedure competitive.
L'allegazione della copia fotostatica del
documento di identità, ai sensi degli artt.
38, co. 3, e 47, c. 1, del d.P.R. n. 445 del
2000, costituisce un fondamentale onere del
sottoscrittore, conferendo legale
autenticità alla sua sottoscrizione e
configurandosi come elemento della
fattispecie normativa diretta a comprovare,
oltre alle generalità del dichiarante,
l'imprescindibile nesso di imputabilità
soggettiva della dichiarazione ad una
determinata persona fisica, trattandosi
perciò di un caso di forma essenziale
stabilita dalla legge.
Questa, pure essenziale, prescrizione di
carattere formale deve però essere applicata
verificando se nel contesto dei singoli casi
lo scopo della normativa non sia comunque
raggiunto, evitando interpretazioni che in
concreto possano risultare di sproporzionato
e perciò inutile rigore, venendo con ciò a
ledere, per converso, l'altresì rilevante
principio della massima partecipazione alle
procedure competitive (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 22.10.2010 n. 7608 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La mancata dichiarazione ex art.
38 del d.lgs. n. 163/2006 non può comportare
di per sé l'esclusione dalla gara.
L'art. 38 del d.lgs n. 163/2006, richiede
che la dichiarazione in ordine all'assenza
di condanne penali sia rilasciata, nel caso
di società di capitali, dai direttori
tecnici e dagli amministratori muniti di
poteri di rappresentanza.
Quest'ultima locuzione è costantemente
interpretata nel senso di includere, data
l'ampia formulazione utilizzata, nell'ambito
di applicazione della relativa norma tutte
le persone fisiche che, essendo titolari del
potere di rappresentanza della persona
giuridica, risultano comunque in grado di
trasmettere, con il proprio comportamento,
la riprovazione dell'ordinamento nei
riguardi della loro personale condotta al
soggetto rappresentato.
Nel caso di specie, i contenuti della delega
rilasciata ad uno dei rappresentanti della
società fanno sì che lo stesso risulti
titolare di una posizione di amministratore
munito di poteri di rappresentanza, quindi
da annoverarsi tra i soggetti tenuti alla
dichiarazione ex art. 38 cit..
Tuttavia, l'omissione della suddetta
dichiarazione non comporta l'esclusione
dalla gara dell'impresa interessata, sempre
che non sussistano in concreto ragioni
ostative alla partecipazione. Pertanto, la
mancata dichiarazione ex art. 38 non può
comportare di per sé l'esclusione dalla
gara, fatto salvo, ovviamente, il caso in
cui detta omissione sottenda l'assenza in
concreto dei requisiti di partecipazione
nonché l'ulteriore ipotesi in cui la legge
di gara contenga puntuali prescrizioni le
quali comportano l'esclusione del
concorrente che ha omesso la dichiarazione
(ovvero reso una dichiarazione non conforme
alla situazione sottostante) (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 22.10.2010 n. 3736 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'istanza per il
riconoscimento del compenso revisionale ex
art. 115 del d.lgs. 163/2006.
Ai sensi del vigente art. 115 del d.lgs.
163/2006 la revisione prezzi è demandata ad
una istruttoria condotta dai dirigenti
responsabili della acquisizione di beni e
servizi, sulla base di dati che sono ora
forniti dalla sezione centrale
dell'Osservatorio dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture e
dall'ISTAT (art. 7, c. 4 lett. c) e c. 5,
d.lgs. 163/2006). Una volta avviato con
istanza di parte, tale procedimento deve
essere concluso mediante l'adozione di un
provvedimento espresso, di contenuto
positivo o negativo.
Pertanto, nel caso di specie, sussiste
l'obbligo del comune di pronunciarsi sulla
istanza formulata dalla cooperativa di
riconoscimento del compenso revisionale del
canone di affidamento dei servizio
cimiteriali pervenutagli il 20.07.2009 entro
il termine di 120 giorni dalla comunicazione
della presente sentenza o dalla sua notifica
a cura di parte ricorrente se anteriore e
con riserva di nominare un commissario ad
acta in caso di inosservanza del
suddetto termine. In tale sede, in cui
conserva un indubbio margine di potere
discrezionale nelle valutazioni, il comune
potrà alternativamente riconoscere la
revisione o negarla, motivando in base agli
esiti dell'istruttoria ed alle eventuali
eccezioni impeditive o estintive che dovesse
ritenere dirimenti (TAR Campania-Napoli,
Sez. I,
sentenza 21.10.2010 n. 20632 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Comuni - Regolamento di minimizzazione -
Art. 8 L n. 36/2001 - Limiti.
L’art. 8, comma 6, della legge 22.02.2001,
n. 36, prevede la possibilità che i Comuni
adottino un regolamento c.d. di
minimizzazione finalizzato a garantire “il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici”.
Le previsioni dei regolamenti c.d. di
minimizzazione possono ritenersi legittime
solo qualora finalizzate al perseguimento
delle finalità indicate dalla norma e non
anche quando tendono a scopi differenti.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Comune - Adozione di
misure che costituiscono deroghe ai limiti
di esposizione ai campi elettromagnetici -
Illegittimità - Art. 4 L. n. 36/2001 -
Competenza esclusiva statale.
Il Comune non può, mediante il formale
utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure, le
quali nella sostanza costituiscano una
deroga ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici fissati dallo Stato, quali,
esemplificativamente, il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare in tutte
le zone territoriali omogenee, ovvero la
introduzione di distanze fisse da osservare
rispetto alle abitazioni e ai luoghi
destinati alla permanenza prolungata delle
persone o al centro cittadino.
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali
non al governo del territorio, ma alla
tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo e si trasformano in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge n. 36/2001 riserva
allo Stato attraverso l’individuazione di
puntuali limiti di esposizione, valori di
attenzione ed obiettivi di qualità, da
introdursi con D.P.C.M., su proposta del
Ministro dell’Ambiente di concerto con il
Ministro della Salute (in tal senso, tra le
tante Consiglio di Stato, sez. VI,
15.06.2006, n. 3534, C.G.A. 12.11.2009, n.
929; TAR Sicilia, sez. II, 06.04.2009, n.
661) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 21.10.2010 n. 12965 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Pianificazione urbanistica -
Comune - Esercizio dello ius variandi -
Esistenza di una convenzione di
lottizzazione - Introduzione di nuove
previsioni - Legittimità.
Nell’ambito della pianificazione
urbanistica, il Comune può sempre esercitare
lo ius variandi, riesaminando e
rideterminando la precedenti valutazioni
anche se assunte mediante convenzione di
lottizzazione.
Le convenzioni urbanistiche devono sempre
considerarsi “rebus sic stantibus”,
con la conseguenza che l'Amministrazione, in
presenza di un interesse pubblico
sopravvenuto, può legittimamente introdurre
nuove previsioni, non sussistendo, in
presenza di diverse esigenze, preclusioni a
nuovi interventi, atteso che lo ius
variandi relativo alle prescrizioni di
piano regolatore generale include anche uno
ius poenitendi relativo a vincoli
precedentemente assunti, rispetto ai quali
il Comune non può ritenersi permanentemente
vincolato in ragione della presenza di una
convenzione di lottizzazione (ex multis,
Cons. Stato, sez. IV, 29.07.2008, n. 3766;
sez. IV, 31.01.2005, n. 222; sez. IV,
25.07.2001, n. 4073; sez. IV, 17.10.1996 n.
1116) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 21.10.2010 n. 12956 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
piano casa del Veneto consente di derogare
alle distanze dai confini.
Ad avviso di questo giudice, l’art. 873,
nella seconda parte, in cui stabilisce che “nei
regolamenti locali può essere stabilita una
distanza maggiore”, determina la natura
parzialmente dispositiva della previsione
contenuta nella prima parte, ma non
comporta, atteso il suo tenore letterale, un
rinvio formale ai regolamenti locali, i
quali non completano dunque la norma di
legge e non ne acquistano comunque la forza.
Inoltre, anche se non si volesse accedere
senz’altro a tale impostazione, bisogna
osservare che tra i “regolamenti locali”,
i quali concorrono a disciplinare la materia
delle distanze, devono essere incluse tutte
le disposizioni conferenti non statali e,
dunque, anche quelle di fonte regionale (conf.
Cass. 10.05.2004, n. 8848).
Di tali “regolamenti locali”,
pertanto, fanno parte anche le norme, di cui
alla l.r. 14/2009, le quali consentono gli
ampliamenti in deroga a tutti i regolamenti
comunali, e dunque anche a quelli sulle
distanze: che poi tali norme di legge
regionale, sempre intese come “regolamenti
locali”, prevalgano sul regolamenti
comunali non sembra dubbio, atteso il grado
superiore di quelle.
Infine, non si può mancare di osservare come
la soluzione adottata dal Comune di Rosolina
tenda a comprimere l’efficacia di una
disciplina di legge in una materia, come il
governo del territorio, dove la potestà
legislativa è affidata alle regioni, salvo
che per la determinazione dei principi
fondamentali, di competenza statale, tra i
quali non pare tuttavia rientrare il
disposto di cui all’art. 873 c.c.: sicché
non vi è ragione di ritenere che specifiche
previsioni, contenute in un regolamento
comunale in materia edilizia, possano
limitare la forza espansiva della disciplina
di cui alla l.r. 14/2009
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 21.10.2010 n. 5694 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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A commento della succitata
sentenza si leggano i seguenti contributi:
2-
La Cassazione aveva già detto 30 anni fa che
la distanza di 10 metri tra pareti
finestrate implica che ciascun confinante
deve stare a 5 metri dal confine
(link a http://venetoius.myblog.it);
1-
Secondo il TAR il piano casa del Veneto
consente di derogare alle distanze dai
confini. Ma è cosa buona? (link a
http://venetoius.myblog.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Art. 14 d.lgs. n.
22/1997 - Sistema sanzionatorio -
Responsabilità oggettiva o di posizione -
Esclusione - Provvedimenti amministrativi
emanati in forza della norma - Motivazione
in ordine alla responsabilità del
proprietario.
Tutti i provvedimenti amministrativi emanati
in base all’art. 14 del d.lgs. n. 22/1997
devono essere puntualmente motivati con
riguardo agli elementi in forza dei quali
sia affermata la responsabilità dei
proprietari, per lo meno con riguardo alla
colpa per omessa vigilanza sulle attività
inquinanti poste in essere da terzi (in tal
senso la giurisprudenza è univoca, tra le
tante, Cons. Stato, sez. V, 25.01.2005, n.
136; 08.02.2005; sez. IV, 05.09.2005, n.
4525; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 11.01.2006,
n. 113).
Il sistema sanzionatorio, delineato dal
decreto Ronchi in materia di rifiuti,
esclude infatti la configurabilità di
responsabilità oggettiva o di posizione, e
cioè che il proprietario del sito che ospita
rifiuti abbandonati sia chiamato, per ciò
solo, a risponderne, indipendentemente dalla
concreta verifica, da parte della p.a., di
una condotta anche semplicemente
agevolatrice del fatto illecito del terzo,
ovvero omissiva, cioè di astensione
dall’adozione di quelle cautele che possono
ragionevolmente pretendersi da un soggetto
dotato di diligenza media (TAR Puglia-Bari,
Sez. I,
sentenza 21.10.2010 n. 3747 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Criteri di insediamento degli impianti -
Rete di telecomunicazione - Diffusione
capillare sul territorio.
La selezione dei criteri di insediamento
degli impianti deve tener conto della
nozione di “rete di telecomunicazione”,
che per definizione richiede una diffusione
capillare sul territorio, segnatamente nei
casi di telefonia mobile (c.d. “cellulare”),
che alla debolezza del segnale di antenna
associa un rapporto di maggiore contiguità
delle singole stazioni radio base.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Infrastrutture di reti
pubbliche di telecomunicazioni -
Assimilazione alle opere di urbanizzazione
primaria - Art. 86 d.lgs. n. 259/2003 -
Insediamenti abitativi.
L’assimilazione per effetto del’art. 86 del
d.lgs. 01.08.2003, n. 259, delle
infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
stesse debbano collegarsi ed essere poste al
servizio dell’insediamento abitativo e non
essere dalle stesso avulse (cfr. da ultimo
Cons. Stato, VI, 28.04.2010, n. 304).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Impianti di telefonia
mobile - Limiti di localizzazioni - Misura
surrettizia di tutela della popolazione da
immissioni radioelettriche - Art. 4 L. n.
36/2001 - Competenza esclusiva dello Stato.
La determinazione a regime di limiti di
localizzazione degli impianti non può
tradursi per il suo carattere generalizzato
e il riferimento al dato oggettivo
dell’esistenza di insediamenti abitativi, in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge 22.02.2001, n. 36
riserva allo Stato attraverso
l’individuazione di puntuali limiti di
esposizione, valori di attenzione e
obiettivi di qualità, da introdursi con
decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, su proposta del Ministro
dell’Ambiente di concerto con il Ministro
della Salute (cfr. Cons. Stato, VI,
03.03.2007, n. 1017; 05.06.2006, n. 3332;
05.08.2005, n. 4159; 20.12.2002, n. 7274;
03.06.2002, n. 3095).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Comuni - Regolamento
volto ad assicurare un corretto insediamento
urbanistico - Art. 8, c. 6 L. n. 36/2001 -
Limiti.
È pur vero che ai sensi dell’art. 8, comma
6, l. n. 36 del 2001 “i comuni possono
adottare un regolamento per assicurare il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici”.
Ma la giurisprudenza ha affermato che ne
debbono discendere regole comunali
ragionevoli, motivate e certe, poste a
presidio di interessi di rilievo pubblico
(es., per il particolare valore
paesaggistico e ambientale o
storico-artistico di certe porzioni del
territorio, ovvero alla presenza di siti che
per la loro destinazione d’uso possano
essere qualificati particolarmente sensibili
alle immissioni elettromagnetiche), non già
un generalizzato divieto di installazione in
identificate zone urbanistiche (Cons. Stato,
VI, 15.07.2010, n. 4557) (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 20.10.2010 n. 7588 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dai regolamenti comunali per il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale non può derivare un
generalizzato divieto di installazione di
impianti di telefonia in identificate zone
urbanistiche.
Nella pronuncia in rassegna, con ricorso al
Tribunale amministrativo per il Veneto, un
operatore telefonico impugnava il diniego di
autorizzazione all’ installazione di una
stazione radiobase di telefonia cellulare da
parte del Comune in causa. A motivazione
dell’atto era posto in rilievo il contrasto
della richiesta “con la variante al p.r.g.
ai sensi del 3° comma dell’ art. 50 della
L.R. n. 61/1985, adottata don d.d.c. n. 4
del 25.02.2005, con la quale sono stati
individuati alcuni siti nei quali è
possibile installare antenne per telefonia
mobile”.
Il Tribunale amministrativo in
particolare, sul rilievo che la menzionata
delibera consiliare non esclude che le
antenne di telefonia mobile possono trovare
collocazione, oltre che nei siti individuati
nella variante al P.r.g., anche in altre
porzioni del territorio comunale, se ciò
necessario ai fini della sua intera
copertura per l’irradiazione del segnale,
dichiarava in conseguenza l’illegittimità
dell’ atto di diniego impugnato.
Il Comune
ha proposto appello contro questa sentenza,
ma il Consiglio di Stato ha considerato
l’appello infondato. Questi i fatti in
dettaglio: con la delibera consigliare di
variante parziale al P.r.g. il Comune
individuava tre siti per l’installazione di
impianti di telefonia mobile rispettivamente
in area industriale nord, in area
industriale sud ed in zona limitrofa al
cimitero.
La localizzazione di detti
impianti di telecomunicazione dà seguito
alla circolare della Regione Veneto n. 12
del 12.07.2001 volta a sollecitare i
Comuni a “definire le aree maggiormente
idonee all’installazione degli impianti nel
rispetto delle caratteristiche storiche,
ambientali e paesaggistiche del contesto
territoriale comunale”, favorendo, in
particolare, la scelta di ambiti
territoriali già compromessi dal punto di
vista urbanistico edilizio, ed indirizzando,
ove possibile, i gestori a localizzare gli
impianti in aree produttive o comunque
interessate già dalla presenza di impianti
tecnologici. La circolare precisava,
inoltre, che “l’eventuale installazione in
siti diversi debba essere accompagnata da
un’ adeguata motivazione”.
Alla luce del
riferito atto di indirizzo, la selezione di
aree nel cui ambito localizzare gli impianti
di telefonia mobile non assume carattere
tassativo e non preclude -proprio in
relazione alla peculiarità degli impianti di
telefoni cellulare ed all’esigenza sul piano
tecnico, per la bassa intensità del segnale
irradiato, di una loro capillare ed organica
distribuzione sul territorio- la
possibilità di installazione anche al di
fuori dei siti a ciò appositamente
individuati. Tanto più che i criteri di
localizzazione recepiti dal Comune assumono
a riferimento tre zone (con destinazione
cimiteriale ed industriale) tutte esterne al
centro abitato, nel quale è maggiore la
presenza dell’utenza e sussiste, pertanto,
l’esigenza di assicurare l’idonea
irradiazione del segnale di telefonia
mobile.
In fattispecie analoghe la
giurisprudenza della V Sezione ha
ripetutamente posto in rilievo che la
selezione dei criteri di insediamento degli
impianti deve tener conto della nozione di
“rete di telecomunicazione”, che per
definizione richiede una diffusione
capillare sul territorio, segnatamente nei
casi di telefonia mobile (c.d. “cellulare”),
che alla debolezza del segnale di antenna
associa un rapporto di maggiore contiguità
delle singole stazioni radio base. L’assimilazione per effetto del’ art. 86 del
d.lgs. 01.08.2003, n. 259, delle
infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
stesse debbano collegarsi ed essere poste al
servizio dell’insediamento abitativo e non
essere dalle stesso avulse (cfr. da ultimo
Cons. Stato, VI, 28.04.2010, n. 304).
La
determinazione a regime di limiti di
localizzazione degli impianti non può
tradursi, inoltre, per il suo carattere
generalizzato e il riferimento al dato
oggettivo dell’esistenza di insediamenti
abitativi, in una misura surrettizia di
tutela della popolazione da immissioni
radioelettriche, che l’art. 4 della legge 22.02.2001, n. 36 riserva allo Stato
attraverso l’individuazione di puntuali
limiti di esposizione, valori di attenzione
e obiettivi di qualità, da introdursi con
decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, su proposta del Ministro
dell’Ambiente di concerto con il Ministro
della Salute (cfr. Cons. Stato, VI, 03.03.2007, n. 1017;
05.06.2006, n. 3332; 05.08.2005, n. 4159; 20.12.2002, n.
7274; 03.06.2002, n. 3095).
Alla luce dei
riferiti principi, come correttamente posto
in rilievo dal Tribunale amministrativo, il
Comune nel pronunciarsi sulla domanda della
Soc. di installazione dell’ impianto di
telefonia mobile non doveva limitarsi alla
mera ricognizione della regolamentazione di P.r.g. sui siti di localizzazione
preferenziale degli impianti, attribuendo ad
essa assoluto valore cogente e non
derogabile in presenza di specifiche
esigenze di sviluppo della rete di
telecomunicazione di cui un’altra società è
gestore. È pur vero che ai sensi dell’art.
8, comma 6, l. n. 36 del 2001 “i comuni
possono adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici”.
Ma la
giurisprudenza, anche recente, di questa
Sezione ha affermato che ne debbono
discendere regole comunali ragionevoli,
motivate e certe, poste a presidio di
interessi di rilievo pubblico (es., per il
particolare valore paesaggistico e
ambientale o storico-artistico di certe
porzioni del territorio, ovvero alla
presenza di siti che per la loro
destinazione d’uso possano essere
qualificati particolarmente sensibili alle
immissioni elettromagnetiche), non già un
generalizzato divieto di installazione in
identificate zone urbanistiche (Cons. Stato, VI,
15.07.2010, n. 4557) (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 20.10.2010 n. 7588 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Per la partecipazione alla gara
l’identificazione delle persone fisiche
munite di potere di rappresentanza deve
essere effettuata anche alla stregua dei
poteri sostanziali attribuiti.
a)
ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. b) e
c), del D.L.gs. 163/2006, dell’art. 26,
comma 1, lett. b) e c) della Legge Regionale
della Campania n. 3 del 2007, nonché degli
artt. 13, lett. c), e 15 del bando di gara,
le società di capitali concorrenti erano
tenute, a pena di esclusione, a presentare
una dichiarazione attestante la sussistenza
dei requisiti morali e professionali delle
persone fisiche munite di potere di
rappresentanza;
b)
alla stregua del prevalente orientamento
giurisprudenziale, al quale questo Collegio
presta adesione, l’identificazione di detti
ultimi soggetti deve essere effettuata non
solo in base alle qualifiche formali
rivestite ma anche alla stregua dei poteri
sostanziali attribuiti, con conseguente
inclusione, nel novero dei soggetti muniti
di poteri di rappresentanza, delle persone
fisiche in grado di impegnare la società
verso i terzi e dei procuratori ad
negotia laddove, a dispetto del nomen,
l’estensione dei loro poteri conduca a
qualificarli come amministratori di fatto;
c)
detta interpretazione estensiva del dettato
di legge affonda le sue radici nell’esigenza
di evitare la partecipazione alle gare
pubbliche di soggetti che non diano le
garanzie di affidabilità morale e
professionale necessarie ai fini della piena
tutela dell’interesse pubblico;
d)
l’applicazione di dette coordinate
ermeneutiche conduce a ritenere che la detta
dichiarazione dovesse essere resa dalla
società risultata aggiudicataria anche con
riguardo al procuratore ..., investito di
ampi poteri gestori, incidenti sulla
dimensione economico-finanziaria della
società (“aprire ed estinguere conti
bancari, operare sugli stessi, richiedere
affidamenti bancari ed emettere i relativi
assegni, sottoscrivere per girata assegni
bancari e circolari e quanto altro
necessario; acquistare e vendere merci;
richiedere e riscuotere pagamenti, quietanze
e fatture; richiedere fidi, fideiussioni,
mutui ed altre operazioni, concedere
ipoteche nonché sottoscrivere contratti per
la somministrazione di servizi”), sulla
gestione amministrativa della stessa sul
duplice versante dell’iniziativa economica e
dell’autonomia negoziale (“concludere
rapporti con enti pubblici al fine della
presentazione e del ritiro di concessioni
edilizie nonché al fine della partecipazione
a gare od appalti, anche effettuando
sopralluoghi e prendendo visione dei
capitolati d’appalti; acquistare e vendere
beni mobili ed immobili, rinunciando
all’ipoteca legale; acquistare o vendere
aziende orami d’aziende, concludere
contratti di affitto di azienda o di ramo di
azienda sia nella parte di concedente sia
nella parte di affittuario convenendo
modalità, patti e canoni; nominare direttori
tecnici, consulenti vari, avvocati e
procuratori legali"), e, infine, sulle
vicende societarie (“costituire società,
partecipare a consorzi, convenire tutti gli
atti e modalità relative, compreso recesso,
cambiamento della ragione sociale, della
sede, dell’oggetto della società, della
durata dello statuto sociale, intervenire
alle assemblee con pieno diritto di voto;
procedere alla trasformazione, fusione,
scissione e liquidazione della società;
vendere o acquistare quote sociali”).
e)
l’ampiezza, temporalmente illimitata, dei
poteri, comprensivi degli atti fondamentali
della vita societaria, porta a concludere
che si tratta di soggetto al quale è stato
di fatto conferito l’esercizio continuativo
e generale delle funzioni sostanziali di
amministratore, in ordine al quale andava
quindi resa la dichiarazione di sussistenza
dei requisiti morali e professionali di cui
all’art. 38 cit.;
f)
è pertanto da condividere l’annullamento
dell’aggiudicazione definitiva disposta in
favore dell’odierna ricorrente nonostante la
sussistenza della causa di esclusione data
dalla mancata produzione della dichiarazione
di che trattasi (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.10.2010 n. 7578 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Verifica dell’offerta tecnica -
Seduta riservata - Offerta economica e
verifica del plico - Seduta pubblica.
In tema di gare di appalti, la seduta
riservata pare limitata alla sola verifica
dell’offerta tecnica, richiedendosi per
l’offerta economica e per la verifica della
sussistenza nel plico delle tre buste
-amministrativa, tecnica economica- la
seduta pubblica (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 20.10.2010 n. 5525 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Realizzazione di una stazione radio base -
Provvedimento di sospensione delle pratiche
edilizie in attesa di apposita
regolamentazione comunale - Illegittimità -
Misura soprassessoria di salvaguardia
atipica - Divieto assoluto e generalizzato.
E’ illegittimo il provvedimento di
sospensione delle pratiche edilizie aventi
ad oggetto la realizzazione di una stazione
radio base per telefonia cellulare, disposto
in attesa di apposita regolamentazione
comunale dell’individuazione dei siti e
delle caratteristiche strutturali degli
impianti.
Trattasi infatti di una misura
soprassessoria di salvaguardia atipica in
quanto tale inammissibile poiché non
espressamente prevista dalla legge e volta
ad introdurre sostanzialmente un divieto
assoluto e generalizzato, senza previsione
di durata e che si estende
indiscriminatamente a tutte le zone del
territorio comunale (cfr. sul punto TAR
Puglia Bari, Sez. III, 23.12.2004, n. 6239 e
TAR Puglia Bari, Sez. II, 01.02.2010, n.
221) (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.10.2010 n. 3683 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla sussistenza del requisito
della regolarità contributiva nel caso di
avvenuta regolarizzazione prima
dell'apertura delle offerte.
Sulla violazione della clausola di "stand
still" di cui all'art. 11, c. 10, del dlgs
163/2006.
L'avvenuta regolarizzazione, avvenuta in un
tempo intermedio tra il momento della
partecipazione alla gara e quello
dell'apertura delle buste contenenti
l'offerta economica, rende sostanzialmente
ininfluente, ai fini della gara stessa, il
transitorio momento di mancata regolarità
contributiva. Ne consegue che, nel caso di
specie, è legittima l'aggiudicazione di una
gara d'appalto ad un'impresa nei confronti
della quale siano state accertate
irregolarità contributive ai sensi dell'art.
38, lett. i, del dlgs 163/2006, avendo la
concorrente provveduto tempestivamente a
sanare le suddette irregolarità in una fase
antecedente all'apertura delle offerte.
La c.d. clausola di "stand still" di
cui all'art. 11, c. 10, del dlgs 163/2006,
prevede che il contratto non può essere
stipulato prima che siano decorsi
trentacinque giorni dalla comunicazione del
provvedimento di aggiudicazione. La
violazione della clausola di "stand still",
senza che concorrano vizi propri
dell'aggiudicazione, non comporta
l'annullamento di quest'ultima, né
l'inefficacia del contratto, in quanto, ai
sensi dell'art. 121, lett. "c" del c.p.a.,
il giudice che annulla l'aggiudicazione,
dichiara inefficace il contratto, solo
laddove il mancato rispetto dell'art. 11, c.
10, cit. abbia privato il ricorrente della
possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso
prima della stipulazione del contratto e
sempre che tale violazione si aggiunga ai
vizi propri dell'aggiudicazione, diminuendo
le possibilità del ricorrente di ottenere il
bene della vita (TAR Calabria-Reggio
Calabria,
sentenza 20.10.2010 n. 942 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Discarica abusiva -
Confisca - Area in comproprietà -
Corresponsabilità di tutti i comproprietari
e responsabilità limitata ad alcuni dei
comproprietari - Individuazione dei soggetti
responsabili - Disciplina applicabile e
giurisprudenza - Art. 256, c. 3 D.Lgs. n.
152 del 2006.
In caso di comproprietà indivisa dell'area
la confisca non può essere disposta nei
confronti di quei comproprietari che non
siano responsabili, quanto meno a titolo di
concorso, del reato di discarica abusiva,
non potendo applicarsi la misura di
sicurezza, ablativa della proprietà, in
danno di persone che non hanno commesso
alcun illecito penalmente rilevante e non
avendo l'area medesima natura
intrinsecamente criminosa (vedi Cass., Sez.
3, 26.02.2002, n. 7430, Bessena).
La restituzione dell'intero bene, però, ad
uno o più titolari della comproprietà
indivisa rimasti estranei al reato,
consentirebbe anche al proprietario
condannato di riacquistare la piena
disponibilità dell'immobile, con evidente
elusione della "ratio" della norma,
che va individuata nell'opposta esigenza di
evitare che l'area interessata rimanga nella
disponibilità del proprietario il quale la
abbia già utilizzata come strumento del
reato. Affinché, pertanto, il diritto del
terzo estraneo al reato non venga
sacrificato, la quota di spettanza di esso
estraneo potrà essergli restituita come
proprietà singolare sulla quale il reo non
abbia diritto di disporre (Cass., Sez. 3,
21.02.2006, n. 6441, Serra).
In conclusione, allorché venisse ravvisata -
nel giudizio di rinvio - la
corresponsabilità di tutti i comproprietari,
dovrà essere disposta la confisca
dell'intera area; mentre, in caso di
responsabilità limitata ad alcuni soltanto
dei comproprietari, la confisca medesima
dovrà essere limitata alle sole quote dei
soggetti condannati, demandandosi alla fase
esecutiva la individuazione concreta di tale
quota.
RIFIUTI - Discarica
abusiva - Sentenza di condanna o decisione
emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. -
Confisca - Continuità normativa tra l'art.
51, c. 3, D.L.vo n. 22/1997 e il D.Lgs. n.
152/2006, art. 256, c. 3.
Sussiste una continuità normativa tra l'art.
51, comma 3, D.L.vo n. 22/1997 e la
disposizione D.Lgs. n. 152 del 2006, art.
256, comma 3, che è stata testualmente
riprodotta. Pertanto, alla sentenza di
condanna o alla decisione emessa ai sensi
dell'art. 444 del codice di procedura penale
consegue la confisca dell'area sulla quale è
realizzata la discarica abusiva se dì
proprietà dell'autore o del compartecipe al
reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica
o di ripristino dello stato dei luoghi
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.10.2010 n. 37199 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Inerti derivanti da
demolizione di edifici o da scavi di strade
- Deposito - Disciplina vigente - Codice CER
17.00.00 - Art. 51, cc. 1 e 2, D.L.vo n.
22/1997 - Art. 6 D.L.vo n. 22/1997 (oggi
art. 183 D.L.vo n. 152/2006).
Il deposito di rifiuti derivanti da
demolizioni edili, per essere lecito, deve
essere temporaneo ed effettuato sul posto.
La non assimilazione degli inerti derivanti
da demolizione di edifici o da scavi di
strade alle terre e rocce da scavo è stata
ribadita con il decreto legislativo n. 156
del 2006 (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 103 del
15.01.2008-Pagliaroli).
Pertanto gli inerti provenienti da
demolizioni o da scavi di manti stradali
erano e continuano ad essere considerati
rifiuti speciali anche in base al decreto
legislativo n. 152 del 2006, trattandosi di
materiale espressamente qualificato come
rifiuto dalla legge, del quale il detentore
ha l'obbligo di disfarsi avviandolo o al
recupero o allo smaltimento (codice CER
17.00.00).
Infine, i residui delle attività di
demolizione edile non costituiscono rifiuti
speciali se sono destinati ad essere
certamente riutilizzati (Corte di
cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.10.2010 n. 37195 -
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EDILIZIA PRIVATA: I
parcheggi pertinenziali possono essere
realizzati anche in aree di terzi.
La sentenza in commento offre un valido
spunto di riflessione circa la lettura
dell’articolo 9 della legge Tognoli (legge
122/1989) relativa alla realizzazione di
parcheggi interrati. In particolare, il caso
descritto attiene all’applicazione della
seconda parte del comma 1 che viene
considerata riferita ad un secondo ambito di
applicazione.
In apertura del comma viene
riconosciuta ai proprietari di immobili la
possibilità di realizzare parcheggi nel
piano terra o nel sottosuolo degli immobili
medesimi in funzione dei quali si realizzano
tali servizi. Questa porzione del comma ha
dunque destinatari specifici: i proprietari.
La seconda parte, nella quale si riconosce
impersonalmente, senza individuare i
beneficiari della facoltà riconosciuta, la
possibilità di realizzare tale tipologia di
parcheggi anche in aree esterne ai
fabbricati in deroga agli strumenti
urbanistici vigenti, non si rivolge solo ai
proprietari degli immobili.
Secondo il
collegio giudicante una corretta lettura
dell’articolo comporta l’adesione ad una
nozione di pertinenzialità che non sia di
tipo civilistico e quindi legata al dato
materiale dell’accessorietà e
dell’asservimento al fabbricato quanto
piuttosto di tipo giuridico.
I magistrati
della quarta sezione ritengono che in
edilizia la pertinenzialità sia esistente
quando un’area risulta priva di autonoma
destinazione e di autonomo valore di mercato
e esaurisce la propria destinazione d’uso
nel rapporto funzionale con l’edificio
principale, tanto da non incidere sul carico
urbanistico.
Pertanto, se questa è la
definizione cui far affidamento, allora è
possibile,in relazione all’articolo 9 della
legge Tognoli, che l’area esterna non si
trovi in rapporto di immediata contiguità
materiale con il fabbricato cui i
realizzandi parcheggi sono destinati ad
accedere, peraltro l’area esterna può essere
originariamente di proprietà di soggetto
diverso dal proprietario dell’immobile nei
cui confronti i p archeggi sono destinati a
diventare pertinenziali (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 18.10.2010 n. 7549 -
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APPALTI:
Sui requisiti necessari affinché
possa configurarsi un consorzio avente
carattere di stabilità.
Sulla legittimità del
provvedimento di aggiudicazione adottato da
una stazione appaltante nei confronti di un
consorzio che, ai fini della partecipazione
ad una gara d'appalto, abbia scelto, quali
esecutrici dei lavori, imprese dotate di
requisiti tecnico-finanziari non
corrispondenti ai propri.
In ordine all'individuazione dei requisiti
necessari al fine di attribuire ad un
consorzio il carattere di stabilità che gli
consenta, peraltro, di usufruire delle
relative agevolazioni di settore, ai sensi
dell'art. 36, comma I, del d.lgs. n.
163/2006 (Codice dei contratti), non occorre
un atto che formalizzi l'autonomia della
struttura d'impresa, né la decisione, da
parte delle singole consorziate, di agire
congiuntamente, ma è sufficiente che dallo
statuto e dall'atto costitutivo emerga, come
nel caso di specie, la presenza di una
dimensione organizzativa compatibile con il
modello giuridico-formale in questione.
E' legittimo il provvedimento di
aggiudicazione adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un consorzio
che, in sede di partecipazione, abbia
indicato, quali sue ausiliarie ai fini
dell'esecuzione dei lavori, imprese in
possesso di requisiti non corrispondenti ai
propri, ciò in quanto, ai sensi dell'art. 12
della L. n. 109/1994, nonché dell'art. 36
del d.lgs. n. 163/2006, il consorzio e le
singole imprese consorziate, pur conservando
una autonoma soggettività giuridica, sono
legate tra loro da un rapporto di tipo
organico, in virtù del quale parte
contraente resta il consorzio, il solo
competente nell'esecuzione dell'appalto, il
quale stipula in nome proprio, ma per conto
delle stesse singole imprese; pertanto, è ai
requisiti di idoneità tecnico-finanziaria da
esso posseduti che occorre fare riferimento
in sede di valutazione dei presupposti
necessari ai fini della partecipazione alla
gara (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 15.10.2010 n. 7524 -
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APPALTI:
Consorzi - Art. 36 d.lgs. n.
163/2006 - Partecipazione alla gara -
Istituzione formale - Necessità -
Esclusione.
L’art. 36, I c., del D.Lgs. n. 163 del 2006
stabilisce che “Si intendono per consorzi
stabili quelli, in possesso, a norma
dell'articolo 35, dei requisiti previsti
dall'articolo 40, formati da non meno di tre
consorziati che, con decisione assunta dai
rispettivi organi deliberativi, abbiano
stabilito di operare in modo congiunto nel
settore dei contratti pubblici di lavori,
servizi, forniture, per un periodo di tempo
non inferiore a cinque anni, istituendo a
tal fine una comune struttura di impresa”.
La norma non prevede espressamente che la
autonoma struttura di impresa debba essere
formalmente istituita, né che la decisione
delle imprese consorziate di operare in modo
congiunto debba essere formalizzata in un
atto all’uopo redatto. In base al principio
del favor partecipationis essa
disposizione va quindi interpretata nel
senso che consenta la più larga
partecipazione possibile alla gara.
Consorzi -
Partecipazione alle procedure di evidenza
pubblica - Requisiti soggettivi.
In tema di requisiti soggettivi di
partecipazione dei Consorzi alle procedure
di evidenza pubblica, la giurisprudenza è
orientata nel senso che, una volta che il
Consorzio abbia superato la preselezione
valendosi anche della somma dei requisiti
delle ditte consorziate, non può più
richiedersi ad esso l'esecuzione da parte di
una singola consorziata anche se è tale
ditta che assicura la presenza dei requisiti
soggettivi richiesti per l'ammissione alla
gara, essendo l'esecuzione dell'appalto di
competenza del Consorzio, che potrà
adempiere secondo le regole contrattuali che
sono a fondamento della sua costituzione e
del suo funzionamento, sempre che non siano
richiesti requisiti soggettivi che attestino
una capacità tecnica specifica che
l'ordinamento riconosca solo ad alcuni
soggetti con una regolamentazione a livello
normativo delle modalità di conseguimento di
tale idoneità, come l’iscrizione in albi,
elenchi speciali ovvero conseguimento di
particolari abilitazioni (Consiglio Stato,
sez. V, 29.11.2004, n. 7765).
Il Consorzio stipula quindi il contratto in
nome proprio ma per conto delle imprese
consorziate, alle quali poi assegna i
lavori, senza che sia obbligato a rispettare
l’assegnazione originaria, anche perché il
D.P.R. n. 34 del 2000 non prevede la
coincidenza tra le qualificazioni delle
singole imprese consorziate e la
qualificazione SOA del Consorzio (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 15.10.2010 n. 7524 -
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EDILIZIA PRIVATA: E'
da qualificarsi come ristrutturazione
edilizia la realizzazione di una scala
interna di collegamento tra piano terra,
primo piano e sottotetto, oltre che gli
interventi di parziale rifacimento dei solai
e della pavimentazione, la quale è
funzionale alla realizzazione di una unità
abitativa all’interno di una vecchia
cascina, i cui spazi vengono pertanto
ripensati per essere resi funzionali a nuove
esigenze di tipo abitativo.
“Rinnovare” e “sostituire” sono concetti non
compatibili con un intervento edilizio
consistente nella creazione ex novo di un
elemento ulteriore.
La questione ruota tutta intorno alla
possibilità di considerare manutenzione
straordinaria (come assume il ricorrente) o
ristrutturazione edilizia (come sostiene il
Comune) un intervento edilizio di creazione
di una scala interna di collegamento tra
unità immobiliari posti a piani diversi in
una vecchia cascina, attualmente
raggiungibili soltanto attraverso una scala
esterna (tra piano terra e primo piano) o –a
quanto è dato di capire- attraverso
l’utilizzo di attrezzature mobili (tra primo
piano e sottotetto),
La questione deve essere risolta nel senso
della sussumibilità dell’intervento in esame
nel paradigma della ristrutturazione
edilizia in quanto la realizzazione della
scala interna di collegamento tra piano
terra, primo piano e sottotetto, oltre che
gli interventi di parziale rifacimento dei
solai e della pavimentazione, è funzionale
alla realizzazione di una unità abitativa
all’interno di una vecchia cascina, i cui
spazi vengono pertanto ripensati per essere
resi funzionali a nuove esigenze di tipo
abitativo.
Siamo, pertanto, fuori dell’ambito massimo
di estensione della manutenzione
straordinaria, che ricomprende per l’art. 3,
co. 1, lett. b), d.p.r. 380/2001 (norma di
riferimento, in quanto nella potestà
legislativa concorrente in materia
urbanistica le definizioni degli interventi
edilizi costituiscono norme di principio), “le
opere e le modifiche necessarie per
rinnovare e sostituire parti anche
strutturali degli edifici, nonché per
realizzare ed integrare i servizi
igienico-sanitari e tecnologici, sempre che
non alterino i volumi e le superfici delle
singole unità immobiliari e non comportino
modifiche delle destinazioni di uso”,
“Rinnovare” e “sostituire” sono concetti non
compatibili con un intervento edilizio
consistente nella creazione ex novo
di un elemento ulteriore.
Nel complessivo progetto presentato dal
ricorrente è corretto vedere, pertanto, come
ha fatto il Comune, la creazione di un
organismo parzialmente diverso da quello
esistente che giustifica l’attribuzione allo
stesso della categoria della
ristrutturazione
(TAR Lombardia-Brescia, sez. I,
sentenza 15.10.2010 n. 4036 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Principio di pubblicità delle
sedute - Verifica preliminare ed esterna
della regolarità dei plichi - Seduta
pubblica - Necessità - Esame degli elementi
valutativi delle offerte - Seduta riservata
- Ragioni.
Il principio di pubblicità delle sedute, nel
corso delle quali vengono svolti gli
adempimenti connessi alla verifica della
regolarità della documentazione richiesta
dalle regole di gara, ai fini della
ammissibilità delle offerte, è applicazione
del più generale principio di pubblicità e
trasparenza dell’azione amministrativa (art.
97 Cost.), ed è posto a garanzia, oltre che
degli interessi pubblici richiamati, anche
dei privati che partecipano alle procedure
contrattuali pubbliche, i quali in tal modo
sono posti in condizione di verificare la
correttezza dell’attività amministrativa
nelle singole gare.
La seduta pubblica deve essere adottata
anche quando si tratti della verifica
preliminare ed esterna della regolarità dei
plichi contenenti la documentazione
dell’offerta tecnica oggetto di valutazione
da parte della commissione giudicatrice;
l’esame degli elementi valutativi delle
offerte tecniche deve essere invece
effettuato in seduta riservata , al fine di
evitare i condizionamenti che possono
derivare dalla presenza dei concorrenti
diretti interessati (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 15.10.2010 n. 2299 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI:
La competenza ad emettere
l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in
un'area interessata da deposito abusivo
spetta al dirigente dell'ufficio tecnico
comunale e non al sindaco.
La giurisprudenza prevalente, con cui il
Collegio concorda, ha infatti da tempo
chiarito che ai sensi dell'art. 14 D.L.vo n.
22/1997 (ora art. 192 D.L.vo n. 152/2006 che
ha diversamente “ripristinato”
espressamente la competenza del sindaco), la
competenza ad emettere l'ordinanza di
rimozione dei rifiuti in un'area interessata
da deposito abusivo spetta al dirigente
dell'ufficio tecnico comunale e non al
sindaco.
Ciò perché la lettura della disposizione di
cui al 3º comma dell’art. 14 d.lgs. n. 22
del 1997, che attribuisce al sindaco la
possibilità di emanare ordinanze di
ripristino dello stato dei luoghi, deve
infatti tenere in considerazione l’art. 107,
co. 5, TUEL secondo cui le disposizioni che
conferiscono agli organi di governo del
comune e della provincia «l’adozione di
atti di gestione e di atti o provvedimenti
amministrativi, si intendono nel senso che
la relativa competenza spetta ai dirigenti»
(Cons. Stato, Sez. V, 12.06.2009, n. 3765;
TAR Lombardia, Mi, Sez. IV, 10.06.2009, n.
3942; TAR Abruzzo, Pe, 31.03.2009, n. 197;
TAR Basilicata 18.09.2003 n. 878; TAR
Campania, Na, Sez. I, 12.06.2003 n. 1291;
TAR Lombardia, Bs, 25.09.2001 n. 792; cfr.
anche Cass., Sez. III, 15.06.2006) (TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 13.10.2010 n. 6453 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
oneri economici gravanti sul titolare di una
concessione edilizia non sorgono per effetto
del mero rilascio del titolo, ma sono
geneticamente connessi all’effettiva
attività di trasformazione del territorio.
Gli oneri economici gravanti sul titolare di
una concessione edilizia non sorgono per
effetto del mero rilascio del titolo, ma
sono geneticamente connessi all’effettiva
attività di trasformazione del territorio;
lo si ricava dalle norme dell’art. 11 della
L. 10/1977 laddove prevedono che il
versamento del costo di costruzione deve
avvenire in corso d’opera e non oltre
sessanta giorni dalla conclusione dei
lavori, mentre gli oneri di urbanizzazione
sono versati al momento del rilascio del
titolo edilizio, salvo che non sia pattuita
la realizzazione diretta delle opere di
urbanizzazione a carico del concessionario.
In proposito, la giurisprudenza è solita
affermare che “l'obbligazione assunta di
provvedere alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione da colui che stipula una
convenzione edilizia è propter rem, ma nel
senso che essa va adempiuta non solo da
colui che tale convenzione ha stipulato, ma
anche da colui, se soggetto diverso, che
richiede la concessione edilizia (vedi
Cassazione civile sez. I, 20.12.1994, n.
10947; nonché Cassazione civile, sez. II,
26.11.1988 n. 6382); ovvero nel senso che
colui che realizza opere di trasformazione
edilizia ed urbanistica, valendosi della
concessione edilizia rilasciata al suo dante
causa, ha nei confronti del Comune gli
stessi obblighi che gravano sull'originario
concessionario, ed è con quest'ultimo
solidalmente obbligato per il pagamento
degli oneri di urbanizzazione (vedi
Cassazione civile sez. III, 17.06.1996, n.
5541)” (Tar Catania 3011/2004), e che “Gli
oneri relativi alle opere di urbanizzazione
costituiscono una obbligazione "propter
rem": pertanto colui che realizza opere di
trasformazione edilizia od urbanistica
valendosi della concessione edilizia
rilasciata al suo dante causa, ha nei
confronti del Comune gli stessi obblighi che
gravano sull'originario concessionario ed è
con quest'ultimo solidamente obbligato per
il pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Nulla vieta dal punto di vista logico prima
che giuridico che alle identiche conclusioni
debba pervenirsi in ordine alla parte del
contributo commisurato al costo di
costruzione; questo, infatti, in uno con gli
oneri di urbanizzazione costituisce "il
contributo" per il rilascio per permesso di
costruire (già c.e.) con conseguente e
doverosa disciplina unitaria ai fini che qui
interessano delle due voci in cui si viene a
scomporre” (Tar Bari 2078/2008).
Più di recente, questa Sezione (cfr.
sentenza 602/2009) ha avuto modo di
pronunciarsi ulteriormente sulla questione,
operando dei distinguo più sottili che la
hanno portata a precisare che “la
solidarietà [fra titolare della concessione
edilizia e cessionario del titolo, n.d.r.]
potrebbe dunque sussistere solo laddove il
presupposto di esigibilità del credito,
ossia l’edificazione, abbia avuto
consistenza in capo al dante causa ed al
cessionario, in quanto, in tal caso,
l’identico fenomeno urbanistico ed edilizio
ha tratto origine da due coautori”.
Si è tratta, quindi, ex adverso la
ulteriore conclusione che, ove ci sia stata
voltura a favore di terzi del titolo
edilizio da parte dell’originario titolare,
unita al mancato avvio da parte di costui di
alcuna attività edificatoria, l’intestatario
iniziale della concessione deve essere
ritenuto libero da ogni obbligo pecuniario
nei confronti dell’ente concedente per oneri
concessione e per contributo di costruzione,
e libero altresì da ogni responsabilità per
eventuali abusi edilizi realizzati dal
cessionario
(TAR Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 12.10.2010 n. 4104 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
trasferimento del diritto di proprietà su un
immobile non implica ex se anche il
trasferimento dello ius aedificandi concesso
dall’ente pubblico sul medesimo terreno al
proprietario, dal momento che è ben
possibile –ad esempio– trasferire la sola
proprietà del suolo costituendo
contestualmente un diritto di superficie a
favore dell’alienante/titolare di
concessione edilizia.
Il trasferimento del diritto di proprietà su
un immobile non implica ex se anche
il trasferimento dello ius aedificandi
concesso dall’ente pubblico sul medesimo
terreno al proprietario, dal momento che è
ben possibile –ad esempio– trasferire la
sola proprietà del suolo costituendo
contestualmente un diritto di superficie a
favore dell’alienante/titolare di
concessione edilizia.
La legge (art. 4, co. 6, L. 10/1977; oggi
art. 11 del D.P.R. 380/2001) afferma che “La
concessione è trasferibile ai successori o
aventi causa”. Si può, quindi,
concludere che lo ius aedificandi può
costituire oggetto di trasferimento o in via
autonoma (ad esempio, a favore del
promissario acquirente; Tar Latina,
636/2005), ovvero in uno con l’immobile
stesso.
Qualunque sia, comunque, la modalità di
trasferimento del diritto di edificare già
concesso dalla PA su un determinato immobile
–cioè, sia nell’ipotesi in cui venga solo
trasferito lo ius aedificandi; sia
nel caso in cui venga trasferita anche la
proprietà del terreno sottostante–
l’acquirente non diviene automaticamente
parte del rapporto pubblicistico di natura
concessoria sussistente tra il cedente e
l’ente pubblico, essendo a tale scopo
necessario formulare al Comune una richiesta
di subentro nel titolo edilizio già
rilasciato al dante causa; richiesta che non
può essere respinta.
In questa ottica si spiegano le affermazioni
registrate in giurisprudenza secondo le
quali “la successione nel diritto reale,
pur non comportando l'automatico
trasferimento della concessione stessa in
capo al subentrante, tuttavia rende la
voltura atto dovuto” (Cons. Stato, V,
1168/1991; negli stessi termini, Tar
Catania, 276/2007), o “Il regolare
trasferimento di un immobile oggetto di
concessione di costruzione determina "ex se"
il titolo dell'acquirente a subentrare nella
concessione stessa, configurandosi la
voltura come un atto di novazione soggettiva
del rapporto tra l'amministrazione (parte
immutata) ed il privato (parte mutata); (…)”
(Tar Napoli, 2114/2002)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 12.10.2010 n. 4104 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La voltura di una concessione
edilizia concreti un atto di mera novazione
soggettiva del rapporto tra
l’amministrazione (parte immutata) e il
privato (parte mutata) che non esplica
alcuna incidenza sul contenuto precettivo
della concessione e sull’utilizzazione
assentita del territorio, ma rileva
esclusivamente sotto il profilo soggettivo
nel senso di ricomporre la corrispondenza,
venuta meno a causa dell’alienazione
dell’oggetto sul quale deve esplicarsi
l’attività edilizia, tra intestatario della
concessione e titolare della situazione
giuridica.
La giurisprudenza amministrativa è concorde
nel ritenere che la voltura di una
concessione edilizia concreti un atto di
mera novazione soggettiva del rapporto tra
l’amministrazione (parte immutata) e il
privato (parte mutata) che non esplica
alcuna incidenza sul contenuto precettivo
della concessione e sull’utilizzazione
assentita del territorio, ma rileva
esclusivamente sotto il profilo soggettivo
nel senso di ricomporre la corrispondenza,
venuta meno a causa dell’alienazione
dell’oggetto sul quale deve esplicarsi
l’attività edilizia, tra intestatario della
concessione e titolare della situazione
giuridica.
Da ciò consegue che la voltura, eseguita
successivamente all’alienazione
dell’immobile oggetto dell’intervento (come
nel caso), a favore dei nuovi proprietari,
consente di rimuovere eventuali vizi
originari del titolo autorizzatorio sanando
ogni illegittimità ( C.S, Sez. V,
20.07.2000, n. 3854; C.S., Sez. V,
18.10.1996, n. 1252) (TAR Sicilia-Catania,
Sez. I,
sentenza 12.10.2010 n. 4084 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Tacere sulle condanne riportate
comporta l’esclusione dalla gara di appalto.
Gli oneri posti a carico del partecipante ad
una gara di appalto, tra qui quello di
dichiarare, sotto pena di falso, tutte le
condanne riportate -con esclusione di quelle
per cui vi sia stata riabilitazione o non
menzione- costituiscono “lex specialis”.
Essi rientrano tra i criteri applicativi e
non possono ritenersi illegittimi laddove
non dispongono l’estromissione immediata
della società partecipante alla gara ma
prevedono la avocazione alla stazione
appaltante di ogni valutazione in merito
alla rilevanza dei requisiti richiesti
(nella specie, rilevanza delle condanne in
relazione all’incidenza sulla affidabilità
morale e professionale).
L’irrilevanza delle condanne, con
riferimento al giudizio di affidabilità
morale o professionale dei partecipanti alla
gara può sempre essere sottoposta al vaglio
di legittimità innanzi al Giudice
amministrativo.
Ciò che rileva nella fattispecie, invece, è
il fatto che tutte le sentenze di condanna,
fatte salve quelle pronunce per le quali
fosse intervenuto formale provvedimento di
riabilitazione o fosse stata dichiarata
l’estinzione, dovevano essere espressamente
indicate, comprese quelle per le quali era
stato concesso il beneficio della non
menzione.
La mancata dichiarazione da parte del
partecipante alla gara di appalto di tutte
le sentenze di condanna, fatte salve quelle
pronunce per le quali fosse intervenuto
formale provvedimento di riabilitazione,
estinzione, o non menzione, incide non già
sugli effetti di tali condanne, ma sulla
situazione di infedeltà, reticenza o
inaffidabilità della società che ha
dichiarato un fatto non vero correlando
così, la propria offerta, con
un’attestazione falsa.
Alla violazione degli obblighi dichiarativi
consegue la legittima l’esclusione dalla
gara della società partecipante, non potendo
aver rilievo l’indagine sui motivi che
avevano indotto a sottacere tali condanne o
l’insussistenza del dolo o della colpa (C.S.
n. 4906/2009, n. 353/2002, n. 3183/2002)
(massima tratta da www.litis.it - Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 08.10.2010 n. 7349 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Reato di lottizzazione abusiva -
Frazionamento della proprietà - Atti
negoziali con previsioni pattizie - Reato a
carattere permanente e progressivo
nell'evento - Concorso nel reato -
Prescrizione - Computo.
Si configura il reato di lottizzazione
abusiva anche quando l'attività posta in
essere sia successiva agli atti di
frazionamento o ad opere già eseguite,
perché tali attività iniziali, pur
integrando la figura del reato, non
definiscono l'iter criminoso che si perpetua
negli interventi che incidono sull'assetto
urbanistico.
Tenuto conto che il reato in questione è,
per un verso, un reato a carattere
permanente e progressivo e per altro verso a
condotta libera, si deve considerare in
primo luogo che non vi è alcuna coincidenza
tra il momento in cui la condotta assume
rilevanza penale e il momento di cessazione
del reato, in quanto anche la condotta
successiva alla commissione del reato dà
luogo ad una situazione antigiuridica di
pari efficacia criminosa.
In secondo luogo, se il reato di
lottizzazione abusiva si realizza anche
mediante atti negoziali diretti al
frazionamento della proprietà, con
previsioni pattizie rivelatrici
dell'attentato al potere programmatorio
dell'autorità comunale, ciò non significa
che l'azione criminosa si esaurisca in
questo tipo di condotta perché l'esecuzione
di opere di urbanizzazione primaria e
secondaria ulteriormente compromettono le
scelte di destinazione e di uso del
territorio riservate alla competenza
pubblica (Cass., Sez. Unite, 24/04/1992,
Fogliari).
Tutti i concorrenti e coloro che hanno
cooperato rispondono della lottizzazione
abusiva nella sua interezza e,
conseguentemente, la prescrizione inizia a
decorrere, per tutti, dal compimento
dell'ultimo atto integrante la condotta
illecita, che può consistere nella
stipulazione di atti di trasferimento,
nell'esecuzione di opere di urbanizzazione,
nell'ultimazione dei manufatti che
compongono l'insediamento.
Lottizzazione abusiva
negoziale - Frazionamento di un terreno -
Trasferimento con quote societarie - C.d.
suddivisione fattuale - Mancanza di atti
formali di vendita dei lotti -
Configurabilità - Presupposti - Art. 30, 1°
c., T.U.E. n. 380/2001 - Art. 18, 1° c., L.
n. 47/1985.
Il trasferimento di un terreno, sulla base
di quote societarie che conferiscono
sostanzialmente al suolo un assetto
proprietario frazionato in lotti, è idoneo
ad integrare il reato di lottizzazione
abusiva c.d. "negoziale", tutte le
volte che da elementi indiziari -indicati
con elencazione non tassativa dall'art. 18,
1° comma, della legge n. 47/1985 ed
attualmente dall'art. 30, 1° comma, del T.U.
n. 380/2001- risulti in modo non equivoco la
destinazione dei lotti a scopo edificatorio.
Il frazionamento di un terreno, può
realizzarsi con qualsiasi forma di
suddivisione fattuale dello stesso,
dovendosi ritenere che il termine “frazionamento"
-già nell'art. 18, 1° comma, della legge n.
47/1985 ed attualmente nell'art. 30, 1°
comma, del T.U. n. 380/2001- sia stato
utilizzato dal legislatore in modo atecnico,
con riferimento a qualsiasi attività
giuridica che abbia per effetto la
suddivisione in lotti di una più ampia
estensione territoriale, comunque
predisposta od attuata ed anche se avvenuta
in forma non catastale, attribuendone la
disponibilità ad altri al fine di realizzare
una non consentita trasformazione
urbanistica o edilizia del territorio
(Cass., Sez. III: 26.10,2007, Casile;
29.02.2000, n. 3668, Pennelli).
Sicché, l'attività di frazionamento abusivo
di un terreno può realizzarsi anche in
mancanza di atti formali di vendita dei
lotti, in presenza di elementi indiziari che
consentono tuttavia di riconoscere
l'esistenza di quegli "atti giuridici
equivalenti alla vendita" idonei a
configurare anch'essi una lottizzazione
abusiva.
Reato di lottizzazione
abusiva - Concorso di persone - Necessità di
un accordo preventivo - Esclusione.
Il reato di lottizzazione abusiva nella
molteplicità di forme che esso può assumere
in concreto, può essere posto in essere da
una pluralità di soggetti, i quali, in base
ai principi che regolano il concorso di
persone nel reato, possono partecipare alla
commissione del fatto con condotte anche
eterogenee e diverse da quella strettamente
costruttiva, purché ciascuno di essi apporti
un contributo causale alla verificazione
dell'illecito (sia pure svolgendo ruoli
diversi ovvero intervenendo in fasi
circoscritte della condotta illecita
complessiva) e senza che vi sia alcuna
necessità di un accordo preventivo [Cass.,
Sez. III 21.12.2009, n. 48924, Tortora ed
altri; Cass. 08,10.2009, n. 39078, Apponi ed
altri; Cass. 22.09.2009, n. 36844, Contò;
Cass. 29.04.2009, n. 17865, P.M. in proc.
Quarta ed altri] (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 07.10.2010 n. 35968 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Asta pubblica ed esclusione per
errore di inserimento nella busta della
ricevuta di cauzione.
Sebbene nella disciplina di gara, asta
pubblica al prezzo più alto, è previsto che
la busta contenente l’offerta deve essere
sigillata ed inserita, insieme ad altra
documentazione (compresa la ricevuta del
prescritto deposito cauzionale) nella busta
contenitore più grande anch’essa sigillata,
non è comminata espressamente l’esclusione
della gara per il caso in cui la ricevuta
del deposito cauzionale venga posta nella
busta contenente l’offerta invece che nella
busta contenitore, prevedendosi invece
l’esclusione per il mancato versamento del
deposito cauzionale (massima tratta da
www.litis.it - Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.10.2010 n. 7335 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’esecuzione
delle opere elencate dal novellato art. 6
del DPR 380/2001 è possibile senza il
rilascio di alcun titolo abilitativo purché
la realizzazione delle stesse sia
compatibile con le destinazioni impresse
alle varie aree dallo strumento urbanistico
vigente.
Il Collegio ritiene condivisibile
l’interpretazione della nuova disciplina
legislativa seguita dall’Amministrazione
resistente giacché l’art. 6 del DPR
380/2001, come modificato dalla legge n.
73/2010, espressamente statuisce che “(…)
possono essere eseguiti senza alcun titolo
abilitativo i seguenti interventi: (…) le
opere di pavimentazione e di finitura di
spazi esterni, anche per aree di sosta, (…),
ove stabilito dallo strumento urbanistico
comunale”.
Sulla scorta dei criteri di interpretazione
letterale e sistematico, appare
condivisibile la tesi seguita dal Comune
secondo la quale l’esecuzione delle opere
elencate dal citato art. 6 è possibile senza
il rilascio di alcun titolo abilitativo
purché la realizzazione delle stesse sia
compatibile con le destinazioni impresse
alle varie aree dallo strumento urbanistico
vigente
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 30.09.2010 n. 5244 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nell'istruire un'istanza di
permesso di costruire v'è l'obbligo di
verificare che esista il titolo per
intervenire sull'immobile per il quale è
richiesto il permesso di costruire e che,
quindi, questo sia rilasciato al
proprietario dell'area o a chi abbia titolo
per richiederla e non, invece, l’obbligo di
compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali, ovvero
accertamenti in ordine ad eventuali pretese
che potrebbero essere avanzate da soggetti
estranei al rapporto concessorio.
A seguito della domanda di rilascio del
permesso di costruire, a carico
dell'Amministrazione incombe solo l'obbligo
di verificare che esista il titolo per
intervenire
sull'immobile per il quale è richiesto il
permesso di costruire e che, quindi, questo
sia
rilasciato al proprietario dell'area o a chi
abbia titolo per richiederla e non, invece,
l’obbligo di compiere complesse ricognizioni
giuridico-documentali, ovvero
accertamenti in ordine ad eventuali pretese
che potrebbero essere avanzate da soggetti
estranei al rapporto concessorio (massima tratta da http://doc.sspal.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
27.08.2010 n. 4416 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La motivazione del provvedimento
amministrativo è finalizzata a consentire al
cittadino la
ricostruzione dell'iter logico e giuridico
attraverso cui l'amministrazione si è
determinata ad
adottare un dato provvedimento,
controllando, quindi, il corretto esercizio
del potere ad
esso conferito dalla legge e facendo valere,
eventualmente nelle opportune sedi, le
proprie
ragioni.
La motivazione del provvedimento
amministrativo è finalizzata a consentire al
cittadino la
ricostruzione dell'iter logico e giuridico
attraverso cui l'amministrazione si è
determinata ad
adottare un dato provvedimento,
controllando, quindi, il corretto esercizio
del potere ad
esso conferito dalla legge e facendo valere,
eventualmente nelle opportune sedi, le
proprie
ragioni.
Pertanto, la garanzia di adeguata
tutela delle ragioni del privato non viene
meno
per il fatto che nel provvedimento
amministrativo finale non risultino
chiaramente e
compiutamente rese comprensibili le ragioni
sottese alla scelta fatta dalla pubblica
amministrazione, allorché le stesse possano
essere agevolmente colte dalla lettura degli
atti
afferenti alle varie fasi in cui si articola
il procedimento.
La motivazione è obbligo che viene
rispettato non solo quando è l’atto finale
ad essere compiutamente giustificato ma,
soprattutto, nei casi in cui la normativa
non impone modi di esternazione delle
ragioni particolarmente analitici, quando le
regole procedimentali vengano accuratamente
seguite, in modo tale che si possa
ragionevolmente ritenere che gli organi
pubblici abbiano agito sotto un velo di
ignoranza sull’esito finale del loro
operato, così escludendo parzialità ed
inefficienze (massima tratta da http://doc.sspal.it
- Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5165
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Su alcune questioni
attinenti le fasi e modalità di svolgimento
di un pubblico concorso.
Nei concorsi pubblici, non è prescritta la
verbalizzazione della votazione assegnata da
ciascun commissario, salvo che risulti il
dissenso da parte di taluno dei commissari,
ai
quali solo spetta di invalidare per tale
motivo la verbalizzazione della seduta, in
quanto, in
un’ottica di maggiore rilievo e salve
diverse disposizioni del bando o dei criteri
fissati dalla
commissione esaminatrice, l'onere di
verbalizzazione delle operazioni di concorso
(di cui
all'art. 14 d.p.r. 09.05.1994 n. 487) è
sufficientemente garantito dall'indicazione
del
giudizio finale.
Nei
concorsi pubblici, la predeterminazione dei
criteri di valutazione delle prove è
connotata da un’ampia discrezionalità, per
cui i criteri adottati sfuggono al sindacato
giurisdizionale, salvi i casi di manifesta
illogicità e irrazionalità.
Nei concorsi pubblici il punteggio numerico
deve essere considerato di per sé idoneo a
sorreggere l'obbligo di motivazione
richiesto dall'art. 3 l. 07.08.1990 n.
241 anche
qualora non siano rinvenibili sull’elaborato
segni grafici o glosse di commento a
margine.
Nei concorsi pubblici, la stringatezza dei
tempi di correzione degli elaborati
costituisce
vicenda normalmente sottratta al controllo
di legittimità; la relativa censura deve
ritenersi
inammissibile, ove sia prospettata non in
relazione ad un dato assoluto (tempo
effettivamente occorso), ma ad un dato
relativo (tempi medi di correzione), facendo
risaltare l’assenza di alcuna prova o
indizio dell'asserita incongruità del tempo
occorso alla
correzione delle prove della parte
interessata, risultando dai verbali solo
l'indicazione del tempo occorso alla
correzione degli elaborati svolti da un
certo numero di candidati (massima tratta da http://doc.sspal.it
- Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5165
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’accorpamento
di due finestre e la trasformazione di altra
finestra in porta rappresentano modifiche
degli elementi costitutivi dell’edificio ed
inserimento di nuovi, funzionali alla
trasformazione parziale dell’edificio e,
come tali, sono stati classificati dalla
giurisprudenza come interventi di
“ristrutturazione edilizia".
Il Collegio ribadisce il concetto che alcuni
dei lavori eseguiti (cioè, quelli che hanno
interessato la modifica del numero e della
consistenza delle finestre), pur se di
scarso rilievo strutturale e caratterizzati
da basso impatto estetico, si inseriscono
nel novero delle “ristrutturazioni
edilizie” previste dall’art. 20, co. 1,
lett. d, della L.R. 71/1978, e definite come
interventi “rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad
un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente. Tali interventi
comprendono il ripristino o la sostituzione
di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, la eliminazione, la modifica
e l'inserimento di nuovi elementi ed
impianti”.
Infatti, l’accorpamento di due finestre, e
la trasformazione di altra finestra in
porta, rappresentano modifiche degli
elementi costitutivi dell’edificio ed
inserimento di nuovi, funzionali alla
trasformazione parziale dell’edificio, e
come tali sono stati classificati dalla
giurisprudenza come interventi di “ristrutturazione
edilizia”: “L'apertura di porte e
finestre non rientra fra gli interventi di
manutenzione straordinaria e, in quanto
opere non di mero ripristino bensì
modificatrici dell'aspetto degli edifici,
vanno ricomprese fra quelle di
ristrutturazione edilizia per la cui
realizzazione è necessario il rilascio della
concessione edilizia” (Tar Basilicata,
135/2007); “L'ampliamento di
vano-finestra non rientra nell'ambito degli
interventi di manutenzione straordinaria, né
di restauro o risanamento conservativo (i
quali presuppongono, ai sensi dell'art. 3,
lett. b-c) d.P.R. n. 380/2001, la
sostituzione o la conservazione di elementi
-anche strutturali- degli edifici, che siano
comunque preesistenti, ovvero l'inserimento
di elementi nuovi, che abbiano tuttavia
carattere accessorio), ma nel novero degli
interventi di ristrutturazione edilizia, di
cui alla lettera c) del comma primo
dell'articolo 10 d.P.R. n. 380/2001, dal
momento che realizza un'oggettiva
trasformazione della facciata del palazzo
mediante la sostituzione e l'inserimento di
elementi, nonché la modifica di altri”
(Tar Napoli, 895/2009 e 505/2009)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 02.07.2010 n. 2641 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di sanatoria ex art. 13 L. 47/1985
(ora art. 36 DPR 380/2001) il Collegio
richiama la tesi tradizionale e più
rigorista anche recentemente sposata dalla
Sezione, che impone la verifica di
conformità dei lavori eseguiti sine titulo
con riguardo ad un doppio parametro
normativo: quello vigente alla data di
realizzazione, e quello vigente alla data di
esame della domanda di sanatoria; il tutto
in ossequio al principio di legalità.
Laddove si chiede l’applicazione della cd. “sanatoria
giurisprudenziale” il ricorrente allude,
in particolare, al filone giurisprudenziale
che –nell’interpretare l’art. 13 della L.
47/1985 (ed il corrispondente art. 36 del
D.P.R. 380/2001)– ha ritenuto sanabili le
opere realizzate in assenza o in difformità
dal titolo edilizio, purché risultino
conformi alla normativa urbanistica vigente
al momento dell’esame della relativa domanda
di sanatoria (cfr. Cons. Stato, V,
6498/2003; Cons. Stato, VI, 2835/2009).
Si tratta, in sostanza, di un orientamento
che ritiene sanabile l’abuso “formale”,
non necessariamente in presenza della “doppia
conformità”, ma a condizione che
sussista almeno la compatibilità delle opere
rispetto allo strumento urbanistico vigente
al momento della loro realizzazione.
Pur non disconoscendo le ragioni di utilità
pratica che sottostanno al predetto
orientamento, il Collegio richiama la tesi
tradizionale e più rigorista anche
recentemente sposata dalla Sezione, che
impone la verifica di conformità dei lavori
eseguiti sine titulo con riguardo ad
un doppio parametro normativo: quello
vigente alla data di realizzazione, e quello
vigente alla data di esame della domanda di
sanatoria; il tutto in ossequio al principio
di legalità.
Si richiamano, in proposito, le approfondite
argomentazioni in punto di diritto contenute
nella sentenza n. 5/2009 di questa Sezione
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 02.07.2010 n. 2641 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Rapporto fra Piano di
Lottizzazione e Convenzione di
Lottizzazione.
Un’ipotesi di lottizzazione, presentata da
soggetti privati, può essere presa in
considerazione e valutata favorevolmente
dall’Amministrazione comunale soltanto nel
caso in cui la stessa sia idonea a
soddisfare interessi pubblici di natura
urbanistica, per cui, mentre in presenza
dell’accordo di tutte le parti private
ricomprese in un comparto omogeneo lo stesso
è sicuramente valutabile positivamente
dall’Amministrazione in quanto capace di
poter compiutamente determinare un assetto
complessivo di una certa area, allorquando
questa volontà privata viene meno in parte,
come è accaduto nel caso di specie,
sicuramente l’Amministrazione è titolare del
potere di valutare se tale ridotta
composizione possa in qualche modo
soddisfare gli interessi pubblici di natura
urbanistica che la originaria lottizzazione
era in grado di portare a compimento
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.05.2010 n. 3217 -
link a www.altalex.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Alla violazione del termine finale di un
procedimento amministrativo non consegue la
illegittimità dell’atto tardivo.
Il ritardo non è un vizio in sé dell’atto ma
è un presupposto che può determinare, in
concorso con altre condizioni, una possibile
forma di responsabilità risarcitoria della
amministrazione.
Alla violazione del termine finale di un
procedimento amministrativo non consegue la
illegittimità dell’atto tardivo.
Lo stesso
art. 2-bis della legge n. 241 del 1990, come
introdotto dalla legge n. 69 del 2009,
correla alla inosservanza del termine finale
conseguenze significative sul piano della
responsabilità civile della Amministrazione,
ma
non include, tra le conseguenze giuridiche
del ritardo, profili afferenti la stessa
legittimità
dell’atto tardivamente adottato.
Il ritardo
non è quindi un vizio in sé dell’atto ma è
un presupposto che può
determinare, in concorso con altre
condizioni, una possibile forma di
responsabilità
risarcitoria della amministrazione (peraltro
soltanto dall’entrata in vigore della legge
n.
69/2009, che ha tipizzato la controversa
figura del danno da ritardo) (massima tratta da http://doc.sspal.it
- Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.04.2010 n. 1913
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La motivazione del provvedimento
non può essere integrata nel corso del
giudizio con la specificazione di elementi
di fatto, dovendo la motivazione precedere e
non seguire ogni provvedimento
amministrativo.
La motivazione del provvedimento non può
essere integrata nel corso del giudizio con
la specificazione di elementi di fatto,
dovendo la motivazione precedere e non
seguire ogni
provvedimento amministrativo; il fondamento
dell'illegittimità della motivazione postuma
va individuato nella tutela del buon
andamento amministrativo e nell'esigenza di
delimitazione del controllo giudiziario (massima tratta da http://doc.sspal.it
-
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 11.03.2010 n. 1443 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Non può ritenersi che
l'Amministrazione incorra nel vizio di
difetto di motivazione quando le ragioni del
provvedimento siano chiaramente intuibili
sulla base della parte dispositiva del
provvedimento impugnato.
Sebbene il divieto di motivazione postuma,
costantemente affermato dalla giurisprudenza
amministrativa, meriti di essere confermato,
rappresentando l'obbligo di motivazione il
presidio essenziale del diritto di difesa,
non può ritenersi che l'Amministrazione
incorra
nel vizio di difetto di motivazione quando
le ragioni del provvedimento siano
chiaramente intuibili sulla base della parte
dispositiva del provvedimento impugnato ed
esse siano state rese evidenti mediante
chiarimenti resi nel corso del giudizio (massima tratta da http://doc.sspal.it
- Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.03.2010 n. 1241
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Nel corso del processo
amministrativo non è consentito
all'amministrazione di integrare la
motivazione dell'atto impugnato con
deduzioni contenute in una memoria difensiva
o nell'atto d'appello susseguente alla sua
soccombenza in primo grado.
Nel corso del processo amministrativo non è
consentito all'amministrazione di integrare
la
motivazione dell'atto impugnato con
deduzioni contenute in una memoria difensiva
o
nell'atto d'appello susseguente alla sua
soccombenza in primo grado (massima tratta da http://doc.sspal.it
- Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 23.02.2010 n. 1047
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Sul
silenzio-assenso degli atti amministrativi.
E' da osservare sul piano letterale, che
l'art. 20 della L. 241/1990 si riferisce ai "procedimenti a
istanza di
parte per il rilascio di provvedimenti
amministrativi", con un richiamo quindi alla
macro
categoria dei provvedimenti amministrativi
che appare comprensivo di tutti gli atti di
natura autorizzatoria (ad eccezione delle
materie di cui all'art. 20, comma 4, e fatto
salvo, il
campo d'intervento dell'art. 19 sulla
attività private sottoposte a regime di
liberalizzazione).
Invero, la generale applicazione del
silenzio-assenso introdotta con la novella
della legge n.
80/2005 ha capovolto la prospettiva
risultante dal quadro normativo precedente,
nel quale
si era demandato ad un atto di normazione
secondaria (il DPR n. 300/1992,) la
individuazione
delle fattispecie alle quali applicare il
meccanismo di semplificazione amministrativa
di cui
si tratta, con la conseguenza che, nelle
ipotesi non espressamente previste, il
privato che
aspirasse ad un provvedimento esplicito, a
fronte dell'inerzia dell'amministrazione,
conservava la possibilità di proporre
ricorso avverso il c.d.
silenzio-inadempimento.
Se prima delle modifiche alla l. n. 241 del
1990 sopravvenute nel 2005, infatti, il
meccanismo di cui all'art. 20 poteva essere
considerato un'eccezione al principio della
conclusione del procedimento mediante
provvedimento espresso (cfr. art. 2, comma
1,
legge n. 241/1990) ed era ammesso solo in
ipotesi tassativamente determinate, ora con
la
legge n. 80/2005 esso diviene una regola
generale, mentre sono tassative le
eccezioni.
Nel nuovo assetto conferito all'istituto, la
tutela dell'interesse pubblico non è priva
di
adeguati strumenti di tutela posto che
l'art. 20 prevede al comma 3 l'adozione di
determinazioni in via di autotutela ai sensi
degli artt. 21-quinquies e 21-nonies (massima tratta da http://doc.sspal.it
- Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.02.2010 n. 1034 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L'annullamento d'ufficio del provvedimento
della P.A. presuppone una congrua
motivazione sull'interesse pubblico attuale
e concreto a sostegno dell'esercizio
discrezionale dei poteri di autotutela, con
una adeguata ponderazione comparativa, che
tenga anche conto dell'interesse dei
destinatari dell'atto al mantenimento delle
posizioni,
che su di esso si sono consolidate e del
conseguente affidamento derivante dal
comportamento seguito dall'amministrazione.
L'annullamento
di ufficio presuppone una congrua
motivazione sull'interesse pubblico attuale
e concreto a sostegno dell'esercizio
discrezionale dei poteri di autotutela, con
una adeguata ponderazione comparativa, che
tenga anche conto dell'interesse dei
destinatari dell'atto al mantenimento delle
posizioni, che su di esso si sono
consolidate e del conseguente affidamento
derivante dal comportamento seguito
dall'amministrazione (cfr. Cons. St., sez.
VI, 14/10/2004, n. 6656).
È appena il caso di soggiungere che tale
principio, già enunciato dalla
giurisprudenza amministrativa (invero già la
risalente sentenza del Cons. St., VI,
24.12.1982, n. 721 affermava il principio,
secondo cui la rimozione degli atti
amministrativi illegittimi non deve
pregiudicare l’interesse, cedevole solo a
fronte di un più grave interesse pubblico,
di chi sugli effetti di quell’atto abbia
fatto affidamento), ha trovato da ultimo
esplicito riscontro normativo nell'art. 14
della legge n. 15 del 2005, con il quale è
stato introdotto l'art. 21-nonies della
legge n. 241 del 1990 (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2010 n. 363
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Elemento necessario per poter procedere
all'annullamento dell'atto illegittimo è in
primo
luogo l'interesse pubblico. L'interesse
pubblico alla base del provvedimento di
autotutela,
come costantemente precisato dalla
giurisprudenza, non può esaurirsi nel mero
ripristino della legalità violata e ai fini
di una corretta valutazione dell'esistenza,
nel caso
concreto, dell'interesse pubblico
all'annullamento dell'atto,
l'Amministrazione deve tener
conto anche della circostanza che la propria
attività è costituzionalmente orientata
secondo
i canoni dell'imparzialità e del buon
andamento ed è retta dai principi generali
dell'azione
amministrativa sanciti dalla legge sul
procedimento amministrativo n. 241 del 1990
e succ.
mod..
Elemento
necessario per poter procedere
all’annullamento dell’atto illegittimo è in
primo luogo l’interesse pubblico.
L’interesse pubblico alla base del
provvedimento di autotutela, come
costantemente precisato dalla giurisprudenza
, non può esaurirsi nel mero ripristino
della legalità violata (cfr. Cons. Stato, IV,
n. 3909 del 2005; idem, sez. V, 07.01.2009,
n. 17; Tar Molise, sez. I, 23.09.2009, n.
644; Tar Lazio, Roma, sez. III, 03.07.2009,
n. 6443; Tar Campania, Napoli, sez. III,
14.05.2009, n. 2657; Tar Lombardia, Milano,
sez. II, 11.11.2008, n. 5303; Tar Puglia,
Bari, sez. I, 15.05.2008, n. 1157) e ai fini
di una corretta valutazione dell’esistenza,
nel caso concreto, dell’interesse pubblico
all’annullamento dell’atto,
l’Amministrazione deve tener conto anche
della circostanza che la propria attività è
costituzionalmente orientata secondo i
canoni dell’imparzialità e del buon
andamento ed è retta dai principi generali
dell’azione amministrativa sanciti dalla
legge sul procedimento amministrativo n. 241
del 1990 e succ. mod..
A ciò va aggiunto che risponde all’interesse
pubblico l’annullamento d’ufficio improntato
ai criteri di economicità., di efficacia, di
pubblicità e di trasparenza, nonché al
principio di derivazione comunitaria di “proporzionalità”
dell’azione amministrativa, inteso
quest’ultimo come dovere in capo alla P.A.
di non comprimere le situazioni giuridiche
soggettive coinvolte, se non nei casi di
stretta necessità, valutando i pregiudizi
agli stessi derivanti.
Nella motivazione necessaria, e
particolarmente aggravata, del provvedimento
di autotutela è necessario sia esplicitato
l’apprezzamento -anche sul piano
comparativo– in merito al sacrificio imposto
ai destinatari, tenendo conto delle
posizioni consolidate e del conseguente
affidamento derivante dal comportamento
seguito dall’Amministrazione.
Inoltre, nell’esercizio del potere di
autotutela l’Amministrazione non può
pretermettere la garanzia partecipativa
dell’avvio del relativo procedimento (cfr.
da ultimo Cons. stato, sez. IV, 21.12.2009,
n. 8516) (cfr. da ultimo Cons.
stato, sez. IV, 21.12.2009, n. 8516) (massima tratta da http://doc.sspal.it
- TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 27.01.2010
n. 1059 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Gli atti amministrativi vanno
interpretati non solo in base al loro tenore
letterale quanto piuttosto avendo riguardo
al potere effettivamente esercitato
dall'Amministrazione, con la conseguenza che
ai fini della loro qualificazione giuridica
occorre prescindere dal nomen iuris
adottato.
L'interpretazione dell'atto amministrativo
deve tendere ad enucleare, in base alle
regole
legali dettate dall'ordinamento, la volontà
obiettivata nell'atto stesso, senza che in
questa
interpretazione possa influire il punto di
vista soggettivo dell'Amministrazione
emanante.
In altri termini, in linea con la
consolidata giurisprudenza, gli atti
amministrativi vanno
interpretati non solo in base al loro tenore
letterale quanto piuttosto avendo riguardo
al
potere effettivamente esercitato
dall'Amministrazione, con la conseguenza che
ai fini
della loro qualificazione giuridica occorre
prescindere dal nomen iuris adottato (massima tratta da http://doc.sspal.it
- Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.12.2009 n. 8756
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla necessità o meno, per disporre
l’esclusione ex art. 38, comma 1, lett. c),
del
d.lgs. n. 163 del 2006, di una valutazione
sulla gravità del reato.
L’art. 38, comma 1, lett. c), del codice dei
contratti (il quale preclude la
partecipazione
alle gare ai soggetti "nei cui confronti è
stata pronunciata sentenza di condanna
passata
in giudicato, o emesso decreto penale di
condanna divenuto irrevocabile, oppure
sentenza di applicazione della pena su
richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del
codice di
procedura penale, per reati gravi in danno
dello Stato o della Comunità che incidono
sulla moralità professionale"), richiede,
per la sua applicazione, un’attività
valutativa in
ordine alla gravità del reato, finalizzata a
verificare se lo stesso possa o non incidere
sulla moralità professionale del
concorrente.
L’ambito operativo dell’art. 27, comma 2,
lett. q), del D.P.R. n. 34/2000 (a mente del
quale sono inserite nel casellario
"eventuali sentenze di condanna passate in
giudicato o
di applicazione della pena su richiesta ai
sensi dell’articolo 444 del codice di
procedura penale a carico dei legali
rappresentanti, degli amministratori
delegati o dei
direttori tecnici per reati contro la
pubblica amministrazione, l’ordine pubblico,
la fede
pubblica o il patrimonio"), non coincide con
quello del citato art. 38; è pertanto
illegittima l’annotazione nel casellario
informatico di una esclusione da una gara
per la
omessa dichiarazione condanna di
patteggiamento per tentato furto - reato
contro il
patrimonio, alla quale sia stata aggiunta
che l’esclusione è stata disposta ai sensi
del
citato art. 38, nel caso in cui manchi, nel
provvedimento espulsivo assunto dalla
stazione appaltante, qualsiasi apprezzamento
sulla gravità del reato taciuto (e sulla sua
incidenza sulla moralità professionale)
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 12.12.2009 n. 12837
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Ai fini del risarcimento del
danno derivante da lesione degli interessi
legittimi, quanto all'elemento soggettivo
non è richiesto al privato danneggiato da un
provvedimento amministrativo illegittimo un
particolare impegno probatorio per
dimostrare la colpa della P.A..
Ai fini del risarcimento del danno derivante
da lesione degli interessi legittimi, quanto
all'elemento soggettivo non è richiesto al
privato danneggiato da un provvedimento
amministrativo illegittimo un particolare
impegno probatorio per dimostrare la colpa
della P.A.; infatti, pur non essendo
configurabile, in mancanza di una espressa
previsione
normativa, una generalizzata presunzione
relativa di colpa dell'Amministrazione per i
danni conseguenti ad un atto illegittimo o
comunque ad una violazione delle regole,
possono invece operare regole di comune
esperienza e la presunzione semplice di cui
all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola
fattispecie: il privato danneggiato può,
quindi,
invocare l'illegittimità del provvedimento
quale indice presuntivo della colpa o anche
allegare circostanze ulteriori, idonee a
dimostrare che si è trattato di un errore
non
scusabile.
Il ritardo nell’esecuzione del giudicato dal
quale discendeva l’obbligo per la P.A. di
disporre l’immediata chiusura dell’esercizio
farmaceutico non può essere scusato
allegando la necessità della P.A. di
attendere la definizione del procedimento di
revisione
delle piante organiche delle farmacie,
atteso che l’attuazione di un dovere di
esecuzione,
nel caso in cui non passi necessariamente
per un’attività conformativa al giudicato di
carattere discrezionale, non può differirsi
o subordinarsi ad un procedimento collegato
dai
tempi di definizione e dagli esiti altamente
incerti. In tal caso, quindi, sussiste la
colpa
dell’amministrazione, intesa quale apparato
che deve sollecitamente eseguire i giudicati (massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.12.2009 n. 7800
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La normativa di cui artt. 7 e ss. della
legge n. 241 del 1990 in materia di
partecipazione al
procedimento amministrativo non deve essere
applicata formalisticamente; si deve quindi
escludere il vizio di omessa comunicazione
dell’avvio del procedimento quando lo scopo
della partecipazione sia stato comunque
raggiunto o vi sia comunque un atto
equipollente alla formale comunicazione.
La normativa di cui articoli 7 e seguenti
della legge n. 241 del 1990 non deve essere
applicata formalisticamente, e si deve
quindi escludere il vizio quando lo scopo
della partecipazione sia stato comunque
raggiunto o vi sia comunque un atto
equipollente alla formale comunicazione (ex
multis: Cons. Stato, Sez. IV,
09.03.2005, n. 968), derivando da ciò che
nell’ambito del procedimento sopra descritto
risulta individuata una fase specifica di
comunicazione della proposta di vincolo da
giudicarsi integralmente satisfattiva della
garanzia della partecipazione procedimentale
prescritta dalla normativa della legge “241”
(Sez. VI: 30.12.2005, n. 7592; 03.11.2003,
n. 6833); con tale fase viene infatti data
formale e pubblica comunicazione della
proposta di vincolo ai soggetti interessati,
istituzionali e privati, viene assegnato
loro un congruo termine per la presentazione
di osservazioni e, di tali osservazioni,
infine, si prescrive di tenere espressamente
conto per l’adozione del provvedimento
conclusivo, così garantendo e disciplinando,
in concreto, la partecipazione al
procedimento di formazione di tale
provvedimento (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.12.2009 n. 7607
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sui presupposti necessari per applicare la
sanzione dell'esclusione dalle gare prevista
dall'art. 38, lett. f, del Codice dei
contratti pubblici.
Ai sensi dell'art. 38, comma 1, lett. f),
del d.lgs. n. 163 del 2006 (secondo cui sono
esclusi dalla partecipazione alle procedure
di affidamento delle concessioni e degli
appalti di lavori, forniture e servizi, né
possono essere affidatari di subappalti, e
non
possono stipulare i relativi contratti i
soggetti che, "secondo motivata valutazione
della
stazione appaltante, hanno commesso grave
negligenza o malafede nell'esecuzione delle
prestazioni affidate dalla stazione
appaltante che bandisce la gara; o che hanno
commesso un errore grave nell'esercizio
della loro attività professionale, accertato
con
qualsiasi mezzo di prova da parte della
stazione appaltante"), il mancato invito o
l'esclusione di un concorrente, e,
successivamente, la mancata aggiudicazione
di una
gara, possono essere determinati dalla
malafede e la negligenza contrattuale per le
quali
sia stata anche eventualmente adottata la
risoluzione contrattuale; in tale ipotesi si
manifesta infatti il prioritario interesse
pubblico ad evitare di intrattenere rapporti
contrattuali con un soggetto inadempiente in
relazione al quale sussiste la ragionevole
possibilità che si determini ancora detta
sfavorevole evenienza.
La prescritta
esclusione
non ha carattere sanzionatorio, essendo la
stessa prevista a presidio dell'elemento
fiduciario destinato a connotare, sin dal
momento genetico, i rapporti contrattuali di
appalto pubblico.
La causa di esclusione prevista dal citato
art. 38, non presuppone il necessario
accertamento in sede giurisdizionale del
comportamento di grave negligenza o malafede
tenuto dall'aspirante aggiudicatario nel
corso di un pregresso rapporto contrattuale
intercorso con la stazione appaltante,
essendo invece sufficiente la valutazione
che la
stessa Amministrazione abbia fatto, in sede
per l'appunto amministrativa, del
comportamento tenuto in altri e precedenti
rapporti contrattuali dal soggetto che
chiede di partecipare alla nuova procedura
selettiva
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter,
sentenza 26.11.2009 n. 11789
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
In tema di silenzio, l'art. 2, comma 5,
della L. n. 241/1990, secondo il quale il
Giudice può
conoscere della fondatezza dell'istanza, va
inteso nel senso che non può sorgere alcuna
pretesa di valutazione della fondatezza
dell'istanza se, per essa, è necessario
acquisire gli
elementi istruttori demandati ad un
procedimento che o non si è mai svolto o si
è svolto in
modo incompleto senza giungere alla sua
naturale conclusione con l'emanazione del
provvedimento.
In tema di silenzio, l'art. 2, comma 5,
della L. 07.08.1990 n. 241, secondo il quale
il Giudice « può » conoscere della
fondatezza dell'istanza, è quindi da
intendersi nel senso che non può sorgere
alcuna pretesa di valutazione della
fondatezza dell'istanza se, per essa, è
necessario acquisire gli elementi istruttori
demandati ad un procedimento che o non si è
mai svolto o si è svolto in modo incompleto
senza giungere alla sua naturale conclusione
con l'emanazione del provvedimento; infatti,
in questi casi, il ricorrente non potrà
ottenere una pronuncia sulla fondatezza
della propria istanza perché il sorgere
della situazione soggettiva che si vuole
conseguire è, strutturalmente, condizionata
alla formazione di atti e provvedimenti non
ancora esistenti o all'effettuazione di
valutazioni discrezionali non ancora
compiute (TAR Sicilia-Palermo, sez. II,
20.10.2006, n. 2352) (TAR Lazio-Roma, III-quater,
sentenza 25.11.2009 n. 11743
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla necessità o meno di comunicare l’avvio
del procedimento in caso di esclusione.
Il provvedimento di esclusione dalle gare
pubbliche non deve essere preceduto
dall'avviso dell'inizio del procedimento nei
confronti dell’impresa interessata
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 23.11.2009 n. 11482
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla natura dell’aggiudicazione provvisorie
e sui presupposti per l’eventuale revoca.
L'aggiudicazione provvisoria di una gara di
appalto è un atto ad effetti instabili, del
tutto
interinali, a fronte del quale non possono
configurarsi situazioni di vantaggio stabili
in
capo al beneficiario.
In attesa
dell'aggiudicazione definitiva e del
concreto inizio del
servizio non vi è infatti alcuna posizione
consolidata dell'impresa concorrente che
possa
postulare il riferimento in sede di revoca
dell'aggiudicazione ad un interesse pubblico
giustificativo del sacrificio del privato e
l'Amministrazione ha altresì il potere di
provvedere all'annullamento
dell'aggiudicazione provvisoria in via
implicita e senza
obbligo di particolare motivazione.
E’ legittima la revoca dell'aggiudicazione
provvisoria giustificata da un nuovo
apprezzamento della fattispecie in base a
circostanze sopravvenute, essendo collegata
ad
una facoltà insindacabile
dell'Amministrazione che non si inserisce in
alcun rapporto
contrattuale, ma attiene ancora alla fase di
scelta del contraente, in cui
l'Amministrazione ha la possibilità di
valutare la persistenza dell'interesse
pubblico
all'esecuzione delle opere appaltate.
La P.A. può provvedere all'annullamento
dell'aggiudicazione provvisoria, anche in
via
implicita e senza obbligo di particolare
motivazione, specialmente se l'intervento in
autotutela di tipo caducatorio è basato su
una valutazione di convenienza economica.
E’ idonea a supportare la legittimità di un
provvedimento di revoca in autotutela
dell’aggiudicazione provvisoria di una gara
pubblica, la considerazione postuma,
effettuata dalla stazione appaltante, in
ordine alla possibilità di reperire nel
mercato
offerte migliori rispetto a quelle emerse
nel corso della gara.
L'obbligo generale di indennizzo delle
situazioni di pregiudizio arrecate ai
soggetti
interessati in conseguenza della revoca di
atti amministrativi sussiste esclusivamente
in
caso di revoca di provvedimenti ad efficacia
durevole e non anche in caso di revoca di
atti ad effetti instabili ed interinali,
qual è l'aggiudicazione provvisoria
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza
09.11.2009 n. 10991
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla legittimità o meno di una clausola del
bando di un appalto di servizi che impone
di dimostrare la capacità tecnica mediante
servizi analoghi in precedenza svolti e
sulla possibilità o meno di differire la
dimostrazione del requisito in parola al
momento del periodo di prova.
E’ legittimo il bando di gara indetto per
l'affidamento di un appalto di servizi nella
parte in cui richiede ai partecipanti, quale
requisito di capacità tecnica, quello
afferente
ai servizi in precedenza prestati ad
amministrazioni e/o enti pubblici o a
privati, atteso
che l'art. 42, comma 1, lett. a), d.lgs. 12.04.2006 n. 163, rimette alla
discrezionalità
della stazione appaltante l'individuazione
nella lex specialis di gara di «uno o più»
dei
modi di dimostrazione della capacità
tecnica, fra quelli elencati dalla medesima
norma,
e la scelta di uno solo di essi non è
irragionevole se rapportata all'oggetto
dell'appalto e
alle sue peculiarità.
Va esclusa dalla gara di appalto una impresa
che abbia omesso, così come invece
previsto dal bando, di dichiarare i servizi
analoghi effettuati ad amministrazioni e/o
enti
pubblici o a privati negli ultimi tre anni,
con indicazione degli importi delle date e
dei
destinatari.
D’altra parte, deve ritenersi
che, se la ditta partecipante non può
dimostrare
di aver svolto servizi analoghi, può
dimostrare altrimenti la propria capacità
tecnica, ma
non può pretendere, né l'Amministrazione può
consentire (come invece era stato fatto
nella specie) che la verifica di tale
capacità sia omessa e spostata al momento
del periodo di prova (massima tratta da http://doc.sspal.it
- TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza
09.11.2009
n. 1721 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla natura di collegio perfetto delle
commissioni di gara, sulla partecipazione di
supplenti e sulla derogabilità o meno del
principio di continuità delle operazioni di
gara.
La commissione giudicatrice di una gara di
appalto costituisce un collegio perfetto che
deve operare con il plenum e non con la
semplice maggioranza dei suoi componenti. La
natura di collegio perfetto della suddetta
commissione non è inficiata dalla nomina di
supplenti, ma, anzi, ne è confermata.
Infatti il plenum dei componenti del
collegio
perfetto va riferito alla contestuale
presenza del numero di componenti previsto,
e non
alla necessaria identità fisica delle
persone che compongono il collegio.
Lo scopo della supplenza, nel caso di
commissioni di gara, è quello, da un lato,
di
garantire che il collegio possa operare con
il plenum anziché con la sola maggioranza,
in caso di impedimento di taluno dei membri
effettivi, e dall'altro lato che la
commissione svolga le sue operazioni con
continuità e tempestività, senza che il suo
agire sia impedito o ritardato
dall'impedimento di taluno dei suoi
componenti.
Ai fini della legittimità dell'intervento
del supplente in una commissione di gara,
non è
indispensabile che nel verbale si dia atto
dell'impedimento del componente effettivo,
atteso che, stante la legittimazione
istituzionale del supplente a sostituire il
membro
effettivo per ogni suo impedimento, anche
temporaneo, la verbalizzazione espressa
dell'impedimento si tradurrebbe in una mera
clausola di stile.
Il principio di continuità delle gare di
appalto, secondo cui le gare stesse devono
svolgersi in unica seduta, o in più sedute
consecutive, costituisce un principio
tendenziale, che deve applicarsi per
soddisfare due esigenze fondamentali:
a)
garantire
la celerità delle operazioni, in ossequio al
principio del buon andamento e di efficienza
dell'amministrazione, per un verso, e, per
altro verso, l'assoluta indipendenza di
giudizio
di chi presiede la gara onde sottrarlo a
possibili influenze esterne;
b) impedire che
i
criteri di valutazione delle offerte vengano
formulati dopo la conoscenza delle stesse.
Il principio di continuità della gara, in
concreto, non viene violato se:
1) le
operazioni di
gara si svolgano con ragionevole celerità,
anche se non in un unico giorno o in pochi
giorni consecutivi;
2) la fissazione dei
criteri di valutazione delle offerte preceda
la
conoscenza delle offerte medesime;
3) venga
rispettato il principio di segretezza delle
operazioni di gara fino alla enunciazione
dell'esito della stessa.
In termini più
generali,
inoltre, il principio di continuità della
gara può essere derogato qualora si
verifichino
situazioni particolari che obiettivamente
impediscano la concentrazione e la
conclusione delle operazioni di gara in un
numero ristretto di sedute
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza
05.11.2009 n. 10878 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sul diritto di accesso e segreti tecnici o
commerciali.
L’art. 13 del D.Lgs. n. 163/2006, nel
prevedere il divieto di accesso alle
"informazioni
fornite dagli offerenti nell’ambito delle
offerte ovvero a giustificazione delle
medesime,
che costituiscono, secondo motivata e
comprovata dichiarazione dell’offerente,
segreti
tecnici o commerciali", non prevede un
divieto assoluto, in quanto lo stesso
articolo
consente l'accesso "al concorrente che lo
chieda in vista della difesa in giudizio dei
propri interessi in relazione alla procedura
di affidamento del contratto nell’ambito del
quale viene formulata la richiesta di
accesso" (c.d. accesso difensivo).
Tale
norma,
pertanto, impone alla stazione appaltante di
effettuare un accurato controllo in ordine
alla effettiva utilità della documentazione
richiesta, alla stregua di una sorta di
prova di resistenza
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR
Umbria, Sez. I,
sentenza
05.11.2009 n. 662 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla possibilità o meno, per la commissione
di gara di specificare i criteri di
valutazione delle offerte, sulla legittimità
o meno della valutazione in forma numerica
delle offerte, sull’ammissibilità o meno di
referenze bancarie rilasciate prima della
pubblicazione del bando.
Prima dell’entrata in vigore del D.L.vo n.
163 del 2006, si era consolidato il
principio
secondo il quale, nel caso di gara da
aggiudicare con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, eventuali
specificazioni o integrazioni dei criteri di
valutazione indicati dal bando di gara o
dalla lettera d'invito ben potevano essere
configurati dalle commissioni giudicatrici,
seppure soltanto prima della apertura delle
buste relative alle offerte e ciò
indipendentemente dalla circostanza che i
componenti la
commissione avevano concretamente preso
conoscenza delle offerte stesse.
A seguito all’entrata in vigore dell’art.
83, quarto comma, del D.L.vo n. 163 del
2006,
nel caso di gara da aggiudicare con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, non sussiste più la
discrezionalità della commissione di gara
nella
specificazione dei criteri, dovendosi
escludere che la commissione stessa abbia
facoltà
di integrare il bando, dovendo quest'ultimo
prevedere e specificare gli eventuali
sottocriteri; ne consegue l'illegittimità di
una lex specialis che, pur richiamando il
criterio di aggiudicazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, nulla
preveda in
ordine agli elementi dell'offerta da
considerare ed all'attribuzione dei punteggi.
Nelle procedure di gara pubblica con il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, la valutazione dell’offerta
tecnica può essere considerata correttamente
effettuata, mediante l'attribuzione di un
mero punteggio numerico, allorquando nel
bando di gara siano stati preventivamente e
puntualmente prefissati dei criteri
sufficientemente dettagliati, con la
individuazione del punteggio minimo e
massimo
attribuibile alle specifiche singole voci e
sottovoci comprese nel paradigma di
valutazione e costituenti i diversi
parametri indicatori della valenza tecnica
dell'offerta;
per cui ciascun punteggio è correlato ad un
parametro tecnico-qualitativo precostituito,
in grado di per sé di dimostrare la logicità
e la congruità del giudizio tecnico espresso
dalla commissione giudicatrice, al punto da
non richiedere una ulteriore motivazione,
esternandosi in tal caso compiutamente il
giudizio negli stessi punteggi e nella loro
graduatoria.
Legittimamente vengono ritenute valide le
referenze bancarie prodotte da una impresa,
anche se esse recano una data anteriore a
quella di pubblicazione del bando, atteso
che
ciò che conta, per le referenze bancarie, è
il dato sostanziale relativo alla loro
idoneità
ad attestare l’affidabilità dell’impresa
concorrente (nella specie, peraltro, la lex
specialis di gara richiedeva solo che le referenze
bancarie fossero "idonee", così come
previsto dall’art. 41 del Codice dei
contratti pubblici, senza affatto stabilire
una soglia
cronologica di attendibilità).
Poiché le giustificazioni preventive
consistono in elaborati che i concorrenti
hanno
l'onere di allegare già all'offerta, al fine
di accelerare la verifica della congruità
delle
offerte anomale, nel caso in cui esse siano
previste è possibile per la stazione
appaltante
stabilire la congruità dell'offerta se essa
risulti già dai documenti prodotti, non
sussistendo in tale ipotesi la necessità di
aprire il sub-procedimento di verifica, con
conseguente risparmio di tempo e di energie,
sia per l'Amministrazione che per
l'aggiudicatario.
La motivazione del giudizio di verifica
della congruità di un'offerta anomala deve
essere
rigorosa ed analitica soltanto nel caso di
giudizio negativo, mentre nel caso di
giudizio
positivo non è necessario che la relativa
determinazione sia fondata su un'articolata
motivazione ripetitiva delle medesime
giustificazioni ritenute accettabili o
espressiva di
ulteriori apprezzamenti, con la conseguenza
che il giudizio favorevole di non anomalia
dell'offerta non richiede puntualità di
argomentazioni, essendo sufficiente anche
una
motivazione per relationem alle stesse
giustificazioni presentate dal concorrente
sottoposto al relativo obbligo.
Il giudizio di verifica della congruità di
un'offerta anomala ha natura globale e
sintetica
sulla serietà o meno dell'offerta nel suo
insieme e costituisce espressione
paradigmatica
di un potere tecnico-discrezionale
dell'Amministrazione di per sé insindacabile
in sede
di legittimità, salva l'ipotesi in cui le
valutazioni siano manifestamente illogiche o
affette da errori di fatto. Questo significa
che in ogni gara pubblica l'attendibilità
dell'offerta va valutata nella sua
globalità; del resto, lo stesso art. 88,
comma 7, del
Codice dei contratti, stabilisce che,
all'esito del procedimento di verifica
dell'anomalia
dell'offerta, la stazione appaltante
dichiara l'eventuale esclusione dell'offerta
che risulta, "nel suo complesso",
inaffidabile
(massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter,
sentenza
04.11.2009 n. 10828 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La funzione sollecitatoria a cui si ispira
l’istituto del silenzio-assenso non può
pregiudicare
la possibilità di adottare un provvedimento
di annullamento in via di autotutela del
silenzio-assenso, attraverso un pieno e
ponderato esercizio dell’attività di
valutazione e
comparazione dei diversi interessi pubblici
e privati coinvolti dall’esercizio della
funzione amministrativa.
Osserva il
Collegio che l’annullamento o la revoca
d’ufficio del silenzio-assenso presenta
necessariamente taluni aspetti peculiari
rispetto all’ipotesi ordinaria in cui formi
oggetto di intervento in via di autotutela
un provvedimento espresso
dall’amministrazione preposta alla cura
dell’interesse pubblico specifico di cui si
tratta.
Poiché infatti, per definizione, l’assenso
tacito costituisce espressione di attività
provvedimentale solo in virtù di fictio
juris, deve necessariamente ritenersi
che l’inerente potere di autotutela assorba
in sé anche profili valutativi che
normalmente ineriscono all’esercizio della
funzione amministrativa di primo grado, ma
che l’amministrazione non è stata a suo
tempo in grado di esercitare (non importa
per quali motivi).
La funzione sollecitatoria a cui si ispira
l’istituto del silenzio-assenso non può,
infatti, a pena di insanabile contrasto
della relativa disciplina legislativa con la
sovraordinata fonte costituzionale (art. 97
Cost.), pregiudicare la possibilità di un
pieno e ponderato esercizio dell’attività di
valutazione e comparazione dei diversi
interessi pubblici e privati coinvolti
dall’esercizio della funzione
amministrativa, tanto più ove si tratti di
funzione a contenuto pianificatorio a fronte
della quale la scelta del legislatore
regionale volta a consentire una disciplina
tacita dell’assetto del territorio non può
non trovare il proprio correttivo nel
riconoscimento di un ampio ed incisivo
potere di autotutela che garan-tisca
comunque adeguati strumenti di intervento
volti ad assicurare, e se del caso a
ripristinare, un uso corretto e compatibile
delle risorse territoriali ed ambientali
oggetto di specifica tutela legislativa.
Discende dalle considerazioni svolte che, in
sede di annullamento o revoca d’ufficio di
autorizzazione tacita ad un piano di
lottizzazione all’amministrazione competente
deve essere restituito integro il
potere-dovere di compiere, per la prima
volta, quelle valutazioni che a suo tempo
avrebbe potuto e dovuto porre a fondamento
dell’esercizio della funzione istituzionale
di primo grado ad essa spettante.
Correlativamente è legittimo il
provvedimento di annullamento d’ufficio del
silenzio-assenso, ove l’amministrazione, pur
senza enucleare specifici profili di
illegittimità dell’atto da annullare e
specifiche, distinte, ragioni di interesse
pubblico giustificanti l’annullamento
medesimo, compia una completa ed
approfondita disamina dell’assetto di
interessi scaturente dal provvedimento
tacitamente assentito, in rapporto a quello
inerente alla funzione tipica cui è
preordinata l’attività amministrativa di
primo grado, pervenendo, ove ne riscontri
la dissonanza, alla rimozione dell’assetto
ritenuto contra legem ed al
ripristino di quello risultante conforme
all’interesse pubblico da perseguire.
Le riportate considerazioni sono state
svolte da questo Consiglio con decisione
20.09.2002 n. 571 ed il Collegio le
condivide interamente (C.G.A.R.S.,
sentenza 22.10.2009 n. 994
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La violazione dell'art. 10-bis, L. n.
241/1990 non può ritenersi tale da produrre
ex se
l'illegittimità del provvedimento finale,
dovendo la disposizione sul preavviso di
rigetto,
essere interpretata alla luce del successivo
art. 21-octies comma 2, che impone al
Giudice
di valutare il contenuto sostanziale del
provvedimento e di non annullare l'atto nel
caso in
cui le violazioni formali non abbiano inciso
sulla legittimità sostanziale del medesimo.
La violazione
dell'art. 10-bis, della legge n. 241 del
1990 non produce ex se
l'illegittimità del provvedimento finale,
dovendo la disposizione sul preavviso di
rigetto essere interpretata alla luce del
successivo art. 21-octies comma 2, che
impone al giudice di valutare il contenuto
sostanziale del provvedimento e di non
annullare l'atto nel caso in cui le
violazioni formali non abbiano inciso sulla
legittimità sostanziale del medesimo.
L'art. 21-octies rende, quindi, irrilevante
la violazione delle norme sul procedimento o
sulla forma dell'atto per il fatto che il
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in con-creto
adottato (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 07.09.2009 n. 5235
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ATTI AMMINISTRATIVI:
La necessità della comunicazione dell’avvio
del procedimento ai destinatari dell’atto
finale
è stata prevista in generale dal menzionato
art. 7 non soltanto per i procedimenti
complessi
che si articolano in più fasi (preparatoria,
costitutiva ed integrativa dell’efficacia),
ma
anche per i procedimenti semplici che si
esauriscono direttamente con l’adozione
dell’atto
finale, i quali comunque comportano una fase
istruttoria da parte dell’autorità emanante.
L'obbligo di avviso dell'avvio del
procedimento sussiste anche nella ipotesi di
provvedimenti a contenuto totalmente
vincolato, sulla scorta della considerazione
che la
pretesa partecipativa del privato riguarda
anche l'accertamento e la valutazione dei
presupposti sui quali si deve comunque
fondare la determinazione amministrativa.
La comunicazione di avvio del procedimento è
da ritenersi superflua solo quando:
1) i
presupposti fattuali dell'atto risultano
assolutamente incontestati dalle parti;
2)
il quadro
normativo di riferimento non presenta
margini di incertezza sufficientemente
apprezzabili;
3) l'eventuale annullamento del
provvedimento finale, per accertata
violazione dell'obbligo
formale di comunicazione, non priverebbe
l'amministrazione del potere (o addirittura
del
dovere) di adottare un nuovo provvedimento
di identico contenuto.
La
necessità della comunicazione dell’avvio del
procedimento ai destinatari dell’atto finale
è stata prevista in generale dal menzionato
art. 7 non soltanto per i procedimenti
complessi che si articolano in più fasi
(preparatoria, costitutiva ed integrativa
dell’efficacia), ma anche per i procedimenti
semplici che si esauriscono direttamente con
l’adozione dell’atto finale, i quali
comunque comportano una fase istruttoria da
parte della stessa autorità emanante.
La portata generale del principio è
confermata dal fatto che il legislatore
stesso (art 7, 1° comma, ed art. 13 L.
241/1990) si è premurato di apportare delle
specifiche deroghe (speciali esigenze di
celerità, atti normativi, atti generali,
atti di pianificazione e di programmazione,
procedimenti tributari) all’obbligo di
comunicare l’avvio del procedimento, con la
conseguenza che negli altri casi deve in
linea di massima garantirsi tale
comunicazione, salvo che non venga accertata
in giudizio la sua superfluità in quanto il
provvedimento adottato non avrebbe potuto
essere diverso anche se fosse stata
osservata la relativa formalità (cfr. CdS,
sez. V n. 2823 del 22.05.2001 e n. 516 del
04.02.2003; sez. VI n. 686 del 7.2.2002).
Ha dato luogo a contrasti, in dottrina ed in
giurisprudenza, la risposta al quesito
relativo alla possibilità che la fase
procedimentale indicata possa essere omessa
o compressa per il fatto che si sia in
presenza di provvedimento a contenuto
vincolato.
Deve rilevarsi in proposito che parte della
giurisprudenza ha affermato la sussistenza
dell'obbligo di avviso dell'avvio del
procedimento anche nella ipotesi di
provvedimenti a contenuto totalmente
vincolato, sulla scorta della considerazione
che la pretesa partecipativa del privato
riguarda anche l'accertamento e la
valutazione dei presupposti sui quali si
deve comunque fondare la determinazione
amministrativa (cfr. CdS sez. VI 20.04.2000
n. 2443; CdS 2953/2004; 2307/2004 e
396/2004). Secondo tale tesi, invero, non
sarebbe rinvenibile alcun principio di
ordine logico o giuridico che possa impedire
al privato, destinatario di un atto
vincolato, di rappresentare
all'amministrazione l'inesistenza dei
presupposti ipotizzati dalla norma,
esercitando preventivamente sul piano
amministrativo quella difesa delle proprie
ragioni che altrimenti sarebbe costretto a
svolgere unicamente in sede giudiziaria.
In definitiva, quello che rileva è la
complessità dell’accertamento da effettuare
(V. CdS, sez. VI n. 686 del 07.02.2002).
Secondo altra prospettazione, invece, “le
norme sulla partecipazione del privato al
procedimento amministrativo non vanno
applicate meccanicamente e formalmente, nel
senso che occorra annullare ogni
procedimento in cui sia mancata la fase
partecipativa, dovendosi piuttosto
interpretare nel senso che la comunicazione
è superflua -con prevalenza dei principi di
economicità e speditezza dell'azione
amministrativa- quando l'interessato sia
venuto comunque a conoscenza di vicende che
conducono comunque all'apertura di un
procedimento con effetti lesivi nei suoi
confronti. In materia di comunicazione di
avvio prevalgono, quindi, canoni
interpretativi di tipo sostanzialistico e
teleologico, non formalistico. Poiché
l'obbligo di comunicazione dell'avvio del
procedimento amministrativo ex art. 7 l.
07.08.1990 n. 241 è strumentale ad esigenze
di conoscenza effettiva e, conseguentemente,
di partecipazione all'azione amministrativa
da parte del cittadino nella cui sfera
giuridica l'atto conclusivo è destinato ad
incidere -in modo che egli sia in grado di
influire sul contenuto del provvedimento-
l'omissione di tale formalità non vizia il
procedimento quando il contenuto di
quest'ultimo sia interamente vincolato, pure
con riferimento ai presupposti di fatto,
nonché tutte le volte in cui la conoscenza
sia comunque intervenuta, si da ritenere già
raggiunto in concreto lo scopo cui tende
siffatta comunicazione. Alla luce di questa
linea interpretativa si può affermare che la
comunicazione di avvio del procedimento
dovrebbe diventare superflua quando:
l'amministrazione; i presupposti fattuali
dell'atto risultano assolutamente
incontestati dalle parti; il quadro
normativo di riferimento non presenta
margini di incertezza sufficientemente
apprezzabili; l'eventuale annullamento del
provvedimento finale, per accertata
violazione dell'obbligo formale di
comunicazione, non priverebbe
l'amministrazione del potere (o addirittura
del dovere) di adottare un nuovo
provvedimento di identico contenuto (anche
in relazione alla decorrenza dei suoi
effetti giuridici)” (Consiglio Stato,
sez. IV, 30.09.2002, n. 5003)
Tale orientamento da ultimo esposto appare
alla Sezione in via di principio
condivisibile, in quanto rispettoso delle
garanzie procedimentali avulse da
meccanicistiche applicazioni a natura
essenzialmente formalistica.
Sotto altro profilo, conforto a tale
interpretazione si rinviene in relazione al
sopravvenuto disposto del comma 2 dell’art.
21-octies legge 15/2005, specificamente
riferita alla violazione procedimentale
dell’articolo 7, ed applicabile tanto alla
ipotesi di atto vincolato che a quella di
atto discrezionale: la novella legislativa
ha previsto che l’amministrazione può
dimostrare in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato, così
superando la censura di carattere formale
(per una recente ricostruzione del sistema
alla luce della “novella”, si veda
Consiglio Stato, sez. VI, 07.01.2008, n. 19)
(Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.08.2009 n. 4899
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Ha carattere di atto di conferma e non di
atto meramente confermativo quello con cui
l'Amministrazione, pur pervenendo allo
stesso dispositivo di una precedente
determinazione amministrativa, compia uno o
più atti istruttori al fine di accertare la
fondatezza di eventuali doglianze formulate
dall'interessato con l'obiettivo di
sollecitare
una revisione, in fatto e in diritto, della
precedente determinazione.
Un atto di
conferma,
assurgendo a nuova manifestazione di volontà
dell'Amministrazione successiva ad un
procedimento di riesame, si sostituisce alla
precedente manifestazione di volontà e
riapre i termini per impugnare.
Per giurisprudenza consolidata, ha carattere
di atto di conferma e non di atto meramente
confermativo quello con cui
l'Amministrazione, pur pervenendo allo
stesso dispositivo di una precedente
determinazione amministrativa, compia uno o
più atti istruttori al fine di accertare la
fondatezza di eventuali doglianze formulate
dall'interessato con l'obiettivo di
sollecitare una revisione, in fatto e in
diritto, della precedente determinazione.
Un atto di conferma, assurgendo a nuova
manifestazione di volontà
dell'Amministrazione successiva ad un
procedimento di riesame, si sostituisce alla
precedente manifestazione di volontà e
riapre i termini per impugnare.
Laddove sia stato già oggetto di gravame
giurisdizionale il precedente provvedimento,
l'atto di conferma determina
l'improcedibilità per sopravvenuta carenza
di interesse del relativo gravame, non
potendo il ricorrente ottenere alcun
beneficio dall'eventuale annullamento del
provvedimento impugnato, sostituito
dall'Amministrazione all'esito di un nuovo
iter istruttorio e sulla base di una nuovo
percorso motivazionale (TAR Lazio Roma, sez.
II, 14.05.2008, n. 4127) (TAR Lazio-Roma,
Sez. III,
sentenza 08.05.2009 n. 4987
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ATTI AMMINISTRATIVI:
L'art. 7 L. n. 241/1990 va interpretato non
in modo formalistico, ma con riferimento
alla
sua ratio concreta, che è quella di
assicurare la partecipazione procedimentale
del privato
interessato al procedimento amministrativo,
con la conseguenza che l'eventuale omissione
dell'adempimento non determina illegittimità
dell'azione amministrativa, laddove sia
provato che il destinatario abbia avuto
comunque e aliunde conoscenza del
procedimento
in corso, potendo quindi parteciparvi.
Costituisce
jus receptum che l'art. 7 L. 241/1990
vada interpretato non in modo formalistico,
ma con riferimento alla sua ratio
concreta, che è quella di assicurare la
partecipazione procedimentale del privato
interessato al procedimento amministrativo;
con la conseguenza che l’eventuale omissione
dell’adempimento non determina illegittimità
dell’azione amministrativa, laddove sia
provato che il destinatario abbia avuto
comunque e aliunde conoscenza del
procedimento in corso, potendo quindi
parteciparvi (cfr. ex plurimis Cons.
Stato, sez. V, 07.12.2005, nr. 6990; Cons.
Stato, sez. VI, 06.10.2005, nr. 5436)
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.03.2009 n. 1207
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ATTI AMMINISTRATIVI:
La differenza fra "l'atto di conferma" e
"l'atto meramente confermativo" va
individuata nel fatto che il primo
presuppone un completo riesame della
fattispecie, che si conclude con la conferma
dell'atto in origine adottato dopo una nuova
valutazione da parte dell'Autorità emanante,
mentre il secondo si limita a richiamare il
precedente provvedimento e a ribadirne
integralmente il contenuto, senza alcun
nuovo esame degli elementi di fatto e di
diritto già considerati.
La differenza fra "l'atto di conferma" e
"l'atto meramente confermativo" va
individuata nel
fatto che il primo presuppone un completo
riesame della fattispecie, che si conclude
con la
conferma dell'atto in origine adottato dopo
una nuova valutazione da parte dell'Autorità
emanante, mentre il secondo si limita a
richiamare il precedente provvedimento e a
ribadirne integralmente il contenuto, senza
alcun nuovo esame degli elementi di fatto e
di
diritto già considerati, con la conseguenza,
sul piano processuale, che, mentre il primo
si
sostituisce integralmente al precedente
provvedimento ed è autonomamente
impugnabile,
l'eventuale ricorso contro il secondo
risulterebbe inammissibile perché proposto
contro un atto privo di reale ed autonoma
capacità lesiva (cfr., "ex multis"
Cons. St. VI Sez., 17.12.2007 n. 6459) (TAR Campania-Napoli,
Sez. V,
sentenza 27.01.2009 n. 422
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Sulla
ratio del preavviso di rigetto ex art. 10-bis
L. n. 241/1990.
La ratio del preavviso di rigetto di cui
all'art. 10-bis L. n. 241/1990 va ravvisata
nella sua
natura di atto endo-procedimentale, poiché
tale norma impone all'amministrazione, prima
di adottare un provvedimento sfavorevole nei
confronti del richiedente, di comunicargli
le
ragioni ostative all'accoglimento della sua
istanza, sì da rendere possibile
l'instaurazione di
un vero e proprio contraddittorio
endo-procedimentale, a carattere necessario,
ed
aumentare così le "chances" del cittadino di
ottenere dalla stessa p.a. ciò che gli
interessa,
con la conseguenza che lo stesso non è
immediatamente lesivo della sfera giuridica
dei destinatari e, quindi, non è
autonomamente ed immediatamente impugnabile
(massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.09.2007 n. 4828 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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