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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di NOVEMBRE 2010

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aggiornamento al 29.11.2010

aggiornamento al 24.11.2010

aggiornamento al 22.11.2010

aggiornamento al 15.11.2010

aggiornamento al 10.11.2010

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AGGIORNAMENTO AL 29.11.2010

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UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Dissertazioni sulla SCIA.
Sul sito http://tv.architettiroma.it è possibile accedere ai video del Convegno nazionale sulla semplificazione delle procedure edilizie, tenutosi martedì 05.10.2010.
Suggeriamo di ascoltare l'intervento del Cons. Chinè, capo ufficio legislativo Ministero per la semplificazione normativa.
Intervento che non solo ignora le problematiche giuridiche sollevate da più parti (ANCI in prima linea) sulla correttezza dell'interpretazione dell'articolo 19 l. 241/1990 fornita dal Ministero, ma che rivela l'affanno e l'imbarazzo del Ministero
(minuto 21:30) nel momento in cui la platea ne contesta la posizione.
Segnaliamo che, a seguito dell'incontro con il Ministero della Semplificazione, il Consiglio Nazionale Architetti ha richiesto la riscrittura del testo legislativo sulla materia della SCIA, tenuto conto della "diffusa incertezza da parte degli operatori professionali, imprenditoriali nonché degli Enti locali nell'applicazione della nuova disciplina, oltre che della possibile disomogeneità interpretativa sul territorio nazionale, si ritiene utile suggerire la emanazione di un urgente provvedimento legislativo che consenta di dirimere i dubbi circa la applicazione del nuovo regime semplificazione".
Si ascolti, altresì, la replica sempre del Cons. Chiné a fronte di alcuni quesiti formulati in sala.
Buona visione (commento tratto dalla newsletter del sito http://studiospallino.blogspot.com).

EDILIZIA PRIVATAC'è ancora qualcuno che sia convinto dell'esistenza della SCIA in luogo della DIA in materia edilizia??
Il Governo, nella settimana del’08.11.2010, ha presentato l’emendamento n. 1.500 al ddl di stabilità per il 2011 (A.C. 3778) e cioè la Finanziaria 2011, il quale all’art. 4 recita “Semplificazioni in materia di urbanistica, edilizia e di segnalazione certificata di inizio attività”.
Invero, l’art. 4 de quo è stato ritenuto “inammissibile” dal Presidente della Camera dei Deputati (si legga la "Sintesi del contenuto ed analisi degli effetti finanziari" a cura della Camera stessa).
E’ interessante, comunque, evidenziare ed approfondire il contenuto del suddetto art. 4 in ordine alla volontà del legislatore di introdurre ancòra novità nel panorama legislativo in materia di edilizia ed urbanistica. E ciò che preme qui evidenziare è l’intenzione di chiarire la portata della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) anche nell’ambito edilizio di cui al D.P.R. n. 380/2001 in virtù delle numerose prese di posizione, da più parti- in ordine alla non applicabilità della stessa in materia edilizia.
Nella fattispecie, l’art. 4, comma 10, lett. b), così recita:
«b) all’art. 19, comma 1, primo periodo, dopo le parole: “nonché di quelli”, sono aggiunte le seguenti: “previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli” e dopo il comma 6 sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
“6-bis. Le disposizioni del presente articolo si interpretano nel senso che le stesse si applicano limitatamente alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire, e che non sostituiscano la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell’articolo 22, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, abbiano ampliato l’ambito applicativo delle disposizioni di cui all’articolo 22, comma 3, del medesimo decreto.
6-ter. Nei casi di segnalazione certificata di inizio attività in materia edilizia, il termine di cui al periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e delle leggi regionali.”
».

Il Ragioniere Generale dello Stato (Canzio), con nota 11.11.2010 n. 95098 di prot. di accompagnamento della relazione tecnica di finanza pubblica all'emendamento de quo, scrive -tra l'altro- che "Viene altresì specificato meglio l'ambito di applicazione della Scia, introducendo un comma aggiuntivo all'articolo 19 della legge 241 del 1990, al fine di chiarire i dubbi interpretativi emersi in sede di prima applicazione dell'istituto, precisando che esso si estende anche alla materia edilizia, con esclusione dei casi di Superdia, in linea con quanto già osservato nella nota esplicativa del Ministero per la semplificazione normativa. ...".
Ebbene,
che bisogno c'era di integrare ulteriormente il novellato art. 19 della L. n. 241/1990?? La circolare del Cons. Chinè non era sufficiente, come dallo stesso dichiarato pubblicamente, a fugare ogni sorta di dubbio??
Evidentemente NO!!
Comunque, l'emendamento alla Finanziaria 2011 che avrebbe integrato l'art. 19 della L. n. 241/1990 non è stato ammesso e, quindi, siamo al punto di partenza:
ad oggi la SCIA, in materia edilizia, NON ESISTE!!
Tuttavia, circola voce che l'emendamento in questione sarà riproposto, nei suoi contenuti, nel consueto decreto "milleproroghe" di fine anno ... quindi, ci riaggiorniamo.
29.11.2010 - LA SEGRETERIA PTPL

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il 31.12.2010 il cui effetto sarà efficace a decorrere dall'01.01.2011: ecco il fac-simile di determinazione (file 1 - file 2).
ATTENZIONE: se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la suddetta scadenza per tutto il 2011 si dovrà applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno 2010 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni: ad oggi, il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla variazione del mese di maggio 2010, mentre quello di giugno 2010 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile.
Abbiamo scritto all'ISTAT di Roma e ci hanno risposto come segue:
L'ultimo comunicato contenente il dato provvisorio di Giugno e' stato pubblicato il 13.09.2010 al seguente link:
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100913_00/
Pur non disponendo di un calendario per questo tipo di uscite, presumo che la pubblicazione dei 3 mesi successivi (e quindi anche del dato definitivo di giugno) avverrà entro la fine del 2010.
Cordiali saluti
Luigi Di Gennaro

Pertanto,
si consiglia di adottare la determinazione di aggiornamento del costo di costruzione, per l'anno 2011, verso la fine di dicembre 2010 poiché è verosimile che, entro il 31.12.2010, possa essere pubblicato dall'ISTAT il dato ufficiale relativo a giugno 2010 ed avere, così, un valore maggiore (rispetto a maggio 2010) della variazione ISTAT per il calcolo del costo di costruzione (e, quindi, non perdere soldi per le casse comunali ...).

ENTI LOCALI: Linee guida per i Comuni in materia di videosorveglianza alla luce del provvedimento Garante privacy 08.04.2010 (ANCI, documento novembre 2010).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Linee Guida per l’utilizzo di scale portatili nei cantieri temporanei e mobili.
Il Gruppo di Lavoro “Lavori in quota” della Regione Lombardia ha individuato nell’uso della scala una condizione operativa connotata da elevata pericolosità caratterizzata, inoltre, da una pressoché nulla percezione di pericolo da parte di tutti i soggetti operanti nel cantiere.
Per contrastare questa diffusa sottostima del rischio generato dal diffuso cattivo utilizzo delle scale, il Gruppo di Lavoro ha predisposto indicazioni operative di facile utilizzabilità in cantiere da parte delle persone che vi operano, per fare sì che le scale portatili siano considerate non già strumenti di libero utilizzo a fronte di qualsivoglia bisogno, ma bensì attrezzature d utilizzo mirato per accessi a luoghi elevati e per posizionamenti in relazione a lavori di piccola entità e breve durata.
Le Linee Guida realizzate si compongono di una parte generale e di “schede di attività” ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Lo schema di contratto per la fornitura di calcestruzzo dell’ANCE aggiornato alle nuove norme.
Il Comitato calcestruzzo dell’ANCE (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili) ha provveduto ad aggiornare il “Contratto per la fornitura di Calcestruzzo preconfezionato”, adeguandolo alle nuove normative.
Lo schema di contratto che regola i rapporti tra impresa e fornitore, definendo ruoli e responsabilità, è così strutturato:
Art. 1 - Premesse
Art. 2 - Modalità di esecuzione della fornitura
Art. 3 - Descrizioni tecniche, Responsabilità
Art. 4 - Prove sul materiale
Art. 5 - Oneri a carico delle parti
Art. 6 - Assicurazione
Art. 7 - Sospensione - Risoluzione
Art. 8 - Prezzi
Art. 9 - Pagamenti e Penali
Art. 10 - Controversie relative o derivanti da contestazioni sul prodotto - Clausola compromissoria
Art. 11 - Rinvio alle norme di Legge
Allegato 1 - Informazioni fornite dall’impresa esecutrice
Allegato 2 - Informazioni fornite dall’impresa fornitrice di calcestruzzo preconfezionato (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fotovoltaico: l’AEEG definisce le modalità, i tempi e le condizioni per l’erogazione delle tariffe incentivanti.
Con la deliberazione n. 181/2010 del 20/10/2010 l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, in base all’art. 15, comma 1, del DM 06.08.2010 (nuovo conto energia fotovoltaico) ha definito:
- le modalità, i tempi e le condizioni per l’erogazione delle tariffe incentivanti, delle maggiorazioni e del premio;
- le modalità per la verifica del rispetto delle disposizioni del decreto;
- le modalità con le quali le risorse per l’erogazione delle tariffe incentivanti, delle maggiorazioni e del premio, nonché per la gestione delle attività previste dal decreto, trovano copertura nel gettito della componente tariffaria A3 delle tariffe dell’energia elettrica.
La delibera n. 181/2010 si applica a tutti gli impianti fotovoltaici che entrano in esercizio a partire dall'01.01.2011.
La deliberazione prevede, per quanto concerne l’accesso alle tariffe incentivanti, che il soggetto responsabile dell’impianto fotovoltaico debba dichiarare, sotto la propria responsabilità, di rispettare i requisiti per l’ammissibilità alla tariffa incentivante previsti dal decreto, nonché:
- di essere proprietario del bene immobile ove è installato l’impianto o, diversamente, disporre dell’autorizzazione sottoscritta dal proprietario, o dai proprietari, di tale bene immobile, qualora detto proprietario/i sia/siano diverso/i dal soggetto responsabile;
- di aver conseguito tutte le autorizzazioni necessarie alla costruzione e all’esercizio dell’impianto, nel rispetto dei vincoli architettonici e paesaggistici, della normativa esistente in materia di sicurezza durante le attività di costruzione ed esercizio dell’impianto e dei relativi allacciamenti (link a www.acca.it).

ARAN E SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Il foglio dei lavoratori della Funzione Pubblica (CGIL-FP di Bergamo, novembre 2010).

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: Rappresentanze Sindacali Unitarie (ARAN, nota 26.11.2010 n. 10700 di prot. - link a www.aranagenzia.it).
---------------
... nell'attesa della definizione dei nuovi comparti di contrattazione, le RSU attualmente vigenti resteranno in carica anche oltre il 30.11.2010, conservando tutte le loro prerogative, fino alle prossime elezioni.

PUBBLICO IMPIEGO: Tremonti contro Brunetta (CGIL-FP di Bergamo, nota 23.11.2010).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI: G.U. 27.11.2010 n. 278 "Modalità attuative dell’articolo 2, comma 589, della legge 24.12.2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), recante disposizioni in materia di posta elettronica" (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione, decreto 24.09.2010).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 47 del 25.11.2010, "Determinazione della procedura di Valutazione ambientale di piani e programmi – VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005; d.c.r. n. 351/2007) – Recepimento delle disposizioni di cui al d.lgs. 29.06.2010, n. 128, con modifica ed integrazione delle dd.g.r. 27.12.2008, n. 6420 e 30.12.2009, n. 10971" (deliberazione G.R. 10.11.2010 n. 761 - link a www.infopoint.it).
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N.B.: per caso, la Regione Lombardia rivisita la disciplina della VAS prima che si pronunzi il Consiglio di Stato, il prossimo 07.12.2010, in merito alla sentenza TAR Lombardia-Milano che ha bocciato il PGT del Comune di Cermenate??

ENTI LOCALI - VARI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 45 dell'08.11.2010, "Modifica del d.D.G. n. 7686 del 13.05.2003 «Linee guida in materia di interventi di sanità pubblica per la prevenzione del fenomeno delle morsicature da cani»" (decreto D.G. 14.10.2010 n. 10401 - link a www.infopoint.it).

NOTE, CIRCOLARI & COMUNICATI

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: Art. 31 della legge 04.11.2010 n. 183. Conciliazioni presso le Direzioni provinciali del lavoro. Prime indicazioni operative nella fase transitoria (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nota 25.11.2010 n. 3428 di prot.).

EDILIZIA PRIVATAOggetto: Procedimenti per l'autorizzazione alla realizzazione di impianti fotovoltaici a terra maggiori di 20 kW (Ministero dello Sviluppo Economico, nota 28.10.2010 n. 19813 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Ancora sulla SCIA: la Regione Liguria dice no all'applicazione all'edilizia, soprattutto in ambiti vincolati.
Il 28.10.2010 la Regione Liguria ha trasmesso alle amministrazioni locali la nota 08.09.2010 n. 126099 di prot. -a firma del Vice Presidente della Giunta Regionale e Assessore alla Pianificazione Territoriale, Urbanistica- in risposta al quesito posto dal Comune di Genova relativamente alla applicabilità in materia di attività edilizia del nuovo istituto della Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).
Oltre a ricordare di aver proposto ricorso alla Corte Costituzionale con altre otto regioni, la Regione ha evidenziato che la procedura pare essere circoscritta alle attività di Impresa, maggiormente bisognose di "semplificazione", escludendone in ogni caso l'applicazione in casi in cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali (commento tratto e link a http://studiospallino.blogspot.com).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: Il termine di impugnazione decorre dalla comunicazione del provvedimento lesivo nella sua forma integrale (link a www.mediagraphic.it).

PUBBLICO IMPIEGO: V. Tedesco, Le missioni nel pubblico impiego. La tormentata questione dell'utilizzo del mezzo proprio dopo la legge 122/2010 (link a www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Muntoni, Cessione gratuita quale corrispettivo del permesso di costruire (link a www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: P. C. Cretì, Il paesaggio nel titolo V della Costituzione e nel D.Lgs. 42/2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio (link a www.entilocali.provincia.le.it).

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Montagna, parla la regione. Potere sostitutivo dei prefetti in via residuale. Se i governatori hanno legiferato non si applicano le norme statali.
Il prefetto è competente a procedere alla diffida dei consigli delle comunità montane che non hanno adempiuto all'approvazione del bilancio di previsione e a provvedere all'eventuale nomina di un commissario ad acta, qualora lo statuto regionale attribuisca al presidente della giunta regionale l'adozione di «provvedimenti urgenti e sostitutivi di competenza della regione»?
Il nostro ordinamento prevedeva, già prima della riforma costituzionale del 2001, che le norme della legislazione statale in materia di scioglimento dei consigli comunali e provinciali si applicassero alle Comunità montane solo «ove non diversamente previsto dalle leggi regionali» (art. 141, comma 8, del Tuel 267/2000).
A seguito della legge costituzionale 18.10.2001, n. 3 la disciplina delle comunità montane è stata attribuita alla competenza residuale regionale, come più volte chiarito dalla Corte costituzionale, da ultimo con la recente sentenza n. 237 del 16.07.2009.
Pertanto, se la regione ha esercitato tale potere legislativo, sia in sede di emanazione del proprio statuto, sia con legge regionale -che prevede, nelle materie di competenza legislativa regionale e nel rispetto del principio di leale collaborazione, l'esercizio di un potere sostitutivo sugli enti locali nei casi in cui vi sia una accertata e persistente inattività nell'esercizio obbligatorio di funzioni amministrative, anche attraverso la nomina di un commissario- non sono applicabili le norme della legislazione statale che attribuiscono ai prefetti la competenza a nominare un commissario ad acta in caso di mancata approvazione, nei termini, del bilancio da parte delle comunità montane (articolo ItaliaOggi del 26.11.2010 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Disciplina dei permessi.
Come si applica la disciplina dei permessi retribuiti previsti dall'art. 79 del decreto legislativo n. 267/2000 ad un dipendente pubblico che ricopre diversi incarichi politici?

L'art. 79 (commi 1-5) differenzia le modalità di fruizione dell'istituto prevedendo che solo per le sedute del consiglio il consigliere ha diritto al permesso lavorativo per l'intera giornata, oltre a quella successiva in caso di durata oltre la mezzanotte, mentre per le riunioni di organi esecutivi e commissioni gli amministratori hanno diritto di assentarsi dal lavoro per la durata delle riunioni degli organi di cui fanno parte, oltre che per il tempo necessario per raggiungere il luogo di riunione e rientrare nella sede di lavoro.
Tale norma, inoltre, prevede la possibilità di assentarsi ulteriormente dal lavoro, entro un limite massimo di 24 ore lavorative al mese, e riconosce ai lavoratori dipendenti il diritto di usufruire di ulteriori permessi non retribuiti, sino a un massimo di 24 ore lavorative mensili, qualora risultino necessari per l'espletamento del mandato, da utilizzare anche per lo studio preliminare e la trattazione degli argomenti inseriti nell'ordine del giorno della riunione.
In merito all'attestazione dei permessi, il lavoratore dipendente ha l'obbligo di documentare, con apposita certificazione, l'attività e i tempi di espletamento del mandato (comma 6, art. 79 T.u.), quantificando anche il tempo impiegato per lo spostamento da e per il luogo di lavoro. In assenza di specifica norma regolamentare, l'attestazione dell'utilizzo dei permessi retribuiti e non retribuiti può essere rilasciata dal sindaco, dal segretario comunale, dal segretario del collegio cui partecipano gli amministratori interessati, da un consigliere facente le veci di segretario, ovvero dal presidente dell'adunanza.
In ordine alla carica di capogruppo consiliare, l'art. 79, comma 4, del T.u. fa espresso riferimento alla figura di «presidente del gruppo consiliare», pertanto i permessi retribuiti possono essere fruiti dall'amministratore che ricopre la carica di capogruppo consiliare solo nel caso in cui, in base a norme statutarie e regolamentari del comune, tale figura sia in tutto assimilabile, per compiti e attribuzioni, a quella di presidente di gruppo consiliare.
Infine, il comma 1 dell'art. 85 del Testo unico stabilisce che le norme relative alla posizione, al trattamento e ai permessi dei lavoratori pubblici e privati chiamati a funzioni elettive, si applicano anche alla partecipazione dei rappresentanti degli enti locali alle associazioni internazionali, nazionali e regionali tra enti locali.
La richiamata normativa non pone un limite alle spese per i rimborsi, tranne quello costituito dal monte ore previsto dal menzionato art. 79, pertanto all'amministratore spettano i permessi specificatamente previsti per ogni singola carica ricoperta, a meno che non si verifichi una coincidenza nell'ambito della stessa giornata tra le convocazioni dei rispettivi organi (articolo ItaliaOggi del 26.11.2010 - link a www.ecostampa.com).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Legittimo estendere la riforma Brunetta a regioni e autonomie. L'analisi: cosa cambia dopo la sentenza della consulta.
La riforma-Brunetta è costituzionalmente legittima, nella parte che estende espressamente a regioni ed enti locali la disciplina degli incarichi dirigenziali a tempo determinato per soggetti non appartenenti ai ruoli, contenuta nell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001.
È la Corte costituzionale, con la sentenza 12.11.2010, n. 324 a chiarire definitivamente la legittimità costituzionale dell'operazione legislativa posta in essere dal dlgs 150/2009 si sovrapporsi all'articolo 110 del dlgs 267/2000, del quale indirettamente si conferma l'irrimediabile disapplicazione.
La Consulta ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale poste dalle regioni Piemonte, Toscana e Marche, in merito all'articolo 40, comma 1, lettera f), del d.lgs 150/2009, nella parte in cui ha introdotto nell'articolo 19 del dlgs 165/2001 il comma 6-ter.
Tale disposizione stabilisce che i commi precedenti 6 e 6-bis del citato articolo 19 si applicano anche alle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, sempre del dlgs 165/2001: dunque, anche a regioni ed enti locali.
L'Anci e molta parte della dottrina hanno rilevato la presunta incostituzionalità di tale norma, che avrebbe compresso l'autonomia organizzativa costituzionalmente garantita, tanto alle regioni, quanto agli enti locali, impedendo di applicare le più estensive norme regionali o la disciplina dell'articolo 110 del dlgs 267/2000. In particolare, l'articolo 19, comma 6, è stato ritenuto penalizzante per le amministrazioni locali, soprattutto per le rigide e contenute percentuali entro le quali consente di assumere dirigenti esterni con contratti a tempo determinato.
Le regioni ricorrenti, in particolare, avevano lamentato la violazione degli articoli 76, 117, comma 3 e 4, e 119 della Costituzione, ritenendo che la norma introdotta dalla riforma-Brunetta avrebbe leso la potestà legislativa generale e residuale delle regioni, estesa, a loro giudizio, all'organizzazione ed alle modalità di reclutamento del personale regionale e degli enti locali. Una legge statale non avrebbe potuto fissare e certamente non col dettaglio dell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001 l'acquisizione di dirigenti a tempo determinato non appartenenti ai ruoli.
La Consulta ha totalmente rigettato l'impostazione delle regioni ricorrenti, evidenziando che il legislatore statale ha correttamente esercitato la propria potestà legislativa, trattandosi di una normativa riconducibile alla materia dell'ordinamento civile. L'articolo 117, comma 2, lettera l), della Costituzione attribuisce, infatti, alla competenza legislativa esclusiva dello stato appunto la materia dell'ordinamento civile. E il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni si determina, spiega la sentenza 324/2010 attraverso «la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato. Conseguentemente, la disciplina della fase costitutiva di tale contratto, così come quella del rapporto che sorge per effetto della conclusione di quel negozio giuridico, appartengono alla materia dell'ordinamento civile».
La sentenza della Consulta rileva che l'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001 non riguarda né procedure concorsuali pubblicistiche per l'accesso al pubblico impiego, né la scelta delle modalità di costituzione di quel rapporto giuridico.
Dunque, non c'è violazione degli articoli 117, commi 3 e 4, e 119 della Costituzione, proprio perché perché la norma impugnata dalle regioni non attiene a materie di competenza concorrente (coordinamento della finanza pubblica) o residuale regionale (organizzazione delle regioni e degli uffici regionali, organizzazione degli enti locali).
Come rilevato, dalla sentenza della Consulta discende la conferma della disapplicazione dell'articolo 110, commi 1, 2 e 5, del dlgs 267/2000. Il comma 1 risulta assolutamente incompatibile con l'articolo 19, comma 6, perché non prevede alcuna limitazione percentuale all'incarico di dirigenti a tempo determinato. L'estensione dell'articolo 19, comma 6, invece impone di rispettare il limite massimo agli incarichi, che a questo punto non può non coincidere con l'8% relativo ai dirigenti di seconda fascia, poiché il limite del 10%, riguardante esclusivamente poche centinaia di dirigenti dello stato di prima fascia, non può estendersi all'ordinamento locale.
A sua volta, il comma 2 dell'articolo 110 deve considerarsi del tutto abolito: esso, infatti, a differenza dell'articolo 19, comma 6, prevede l'acquisizione di dirigenti a tempo determinato oltre i limiti della dotazione organica. Anche il comma 5, ai sensi del quale il rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti locali si risolve di diritto, non può considerarsi operante, rispetto all'estensione anche all'ordinamento locale dell'articolo 19, comma 6, per effetto del quale, invece, scatta l'aspettativa d'ufficio (articolo ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il tetto agli aumenti blocca tutto. Semaforo rosso all'erogazione di compensi aggiuntivi. Parere della Ragioneria generale dello stato in risposta a un quesito sul dl 78 del 2010.
Il tetto del 3,2% agli aumenti contrattuali del biennio economico 2008/2009 si applica al personale degli enti locali e blocca la erogazione di compensi aggiuntivi non corrisposti concretamente prima della entrata in vigore del dl n. 78/2010, cd manovra estiva, e finanziati dall'aumento del fondo 2009 disposto per gli enti cd virtuosi.
Non si producono effetti né sugli aumenti di stipendio disposti dallo stesso contratto, anche se gli aumenti superano il tetto del 3,2%, né sui pagamenti del fondo derivanti dall'aumento previsto per gli enti virtuosi e già corrisposti in precedenza, né sulle risorse aggiuntive inserite nei fondi dalla contrattazione decentrata.

Possono essere così riassunte le principali indicazioni dettate dalla Ragioneria generale dello stato nel parere 16.11.2010 n. 96618 di prot., reso in risposta a un quesito posto dall'Anci che si faceva portavoce dei dubbi esistenti in numerosi comuni. Ricordiamo che negli stessi termini si era espressa nelle scorse settimane anche la sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Toscana, con il parere n. 123: per cui non vi sono dubbi interpretativi o incertezze da invocare nel caso di contenziosi. La conclusione lascia l'amaro in bocca ai dipendenti di quelle amministrazioni in cui le somme aggiuntive sono state inserite nel fondo, ma non sono state corrisposte e, a seguito del dl n. 78/2010, non possono essere erogate, mentre in numerosi altri enti ciò è invece avvenuto.
Vediamo il dato legislativo. L'articolo 9, comma 4, della manovra estiva dispone che dallo scorso giugno, cioè dal mese successivo alla entrata in vigore del dl n. 78/2010, siano diventate «inefficaci» le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro che dispongono aumenti superiori al 3,2% per il biennio economico 200/2009. E inoltre ha stabilito che «i trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati». Nell'ambito di questa norma rientrano i contratti collettivi dei dirigenti e dei dipendenti della sanità e dei dipendenti degli enti locali (Ccnl 31/7/2009).
Si deve subito precisare che la norma non si occupa degli aumenti previsti da singoli contratti collettivi decentrati integrativi in applicazione delle previsioni dei contratti nazionali che consentono aumenti del fondo per le risorse decentrate. E non rientrano neppure gli aumenti di stipendio corrisposti alle singole posizioni di progressione economica: anche se si supera il tetto del 3,2% di aumento, si deve considerare che comunque non si supera il tetto complessivo dell'incremento del 3,2% del costo medio: infatti il Ccnl non prevede nessun aumento del fondo per le risorse decentrate, per cui gli aumenti stipendiali devono superare tale cifra.
L'aumento che ha superato il tetto dettato dal legislatore è quello che viene consentito agli enti cd virtuosi nella misura massima dello 1% del monte salari 20007: Tale aumento poteva essere ulteriormente incrementato fino allo 1,5% in presenza di condizioni di forte differenziazione. E ciò nonostante che tale aumento sia espressamente una tantum per il fondo del 2009. E che tali aumenti vadano nella parte variabile e non in quella stabile, quindi non possono essere utilizzati per finanziare le progressioni economiche e/o per la indennità dei titolari di posizione organizzativa e/o la maggior parte della indennità di comparto.
Da qui la conclusione della Ragioneria generale dello stato: non si possono erogare i «predetti emolumenti anche con riferimento alle somme che, pur se stanziate, non siano state ancora corrisposte» al personale. Mentre invece non è necessario operare alcun recupero in caso di erogazione avvenuta in precedenza. Alla base di tale scelta, oltre che lo scopo di evitare impatti traumatici, quali il recupero di somme già percepite, peraltro dagli esiti assai dubbi in caso di contenziosi. Questa differenza sicuramente lascia, più che legittimamente, l'amaro in bocca a coloro che speravano in tali aumenti e che li vedono percepiti dai colleghi di altri enti (articolo ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Progressioni bandite. Assunzioni nulle. Paga il dirigente. È fuorviante pensare che il divieto non preveda sanzioni.
Lo svolgimento di progressioni verticali, in violazione della disciplina della riforma-Brunetta, che le ha eliminate, comporta la nullità delle assunzioni e potenziali elementi di responsabilità amministrativa.
Nonostante a partire dalla deliberazione 10/2010 della Corte dei conti, sezione autonomie, la magistratura contabile abbia assunto una posizione chiarissima, secondo la quale per effetto degli articoli 52, comma 1-bis, del dlgs 165/2001 e 24 del dlgs 150/2009 le progressioni verticali siano state eliminate, molte amministrazioni locali hanno continuato per tutto il 2010, a riforma vigente, ad espletare le relative procedure.
Si è ingenerata, infatti, la convinzione che tutto sommato non vi sarebbero controindicazioni a procedere egualmente, visto che il legislatore non prevede espressamente sanzioni nel caso in cui si dia corso alle progressioni verticali. È, tuttavia, una visione erronea e semplicistica.
Non si tiene sufficientemente in considerazione che la disciplina per le progressioni di carriera (che hanno sostituito le progressioni verticali) è contenuta nell'articolo 52, comma 1-bis, del dlgs 165/2001, il quale ammette esclusivamente il concorso pubblico, con eventuale riserva di posti non superiore al 50%. Tale norma, come tutte quelle del dlgs 165/2001, è qualificata come «imperativa» dall'articolo 2, comma 2, del medesimo dlgs 165/2001. Dunque, la violazione di tali norme comporta di per sé la totale nullità dei provvedimenti che le violino e degli atti negoziali, i contratti di lavoro, conseguenti.
Allora, risultano evidenti le conseguenze delle assunzioni mediante progressioni verticali vietate. Si tratta, infatti, di assunzioni in una nuova categoria o area senza un valido titolo giuridico, sicché l'erogazione del compenso diviene illegittima e, dunque, possibile fonte di responsabilità amministrativa dell'ente e del dirigente che vi abbia dato corso (fermo restando il diritto del dipendente a percepire l'incremento stipendiale, fino a disapplicazione del provvedimento).
Il vulnus derivante dal perdurante utilizzo delle progressioni verticali nonostante la loro eliminazione dall'ordinamento viene ulteriormente comprovato dal danno potenziale che esse arrecano ai lavoratori posti in disponibilità e, dunque, alle soglie del licenziamento. Gli enti, quando avviano le progressioni verticali, non adempiono all'articolo 34-bis del dlgs 165/2001 e dunque non verificano se vi sono dipendenti pubblici inseriti nelle liste di disponibilità, per l'attivazione della mobilità obbligatoria. Tale verifica, invece, è obbligatoria quando si proceda mediante concorso pubblico.
Di conseguenza, proseguire nelle progressioni verticali non solo implica le responsabilità viste prima, ma compromette le protezioni sul lavoro che l'ordinamento ha previsto a beneficio dei lavoratori pubblici in disponibilità, ciascuno dei quali potrebbe vantare un diritto al risarcimento del danno subito dalla perdita della possibilità di ricollocarsi in un'amministrazione, derivante dall'illecito utilizzo delle progressioni verticali (articolo ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: P.a., web sdoganato. Dipendenti al pc: niente peculato. Per la Cassazione importante è che non ci sia danno.
La Cassazione sdogana la navigazione in internet negli uffici pubblici che hanno contratti prepagati. Il dipendente pubblico che usa il cellulare di lavoro per mandare sms o fare chiamate private e naviga su internet dal pc dell'ufficio per ragioni personali non risponde di peculato, se il danno provocato all'amministrazione è di scarsa entità.
È quanto sancito dalla Suprema corte che, con la sentenza 25.11.2010 n. 41709, ha respinto il ricorso della procura di Torino contro la sentenza di non luogo a procedere emessa dal Gip nei confronti di un dipendente comunale accusato di peculato e abuso d'ufficio.
L'uomo aveva usato il telefono cellulare datogli in dotazione dall'ente locale per chiamare i suoi amici e familiari, per un totale di 25 ore a un costo di 75 euro. Il dipendente inoltre aveva usato il computer dell'ufficio navigando su internet per ragioni personali. Il danno all'amministrazione era ridottissimo nel caso del telefono, e nullo per quel che riguardava la navigazione su internet, dal momento che il comune pagava un canone fisso mensile di abbonamento per la connessione.
La Cassazione ha quindi confermato il proscioglimento da ogni accusa, ricordando che «non integra il reato di peculato l'utilizzo da parte del pubblico ufficiale dei telefoni di cui ha la disponibilità per ragioni di ufficio per comunicazioni di carattere privato o l'uso del pc collegato alla rete internet per ragioni personali qualora i danni al patrimonio della pubblica amministrazione siano di scarsa entità o nulli, finendo per essere irrilevanti, rilevandosi le condotte inoffensive del bene giuridico tutelato».
Non solo, i giudici pur affermando che la giurisprudenza della Corte sull'argomento «ha giudicato in modo differente è vero che le diversità sono dovute essenzialmente alla diversa misura di tale utilizzazioni» e tutte le sentenze pronunciate «sono concordi nel ritenere che danni al patrimonio della pubblica amministrazione di scarsa entità finiscono per essere irrilevanti per rivelarsi le condotte inoffensive del bene giuridico tutelato».
Sul fronte internet, poi, la sesta sezione penale ha inoltre chiarito che, dato l'abbonamento che il Comune aveva stipulato con la Telecom, «nessun danno è stato cagionato alla pubblica amministrazione». Infatti, ha poi aggiunto il Collegio di legittimità, «ravvisabile un concreto incremento patrimoniale» da parte dell'indagato e quindi «un vantaggio ingiusto» (articolo ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

INCARICHI PROFESSIONALI: Regolamento per gli incarichi agli esterni.
La pubblica amministrazione non può affidare un incarico ad un soggetto estraneo se prima non si è dotata di un apposito regolamento che disciplini il conferimento di incarichi di collaborazione, così come prevede l'articolo 7, comma 6-bis del testo unico sul pubblico impiego. Inoltre, affinché l'incarico abbia efficacia, è necessaria una verifica preliminare che all'interno dell'organizzazione dell'ente manchi il personale idoneo, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo e che le prestazioni da conferire siano di carattere eccezionale e temporaneo, escludendo a priori proroghe di incarichi già conferiti.
È quanto ha rilevato la Sezione centrale di controllo di legittimità della Corte dei Conti, nel testo della deliberazione 19.11.2010 n. 25, con la quale ha ricusato il visto e non ha ammesso a registrazione il conferimento da parte dell'Autorità portuale di Trieste, di un incarico di consulenza legale nello staff della presidenza.
Il collegio della Corte, ha rilevato infatti che, in violazione di quanto previsto dall'articolo 7, comma 6-bis del dlgs n. 165/2001, l'ente non si è ancora dotato del regolamento che disciplina e rende pubbliche le procedure comparative per il conferimento di incarichi di collaborazione e, la mancanza di questo fondamentale presupposto già di per è sarebbe condizione per la non ammissione al vaglio del provvedimento di incarico.
Quanto al merito dell'incarico, secondo giurisprudenza ormai consolidata della stessa magistratura contabile, il conferimento di un incarico di consulenza a soggetti esterni all'apparato amministrativo può ritenersi legittimo ove si renda necessario per affrontare problematiche di particolare complessità o urgenza che non possano essere adeguatamente o tempestivamente risolte avvalendosi delle professionalità interne e a condizione che il medesimo incarico sia sufficientemente determinato nei suoi contenuti e nella sua durata.
Nel conferimento delle consulenze esterne, pertanto, le amministrazioni pubbliche devono attenersi a quattro fondamentali principi. Innanzitutto, l'effettiva rispondenza dell'incarico a obiettivi specifici dell'amministrazione conferente. Poi, dovrà essere certificato il carattere eccezionale e temporaneo delle prestazioni che costituiscono l'oggetto della consulenza, nonché la comprovata mancanza all'interno dell'organizzazione dell'Ente, di personale idoneo, sotto il profilo quantitativo o qualitativo, a sopperire alle esigenze che determinano il ricorso alla consulenza e, come detto, che l'attribuzione ad esperti di particolare e comprovata specializzazione, avvenga mediante una procedura concorsuale che sia disciplinata da un apposito regolamento interno. Nel caso posto al vaglio della Corte, l'incarico difetta dei requisiti di eccezionalità e temporaneità, in quanto non fa riferimento ad una problematica eccezionale, ma abbraccia «tutte le implicazioni giuridiche sottese alle normali attività istituzionali» dell'autorità portuale di Trieste.
Quanto al carattere temporaneo, poi, la Corte ha rilevato che «è evidente che tali complesse attività non hanno neanche la caratteristica di essere meramente temporanee, giacché le prestazioni del consulente si protraggono ormai da tre anni, trattandosi di una proroga della consulenza medesima».
Infine, l'ente concedente non ha adeguatamente motivato la mancanza di specifiche professionalità idonee allo svolgimento di tali compiti all'interno delle strutture organizzative. Anzi, si è affermato che, in relazione al mancato adeguamento della pianta organica alle proprie esigenze, sono stati assunti alle dipendenze dell'Autorità portuale due unità in possesso di specifiche professionalità parzialmente idonee ad assumere in prospettiva mansioni di rilevante responsabilità, dopo adeguato inserimento e maturazione della necessaria esperienza (articolo ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Lo statale si paga la benzina. Utilizzo del mezzo proprio solo se assicurato. Corte dei conti Toscana scrive un nuovo capitolo della querelle aperta dalla manovra.
La pubblica amministrazione può autorizzare il dipendente all'utilizzo del mezzo proprio, in particolare quando tale soluzione sia più conveniente per la stessa amministrazione.
L'amministrazione dovrà farsi carico di stipulare una polizza assicurativa che copra eventuali sinistri occorsi al dipendente (ovvero a mantenere quella in essere), ma i costi relativi al carburante devono restare esclusivamente a carico dello stesso dipendente autorizzato. Questo perché la volontà dei legislatore, che sul punto è intervenuto con la manovra correttiva dei conti pubblici del maggio 2010, non è stata quella di abrogare la possibilità di utilizzare il mezzo del dipendente, bensì quella di ridurre la spesa che ne consegue.

E' quanto ha messo nero su bianco la sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Toscana, nel testo del parere 17.11.2010 n. 170 che arricchisce di un nuovo capitolo la querelle sulla corretta interpretazione da dare alle disposizioni contenute all'articolo 6, comma 12 del decreto legge n. 78/2010, in merito alla possibilità o meno del dipendente di poter utilizzare il mezzo proprio, nell'espletamento di un compito d'istituto e al correlato rimborso delle spese da questi sostenute ... (articolo ItaliaOggi del 25.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Manager a termine, vale la Brunetta. Abrogate le disposizioni del Tuel sulla dirigenza non di ruolo. Corte conti Veneto: gli enti locali possono conferire incarichi solo a norma del dlgs 150/2009.
Gli incarichi dirigenziali a tempo determinato possono essere conferiti dagli enti locali esclusivamente nel rispetto delle previsioni dell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001. Non risulta più applicabile, dunque, l'articolo 110, commi 1 e 2, del dlgs 267/2000, che risulta incompatibile con la riforma Brunetta e con una lettura delle disposizioni costituzionalmente orientata.
Dopo la sentenza della Corte costituzionale 12.11.2010, n. 324 che ha sancito la conformità a Costituzione dell'articolo 19, comma 6-ter, del dlgs 165/2001, ai sensi del quale si estende a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese regioni ed enti locali, la regolamentazione degli incarichi dirigenziali a contratto prevista nel precedente comma 6, è la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo del Veneto, che col parere 15.11.2010 n. 231 chiude le questioni interpretative poste, decretando l'abrogazione dell'articolo 110, commi 1 e 2, del Tuel.
La sezione dirime i dubbi interpretativi, negando la sostenibilità delle tesi contrarie, poggiate principalmente su due elementi: la natura «speciale» dell'articolo 110 del dlgs 267/2000 e la clausola di rafforzamento del medesimo dlgs 267/2000, contenuta nel suo articolo 1, comma 4.
La prima argomentazione non ha pregio. Secondo la sezione, l'articolo 19, comma 6, è a sua volta norma speciale: in effetti, contiene una regolamentazione specifica per l'acquisizione di dirigenti non di ruolo. Poiché il nuovo comma 6-ter dell'articolo 19 stabilisce che la nuova norma speciale riguardante la dirigenza statale vada applicata anche in tutte le altre amministrazioni pubbliche, allora non si può che rilevare l'inefficacia delle relative norme speciali previgenti riguardanti la medesima questione.
Del resto, evidenzia la sezione, il legislatore ha manifestato chiaramente l'intento di ricondurre ad unità la disciplina degli incarichi dirigenziali a contratto, allo scopo di contenerne il numero e di adeguarla alle sentenze della Corte costituzionale che, a partire dalla sentenza 103/2007, hanno rilevato la contrarietà a Costituzione di una dirigenza non di ruolo. Infatti, l'articolo 6, comma 2, lettera h), della legge 15/2009 (le legge delega da cui è scaturito il dlgs 150/2009) ha demandato al legislatore delegato il compito di ridefinire la «disciplina relativa al conferimento degli incarichi ai soggetti estranei alla pubblica amministrazione e ai dirigenti non appartenenti ai ruoli, prevedendo comunque la riduzione, rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente, delle quote percentuali di dotazione organica entro cui è possibile il conferimento degli incarichi medesimi». Tale delega è stata attuata con una disciplina unitaria degli incarichi a contratto, valevole per ogni amministrazione pubblica.
D'altra parte, l'articolo 110, commi 1 (in particolare) e 2, cozza contro una lettura costituzionalmente orientata del corpo normativo come indicata dalla Consulta, in quanto tale norma consente un'eccessivamente stretta correlazione il dirigente a contratto e l'organo di governo, che pregiudicherebbe l'effettività della distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione.
In secondo luogo, non vale a fare salvo l'articolo 110 il comma 4 dell'articolo 1 del dlgs 267/2000. La sezione del Veneto richiama quanto già rilevato affermato dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti con la delibera 10/2010, ribadendo che detto articolo 1, comma 4, è da considerarsi come non esistesse, poiché contrasta platealmente con principi fondamentali in merito alla struttura delle fonti dell'ordinamento, in applicazione del quale «tra fonti dello stesso grado gerarchico, promulgate in tempi successivi e regolanti la stessa materia, la legge posteriore deroga la legge precedente».
L'articolo 1, comma 4, altro non è se non una sorta di invito di natura «politica» che l'estensore del dlgs 267/2000 ha rivolto ai futuri legislatori, del tutto privo di ogni rilievo e cogenza giuridica.
Di particolare rilievo, ancora, l'affermazione del parere della sezione, secondo la quale l'applicazione diretta dell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2000 non trova ostacolo nell'autonomia regolamentare in materia di organizzazione riconosciuta agli enti locali dall'articolo 117, comma 6, della Costituzione. Infatti si tratta di accesso al pubblico impiego, ambito di disciplina riservato alla legge ai sensi dell'articolo 97, comma 3, della Costituzione, rispetto al quale l'organizzazione delle funzioni non ha nulla a che vedere  (articolo ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Sul principio di concentrazione e continuità delle operazioni di gara in materia di appalti pubblici.
Gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta devono svolgersi in seduta pubblica.

Al fine di assicurare imparzialità, pubblicità, trasparenza e speditezza all'azione amministrativa, le sedute di una commissione di gara devono ispirarsi al principio di concentrazione e di continuità.
La fase di valutazione delle offerte tecniche ed economiche deve essere concentrata in un'unica seduta, onde poter scongiurare possibili influenze esterne ed assicurare l'assoluta indipendenza di giudizio dell'organo incaricato dell'esame.
Il principio di continuità e concentrazione della gara è suscettibile di eccezioni, potendo verificarsi particolari circostanze che, in concreto, impediscano l'espletamento delle operazioni nel breve termine, tra cui la complessità delle valutazioni da svolgere o l'elevato numero delle offerte da giudicare. In siffatte ipotesi, tuttavia, l'esigenza di continuità impone comunque l'osservanza del minimo intervallo temporale tra una seduta e l'altra e delle massime garanzie di conservazione dei plichi contenenti le singole offerte.
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Devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa sia che si tratti di documentazione afferente l'offerta tecnica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.11.2010 n. 8155 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente per omessa allegazione della copia fotostatica del documento d'identità all'offerta economica.
E' legittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia omesso di allegare, alla busta contenente l'offerta economica, copia fotostatica del documento di identità, come prescritto dal bando di gara, in quanto nelle gare pubbliche le regole stabilite dalla lex specialis vincolano rigidamente la stazione appaltante, la quale è tenuta ad applicarle senza alcun margine di discrezionalità nella loro interpretazione, a tutela della par condicio ed in virtù del principio generale che vieta la disapplicazione del bando, quale atto con cui l'amministrazione si sia, in origine, autovincolata. A maggior ragione la commissione non può interpretare discrezionalmente le norme di gara qualora le stesse, come nel caso di specie, contengano espresse clausole "a pena di esclusione".
Infatti, nell'ipotesi in cui il bando commini espressamente l'esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, anche soltanto formali, l'amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tali previsioni, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale circa la rilevanza dell'inadempimento, l'incidenza di questo sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis.
Peraltro, la giurisprudenza ha chiarito che deve ritenersi indefettibile la produzione della copia fotostatica del documento d'identità nel caso in cui si tratti di supportare la più importante delle dichiarazioni di volontà che intervengono nella procedura concorsuale, vale a dire l'offerta economica, stante che la prescritta formalità assolve all'essenziale funzione di ricondurre al suo autore l'autenticità dell'apposta sottoscrizione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.11.2010 n. 8152 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il richiamo alla sussistenza del vincolo paesaggistico e alla lesione del cono ottico non giustifica il divieto di collocazione dei cartelli pubblicitari.
Il Collegio ha già statuito che la motivazione non può tradursi in formule generiche, e deve invece dare contezza delle ragioni per le quali viene ritenuta la non compatibilità del manufatto con le esigenze di tutela paesistica del contesto ambientale tutelato; ciò in quanto, altrimenti opinando, mediante l’adozione di formule di stile e ripetitive verrebbe a configurarsi di fatto un divieto generalizzato di collocazione dei cartelli pubblicitari nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico, in contrasto con la vigente disciplina legislativa di rango statale ossia con l’art. 153, comma 1, del D. Lgs. 22/01/2004 n. 42 (cfr. sentenze Sezione 03/03/2006 n. 266; 28/05/2009 n. 1153; 17/07/2009 n. 1516) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 19.11.2010 n. 4663 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'attività di repressione degli abusi edilizi non è soggetta a termini di decadenza o di prescrizione.
Rammenta in proposito il Collegio che la giurisprudenza predica in maniera costante e risalente (Consiglio di Stato, Sez. V, 27.06.1983, n. 277) che il potere dovere dell’Amministrazione di reprimere gli abusi edilizi irrogando le misure sanzionatorie variamente prescritte dalla legge per le varie tipologie dei medesimi (demolizione con eventuale acquisizione dell’area di sedime per il caso della realizzazione di un opus in assenza di permesso di costruire o in totale difformità; “fiscalizzazione” qualora la demolizione non possa essere eseguita senza pregiudizio per la parte di edificio conforme; sanzione pecuniaria pari al valore venale all’aumento di valore arrecato dall’opera eseguita in parziale difformità dal permesso di costruire per il caso della mera realizzazione in parziale difformità dal titolo; sanzione pecuniaria non inferiore ad € 500 per le opere assoggettate a d.i.a. e realizzate in assenza di quest’ultima) non soggiace a termini prescrizionali o decadenziali.
Si è di recente in tal senso ribadito, infatti, che “l'attività di repressione degli abusi edilizi, essendo collegata alla tutela dell'interesse pubblico all'ordinato sviluppo del territorio, così come delineato nello strumento urbanistico e nella regolamentazione edilizia vigenti, non è soggetta a termini di decadenza o di prescrizione e può essere esercitata anche a notevole distanza di tempo dalla commissione dell'abuso” (TAR Campania Napoli, sez. VII, 29.07.2010, n. 17176; TAR Campania Napoli, sez. III, 13.07.2010, n. 16693) altresì precisandosi, nell’ottica dell’assicurazione della legalità dell’attività dei privati, che “il potere di ripristino dello status quo, infatti, non è soggetto ad alcun termine di prescrizione né è tacitamente rinunciabile, poiché il semplice trascorrere del tempo non può legittimare una situazione di illegalità, né imporre all'Amministrazione la necessità di una comparazione dell'interesse del privato alla conservazione dell'abuso con l'interesse pubblico alla repressione dell'illecito” (TAR Puglia-Lecce, sez. III, 28.01.2010 , n. 335) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 19.11.2010 n. 4164 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le opere assoggettate al titolo edilizio della autorizzazione non possono formare oggetto di sanzione reale demolitoria ma unicamente di sanzione pecuniaria.
La Sezione ha più volte precisato e recentemente ribadito come costituisca regola pietrificata, scaturente dal tenore e dal disposto dell’art. 7 (e in particolare dal comma 3) dell’abrogata L. n. 47/1985 quella secondo la quale le opere assoggettate al titolo edilizio della autorizzazione non possono formare oggetto di sanzione reale demolitoria ma unicamente di sanzione pecuniaria (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 19.11.2010 n. 4153 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità del provvedimento di esclusione di un concorrente per anomalia dell'offerta presentata, nell'ipotesi in cui lo stesso si giustifichi in base ad una motivazione c.d. "per relationem".
Il giudizio di non anomalia, ovvero di congruità dell'offerta, non richiede, di regola, una motivazione puntuale ed analitica, poiché le giustificazioni presentate dall'offerente possono costituire, per relationem, la motivazione stessa del provvedimento.
E' fatto, invero, obbligo, in capo alla stazione appaltante, di motivare puntualmente il provvedimento conclusivo nell'ipotesi di giudizio di anomalia, che porti ad escludere l'impresa offerente che abbia formulato il migliore ribasso.
Considerato che, nel caso di specie, recante esclusione per ritenuta anomalia, il suddetto provvedimento risulta motivato per relationem, mediante richiamo ai verbali della commissione tecnica incaricata dello scrutinio dell'anomalia, che esplicitano compiutamente le ragioni del giudizio di incongruità dell'offerta; ed applicando i comuni principi vigenti in tema di motivazione dei provvedimenti per relationem, ai sensi del'art. 3, c. 2, della L. n. 241/1990, è da ritenere legittimo un provvedimento di esclusione di un'offerta dall'ulteriore corso di una pubblica gara in virtù della ritenuta anomalia, che sia motivato con riferimento a valutazioni e giudizi adeguatamente espressi in precedenti atti valutativi promananti da un organo tecnico della stazione appaltante, anche qualora si tratti di una apposita sottocommissione tecnica, nonché assunti in esito al contraddittorio effettuato con l'impresa stessa (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 19.11.2010 n. 4152 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici non può ritenersi implicitamente autorizzata in virtù della concessione ministeriale per l’attività di radiodiffusione.
 Ai sensi dell’art. 86, d.lgs. n. 259/2003, l'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi e, in specie, l'installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica, di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonché per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle bande di frequenza all'uopo assegnate, viene autorizzata dagli Enti locali, previo accertamento, da parte dell'Organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22.02.2001, n. 36, della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della citata legge 22.02.2001, n. 36, e relativi provvedimenti di attuazione.
Nel caso di specie, era stato acclarato che l’antenna era stata installata senza alcuna autorizzazione; pur non essendo necessaria quella edilizia, occorreva quella di cui all’art. 86 citato, che difettava, non potendo l’autorizzazione di cui al citato art. 86, di competenza comunale, essere ritenuta implicita nella concessione ministeriale per l’esercizio dell’attività di radiodiffusione.
Né l’Amministrazione era tenuta a sospendere l’ordine di rimozione, nelle more del nuovo procedimento autorizzatorio attivato dall’interessato, perché il nuovo procedimento non ha natura giuridica di condono (con il conseguente effetto sospensivo), per l’elementare ragione che il nuovo procedimento riguarda un nuovo e diverso impianto da ubicarsi in diversa località, e non la sanatoria dell’impianto preesistente (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.11.2010 n. 8099 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’impresa concorrente deve essere in regola con gli obblighi contributivi e fiscali fin dal momento di presentazione della domanda.
Secondo l’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza, la correttezza contributiva e fiscale è infatti richiesta, alle imprese partecipanti alla selezione per l’aggiudicazione dell’appalto, come requisito indispensabile non solo per la stipulazione del contratto, bensì per l’ammissione alla gara, con la conseguenza che, ai fini della valida partecipazione, l’impresa deve essere in regola con tali obblighi fin dalla presentazione della domanda e conservare la correttezza del rapporto per tutto lo svolgimento di essa, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo delle obbligazioni previdenziali e tributarie (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27.12.2004 n. 8215; Id., sez. IV, 20.09.2005 n. 4817; Id., sez. IV, 30.01.2006 n. 288; Id., sez. IV, 12.03.2009 n. 1458; Id., sez. VI, 11.08.2009 n. 4928; Id. sez. VI, 05.07.2010 n. 4243).
L’assunto non è smentito (e trova anzi conferma) dal disposto dell’art. 8, terzo comma, del decreto 24.10.2007 del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, in base al quale è ammessa, ai fini della partecipazione alle gare pubbliche, la regolarizzazione tardiva entro trenta giorni dall’emissione del d.u.r.c., purché si tratti di scostamenti inferiori o pari al 5% tra le somme dovute e quelle versate o, comunque, inferiori all’importo di 100 euro.
Per tutte le altre violazioni di entità superiore alla soglia di irrilevanza fissata dal d.m. del 2007, può considerarsi in regola solo l’impresa che, incorsa in situazione di irregolarità nel passato, abbia già condonato o in altro modo sanato le sue posizioni al momento della partecipazione.
E’ infatti indiscusso che il requisito di regolarità contributiva e fiscale sia richiesto dalla legge non già ai fini della stipulazione del contratto, ma per la stessa partecipazione alla gara: l’art. 38, comma 1, del Codice dei contratti pubblici dispone che “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento… e non possono stipulare i relativi contratti…” i soggetti ai quali sia imputabile una delle situazioni elencate nella norma.
L’impresa concorrente deve pertanto essere in regola con gli obblighi contributivi e fiscali fin dal momento di presentazione della domanda, con conseguente irrilevanza a tali fini di ogni adempimento tardivo dell’obbligazione, anche se riconducibile al momento della scadenza del termine del pagamento.
La giurisprudenza ha in tal senso chiarito che i meccanismi di regolarizzazione tardiva, tipici del diritto tributario e previdenziale, possono rilevare nelle reciproche relazioni di debito e credito tra l’impresa e l’Amministrazione o l’ente previdenziale, nel senso di consentire al contribuente, con l’adempimento successivo, di evitare le conseguenze del ritardo e di conseguire i medesimi benefici che avrebbe ottenuto in caso di esatto adempimento. Tale finzione giuridica non può però valere a costituire nei confronti della stazione appaltante quella correttezza fiscale e contributiva, che la norma prescrive al momento di partecipazione alla gara, come qualificazione soggettiva dell’impresa in termini di rispetto degli obblighi di legge, e quindi come espressione di affidabilità della stessa.
D’altronde, a ritenere legittima una regolarizzazione tardiva con efficacia retroattiva, successiva al momento della partecipazione, ne discenderebbe la modifica della natura del requisito di partecipazione, che si trasformerebbe in requisito per la stipulazione del contratto; si consentirebbe una violazione della par condicio tra i concorrenti, in quanto l’aggiudicatario, dapprima non in regola con gli adempimenti di legge, potrebbe sanare ex post la propria situazione di irregolarità, con evidente disparità di trattamento nei confronti delle imprese che, in conformità della legge, avevano adempiuto agli obblighi fiscali e previdenziali prima di presentare l’offerta.
Inoltre, ha osservato la giurisprudenza che tale ampliamento della nozione di regolarità avrebbe anche l’effetto deleterio di indebolire l’osservanza della normativa fiscale e previdenziale, che al contrario, pur nell’ambito della normativa settoriale sull’espletamento delle gare, si vuol rafforzare. Le imprese sarebbero quasi incentivate alla violazione di legge, considerando di poter poi provvedere comodamente alla regolarizzazione, con l’effetto vantaggioso di poter scegliere se farlo o meno in funzione dell’utile risultato dell’aggiudicazione, senza il rischio di pregiudizio per il conseguimento dell’appalto (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 18.11.2010 n. 3917 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Deve escludersi una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale in caso di realizzazione di un manufatto in legno.
Si può parlare di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio , secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale , in presenza di “ogni intervento che alteri in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, a nulla rilevando l'eventuale precarietà strutturale se ad essa non si accompagna un uso assolutamente temporaneo e per fini contingenti e specifici” (vedi Tar Puglia, sez. III , 10.06.2010 n. 2406).
Deve, pertanto, escludersi –in applicazione degli enunciati parametri giurisprudenziali– una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale nel senso inteso dal legislatore in caso di realizzazione di un manufatto in legno , il quale per le sue caratteristiche di non rilevante entità, di mancanza di ancoraggio al suolo, e per il fatto di essere asservito a copertura degli agenti atmosferici durante il periodo estivo è privo della capacità di alterazione duratura dello stato del territorio tale da esigere il preventivo atto concessorio (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 18.11.2010 n. 2675 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’autorizzazione per l’insediamento di impianti produttivi deve essere preceduta da una valutazione favorevole del progetto, espressa in sede di Conferenza di Servizi.
L'art. 5 del DPR 447/1998 introduce un procedimento semplificato per l’insediamento di impianti produttivi, conformi alla normativa vigente in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro, che verranno localizzati e realizzati anche in variante allo strumento urbanistico vigente, allorché questo non individui aree per insediamenti produttivi.
Si tratta di una normativa chiaramente finalizzata a favorire lo sviluppo economico e a consentire, perciò, la realizzazione di nuovi impianti produttivi anche se in contrasto con lo strumento urbanistico vigente, quando non vi siano ragioni per ritenere che il nuovo insediamento possa cagionare danni all’ambiente circostante e alla salute pubblica.
Secondo l’orientamento prevalente, l’autorizzazione a realizzare siffatti impianti deve essere preceduta da una valutazione favorevole del progetto, espressa in sede di Conferenza di Servizi al termine di una istruttoria che ha ad oggetto, essenzialmente, il rispetto della normativa ambientale, sanitaria e lavoristica. Un’ulteriore valutazione, di carattere invece eminentemente discrezionale ,viene poi effettuata dal Consiglio Comunale, al quale spetta la decisione di approvare o meno la variante necessaria per conformare lo strumento urbanistico al nuovo impianto produttivo (così Tar Milano, 27.01.2010, n. 193).
Il compito del Dirigente, antecedente a quello della Conferenza di servizi, si esaurisce nel verificare le condizioni di ammissibilità della domanda, cioè l’assenza di aree idonee destinate all’insediamento di impianti produttivi (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 18.11.2010 n. 2672 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: E' illegittima l’ordinanza sindacale che vieta alla popolazione di offrire alimenti ai gatti randagi.
È illegittima l’ordinanza con la quale il sindaco, ritenendo necessaria un’azione preventiva a salvaguardia della salute pubblica e a tutela delle aree interessate da una notevole presenza di colonie feline che costituivano causa diretta di rischio epidemiologico e di degrado degli spazi aperti, ha ordinato alla popolazione tutta di non offrire alcun alimento, anche saltuariamente, ai gatti randagi, considerato che nessuna norma di legge fa divieto di alimentare i gatti randagi nei luoghi in cui essi trovano rifugio.
Inoltre, il divieto di deporre alimenti per la nutrizione dei gatti randagi o che comunque vivano in libertà contrasta con l’art. 2 della legge 281/1991 (legge quadro nazionale a prevenzione del randagismo e a tutela degli animali da affezione).
Le colonie feline devono essere poste sotto controllo e sterilizzate dalle autorità competenti: pertanto, il metodo scelto dal comune per ridurre la popolazione di gatti randagi presenti sul territorio comunale nel caso in esame è illegittimo, dato che non rientra in nessuna delle opzioni consentite dalla legge.
Inoltre, il sindaco non risulta abbia fornito alcuna prova, nessuna valutazione né alcuno studio comprovanti la pericolosità per la salute pubblica di questi animali. Tantomeno risulta essere stato richiesto un parere all’Asl, nonostante spetti proprio all’Asl programmare le limitazioni e il controllo delle nascite e l’identificazione delle colonie feline.
L’Asl è l’organismo deputato in via generale alla sorveglianza sul fenomeno del randagismo. Per tale ragione, occorre che le affermazioni su possibili rischi per la salute umana a causa di malattie trasmesse attraverso colonie feline siano convalidate, ad es., da una relazione redatta dal Servizio veterinario dell’Asl competente (massima tratta da www.entilocali.provincia.le.it - TAR Veneto, Sez. III, sentenza 16.11.2010 n. 6045 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla possibilità, ai sensi dell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006, di regolarizzare una dichiarazione non pienamente conforme a quella richiesta dal bando di gara.
Sulla mancata soggezione, al giudizio di verifica di anomalia di un'offerta, in materia di affidamento del servizio farmaceutico e sul potere di una stazione appaltante di definire i criteri relativi alla valutazione delle offerte.

E' legittimo l'affidamento del servizio di gestione di una farmacia ad un concorrente che abbia presentato un'offerta priva della dichiarazione, richiesta a pena di esclusione dal bando di gara, avente ad oggetto l'impegno alla prestazione della garanzia definitiva, in caso di aggiudicazione del contratto, in quanto, nel caso di specie, l'affidatario ha dichiarato di "essere in possesso di una solidità economica e finanziaria che sarà successivamente dimostrata e garantita mediante dichiarazioni bancarie"; infatti, sussiste la possibilità, ove la commissione nutra dubbi circa il carattere impegnativo della dichiarazione ovvero la sua piena conformità alla legge di gara, di richiedere una regolarizzazione, in virtù dell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006, senza che ciò integri violazione della parità di trattamento, dato che la dichiarazione, ancorché non identica a quella del bando, è stata comunque presentata.
In materia di procedure per l'affidamento del servizio farmaceutico, la mancata soggezione della relativa offerta al giudizio di verifica dell'anomalia non integra violazione degli artt. 86, 87 e 88 del d.lgs. n. 163/2006; la gara in contestazione, infatti, non è diretta a consentire all'amministrazione di acquisire un servizio, con conseguente obbligo a suo carico di pagare, per esso, un corrispettivo all'aggiudicatario; trattasi, invero, di una concessione di pubblico servizio in cui, a fronte dell'attribuzione, al concessionario, del diritto di gestire autonomamente e a proprio rischio il servizio, erogato al pubblico, appropriandosi dei risultati di tale gestione, egli si assume l'obbligo di corrispondere all'amministrazione un canone.
Il fatto che la disciplina che impone alla stazione appaltante di procedere obbligatoriamente alla verifica dell'anomalia non sia direttamente applicabile alla procedura in oggetto, non implica che alla stessa non siano applicabili i principi generali in materia di gare, in particolare quello che obbliga la commissione a verificare che l'offerta sia seria e remunerativa. Tuttavia, nel caso di specie, non sussiste alcun elemento tale da far ritenere l'offerta non idonea a garantire una gestione in utile della farmacia e per la quale, pertanto, la commissione avrebbe dovuto pretendere una giustificazione.
L'operato di una stazione appaltante che abbia definito, in via discrezionale, i criteri di valutazione relativi alle offerte presentate dai concorrenti, non integra alcuna violazione dell'art. 83 del d.lgs. n 163/2006, in quanto, benché il testo attualmente vigente della predetta disposizione abbia soppresso siffatto potere, tuttavia la regola in essa contenuta non vale come principio generale in materia di affidamento del servizio farmaceutico, come si può desumere dalla circostanza che, sino alle modifiche da ultimo introdotte, l'art. 83 riconosceva alla commissione giudicatrice il potere di stabilire criteri di valutazione e la giurisprudenza aveva sino ad allora sempre ritenuto che ciò fosse possibile e persino auspicabile nell'ottica di una limitazione, sulla base di parametri predefiniti, della soggettività dei giudizi delle commissioni (TAR Lazio-Latina, sentenza 16.11.2010 n. 1890 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE PROGETTUALI: Prima del rilascio di un titolo edilizio, l’autorità comunale deve sempre anche accertare se la progettazione sia stata affidata ad un professionista competente in relazione alla natura ed importanza della costruzione.
Il criterio per accertare se una costruzione sia da considerare modesta, e rientri quindi nella competenza professionale dei geometri, va individuato nelle difficoltà tecniche che la progettazione e l’esecuzione dell’opera comportano e nelle capacità occorrenti per superarle; a questo fine assumono specifico rilievo, oltre alla complessità della struttura e delle relative modalità costruttive, anche, ma in via complementare, il costo presunto dell’opera, in quanto si tratta di un elemento sintomatico che vale ad evidenziare le difficoltà tecniche che coinvolgono la costruzione.
La competenza professionale dei geometri in materia di progettazione e direzione dei lavori di opere edili riguarda anche le piccole costruzioni accessorie in cemento armato che non richiedono particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone.

E’ noto che prima del rilascio di un titolo edilizio, l’autorità comunale deve sempre anche accertare se la progettazione sia stata affidata ad un professionista competente in relazione alla natura ed importanza della costruzione. Ed in questi casi, come sembra evidente, l’attività amministrativa di diritto pubblico non può qualificarsi come strumento teso a comprimere o negare un diritto soggettivo, ma a verificarne il regolare esercizio nell’ambito di un procedimento amministrativo in relazione al quale la disciplina della professione e della capacità progettuale assume rilievo meramente incidentale e la relativa valutazione fatta dalla P.A. un effetto meramente strumentale all’adozione del provvedimento concessorio finale.
Inoltre, come pacificamente e costantemente ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. IV, 12.03.2010, n. 1457), non appare seriamente contestabile la sussistenza dell’interesse e della legittimazione attiva del ricorrente a dedurre l’illegittimità di un atto certamente lesivo dei propri interessi.
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La questione che nella sostanza il Collego è chiamato a risolvere è quella volta ad accertare se il ricorrente, in possesso del diploma di geometra, avrebbe potuto o meno redigere il progetto dell’intervento costruttivo in questione.
Come è noto, la materia trova la sua disciplina fondamentale nell’art. 16 del R.D. 11.02.1929, n. 274 (Regolamento per la professione di geometra), che, nel precisare l’oggetto ed i limiti dell’esercizio professionale dei geometri, dispone alla lettera l) che tali professionisti possano, tra l’altro, svolgere attività di progettazione di costruzioni rurali (“progetto, direzione, sorveglianza e liquidazione di costruzioni rurali e di edifici per uso d’industrie agricole, di limitata importanza, di struttura ordinaria, comprese piccole costruzioni accessorie in cemento armato, che non richiedono particolari operazioni di calcolo e per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone; nonché di piccole opere inerenti alle aziende agrarie, come strade vicinali senza rilevanti opere d'arte, lavori d'irrigazione e di bonifica, provvista d'acqua per le stesse aziende e riparto della spesa per opere consorziali relative, esclusa, comunque, la redazione di progetti generali di bonifica idraulica ed agraria e relativa direzione”) ed alla lettera m) che tali professionisti possano, inoltre, svolgere l’attività di progettazione, direzione e vigilanza “di modeste costruzioni civili”.
Tali norme, come sembra evidente, nel regolare l’esercizio ed i limiti di applicazione delle professioni di geometra, architetto ed ingegnere sono dettate per assicurare che la compilazione dei progetti e la direzione dei lavori siano assegnati a chi abbia la preparazione adeguata all’importanza delle opere, a salvaguardia sia dell’economia pubblica e privata, che dell’incolumità delle persone.
E va, al riguardo, evidenziato che -relativamente agli edifici residenziali quali quelli ora all’esame- l’espressione utilizzata (“modeste costruzioni civili”) è stata variamente interpretata dalla giurisprudenza, talvolta in senso fortemente restrittivo e tal’altra in senso più permissivo, in relazione non solo alla possibilità del geometra di redigere un progetto, che preveda strutture in cemento armato, ed alla possibilità di far effettuare i relativi calcoli da un tecnico abilitato, ma anche in relazione alla individuazione di limiti quantitativi e qualitativi che la costruzione deve possedere, al fine di stabilire se la stessa rientri o meno nella nozione di modesta costruzione civile.
Invero, i limiti posti dal predetto art. 16, lettera m), alla competenza professionale dei geometri, se è pur vero che rispondono ad una scelta inequivoca del legislatore dettata da evidenti ragioni di pubblico interesse, lasciano nella sostanza all’interprete ampi margini in ordine alla valutazione dei requisiti della “modestia” della costruzione, della non necessità di complesse operazioni di calcolo e dell’assenza di implicazioni per la pubblica incolumità.
Della questione, va ricordato, si è recentemente già occupato con sentenza 05.03.2009, n. 134, anche questo Tribunale che in tale occasione ha precisato che il criterio per accertare se una costruzione sia da considerare modesta, e rientri quindi nella competenza professionale dei geometri, vada individuato nelle difficoltà tecniche che la progettazione e l’esecuzione dell’opera comportano e nelle capacità occorrenti per superarle; ed ha ritenuto che a questo fine assumono specifico rilievo, oltre alla complessità della struttura e delle relative modalità costruttive, anche, ma in via complementare, il costo presunto dell’opera, in quanto si tratta di un elemento sintomatico che vale ad evidenziare le difficoltà tecniche che coinvolgono la costruzione.
In aggiunta, ha anche precisato che la competenza professionale dei geometri in materia di progettazione e direzione dei lavori di opere edili riguarda anche le piccole costruzioni accessorie in cemento armato che non richiedono particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone. Ed in tale occasione si è ritenuto che la realizzazione di un garage di modeste dimensioni ben avrebbe potuto essere progettato da un geometra, in quanto, pur se realizzato in cemento armato, tale manufatto non richiedeva per la sua progettazione particolari operazioni di calcolo e che, inoltre, tale opera per la sua collocazione (totalmente interrato) e per la sua specifica destinazione (a garage) non poteva comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone.
Da tali conclusione il Collegio non rinviene allo stato motivi per discostarsi.
Ciò posto e per passare all’esame del caso di specie, ritiene la Sezione che nella specie la costruzione progettata non possa ritenersi una “modesta costruzione civile”, con riguardo sia alla struttura dell’edificio che alle relative modalità costruttive.
Dall’esame degli atti progettuali versati in giudizio si rileva, infatti, che i due edifici progettati sono costituiti da dieci appartamenti, con una superficie totale di mq. 727 e con un volume complessivo di circa mc. 4000, con l’utilizzo del cemento armato, sia pur limitato alla cordonatura perimetrale dei solai; tali edifici hanno, inoltre, un’altezza massima alla linea di gronda di m. 7,50 e si articolano nella sostanza su tre piani (un piano terra, un primo piano ed un secondo piano, indicato come sottotetto/soffitta non abitabile, di circa 60 mq., avente un’altezza interna al colmo di m. 3,14).
In definitiva, ritiene la Sezione che l’opera progettata per le sue dimensioni e per l’uso cui è destinata per un verso richiede per la sua progettazione particolari operazioni di calcolo e per altro verso, in riferimento alla sua specifica destinazione abitativa, può implicare pericolo per la incolumità delle persone. E tali circostanze sono state tutte adeguatamente individuate e diffusamente rappresentate nell’atto impugnato.
Né appaiono in merito rilevanti le considerazioni sviluppate dal ricorrente con il gravame secondo le quali gli edifici da realizzare non hanno strutture portanti verticali in cemento armato, l’opera non presenta una particolare complessità costruttiva, non si era tenuto conto del fatto che è adeguatamente garantita la sicurezza dall’opera, anche in relazione alla indubbia capacità professionale del ricorrente od al fatto che era stato presentato un disegno di legge che consente ai geometri di realizzare in zona sismica anche edifici di due piani fuori terra.
In realtà, ad avviso del Collegio, non può ritenersi “modesta”, così come previsto dal diritto vigente, una costruzione avente le particolari dimensioni e caratteristiche sopra indicate; per cui, prescindendo dalle capacità ed esperienze professionali del ricorrente (che in questa sede non sono contestate) tale costruzione avrebbe potuto essere progettata solo da un professionista laureato
(TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 16.11.2010 n. 1213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'inapplicabilità della disciplina di cui al d.p.c.m. n. 117/1999, richiamata dall'art. 83, c. 5, del d.lgs. n. 163/2006, alla gara avente ad oggetto l'affidamento di servizi di raccolta e trasporto rifiuti da raccolta differenziata sul territorio .
Nelle gare governate dal criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, i metodi di attribuzione del punteggio possono essere i più disparati.

Alla gara avente ad oggetto "affidamento di servizi di raccolta e trasporto rifiuti da raccolta differenziata sul territorio della Provincia" non è direttamente applicabile la disciplina di cui al d.p.c.m. n. 117 del 1999, richiamata dall'art. 83, quinto comma, del d.lgs. n. 163 del 2006, in quanto il decreto è riferibile ai soli appalti di pulizia degli edifici ed il richiamo operato dal Codice dei contratti pubblici è finalizzato esclusivamente a fornire un indirizzo operativo in sede di disciplina dell'emanando regolamento, non già a generalizzarne l'ambito di efficacia.
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Nelle gare governate dal criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa -in mancanza di parametri rigidi ed ineludibili- i metodi di attribuzione del punteggio possono essere i più disparati -da quelli proporzionali a quelli progressivi, secondo differenti curve di progressività- e sono suscettibili -de plano- a condurre a risultati affatto diversi tra di loro: sempreché -come accaduto nella specie- venga assicurato, in relazione al tipo di gara, un equilibrato rapporto tra offerta economica ed offerta tecnica, evitando, in particolare, di assegnare un peso determinante a quest'ultima, mediante una compressione assolutamente sproporzionata ed illogica del punteggio per il ribasso percentuale (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 11.11.2010 n. 751 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Diritto di accesso alla documentazione posta a corredo dell’offerta presentata in una gara pubblica nel caso in cui la ditta accedente abbia fatto senza successo ricorso giurisdizionale avverso la propria esclusione dalla gara medesima.
E’ legittimo il rigetto di una istanza ostensiva avanzata da una ditta concorrente ad una gara, tendente ad ottenere copia della documentazione posta a corredo dell’offerta tecnico-progettuale ed economico-finanziaria presentata da un altro concorrente, ove la ditta accedente abbia coltivato, senza successo, il ricorso giurisdizionale avverso la propria esclusione dalla stessa gara; infatti, l’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale a disposizione del concorrente escluso da una procedura di evidenza pubblica, priva detto concorrente di quel nesso diretto che lega l’interesse all’accesso ai documenti amministrativi alla situazione giuridicamente rilevante sottostante all’interesse all'accesso medesimo (Cfr. TAR Liguria, Sez. II, 04.02.2004, n. 122.
Ha osservato, in particolare, il TAR Liguria con la sentenza in rassegna, che l’esclusione dalla gara ormai definitiva aveva privato quindi la ricorrente di quella posizione differenziata e qualificata che sola avrebbe potuto fondare il diritto all’accesso ai documenti di gara: infatti la Società che aveva chiesto il rilascio degli atti non poteva ormai vantare la possibilità di ricorrere avverso la mancata esclusione di altro concorrente dalla procedura, in particolare di altra ditta, unico concorrente rimasto, poiché del tutto priva di titoli per avanzare in giudizio simili pretese) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Liguria, Sez. II, sentenza 10.11.2010 n. 10262 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il giudice amministrativo può riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti sull'ambiente ad associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica).
Il giudice amministrativo può riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti sull'ambiente ad associazioni locali indipendentemente dalla loro natura giuridica, purché perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un'area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso.
Il Comune è legittimato ad impugnare per motivi sostanziali i provvedimenti adottati dalla Regione in sostituzione dell'ente locale inadempiente (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.11.2010 n. 7907 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'interesse a ricorrere avverso il provvedimento di rilascio di concessione edilizia è sussistente in presenza di una situazione di stabile collegamento con la zona ove sorge la costruzione che, se illegittimamente assentita, è idonea ad arrecare un pregiudizio ai valori urbanistici della zona medesima.
Per orientamento giurisprudenziale assolutamente costante, “l'interesse a ricorrere avverso il provvedimento di rilascio di concessione edilizia è sussistente in presenza di una situazione di stabile collegamento con la zona ove sorge la costruzione che, se illegittimamente assentita, è idonea ad arrecare un pregiudizio ai valori urbanistici della zona medesima; pertanto, la qualifica giuridica di proprietario di un bene immobile confinante, che nello specifico sussiste, per come pacifico tra le parti ed accertato dal verificatore, è sufficiente a creare la legittimazione e l'interesse al ricorso, non occorrendo altresì la verifica della concreta lesione di un qualsiasi altro interesse specifico” (C.G.A.R.S., sentenza 04.11.2010 n. 1369 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quando il muro divisorio è comune “la distanza va calcolata dalla parete esterna del muro più vicina ai manufatti, per l'assorbente e decisiva considerazione che, in tal ipotesi, il confine tra il fondo di proprietà esclusiva in cui si trovano le opere per le quali è prescritta la distanza e quello di proprietà aliena, è costituito dal detto muro e non dalla sua linea mediana, perché l'intero muro, essendo indiviso, si considera anche altrui rispetto al proprietario del fondo nel quale sono state sistemate le opere in questione.
La Giurisprudenza ha avuto occasione di osservare che quando il muro divisorio è comune “la distanza va calcolata dalla parete esterna del muro più vicina ai manufatti, per l'assorbente e decisiva considerazione che, in tal ipotesi, il confine tra il fondo di proprietà esclusiva in cui si trovano le opere per le quali è prescritta la distanza e quello di proprietà aliena, è costituito dal detto muro e non dalla sua linea mediana, perché l'intero muro, essendo indiviso, si considera anche altrui rispetto al proprietario del fondo nel quale sono state sistemate le opere in questione (Cassazione civile, sez. II, 10.03.1987, n. 2479)”.
Per cui, quand’anche il muro si ritenesse comune, in ogni caso la erigenda costruzione avrebbe dovuto arretrarsi di 5 mt. rispetto la parete esterna del muro, senza considerarne lo spessore, atteso che nell’ipotesi di muro comune, giustamente osserva la giurisprudenza, l’intero muro, in quanto in proprietà indivisa, dev’essere considerato alieno rispetto al proprietario del fondo che deve costruire
(C.G.A.R.S., sentenza 04.11.2010 n. 1369 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - COMPETENZE GESTIONALILa Giunta Comunale è incompetente alla adozione di atti di natura gestionale quali quelli oggetto della controversia in esame, ossia la nomina della commissione di gara e la scelta del soggetto contraente.
L'articolo 107 del d.lgs. n. 267/2000 (Testo unico enti locali) attribuisce ai dirigenti, ovvero ai responsabili dei servizi, in via esclusiva, la gestione amministrativa, tecnica e finanziaria, specificando altresì (art. 107, comma 3) che è loro attribuita la responsabilità delle procedure di appalto e la stipulazione dei contratti.
Nell'ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici rientrano sia la fase (o subprocedimento) di predisposizione e approvazione dell'avviso o del bando con il quale si dà avvio alla procedura stessa, sia la fase di nomina della commissione giudicatrice, sia la fase conclusiva di aggiudicazione definitiva del contratto (o della concessione o della convenzione).
La Giunta Comunale, i cui compiti -essenzialmente residuali (rispetto, da un lato, ai dirigenti [art. 107 cit.]; e, dall'altro lato, al Consiglio Comunale [art. 42 TUEL])- sono ricavabili dall'art. 48 del T.U.E.L. cit., è conseguentemente incompetente alla adozione di atti di natura gestionale quali quelli oggetto della controversia in esame, ossia la nomina della commissione di gara (avvenuta con la deliberazione n. 27 del 21.02.2001) e la scelta del soggetto contraente (avvenuta con deliberazione della medesima Giunta, n. 110 del 04.06.2001) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 28.10.2010 n. 2350 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Inedificabilità di un'area asservita o accorpata o comunque utilizzata a fini edificatori - Obbligo di trascrizione del vincolo nei registi immobiliari - Non sussiste - Opponibilità a terzi acquirenti - Sussiste - Rilevanza ai fini edificatori delle vicende relative alla proprietà dei terreni - Non sussiste.
L'inedificabilità di un'area asservita o accorpata o comunque utilizzata a fini edificatori costituisce una qualità obiettiva del fondo che, pur non vigendo l'obbligo di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari, è opponibile a terzi acquirenti, ed ha l'effetto di impedirne l'ulteriore edificazione oltre i limiti previsti, a nulla rilevando che la proprietà dell'area sia stata trasferita, che manchino specifici negozi giuridici privati volti all'asservimento o che l'edificio sia collocato in una parte del lotto catastalmente divisa.
In altri termini, un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, non può essere considerata libera neppure parzialmente, agli effetti della volumetria realizzabile, in sede di rilascio di una seconda concessione, nella perdurante esistenza del primo edificio, restando irrilevanti le vicende inerenti alla proprietà dei terreni (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 2668 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Diniego di condono edilizio - D.Lgs. n. 269/2003 - Opere eseguite oltre il termine - Onere del ricorrente - Prova ultimazione dell'abuso - Non sussiste.
2. Verbale di acquisizione dell'area e dell'opera al patrimonio del Comune - Mancata impugnazione dell'ordine di demolizione - Atto presupposto - Inammissibilità.

1. E' legittimo il diniego di condono edilizio per la mancata ultimazione delle opere entro il termine di legge del 31.03.2003, in quanto gli elementi probatori offerti dalla ricorrente, non solo contrastano con il contenuto dei verbali di sopralluogo, ma non possono ritenersi sufficienti, in assenza di ulteriori elementi (quali fatture o fotografie) dai quali risulti univocamente l'ultimazione dell'edificio entro la data prescritta dalla legge, atteso che la semplice produzione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non può in alcun modo assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull'epoca dell'abuso, e che è onere del privato richiedente la concessione in sanatoria di fornire quantomeno un principio di prova in ordine all'ultimazione dei lavori.
2. Poiché l'ordine di demolizione è l'atto immediatamente lesivo, con la cui impugnazione l'interessato deve tutelare le proprie ragioni, mentre il verbale con cui viene accertata la mancata ottemperanza all'ordinanza di demolizione, così come la successiva ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area e dell'opera abusiva, rappresentano meri atti procedimentali aventi contenuto conoscitivo e di accertamento di un fatto storico, inidonei, di per sé, a ledere situazioni giuridiche, in assenza dell'impugnazione dell'atto lesivo, cioè l'ordinanza di demolizione, il ricorso avverso gli atti successivi, deve essere dichiarato inammissibile per omessa impugnazione dell'atto presupposto (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 2667 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire - Art 31, D.P.R. n. 380/2001 - Ingiunzione a demolire - Mancata adozione nel termine di 45 giorni dall'accertamento - Perdita di efficacia dell'ordine di sospensione lavori - Sussiste - Preclusione all'adozione del provvedimento di demolizione - Non sussiste.
L'Amministrazione, a fronte di un accertamento di abusività, ha l'obbligo di disporre la demolizione delle opere, previo ordine di sospensione lavori, che ha effetto fino all'adozione dei provvedimenti definitivi e comunque non oltre il 45° giorno.
La mancata adozione del provvedimento di demolizione nel suddetto termine comporta solo la perdita di efficacia della sospensione, ma non preclude alla P.A. la facoltà di adottare l'ordine di demolizione anche oltre il termine dei 45 giorni, atteso il potere-dovere del Comune di agire a tutela dell'ordine urbanistico violato, mediante l'adozione, allo stesso sempre consentita, delle successive misure repressive (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 2666 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Diniego di condono edilizio - D.L. n. 269/2003 - Titolo di legittimazione - Art. 31 L. n. 47/1985 - Sopraelevazione - Muro di proprietà di terzo - Legittimità.
In sede di domanda di condono è onere dell'Amministrazione verificare secondo un ordinario criterio di diligenza la titolarità da parte del richiedente di ogni titolo edilizio, anche in sanatoria, delle aree o dei sedimi oggetto dell'intervento, e rigettare l'istanza nel caso in cui sia stata rappresentata e documentata una situazione di incertezza in ordine alla proprietà dell'immobile ovvero la contrarietà di soggetti titolari di diritti reali incompatibili o contrastanti con il diritto del richiedente.
Peraltro, sebbene l'art. 31 L. n. 47/1985 preveda che l'istanza di condono possa essere presentata da altri soggetti e non solo dal proprietario, tale norma si riferisce a quei soggetti destinatari delle sanzioni, che possono avere un vantaggio dal condono, ma non porta ad ammettere che possano essere condonate opere realizzate sulla proprietà altrui (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 2665 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Tettoie e strutture similari - Assoggettamento a permesso di costruire - Sussiste se arrecano una visibile alterazione all'edificio, non avendo più carattere accessorio.
2. Impianto tecnologico - Esigenza di ridotto dimensionamento - Sussiste - Esigenza di collegamento funzionale con la cosa principale - Sussiste.

1. Sono assoggettate a permesso di costruire le tettoie e strutture similari quando, per le loro consistenti dimensioni, arrecano una visibile alterazione all'edificio o alle parti in cui vengono inserite, non avendo quindi più carattere accessorio dell'edificio principale.
2. Il concetto di "impianto tecnologico", posto al servizio di un fabbricato esistente, presuppone in primo luogo l'esiguità quantitativa del manufatto -nel senso che il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in modo rilevante l'assetto del territorio- ed inoltre, l'esistenza di un collegamento funzionale tra tale manufatto e la cosa principale, con conseguente impossibilità per il primo di essere utilizzato separatamente ed autonomamente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.06.2010 n. 2662 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Variante P.R.G. - Eccesso di potere - Norma tecnica eccessivamente restrittiva - D.Lgs. n. 42/2004 - Sussiste.
2. Variante P.R.G. - Eccesso di potere - Zone di rispetto - Piantumazione - Art. 23 Cost. - Sussiste.

1. Risulta illegittima per eccesso di potere la variante al P.R.G. impugnata nella parte in cui introduce per alcune zone, in cui sono inclusi alcuni immobili della ricorrente, una disciplina edilizia con limiti d'intervento sugli immobili esistenti eccessivamente cogenti, paradossalmente più stringenti di quelli che la legislazione vigente -d.lgs. n. 42/2004, Codice dei beni culturali e del paesaggio, artt. 20 ss.- prevede per gli immobili soggetti a vincolo storico-artistico (non risultando, fra l'altro, neppure che un simile vincolo sia apposto sui fondi della ricorrente).
2. La norma tecnica della variante al P.R.G. impugnata secondo cui le zone di rispetto "possono essere soggette coattivamente a piantumazione" non si sottrae alla censura di eccesso di potere per perplessità, difetto di motivazione e violazione dell'art. 23 Cost. in quanto non appare chiaro se per tali zone sussista un vero o proprio obbligo o un'opportunità (come ritiene il Comune) e, nella prima ipotesi, in base a quale specifica norma, o principio generale, possa imporsi ai privati l'obbligo di un facere, come quello di collocare piante nella zona di rispetto (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.06.2010 n. 2661 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRAVI: Determinazione dirigenziale - Idoneità a confermare la volontà di altro e diverso organo dell'Amministrazione - Non sussiste.
Una determinazione dirigenziale non è idonea, come tale, a confermare la volontà di altro e diverso organo dell'Amministrazione, quale il Consiglio comunale.
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.06.2010 n. 2660 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Variante allo strumento urbanistico generale - Obbligo di puntuale motivazione - Sussiste solo in caso di affidamento qualificato del privato e non di aspettative di mero fatto.
In caso di variante allo strumento urbanistico generale, la motivazione deve essere puntuale solo in caso di affidamento qualificato del privato, rientrando in tale ultima ipotesi le situazioni di chi ha ottenuto un giudicato di annullamento di una precedente destinazione di zona ovvero di un diniego di titolo edilizio oppure ancora del silenzio-rifiuto formatosi su una domanda edilizia. Alle situazioni sopra indicate, viene inoltre equiparata la condizione del privato che ha stipulato accordi vincolanti con la Pubblica Amministrazione, quale ad esempio una convenzione di lottizzazione.
Al contrario, a fronte di aspettative di mero fatto, le scelte di natura urbanistica, rimesse all'Amministrazione nell'interesse generale sono, di regola, sufficientemente motivate con l'indicazione dei profili generali e dei criteri che hanno sorretto la previsione in variante, senza necessità di una motivazione mirata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.06.2010 n. 2660 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. attuativa di un P.I.I. - Parere negativo Collegio di Vigilanza sull'accordo di programma - Mutamento di destinazione - Legittimità.
2. D.I.A. attuativa di un P.I.I. - Diffida comunale all'esecuzione dei lavori - Attività di commercio vietata - Sospensione domanda agibilità - Legittimità.

1. Risulta legittimo il parere negativo adottato dalla Commissione di Vigilanza sull'accordo di programma in merito ad una D.I.A. implicante un mutamento di destinazione, dalla vendita al dettaglio a quella all'ingrosso, delle realizzande strutture al piano sotterraneo di un complesso cinematografico, in quanto la destinazione ad attività di vendita all'ingrosso non è compatibile con le previsioni degli atti di pianificazione, P.I.I. e relativo Accordo di Programma, relativi alla struttura multisala prevedendo tali atti pianificatori un ruolo accessorio e sussidiario degli spazi di vendita rispetto alla principale funzione della struttura, cioè lo svolgimento di spettacoli cinematografici.
2. Considerato che l'attività di commercio all'ingrosso risulta vietata negli spazi interessati dalla D.I.A. in relazione alla quale è stata assunta la diffida all'esecuzione dei lavori impugnata, risulta legittima la contestuale sospensione della domanda di agibilità adottata dal Comune in relazione a tale pratica urbanistica, tenuto anche conto del potere del Comune di verificare -ed eventualmente revocare- in ogni momento l'agibilità dei locali, in relazione alle loro concrete caratteristiche (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.06.2010 n. 2646 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Programma integrato di intervento - Accordo di programma - Standard - Possibilità di superamento - Sussiste, purché adeguatamente motivato.
La giurisprudenza amministrativa, del resto, ha sempre riconosciuto alle Amministrazioni, in sede di pianificazione urbanistica, la possibilità di incrementare il minimo legale degli standard, purché tale superamento, soprattutto se ampio, sia adeguatamente motivato e giustificato alla luce della concreta situazione comunale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.06.2010 n. 2645 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Contributo per le urbanizzazioni - Opere a scomputo - Diritto soggettivo alla realizzazione - Non sussiste, presupponendosi sempre il consenso e la volontà da parte dell'Ente locale.
2. Opere di urbanizzazione - Tipicità - Sussiste - Standard urbanistici - Tipicità - Non sussiste - Legittimità di principio della realizzazione di standard in aggiunta alle opere di urbanizzazione - Sussiste.

1. La realizzazione di opere a scomputo del contributo per le urbanizzazioni non costituisce una sorta di diritto soggettivo in capo all'operatore, ma presuppone sempre il consenso e la volontà da parte dell'Ente locale.
2. A proposito del rapporto fra opere di urbanizzazione e standard urbanistici, le prime sono previste espressamente dalla legge, secondo un principio di tipicità; i secondi costituiscono invece una categoria aperta, che si attaglia alle specifiche realtà locali, da considerarsi quindi anche come qualcosa di aggiuntivo, sicché non appare illegittimo, quanto meno in linea di principio, che alla realizzazione delle opere di urbanizzazione si accompagni la cessione di aree o la realizzazione di standard da parte del privato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.06.2010 n. 2645 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Convenzione Urbanistica attuativa di P.I.I. - Struttura cinematografica - Art. 20 D.L. n. 26/1994 - Oneri di urbanizzazione e costo di costruzione - Agevolazione - Interpretazione.
L'art. 20, c. 7, D.L. 14.01.1994 n. 26 convertito con L. n. 153 dell'01.03.1994, recante "interventi urgenti a favore del cinema", e relativo ad un particolare sistema di agevolazione nel rilascio delle concessioni edilizie, in forza del quale la volumetria necessaria per realizzare le sale cinematografiche non è computata nella determinazione della volumetria complessiva in base alla quale sono calcolati gli "oneri di concessione" (così testualmente definiti dalla legge) deve essere interpretato con riferimento ai soli oneri di urbanizzazione in quanto la volumetria degli edifici assume rilevanza esclusivamente in sede di quantificazione degli oneri di urbanizzazione ma non acquista rilievo alcuno allorché è determinato il costo di costruzione, che è commisurato al computo metrico estimativo dell'opera, considerata nel suo complesso.
Peraltro un'interpretazione di tale norma estensiva dell'agevolazione anche al contributo sul costo di costruzione, finirebbe di fatto per introdurre un regime di gratuità del permesso di costruire relativamente alle sale cinematografiche, che, andando in deroga alla regola generale dell'onerosità, avrebbe richiesto un'espressa previsione della gratuità dell'intervento da parte del legislatore così come è stato espressamente previsto dallo stesso negli altri casi di gratuità di determinati interventi edilizi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.06.2010 n. 2644 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Diniego di permesso di costruire in sanatoria - Difetto di motivazione - Violazione art. 10-bis L. n. 241/1990 - Potere vincolato - Art. 21-octies L. n. 241/1990 - Legittimità.
In considerazione della natura vincolata del potere esercitato e della correttezza del contenuto dispositivo del provvedimento diniego di permesso di costruire in sanatoria impugnato, sia l'incompletezza della motivazione sia la mancata comunicazione del c.d. preavviso di rigetto, prevista dall'art. 10-bis L. n. 241/1990, non possono portare all'annullamento dell'atto, in conformità a quanto previsto dall'art. 21-octies della L. 07.08.1990 n. 241 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.06.2010 n. 2211 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI:  Impugnazione - Pluralità di motivi del provvedimento - Legittimità di uno solo dei motivi - Annullabilità del provvedimento - Non sussiste.
In presenza di un provvedimento sostenuto da più motivi, ciascuno autonomamente idoneo a darne giustificazione è sufficiente che sia verificata la legittimità di uno di essi per escludere che l'atto possa essere annullato in sede giurisdizionale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.06.2010 n. 2210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Diniego di sanatoria - Abuso edilizio - Qualificazione giuridica - Artt. 31 o 33 D.P.R. n. 380/2001 - Demolizione o pena pecuniaria - Legittimità.
2. Diniego di sanatoria - Incompetenza - Segretario comunale - Art. 97 d.lgs. n. 267/2000 - Sovraordinazione ai dirigenti - Legittimità.
3. Ordine di demolizione - Attività sanzionatoria vincolata - Cessione di una porzione di area - Irrilevanza.
4. Ordine di demolizione - Acquisizione gratuita al patrimonio comunale - Fondo patrimoniale - Art. 169 c.c. - Disponibilità dei beni - Sussiste.

1. Un (abusivo) ampliamento di edifici preesistenti non deve essere automaticamente ascritto alla fattispecie della ristrutturazione (sebbene l'art. 10, 1 c., lett. c), D.P.R. n. 380/2001 preveda anche ristrutturazioni c.d. pesanti con modifiche di volume, sagoma, prospetti e superfici) e nel caso in cui sia tale, per dimensioni e consistenza, da snaturare le caratteristiche dell'edificio originario è legittimamente sanzionato a termini dell'art. 31 (e non dell'art. 33) D.P.R. n. 380/2001 che qualifica come interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire anche quelli che comportano "l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile", con la rimozione o la demolizione dell'abuso edilizio.
2. Considerato che in base all'ordinamento delle autonomie locali, d.lgs. n. 267/2000, il segretario comunale partecipa all'amministrazione attiva dell'Ente locale, in posizione sovraordinata rispetto ai dirigenti, in quanto, ai sensi dell'art. 97 d.lgs. n. 267/2000 "sovraintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività" (comma 4) e inoltre "esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia" (comma 4, lett. d)), lo stesso può anche porre in essere atti che impegnano l'Ente locale verso l'esterno, assumendo funzioni proprie dei dirigenti, risultando conseguentemente competente anche a sottoscrivere l'ordinanza di rigetto di sanatoria impugnata.
3. In materia di abusi edilizi l'attività sanzionatoria dell'Amministrazione è vincolata, e non discrezionale o passibile di negoziazioni transattive risultando conseguentemente del tutto impraticabile la valutazione richiesta all'Amministrazione di potere, in cambio della cessione gratuita di una porzione di area, applicare una sanzione pecuniaria in luogo del legittimo ordine di demolizione dell'abuso edilizio impugnato.
4. Poiché i limiti alla facoltà di disporre dei beni del fondo sono posti al titolare dei beni nell'interesse della famiglia (art. 169 c.c.) e non riguardano la disciplina della responsabilità penale, così essi non riguardano il regime della responsabilità derivante dall'illecito amministrativo e non escludono l'applicazione delle sanzioni previste dalla normativa di settore. Conseguentemente è privo di fondamento che l'immobile (parzialmente abusivo), costituito in fondo patrimoniale ex art. 167 c.c., non sarebbe suscettibile di demolizione ed (in mancanza) di acquisizione al patrimonio comunale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.06.2010 n. 2107 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Piano di governo del territorio - Impugnazione - Ricorso collettivo - Ammissibilità - Necessaria identità degli interessi dei vari ricorrenti - Non sussiste - Conflitto di interessi tra i ricorrenti - Inammissibilità del ricorso collettivo - Sussiste.
2. Piano di governo del territorio - Privati interessati - Aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria - Non sussiste - Aspettativa generica al mantenimento di una destinazione urbanistica o ad una reformatio in melius - Sussiste.

1. In presenza di soggetti portatori di un interesse contrastante, gli uni ad una rideterminazione più favorevole sul piano dell'edificabilità, gli altri al mantenimento della destinazione agricola, non vi sono i presupposti per proporre un ricorso collettivo, per il quale non è necessario che gli interessi dei vari ricorrenti siano identici, ma l'autonomia delle loro posizioni giuridiche e fattuali differenziate non deve giungere fino a determinare un conflitto, in modo che l'esito favorevole del ricorso possa giovare a uno, con l'esclusione degli altri. Infatti il ricorso collettivo risulta inammissibile quando proposto da parte di soggetti diversi con posizioni anche solo fra loro divergenti, perché priva il giudice della possibilità di controllare la concreta e individuale pretesa vantata da ciascuno di essi.
2. In capo ai privati coinvolti nelle previsioni di piano non è configurabile un'aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione ad una precedente determinazione dell'amministrazione, ma soltanto un'aspettativa generica al mantenimento della destinazione urbanistica "gradita" ovvero ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree, che aspiri ad una utilizzazione comunque proficua dell'immobile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.06.2010 n. 1894 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. Piano casa - L.R. 13/2009 - Interpretazione dell'art. 3, comma 6 - Fattispecie.
2. Piano casa - L.R. 13/2009 - Interpretazione dell'art. 3, comma 6 - Volumetria esistente - Fattispecie.

1. Nell'ipotesi in cui un privato presenti una DIA per la demolizione dell'edificio preesistente, seguita in stretta consequenzialità temporale da altra d.i.a. per la nuova edificazione, ben può trovare applicazione l'art. 3, comma 6, della L.R. 13/2009, che prevede la sostituzione di edifici totalmente residenziali con un nuovo organismo edilizio di volumetria maggiore (il TAR ha chiarito che poiché le due d.i.a., funzionali l'una all'altra, sono chiaramente correlate e si iscrivono in un unico disegno, va scartata la tesi "estremista" secondo cui nessun incremento volumetrico spetterebbe nell'assenza -conseguente alla demolizione in forza della prima d.i.a.- di un volume fisico riscontrabile al momento della presentazione della seconda d.i.a.)
2. La locuzione "volume esistente" utilizzata all'art. 3, comma 6, della L.R. 13/2009 è riferibile alla volumetria esistente e non alla volumetria di piano, cioè alla volumetria massima realizzabile in base all'indice di edificabilità fondiaria stabilito dallo strumento urbanistico.
Una interpretazione siffatta sarebbe non solo in contrasto col tenore letterale della norma, e dunque col criterio cardine di ogni operazione ermeneutica, ma anche con la ratio della normativa in esame che è quella di promuovere, per un periodo circoscritto di diciotto mesi, interventi conformi alle proprie finalità generali, autorizzando una tantum la sostituzione di vecchi edifici con nuovi organismi edilizi passibili di incrementi volumetrici rapportati non alla volumetria teorica, ma alla volumetria effettivamente in situ (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.06.2010 n. 1840 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: 1. Comunicazione avvio procedimento - Comunicazione al soggetto non proprietario catastale - Illegittimità.
2. Espropriazione illegittima - Determinazione del risarcimento danno - Criteri.

1. Lo svolgimento della procedura espropriativa nei confronti di un soggetto che, alla data dell'espropriazione, non era proprietario catastale, integra una violazione di legge: non possono, pertanto, trovare applicazione i principi elaborati dalla giurisprudenza con riferimento alle differenti fattispecie in cui la P.A., pur non avendo notificato il decreto di esproprio al proprietario effettivo, abbia però svolto la procedura espropriativa nei confronti del soggetto che figura in catasto quale proprietario (cfr. Cassaz. Civile , sent. n. 21622/2004; Cons. di Stato, sent. n. 2423/2006).
2. In materia di espropriazione illegittima, il risarcimento del danno va quantificato tenendo conto del valore di mercato dell'area, nonché del deprezzamento del valore residuo dei beni di proprietà del ricorrente, mentre per la determinazione di tali valori occorre fare riferimento alla data dell'esproprio: infatti, dal momento che il pregiudizio da risarcire consiste nella perdita del valore patrimoniale in cui si sostanzia il diritto di proprietà, il danno deve essere necessariamente correlato all'entità economica del bene nel momento in cui è definitivamente sottratto alla titolarità del privato ed è acquisito al patrimonio dell'amministrazione (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, 25.05.2009, n. 483) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.06.2010 n. 1754 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Pianificazione urbanistica comunale - Vincoli paesaggistici e ambientali - Facoltà di dettare norme a tutela dell'ambiente e del paesaggio - Sussiste.
2. Pianificazione urbanistica comunale - Vincoli paesaggistici e ambientali - Facoltà di dettare norme a tutela dell'ambiente e del paesaggio - Sussiste ex art. 7, Legge 1150/1942.
3. Pianificazione urbanistica comunale - Vincoli paesaggistici e ambientali - Facoltà di effettuare ricognizione di vincoli imposti in virtù di leggi speciali e di costituire vincoli autonomi per la tutela di valori ambientali e paesaggistici - Sussiste - Conseguenze.
4. PRG - Planimetrie allegate allo strumento urbanistico - Natura di prescrizioni precettive - Presupposti.
5. PRG - Planimetrie allegate allo strumento urbanistico -Contrasto tra prescrizioni normative dello strumento urbanistico e planimetrie - Prevalenza delle prescrizioni normative.
6. Pianificazione urbanistica comunale - Vincoli paesaggistici e ambientali - Apposizione di vincolo ad edificio precedentemente non incluso tra quelli sottoposti a prescrizioni particolari - Legittimità - Ratio.
7. Pianificazione urbanistica comunale - Vincoli paesaggistici e ambientali - Sindacato sulle scelte discrezionali della P.A. - Possibilità - Limiti - Errore di fatto o abnorme illogicità della decisione di sottoposizione a vincolo.

1. In materia di tutela del paesaggio o dell'ambiente i piani regolatori possono dettare norme ad essa relative, poiché rientra nell'ampia discrezionalità del Comune la facoltà di orientare gli insediamenti urbani e produttivi in determinate direzioni, ovvero di salvaguardare precisi equilibri dell'assetto territoriale (cfr. Cons. di Stato, sent. nn. 2843/2010, 5478/2008, 5723/2005, 1567/2001).
2. A prescindere dall'esistenza e dall'impiego di strumenti specifici, generali e particolari, a tutela del paesaggio e dell'ambiente, non è negabile il potere degli organi preposti alla formazione del piano regolatore generale di salvaguardare, per il tramite di questo strumento, anche gli interessi ambientali, come emerge dalla legislazione urbanistica specificamente dall'art. 7, n. 5, Legge 1942 n. 1150/1942, secondo cui il piano regolatore indica, tra l'altro, i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico (cfr. Cons. di Stato, sent. nn. 74/2004, 1226/1998).
3. In sede di pianificazione urbanistica sono consentite al Comune sia la ricognizione di vincoli imposti in virtù di leggi speciali, sia la costituzione di vincoli autonomi per la tutela di valori ambientali e paesaggistici considerati in una prospettiva specificamente urbanistica: pertanto, il Comune può legittimamente limitare l'edificazione di manufatti in aree di particolare pregio, così come può adottare varianti al piano regolatore generale dichiaratamente destinate a tutelare, tra gli altri valori, quello ambientale, motivandole, anche senza necessità di diffuse analisi argomentative, con riguardo al valore fondamentale del paesaggio, protetto dall'art. 9 della Costituzione (cfr. Cons. di Stato, sent. nn. 2653/2001, 823/1999, n. 2934/ 2000, 1679/2001; TAR Milano, sent. n. 5747/2008).
4. Le indicazioni grafiche contenute nelle planimetrie allegate allo strumento urbanistico hanno natura di prescrizioni precettive esclusivamente alla luce e nei limiti delle prescrizioni normative contenute nello stesso piano: pertanto, la rappresentazione grafica di uno strumento urbanistico ne costituisce parte integrante solo qualora non si ponga in contrasto con le prescrizioni normative (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1520/1998).
5. Qualora vi sia un contrasto insanabile fra le indicazioni grafiche e le prescrizioni normative dello strumento urbanistico sono queste ultime a prevalere, poiché in sede di interpretazione degli atti urbanistici pianificatori le risultanze grafiche hanno il solo scopo di chiarire e completare ciò che è normativamente stabilito nel testo (cfr. Cons. di Stato, sent. nn. 917/1998, 924/1995, 4462/2000).
6. Non è sintomo di contraddittorietà la mancata inclusione di un edificio tra quelli sottoposti a prescrizioni particolari sotto il profilo paesistico in precedenti piani regolatori generali, dal momento che è possibile per la P.A. operare, a distanza di anni, una differente ponderazione dell'interesse pubblico e ritenere, pertanto, necessario sottoporre a tutela l'edificio.
7. In materia di apposizione di vincoli paesistico-ambientali, gli unici vizi che consentono un sindacato delle scelte ampiamente discrezionali effettuate dalla P.A. in sede di adozione-approvazione del piano regolatore generale sono l'errore di fatto o l'abnorme illogicità della decisione di sottoporre a vincolo l'edificio in questione: e in tali figure non possono essere annovearte le semplici incongruenze nella classificazione di alcuni edifici (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2571/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.06.2010 n. 1743 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. P.R.G. - Osservazioni dei privati - Natura collaborativa - Rigetto delle osservazioni - Motivazione particolare - Necessità - Non sussiste.
2. Pianificazione urbanistica - Ampia discrezionalità amministrativa - Sussiste - Limiti - Ratio.

1. In sede di formazione del piano regolatore, il rigetto delle osservazioni proposte dai privati non richiede una particolare motivazione: ciò, dal momento che esse hanno natura di meri apporti collaborativi dati dai cittadini alla formazione dello strumento urbanistico, con la conseguenza che è sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 5357/2007, TAR Milano, sent. n. 268/2010).
2. Qualora nelle scelte di pianificazione non siano ravvisabili contrasti con l'impostazione tecnico-urbanistica dello strumento urbanistico o non si evidenzi la contrarietà ai principi della logica è da escludere che le stesse possano ritenersi inficiate e non è possibile dare ingresso a censure di disparità di trattamento: ciò, dal momento che la scelta amministrativa sottesa all'esercizio del potere di pianificazione di settore deve obbedire solo al superiore criterio di razionalità nella definizione delle linee dell'assetto territoriale, nell'interesse pubblico alla sicurezza delle persone e dell'ambiente, e non anche ai criteri di proporzionalità distributiva degli oneri e dei vincoli, con la conseguenza che in relazione ad essa non può prospettarsi una disparità di trattamento (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2837/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.06.2010 n. 1742 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Opere abusive - Accertamento ultimazione lavori - Verbale della polizia locale nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria - Efficacia probatoria privilegiata - Sussiste fino a querela di falso.
2. Provvedimento amministrativo - Motivi autonomi - Legittimità di un solo motivo - Annullabilità del provvedimento - Inconfigurabilità.

1. Relativamente alle opere edilizie in corso di realizzazione ai fini della determinazione dell'ultimazione o meno delle opere abusive, il verbale redatto polizia locale nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria ha efficacia probatoria privilegiata e fa fede fino a querela di falso (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 177/2003).
2. In presenza di un provvedimento sostenuto da più motivi, ciascuno autonomamente idoneo a darne giustificazione, è sufficiente che sia verificata la legittimità di uno di essi, per escludere che l'atto possa essere annullato in sede giurisdizionale (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3259/2006; TAR Milano, sent. n. 22/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.06.2010 n. 1730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Distanze legali tra fabbricati - In caso di nuova costruzione - Applicabilità normativa sulle distanze legali - Necessità.
2. Distanze legali tra fabbricati - Mancato rispetto delle distanze - Ordinanza di sospensione lavori - Presupposti - Necessità di indagine sul carattere originario o sopravvenuto della violazione - Non sussiste.

1. Nei rapporti tra proprietà immobiliari private, ancorché facenti parte del medesimo condominio, ovvero nei rapporti tra condominio e singolo condòmino, operano le norme sulle distanze ogniqualvolta un intervento, comunque lo si qualifichi, comporti l'aggiunta, alle preesistenze, di nuovi elementi, tale da configurare, sotto questo profilo, una "nuova costruzione" (cfr. Cassaz. Civile, sent. n. 7044/2004, n. 8978/2003).
2. La realizzazione di un'opera edilizia a distanza inferiore a quella legale è sufficiente a legittimare l'ordine di sospensione dei lavori: ciò, a prescindere dall'indagine se la violazione della distanza trovi causa nelle difformità dal progetto, ovvero nel progetto originario (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.05.2010 n. 1725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Manufatto assentito come precario e removibile ab origine - Ordinanza di rimozione - Necessità di motivazione - Non sussiste.
In caso di manufatti (nella fattispecie, box) assentiti fin dall'origine come costruzioni precarie e rimovibili su richiesta della P.A. e collocati in zona destinata a servizi, il successivo provvedimento di rimozione degli stessi non necessita di alcuna specifica motivazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.05.2010 n. 1686 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Abusi edilizi - Ordinanza di demolizione - Comunicazione avvio del procedimento - Necessità - Non sussiste - Ratio.
2. Abusi edilizi - Misure ripristinatorie - Sistema sanzionatorio vigente all'epoca dell'adozione del provvedimento repressivo - Applicabilità.
3. Abusi edilizi - Ordinanza di demolizione - Obbligo di preventiva diffida - Non sussiste.
1.
Dal momento che l'ordine di demolizione di opere edilizie abusive ha natura di atto dovuto, il relativo procedimento non è inficiato dall'omissione della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7, Legge 241/1990, poiché in tal caso trova applicazione l'art. 21-octies Legge 241/1990, secondo il quale non è annullabile il provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento qualora sia palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato.
2. In materia di abusi edilizi, il principio della irretroattività della legge assume rilevanza solo in riferimento alle norme che prevedono sanzioni afflittive e non anche a quelle che introducono misure ripristinatorie quali la demolizione, diretta a ristabilire l'assetto urbanistico violato dall'abuso, con la conseguenza che, ai fini della normativa applicabile, si deve fare riferimento al sistema sanzionatorio vigente all'epoca dell'adozione del provvedimento repressivo, attesi gli effetti permanenti dell'abuso.
3. Nel caso di interventi edilizi abusivi, l'ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto la sanzione demolitoria ha natura di diffida: pertanto la relativa ordinanza non deve essere preceduta da apposita diffida (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.05.2010 n. 1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Manufatto precario e provvisorio - Nozione.
In materia di edilizia, ricorre il concetto di precarietà di una costruzione ogniqualvolta il manufatto sia privo di una propria autonomia funzionale e strutturale e sia destinato a soddisfare unicamente esigenze contingibili e provvisorie del soggetto utilizzante (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.05.2010 n. 1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi edilizi - Ordinanza di demolizione - Obbligo di motivazione analitica circa l'interesse pubblico alla demolizione - Non sussiste - Ratio.
A fronte di un abuso edilizio oggettivamente riscontrato, la motivazione dell'ingiunzione di demolizione non deve essere particolarmente analitica ed è sufficiente il richiamo all'interesse pubblico del ripristino della legalità, essendo doverosa per la P.A. l'applicazione delle norme sanzionatorie poste a presidio dell'integrità del territorio, soprattutto allorché -come del caso di specie- l'intervento repressivo sia tempestivo (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2160/2010; TAR Veneto, sent. n. 532/2010 e TAR Milano, sent. n. 5290/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.05.2010 n. 1684 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: Infrastrutture e insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale - Approvazione progetto preliminare - Presupposti - Comunicazione agli interessati - Non è presupposto necessario.
Ai sensi della L. 443/2001 e del relativo D.Lgs. 190/2002 di attuazione, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale, ai fini dell'approvazione del progetto preliminare, non è richiesta la comunicazione agli interessati alle attività espropriative prevista ex art. 11, D.P.R. 327/2001: pertanto, anche nel caso in cui il progetto comporti l'avvio del procedimento espropriativo, non è prevista alcuna forma di partecipazione dei soggetti privati portatori di interessi contrapposti a quello pubblico né é necessaria la comunicazione individuale, con la conseguenza che il termine per l'impugnazione degli atti, anche quelli relativi al progetto, deve essere fatto decorrere dalla pubblicazione della delibera sulla G.U., essendo questa l'unica forma di pubblicità da rispettare (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenze 24.05.2010 nn. 1660, 1669 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Inquinamento elettromagnetico - Impianto di telecomunicazione - Regolamentazione urbanistica - Competenza Statale.
2. Inquinamento elettromagnetico - Impianto di telecomunicazione - Regolamentazione urbanistica - Competenza Statale - Disposizioni regolamentari restrittive o singoli provvedimenti negativi delle Amministrazioni Comunali - Illegittimità.
3. Inquinamento elettromagnetico - Impianto di telecomunicazione - Installazione - Necessità rilascio autonomo titolo edilizio da parte delle Amministrazioni Comunali - Non sussiste.

1. La tutela sanitaria della popolazione dalle emissioni elettromagnetiche esula dalle competenze dei Comuni, essendo affidata al legislatore statale, il quale ha prescelto un criterio basato esclusivamente su limiti di immissione delle irradiazioni nei luoghi particolarmente protetti: pertanto, i Comuni non possono, attraverso atti regolamentari o di pianificazione urbanistica, introdurre divieti di localizzazione di ordine generale per talune porzioni di territorio, dal momento che la potestà riconosciuta agli enti locali dall'art. 8, Legge 36/2001 non può tradursi in divieti assoluti di localizzazione di impianti di telefonia mobile su parti del territorio non interessate da obiettivi sensibili (cfr. TAR, Milano, sent. n. 1815/2008; Cons. di Stato, sent. n. 7274/2002).
2. Sono illegittime le disposizioni regolamentari ovvero i singoli provvedimenti negativi con i quali le Amministrazioni Comunali mirino a limitare o escludere la collocazione di impianti di telecomunicazioni, inferiori a 300W, in determinate zone del territorio.
3. Gli impianti di telecomunicazione, equiparati ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria, non solo possono essere collocati sul territorio a prescindere dalla destinazione urbanistica del sito individuato per la loro installazione, ma neppure necessitano di valutazione in materia edilizia da parte del Comune, in quanto l'autorizzazione rilasciata ai sensi dell'art. 87 D.Lgs. 259/2003 non costituisce titolo abilitativo aggiuntivo rispetto a quello richiesto dal T.U. delle disposizioni in materia edilizia, ma assorbe in sé ogni valutazione urbanistico-edilizia (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 100/2005) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenze 24.05.2010 nn. 1656, 1657, 1658, 1659, 1661 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Variante a strumento urbanistico generale - Avviso di avvio del procedimento - Omessa pubblicazione su quotidiano locale - In presenza di articoli di stampa relativi alla variante - Legittimità della variante - Sussiste.
2. Approvazione PRG o PGT - Violazione dell'obbligo di astensione da parte dei consiglieri ex art. 78 D.Lgs. 267/2000 - Nullità parziale dello strumento urbanistico - Configurabilità - Ratio - Principio "utile per inutile non vitiatur".
3. Approvazione PRG o PGT - Violazione dell'obbligo di astensione da parte dei consiglieri ex art. 78 D.Lgs. 267/2000 - Interesse a ricorrere - Prova del pregiudizio diretto al fondo del ricorrente - Necessità.
4. Variante a strumento urbanistico generale - Obbligo di motivazione - Indicazione di profili generali e criteri fondanti la previsione in variante - In presenza di aspettative di mero fatto - Sufficienza.
5. Piani regolatori generali - Delibera di adozione - Obbligo di impugnazione - Non sussiste - Possibilità di impugnazione di successiva delibera di approvazione - Sussiste.

1. Qualora, in caso di omessa pubblicazione su un quotidiano o periodico a diffusione locale di un apposito avviso riguardante l'avvio del procedimento di formazione della variante allo strumento urbanistico generale, pubblicazione prevista ex art. 3, comma 14, lett. a), L.R. 1/2000, siano tuttavia apparsi numerosi articoli riguardanti il procedimento di approvazione della variante di cui è causa, lo scopo al quale tende la norma regionale è stato comunque raggiunto, in quanto la notizia del procedimento di variante è stata in ogni modo diffusa fra il pubblico attraverso la stampa locale: pertanto, non può essere considerata causa di illegittimità dell'intero strumento urbanistico la semplice assenza di un formale avviso su un quotidiano locale, nel quale sia stata data -comunque- ampia diffusione del procedimento di variante generale (cfr. TAR Brescia, sent. n. 380/2008; TAR Milano, sent. n. 607/2006).
2. Nel caso di piano urbanistico per il quale si sia verificata l'ipotesi di un conflitto di interessi dell'amministratore pubblico devono essere annullate, ex art. 78, comma 4, D.Lgs. 267/2000, le sole parti dello strumento per le quali sia stata accertata la correlazione fra il contenuto del medesimo e gli specifici interessi dell'amministratore e dei suoi parenti: ciò poiché il conflitto di interesse dell'amministratore non travolge l'intero piano urbanistico ma solo le parti ritenute "collegate" all'interesse personale dello stesso, secondo il principio "utile per inutile non vitiatur".
3. Il proprietario di aree comprese nello strumento urbanistico per il quale si sia verificata l'ipotesi di un conflitto di interessi dell'amministratore pubblico ha interesse a denunciare la violazione dell'art. 78, D.Lgs. 267/2000, laddove provi che l'interesse personale del consigliere, che avrebbe dovuto imporre a quest'ultimo l'astensione, ha arrecato un diretto pregiudizio anche ai propri fondi; in caso contrario, qualora l'intervento in consiglio di detto amministratore non abbia avuto alcun effetto sul regime giuridico delle aree dell'esponente, l'interesse di quest'ultimo alla denuncia non sussiste, dal momento che l'eventuale accoglimento del gravame avrebbe conseguenze soltanto su fondi non di proprietà del ricorrente, che non vedrebbe pertanto mutato il regime giuridico dei propri immobili (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3744/2009; TAR Milano, sent. n. 1526/2010; TAR Brescia, sent. n. 1461/2009).
4. In presenza di aspettative di mero fatto da parte del privato, le scelte di natura tanto ambientale quanto urbanistica, rimesse alla P.A. nell'interesse generale sono, di regola, sufficientemente motivate con l'indicazione dei profili generali e dei criteri che hanno sorretto la previsione in variante, senza necessità di una motivazione mirata (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2843/2010; TAR Milano, sent. n. 556/2010).
5. L'impugnazione della delibera di adozione di uno strumento urbanistico è meramente facoltativa: infatti, l'interessato può limitarsi a gravare, senza incorrere in nessuna decadenza, solo la deliberazione di approvazione definitiva del piano urbanistico (cfr. Cons. di Stato, Ad. Plenaria n. 1/1983; Cons. di Stato, sent. n. 50/2010; TAR Latina, sent. n. 20/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 21.05.2010 n. 1649 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 24.11.2010

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UTILITA'

VARI: SALDO ICI per il 2010: VERSAMENTO ENTRO il 16.12.2010 (link a www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

GURI -GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 47 del 22.11.2010, "Approvazione delle «Disposizioni tecniche per il monitoraggio del Fondo Aree Verdi di cui al punto 4 dell’allegato 1 alla d.g.r. 8757/2008 e note esplicative delle Linee guida approvate con d.g.r. 8757/2008 e 11297/2010»" (decreto D.G. 15.11.2010 n. 11514 - link a www.infopoint.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: CONTROVERSIE DI LAVORO: TRA NOVITA' E CONTRADDIZIONI.
Inspiegabili contraddizioni tra la cosiddetta "RIFORMA BRUNETTA" ed il collegato-lavoro in materia di contenzioso disciplinare.
E' indispensabile un chiarimento della Funzione Pubblica, per evitare che i lavoratori pubblici siano privati di un fondamentale strumento di tutela in alternativa al ricorso al giudice del lavoro (nota 22.11.2010 - link a www.uilpa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Le fasce di merito e la deliberazione 111/2010 della Civit (CGIL-FP di Bergamo, nota 20.11.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: Comportamento antisindacale e "riforma Brunetta" (CGIL-FP di Bergamo, nota 20.11.2010).

NOTE, CIRCOLARI & COMUNICATI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Chiarimenti in ordine all'ambito applicativo della disposizione contenuta nell'articolo 9, comma 4, del decreto legge n. 78/2010, che impone il divieto di definire trattamenti retributivi superiori al 3,2% per il biennio contrattuale 2008-2009 (risposta ad un quesito posto dall'ANCI).
OGGETTO: Richiesta di chiarimenti in merito all’applicazione dell’articolo 9, comma 4, del decreto legge n. 78 del 31.05.2010, convertito in legge 30.07.2010, n. 122 (Ministero dell'Economia e delle Finanze, nota 16.11.2010 n. 96618 di prot.). - link a www.rgs.mef.gov.it).

QUESITI & PARERI

AMBIENTE-ECOLOGIA: Il contratto di affitto di azienda comporta di per sé anche la disponibilità dell’immobile sede dell’azienda? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Quali saranno sommariamente i punti riformati dal terzo correttivo alla Parte IV del Testo Unico Ambientale? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Nell’ipotesi in cui si stipula tra due società che gestiscono rifiuti un contratto di affitto di azienda e il titolo autorizzatorio sia l’A.I.A la cessione del titolo è temporanea? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Può aversi un contratto di affitto di azienda tra società aventi i medesimi amministratori? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Come è sanzionato il mancato rispetto delle prescrizioni dell’A.I.A. dopo il terzo correttivo al Testo Unico ambientale? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Come si inquadra e come è sanzionato il reato di abbandono dei rifiuti? (link a www.ambientelegale.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Tracciabilità: Pubblicate le linee guida sulla tracciabilità dei flussi finanziari.
Emanate dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) le linee guida sulla tracciabilità dei flussi finanziari a seguito del piano straordinario contro le mafie.

La determinazione 18.11.2010 n. 8 tratta gli ambiti di applicazione della tracciabilità, fornisce indicazioni generali sulle modalità di attuazione della stessa, sulla richiesta e l’indicazione del codice identificativo di gara (CIG) e del codice unico di progetto (CUP) e sulla gestione dei movimenti finanziari e le comunicazioni obbligatorie (link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: I bandi di gara non possono contenere limitazioni di carattere territoriale.
Firmato dal Presidente dell’AVCP, Giuseppe Brienza, un comunicato per richiamare l’attenzione delle stazioni appaltanti a non inserire nei bandi di gara clausole che riconoscano una qualche preferenza alle imprese operanti sul territorio di riferimento, violando i principi di uguaglianza, non discriminazione, parità di trattamento e concorrenza (comunicato del Presidente 20.10.2010 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Rilascio dei Certificati Esecuzione Lavori.
I Certificati di Esecuzione Lavori (CEL) devono essere rilasciati in via telematica secondo quanto disposto con comunicato del Presidente dell’AVCP del 06.07.2006.
Da verifiche effettuate nella Banca Dati dell’Autorità, è emerso che molte stazioni appaltanti hanno continuato ad emettere i CEL in formato cartaceo. Pertanto, tutte le stazioni appaltanti sono invitate ad emettere nuovamente i CEL già rilasciati in forma cartacea, secondo le modalità indicate nel richiamato comunicato del 2006 (comunicato del Presidente 05.10.2010 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Pubblicazione di bandi e avvisi di gara sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
Dall'01.11.2010 è fatto obbligo ai soggetti che richiedano la pubblicazione di bandi e avvisi di gara sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana di indicare il codice CIG (codice identificativo gara) rilasciato dall'Autorità.
Pertanto, a decorrere dalla predetta data, il formulario di richiesta di inserzione sulla GURI sarà modificato prevedendo l'acquisizione obbligatoria del CIG ovvero della causa di esclusione dall'obbligo di richiesta del medesimo nei casi indicati con Deliberazione del 15.02.2010, art. 3, dell'Autorità (comunicato del Presidente 01.10.2010 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZIIl divieto posto dal Decreto Bersani non opera nel caso di società a partecipazione pubblica che producono beni o servizi per il pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza.
L’interessante sentenza tratta dell’applicazione di una delle tante norme che disciplinano le partecipazioni societarie delle pubbliche amministrazioni.
In questa nota si è ritenuto di dover riportare integralmente i passaggi più rilevanti in ragione della particolare chiarezza del testo della sentenza: “Ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 13 del D.L. 04.07.2006 n. 223, convertito in legge 04.08.2006, n. 248 e s.m.i., le società a capitale interamente pubblico o misto –costituite dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento di funzioni amministrative di loro competenza– devono operare esclusivamente con gli enti costituenti ed affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti.
L’art. 13 del d.l. 04.07.2006, n. 223, nell’imporre tali limiti alle società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali o locali, come affermato anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 326 dell'01.08.2008, ha il fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori ed ha quindi lo scopo di impedire che soggetti intrinsecamente connessi all’espletamento di funzioni della Pubblica Amministrazione possano, in forza della propria rendita di posizione, agire sul libero mercato (Consiglio di Stato, Sez. IV, 05.03.2008, n. 946; Sez. V, 07.07.2009 n. 4346).
Il divieto introdotto dall’art. 13 non è rivolto in via generale a tutte le società costituite o comunque partecipate da amministrazioni locali (come si era in un primo momento da alcuni ritenuto: cfr. anche il parere dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture n. 135 del 2007), ma riguarda solo quelle società che possono definirsi “strumentali”, vale a dire quelle società costituite o partecipate per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività dell’amministrazione regionale o locale in funzione della medesima e con esclusione dei servizi pubblici locali (Consiglio di Stato, Sez. V, 12.06.2009 n. 3767).
La giurisprudenza ha quindi distinto due diverse categorie di società a partecipazione pubblica ed ha ritenuto necessario ed indefettibile per l’applicazione della norma contenuta nel decreto Bersani che la società sia strumentale perché destinata a produrre beni e servizi finalizzati a soddisfare l’esigenza dell’ente pubblico partecipante, mentre la disposizione non può trovare applicazione quando le società a partecipazione pubblica sono esercitate secondo modelli paritetici e il ruolo degli enti territoriali non si differenzia da quello dell’azionista di una società per azioni (Consiglio di Stato, Sez. IV, 05.03.2008, n. 946 cit.).
Infatti il divieto che colpisce le società strumentali è giustificato dalla circostanza che esse costituiscono una longa manus delle amministrazioni pubbliche ed operano quindi essenzialmente per queste ultime e non già per il pubblico (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1282 del 05.03.2010; Sez. V, n. 3766 del 12.06.2009). In altre parole il divieto trova applicazione quando le società sono state costituite e svolgono la loro attività per l’esercizio dell’attività amministrativa in forma privatistica e le società di capitali operano per conto di una pubblica amministrazione; il divieto non opera invece nel caso di società a partecipazione pubblica che producono beni o servizi per il pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza.
Di recente questa Sezione, con la citata sentenza n. 1282 del 05.03.2010, dopo aver ricordato che il divieto di partecipazione a gare pubbliche previsto dall’art. 13 del D.L. 04.07.2006, n. 223, convertito dalla L. 04.08.2006, n. 248 e s.m.i. per le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzioni di beni e servizi strumentali alla loro attività, ha lo scopo (rilevato anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza 01.08.2008, n. 326) di evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali, costituendo fattori distorsivi della concorrenza, ha in proposito affermato che è <>, concludendo che <>.
Per concludere sul punto si può quindi affermare che è solo la specifica missione strumentale della società rispetto all’ente che l’ha costituita ovvero la partecipa a giustificare il divieto legislativo di operare per altri soggetti pubblici o privati, in modo che tale società non possa godere della posizione privilegiata sul mercato che è determinata proprio dalla predetta strumentalità ritenuta dal legislatore fonte di alterazione o di distorsione della concorrenza e di violazione del principio di parità degli operatori.
La specialità della norma in questione poi non ne consente, per giurisprudenza pacifica, l’interpretazione analogica e l’applicazione a casi diversi da quelli espressamente previsti (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1282 del 05.03.2010 cit.)
” (massima tratta da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.11.2010 n. 8069 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’art. 36, comma 5, del codice dei contratti pubblici non è applicabile alla materia dell’avvalimento.
Estrapoliamo dalla pronuncia in rassegna una rilevante problematica interpretativa: si pone la questione della applicabilità dell’art. 36, comma 5, del codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12.04.2006, n. 163), alla materia dell’avvalimento.
Nell’impianto del codice dei contratti pubblici, secondo i giudici del Consiglio di Stato, una soluzione del quesito in senso positivo non sembra ammissibile sia per ragioni testuali, ove si tenga conto che l’art. 36, comma 5, ha come destinatari esclusivi i soggetti che formulano l’offerta; sia per ragioni sistematiche, in quanto, quando il legislatore ha voluto equiparare la disciplina delle imprese offerenti e delle imprese ausiliarie, ha provveduto espressamente (come nel caso, di cui si dirà più avanti, della dichiarazione dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 38, che l’art. 49, comma 2, lettera c), del codice dei contratti pubblici, estende alle imprese ausiliarie).
Ad avviso dei giudici di Palazzo Spada una diversa soluzione non potrebbe argomentarsi nemmeno sul presupposto della responsabilità in solido della impresa ausiliaria (di cui all’art. 49, comma 4, e all’art. 50, comma 3, del codice dei contratti pubblici).
L’obbligazione solidale comporta indubbiamente la facoltà dell’amministrazione appaltante di pretendere l’adempimento delle prestazioni contrattuali da parte dell’impresa ausiliaria, ma questo non dimostra che l’impresa ausiliaria debba essere assoggettata ai medesimi oneri procedimentali cui sono sottoposte le imprese partecipanti alla gara (a meno che in tal senso non disponga espressamente la legge, come visto).
In tal caso, allorché l’amministrazione intendesse rivolgersi all’impresa ausiliaria per l’adempimento delle prestazioni contrattuali, e si tratti della esecuzione di lavori, dovrà previamente verificare il possesso in capo all’impresa ausiliaria della qualificazione necessaria (posto che, indiscutibilmente, l’art. 40 impone che “i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici devono essere qualificati …”).
L’applicabilità dell’art. 36, comma 5, concludono gli stessi giudici, deve essere esclusa anche alla luce della ratio sottesa alla prescrizione, imposta ai consorzi stabili, di indicare espressamente, in sede di offerta, le imprese consorziate per i quali concorrono, e al “divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara” per i consorziati indicati. Ratio da identificare nella tutela della trasparenza della gara, evitando la presentazione di offerte coordinate tra i diversi concorrenti, il che influirebbe sulla scelta del contraente da parte della stazione appaltante.
Tuttavia, l’art. 49, comma 2, lettera e), già prevede l’obbligo di rendere “una dichiarazione sottoscritta dall'impresa ausiliaria con cui questa attesta che non partecipa alla gara in proprio o associata o consorziata ai sensi dell’art. 34”.
Lo scopo di impedire la contemporanea partecipazione alla gara del consorzio stabile, in proprio, e delle singole imprese consorziate, è raggiunto dal legislatore, anche in questa particolare ipotesi, attraverso una norma espressa (confermando l’esistenza di un principio di tendenziale distinzione tra la disciplina dettata per le imprese offerenti e quella dedicata alle imprese ausiliarie in regime di avvalimento, per cui l’ambito di applicazione della prima non può essere automaticamente esteso alla seconde) (massima tratta da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.11.2010 n. 8059 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALa PA, nel procedere ad una pianificazione di recupero, può legittimamente richiedere gli standards necessari con riferimento alle preesistenze edilizie delle quali il piano prevede la conservazione.
In ordine alla prima e centrale questione, va condiviso l’orientamento del primo giudice in particolare ove ha posto in rilievo che contenere la dotazione degli “standards” a corredo del piano, rapportandola alle sole nuove edificazioni, costituirebbe una ingiustificata compressione del potere pianificatorio, soprattutto preclusiva di un miglioramento delle condizioni di vivibilità relativamente agli edifici preesistenti, realizzandosi così un aumento del deficit urbanistico del tutto contrario alla finalità stessa del piano di recupero.
Peraltro collima con questa interpretazione l’orientamento già espresso da questo Consiglio in merito, per il quale l’art. 22, comma terzo, della L.R. lombarda n. 51/1975, per la determinazione degli “standards” non si è riferito al volume fisico fuori terra degli edifici, bensì alla "capacità insediativa residenziale teorica" (Cons di Stato, sez. IV, n. 860/2007 e n. 797/1997); in tale concetto, e con riferimento ad un piano di recupero che per definizione vede ampia parte destinata alla conservazione immobiliare, risulta quindi del tutto logico che nella quantificazione degli “standards” minimi necessari si tenga conto di tutte le edificazioni che l’area può giuridicamente e nel complesso recepire e quindi necessariamente anche degli edifici preesistenti (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.11.2010 n. 7727 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La tutela del paesaggio, avente valore costituzionale e funzione di preminente interesse pubblico, non è riducibile a quella dell’urbanistica, che risponde ad esigenze diverse e che, in ogni caso, non inquadra in una visione globale il territorio sotto il profilo paesaggistico-ambientale, rispetto al quale l’edificabilità dei suoli, seppure consentita dal PRG in vigore, va comunque coordinata quantomeno in relazione al dovuto nulla osta.
La tutela del paesaggio, avente valore costituzionale e funzione di preminente interesse pubblico, non è riducibile a quella dell’urbanistica, che risponde ad esigenze diverse e che, in ogni caso, non inquadra in una visione globale il territorio sotto il profilo paesaggistico-ambientale, rispetto al quale l’edificabilità dei suoli, seppure consentita dal PRG in vigore, va comunque coordinata quantomeno in relazione al dovuto nulla osta (Consiglio Stato, VI, 21.06.2006, n. 1903) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.10.2010 n. 7491 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Telefonia mobile - Regolamento recante disciplina temporanea dell'installazione di stazioni-radio base - Impugnabilità del regolamento unitamente all'impugnazione del relativo atto applicativo - Possibilità - Ratio.
Il regolamento comunale recante la disciplina temporanea dell'installazione di stazioni radio base per telefonia mobile, in considerazione della sua natura regolamentare, è suscettibile di ripetuta applicazione ed esplica effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo e, pertanto, esso può formare oggetto di censura in occasione della impugnazione di quest'ultimo: ciò, dal momento che l'effetto lesivo del regolamento si rinnova in occasione dell'adozione di ogni provvedimento applicativo ed è da tale momento che decorre, ogni volta, il termine per l'impugnazione dell'atto regolamentare (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1567/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.05.2010 n. 1571 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Contributo di concessione - Controversie sul contributo - Autonomia rispetto al rilascio del permesso di costruire - Sussiste.
2. Contributo di concessione - Natura giuridica.
3. Contributo di concessione - Natura giuridica - È prestazione patrimoniale imposta - Conseguenze.
4. Contributo di concessione - Interventi di ricostruzione preceduti da demolizione totale o parziale - Applicabilità del contributo previsto per le nuove costruzioni.

1. Le controversie sul contributo di concessione, ora contributo di costruzione, devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A., introducono un giudizio sul rapporto, che prescinde dall'impugnazione di atti: la determinazione del contributo è, infatti, cosa diversa ed autonoma rispetto al rilascio del permesso di costruire, sia perché persegue finalità sue proprie, sia perché si conclude con un atto - concettualmente diverso da quello concessivo del titolo a costruire - che può essere contestato e caducato in sede giurisdizionale senza ripercussioni sul titolo edilizio (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2438/2009).
2. Il contributo di concessione, pur non avendo carattere strettamente tributario, si configura come corrispettivo di diritto pubblico connesso al rilascio della concessione edilizia, a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione ai benefici che la nuova costruzione ne ritrae (Cons. Stato 2^, 21.11.07 n. 11073 e 10060/2004).
3. Il contributo di concessione ha natura di prestazione patrimoniale imposta, da determinarsi sulla base delle norme che regolano i relativi criteri di conteggio, le quali sono cogenti sia per il contribuente, sia per la P.A.: da ciò discende, da un lato, che relativamente al contributo, il rapporto tra titolare del permesso edilizio e P.A. ha carattere paritetico, e non autoritativo, con conseguente esigenza di determinare ciò che è dovuto per legge, restando improponibili le censure tipiche dell'impugnativa dei provvedimenti amministrativi volte a far valere i c.d. vizi sintomatici dell'eccesso di potere (cfr. TAR Milano, sent. n. 1817/1998 e n. 1820/1998); dall'altro, che la c.d. "'impugnazione" dell'atto di determinazione del contributo per vizi propri, per esempio computo errato, comportando la lesione di un diritto, è proponibile nei termini di prescrizione (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2463/2006); infine, che in caso di errore nella liquidazione del contributo, la P.A. può parimenti pretenderne l'integrazione o il conguaglio nel termine di prescrizione (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2686/2008 e n. 11073/2007), così come a prescrizione è soggetta l'azione di ripetizione dell'interessato che, dopo avere pagato il contributo, ne chieda la restituzione -totale o parziale- per indebito oggettivo.
4. Ai sensi dell'art. 44, comma 10, L.R. 12/2005 gli interventi di ricostruzione preceduti da demolizione totale o parziale scontano il contributo concessorio previsto per le nuove costruzioni (cfr. TAR Milano, sent. n. 4455/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2010 n. 1566 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Lottizzazione abusiva - Lottizzazione abusiva materiale e lottizzazione abusiva cartolare - Nozione.
2. Lottizzazione abusiva - Lottizzazione abusiva cartolare - Accertamento - Presupposti - Mero frazionamento o vendita dell'area - Insufficienza.

1. Ai sensi dell'art. 30, comma 1°, D.P.R. 380/2001 sono ravvisabili due tipi di lottizzazione abusiva -che possono peraltro coesistere-: una materiale, qualora siano iniziate sul terreno opere che comportino trasformazione urbanistica o edilizia del medesimo in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici o comunque senza le prescritte autorizzazioni; dall'altro una lottizzazione abusiva cartolare o formale, quando la trasformazione è predisposta attraverso il frazionamento e la vendita del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche particolari, denuncino in modo inequivoco la destinazione a scopo edificatorio.
2. In materia di lottizzazione abusiva cartolare il relativo accertamento non può essere affidato al mero riscontro del frazionamento o della vendita dell'area, essendo invece necessaria la ricostruzione di un quadro indiziario sulla scorta degli elementi indicati dalla norma di legge, dalla quale sia possibile desumere in maniera inequivoca la destinazione a scopo edificatorio degli atti posti in essere dalle parti (cfr. TAR Lazio, sent. n. 10872/2009; TAR Lecce, sent. n. 3178/2009; Cons. di Stato, sent. n. 6810/2004) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2010 n. 1553 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: PRG - Varianti - In assenza di modifiche che mutino le caratteristiche essenziali del piano - Obbligo ripubblicazione - Non sussiste.
Non sussiste l'obbligo di nuova pubblicazione delle varianti o dei piani, qualora le modifiche introdotte non diano luogo ad una rielaborazione complessiva del piano, ovvero quando non ne siano mutate le caratteristiche essenziali (cfr. TAR Milano, sent. n. 4301/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2010 n. 1552 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Giunta Comunale - Competenza - In relazione a provvedimenti consequenziali a decisioni assunte dal Consiglio Comunale - Sussiste.
E' ammissibile l'approvazione da parte della Giunta Comunale del progetto preliminare relativo ad un Piano particolareggiato con variante, a condizione che l'opera sia già stata assentita dal Consiglio Comunale attraverso l'approvazione del relativo Programma Triennale cui il progetto preliminare si riferisce (cfr. TAR Liguria, sent. n. 109/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2010 n. 1552 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA 1. Competenza e giurisdizione - Condono edilizio - Ricorso per accertamento dell'inesistenza del credito vantato dalla P.A. - E' controversia su diritti soggettivi - Termine decadenziale per impugnazione dell'atto di condono - Inconfigurabilità.
2. Condono edilizio - Rinuncia alla domanda di condono - Presupposti - Anteriorità rispetto alla conclusione del procedimento di condono - Ratio.

1. In materia di condono edilizio, nel caso di ricorso per l'accertamento dell'inesistenza del credito vantato dall'Amministrazione comunale nei confronti del ricorrente, oltre che del presunto diritto di quest'ultimo al rimborso delle somme già versate a favore del Comune, trattandosi di controversia su diritti soggettivi, non sussiste alcun onere del ricorrente di impugnazione nel termine decadenziale del provvedimento di condono (cfr. TAR Milano, sent. n. 5071/2009).
2. E' ammissibile la rinuncia alla domanda di condono a condizione che la stessa sia anteriore alla conclusione del relativo procedimento (cfr. TAR Toscana, sent. n. 6520/2004): a tale riguardo, il procedimento deve reputarsi concluso anche qualora il ricorrente non abbia mai materialmente ritirato il titolo cartaceo depositato negli uffici comunali né abbia completamente versato le somme richieste, essendo queste ultime fattispecie irrilevanti ai fini della conclusione del procedimento.
Poiché infatti il condono edilizio è volto alla celere definizione di illeciti avente ordinariamente natura non solo amministrativa ma anche penale, ne consegue che l'eventuale rinuncia allo stesso, magari in seguito al decorso di un lungo termine dalla presentazione della relativa istanza, rischierebbe di assicurare all'autore dell'opera abusiva una sostanziale immunità penale, ad esempio sfruttando l'eventuale prescrizione del reato edilizio, oltre a garantirgli il recupero pecuniario delle somme già versate (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2010 n. 1551 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi edilizi - Domanda di condono - Silenzio-assenso - Presupposti.
In materia di abusi edilizi la formazione del silenzio assenso sulla domanda di condono presuppone che quest'ultima sia stata presentata unitamente a tutta la necessaria documentazione e che sia stato interamente versato il contributo concessorio (nel caso di specie il TAR ha ritenuto che la domanda di condono fosse completa e che fosse pertanto maturato il silenzio assenso decorsi ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, essendo irrilevanti, in quanto non previste dalla legge, le richieste di integrazione documentale formulate dal Comune) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2010 n. 1550 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi edilizi - Sanzione pecuniaria - Stima dell'Agenzia del Territorio - E' atto infraprocedimentale - Conseguenze - Onere di impugnabilità della stima - Non sussiste - Necessità di notifica all'Agenzia del Territorio - Non sussiste.
In materia di repressione di abusi edilizi, il provvedimento lesivo impugnabile dal privato è l'atto terminale che definisce il procedimento applicando la sanzione pecuniaria, mentre la relativa stima dell'Agenzia del territorio, ancorché conosciuta anticipatamente dall'interessato, ha carattere infraprocedimentale e non determina l'onere di impugnazione immediata: ne consegue che l'Agenzia del Territorio non è un contraddittore necessario al quale il ricorso debba essere notificato a pena di inammissibilità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1546 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Abusi edilizi - Opere su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità o destinate ad opere e spazi pubblici o ad interventi di edilizia residenziale pubblica - Intimazione di sgombero - Legittimità.
2. Abusi edilizi - Opere su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità o destinate ad opere e spazi pubblici o ad interventi di edilizia residenziale pubblica - Preventivo ordine di demolizione ed accertamento della relativa inottemperanza - Necessità - Non sussiste.

1. In caso di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica, l'intimazione di sgombero da parte del dirigente responsabile, ancorché non prevista dalla legge, non è illegittima, non avendo altro scopo che preavvisare l'interessato della imminente demolizione e porlo nella condizione di liberare spontaneamente i manufatti abusivi, nel proprio interesse, da persone e cose.
2. La demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi ex art. 27, comma 2, D.P.R. 380/2001, non richiede un preventivo ordine di demolizione e l'accertamento della relativa inottemperanza, dal momento che mira ad assicurare all'autorità di vigilanza strumenti tempestivi di intervento a tutela delle aree gravate da vincoli di inedificabilità (cfr. TAR Lazio, sent. n. 11295/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1529 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento - Mancata comunicazione di avvio - In presenza di comunicazioni de facto - Legittimità.
La comunicazione di avvio del procedimento non è necessaria laddove l'interessato sia stato altrimenti reso edotto del procedimento in corso (nella fattispecie, l'interessato è stato destinatario di ripetute ordinanze di sospensione lavori e di demolizione): inoltre, la mancata comunicazione di avvio del procedimento non vizia la determinazione che abbia, come nella fattispecie, natura necessitata e vincolata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1529 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi edilizi - Ordinanza di sospensione lavori - Mancata notifica all'affittuario - Legittimità.
Il proprietario del terreno, responsabile dell'abuso, destinatario di relativa ordinanza di sospensione lavori non è legittimato a dedurre l'omessa notifica dell'atto a terzi: pertanto, il ricorrente, cui l'ordinanza sia stata ritualmente notificata come proprietario del terreno interessato dagli abusi edilizi, non ha titolo alcuno a dedurre l'omessa notificazione dell'ordinanza all'affittuario (cfr. TAR Milano, sent. n. 3657/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1528 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Approvazione PRG o PGT - Violazione dell'obbligo di astensione da parte dei consiglieri ex art. 78 D.Lgs. 267/2000 - Nullità parziale dello strumento urbanistico - Configurabilità - Ratio - Principio "utile per inutile non vitiatur".
2. Approvazione PRG o PGT - Violazione dell'obbligo di astensione da parte dei consiglieri ex art. 78 D.Lgs. 267/2000 - Interesse a ricorrere - Prova del pregiudizio diretto al fondo del ricorrente - Necessità.
3. Impugnazione di PRG o PGT - Soggetti proprietari di aree interessate dal Piano e soggetti menzionati nel ricorso - Automatica qualificazione di controinteressati - Non sussiste.
1. Nel caso di piano urbanistico per il quale si sia verificata l'ipotesi di un conflitto di interessi dell'amministratore pubblico devono essere annullate, ex art. 78, comma 4, D.Lgs. 267/2000, le sole parti dello strumento per le quali sia stata accertata la correlazione fra il contenuto del medesimo e gli specifici interessi dell'amministratore e dei suoi parenti: ciò poiché il conflitto di interesse dell'amministratore non travolge l'intero piano urbanistico ma solo le parti ritenute "collegate" all'interesse personale dello stesso, secondo il principio "utile per inutile non vitiatur".
2. Il proprietario di aree comprese nello strumento urbanistico per il quale si sia verificata l'ipotesi di un conflitto di interessi dell'amministratore pubblico ha interesse a denunciare la violazione dell'art. 78, D.Lgs. 267/2000, laddove provi che l'interesse personale del consigliere, che avrebbe dovuto imporre a quest'ultimo l'astensione, ha arrecato un diretto pregiudizio anche ai propri fondi; in caso contrario, qualora l'intervento in consiglio di detto amministratore non abbia avuto alcun effetto sul regime giuridico delle aree dell'esponente, l'interesse di quest'ultimo alla denuncia non sussiste, dal momento che l'eventuale accoglimento del gravame avrebbe conseguenze soltanto su fondi non di proprietà del ricorrente, che non vedrebbe pertanto mutato il regime giuridico dei propri immobili (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3744/2009; TAR Brescia, sent. n. 1461/2009).
3. I proprietari di aree comprese nel PRG o nel PGT non sono qualificabili come controinteressati al momento dell'impugnazione del Piano stesso (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1184/2010 e n. 4712/2008), né risultano tali le altre persone indicate in ricorso, dal momento che l'eventuale accoglimento di quest'ultimo non determinerebbe alcuna diretta ed immediata lesione della loro sfera giuridica, non essendo del resto sufficiente la semplice menzione di un soggetto nel provvedimento impugnato o nel ricorso, per fare assurgere al medesimo il ruolo di controinteressato (cfr. TAR Catanzaro, sent. n. 2004/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Valutazione ambientale strategica - Scelta dell'autorità competente - Principio di separazione dell'autorità competente rispetto a quella procedente - Necessità - Ratio.
In tema di VAS l'autorità procedente, nella scelta dell'autorità competente, deve individuare soggetti pubblici che offrano idonee garanzie non solo di competenza tecnica e di specializzazione in materia di tutela ambientale, ma altresì garanzie di imparzialità e di indipendenza rispetto all'autorità procedente, allo scopo di assolvere la funzione di valutazione ambientale nella maniera più obiettiva possibile, senza condizionamenti -anche indiretti- da parte dell'autorità procedente: infatti, qualora l'autorità procedente individuasse l'autorità competente esclusivamente fra soggetti collocati al proprio interno, il ruolo di verifica ambientale perderebbe ogni efficacia, risolvendosi in un semplice passaggio burocratico interno, con il rischio di vanificare la finalità della disciplina sulla VAS (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. P.I.I. in variante al P.R.G. - Violazione art. 25 L.R. n. 12/2005 - Delibera regionale modalità applicative - Dichiarazione di congruenza - Applicazione ai piani in itinere - Sussiste.
2. P.I.I. in variante al P.R.G. - Omissione della valutazione ambientale strategica (V.A.S.) - L.R. n. 12/2005 - Non assoggettabile a verifica di esclusione - Sussiste.
3. P.I.I. in variante al P.R.G. - Rilevanza regionale - Art. 92 L.R. n. 12/2005 - Qualificazione delle strutture - Medie strutture - Non sussiste.

1. Posto che l'art. 25, c. 7, L.R. n. 12/2005 -secondo cui i Comuni, fino all'approvazione del P.G.T., non possono dar corso all'approvazione di P.I.I. in variante al P.R.G. salvo che abbiano carattere strategico e di riqualificazione da valutare sulla base dei criteri adottati con delibera regionale- si applica anche ai programmi adottati ma non ancora approvati al momento dell'entrata in vigore della disposizione, anche la delibera regionale, che impone l'adozione di una dichiarazione di congruenza con i criteri e le modalità di cui all'art. 25, c. 7, L.R. n. 12/2005 -laddove dispone di applicarsi sia alle proposte di P.I.I. presentate al Comune dopo la novella legislativa, sia a quelle presentate prima ma non oggetto di adozione- deve essere interpretata in conformità alla norma primaria, e deve applicarsi anche ai piani in itinere (adottati ma non ancora approvati), risultando il P.I.I. impugnato illegittimo in mancanza dell'elaborato tecnico richiesto dalla delibera regionale 06.05.2009 n. 8/9413.
2. Posto che l'art. 4 L.R. n. 12/2005 prescrive la valutazione ambientale strategica (V.A.S.) di piani e programmi urbanistici salvo quelli che in base alla delibera regionale attuativa della disposizione (Delibera C.R. 13.03.2007 n. VIII/351) siano assoggettabili a mera verifica di esclusione della V.A.S., si deve ritenere che il P.I.I. impugnato in quanto in variante allo strumento urbanistico e comportante la riqualificazione di un'ampia area industriale dismessa, il cambio di destinazione di aree agricole e la realizzazione di un polo scolastico, non rientri nel novero dei piani/programmi assoggettabili a mera verifica di esclusione della V.A.S., tali essendo solo i piani e programmi che determinano l'uso di piccole aree a livello locale o modifiche minori, e debba essere soggetto a V.A.S..
3. La circostanza che una media struttura di vendita possa integrare un centro commerciale o che due medie strutture di vendita possano integrare un parco commerciale ai sensi della delibera di giunta regionale 04.07.2007 n. 8/5054 può avere effetti ai fini della disciplina commerciale e del rilascio delle relative autorizzazioni, ma non costituisce ragione sufficiente per conferire all'intervento, rango di rilevanza regionale e radicare, di conseguenza, per l'approvazione del P.I.I., la competenza della Regione ex art. 92 L.R. n. 12/2005 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.05.2010 n. 1452 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Programma integrato di intervento - Impugnazione - Legittimazione al ricorso - Operatore economico del settore - Titolarità di interessi diffusi in materia ambientale - Non sussiste - Necessità di allegazione di una lesione effettiva, attuale e concreta - Sussiste.
In ipotesi di impugnazione di un programma integrato di intervento, l'asserita qualità di "operatore del settore" non è sufficiente a concretizzare la legittimazione a ricorrere in assenza di elementi concreti atti a qualificare e differenziare l'interesse azionato da quello di un quisque de populo.
L'operatore economico non è infatti titolato a far valere interessi diffusi in materia ambientale e, pertanto, non è legittimato a dedurre la violazione delle normative di tutela ambientale, e neppure della normativa edilizia e urbanistica, senza l'allegazione di una lesione effettiva, attuale e concreta che il contestato intervento edilizio arrecherebbe alla sua sfera patrimoniale, intesa come complesso di beni, interessi ed aspettative che fanno capo ad un soggetto giuridico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.05.2010 n. 1451 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Progetto di restauro nucleo storico - Parere negativo - Art. 21 D.Lgs. n. 42/2004 - Carenza di potere - Sussiste.
E' illegittimo il parere negativo adottato dalla Soprintendenza in merito ad un progetto di restauro e riqualificazione di un nucleo storico nel caso in cui sia carente l'individuazione delle disposizioni specificamente applicate, limitandosi il provvedimento impugnato a richiamare genericamente i titoli II e III d.lgs. n. 42/2004 senza specificare quale sia la fonte normativa del potere esercitato e non potendosi inquadrare la fattispecie nella previsione di cui all'art. 21 d.lgs. n. 42/2004 che consente al Soprintendente di dettare prescrizioni o di variare quelle già date nel caso in cui i lavori autorizzati non inizino entro 5 anni dal rilascio dell'autorizzazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.05.2010 n. 1368 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Opere di urbanizzazione - Esecuzione diretta - Scomputo - Carattere facoltativo - Sussiste - Obbligo di accettazione da parte della P.A. - Non sussiste - Facoltà di mutamento unilaterale ex post delle condizioni da parte del promittente - Non sussiste.
2. Opere di urbanizzazione - Oneri - Misura degli oneri incassati dalla P.A. superiore al dovuto - Divieto di legge - Non sussiste - Impugnabilità - Non sussiste, in quanto si verte in tema di diritti disponibili.

1. Il ricorso allo scomputo, in conseguenza dell'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione, costituisce una facoltà rimessa alla parte richiedente, che, ove lo ritenga opportuno, può obbligarsi verso l'amministrazione ad eseguire opere di urbanizzazione.
Spetta, comunque, all'amministrazione, in base all'obbligazione unilateralmente assunta dalla parte, accettare o meno la proposta e subordinarla a condizioni o prescrizioni specifiche; solo una volta intervenuta tale approvazione diviene, poi, pienamente efficace l'atto d'obbligo; con la conseguenza che la parte promittente non può mutare unilateralmente, in un momento successivo, le condizioni sulle quali è intervenuto il consenso comunale, altrimenti venendosi ad alterare ingiustificatamente, mediante l'iniziativa unilaterale del medesimo obbligato principale, le basi stesse del consenso.
2. Il fatto che la P.A. ottenga un'opera di urbanizzazione di un determinato valore ed incassi oneri in misura superiore rispetto al complessivo dovuto non può costituire oggetto di impugnazione, in quanto si verte in tema di diritti disponibili e il legislatore non ha affatto inteso escludere che la parte promittente possa liberamente assumere impegni patrimoniali più onerosi rispetto a quelli astrattamente previsti dalla legge (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.05.2010 n. 1365 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Recupero sottotetti in deroga allo strumento urbanistico - Normativa applicabile - L.R. n. 12/2005 - Lavori non assentibili.
In caso di denunzia di inizio attività relativa a lavori di recupero sottotetti trovano applicazione le prescrizione degli strumenti urbanistici e le norme legislative e regolamentari eventualmente sopravvenute, vigenti al momento della scadenza del termine di trenta giorni dalla sua presentazione, non applicandosi di conseguenza nella specie la L.R. n. 15/1996, che consentiva il recupero dei sottotetti anche in deroga allo strumento urbanistico, ma la L.R. n. 12/2005 che, anche nella versione antecedente alle innovazioni della L.R. n. 20/2005, non ha previsto la possibilità di eseguire trasformazioni dei sottotetti in deroga ad indici e parametri stabiliti dagli strumenti urbanistici comunali (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.05.2010 n. 1242 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Art. 3, comma 3°, L. n. 241/1990 - Motivazione per relationem - Disponibilità dell'atto - Necessità di materiale allegazione - Non sussiste, purché sia l'atto individuato nei suoi estremi e suscettibile di conoscenza attraverso il procedimento di accesso agli atti amministrativi.
In relazione all'obbligo di cui all'art. 3, comma 3°, della legge 241/1990, il concetto di disponibilità di cui al citato comma terzo deve intendersi come disponibilità a norma di legge, nel senso cioè che l'atto non deve essere necessariamente materialmente allegato, purché sia individuato nei suoi estremi e suscettibile di conoscenza attraverso il procedimento di accesso agli atti amministrativi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1237 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: 1. Espropriazione per Pubblica Utilità - P.I.I. - Art. 34 D.Lgs. n. 267/2000 - Rito accelerato ex art. 23-bis L. n. 1034/1971 - Deposito ricorso oltre termine dimidiato - Inammissibilità.
2. Decreto d'occupazione d'urgenza - Mancata indicazione ragioni d'urgenza - Art. 22 bis D.P.R. n. 327/2001 - Legittimità.

1. Essendo oggetto dell'impugnazione gli atti della procedura espropriativa e l'approvazione di un P.I.I che, in base all'art. 34 d.lgs. n. 267/2000 comporta dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere ivi previste, si applica il c.d. rito accelerato di cui all'art. 23-bis L. n. 1034/1971, introdotto dalla L. n. 205/2000, risultando inammissibile il ricorso principale in quanto depositato oltre il termine dimidiato.
2. In presenza dei presupposti procedimentali prescritti dall'art. 22-bis D.P.R. 08.06.2001 n. 327 per l'emanazione dell'ordinanza di occupazione d'urgenza, e cioè il vincolo preordinato all'esproprio e la dichiarazione di pubblica utilità, l'Amministrazione può immettersi senz'altro nel possesso dell'area in esecuzione della suddetta ordinanza, per realizzare le opere per le quali vi è stata l'approvazione del progetto e lo stanziamento delle relative risorse, essendo sufficiente che l'ordinanza si limiti a richiamare espressamente la dichiarazione di pubblica utilità, che costituisce l'unico presupposto e che consente di rilevare l'urgenza della realizzazione delle opere, essendo irrilevante una specifica dichiarazione di indifferibilità ed urgenza in presenza di tali presupposti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1236 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Diniego di sanatoria - Classificazione giuridica delle strutture - Attività edilizia libera ex art. 33 L.R. n. 12/2005 - Serre - Titolo abilitativo - Legittimità.
2. Diniego di sanatoria - Fascia di rispetto cimiteriale - Art. 38 R.D. n. 1265/1934 - Inedificabilità ex lege - Motivazione - Legittimità.
3. Ordine di demolizione - Notifica all'affittuaria responsabile dell'abuso - Mancata notifica al proprietario dell'area - Carenza di interesse - Inammissibilità.

1. Per quanto la L.R. n. 12/2005 non detti prescrizioni analitiche circa le dimensioni delle coperture stagionali di cui all'art. 33 della stessa legge, ragioni di ordine sistematico e letterale, inducono alla conclusione che debba trattarsi di dimensioni tutto sommato contenute, essendo tali opere destinate alla protezione delle colture e dei piccoli animali -da allevare all'aria aperta-, quindi con dimensioni compatibili con la sola funzione di protezione e non con altre funzioni, quali l'accesso delle persone o l'esercizio nella struttura di attività commerciali di vendita, tali da non avere impatto sul territorio, impatto che sarebbe incompatibile con il regime di totale liberalizzazione dell'attività edilizia di cui al c. 2 dello stesso art. 33 L.R. n. 12/2005.
Pertanto, in assenza sia del carattere di semplice copertura che di quello di stagionalità richiesti dall'art. 33 L.R. n. 12/2005, risulta corretta la classificazione giuridica assunta dal Comune che ritiene le strutture di cui è causa "serre" e come tali, allorché soddisfino stabilmente le esigenze di esercizio dell'impresa agricola e siano destinate ad una indeterminata permanenza, necessitanti il rilascio di un permesso di costruire.
2. Le disposizioni sulla fascia di rispetto cimiteriale sono dettate da ragioni di ordine pubblico, sia di carattere igienico-sanitario sia di rispetto della sacralità dei luoghi di sepoltura, per cui il vincolo cimiteriale costituisce un'ipotesi di inedificabilità ex lege, destinata a prevalere su eventuali disposizioni difformi degli strumenti urbanistici generali.
Di conseguenza, in caso di opere abusive collocate in zona cimiteriale, il diniego di sanatoria non deve necessariamente, al fine dell'assolvimento dell'obbligo di motivazione dell'atto amministrativo, effettuare una comparazione fra le opere realizzate ed i valori salvaguardati dal vincolo essendo sufficiente quest'ultimo.
3. La censura di illegittimità dell'ingiunzione a demolire, in quanto rivolta contro l'affittuaria dell'area e non contro i proprietari, è infondata, se non addirittura inammissibile, non riuscendosi a comprendere quale interesse abbia la ricorrente affittuaria a lamentare la mancata notifica del provvedimento ad un soggetto giuridicamente distinto dalla stessa, che dovrebbe semmai essere fatto valere dai proprietari e non dall'esponente, la quale ha in ogni caso realizzato le opere abusive ed è quindi giuridicamente obbligata a demolirle, quale "responsabile del'abuso", indipendentemente da eventuali irregolarità della notificazione dell'ingiunzione a demolire (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1234 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Variante urbanistica - Associazioni di categoria - Legittimazione al ricorso - Va riconosciuta solo a tutela della totalità dei loro iscritti.
2. Variante urbanistica - Esercizio commerciale - Stabile collegamento con la zona d'insediamento della nuova struttura - Legittimazione al ricorso del titolare - Sussiste.
3. Strumento urbanistico comunale - Parere provinciale di compatibilità - Competenza della Giunta provinciale - Sussiste.

1. Va riconosciuta la legittimazione a proporre ricorso alle associazioni di categoria solo a tutela della totalità dei loro iscritti, e non anche per la salvaguardia di posizioni proprie di una parte sola di essi in danno di altri.
2. Integra la legittimazione al ricorso lo stabile collegamento del commerciante con la zona d'insediamento della nuova struttura, la cui realizzazione incide sulla attività, determinandone un futuro pregiudizio all'area del commercio.
3. È di competenza della giunta provinciale emettere pareri di compatibilità di uno strumento urbanistico comunale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.05.2010 n. 1221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Art. 25, L.R. n. 12/2005 - Progetti in variante ex art. 5 D.P.R. n. 447/1998 - Approvazione - Può sempre intervenire, indipendentemente dall'adeguamento della pianificazione alle disposizioni in materia commerciale.
2. Art. 5 D.P.R. n. 447/1998 - Termine di trenta giorni entro cui il Consiglio Comunale deve pronunciarsi sulla proposta di variante - Carattere perentorio - Non sussiste.
1.
In base all'art. 25 della L.R. n. 12/2005, i Comuni possano sempre procedere all'approvazione di progetti in variante di cui all'art. 5 D.P.R. n. 447/1998.
Il procedimento di cui al D.P.R. n. 447/1998, stante la sua natura eccezionale ed acceleratoria, può intervenire indipendentemente dall'adeguamento della pianificazione alle disposizioni in materia commerciale.
2. Il termine di trenta giorni entro cui il Consiglio Comunale deve pronunciarsi sulla proposta di variante ex art. 5 D.P.R. n. 447/1998, ha carattere acceleratorio, non avendo la legge specificato la natura perentoria dello stesso né avendo previsto alcuna specifica conseguenza per il suo eventuale superamento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.05.2010 n. 1221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPermesso di costruire - Violazione delle distanze fra edifici D.M. n. 1444/1968 - Opere di ristrutturazione - Inapplicabilità.
Non sussiste in relazione al permesso di costruire impugnato la lamentata violazione della disciplina sulle distanze tra edifici, prevista sia dal codice civile sia dal D.M. n. 1444/1968, in quanto tale disciplina trova applicazione in caso di nuove costruzioni ma non di ristrutturazione mediante demolizione di edificio esistente e costruzione nel rispetto del volume e della sagoma originari, con mantenimento dell'originaria distanza (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.05.2010 n. 1220 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA 1. Permesso di costruire giudizialmente sospeso - Lavori parzialmente eseguiti - Nuovo titolo edilizio - Violazione procedura di cui all'art. 36 D.P.R. n. 380/2001 - Art. 21-octies L. n. 241/1990 - Non sussiste.
2. Permesso di costruire giudizialmente sospeso - Prosecuzione lavori - Istanza risarcimento del danno - Condotta di soggetti privati - Incompetenza.

1. In un'ottica di economicità ed efficienza dell'azione amministrativa ed in applicazione della fattispecie dell'art. 21-octies L. n. 241/1990, risulta legittima la scelta dell'Amministrazione di rilasciare un nuovo permesso di costruire, pur in presenza di lavori già effettuati, vista la loro accertata conformità urbanistica (in quanto le opere già eseguite in attuazione del precedente permesso di costruire giudizialmente sospeso sarebbero in ogni modo suscettibili di sanatoria) in quanto, una soluzione differente, quale il diniego del nuovo permesso e la richiesta di accertamento di conformità per i lavori eseguiti avrebbe portato al medesimo risultato di quello attuale, attraverso un primo provvedimento di sanatoria ed il successivo rilascio del permesso di costruire dal contenuto conforme a quello impugnato.
2. Un'istanza risarcitoria per danni che paiono attenere non al comportamento illegittimo dell'Amministrazione comunale, i cui atti sono stati sospesi dal giudice, quanto alla condotta di soggetti privati che avrebbero proseguito nei lavori edilizi nonostante la sospensione dell'efficacia del titolo a costruire, è sottratta totalmente alla giurisdizione del tribunale amministrativo che può conoscere esclusivamente di controversie in cui almeno una delle parti sia un'amministrazione pubblica o un soggetto alla stessa equiparato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.05.2010 n. 1220 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Provvedimento amministrativo - Memorie ex art. 10, lett. b), L. n. 241/1990 - Obbligo di valutazione - Sussiste - Omessa valutazione - Difetto di istruttoria e motivazione - Sussiste.
2. Provvedimento amministrativo - Formazione - Partecipazione del privato - Art. 21-octies, L. n. 241/1990 - Applicabilità - Non sussiste ove l'apporto partecipativo risulti determinante per l'assunzione della scelta amministrativa.

1. Incorre in un evidente vizio di difetto di istruttoria e di motivazione un provvedimento che ometta di prendere in considerazione le memorie presentate ai sensi dell'art. 10, lett. b), della legge 241/1990, finendo così per trascurare totalmente la pregressa situazione venutasi a creare.
2. L'art. 21-octies della legge 241/1990 non può trovare applicazione in tutte le ipotesi in cui, per la complessità delle questioni, l'apporto partecipativo del privato avrebbe potuto indurre il Comune a scelte differenti da quella in concreto operata, con ciò dovendosi escludere il carattere non vincolato del provvedimento richiesto dalla norma (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.05.2010 n. 1219 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abuso edilizio - Sanatoria - Mutamenti di destinazione d'uso senza opere - Art. 32, comma 27, D.L. n. 269/2001 - Vincolo a carattere relativo - Art. 32 L. n. 47/1985 - Mutamenti di destinazione d'uso meramente funzionali - Possibilità di sanatoria - Sussiste, previo riconoscimento di compatibilità con il vincolo da parte dall'Autorità competente.
Il rinvio operato dall'art. 32, comma 27, D.L. n. 269/2001 all'art. 32 L. n. 47/1985 (che disciplina le ipotesi di abuso in presenza di vincolo a carattere relativo, superabili cioè sulla base di un giudizio di compatibilità con il vincolo) e la preclusione della sanatoria per le opere abusive realizzate su immobili soggetti a vincolo monumentale inducono a ritenere che gli interventi abusivi realizzati senza opere (come i mutamenti di destinazione d'uso meramente funzionali) sono suscettibili di sanatoria quante volte siano dalla competente autorità riconosciuti compatibili con il vincolo gravante sull'immobile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.04.2010 n. 1213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono edilizio giudizialmente annullato - Giudizio di ottemperanza - Variante P.R.G. - Ulteriori provvedimenti - Annullamento - Insindacabilità - Rigetto.
La pretesa dei ricorrenti di dichiarare nulli i titoli abilitativi, rilasciati in un momento successivo al condono edilizio già giudizialmente annullato, che, a torto o a ragione, assumono a proprio presupposto un diverso quadro circostanziato e normativo, segnatamente l'approvazione di una variante al P.R.G. anteriore al provvedimento di condono ed alla sentenza che ha annullato tale provvedimento, non può essere ricondotta nell'ambito del giudizio di ottemperanza avendo detta sentenza esaurito i propri effetti con l'annullamento dell'atto all'epoca impugnato, senza influenzare l'evolversi della vicenda edilizia in un contesto, in fatto e in diritto, diverso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.04.2010 n. 1185 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Artt. 32, D.L. n. 269/2003 e 32, L. n. 47/1985 - Immobili soggetti a vincolo monumentale - Intervento abusivo senza opere - Sanabilità - Sussiste, se riconosciuto compatibile con il vincolo gravante sull'immobile dalla competente autorità.
Il rinvio operato dall'art. 32, comma 27, del D.L. n. 269/2003 all'art. 32 della legge n. 47/1985 (che disciplina le ipotesi di abuso in presenza di vincoli a carattere relativo, superabili cioè sulla base di un giudizio di compatibilità col vincolo) e la preclusione della sanatoria per le opere abusive realizzate su immobili soggetti a vincolo monumentale inducono a ritenere che gli interventi abusivi realizzati senza opere (come i mutamenti di destinazione d'uso meramente funzionali) sono suscettibili di sanatoria quante volte siano dalla competente autorità riconosciuti compatibili con il vincolo gravante sull'immobile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.04.2010 n. 1184 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Art. 36, D.P.R. n. 380/2001 - Istanza di accertamento di conformità - Ordine di demolizione precedentemente adottato - Efficacia - Non sussiste - Obbligo di esame dell'istanza di sanatoria - Sussiste - Rigetto della domanda di sanatoria - Obbligo di emettere un nuovo ordine di demolizione - Sussiste - Inefficacia dell'originaria ingiunzione a demolire - Sussiste.
2. Opera abusiva - Doverosità della demolizione per la P.A. - Sussiste - Potere pubblico di vigilanza sull'attività edilizia - Prescrizione o decadenza - Non sussistono.

1. La presentazione di istanza di accertamento di conformità (c.d. sanatoria), ai sensi dell'art. 36 del DPR 380/2001, priva di ogni efficacia l'ordine di demolizione precedentemente adottato dall'Amministrazione, in quanto quest'ultima è obbligata ad esaminare l'istanza di sanatoria, adottando di conseguenza un nuovo provvedimento.
In caso di rigetto della domanda di sanatoria, la stessa Amministrazione dovrà poi porre in essere un nuovo ordine di demolizione, contro il quale potrà essere proposto un ulteriore gravame, avendo perso infatti ogni efficacia l'originaria ingiunzione a demolire.
2. La doverosità, per l'Amministrazione, della demolizione di un'opera abusiva non viene meno per effetto del decorso del tempo, visto che il potere pubblico di vigilanza sull'attività edilizia non è soggetto né a prescrizione né a decadenza (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.04.2010 n. 1183 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordinanza di sgombero - Termine adeguato - Immobile acquisito al patrimonio comunale - Proroga per assegnazione casa popolare - Non sussiste.
L'assegnazione di un termine ristretto per lo sgombero non costituisce di per sé ragione di illegittimità dell'ordinanza considerando la durata dell'occupazione e la posizione del ricorrente che, in seguito all'acquisizione dell'immobile al patrimonio comunale, è quella di occupante senza titolo.
Il ricorrente peraltro, pur potendo chiedere una proroga del termine per meritevoli esigenze, non ha titolo a pretendere che lo sgombero e la demolizione delle opere abusive (risultato di reiterate violazioni edilizie a lui imputabili) siano subordinati all'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, e cioè al soddisfacimento di una pretesa che deve essere avanzata e perseguita nell'osservanza della normativa di settore (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.04.2010 n. 1182 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordine di sgombero - Mancanza di autorizzazione ricovero animali - Concessione edilizia - Preesistenza del locale - Irrilevanza.
L'autorizzazione all'attivazione di ricoveri per animali è atto distinto ed ulteriore rispetto alla concessione che ne ha autorizzato l'edificazione, o la ristrutturazione, ai fini edilizi: il primo ha la finalità di attestare la conformità dell'impianto alle norme dettate in materia di igiene e salute pubblica il secondo alle norme urbanistiche ed edilizie.
In mancanza dell'autorizzazione prevista dal regolamento locale di igiene, non rilevando la circostanza che il locale (una stalla) fosse preesistente ai lavori di ristrutturazione, è legittimo l'ordine di sgombero di animali (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.04.2010 n. 1170 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire in sanatoria - Titolo per richiederlo - Accertamento da parte dell'Amministrazione - Ulteriori accertamenti - Non competono.
2. Permesso di costruire in sanatoria - Contenuto ed effetti - Violazione norme edilizie - Art. 872 c.c. - Salvezza dei diritti dei terzi - Tutela nelle sedi opportune.

1. Il Comune ha l'obbligo, nel corso dell'istruttoria sul rilascio del permesso di costruire in sanatoria, di verificare che esista un titolo per intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il permesso edilizio e che quindi, ex art. 11 D.P.R. n. 380/2001, questo sia rilasciato al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederlo.
L'Amministrazione non è tuttavia tenuta a compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali o accertamenti in ordine a eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio, e, segnatamente, ad accertare l'esistenza di difformità tra la situazione di fatto e quanto risultante dalla mappa catastale, per verificare gli esatti confini tra i mappali di proprietà della ricorrente e quelli del richiedente il titolo edilizio.
2. Il permesso di costruire è un atto amministrativo che rende legittima l'attività edilizia nell'ordinamento pubblicistico e regola il rapporto che in relazione a quell'attività si pone in essere tra l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all'attività stessa, la cui titolarità deve essere verificata alla stregua della disciplina comune, con le consentite integrazioni della normativa speciale di cui all'art. 872 c.c. ed alla norme da esso richiamate.
Conseguentemente il permesso di costruire in sanatoria impugnato non pregiudica i diritti della ricorrente (nella specie il diritto di proprietà su parte dell'area su cui insistono le opere assentite) per la tutela dei quali dovrà agire nelle opportune sedi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.04.2010 n. 1168 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: 1. Retrocessione totale del bene espropriato - Domanda di retrocessione- Giurisdizione del G.A. - Non sussiste - Giurisdizione del G.O. - Sussiste.
2. Espropriazione per p.u. - Art. 53, d.P.R. n. 327/2001 - Cessione volontaria - Integrazione o riliquidazione dell'indennità - Giurisdizione del G.O. - Sussiste.

1. Nelle ipotesi di retrocessione totale del bene espropriato, l'Amministrazione -la quale è autorizzata a sottrarre il bene al legittimo proprietario solo ed esclusivamente nella misura in cui effettivamente il bene stesso sia utilizzato per il conseguimento dello specifico interesse pubblico fissato con la dichiarazione di pubblica utilità- pone in essere un comportamento che non è riconducibile all'esercizio di un pubblico potere proprio perché il bene non è stato utilizzato per la realizzazione dell'opera pubblica prevista nella dichiarazione di pubblica utilità, o è stato utilizzato per realizzare un'opera totalmente differente da quella programmata.
La giurisdizione sulla domanda di retrocessione totale appartiene, dunque, al giudice ordinario.
2. Alla luce dell'art. 53, d.P.R. n. 327/2001, in caso di cessione volontaria sono devolute alla giurisdizione del g.o., vertendosi in materia di diritti soggettivi, le controversie promosse dal cedente non soltanto per il pagamento dell'indennità ma anche per l'integrazione o la sua totale riliquidazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.04.2010 n. 1167 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordinanza di demolizione - Avviso di avvio del procedimento - Contributo partecipativo degli interessati - Mancanza della comunicazione ex art. 7 L. n. 241/90 - Illegittimità.
Sebbene, di regola, l'adozione di un provvedimento demolitorio non deve essere necessariamente preceduta dalla comunicazione di avviso ex art. 7 L. n. 241/1990, attesa la natura vincolata del potere sanzionatorio degli abusi edilizi, nel caso in cui il contributo partecipativo delle ricorrenti avrebbe potuto determinare un esito diverso, e ciò in considerazione del coinvolgimento nelle operazioni di verifica solamente di una delle parte interessate, delle incertezze nella individuazione della provenienza dell'opera e del suo reale posizionamento, risulta illegittimo l'ordine di demolizione adottato in assenza dell'avviso di avvio del procedimento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.04.2010 n. 1166 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dichiarazione inizio attività - Termine di impugnazione - Azione di accertamento - Impugnazione diretta - Oscillazione giurisprudenziale - Errore scusabile - Rimessione in termini - Sussiste.
In ragione dell'oscillazione giurisprudenziale in merito alle modalità di impugnazione di una D.I.A., ovvero nel considerarla o un atto privato in relazione al quale al terzo è riconosciuta solo un'azione di accertamento dell'insussistenza dei presupposti per la presentazione o, al contrario, un provvedimento amministrativo tacito passibile di impugnazione diretta per l'annullamento da parte del terzo, sussistono i presupposti per il riconoscimento dell'errore scusabile in capo ai ricorrenti in merito al termine per la presentazione del ricorso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.04.2010 n. 1150 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire - Termine di impugnazione - Art. 20 D.P.R. n. 380/2001 - Art. 103, c. 1, lett. a), L.R. Lombardia n. 12/2005 - Diritto di difesa ex art. 24 Cost. - Decorrenza dalla percezione della lesività dell'opera.
2. Permesso di costruire - Violazione art. 41-quinquies L. n. 1150/1942 - Piano attuativo - Sufficiente urbanizzazione - Derogabilità.

1. L'art. 20 D.P.R. n. 380/2001, che farebbe decorrere il termine per impugnare un permesso di costruire dalla mera indicazione degli estremi del titolo edilizio sul cartello di cantiere, senza che i soggetti terzi abbiano piena consapevolezza della portata lesiva delle opere, è insuscettibile di applicazione in Lombardia, vista l'esplicita previsione in tal senso dell'art. 103, c. 1, lett. a), L.R. n. 12/2005, ed in quanto la norma non appare comunque rispettosa del diritto di difesa, come garantito sia dalla Costituzione (art. 24), sia dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (artt. 6 e 13). Conseguentemente il termine di impugnazione del permesso di costruire decorre dal momento in cui è possibile percepire la lesività dell'opera realizzata, il che si verifica quando la costruzione già rivela in modo inequivoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica.
2. Il permesso di costruire impugnato non risulta illegittimo per violazione dell'art. 41-quinquies della L. n. 1150/1942, che, al comma 6 (tuttora in vigore), vieta di realizzare edifici con altezza superiore a 25 metri, se non previa approvazione di un piano particolareggiato o di lottizzazione convenzionata, in quanto, laddove gli interventi si collochino in una zona sufficientemente ed adeguatamente urbanizzata, che rende superflua l'adozione preventiva di un piano attuativo, la norma sopracitata è derogabile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.04.2010 n. 1150 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia - Impugnazione - Termine - Decorre dal momento in cui è percepibile la lesività dell'opera realizzata e non dalla mera esposizione del cartello di cantiere.
Il termine di impugnazione della concessione di costruzione decorre dal momento in cui è percepibile la lesività dell'opera realizzata, il che si verifica quando la costruzione già rivela in modo inequivoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica e non dalla mera esposizione del cartello di cantiere indicante gli estremi del titolo edilizio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.04.2010 n. 1149 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Piano di governo del territorio - Standard - Facoltà di monetizzazione - Preclusione per gli Enti locali in attesa dell'approvazione del Piano dei servizi - Non sussiste.
La facoltà di monetizzazione degli standard, già prevista dalla legislazione previgente alla LR 12/2005 (art. 1, comma 5, legge regionale 1/2001), non può certo ritenersi preclusa per gli enti locali, in attesa dell'approvazione del piano dei servizi; in tal senso, il comma 5-bis dell'art. 51 della legge regionale 12/2005 ha previsto che "Fino all'approvazione degli atti di PGT ai sensi dell'articolo 26, commi 2 e 3, le disposizioni del presente articolo, nonché degli articoli 52 e 53, si applicano in riferimento agli strumenti urbanistici comunali vigenti" e a tale disposizione deve attribuirsi una valenza interpretativa, nel senso cioè di consentire in ogni caso, nelle more dell'introduzione del PGT, la monetizzazione degli standard (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.04.2010 n. 1149 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Ordinanza di demolizione - Permesso di costruire in sanatoria - Contraddittorietà - Illegittimità.
2. Ordinanza di demolizione - Individuazione dell'abuso - Genericità - Carenza di motivazione - Illegittimità.

1. L'ordinanza impugnata che ordina la demolizione di opere che sono già state sanate, in quanto ricomprese in una delle tavole allegata alla domanda di permesso di costruire in sanatoria, è illegittima per contraddittorietà con il precedente permesso in sanatoria, ed in quanto adottata senza il previo annullamento parziale del permesso in sanatoria già rilasciato.
2. La natura sanzionatoria dell'atto recante la demolizione e la riduzione in pristino postula la necessità che l'Amministrazione competente abbia accertato compiutamente in tutti i suoi elementi l'illecito edilizio compiuto dal soggetto destinatario del provvedimento, mentre il generico riferimento alla non sanabilità delle opere, in assenza di ulteriori specificazioni in ordine all'entità ed alla esatta individuazione delle stesse, rende insufficientemente motivata la prescrizione demolitoria impugnata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.04.2010 n. 1148 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Usufruttuario - Titolarità di situazione giuridica meritevole di tutela - Sussiste - Impugnabilità di provvedimenti amministrativi condizionanti o limitanti il godimento del bene - Sussiste.
2. Titolo edilizio - Termine per impugnazione - Non decorre dalla pubblicazione all'albo pretorio, ma dalla piena conoscenza del titolo nei suoi elementi essenziali.

1. Non può disconoscersi, nella posizione autonoma dell'usufruttuario, una situazione giuridica meritevole di tutela (sia pur diversa da quella del proprietario) e differenziata, tale da integrare una relazione qualificata con il bene, che lo legittima ad insorgere avverso provvedimenti amministrativi che ne condizionano o limitano il godimento.
2. Il termine per l'impugnazione del titolo edilizio da parte del proprietario confinante non decorre dalla pubblicazione all'albo pretorio, ma dalla piena conoscenza del titolo, che si verifica con la consapevolezza del contenuto specifico di essa o del progetto edilizio ovvero quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e la eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistica, con la precisazione che, con la locuzione "piena conoscenza" del provvedimento non si intende che il destinatario deve aver conosciuto l'atto in tutti i suoi elementi, essendo sufficiente che egli sia stato edotto di quelli essenziali, quali l'autorità amministrativa che l'ha emanato, la data, il contenuto dispositivo e, soprattutto, il suo effetto lesivo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.04.2010 n. 1147 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Art. 11, L.R. n. 12/2005 - Perequazione urbanistica - Principio della necessaria partecipazione di tutti i proprietari alla rendita edilizia - Sussiste - Obbligo di prevedere per tutte le aree del territorio comunale un identico indice di edificabilità territoriale, inferiore a quello minimo fondiario - Sussiste.
2. Impugnazione di strumento urbanistico recante nuove destinazioni - Affidamento generico del proprietario di un suolo edificabile alla reformatio in melius - Obbligo di motivazione specifica - Non sussiste, neppure in caso di preesistente possibilità edificatoria.
3. Impugnazione di strumento urbanistico recante nuove destinazioni - Affidamento generico del proprietario di un suolo edificabile alla reformatio in melius - Diniego di concessione edilizia espresso sulla base di una variante di piano annullata - Risarcibilità - Non sussiste - Danno da ritardo nell'adozione e approvazione di uno strumento urbanistico - Non sussiste.

1. L'istituto della perequazione di cui all'art. 11, L.R. n. 12/2005, richiede la previsione di un indice territoriale unico e di un indice fondiario minimo, il primo inferiore al secondo, di modo che i proprietari di aree edificabili (aree di trasformazione, ovvero aree "di atterraggio") siano tenuti ad acquisire la volumetria espressa dalle aree destinate a standard (aree "di decollo").
In altri termini, nel sistema perequativo legale la partecipazione di tutti i proprietari al mercato edilizio è necessaria e, nell'ambito della perequazione generalizzata ex art. 11, comma 2, L.R. 12/2005, il principio della necessaria partecipazione di tutti i proprietari alla rendita edilizia consegue all'obbligo di prevedere per tutte le aree del territorio comunale un "identico indice di edificabilità territoriale, inferiore a quello minimo fondiario".
2. L'affidamento generico alla reformatio in melius o alla non reformatio in pejus delle previsioni di uno strumento urbanistico non richiede una motivazione specifica delle nuove destinazioni urbanistiche oltre a quella che può evincersi dai criteri di ordine tecnico-urbanistico seguiti per la redazione dello strumento, senza necessità di apposita motivazione riguardo alle destinazioni delle singole aree, neppure in caso di preesistente possibilità edificatoria, perché il mutamento di destinazione trova esauriente giustificazione, ai sensi dell'art. 10, comma 7, legge 17.08.1942, n. 1150, nelle sopravvenute ragioni che determinino la totale o parziale inattuabilità del piano o la convenienza di migliorarlo.
3. Laddove la posizione del proprietario di un suolo edificabile debba qualificarsi in termini di mera aspettativa, non sussistono i presupposti per l'instaurazione di un giudizio risarcitorio a seguito del diniego di concessione edilizia espresso sulla base di una variante di piano annullata, né è configurabile un danno da ritardo, anche solo in termini di chance, nell'adozione e approvazione di uno strumento urbanistico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.04.2010 n. 1145 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: 1. Impugnazione decreto di esproprio - Art. 23-bis L. n. 1034/1971 - Rito abbreviato - Termine per ricorrere - Termine per deposito ricorso - Dimezzamento - Inammissibilità.
2. Precedente contenzioso civile - Art. 126 disp. att. c.p.c. - C.T.U. - Utilizzabilità.
3. Occupazione illegittima - Illecito aquiliano - Individuazione responsabile - Società mandataria della procedura ablativa - Risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. - Sussiste.

1. Nell'impugnazione di un decreto di esproprio in cui i termini processuali sono ridotti alla metà, salvo quello per la proposizione del ricorso ex art. 23-bis, c. 2, L. n. 1034/1971 (introdotto dalla L. n. 205/2000), si deve ritenere che il dimezzamento non riguarda il termine di 60 giorni per la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, ma quello di 30 giorni per il suo successivo deposito. Sicché, essendo quest'ultimo pari a 15 giorni, deve reputarsi inammissibile, per tardività del deposito, il ricorso notificato.
2. I mezzi di prova o le consulenze tecniche d'ufficio svolte, in una causa tra le stesse parti, davanti al giudice ordinario, dichiaratosi incompetente, ed acquisite agli atti del contenzioso amministrativo in applicazione analogica dell'art. 126 disposizioni attuative c.p.c., sono utilizzabili nel processo amministrativo, salvo il principio della loro libera valutazione da parte del magistrato amministrativo.
3. In merito all'occupazione illegittima di aree prima dell'adozione dei provvedimenti di esproprio e all'occupazione illegittima di altro mappale, mai ritualmente espropriato, è responsabile, non la società a cui è stato conferito il mandato per le fasi della procedura ablatoria, ma la Pubblica Amministrazione espropriante a cui devono ascriversi le condotte -anche omissive- illecite.
Sussistendo tutte le condizioni di cui all'art. 2043 c.c., ovvero il pregiudizio patrimoniale cagionato dalla lunga occupazione illegittima, il nesso causale tra il danno e la condotta dell'Amministrazione e la colpa di quest'ultima, desumibile dalla palese ed inescusabile violazione delle norme che, nel caso di specie, presiedevano all'esercizio dell'azione amministrativa, attesa la tardività dell'adozione dei decreti di esproprio e l'occupazione senza titolo di altro mappale, l'Amministrazione è tenuta al risarcimento del danno ingiusto da liquidare con le modalità di cui all'art. 35 D.Lgs. n. 80/1998 dalla cessazione della occupazione legittima sino al momento dell'adozione dei decreti di esproprio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.04.2010 n. 1143 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Regolamento locale di igiene - Delibera consiliare recante deroga - Lesività - Non sussiste prima del rilascio del titolo edilizio in deroga - Impugnazione - È ammissibile solo al momento del rilascio del titolo edilizio.
2. Piano di lottizzazione - Permesso di costruire rilasciato al proprietario confinante - Interesse all'azione - Sussiste in capo al proprietario di aree incluse nel P.L. se lamenta lesione dei valori urbanistici garantiti dalle previsioni urbanistiche della zona.

1. La delibera consiliare recante deroga ad un regolamento locale di igiene, che è atto presupposto del permesso di costruire in deroga, non può ritenersi lesiva fino all'effettivo rilascio del titolo edilizio e va impugnata congiuntamente a quest'ultimo.
2. Il proprietario di aree incluse in un P.L. vanta un interesse personale, diretto e attuale all'annullamento di un permesso di costruire rilasciato al proprietario confinante con le aree incluse nel P.L., anche se appartenenti ad altri lottizzanti, quando lamenta una lesione dei valori urbanistici, intesi in senso ampio, garantiti dalle previsioni urbanistiche relative alla zona (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.04.2010 n. 1104 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. - Recupero abitativo sottotetto - Successione di norme - Norme applicabili - Scadenza del termine di presentazione.
2. D.I.A. - Recupero abitativo sottotetto - Diffida dall'iniziare le opere - Conformarsi a legge sopravvenuta - L.R. Lombardia n. 12/2005 - Difetto di motivazione - Sussiste.

1. In caso di denuncia di inizio attività trovano applicazione le prescrizioni degli strumenti urbanistici e le norme legislative e regolamentari eventualmente sopravvenute vigenti al momento della scadenza del termine di 30 giorni dalla sua presentazione, in quanto l'art. 39, c. 5-bis, e l'art. 40, c. 4-bis, D.P.R. n. 380/2001, dispongono, nel disciplinare la potestà regionale di annullamento del permesso di costruire e, rispettivamente, i poteri sostitutivi della regione in tema di sospensione o demolizione di interventi abusivi, di sanzionare gli interventi edilizi realizzati su D.I.A. in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della scadenza del termine di 30 giorni dalla presentazione della denuncia di inizio attività.
2. Il generico rilievo, mosso con la diffida dall'iniziare le opere, secondo cui la D.I.A. deve conformarsi alla sopravvenuta legge regionale n. 12 del 2005 non consente in alcun modo di comprendere sotto quale profilo il progetto presentato con la D.I.A. si ponga, ad avviso del Comune, in contrasto con la normativa sopravvenuta, risultando conseguentemente la diffida impugnata illegittima per difetto di motivazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.04.2010 n. 1103 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia - Annullamento in autotutela - Istanza di variante funzionale alla rimozione del vizio - Necessità di esame preventivo - Sussiste.
L'annullamento di una concessione edilizia, per un vizio che il titolare intenda rimuovere con una variante progettuale, richiede quanto meno, in base ai principi di proporzionalità e di economicità dei mezzi, l'esame preventivo dell'istanza di variante, che va definita prima di ricorrere all'esercizio dell'autotutela (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.04.2010 n. 1102 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Denuncia Inizio Attività - Preavviso di diniego - Art. 10-bis L. n. 241/1990 - Clausola di salvezza - Inapplicabile.
La presentazione di una D.I.A. non dà avvio ad un procedimento ad istanza di parte pertanto l'onere del preavviso di diniego dell'art. 10-bis L. n. 241/1990 è inapplicabile e, inoltre, incompatibile con il termine ristretto entro il quale l'Amministrazione deve provvedere, non essendo fra l'altro previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.04.2010 n. 1100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Provvedimento inibitorio dei lavori di cui alla D.I.A. - Giudizio di impatto paesistico negativo - Riformulazione del progetto - Legittimità.
L'Amministrazione può, in relazione a progetti che superino la soglia di rilevanza ambientale (e non anche quella di tolleranza), per le ipotesi in cui l'intervento progettato comprometta valori o risorse paesistici non riproducibili, esprimere una valutazione di impatto paesistico negativo prospettando una riprogettazione o adeguate forme di mitigazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.04.2010 n. 1100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Scelte effettuate dalla P.A. in sede di PRG e sue varianti generali - Ampia discrezionalità - Sussiste - Sindacabilità da parte del giudice amministrativo - Solo nei limiti della manifesta illogicità ed evidente travisamento dei fatti.
2. Scelte effettuate dalla P.A. in sede di PRG e sue varianti generali - Apposita motivazione - Necessità - Non sussiste.
3. Scelte effettuate dalla P.A. in sede di PRG e sue varianti generali - Aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni - Presupposti - Numerus clausus.

1. Le scelte compiute dalla P.A. in sede di formazione del piano regolatore o di variante dello stesso sono espressione dell'ampia discrezionalità tecnica di cui essa dispone in materia: pertanto, la sindacabilità di tali scelte è ammissibile solo nei ristretti limiti della manifesta illogicità, arbitrarietà ed evidente travisamento dei fatti (Cons. di Stato, sent. n. 6686/2007; TAR Milano, sent. n. 3653/2009).
2. Le scelte discrezionali della P.A. riguardo alla destinazione di singole aree, di regola, non necessitano di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso mediante l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al piano regolatore generale (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., sent. n. 24/1999; Cons. Stato, sent. n. 173/2002; Sez. IV, n. 6917/2002; Sez. IV, n. 2899/2002).
3. Le evenienze ritenute idonee a creare aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni sono sussumibili sotto le tre seguenti fattispecie:
a) superamento degli standards minimi di cui al DM 02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su domanda di concessione edilizia etc. (cfr. Cons. di Stato, Ad. Plen., sent. n. 24/1999);
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 594/1999) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.04.2010 n. 1093 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Denuncia di inizio attività - Inibizione dell'esecuzione - Annullamento del provvedimento inibitorio - Conseguenze - Perfezionamento titolo - Non sussiste - Decorrenza nuovo termine di verifica per la P.A. - Sussiste.
L'annullamento giurisdizionale di decisione negativa in sede di controllo (nel caso di specie, provvedimenti inibitori dell'attività costruttiva oggetto di DIA) comporta necessariamente il riesercizio del relativo potere da parte della P.A. controllante, salvo quando l'annullamento si sia basato sulla tardività della decisione di controllo, entro un nuovo termine decorrente dalla comunicazione in via amministrativa della sentenza (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 194/1994) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.04.2010 n. 1092 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Annullamento giurisdizionale di decisione negativa in sede di controllo - Mutamenti della disciplina urbanistica intervenuti sino alla notifica della sentenza di annullamento - Obbligo per la P.A. di considerare la nuova disciplina in sede di nuovo controllo - Sussiste.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. - Requisito della colpevolezza - Errore scusabile - Presupposti - Oggettive difficoltà di interpretazione della norma applicabile e complessità nella verifica della situazione di fatto esistente.
3. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. - Principio dell'onere della prova - Applicabilità - Onere del principio di prova - Inapplicabilità - Conseguenze - C.T.U. per accertare l'an del danno dedotto - Inammissibilità.
4. Annullamento di provvedimento illegittimo che abbia comportato la perdita della originaria destinazione residenziale dell'area - Risarcimento danno - Spetta - Facoltà di chiedere alla P.A. di valutare una eventuale variante alla nuova disciplina urbanistica - Sussiste.

1. In caso di annullamento giurisdizionale di decisione negativa in sede di controllo, il potere che la P.A. è chiamata a riesercitare deve tenere in considerazione anche i mutamenti della disciplina urbanistica intervenuti: pertanto, in caso di annullamento di un diniego di concessione edilizia, la nuova valutazione della domanda deve essere svolta con riferimento alla disciplina urbanistica vigente al momento in cui viene notificata al Comune interessato la sentenza di annullamento del diniego, venendo così in rilievo anche la nuova disciplina intervenuta nelle more del giudizio (cfr. Cons. di Stato, Ad. Plen., sent. n. 1/1986).
2. In materia di risarcimento del danno e di individuazione della colpa in capo alla P.A., l'errore da essa commesso in sede di provvedimento amministrativo illegittimo può ritenersi scusabile solo qualora l'illegittimità commessa con la violazione della normativa possa ritenersi determinata da oggettive difficoltà di interpretazione della norma applicabile alla fattispecie concreta, chiara nella sua formulazione, ovvero da complessità nella verifica della situazione di fatto esistente.
3. In materia di risarcimento del danno, poiché si verte in tema di diritti soggettivi, trova piena applicazione il principio dell'onere della prova e non invece l'onere del principio di prova che, in genere, si applica in materia di interessi legittimi; pertanto, il giudice può intervenire in via suppletiva, con la liquidazione equitativa del danno, solo qualora non possa essere fornita la prova precisa del quantum di danno, ma resta fermo che l'an del danno va provato dall'interessato; né può invocarsi la consulenza tecnica d'ufficio, dal momento che questa non è un mezzo di prova, bensì strumento di valutazione delle prove già fornite dalle parti. Dunque, il giudice non può disporre una c.t.u., pena la violazione del principio di parità delle parti, per accertare l'an del danno dedotto (Cons. Stato, sent. n. 1716/2009).
4. In caso di annullamento di provvedimento illegittimo che abbia comportato la perdita della originaria destinazione residenziale dell'area in esame, spetta al proprietario il risarcimento del danno e, trattandosi di debito di valore, spetta altresì la rivalutazione monetaria dal giorno in cui è stato adottato il primo provvedimento lesivo, sino alla formulazione dell'offerta risarcitoria.; resta, inoltre, ferma la facoltà del proprietario dell'area di chiedere alla P.A. di valutare una eventuale variante alla nuova disciplina urbanistica per consentire il pieno soddisfacimento della propria situazione giuridica ingiustamente lesa (cfr. Cons. di Stato, Ad. Plen., sent. n. 1/1986) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.04.2010 n. 1092 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Misure repressive - Termine di decadenza o prescrizione - Non sussiste - Affidamento del privato - Inconfigurabilità.
2. Ricorso giurisdizionale - Impugnazione di nuovo provvedimento al fine di rimettere in discussione provvedimento definitivo presupposto non impugnato- Inammissibilità - Fattispecie.
3. Misure repressive - Termine perentorio per inoltrare parere di ammissibilità delle opere edilizie - Effetti sulla validità ed efficacia della originaria ordinanza demolitoria - Non sussistono.

1. Dal momento che l'esercizio del potere sanzionatorio del Comune in materia urbanistico-edilizia non è soggetto a prescrizione o decadenza, l'eventuale vetustà dell'opera abusiva non esclude il relativo potere di controllo dal parte della P.A.: pertanto, l'accertamento dell'illecito amministrativo, con applicazione della relativa sanzione, può intervenire anche a notevole distanza di tempo dalla commissione dell'abuso, senza che il ritardo nell'adozione della sanzione comporti sanatoria o il sorgere di affidamenti o situazioni consolidate (cfr. TAR Milano, sent. n. 2045/2008).
2. E' inammissibile l'impugnazione giurisdizionale di un provvedimento amministrativo volto a rimettere in discussione la legittimità del provvedimento definitivo presupposto, divenuto inoppugnabile (nel caso di specie la ricorrente ha prestato acquiescenza al provvedimento di rigetto dell'istanza di sanatoria delle opere abusivamente realizzate ed alla relativa ordinanza di demolizione, in tal modo decadendo dalla possibilità di rimettere in discussione l'abusività delle opere in sede di impugnazione dell'ordine di demolizione d'ufficio, atteso che quest'ultimo trova il proprio presupposto nei precedenti atti non impugnati).
3. Il caso della P.A. che, in seguito ad ordinanza demolitoria, abbia concesso al privato un termine perentorio per inoltrare parere di ammissibilità delle opere edilizie, non implica che essa abbia inteso porre nel nulla, nell'esercizio di un potere di autotutela, la precedente ordinanza demolitoria: al contrario, tale atto -non riconducibile ad alcuna previsione legislativa ex D.P.R. 380/2001 recante la disciplina delle sanzioni degli abusi edilizi- non può in alcun modo incidere sulla piena validità ed efficacia dell'ordinanza demolitoria né tale atto consente di qualificare il provvedimento sanzionatorio quale mero atto endoprocedimentale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.04.2010 n. 1024 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Piano di lottizzazione - Termine di validità decennale - Applicabilità.
2. Piano di lottizzazione - Termine di validità decennale - Portata.
3. Piano di lottizzazione - Perdita di efficacia della lottizzazione convenzionata per scadenza del termine decennale - Conseguenze - Tutela dell'affidamento del privato - Inconfigurabilità.
4. Attività dirette alla realizzazione dello strumento urbanistico - Scadenza del termine di attuazione - Potere-dovere della P.A. di dare nuovo assetto urbanistico alla parti non realizzate - Sussiste.

1. In materia di piani di lottizzazione deve ritenersi ad essi applicabile, nel silenzio della legge, il termine di validità decennale previsto con specifico riferimento ai piani particolareggiati dall'art. 16, Legge n. 1150/1942 (cfr. Cons. di Stato, sent. nn. 4803/2004 e 200/2003; TAR Milano, sent. n. 16/1987).
2. Il termine decennale di efficacia ex art. 16, Legge n. 1150/1942 vale sia per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione, sia per l'edificazione dei singoli lotti, dovendosi escludere che restino efficaci sino all'approvazione di un successivo piano particolareggiato le disposizioni di zona relative all'edificabilità dei suoli (Cons. di Stato, sent. nn. 286/1999, 1412/1998, 267/1984).
3. La perdita di efficacia della lottizzazione convenzionata per scadenza del termine decennale fa venir meno, sul piano oppositivo, i presupposti dello jus aedificandi, e, sul piano pretensivo, l'affidamento circa l'intangibilità della destinazione urbanistica, per cui un nuovo strumento urbanistico non deve necessariamente tenerne conto (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1412/1998).
4. Le attività dirette alla realizzazione dello strumento urbanistico, sia convenzionale che autoritativo, non possono essere attuate ai sensi di legge oltre un certo termine, scaduto il quale l'Autorità competente riacquista il potere-dovere di dare un nuovo assetto urbanistico alla parti non realizzate (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2768/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.04.2010 n. 1001 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Inquinamento elettromagnetico - Tutela sanitaria della popolazione - Competenza - Spetta alla normativa statale.
2. Inquinamento elettromagnetico - Tutela sanitaria della popolazione - Regolamenti locali o strumenti urbanistici con obiettivi di protezione sanitaria più ampi delle ipotesi previste dalla normativa regionale di settore - Illegittimità.
3. Edilizia ed urbanistica - Infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione - Assimilabilità alle opere di urbanizzazione primaria - Sussiste - Compatibilità con la zona agricola - Sussiste.
4. Inquinamento elettromagnetico - Tutela sanitaria della popolazione -
Individuazione dei siti di trasmissione e di impianti per telefonia mobile - Competenza - Spetta alla normativa regionale.
1. La tutela sanitaria della popolazione dalle esposizioni ai campi elettromagnetici non rientra nelle competenze dei Comuni, in quanto tale tutela è assicurata dalla normativa statale -Legge 36/2001- mediante norme già improntate al principio di precauzione (cfr. Cons. di Stato, sent. nn. 3095/2002, 673/2003, 4841/2003).
2. Sono illegittime le norme di regolamenti locali o di strumenti urbanistici che perseguano obiettivi di protezione sanitaria estesi ben oltre le specifiche ipotesi previste dalla normativa regionale di settore e che prescrivano in via generalizzata, per gli impianti di telefonia cellulare e similari, distanze minime da insediamenti residenziali, da edifici e attrezzature di uso collettivo, ovvero dal confine delle zone territoriali omogenee che prevedono tali destinazioni (cfr. Corte Cost., sent. 331/2003; Cons. di Stato, sent. n. 450/2005; TAR Lazio, sent. n. 8170/2001).
3. Ai sensi dell'art. 86, comma 3, D.Lgs. 259/2003 -codice delle comunicazioni elettroniche- le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione sono ad ogni effetto assimilate alle opere di urbanizzazione primaria: ne consegue che tali infrastrutture sono compatibili anche con la destinazione agricola (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 673/2003; TAR Milano, sent. n. 5305/2008).
4. Ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. a), legge-quadro n. 36/2001 è di competenza delle regioni l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, ossia stabilire i criteri di localizzazione degli impianti e affidare ai comuni il compito di definire, nel p.r.g. o nelle sue varianti, i siti dove localizzare o delocalizzare le antenne per la telefonia mobile, nel rispetto dei criteri di funzionamento della rete e dei servizi (cfr. Corte Cost., sent. n. 103/2006) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.04.2010 n. 999 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Denuncia di inizio attività - Scadenza del termine di trenta giorni - Prescrizioni di strumenti urbanistici e innovazioni normative sopravvenute - Applicabilità.
2. Denuncia di inizio attività - Notifica dell'atto inibitorio - Obbligo di osservanza del termine di trenta giorni - Non sussiste.

1. In caso di denuncia di inizio attività trovano applicazione le prescrizioni degli strumenti urbanistici e le norme legislative e regolamentari eventualmente medio tempore sopravvenute, vigenti al momento della scadenza del termine di 30 giorni dalla sua presentazione (cfr. TAR Milano, sent. n. 587/2006, confermata anche in appello da Cons. di Stato, sent. n. 3758/2007).
2. Il termine di 30 giorni dalla presentazione della d.i.a., valevole per l'emanazione dell'ordine di non effettuare l'intervento, non vale anche per la notifica (cfr. TAR Milano, sent. nn. 1793/2006 e 586/2006) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.04.2010 n. 972 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Ristrutturazione edilizia - Immobile di epoca assai risalente - Onere della prova circa la documentazione dell'originaria costruzione e relativo stato di fatto - Sussiste in capo al privato ed alla P.A. - Ratio - Principio di leale collaborazione.
2. Ristrutturazione edilizia - Immobile di epoca assai risalente - Periodo di realizzazione - Prova - Risultanze catastali - Insufficienza.

1. In caso di rilascio di titolo abilitativo per un intervento di ristrutturazione di immobile costruito in epoca molto risalente, l'onere della prova relativa alla documentazione dell'originaria costruzione e/o allo stato di fatto dell'immobile deve essere ripartito fra il privato e l'Amministrazione per il principio di leale collaborazione fra cittadino e P.A. (TAR Lecce, sent. n. 3316/2008).
2. A fronte della particolare difficoltà nella ricostruzione storica dell'epoca di realizzazione dei beni oggetto di richiesta di titolo abilitativo per intervento di ristrutturazione, il solo richiamo alle risultanze catastali non è sufficiente a provare l'esatto periodo in cui collocare la realizzazione dei beni: tali risultanze infatti non sempre sono affidabili e dunque gli accertamenti in materia edilizia non possono fondarsi esclusivamente su questi ultimi, aventi uno scopo essenzialmente fiscale (cfr. TAR Genova, sent. n. 5/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.04.2010 n. 971 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Intervento di recupero abitativo di sottotetto - Presupposti - Preesistenza del volume sottotetto, praticabilità e abitabilità originarie - Necessità.
2. Intervento di recupero abitativo di sottotetto - Presupposti - Corrispondenza del nuovo organismo edilizio a quello preesistente - Necessità - In caso di modifica di sagoma, volume e superficie - Nuova costruzione - Sussiste.
3. Intervento di recupero abitativo di sottotetto - Presupposti - Ultimo piano sormontato da mera intercapedine - Sottotetto - Inconfigurabilità.

1. In materia di recupero abitativo dei sottotetti, presupposto affinché possa configurarsi tale fattispecie è che sia identificabile come già esistente un volume sottotetto passibile di recupero, ovverossia di riutilizzo a fini abitativi: ciò richiede che il sottotetto abbia, sin dall'origine, dimensioni tali da essere praticabile e da poter essere abitabile, sia pure con gli aggiustamenti occorrenti per raggiungere i requisiti minimi di abitabilità, ossia altezza media ponderale m. 2.40, come prescritto dall'art. 2 LR 15/1996, oggi art. 63, ultimo comma, LR 12/2005 (cfr. in senso contrario, in tema di praticabilità, TAR Milano, sent. n. 457/2004).
2. Ricorre la fattispecie del recupero di sottotetto solo qualora il nuovo organismo edilizio corrisponda a quello preesistente, senza alterarne in misura sostanziale sagoma, volume e superficie; in caso contrario l'intervento si risolverebbe nella realizzazione di un piano aggiuntivo, che eccede i caratteri della ristrutturazione e che configurerebbe un intervento di nuova costruzione (cfr. TAR Milano, sent. n. 1007/2003)
3. Non ricorre la fattispecie di sottotetto laddove (come nella caso di specie) l'ultimo piano abitabile sia sormontato da uno spazio, compreso tra la soletta e la copertura in tegole, di entità tale da presentarsi come una mera intercapedine (nel caso di specie l'altezza massima dello spazio sottostante la copertura dell'edificio non raggiunge 1 metro), cosicché la realizzazione di vani abitabili finirebbe per risolversi non già nel recupero di uno spazio già esistente, ma nella sopraelevazione di un piano ulteriore (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.04.2010 n. 970 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi edilizi - Sanatoria - Provvedimento di quantificazione oneri - Impugnabilità - Spetta solo al proprietario.
Non ha legittimazione ad impugnare l'atto di quantificazione degli oneri per il rilascio di sanatoria di un immobile, la parte non proprietaria, che risulti soltanto utilizzatrice del bene (nel caso di specie, in forza di contratto di leasing): essa infatti, presentando analogie con la figura dell'affittuario, è legittimata ad impugnare solo i provvedimenti che incidono sul godimento del bene, ma rimane estranea al rapporto debitorio, scaturente dalla sanatoria (cfr. TAR Milano, sent. n. 96/1998) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.04.2010 n. 933 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 22.11.2010

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QUESITI & PARERI

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, procedimento semplificato di rilascio autorizzazione paesaggistica ex D.P.R. 09.07.2010 n. 139.
DOMANDA 1: in Lombardia, la Commissione Comunale per il Paesaggio si deve esprimere, sempre e comunque, sulle istanze di autorizzazione paesaggistica, a prescindere che sia stata invocata -dal richiedente- la procedura ordinaria ovvero la procedura semplificata?
DOMANDA 2: la procedura semplificata è obbligatoria per le n. 39 fattispecie edilizie elencate nel D.P.R. 139/2010 oppure il cittadino può scegliere di richiedere (sempre per le n. 39 fattispecie edilizie in questione) l'autorizzazione paesaggistica ordinaria di cui all'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004? (Regione Lombardia, Direzione Generale Sistemi Verdi e Paesaggio, nota 10.11.2010 n. 12330 di prot.).

PUBBLICO IMPIEGO: Nella seduta del 10.11.2010, in risposta ad un quesito formulato dal Comune di Cantù, la Commissione ha precisato che è il Sindaco l’organo competente a nominare i componenti degli Organismi indipendenti di valutazione e che il Segretario comunale/Direttore generale non può far parte dell’OIV (Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità delle amministrazioni pubbliche).
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Con il quesito in oggetto, è stato chiesto di chiarire:
1. quali sono i requisiti che devono avere i componenti degli Organismi indipendenti di valutazione con riferimento al Comparto Regioni Autonomie Locali e come l’Ente può procedere alla nomina degli stessi;
2. se il Segretario/Direttore generale possa continuare a svolgere la valutazione dei dirigenti e, in caso negativo, se il Sindaco possa svolgere la valutazione dei dirigenti;
3. se la Giunta possa essere identificata quale organo di indirizzo politico-amministrativo competente per la nomina degli Organismi indipendenti di valutazione.
Risposta.
Con riferimento al quesito 1., si evidenzia che, con delibera n. 4/2010, questa Commissione ha chiarito i requisiti ed il procedimento di nomina, da parte dell’organo di indirizzo politico-amministrativo, dei componenti degli Organismi indipendenti di valutazione della performance.
Con riferimento al quesito 2., si precisa che, nella risposta dell'01.07.2010 al quesito formulato dal Comune di Pastrengo, questa Commissione ha già ritenuto che “Il ruolo dell’OIV nella valutazione del segretario comunale porta ad escludere la possibilità che lo stesso possa far parte di tale Organismo e, contemporaneamente, continuare a svolgere il proprio ruolo istituzionale nel medesimo ente. Si tratterebbe, infatti, di una inammissibile sovrapposizione tra valutatore e valutato. Inoltre, l’OIV deve essere composto da membri che assicurino la totale indipendenza dall’organo di indirizzo politico amministrativo, il che risulterebbe compromesso qualora si ammettesse la partecipazione del segretario comunale alla formazione dell’Organismo”. E tale previsione deve essere ribadita nonostante la previsione di cui all’articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150, secondo la quale la costituzione dell’Organismo indipendente di valutazione deve essere effettuata “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” o, comunque, “nei limiti delle risorse attualmente destinate ai servizi di controllo interno”, in quanto è possibile che gli Enti locali utilizzino altri stanziamenti già posti in bilancio, ancorché non destinati alle spese per la costituzione ed il funzionamento degli Organismi indipendenti di valutazione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il Segretario generale non può far parte dell’Organismo indipendente di valutazione.
Le medesime considerazioni valgono per il Direttore generale considerato che, secondo quanto previsto dall’articolo 108 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, è il Sindaco che nomina e (eventualmente) revoca il Direttore generale, il cui incarico ha una durata che non può eccedere quella del mandato del Sindaco.
La valutazione dei dirigenti di vertice (Segretario generale e Direttore generale) dovrà quindi essere svolta dal Sindaco, su proposta dell’Organismo indipendente di valutazione.
Con riferimento al quesito 3., si ricorda che l’articolo 14, comma 3, del decreto legislativo n. 150 del 2009 attribuisce all’organo di indirizzo politico-amministrativo la nomina dell’Organismo indipendente di valutazione e che l’articolo 50, comma 1, del decreto legislativo n. 267 del 2000 prevede che “Il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell’amministrazione del comune e della provincia”; ne consegue che, nei Comuni, la competenza per la nomina dell’Organismo indipendente di valutazione spetta al Sindaco.

PUBBLICO IMPIEGO: Nella seduta del 10.11.2010, in risposta ad un quesito formulato dall’Agenzia del Farmaco, la Commissione ha precisato che né l’Organismo indipendente di valutazione né i singoli componenti dello stesso possono essere individuati quali soggetti cui affidare le procedure di conciliazione di cui all’articolo 7 del D.Lgs. n. 150/2009 (Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità delle amministrazioni pubbliche).
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Con il quesito in oggetto, sono stati chiesti chiarimenti in ordine alla possibilità che l’Organismo indipendente di valutazione sia preposto alle procedure di conciliazione.
Risposta.
La Commissione è dell’avviso di escludere che l’OIV possa essere individuato quale soggetto cui affidare le procedure di conciliazione di cui all’articolo 7 del D.Lgs. n. 150/2009.
L’articolo 14 del D.Lgs. n. 150/2009, infatti, non contempla tra le competenze dell’OIV l’attività di conciliazione.
Una simile attribuzione, inoltre, comporterebbe che l’Organismo, chiamato in sede di prima applicazione a definire il Sistema, si trovi, in veste di organo di conciliazione, a riesaminare la valutazione contestata in applicazione dei criteri di valutazione dallo stesso individuati nel Sistema medesimo. Tale attività risulterebbe quindi in contrasto con la funzione assegnata all’OIV di garantire la correttezza dei processi di misurazione e valutazione, nonché dell’utilizzo dei premi (articolo 14, comma 4, lett. d, del D.Lgs. n. 150/2009).
Le medesime argomentazioni sono di ostacolo anche alla nomina, nell’ambito del collegio di conciliazione, di un singolo componente dell’OIV dell’amministrazione interessata, mentre non precludono di affidare l’incarico ad un componente di un OIV di amministrazione diversa.
Si ribadisce infine la necessità che le procedure di conciliazione siano affidate ad un soggetto “terzo” rispetto a valutatore e valutato.

EDILIZIA PRIVATALombardia, sull'interpretazione dell'art. 21, comma 7, delle N.T.A. del P.T.C. Parco Adda Nord (Zona di di interesse naturalistico-paesistico) (Regione Lombardia, Direzione Generale Sistemi Verdi e Paesaggio, nota 09.11.2010 n. 12230 di prot.).

EDILIZIA PRIVATAIndividuazione bene culturale (fattispecie relativa al cimitero comunale) ex art. 10 D.Lgs. n. 42/2004.
DOMANDA 1: nel caso prospettato, del cimitero nella sua dimensione originaria avente più di 50 anni, per “bene culturale” si intende l’intero complesso edificato, comprensivo di ogni singolo manufatto ivi presente qualunque esso sia oppure si devono intendere i singoli manufatti (edicole funerarie, cappella, loculi, tomba singola e/o di famiglia, ecc.) che hanno più di 50 anni ed il cui autore non sia più vivente??
La risposta è necessaria conoscere al fine di capire se per l’intervento edilizio –che si vorrebbe realizzare- di posa pannelli fotovoltaici sopra la copertura di una campata di loculi, costruiti 10 anni or sono, necessiti –o meno- acquisire preliminarmente l’autorizzazione del Soprintendente ex art. 21, comma 4, del Codice.
DOMANDA 2: la parte di cimitero ampliata 10 anni or sono, ed annessa alla parte originaria demolendo/modificando il muro di cinta, deve intendersi anch’essa “bene culturale” oppure lo diverrà decorsi 50 anni dalla sua costruzione e sempre che l’autore non sia più vivente??
Lo stesso dicasi per i singoli manufatti (edicole funerarie, cappella, loculi, tomba singola e/o di famiglia, ecc.) ivi costruiti nel frattempo (Soprintendenza di Milano, nota 02.11.2010 n. 14123 di prot.).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGOCollegato al lavoro e part-time (CGIL-FP di Bergamo, nota 15.11.2010).

INCENTIVO PROGETTAZIONE - PUBBLICO IMPIEGOCollegato al lavoro e incentivi alla progettazione interna (CGIL-FP di Bergamo, nota 15.11.2010).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

APPALTI: G.U. 18.11.2010 n. 270 "Indicazione delle attività che sono escluse dall’applicazione del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici) a norma dell’articolo 219 dello stesso decreto legislativo" (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per il Coordinamento delle Politiche Comunitarie, D.M. 05.08.2010).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Modalità per il monitoraggio del Fondo Aree Verdi ex L.R. 12/2005.
Sono state approvate con decreto del Direttore Generale n. 11517 del 15.11.2010 (vedi allegato) le disposizioni tecniche per il monitoraggio del Fondo Aree Verdi.
Il decreto verrà pubblicato sul Burl Serie Ordinaria n. 47 del 22.11.2010.
Con questo atto vengono fornite le modalità e le specifiche tecniche secondo cui ciascuna Amministrazione comunale trasmetterà le informazioni necessarie per il monitoraggio di cui al paragrafo 4 della D.G.R. 2008/8757. Vengono inoltre comunicate indicazioni utili per l’operatività dei disposti normativi di cui all’art. 43, commi 2-bis, 2-bis1 e 2-bis2, della Legge regionale n. 12/2005 e dei successivi provvedimenti attuativi (D.G.R. 8757/2008 e D.G.R. 11297/2010).
Il monitoraggio del Fondo verrà effettuato attraverso un sistema informativo (front office) attivato entro il 10.01.2011.
Nelle more dell’avvio del sistema di monitoraggio informatico tutti i Comuni trasmettono a Regione Lombardia, Direzione Generale Sistemi Verdi e Paesaggio, le informazioni necessarie al monitoraggio secondo le modalità contenute al paragrafo 6. Versamenti e modalità di monitoraggio nelle more dell’esercizio del front office dell’Allegato A al d.D.G n. 11517 del 15.11.2010.
Le informazioni richieste riguardano ciascun titolo abilitativo che da luogo alle maggiorazioni previste dalla norma e ciascun progetto di intervento forestale di rilevanza ecologica e di incremento della naturalità attuato attraverso l’utilizzo delle suddette maggiorazioni.
In allegato puoi scaricare i seguenti file:
- Decreto del Direttore Generale 15.11.2010 n. 11517/2010;
- TABELLA MONITOR TITOLI ABILITATIVI;
- TABELLA MONITOR PROGETTI.
Per informazioni:
Struttura Sistemi Verdi Integrati
Agostino Marino, tel. 02.6765.8027
Aurelio Camolese, tel. 02.6765.5089
Franceso Monzani, tel. 02.6765.8000 (link a www.regione.lombardia.it).

SICUREZZA LAVORO: OGGETTO: lettera circolare in ordine alla approvazione delle indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato di cui all'articolo 28, comma 1-bis, del decreto legislativo 09.04.2008, n. 81, e successive modifiche e integrazioni (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nota 18.11.2010 n. 23692 di prot.).

APPALTI: OGGETTO: Validità temporale del DURC. Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 35 dell’08.10.2010 (INPS, circolare 17.11.2010 n. 145).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: SUAP- Sportello Unico per le attività produttive (ANCI Lombardia, circolare 16.11.2010 n. 89/2010).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI: OGGETTO: Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), tariffa di igiene ambientale di cui all’art. 49 del D.Lgs. 05.02.1997, n. 22 e tariffa integrata ambientale di cui all’art. 238 del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152. Chiarimenti in merito alle problematiche sulla vigenza delle normative relative alle diverse tipologie di prelievo (Ministero dell'Economia e delle Finanze, circolare 11.11.2010 n. 3 - link a http://def.finanze.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

PUBBLICO IMPIEGO: G. Neri, Le collaborazioni nella pubblica amministrazione (link a www.filodiritto.com).

APPALTI SERVIZI: R. Camporesi, Holding comunali, attività finanziaria e modelli di governance (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: S. Sileoni e L. Archimi, Le partecipazioni dei comuni nelle società che gestiscono i servizi pubblici locali aventi rilevanza economica. L'art. 14, c. 32, del d.l. 78/2010 ed il principio di specialità dell'art. 23-bis, c. 2, lett. b) e c. 3 del d.l. 112/2008 in subiecta materia (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Novità ristrutturazioni edilizie: è in Rete l’update della guida.
On line le istruzioni aggiornate per usufruire dello sconto d’imposta previsto per il recupero degli immobili
Detrazione Irpef per le spese di ristrutturazione, chi può beneficiarne e in che misura, come fare la comunicazione di inizio lavori, quali sono i tipi di interventi ammessi all’agevolazione: sono questi alcuni degli argomenti di rilievo contenuti nella Guida alla agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie.
Le istruzioni per poter utilizzare al meglio gli sconti d'imposta previsti per gli interventi di recupero edilizio sono disponibili, on line, sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate, nella versione aggiornata a ottobre 2010 della Guida, con tutte le novità contenute nella legge finanziaria 2010 e negli ultimi interventi normativi (link a www.nuovofiscooggi.it).

EDILIZIA PRIVATA: La procedura per la gestione delle comunicazioni di fine lavori degli impianti fotovoltaici è attiva dal 1° al 31 dicembre.
Il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) ha reso noto che le tariffe incentivanti previste per l'anno 2010 sono riconosciute a tutti i soggetti che, entro il 31.12.2010, abbiano concluso l'installazione dell'impianto fotovoltaico.
Per poter usufruire delle tariffe incentivanti previste per il 2010 è tuttavia necessario che:
* entro il 31/12/2010 sia stata comunicata la fine dei lavori all'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione, al gestore di rete e al GSE
* l'entrata in esercizio avvenga non oltre il 30.06.2011 (Legge 13.08.2010, n. 129)
Il GSE ha predisposto una procedura operativa che illustra i requisiti necessari e le modalità per la presentazione delle comunicazioni di fine lavori (allo stesso GSE).
L'invio avverrà esclusivamente per via telematica attraverso una specifica sezione del portale applicativo web alla quale sarà possibile accedere nel periodo compreso tra l'01.12.2010 e il 31.12.2010 (link a www.acca.it).

NEWS

APPALTI: DURC - Dal 1° gennaio 2011 al via la verifica di congruità del costo della manodopera per tutti i lavori: i valori minimi.
Le parti sociali dell'edilizia hanno firmato lo scorso 28/10/2010 un accordo finalizzato a contrastare il lavoro irregolare negli appalti pubblici e privati.
L'accordo prevede l'introduzione nel documento unico di regolarità contributiva di "indici di congruità della manodopera" in accordo alle disposizioni dell'art. 118, comma 6-bis, del D. Lgs. 163/2006.
In particolare si prevede che la Cassa Edili verifichi, con riferimento allo specifico contratto, la congruità dell'incidenza sul valore complessivo dell'opera del costo della manodopera.
L'accordo sottoscritto riporta in allegato le percentuali di incidenza del costo del lavoro (comprensivo dei contributi INPS, INAIL e Casse Edili) che costituiscono valori minimi, al di sotto dei quali scatta la presunzione di non congruità dell'impresa.
Tali percentuali saranno oggetto di un periodo di sperimentazione (dal 01/01/2011 al 31/12/2011), che coinvolgerà esclusivamente i lavori che avranno inizio a partire dal 01/01/2011.
Durante il periodo della sperimentazione, eventuali irregolarità sulla congruità dell´incidenza della manodopera sui lavori non avranno effetto sulla regolarità del DURC.
Il sistema della verifica della congruità dell´incidenza del costo del lavoro sul valore dell'opera, andrà in vigore a regime a partire dal 01/01/2012, per i lavori che avranno inizio a partire da quella data.
Per i lavori privati la verifica di congruità sarà applicata esclusivamente a quelli di entità pari o superiore a 70.000 Euro (link a www.acca.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Nelle comunità montane le prerogative sono ridotte rispetto ai municipi. Montagna, accesso limitato. Il consigliere comunale non può visionare ogni atto.
Qual è la natura giuridica dell'ente Comunità montana? I consiglieri comunali possono esercitare il diritto di accesso agli atti dell'ente stesso a norma dell'art. 43 del dlgs 267/2000?

Le comunità montane vengono definite «un caso speciale di unioni di comuni», create per la valorizzazione delle zone montane, in linea con la previsione dell'art. 27 del Testo unico 267/2000 che recita «Le comunità montane sono Unioni di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a province diverse, per la valorizzazione delle zone montane per l'esercizio di funzioni proprie, di funzioni conferite e per l'esercizio associato delle funzioni comunali».
In giurisprudenza è ormai consolidato il principio in virtù del quale il consigliere comunale (o provinciale) ha un diritto «ampio» di accedere agli atti dell'ente di appartenenza in ragione della specificità della sua funzione. Per converso il consigliere –sia di maggioranza che di minoranza– di un comune aderente a una comunità montana risulta carente di legittimazione diretta all'accesso ai documenti amministrativi di quest'ultima; dal momento, infatti, che la comunità montana non ha alcun tipo di rapporto di dipendenza dai comuni che ad essa partecipano, i consiglieri dei comuni che di essa fanno parte non sono titolari di alcun munus pubblico nei confronti della medesima.
Ciò non esclude, comunque, che il consigliere comunale possa proporre richiesta nei confronti del comune di appartenenza, il quale autonomamente valuterà in ordine all'accoglibilità o meno della richiesta, tenendo presente, naturalmente, il limite che debba trattarsi di documenti effettivamente formati o detenuti stabilmente da tale amministrazione.
Tuttavia, poiché negli organi della comunità i comuni hanno loro rappresentanti, titolari di un ufficio conferito dai rispettivi enti, i consiglieri di ciascun comune hanno diritto di ricevere, dai rispettivi rappresentanti in seno alla comunità montana, le notizie e le informazioni che questi ultimi avrebbero diritto di ottenere dagli uffici e dagli enti del proprio comune (articolo ItaliaOggi del 19.11.2010 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Comunità montane, mozione di sfiducia.
È applicabile l'art. 52 del Tuel che disciplina la presentazione della mozione di sfiducia, al presidente della Comunità montana, in assenza di una previsione statutaria?

L'istituto della mozione di sfiducia è regolato dall'art. 52 Tuel specificatamente per sindaco e presidente della provincia, pertanto non è estensibile al presidente della comunità montana.
In assenza di una norma statutaria della comunità montana, che dovrà tener conto delle diverse modalità elettive del presidente e dell'organo esecutivo, e disciplinare termini e modalità di applicazione, la mozione di sfiducia nei confronti del presidente della comunità montana, come configurata in linea generale, non appare applicabile (articolo ItaliaOggi del 19.11.2010 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità.
Sussiste una causa di ineleggibilità nel caso in cui il neoeletto sindaco di un comune ricopra anche la carica di consigliere provinciale e quella di consigliere di una unione di comuni?

L' art. 60, comma 1, n. 12, del decreto legislativo n. 267/2000 dispone l'ineleggibilità alla carica di sindaco, di presidente della provincia, di consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale, per chi riveste le stesse cariche, rispettivamente in altro comune, provincia o circoscrizione.
Si tratta di un' ipotesi di ineleggibilità che si pone fra enti omologhi e non, come nella fattispecie in questione, tra enti diversi (comune e provincia). Analogamente, anche l'art. 65 del medesimo decreto legislativo prevede l'incompatibilità tra cariche ricoperte tra enti omologhi.
Relativamente, poi, al caso del sindaco che ricopra anche la carica di consigliere di un'Unione di Comuni, il Tuel non individua, nella coesistenza delle due specifiche cariche, un'ipotesi di ineleggibilità.
Anzi, l'art. 32, comma 3, del medesimo Testo unico dispone che lo statuto delle Unioni di comuni «deve comunque prevedere il presidente dell'unione scelto tra i sindaci dei comuni interessati e deve prevedere che altri organi siano formati da componenti delle giunte e dei consigli dei comuni associati, garantendo la rappresentanza delle minoranze».
In mancanza di espressa previsione, la causa ostativa all'espletamento del mandato deve, quindi, ritenersi insussistente, in quanto le disposizioni richiamate, incidendo sul diritto di elettorato passivo, sono di stretta interpretazione, come tali non suscettibili di ricorso all'analogia (articolo ItaliaOggi del 19.11.2010 - link a www.ecostampa.com).

SICUREZZA LAVORORischio stress ad andamento lento. Dal 31.12.2010 partono le fasi per la valutazione. Il ministero del lavoro diffonde le istruzioni operative della Commissione consultiva permanente.
La data del 31.12.2010, fissata dal T.u. sicurezza come decorrenza dell'obbligo di valutazione del rischio stress lavoro correlato, va intesa come data di avvio e non di conclusione delle attività di valutazione.
È quanto precisano le istruzioni della Commissione consultiva permanente al nuovo adempimento a carico dei datori di lavoro, approvate il 17 novembre e diffuse ieri dal ministero del lavoro con nota 18.11.2010 prot. n. 23692.
Le istruzioni, che rappresentano il livello minimo di attuazione del nuovo obbligo per tutti i datori di lavoro, pubblici e privati (se osservate, dunque, escludono la sanzionabilità), indicano una metodologia su due fasi: la prima necessaria, la seconda eventuale.
Il documento del 17 novembre. Le indicazioni della Commissione hanno il fine di aiutare imprese e datori di lavoro nelle difficoltà operative circa l'individuazione di corrette modalità di attuazione del nuovo obbligo di valutazione, tra i rischi per la sicurezza sul lavoro, di quello cosiddetto stress lavoro correlato.
In tal senso, dunque, individuano un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell'obbligo, valevole per tutti i datori di lavoro pubblici e privati che, se correttamente attuato, esclude la sanzionabilità (ai sensi del T.u. sicurezza).
Le definizioni. Per definire lo stress lavoro correlato la Commissione si richiama all'accordo Ue dell'08.10.2004 ai sensi del quale è la «condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologia o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alla richieste o aspettativa riposte in loro».
Tuttavia, spiega la Commissione, non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro sono da considerarsi come stress lavoro correlato; quest'ultimo è solo quello causato da vari fattori propri del contesto e del contenuto del lavoro.
Stress e valutazione dei rischi. La valutazione del rischio stress lavoro è parte integrante della valutazione dei rischi e va effettuata dal datore di lavoro avvalendosi del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp) con il coinvolgimento del medico competente, laddove presente, e previa consultazione del rappresentante dei lavoratori (Rls/Rlst).
Tutti i lavoratori, ma in gruppi. La valutazione del rischio stress lavoro correlato deve essere compiuta con riferimento a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori compresi dirigenti e preposti. Non riguarda i singoli, ma gruppi omogenei di lavoratori che risultino esposti a rischi dello stesso tipo in base a una individuazione che il datore di lavoro può fare autonomamente (per esempio, lavoratori che svolgono la stessa mansione; i turnisti; i dipendenti di un settore ecc.).
Le metodologia. La metodologia operativa suggerita dalla Commissione si articola in due fasi: una necessaria (la valutazione preliminare), l'altra eventuale, ossia da attivare nel caso in cui la valutazione preliminare abbia rivelato elementi di rischio e le misure di correzione, di conseguenza adottate dal datore di lavoro, si rivelino inefficaci.
La valutazione preliminare consiste nella rilevazione di indicatori oggettivi e verificabili, ove siano numericamente apprezzabili, appartenenti quanto meno alle tre distinte famiglie indicate in tabella. Se dalla valutazione preliminare non emergono elementi di rischio, il datore di lavoro è tenuto solo a darne conto del Documento di valutazione dei rischi (Dvr) e a prevedere un piano di monitoraggio.
Se, invece, emergono elementi di rischio allora il datore di lavoro deve procedere ad azioni correttive pianificando gli opportuni interventi anche mediante una successiva fase di valutazione approfondita.
Si parte a dicembre. La Commissione, infine, precisa che la data del 31.12.2010 di decorrenza del nuovo obbligo va intesa come data «di avvio» delle attività di valutazione, di cui il datore di lavoro dovrà rendere conto (insieme alla data finale e ai risultati conseguiti) nel documento di valutazione dei rischi. Di tanto terranno conto gli ispettori in sede di vigilanza (articolo ItaliaOggi del 19.11.2010, pag. 27).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALIIl limite del 20% non vale per tutti. Il tetto di spesa non si applica ai comuni non soggetti al Patto. Un parere della Corte conti Lombardia conferma l'emendamento Milanese alla manovra.
Non si applica ai comuni non soggetti al patto di stabilità il limite alle assunzioni pari al 20% della spesa del personale cessato dell'anno precedente. Il vincolo previsto dall'articolo 14, comma 9, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010, vale esclusivamente per gli enti soggetti al patto di stabilità.
Lo sancisce la Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo della Lombardia, col parere 08.11.2010 n. 989, e lo conferma indirettamente la stesura del sub-emendamento Milanese alla manovra finanziaria per il 2011, tendente a modificare proprio il contenuto dell'articolo 14, comma 9 (si veda ItaliaOggi del 17/11/2010)
Il parere della Corte dei conti. La sezione milanese ha espresso un parere estremamente chiaro, sradicando ogni possibile dubbio residuo sull'esclusione dei comuni non soggetti al patto del vincolo finanziario alle assunzioni, pari al 20% del costo del personale cessato.
Il parere in maniera chiarissima conclude nel senso che i comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti a partire dall'01/01/2010 possono effettuare assunzioni nel rispetto di tre condizioni: sostituire integralmente il personale cessato l'anno precedente, senza alcuna limitazione della spesa (turn-over pieno); verificare che la spesa del personale incida sul totale della spesa corrente per una misura uguale o inferiore al 40%; verificare che la spesa assoluta di personale sia inferiore a quella sostenuta nel 2004.
Il parere si diffonde in maniera convincente sulle motivazioni alla base della conclusione secondo la quale gli enti non soggetti al patto non ricadono nel limite alle assunzioni derivante dal 20% della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Come rilevato prima, la combinazione tra le disposizioni della manovra estiva 2010 e l'articolo 1, comma 562, della legge 296/2006 impongono agli enti non soggetti al patto tre limiti alle assunzioni. L'operatività dell'ulteriore limite della spesa risulta incompatibile su ben tre piani distinti.
In primo luogo, la disposizione sul contenimento delle assunzioni nel 20% della spesa delle cessazioni si pone in contrasto con le espresse previsioni del citato articolo 1, comma 562. La Corte non manca di rilevare che l'articolo 14, novellando detto comma 562, ne conferma l'attuale vigenza: esso prevede un'integrale possibilità di sostituzione del personale cessato, purché si rispettino le altre condizioni di carattere finanziario, sicché costituisce l'unica specifica norma posta a regolare le assunzioni negli enti non soggetti al patto.
In secondo luogo, sul piano della pura razionalità, secondo la Corte se non si accedesse alla tesi da essa prospettata, si verificherebbero effetti paradossali, come l'impossibilità sostanziale di sostituire il personale che cessa dal servizio: gli enti si potrebbero trovare in breve tempo con forti carenze di personale, considerando che la mancata sostituzione anche di una sola unità ha un'incidenza rilevantissima, presso enti dotati di pochi dipendenti.
In terzo luogo, la sezione rileva che le conclusioni tratte sono le uniche compatibili con un'interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto dei principi di buon andamento ed efficacia dell'azione amministrativa.
Il sub-emendamento. Il parlamento ha approvato un sub-emendamento alla legge di stabilità 2011 tendente, di fatto, a relegare il vincolo delle assunzioni al 20% della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente a una ipotesi piuttosto improbabile.
Il sub-emendamento aggiunge un nuovo periodo all'articolo 76, comma 7, della legge 133/2008, come modificato dall'articolo 14, comma 9, della manovra estiva 2010, ai sensi del quale «per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari od inferiore al 35% delle spese correnti sono ammesse, in deroga a limite del 20% e comunque nel rispetto degli obiettivi del Patto di stabilità e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni per turnover che consentano l'esercizio delle funzioni fondamentali previste dall'articolo 21, comma 3, della legge 05.05.2009 n. 42».
Si nota che la deroga alla regola del 20% è intimamente connessa al «rispetto degli obiettivi del patto di stabilità». Una volta approvata la manovra finanziaria 2011 e confermata la novellazione dell'articolo 9, comma 14, della legge 122/2010, la norma costituirà necessariamente, in aggiunta alle già conclusive prospettazioni della sezione Lombardia, la prova dell'applicabilità del limite del 20% ai soli enti soggetti al patto.
Infatti, vale solo per questi, ad esclusione degli altri, il limite del 20%, come vincolo finanziario finalizzato al miglior perseguimento delle regole poste a garantire appunto il rispetto del patto di stabilità (articolo ItaliaOggi del 19.11.2010 - link a www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZI: Art. 23-bis del d.l. 25.06.2008, n. 112, conv. con mod. in l. n. 133/2008 nel testo originario ed in quello mod. dall'art. 15, c. 1, del d.l. n. 135/2009, conv. con mod. in l. n. 166/2009; art. 15, c. 1-ter, del d.l. n. 135/2009, conv. con mod. in l. n. 166/2009.
Illegittimità costituzionale - illegittimità costituzionale parziale - non fondatezza - inammissibilità.

Sebbene in àmbito comunitario non venga mai utilizzata l'espressione "servizio pubblico locale di rilevanza economica", ma solo quella di "servizio di interesse economico generale" (SIEG), la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all'àmbito locale, e quella interna di SPL di rilevanza economica hanno "contenuto omologo".
Lo stesso c. 1 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 conferma tale interpretazione, attribuendo espressamente ai SPL di rilevanza economica un significato corrispondente a quello di "servizi di interesse generale in àmbito locale" di rilevanza economica, di evidente derivazione comunitaria.
Entrambe le suddette nozioni, interna e comunitaria, fanno riferimento, infatti, ad un servizio che:
a) è reso mediante un'attività economica (in forma di impresa pubblica o privata), intesa in senso ampio, come "qualsiasi attività che consista nell'offrire beni o servizi su un determinato mercato";
b) fornisce prestazioni considerate necessarie (dirette, cioè, a realizzare anche "fini sociali") nei confronti di una indifferenziata generalità di cittadini, a prescindere dalle loro particolari condizioni.
Le due nozioni, inoltre, assolvono l'identica funzione di identificare i servizi la cui gestione deve avvenire di regola, al fine di tutelare la concorrenza, mediante affidamento a terzi secondo procedure competitive ad evidenza pubblica.
La disciplina comunitaria del SIEG e quella censurata del SPL divergono, invece, in ordine all'individuazione delle eccezioni alla regola dell'evidenza pubblica:
a) la normativa comunitaria consente, ma non impone, agli Stati membri di prevedere, in via di eccezione e per alcuni casi determinati, la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale;
b) lo Stato italiano, facendo uso della sfera di discrezionalità attribuitagli dall'ordinamento comunitario al riguardo, ha effettuato la sua scelta nel senso di vietare di regola la gestione diretta dei SPL ed ha, perciò, emanato una normativa che pone tale divieto.
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Il testo vigente dell'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, è conforme alla normativa comunitaria, nella parte in cui consente l'affidamento diretto della gestione del servizio, "in via ordinaria", ad una società mista, alla doppia condizione che la scelta del socio privato "avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica" e che a tale socio siano attribuiti "specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio" (cosiddetta gara ad evidenza pubblica a doppio oggetto: scelta del socio e attribuzione degli specifici compiti operativi).
La stessa nuova formulazione dell'art. 23-bis si discosta, però, dal diritto comunitario nella parte in cui pone l'ulteriore condizione, al fine del suddetto affidamento diretto, che al socio privato sia attribuita "una partecipazione non inferiore al 40 per cento".
Tale misura minima della partecipazione (non richiesta dal diritto comunitario, ma neppure vietata) si risolve in una restrizione dei casi eccezionali di affidamento diretto del servizio e, quindi, la sua previsione perviene al risultato di far espandere i casi in cui deve essere applicata la regola generale comunitaria di affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Ne consegue la piena compatibilità della normativa interna con quella comunitaria.
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Secondo la normativa comunitaria, le condizioni integranti la gestione in house ed alle quali è subordinata la possibilità del suo affidamento diretto debbono essere interpretate restrittivamente, costituendo l'in house providing un'eccezione rispetto alla regola generale dell'affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Tuttavia, la giurisprudenza comunitaria non pone ulteriori requisiti per procedere a tale tipo di affidamento diretto, ma si limita a chiarire via via la concreta portata delle condizioni.
Al contrario, il legislatore nazionale, nella versione vigente dell'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, non soltanto richiede espressamente, per l'affidamento diretto in house, la sussistenza delle condizioni poste dal diritto comunitario, ma esige il concorso delle seguenti ulteriori condizioni:
a) una previa "pubblicità adeguata" e una motivazione della scelta di tale tipo di affidamento da parte dell'ente in base ad un'"analisi di mercato", con successiva trasmissione di una "relazione" dall'ente affidante alle autorità di settore, ove costituite (testo originario dell'art. 23-bis), ovvero all'AGCM (testo vigente dell'art. 23-bis), per un parere preventivo e obbligatorio, ma non vincolante, che deve essere reso entro 60 giorni dalla ricezione;
b) la sussistenza di "situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento" (commi 3 e 4 del testo originario dell'art. 23-bis), ovvero di "situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento" (commi 3 e 4 del testo vigente del medesimo art. 23-bis), "non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato".
Siffatte ulteriori condizioni si risolvono in una restrizione delle ipotesi in cui è consentito il ricorso alla gestione in house del servizio e, quindi, della possibilità di derogare alla regola comunitaria concorrenziale dell'affidamento del servizio stesso mediante gara pubblica.
È infatti innegabile l'esistenza di un "margine di apprezzamento" del legislatore nazionale rispetto a princípi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall'ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza "nel" mercato e "per" il mercato. Ne deriva, in particolare, che al legislatore italiano non è vietato adottare una disciplina che preveda regole concorrenziali -come sono quelle in tema di gara ad evidenza pubblica per l'affidamento di servizi pubblici- di applicazione più ampia rispetto a quella richiesta dal diritto comunitario.
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La disciplina delle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica -ivi compreso il servizio idrico- rientra nella materia "tutela della concorrenza" di competenza esclusiva statale, ai sensi dell'art. 117, c. 2, lett. e), Cost.
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Non appare irragionevole, anche se non costituzionalmente obbligata, una disciplina intesa a restringere ulteriormente -rispetto al diritto comunitario- i casi di affidamento diretto in house (cioè i casi in cui l'affidatario costituisce la longa manus di un ente pubblico che lo controlla pienamente e totalmente).
Tale normativa si innesta coerentemente in un sistema normativo interno in cui già vige il divieto della gestione diretta mediante azienda speciale o in economia (introdotto dai non censurati artt. 35 della l. n. 448/2001 e 14 del d.l. n. 269 del 2003) e nel quale, pertanto, i casi di affidamento in house, quale modello organizzativo succedaneo della (vietata) gestione diretta da parte dell'ente pubblico, debbono essere eccezionali e tassativamente previsti.
L'ordinamento comunitario, in tema di tutela della concorrenza e, in particolare, in tema di affidamento della gestione dei servizi pubblici, costituisce solo un minimo inderogabile per il legislatore degli Stati membri e, pertanto, non osta a che la legislazione interna disciplini più rigorosamente, nel senso di favorire l'assetto concorrenziale di un mercato, le modalità di tale affidamento. Pertanto, il legislatore nazionale ha piena libertà di scelta tra una pluralità di discipline ugualmente legittime.
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Il regime transitorio degli affidamenti non conformi (art. 23-bis, c. 8 del d.l. n. 112/2008), è congruo e proporzionato all'entità ed agli effetti delle modifiche normative introdotte e, dunque, ragionevole. Tali ampi margini temporali assicurano una concreta possibilità di attenuare le conseguenze economiche negative della cessazione anticipata della gestione e, pertanto, escludono la possibilità di invocare quell'incolpevole affidamento del gestore nella durata naturale del contratto di servizio che, solo, potrebbe determinare una possibile irragionevolezza della norma.
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La nozione di "rilevanza economica", al pari di quella omologa di "interesse economico" propria del diritto comunitario, va utilizzata, nell'àmbito della disciplina del mercato dei servizi pubblici, quale criterio discretivo per l'applicazione delle norme concorrenziali e concorsuali comunitarie in materia di affidamento della gestione di tali servizi.
Ne deriva che, proprio per tale suo àmbito di utilizzazione, la determinazione delle condizioni di rilevanza economica è riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di "tutela della concorrenza", ai sensi del secondo comma, lettera e), dell'art. 117 Cost..
Poiché l'ordinamento comunitario esclude che gli Stati membri, ivi compresi gli enti infrastatuali, possano soggettivamente e a loro discrezione decidere sulla sussistenza dell'interesse economico del servizio, conseguentemente il legislatore statale si è adeguato a tale principio dell'ordinamento comunitario nel promuovere l'applicazione delle regole concorrenziali e ha escluso che gli enti infrastatuali possano soggettivamente e a loro discrezione decidere sulla sussistenza della rilevanza economica del servizio.
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"L'interesse economico generale", in quanto funzionale ad una disciplina comunitaria diretta a favorire l'assetto concorrenziale dei mercati, è riferito alla possibilità di immettere una specifica attività nel mercato corrispondente (reale o potenziale) ed ha, pertanto, natura essenzialmente oggettiva. Ne deriva che, l'ordinamento comunitario, in considerazione della rilevata portata oggettiva della nozione di "interesse economico", vieta che gli Stati membri e gli enti infrastatuali possano soggettivamente e a loro discrezione decidere circa la sussistenza di tale interesse.
In particolare, la previsione di condizioni per l'affidamento diretto del servizio pubblico locale più restrittive di quelle previste dall'ordinamento comunitario non integra alcuna violazione dei princípi comunitari della concorrenza, perché tali princípi costituiscono solo un minimo inderogabile per gli Stati membri, i quali hanno la facoltà di dettare una disciplina più rigorosamente concorrenziale, che, restringendo le eccezioni all'applicazione della regola della gara ad evidenza pubblica -posta a tutela della concorrenza-, rende più estesa l'applicazione di tale regola.
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Il legislatore statale, in coerenza con la normativa comunitaria e sull'incontestabile presupposto che il servizio idrico integrato si inserisce in uno specifico e peculiare mercato, ha correttamente qualificato tale servizio come di rilevanza economica, conseguentemente escludendo ogni potere degli enti infrastatuali di pervenire ad una diversa qualificazione.
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La competenza legislativa esclusiva statale nella materia "tutela della concorrenza" comprende anche la disciplina amministrativa relativa all'organizzazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali, a prescindere dall'avocazione allo Stato di competenze amministrative degli altri livelli territoriali di governo.
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E' costituzionalmente illegittima la prima parte della lett. a) del c. 10 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, in cui si prevede che la potestà regolamentare dello Stato prescriva l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno.
L'ambito di applicazione del patto di stabilità interno attiene infatti alla materia del coordinamento della finanza pubblica, di competenza legislativa concorrente, e non a materie di competenza legislativa esclusiva statale, per le quali soltanto l'art. 117, c. 6, Cost. attribuisce allo Stato la potestà regolamentare.
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La disciplina del servizio idrico integrato va ascritta alla competenza esclusiva dello Stato nelle materie "tutela della concorrenza" e "tutela dell'ambiente" e, pertanto, è inibito alle Regioni derogare a detta disciplina. Ne consegue che, è costituzionalmente illegittimo il c. 1 dell'art. 4 della l. R. Liguria n. 39/2008, in quanto attribuisce alla Giunta regionale una serie di competenze amministrative spettanti al COVIRI (ora CONVIRI), ai sensi dell'art. 161, c. 4, l. c), del d.lgs. n. 152 del 2006. Risulta così violato l' art. 117, c. 2, lett. s), Cost., che riserva allo Stato la competenza legislativa nella materia "tutela dell'ambiente".
Inoltre, è costituzionalmente illegittimo il c. 4 dell'art. 4 della l.R. Liguria n. 39/2008, il quale prevede la competenza dell'Autorità d'àmbito a provvedere all'affidamento del servizio idrico integrato, "nel rispetto dei criteri di cui all'articolo 113, c. 7, del d.lgs. 267/2000 e delle modalità di cui agli articoli 150 e 172 del d.lgs.152/2006".
La norma censurata impone, infatti, l'applicazione del c. 5 dell'art. 113 TUEL, cioè di un comma abrogato per incompatibilità dall'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, con il quale, pertanto, si pone in contrasto. In particolare, il citato c. 5 dell'art. 113 è palesemente incompatibile con i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, perché disciplina le modalità di affidamento del SPL in modo difforme da quanto previsto da detti commi.
Sono, altresì, costituzionalmente illegittimi i commi 5 e 6 dell'art. 4 della l. R. Liguria n. 39/2008, in quanto tali norme impongono l'applicazione del c. 15-bis dell'art. 113 TUEL, abrogato per incompatibilità dall'art. 23-bis, con il quale, pertanto, si pone in contrasto. Il citato c. 15-bis dell'art. 113 TUEL, infatti, è incompatibile con il suddetto art. 23-bis, perché disciplina il regime transitorio degli affidamenti diretti del servizio pubblico locale in modo difforme da quanto previsto dal parametro interposto. Ne deriva, pertanto, la violazione dell'art. 117, c. 2, lett. e), Cost.
Infine, è costituzionalmente illegittimo il c. 14 dell'art. 4 della l.R. Liguria n. 39/2008, il quale affida all'Autorità d'àmbito territoriale ottimale (AATO) la competenza a definire "i contratti di servizio, gli obiettivi qualitativi dei servizi erogati, il monitoraggio delle prestazioni, gli aspetti tariffari, la partecipazione dei cittadini e delle associazioni dei consumatori di cui alla l.r. 02.07.2002, n. 26", in quanto si pone "in contrasto con la normativa statale", cioè con il c. 4, lett. c), del nuovo testo dell'art. 161 del d.lgs. n. 152/2006, il quale ha attribuito al COVIRI la relativa competenza.
Anche in tal caso, infatti, la Regione è intervenuta, nella materia "tutela dell'ambiente", attribuendo all'Autorità d'àmbito una serie di competenze amministrative spettanti, invece, al COVIRI (ora CONVIRI), ai sensi dell'art. 161, c. 4, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006, ed ha pertanto violato l'art. 117, c. 2, lett. s), Cost.
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E' costituzionalmente illegittimo il c. 1 dell'art. 1 della l. R. Campania n. 2/2010, il quale prevede la competenza della medesima Regione a disciplinare il servizio idrico integrato regionale come servizio privo di rilevanza economica ed a stabilire autonomamente sia le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio sia il termine di decadenza degli affidamenti in essere, in quanto essa si pone in contrasto con gli artt. 141 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, l'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, il d.l. n. 135 del 2009 e l'art. 113 TUEL, che ricomprendono il servizio idrico integrato tra i servizi dotati di rilevanza economica.
La disciplina statale pone una nozione generale e oggettiva di rilevanza economica, alla quale le Regioni non possono sostituire una nozione meramente soggettiva, incentrata cioè su una valutazione discrezionale da parte dei singoli enti territoriali e ponendosi, altresì, in contrasto con il regime transitorio disciplinato dall'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, il quale non può essere oggetto di deroga da parte delle Regioni (Corte Costituzionale, sentenza 17.11.2010 n. 325 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: E' legittimo il provvedimento di decadenza dell'attestazione S.O.A. rilasciata sulla base di falsa documentazione, nonostante la falsità non sia imputabile all'impresa che l'ha conseguita.
Nell'ipotesi di un'attestazione S.O.A. rilasciata sulla base di falsa documentazione, sussiste la responsabilità dell'impresa che, al fine di ottenere la suddetta certificazione, abbia delegato l'intera attività procedurale ad un professionista esterno, in quanto ciò che rileva in vista dell'annullamento dell'attestazione in siffatte ipotesi, è la circostanza oggettiva della falsità dei documenti sulla base dei quali essa è stata conseguita, a prescindere da qualsivoglia ricerca sulla imputabilità soggettiva del falso.
In altre parole, rileva la nozione oggettiva di imputabilità, per la quale la colpa deve consistere nell'inosservanza della normale diligenza, intesa come sforzo volitivo e tecnico da parametrare ad obiettivi canoni sociali e professionali di condotta; la circostanza di aver fatto ricorso ad un professionista esterno per la cura del rilascio di un'attestazione non può rappresentare, per la società richiedente, un motivo di esonero da un eventuale controllo in ordine alle modalità con cui il terzo esegue la suddetta attività, e ciò in virtù della facoltà di controllo prevista dall'art. 2224 c.c. in materia di contratto d'opera, applicabile alla prestazione di opera intellettuale in forza del rinvio di cui all'art. 2230 c.c..
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il provvedimento di decadenza dell'attestazione, nonostante la falsità non sia imputabile all'impresa che l'ha conseguita (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.11.2010 n. 8054 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: I pareri legali che rappresentano un passaggio istruttorio di un procedimento amministrativo in corso sono soggetti all’accesso mentre quelli che sono chiesti dall’Amministrazione al fine di definire la propria strategia difensiva nei contenziosi, non destinati a sfociare in una determinazione amministrativa finale, restano riservati e non possono essere oggetto di ostensione.
Costituisce, ormai, affermazione costante della giurisprudenza quella secondo cui i pareri legali che rappresentano un passaggio istruttorio di un procedimento amministrativo in corso sono soggetti all’accesso mentre quelli che sono chiesti dall’Amministrazione al fine di definire la propria strategia difensiva nei contenziosi, non destinati a sfociare in una determinazione amministrativa finale, restano riservati e non possono essere oggetto di ostensione (per tutte, da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 30.09.2010, n. 7237) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 11.11.2010 n. 33419 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: In riferimento ai dipendenti degli enti locali, lo svolgimento di mansioni superiori non assume rilievo neanche per ciò che riguarda la mera maggiorazione retributiva.
Il Collegio osserva che pur non essendo controverso nella specie l’avvenuto svolgimento delle mansioni superiori, riveste carattere decisivo l’orientamento giurisprudenziale -pienamente condivisibile- secondo il quale il diritto del dipendente pubblico, che abbia svolto mansioni superiori, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore, va riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'art. 15 D.Lgs. 29.10.1998, n. 387 (22.11.1998), atteso il carattere innovativo delle disposizioni in esso contenute che non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse, né è rilevante la circostanza che si tratti di mansioni superiori protratte nel tempo anche se con assegnazione mediante atti formali di incarico, a meno che tali effetti derivino da una espressa previsione normativa e salvo il diritto alle differenze retributive per il periodo successivo all'entrata in vigore del citato art. 15 del D.Lgs. n. 387 del 1998, circostanza che nella specie non è neppure riscontrabile attesa la durata del rapporto di lavoro del ricorrente presso il Comune dal marzo 1980 al 15.01.1988 (cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 16.07.2010, n. 4596; idem, sez. V, 17.09.2010, n. 6949; TAR Lazio, Roma, sez. III, 07.07.2010, n. 23246).
A ciò va aggiunto, inoltre, che con riferimento ai dipendenti degli enti locali, lo svolgimento di mansioni superiori non assume rilievo neanche per ciò che riguarda la mera maggiorazione retributiva, tenuto conto che -già prima delle previsioni degli artt. 56 e 57, D.Lgs. 03.02.1993, n. 29- la norma speciale, di cui all'art. 72 del D.P.R. 13.05.1987, n. 268, prevedeva la corresponsione della retribuzione per lo svolgimento di funzioni superiori soltanto nel caso di incarichi di livello dirigenziale, formalmente attribuiti, relativamente a posti di responsabili delle massime strutture organizzative dell'Ente, subordinandola peraltro al formale conferimento dell'incarico da parte dei competenti organi di vertice, non essendo sufficiente la disposizione organizzativa impartita dal superiore gerarchico (cfr. TAR Marche, sez. I, 07.06.2010, n. 1222), con la conseguenza che indipendentemente dallo svolgimento in concreto delle pretese mansioni superiori, lo svolgimento, in tutte le sue forme, di mansioni superiori nell'ambito del pubblico impiego è irrilevante, sotto il profilo giuridico ed economico, salvo che tali effetti derivino da un'espressa previsione normativa.
Né appare condivisibile la tesi del ricorrente riguardo l’applicabilità in materia dei principi costituzionali riguardanti la proporzionalità e sufficienza della retribuzione del lavoratore né quelli di cui all’art. 13 dello Statuto dei lavoratori, quest’ultimo non applicabile nel settore del pubblico impiego.
Ed invero, la pretesa di chi venga adibito a mansioni superiori ad una retribuzione più elevata rispetto a quella stabilita dalla normativa di settore non può trovare fondamento nell'art. 36 Cost., considerato che, tale norma non trova incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall'art. 98 Cost. che, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio, e dall'art. 97 Cost., contrastando l'esercizio di mansioni superiori, rispetto alla qualifica rivestita, con il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei dipendenti; tale contrasto impedisce anche l'applicazione di istituti civilistici quali il rapporto contrattuale di fatto, la gestione di affari altrui o l'arricchimento senza causa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25.05.2010, n. 3314; TAR Puglia, Bari, sez. III, 15.04.2010, n. 1386; TAR Lazio Roma, sez. III, 01.06.2010, n. 14507).
E al riguardo va precisato che non possono ritenersi rilevanti a tale scopo i meri ordini di servizio o le altre attestazioni a carattere meramente ricognitivo, allegati in atti, poiché essi non raggiungono lo scopo dell’investitura formale, soprattutto sotto il profilo della certezza delle situazioni giuridiche e della spesa pubblica, previa necessità di previsione normativa.
Peraltro, va posto in rilievo che il diritto del pubblico dipendente al corrispettivo ex art. 2041 c.c., per l'espletamento di mansioni superiori, non può fondarsi sull'ingiustificato arricchimento dell'amministrazione, non sussistendo i presupposti dell'azione generale di arricchimento, atteso che l'esercizio di mansioni superiori rispetto a quelle della qualifica rivestita, svolte durante l'ordinaria prestazione lavorativa, non risulta aver arrecato alcuna effettiva diminuzione patrimoniale ai danni del dipendente ossia il c.d. depauperamento, che dell'azione in parola è requisito essenziale (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 23.02.2000, n. 11; idem, sez. V, 02.08.2010, n. 5064; TAR Lombardia, Milano, sez. I, 21.04.2010, n. 1108).
Infine, la domanda del ricorrente risulta, altresì, inammissibile anche in considerazione della particolarità della pretesa, in disparte la carenza dei predetti requisiti per il riconoscimento delle differenze retributive, anche perché si tratta di richiesta di mansioni superiori "per saltum", non ammesse nell’ambito del pubblico impiego essendo possibile soltanto -ricorrendone le condizioni e la sussistenza dei requisiti- l'attribuzione ad un dipendente inquadrato in una qualifica immediatamente inferiore rispetto a quella del dipendente il cui posto si sia reso vacante, previa previsione normativa (cfr. TAR Campania, Salerno, sez. II, 10.07.2001, n. 1065; TAR Sicilia Catania, sez. III, 10.02.2004, n. 179) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 11.11.2010 n. 33413 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOSecondo i giudici amministrativi toscani "l'area direttiva" ex all’art. 110 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 non può che identificarsi nella categoria D.
La presente vicenda trae origine dalla scelta dell’Amministrazione di conferire l’incarico di responsabile dell'ufficio di pianificazione urbanistica mediante ricorso alle potestà di cui all’art. 110 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 anziché con indizione di pubblico concorso o scorrimento della graduatoria concorsuale, nella quale il ricorrente era il primo degli idonei.
Con il ricorso originario il ricorrente impugna la deliberazione di Giunta e il presupposto regolamento comunale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi lamentando che l'incarico affidato al controinteressato supererebbe il limite del totale della dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva entro il quale è consentita l'assunzione di soggetti esterni all'amministrazione.
A suo dire infatti la percentuale di incarichi che possono essere affidati all'esterno, stabilita nella misura del 4% dal regolamento comunale sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, dovrebbe essere calcolata sulla base oltre che del personale dirigenziale, dei soli funzionari titolari di posizioni organizzative.
Il Tribunale amministrativo di Firenze ha ritenuto tale motivo di ricorso infondato spiegando che l’art. 110 del d.lgs. 267/2000 individua la base su cui calcolare la percentuale di incarichi conferiti a tempo determinato nella “dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva”. Non essendo in contestazione il significato del primo termine, il ricorrente sostiene che l'area direttiva da prendere in considerazione a tal fine consisterebbe nei soli funzionari con responsabilità di posizione organizzativa.
I giudici toscani, tuttavia, non concordano con questa ricostruzione attestando che la norma deve essere interpretata alla luce dell'inquadramento del personale effettuato dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del 31.03.1999, che ha istituito la categoria “D” prevedendo all’art. 8 che al suo interno possano essere istituite posizioni di lavoro “che richiedono, con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato:
a) lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa;
b) lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a diplomi di laurea e/o di scuole universitarie e/o alla iscrizione ad albi professionali;
c) lo svolgimento di attività di staff e/o di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo caratterizzate da elevate autonomia ed esperienza
”.
Si tratta delle “posizioni organizzative” che non costituiscono però una categoria a sé stante, ma una specificazione dei compiti e delle responsabilità attribuite a taluni dipendenti inquadrati nella generale categoria D.
L’art. 110 del d.lgs. 267/2000 non fa riferimento a posizioni organizzative ma ad una generale “area direttiva”, alludendo quindi ad una categoria generale di inquadramento del personale, che alla luce delle previsioni del suddetto C.C.N.L. non può che identificarsi nella categoria D.
L’interpretazione appare coerente con il dato letterale della legge, e consente anche di contemperare le esigenze di flessibilità proprie delle moderne amministrazioni con la necessità di salvaguardare i principi della trasparenza nella provvista di risorse umane.
Le amministrazioni, in base a tale interpretazione, hanno una disponibilità relativamente ampia nell'individuazione di incarichi da attribuire con contratto a tempo determinato per rispondere ad obiettivi ed esigenze transitorie; tuttavia ciò possono fare solo rispettando il principio concorsuale, e pertanto i soggetti cui conferire gli incarichi devono essere individuati tramite procedure selettive da pubblicizzare adeguatamente.
Nel computo degli incarichi affidati ai sensi dell'art. 110 del d.lgs. 267/2000 non rientrano poi quelli relativi agli uffici posti alle dirette dipendenze degli organi politici per l'esercizio delle loro funzioni di indirizzo e controllo. Per questi vige infatti una disciplina specifica, come correttamente deduce l'Amministrazione, contenuta nell’art. 90 del medesimo d.lgs. 267/2000.
Trattasi di diversa ipotesi che (infatti) viene disciplinata da una norma di specie; l'art. 110 del d.lgs. 267/2000 trova invece il suo ambito di applicazione relativamente all’affidamento di incarichi all'interno della struttura amministrativa dell'ente. Per le medesime motivazioni non rientra nel computo suddetto nemmeno l’affidamento dell’incarico di direttore generale, disciplinato dall’art. 108 del d.lgs. 267/2000 (massima tratta da www.documentazione.ancitel.it -  TAR Toscana, Sez. I, sentenza 11.11.2010 n. 6578 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAi fini della costituzione del raggruppamento l’impegno a conferire il mandato collettivo speciale con rappresentanza è componente indefettibile dell’offerta.
Nella pronuncia in commento due imprese S.r.l. avevano chiesto di partecipare alla gara “come A.T.l. di tipo verticale” da costituirsi in caso di aggiudicazione. In sede di prequalifica, le due ditte ricorrenti hanno chiarito che avrebbero partecipato in A.T.I. verticale, l’una, come “capogruppo mandataria” e l’altra, come “mandante”.
Nella documentazione prodotta in sede di partecipazione alla gara la prima ditta non ha tuttavia prodotto l’impegno a conferire il mandato irrevocabile alla seconda ai fini della costituzione del raggruppamento, pertanto i giudici del Consiglio di Stato hanno ribadito il provvedimento di esclusione adottato dalla stazione appaltante. L’art. 37, comma 8, del D.Lgs. n. 163 del 2006, infatti, impone ai soggetti di cui all’art. 34, comma 1, lett. d) ed e), l’impegno, in sede di offerta, a rilasciare un mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una componente del raggruppamento per il caso di aggiudicazione.
La formulazione di tale impegno è una componente indefettibile dell’offerta richiesta da una norma primaria puntuale che non necessita della mediazione data dalla lex specialis.
I giudici d’appello ricordano che l’impegno a conferire il mandato collettivo speciale con rappresentanza e, quindi, a costituire il raggruppamento, ha natura negoziale, ed è elemento essenziale della «espressione della volontà contrattuale» del concorrente in sede di gara. Segnatamente, continuano gli stessi giudici, se la sottoscrizione congiunta dell'offerta risponde all'esigenza di assicurare la contitolarità del rapporto contrattuale tra le imprese concorrenti, l'esigenza che, nell'ipotesi di imprese associate, queste si presentino unitariamente nei confronti della controparte pubblica, resterebbe insoddisfatta in difetto dell'impegno, da assumere contestualmente all'offerta, a rilasciare un mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una di esse per il caso di aggiudicazione (così Consiglio Stato, sez. V, 19.06.2003, n. 3657).
In definitiva, detto impegno mira a garantire alla stazione appaltante la serietà della partecipazione alla procedura di raggruppamenti formalmente non ancora costituiti, in guisa da garantire la stazione appaltante in ordine all’effettiva costituzione del soggetto collettivo chiamato alla stipulazione del contratto a seguito dell’aggiudicazione.
Il soddifacimento di tale interesse richiede, in definitiva, l’assunzione di un impegno formale giuridicamente vincolante nei termini richiesti dalla normativa primaria –ossia un contratto preliminare di mandato condizionato all’aggiudicazione- come tale non sostituibile con dichiarazioni di altro tenore che consentano di desumere aliunde l’intenzione di costituire il raggruppamento temporaneo senza avere eguale portata giuridicamente impegnativa.
Va soggiunto, concludono i giudici di Palazzo Spada, che, nella vicenda in rassegna, detto impegno non è stato prodotto neanche in sede di prequalifica, pertanto, vertendosi in tema di deficienza sostanziale di un documento teleologicamente essenziale e non di mera irregolarità della documentazione, non sussistono, alla luce del principio della par condicio. i presupposti per la regolarizzazione della documentazione mediante il cd. dovere di soccorso amministrativo (massima tratta da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.11.2010 n. 7996 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di una costituenda A.T.I. verticale che abbia omesso di produrre l'impegno a rilasciare un mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una componente del raggruppamento per il caso di aggiudicazione.
L'art. 37, c. 8, del D.Lgs. n. 163 del 2006, impone ai soggetti di cui all'art. 34, c. 1, lett. d) ed e), l'impegno, in sede di offerta, a rilasciare un mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una componente del raggruppamento per il caso di aggiudicazione.
La formulazione di tale impegno è una componente indefettibile dell'offerta richiesta da una norma primaria puntuale che non necessita della mediazione data dalla lex specialis; inoltre, l'impegno a conferire il mandato collettivo speciale con rappresentanza e, quindi, a costituire il raggruppamento, ha natura negoziale, ed è elemento essenziale della "espressione della volontà contrattuale" del concorrente in sede di gara.
Detto impegno mira a garantire alla stazione appaltante la serietà della partecipazione alla procedura di raggruppamenti formalmente non ancora costituiti, in guisa da garantire la stazione appaltante in ordine all'effettiva costituzione del soggetto collettivo chiamato alla stipulazione del contratto a seguito dell'aggiudicazione.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di una costituenda A.T.I. "verticale", la cui impresa mandante, in sede di prequalifica, abbia omesso di produrre l'impegno a rilasciare un mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una componente del raggruppamento, in vista di una eventuale, futura aggiudicazione.
Va aggiunto che il suddetto impegno non è stato prodotto neanche in sede di prequalifica e che, vertendosi in tema di deficienza sostanziale di un documento teleologicamente essenziale e non di mera irregolarità della documentazione, non sussistono, alla luce del principio della par condicio, i presupposti per la regolarizzazione della documentazione mediante il cd. dovere di soccorso amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.11.2010 n. 7996 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Codice del processo amministrativo: annullamento del contratto d'appalto per gravi violazioni.
Il TAR Toscana, Sez. I, con sentenza 10.11.2010 n. 6570 ha -tra le altre cose- dichiarato inefficace con effetto retroattivo un contratto stipulato per la fornitura di servizi editoriali e di prodotti per la comunicazione istituzionale, facendo applicazione dell'articolo 121 del Codice del processo amministrativo (Inefficacia del contratto nei casi di gravi violazioni).
Nella fattispecie il contratto di cottimo fiduciario era stato stipulato a distanza di nove giorni dal provvedimento di aggiudicazione, con violazione del termine dilatorio (di 35 giorni) stabilito dall’art. 11, comma 10, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti). Il che a dire, come evidenzia il TAR, che se nell'articolo 122 la decisione circa l'inefficacia del contratto é rimessa alla valutazione discrezionale del Collegio, qualora ci si imbatta in una delle fattispecie elencate del'articolo 121 l'esito è obbligato.
Nessuna nuova, dunque, dalla decisione, che merita invece di essere segnalata per l'applicazione anche alle procedure di affidamento mediante cottimo fiduciario delle disposizioni di cui al citato art. 11, comma 10, del codice dei contratti, che a sua volta richiama l’art. 79 del codice dei contratti pubblici, riguardante gli obblighi informativi che gravano sulle stazioni appaltanti in ordine all'esito dei procedimenti di aggiudicazione degli appalti.
Dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 53/2010 -afferma il TAR- l'obbligo di comunicazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva ex art. 79, comma 5, lett. a), e la clausola standstill cui al citato (e novellato) art. 11, comma 10, sono divenuti funzionali a garantire la tempestività e dunque l'efficacia dell'esercizio del diritto di agire in giudizio da parte dei concorrenti che si ritengano ingiustamente pregiudicati dall'esito della gara; e poiché tale obiettivo è privilegiato dall'ordinamento nazionale ed europeo rispetto alla celerità nella conclusione del contratto, appare logico ritenere che tanto i menzionati obblighi informativi ex art. 79 quanto la clausola standstill ex art. 11, comma 10, sono applicabili anche al cottimo fiduciario, perché finalizzati ad assicurare l’effettività di un principio fondamentale e generale nel settore dei contratti pubblici, che oltretutto non attiene specificamente alle modalità di svolgimento della procedura di affidamento, a cui fa riferimento il comma 11 dell’art. 125.
Nel caso di specie la clausola in questione è rimasta inosservata e ciò ha privato il ricorrente della possibilità di proporre ricorso a questo TAR prima della stipulazione del contratto.
Risulta quindi concretata la fattispecie di cui all’art. 121, comma 1, lett. c), del codice del processo amministrativo, così che il TAR -dopo aver annullato l'aggiudicazione definitiva impugnata- si è visto tenuto a dichiarare l'inefficacia del contratto in questione non ravvisandosi (e non essendo neppure state prospettate) esigenze di segno contrario, ai sensi del comma 2 del citato art. 121 (e risultando irrilevante il richiamo contenuto nella memoria conclusiva della controinteressata, a pretese ragioni di urgenza, genericamente affermate, che giustificherebbero l'inosservanza della clausola standstill) (commento tratto e link a http://studiospallino.blogspot.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione dalla gara di un concorrente che abbia omesso di rendere la dichiarazione relativa alla sussistenza di una pronuncia ex art. 444 c.p.p.
Sul potere della stazione appaltante di richiedere ai concorrenti, ai fini della partecipazione ad una gara, dichiarazioni ulteriori e più restrittive rispetto a quelle previste dall'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.

E' legittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia omesso la dichiarazione relativa ad una sentenza penale di condanna pronunciata, ai sensi dell'art. 444 c.p.p., a carico di un amministratore non più socio dell'impresa, e ciò in violazione di quanto prescritto dalla lex specialis di gara, in quanto detta mancanza integra una dichiarazione mendace. Inoltre, l'eventuale decorso del termine, prescritto dall'art. 445 comma 2 c.p.p ai fini dell'estinzione del reato, non opera automaticamente, ma necessita di una pronuncia del giudice dell'esecuzione che accerti concretamente la sussistenza dei presupposti, cui la norma subordina l'effetto estintivo.
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La stazione appaltante ha il potere di richiedere ai concorrenti, ai fini della partecipazione ad una gara pubblica, dichiarazioni più specifiche e maggiormente restrittive rispetto a quelle prescritte dall'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006; essa, infatti, può imporre il rilascio di una dichiarazione relativa a tutte le condanne penali, anche a quelle per le quali le imprese partecipanti abbiano usufruito del beneficio della non menzione.
L'incompletezza di tali dichiarazioni integra la violazione, da un lato, di una prescrizione imposta dalla disciplina di gara, dall'altro del più generale obbligo di rendere autodichiarazioni veritiere, il che legittima, di conseguenza, un provvedimento di esclusione dalla gara.
Peraltro, spetta all'Amministrazione appaltante, e non già al concorrente, valutare la gravità del reato e la sua incidenza sul requisito della moralità professionale (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 10.11.2010 n. 6569 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel costituire una servitù di uso pubblico il requisito della protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile deve essere rigorosamente dimostrato.
Come ripetutamente rilevato in giurisprudenza, affinché su di un’area possa dirsi costituita una servitù di uso pubblico, devono sussistere i tre requisiti del passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze di interesse generale e di un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, potendo tale ultimo requisito identificarsi nell’acquisto per usucapione (per decorso del termine ventennale) ovvero nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile –la quale tuttavia deve essere rigorosamente dimostrata–, onde si rende necessaria la prova specifica di un effettivo e pacifico uso dell’area da parte della generalità dei cittadini e dell’acquiescenza del proprietario, per non essere sufficiente che le singole utilizzazioni dedotte a prova dell’esistenza della servitù si risolvano in sporadici episodi svoltisi in maniera discontinua e per tolleranza del legittimo proprietario, tanto più che anche la costituzione di una servitù di uso pubblico mediante dicatio ad patriam postula un comportamento del proprietario univocamente rivolto, con carattere di continuità e non di precarietà e tolleranza, a porre a disposizione del pubblico una cosa propria oggettivamente idonea al soddisfacimento di un’esigenza comune alla collettività (v. in questi termini, TAR Lombardia, Brescia, n. 1365/2005 cit.).
Nella fattispecie, però, l’Amministrazione comunale non ha fornito elementi che dimostrino l’uso continuativo del bene da parte della comunità locale per un periodo di tempo utile alla costituzione dell’invocata servitù di uso pubblico, essendosi la stessa limitata a richiamare tale circostanza senza fornire riscontri oggettivi di alcun tipo, salva l’esibizione di fotografie che evidenzierebbero sì il pregresso libero accesso all’area ma non anche la risalenza e l’ininterrotto protrarsi nel tempo di tale situazione, e neppure risulta documentato, o in altro modo comprovato, l’asserito ripetersi degli interventi di manutenzione e delle altre attività che, a dire dell’ente locale, contraddistinguerebbero l’uso pubblico del bene.
E’ pur vero, poi, che la ricorrente aveva dato il proprio assenso ai lavori comunali di riqualificazione della zona comprendenti l’area in esame, ma non aveva ella in tal modo inteso anche prestare acquiescenza ad una destinazione pubblica del bene, rispetto al quale anzi aveva comunicato all’Amministrazione la volontà di “…conservazione dei diritti di utilizzazione della piazza come attualmente esistenti e/o esercitati, senza alcuna rinuncia al riguardo …” (v. nota del 04.02.2004) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 10.11.2010 n. 487 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’incameramento della cauzione provvisoria è sempre possibile non solo per la mancata stipula del contratto, ma anche per dichiarazioni comunque non veritiere.
Il TAR ha giustamente rammentato, sul piano generale, che l’incameramento della cauzione provvisoria è sempre possibile non solo per la mancata stipula del contratto, ma anche per dichiarazioni comunque non veritiere “poiché la cauzione provvisoria si profila come garanzia del rispetto dell’ampio patto d’integrità cui si vincola chi partecipa a gare pubbliche” (cfr. Cons. St., Sez. V, 06.04.2009, n. 2140; Sez. IV, 20.07.2007, n. 4098).
Il TAR, inoltre, altrettanto correttamente ha ritenuto legittima la segnalazione all'Autorità di Vigilanza, trattandosi, anche questo, di adempimento vincolato ai sensi dell’art. 48, 1° comma, D.Lgs. n. 163/2006, in conseguenza della omessa dimostrazione dei requisiti di partecipazione alla gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.11.2010 n. 7963 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità della proroga del termine relativo alla presentazione delle offerte, qualora lo stesso sia stato comunicato a tutti i concorrenti prima della scadenza del termine originario.
E' legittimo e, pertanto, non integra violazione della par condicio dei concorrenti, l'operato di una stazione appaltante che abbia concesso una proroga del termine relativo alla presentazione delle offerte, previa comunicazione della stessa ai concorrenti interessati, prima della scadenza del termine originario, in quanto secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, non risulta violato il suddetto principio, allorquando la proroga sia stata comunicata espressamente alle imprese invitate, consentendo loro, in tal modo, di migliorare l'offerta già presentata; in siffatta ipotesi, è rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante la valutazione motivata della opportunità della proroga del termine; nel caso di specie, la stazione appaltante, avendo ricevuto numerose istanze di proroga motivate con la difficoltà della predisposizione del progetto ed avendo riscontrato il mancato arrivo di offerte per la gara, si è legittimamente determinata nel senso della proroga, e ciò a tutela dell'interesse pubblico ed in omaggio al principio della massima partecipazione alla procedura concorsuale (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.11.2010 n. 7214 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'azione avverso la DIA non può essere esperita oltre i termini previsti per l'azione contro i titoli edilizi tipici e nominati, quali il permesso di costruire, la concessione o l’autorizzazione edilizia.
Sono noti al Collegio i diversi orientamenti giurisprudenziali che si fronteggiano riguardo alla natura della DIA (qualificabile come atto di natura privatistica oppure come vera e propria autorizzazione implicita di natura provvedimentale).
Questo Tribunale ha, tuttavia, già manifestato adesione all'orientamento secondo cui la DIA sia da assimilarsi ad un provvedimento assentivo espresso (cfr. TAR Marche 27.09.2010 n. 3305 che richiama Cons. Stato, Sez. VI, 05.04.2007 n. 1550 e Sez. IV, 13.01.2010, n. 72), con la conseguenza che dopo il decorso del termine di 30 giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, ossia dopo il consolidarsi del titolo edilizio, l’Amministrazione può provvedere all’adozione di eventuali atti repressivi solo dopo aver esercitato i propri poteri di autotutela, qualora ne ricorrano i presupposti di legge (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10.12.2009, n. 7730).
L'odierno Collegio non intravede elementi per aderire ora al diverso orientamento privatistico.
Va comunque osservato che entrambi gli orientamenti paiono concordare nel ritenere che l'azione avverso la DIA non possa essere esperita oltre i termini previsti per l'azione contro i titoli edilizi tipici e nominati, quali il permesso di costruire, la concessione o l’autorizzazione edilizia (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 13.01.2010 n. 72; id. IV, 25.11.2008 n. 5811; id. 29.07.2008 n. 3742; id. 12.09.2007 n. 4828; id. 05.04.2007 n. 1550, per l'orientamento provvedimentale, e Cons. Stato, Sez. VI, 09.02.2009 n. 717 per l'orientamento privatistico).
In sostanza la determinazione del dies a quo per impugnare la DIA o per contestare il silenzio-inadempimento serbato dal Comune, segue la tesi tradizionale, ossia quella secondo cui, al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione di una concessione edilizia rilasciata a terzi, l'effettiva conoscenza dell'atto si ha quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica, sicché, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, il termine decorre non con il mero inizio dei lavori, bensì con il loro completamento, a meno che non si deducano l'assoluta inedificabilità dell'area o analoghe censure, nel qual caso risulta sufficiente la conoscenza dell'iniziativa in corso (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 08.07.2002 n. 3805).
Del resto questo Collegio osserva che dilungare ulteriormente il termine per proporre l'azione giudiziaria violerebbe il principio di certezza alle situazioni giuridiche poiché, in caso contrario, si finirebbe per ammettere “sine die” la contestabilità di un intervento edilizio realizzato mediante DIA, poiché sarebbe sufficiente presentare, in qualunque tempo, una semplice denuncia di contrasto tra il titolo e la relativa disciplina, per rimettere tutto in discussione (peraltro disponendo del termine lungo per denunciare la pretesa illegittima inerzia dell'amministrazione; termine che può essere protratto fino ad un anno dalla scadenza del termine assegnato all'amministrazione per provvedere, salvo poi rinnovarlo con la presentazione di una nuova denuncia) (TAR Marche, sentenza 08.11.2010 n. 3373 - TAR link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Cassazione: nelle distanze tra costruzioni regole più restrittive non sono retroattive.
Con la sentenza 22.09.2010 n. 20038 la Corte di Cassazione, Sez.  è intervenuta sul tema delle distanze tra costruzioni quando intervengano regole più restrittive durante il corso dell'edificazione.
La Corte di Cassazione ha affermato che nelle distanze tra le costruzioni, eventuali sopravvenute disposizioni più restrittive devono essere applicate per tutte le nuove costruzioni che siano ancora da realizzare anche se il titolo abilitativo è stato rilasciato precedentemente all'entrata in vigore delle nuove disposizioni, mentre non hanno efficacia quando si tratta di manufatti che possono considerarsi già completati nelle strutture essenziali (link a www.acca.it).

APPALTI1. Impugnazione dell'aggiudicazione definitiva che ha recepito i risultati di quella provvisoria già oggetto di precedente ricorso giurisdizionale definito in senso sfavorevole al ricorrente - Necessità - Sussiste in quanto l'aggiudicazione definitiva ha carattere costitutivo.
2. Specificazione dei criteri di valutazione delle offerte da parte della Commissione di gara - Legittimità - Condizioni.
3. Sindacato giurisdizionale sulle valutazioni tecnico discrezionali - E' limitato alle ipotesi di palese illogicità e travisamento dei fatti.

1. In materia di procedure per l'affidamento di pubblici appalti, sussiste la necessità di autonoma impugnazione dell'aggiudicazione definitiva, anche ove la stessa recepisca integralmente i risultati di quella provvisoria già oggetto di precedente ricorso giurisdizionale definito in senso sfavorevole al ricorrente, in quanto soltanto l'aggiudicazione definitiva ha natura costitutiva (Fattispecie nella quale il Collegio ha respinto l'eccezione dell'amministrazione resistente di inammissibilità del ricorso per violazione del principio del ne bis in idem. Cfr. sul punto, anche TAR Lazio, Roma, sez. III, 02.02.2010, n. 1376).
2. La Commissione giudicatrice in una gara d'appalto può introdurre elementi di specificazione e integrazione dei criteri generali di valutazione delle offerte già indicati nel bando di gara o nella lettera d'invito, a condizione però che vi provveda prima dell'apertura delle buste recanti le offerte stesse e che non introduca nuovi elementi di valutazione non previsti dal bando (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.02.2010, n. 1029).
3. Secondo un principio ormai consolidato, le valutazioni compiute dalla commissione di gara frutto di apprezzamento tecnico discrezionale sono sindacabili in sede giurisdizionale limitatamente alle ipotesi di palese illogicità e travisamento dei fatti (TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 13.01.2010, n. 13) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 30.06.2010 n. 2670 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIValutazione dei precedenti penali che incidono sulla moralità professionale - Non deve basarsi su criteri astratti ma essere parametrata alla specificità dell'appalto da aggiudicare.
La valutazione preordinata all'individuazione dei reati che incidono sulla moralità professionale, e che pertanto conducono all'esclusione dalla procedura selettiva ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. c, d.lgs. n. 163/2006, non deve cristallizzarsi in criteri astratti ed automatici, ma deve essere parametrata alle peculiarità dell'appalto da aggiudicare (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 25.11.2002 n. 6482, TAR Sicilia Palermo, sez. II, 29.03.2004 n. 606) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 17.06.2010 n. 1926 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIFalse dichiarazioni rese in sede di gara - Interdizione annuale dalle gare pubbliche - Decorrenza - Annotazione nel casellario da parte dell'Autorità di Vigilanza sui Contratti pubblici.
Secondo un recente orientamento giurisprudenziale, il termine iniziale dell'interdizione annuale dalle gare pubbliche per chi ha reso false dichiarazioni in sede di svolgimento delle operazioni concorsuali, ai sensi dell'art. 38 comma 1 lett. h, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, decorre dalla data in cui le stesse sono state certificate dall'Autorità di vigilanza sui Contratti pubblici con l'annotazione nel Casellario (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17.05.2010, n. 3125) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 17.06.2010 n. 1924 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Gara pubblica - Offerta anomala - Contratti di lavoro a progetto del personale - Costo del lavoro inferiore alle tabelle ministeriali - Possibilità.
2. Sindacato giurisdizionale sull'anomalia - Verifica sulla correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo - Verifica dell'anomalia in sede di gara - Giudizio di natura tecnico-discrezionale - Giudizio della commissione sull'anomalia - Necessità di motivazione analitica solamente in caso di giudizio negativo.

1. Non può essere ritenuta anomala l'offerta dell'aggiudicataria di un pubblico incanto che, ancorché consideri un costo del lavoro inferiore alla tabella ministeriale, legittimamente non preveda alcune voci di spesa previste dalla tabella, relative a oneri pensionistici e indennità, non dovute o dovute in ammontare inferiore al proprio personale, né può essere in sé considerato illegittimo l'impiego di lavoratori con contratto a progetto, essendo ammissibili in ogni caso rapporti di lavoro autonomo fondati sulla collaborazione coordinata e continuativa, genus cui detto tipo di rapporto appartiene (TAR Friuli Venezia Giulia Trieste, 23.02.2006, n. 144). Peraltro, nel caso di specie, la ricorrente non ha posto in dubbio la legittimità del ricorso a siffatta forma flessibile di lavoro essendosi limitata a censurare la presunta erroneità dell'operato della commissione di gara in sede di verifica di anomalia dell'offerta.
2. Il sindacato giurisdizionale sull'esito favorevole della verifica dell'anomalia dell'offerta può anche spingersi, ove ciò sia necessario, al profilo della correttezza quanto a criterio tecnico e procedimento applicativo, fermo restando che esula dal compito del giudice il riesame delle autonome valutazioni dell'interesse pubblico compiute dall'amministrazione; invero, l'apprezzamento svolto in sede di verifica dell'anomalia dell'offerta è di natura tecnico-discrezionale, sindacabile soltanto per manifesta illogicità, errore di fatto, insufficiente motivazione (TAR Liguria Genova, sez. II, 03.02.2010, n. 233).
La motivazione del giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala deve essere rigorosa ed analitica soltanto nel caso di giudizio negativo, mentre nel caso di giudizio positivo non è necessario che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti, con la conseguenza che il giudizio favorevole di non anomalia dell'offerta non richiede puntualità di argomentazioni, essendo sufficiente anche una motivazione per relationem alle stesse giustificazioni presentate dal concorrente sottoposto al relativo obbligo (TAR Trentino Alto Adige-Bolzano, sez. I, 26.06.2009, n. 230; in senso contrario vedi Tar Milano, sez. I, 20.05.2010, n. 1575) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1885 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIEnti Locali - Responsabile del Servizio - Rappresentanza a stare in giudizio - Legittimità - Condizioni.
In riferimento alla procura rilasciata dal Responsabile del Servizio anziché dal Sindaco deve richiamarsi l'ormai consolidato orientamento per cui nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, delineato dagli art. 6, 50 e 107 dell'ordinamento degli enti locali di cui al d.lgs. n. 267 del 2000, interpretati alla luce della successiva evoluzione normativa e in particolare della riforma dell'art. 114, comma 2, cost. e dell'art. 4 L. n. 131 del 2003 di attuazione di tale riforma, lo statuto del Comune può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero a esponenti apicali della struttura burocratico-amministrativa del Comune (per tutte: Cass., sez. I, 19.12.2008, n. 29837) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1884 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI1. Esercizio di poteri altamente discrezionali - Necessità di equilibrio tra interesse inciso e interesse pubblico - Sindacabilità - Limiti.
2. Provvedimento amministrativo - Contrasto con la documentazione allegata - Vizio di eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca - Sussiste.
3. Tutela risarcitoria - Presupposto dell'illegittimità dell'atto - Necessario ma non sufficiente - Prova dell'esistenza del danno - Necessità - Nesso di causalità tra evento dannoso e danno - Esistenza di tutti gli elementi della fattispecie aquiliana - Necessità.

1. Il punto di equilibrio tra l'interesse inciso dal provvedimento e l'interesse pubblico ad esso sotteso è dato dal canone di ragionevolezza, il quale deve essere tenuto sempre presente dall'autorità, anche nell'esercizio di poteri altamente discrezionali come quello in esame; canone che segna anche i limiti del sindacato che l'autorità giudiziaria può compiere (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. III, 05.06.2009, n. 3927).
Pertanto, se il provvedimento si basa, come nel caso di specie, su una motivazione incongrua, frutto di apprezzamenti fuorvianti e valutazioni irragionevoli, esso è annullabile in sede di giudizio di legittimità.
2. E' da ritenersi illegittimo il provvedimento il cui dispositivo contrasti con la documentazione allegata, espressamente dichiarata parte integrante del provvedimento stesso, in tal senso affetto dal vizio di eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca tra parti dello stesso atto (cfr. TAR Molise, 08.06.1994, n. 135).
3. E' orientamento consolidato che, ai fini della tutela risarcitoria l'accertamento dell'illegittimità del provvedimento, dal quale deriva la lesione in capo al soggetto titolare dell'interesse legittimo, costituisce presupposto necessario, ma non sufficiente, affinché si configuri una responsabilità dell'apparato amministrativo procedente; occorre infatti la prova dell'esistenza di un danno, che l'interessato deve fornire, l'accertamento del nesso di causalità diretta tra l'evento dannoso e l'operato dell'Amministrazione e, infine, l'imputazione dell'elemento dannoso a titolo di dolo o colpa della Pubblica amministrazione da ritenersi sussistente nell'ipotesi in cui l'adozione della determinazione illegittima, che apporti lesione all'interesse del soggetto, si sia verificata in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione a cui deve ispirarsi l'attività amministrativa nel proprio esercizio (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22.02.2010, n. 1038) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1884 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIGara pubblica - Moralità professionale - Valutazione di non gravità di un precedente penale - Motivazione implicita attraverso l'ammissione alla gara - Sufficienza.
La stazione appaltante che ritenga il precedente penale dichiarato dal concorrente non incisivo della sua moralità professionale, non è tenuta ed esplicitare in maniera analitica le ragioni di siffatto suo convincimento, potendo la motivazione di non gravità del reato risultare anche implicita o per facta concludentia, ossia con l'ammissione alla gara dell'impresa stessa; è invece la valutazione di gravità che richiede l'assolvimento di un particolare onere motivazionale (TAR Piemonte Torino, sez. I, 22.03.2010, n. 1555; TAR Liguria Genova, sez. II, 20.12.2005, n. 1774) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1883 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI:  1. Servizi pubblici locali a rilevanza economica - Art. 23-bis, D.L. 112/2008 - Art. 113 D.lgs. 267/2000 - Affidamento in house - Ammissibile solamente per le procedure già iniziate alla data di entrata in vigore della legge di conversione - Prevalenza sulle norme di settore con esso incompatibili - Affidamento nel rispetto dei principi comunitari - Necessità.
2. Servizi pubblici locali a rilevanza economica - Affidamento in house - Art. 23-bis, DL 112/2008 - Ammissibile solamente per le procedure già iniziate alla data di entrata in vigore della legge di conversione.

1. L'art. 23-bis del D.L. 112/2008 prevale sugli ordinamenti di settore con esso incompatibili, compreso l'art. 113 del T.U.E.L. Tale norma, infatti, prevale sugli ordinamenti di settore con esso incompatibili, compreso il d.lgs n. 152 del 2006 nonché sull'art. 113 del T.U.E.L. [?].
Invero l'art. 113 T.U.E.L. nella sua attuale formulazione, vigente nella parte non in contrasto con l'art. 23-bis del D.L. n. 112 del 2008, non prevede l'affidamento diretto come modalità di gestione di un servizio pubblico a rilevanza economica, stante la necessità di applicare la disciplina comunitaria ai servizi pubblici locali a rilevanza economica (in tal senso: TAR Emilia Romagna Bologna, sez. I, 29.01.2010, n. 460).
2. L'art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008, costituisce una disposizione completamente innovativa nel quadro della tematica dei così detti affidamenti in house, e la disposizione di cui all'ultimo comma, che prevede la persistenza del regime precedentemente in vigore relativamente alle sole procedure già avviate all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto deve essere restrittivamente intesa (cfr. TAR Veneto Venezia, sez. I, 08.02.2010, n. 336) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1882 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Associazione temporanea di imprese - Principio della corrispondenza tra quote di qualificazione e quote di partecipazione - Art. 37 D.lgs. 163/2006 - Art. 95 DPR 554/1999 - Dichiarazione della quota di partecipazione - Verifica della stazione appaltante dei requisiti di carattere economico e organizzativo.
2. Parallelismo tra quote di partecipazione e quote di esecuzione - Necessità.

1. La violazione del principio di corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione e quote di partecipazione all'A.T.I., non consente alla stazione appaltante di poter concretamente verificare la serietà ed affidabilità dell'offerta. Dal combinato disposto degli artt. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006 e 95 del D.P.R. n. 554 del 1999 si ricava la regola secondo cui soltanto se si impone alle imprese di dichiarare la quota di partecipazione sin dalla fase procedimentale è possibile per la stazione appaltante verificare, secondo le modalità prescritte dal codice degli appalti, il rispetto da parte delle stesse imprese dei requisiti di carattere economico e organizzativo.
2. Ai sensi dell'art. 37, comma 13, i concorrenti riuniti in raggruppamenti temporanei devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione, secondo la regola del parallelismo tra quote di partecipazione e quote di esecuzione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1879 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIContratti pubblici - Informativa antimafia della Prefettura - Art. 10 della L. 575/1965 - Cause ostative per i soggetti condannati - Automaticità dell'effetto interdittivo - Art. 4 del D.lgs. 490/1994 - Divieto di contrattazione in presenza di tentativi di infiltrazione mafiosa - Necessità di accertamenti - Presupposto.
L'art. 10 della L. n. 575, ai commi 1, 2 e 4, prevede una serie di misure interdittive a carico di soggetti assoggettati a misura di prevenzione e dispone, al comma 5-ter, che "le disposizioni dei commi 1, 2 e 4 si applicano anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3- bis , del codice di procedura penale".
L'art. 4 del D. L.vo n. 490, al comma 1, stabilisce che "le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti di cui all'art. 1, devono acquisire le informazioni di cui al comma 4 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti".
Il richiamato comma 4 prescrive che "il prefetto trasmette alle amministrazioni richiedenti, nel termine massimo di quindici giorni dalla ricezione della richiesta, le informazioni concernenti la sussistenza o meno, a carico di uno dei soggetti indicati nelle lettere d) ed e) dell'allegato 4, delle cause di divieto o di sospensione dei procedimenti indicate nell'allegato 1, nonché le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate.
A tal fine il prefetto, anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell'interno, dispone le necessarie verifiche nell'ambito della provincia e, ove occorra, richiede ai prefetti competenti che le stesse siano effettuate nelle rispettive province
".
A norma del comma 6 del medesimo articolo, "quando, a seguito delle verifiche disposte a norma del comma 4, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate", le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni dal prefetto, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni.
Le due norme (art. 10 e art. 4), come si evince in tutta evidenza dal confronto dei testi sopra riportati, disciplinano dunque due ipotesi diverse: l'art. 10 della L. n. 575 prevede cause ostative che operano nei confronti di soggetti condannati ai sensi di fattispecie penali espressamente individuate, mentre l'art. 4 del D.L.vo n. 490, pone un divieto di contrattazione in presenza di accertati "tentativi di infiltrazione mafiosa nella società tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società".
Dalla prima fattispecie discende, in via automatica, l'effetto interdittivo, mentre la seconda presuppone una serie di accertamenti finalizzati all'accertamento di attività di condizionamento poste in essere da organizzazioni mafiose, o da loro esponenti, tendenti ad incidere sulla gestione della società (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1849 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIGara pubblica - Art. 83 D.lgs. 163/2006 - Criteri di valutazione delle offerte - Pertinenza diretta con l'oggetto del contratto - Necessità.
Ai sensi dell'art. 83, d.lgs. 12.04.2006 n. 163, "i criteri di valutazione dell'offerta delle imprese partecipanti devono essere riferiti direttamente ed esclusivamente alle prestazioni che formano oggetto specifico dell'appalto, nel senso che devono essere pertinenti alla natura, all'oggetto e al contenuto del contratto" (Consiglio Stato Sez. V, 21.11.2007 n. 5911), attesa la necessità di adeguare i criteri al mero oggetto di gara, e quindi di contratto (TAR Liguria Genova, sez. II, 27.02.2008 n. 335) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.06.2010 n. 1828 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIDivieti di partecipazione alle gare pubbliche - Art. 38, comma 1, lett. f del D.lgs. 163/2006 - Gravi inadempienze in precedenti contratti - Valutazione discrezionale della P.A. - Vincolo della motivazione - Sufficienza del richiamo per relationem al precedente atto di risoluzione contrattuale per inadempimenti del concorrente.
L'art. 38, comma 1, lett. f), del D.lgs. 163/2006 preclude la partecipazione alle gare d'appalto agli operatori economici che si sono resi responsabili di gravi inadempienze nell'esecuzione di precedenti contratti sancendo il principio per cui la sussistenza di tali situazioni ostative può essere desunta da qualsiasi mezzo di prova sulla base di una valutazione della Stazione appaltante circa l'incidenza del fatto sul rapporto fiduciario che deve necessariamente legare la medesima all'aggiudicatario.
Ne deriva che l'Amministrazione, in materia, agisce nell'esercizio della propria discrezionalità dovendosi ritenere vincolata al solo obbligo di motivazione che, peraltro, data l'ampiezza del potere esercitato, può risolversi in un semplice richiamo a vicende incidenti sull'affidabilità del contraente.
L'esclusione ex art. 38, comma 1, lett. f), come la giurisprudenza ha avuto modo di precisare, non "presuppone il definitivo accertamento di tale comportamento, essendo sufficiente la valutazione fatta dalla stessa amministrazione col richiamo per relationem all'atto con cui, in altro rapporto contrattuale di appalto, la stessa amministrazione aveva provveduto alla risoluzione per inadempimenti contrattuali. (cfr. Cons. Stato, IV 3092 del 2007; VI Sez. n. 1071 del 2004 e IV Sez. n. 4999 del 2006)" (Cons. Stato, Sez. V, 27.01.2010, n. 296) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.06.2010 n. 1822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Responsabilità civile della P.A. - Schema generale della responsabilità aquiliana - Riconoscimento del danno al privato - necessità di tutti gli elementi dell'art. 2043 c.c. - Antigiuridicità del comportamento e nesso di causalità.
2. Responsabilità della P.A. - Annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato - Condizione non sufficiente per il risarcimento del danno - Dimostrazione del danno e del nesso causale - Necessità - Presenza degli elementi della colpa grave, dell'imperizia e della negligenza.

1. Secondo l'ormai prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa la responsabilità civile della pubblica amministrazione, pur presentando connotazioni di specialità sia in relazione alla qualificazione pubblica ed autoritativa del soggetto agente che in considerazione della natura pubblica degli interessi sottesi all'esplicazione della funzione amministrativa, deve essere ricompresa nello schema generale della responsabilità civile aquiliana (cfr., sul punto, Cons. Stato, sez. VI, 11.01.2010, n. 14, ove si citano numerose pronunce in senso conforme).
Per poter riconoscere come responsabile della lesione inferta alla posizione del privato e, quindi, obbligata al risarcimento del danno l'amministrazione, devono sussistere, dunque, tutti gli elementi costitutivi dell'illecito extracontrattuale ai sensi dell'art. 2043 c.c.: antigiuridicità del comportamento -che si identifica con l'illegittimità dell'atto amministrativo- danno provocato al singolo mediante tale comportamento, nesso di causalità tra il comportamento antigiuridico ed il danno, elemento soggettivo.
2. Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato, richiedendosi la positiva verifica di tutti i requisiti previsti, e cioè la lesione della situazione soggettiva tutelata, la colpa dell'amministrazione, l'esistenza di un danno patrimoniale e la sussistenza di un nesso causale tra l'illecito ed il danno subito e, riguardo all'elemento soggettivo, è indispensabile accedere ad una nozione di tipo oggettivo, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento, nonché, in conformità con quanto emerge dalle indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall'amministrazione, anche alla luce dell'ampiezza delle valutazioni discrezionali ad essa rimesse, dei precedenti giurisprudenziali, delle condizioni concrete e dell'apporto dato dai privati nel procedimento.
La responsabilità va, dunque, affermata quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato; viceversa, va negata quando l'indagine conduca al riconoscimento di un errore scusabile, per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.06.2010 n. 1811 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA1. Delibera contenente le controdeduzioni del Comune al PRG - Atto infraprocedimentale - Inammissibilità dell'impugnazione.
2. Vincoli preordinati all'esproprio - Indennizzabili - Vincoli di destinazione urbanistica - Non indennizzabili.

1. E' inammissibile l'impugnazione della delibera con cui il Comune si pronuncia -controdeducendo- sulle osservazioni dei privati, perché si tratta di atto infraprocedimentale, impugnabile solo con il provvedimento regionale che approva il piano regolatore generale (cfr. Cons. Stato IV, n. 8254/2003 e n. 544/1990; Cons. Stato, II n. 2730/95; TAR Milano II, n. 3781/2005).
2. Secondo la giurisprudenza -costituzionale e di legittimità- in materia, sono indennizzabili soltanto i vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione o di carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà; mentre non lo sono i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento (ad. es. parcheggi, impianti sportivi, mercati e strutture commerciali, edifici sanitari, zone artigianali, industriali o residenziali) (cfr. Corte cost. n. 179/1999; Cons. Stato IV, n. 4340/2002, n. 3524/2005).
In questa prospettiva le destinazioni a parco urbano, a verde urbano, a verde pubblico, verde pubblico attrezzato, parco giochi, e simili si pongono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo -con le connesse garanzie costituzionali (indennizzo o durata predefinita)- e costituiscono espressione di potestà conformativa (avente validità a tempo indeterminato) quando lo strumento urbanistico consente di realizzare tali previsioni, non già ad esclusiva iniziativa pubblica, ma ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, senza necessità di ablazione del bene (Cons. Stato IV, n. 2718/2005, n. 5490/2004; vedi pure CGA n. 1017/2007, n. 1113/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 10.06.2010 n. 1772 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe logge (alla pari dei balconi coperti e tamponati) costituiscono perimetro del fabbricato e quindi valgono ai fini del computo delle distanze previste per le pareti esterne.
Vale la regola per cui le logge (alla pari dei balconi coperti e tamponati) costituiscono perimetro del fabbricato e quindi valgono ai fini del computo delle distanze previste per le pareti esterne, ai sensi dell’articolo 65 del regolamento edilizio comunale.
Oltre alla previsione del regolamento edilizio comunale, si può richiamare anche l’articolo 873 codice civile, in materia di distanze tra costruzioni, quale principio generale della materia.
Ai sensi di tale articolo “le costruzioni sui fondi finitimi, se non sono unite e aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore.”
La giurisprudenza ritiene al proposito che il concetto di costruzione, proprio per l’interesse tutelato dalla norma, comprenda tutte le opere infisse stabilmente al suolo, anche se in legno o altro materiale idoneo.
Il concetto di costruzione, ai fini del rispetto della regola delle distanze, non necessariamente quindi deve essere un edificio, ma anche un qualsiasi manufatto e quindi anche un loggiato, come nella specie (in tal senso, per il caso di una tettoia, avente caratteristiche di consistenza e stabilità o che emerge in modo sensibile dal suolo, Cassazione civile, n. 3199 del 06.03.2002) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.06.2010 n. 3542 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI:  Accesso ai documenti amministrativi - Diniego - Applicabilità dell'art. 10-bis, L. 07.08.1990, n. 241 - Esclusa - Preavviso di rigetto - Non occorre - Ragioni.
Deve ritenersi inapplicabile l'art. 10-bis, L. n. 07.08.1990, n. 241 ai procedimenti diretti ad ottenere l'accesso agli atti amministrativi, sia in base all'elemento testuale, in quanto l'elenco dei procedimenti cui la norma non è applicabile non si ritiene che abbia carattere di tassatività, sia in base al dato sistematico, poiché il procedimento di accesso realizza un interesse meramente partecipativo, strumentale alla soddisfazione di un interesse primario, che non si concilia con la previsione di un'ulteriore fase subprocedimentale (Conf. TAR Lazio Roma, sez. II, 07.01.2008, n. 71) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 28.05.2010 n. 1707 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIRisarcimento del danno - Spese sostenute per la partecipazione alla gara - Risarcibilità ammessa solo in caso di illegittima esclusione da una gara di appalto - Risarcibilità in caso di mancata aggiudicazione - Non sussiste - Condizioni.
Le spese sostenute da un'impresa per la partecipazione alla gara (versamenti in favore dell'Autorità di Vigilanza, costi gestionali interni e di consulenza per l'approntamento dell'offerta) rappresentano costi qualificabili come danno emergente unicamente in caso di illegittima esclusione, perché solo in tale ipotesi si palesa una lesione del diritto soggettivo della partecipante a non essere coinvolta in inutili trattative (Cons. Stato, Sez. VI, 04.09.2002, n. 4435), mentre in caso di mancata aggiudicazione trovano ristoro mediante il rinnovo delle operazioni di gara residuando la possibilità di un risarcimento per equivalente unicamente nel caso in cui tale rinnovo non sia possibile (Cons. Stato, Sez. VI, 09.06.2008, n. 2751) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 28.05.2010 n. 1705 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI1. Contratti della p.a. - Impugnazione proposta da un'impresa esclusa da una gara pubblica - Controinteressati - Onere di notifica alla ditta aggiudicataria provvisoria - Sussiste solo se l'esclusione è contestuale all'aggiudicazione provvisoria.
2. Opere pubbliche - Gara - Procedura di project financing - Proposta - Disamina - Piano economico e finanziario "PEF" - Rilevanza prioritaria.
3. Contratti della p.a. - Project financing - Gara - Concorrenti - Richiesta di chiarimenti o integrazioni - Limiti - Rispetto della par condicio dei concorrenti.
4. Aggiudicazione provvisoria - Riesame - Previa comunicazione ex art. 7 L. 7 agosto 1990, n. 241 - Necessità - Non sussiste - Neppure nell'ipotesi di procedura di affidamento attraverso project financing.

1. L'aggiudicatario, anche in via provvisoria, di una gara di appalto indetta dalla p.a. assume la veste di soggetto controinteressato al quale deve essere notificato il ricorso proposto dal concorrente escluso, solo se l'esclusione e l'aggiudicazione siano avvenute contestualmente, nella stessa seduta di gara, potendo la ditta esclusa rendersi conto del fatto che la sua impugnativa incide sulla posizione di altro soggetto privato.
2. Nella procedura di project financing il piano economico finanziario "PEF" rappresenta il nucleo centrale degli interventi, anche perché consente di verificare la sostenibilità della proposta di iniziativa privata da parte del promotore sotto il profilo dei ricavi e dei relativi flussi di cassa attesi in rapporto ai costi di produzione e gestione.
3. La facoltà riconosciuta alle stazioni appaltanti di richiedere chiarimenti e integrazioni ai concorrenti non può supplire ad errori o dimenticanze imputabili unicamente agli stessi -qual è la mancata indicazione nel piano economico finanziario "PEF" di un project financing dei costi del personale- né consente interventi radicalmente modificativi dei termini negoziali dell'offerta, pena una inammissibile violazione del principio della par condicio dei concorrenti.
4. Il principio consolidato in tema di procedura ad evidenza pubblica -secondo cui stante la natura di atto endoprocedimentale dell'aggiudicazione provvisoria, per il suo riesame non occorre la previa comunicazione di cui all'art. 7, L. 07.08.1990, n. 241, versandosi ancora nell'unico procedimento iniziato con l'istanza di partecipazione alla gara- deve ritenersi applicabile anche nel procedimento preordinato all'affidamento in concessione di un'autostrada attraverso la finanza di progetto, sul presupposto della natura unitaria della relativa procedura (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 28.05.2010 n. 1701 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIArt. 43 Testo Unico Enti Locali - Diritti dei consiglieri comunali - Accesso ai documenti amministrativi - Sussiste in modo incondizionato.
Secondo il disposto dell'art. 43 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, i consiglieri comunali hanno l'incondizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità per l'espletamento del proprio mandato, prerogativa prevista dalla legge anche al fine di permettere loro di valutare -con piena cognizione- la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio comunale, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale, senza peraltro incontrare alcuna limitazione derivante dalla natura eventualmente riservata del documento, atteso che il consigliere è vincolato all'osservanza del segreto (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 20.05.2010 n. 1578 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI:  1. Contratti della p.a. - Sedute di gara - Verbalizzazione non contestuale - Condizioni.
2. Contratti della p.a. - Gara - Valutazione delle offerte - Giudizio di anomalia - Motivazione congrua e dettagliata - Necessità - Sussiste - Sia in caso di giudizio finale negativo, sia in caso di giudizio finale positivo - Ragioni.

1. È possibile, in linea di principio, che la verbalizzazione non sia contestuale alle sedute di gara a condizione che la successiva attività di documentazione avvenga entro un termine ragionevole (Nella specie è stato ritenuto legittimo l'operato dell'Amministrazione che aveva provveduto ad effettuare l'attività di verbalizzazione a distanza di tre mesi dalla prima seduta di gara, sul presupposto che tale lasso temporale, considerevole se valutato in astratto, è stato ritenuto congruo e ragionevole essendo a cavallo della pausa estiva del mese di agosto).
2. Deve condividersi l'orientamento restrittivo secondo cui l'obbligo di una adeguata motivazione si impone non solo nel caso in cui la verifica di anomalia di un'offerta abbia esito finale negativo, ma anche nel caso di giudizio finale positivo e ciò sia in ossequio all'obbligo generale di motivazione dei provvedimenti amministrativi, sia a tutela, negli appalti, del principio di par condicio fra i concorrenti (Conf. Cons. Stato, sez. IV, 22.03.2005, n. 1231; in senso contrario si v. Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2006, n. 5191; TAR Lombardia Milano, sez. I, 16.06.2010, n. 1885; TAR Lombardia Milano, sez. I, 18.05.2010, n. 1560) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 20.05.2010 n. 1574 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOImpiegati dello Stato - Trasferimento per incompatibilità ambientale - Presupposti - Valutazione da parte della p.a. - Ampia discrezionalità - Sussiste - Obbligo di motivazione sui motivi dell'allontanamento - Sussiste.
Il trasferimento per incompatibilità ambientale non ha carattere sanzionatorio o natura disciplinare, né postula un comportamento contrario ai doveri di ufficio, ma è subordinato ad una valutazione ampiamente discrezionale dei fatti, da parte della pubblica amministrazione, che porti a ritenere nociva per il prestigio, il decoro e la funzionalità dell'ufficio, l'ulteriore permanenza del dipendente in una determinata sede lavorativa.
Nondimeno, affinché detta valutazione non sfoci nell'arbitrio, è necessario che siano esaminati attentamente i fatti che hanno originato tale incompatibilità ambientale, dandone contezza nella parte motiva del provvedimento che eventualmente dispone l'allontanamento del dipendente, in conformità all'interesse pubblico alla tutela del buon funzionamento degli uffici e del prestigio dell'Amministrazione stessa (cfr. TAR Lazio Roma, sez. III, 11.09.2009, n. 8585) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 19.05.2010 n. 1567 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI:  1. Contratti della p.a. - Gara - Dichiarazioni ex art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs. 163/2006 - Precedenti penali in materia di prevenzioni di infortuni sul lavoro e lesioni personali colpose - Obbligo di dichiarazione - Sussiste in ogni caso - Esclusione dalla gara - Legittima.
2. Responsabilità aquiliana - Elemento soggettivo - Incertezza del quadro giurisprudenziale di riferimento - Esclusione.

1. L'obbligo, posto a carico soggetti individuati dall'art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs. 163/2006, di dichiarare tutti i provvedimenti penali subìti -ivi incluse le eventuali condanne per reati in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e per lesioni personali colpose- risponde alla finalità di consentire all'Amministrazione la più ampia valutazione nel caso concreto, per stabilire la rilevanza o meno di una data condanna penale.
Il giudizio di rilevanza non è rimesso all'apprezzamento dell'impresa che ha, invece, l'obbligo di dichiarare tutte le sentenze emesse nei suoi confronti, con la conseguenza che l'omessa indicazione, nell'ambito di un'autocertificazione, di una sentenza di condanna, si configura come autocertificazione non veritiera cui consegue l'esclusione dalla gara.
La mancata dichiarazione, da parte dell'imprenditore, della esistenza di condanne penali a suo carico costituisce una circostanza che ha valore autonomo, e che incide sulla sua moralità professionale indipendentemente da un'espressa previsione di esclusione automatica nella lex specialis (Conf. TAR Lombardia Milano, sez. I, 19.06.2008, n. 2096).
2. Non ricorre l'elemento soggettivo dell'illecito richiesto dall'art. 2043 cod. civ. qualora si riscontrino nella fattispecie concreta particolari circostanze, come l'esistenza di un contrasto di orientamenti giurisprudenziali, che abbiano contribuito in misura determinante a condizionare negativamente l'operato dell'Amministrazione.
L'incertezza del quadro giurisprudenziale può, quindi, essere sempre valorizzato come esimente della colpa dell'Amministrazione, poiché la stessa si dimensiona, non solo nella misura oggettiva data dalla violazione della regola di comportamento precauzionale, ma anche nella misura soggettiva data dalla rimproverabilità del pur accertato scostamento dal parametro dell'agente modello, in ragione della concreta esigibilità della condotta doverosa, in termini di prevedibilità ed evitabilità della lesione arrecata (Cfr. Cass., sez. I, 21.10.2005, n. 20454; TAR Lombardia Milano, sez. III, 14.04.2010, n. 1043) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.05.2010 n. 1565 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Verifica dell'anomalia delle offerte - Attività caratterizzata da discrezionalità tecnica - Sindacato giurisdizionale - Limiti.
2. Verifica dell'anomalia delle offerte - Onere di motivazione del giudizio di valutazione della commissione - Soltanto in caso di valutazione negativa delle giustificazioni fornite dall'impresa.

1. Il giudizio reso della stazione appaltante in ordine alle giustificazioni fornite dall'impresa nell'ambito del procedimento di verifica di anomalia dell'offerta costituisce esplicazione di discrezionalità tecnica, come tale sindacabile in sede giurisdizionale soltanto per illogicità manifesta o travisamento dei fatti.
2. L'onere di motivazione del giudizio sull'anomalia dell'offerta si impone soltanto in caso di valutazione negativa delle giustificazioni fornite dall'impresa in contraddittorio con la commissione, mentre in caso di verifica positiva l'iter logico seguito dalla commissione è arguibile dal rinvio alle giustificazioni fornite dall'offerta sottoposta a verifica (cfr. Cons. Stato, sez. V, 08.07.2008, n. 3406. Contra: TAR Lombardia, Milano, sez. I, 20.05.2010, n. 1574) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.05.2010 n. 1560 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIProcedure ad evidenza pubblica - Prova di resistenza - Verifica prognostica - Mancato ottenimento del bene della vita - Anche in caso di accoglimento della domanda - Effetti - Inammissibilità del gravame.
Nelle controversie aventi per oggetto procedure ad evidenza pubblica, non può prescindersi dalla verifica della c.d. prova di resistenza, con riferimento alla posizione della parte ricorrente rispetto alla procedura le cui operazioni sono prospettate come illegittime, dovendosi dichiarare inammissibile per carenza di interesse il gravame allorquando, in esito ad una verifica prognostica, risulti che la parte ricorrente non otterrebbe il bene della vita ambito nemmeno in ipotesi di accoglimento della domanda (Nella specie, il ricorso è stato dichiarato inammissibile sul presupposto che all'esito di una verifica nel Casellario Informatico delle Imprese erano risultati carichi pendenti nei confronti della ricorrente la quale, inoltre, aveva presentato un'offerta con un ribasso inferiore a quello proposto dall'aggiudicataria, che non le avrebbe permesso di conseguire alcun risultato utile quand'anche ammessa alla gara. (Conf. TAR Campania Napoli, sez. VIII, 14.01.2010, n. 87; TAR Lazio Roma, sez. II, 09.12.2009, n. 12636; Cons. Stato, sez. V, 19.10.2009, n. 6406) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.05.2010 n. 1559 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIMotivazione per relationem - Legittima - In caso di rinvio ad altro provvedimento completo ed esaustivo - Per il destinatario.
Un provvedimento può legittimamente essere motivato per relationem a condizione che il documento cui l'Amministrazione rinvia sia completo ed esaustivo e renda possibile la ricostruzione delle ragioni in fatto e in diritto su cui l'Amministrazione fonda la propria decisione (in applicazione di tale principio il TAR ha ritenuto illegittimo il provvedimento di rigetto della domanda di emersione di lavoro irregolare motivato sulla base di un richiamo al diniego di nulla osta della Questura recante la semplice indicazione della condanna dell'istante per i reati di cui agli artt. 624, 625 n. 2, 110 c.p. senza specificare gli estremi della sentenza di riferimento e senza dare conto di ulteriori accertamenti o documenti) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.05.2010 n. 1557 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIOpere Pubbliche - Diritti e obblighi delle parti - Causa di esclusione ex art. 38, comma 1, lett. f), D.Lgs. 163/2006 - Risoluzione del contratto d'appalto per inadempimento dell'appaltatore - Effetti - Esclusione dalla partecipazione a successive gare - Legittima - Ragioni.
La risoluzione per inadempimento degli obblighi contrattuali è circostanza di per sé idonea ad integrare la fattispecie di necessaria esclusione da una gara d'appalto per l'affidamento di contratti pubblici prevista dall'art. 38, comma 1, lett. f), D.Lgs. 163/2006 e non presuppone neanche il necessario accertamento in sede giurisdizionale del comportamento di grave negligenza tenuto dall'operatore nel corso del pregresso rapporto contrattuale, trattandosi di disposizione non avente carattere sanzionatorio, bensì posta a presidio dell'elemento fiduciario destinato a connotare, sin dal momento genetico, gli appalti pubblici (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.05.2010 n. 1549 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI:  1. Contratti della p.a. - Gara - Art. 38 comma 1, lett. c), D.Lgs. 163/2006 - Dichiarazione su precedenti penali dichiarati estinti dall'Autorità giudiziaria - Non necessaria.
2. Giustizia amministrativa - Bando - Clausola relativa a requisiti di partecipazione - Sproporzione fra l'importo a base d'asta e l'ammontare del fatturato medio annuo minimo - Impugnazione immediata - Necessaria - A pena di irricevibilità del ricorso.

1. Nelle procedure indette per l'aggiudicazione di appalti pubblici, i reati commessi in passato dal partecipante e dichiarati estinti dalla competente Autorità giudiziaria sono ininfluenti in sede di valutazione della sua moralità professionale e non devono neppure essere dichiarati (Conf. Cons. Stato, sez. V, 19.11.2009, n. 7257).
2. E' irricevibile il gravame con cui il ricorrente assuma la sproporzione tra l'importo a base d'asta previsto dalla lex specialis di gara e l'ammontare del fatturato medio annuo minimo previsto quale requisito di partecipazione, atteso che -trattandosi di clausola immediatamente lesiva perché richiedente un requisito minimo di partecipazione alla gara- essa deve essere impugnata nel termine di decadenza decorrente dalla conoscenza della stessa (Conf. Cons. Stato, sez. V, 23.06.2008, n. 3110) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 17.05.2010 n. 1524 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAConsiglio di Stato: d.i.a., e' atto privato.
Nuovo giro, nuova corsa. Contraddicendo varie sentenze precedenti il Consiglio di Stato afferma che la d.ia. costituisce atto privato, non impugnabile. E' invece impugnabile il silenzio dell p.a. sull'istanza del privato volta a rimuoverne gli effetti.
Cosa accadrà con la scia?

E' prioritario stabilire se sia ammissibile l’impugnativa diretta di una d.i.a. edilizia.
Sul punto il collegio non intende discostarsi dalle conclusioni cui è giunta la giurisprudenza di questo Consiglio che reputa inammissibile una domanda di annullamento di un atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata (cfr. Cons. St., sez. IV, 12.03.2009, n. 1474; 19.09.2008, n. 4513, cui si rinvia a mente dell’art. 9, l. n. 205 del 2000).
Deve pertanto essere confermata la statuizione del primo giudice in ordine all’inammissibilità del ricorso nrg. 4586/2004 e dei connessi motivi aggiunti (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.05.2010 n. 2919 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Partecipazione alla gara da parte di imprese in rapporto di controllo - Art. 10, comma 1-bis, L. 11.02.1994, n. 109 - Ambito oggettivo di applicazione - Qualunque rapporto di controllo - Effetti - Contrarietà ai principi comunitari di parità di trattamento e trasparenza - Sussiste.
2. Partecipazione alla gara da parte di imprese in rapporto di controllo - Art. 10, comma 1-bis, L. 11.02.1994, n. 109 - Influenza sul contenuto delle rispettive offerte - Verifica in concreto - Spetta all'Amministrazione aggiudicatrice - Effetti - Esclusione dalla gara - Soltanto in caso di accertata influenza sul contenuto delle rispettive offerte.
1. L'art. 10, comma 1-bis, L. 11.02.1994, n. 109 -secondo cui «non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino fra loro in una delle situazioni di controllo previste dall'articolo 2359 codice civile»- nella misura in cui estende il divieto di partecipazione ad una medesima procedura di aggiudicazione anche alle situazioni in cui il rapporto di controllo tra le imprese interessate sia ininfluente rispetto al contenuto delle offerte presentate da queste ultime, è una norma che eccede quanto necessario per conseguire l'obiettivo di garantire l'applicazione dei principi di parità di trattamento e di trasparenza previsti dall'Ordinamento comunitario.
2. Spetta all'Amministrazione aggiudicatrice verificare in concreto se un rapporto di controllo fra due o più imprese partecipanti ad una gara abbia esercitato un'influenza sul contenuto delle rispettive offerte depositate dalle imprese medesime. La constatazione di un'influenza siffatta, in qualunque forma, è condizione sufficiente per escludere tali imprese dalla procedura.
Per contro, la semplice constatazione dell'esistenza di un rapporto di controllo tra le imprese considerate, risultante dall'assetto proprietario o dal numero dei diritti di voto che possono esercitarsi nelle assemblee ordinarie, non è sufficiente affinché l'Amministrazione aggiudicatrice possa escludere automaticamente tali imprese dalla procedura di aggiudicazione dell'appalto, senza verificare se un tale rapporto abbia avuto un impatto concreto sul loro rispettivo comportamento nell'ambito di questa procedura (Conf. TAR Lombardia Milano, sez. I, 30.04.2010, n. 1201) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 1215 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Contratti della p.a. - Appalto - Gara - Offerta economicamente più vantaggiosa - Valutazione - Fissazione nel bando di criteri valutativi sufficientemente rigidi e precisi - Necessità per la Commissione giudicatrice di definire criteri valutativi ulteriori - Non sussiste.
2. Contratti della p.a. - Gara - Segretezza - Documenti di gara - Obbligo di custodia - Si presume assolto dalla p.a. - In assenza di specifici rilievi da parte del ricorrente.

1. Nel caso in cui, in una procedura di scelta del contraente secondo il metodo della "offerta economicamente più vantaggiosa", la lex specialis di gara già preveda criteri e sottocriteri di valutazione sufficientemente rigidi e precisi, tali da determinare una griglia di sottovoci che consenta un esercizio "guidato" e controllabile della discrezionalità tecnica ed amministrativa propria del giudizio della Commissione giudicatrice, legittimamente quest'ultima omette di stabilire criteri più dettagliati.
2. L'obbligo di custodia dei documenti di una gara pubblica da parte della stazione appaltante si presume assolto dall'Amministrazione secondo le normali garanzie di conservazione degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità ed integrità dei plichi; ne consegue che è onere del ricorrente addurre elementi concreti e specifici, atti a far ritenere che possa essersi verificata la sottrazione o la sostituzione dei pieghi, la manomissione delle offerte o un altro fatto rilevante ai fini della regolarità della procedura (Conf. TAR Lombardia Milano, sez. I, 28.04.2010, n. 1177) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 28.04.2010 n. 1179 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIContratti della p.a. - Gara - Criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa - L. R. Lombardia 19 maggio 1997, n. 14 - Composizione della Commissione giudicatrice - Componenti interni/esterni - Potere di scelta della p.a. - Sussiste.
L'art. 14, comma 5, Legge Regione Lombardia 19.05.1997, n. 14 secondo cui "in caso di aggiudicazione sono costituite commissioni giudicatrici [?] con la presenza di esperti, dotati di competenza tecnica nel settore nel quale si colloca la fornitura di beni ovvero la prestazione di servizi, che valutano le offerte in seduta riservata" -non distinguendo tra componenti interni ed esterni della Commissione giudicatrice, purché siano in ogni caso esperti della materia- assegna alle stazioni appaltanti un ampio potere di scelta in ordine alla provenienza dei commissari medesimi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 28.04.2010 n. 1177 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Contratti della p.a. - Gara - Dichiarazioni ex art. 38, comma 1, lett. c) D.Lgs. 163/06 - In caso di fusione per incorporazione - Obbligo - Sussiste - Solo con riferimento agli amministratori della società risultante dalla fusione.
2. Contratti della p.a. - Gara - Offerta - Verifica di anomalia - Ampia discrezionalità tecnica - Sindacabilità - Limiti.

1. A seguito di un'operazione di fusione per incorporazione, la società incorporata cessa di far parte del mondo giuridico, dando luogo ad un nuovo soggetto con propri amministratori ai quali esclusivamente occorre fare riferimento per stabilire la sussistenza dei requisiti di moralità professionale di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs. 163/2006.
2. Il procedimento di valutazione di anomalia di un'offerta è connotato dall'esercizio di discrezionalità tecnica, come tale non sindacabile dal Giudice amministrativo se non per macroscopici vizi di illogicità e irragionevolezza. La verifica dell'anomalia dell'offerta è, infatti, espressione di una potestà tecnico-discrezionale dell'Autorità amministrativa, non sindacabile in sede di legittimità se non per aspetti di manifesta illogicità, insufficiente motivazione ovvero errore di fatto.
Pertanto il Giudice in tali giudizi deve limitarsi ad un controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'Amministrazione (Conf., ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 12.06.2009, n. 3769; Cons. Stato, sez. IV, 20.05.2008, n. 2348; Cons. Stato, sez. IV, 12.06.2007, n. 3097; Cons. Stato, sez. V, 11.11.2004, n. 7346) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 28.04.2010 n. 1162 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAffidamento senza gara ad altra Amministrazione di un appalto di servizi a titolo oneroso - Legittimità.
Sulla scorta dei pronunciamenti del Giudice comunitario deve ritenersi che un'autorità pubblica possa adempiere ai compiti ad essa incombenti mediante propri strumenti o in collaborazione con altre autorità pubbliche, senza essere obbligata a far ricorso a entità esterne all'apparato pubblico (cfr. CGCE, 18.11.2008, causa C- 324/2007).
Ne deriva che, nell'ottica della più proficua collaborazione tra soggetti pubblici, è consentito alle Amministrazioni aggiudicatrici, in alternativa allo svolgimento di una procedura di evidenza pubblica di scelta del contraente, stipulare accordi a titolo oneroso con altri soggetti pubblici, cui affidare lo svolgimento di uno o più servizi (cfr. Corte di Giustizia CE, 09.06.2009, causa C-480/06, TAR Lombardia, Milano, 19.01.2010, n. 74) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.04.2010 n. 1123 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIContratti della p.a. - Appalto - Procedure di affidamento - Project financing - Criteri per la scelta del contraente - Elevata discrezionalità della stazione appaltante - Sindacabilità in sede giurisdizionale - Limiti.
Nel project financing, la procedura di scelta del promotore, pur articolandosi come confronto concorrenziale tra più proposte, non è soggetta, in linea generale, alle regole rigorose di una vera e propria gara, ma è caratterizzata da un elevato livello di discrezionalità dell'Amministrazione che, dopo aver valutato le proposte presentate, provvede ad individuare quella che ritiene di pubblico interesse, sulla base di valutazioni di fattibilità strettamente connesse a scelte interne di carattere economico e tecnico, sindacabili in sede giurisdizionale soltanto sotto il profilo della manifesta illogicità, irrazionalità e contraddittorietà degli errori di fatto (Conf. Cons. Stato, sez. V, 23.03.2009, n. 1741) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.04.2010 n. 1111 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISindaco del Comune - Provvedimenti contingibili e urgenti - Presupposti - Prevenzione di danni futuri - Onere di contestazione specifica dei relativi presupposti - Sussiste - In capo al destinatario del provvedimento.
L'ordinanza contingibile e urgente, emessa dal Sindaco ai sensi dell'art. 38, L. 08.06.1990, n. 142, può essere adottata non soltanto per porre rimedio a danni già verificatisi in materia di sanità ed igiene, ma anche per prevenire possibili danni futuri e la parte che intende dedurne l'illegittimità ai fini dell'annullamento ha l'onere di contestare espressamente la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto previsti per l'adozione della medesima (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.04.2010 n. 1110 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIProvvedimenti contingibili e urgenti - In materia di smaltimento rifiuti - Presupposti - Eventi di carattere eccezionale - Potere del Sindaco - Sussiste - Limiti - Preventiva autorizzazione - Non necessaria.
Le ordinanze extra ordinem c.d. di necessità in materia di smaltimento dei rifiuti, disciplinate in generale dall'art. 38, comma 2, L. 08.06.1990 n. 142 e, in particolare, dall'art. 12 D.P.R. 10.09.1982, n. 915, sono provvedimenti che si riferiscono ad evenienze di carattere eccezionale, determinate da un fatto imprevisto, per le quali risulterebbe impossibile l'utilizzazione dei normali mezzi predisposti dall'ordinamento.
Pertanto, il Sindaco può emanare ordinanze contingibili e urgenti, per far fronte ad eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente, in deroga alle disposizioni vigenti, senza chiedere particolari autorizzazioni e basandosi soltanto sulle risultanze dell'istruttoria condotta da amministratori e tecnici comunali (Conf. TAR Puglia Lecce, sez. II, 18.04.2006, n. 1962) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.04.2010 n. 1109 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOConcorsi pubblici - Procedimento - Commissioni esaminatrici - Natura - Collegio perfetto - Rettifica del verbale - Assenza di uno o più commissari - Effetti - Senza riconvocazione della Commissione - Illegittima.
Stante la natura di collegio perfetto delle Commissioni di concorso nell'assunzione delle determinazioni rilevanti, deve escludersi che la rettifica del verbale effettuata senza una formale riconvocazione della Commissione medesima e senza che siano presenti tutti i componenti -soprattutto qualora manchi proprio il soggetto verbalizzante oltre ad un commissario- possa atteggiarsi alla stregua di un legittimo esercizio del potere di autotutela (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 01.04.2010 n. 848 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 15.11.2010

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A V V I S O

Relativamente alle 5 giornate di studio in programma  a Bergamo (si veda cliccando qui: "CONVEGNI") per il 17-24 novembre e 01-09-16 dicembre 2010 organizzate dal portale PTPL, si avvisano i Sigg. partecipanti che è stata cambiata la sala convegni che risulta essere la SALA NEMBRINI (e non più la Sala degli Angeli).

QUESITI & PARERI

AMBIENTE-ECOLOGIAUn’azienda che produce rifiuti da attività di cernita di materiali può effettuare un trasporto di rifiuti in discarica autorizzata in procedura ordinaria con l’autorizzazione in categoria 2 oppure occorreva categoria 4? (link a www.ambietelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Cosa si intende per gestione integrata dei rifiuti? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Quando si generano le materie prime secondarie in seguito a recupero di materia? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Ai fini del risarcimento del danno ambientale vale sempre il criterio che gli operatori siano tenuti a pagare i danni cagionati? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Come si configura nell’ordinamento italiano l’azione per il risarcimento del danno ambientale? (link a www.ambientelegale.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGODirigenza e valutazioni delle prestazioni (CGIL-FP di Bergamo, nota 08.11.2010)

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOAncora sulle assunzioni nei comuni non soggetti al patto di stabilità dal 1° gennaio 2011 (CGIL-FP di Bergamo, nota 03.11.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: COLLEGATO LAVORO”: LE NOVITA’ SUL PUBBLICO IMPIEGO dopo le ulteriori modifiche parlamentari (link a www.uilpa.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

APPALTI: G.U. 12.11.2010 n. 265 "Misure urgenti in materia di sicurezza" (D.L. 12.11.2010 n. 187).
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Dispone modifiche alla L. 13.08.2010 n. 136 in materia di tracciabilità dei flussi finanziari.

VARI: G.U. 02.11.2010 n. 256 "Regolamento recante istituzione e gestione del registro pubblico degli abbonati che si oppongono all’utilizzo del proprio numero telefonico per vendite o promozioni commerciali" (D.P.R. 07.09.2010 n. 178).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI SERVIZI: L. Manassero, Soggetti legittimati alla partecipazione alle gare per il servizio di distribuzione del gas nel periodo transitorio e...oltre? (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: E. Boscolo, La segnalazione certificata di inizio attività: tra esigenze di semplificazione ed effettività dei controlli (link a www.upel.va.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. C. Colombo, Passaggio dalla D.I.A. alla S.C.I.A. in materia edilizia: provvedimenti riguardanti le D.I.A. presentate dopo il 30.07.2010 (link a www.upel.va.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: P. Giampietro, Quando un residuo produttivo va qualificato “sottoprodotto” (e non “rifiuto”) secondo l’art. 5, della direttiva 2008/98/CE (Per una corretta attuazione della disciplina comunitaria) (link a www.ambientediritto.it).

NEWS

VARI: Telefonate promozionali, un Registro a tutela di chi si oppone.
Entrerà in vigore il 17.11.2010 il Regolamento che istituisce il registro pubblico delle opposizioni, che accoglierà tutti gli abbonati telefonici che non desiderano essere contattati telefonicamente per fini commerciali o promozionali: gli abbonati potranno chiedere, gratuitamente e secondo modalità semplificate, che il proprio numero telefonico sia iscritto nel registro.
Un vantaggio per la riservatezza degli utenti, quindi, ma anche uno stimolo per la competitività delle imprese, che potranno utilizzare con maggiore efficacia gli strumenti del telemarketing, indirizzando le proprie campagne solo a quanti non si avvarranno del "diritto di opporsi". Sarà il Ministero dello Sviluppo economico a provvede alla gestione e al funzionamento del Registro, anche affidandone la realizzazione ad un soggetto terzo.
In particolare, entro 90 giorni dal 02.11.2010, data di pubblicazione in Gazzetta del D.P.R. contenente il Regolamento, il Ministero o il soggetto affidatario del contratto di servizio dovranno provvedere all’attivazione delle modalità tecniche ed operative di iscrizione al registro da parte degli abbonati. Queste alcune delle prescrizioni del Decreto.
Ogni abbonato può chiedere al proprio gestore telefonico che la numerazione della quale è intestatario sia iscritta gratuitamente nel registro secondo le seguenti modalità: mediante compilazione di apposito modulo elettronico sul sito web del gestore del registro pubblico; mediante chiamata effettuata dalla linea telefonica con numerazione corrispondente a quella per la quale si chiede l'iscrizione nel registro, al numero telefonico gratuito appositamente predisposto dal gestore del registro (link a www.governo.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO - Artt. 121 e 122 codice del processo amministrativo - Annullamento dell’aggiudicazione - Dichiarazione di inefficacia del contratto - “Casi di gravi violazioni” - “Altri casi”.
Gli artt. 121 e 122 del codice del processo amministrativo attribuiscono al giudice che annulla l'aggiudicazione il potere di dichiarare l'inefficacia del contratto e distinguono i "casi di gravi violazioni" (in cui la conseguenza dell'inefficacia costituisce la regola, salvo eccezioni) dagli "altri casi" (in cui la decisione circa l'inefficacia è rimessa alla valutazione del giudice stesso).
Obblighi informativi ex art. 79 codice dei contratti pubblici - Clausola standstill ex art. 10, c. 11 - Applicabilità al cottimo fiduciario - Fondamento - Fattispecie - Stipulazione del contratto - Mancata osservanza del termine dilatorio di trentacinque giorni dall’aggiudicazione.
Tanto gli obblighi informativi che gravano sulle stazioni appaltanti in ordine all'esito dei procedimenti di aggiudicazione degli appalti ex art. 79 del codice dei contratti pubblici, quanto la clausola standstill ex art. 11, comma 10, sono applicabili anche al cottimo fiduciario, perché finalizzati ad assicurare l’effettività di un principio fondamentale e generale nel settore dei contratti pubblici (nel caso di specie, il termine dilatorio di trentacinque giorni di cui al citato art. 11, c. 10, è rimasto inosservato, avendo l’amministrazione stipulato il contratto a distanza di nove giorni dall’aggiudicazione, con ciò integrando un caso di grave violazione ex art. 121, c. 1, lett. c), del codice del processo amministrativo) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 10.11.2010 n. 6570 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Estinzione del reato - Art. 445, c. 2 cpp - Effetto estintivo automatico - Esclusione - Omessa dichiarazione circa l’esistenza di una sentenza di condanna ex art. 444 c.p.p. - <revoca dell’aggiudicazione provvisoria - Legittimità.
L'estinzione ex art. 445, comma 2, c.p.p. non opera automaticamente, ma necessita di una pronuncia del giudice dell'esecuzione che deve accertare la sussistenza dei presupposti a cui la norma subordina l'effetto estintivo (in tal senso Cass. Penale, Sez. I, 24.11.2009 n. 49987; conforme è anche l'orientamento del Giudice amministrativo: cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 24.06.2010 n. 4019; TAR Liguria, Sez. II, 18.02.2009 n. 233; TAR Piemonte, Sez. I, 10.10.2008 n. 2568).
E’ pertanto legittimo il provvedimento di decadenza dell’aggiudicazione provvisoria, ove la stazione appaltante abbia accertato l’esistenza di una sentenza ex art. 444 c.p.p. passata in giudicato e non dichiarata.
Condanne - Art. 38 del codice dei contratti pubblici - Stazione appaltante - Richiesta di dichiarazioni più specifiche e dettagliate - Legittimità.
La stazione appaltante può richiedere, in ordine ai profili di cui all’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, dichiarazioni più specifiche e dettagliate di quelle prescritte dalla norma; in particolare, per quanto riguarda il comma 1, lett. c), può imporre di dichiarare tutte le condanne penali o equiparate (Consiglio di Stato, Sez. VI, 24.06.2010 n. 4019 e 04.08.2009 n. 4905).
L'incompletezza di tali dichiarazioni concreta la violazione, da un lato, di un obbligo prescritto dalla disciplina di gara, dall'altro del più generale obbligo di rendere autodichiarazioni veritiere (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 10.11.2010 n. 6569 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Opere pubbliche - Infrastrutture strategiche di interesse nazionale - Artt. 165 e 166 d.lgs. n. 163/2006 - Progetto preliminare - Coinvolgimento delle autonomie locali - Esplicitazione del consenso o del motivato dissenso - Principio di intangibilità - Localizzazione e caratteristiche essenziali delle opere.
In tema di infrastrutture strategiche di interesse nazionale, a mente degli artt. 165 e 166 del d.lgs. n. 163/2006, il coinvolgimento del sistema delle autonomie locali è assicurato attraverso la trasmissione del progetto preliminare alle Regioni o province autonome competenti per territorio, enti esponenziali delle comunità locali interessate dall’opera pubblica.
Detta partecipazione, oltreché tradursi nella espressione interlocutoria di “proprie valutazioni al Ministero”, in accoglimento delle quali può prodursi l’effetto di una rimodulazione del progetto - può culminare nella esplicitazione di un consenso ovvero nella formulazione di un motivato dissenso della Regione al progetto preliminare.
La formulazione del motivato dissenso da parte della Regione in ordine al progetto preliminare introduce un sub-procedimento variamente strutturato in rapporto alla tipologia di opera pubblica in discussione, atto a comporre il dissenso medesimo e a ricercare una soluzione condivisa sul piano tecnico. Invece, la manifestazione del consenso sul progetto preliminare ne determina l’intangibilità.
Il principio dell’intangibilità del progetto preliminare è peraltro circoscritto significativamente alla localizzazione e alle caratteristiche essenziali delle opere, posto che la Regione, non diversamente dalle altre amministrazioni interessate alla realizzazione dell’opera, ben può elaborare motivate proposte di adeguamento, richieste di prescrizioni per il progetto definitivo o varianti migliorative.
Opere pubbliche - Infrastrutture strategiche di interesse nazionale - Artt. 161 e 162 d.lgs. n. 163/2006 - Approvazione del progetto - CIPE allargato - Manifestazione del dissenso con modalità atipiche - Effetti - Limiti.
Le disposizioni di cui agli artt. 161 e 162 del d.lgs. n. 163/2006 prevedono la approvazione dei progetti nella sede istituzionale del CIPE allargato, ossia di un comitato interministeriale che registra, al suo interno, la presenza dei vertici istituzionali degli enti locali interessati dalle infrastrutture strategiche in corso di approvazione. Anche il dissenso deve essere manifestato esclusivamente nella sede istituzionale appropriata, quale è quella del CIPE allargato.
La esternazione del dissenso con modalità atipiche e cioè distanti da quelle previste dal legislatore attraverso appositi schemi di manifestazione di volontà provvedimentale normativamente contemplati non può pertanto conseguire gli effetti divisati dall’ente dissenziente (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 10.11.2010 n. 2634 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: L'omessa dichiarazione sul possesso dei requisiti ex art. 38 d.lgs. n.163/06 non può dar luogo ad esclusione dalla gara nel caso in cui il bando non preveda puntuali prescrizioni sulle modalità e sull'oggetto della dichiarazione.
Sulla discrezionalità della commissione di gara in sede di valutazione dell'offerta tecnica e di attribuzione dei punteggi.

Secondo un orientamento giurisprudenziale l'art. 38, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, ricollega l'esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il c. 2 non prevede analoga sanzione per l'ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione. Da ciò discende che solo la sussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dal citato art. 38 comporta, ope legis, l'automatico effetto espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la lex specialis non preveda espressamente a pena di esclusione puntuali prescrizioni sulle modalità e sull'oggetto della dichiarazione, facendo generico richiamo all'assenza delle cause impeditive di cui all'art. 38, come nel caso di specie, in cui nessuna condanna è stata contestata ai quattro soggetti cessati, l'omissione non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo un'ipotesi di "falso innocuo", come tale insuscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o della legge di gara, a fondare l'esclusione, le cui ipotesi sono tassative.
In senso conforme alla prospettata soluzione depone anche l'art. 45 della direttiva 2004/18/CE che ricollega l'esclusione alle sole ipotesi di grave colpevolezza di false dichiarazioni nel fornire informazioni, non rinvenibile nel caso in cui il concorrente non consegua alcun vantaggio in termini competitivi, essendo in possesso di tutti i requisiti previsti.
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In sede di valutazione dell'offerta tecnica e di attribuzione dei punteggi, la commissione di gara dispone di margini di discrezionalità, entro determinati limiti stabiliti dalla legge di gara, correlata all'apprezzamento degli aspetti tecnici e sottratta, pertanto, al sindacato del G.A. Ciò, però, a patto che non emergano violazioni dei parametri indicati nel bando, ovvero profili di illogicità della valutazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.11.2010 n. 7973 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: E' legittima la determinazione con la quale l'amministrazione non ha approvato l'aggiudicazione provvisoria dalla gara per l'affidamento del servizio di trasporto scolastico per le dichiarazioni non veritiere sulla disponibilità degli automezzi.
Sulla legittimità dell'incameramento della cauzione e della segnalazione all'Autorità di Vigilanza per le dichiarazioni non veritiere.

E' legittima la determinazione con la quale la stazione appaltante non ha approvato l'aggiudicazione nei confronti della società aggiudicataria provvisoria della gara per l'affidamento del servizio di trasporto scolastico, poiché alla data di scadenza del termine per la presentazione delle offerte, la stessa non disponeva, diversamente da quanto da essa dichiarato, degli automezzi necessari allo svolgimento del servizio oggetto della gara.
Nel diritto pubblico e, segnatamente, nella delicata materia delle gare d'appalto, rilevano eminentemente i rapporti giuridici definiti e tipici e non le situazioni di mero fatto, ancorché rivenienti da accordi fra privati i quali ben possono regolare i loro rapporti con modalità atipiche e flessibili, inibite invece alle pubbliche amministrazioni.
Pertanto, nel caso di specie, correttamente l'amministrazione, sul piano sostanziale, ha considerato non veritiere le dichiarazioni rese in sede di gara circa la disponibilità degli automezzi per l'assenza di un valido titolo giuridico essendo scaduto il contratto di leasing in capo alla sua dante causa (cessionaria del ramo d'azienda) e ciò era più che sufficiente per non approvare l'aggiudicazione.
Inoltre, è legittimo, nel caso di specie, l'incameramento della cauzione provvisoria, in quanto l'incameramento si applica anche per le dichiarazioni non veritiere, profilandosi come garanzia del rispetto dell'ampio patto d'integrità cui si vincola chi partecipa a gare pubbliche, e altrettanto legittima è la segnalazione all'Autorità di Vigilanza, trattandosi, anche questo, di adempimento vincolato ai sensi dell'art. 48, 1° c. del D.Lgs. n. 163/2006, in conseguenza della omessa dimostrazione dei requisiti di partecipazione alla gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.11.2010 n. 7963 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Termine per la presentazione delle offerte - Proroga - Violazione della par condicio - Esclusione - Comunicazione alle imprese invitate.
Non risulta violato il principio di "par condicio" tra i concorrenti quando la proroga del termine di presentazione delle offerte è stata comunicata alle imprese invitate, dando così ad esse la possibilità di migliorare eventualmente l'offerta già presentata, essendo rimessa, in tal caso, alla stazione appaltante la valutazione motivata della opportunità della proroga (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.11.2010 n. 7214 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordine di demolizione - Atto dovuto - Interesse pubblico - Abuso risalente nel tempo - Affidamento del contravventore - Configurabilità - Esclusione.
Il presupposto dell’ordine di demolizione di opere abusive è solo la constatata esecuzione delle medesime in totale difformità o in assenza della concessione edilizia, con la conseguenza che tale provvedimento, ove ricorrano i predetti requisiti, è atto dovuto ed è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione: l’abuso, quindi, anche se risalente nel tempo, non giustifica alcun legittimo affidamento del contravventore a veder conservata una situazione di fatto che il semplice trascorrere del tempo non può legittimare (fra le ultime, Consiglio Stato, IV, 31.08.2010, n. 3955; Tar Campania Napoli, VI, 26.08.2010, n. 17238).
Ordine di demolizione - Contestazione - Tempo di ultimazione del manufatto - Entrata in vigore della L. n. 765/1967 - Principio di prova.
Chi contesta la legittimità dell’ordinanza di demolizione di un manufatto abusivo realizzato fuori dal centro abitato ha l’onere di fornire perlomeno un principio di in ordine al tempo dell’ultimazione di quest’ultimo ove asserisca che esso è stato realizzato prima dell’entrata in vigore della legge 06.08.1967 n. 765, ossia quando per tali tipi di costruzione non era prescritta alcuna licenza edilizia (Tar Campania Salerno, II, 18.12.2007, n. 3224; Consiglio Stato, V, 13.02.1998, n. 157).
Provvedimenti sanzionatori in materia edilizia - Comunicazione di avvio del procedimento - Necessità - Esclusione.
Per i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. 241 del 1990, trattandosi di atti dovuti e rigorosamente vincolati, rispetto ai quali non sono richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario (fra le ultime, Tar Lazio Roma, I, 10.05.2010, n. 10470; Tar Campania Napoli, VII, 05.05.2010, n. 2667) (TAR PUGLIA-Lecce, Sez. III, sentenza 09.11.2010 n. 2631 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Zone urbanizzate - Strumenti attuativi - Necessità - Circostanze - Possibilità di deroga - Lotto residuale intercluso.
Va esclusa la necessità di strumenti attuativi per il rilascio di concessioni in zone già urbanizzate nei casi nei quali la situazione di fatto, in presenza di una pressoché completa edificazione della zona, sia addirittura incompatibile con un piano attuativo come nella circostanza del lotto residuale ed intercluso in area compiutamente urbanizzata (Cons. Stato, Sez. V, 26.09.1995, n. 1351): non anche però nelle ipotesi in cui, per effetto di una edificazione disomogenea, ci si trovi di fronte ad una situazione che assai più di altre esige un piano attuativo idoneo a restituire efficienza all’abitato, riordinando e talora addirittura definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona.
La necessità di uno strumento attuativo può riconoscersi, ad esempio, quando tenuto conto “della situazione esistente e non delle opere solo programmate” (sez. V, 01.02.1995, n. 162), debba essere completato il sistema della viabilità secondaria nella zona o quando debba essere integrata l’urbanizzazione esistente garantendo il rispetto dei prescritti standards minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l’armonico collegamento con le zone contigue già asservite all’edificazione (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 09.11.2010 n. 2630 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Lottizzazione dei terreni a scopo edilizio - Comune - Compiti - Regolamentazione dei rapporti obbligatori relativi al’uso delle opere di urbanizzazione o determinazione sulle eventuali controversie - Estraneità.
Il Comune deve provvedere sulla lottizzazione dei terreni a scopo edilizio in uno dei modi previsti dall’art. 28 della legge urbanistica 17.08.1942 n. 1150, modificato dall’art. 8 della legge 06.08.1967 n. 765, vale a dire o acquisendo gratuitamente le aree necessarie por poter realizzare le opere di urbanizzazione primaria nonché, entro certi limiti, quelle di urbanizzazione secondaria, oppure ponendo a carico del proprietario lottizzante gli oneri relativi alle opere di urbanizzazione ovvero monetizzando i rispettivi costi.
Non è compito del Comune, invece, regolare i rapporti obbligatori relativi all’uso delle opere di urbanizzazione già esistenti, né decidere in chiave preventiva, sostituendosi al Giudice civile, sulle eventuali relative controversie tra i privati e, nello specifico, sulle servitù che gravano la lottizzazione servente in favore del lotto intercluso (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 09.11.2010 n. 2630 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Taglio delle ali - Art. 86, c. 1, d.lgs. n. 163/2006 - Nozione - Finalità - Individuazione della soglia di anomalia - Esclusione automatica delle offerte marginali - Illegittimità.
Ai sensi dell’art. 86, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, il cd. “taglio delle ali”, vale a dire l’esclusione dal computo della media aritmetica del dieci per cento, arrotondato all’unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e di quelle di minor ribasso, incrementata dello scarto medio aritmetico dei ribassi percentuali che superano la predetta media, è operazione virtuale, finalizzata unicamente all’individuazione della soglia di anomalia e non invece all’esclusione automatica delle offerte marginali (cfr. Tar Liguria Genova, II, 21.11.2006, n. 1554; Consiglio Stato, V, 30.08.2004, n. 5656) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 09.11.2010 n. 2629 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere di ristrutturazione su immobili abusivi - Effetto preclusivo sulla potestà demolitoria - Esclusione.
Non possono svolgersi opere di ristrutturazione o di manutenzione straordinaria su un manufatto abusivo e mai oggetto di sanatoria edilizia: tale ulteriore attività costruttiva non può spiegare alcun effetto preclusivo sulla potestà di reprimere l'opera abusiva nella sua interezza (Cons. St., sez. V. 29.10.1991 n. 1279).
Ne consegue che non può invocare il regime sanzionatorio più favorevole previsto per il recupero del patrimonio edilizio esistente legittimamente realizzato, colui che ha svolto opere edilizie su immobili abusivi, le quali assumono la stessa qualificazione giuridica dell’immobile abusivamente realizzato.
In caso contrario, infatti, l’abuso minore successivo in sostanza giustificherebbe l’applicazione di una sanzione minore, addirittura non demolitoria, estinguendo la potestà sanzionatoria nei confronti dell’abuso maggiore precedente (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 08.11.2010 n. 7206 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: E' legittimo il provvedimento che ha disposto la decadenza di una società dall'aggiudicazione provvisoria del servizio di mensa scolastica per dichiarazioni non veritiere in ordine al possesso dei requisiti di cui all'art. 38, lett. g), d.lgs.163/2006.
E' legittimo il provvedimento con cui il responsabile dell'ufficio segreteria ha disposto la decadenza di una società dall'aggiudicazione provvisoria del servizio di mensa scolastica, adottato a seguito delle verifiche sulla veridicità della dichiarazione resa per l'ammissione alla gara, da cui è emerso, contrariamente a quanto dichiarato, che la medesima si trovava nella condizione di cui all'art. 38, lett. g), del d.lgs. n. 163/2006 (soggetti che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti), così come attestato dall'Agenzia delle entrate che comunicava l'esistenza di una cartella esattoriale insoluta.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, non può ammettersi che, attraverso lo strumento dell'autocertificazione, si possa agevolmente eludere l'obbligo di rappresentare con fedeltà, diligenza e trasparenza la reale situazione in cui l'impresa versa ai fini della verifica in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione alla gara. Di conseguenza, la falsa dichiarazione resa in sede di autocertificazione costituisce, di per se, causa oggettiva di esclusione, a prescindere da ogni indagine sulla gravità della irregolarità sottaciuta, nonché sulla sussistenza dell'elemento psicologico del dolo o della colpa all'atto della dichiarazione.
Del resto la ratio dell'autocertificazione è proprio quella di semplificare i rapporti con l'amministrazione responsabilizzando però l'utenza, per cui, di fronte a una dichiarazione non veritiera (perché obiettivamente in contrasto con la realtà), l'amministrazione deve prenderne atto per i conseguenti provvedimenti amministrativi senza dover svolgere alcuna verifica di natura soggettiva (che rileva solo in campo penale per l'accertamento di eventuali reati di falso).
Peraltro, indipendentemente dai profili riguardanti la falsità della dichiarazione, l'impedimento di cui all'art. 38, lett. g), del D.Lgs. n. 163/2006 sussisteva sia alla data della domanda di partecipazione alla gara che alla data di aggiudicazione provvisoria, e ciò costituiva "ex se" motivo ostativo all'aggiudicazione definitiva (TAR Marche, sentenza 08.11.2010 n. 3382 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non può essere accolta l'istanza di sanatoria di manufatti, quand’anche gli stessi ben potrebbero essere realizzati sulla base della disciplina urbanistica vigente al momento della pronuncia sull’istanza medesima ancorché non conformi alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione, tanto comportando il sostanziale ripudio dell'esigenza della doppia conformità, ad onta della sua esplicita previsione negli artt. 13 e 36 cit. e dello stesso principio di legalità.
In sede di accertamento di conformità ex art. 13 della legge n. 47/1985 (ed ora ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, sostanzialmente identico, per quanto qui ne occupa, all’art. 140 della L.R. Toscana n. 1/2005), non può essere accolta l'istanza di sanatoria di manufatti, quand’anche gli stessi ben potrebbero essere realizzati sulla base della disciplina urbanistica vigente al momento della pronuncia sull’istanza medesima ancorché non conformi alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione, tanto comportando il sostanziale ripudio dell'esigenza della doppia conformità, ad onta della sua esplicita previsione negli artt. 13 e 36 cit. e dello stesso principio di legalità (Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 06.11.2010 n. 5046 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In tema di distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire «in aderenza» od «in appoggio», la preclusione di dette facoltà non consente l'operatività del principio della prevenzione.
In tema di distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire «in aderenza» od «in appoggio», la preclusione di dette facoltà non consente l'operatività del principio della prevenzione (Cassazione civile, sez. II, 09.04.2010, n. 8465 ) (Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 06.11.2010 n. 5046 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La sanzione (demolitoria o pecuniaria) è legata all'abusività dell'opera e dunque la stessa non necessita di un'ulteriore motivazione in ordine all’interesse pubblico ad essa sotteso.
La sanzione (demolitoria o pecuniaria) è legata all'abusività dell'opera e dunque la stessa non necessita di un'ulteriore motivazione in ordine all’interesse pubblico ad essa sotteso (Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 06.11.2010 n. 5046 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla natura del giudizio di verifica dell'anomalia delle offerte.
Nelle procedure indette per l'aggiudicazione di appalti pubblici, la verifica dell'anomalia dell'offerta è espressione di una potestà tecnico-discrezionale dell'autorità amministrativa, non sindacabile in sede di legittimità, a meno di essere viziata da profili di manifesta illogicità, insufficiente motivazione, ovvero errore di fatto.
Peraltro, il giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà, o meno, dell'offerta nel suo complesso, e l'art. 88, c. 7, del d.lgs. n. 163/2006, nella parte in cui prevede che, all'esito del procedimento di verifica dell'anomalia, la stazione appaltante dichiara l'eventuale esclusione dell'offerta che risulta, "nel suo complesso", inaffidabile, va inteso nel senso che la valutazione dell'Amministrazione deve verificare l'affidabilità globale dell'offerta, e l'esito della gara può essere travolto dalla pronuncia del G.A. solo allorquando il giudizio negativo sul piano dell'attendibilità riguardi voci che rendano l'intera operazione economica non plausibile e, dunque, non suscettibile di accettazione da parte della stazione appaltante.
Nel caso di specie, le censure proposte dalla ricorrente non hanno evidenziato, nell'ambito del suboprocedimento di verifica di anomalia dell'offerta aggiudicataria, vizi di manifesta illogicità, di travisamento del fatto o di insufficiente istruttoria. Al contrario, il procedimento in esame è stato condotto con rigoroso approfondimento istruttorio e si è concluso con la formulazione di un giudizio coerente, logico e ragionevole (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 05.11.2010 n. 4085 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIIl termine di 10 giorni previsto dall'art. 48 d.lgs. 12.04.2006 n. 163 deve considerarsi perentorio, legittimando l'esclusione dalla gara del concorrente che fornisca la documentazione del possesso dei requisiti prescritti nel bando oltre tale termine, in ossequio ad esigenze di celerità e alla necessità di chiusura del procedimento nel più breve tempo possibile.
Secondo l’interpretazione maggioritaria condivisa dal Collegio in materia di pubblici appalti, il termine di 10 giorni previsto dall'art. 48, d.lgs. 12.04.2006 n. 163, deve considerarsi perentorio, legittimando l'esclusione dalla gara del concorrente che fornisca la documentazione del possesso dei requisiti prescritti nel bando oltre tale termine, in ossequio ad esigenze di celerità e alla necessità di chiusura del procedimento nel più breve tempo possibile (TAR Lazio Roma, sez. III, 23.07.2009, n. 7493) (TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 05.11.2010 n. 1864 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

SICUREZZA LAVORO: Art. 14, c. 1, d.lgs. n. 81/2008 - Provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale - Applicazione delle disposizioni di cui alla legge n. 241/1990 - Deroga - Illegittimità costituzionale.
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 09.04.2008, n. 81 (Attuazione dell’art. 1 della legge 03.08.2007, n. 123, in materia di tutela della salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro), come sostituito dall’articolo 11, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 03.08.2009, n. 106 (Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 09.04.2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), nella parte in cui, stabilendo che ai provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale previsti dalla citata norma non si applicano le disposizioni di cui alla legge 07.08.1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), esclude l’applicazione ai medesimi provvedimenti dell’articolo 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (Corte Costituzionale, sentenza 05.11.2010 n. 310 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Non è consentito demandare a soggetti esterni alla commissione di gara le valutazioni tecniche delle offerte presentate dalle ditte partecipanti alla procedura.
L'art. 84, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006, prevede che la commissione sia composta da esperti nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto dell'appalto e che la stessa sia nominata dall'organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario.
E' evidente che la norma preveda come le specifiche professionalità necessarie ad effettuare le valutazioni delle offerte tecniche debbano rintracciarsi all'interno della stessa commissione e, pertanto, non è consentito demandare sostanzialmente a soggetti esterni alla commissione di gara le valutazioni tecniche poste alla base della scelta e nemmeno influire in qualche modo su di esse.
In ogni caso la scelta degli "esperti", ammesso e non concesso che possano essere individuati all'esterno della commissione stessa, non potrà mai essere effettuata dalla medesima commissione, in quanto la norma ne demanda l'individuazione all'organo competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario.
Ne consegue che, nel caso di specie, è illegittimo l'operato di una commissione di gara, regolarmente nominata dalla stazione appaltante, per essersi avvalsa di "esperti" esterni alla commissione stessa per valutare l'offerta tecnica delle ditte partecipanti (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 04.11.2010 n. 33183 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Programmi di investimento - Interessi pretensivi - Ritardo nella conclusione del procedimento - Incertezza sui tempi di realizzazione - Aumento del rischio amministrativo - Fattispecie.
Il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, qualora incidente su interessi pretensivi agganciati a programmi di investimento di cittadini o imprese, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica.
In questa prospettiva ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell’aumento del c.d. “rischio amministrativo” e, quindi, in maggiori costi, attesa l’immanente dimensione diacronica di ogni operazione di investimento e di finanziamento (nella specie, il CGA ha accolto la domanda risarcitoria fondata sul ritardo dell’amministrazione nel rilascio di un provvedimento autorizzatorio alle emissioni in atmosfera, cui la conferenza di servizi aveva condizionato il rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003. Tale ritardo, protrattosi per oltre tre anni, era stato causa della revoca di un contributo comunitario previamente concesso) (C.G.A.R.S., Sez. I, sentenza 04.11.2010 n. 1368 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Il verbale di sopralluogo del tecnico comunale è dotato di fede privilegiata.
La Sezione richiama in primis la giurisprudenza del giudice amministrativo che ha riconosciuto che il verbale di sopralluogo con cui tecnici comunali od agenti di polizia municipale accertano abusi edilizi sono atti dotati di fede privilegiata nel senso che fanno fede dei fatti accertati fino a querela di falso (da ultimo, Consiglio Stato, sez. I, 08.01.2010, n. 250) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.11.2010 n. 7770 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla modalità di formazione del silenzio-assenso di un'istanza di condono edilizio.
La giurisprudenza ha rilevato al riguardo che il mero decorso del termine legale per la formazione del silenzio positivamente significativo dalla presentazione della domanda di condono non è sufficiente per integrare l'ipotesi normativa di silenzio-assenso, occorrendo, altresì, la sussistenza degli ulteriori presupposti indicati dalla legge (Cons. Stato, V, 12.07.2004, n. 5039 ).
In particolare, la formazione del silenzio-assenso richiede, quale presupposto essenziale, oltre al pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione, che siano stati integralmente assolti dall'interessato gli oneri di documentazione (che si risolvono evidentemente nella sussistenza di requisiti sostanziali) relativi al tempo di ultimazione dei lavori, all'ubicazione, alla consistenza delle opere e ad ogni altro elemento rilevante affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica dell'amministrazione comunale (Cons. Stato, V, 25.06.2002 n. 3441; IV, 30.06.2010 n. 4174) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.11.2010 n. 7770 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'art. 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1444, che detta disposizioni in tema di distanze tra le costruzioni, stante la natura di norma primaria, sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione.
La distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall'art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela.
Ai fini del computo delle distanze assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all’interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell’igiene.
Gli sporti, cioè le sporgenze da non computare ai fini delle distanze perché non attinenti alle caratteristiche del corpo di fabbrica che racchiude il volume che si vuol distanziare, sono i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in oggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, non invece le sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma di particolari dimensioni, che siano quindi destinate anche ad estendere ed ampliare per l'intero fronte dell'edificio la parte utilizzabile per l'uso abitativo.

Come deduce parte appellante, i numerosi balconi in muratura che reciprocamente sono inseriti nelle costruzioni riducono la distanza assoluta di metri 10 (prevista dal DM 1444/1968) a circa sette metri, come emerge dalla verificazione effettuata in primo grado.
Il primo giudice ha ritenuto che la deroga alle distanze minime di cui all’art. 9 del DM 1444 del 1968 sarebbe consentita –oltre che per i piani particolareggiati e per le lottizzazioni convenzionate, come prevede la normativa– anche per gli interventi edilizi diretti, consentiti dallo strumento urbanistico, interventi tra i quali ricomprendere il permesso di costruire rilasciato alla s.r.l. CBS.
Al contrario, contestando, in punto di fatto, che la s.r.l. CBS ha nel tempo frazionato catastalmente il suo terreno (creando quindi più lotti, con la conseguenza che ogni edificio di pertinenza è tenuto a rispettare le distanze previste dall’art. 38 RUE), la appellante lamenta in punto di diritto la violazione della disciplina imperativa prevista dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968.
Il motivo è fondato, sia perché la disciplina imperativa delle distanze di cui all’art. 9 prevale, sia perché tra gli interventi diretti che consentirebbero la deroga non è contemplato il titolo abilitativo diretto, ma solo la pianificazione attuativa.
Sul primo punto, l'art. 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1444, che detta disposizioni in tema di distanze tra le costruzioni, stante la natura di norma primaria, sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione (Consiglio Stato , sez. IV, 05.12.2005, n. 6909).
Le distanze legali previste dagli standards urbanistici sono immediatamente applicabili ai rapporti privati, ove gli strumenti urbanistici prevedono distanze minori.
L'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444, laddove prescrive la distanza di 10 metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile.
Pertanto, le distanze tra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi (Consiglio Stato, sez. IV, 05.12.2005, n. 6909).
In materia di distanze legali, l’art. 136 d.P.R. n. 380 del 2001 ha mantenuto in vigore l’art. 47-quinquies, commi 6, 8, 9, della legge nazionale n. 1150 del 1942, per cui in forza dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 la distanza minima inderogabile di 10 metri tra le pareti finestrate e di edifici antistanti è quella che tutti i Comuni sono tenuti ad osservare, ed il giudice è tenuto ad applicare tale disposizione anche in presenza di norme contrastanti incluse negli strumenti urbanistici locali, dovendosi essa ritenere automaticamente inserita nel prg al posto della norma illegittima (Cassazione civile, Sez. II, 29.05.2006, n. 12741).
Inoltre, se la deroga è consentita solo per piani particolareggiati e le lottizzazioni convenzionate, in tale previsione non può ricomprendersi il permesso di costruire.
Sussiste pertanto la lamentata violazione della distanza minima assoluta di 10 metri tra le costruzioni finestrate, non contenendo l’art. 38 del RUE di Parma alcuna previsione di distanza in deroga inferiore e essendo state in fatto verificate distanze di circa sette metri tra l’edificio assentito a CBS, tenendo conto degli aggetti in muratura (balconi e scale esterne).
Con riguardo a tale ultima considerazione, si richiamano i precedenti secondo cui la distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall'art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela (così, Consiglio Stato, Sez. IV, 05.12.2005, n. 6909).
Ai fini del computo delle distanze assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all’interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell’igiene (Consiglio di Stato, Sez. V, 19.03.1996, n. 268).
Gli sporti, cioè le sporgenze da non computare ai fini delle distanze perché non attinenti alle caratteristiche del corpo di fabbrica che racchiude il volume che si vuol distanziare, sono i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in oggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, non invece le sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma di particolari dimensioni, che siano quindi destinate anche ad estendere ed ampliare per l'intero fronte dell'edificio la parte utilizzabile per l'uso abitativo (Consiglio Stato, Sez. IV, 05.12.2005, n. 6909)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.11.2010 n. 7731 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I volumi tecnici sono solo quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno.
Pertanto non sono tali le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli "di sgombero"; e non è volume tecnico il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente, in realtà, una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda.

I volumi tecnici sono solo quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno.
Pertanto non sono tali -e quindi sono computabili ai fini della volumetria consentita- le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli "di sgombero"; e non è volume tecnico il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente, in realtà, una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (così, Consiglio Stato, sez. V, 13.05.1997, n. 483)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.11.2010 n. 7731 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In genere, viene considerata una costruzione, rilevante ai fini delle distanze legali dai confini, anche un terrapieno, se creato artificialmente al di sopra del livello medio del piano di campagna originario.
Costituisce orientamento consolidato che, ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che producono un dislivello o aumentano quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni, idonee a incidere sulla osservanza delle norme in tema di distanze dal confine (così, Consiglio Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579; Consiglio Stato, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637).
Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni (Cons. Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579).
In genere, viene considerata una costruzione, rilevante ai fini delle distanze legali, anche un terrapieno, se creato artificialmente al di sopra del livello medio del piano di campagna originario (così Cassazione civile, Sez. II, 11.11.2003, n. 1695; Consiglio Stato, Sez. V, 26.06.2000, n. 3637; anche Cassazione Sez. II, 15.06.2001, n. 8144, secondo cui, ai fini della applicazione delle distanze legali, il muro di sostegno costituisce costruzione)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.11.2010 n. 7731 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Il sindaco con ordinanza può assicurare la prosecuzione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti mediante l'affidamento di questo al precedente affidatario ma deve rivalutare il corrispettivo economico fissato con il precedente contratto.
E' illegittima l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 38, c. 2, l. 08.06.1990 n. 142, con cui il sindaco assicura la prosecuzione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti mediante l'affidamento di questo al precedente affidatario, nella parte in cui mantiene il corrispettivo economico fissato col precedente contratto, dovendo in ogni caso essere rispettata l'esigenza di arrecare il minor sacrificio possibile al privato destinatario dell'ordinanza e quindi di non imporre corrispettivi raccordati a valori risalenti nel tempo e senza verifica della loro idoneità a remunerare con carattere di effettività il servizio reso (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 02.11.2010 n. 4316 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Responsabilità ambientale - Imputabilità dell’inquinamento - Condotte attive ed omissive - Prova diretta ed indiretta - Presunzioni semplici ex art. 2727 c.c. - Principio dell’”id quod plerumque accidit”.
In materia di individuazione di responsabilità ambientale, la giurisprudenza ha recentemente concluso nel senso per cui alla luce dell'esigenza di effettività della protezione dell'ambiente, ferma la doverosità degli accertamenti indirizzati a individuare con specifici elementi i responsabili dei fatti di contaminazione, l'imputabilità dell'inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive e la prova può essere data in via diretta od indiretta, ossia, in quest'ultimo caso, l'Amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale si può avvalere di presunzioni semplici di cui all'art. 2727 Cod. civ., prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi e precisi e concordanti che inducano a ritenere verosimile, secondo l'”id quod plerumque accidit”, che sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori (Cons. Stato, Sez. V, 16.06.2009, n. 3885) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 27.10.2010 n. 6538 - link a www.ambientediritto.it)

EDILIZIA PRIVATA: Costruzione abusiva - Responsabilità del proprietario non formalmente committente dell'opera - Presupposti - Artt. 44 e 165, D.P.R. n. 380/2001.
In materia edilizia può essere attribuita al proprietario, non formalmente committente dell'opera, la responsabilità per la violazione dell'art. 44 D.P.R. n. 380/2001, sulla base di valutazioni fattuali, quali l'accertamento che questi abiti nello stesso territorio comunale ove è stata eretta la costruzione abusiva, che sia stato individuato sul luogo, che sia destinatario finale dell'opera, che abbia presentato richieste di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria (Cass. pen. sez. 3 n. 9536 del 20.01.2004).
L'art. 165 consente, infatti, di subordinare la sospensione della pena alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato (tale certamente deve ritenersi per l'assetto del territorio l'opera abusivamente realizzata).
Reati edilizi - Demolizione dell'opera abusiva e beneficio della sospensione condizionale della pena.
In tema di reati edilizi, il giudice, nella sentenza di condanna, può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva, in quanto il relativo ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato (Cass. sez. 3 n. 38071 del 19.09.2007; Cass. sez. 3 n. 18304 del 17.01.2003).
Violazione di sigilli - Responsabilità del custode - Esistenza del caso fortuito o della forza maggiore - Onere della prova - Art. 349 c.p..
In tema di violazioni di sigilli, il custode è obbligato ad esercitare sulla cosa sottoposta a sequestro e sulla integrità dei relativi sigilli una custodia continua ed attenta. Egli non può sottrarsi a tale obbligo se non adducendo oggettive ragioni di impedimento e, quindi, chiedendo ed ottenendo di essere sostituito, ovvero, qualora non abbia avuto il tempo e la possibilità di farlo, fornendo la prova del caso fortuito o della forza maggiore che gli abbiano impedito di esercitare la dovuta vigilanza.
Ne consegue che, qualora venga accertata la violazione dei sigilli, senza che il custode abbia provveduto ad avvertire dell'accaduto l'autorità, è lecito ritenere che detta violazione sia opera dello stesso custode, da solo o in concorso con altri, tranne che lo stesso non dimostri di non essere stato in grado di avere conoscenza del fatto per caso fortuito o forza maggiore: ciò non configura alcuna ipotesi di responsabilità oggettiva, estranea alla fattispecie, ma un onere della prova che incombe sul custode (Cass. pen. sez. VI, 11/05/1993 n. 4815; conf. Cass. pen. sez. 3 n. 2989 del 28.01.2000).
Risponde, pertanto del reato di cui all'art.349 c.p. il custode che non dimostri l'esistenza del caso fortuito o della forza maggiore, dal momento che su di lui grava l'obbligo di impedire la violazione dei sigilli (Cass. pen. sez. 3 24.05.2006 n. 19424) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 25.10.2010 n. 37829 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTINon è configurabile alcun onere di partecipare alla gara di un appalto a carico di un soggetto la cui partecipazione viene ad essere preclusa direttamente dallo stesso bando di gara.
Appartiene alla discrezionalità della stazione appaltante fissare i requisiti di partecipazione alla singola gara, anche superiori rispetto a quelli previsti dalla legge alla luce del suo potere-dovere di apprestare gli strumenti più adeguati ai fini del perseguimento dell'interesse pubblico concreto, oggetto dell'appalto da affidare, e che unico limite alla insindacabilità che l’esercizio di tale potere incontra è legato alla una valutazione di manifesta irragionevolezza di quanto richiesto in correlazione al valore dell'appalto.

Il collegio ritiene di condividere in via di principio l’orientamento (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 02.08.2010, n. 5069; 09.04.2010, n. 1999; 19.03.2009, n. 1624), che sembra consolidarsi dopo Corte giustizia CE, sez. VI, 12.02.2004, nel procedimento C-230/02, secondo cui non è configurabile alcun onere di partecipare alla gara di un appalto a carico di un soggetto la cui partecipazione viene ad essere preclusa direttamente dallo stesso bando di gara.
La lesione dell’interesse non può essere infatti derivare da un atto che si risolverebbe in un mero adempimento formale, atteso l'esito scontato di esclusione dalla gara, non essendo il bando suscettibile di disapplicazione (cfr. TAR Lazio, sez. II-ter, 08.03.2006, n. 1775 e giurisprudenza ivi citata).
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Va ricordato che appartiene alla discrezionalità della stazione appaltante fissare i requisiti di partecipazione alla singola gara, anche superiori rispetto a quelli previsti dalla legge alla luce del suo potere-dovere di apprestare (attraverso la specifica individuazione dei requisiti di ammissione e di partecipazione ad una gara) gli strumenti più adeguati ai fini del perseguimento dell'interesse pubblico concreto, oggetto dell'appalto da affidare (ex multis Cons. Stato, 37 del 2007) e che unico limite alla insindacabilità che l’esercizio di tale potere incontra è legato alla una valutazione di manifesta irragionevolezza di quanto richiesto in correlazione al valore dell'appalto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14.12.2006 n. 7460; Cons. Stato, sez. V, 13.12.2005 n. 7081).
Più in particolare “il potere delle stazioni appaltanti di stabilire i requisiti di partecipazione, e tra questi anche il livello del fatturato richiesto nell'ultimo triennio, è sindacabile solo in caso di scelte che appaiono, "ictu oculi", irrazionali, fondate su errori di fatto o sproporzionate in relazione alla rilevanza economica del contratto da stipulare” (Consiglio Stato, sez. V, 23.01.2006, n. 206).
In ordine al requisito, in parola viene evidenziato (cfr. TAR Emilia Romagna Bologna, sez. I, 11.04.2008, n. 1424) che l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (cfr. deliberazione 24.01.2007, n. 20), che svolge (anche) una funzione di interpretazione e orientamento per le stazioni appaltanti, ha, al riguardo, rilevato come il giudice amministrativo abbia ritenuto immotivata la fissazione, per un appalto di pulizie, dell'iscrizione al registro delle imprese per un importo superiore a cinque volte il valore dell'appalto, ovvero, in relazione al fatturato, per un importo nove volte superiore al valore dell'appalto, mentre (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 31.01.2006, n. 348 ) si è ritenuta non incongrua né limitativa dell'accesso alla gara la richiesta di un fatturato, nel triennio pregresso, sino al doppio dell'importo posto a base della stessa.
Lo stesso G.A. stima, invece, irrazionale, eccessiva e sproporzionata, la richiesta di un importo eccedente di circa sette volte l'oggetto del contratto (si veda la decisione coeva e della stessa Sez. V, 23.01.2006, n. 206); ovvero illegittima la clausola del bando di gara che prevede, a dimostrazione del possesso del requisito di capacità economico-finanziaria, un fatturato dell'ultimo triennio che si attesti su una soglia minima pari a più di quindici volte l'ammontare dell'importo posto a base dell'appalto (TAR Lecce, sez. II, 02.01.2008, n. 1).
D’altra parte, TAR Lazio, Roma, sez. II, 08.03.2006 n. 1775, richiamata in ricorso, in fattispecie analoga alla presente ha ritenuto incongrua la richiesta di un fatturato dell’ultimo triennio pari a tre volte l’importo a base d’asta
(TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 20.10.2010 n. 710 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Insidia stradale: è indispensabile accertare la sussistenza del nesso di causalità.
Colui il quale intende far valere una responsabilità contrattuale o extracontrattuale della Pubblica Amministrazione deve dimostrare il nesso causale tra l'eventuale evento dannoso e l'insidia o trabocchetto, nascente da situazione di fatto, creatrici di un pericolo per l'utente della strada (Corte di cassazione, Sez. III civile, sentenza 06.10.2010 n. 20757 - link a www
.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATALa traslazione della proprietà (o di altro diritto idoneo) dell’area comporta l’assoggettamento dell’avente causa all’obbligazione relativa agli oneri concessori solo ed in quanto questi acquista la posizione legittimante all’ottenimento della concessione, al cui rilascio è correlato l’assolvimento degli oneri stessi.
L’obbligazione consistente nel pagamento del contributo ex legge n. 10/1977 non costituisce un onere reale né rappresenta un’obbligazione propter rem, cioè un debito pecuniario che si trasferisce, automaticamente e forzosamente, su coloro che subentrano nella proprietà dell’area trasformata e/o edificata per effetto del rilascio della concessione qualora, all’atto del rilascio stesso, il contributo non sia stato in tutto o in parte assolto.

L’obbligazione relativa al pagamento del contributo dovuto per le trasformazioni urbanistiche ed edilizie che il Comune abbia facultato a realizzare attraverso il rilascio della concessione edilizia ai sensi della L. 28.01.1977, n. 10 è un’obbligazione personale, nel senso che essa grava su coloro dai quali la concessione stessa sia stata richiesta ed ai quali venga quindi accordata (i proprietari dell’area o coloro che abbiano titolo a domandarla: cfr. l’art. 4 della L. n. 10/1977).
Qualora la proprietà (o la titolarità di altro diritto idoneo al rilascio della concessione) sia trasferita prima che il richiedente l’abbia ottenuta, l’avente causa subentra anche nella posizione di aspirante al rilascio e, quindi, nella titolarità della concessione poi a lui rilasciata; e solo in questo caso l’obbligazione relativa al versamento del contributo compete al nuovo proprietario (o al nuovo titolare del diritto idoneo).
In definitiva, la traslazione della proprietà (o di altro diritto idoneo) dell’area comporta l’assoggettamento dell’avente causa all’obbligazione relativa agli oneri concessori solo ed in quanto questi acquista la posizione legittimante all’ottenimento della concessione, al cui rilascio è correlato l’assolvimento degli oneri stessi.
L’obbligazione consistente nel pagamento del contributo ex legge n. 10/1977 non costituisce un onere reale né rappresenta un’obbligazione propter rem, cioè un debito pecuniario che si trasferisce, automaticamente e forzosamente, su coloro che subentrano nella proprietà dell’area trasformata e/o edificata per effetto del rilascio della concessione qualora, all’atto del rilascio stesso, il contributo non sia stato in tutto o in parte assolto (cfr. l’art. 11 della L. n. 10/1977, sopra citato).
Sia gli oneri reali che le obbligazioni propter rem [ammesso che le due categorie siano tra loro distinte: il che viene negato da un’autorevole dottrina] costituiscono figure tipiche, o numerus clausus; la loro esistenza deriva, cioè, esclusivamente, da specifiche norme, vuoi civilistiche che pubblicistiche, le quali prevedano che soggetto passivo dell’obbligazione sia o divenga colui che del bene è o diviene proprietario (o, talvolta, possessore). Nessuna disposizione in tal senso è dato, assolutamente, rinvenire nella legge n. 10/1977.
Peraltro, trattandosi di vincolo o peso gravante sulla proprietà di un immobile (l’area trasformata o edificata in virtù della concessione edilizia), una previsione legislativa in tal senso avrebbe dovuto, imprescindibilmente, essere inserita e/o coordinata col regime civilistico della trascrizione di cui agli artt. 2643 e ss. del c.c.. Del che, pure, non v’è traccia nella legge n. 10/1977 (TAR Marche, sentenza 05.08.2010 n. 3266 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento di autorizzazione o concessione edilizia può essere accordato al proprietario dell’area o a chi ha titolo per richiederla, quale titolare di un diritto reale ovvero un diritto obbligatorio che accordi al richiedente la disponibilità del suolo o la potestà edificatoria.
Per edificare è necessario che il soggetto istante sia o il titolare del diritto di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede il permesso, quindi, ad esempio, anche il locatario se il contratto di locazione reca l’esplicita o implicita, ma inequivocabile, autorizzazione all’esecuzione di dati interventi di trasformazione del bene in funzione dell’uso per il quale lo stesso è stato concesso ad altri.

Il provvedimento di autorizzazione o concessione edilizia può essere accordato al proprietario dell’area o a chi ha titolo per richiederla, quale titolare di un diritto reale ovvero un diritto obbligatorio che accordi al richiedente la disponibilità del suolo o la potestà edificatoria, mentre una semplice relazione di fatto, ancorché tutelata, quale quella legata al mero possesso dell’area, non è idonea a conferire il diritto ad ottenere il rilascio del titolo concessorio.
Il richiedente il permesso di costruire deve, infatti, avere la disponibilità giuridica dell’area interessata alla costruzione in progetto, non essendo sufficiente la mera disponibilità di fatto di essa.
Analogamente un richiesta di variante o la denuncia di inizio attività deve essere prodotta, ai sensi dell’art. 23, primo comma del DPR 06.06.2001 n. 380, dal soggetto legittimato, ovvero dal proprietario dell’immobile o da chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività.
La formulazione ultima richiama, invero, quella dell’art. 11 del DPR 380/2001, a sua volta ispirata dall’art. 4 della legge 28.01.1977 n. 10.
In altre parole, per edificare è necessario che il soggetto istante sia o il titolare del diritto di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede il permesso, quindi, ad esempio, anche il locatario se il contratto di locazione reca l’esplicita o implicita, ma inequivocabile, autorizzazione all’esecuzione di dati interventi di trasformazione del bene in funzione dell’uso per il quale lo stesso è stato concesso ad altri.
E d’altra parte, certamente spetta al Comune la verifica del possesso del titolo, la cui mancanza impedisce all’Amministrazione di procedere oltre nell’esame del progetto (TAR Basilicata, sentenza 26.07.2010 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl disposto di cui all’art. 4, comma 6, della legge 28.01.1977, n. 10 (attualmente contenuto nell’art. 11, comma 2, del d.p.r. 06.06.2001, n. 380) pone limitazioni al potere di revoca espressione dello ius poenitendi dell’amministrazione, che non può formulare nuove valutazioni di opportunità sulla stessa situazione già oggetto di considerazione, pentendosi della decisione assunta; il potere di revoca in questione, invece, non soggiace alla limitazione contenuta nell’art. 11, comma 2, del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, poiché è esercitato per via di un semplice mutamento della situazione di fatto, che rende non più adeguata la conservazione della decisione originaria, presa alla luce di determinati presupposti che sono venuti meno e risponde quindi al principio di efficacia dell’azione amministrativa sancito all’art. 1 della legge n. 241 del 1990, alla luce del quale gli effetti del provvedimento originario sono mantenuti sino a quando siano rispondenti all’assetto degli interessi originariamente perseguiti, sicché il sopravvenuto modificarsi della situazione di fatto, rende pienamente legittimo l’esercizio del potere di revoca.
Nell'atto di revoca di una concessione edilizia (o permesso di costruire) l’amministrazione deve sì effettuare una puntuale comparazione degli interessi dei destinatari del provvedimento e dei controinteressati eventualmente coinvolti; tuttavia, tali interessi assurgono ad un livello apprezzabile qualora si sia ingenerato un legittimo affidamento nel privato in ordine alle prescrizioni contenute nel titolo edilizio rilasciato, mentre tale affidamento è da escludersi tutte le volte in cui gli elementi volontari ed intenzionali del soggetto richiedente inducano a ritenere che lo stesso conoscesse adeguatamente le condizioni derivanti dal titolo abilitativo rilasciato.
Invero, con riferimento alla asserita carenza motivazionale del provvedimento che non avrebbe tenuto in considerazione l’interesse privato alla conservazione del manufatto edilizio, osserva il Collegio che le ragioni poste alla base del provvedimento di revoca sono ravvisate:
a) nella precarietà della struttura autorizzata;
b) nell’impegno assunto dal ..., al momento della presentazione della richiesta di rilascio del titolo abilitativo, alla rimozione del manufatto a semplice richiesta dell’amministrazione;
c) nell’avvenuta alienazione del locale adibito a laboratorio artigiano e del trasferimento dell’attività del ... in altra località.
Alla luce di tali presupposti di fatto l’amministrazione, ritenendo essere venute meno le ragioni sulla base delle quali era rilasciata la concessione edilizia n. 36/1985, ne disponeva la revoca.
Le motivazioni poste alla base del provvedimento erano pertanto sufficientemente esplicate in relazione a nuove circostanze sopravvenute. La revoca, nella sostanza, è stata legittimamente adottata in conformità al principio di efficacia dell’azione amministrativa espresso nell’art. 1 della legge 07.08.1990, n. 241, in virtù del quale gli scopi raggiunti attraverso il provvedimento originario devono essere mantenuti, ma in caso di sopravvenuto mutamento dei presupposti di fatto, che determinarono l’adozione del provvedimento, l’amministrazione valuta l’opportunità in ordine al mantenimento degli effetti derivanti dal provvedimento originario, decidendo per la loro eliminazione, qualora tali effetti non siano più rispondenti all’assetto di interessi originariamente perseguiti.
A ben guardare, nella fattispecie, non siamo in presenza di un potere di revoca espressione dello ius poenitendi dell’amministrazione, che valuta nuovamente la stessa situazione già oggetto di ponderazione al momento dell’emanazione del provvedimento originario e, accorgendosi di aver mal valutato, si pente della decisione a suo tempo assunta e decide di rimuovere il provvedimento di cui è ritenuta inopportuna la permanenza.
Al contrario, il potere amministrativo in questione è ascrivibile alla revoca per mutamento della situazione di fatto, che si realizza quando il provvedimento pregresso ha curato in modo ottimale il pubblico interesse, ma con il passare del tempo la modificazione dei presupposti di fatto rende non più adeguata la conservazione della decisione originaria.
Mentre nella prima ipotesi l’amministrazione che esercita lo ius poenitendi, è tenuta a comparare adeguatamente le ragioni di interesse pubblico che inducano alla rimozione del provvedimento e al sacrificio degli interessi dei privati che avevano fatto affidamento sulla stabilità del provvedimento, anche alla luce del tempo trascorso, tenendo presente che tanto più sarà lungo il tempo trascorso tanto meno saranno recessivi gli interessi dei privati coinvolti.
Nella seconda ipotesi, nel caso di revoca per sopravvenuto mutamento della situazione di fatto, che è quella che viene in rilievo nella fattispecie, poiché la nascita del provvedimento e quindi la concessione di situazioni soggettive di vantaggio è condizionata dalla sussistenza di una serie di presupposti di fatto conosciuti ab origine dal privato, i soggetti beneficiari del provvedimento non possono non essere pienamente consapevoli che la conservazione del provvedimento è subordinata alla persistenza delle medesime condizioni che ne avevano determinato l’adozione.
Ne consegue l’inconferenza della censura relativa alla mancanza di un interesse pubblico alla demolizione, quali ad esempio il pericolo di danni a terzi, proprio perché l’interesse pubblico è evidenziato dall’amministrazione nel sopravvenuto venir meno delle circostanze di fatto che avevano originariamente determinato l’amministrazione a rilasciare il titolo abilitativo per la costruzione di una struttura precaria. Da qui discende la non irragionevolezza dell’ordine di demolizione della baracca, in quanto non fondato sullo stato di fatiscenza dell’edificio o sui pericoli da esso derivanti, ma sul sopravvenuto mutamento della situazione di fatto che aveva legittimato il rilascio della concessione edilizia.
Il Collegio reputa, inoltre, superfluo che l’amministrazione desse conto, nella motivazione, della comparazione tra l’interesse pubblico alla demolizione e l’interesse privato alla conservazione del manufatto edilizio, in quanto il ... non aveva maturato alcun interesse giuridicamente tutelabile alla conservazione della baracca.
Ciò in quanto in primo luogo la concessione edilizia era stata rilasciata in conformità all’istanza del sig. ..., il quale si limitava a chiedere “l’installazione di una baracca con struttura precaria” per i motivi specificati nella relazione tecnica ovvero “per uso deposito del materiale da lui usato per la sua attività” e si impegnava espressamente a rimuovere la baracca, in qualsiasi momento, su richiesta dell’amministrazione. In secondo luogo, la concessione edilizia n. 36/1985 era rilasciata anche sulla base del parere del tecnico comunale del 13.09.1985, il quale si esprimeva in favore dell’accoglimento dell’istanza di costruzione, con la previsione, però, dell’obbligo di rimuovere la struttura in qualsiasi momento l’amministrazione comunale lo avesse ritenuto opportuno.
Ne consegue che sia i presupposti di fatto che fondavano la concessione edilizia sia il contenuto stesso di tale provvedimento, che abilitava non alla costruzione di una struttura di carattere permanente, ma precaria, escludevano in modo assoluto l’ingenerarsi di qualsiasi affidamento in ordine alla possibilità di conservare in modo permanente sul suolo il manufatto edilizio, la cui costruzione era stata autorizzata, giova ripeterlo, sulla base dell’approvazione del progetto presentato dallo stesso ..., che ne aveva sottolineato la natura precaria e la funzione servente al suo lavoro da artigiano, per il deposito di materiale. Inoltre, la natura precaria della struttura assentita costituiva ontologicamente sintomo della impossibilità di conservare la stessa in modo permanente sul suolo e pertanto risulta inconferente quanto affermato dai ricorrenti in ordine alla circostanza che la concessione edilizia non era stata rilasciata per un periodo temporaneo.
La disposizione di cui all’art. 4, comma 6, della legge 28.01.1977, n. 10, in ordine alla irrevocabilità della concessione edilizia (oggi permesso di costruire), è attualmente contenuta nell’art. 11, comma 2, del d.p.r. 06.06.2001, n. 380.
Al riguardo occorre innanzitutto chiarire che tale norma non sancisce un generale divieto di autotutela, ma si riferisce esclusivamente alla preclusione per l'Amministrazione della possibilità di rinnovare, dopo il rilascio del titolo abilitativo, ogni valutazione di merito, quali ad esempio quelle in ordine alla compatibilità estetico-ambientale dei lavori, da porre a fondamento del riesame (Consiglio Stato, sez. VI, 27.06.2005 , n. 3414).
Il potere generale di revoca dei provvedimenti amministrativi è stato introdotto dall’art. 14 della legge 11.02.2005, n. 15, che ha inserito nella legge n. 241 del 1990 l’art. 21-quinquies il quale sancisce che “…per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato…”.
In ogni caso, il disposto di cui all’art. 4, comma 6, della legge 28.01.1977, n. 10 (attualmente contenuto nell’art. 11, comma 2, del d.p.r. 06.06.2001, n. 380) pone limitazioni al potere di revoca espressione dello ius poenitendi dell’amministrazione, che non può formulare nuove valutazioni di opportunità sulla stessa situazione già oggetto di considerazione, pentendosi della decisione assunta; il potere di revoca in questione, invece, non soggiace alla limitazione contenuta nell’art. 11, comma 2, del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, poiché è esercitato per via di un semplice mutamento della situazione di fatto, che rende non più adeguata la conservazione della decisione originaria, presa alla luce di determinati presupposti che sono venuti meno e risponde quindi al principio di efficacia dell’azione amministrativa sancito all’art. 1 della legge n. 241 del 1990, alla luce del quale gli effetti del provvedimento originario sono mantenuti sino a quando siano rispondenti all’assetto degli interessi originariamente perseguiti, sicché il sopravvenuto modificarsi della situazione di fatto, rende pienamente legittimo l’esercizio del potere di revoca
(TAR Basilicata, sentenza 26.07.2010 n. 529 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa concessione in sanatoria -in quanto provvedimento tipico che elimina l’antigiuridicità dell’abuso, estinguendo il potere repressivo dell’Amministrazione- è ammessa soltanto entro i limiti delineati dal legislatore (doppia conformità), senza alcuna estensione discrezionale da parte della P.A..
Il comma primo dell'art. 36 DPR 380/2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità in materia edilizia, stabilisce testualmente che “…il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda…”.
La chiara lettera della norma non consente spazi interpretativi, nel senso che la concessione in sanatoria -in quanto provvedimento tipico che elimina l’antigiuridicità dell’abuso, estinguendo il potere repressivo dell’Amministrazione- è ammessa soltanto entro i limiti delineati dal legislatore, senza alcuna estensione discrezionale da parte della P.A..
In tal senso è anche il recente orientamento del Consiglio di Stato (cfr., per tutte, C.d.S. Sez. VI, 26.04.2006, n. 2306) (C.G.A.R.S., sentenza 15.10.2009 n. 941 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento di sanatoria in esito ad accertamento di conformità può essere rilasciato solo al ricorrere del duplice presupposto richiamato all’articolo 36 del T.U. n. 380 del 2001 in materia edilizia.
In aggiunta all’accertamento di doppia conformità -tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell'opera quanto a quella vigente al momento della domanda– previsto a regime dall’art. 13 della legge n. 47 del 1985, un indirizzo giurisprudenziale ha ammesso una più ampia possibilità di sanatoria per le opere difformi dalla normativa urbanistica vigente al momento dell’abuso ma conformi a quella successivamente intervenuta (cfr. V Sez. 13.02.1995 n. 238 nonché V sez. 21.10.2003, n. 6498).
In tal senso è stato osservato che la regola desumibile dalle disposizioni citate non preclude il diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l'Autorità comunale provvede sulla domanda di sanatoria, non essendovi nessuna ragione di ritenere che l'ordinamento imponga di demolire un'opera prima di ottenere la concessione per realizzarla nuovamente (V Sez. n. 6498 del 2003 cit.).
Secondo un opposto orientamento, diffuso soprattutto in primo grado, con la legge n. 47 del 1985 è entrata in vigore una disciplina esaustiva e puntuale delle ipotesi di sanatoria, anche ai fini amministrativi, che non lascia alcun margine interpretativo.
Secondo tale impostazione, il principio di conservazione dei valori –che farebbe ritenere illogica la demolizione dell'opera, quando la stessa potrebbe essere autorizzata sulla base della sopravvenuta strumentazione urbanistica- deve quindi retrocedere dinnanzi al principio costituzionale di legalità, che impone la necessaria e stretta osservanza della disciplina dettata dalla legge (cfr. per tutte TAR Toscana, III Sez., 15.04.2002, n. 724, e TAR Veneto, II Sez., 20.02.2003, n. 1498).
Al riguardo il Collegio osserva che la concessione in sanatoria è un provvedimento tipico, che elimina l'antigiuridicità dell'abuso, estinguendo il potere repressivo dell'Amministrazione, con la conseguenza che il suo ambito di applicazione non può che essere specificamente disciplinato dalla normativa, non risultando consentito l'esercizio, da parte dell'Amministrazione, di un potere di sanatoria che vada oltre i limiti imposti dal Legislatore.
A ciò deve aggiungersi, soprattutto, che il T.U. n. 380 del 2001, continuando a postulare (art. 36) l’accertamento di duplice conformità nei termini già divisati dall’art. 13 della legge n. 47 del 1985, non ha recepito la possibilità di sanatoria di cui si discute, nonostante che la possibilità di riconoscere a livello normativo l’ammissibilità, entro certi limiti, di tale istituto giurisprudenziale fosse stata espressamente prospettata tra l’altro dall’Adunanza Generale di questo Consiglio di Stato nel parere all’uopo reso in data 29.03.2001.
Non avendo il Legislatore, per le ragioni indicate nella Relazione, ritenuto di poter valorizzare tale opzione, deve concludersi –per le esposte ragioni testuali e sistematiche- nel senso che il provvedimento di sanatoria in esito ad accertamento di conformità può essere rilasciato solo al ricorrere del duplice presupposto richiamato all’articolo 36 del T.U. n. 380 del 2001 in materia edilizia (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.04.2006 n. 2306 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 10.11.2010

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

INCENTIVO PROGETTAZIONE - PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 09.11.2010, suppl. ord. n. 243/L, "Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro" (L. 04.11.2010 n. 183).
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Il ripristino al 2% dell'incentivo alla progettazione interna è legge ed entrerà in vigore dal 24.11.2010.
Al riguardo, si legga l'art. 35, comma 3, il quale così dispone:
"3. All'articolo 61 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il comma 7-bis, introdotto dall'articolo 18, comma 4-sexies, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, è abrogato."

AGGIORNAMENTO ALL'08.11.2010

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NOVITA' NEL SITO

Bottone "CONVEGNI" n. 5 giornate di studio a Bergamo per il 17-24 novembre e 01-09-16 dicembre 2010 organizzate dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella locandina.
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Termine di iscrizione (solamente) on-line: sabato 13.11.2010.

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Detrazioni 55%: la nuova guida dell'Agenzia delle Entrate.
L'Agenzia delle Entrate ha aggiornato la guida sulle detrazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici.
Attualmente, i contribuenti che fino al 31.12.2010 sostengono spese per interventi finalizzati al risparmio energetico possono usufruire della particolare detrazione d'imposta nella misura del 55%.
Dal momento dell'introduzione delle agevolazioni (L. Finanziaria 2007) le norme che disciplinano le procedure da seguire per avvalersi correttamente delle agevolazioni sono state oggetto di numerosi cambiamenti, quali, ad esempio:
- l'introduzione dell'obbligo di inviare una comunicazione all'Agenzia delle Entrate (quando i lavori proseguono oltre un periodo d'imposta);
- la ripartizione unica, in cinque rate annuali di pari importo, del totale della spesa sostenuta;
- la sostituzione della tabella dei valori limite della trasmittanza termica.
La nuova edizione della guida ha l'obiettivo di fare il punto della situazione, illustrando i vari tipi di intervento per i quali si può fruire del beneficio e gli adempimenti necessari per ottenerlo.
In sintesi:
- la detrazione dalle imposte sui redditi (Irpef o Ires) è pari al 55% delle spese sostenute, entro un limite massimo che varia a seconda della tipologia dell'intervento eseguito;
- l'agevolazione non è cumulabile con altri benefici fiscali previsti da disposizioni di legge nazionali o altri incentivi riconosciuti dalla Comunità Europea;
- non è necessario effettuare alcuna comunicazione preventiva di inizio dei lavori all'Agenzia delle Entrate;
- i contribuenti non titolari di reddito d'impresa devono effettuare il pagamento delle spese sostenute mediante bonifico bancario o postale (i titolari di reddito di impresa sono invece esonerati da tale obbligo);
- è previsto l'esonero dalla presentazione della certificazione energetica per la sostituzione di finestre, per gli impianti di climatizzazione invernale e per l'installazione di pannelli solari;
- dal 1° luglio 2010, al momento del pagamento del bonifico effettuato dal contribuente che intende avvalersi della detrazione, le banche e le Poste Italiane Spa hanno l'obbligo di effettuare una ritenuta del 10% a titolo di acconto dell'imposta sul reddito dovuta dall'impresa che effettua i lavori;
- per gli interventi eseguiti dal 2009 è obbligatorio ripartire la detrazione in cinque rate annuali di pari importo (per il 2008 andava da un minimo di tre ad un massimo di 10 anni, mentre solo per l'anno 2007 c'era l'obbligo di ripartire la spesa in 3 rate annuali uguali) (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: 55% anche se i lavori proseguono oltre il 31.12.2010.
L'ENEA ha chiarito che, in assenza di proroga della detrazione del 55%, potranno usufruire della detrazione del 55% i lavori avviati e non ultimati entro il 31.12.2010. La detrazione sarà naturalmente applicabile sulle sole spese sostenute entro il 2010 e non sarà applicabile, invece, su quelle necessarie al completamento dei lavori sostenute successivamente.
La precisazione è contenuta nella Faq n. 65, ove è riportato che "per venire incontro alle esigenze degli utenti che non riuscissero a concludere i lavori entro il 2010, in accordo con l'Agenzia delle Entrate, si ritiene che detti lavori possano anche continuare nel 2011, fermo restando che eventuali spese sostenute in quest'anno (ossia nel 2011, ndr) non possono essere ritenute detraibili".
L'invio della documentazione all'Enea deve essere effettuato entro 90 giorni dalla fine dei lavori.
L'ENEA precisa inoltre che "Quanto sopra vale in caso di mancato rinnovo delle detrazioni per il 2011" e che "il mancato termine dei lavori nel 2010 va comunicato telematicamente all'Agenzia delle Entrate entro il 31.03.2011, specificando quanto pagato nel 2010" (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Disponibile Gratuitamente la guida UNI-CIG "protezione catodica della rete in acciaio di distribuzione del gas".
Il Comitato Italiano Gas (CIG) ha distribuito le Linee Guida elaborate dall'A.P.C.E. (Associazione per la Protezione dalle Corrosioni Elettrolitiche - Sede legale c/o Italgas Via del Commercio, 11 - 00154 Roma) sulla PROTEZIONE CATODICA DELLA RETE IN ACCIAIO DI DISTRIBUZIONE DEL GAS.
Le linee guida sono parte di una serie dedicata al servizio di distribuzione del gas; le raccomandazioni contenute in questa e nelle altre linee guida della serie costituiscono i requisiti essenziali per l'effettuazione delle attività trattate per aspetti non coperti o sufficientemente regolati da norme tecniche nazionali o europee.
Ai sensi della delibera n. ARG/gas 120/2008 dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (articolo 28.2), nel caso in cui risultino mancanti norme tecniche, specifiche tecniche o rapporti tecnici applicabili, vengono adottate linee guida definite dagli organismi tecnici competenti Cig e Apce, pubblicate dall'Uni.
In caso di contrasto fra una raccomandazione delle Linee Guida e una prescrizione contenuta in una Regola Tecnica o Norma Tecnica, la prescrizione è prevalente sulla raccomandazione (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 44 del 04.11.2010, "Modifica delle dd.g.r. nn. 7868/2002, 13950/2003, 8943/2007 e 8127/2008, in materia di canoni demaniali di polizia idraulica" (deliberazione G.R. 26.10.2010 713 - link a www.infopoint.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI: M. Asprone Maurizio e S. Martini, Il responsabile del procedimento amministrativo: l’istruttoria e i profili di responsabilità (link a www.diritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: M. Asprone, La nuova conferenza dei servizi decisoria dopo l’introduzione della legge 15/2005 (link a www.diritto.it).

NEWS

VARI: Riparte lo shopping incentivato. Fondo unico di 110 milioni di euro I contributi ancora a disposizione sono utilizzabili, indistintamente, in tutti i settori “agevolati.
Da oggi (03.11.2010) e fino al 31 dicembre di quest’anno -sempre che le risorse non vadano esaurite prima- sarà ancora possibile usufruire degli incentivi statali stanziati –dall'articolo 4 del decreto legge n. 40 del 25.03.2010, per complessivi 300 milioni di euro– per favorire la domanda in determinati settori produttivi, perseguendo obiettivi di efficienza energetica, ecocompatibilità e sicurezza sul lavoro. L’agevolazione è riconosciuta sotto forma di riduzione del prezzo di vendita praticata dal venditore al momento dell’acquisto.
I comparti agevolati sono stati individuati dal decreto interministeriale del 26.03.2010: cucine componibili, elettrodomestici, efficienza energetica industriale, motocicli, nautica, rimorchi, macchine agricole e movimentazione terra, gru a torre per l’edilizia, banda larga, immobili ad alta efficienza energetica.
Il provvedimento, inoltre, ha fissato gli importi assegnati a ciascuno di essi, il contributo unitario spettante e i requisiti necessari per accedervi ... (link a www.nuovofiscooggi.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Il caso di un consigliere la cui moglie amministra una snc che lavora per l'ente. Incompatibilità da valutare. Conflitti di interesse da accertare caso per caso.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità ex art. 63, comma 1, n. 2 del dlgs n. 267/2000 nei confronti di un consigliere comunale, la cui moglie è socio-amministratore di una società in nome collettivo che ha stipulato con il comune un contratto per la gestione di un servizio pubblico?
L'art. 63, comma 1, n. 2, del dlgs n. 267/2000 stabilisce che non può ricoprire cariche elettive locali colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento abbia parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune.
La ratio della causa di incompatibilità «consiste nell'impedire che possano concorrere all'esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli del comune o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere l'imparzialità» (C.Cost. sent. n. 44/1977, n. 450/2000 e n. 220/2003).
La Corte di Cassazione ha chiarito che la norma è volta ad evitare il pericolo di deviazioni nell'esercizio del mandato da parte degli eletti ed il conflitto, anche solo potenziale, che la medesima persona sarebbe chiamata a dirimere se dovesse scegliere tra l'interesse che deve tutelare in quanto amministratore dell'ente che gestisce il servizio e quello che deve garantire in quanto consigliere del comune che di quel servizio fruisce.
Inoltre ha precisato che il legislatore ha inteso rafforzare l'effettività della norma non soltanto nei confronti del soggetto al quale, in ragione della partecipazione al servizio con una determinata qualità soggettiva, il conflitto di interessi sia immediatamente riferibile, ma anche nei confronti del soggetto che, al di là della qualità soggettiva di colui che partecipa «formalmente» al servizio, debba considerarsi come il «reale» portatore dell'interesse «particolare» potenzialmente confliggente con quelli «generali» connessi all'esercizio della carica elettiva (cfr. Cass. civile sent. n. 11959/2003, sez. I, sent. n. 550/2004).
Il conflitto è rintracciabile anche nell'ipotesi in cui la partecipazione all'impresa avvenga attraverso la semplice titolarità di quote di capitale di una società appaltatrice di lavori per conto del comune, in quanto i vantaggi economici connessi agli appalti spiegheranno effetti diretti sulla posizione patrimoniali dei soci (cfr. Cass. civile, sez., I, n. 1733/2001); la causa d'ineleggibilità prevista «nei confronti di coloro che, direttamente o indirettamente, abbiano parte in appalti in favore del comune, mira ad evitare posizioni di conflitto, anche potenziale, fra l'interesse pubblico e quello privato degli amministratori municipali, e, quindi, comprende pure le situazioni di fatto non esteriorizzate formalmente, con eventuale interposizione di altri soggetti, sempreché le situazioni medesime, tenuto conto che si verte in tema di eccezioni al diritto di elettorato passivo, risultino rigorosamente accertate» (cfr. Cass., sez. I, sent. n. 1622/1980).
Pertanto, qualora il consigliere comunale sia anche socio della società in nome collettivo, la situazione giuridica dell'amministratore può essere ricondotta alla causa ostativa di cui al punto 2), comma 1, dell'art. 63 del Tuel; se, invece l'amministratore non è socio, il rapporto di coniugio che lo lega al socio-amministratore della società chiamata alla gestione dei servizi non è sufficiente, da solo, a configurare un'ipotesi di conflitto sostanziale con l'ente, che andrà di volta in volta «rigorosamente accertato»; se gli interessi dell'impresa che gestisce l'appalto o il servizio rimangono riferibili esclusivamente al coniuge l'incompatibilità non sussiste, fermo restando l'obbligo di cui all'art. 78 del dlgs n. 267/2000, che impone agli amministratori di improntare il proprio comportamento, nell'esercizio delle funzioni, all'imparzialità e al principio di buona amministrazione e di astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione delle delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti e affini sino al quarto grado.
In tal caso, la verifica delle cause ostative all'espletamento del mandato è compiuta con la procedura consiliare di cui all'art. 69 del Tuel, che garantisce il contraddittorio tra organo e amministratore, assicurando a quest'ultimo l'esercizio del diritto alla difesa e la possibilità di rimuovere entro un congruo termine la causa di incompatibilità contestata.
L'art. 61, comma 1-bis, del dlgs n. 267/2000, infine, dispone che non può ricoprire la carica di sindaco o di presidente della provincia colui che ha ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprano, nelle rispettive amministrazioni, il posto di appaltatore di lavori o di servizi comunali.
La previsione colpisce gli amministratori anche in assenza di un vantaggio diretto o indiretto che possa essere imputato loro personalmente, ma rimanga esclusivo del parente che gestisce l'appalto o il servizio, a salvaguardia del principio d'imparzialità dell'azione amministrativa (articolo ItaliaOggi del 05.11.2010 - link a www.ecostampa.com).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOLegge Brunetta, comuni in affanno. Enti alla prese con valutazione e merito. Ma si chiede un rinvio. Le amministrazioni devono adottare le regole entro il 2010. Le ipotesi di proroga sul tavolo della Civit.
I comuni stanno avviando le procedure per dare concreta applicazione alla legge cd Brunetta sul versante della adozione delle nuove metodologie di valutazione, della introduzione degli istituti meritocratici e dell'adattamento del proprio regolamento di organizzazione. Ricordiamo che il termine entro cui le amministrazioni devono avere adottato le nuove regole è fissato per la fine del mese di dicembre.
Si deve aggiungere che in molte realtà si ritiene, e in alcune si chiede, che tale termine venga rinviato. Peraltro in molti comuni si è sparsa la voce che una ipotesi di rinvio sarebbe attualmente all'esame della Commissione nazionale per la valutazione, l'integrità e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni (Civit). Alla base di tale rinvio sarebbe la mancanza di risorse aggiuntive da destinare alla incentivazione del personale e dei dirigenti che otterranno le migliori valutazioni ed il blocco della contrattazione collettiva.
Il primo passaggio che i comuni devono realizzare, per dare attuazione alle prescrizioni dettate dalla legge Brunetta, è costituito dalla deliberazione da parte del consiglio delle linee guida per la introduzione delle novità previste da tale disposizione. Essendo in presenza di prescrizioni che devono essere realizzate attraverso la modifica del regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, avendo tali modifiche un carattere radicalmente innovativo ed avendo una notevole rilevanza, la deliberazione preventiva del consiglio è indispensabile.
Ricordiamo che, sulla base delle regole stabilite dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, la competenza alla adozione del regolamento di organizzazione è della giunta, ma il consiglio è chiamato a dettare i criteri generali. La giunta dovrà recepire in una norma regolamentare le prescrizioni dettate dal dlgs n. 150/2009. Un primo argomento è costituito dalla disciplina dell'Organismo indipendente di valutazione. A partire dalla scelta, che si caldeggia per i piccoli e medi centri, di dare vita ad una forma di gestione associata.
Ed ancora, si deve fissare il numero dei componenti e la composizione, tra le opzioni esclusivamente esterna e quella mista. Ricordiamo che negli ultimi mesi la Civit, modificando il suo orientamento iniziale ed aderendo alla impostazione dell'Anci, si è espressa perché il segretario non possa far parte di tale organismo, in quanto lo stesso venga chiamato a proporre anche la metodologia di valutazione della sua prestazione.
Occorre inoltre operare una scelta sul livello della professionalità richiesta (ricordiamo che la Civit ha dettato criteri molto rigorosi per i requisiti), nonché sulla durata, sul suo modo di operare, sul compenso, sulla eventuale clausola di esclusività (che nella stragrande maggioranza dei comuni non appare necessaria), sulle incompatibilità e sulle procedure di nomina. Il regolamento dovrà inoltre dare attuazione alla suddivisione dei dirigenti, delle posizioni organizzative e del personale in fasce di merito, sulla base degli esiti delle valutazioni.
I vincoli legislativi sono: le fasce devono essere almeno tre, il numero di ogni fascia deve essere prefissato e la quota prevalente delle risorse deve essere destinata alla incentivazione di coloro che sono collocati nella fascia più alta. La scelta potrà confermare le differenziazioni previste dalla legge per le amministrazioni dello stato, accrescerle o diminuirle: ricordiamo che non vi è un vincolo a negare ogni forma di incentivazione a coloro che sono inseriti nella fascia più bassa.
Il regolamento decide il numero delle fasce e la quantità di dipendenti, dirigenti o posizioni organizzative da inserire nelle singole fasce, nonché nelle amministrazioni più rilevanti potrà anche prevedere che la suddivisione sia operata nell'ambito delle varie articolazioni organizzative. Spetta invece alla contrattazione decentrata fissare la quantità di risorse da assegnare ad ogni fascia.
In sede regolamentare dovranno inoltre essere fissati i capisaldi del nuovo sistema di valutazione dei dirigenti, delle posizioni organizzative e dei dipendenti. Nel nuovo sistema si dovrà tenere conto sia della performance individuale, che di quella organizzativa, nonché dei comportamenti e delle competenze tecniche e, per i dirigenti, della capacità di valutare in modo differenziato il personale.
I criteri generali di valutazione sono oggetto di informazione e, a richiesta dei soggetti sindacali, di concertazione per dirigenti e posizioni organizzative; sono oggetto di contrattazione per il personale (articolo ItaliaOggi del 05.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPiani delle performance, conta l'utilità per i cittadini. Le linee guida della civit per adempiere alla legge brunetta.
Sono i benefici che l'azione amministrativa assicura alla comunità amministrata il faro che deve guidare le pubbliche amministrazioni nell'elaborazione dei piani della performance.

La deliberazione 28.10.2010 n. 112 (allegato: carte di lavoro <---> allegato: termini e concetti chiave del Piano della performance) della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit), che formula le linee guida per l'adozione del piano, fondamentale per la crescita della produttività e qualità del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, insiste molto sulla necessità di programmare gli obiettivi ed i risultati, così da rendere evidenti le ricadute benefiche sui cittadini.
Il piano della performance non deve, cioè, ridursi ad un mero esercizio burocratico, finalizzato per adempiere formalmente alle disposizioni dell'articolo 10 del dlgs 150/2009. I suoi contenuti debbono rendere chiaro all'esterno che gli sforzi organizzativi, economici posti in essere per conseguire obiettivi sui quali, poi, valutare la produttività risultino «utili».
Per questa ragione, la Civit insiste molto anche sulla comprensibilità del documento, il quale deve essere intelligibile per i cittadini, esplicitando legame sussistente tra i loro i bisogni, la missione istituzionale di ciascun ente, le priorità politiche, le strategie, gli obiettivi e gli indicatori dell'amministrazione.
La Civit fissa anche l'indice ed i contenuti di fondo del documento. Particolarmente interessanti sono gli spunti che offre e le schede operative di esempio sulla concretezza e misurabilità degli obiettivi, i quali debbono indicare gli indicatori in base ai quali risulti possibile valutarne il raggiungimento secondo grandezze numeriche da mettere in rapporto. Per queste ragioni, occorre necessariamente esplicitare la formula matematica di valutazione dell'indicatore, la sua unità di misura, il valore storico di partenza (così da poter confrontare la crescita di valore).
La delibera suggerisce di prendere a riferimento anche il valore benchmark, cioè il confronto con i risultati di amministrazioni simili o con indicatori standard e l'illustrazione del risultato assoluto atteso in ciascuno dei tre anni di cui si compone il programma. La delibera evidenzia anche la necessità di disaggregare gli obiettivi strategici o generali in azioni o attività concrete, da assegnare alla diretta responsabilità dei dirigenti, insieme con le risorse umane, strumentali e finanziarie, anch'esse da tracciare per verificare concretamente l'adeguatezza delle risorse e la capacità di spenderle nel rispetto delle finalità.
Non mancano, tuttavia, ridondanze. La Civit si sofferma molto, per esempio, sulla necessità che il piano descriva una «identità» dell'amministrazione indicando gli elementi che consentano di identificarne il mandato istituzionale, e la missione, qualificando questi contenuti come «indispensabili» per l'attuazione delle finalità di qualità e comprensibilità della rappresentazione della performance.
Inoltre, dedica uno spazio larghissimo alla necessità di analizzare il «contesto interno ed esterno all'amministrazione», dedicando spazio ai gruppi di cittadini ed imprese che possano beneficiare dell'azione dell'amministrazione ed orientarne gli obiettivi. Oggettivamente, lo spazio e l'attenzione assegnata a questi elementi appaiono eccessivi. Esigenze di trasparenza possono ovviamente suggerire che l'amministrazione enunci le sue competenze, allo scopo di evidenziare che la creazione di «valore aggiunto» delle sue attività sia coerente con il mandato istituzionale. Ma l'elemento vero e concreto della performance è il sistema di valutazione e misurazione.
Per quanto riguarda l'analisi del contesto, la delibera appare troppo suggestionata dalle metodologie di compilazione delle domande di ammissione a bandi per finanziamenti europei o statali, prese indubbiamente a modello. La individuazione dei benefici attesi dalla cittadinanza è certamente importante, ma non pare pensabile che annualmente possa farsi una sorta di «negoziazione» degli obiettivi da cogliere, anche perché vi sono precisi programmi politico-amministrativi alla base del mandato elettorale. Probabilmente l'indagine del contesto risulta più rilevante per gli enti privi di una rappresentanza diretta di tipo rappresentativo.
La delibera induce anche gli enti a pubblicizzare attivamente i contenuti del piano, non ritenendo sufficiente la mera pubblicazione sui portali. Forse, sfugge che dal 2011 le risorse per tali attività di comunicazione sono ridotte dell'80% rispetto al 2009, per effetto della manovra economica d'estate.
Elementi operativi essenziali del piano sono le modalità con cui l'amministrazione lo collega ed integra con la programmazione economico-finanziaria e le fasi gestionali.
La delibera 112 enuncia espressamente il suo campo di applicazione immediato e diretto: essa vale per i ministeri, le aziende ed amministrazioni dello stato ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici non economici nazionali e le agenzie di cui al decreto legislativo 30.07.1999, n. 300, con esclusione dell'Agenzia del demanio.
Non è, dunque, direttamente applicabile a regioni, enti locali ed amministrazioni del Servizio sanitario nazionale. Nei confronti di tali enti assume valore di linee guida. In particolare, gli enti locali che abbiano attuato correttamente le norme contenute nel dlgs 267/2000 in tema di controllo di gestione non dovrebbero porsi problemi di adeguamento o di compatibilità con le linee guida della Civit. Lo stesso per gli enti del sistema sanitario nazionale, dotati di atti aziendali e sistemi di valutazione effettivamente di natura «industriale».
A proposito del servizio sanitario nazionale, la delibera 113 della Civit conferma che i contenuti del dlgs 150/2009 relativi proprio il sistema di valutazione e premiale non sono direttamente applicabili, finché le regioni non abbiano esercitato la propria funzione normativa in merito (articolo ItaliaOggi del 05.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTITracciabilità degli appalti a due vie. Conti dedicati e pagamenti sotto esame per i nuovi contratti. Oggi in Cdm il decreto legge sicurezza, che consente di adeguare i vecchi accordi entro marzo 2011.
Dal 07.09.2010 la tracciabilità dei flussi finanziari è applicabile per tutti i contratti, subappalti e subcontratti di appalto stipulati dopo il sette settembre 2010 e per tutti i concessionari di finanziamenti pubblici. Entro il 07.03.2011, invece, dovranno essere adeguati agli obblighi di tracciabilità i contratti, subappalti e subcontratti stipulati prima del 07.09.2010.
È quanto prevede lo schema di decreto legge in materia di sicurezza che contiene anche le disposizioni in materia di tracciabilità dei flussi finanziari, integrative e attuative delle disposizioni della legge 136/2010.
Il provvedimento andrà stamane al vaglio del consiglio dei ministri.
Le due norme dedicate al tema della tracciabilità non comprendono quindi alcuna sospensione dell'efficacia dell'obbligo previsto dall'articolo 3 della legge 136/2010 (fortemente richiesta dalle organizzazioni imprenditoriali «per tutti i contratti», con un comunicato confindustriale emesso martedì): l'efficacia delle norme è quindi piena anche se con regimi differenziati a seconda della data della stipula dei contratti; prevede invece chiarimenti e integrazioni alla disciplina varata nei mesi scorsi con la legge 136.
Infatti, il decreto conferma che la tracciabilità opera per i contratti stipulati successivamente al sette settembre 2010, nonché ai relativi subcontratti e subappalti, e per i concessionari di finanziamenti pubblici; per i contratti (e relativi subappalti e subcontratti) stipulati prima del 7 settembre il decreto legge consentirà l'adeguamento di tutti i contratti e dei subcontratti alle disposizioni sulla tracciabilità previste dalla legge 136 e dal decreto legge stesso, entro 180 giorni, cioè entro il 07.03.2011.
Una delle novità è la soppressione del rinvio al dpcm che avrebbe dovuto dettare entro sei mesi ulteriori norme attuative da seguire. Nella sostanza il decreto legge chiude a ogni possibile integrazione successiva e offre un quadro di riferimento finalmente chiaro e univoco anche per quel che attiene alle sanzioni da irrogare e ai sistemi alternativi al bonifico bancario o postale che gli operatori potranno utilizzare.
Su quest'ultimo punto viene chiarito che per i pagamenti destinati a dipendenti, consulenti e fornitori di beni e servizi rientranti tra le spese generali, nonché per i pagamenti destinati all'acquisto di immobilizzazioni tecniche, nonché per il pagamento di spese estranee a lavori, forniture e servizi che necessitano di somme provenienti dai «conti dedicati», sarà possibile utilizzare, oltre al bonifico bancario o postale, anche altri strumenti di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni, per l'intero importo dovuto.
Un'altra novità è rappresentata dal fatto che gli strumenti di pagamento (bonifici, Rid ecc.) dovranno indicare in relazione ad ogni transazione finanziaria il Codice identificativo di gara (Cig) assegnato dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici e, soltanto nei casi in cui ciò sia obbligatoriamente previsto dalla legge 2/2003, il Codice unico di progetto (Cup), che quindi, in queste ipotesi, si aggiungerebbe al Cig.
Viene poi soppressa la norma che imponeva alla stazione appaltante di chiedere il Cup al dipartimento competente della presidenza del consiglio. Viene confermata la definizione di «filiera delle imprese» con riguardo (oltre ai contratti principali) ai subappalti e ai subcontratti stipulati «per l'esecuzione anche non esclusiva del contratto»; si tratta di un chiarimento che sembra ricomprendere anche i fornitori dei subappaltatori, laddove la fornitura non sia generica, ma preordinata alla specifica esecuzione del contratto.
Il decreto chiarisce che l'utilizzo «anche in via non esclusiva» di un conto dedicato per i pagamenti relativi a commesse pubbliche, consente di utilizzare il o i conti dedicati (bancari o postali) «anche promiscuamente per più commesse, purché per ciascuna commessa sia effettuata la comunicazione alla stazione appaltante»; in sostanza si potranno su questi conti effettuare anche operazioni estranee alle commesse pubbliche comunicate.
Per quel che riguarda le sanzioni per violazione degli obblighi di legge saranno i prefetti della provincia dove ha sede la stazione appaltante o concedente i finanziamenti pubblici (articolo ItaliaOggi del 05.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: L'elemento soggettivo relativo alla qualifica del richiedente (agricoltore o imprenditore agricolo) il permesso di costruire in zona agricola è del tutto irrilevante se il soggetto non intende avvalersi dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è, invece, la titolarità della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di disponibilità del bene, oltre naturalmente alla compatibilità con gli strumenti urbanistici.

Come già affermato dal TAR Sicilia (Palermo Sez. III sentenza n. 3 del 2008) l'elemento soggettivo relativo alla qualifica del richiedente (agricoltore o imprenditore agricolo) il permesso di costruire in zona agricola è del tutto irrilevante se il soggetto non intende avvalersi dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è invece la titolarità della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di disponibilità del bene, oltre naturalmente alla compatibilità con gli strumenti urbanistici (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 02.11.2010 n. 33106 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non sussiste l'obbligo, in capo alla stazione appaltante, di comunicare l'avvio del procedimento di autotutela nell'ipotesi di annullamento dell'aggiudicazione provvisoria.
Sulle differenze tra oggetto sociale ed attività effettivamente esercitata da un'impresa.

In caso di annullamento dell'aggiudicazione provvisoria di una gara d'appalto, non sussiste l'obbligo, in capo alla stazione appaltante, di comunicare alla concorrente interessata l'avvio del procedimento in autotutela secondo il disposto di cui all'art. 7 della legge n. 241/1990, in quanto siffatto adempimento si rende superfluo, in virtù della natura meramente endoprocedimentale dell'atto di aggiudicazione provvisoria, il quale si inserisce nell'iter di scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo, giacché l'individuazione finale dell'affidatario dell'appalto si cristallizza soltanto nell'aggiudicazione definitiva; pertanto, vantando in tal caso l'aggiudicatario provvisorio solo una mera aspettativa alla conclusione del procedimento, la stazione appaltante non è onerata di comunicare l'avvio del procedimento di annullamento in autotutela.
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L'oggetto sociale ancorché segni il campo delle attività che un'impresa può astrattamente svolgere, sul piano della capacità di agire dei suoi legali rappresentanti, non equivale ad attestare, in alcun modo, il prescritto esercizio in concreto di detta attività.
Oggetto sociale e attività effettivamente esercitata, quest'ultima da comprovare mediante la prescritta dichiarazione verificabile in base alla certificazione camerale, infatti, non possono essere considerati come concetti coincidenti, atteso che un'attività può ben essere prevista nell'oggetto sociale -risultante dall'iscrizione sotto la voce "dati identificativi dell'impresa"- senza essere attivata poi in concreto.
La prescrizione della lex specialis della gara, con la quale si richiede ai concorrenti, ai fini della partecipazione, l'iscrizione alla Camera di Commercio per una definita attività da appaltare, non può perciò che essere finalizzata a selezionare ditte che abbiano una esperienza specifica nel settore interessato: in caso contrario la prescrizione avrebbe ad oggetto la mera iscrizione alla CCIAA, ovvero richiederebbe un'attestazione della camera di commercio riferita solo all'inclusione del servizio da appaltare nell'oggetto sociale, ma ciò la clausola dovrebbe fare in modo esplicito, tale cioè da escludere il significato normale altrimenti attribuibile alla chiara lettera della stessa, predisposta come di prassi.
È ovvio, quindi, che - salvo voler privare la clausola della lettera d'invito di significato - nessun rilievo possa attribuirsi all'oggetto sociale dell'impresa, il quale abilita quest'ultima a svolgere quella determinata attività, ma nulla dice sull'effettivo svolgimento della stessa (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 02.11.2010 n. 22122 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che producono un dislivello o aumentano quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni, idonee a incidere sulla osservanza delle norme in tema di distanze dal confine.
Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni.
Viene considerata una costruzione, rilevante ai fini delle distanze legali, anche un terrapieno, se creato artificialmente al di sopra del livello medio del piano di campagna originario.

Costituisce orientamento consolidato che, ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che producono un dislivello o aumentano quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni, idonee a incidere sulla osservanza delle norme in tema di distanze dal confine (così, Consiglio Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579; Consiglio Stato, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637).
Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni (Cons. Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579).
In genere, viene considerata una costruzione, rilevante ai fini delle distanze legali, anche un terrapieno, se creato artificialmente al di sopra del livello medio del piano di campagna originario (così Cassazione civile, Sez. II, 11.11.2003, n. 1695; Consiglio Stato, Sez. V, 26.06.2000, n. 3637; anche Cassazione Sez. II, 15.06.2001, n. 8144, secondo cui, ai fini della applicazione delle distanze legali, il muro di sostegno costituisce costruzione)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.11.2010 n. 7731 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'art. 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1444, che detta disposizioni in tema di distanze tra le costruzioni, stante la natura di norma primaria, sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione.
La distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall'art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela.
Ai fini del computo delle distanze assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all’interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell’igiene.
Gli sporti, cioè le sporgenze da non computare ai fini delle distanze perché non attinenti alle caratteristiche del corpo di fabbrica che racchiude il volume che si vuol distanziare, sono i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in oggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, non invece le sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma di particolari dimensioni, che siano quindi destinate anche ad estendere ed ampliare per l'intero fronte dell'edificio la parte utilizzabile per l'uso abitativo.

L'art. 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1444, che detta disposizioni in tema di distanze tra le costruzioni, stante la natura di norma primaria, sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione (Consiglio Stato, sez. IV, 05.12.2005, n. 6909).
Le distanze legali previste dagli standards urbanistici sono immediatamente applicabili ai rapporti privati, ove gli strumenti urbanistici prevedono distanze minori.
L'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444, laddove prescrive la distanza di 10 metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile.
Pertanto, le distanze tra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi (Consiglio Stato, sez. IV, 05.12.2005, n. 6909).
In materia di distanze legali, l’art. 136 d.P.R. n. 380 del 2001 ha mantenuto in vigore l’art. 47-quinquies, commi 6, 8, 9, della legge nazionale n. 1150 del 1942, per cui in forza dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 la distanza minima inderogabile di 10 metri tra le pareti finestrate e di edifici antistanti è quella che tutti i Comuni sono tenuti ad osservare, ed il giudice è tenuto ad applicare tale disposizione anche in presenza di norme contrastanti incluse negli strumenti urbanistici locali, dovendosi essa ritenere automaticamente inserita nel prg al posto della norma illegittima (Cassazione civile, Sez. II, 29.05.2006, n. 12741).
Inoltre, se la deroga è consentita solo per piani particolareggiati e le lottizzazioni convenzionate, in tale previsione non può ricomprendersi il permesso di costruire.
La distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall'art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela (così, Consiglio Stato, Sez. IV, 05.12.2005, n. 6909).
Ai fini del computo delle distanze assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all’interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell’igiene (Consiglio di Stato, Sez. V, 19.03.1996, n.268).
Gli sporti, cioè le sporgenze da non computare ai fini delle distanze perché non attinenti alle caratteristiche del corpo di fabbrica che racchiude il volume che si vuol distanziare, sono i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in oggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, non invece le sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma di particolari dimensioni, che siano quindi destinate anche ad estendere ed ampliare per l'intero fronte dell'edificio la parte utilizzabile per l'uso abitativo (Consiglio Stato , Sez. IV, 05.12.2005, n. 6909)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.11.2010 n. 7731 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI volumi tecnici sono solo quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno.
Pertanto non sono tali -e quindi sono computabili ai fini della volumetria consentita- le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli "di sgombero"; e non è volume tecnico il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente, in realtà, una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda.

I volumi tecnici sono solo quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno.
Pertanto non sono tali -e quindi sono computabili ai fini della volumetria consentita- le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli "di sgombero"; e non è volume tecnico il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente, in realtà, una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (così, Consiglio Stato , sez. V, 13.05.1997, n. 483)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.11.2010 n. 7731 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Categoria OG11 - Categorie specialistiche - Principio di assorbenza - Operatività - Esclusione - Difetto del requisito specifico di qualificazione nella categoria specialistica richiesta dal bando - Qualificazione nella categoria generale - Sanatoria - Esclusione.
La qualificazione nella categoria OG11 non ricomprende ed assorbe necessariamente anche le qualificazioni singolarmente previste nelle categorie specialistiche (OS3, OS5, OS28 e OS30): pertanto, per un verso un bando di gara può legittimamente richiedere la qualificazione in una delle predette categorie specialistiche e, per altro verso, il difetto del requisito specifico della qualificazione nella categoria speciale, in presenza di tale lex specialis, non può essere sanato con la sola qualificazione per la categoria generale OG11 (Consiglio di Stato, sez. V, 30.10.2003, n. 6760) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 28.10.2010 n. 21850 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sui limiti del sindacato del giudice amministrativo in materia di valutazione dell'anomalia delle offerte.
La motivazione del giudizio formulato in merito all'anomalia delle offerte in una gara d'appalto di opera pubblica costituisce elemento decisivo ai fini della verifica giurisdizionale, in quanto consente un controllo sulla ratio dello stesso, non potendo il giudice sostituirsi alla p.a. o entrare nel merito dell'azione amministrativa.
Il sindacato del G.A. sulle valutazioni espressione di discrezionalità tecnica deve limitarsi al controllo formale dell'iter logico seguito nell'attività amministrativa; peraltro, esso deve involgere l'attendibilità delle operazioni tecniche, sotto il profilo della loro correttezza con riferimento ai criteri tecnici e relativo procedimento applicativo, ma esula dalla sua sfera di competenza il riesame delle autonome valutazioni dell'interesse pubblico, compiute dalla p.a. sulla base delle cognizioni tecniche acquisite.
Pertanto, compito del giudice è verificare se il potere amministrativo sia stato tecnicamente esercitato in modo conforme ai criteri di logicità, congruità, razionalità e corretto apprezzamento dei fatti; tuttavia gli è preclusa la possibilità di sovrapporre la sua idea tecnica al giudizio non erroneo né illogico formulato dall'organo amministrativo, cui la legge attribuisca la tutela dell'interesse pubblico nell'apprezzamento del caso concreto.
Di conseguenza, la pronuncia del G.A. può travolgere l'esito della gara, solo allorquando il giudizio negativo sul piano dell'attendibilità riguardi voci che rendano l'intera operazione economica non plausibile e non suscettibile di accettazione da parte della stazione appaltante, a causa dei dubbi inerenti l'idoneità dell'offerta a garantire l'efficace perseguimento dell'interesse pubblico (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.10.2010 n. 7631 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità della segretezza in sede di apertura delle buste contenenti le offerte nell'ambito di una procedura di cottimo fiduciario.
E' legittimo l'operato di una commissione giudicatrice che abbia proceduto all'apertura delle buste, contenenti le offerte, in seduta segreta, in quanto ai sensi dell'art. 125 del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti), in materia di cottimo fiduciario, non è previsto il rispetto di forme particolari, trattandosi di una gara informale, né il principio di pubblicità delle gare (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 28.10.2010 n. 716 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Noleggio di macchine con conducente: le responsabilità individuate dalla Corte di Cassazione.
Il nolo di macchine operatrici a Caldo, ovvero con conducente, è una circostanza ricorrente nei cantieri edili. Come sono attribuite le responsabilità in materia di sicurezza in tali casi?
Alcuni chiarimenti giungono dalla Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza n. 1514/2010.
La sentenza è relativa ad un infortunio occorso ad un lavoratore rimasto mortalmente folgorato mentre operava su una pompa autocarrata presa a noleggio ed utilizzata per la posa del calcestruzzo, pompa venuta in contatto di una linea elettrica sovrastante il mezzo e posta ad una distanza risultata non regolare.
In primo grado sono stati condannati (per il delitto di omicidio colposo in danno del lavoratore infortunato) il responsabile legale della società che ha noleggiato la macchina, il datore di lavoro dell'impresa che l'ha presa a noleggio ed il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione.
In appello è stata confermata la condanna degli imputati riducendo la pena del solo noleggiatore.
Contro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso il solo responsabile legale dell'impresa che aveva dato a noleggio l'attrezzatura.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso (link a www.acca.it).

APPALTI SERVIZI: Il servizio di verifica (cosiddette "ispezioni") sugli impianti termici siti negli stabili esistenti nei territori dei comuni della provincia con popolazione fino a 40.000 abitanti non è un servizio pubblico locale.
Sull'applicabilità del divieto di cui all'art. 13 del d.l. n. 223/2006, solo per le società che svolgono servizi strumentali agli enti pubblici da cui sono partecipate.

La vigente normativa in materia di esercizio e manutenzione di impianti termici obbliga i comuni (con più di quarantamila abitanti) e le province (per comuni con meno abitanti) ad "effettuare i controlli necessari e verificare con cadenza almeno biennale l'osservanza delle norme relative al rendimento di combustione "anche avvalendosi di organismi esterni aventi specifica competenza tecnica, con onere a carico degli utenti".
Tale attività oggetto dell'affidamento, nel caso di specie, pertanto, non consiste in una prestazione resa "a favore" della collettività locale o di singoli utenti, interessi sociali che l'ente locale s'è assunto per realizzare fini di promozione dello sviluppo economico e civile (cd. funzione di promozione), ma consiste piuttosto in una tipica funzione pubblica (cd. funzione di ordine) -esercitabile dagli enti locali direttamente o mediante organismi esterni dotati di specifiche competenze tecniche, ma mantenendone comunque la titolarità- che consiste nell'esercizio di un'attività di controllo e vigilanza su beni appartenenti a privati -che sono tenuti, in quanto conduttori di impianti potenzialmente pericolosi per l'ambiente, a subirli- al fine di verificare, nel superiore interesse pubblico alla salubrità dell'aria ed alla sicurezza ambientale, che questi rispettino gli standard previsti dalla legge a tutela della salute pubblica ed all'ambiente.
In altri termini, si tratta, evidentemente, di un compito che l'ente locale non ha assunto per libera scelta, ma che costituisce un obbligo imposto dal legislatore nazionale; dal canto loro, i privati, che tali verifiche sono tenuti a subire, si vengono a trovare nella posizione non già di "beneficiari" delle prestazioni erogate dall'ente esponenziale, bensì nello stato di soggezione alle verifiche effettuate dall'autorità investita delle funzioni di controllo o dal soggetto da questa "delegato".
Ne consegue che, la natura del "servizio" in questione -rilevante in quanto determinativa della disciplina applicabile- non sia quella di "servizio pubblico locale".
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Nel caso di specie, è legittimo l'operato della commissione aggiudicatrice che, ha respinto la richiesta di esclusione della società ai sensi dell'art. 13 del D.L. 4-7-2006 n. 223, convertito con modificazioni in L. 04.08.2006, n. 248, in quanto la suddetta società non è soggetto che "svolge servizi strumentali agli enti pubblici da cui è partecipata".
Non si ravvisano, infatti, la sussistenza dei caratteri di strumentalità e funzionalità, che devono sussistere per l'applicabilità del divieto di cui all'art. 13 del D.L. n. 223/2006, in considerazione dell'oggetto sociale della medesima e del prospetto sintetico delle attività svolte -che indica un'attività di natura imprenditoriale, diversificata sia per sua natura sia per clienti destinatari- nonché della partecipazione minoritaria degli enti territoriali interessati e della sostanziale mancanza di influenza sulle decisioni societarie.
Dalla documentazione prodotta, la suddetta società non risulta essere stata costituita come società strumentale, non ha ad oggetto specifico ed esclusivo lo svolgimento di servizi strumentali agli enti pubblici da cui è partecipata, ma si rivolge ad operare sul mercato come imprenditore privato, con indubbia "vocazione commerciale", anche al fine di occupare lavoratori specializzati provenienti da diversi settori produttivi e svolge attività operativa in diversi settori, che vanno da servizi di varia natura, destinati a clienti pubblici e privati, alla formazione del personale, all'attività di controllo ambientale; sotto il profilo dei soggetti destinatari, inoltre, si rivolge non solo ad enti pubblici, ma anche a favore di soggetti privati.
Né risulta che l'attività svolta a favore dell'ente locale ne costituisca la parte principale, né prevalente, tanto da consentirle di sfruttare la derivante "rendita di posizione" per acquisire commesse ulteriori a danno degli altri operatori sul mercato (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 27.10.2010 n. 33046 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Società miste e partecipazione alle gare.
La deroga al principio della libera concorrenza degli operatori economici nel mercato, prevista a carico delle società a capitale interamente pubblico o misto secondo le previsioni dell’art. 13 del D.L. 04.07.2006 n. 223, e s.m.i., non può essere oggetto di applicazione analogica.

Così ha stabilito il TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, con la sentenza 27.10.2010 n. 33046, affrontando un caso relativo all’ affidamento di servizi da parte di un ente pubblico.
Nel caso di specie una delle imprese concorrenti aveva impugnato l’aggiudicazione della gara ad una società mista, affidataria in via diretta di servizi pubblici locali per di Genova.
I giudici amministrativi, accertata la risoluzione del rapporto tra l’aggiudicataria e l’amministrazione provinciale in un periodo antecedente alla gara, concentrano la propria attenzione sulla possibilità per una società a partecipazione pubblico-privata di partecipare ad una procedura ad evidenza pubblica e concorrere in condizioni di parità con gli altri operatori economici.
I magistrati del Tar delineando la portata dell’art. 13 del D.L. 04.07.2006 n. 223, affermano che la norma “si applica nel caso in cui le società abbiano come oggetto sociale la produzione di beni e servizi strumentali all’attività degli enti (costituenti o partecipanti o affidanti) in funzione della loro attività oppure lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di competenza degli enti proprietari”.
Questa disposizione, quindi, “introduce una disciplina speciale consistente in una serie di limitazioni della loro autonomia negoziale, che da un lato restringono l’ordinaria capacità di agire delle società strumentali, limitandone l’attività operativa sotto il profilo dei soggetti destinatari e, quindi, incidendo pesantemente sull’autonomia negoziale della società – imponendo alle stesse di operare in esclusiva con gli enti costituenti e partecipanti o affidanti e precludendo la possibilità di rendere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati…..dall’altro costringendone pesantemente l’autonomia statutaria.”
All’interno di questo tema tanto discusso in dottrina e giurisprudenza la sentenza in esame conclude ribadendo il principio per cui, al fine dell’applicazione del divieto sopra citato, va verificato caso per caso se una società presenti i caratteri di strumentalità e funzionalità rispetto all’ente pubblico oppure si caratterizzi per operare nel mercato in diretta concorrenza con le altre imprese pubbliche o private, con il conseguente riconoscimento di agire in regime di parità di trattamento (si vedano altresì Cds sez. V, 22.03.2010, n. 1651; Tar Lazio sez. II, 05.06.2007, n. 5192).
Saranno, dunque, elementi dirimenti, la valutazione dell’oggetto sociale, del prospetto sintetico delle attività svolte nonché la quota societaria detenuta dagli enti pubblici e la loro effettiva influenza sulle decisioni societarie (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'esame delle offerte economiche prima di (o contestualmente a) quelle tecniche costituisce una palese violazione dei principi inderogabili di trasparenza e di imparzialità che devono presiedere le gare pubbliche.
Nella questione in esame si contesta l’omessa previsione, nella lettera d’invito, dell’invio in buste separate dell’offerta economica e della documentazione relativa ai profili qualitativi dell’offerta, in violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento.
Infatti, costituisce jus receptum il principio per cui, nelle procedure indette per l'aggiudicazione di appalti con la Pubblica amministrazione sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la commissione di gara è tenuta a valutare prima i profili tecnici delle offerte e, successivamente, le offerte economiche.
A tal fine è irrilevante che il bando rechi una specifica disposizione per stabilire quale delle due deve essere esaminata con priorità sull'altra, atteso che l'esame delle offerte economiche prima di (o contestualmente a) quelle tecniche costituisce una palese violazione dei principi inderogabili di trasparenza e di imparzialità che devono presiedere le gare pubbliche, giacché la conoscenza preventiva dell'offerta economica consente di modulare il giudizio sull'offerta tecnica in modo non conforme alla parità di trattamento dei concorrenti e tale possibilità, ancorché remota ed eventuale, inficia la regolarità della procedura (Cons. Stato, sez. V, 25.05.2009, n. 3217; TAR Sardegna, sez. I, 14.03.2009, n. 311; TAR Campania, Napoli, sez. I, 06.02.2008, n. 573) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 27.10.2010 n. 6532 - link a
www.mediagraphic.it).

APPALTI: Nelle procedure indette per l'aggiudicazione di appalti con la p.a. sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la commissione di gara è tenuta a valutare prima i profili tecnici delle offerte.
Costituisce jus receptum il principio per cui, nelle procedure indette per l'aggiudicazione di appalti con la p.a. sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la commissione di gara è tenuta a valutare prima i profili tecnici delle offerte e, successivamente, le offerte economiche.
A tal fine è irrilevante che il bando rechi una specifica disposizione per stabilire quale delle due deve essere esaminata con priorità sull'altra, atteso che l'esame delle offerte economiche prima di (o contestualmente a) quelle tecniche costituisce una palese violazione dei principi inderogabili di trasparenza e di imparzialità che devono presiedere le gare pubbliche, giacché la conoscenza preventiva dell'offerta economica consente di modulare il giudizio sull'offerta tecnica in modo non conforme alla parità di trattamento dei concorrenti e tale possibilità, ancorché remota ed eventuale, inficia la regolarità della procedura.
E' necessario, dunque, che le modalità di presentazione dell'offerta recate nella lex specialis di gara rechino prescrizioni adeguate ad evitare che il contenuto dell'offerta economica sia reso conoscibile alla commissione anteriormente all'esame dell'aspetto tecnico della medesima, in quanto anche la sola possibilità della conoscenza dell'entità dell'offerta economica anteriormente alle caratteristiche di quella tecnica mette in pericolo la garanzia dell'imparzialità dell'operato dell'organo valutativo.
Ne discende, nel caso di specie, che non avendo la lettera d'invito stabilito modalità adeguate ad impedire la contemporanea conoscibilità dell'offerta economica e di quella tecnica la procedura di gara ne resta irrimediabilmente viziata (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 27.10.2010 n. 6532 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'applicabilità dei soli artt. 68, 65 e 225 del d.lgs. 163/2006, per gli appalti riconducibili tra quelli di cui al n. 23 dell'allegato II B.
Non può essere esclusa da una gara l'impresa cessionaria del ramo d'azienda che non abbia presentato le relative dichiarazioni in ordine alla posizione della cedente - Sull'illegittimità della clausola di un bando di gara che richieda la fornitura di un prodotto di determinata una marca.

Agli appalti che rientrano tra quelli di cui al n. 23 dell'allegato II B, si applicano solo gli artt. 68, 65 e 225 del d.lgs. 163/2006, nonché i soli principi generali in materia di affidamenti pubblici desumibili dalla normativa comunitaria e nazionale. Ne discende che, nel caso di specie, mancando una esplicita previsione in tal senso da parte della disciplina di gara, la norma di cui all'art. 75 d.lgs. 163/2006 deve ritenersi inapplicabile con conseguente idoneità della fideiussione rilasciata a favore della sola mandataria a consentire la partecipazione alla gara del costituendo raggruppamento.
Manca nel codice appalti una norma, con effetto preclusivo, che preveda, in caso di cessione d'azienda, un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi della cedente, riferito sia agli amministratori e direttori tecnici della cedente sia ai debiti tributari e previdenziali dalla stessa contratti, mentre l'art. 51 del d.lgs. 163/2006 si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo di azienda successiva alla aggiudicazione della gara. Ne discende che, in assenza di tale norma e per il principio di soggettività e personalità della responsabilità, non può essere esclusa l'impresa cessionaria del ramo d'azienda che non abbia presentato le relative dichiarazioni in ordine alla posizione della cedente.
L'art. 68 d.lgs. 163/2006, che vieta l'introduzione nelle clausole contrattuali di specifiche tecniche che menzionano prodotti di una determinata fabbricazione o l'indicazione di un'origine o di una produzione determinata, costituisce, in virtù della sua finalità intrinseca di tutela dei principi della libera concorrenza e di non discriminazione, principio di generale applicazione e di diretta derivazione comunitaria; pertanto, l'eventuale indicazione nel bando di marchi o prodotti deve essere necessariamente collegata a diciture o clausole del tipo "o equivalente" o "tipo" che rendano manifesta la volontà dell'amministrazione di utilizzare il marchio o la denominazione del prodotto solo a titolo esemplificativo, per meglio individuare le caratteristiche del bene richiesto (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 26.10.2010 n. 7069 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ESPROPRIAZIONE: Cd. “occupazione acquisitiva” o “accessione invertita” - Procedura espropriativa - Conferimento ad una cooperativa edilizia - Decreto di esproprio - Scadenza del termine dell’occupazione legittima - Effetti - Corresponsabilità dell’Ente delegante per lesione patrimoniale - Presupposti - Risarcimento ex artt. 2043 e 2055 c.c..
In tema di espropriazione per pubblica utilità, qualora una cooperativa edilizia, cui sia stato conferito dal Comune espropriante l’incarico di compiere la procedura espropriativa e non soltanto di curare la realizzazione dell’opera, non abbia ottenuto la pronuncia del decreto di esproprio prima della scadenza del termine dell’occupazione legittima, ma, consapevole dell’illegittimità del persistere di questa, abbia provveduto all’esecuzione dell’opera stessa e reso irreversibile la destinazione pubblica dell’area, permanendo nel possesso dell’immobile pur dopo la scadenza di siffatto termine, è a detta cooperativa che, in veste di autrice materiale della radicale trasformazione del bene e, quindi, di responsabile per la lesione patrimoniale subita dal proprietario a seguito del maturarsi, in difetto di tempestiva emanazione del richiamato decreto, dei presupposti della figura della cosiddetta “occupazione acquisitiva” o “accessione invertita”, deve imputarsi l’illecito aquiliano risultante dal concorso di tale trasformazione e dall’illegittimità dell’occupazione in ragione del perdurare senza titolo di questa, ricadendo sul delegato, ancorché superficiario ovvero indipendentemente dalla circostanza che l’opera eseguita non entri nel patrimonio dell’autore della condotta, l’onere di attivarsi affinché il decreto di esproprio intervenga tem-pestivamente e la fattispecie venga mantenuta entro la sua fisiologica cornice di legittimità.
In tal caso, sussiste una corresponsabilità dell’Ente delegante il quale avrebbe dovuto promuovere la procedura espropriativa, atteso che siffatta procedura si svolge non solo “in nome e per conto” del Comune, ma “d’intesa” con esso (art. 60 della legge 22.10.1971, n. 865), sicché è da ritenere che detto Ente non si spogli, con la delega, della responsabilità relativa allo svolgimento della procedura stessa, ma conservi un potere di controllo e di stimolo dei comportamenti del delegato, il cui mancato o insufficiente esercizio, sotto il profilo della negligenza o dell’inerzia, è ragione di corresponsabilità con il medesimo delegato per i danni da quest’ultimo materialmente arrecati, restando pur sempre l’Ente, anche nell’ipotesi in cui ricorra all’istituto della delega, dominus della procedura e, quindi, responsabile della condotta del delegato, in applicazione del principio in forza del quale la delega ad un altro soggetto della cura della procedura espropriativa non fa venir meno, in chi tale delega abbia conferito, la qualità di espropriante e, quindi, il dovere di cooperare al controllo del razionale e tempestivo svolgimento della procedura stessa, cui si accompagna, quindi, come accennato, nell’ipotesi di mancata, tempestiva emanazione del decreto di esproprio, una posizione di corresponsabilità che obbliga lo stesso delegante, ove ne ricorrano tutti i presupposti (condotta attiva od omissiva; elemento psicologico della colpa; danno, nesso di causalità tra condotta e pregiudizio), al relativo risarcimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 2043 e 2055 c.c.). (Cass. Civ., sez. I, 12/07/2001, n. 9424, Cass. Civ. sez. I, 19/10/2007, n. 21096) (C.G.A.R.S., sentenza 26.10.2010 n. 1334 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Atti di localizzazione di una discarica - Impugnazione - Comuni confinanti - Legittimazione - Dimostrazione del danno ambientale.
Poiché la circostanza della prossimità all’opera da realizzare non è in sé idonea a radicare l’interesse al ricorso, i comuni confinanti hanno titolo ad impugnare gli atti di localizzazione di una discarica di rifiuti nel solo caso in cui siano in grado di fornire una congrua dimostrazione del danno ambientale che deriverebbe dall’impianto all’ambito territoriale di loro competenza (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 02.10.2006 n. 5713 e 14.04.2008 n. 1725) (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 26.10.2010 n. 473 - link a www.ambientediritto.it).

ENTI LOCALI: Alienazione di un bene immobile di proprietà comunale. Validità della graduatoria entro il limite delle prime due offerte.
E’ legittima la clausola di un bando di gara per l’alienazione di un bene immobile di proprietà comunale secondo cui, in caso di rinuncia da parte dell’aggiudicatario (quindi del primo miglior offerente), l’aggiudicazione spetta al secondo miglior offerente, ossia all’offerta economica, espressa in rialzo rispetto alla base d’asta indicata, immediatamente più conveniente per l’amministrazione, senza alcuno ulteriore scorrimento della graduatoria (che pertanto deve essere considerata valida e/o utile solo entro il limite delle prime due offerte).
La ratio di tale limitazione, infatti, risiede nella stessa tipologia di gara, con la quale l’Amministrazione tende ad ottenere il massimo profitto dalla vendita dell’immobile, con ciò limitando l’aggiudicazione al solo secondo miglior offerente proprio per evitare di procedere ad ulteriori ribassi e quindi ad aggiudicare a prezzi molto vicini alla base d’asta (con evidente minimo vantaggio economico per il Comune) (commento tratto da www.regione.piemonte.it - TAR Veneto, Sez. I, sentenza 25.10.2010 n. 5758 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Devono essere dichiarate tutte le condanne riportate e non solo quelle incidenti sulla moralità professionale poiché la valutazione di gravità compete unicamente all'amministrazione appaltante.
La sanzione accessoria della segnalazione all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici è illegittima ove il dichiarante versi in situazione di buona fede.

La non veridicità della dichiarazione circa la sussistenza di condanne penali ex art. 38, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006, integra una autonoma causa di esclusione dalla gara, a prescindere dalla valutazione in ordine all'idoneità della condanna riportata ad incidere la moralità professionale dell'impresa, la quale compete unicamente all'Amministrazione appaltante.
Inoltre, anche le sentenze assistite dal beneficio della non menzione nel casellario giudiziale e quelle a pena patteggiata vanno dichiarate dal concorrente e che la "non veridicità di quanto dichiarato dal partecipante a gara d'appalto in ordine all'assenza di condanne penali a suo carico rileva sotto un profilo oggettivo e conduce alla decadenza dai benefici ottenuti con l'autodichiarazione non veritiera indipendentemente da ogni indagine della stazione appaltante sull'elemento soggettivo" essendo le conseguenze decadenziali "legate solo alla obiettiva non veridicità dell'autodichiarazione resa".
Sono soggette, altresì, all'obbligo della dichiarazione tutte le sentenze e i decreti penali di condanna divenuti irrevocabili e non estinte con formale provvedimento dell'Autorità Giudiziaria in veste di Giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 445 c.p.p..
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La sanzione accessoria della segnalazione del fatto all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici è illegittima allorché l'impresa concorrente sia stata esclusa per aver dichiarato di possedere un requisito poi accertato insussistente, versando in situazione soggettiva di sostanziale buona fede, nella misura in cui essa non era a conoscenza dell'irrilevanza del mero decorso del tempo ai fini del maturarsi dell'estinzione del reato senza il provvedimento ancorché dichiarativo del Giudice penale dell'esecuzione (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 22.10.2010 n. 3738 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Mancanza o illeggibilità della firma apposta in calce, mancanza di autentica nella copia di un atto amministrativo.
La mancanza della sottoscrizione dell'atto amministrativo ovvero la mancata autentica della sua copia non integra un vizio assoluto di legittimità; con la conseguenza che, in mancanza di altri elementi, l'eventuale illeggibilità della firma nell’atto o nella sua copia si risolve in una mera irregolarità, in quanto consente comunque di dimostrare la provenienza dell'atto dal soggetto titolare di quel potere e non determina la giuridica inesistenza dell'atto stesso (Cfr. TAR Campania-Napoli, sez. III, 08.09.2006, n. 7983; TAR Toscana, sez. III, 19.03.1999, n. 42.
Ha precisato la sentenza in rassegna che, se è vero che la sottoscrizione dell'atto amministrativo è un elemento essenziale e necessario -per attestarne l'effettiva riferibilità alla p.a. emanante- è tuttavia irrilevante, nel senso che non è causa di invalidità o nullità, l'illeggibilità della firma apposta in calce ad un atto amministrativo, quando sia comunque possibile individuarne l'autore, ad esempio grazie alla dicitura dattiloscritta ed al timbro apposto sull'atto).
Né la mancanza di autentica sulla copia può essere elemento di illegittimità del provvedimento originale, fatti salvi i casi di falsità in atti da parte del pubblico ufficiale (commento tratto da www.regione.piemonte.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 21.10.2010 n. 32942 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’identità della volumetria e della sagoma costituisce un limite solo per gli interventi di ristrutturazione che comportano la previa demolizione dell’edificio; viceversa tali limiti non valgono per quegli interventi di ristrutturazione ordinaria (cioè senza previa demolizione) i quali devono mantenere inalterati gli elementi strutturali che individuano e qualificano l’edificio preesistente, potendo però comportare integrazioni strutturali e cioè in pratica anche modifiche non stravolgenti alla sagoma nonché limitati incrementi di superficie e volume.
Il concetto di ristrutturazione edilizia comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto, e venga, comunque, effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione.
Deve ritenersi illegittimo il titolo edilizio relativo ad un intervento edilizio di ristrutturazione che contempli demolizione e ricostruzione, laddove il nuovo edificio, pur caratterizzato da una volumetria inferiore, non rispetti le caratteristiche strutturali di quello demolito, quanto all’altezza e al numero di piani.

La giurisprudenza amministrativa può dirsi ormai consolidata sui seguenti concetti -espressi ex multis da Cons. St. Sez. IV 08.10.2007 n. 5214- che di seguito si riportano, in quanto condivisi :
Come è noto, la nozione di ristrutturazione edilizia si rinviene oggi nell’art. 3, comma 1, lettera d), del T.U. n. 380 del 2001 (interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente) e nell’art. 10, comma 1, lettera c), del citato T.U. (interventi .. che comportino modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti e delle superfici..).
Per quanto riguarda invece la ipotesi specifica di derivazione giurisprudenziale della ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, la relativa disciplina è stata per la prima volta introdotta nell’ordinamento positivo con l’art. 3, comma 1, lettera d), del T.U. n. 380 del 2001, il quale richiedeva la fedele ricostruzione (sagoma, volume, sedime e materiali) della preesistenza.
Successivamente, l’art. 1, comma 6, lettera b), della legge delega sulle infrastrutture n. 443 del 2001 ha richiesto identità di volume e sagoma.
Da ultimo, riprendendo tale impostazione, il D.L.vo n. 301 del 2002 ha eliminato dall’art. 3 del T.U. edilizia l’originario riferimento alla “fedele ricostruzione” (espungendo così ad es. il richiamo alle caratteristiche dei materiali) ma ha tenuto fermo che la ricostruzione costituisce ristrutturazione solo se il risultato finale coincide con la volumetria e sagoma preesistenti.
Dal raffronto fra i corpi normativi ora richiamati emerge con chiarezza, a giudizio del Collegio, che l’identità della volumetria e della sagoma costituisce un limite solo per gli interventi di ristrutturazione che comportano la previa demolizione dell’edificio; viceversa tali limiti non valgono per quegli interventi di ristrutturazione ordinaria (cioè senza previa demolizione) i quali devono mantenere inalterati gli elementi strutturali che individuano e qualificano l’edificio preesistente, potendo però comportare integrazioni strutturali e cioè in pratica anche modifiche non stravolgenti alla sagoma nonché limitati incrementi di superficie e volume.
Né le limitazioni suddette, apposte ora dalla legge solo all’ipotesi di ristrutturazione con previa demolizione, possono considerarsi irrazionali, in quanto si rapportano agli evidenti vantaggi (si pensi all’ipotesi di più restrittivi strumenti urbanistici sopravvenuti) che discendono dall’inquadramento dell’attività ricostruttiva di ciò che è stato demolito nell’ambito della ristrutturazione anziché in quello della nuova costruzione.
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha ripetutamente chiarito che, ai sensi della norma avanti citata, il concetto di ristrutturazione edilizia comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto, e venga, comunque, effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione (si veda fra le tante: C. Stato, sez. V, 03.04.2000, n. 1906)
.”.
In proposito sarà sufficiente richiamare, ad abundantiam, la decisione di Cons. St. n. 4011 del 2005, in ordine al concetto di demolizione (sia totale che parziale) e ricostruzione, laddove si rimarca che la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio deve riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma e volumi, censurando, altresì, ogni diversa indicazione contenuta nei regolamenti locali recante previsione difforme dalla normativa nazionale e regionale (nella fattispecie esaminata dal Consiglio di Stato, è stata censurata la norma regolamentare del Comune di Riccione ritenuta confliggente con la normativa di riferimento e la traiettoria ermeneutica ivi riportata appare utile anche per lo scrutinio della questione oggetto di delibazione).
Infatti, l'articolo 31 è formulato in modo di favorire le opere migliorative eseguite su manufatti già esistenti. Al riguardo, è significativo che la disposizione considera espressamente l'elenco delle attività disciplinate come "interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente".
In particolare, poi, l'art. 31, lettera d), qualifica la ristrutturazione edilizia come intervento volto a "trasformare gli organismi edilizi". In tal modo, dunque, il legislatore indica con chiarezza che l'intento perseguito è quello di agevolare il recupero estetico e funzionale di manufatti già inseriti nel tessuto edilizio, senza determinare un incremento del carico urbanistico dell'area considerata.
La trasformazione dell'edificio preesistente, finalizzata al suo recupero funzionale, può essere compiuta anche attraverso la demolizione radicale e la ricostruzione (fedele) di parti rilevanti del manufatto, specie quando ciò risulti più conveniente sotto il profilo tecnico od economico. E la Sezione ha ulteriormente allargato questa possibilità, estendendola alle ipotesi di totale demolizione e ricostruzione dell'edificio.
È stato sottolineato, tuttavia, che, anche in questo caso, l'intervento assentito con la concessione di ristrutturazione resta nell'ambito dell'articolo 31, lettera d), perché il nuovo edificio corrisponde pienamente a quello preesistente.
Al riguardo, è significativa la circostanza che la giurisprudenza segue un orientamento rigoroso, imponendo la piena conformità di sagoma, volume, e superficie, tra il vecchio ed il nuovo manufatto.
Nello specifico contesto del recupero del patrimonio edilizio esistente, quindi, la demolizione effettuata dallo stesso interessato (preventivamente e regolarmente assentita dall'amministrazione comunale) rappresenta lo strumento necessario per la realizzazione del risultato finale, costituito dal pieno ripristino del manufatto….E’ appena il caso di aggiungere, poi, che tale conclusione non sarebbe diversa ove volesse farsi riferimento alle disposizioni di cui all’art. 3 del D.P.R. 06.06.1980, n. 380, e successive modificazioni, che, com’è noto, non contiene più i limiti della “fedele ricostruzione”.
Anche se, per effetto della nuova normativa, la nozione di ristrutturazione è stata ulteriormente estesa, non per questo vengono meno i limiti che ne condizionano le caratteristiche e consentono di distinguerla dall’intervento di nuova costruzione: vale a dire la necessità che la ricostruzione sia identica, per sagoma, volumetria e superficie, al fabbricato demolito.
Anche escludendo il superato criterio della fedele ricostruzione, esigenze di interpretazione logico-sistematica della nuova normativa inducono a ritenere che la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio deve riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma e volumi.
Nel caso in esame, non può dubitarsi che l’intervento progettato, consistente nella sostituzione di un manufatto –abusivamente realizzato, costituito da un piano terra destinato a deposito-autorimessa, da un primo piano e da un piano sottotetto-mansarda destinati ad abitazione- con quattro villette unifamiliari non possa ricondursi alla nozione di ristrutturazione edilizia, atteso che l’attività edilizia richiesta, pur consistendo nella demolizione e ricostruzione, non avviene nel rispetto della stessa volumetria, sagoma e superficie del manufatto preesistente, e, quindi, è da qualificare come nuova costruzione, assoggettata al permesso di costruire e, quindi alle previsioni delle norme urbanistiche dettate in proposito dallo strumento urbanistico vigente (ex pluribus, C.d.S., sez. IV, 18.03.2008, n. 1117; 22.03.2007, n. 1388; 16.03.2007, n. 1276; 31.10.2006, n. 6464; sez. V, 04.03.2008, n. 918; Cass. Pen., sez. III, 08.04.2008, n. 28212; 26.10.2007, n. 47046), che, nella specie, non consente nuove edificazioni.
Deve ritenersi illegittimo il titolo edilizio relativo ad un intervento edilizio di ristrutturazione che contempli demolizione e ricostruzione, laddove il nuovo edificio, pur caratterizzato da una volumetria inferiore, non rispetti le caratteristiche strutturali di quello demolito, quanto all’altezza e al numero di piani (C.d.S., sez. V, 30.08.2006, n. 5061)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 21.10.2010 n. 11911 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimazione di un ricorso avverso una Concessione edilizia.
Nel caso di proposizione di un ricorso avverso una concessione edilizia, la legittimazione deve essere per lo meno specificata nell'impugnativa, con riferimento alla situazione concreta e fattuale, indicando la ragione, il come e la misura con cui il provvedimento impugnato si rifletta sulla propria posizione sostanziale determinandone una lesione concreta, immediata e attuale (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 07.07.2005, n. 3757).
Ne consegue che il presupposto processuale in questione ricorre allorché si "giustifichi" il petitum indicando la natura del collegamento ed il danno asseritamente subìto.
La legittimazione a impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, la quale non postula necessariamente l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale (Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16.03.2010, n. 1535).
Tale legittimazione sussiste anche nel caso in cui ci si dolga di un paventato pericolo per l’ambiente o di un danno derivante dallo stato idrogeologico dell’area (e non si prospettino interessi "patrimoniali ed egoistici") (commento tratto da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 20.10.2010 n. 7591 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'onere per l'impresa di impugnare tempestivamente gli atti della procedura di evidenza pubblica sorge solo a seguito dell'emanazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva.
Il Collegio osserva che la res controversa possa essere definita facendo puntuale applicazione del consolidato (e qui condiviso) orientamento giurisprudenziale secondo cui l’aggiudicazione provvisoria di un appalto pubblico ha natura di atto endoprocedimentale, ad effetti ancora instabili e del tutto interinali, sicché è inidonea a produrre la definitiva lesione dell’impresa non risultata aggiudicataria, che si verifica solo con l'aggiudicazione definitiva, la quale non costituisce atto meramente confermativo della prima ed in riferimento esclusivamente alla quale, quindi, va verificata la tempestività del ricorso.
Di conseguenza, l'onere per l'impresa di impugnare tempestivamente gli atti della procedura di evidenza pubblica, ad eccezione dell'esclusione dalla stessa e delle clausole del bando che rendano impossibile la partecipazione alla gara, sorge solo a seguito dell'emanazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva (in tal senso –ex plurimis-: Cons. Stato, Sez. V, sent. 12.07.2010, n. 4483; id., Sez. VI, sent. 06.04.2010, n. 1907; id., Sez. I, sent. 14.11.2008, n. 5691) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 20.10.2010 n. 7586 - link a
www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATAI vicini controinteressati non sono annoverabili tra i soggetti destinatari, ai sensi dell'art. 7 della L. n. 241/1990, della comunicazione di avvio di un procedimento per il rilascio di un titolo edilizio anche in sanatoria, poiché l'invocata estensione ad essi della predetta comunicazione comporterebbe un aggravio procedimentale in contrasto con i principi di economicità e di efficienza dell'attività amministrativa.
Il Collegio ritiene che i vicini controinteressati non siano annoverabili tra i soggetti destinatari, ai sensi dell'art. 7 della L. n. 241/1990, della comunicazione di avvio di un procedimento per il rilascio di un titolo edilizio anche in sanatoria, poiché l'invocata estensione ad essi della predetta comunicazione comporterebbe un aggravio procedimentale in contrasto con i principi di economicità e di efficienza dell'attività amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18.04.2005, n. 1773; TAR Veneto, 09.02.2007, n. 365).
E ciò vale a maggior ragione quando si tratti di soggetti (come, appunto, i ricorrenti) che in precedenza non si erano opposti all'attività edilizia del proprietario confinante (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 14.10.2010 n. 194 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare -ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura-, onde la ricostruzione su ruderi o su un edificio già da tempo demolito, anche se soltanto in parte, costituisce una nuova opera e, come tale, è soggetta alle comuni regole edilizie e paesistico-ambientali vigenti al momento della riedificazione.
Secondo costanti e consolidati precedenti giurisprudenziali di questo Consiglio, una ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare -ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura-, onde la ricostruzione su ruderi o su un edificio già da tempo demolito, anche se soltanto in parte, costituisce una nuova opera e, come tale, è soggetta alle comuni regole edilizie e paesistico-ambientali vigenti al momento della riedificazione (Consiglio di Stato, sez. IV, 15.09.2006, n. 5375 e sez. V: 15.04.2004, n. 2142; 29.10.2001, n. 5642; 01.12.1999, n. 2021; 10.03.1997, n. 240) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.10.2010 n. 7476 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALa decadenza dei vincoli urbanistici che comportano l'inedificabilità assoluta ovvero che privano il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico obbliga il Comune a procedere alla nuova pianificazione dell'area rimasta priva di disciplina urbanistica, obbligo che può però essere assolto a mezzo sia di una variante specifica che di una variante generale, che sono gli unici strumenti che consentono all'amministrazione comunale di verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale rispetto ai principi informatori della vigente disciplina del piano regolatore ed alle nuove esigenze di pubblico interesse.
La decadenza dei vincoli urbanistici che comportano l'inedificabilità assoluta ovvero che privano il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico, determinata dall'inutile decorso del termine quinquennale di cui all'art. 2, comma 1, l. 19.11.1968 n. 1187, decorrente dall'approvazione del piano regolatore generale, obbliga il Comune a procedere alla nuova pianificazione dell'area rimasta priva di disciplina urbanistica, obbligo che può però essere assolto a mezzo sia di una variante specifica che di una variante generale, che sono gli unici strumenti che consentono all'amministrazione comunale di verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale rispetto ai principi informatori della vigente disciplina del piano regolatore ed alle nuove esigenze di pubblico interesse (Consiglio Stato, sez. IV, 21.08.2006, n. 4843) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.10.2010 n. 7442 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La fascia di rispetto stradale ha un contenuto omnicomprensivo, che incide sulla recinzione e su qualsiasi altro manufatto avente carattere di consistenza e stabilità.
Gli interventi in questione, oggetto dell’impugnata ordinanza, sono costituiti dall’installazione di sette pali metallici alti 9 metri posti a sostegno di fari, dieci lampioni alti 3,50 metri, quattro pali portabandiera alti 7-8 metri, una zona lavaggio auto con calcestruzzo grigliato, un cartellone pubblicitario, due tettoie, zona pavimentata con grigliato in calcestruzzo, recinzione e cancello metallici anziché in legno, recinzione su cordolo in cemento armato.
Trattasi di opere che, nell’insieme, per dimensioni e destinazione modificano in via definitiva l’assetto del territorio, in contrasto sia con la zonizzazione agricola, sia con le preclusioni derivanti dalla fascia di rispetto stradale in cui esse ricadono.
Le ricorrenti, in particolare, affermano che la recinzione ed il cancello in esame rientrano tra gli interventi liberamente realizzabili, in quanto espressione del diritto di escludere i terzi dalla proprietà privata.
Al riguardo occorre considerare che la predetta fascia di rispetto ha un contenuto omnicomprensivo, che incide sulla recinzione e su qualsiasi altro manufatto avente carattere di consistenza e stabilità (TAR Toscana, III, 20/05/2002, n. 1035).
Inoltre, come specificato al punto 10 della contestata ordinanza, una parte della recinzione è su cordolo in calcestruzzo, il quale richiede il rilascio del permesso di costruire e giustifica di per sé l’ordine di rimessa in pristino, a prescindere dagli effetti della destinazione a fascia di rispetto stradale (TAR Lombardia, Milano, IV, 29/12/2009, n. 6266) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 04.10.2010 n. 6437 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’individuazione dell’area da acquisire (nel caso di abuso edilizio) non costituisce requisito di legittimità dell’ordine di demolizione, ben potendo essere posticipata al momento dell’accertamento dell’inottemperanza o al momento dell’acquisizione.
Vale qui richiamare l’orientamento giurisprudenziale, ormai pacificamente affermatosi, secondo cui l’individuazione dell’area da acquisire non costituisce requisito di legittimità dell’ordine di demolizione, ben potendo essere posticipata al momento dell’accertamento dell’inottemperanza o al momento dell’acquisizione (Cons. Stato, IV, 26/09/2008, n. 4659; TAR Toscana, III, 20/01/2009, n. 24; idem, 23/01/2008, n. 42) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 04.10.2010 n. 6437 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una recinzione e di un “piano inghiaiato rullato sovrastante a stabilizzato di cava”  costituiscono trasformazione permanente del territorio; esse contraddicono inoltre la vocazione agricola impressa dallo strumento urbanistico.
Con il settimo rilievo le deducenti sostengono che non vi è stata trasformazione urbanistico edilizia, trattandosi peraltro di manufatti assentiti con le autorizzazioni n. 6/2000 e n. 4/2001 sull’evidente presupposto della loro precarietà; in particolare, le società istanti affermano l’irrilevanza, dal punto di vista urbanistico, della recinzione e del “piano inghiaiato rullato sovrastante a stabilizzato di cava”.
Il motivo non è condivisibile.
Le predette opere, funzionali ad un permanente utilizzo commerciale dell’area e non ad uno scopo contingente o occasionale, come tali costituiscono trasformazione permanente del territorio; esse contraddicono inoltre la vocazione agricola impressa dallo strumento urbanistico.
Orbene, alla luce del recente orientamento giurisprudenziale, al quale il Collegio ritiene di aderire, anche il mero spargimento di ghiaia senza titolo edilizio, su un’area che in precedenza ne era priva, può essere oggetto dell’ordine di reintegrare il pregresso stato dei luoghi, allorché sia preordinato alla modifica della precedente destinazione d’uso.
Richiedono, infatti, il permesso di costruire anche la modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione (Cons. Stato, V, 31/12/2008, n. 6756; idem, 22/12/2005, n. 7343; TAR Lombardia, Brescia, 11/01/2006, n. 32). D’altra parte è stata riconosciuta la rilevanza urbanistica anche del solo spianamento di un terreno agricolo con riporto di sabbia e ghiaia, realizzato al fine di ottenere un piazzale per deposito e smistamento di autocarri (Cass. pen., III, 09/06/1982)
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 04.10.2010 n. 6437 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per individuare la natura precaria di un’opera si deve seguire non il criterio strutturale ma quello funzionale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre il permesso di costruire, i manufatti che, anche se non infissi nel suolo, alterino per loro intrinseca destinazione lo stato del luogo in modo stabile.
Per individuare la natura precaria di un’opera si deve seguire non il criterio strutturale ma quello funzionale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre il permesso di costruire, i manufatti che, anche se non infissi nel suolo, alterino per loro intrinseca destinazione lo stato del luogo in modo stabile (TAR Lombardia, Brescia, I, 30/03/2009, n. 720) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 04.10.2010 n. 6437 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - URBANISTICAUn privato che sia danneggiato da una previsione urbanistica estranea al conflitto di interessi degli amministratori comunali non può avvalersi di questa situazione di illegittimità per ottenere la caducazione dell’intero piano urbanistico.
Per quanto riguarda i piani urbanistici la rilevanza del conflitto di interessi è stata però ridimensionata dall’art. 78 commi 2 e 4, del Dlgs. 267/2000 sotto due profili:
(a) l’obbligo di astensione vale solo “nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado”;
(b) l’illegittimità derivante dalla violazione dell’obbligo di astensione non si estende all’intero piano urbanistico ma alle sole parti immediatamente e direttamente correlate agli interessi dell'amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado.
Dunque un privato che sia danneggiato da una previsione urbanistica estranea al conflitto di interessi degli amministratori non può avvalersi di questa situazione di illegittimità per ottenere la caducazione dell’intero piano urbanistico (v. TAR Brescia, Sez. I, 08.07.2009 n. 1461).
Pur essendo successiva ai fatti di causa la disposizione dell’art. 78, commi 2 e 4, del Dlgs. 267/2000 può essere considerata applicabile, sia perché può essere letta come una norma di chiarimento non necessariamente innovativa rispetto all’art. 279 del RD 383/1934, sia in omaggio al principio di conservazione degli atti (utile per inutile non vitiatur) (TAR Lombardia-Brescia, sez. I, sentenza 04.10.2010 n. 3724 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Autocertificazione e requisiti morali.
La mera sussistenza di una condanna definitiva per reati astrattamente incidenti sulla moralità professionale delle imprese, non vale a integrare la causa di esclusione di cui all'art. 38, c. 1°, lett. c), del D.Lgs. n. 163 del 2006, occorrendo invece una concreta valutazione da parte della stazione appaltante della gravità di tale condanna.
Non può dirsi insussistente il requisito della moralità professionale dell’impresa nel caso in cui il legale rappresentante di una delle imprese sia stato condannato, con sentenza irrevocabile, per violazione delle norme in materia di controllo dell’attività urbana edilizia ex art. 20, l. n. 47 del 1985, per un reato non connesso all’attività professionale svolta e non grave (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.09.2010 n. 6694 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Interpretazione del bando, regolarizzazione documentale e ipotesi di esclusione.
Costituisce principio generale quello che afferma l’equipollenza della spedizione postale alla presentazione diretta; tale principio, che può essere desunto da numerose disposizioni di legge, è inteso a sollevare il privato dal rischio di disfunzioni del servizio postale ed a consentirgli l’integrale disponibilità del termine.
Pertanto, in mancanza di una regola diversa fissata nella lex specialis di una procedura ad evidenza pubblica, il termine finale per la presentazione della domanda del privato alla pubblica amministrazione deve considerarsi osservato ove tale domanda sia inoltrata in tempo utile a mezzo raccomandata, rilevando in tal caso la data di spedizione e non quella di ricezione da parte della destinataria (massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.09.2010 n. 6678 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Bandi di gara, requisiti ulteriori e onere di immediata impugnazione.
Non possono ritenersi illegittime le regole delle procedure ad evidenza pubblica richiedenti, a pena di esclusione, la presentazione delle giustificazioni preventive, pure ulteriori rispetto a quelle indicate dagli artt. 86 e 87 del Codice dei contratti pubblici, giacché tale richiesta non si pone in contrasto con alcuna disposizione normativa, sia nazionale che comunitaria. Anzi la stessa richiesta è ragionevole, non comporta un onere documentale incongruo ed eccessivo e risponde a finalità di accelerazione e semplificazione della procedura, essendo garanzia di serietà dell’offerta, scongiurando il pericolo che le giustificazioni vengano ricostruite solo ex post, anziché essere realmente esistenti al momento della formulazione dell’offerta.
Nel caso in cui il bando di gara richieda, a pena di esclusione, la presentazione di giustificazioni preventive delle offerte, va disposta l’estromissione dalla gara di una ditta che non abbia rispettato tale clausola, indipendentemente dal fatto che il prezzo offerto possa rivelarsi congruo ad una successiva ed ipotetica verifica.
In tal caso, peraltro, la esclusione va disposta senza la necessità di instaurazione del previo contraddittorio, trattandosi di una fase anteriore a quella di verifica delle offerte sospettate di essere anomale (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2010 n. 6518 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Esame delle offerte e anomalie.
L'esame delle offerte economiche prima di quelle tecniche costituisce una palese violazione dei principi inderogabili di trasparenza e di imparzialità che devono presiedere le gare pubbliche, in quanto la conoscenza preventiva dell'offerta economica consente di modulare il giudizio sull'offerta tecnica in modo non conforme alla parità di trattamento dei concorrenti e tale possibilità, ancorché remota ed eventuale, inficia la regolarità della procedura.
Anche la sola possibilità della conoscenza dell'entità dell'offerta economica e delle caratteristiche di quella tecnica mette in pericolo la garanzia dell'imparzialità dell'operato dell'organo valutativo, comportando il rischio che i criteri siano plasmati ed adattati alle offerte in modo che ne sortisca un effetto potenzialmente premiante nei confronti di una di esse; è pertanto legittima l’esclusione dalla gara di appalto di una impresa che abbia inserito nel documento informatico dell’offerta tecnica il computo metrico estimativo corredato dai relativi prezzi, rendendo così esplicito, nell’ambito della documentazione di tipo tecnico, l’incidenza dei costi sull’offerta economica (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2010 n. 6509 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Bandi di gara, requisiti ulteriori e onere di immediata impugnazione.
E’ illegittima la clausola della lex specialis di una gara di appalto che, in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità che presiedono le procedure di gara, impone, a pena di esclusione, l’indicazione dell’oggetto della gara, oltre che sul plico contenente l’offerta, anche sulla busta interna a detto plico, recante in separati involucri la documentazione amministrativa e l’offerta economica; è conseguentemente illegittimo il provvedimento di esclusione adottato in applicazione della suddetta clausola del bando nei confronti di una ditta che ha presentato l’offerta con l’indicazione dell’oggetto della gara solo sul plico esterno e non anche sulla busta interna (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2010 n. 6507 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Procedura di gara, vincolo contrattuale e autotutela.
Non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno avanzata da un concorrente ad una gara pubblica, derivante da asserita responsabilità precontrattuale della P.A., ex art. 1337 c.c., per avere la stazione appaltante dapprima indetto una gara e, successivamente, revocato in autotutela i relativi atti, a causa della carenza di disponibilità finanziaria, ed al fine di svolgere in economia i servizi da appaltare, nel caso in cui la revoca sia intervenuta in costanza del termine di scadenza per la presentazione delle domande di partecipazione alla gara (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2010 n. 6489 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Collegamento tra imprese.
E’ illegittima l’esclusione da una gara di appalto di due o più imprese per la sussistenza di un collegamento "sostanziale" tra le stesse ove tale collegamento sia stato desunto dalla presenza di intrecci societari tra le imprese interessate, che non siano indicativi di una situazione di collegamento sostanziale tra le stesse imprese, nel caso in cui la clausola di esclusione prevista dal bando faccia riferimento, in base ai principi che la legittimano, unicamente al collegamento tra le società e alla connessa influenza decisionale tra le stesse, rispetto alla quale la mera presenza di soci comuni non ha, di per sé, valore dirimente (massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.09.2010 n. 6469 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Bandi di gara, requisiti ulteriori e onere di immediata impugnazione.
In tema di requisiti di partecipazione alle gare pubbliche, deve ritenersi che, nonostante la discrezionalità che caratterizza la previsione, da parte della stazione appaltante, di tali requisiti nella stesura del bando, tale scelta non è insindacabile ogni volta che trascenda i principi della razionalità e proporzionalità, traducendosi in un’indebita restrizione della concorrenza.
E’ illegittimo, in quanto eccessivamente restrittivo per la partecipazione delle ditte concorrenti ed in contrasto con i principi nazionali e comunitari di libera concorrenza, razionalità e proporzionalità, un bando di gara per l’affidamento di un appalto di servizi di ristorazione, per un limitato periodo di tempo (nella specie, si trattava di un anno) che contenga la previsione secondo la quale le ditte partecipanti devono necessariamente possedere la certificazione di qualità rispetto ad una prestazione meramente accessoria quale la pulizia e sanificazione delle stoviglie e dei locali, e secondo la quale tali certificazioni di qualità debbano essere possedute da almeno cinque anni; tali requisiti, infatti, devono ritenersi sproporzionati, anche in relazione al modesto importo del contratto posto a base di gara, determinato dalla breve durata del servizio (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 27.08.2010 n. 3262 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Interpretazione del bando, regolarizzazione documentale e ipotesi di esclusione.
La stazione appaltante è tenuta ad applicare in modo rigoroso ed incondizionato le clausole inserite nella "lex specialis" relative ai requisiti, formali e sostanziali, di partecipazione, ovvero alle cause di esclusione, atteso che proprio il formalismo caratterizza la disciplina delle procedure di gara, rispondendo esso, per un verso, ad esigenze pratiche di certezza e celerità e, per altro verso, alla necessità di garantire l'imparzialità dell'azione amministrativa e la parità di condizioni.
Non può ritenersi irrazionale le modalità di presentazione delle offerte comprendenti sia la sigillatura con la ceralacca sia la controfirma del rappresentante dell’impresa sui lembi di chiusura, in quanto mirano ad assicurare l’autenticità dell’offerta e, comunque, non appaiono particolarmente gravosi per i partecipanti alla procedura di gara.
Pertanto deve ritenersi legittima l’esclusione di una ditta nel caso in cui abbia presentato un plico sigillato con ceralacca ma privo della controfirma sui lembi di chiusura, in contrasto con un’espressa previsione del bando (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 23.08.2010 n. 430 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Accesso agli atti e comunicazioni.
Una comunicazione effettuata dalla stazione appaltante ad una impresa, dell’avvenuta esclusione dell’impresa stessa da una gara pubblica, trasmessa a mezzo fax, è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione, nel caso in cui l'uso del fax sia sostanzialmente previsto dalla lex specialis di gara e l’impresa destinataria della comunicazione abbia di fatto accettato le precedenti
comunicazioni della P.A. a mezzo fax (nella specie, si trattava di comunicazioni sul controllo dei requisiti) al numero indicato in precedenza all'Amministrazione per la ricezione di comunicazioni inerenti la gara; infatti, la previsione da parte della lex specialis di tale mezzo di trasmissione rende idonea la comunicazione via fax anche dell’atto di esclusione, ai fini della piena cognizione del contenuto del provvedimento, e risulta rispettosa dell’art. 77 del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale stabilisce la facoltà per le stazioni appaltanti e per gli operatori economici di inviare le comunicazioni via telefax, purché di ciò si dia comunicazione nel bando o nell’invito (massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.08.2010 n. 5845 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Esame delle offerte e anomalie.
E’ legittima l’esclusione di una ditta da una gara per l’affidamento di un appalto pubblico, che sia motivata con riferimento all’anomalia e/o all’incongruità dell’offerta presentata dalla ditta esclusa, nel caso in cui tale ditta abbia dichiarato (applicando conseguentemente i relativi minori costi) di voler prendere in considerazione, per il trattamento economico dei propri dipendenti, durante il corso dell’espletamento dell’appalto, i dati di un contratto collettivo nazionale di lavoro diverso da quello relativo al settore di attività oggetto dell’appalto e, pertanto, inapplicabile al medesimo appalto, nonché di gran lunga economicamente più favorevole all’impresa, in quanto comportante costi del personale fortemente meno onerosi per l’impresa stessa (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.08.2010 n. 5820 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Esame delle offerte e anomalie.
E’ legittimo il giudizio di anomalia espresso dalla P.A. in sede di verifica delle offerte nel caso in cui risulti che il prezzo offerto non avrebbe superato il solo costo della manodopera e non sia stata fornita dal concorrente alcuna prova che gli operai addetti al servizio, al momento dello svolgimento della gara, fossero in possesso dei requisiti necessari (requisito di iscrizione, come disoccupati, da almeno due anni presso il competente Centro dell’impiego e quello del reddito annuale da lavoro, inferiore al limite degli 8.000,00 euro) per poter godere degli sgravi contributivi previsti dalla legge n. 407 del 1990 (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.08.2010 n. 5638 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Interpretazione del bando, regolarizzazione documentale e ipotesi di esclusione.
L’omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può considerarsi alla stregua di un’irregolarità sanabile e, quindi, non ne è permessa l’integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali; ciò tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze generati dall’ambiguità di clausole della legge di gara.
In presenza di una prescrizione chiara, infatti, la regolarizzazione costituirebbe violazione della par condicio fra i concorrenti.
Ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), i criteri esposti ai fini dell’integrazione documentale riguardano semplici chiarimenti di un documento incompleto, ma non possono servire a sopperire la mancanza di un documento (quali, ad esempio, la certificazione dei carichi pendenti o la dichiarazione sostitutiva) (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez V, sentenza 02.08.2010 n. 5084 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Accesso agli atti e comunicazioni.
L’art. 13, c. 6°, del D.lgs. n. 163/2006, non costituisce una previsione derogatoria di carattere generale, ma piuttosto un’ipotesi di speciale deroga, da applicare esclusivamente nei casi in cui l’accesso sia inibito in ragione della tutela di segreti tecnici o commerciali motivatamente evidenziati dall’offerte in sede di presentazione dell’offerta.
Il carattere segreto delle informazioni tecniche e commerciali -che deve risultare da motivata dichiarazione dell’offerente prodotta in sede di presentazione dell’offerta- non può costituire ostacolo alla esibizione della restante documentazione di gara nei confronti dei terzi contro interessati, potendo, tutt’al più, consentirne lo stralcio dalla documentazione da esibire, con facili accorgimenti tecnici (ad esempio “omissis”) (massima tratta da http://doc.sspal.it -  Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30.07.2010 n. 5062 - - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Autocertificazione e requisiti morali.
Ai fini della ricorrenza causa di esclusione dalle gare di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), del D.L.vo n. 163 del 2006, non è necessario che il comportamento di grave negligenza o mala fede sia accertato in sede giurisdizionale, essendo sufficiente la valutazione che la stessa Amministrazione abbia fatto in sede amministrativa del comportamento tenuto in precedenti rapporti contrattuali.
L’art. 38, comma 1, lett. f), citato, nel prevedere l’esclusione dalle gare di appalto dell’impresa che ha commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione di precedenti appalti, non ha carattere sanzionatorio, ma contempla una misura a presidio dell’elemento fiduciario, che esclude di per sé qualsiasi automatismo, perché l’esclusione deve essere il risultato di una "motivata valutazione"; la motivazione, tuttavia, può essere costituita dal riferimento all’episodio contestato, in base ad un’attività di mero riscontro della fattispecie concreta con quella astratta (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28.07.2010 n. 5030 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Procedura di gara, vincolo contrattuale e autotutela.
L’orientamento passato della giurisprudenza secondo cui nei contratti stipulati della P.A. il processo verbale di aggiudicazione definitiva equivarrebbe, ad ogni effetto legale, al contratto stipulato, è da ritenere ormai superato dalla giurisprudenza più recente, la quale riconosce al verbale di aggiudicazione della licitazione privata carattere meramente provvisorio. Deve ritenersi infatti che l'art. 16, 4° comma, del R.D. 18.11.1923 n. 2440 (secondo cui l’aggiudicazione equivale al contratto) non ha di per sé natura automatica e obbligatoria, non potendosi escludere che la P.A. stessa, cui spetta valutare discrezionalmente l'interesse pubblico, possa rinviare, anche implicitamente, la costituzione del vincolo al momento della stipulazione del contratto, fino al quale non esiste un diritto soggettivo dell'aggiudicataria all'esecuzione dello stesso.
Anche se nei contratti della P.A. l'aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna di norma il momento dell'incontro della volontà della stessa Amministrazione e del privato di concludere il contratto (manifestata con l'individuazione dell'offerta ritenuta migliore), non è tuttavia precluso alla P.A. stessa di procedere, con atto successivo e con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, all'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione, fondandosi detta potestà di annullamento in autotutela sul principio costituzionale di buon andamento che impegna la P.A. ad adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire, ma con l'obbligo incombente su di essa di fornire una adeguata motivazione in ordine alle ragioni che, alla luce della comparazione dell'interesse pubblico con le contrapposte posizioni consolidate dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di autotutela.
Non occorre una specifica motivazione sull’interesse pubblico per l’adozione di un atto di annullamento dell’aggiudicazione di una gara intervenuto a breve distanza da essa, essendo sufficiente in tal caso, in considerazione del breve lasso intercorso, il riferimento all’illegittimità della disposta aggiudicazione, dovendosi ritenere l’interesse pubblico in re ipsa (massima tratta da http://doc.sspal.it -  Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.07.2010 n. 4864 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Esame delle offerte e anomalie.
Nelle gare di appalto, in sede di verifica delle offerte anomale, il responsabile unico del procedimento (RUP) non è competente ad esprimere un giudizio definitivo sul carattere o meno anomalo delle offerte, a nulla rilevando che tale giudizio sia stato seguito dalla presa d’atto da parte della commissione di gara; il RUP (anche se competente nel settore al quale attiene l’oggetto della gara) può, infatti, dare pareri d’ordine tecnico, ragguagli ed altri elementi utili alla valutazione delle offerte presentate in sede di gara con aggiudicazione all’offerta più vantaggiosa, ma non può essere rimesso allo stesso il giudizio definitivo sulla congruità delle offerte allorché sia stata costituita un’apposita Commissione valutatrice.
Sono pertanto illegittime le valutazioni espresse dal RUP, poi fatte proprie dalla Commissione valutatrice della gara con una semplice presa d’atto (che non risulta avere effettuato alcuna autonoma valutazione), con le quali è stato escluso, a seguito di apposita verifica, che l’offerta dell’impresa aggiudicataria fosse affetta da anomalia (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.07.2010 n. 4584 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISull'istituto della "convalida" degli atti amministrativi affetti da vizi di legittimità.
Come è noto la giurisprudenza, già in epoca antecedente alla novella apportata dall’art. 14 della legge n. 15 del 2005, ha costantemente riconosciuto all’Amministrazione la facoltà di sanare i propri atti affetti da vizi di legittimità -sulla base del principio di economia dei mezzi giuridici- con una manifestazione di volontà intesa ad eliminare il vizio da cui l'atto è inficiato.
Nel caso in cui alla sanatoria provvede l’autorità competente all’adozione dell’atto posto in essere in modo viziato –sia stata o meno essa ad adottare quest’ultimo– si ha la convalida, che in sostanza consiste in una dichiarazione espressamente rivolta ad eliminare il vizio dell’atto invalido.
In concreto il fenomeno può verificarsi nel caso di atti invalidi per vizi formali o di procedura o per incompetenza: in tale ultima ipotesi il potere di convalida è naturalmente di spettanza di una autorità diversa da quella che ha adottato l’atto originario.
Per costante giurisprudenza, l’esercizio della facoltà di convalida comporta l'emanazione di un provvedimento, nuovo ed autonomo rispetto al provvedimento da convalidare, di carattere costitutivo, che si ricollega all'atto convalidato al fine di mantenerne fermi gli effetti fin dal momento in cui esso venne emanato (c.d. efficacia "ex tunc" della convalida).
Da ciò consegue che gli effetti giuridici –a differenza di quanto avviene nel caso della rinnovazione dell’atto viziato- si imputano all'atto convalidato, rispetto al quale quello convalidante si pone soltanto come causa ostativa all'eventuale annullamento per illegittimità.
Applicando questi criteri al caso in esame deve perciò confermarsi la tardività delle censure rivolte avverso gli atti convalidati, atti dei quali è stata infatti già accertata –con efficacia di giudicato derivante dalle sentenze TAR Marche n. 1047 del 2000 e IV Sez. n. 3878 del 2001– la pregressa e risalente piena conoscenza da parte dell’originario ricorrente.
Con la prima parte del secondo motivo l’appellante deduce che, nel caso di sanatoria operata da organo amministrativo diverso da quello che ha emanato l’atto illegittimo, non può parlarsi di convalida, essendo tale istituto applicabile solo quando lo stesso organo che ha emanato l’atto invalido provvede ad eliminare il vizio.
Questa tesi non è condivisibile, essendo pacifico in dottrina e giurisprudenza –come si è sopra detto- che alla convalida può provvedere anche una autorità diversa da quella che ha adottato l’atto da convalidare.
Dirimenti indicazioni in tal senso, del resto, si rinvengono nell’art. 6 della legge n. 249 del 1968 che ammette la convalida, anche nel corso del giudizio, dell’atto viziato per incompetenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.07.2010 n. 4460 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Autocertificazione e requisiti morali.
Sussiste il falso innocuo quando esso si riveli in concreto inidoneo a ledere l'interesse tutelato dalla genuinità dei documenti e cioè quando non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico, nel senso che l'infedele attestazione o la compiuta alterazione appaiano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto e del suo valore probatorio e, pertanto, inidonee al conseguimento delle finalità che con l'atto falso si intendevano raggiungere; in tal caso, infatti, la falsità non esplica effetti sulla funzione documentale che l'atto è chiamato a svolgere, che è quella di attestare i dati in esso indicati, con la conseguenza che l'innocuità non deve essere valutata con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 08.07.2010 n. 4436 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Esame delle offerte e anomalie.
Nel caso di procedura di gara indetta secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la valutazione dell’anomalia non si limita all’elemento prezzo, ma è rivolta anche agli elementi qualitativi dell’offerta, nonché al rapporto tra le due componenti, in presenza di un significativo scarto tra ridotto prezzo offerto ed elevato standard qualitativo delle prestazioni.
Le operazioni di verifica delle offerte anomale vanno compiute normalmente dalla stessa commissione di gara fino alla formale chiusura della gara pubblica, in difetto di una disposizione normativa ovvero di una espressa previsione che disponga in senso contrario (massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.07.2010 n. 4434 - link a ww
w.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Per l'approvazione di un Piano di Recupero non è necessario il parere della Commissione Edilizia.
Non è fondato neanche il secondo motivo di ricorso in cui si deduce che la delibera approvata sarebbe illegittima per aver omesso in corso di procedimento l’acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale.
A giudizio della giurisprudenza amministrativa, non è necessaria l’acquisizione del parere per la procedura di approvazione del piano di recupero (cfr. Tar Venezia, I, 443/1998: il piano di recupero di iniziativa privata deve chiudersi con un provvedimento espresso da parte del consiglio comunale. Non è obbligatorio richiedere il parere della commissione edilizia; ma nel caso in cui tale parere venga richiesto, esso non può sostituire il necessariamente espresso e formale provvedimento terminale del procedimento che solo il consiglio comunale è deputato ad emettere)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.06.2010 n. 2329 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: I piani di recupero possono avere ad oggetto non solo un semplice recupero edilizio, ma anche un recupero urbanistico vero e proprio, che può essere attuato anche mediante la demolizione di edifici preesistenti; in tal caso, il piano di recupero si presenta come strumento del tutto autonomo, ed alternativo, rispetto al piano particolareggiato.
N
on è fondato neanche il terzo motivo del ricorso principale in cui si deduce che la delibera approvata sarebbe illegittima per violazione della l. 457/1978 in quanto i piani di recupero dovrebbero agevolare il recupero del patrimonio edilizio esistente, laddove il progetto presentato dalla controinteressata prevede che gli edifici siano demoliti (in realtà, che siano demoliti solo in parte).
La norma attributiva del potere esercitato in concreto dall’amministrazione nel caso in esame è l’art. 27 l. 457/1978 che dispone nel suo primo periodo che “i comuni individuano, nell'ambito degli strumenti urbanistici generali, le zone ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso”.
Le espressioni usata dalla norma attributiva di potere sono, pertanto, “conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione” del patrimonio. Non si parla espressamente di demolizione, ma si usano termini come “ricostruzione” che lasciano sottendere la possibilità di disporre demolizione nell’approvazione di un piano di recupero.
Questa interpretazione è stata confermata dalla giurisprudenza amministrativa che si è espressa più volte sulla compatibilità tra piano di recupero e demolizione degli edifici da recuperare ed ha sempre ammesso la possibilità di ricorrere ad esse.
Sul punto, ad esempio, CdS, IV, 4759/2009, secondo cui “il piano di recupero, in quanto strumento attuativo, è suscettibile di perseguire sia finalità di recupero del patrimonio edilizio esistente in misura più complessa degli interventi di manutenzione ordinaria e di ristrutturazione edilizia, sia finalità di recupero urbanistico, e può quindi prevedere interventi rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale”.
In termini più espliciti Tar Toscana, I, 2831/2003, secondo cui “il piano di recupero è per sua natura finalizzato ad organizzare razionalmente ed esteticamente il patrimonio edilizio esistente, eliminando situazioni di degrado e di disarmonia: pertanto può tradursi in interventi edilizi diretti, di volta in volta, alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione o comunque ad una migliore utilizzazione di un preesistente immobile e può consistere in sole opere di manutenzione ordinaria e straordinaria o di restauro, in opere di ristrutturazione più o meno ampia, sino a giungere ad un recupero cosiddetto pesante, costituito dalla demolizione e ricostruzione di un edificio: ne consegue che dette opere di ristrutturazione possono legittimamente tradursi, ancorché entro certi limiti, in un organismo che per consistenza e caratteristiche tipologiche rechi persino connotazioni di novità rispetto all'edificio preesistente”.
Nello stesso senso d’altronde si era già espresso in passato CdS, IV, 96/1996, secondo cui “i piani di recupero possono avere ad oggetto non solo un semplice recupero edilizio, ma anche un recupero urbanistico vero e proprio, che può essere attuato anche mediante la demolizione di edifici preesistenti; in tal caso, il piano di recupero si presenta come strumento del tutto autonomo, ed alternativo, rispetto al piano particolareggiato”.
Ne consegue che il motivo di ricorso in cui si deduce che la delibera approvata sarebbe illegittima per violazione della l. 457/1978 in quanto i piani di recupero dovrebbero recuperare, e non demolire il patrimonio edilizio esistente deve essere respinto
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.06.2010 n. 2329 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: E' illegittima la delibera consiliare di approvazione di un Piano di Recupero in variante al vigente P.R.G. ex l.r. n. 23/1997 nella parte in cui essa ha violato l’art. 8 delle n.t.a. del p.r.g. che fissa i limiti agli interventi eseguibili anche con piano di recupero nelle zone del centro storico.
Occorre anzitutto rilevare che già, in linea generale, l’idea di un piano di recupero in variante al p.r.g. contiene elementi di contraddizione in termini. Infatti, “il piano di recupero è notoriamente, sotto il profilo giuridico, uno strumento urbanistico sostanzialmente attuativo delle scelte urbanistiche primarie contenute nel piano regolatore generale ed è quindi equivalente al piano particolareggiato, dal quale si differenzia in quanto finalizzato piuttosto che alla complessiva trasformazione del territorio al recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente con interventi rivolti alla conservazione, ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso” (CdS, IV, 05.03.2008, n. 922) (la massima prosegue affermando che “così che in sede di sua modifica non possono essere introdotti, logicamente oltre che giuridicamente, vincoli nuovi ed ulteriori rispetto a quelli esistenti nello strumento urbanistico generale in vigore, neppure quanto tale modifica trovi la sua giustificazione in una richiesta del privato”; nel caso in esame, invece, ci troviamo nell’ipotesi -opposta sul piano pratico, ma analoga sul piano giuridico- di piano di recupero che elimina vincoli previsti dal piano generale).
Queste perplessità sulla legittimità della procedura di variante seguita dal Comune si acuiscono nel caso di specie caratterizzato da un particolarissimo tipo di variante avente ad oggetto un unico edificio. Delle perplessità sulla scelta di un piano di recupero in variante al p.r.g relativo ad un solo immobile le aveva manifestate in tempi relativamente recenti anche questo Tribunale che aveva affermato che “pur non potendosi aprioristicamente escludere l'utilizzo di un Piano attuativo in variante al P.R.G. in riferimento ad un singolo immobile -con i contenuti di cui all'art. 3 comma 1 della l.r. 19/1992- è peraltro indispensabile che una scelta così circoscritta sia accompagnata da una specifica motivazione che dia conto dell'interesse pubblico perseguito” (TAR Lombardia, Brescia, 28/02/2006 n. 244).
Sono evidenti, d’altronde, le perplessità che possono sorgere a proposito della legittimità dell’utilizzo di un piano di recupero in variante al p.r.g. relativo ad un solo immobile, in quanto –come ben evidenziato dalla difesa del ricorrente negli scritti depositati in corso di processo– in questo modo si finisce con il sottrarre un immobile alle prescrizioni della zonizzazione urbanistica, e si finisce per creare una disciplina di piano valida soltanto per esso e non per tutti gli altri immobili rientranti nella stessa zona.
Il caso di specie, peraltro, è ancor più particolare, perché non solo si utilizza un piano attuativo in deroga, non solo lo si realizza per un singolo immobile, ma per di più lo si fa con le procedure semplificate della l.r. 23/1997 nel periodo transitorio previsto dall’art. 25 l.r. 12/2005 (si ricorda che
il principio della domanda concerne il monopolio della parte privata nella individuazione del diritto fatto valere in giudizio, non l’articolazione del ragionamento giuridico attraverso cui giungere al riconoscimento di tale diritto, che rimane affidato al tradizionale iura novit curia).
La norma dell’art. 25, co. 1, l.r. 12/2005 stabilisce, infatti, che “fino all’adeguamento dei PRG vigenti, a norma dell’art. 26, e comunque non oltre il predetto termine di quattro anni, i comuni ad eccezione di quelli di cui al comma 2, possono procedere unicamente all’approvazione di atti di programmazione negoziata, di progetti in variante ai sensi dell’ art. 5 d.p.r. 447/1998, previo parere vincolante della Regione qualora non sia vigente il P.T.C.P. e con l’applicazione dell’art. 97 della presente legge, nonché di varianti nei casi di cui all’ art. 2, co. 2, l.r. 23/1997 e di piani attuativi in variante, con la procedura di cui all’ art. 3 l.r. 23/1997”.
Nel caso in esame vengono in questione solo le ipotesi di cui agli artt. 2 e 3 l.r. 23/1997, a norma della quale è stato approvato il piano di recupero in questione.
L’art. 2, co. 2, l.r. 23/1997 stabilisce che: “il procedimento semplificato di cui all’art. 3 si applica in presenza di una o più delle seguenti fattispecie:
a) varianti dirette a localizzare opere pubbliche di competenza comunale, nonché a modificare i relativi parametri urbanistici ed edilizi, eccettuati i casi in cui la legislazione statale o regionale già ammetta la possibilità di procedere a tali adempimenti senza preventiva variante urbanistica;
b) varianti volte ad adeguare le originarie previsioni di localizzazione dello strumento urbanistico generale vigente, alla progettazione esecutiva di servizi e infrastrutture di interesse pubblico, ancorché realizzate da soggetti non istituzionalmente preposti;
c) varianti atte ad apportare agli strumenti urbanistici generali, sulla scorta di rilevazioni cartografiche aggiornate, dell’effettiva situazione fisica e morfologica dei luoghi, delle risultanze catastali e delle confinanze, le modificazioni necessarie a conseguire la realizzabilità delle previsioni urbanistiche anche mediante rettifiche delle delimitazioni tra zone omogenee diverse;
d) varianti dirette a modificare le modalità di intervento sul patrimonio edilizio esistente, nel caso in cui esse non concretino ristrutturazione urbanistica e non comportino incremento del peso insediativo in misura superiore al 10% rispetto a quanto stabilito dallo strumento urbanistico vigente; ove necessario, le varianti potranno altresì prevedere il conseguente adeguamento della dotazione di aree a standard;
e) varianti di completamento interessanti ambiti territoriali di zone omogenee già classificate ai sensi dell’ art. 2 d.m. 1444/1968 come zone B, C, e D che comportino, con o senza incremento della superficie azzonata, un aumento della relativa capacità edificatoria non superiore al 10% di quella consentita nell’ambito oggetto della variante dal vigente P.R.G., ove necessario tali varianti potranno altresì prevedere il conseguente adeguamento della dotazione di aree a standard;
f) varianti che comportino modificazioni dei perimetri degli ambiti territoriali subordinati a piani attuativi, finalizzate ad assicurare un migliore assetto urbanistico nell’ambito dell’intervento, opportunamente motivato e tecnicamente documentato, ovvero a modificare la tipologia dello strumento urbanistico attuativo;
g) varianti finalizzate alla individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente, di cui all’ art. 27 l. 457/1978;
h) varianti relative a comparti soggetti a piano attuativo che comportino una diversa dislocazione delle aree destinate a infrastrutture e servizi;
i) varianti concernenti le modificazioni della normativa dello strumento urbanistico generale, dirette esclusivamente a specificare la normativa stessa, nonché a renderla congruente con disposizioni normative sopravvenute, eccettuati espressamente i casi in cui ne derivi una rideterminazione ex-novo della disciplina delle aree
”.
Nella delibera impugnata il Comune di Casalmaggiore non si è curato di specificare in base a quale tra le ipotesi previste dall’art. 2 l.r. 23/1997 veniva approvato il piano di recupero in variante.
Vanno sicuramente escluse, peraltro, le ipotesi delle lettere a) e b) (varianti di localizzazione), c) (varianti di correzione cartografica), e) (varianti di completamento zone B, C, D), h) (varianti di ridislocazione), i) (varianti di specificazione o di adeguamento a normativa sopravvenuta), in quanto totalmente inconferenti.
Va esclusa anche la lettera d) (varianti volte a modificare le modalità di intervento sul patrimonio edilizio esistente), perché per disposto della stessa norma sono possibili soltanto “nel caso in cui esse non concretino ristrutturazione urbanistica” (si ricorderà che l’intervento sul comparto 1 del complesso Castra maiora è stato qualificato dall’amministrazione comunale proprio come ristrutturazione urbanistica).
Restano soltanto le ipotesi previste dalle lettere f) e g), che si ripropongono di seguito per comodità di lettura: “f) varianti che comportino modificazioni dei perimetri degli ambiti territoriali subordinati a piani attuativi, finalizzate ad assicurare un migliore assetto urbanistico nell’ambito dell’intervento, opportunamente motivato e tecnicamente documentato, ovvero a modificare la tipologia dello strumento urbanistico attuativo; g) varianti finalizzate alla individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente, di cui all’art. 27 l. 457/1978”.
La lettera f) sembra inconferente, in quanto presuppone la modificazione di un piano attuativo già approvato, mentre nel caso in esame il complesso degli 11 edifici oggetto del piano di recupero non era subordinato prima dell’approvazione della delibera impugnata ad alcun piano attuativo, essendo soggetto come tutti gli edifici della stessa zona all’edificazione mediante ristrutturazione con vincolo conservativo parziale.
Resta la lettera g), che in effetti è orientata a disciplinare proprio i piani di recupero, in quanto consente l’approvazione di “varianti finalizzate alla individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente, di cui all’art. 27 l. 457/1978”.
E l’art. 27 l. 457/1978, in effetti, prevede: “I comuni individuano, nell'ambito degli strumenti urbanistici generali, le zone ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso. Dette zone possono comprendere singoli immobili, complessi edilizi, isolati ed aree, nonché edifici da destinare ad attrezzature. Le zone sono individuate in sede di formazione dello strumento urbanistico generale ovvero, per i comuni che, alla data di entrata in vigore della presente legge, ne sono dotati, con deliberazione del consiglio comunale sottoposta al controllo di cui all'art. 59 della legge 10.02.1953, n. 62. Nell'ambito delle zone, con la deliberazione di cui al precedente comma o successivamente con le stesse modalità di approvazione, possono essere individuati gli immobili, i complessi edilizi, gli isolati e le aree per i quali il rilascio della concessione è subordinato alla formazione dei piani di recupero di cui al successivo art. 28. ...”.
Nella procedura prevista dall’art. 27, pertanto, sono previsti due momenti separati:
1) la individuazione delle zone dove per le condizioni di degrado esistente si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente;
2) la individuazione degli immobili, situati all’interno delle zone di cui al punto 1, per i quali il rilascio della concessione è subordinato alla formazione di piano di recupero.
Una volta individuate le zone del territorio comunale, ed individuati i singoli immobili che dovranno essere oggetto del piano, la procedura di perfezionamento del piano di recupero si completa con l’approvazione del piano di recupero in senso proprio che detta i parametri concreti dell’edificazione.
Riassumendo: i passaggi di cui si compone l’approvazione di un piano di recupero sono tre:
1) individuazione delle zone dove per le condizioni di degrado esistente si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente;
2) individuazione degli immobili, situati all’interno delle zone di cui al punto 1, per i quali il rilascio della concessione è subordinato alla formazione di piano di recupero;
3) approvazione del piano di recupero che detta i parametri concreti dell’edificazione.
Non tutte queste tre operazioni possono, in realtà, essere realizzate con la procedura semplificata della l.r. 23/1997. Si è ricordato, infatti, che l’art. 2, co. 2, lett. f), ammette con tale procedura soltanto le “varianti finalizzate alla individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente, di cui all’art. 27 l. 457/1978”, e cioè soltanto il primo dei tre passaggi logici di cui consta l’approvazione del piano di recupero.
Ma la delibera impugnata non si limita ad individuare le zone, anzi non individua affatto le zone di recupero del patrimonio edilizio esistente, in quanto già il p.r.g. prevedeva che nel centro storico fosse astrattamente assentibile l’utilizzo di piano di recupero, e prevedeva anche i parametri per l’edificazione in base a piano di recupero.
Nel caso in esame, in cui l’art. 8 p.r.g. individuava già la zona del centro storico come astrattamente assoggettabile a piano di recupero e fissava anche i limiti che avrebbe dovuto incontrare l’edificazione in base ai piano di recupero in centro storico (possibilità di “lievi spostamenti volumetrici a saldo zero finalizzati ad un miglioramento delle condizioni minime prescritte di abitabilità, di sicurezza e di riqualificazione architettonica e tipologica”), il Comune di Casalmaggiore non avrebbe potuto con lo strumento della variante semplificata modificare i limiti massimi dell’intervento edilizio fissati dal piano generale.
Per spiegare meglio il concetto: nel caso in esame non c’era alcun bisogno di approvare il piano di recupero in variante posto che la zona in esame era già assoggettabile al piano, ma -come nota acutamente e correttamente la difesa di parte ricorrente– l’approvazione del piano di recupero è servita in realtà soltanto ad eliminare i limiti all’edificazione in centro storico previsti in via generale dal p.r.g.
Si è già detto d’altronde sopra del giudizio di disfavore dato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato sulla possibilità per il piano di recupero di introdurre “logicamente oltre che giuridicamente, vincoli nuovi ed ulteriori rispetto a quelli esistenti nello strumento urbanistico generale in vigore” (CdS, IV, 05.03.2008, n. 922), ipotesi speculare a quella di eliminazione di vincoli che è avvenuta nel caso di specie, e si è già detto anche del giudizio di disfavore espresso nella sentenza 244/2006 di questo Tribunale sulla possibilità di approvare un piano di recupero in deroga relativo ad un solo immobile cui sono stati posti limiti rigorosi di motivazione, a questo punto si aggiunge che in altro precedente giurisprudenziale più risalente di questo Tribunale si è espresso un ulteriore giudizio di disfavore sulla possibilità di utilizzare la variante semplificata ex l.r. 23/1997 per modificare situazioni soggettive consolidate in forza del p.r.g..
Nella pronuncia 1593/2001 questo Tribunale ha affermato, infatti, che “i casi eterogenei di più svariato genere (della l.r. 23/1997, n.d.E.), in cui non sembra decisivo il criterio quantitativo in sé abbastanza evanescente dell'estensione spaziale delle aree coinvolte dalla variante, mostrano un elemento comune, un collante che le lega. Esso è individuato nelle varianti agli strumenti urbanistici che non pregiudichino le situazioni soggettive dei terzi già consolidate in forza del P.R.G..
Se si ha cura di scorrere l'elencazione di cui all'art. 2 si leggono: a) varianti dirette a localizzare opere di competenza comunale; b) varianti volte ad adeguare le originarie previsioni di localizzazione dello strumento urbanistico alla progettazione esecutiva; c) varianti atte ad apportare agli strumenti urbanistici generali le modificazioni necessarie a conseguire la realizzabilità delle previsioni urbanistiche; d) varianti dirette a modificare le modalità di intervento sul patrimonio edilizio esistente; e) varianti di completamento; f) varianti che comportino modificazioni dei perimetri territoriali esistenti subordinati ai piani attuativi, finalizzate ad assicurare un migliore asseto urbanistico nell'ambito dell'intervento opportunamente motivato e tecnicamente documentato, ovvero a modificare la tipologia dello strumento urbanistico attuativo; g) varianti finalizzate alla individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente; h) varianti relative a comparti soggetti a piani attuativi; i) varianti concernenti le modificazioni della normativa dello strumento urbanistico generale.
Ad eccezione dell'ipotesi delineata sub a) sulla localizzazione delle opere pubbliche comunali per la quale non si fa altro che riproporre lo stesso congegno normativo previsto dall'art. 1 l. 03.01.1978 n. 1, in tutti gli altri casi la variante in forma semplificata non è idonea a mutare la destinazione delle aree come prevista dal P.R.G., e quindi a vanificare le situazioni giuridiche consolidatesi in forza della disciplina impressa dallo strumento urbanistico primario.
In definitiva la normativa regionale, alla stregua dell'art. 25, comma 1, lett. a), l. 28.02.1985 n. 47, mira a rendere più agile e flessibile il rapporto tra i diversi livelli di pianificazione, preservando peraltro il nesso di derivazione di quello secondario rispetto a quello primario, che non può essere unilateralmente alterato da parte dell'amministrazione comunale senza il concorso di quella regionale”.
In un passo successivo il Tribunale aggiunge che “la riperimetrazione degli ambiti territoriali omogenei al fine di modificare la tipologia del preesistente strumento attuativo, prevista all'art. 2, comma 2, lett. f), L.r. 23.06.1997 n. 23, è stata invece l'occasione, affatto esclusa dalla norma, per assoggettare aree suscettibili di diretta edificazione allo strumento urbanistico attuativo, pregiudicando la situazione giuridica soggettiva dominicale della ricorrente consolidatasi in forza della disciplina impartita dal P.R.G.”.
Il principio enucleato dal tribunale nell’ormai lontano precedente del 2001, secondo cui la normativa regionale della l.r. 23/1997 mira a rendere più agile e flessibile il rapporto tra i diversi livelli di pianificazione, ma non può pregiudicando la situazione giuridica soggettiva dominicale di chi intende edificare, non può non essere applicato per ragioni logiche anche alle situazioni soggettive dominicali non solo di coloro che sono interessati all’edificazione, ma anche di quelli, come nel caso in esame, che ad essa sono controinteressati.
In definitiva, la delibera oggetto di impugnazione, che ha modificato i parametri urbanistici cui avrebbe dovuto essere assoggettata la ristrutturazione del complesso di edifici denominati Castra maiora – che per p.r.g. avrebbero potuto essere caratterizzati solo da lievi spostamenti volumetrici a saldo zero, e di cui invece con provvedimento ad hoc è stata permessa la parziale (pressoché integrale) demolizione con traslazione dei volumi fino a determinare la quintuplicazione dei vani abitabili, e quindi del carico urbanistico generato dalla costruzione, urta contro diversi profili di legittimità (sia relativi alla legge statale, sia relativi alla normativa regionale lombarda) già affrontati in passato dalla giurisprudenza amministrativa, anche di questo Tribunale.
Ne consegue che deve essere accolto il motivo di impugnazione in cui si afferma la illegittimità della delibera impugnata nella parte in cui essa ha violato l’art. 8 delle n.t.a. del p.r.g. che fissava i limiti agli interventi eseguibili anche con piano di recupero nelle zone del centro storico
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.06.2010 n. 2329 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Collegamento tra imprese.
Ai fini di escludere due o più imprese da una gara di appalto per la sussistenza tra loro di un collegamento sostanziale, sono da ritenere insufficienti eventuali comunanze a livello strutturale tra le imprese, essendo necessario verificare se tale comunanza abbia avuto un impatto concreto sul rispettivo comportamento nell’ambito della gara, con l’effetto di determinare la presentazione di offerte riconducibili ad un unico centro decisionale; inoltre, agli stessi fini, la sola somiglianza della veste formale delle offerte non dimostra l’identità del centro decisionale, che invece postula una somiglianza del contenuto sostanziale delle offerte (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 08.06.2010 n. 3637 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Procedura di gara, vincolo contrattuale e autotutela.
Come chiarito dall’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006 (secondo cui "L’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta"), il rapporto contrattuale con la P.A. non sorge con l’aggiudicazione definitiva, con la conseguenza che spetta alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo la cognizione di comportamenti ed atti assunti prima dell'aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.04.2010 n. 2254 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Mobbing. Il danno non patrimoniale per demansionamento può essere provato con presunzioni.
Il demansionamento sussiste tutte le volte che il dipendente è addetto ad attività del tutto marginali ed assolutamente non riconducibili al suo livello di inquadramento.
Una volta accertato il demansionamento professionale del lavoratore, il giudice corretamente può desumere l’esistenza del relativo danno in base ad una valutazione presuntiva, riferendosi alle circostanze concrete della operata dequalificazione.
Ciò in quanto il danno conseguente al demansionamento va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, frustrazione professionale) si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove (cfr. Cass., sez. un. n. 6572 del 2006; Cass. n. 29832 del 2008; n, 28274 del 2008).
Con riguardo, in particolare, al danno non patrimoniale, occorre rilevare che nella disciplina del rapporto di lavoro, ove numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale, il danno non patrimoniale è configurabile ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, tali diritti: questi, non essendo regolati ex ante da norme di legge, per essere suscettibili di tutela risarcitoria dovranno essere individuati, caso per caso, dal giudice del merito, il quale, senza duplicare il risarcimento (con l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici), dovrà discriminare i meri pregiudizi –concretizzatisi in disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili– dai danni che vanno risarciti (cfr. Cass. n. 10864 del 2009).
Il danno risarcibile, dunque, è correttamente identificato negli aspetti di vissuta e credibile mortificazione derivanti al dipendente dalla situazione lavorativa in cui si è trovato ad operare, secondo una valutazione che si fonda sull’accertamento del nesso causale tra la condotta illecita datoriale e lo stato di mortificazione del lavoratore (Corte di Cassazione, Sezz. Unite civili, sentenza 22.02.2010 n. 4063 - link a www.litis.it).

APPALTI: Interpretazione del bando, regolarizzazione documentale e ipotesi di esclusione.
L’esclusione di un’impresa da una gara di appalto costituisce un provvedimento eccezionale, che contraddice il favor partecipationis e la libera concorrenza, e che può essere adottato solo in presenza di cause certe e tassativamente previste (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.06.2009 n. 3878 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Bandi di gara, requisiti ulteriori e onere di immediata impugnazione.
La normativa vigente non preclude alle Stazioni appaltanti la possibilità di chiedere con i bandi di gara requisiti ulteriori, logicamente connessi all'oggetto dell'appalto. Per cui nel bando di gara l'Amministrazione appaltante può di certo autolimitare il proprio potere discrezionale di apprezzamento mediante apposite clausole, rientrando nella sua discrezionalità la fissazione di requisiti di partecipazione ad una gara d'appalto diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, salvo però il limite della logicità e ragionevolezza dei requisiti richiesti e della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito.
In materia di requisiti di ammissione alle gare di appalto della Pubblica amministrazione, difatti, le norme regolatrici, sia comunitarie che interne, prevedono fattispecie elastiche, strutturate su concetti non tassativi, ma indeterminati, che implicano, per la loro definizione da parte dell'interprete, un rinvio alla realtà sociale (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.06.2009 n. 3448 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Autocertificazione e requisiti morali.
In base al combinato-disposto degli artt. 21, comma 1 e 38, commi 2-3 del d.P.R. n. 445 del 2000, nel caso di dichiarazioni sostitutive, l'allegazione della copia fotostatica, sia pure non autenticata, del documento di identità dell'interessato vale a conferire legale autenticità alla sottoscrizione apposta in calce ad una istanza o ad una dichiarazione, e non rappresenta un vuoto formalismo ma semmai si configura come l'elemento della fattispecie normativa diretto a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l'imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione ad una determinata persona fisica; tale incombente riveste natura nodale, ed è insuscettibile di regolarizzazione.
Le autocertificazioni, necessitano, per la loro giuridica esistenza ed efficacia, della sottoscrizione del legale rappresentante del dichiarante, resa in presenza di un dipendente addetto, ovvero dell'allegazione di copia fotostatica, ancorché non autenticata, di un documento del sottoscrittore; va, pertanto, disposta l'esclusione dalla gara di appalto della P.A. per la mancata allegazione, da parte del concorrente, della fotocopia del documento di riconoscimento alla dichiarazione sostitutiva ed ai documenti prodotti in fotocopia autocertificata, atteso che l'obbligo di produrre copia del documento di identità risulta inderogabile in considerazione della sua introduzione quale forma di semplificazione, né è data possibilità di regolarizzazione o integrazione del documento mancante, nel rispetto anche della "par condicio" tra i concorrenti (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.06.2009 n. 3445 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Bandi di gara, requisiti ulteriori e onere di immediata impugnazione.
L’onere di immediata impugnazione delle clausole del bando di gara sussiste solo in relazione a:
a) clausole che impediscono la partecipazione del concorrente, ad es. prescrivendo requisiti che il concorrente non possiede;
b) clausole manifestamente incomprensibili o implicanti oneri per la partecipazione del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della gara (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 03.06.2009 n. 3404 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl computo del limite di altezza, entro il quale è consentita l'edificazione, va effettuato prendendo come parametro l'originario piano di campagna, cioè il livello naturale del terreno di sedime e non la quota del terreno sistemato.
Va ribadito il principio generale secondo cui il computo del limite di altezza, entro il quale è consentita l'edificazione, va effettuato prendendo come parametro l'originario piano di campagna, cioè il livello naturale del terreno di sedime e non la quota del terreno sistemato; principio derogabile da normative regolamentari espresse (Cons. Stato, sez. V, 27.02.1986, n. 147; cfr. Cassazione penale, sez. III, 11.07.1978) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.04.2009 n. 2579 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini dell'osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per natura dei luoghi costituiscono costruzioni.
Si richiama l'indirizzo di questo Consiglio che ha avuto modo di osservare come ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per natura dei luoghi costituiscono costruzioni (Cons. St., sez. V, 12.04.2005, n. 1619; id., n. 2000, n. 3637; Cass. civ., sez. II, 01.03.1995, n. 2342; id., 28.11.1991, n. 12763) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.04.2009 n. 2579 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUn determinato status o una qualifica professionale del richiedente (specificamente, ai sensi della norma riportata, di imprenditore agricolo) viene in rilievo, in deroga alla regola dell’onerosità, esclusivamente ai fini del rilascio gratuito della concessione edilizia per determinati tipi di opere, mentre status o qualifiche professionali del richiedente sono in linea generale del tutto irrilevanti; ciò che rileva, infatti, è, per un verso, la titolarità, da parte del richiedente, della proprietà o di altro idoneo titolo di disponibilità dell’immobile sul quale è destinato a svolgersi l’intervento previsto, e per altro verso la conformità di tale intervento alla disciplina urbanistica in concreto applicabile.
Ai sensi della legge 28.01.1977, n. 10 (che ha introdotto l’istituto della concessione edilizia in sostituzione della licenza edilizia di cui alla normativa previgente), “La concessione è data dal sindaco al proprietario o a chi abbia titolo per richiederla…, in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi…, nonché delle ulteriori norme regionali” (art. 4, primo comma).
La concessione è di regola onerosa, salvo talune eccezioni tassativamente determinate, tra cui, per quanto qui specificamente rileva, “le opere da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell’art. 12 della legge 09.05.1975, n. 153” (art. 9, primo comma, lett. a).
Come si vede, un determinato status o una qualifica professionale del richiedente (specificamente, ai sensi della norma riportata, di imprenditore agricolo) viene in rilievo, in deroga alla regola dell’onerosità, esclusivamente ai fini del rilascio gratuito della concessione edilizia per determinati tipi di opere, mentre status o qualifiche professionali del richiedente sono in linea generale del tutto irrilevanti; ciò che rileva, infatti, è, per un verso, la titolarità, da parte del richiedente, della proprietà o di altro idoneo titolo di disponibilità dell’immobile sul quale è destinato a svolgersi l’intervento previsto, e per altro verso la conformità di tale intervento alla disciplina urbanistica in concreto applicabile.
Lo stesso è a dirsi per quanto attiene alla disciplina del “permesso di costruire”, che in forza del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (T.U. delle disposizioni in materia edilizia) ha ora sostituito la concessione edilizia (cfr. artt. 7 e segg.).
Il possesso della qualifica di agricoltore o di imprenditore agricolo può rilevare, come s’è visto, esclusivamente ai fini del rilascio gratuito della concessione edilizia: fermo restando che la mancanza di tale qualifica non può di per sé essere preclusiva del rilascio del titolo abilitativo, ove non sussistano o comunque non vengano addotte altre ragioni oggettivamente rilevanti (delle quali, nella specie, non è cenno alcuno nel provvedimento impugnato), come è dato anche desumere dalla giurisprudenza in materia (cfr. Cons. St., V, 11.01.2006, n. 31) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 04.01.2008 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino altresì l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, che non possono pertanto configurarsi né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo.
Affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi dell’edificio, ovvero l’ordine in cui risultavano disposte le diverse porzioni dell’edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d’uso esistente, poiché anche in questi casi sussistono un rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie.
Con riferimento alla distinzione tra interventi di ristrutturazione edilizia e di risanamento conservativo l'elemento differenziatore è da ritenere costituito dal fatto che nella ristrutturazione il risultato può portare ad un edificio anche in tutto diverso dal precedente, nel caso di restauro e risanamento conservativo il risultato va inteso e valutato nel complesso, e non nelle singole parti, per cui l'edificio deve restare il medesimo soprattutto come forma, sia pure con modifiche non rilevanti architettonicamente.

Con riferimento alla nozione di “ristrutturazione edilizia”, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che rientrano in tale nozione gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino altresì l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, che non possono pertanto configurarsi né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo (Cons. St., sez. V, 17.12.1996, n. 1551).
In altre parole, affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi dell’edificio, ovvero l’ordine in cui risultavano disposte le diverse porzioni dell’edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d’uso esistente, poiché anche in questi casi sussistono un rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie.
Sempre con riferimento alla distinzione tra interventi di ristrutturazione edilizia e di risanamento conservativo, la stessa giurisprudenza ha altresì chiarito come la differenza sia da ricercarsi nella differenza del risultato finale dell'intervento nei riguardi dell'edificio preesistente.
Non è, infatti, elemento caratteristico il mezzo, ossia il lavoro di consolidamento nel primo caso, di sostituzione delle strutture nel secondo, in quanto il rinnovo degli elementi strutturali è ammesso anche nel primo caso, mentre la modifica estetica è ammessa (sia pure con lieve entità) sia nel primo che nel secondo caso, dovendosi in sede di restauro eliminare le superfetazioni.
L'elemento differenziatore è da ritenere costituito dal fatto che nella ristrutturazione il risultato può portare ad un edificio anche in tutto diverso dal precedente, nel caso di restauro e risanamento conservativo il risultato va inteso e valutato nel complesso, e non nelle singole parti, per cui l'edificio deve restare il medesimo soprattutto come forma, sia pure con modifiche non rilevanti architettonicamente (cfr., per tutte, Cons. St. sez. V, 02.07.1994, n. 807 e TAR Toscana, sez. II, 31.01.2006, n. 249) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.05.2007 n. 3070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di restauro e di risanamento conservativo richiede la conservazione dell’organismo edilizio originario “nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso” (art. 31, lett. c, L. 457/1978) e, pertanto, non si attaglia ad interventi che alterino la struttura interna dell’edificio.
Ai sensi dell’art. 31 della legge 05.08.1978 n. 457 (norme per l’edilizia residenziale) sono interventi di manutenzione straordinaria (lett. b) “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso”; sono interventi di ristrutturazione edilizia (lett. d) “quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che posso-no portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”. 
La nozione di restauro e di risanamento conservativo richiede la conservazione dell’organismo edilizio originario “nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso” (art. 31 cit., lett. c), e pertanto non si attaglia ad interventi che alterino la struttura interna dell’edificio (cfr. Cons. Stato V 27.08.1999 n. 999) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.12.2005 n. 5010 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer definire manutenzione straordinaria un intervento edilizio, non basta che esso miri alla conservazione della destinazione d'uso dell'edificio, occorrendo altresì che esso soggiaccia a due ulteriori limiti, uno di carattere funzionale (costituito dalla necessità che i lavori siano diretti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell'edificio stesso) e l'altro di natura strutturale (consistente nel divieto d'alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari), pervenendo alla conclusione che un intervento che modifichi profondamente la consistenza fisica, interna ed esterna, delle preesistenze e si limiti a salvaguardare in parte la precedente destinazione d'uso ha natura ristrutturativa e non manutentiva.
Non possono rientrare nel concetto di manutenzione straordinaria gli interventi -seppur di modesta entità- che comportino l’alterazione della consistenza fisica del manufatto esistente, cosicché fuoriescono da tale tipologia, per ricadere nell’ambito della ristrutturazione, gli interventi che provochino l’alterazione degli elementi estetici della costruzione ovvero che inducano, mediante l’apertura di un balcone, la trasformazione dei loro aspetti prospettici
L'ipotesi della manutenzione straordinaria ricorre solo quando gli interventi edilizi siano contenuti in opere di accomodamento od anche di rinnovazione e sostituzione di parti degli elementi costitutivi dell'edificio, nel rispetto degli elementi tipologici strutturali e formali nella loro originaria edificazione.

Il Consiglio di Stato (cfr. Sez. V, 23.05.2000, n. 2988) ha precisato che, per definire manutenzione straordinaria un intervento edilizio, non basta che esso miri alla conservazione della destinazione d'uso dell'edificio, occorrendo altresì che esso soggiaccia a due ulteriori limiti, uno di carattere funzionale (costituito dalla necessità che i lavori siano diretti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell'edificio stesso) e l'altro di natura strutturale (consistente nel divieto d'alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari), pervenendo alla conclusione che un intervento che modifichi profondamente la consistenza fisica, interna ed esterna, delle preesistenze e si limiti a salvaguardare in parte la precedente destinazione d'uso ha natura ristrutturativa e non manutentiva.
La Sezione (cfr. Tar Brescia, 14.01.2000 n. 48 e 18.12.1991 n. 1011) ha già avuto occasione di rilevare che non possono rientrare nel concetto di manutenzione straordinaria gli interventi -seppur di modesta entità- che comportino l’alterazione della consistenza fisica del manufatto esistente, cosicché fuoriescono da tale tipologia, per ricadere nell’ambito della ristrutturazione, gli interventi che provochino l’ alterazione degli elementi estetici della costruzione (cfr. Cons. St. Sez. V 14.04.1997 n. 348) ovvero che inducano, mediante l’apertura di un balcone, la trasformazione dei loro aspetti prospettici (cfr. Cons. St. Sez. V, 03.07.1995, n. 1004).
L'ipotesi della manutenzione straordinaria ricorre solo quando gli interventi edilizi siano contenuti in opere di accomodamento od anche di rinnovazione e sostituzione di parti degli elementi costitutivi dell'edificio, nel rispetto degli elementi tipologici strutturali e formali nella loro originaria edificazione (cfr. Consiglio Stato sez. V, 25.11.1999, n. 1971) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 10.08.2002 n. 1145 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALavori non autorizzati di ristrutturazione a edificio vincolato ex l. 1089/1939 - Sanzione pecuniaria - Criteri di determinazione
È illegittimo il provvedimento che quantifica la sanzione pecuniaria relativa a lavori abusivi di ristrutturazione di edificio vincolato ex l. n. 1089/1939 sulla base del maggior valore commerciale dell'immobile derivante dai lavori eseguiti.
Infatti a termini dell'art. 59, comma 4, della legge 1089/1939, la sanzione pecuniaria deve essere rapportata al valore integrale della cosa (definitivamente perduta) ovvero alla diminuzione di valore subita dall'immobile in quanto bene protetto, come conseguenza dei lavori abusivamente realizzati.

Come è stato recentemente precisato dalla giurisprudenza (sia pure in riferimento ad opere ritenute difformi dalle prescrizioni dell'autorità competente), l'art. 59 n. 1089/1939 impone il ripristino dello stato originario del bene, con l'esecuzione dei lavori ritenuti necessari per riparare ai danni prodotti alla cosa; pertanto, rispetto al fine primario di conferire al bene l'assetto precedente perché più idoneo alla salvaguardia del suo valore artistico e architettonico, la sanzione pecuniaria pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore subita a seguito della trasgressione ha valenza residuale ed è applicabile solo quando la riduzione in pristino non sia possibile (Cons. Stato, IV, 18.05.1998 n. 818).
Così delineato dalla norma applicata nella fattispecie, il criterio di che trattasi si differenzia dalla corrispondente sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15 della legge 29.06.1939 n. 1497, in caso di impossibilità di ripristino dell'originario stato dei luoghi, la quale è invece commisurata alla "maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione".
La riprova della esattezza della tesi che si afferma emerge dal quarto comma della norma in esame.
Infatti, nell'ipotesi in cui la contestazione del trasgressore investa la misura della sanzione applicata in relazione al valore storico-artistico del bene perduto o danneggiato, cioè nel caso in cui vengano in evidenza valutazioni di merito sul valore della cosa in quanto opera riconosciuta di particolare interesse storico o artistico, il giudizio, presupponendo particolari conoscenze di ordine tecnico ed artistico, è rimesso "insindacabilmente ed in modo irrevocabile" ad una commissione di esperti (Cons. Stato, IV, 01.10.1991 n. 759).
La ratio della norma va infatti individuata non tanto nella materiale custodia e conservazione del bene (che comporterebbe una visione esclusivamente patrimoniale), quanto piuttosto nella conservazione del valore storico-artistico che il bene stesso rappresenta (Cass. penale, II, 22.05.1982 n. 1987).
Pertanto, l'art. 59, in esame, contempla, in alternativa all'ipotesi della riduzione in pristino, quella della sanzione risarcitoria del danno arrecato, rimettendo all'apprezzamento discrezionale dell'amministrazione la valutazione dell'esistenza o meno della possibilità di ripristino, possibilità da intendersi non in senso materiale ma piuttosto, trattandosi di valori storico-artistici, nel senso della congruità e della convenienza in relazione all'oggetto della tutela; ne consegue che l'applicazione della sanzione pecuniaria non presuppone né una minore gravità dell'abuso, né, tanto meno, la sua compatibilità con l'interesse pubblico alla conservazione del bene vincolato (TAR Lazio, Roma, II, 28.03.1987 n. 461) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 18.03.1999 n. 220).

AGGIORNAMENTO AL 03.11.2010

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NOVITA' NEL SITO

Bottone "CONVEGNI" n. 5 giornate di studio a Bergamo per il 17-24 novembre e 01-09-16 dicembre 2010 organizzate dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni riportate nella locandina.

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Tagli alle tredicesime per i dipendenti pubblici? (CGIL-FP di Bergamo, nota 02.11.2010).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il nuovo art. 208 del codice della strada: il parere 20.10.2010 n. 961 della Corte dei Conti della Lombardia (CGIL-FP di Bergamo, nota 02.11.2010).
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Il parere ha ad oggetto la possibilità per gli enti locali di destinare -mediante appositi progetti- i proventi derivanti da violazioni del codice della strada al trattamento accessorio del personale di polizia municipale.

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Arbitrato: è valida la clausola compromissoria contenuta in un documento diverso dal contratto a cui si riferisce.
In materia di arbitrato, il requisito della forma scritta ad substantiam, richiesto dall'art. 807 c.p.c., è soddisfatto ogniqualvolta la volontà negoziale di compromettere la causa sia contenuta in un atto scritto e non postula indefettibilmente che essa sia espressa in un unico documento, avuto riguardo all'autonomia di detta clausola rispetto al contratto cui essa accede (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 30.09.2010 n. 20504 - link a www.eius.it).

APPALTI: Per i contratti della P.A. è necessaria la forma scritta "ad substantiam".
La Pubblica Amministrazione non può assumere impegni né può stipulare contratti se non in forma scritta, a pena di nullità assoluta dell'atto, rilevabile dal giudice anche d'ufficio (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 28.09.2010 n. 20340 - link a www.giustizia-eius.it).

AGGIORNAMENTO AL 02.11.2010

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NOVITA' NEL SITO

EDILIZIA PRIVATA: Nel bottone MODULISTICA è stato inserito il fac-simile (modificabile a piacimento):
1- dell'avviso di avvenuta emanazione del provvedimento di compatibilità paesaggistica (art. 167 D.Lgs. n. 42/2004);
2- del provvedimento di compatibilità paesaggistica (art. 167 D.Lgs. n. 42/2004).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 43 del 29.10.2010, "Approvazione dei bandi per la diffusione degli impianti solari termici e per l'uso razionale dell'energia negli edifici pubblici o soggetti ad uso pubblico" (decreto D.G. 20.10.2010 n. 10652 - link a www.infopoint.it).

QUESITI

AMBIENTE-ECOLOGIA: Quando un veicolo si considera fuori uso? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: L’accumulo di limo inutilizzato per diversi anni può essere definito rifiuto? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Si applica il principio di precauzione in tema di rifiuti? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Quando si configura il reato di omessa bonifica? (link a www.ambientelegale.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOChiarimenti in ordine all'applicazione dell'articolo 6, comma 12, decreto legge 31.05.2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, legge 30.07.2010, n. 122, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica. Utilizzo del mezzo proprio in missione (Ragioneria Generale dello Stato, nota 22.10.2010 n. 89530 di prot. - link a www.rgs.mef.gov.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: M. Bottone, La commissione? E' morta ... Il paesaggio vive? (in materia di procedimento semplificato per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica).

EDILIZIA PRIVATA: F. Pavone, Autorizzazione paesaggistica: la nuova procedura (link a www.altalex.com).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G. Neri, Pubblico impiego: disciplina del contratto di formazione e lavoro negli Enti Locali (link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli, La nuova frontiera dell'edilizia libera (AL n. 07-08/2010)

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Corso di specializzazione sull'applicazione della L.R. n. 12/2005: 4^ lezione (parte B) - I parcheggi pertinenziali (Geometra Orobico n. 4/2010).

EDILIZIA PRIVATA: M. Luchetti, Attività edilizia dei privati su aree demaniali (link a www.altalex.com).

APPALTI: M. Beoni, Accesso agli atti di gara e tutela dei segreti commerciali delle imprese a seguito del Codice dei contratti pubblici - D.Lgs. n. 163 del 2006 (link a www.altalex.com).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Uso del mezzo proprio dei dipendenti degli Enti Locali.
Col parere 12.10.2010 n. 949 la Corte dei Conti, Sezione controllo Lombardia, interviene su una materia rispetto alla quale sono emerse diverse interpretazioni, concernente l’uso del mezzo proprio da parte dei dipendenti degli enti locali per lo svolgimento dei servizi istituzionali.
I dubbi erano scaturiti dalla norma di cui all’art. 6, comma 12, del D.L. n. 78, convertito nella legge 122 del 2010, che prevede che a decorrere dall’anno 2011 “le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) non possono effettuare spese per missioni, anche all'estero, (omissis). A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto gli articoli 15 della legge 18.12.1973, n. 836 e 8 della legge 26.07.1978, n. 417 e relative disposizioni di attuazione, non si applicano al personale contrattualizzato di cui al D.Lgs. 165 del 2001 e cessano di avere effetto eventuali analoghe disposizioni contenute nei contratti collettivi”.
Si ricorda che l'articolo 15 della legge 18.12.1973, n. 836, stabilisce un’indennità chilometrica per il personale che, svolgendo funzioni ispettive, ha frequente necessità di recarsi in località comprese nell'ambito della circoscrizione territoriale dell'ufficio di appartenenza e comunque non oltre i limiti di quella provinciale, utilizzando il proprio mezzo di trasporto; mentre l’art. 8 della legge 26.07.1978, n. 417, disciplina l'entità dell'indennità chilometrica di cui al primo comma del suddetto art. 15 della legge 836/1973 (un quinto del prezzo di un litro di benzina super vigente nel tempo, nonché rimborso dell'eventuale spesa sostenuta per pedaggio autostradale).
Da questo quadro normativo è sorto il dubbio, prospettato dalla provincia che ha formulato la richiesta di parere alla Corte dei Conti Lombardia, se il legislatore abbia inteso disapplicare anche l’art. 41 del CCNL del 14.09.2000 dei dipendenti delle regioni e degli enti locali, il cui 4 comma, rispettivamente, consente eccezionalmente, da un lato, l’autorizzazione all’utilizzo del proprio mezzo di trasporto, qualora più conveniente dei normali servizi di linea e riconosce conseguentemente, dall’altro, la relativa indennità.
Nel merito la Corte dei Conti osserva che la norma contenuta nell’art. 9, della legge del 1978 n. 417, che prevede che ”quando particolari esigenze di servizio lo impongano e qualora risulti economicamente più conveniente, l’uso del proprio mezzo di trasporto può essere autorizzato, con provvedimento motivato, anche oltre i limiti della circoscrizione provinciale”, non è stata espressamente abrogata e quindi continua ad esplicare i suoi effetti, in quanto attiene alle modalità di organizzazione di servizi pubblici e non riguarda la razionalizzazione della spesa del personale.
In particolare la Corte evidenzia che nelle ipotesi nelle quali “l’uso del mezzo proprio da parte del dipendente è funzionale all’organizzazione del servizio e risponde perciò a finalità proprie dell’amministrazione di assicurare particolari esigenze di servizio non conseguibili o più difficilmente conseguibili con diverse modalità organizzative, la spesa conseguente all’uso del mezzo proprio non attiene alla natura della razionalizzazione e riduzione della spesa del personale, ma più propriamente alla natura delle pubbliche amministrazioni, la cui attività deve rispondere ai ben noti criteri di buon andamento".
Concludendo la Corte dei Conti ritiene, che pur raccomandandosi un’attenta valutazione della fattispecie, la norma di cui all’art. 6, comma 12, del d.l. n. 78, convertito nella legge 122 del 2010, non può intervenire nell’organizzazione dei servizi degli enti locali.
Pertanto, in vigenza dell’art. 9 della legge 26.07.1978, n. 417 sopra indicato e in presenza delle due condizioni previste dalla medesima norma, ovvero le particolari esigenze di servizio e la convenienza economica, l’uso del mezzo proprio può essere autorizzato, con la rifusione delle spese effettivamente sostenute, tenuto conto della peculiarità del servizio espletato e delle funzioni dell’ente locale, garantite dall’ordinamento.
Per una lettura più completa in allegato si trasmette il testo della delibera, che può rappresentare un valido sostegno a fronte di dubbi e/o interpretazioni restrittive del quadro normativo.

ENTI LOCALINo ai mutui per pagarne altri. Le risorse da rinegoziazione non devono finanziare la spesa. La Corte conti Basilicata ha condannato gli amministratori di un ente. Anche in assenza di danno.
Utilizzare le risorse provenienti dalla rinegoziazione di un mutuo per finanziare la spesa corrente determina il maturare di responsabilità amministrativa nella forma non della sanzione di tipo risarcitorio, ma di quella connessa al mancato rispetto di una norma di legge.
È questo il più importante principio dettato dalla Corte dei conti della Basilicata nella recente sentenza 07.10.2010 n. 216.
Si deve pervenire alla condanna di chi si è reso colpevole di una tale condotta, anche se non si è prodotto uno specifico danno alle risorse dell'ente e se, in un qualche modo, si può parlare di una sorta di condotta necessitata dalla esigenza di fare fronte ad una condizione di squilibrio nella gestione. Nel caso specifico le risorse provenienti dalla rinegoziazione di un mutuo sono state utilizzare per pagare le rate di un mutuo precedentemente contratto da parte dello stesso ente. Alla base di tale conclusione il fatto che, in modo certo ed univoco, il pagamento delle rate di un mutuo costituisce spesa corrente e non spesa di investimento.
Sulla base delle previsioni dell'articolo 119, comma 6, della Costituzione, nel testo introdotto dalla legge costituzionale n. 3/2001, gli enti locali possono ricorrere all'indebitamento esclusivamente per il finanziamento di spesa per investimenti. Questo principio era già presente nel testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali; la sua costituzionalizzazione è stata voluta per rafforzarne il rilievo vincolante e per prevenire una delle cause di più frequente maturazione di indebitamento. Sulla scorta di questa previsione, la legge finanziaria 2003 ha previsto il maturare di responsabilità amministrativa in caso di violazione del principio costituzionale ed ha provveduto alla quantificazione del danno da risarcire in relazione alla indennità di carica in godimento da parte degli amministratori.
Sulla scorta dei principi già affermati dalla giurisprudenza della Corte dei conti, la sentenza in commento afferma che la violazione di queste disposizioni «configura una particolare fattispecie di responsabilità sanzionatoria che differisce e va tenuta nettamente distinta dalla ordinaria responsabilità amministrativa contabile per danno di tipo risarcitorio, di cui solitamente conosce il giudice contabile».
Siamo in presenza di una forma «tipizzata di illeciti amministrativo-contabili», una forma di responsabilità che si aggiunge a quelle previste dalla consolidata giurisprudenza della magistratura contabile in materia di «responsabilità sanzionatoria».
Alla base della condanna vi è la constatazione che «i pagamenti delle rate dei mutui, quota capitale e quota interesse, si configurano come spese correnti». Per tali finalità non possono quindi essere utilizzate le entrate derivanti dalla rinegoziazione di un mutuo che ha determinato la trasformazione dello stesso, augurabilmente, in modo più favorevole all'ente locale.
Viene affermato dalla sentenza, richiamando le indicazioni già espresse dalla stessa magistratura contabile, che la violazione di questa disposizione «viene sanzionata a prescindere dalla produzione di un danno, avendo il legislatore ritenuto meritevole di particolare protezione la regola dell'equilibrio di bilancio anche quando la sua violazione non comporti un danno attuale e concreto valutabile economicamente». Per cui deve essere ricordato che è sufficiente la constatazione della semplice infrazione di norme di legge, tesi rafforzata dal fatto «che la violazione del divieto costituzionale può non avere cagionato danni rilevanti», ma ciò non di meno matura questa forma inedita di responsabilità amministrativa.
Occorre ovviamente dimostrare inoltre che sussiste il requisito del dolo o, quanto meno, della colpa grave. Nel caso in esame la sentenza parla di una «colpa cosciente», con ciò intendendo la consapevolezza della condizione di illegittimità ovvero la «necessità di evitare un pericolo, tra l'altro, non altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo». Non può invocarsi la scriminante della condizione di necessità dell'ente perché non risultano avviate forme di verifica della «possibilità di un'ulteriore contrazione delle spese correnti per fronteggiare la necessità di pagare le rate dei mutui precedentemente contratti».
Da qui la conclusione che «pur a fronte di uno stato di squilibrio finanziario che non permette di far adeguato fronte agli impegni già contratti, il ricorso all'indebitamento per pagare spese correnti, assurge a rimedio peggiore del male, per cui non può ritenersi sussistente il requisito della proporzionalità tra il pericolo che si vuole scongiurare ed il fatto produttivo di danno, sottolineandosi ancora che, in caso di impossibilità di far fronte agli impegni finanziari già contratti, lo stesso legislatore ha previsto l'istituto del dissesto con la conseguente procedura di risanamento, come percorso non eludibile» (articolo ItaliaOggi del 29.10.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Controllo qualità al comune. Fuorigioco le associazioni dei consumatori. La Corte dei conti ha risposto a un quesito del comune di Torino.
L'attività di monitoraggio sulle carte della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate, come previste dall'articolo 2, comma 461, della legge finanziaria 2008, non può essere affidata direttamente alle associazioni dei consumatori, in quanto la normativa prevede esclusivamente una partecipazione di tali associazioni all'attività di controllo dell'ente sul servizio pubblico.
È quanto ha precisato la Sez. regionale di controllo della Corte dei Conti per la regione Piemonte, nel testo del parere 07.10.2010 n. 56, in risposta ad un preciso quesito sul punto, formulato dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino.
Nei fatti oggetto della pronuncia della magistratura contabile, il primo cittadino del capoluogo piemontese chiedeva se l'attività di monitoraggio prevista dall'articolo 2, comma 461, della legge finanziaria 2008, «potesse essere oggetto di affidamento diretto, a prescindere dall'importo stabilito per finanziare tali attività, a favore delle associazioni dei consumatori, regolandone le modalità attraversi apposita convenzione tra l'amministrazione comunale e le predette associazioni».
Come si ricorderà, la norma invocata ha introdotto alcune disposizioni di rafforzamento della tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi pubblici locali, a garanzia della qualità e dell'economicità delle prestazioni di servizio pubblico. In dettaglio, vi è l'obbligo, per il soggetto gestore, di emanare una «carta della qualità dei servizi», che rechi gli standard di qualità e quantità relativi alle prestazioni erogate e che disciplini le modalità di accesso, reclamo e ristoro dell'utenza.
In sede di redazione della predetta Carta, che di una sua successiva verifica, vi è poi il coinvolgimento delle associazioni dei consumatori. Sul punto, la possibilità ventilata dal Chiamparino non sembra collimare con il tenore letterale della norma, nella quale si evidenzia un «monitoraggio svolto sotto la responsabilità dell'ente locale con la partecipazione delle associazioni dei consumatori».
Pertanto, rileva la Corte, un'interpretazione della norma che giungesse a ritenere possibile l'affidamento tout court dell'attività di monitoraggio in maniera esclusiva alle associazioni dei consumatori forzerebbe la previsione testuale della norma, che invece richiama espressamente e specificamente il concetto di partecipazione. Le disposizioni in materia, invece, appaiono «valorizzare una visione triangolare del controllo sul servizio pubblico, che coinvolga contemporaneamente l'ente locale, i consumatori ed il gestore».
È pertanto coerente a tale ratio, avvisa il collegio piemontese della Corte dei conti, una regolazione concordata tra l'ente locale e le associazioni dei consumatori di «forme di partecipazione di quest'ultime all'esercizio del controllo sul servizio, anziché un affidamento esclusivo del monitoraggio in capo alle associazioni stesse».
Basti pensare che un contratto di servizio è un contratto ad oggetto pubblico, con il quale si possono trasferire al gestore poteri pubblici. Ciò rende obbligatorio, in capo alla p.a. titolare del servizio, il monitoraggio sul servizio stesso, proprio perché è esercizio di funzione istituzionale.
In quest'ottica, ha concluso la Corte, il monitoraggio concreta una vera e propria attività istituzionale dell'ente, la cui esternalizzazione mediante affidamento ad un soggetto terzo (nel caso specifico, le associazioni dei consumatori) risulta «alquanto dubbia».
In definitiva, si deve ritenere che l'ente locale debba senz'altro favorire la partecipazione delle associazioni dei consumatori, ma senza spogliarsi dell'esercizio della funzione di monitoraggio (articolo ItaliaOggi del 22.10.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOI revisori pagano in prima persona per il funzionario comunale infedele. Secondo i giudici marchigiani la responsabilità scatta in caso di mancata vigilanza.
Se un funzionario comunale si appropria di somme di pertinenza delle casse comunali, ovvero gestisce «allegramente» i conti del bilancio comunale, del relativo danno erariale ne rispondono anche i revisori dei conti dell'ente, qualora si accerti che questi non hanno mai effettuato le verifiche obbligatorie sui conti previste dal Tuel. Ciò, in quanto è evidente che se l'attività di verifica fosse stata effettuata con scrupolo e diligenza secondo le norme contenute nel citato Tuel, nonché secondo le regole di revisione comunque esistenti ed applicabili agli enti locali, si sarebbe potuto evitare il danno o quanto meno ridurre il suo ammontare.
È quanto ha messo nero su bianco la Sez. giurisdizionale della Corte dei Conti per la regione Marche, nel testo della sentenza 06.10.2010 n. 163, con la quale ha condannato, tra gli altri, anche il collegio dei revisori dei conti di un comune del Pesarese per l'omessa e inefficiente verifica effettuata sui conti e sulle poste di bilancio dell'ente.
Nei fatti oggetto del giudizio della magistratura contabile marchigiana, chiamata a decidere su una vicenda di irregolarità sui conti dell'ente, per la quale anche il funzionario coinvolto è stato condannato, si è accertato che il collegio dei revisori dei conti ha omesso la sua «doverosa attività di sostanziale e sistematico riscontro sulla regolare tenuta della contabilità».
Secondo la Corte marchigiana, la condotta del funzionario comunale è stata, infatti, «oggettivamente agevolata dall'inerzia o dal superficiale e grossolano controllo dei revisori cosicché le contestazioni addebitategli non possono non essere ascritte anche alla colpa grave degli organi di revisione responsabili».
Sul punto, lo stesso collegio ha richiamato un importante principio (cfr. sentenza Cdc Marche n. 64/2010) laddove è stata sottolineata l'importanza del controllo dei revisori, nonché del ruolo e dei compiti che in generale, incombono sui revisori dei conti, anche per quel che concerne le modalità di effettuazione mirata del controllo, detto anche «a campione».
Nella sentenza in esame, infatti, si censura «l'inconsistente controllo svolto dai suddetti organi, non risultando essere intervenute significative pronunce o segnalazioni nelle forme dovute e non essendo sufficienti le relazioni sul conto consuntivo ovvero meri richiami orali non verbalizzati, né sulle modalità di svolgimento della gestione comunale, né sulle relative rappresentazioni contabili, pur in presenza di vistose discrasie e irregolarità».
Pertanto, ha rilevato il collegio giudicante, risulta evidente che se l'attività di verifica fosse stata effettuata con scrupolo e diligenza secondo le norme contenute nel Tuel (artt. 223 e 239 e segg.), così come anche dalle prescrizioni contenute nel regolamento di contabilità del comune interessato, nonché secondo le regole di revisione comunque esistenti ed applicabili agli enti locali, si sarebbe potuto evitare il verificarsi del danno o quanto meno ridurre il suo ammontare.
In definitiva, su un danno erariale quantificato dal collegio in 25.000 euro, diecimila euro devono essere restituiti dai componenti del collegio dei revisori dei conti dell'ente locale (articolo ItaliaOggi del 29.10.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOLo staff del sindaco non lavora gratis. I componenti dell'ufficio di supporto devono avere un contratto. Per i magistrati contabili della Calabria il rimborso spese non basta.
All'interno degli uffici alle dirette dipendenze degli organi di vertice politico degli enti locali non si può lavorare a titolo gratuito. Come prescrive l'articolo 90 del Tuel, infatti, i componenti esterni degli uffici di supporto devono essere inquadrati con contratto di lavoro a tempo determinato al quale si applicano integralmente le norme del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali.
Una norma, questa, che non è suscettibile di alcuna deroga, in quanto si tratta di disposizione imperativa, posta a tutela del lavoratore, al quale viene garantito un trattamento economico equivalente a quello disciplinato dalla contrattazione collettiva nazionale del personale degli enti locali.

È questa l'importante precisazione che la Sez. regionale di controllo della Corte dei Conti calabrese ha posto nel testo del parere 02.08.2010 n. 395, con il quale ha fatto luce sulla natura e sulle modalità di retribuzione dei componenti degli organi di supporto ai vertici politici degli enti locali e territoriali (cosiddetto staff), così come prevede l'articolo 90 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali.
Nei fatti oggetto del parere in osservazione, il quesito posto dal sindaco di Cerchiara di Calabria (Cs) ha inteso conoscere la possibilità di prevedere, nell'organigramma dei predetti uffici di supporto, oltre a personale dipendente dell'ente e a soggetti esterni inquadrati con contratto di lavoro a tempo determinato, anche altri soggetti, sempre esterni all'ente, da inserire come semplici collaboratori, i quali presterebbero la propria opera a titolo gratuito e a cui verrebbe corrisposto il solo rimborso delle spese effettivamente sostenute nell'esercizio dell'attività, previa idonea documentazione.
Il collegio della Corte calabra ha però stoppato le attese del comune istante. Infatti, una simile previsione appare incompatibile con quanto statuisce il citato articolo 90 del Tuel, ove si prescrive che al personale assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato «si deve applicare il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali». Una norma che non può essere in alcun modo derogata, in quanto imperativa e posta a tutela del lavoratore, al quale viene garantito un trattamento economico equivalente a quello disciplinato dalla contrattazione collettiva del personale degli enti locali.
Come d'altronde insegna l'orientamento consultivo fin qui seguito da altri collegi della Corte dei conti, per il personale adibito a staff degli organi di vertice non si possono stipulare contratti di lavoro autonomo, in quanto in contrasto con le previsioni del Ccnl, soprattutto per i riflessi in merito all'entità della retribuzione (Corte conti Puglia, parere n. 241/2007). Senza dimenticare che il personale di staff, rientra a tutti gli effetti nell'ambito della dotazione organica dell'ente, con la conseguenza che «l'unico rapporto configurabile sarebbe solo quello di lavoro subordinato» (cfr. Corte dei conti Toscana, parere n. 622/2004).
Ma vi è di più, fa notare la Corte calabra. L'articolo 90 del Tuel, prevede, quale unica condizione per l'assunzione di collaboratori esterni da adibire agli uffici di staff, posti alle dirette dipendenze degli organi di vertice, che l'ente non versi in una situazione di dissesto o di deficit strutturale.
In conclusione, l'ente locale che intende costituire uffici alle dirette dipendenze degli organi di vertice politico, può ben farlo con l'espressa previsione nel proprio regolamento sull'ordinamento degli uffici, nel rispetto dei limiti di legge in materia di spese per il personale e assicurando ai componenti il trattamento economico previsto dalla contrattazione collettiva nazionale del personale degli enti locali (articolo ItaliaOggi del 29.10.2010 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Il Sindaco del comune di San Giacomo delle Segnate (MN) ha chiesto alla Sezione di rendere parere in merito alla possibilità di proseguire la procedura di gara d’appalto per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, avviata in seguito alla scadenza del precedente contratto, o se debba, invece, alla luce della normativa vigente, considerare legittima la tesi del blocco delle gare fino alla data di creazione degli ATEM (Ambiti Territoriali Minimi), da realizzarsi a cura del Governo entro la data del 31/12/2012.
... In conclusione, il comune di San Giacomo Delle Segnate in materia di erogazione del servizio pubblico di distribuzione del gas, dovrà applicare le norme speciali previste dal D.Lgs. 146/2000 (e sue successive modifiche ed integrazioni); la disciplina degli affidamenti del servizio è contenuta negli artt. 14 e 15 del D.Lgs. 164/2000 (c.d. decreto Letta), che regola la sorte delle gestioni in essere durante il periodo transitorio, nonché i rapporti economici fra
gestori temporalmente contigui e fra gestori ed ente locale, ferma rimanendo la discrezionalità dell’ente di procedere al riscatto diretto delle reti e di stabilire le modalità di allocazione dei costi di transizione, mediante la predisposizione di
apposite clausole convenzionali nel successivo bando di gara.
In attesa della determinazione governativa degli ATEM entro il termine legislativamente previsto, appare preferibile la tesi della sospensione temporanea di nuove gare per l’affidamento del servizio, con conseguente prorogatio delle gestioni precedenti (
Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 17.02.2010 n. 225).

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Chi è contemporaneamente consigliere comunale e provinciale dovrà scegliere. Gettoni non cumulabili. Un solo emolumento per chi ricopre due incarichi.
Sono cumulabili i gettoni di presenza percepiti da un consigliere comunale che ricopre anche la carica di consigliere provinciale, alla luce delle modifiche apportate all'art. 82 del Tuel dal dl 31/05/2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30/07/2010, n. 122?

L'art. 5, comma 11, del dl n. 78/2010 ha stabilito che chi è eletto o nominato in organi appartenenti a diversi livelli di governo non può ricevere più di un emolumento, comunque denominato, a sua scelta.
Ne deriva che il legislatore, estendendo il divieto di cumulo originariamente contemplato solo tra due diverse indennità di funzione, ha precluso a chi ricopre la carica di consigliere comunale e quella di ci consigliere provinciale, la possibilità di percepire i gettoni di presenza previsti per entrambe le cariche ricoperte.
Pertanto, l'amministratore interessato dovrà optare per uno dei due emolumenti (articolo ItaliaOggi del 29.10.2010, pag. 37 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità.
Sussiste una causa di ineleggibilità ovvero di incompatibilità, in relazione agli articoli 60 e 63 del decreto legislativo n. 267/2000, nei confronti di un consigliere comunale successivamente eletto alla carica di sindaco presso altro comune?
L'art. 60, comma 1, n. 12 del decreto legislativo n. 267/2000 prevede l'ineleggibilità alla carica di sindaco, di presidente della provincia, di consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale, per chi riveste le stesse cariche, rispettivamente in altro comune, provincia o circoscrizione.
La Corte di cassazione, sezione I, in data 20.05.2006, con la sentenza n. 11894, nell'effettuare un esame dell'evoluzione legislativa in tema di ineleggibilità, si è pronunciata a favore dell'ipotesi di ineleggibilità alla carica di sindaco per chi ricopre la carica di consigliere in altro comune. L'Avvocatura generale, nel novembre 2009, si è espressa in senso conforme all'indirizzo enunciato dalla Corte di cassazione.
Pertanto, alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale, ricorre l'ipotesi di ineleggibilità alla carica di sindaco per chi ricopre la carica di consigliere in altro comune di cui al citato art. 60, comma 1, n. 12 del decreto n. 267/2000, mentre, nei confronti della carica consiliare si viene a concretizzare l'ipotesi dell'incompatibilità prevista dal successivo art. 63, comma 1, n. 7. per colui che, nel corso del mandato, viene a trovarsi in una condizione di ineleggibilità.
La rimozione dell'incompatibilità va operata con la presentazione di formali e tempestive dimissioni dalla carica di sindaco ricoperta; viceversa l'accertamento della causa ostativa, oltre che in via amministrativa, con la procedura prevista dall'art. 69 del Tuel può essere promosso da qualsiasi cittadino elettore dei comuni interessati o da chiunque vi abbia interesse davanti al tribunale civile, ai sensi dell'art. 70 del Testo unico (articolo ItaliaOggi del 29.10.2010, pag. 37 - link a www.ecostampa.com).

ENTI LOCALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Comunità Montane.
Qual è la disciplina introdotta dalla legge finanziaria 2010 in materia di finanziamenti statali alle comunità montane?
Il comma 187 dell'art. 2 della legge finanziaria 2010, ha previsto che «a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, lo stato cessa di concorrere al finanziamento delle comunità montane previsto dall'art. 34 del dlgs 30/12/1992 n. 504 e che «nelle more dell'attuazione della legge 05/05/2009 n. 42, il 30% delle risorse finanziarie di cui al citato art. 34 è assegnato ai comuni montani».
In coerenza col quadro costituzionale attuale, pertanto, le regioni, in base all'art. 119 della Cost., «devono provvedere al loro finanziamento insieme ai comuni di cui costituiscono la proiezione», considerata l'autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali.
Così, infatti, ha ribadito la recente giurisprudenza costituzionale che ha anche sottolineato che le regioni, nell'ambito della loro autonomia legislativa, potranno stabilire forme e modi di ulteriore finanziamento oppure addivenire alla risoluzione finale di sopprimerle (C. cost. n. 237/2009 e C. cost. n. 27/2010).
Tuttavia la recente legge n. 42/2010, di conversione del dl 25/1/2010 n. 2, ha modificato, tra gli altri, l'art. 2, comma 187, della legge n. 191/2009 (legge Finanziaria 2010) stabilendo di sostituire le parole «ai comuni montani» con quelle «ai comuni appartenenti alle comunità montane», con riferimento agli enti destinatari delle risorse finanziarie previste dal decreto legislativo n. 504/1992 e dalle altre disposizioni relative alle comunità montane.
Pertanto, nel rinnovato quadro normativo, e in assenza di una mirata normazione regionale, i comuni ricompresi nell'area delle comunità montane, che non dovessero essere in grado di approvare il bilancio di previsione nei termini stabiliti, faranno riferimento alle disposizioni di cui al Testo unico per l'ordinamento degli enti locali, e in particolare all'art. 141 (articolo ItaliaOggi del 29.10.2010 - link a www.ecostampa.com).

LAVORI PUBBLICI: Rotatorie, niente pubblicità.
Nel centro delle rotonde stradali e attorno a questi diffusi manufatti non è possibile posizionare cartelli pubblicitari. Si tratta infatti di intersezioni a raso dove secondo il codice stradale è vietato applicare qualsiasi distrazione per l'utente motorizzato.

Lo ha ribadito il Ministero dei Trasporti con il parere 09.09.2010 n. 72763.
La città di Aosta ha richiesto chiarimenti circa la diffusa realizzazione di rotatorie stradali sponsorizzate da soggetti privati con marchi, insegne e informazioni pubblicitarie.
Questa pratica è vietata, ha spiegato il ministero, in quanto le rotatorie, anche se non vengono citate dal codice della strada, sono tecnicamente definibili come delle intersezioni a raso su cui si applica il conseguente divieto di posizionamento di impianti pubblicitari previsto dall'art. 51 del regolamento stradale.
In buona sostanza, sono fuori legge tutte le iniziative locali che hanno ricercato sponsor per contribuire alla realizzazione dei diffusi manufatti stradali posizionando le pubblicità dell'azienda privata nel bel mezzo della rotonda.
Questi impianti possono infatti creare distrazione e ingenerare pericolo per la circolazione (articolo ItaliaOggi del 29.10.2010, pag. 22).

INCENTIVO PROGETTAZIONEGli incentivi ai progettisti tornano al 2%. Ma continua a porsi il problema della decorrenza.
Nuovamente al 2% lordo dell'importo a base di gara l'incentivo per i progettisti delle pubbliche amministrazioni.
Il «collegato lavoro» approvato in via definitiva, ripristina la vecchia soglia massima dell'incentivo, abolendo, con l'articolo 35, comma 3, il comma 7-bis dell'articolo 67 del dl 112/2008, convertito in legge 133/2008, che l'aveva ridotta allo 0,5%. Tutto torna, dunque, come prima.
Gli enti potranno nuovamente contare su una più piena disponibilità dei propri progettisti, superando i malumori determinati dalla riduzione di ben tre quarti dell'incentivo da anni previsto dalla normativa. Si riproporrà, tuttavia, nuovamente il problema delle decorrenze.
Come è noto la magistratura contabile, in particolare la Sezione autonomie della Corte dei conti, ha ritenuto che la riduzione dell'incentivo allo 0,5% massimo dovesse valere solo per le progettazioni affidate ai tecnici successivamente alla data dell'01.01.2009, ritenendola non retroattiva; una teoria certamente di favore nei confronti dei tecnici, ma non completamente persuasiva, per altro contraria alle interpretazioni fornite, invece, della Ragioneria generale dello stato.
Sta di fatto che le amministrazioni hanno continuato a liquidare al 2% gli incentivi per progettazioni affidate antecedentemente al primo gennaio 2009; mentre hanno iniziato a liquidare allo 0,5% per quelle successive. Applicando, adesso, il medesimo criterio interpretativo, allora, non dovrebbe essere possibile per le amministrazioni agire diversamente, ora che l'aliquota è stata portata al 2%. Il principio dell'irretroattività dovrebbe continuare a valere.
Dunque, tutti gli incarichi di progettazione interna affidati prima dell'entrata in vigore del collegato alla finanziaria dovrebbero continuare ad essere pagati allo 0,5% nel massimo. Soprattutto se gli enti avessero impegnato a tale fine la spesa limitatamente all'importo dello 0,5%, come molti in realtà hanno fatto (articolo ItaliaOggi del 22.10.2010 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOCOLLEGATO LAVORO/ Al restyling i contratti part-time. La p.a. ha 180 giorni per rivedere i provvedimenti autorizzatori. Ancora incerto l'orizzonte temporale fino a cui potrà spingersi la revisione.
Le pubbliche amministrazioni potranno riconsiderare i provvedimenti di concessione del part-time ai propri dipendenti.
Il collegato lavoro approvato i giorni scorsi in parlamento all'articolo 16 consente alle pubbliche amministrazioni una nuova valutazione delle trasformazioni del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale a suo tempo assentite «in sede di prima applicazione» delle disposizioni introdotte dall'articolo 73 del dl 112/2008, convertito in legge 133/2008.
La facoltà di rivedere i provvedimenti favorevoli al part-time va esercitata entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del «collegato alla finanziaria», nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede.
Le amministrazioni avranno l'opportunità di rivedere i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima della data di entrata in vigore del citato dl 112/2008.
La disposizione non è esente da problemi attuativi, cosa, d'altra parte, attestata dal richiamo al rispetto dei principi di correttezza e buona fede.
Le amministrazioni sono, evidentemente, invitate a esercitare la facoltà che con cautela e, naturalmente, in presenza di specifiche e circostanziate motivazioni, tali da mostrare appunto il rispetto dei principi espressamente enunciati dal legislatore.
Non risulta, però, chiaro quali siano i provvedimenti oggetto della possibile revisione. La norma parla di quelli adottati prima della vigenza della manovra d'estate 2008. È chiaro, però, che tale arco di tempo, non espressamente determinato dalla legge, può essere infinito. C'è, dunque, da chiedersi se le amministrazioni possano rivedere anche concessioni di part-time adottate anni addietro.
In senso contrario conduce la circostanza che il passare del tempo ha certamente consolidato la situazione del lavoratore, sicché risulterebbe certo meno agevole, per l'amministrazione datrice, enucleare una motivazione rispettosa della correttezza e della buona fede.
La norma potrebbe intendersi riferita ai provvedimenti di concessione adottati nel mese di giugno 2008, nell'imminenza della vigenza della manovra d'estate. Infatti, la contrattazione collettiva prevede(va) che le domande per la collocazione a tempo parziale debbono essere presentate nei mesi di dicembre e giugno.
Pertanto, a giugno 2008 certamente molti lavoratori hanno presentato domande di collocazione a part-time, sulle quali, prima del 25.12.2008, in mancanza di gravi motivazioni che giustificassero il rinvio di sei mesi, le amministrazioni potrebbero essersi viste costrette ad adottare da subito provvedimenti di accoglimento. Che, magari, pochi giorni dopo avrebbero potuto, invece, non emettere.
Nel caso in cui il dipendente avesse presentato prima del 25.06.2008 istanza di trasformazione a part-time e tale istanza fosse stata formalmente accolta, con decorrenza differita, opera il principio tempus regit actum, perché l'atto decisionale sarebbe stato comunque adottato, ancorché i suoi effetti si producessero successivamente alla vigenza del dl 112/2008.
Sembra, dunque, plausibile che il collegato lavoro si riferisca alle istanze di part-time presentate nel giugno 2008, come lascerebbe intuire il riferimento alla prima applicazione della manovra d'estate. Tra l'altro, parlare di prima applicazione a oltre due anni di distanza dall'entrata in vigore del dl 112/2008 appare una forzatura, tale da rendere l'attuazione concreta della facoltà concessa dalla legge piuttosto complicata.
Sarebbe stato necessario che il legislatore avesse chiarito questi aspetti con una disposizione esplicita, sì da dirimere i dubbi. Così non è stato, nonostante la lunghissima gestazione della legge e i tanti emendamenti apportati (articolo ItaliaOggi del 22.10.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIDall'01.01.2011 sarà molto più difficile erogare contributi. Il divieto di sponsorizzazioni travolgerà le feste patronali.
Il divieto di effettuare sponsorizzazioni da parte di tutte le p.a. determinerà un drastico calo degli eventi culturali, spettacolari e sportivi e può determinare in molti casi l'effetto che anche le festività locali possano essere drasticamente ridimensionate.
E' questa la condizione che si determinerà a partire dal prossimo 1° gennaio 2011, come effetto congiunto del divieto di effettuare sponsorizzazioni e della drastica riduzione della capacità di spesa dei soggetti pubblici per convegni, mostre, relazioni pubbliche, rappresentanza e pubblicità, prescrizioni contenute nella cd manovra estiva.
Sulla legittimità costituzionale di questi vincoli sussistono molti dubbi, in quanto da più parti si dubita che essi finiscano con il limitare l'autonomia delle singole amministrazioni regionali e locali.
Per evitare questo rischio, quanto meno in termini di impugnazione da parte delle regioni, per tale livello istituzionale è stato previsto che questa sia una norma di principio e che la mancata applicazione determini per esse il taglio del 10% dei trasferimenti statali.
Sicuramente è questo un tema su cui la sensibilità degli amministratori si manifesterà in modo assai marcato non appena si toccheranno con mano gli effetti della disposizione. Ed inoltre, la concreta applicazione di questi vincoli determinerà una drastica limitazione anche degli eventi culturali e spettacolari che le p.a. sostengono spesso in misura assai elevata.
L'articolo 6, comma 9 del dl n. 78/2010, per come convertito dalla legge n. 122/2010, dispone espressamente che dal prossimo 1° gennaio 2011 tutte le p.a. non possano più «effettuare spese per sponsorizzazioni». In termini sostanziali si può definire come sponsorizzazione la erogazione di un contributo a fronte del quale lo sponsor riceve una specifica visibilità.
Quindi sembrano ascrivibili a questo istituto, ad esempio, non solo la concessione di contributi ad una squadra sportiva che nella maglietta porterà la scritta «città di» o «provincia di» ovvero il sostegno alla nazionale di calcio, ma anche le molto più diffuse e pratiche di concessione di contributi a fronte della inclusione del logo del comune nel manifesto ovvero della utilizzazione della formula «con la collaborazione del comune di» o «con il patrocinio del comune di».
L'esperienza ci dice che questo è lo strumento che le amministrazioni regionali, provinciali e comunali, utilizzano largamente per permettere la realizzazione di sagre, feste patronali, eventi culturali o spettacolari etc. E questo a prescindere dal volume del contributo erogato.
Si deve inoltre chiarire se anche la pratica di sostenere queste iniziative con contributi indiretti rientri in tale ambito: come esempi di contributi indiretti possiamo citare la concessione gratuita di locali o strutture, la esenzione o la riduzione dal pagamento della Tosap o del canone per l'occupazione del suolo ovvero dalla imposta o dal canone di pubblicità o dalla tassa o tariffa sui rifiuti.
In termini formali per sponsorizzazione si deve invece intendere uno specifico contratto che viene sottoscritto tra le parti, il che potrebbe consentire di escludere buona parte degli esempi prima citati. Ma la lettura della norma ci impedisce di arrivare a questa conclusione; infatti il divieto non viene dettato solo per i contratti di sponsorizzazione, ma in termini assai più generali per le «spese per sponsorizzazioni».
Occorre aggiungere che la disposizione non vieta la erogazione di contributi, materia che è disciplinata dal precedente comma 8 dello stesso articolo 9 del dl n. 78/2010, con la scelta della drastica riduzione delle risorse a tal fine disponibili, che dall'01.01.2011 non dovranno superare il tetto del 20% delle analoghe spese sostenute nell'anno 2009. Ma è evidente che la loro erogazione sarà legittima solo le amministrazioni non ne riceveranno un contraccambio in termini di visibilità (articolo ItaliaOggi del 22.10.2010, pag. 78).

PUBBLICO IMPIEGOArriva l'aspettativa per nuove attività. Un anno senza stipendio e anzianità.
Nuova ipotesi di aspettativa per i dipendenti pubblici che vogliano sperimentare l'avvio di attività professionali o imprenditoriali.
L'articolo 18 del collegato lavoro attribuisce ai dipendenti pubblici la possibilità di chiedere agli enti dai quali dipendono la collocazione in aspettativa senza assegni e senza decorrenza dell'anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi. In questo arco di tempo, gli interessati potranno anche avviare attività professionali e imprenditoriali, senza che si determino, ovviamente, cause di incompatibilità.
Le amministrazioni non sono obbligate ad acconsentire alle richieste: la concessione dell'aspettativa rimane facoltativa e subordinata alla valutazione delle esigenze organizzative, previo esame della documentazione prodotta dall'interessato.
Intento non tanto nascosto della disposizione del collegato lavoro è favorire un esodo volontario dal lavoro pubblico verso il lavoro privato, permettendo ai dipendenti interessati a nuove e diverse esperienze di lavoro di dedicarsi a tempo pieno alle nuove attività.
Scaduto il periodo di aspettativa, i dipendenti interessati dovranno scegliere se proseguire nell'attività privata avviata durante l'aspettativa, o rientrare nei ruoli dell'ente di appartenenza: infatti, l'inapplicabilità delle norme sull'incompatibilità di cui all'articolo 53 del dlgs 165/2001 perdura solo fino al periodo concesso di aspettativa.
La norma può rivelarsi particolarmente utile per quei dipendenti con orario di lavoro a tempo parziale al di sotto del 50% del tempo pieno, i quali hanno chiesto ed ottenuto tale tipologia di part-time, nella maggior parte dei casi, allo scopo di poter svolgere ulteriori attività lavorativa, oltre a quella condotta con l'ente di appartenenza.
Un periodo di aspettativa come quello consentito dal collegato permetterebbe loro di valutare meglio, con la prova concreta sul campo, la possibilità di fare il passo decisivo verso lo svolgimento di un lavoro interamente in proprio e non più alle dipendenze di amministrazioni pubbliche.
Ciò potrebbe contribuire alla diminuzione del personale pubblico e al contenimento dei costi del personale, obiettivo fondamentale di tutte le riforme attivate dal legislatore (articolo ItaliaOggi del 22.10.2010, pag. 47).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Assessori regionali sindaci. Niente incompatibilità se scelti fuori dal consiglio. Le norme limitative dell'elettorato passivo sono di stretta interpretazione.
Sussiste una causa di incompatibilità, prevista dal decreto legislativo n. 267/2000, nei confronti di due neo eletti assessori esterni alla regione che rivestono anche la carica di sindaco presso comuni compresi nel territorio regionale?
A seguito della modifica del titolo V della Costituzione, con la legge costituzionale n. 3/2001, spetta alle regioni disciplinare le cause di incompatibilità alle cariche elettive regionali e, fino all'entrata in vigore delle discipline regionali, continuano ad applicarsi le disposizioni statali in materia, in forza del principio di cui all'art. 1, comma 2, della legge n. 131/2003.
Se la regione non ha disciplinato espressamente la materia, si applica, pertanto, la norma di cui all'art. 65 del decreto legislativo n. 267/2000, che prevede l' incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e quella di sindaco di uno dei comuni compresi nel territorio della regione.
La fattispecie esaminata, tuttavia, riguarda un'ipotesi di cumulo di cariche elettive non puntualmente disciplinata dal Tuel. In sede applicativa si sono registrate incertezza in ordine alla sussistenza dell'incompatibilità nel caso in cui l'assessore venga individuato dal sindaco o dal presidente al di fuori dei componenti del consiglio, fattispecie diversa da quella specificamente prevista dall'art. 65 del Tuel, ma per l'esercizio della quale l'art. 47, commi 3 e 4, richiede il possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità richiesti per la carica di consigliere.
Il supremo consesso, intervenuto sul tema, ha confermato il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, ordinaria e amministrativa che non ammette l'interpretazione estensiva di norme limitative dell'elettorato passivo, per il carattere derogatorio delle stesse al principio di libera accessibilità alle cariche amministrative, e ha espresso l'avviso che le ipotesi previste dagli articoli 64 e 65 del Testo unico in tema di incompatibilità si applicano solo nei casi ivi testualmente menzionati, ritenendo che il ricorso all'analogia non sia consentito dal principio interpretativo generale per cui le norme che restringono eccezionalmente diritti di status sono di stretta interpretazione. Pertanto, non ricorre alcuna ipotesi di incompatibilità per la fattispecie menzionata (articolo ItaliaOggi del 22.10.2010 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Oneri per permessi retribuiti.
Il comune è tenuto a corrispondere gli oneri per i permessi retribuiti, previsti dall'art. 80 del dlgs n. 267/2000, per il sindaco che è dipendente di una società, nata dalla fusione per incorporazione di altre società per azioni, ha la forma giuridica di società di capitali, è soggetto gestore del servizio idrico integrato ed è partecipata esclusivamente dai comuni rientranti nell'unico ambito?

L'art. 80 del Tuel precisa che gli oneri per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici sono a carico dell'ente presso il quale gli stessi lavoratori esercitano le funzioni pubbliche di cui all'art. 79 Tuel.
Con l'espressione «lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici» il legislatore ha voluto escludere i lavoratori dipendenti dallo stato e da altri enti pubblici non economici.
Se la natura giuridica della spa è quella di una società in house, secondo la giurisprudenza comunitaria e nazionale l'importante è che il controllo esercitato sulla società concessionaria sia effettivo, pur non risultando indispensabile che sia individuale, cioè del singolo socio pubblico; ciò anche se «il controllo analogo» richiesto dall'ordinamento per la configurabilità di tale modello societario è esercitato non dal singolo comune ma, congiuntamente, da tutti gli enti costituenti l'Autorità d'ambito (cfr. ex plurimis, Consiglio di stato, 26.08.2009, n. 5082 cui potrà farsi riferimento per verificare la sussistenza, in base allo statuto e all'atto costitutivo della società, di tutti gli elementi richiesti per la configurabilità del «controllo analogo»).
Il giudice amministrativo si è da tempo orientato nel senso di escludere che la semplice veste formale di spa sia idonea a trasformare la natura pubblicistica di soggetti che, in mano al controllo totale dell'azionista pubblico, continuano ad essere affidatari di rilevanti interessi pubblici e possono, pertanto, considerarsi soggetti strumentali degli enti locali, al pari delle aziende speciali (cfr. Tar Campania, I sez., 19.03.2008, n. 2533).
D'altra parte, risulta determinante il riferimento alla ratio del citato art. 80, che è quella di ristorare il privato degli oneri derivanti dai permessi concessi ai propri dipendenti per l'esercizio di un mandato elettorale, ristoro che non avrebbe senso se operato a favore di una persona giuridica il cui capitale è interamente pubblico.
Pertanto l'ente non è tenuto a rimborsare alla società gli oneri per i permessi retribuiti spettanti al proprio sindaco (articolo ItaliaOggi del 22.10.2010 - link a www.ecostampa.com).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Revoca attestazione SOA - Possesso dei requisiti - False attestazione - Non imputabilità della falsità all'impresa - Effetti - Richiesta di nuova attestazione - Verifica.
L'attestazione di qualificazione rilasciata sulla base di falsi documenti va annullata anche se in ipotesi la falsità non sia imputabile all'impresa che ha conseguito l'attestazione, d’altra parte, la non imputabilità della falsità all'impresa che ha conseguito l'attestazione acquista rilevanza in sede di e ai fini del rilascio di nuova attestazione. Pertanto, in caso di falso non imputabile sussiste il requisito di ordine generale di non aver reso false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti richiesti per l'ammissione agli appalti e per il conseguimento dell'attestazione di qualificazione (Cons. Stato, sez. VI, n 128/2005; Id., 04/02/2010, n. 515).
Ciò comporta, tuttavia, che, nel definire il procedimento avviato con la richiesta di nuova attestazione presentata da soggetto che, in passato, ha già conseguito attestazione di qualificazione fornendo dati oggettivamente falsi, il soggetto preposto alla definizione dell’istanza non può omettere di verificare l’imputabilità o meno al soggetto istante della pregressa falsità.
Né d’altra parte la non imputabilità può dirsi esclusa per il solo fatto che la falsità ha nel caso di specie involto certificazioni rilasciate da un ente pubblico, in specie dalla Provincia di Imperia: dato, questo, da sé solo non dirimente in sede di verifica dell’imputabilità, al soggetto che ha chiesto il rilascio dell’attestazione, della falsità del dato prodotto con l’esibizione della certificazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.10.2010 n. 7646 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Esecuzione dell’appalto - Danni derivati a terzi - Responsabilità del committente - Colpa “in eligendo” e di omesso controllo - Artt. 2043 e 2049 c.c. - Immobile dichiarato di interesse storico-artistico - Demolizione non autorizzata - Fattispecie - Art. 160 D.Lgs. n. 42/2004.
La responsabilità del committente (nella specie il comune di Bitonto) per danni derivati a terzi dall’appalto non si basa soltanto sull’art. 2049 c.c., secondo cui la particolare autonomia contrattuale di cui gode l’appaltatore esclude la possibilità di configurare in genere la esistenza di un rapporto di preposizione che giustificherebbe la responsabilità del committente stesso (il quale non risponde, quindi, normalmente, dei danni cagionati a terzi dall’appaltatore), ma si basa, in talune ipotesi, come appunto quella in esame, sulla clausola generale dell’art. 2043 c.c.; e cioè sulla c.d. colpa “in eligendo”, potendo il committente essere eccezionalmente corresponsabile in via diretta con l’appaltatore per i danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’appalto. Fattispecie: totale distruzione di un bene assoggettato a vincolo storico-artistico (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28.10.2010 n. 7635 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Bene sottoposto a vincolo storico-artistico - Totale distruzione - Responsabilità dell’ente - Criterio per la commisurazione della sanzione pecuniaria - Esercizio di discrezionalità tecnica - Contestazione - Presupposti - Irragionevolezza e illogicità - Art. 160, c. 4, D.Lgs n. 42/2004.
Ai sensi dell’art. 160, comma 4, del D.Lgs. n. 42/2004, qualora non sia possibile la reintegrazione del bene protetto, il responsabile deve corrispondere allo Stato una somma pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore subita dalla stessa (nella specie, totale demolizione senza autorizzazione di un immobile sottoposto a vincolo storico-artistico per lavori di allargamento della strada provinciale).
Dal che la conseguenza che è privo di fondamento il rilievo relativo all’asserita contraddittorietà e l’illogicità della sanzione pecuniaria non sorretta dalla necessaria indicazione delle ragioni di fatto e di diritto a base dell’asserita responsabilità del Comune.
Inoltre, in merito alla concreta determinazione del “quantum” della sanzione pecuniaria irrogata, trattandosi di espressione di esercizio di discrezionalità tecnica, essa può essere contestata soltanto per irragionevolezza e illogicità (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28.10.2010 n. 7635 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Offerta anomala - Verifica - Artt. 87 e 88, d.lgs. n. 163/2006.
La verifica dell’anomalia, alla stregua dei parametri di riscontro di cui agli artt. 87 e 88, del d.lgs. n. 163/2006, deve svolgersi, con valutazione globale previa attendibilità dell’analisi dei prezzi redatta dall’interessata offerente.
Di regola, la verifica dell'offerta anomala si estrinseca in un sub-procedimento formalmente distinto rispetto a quello ad evidenza pubblica diretto all'aggiudicazione, anche se ad esso collegato (C.S., sez. VI, 03/04/2002 n. 1853).
Gara d’appalto di opera pubblica - Anomalia delle offerte - Verifica giurisdizionale dell'anomalia - D.L.vo n. 163/2006.
La motivazione della valutazione effettuata circa l'anomalia delle offerte in una gara d’appalto di opera pubblica costituisce l'elemento decisivo ai fini della verifica giurisdizionale, in quanto permette un controllo sulla logicità della stessa, senza possibilità per il giudice di sostituirsi alla p.a. o trasmodare nelle determinazioni che appartengono al merito dell'azione amministrativa.
Pertanto, in tema di anomalia, compito primario del giudice è quello di verificare se il potere amministrativo sia stato tecnicamente esercitato in modo conforme ai criteri di logicità, congruità, razionalità e corretto apprezzamento dei fatti.
Sicché, nella verifica dell'anomalia, l'esito della gara può essere travolto dalla pronuncia del giudice amministrativo solo quando il giudizio negativo sul piano dell'attendibilità riguardi voci che, per la loro rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l'intera operazione economica non plausibile e, per l'effetto, non suscettibile di accettazione da parte della stazione appaltante, a causa dei residui dubbi circa l'idoneità dell'offerta, insidiata da indici strutturali di carente affidabilità, a garantire l'efficace perseguimento dell'interesse pubblico (C.S., sez. VI, dec. 03/05/2002 n. 2334) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.10.2010 n. 7631 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono degli abusi edilizi - Formazione del silenzio assenso - Presupposti - Mero decorso del termine - Insufficienza.
Il termine legale per la formazione del silenzio-assenso in materia di condono degli abusi edilizi presuppone che la domanda sia stata corredata dalla prescritta documentazione, non sia infedele, sia stata interamente pagata l'oblazione e, altresì e soprattutto, che l'opera sia stata ultimata nel termine di legge e non sia in contrasto con i vincoli di inedificabilità di cui all'art. 33, l. 28.02.1985, n. 47 (Consiglio Stato, sez. IV, 22.07.2010, n. 4823; Consiglio Stato, sez. IV, 30.06.2010, n. 4174).
Il semplice decorso del termine per provvedere costituisce, pertanto, solo uno degli elementi necessari, ma di per se non sufficiente, per il perfezionamento della fattispecie (TAR Puglia Lecce, sez. III, 03.03.2010, n. 676).
Abusi edilizi - Decorso del tempo - Provvedimento sanzionatorio - Motivazione rafforzata.
In materia edilizia, non può ammettersi che il mero decorso del tempo legittimi la conservazione di una situazione di fatto abusiva (TAR Lombardia Brescia, sez. I, 08.07.2009, n. 1450; TAR Sicilia Palermo, sez. III, 20.10.2009, n. 1665; TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 07.07.2009, n. 1053), ponendosi, al più, esclusivamente il problema di una motivazione “rafforzata” in ordine all’adozione del provvedimento sanzionatorio che indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (TAR Campania Napoli, sez. III, 18.09.2008, n. 10345) (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 25.10.2010 n. 21436 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi - Demolizione - Pregiudizio per le parti realizzate legittimamente - Possibilità di non procedere alla rimozione - Limiti.
La possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive, quando ciò sia pregiudizievole per quelle legittime, costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, subordinato alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato di luoghi (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 21.05.1999, n. 587).
Senza contare che siffatta evenienza resta ammissibile nelle sole ipotesi di cui agli artt. 33 e 34 del d.p.r. 380/2001 (rispettivamente di ristrutturazione abusiva e di difformità parziali), mentre non è predicabile rispetto ai più gravi abusi sanzionati dall’art. 31 del d.p.r. 380/2001 (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 25.10.2010 n. 21381 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Inesistenza di condanne a carico di amministratori e direttori tecnici - Dichiarazione sostitutiva ex art. 47, c. 2, d.P.R. n. 445/2000 - Puntualizzazione “per quanto a mia conoscenza” - Mancanza di vera e propria assunzione di responsabilità - Validità - Esclusione.
La puntualizzazione del tipo "per quanto a mia conoscenza" inserita in una dichiarazione sostitutiva, resa ai sensi dell’art. 47, co. 2, del D.P.R. n. 445/2000, relativa all’inesistenza di condanne nei confronti di amministratori e direttori tecnici cessati dalla carica, rende del tutto priva di valore e tamquam non esset la dichiarazione rilasciata, venendo a mancare una vera e propria assunzione di responsabilità insita, invece, in tale tipo di dichiarazione e alla base dell’affidamento che è chiamata a riporvi l’amministrazione appaltante. (C.G.A., 06.09.2010, n. 1153; Cons. Stato, V, 27.01.2009, n. 375; cfr. TAR Sicilia, Catania, 07.04.2010, n. 1029) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 22.10.2010 n. 13015 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Le imprese consorziate per le quali il consorzio ha dichiarato di concorrere devono possedere una qualificazione minima pari almeno al 10% di quella richiesta nel complesso per partecipare ai lavori.
Secondo la tesi dell’impresa appellante il d.lgs. n. 163 del 2006, nell’art. 36, impone ai consorzi stabili di indicare in sede di offerta per quali consorziati concorrano, vietando a questi di partecipare in altra forma alla stessa gara; che in esso si rinvia all’emanando regolamento per la fissazione delle condizioni e limiti alla facoltà del consorzio di eseguire prestazioni tramite i consorziati e che, negli articoli 253 e 256, si stabilisce, in attesa del detto regolamento, che continua ad applicarsi il d.P.R. n. 554 del 1999, nei limiti di compatibilità con il Codice, non disponendosi, infine, l’abrogazione gli articoli 95 e 97 del detto d.P.R.; ne consegue l’erroneità della tesi per cui l’indicazione della consorziata designata per l’esecuzione dell’opera è atto a mera rilevanza interna, poiché così si equipara l’ipotesi del consorzio stabile impegnato ad eseguire direttamente l’opera con quella del consorzio che, invece, designi a tale fine una consorziata, laddove, come visto, il citato art. 36 espressamente richiama per l’affidamento delle prestazioni a singoli consorziati un quadro di condizioni e limiti, dovendosi perciò ritenere vigenti quelli già posti con gli articoli 95 e 97 citati, secondo il principio della garanzia della qualità delle prestazioni che informa la normativa del d.lgs. n. 163 del 2006.
Ad avviso dei giudici del Consiglio di Stato è da ritenere fondato tale motivo di appello: l’art. 36 del d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce che i consorzi stabili si qualificano cumulando le qualificazioni delle singole consorziate; ai sensi dell’art. 253, comma 3, dello stesso d.lgs. il d.P.R. n. 554 del 1999 continua ad applicarsi ai lavori pubblici, fino all’approvazione del nuovo regolamento, “nei limiti di compatibilità con il presente codice”; l’art. 97, comma 2, del detto d.P.R. (non abrogato dall’art. 256 del d.lgs. n. 163 del 2006) dispone che i consorzi stabili “conseguono la qualificazione a seguito di verifica dell’effettiva sussistenza in capo alle singole consorziate dei corrispondenti requisiti”: A sua volta il medesimo art. 97 del d.P.R. n. 554 del 1999 prescrive, nella seconda parte del comma 4 (anche non abrogato dal d.lgs. n. 163 del 2006), che “alle singole imprese consorziate si applicano le disposizioni previste per le imprese mandanti dei raggruppamenti temporanei di imprese”; le disposizioni cui così si rinvia sono quelle recate dall’art. 95, comma 2, dello stesso d.P.R. (altresì non abrogato dal d.lgs. n. 163 del 2006) in base al quale, in sintesi (come ivi previsto per i raggruppamenti temporanei di imprese) le imprese consorziate per le quali il consorzio ha dichiarato di concorrere devono possedere una qualificazione minima pari almeno al 10%% di quella richiesta nel complesso per partecipare ai lavori; i giudici di Palazzo Spada ritengono che tale prescrizione sia tuttora vigente per due concorrenti motivi, testuale e connesso alla ratio della normativa.
Per il primo profilo emerge con chiarezza, dall’insieme delle norme sopra richiamate, che la seconda parte del comma 4 dell’art. 97 ed il comma 2 dell’art. 95 del d.P.R. n. 554 del 1999 non risultano abrogati dal d.lgs. n. 163 del 2006, che pure reca un articolo (256) in cui le abrogazioni sono espresse e disposte perciò con puntuale individuazione di ciascuna disposizione abrogata; ciò che si riscontra, per quanto qui interessa in particolare, riguardo al d.P.R. n. 554 del 1999 i cui articoli e commi abrogati sono elencati con precisione (come è per i commi 5, 6 e 7 dell’art. 95), e ciò, come anche visto, nel contesto della conferma espressa dell’applicabilità del d.P.R. n. 554 del 1999, nelle more dell’approvazione del nuovo regolamento.
La attuale permanenza della previsione del requisito minimo di qualificazione per le consorziate risulta sorretta, peraltro, da una ragionevole motivazione sostanziale, che avvalora il dato formale ora esposto e perciò la non incompatibilità della previsione con il sistema normativo del d.lgs. n. 163 del 2006.
Pur restando infatti l’autonomia soggettiva del consorzio stabile a fronte del committente è non di meno congruo ritenere che la qualificazione dell’impresa consorziata rivesta un rilievo specifico per la stazione appaltante, nel momento in cui la consorziata è indicata come soggetto per cui si concorre ed esecutrice di lavori, al fine della garanzia per l’ente appaltante della necessaria competenza tecnica per la corretta esecuzione dell’intervento assicurato da tale impresa (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 22.10.2010 n. 7609 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Allegazione della copia fotostatica del documento di identità - Artt. 38, c. 3 e 47, c. 1, d.P.R. n. 445/2000 - Forma essenziale ex lege - Applicazione in concreto - Principio della massima partecipazione alle procedure competitive.
Ai sensi degli artt. 38, comma 3, e 47, comma 1, del d.P.R. n. 445 del 2000, l’allegazione della copia fotostatica del documento di identità…costituisce un fondamentale onere del sottoscrittore, conferendo legale autenticità alla sua sottoscrizione e configurandosi come elemento della fattispecie normativa diretta a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l’imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione ad una determinata persona fisica (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4420 del 2009), trattandosi perciò di un caso di forma essenziale stabilita dalla legge (Cons. Stato, Sez. V, n. 3690 del 2009).
Questa, pure essenziale, prescrizione di carattere formale deve però essere applicata verificando se nel contesto dei singoli casi lo scopo della normativa non sia comunque raggiunto, evitando interpretazioni che in concreto possano risultare di sproporzionato e perciò inutile rigore, venendo con ciò a ledere, per converso, l’altresì rilevante principio della massima partecipazione alle procedure competitive (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 22.10.2010 n. 7608 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Sull'allegazione della copia fotostatica del documento di identità da parte dei soggetti che partecipano alle procedure competitive.
L'allegazione della copia fotostatica del documento di identità, ai sensi degli artt. 38, co. 3, e 47, c. 1, del d.P.R. n. 445 del 2000, costituisce un fondamentale onere del sottoscrittore, conferendo legale autenticità alla sua sottoscrizione e configurandosi come elemento della fattispecie normativa diretta a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l'imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione ad una determinata persona fisica, trattandosi perciò di un caso di forma essenziale stabilita dalla legge.
Questa, pure essenziale, prescrizione di carattere formale deve però essere applicata verificando se nel contesto dei singoli casi lo scopo della normativa non sia comunque raggiunto, evitando interpretazioni che in concreto possano risultare di sproporzionato e perciò inutile rigore, venendo con ciò a ledere, per converso, l'altresì rilevante principio della massima partecipazione alle procedure competitive (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 22.10.2010 n. 7608 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La mancata dichiarazione ex art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 non può comportare di per sé l'esclusione dalla gara.
L'art. 38 del d.lgs n. 163/2006, richiede che la dichiarazione in ordine all'assenza di condanne penali sia rilasciata, nel caso di società di capitali, dai direttori tecnici e dagli amministratori muniti di poteri di rappresentanza.
Quest'ultima locuzione è costantemente interpretata nel senso di includere, data l'ampia formulazione utilizzata, nell'ambito di applicazione della relativa norma tutte le persone fisiche che, essendo titolari del potere di rappresentanza della persona giuridica, risultano comunque in grado di trasmettere, con il proprio comportamento, la riprovazione dell'ordinamento nei riguardi della loro personale condotta al soggetto rappresentato.
Nel caso di specie, i contenuti della delega rilasciata ad uno dei rappresentanti della società fanno sì che lo stesso risulti titolare di una posizione di amministratore munito di poteri di rappresentanza, quindi da annoverarsi tra i soggetti tenuti alla dichiarazione ex art. 38 cit..
Tuttavia, l'omissione della suddetta dichiarazione non comporta l'esclusione dalla gara dell'impresa interessata, sempre che non sussistano in concreto ragioni ostative alla partecipazione. Pertanto, la mancata dichiarazione ex art. 38 non può comportare di per sé l'esclusione dalla gara, fatto salvo, ovviamente, il caso in cui detta omissione sottenda l'assenza in concreto dei requisiti di partecipazione nonché l'ulteriore ipotesi in cui la legge di gara contenga puntuali prescrizioni le quali comportano l'esclusione del concorrente che ha omesso la dichiarazione (ovvero reso una dichiarazione non conforme alla situazione sottostante) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 22.10.2010 n. 3736 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'istanza per il riconoscimento del compenso revisionale ex art. 115 del d.lgs. 163/2006.
Ai sensi del vigente art. 115 del d.lgs. 163/2006 la revisione prezzi è demandata ad una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione di beni e servizi, sulla base di dati che sono ora forniti dalla sezione centrale dell'Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture e dall'ISTAT (art. 7, c. 4 lett. c) e c. 5, d.lgs. 163/2006). Una volta avviato con istanza di parte, tale procedimento deve essere concluso mediante l'adozione di un provvedimento espresso, di contenuto positivo o negativo.
Pertanto, nel caso di specie, sussiste l'obbligo del comune di pronunciarsi sulla istanza formulata dalla cooperativa di riconoscimento del compenso revisionale del canone di affidamento dei servizio cimiteriali pervenutagli il 20.07.2009 entro il termine di 120 giorni dalla comunicazione della presente sentenza o dalla sua notifica a cura di parte ricorrente se anteriore e con riserva di nominare un commissario ad acta in caso di inosservanza del suddetto termine. In tale sede, in cui conserva un indubbio margine di potere discrezionale nelle valutazioni, il comune potrà alternativamente riconoscere la revisione o negarla, motivando in base agli esiti dell'istruttoria ed alle eventuali eccezioni impeditive o estintive che dovesse ritenere dirimenti (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 21.10.2010 n. 20632 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Comuni - Regolamento di minimizzazione - Art. 8 L n. 36/2001 - Limiti.
L’art. 8, comma 6, della legge 22.02.2001, n. 36, prevede la possibilità che i Comuni adottino un regolamento c.d. di minimizzazione finalizzato a garantire “il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.
Le previsioni dei regolamenti c.d. di minimizzazione possono ritenersi legittime solo qualora finalizzate al perseguimento delle finalità indicate dalla norma e non anche quando tendono a scopi differenti.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Comune - Adozione di misure che costituiscono deroghe ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici - Illegittimità - Art. 4 L. n. 36/2001 - Competenza esclusiva statale.
Il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino.
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2001 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, tra le tante Consiglio di Stato, sez. VI, 15.06.2006, n. 3534, C.G.A. 12.11.2009, n. 929; TAR Sicilia, sez. II, 06.04.2009, n. 661) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 21.10.2010 n. 12965 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Pianificazione urbanistica - Comune - Esercizio dello ius variandi - Esistenza di una convenzione di lottizzazione - Introduzione di nuove previsioni - Legittimità.
Nell’ambito della pianificazione urbanistica, il Comune può sempre esercitare lo ius variandi, riesaminando e rideterminando la precedenti valutazioni anche se assunte mediante convenzione di lottizzazione.
Le convenzioni urbanistiche devono sempre considerarsi “rebus sic stantibus”, con la conseguenza che l'Amministrazione, in presenza di un interesse pubblico sopravvenuto, può legittimamente introdurre nuove previsioni, non sussistendo, in presenza di diverse esigenze, preclusioni a nuovi interventi, atteso che lo ius variandi relativo alle prescrizioni di piano regolatore generale include anche uno ius poenitendi relativo a vincoli precedentemente assunti, rispetto ai quali il Comune non può ritenersi permanentemente vincolato in ragione della presenza di una convenzione di lottizzazione (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 29.07.2008, n. 3766; sez. IV, 31.01.2005, n. 222; sez. IV, 25.07.2001, n. 4073; sez. IV, 17.10.1996 n. 1116) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 21.10.2010 n. 12956 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIl piano casa del Veneto consente di derogare alle distanze dai confini.
Ad avviso di questo giudice, l’art. 873, nella seconda parte, in cui stabilisce che “nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”, determina la natura parzialmente dispositiva della previsione contenuta nella prima parte, ma non comporta, atteso il suo tenore letterale, un rinvio formale ai regolamenti locali, i quali non completano dunque la norma di legge e non ne acquistano comunque la forza.
Inoltre, anche se non si volesse accedere senz’altro a tale impostazione, bisogna osservare che tra i “regolamenti locali”, i quali concorrono a disciplinare la materia delle distanze, devono essere incluse tutte le disposizioni conferenti non statali e, dunque, anche quelle di fonte regionale (conf. Cass. 10.05.2004, n. 8848).
Di tali “regolamenti locali”, pertanto, fanno parte anche le norme, di cui alla l.r. 14/2009, le quali consentono gli ampliamenti in deroga a tutti i regolamenti comunali, e dunque anche a quelli sulle distanze: che poi tali norme di legge regionale, sempre intese come “regolamenti locali”, prevalgano sul regolamenti comunali non sembra dubbio, atteso il grado superiore di quelle.
Infine, non si può mancare di osservare come la soluzione adottata dal Comune di Rosolina tenda a comprimere l’efficacia di una disciplina di legge in una materia, come il governo del territorio, dove la potestà legislativa è affidata alle regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, di competenza statale, tra i quali non pare tuttavia rientrare il disposto di cui all’art. 873 c.c.: sicché non vi è ragione di ritenere che specifiche previsioni, contenute in un regolamento comunale in materia edilizia, possano limitare la forza espansiva della disciplina di cui alla l.r. 14/2009 (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 21.10.2010 n. 5694 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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A commento della succitata sentenza si leggano i seguenti contributi:
2-
La Cassazione aveva già detto 30 anni fa che la distanza di 10 metri tra pareti finestrate implica che ciascun confinante deve stare a 5 metri dal confine (link a http://venetoius.myblog.it);
1- Secondo il TAR il piano casa del Veneto consente di derogare alle distanze dai confini. Ma è cosa buona? (link a http://venetoius.myblog.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Art. 14 d.lgs. n. 22/1997 - Sistema sanzionatorio - Responsabilità oggettiva o di posizione - Esclusione - Provvedimenti amministrativi emanati in forza della norma - Motivazione in ordine alla responsabilità del proprietario.
Tutti i provvedimenti amministrativi emanati in base all’art. 14 del d.lgs. n. 22/1997 devono essere puntualmente motivati con riguardo agli elementi in forza dei quali sia affermata la responsabilità dei proprietari, per lo meno con riguardo alla colpa per omessa vigilanza sulle attività inquinanti poste in essere da terzi (in tal senso la giurisprudenza è univoca, tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 25.01.2005, n. 136; 08.02.2005; sez. IV, 05.09.2005, n. 4525; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 11.01.2006, n. 113).
Il sistema sanzionatorio, delineato dal decreto Ronchi in materia di rifiuti, esclude infatti la configurabilità di responsabilità oggettiva o di posizione, e cioè che il proprietario del sito che ospita rifiuti abbandonati sia chiamato, per ciò solo, a risponderne, indipendentemente dalla concreta verifica, da parte della p.a., di una condotta anche semplicemente agevolatrice del fatto illecito del terzo, ovvero omissiva, cioè di astensione dall’adozione di quelle cautele che possono ragionevolmente pretendersi da un soggetto dotato di diligenza media (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 21.10.2010 n. 3747 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Criteri di insediamento degli impianti - Rete di telecomunicazione - Diffusione capillare sul territorio.
La selezione dei criteri di insediamento degli impianti deve tener conto della nozione di “rete di telecomunicazione”, che per definizione richiede una diffusione capillare sul territorio, segnatamente nei casi di telefonia mobile (c.d. “cellulare”), che alla debolezza del segnale di antenna associa un rapporto di maggiore contiguità delle singole stazioni radio base.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazioni - Assimilazione alle opere di urbanizzazione primaria - Art. 86 d.lgs. n. 259/2003 - Insediamenti abitativi.
L’assimilazione per effetto del’art. 86 del d.lgs. 01.08.2003, n. 259, delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, implica che le stesse debbano collegarsi ed essere poste al servizio dell’insediamento abitativo e non essere dalle stesso avulse (cfr. da ultimo Cons. Stato, VI, 28.04.2010, n. 304).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Impianti di telefonia mobile - Limiti di localizzazioni - Misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche - Art. 4 L. n. 36/2001 - Competenza esclusiva dello Stato.
La determinazione a regime di limiti di localizzazione degli impianti non può tradursi per il suo carattere generalizzato e il riferimento al dato oggettivo dell’esistenza di insediamenti abitativi, in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge 22.02.2001, n. 36 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione e obiettivi di qualità, da introdursi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (cfr. Cons. Stato, VI, 03.03.2007, n. 1017; 05.06.2006, n. 3332; 05.08.2005, n. 4159; 20.12.2002, n. 7274; 03.06.2002, n. 3095).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Comuni - Regolamento volto ad assicurare un corretto insediamento urbanistico - Art. 8, c. 6 L. n. 36/2001 - Limiti.
È pur vero che ai sensi dell’art. 8, comma 6, l. n. 36 del 2001 “i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.
Ma la giurisprudenza ha affermato che ne debbono discendere regole comunali ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico (es., per il particolare valore paesaggistico e ambientale o storico-artistico di certe porzioni del territorio, ovvero alla presenza di siti che per la loro destinazione d’uso possano essere qualificati particolarmente sensibili alle immissioni elettromagnetiche), non già un generalizzato divieto di installazione in identificate zone urbanistiche (Cons. Stato, VI, 15.07.2010, n. 4557) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 20.10.2010 n. 7588 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dai regolamenti comunali per il corretto insediamento urbanistico e territoriale non può derivare un generalizzato divieto di installazione di impianti di telefonia in identificate zone urbanistiche.
Nella pronuncia in rassegna, con ricorso al Tribunale amministrativo per il Veneto, un operatore telefonico impugnava il diniego di autorizzazione all’ installazione di una stazione radiobase di telefonia cellulare da parte del Comune in causa. A motivazione dell’atto era posto in rilievo il contrasto della richiesta “con la variante al p.r.g. ai sensi del 3° comma dell’ art. 50 della L.R. n. 61/1985, adottata don d.d.c. n. 4 del 25.02.2005, con la quale sono stati individuati alcuni siti nei quali è possibile installare antenne per telefonia mobile”.
Il Tribunale amministrativo in particolare, sul rilievo che la menzionata delibera consiliare non esclude che le antenne di telefonia mobile possono trovare collocazione, oltre che nei siti individuati nella variante al P.r.g., anche in altre porzioni del territorio comunale, se ciò necessario ai fini della sua intera copertura per l’irradiazione del segnale, dichiarava in conseguenza l’illegittimità dell’ atto di diniego impugnato.
Il Comune ha proposto appello contro questa sentenza, ma il Consiglio di Stato ha considerato l’appello infondato. Questi i fatti in dettaglio: con la delibera consigliare di variante parziale al P.r.g. il Comune individuava tre siti per l’installazione di impianti di telefonia mobile rispettivamente in area industriale nord, in area industriale sud ed in zona limitrofa al cimitero.
La localizzazione di detti impianti di telecomunicazione dà seguito alla circolare della Regione Veneto n. 12 del 12.07.2001 volta a sollecitare i Comuni a “definire le aree maggiormente idonee all’installazione degli impianti nel rispetto delle caratteristiche storiche, ambientali e paesaggistiche del contesto territoriale comunale”, favorendo, in particolare, la scelta di ambiti territoriali già compromessi dal punto di vista urbanistico edilizio, ed indirizzando, ove possibile, i gestori a localizzare gli impianti in aree produttive o comunque interessate già dalla presenza di impianti tecnologici. La circolare precisava, inoltre, che “l’eventuale installazione in siti diversi debba essere accompagnata da un’ adeguata motivazione”.
Alla luce del riferito atto di indirizzo, la selezione di aree nel cui ambito localizzare gli impianti di telefonia mobile non assume carattere tassativo e non preclude -proprio in relazione alla peculiarità degli impianti di telefoni cellulare ed all’esigenza sul piano tecnico, per la bassa intensità del segnale irradiato, di una loro capillare ed organica distribuzione sul territorio- la possibilità di installazione anche al di fuori dei siti a ciò appositamente individuati. Tanto più che i criteri di localizzazione recepiti dal Comune assumono a riferimento tre zone (con destinazione cimiteriale ed industriale) tutte esterne al centro abitato, nel quale è maggiore la presenza dell’utenza e sussiste, pertanto, l’esigenza di assicurare l’idonea irradiazione del segnale di telefonia mobile.
In fattispecie analoghe la giurisprudenza della V Sezione ha ripetutamente posto in rilievo che la selezione dei criteri di insediamento degli impianti deve tener conto della nozione di “rete di telecomunicazione”, che per definizione richiede una diffusione capillare sul territorio, segnatamente nei casi di telefonia mobile (c.d. “cellulare”), che alla debolezza del segnale di antenna associa un rapporto di maggiore contiguità delle singole stazioni radio base. L’assimilazione per effetto del’ art. 86 del d.lgs. 01.08.2003, n. 259, delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, implica che le stesse debbano collegarsi ed essere poste al servizio dell’insediamento abitativo e non essere dalle stesso avulse (cfr. da ultimo Cons. Stato, VI, 28.04.2010, n. 304).
La determinazione a regime di limiti di localizzazione degli impianti non può tradursi, inoltre, per il suo carattere generalizzato e il riferimento al dato oggettivo dell’esistenza di insediamenti abitativi, in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge 22.02.2001, n. 36 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione e obiettivi di qualità, da introdursi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (cfr. Cons. Stato, VI, 03.03.2007, n. 1017; 05.06.2006, n. 3332; 05.08.2005, n. 4159; 20.12.2002, n. 7274; 03.06.2002, n. 3095).
Alla luce dei riferiti principi, come correttamente posto in rilievo dal Tribunale amministrativo, il Comune nel pronunciarsi sulla domanda della Soc. di installazione dell’ impianto di telefonia mobile non doveva limitarsi alla mera ricognizione della regolamentazione di P.r.g. sui siti di localizzazione preferenziale degli impianti, attribuendo ad essa assoluto valore cogente e non derogabile in presenza di specifiche esigenze di sviluppo della rete di telecomunicazione di cui un’altra società è gestore. È pur vero che ai sensi dell’art. 8, comma 6, l. n. 36 del 2001 “i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.
Ma la giurisprudenza, anche recente, di questa Sezione ha affermato che ne debbono discendere regole comunali ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico (es., per il particolare valore paesaggistico e ambientale o storico-artistico di certe porzioni del territorio, ovvero alla presenza di siti che per la loro destinazione d’uso possano essere qualificati particolarmente sensibili alle immissioni elettromagnetiche), non già un generalizzato divieto di installazione in identificate zone urbanistiche (Cons. Stato, VI, 15.07.2010, n. 4557) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 20.10.2010 n. 7588 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Per la partecipazione alla gara l’identificazione delle persone fisiche munite di potere di rappresentanza deve essere effettuata anche alla stregua dei poteri sostanziali attribuiti.
a) ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. b) e c), del D.L.gs. 163/2006, dell’art. 26, comma 1, lett. b) e c) della Legge Regionale della Campania n. 3 del 2007, nonché degli artt. 13, lett. c), e 15 del bando di gara, le società di capitali concorrenti erano tenute, a pena di esclusione, a presentare una dichiarazione attestante la sussistenza dei requisiti morali e professionali delle persone fisiche munite di potere di rappresentanza;
b) alla stregua del prevalente orientamento giurisprudenziale, al quale questo Collegio presta adesione, l’identificazione di detti ultimi soggetti deve essere effettuata non solo in base alle qualifiche formali rivestite ma anche alla stregua dei poteri sostanziali attribuiti, con conseguente inclusione, nel novero dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, delle persone fisiche in grado di impegnare la società verso i terzi e dei procuratori ad negotia laddove, a dispetto del nomen, l’estensione dei loro poteri conduca a qualificarli come amministratori di fatto;
c) detta interpretazione estensiva del dettato di legge affonda le sue radici nell’esigenza di evitare la partecipazione alle gare pubbliche di soggetti che non diano le garanzie di affidabilità morale e professionale necessarie ai fini della piena tutela dell’interesse pubblico;
d) l’applicazione di dette coordinate ermeneutiche conduce a ritenere che la detta dichiarazione dovesse essere resa dalla società risultata aggiudicataria anche con riguardo al procuratore ..., investito di ampi poteri gestori, incidenti sulla dimensione economico-finanziaria della società (“aprire ed estinguere conti bancari, operare sugli stessi, richiedere affidamenti bancari ed emettere i relativi assegni, sottoscrivere per girata assegni bancari e circolari e quanto altro necessario; acquistare e vendere merci; richiedere e riscuotere pagamenti, quietanze e fatture; richiedere fidi, fideiussioni, mutui ed altre operazioni, concedere ipoteche nonché sottoscrivere contratti per la somministrazione di servizi”), sulla gestione amministrativa della stessa sul duplice versante dell’iniziativa economica e dell’autonomia negoziale (“concludere rapporti con enti pubblici al fine della presentazione e del ritiro di concessioni edilizie nonché al fine della partecipazione a gare od appalti, anche effettuando sopralluoghi e prendendo visione dei capitolati d’appalti; acquistare e vendere beni mobili ed immobili, rinunciando all’ipoteca legale; acquistare o vendere aziende orami d’aziende, concludere contratti di affitto di azienda o di ramo di azienda sia nella parte di concedente sia nella parte di affittuario convenendo modalità, patti e canoni; nominare direttori tecnici, consulenti vari, avvocati e procuratori legali"), e, infine, sulle vicende societarie (“costituire società, partecipare a consorzi, convenire tutti gli atti e modalità relative, compreso recesso, cambiamento della ragione sociale, della sede, dell’oggetto della società, della durata dello statuto sociale, intervenire alle assemblee con pieno diritto di voto; procedere alla trasformazione, fusione, scissione e liquidazione della società; vendere o acquistare quote sociali”).
e) l’ampiezza, temporalmente illimitata, dei poteri, comprensivi degli atti fondamentali della vita societaria, porta a concludere che si tratta di soggetto al quale è stato di fatto conferito l’esercizio continuativo e generale delle funzioni sostanziali di amministratore, in ordine al quale andava quindi resa la dichiarazione di sussistenza dei requisiti morali e professionali di cui all’art. 38 cit.;
f) è pertanto da condividere l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva disposta in favore dell’odierna ricorrente nonostante la sussistenza della causa di esclusione data dalla mancata produzione della dichiarazione di che trattasi (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.10.2010 n. 7578 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Verifica dell’offerta tecnica - Seduta riservata - Offerta economica e verifica del plico - Seduta pubblica.
In tema di gare di appalti, la seduta riservata pare limitata alla sola verifica dell’offerta tecnica, richiedendosi per l’offerta economica e per la verifica della sussistenza nel plico delle tre buste -amministrativa, tecnica economica- la seduta pubblica (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 20.10.2010 n. 5525 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Realizzazione di una stazione radio base - Provvedimento di sospensione delle pratiche edilizie in attesa di apposita regolamentazione comunale - Illegittimità - Misura soprassessoria di salvaguardia atipica - Divieto assoluto e generalizzato.
E’ illegittimo il provvedimento di sospensione delle pratiche edilizie aventi ad oggetto la realizzazione di una stazione radio base per telefonia cellulare, disposto in attesa di apposita regolamentazione comunale dell’individuazione dei siti e delle caratteristiche strutturali degli impianti.
Trattasi infatti di una misura soprassessoria di salvaguardia atipica in quanto tale inammissibile poiché non espressamente prevista dalla legge e volta ad introdurre sostanzialmente un divieto assoluto e generalizzato, senza previsione di durata e che si estende indiscriminatamente a tutte le zone del territorio comunale (cfr. sul punto TAR Puglia Bari, Sez. III, 23.12.2004, n. 6239 e TAR Puglia Bari, Sez. II, 01.02.2010, n. 221) (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 20.10.2010 n. 3683 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla sussistenza del requisito della regolarità contributiva nel caso di avvenuta regolarizzazione prima dell'apertura delle offerte.
Sulla violazione della clausola di "stand still" di cui all'art. 11, c. 10, del dlgs 163/2006.

L'avvenuta regolarizzazione, avvenuta in un tempo intermedio tra il momento della partecipazione alla gara e quello dell'apertura delle buste contenenti l'offerta economica, rende sostanzialmente ininfluente, ai fini della gara stessa, il transitorio momento di mancata regolarità contributiva. Ne consegue che, nel caso di specie, è legittima l'aggiudicazione di una gara d'appalto ad un'impresa nei confronti della quale siano state accertate irregolarità contributive ai sensi dell'art. 38, lett. i, del dlgs 163/2006, avendo la concorrente provveduto tempestivamente a sanare le suddette irregolarità in una fase antecedente all'apertura delle offerte.
La c.d. clausola di "stand still" di cui all'art. 11, c. 10, del dlgs 163/2006, prevede che il contratto non può essere stipulato prima che siano decorsi trentacinque giorni dalla comunicazione del provvedimento di aggiudicazione. La violazione della clausola di "stand still", senza che concorrano vizi propri dell'aggiudicazione, non comporta l'annullamento di quest'ultima, né l'inefficacia del contratto, in quanto, ai sensi dell'art. 121, lett. "c" del c.p.a., il giudice che annulla l'aggiudicazione, dichiara inefficace il contratto, solo laddove il mancato rispetto dell'art. 11, c. 10, cit. abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e sempre che tale violazione si aggiunga ai vizi propri dell'aggiudicazione, diminuendo le possibilità del ricorrente di ottenere il bene della vita (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 20.10.2010 n. 942 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Discarica abusiva - Confisca - Area in comproprietà - Corresponsabilità di tutti i comproprietari e responsabilità limitata ad alcuni dei comproprietari - Individuazione dei soggetti responsabili - Disciplina applicabile e giurisprudenza - Art. 256, c. 3 D.Lgs. n. 152 del 2006.
In caso di comproprietà indivisa dell'area la confisca non può essere disposta nei confronti di quei comproprietari che non siano responsabili, quanto meno a titolo di concorso, del reato di discarica abusiva, non potendo applicarsi la misura di sicurezza, ablativa della proprietà, in danno di persone che non hanno commesso alcun illecito penalmente rilevante e non avendo l'area medesima natura intrinsecamente criminosa (vedi Cass., Sez. 3, 26.02.2002, n. 7430, Bessena).
La restituzione dell'intero bene, però, ad uno o più titolari della comproprietà indivisa rimasti estranei al reato, consentirebbe anche al proprietario condannato di riacquistare la piena disponibilità dell'immobile, con evidente elusione della "ratio" della norma, che va individuata nell'opposta esigenza di evitare che l'area interessata rimanga nella disponibilità del proprietario il quale la abbia già utilizzata come strumento del reato. Affinché, pertanto, il diritto del terzo estraneo al reato non venga sacrificato, la quota di spettanza di esso estraneo potrà essergli restituita come proprietà singolare sulla quale il reo non abbia diritto di disporre (Cass., Sez. 3, 21.02.2006, n. 6441, Serra).
In conclusione, allorché venisse ravvisata - nel giudizio di rinvio - la corresponsabilità di tutti i comproprietari, dovrà essere disposta la confisca dell'intera area; mentre, in caso di responsabilità limitata ad alcuni soltanto dei comproprietari, la confisca medesima dovrà essere limitata alle sole quote dei soggetti condannati, demandandosi alla fase esecutiva la individuazione concreta di tale quota.
RIFIUTI - Discarica abusiva - Sentenza di condanna o decisione emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. - Confisca - Continuità normativa tra l'art. 51, c. 3, D.L.vo n. 22/1997 e il D.Lgs. n. 152/2006, art. 256, c. 3.
Sussiste una continuità normativa tra l'art. 51, comma 3, D.L.vo n. 22/1997 e la disposizione D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3, che è stata testualmente riprodotta. Pertanto, alla sentenza di condanna o alla decisione emessa ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale consegue la confisca dell'area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se dì proprietà dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.10.2010 n. 37199 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Inerti derivanti da demolizione di edifici o da scavi di strade - Deposito - Disciplina vigente - Codice CER 17.00.00 - Art. 51, cc. 1 e 2, D.L.vo n. 22/1997 - Art. 6 D.L.vo n. 22/1997 (oggi art. 183 D.L.vo n. 152/2006).
Il deposito di rifiuti derivanti da demolizioni edili, per essere lecito, deve essere temporaneo ed effettuato sul posto.
La non assimilazione degli inerti derivanti da demolizione di edifici o da scavi di strade alle terre e rocce da scavo è stata ribadita con il decreto legislativo n. 156 del 2006 (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 103 del 15.01.2008-Pagliaroli).
Pertanto gli inerti provenienti da demolizioni o da scavi di manti stradali erano e continuano ad essere considerati rifiuti speciali anche in base al decreto legislativo n. 152 del 2006, trattandosi di materiale espressamente qualificato come rifiuto dalla legge, del quale il detentore ha l'obbligo di disfarsi avviandolo o al recupero o allo smaltimento (codice CER 17.00.00).
Infine, i residui delle attività di demolizione edile non costituiscono rifiuti speciali se sono destinati ad essere certamente riutilizzati (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.10.2010 n. 37195 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA:  I parcheggi pertinenziali possono essere realizzati anche in aree di terzi.
La sentenza in commento offre un valido spunto di riflessione circa la lettura dell’articolo 9 della legge Tognoli (legge 122/1989) relativa alla realizzazione di parcheggi interrati. In particolare, il caso descritto attiene all’applicazione della seconda parte del comma 1 che viene considerata riferita ad un secondo ambito di applicazione.
In apertura del comma viene riconosciuta ai proprietari di immobili la possibilità di realizzare parcheggi nel piano terra o nel sottosuolo degli immobili medesimi in funzione dei quali si realizzano tali servizi. Questa porzione del comma ha dunque destinatari specifici: i proprietari. La seconda parte, nella quale si riconosce impersonalmente, senza individuare i beneficiari della facoltà riconosciuta, la possibilità di realizzare tale tipologia di parcheggi anche in aree esterne ai fabbricati in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, non si rivolge solo ai proprietari degli immobili.
Secondo il collegio giudicante una corretta lettura dell’articolo comporta l’adesione ad una nozione di pertinenzialità che non sia di tipo civilistico e quindi legata al dato materiale dell’accessorietà e dell’asservimento al fabbricato quanto piuttosto di tipo giuridico.
I magistrati della quarta sezione ritengono che in edilizia la pertinenzialità sia esistente quando un’area risulta priva di autonoma destinazione e di autonomo valore di mercato e esaurisce la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, tanto da non incidere sul carico urbanistico.
Pertanto, se questa è la definizione cui far affidamento, allora è possibile,in relazione all’articolo 9 della legge Tognoli, che l’area esterna non si trovi in rapporto di immediata contiguità materiale con il fabbricato cui i realizzandi parcheggi sono destinati ad accedere, peraltro l’area esterna può essere originariamente di proprietà di soggetto diverso dal proprietario dell’immobile nei cui confronti i p archeggi sono destinati a diventare pertinenziali (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.10.2010 n. 7549 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sui requisiti necessari affinché possa configurarsi un consorzio avente carattere di stabilità.
Sulla legittimità del provvedimento di aggiudicazione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un consorzio che, ai fini della partecipazione ad una gara d'appalto, abbia scelto, quali esecutrici dei lavori, imprese dotate di requisiti tecnico-finanziari non corrispondenti ai propri.
In ordine all'individuazione dei requisiti necessari al fine di attribuire ad un consorzio il carattere di stabilità che gli consenta, peraltro, di usufruire delle relative agevolazioni di settore, ai sensi dell'art. 36, comma I, del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti), non occorre un atto che formalizzi l'autonomia della struttura d'impresa, né la decisione, da parte delle singole consorziate, di agire congiuntamente, ma è sufficiente che dallo statuto e dall'atto costitutivo emerga, come nel caso di specie, la presenza di una dimensione organizzativa compatibile con il modello giuridico-formale in questione.
E' legittimo il provvedimento di aggiudicazione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un consorzio che, in sede di partecipazione, abbia indicato, quali sue ausiliarie ai fini dell'esecuzione dei lavori, imprese in possesso di requisiti non corrispondenti ai propri, ciò in quanto, ai sensi dell'art. 12 della L. n. 109/1994, nonché dell'art. 36 del d.lgs. n. 163/2006, il consorzio e le singole imprese consorziate, pur conservando una autonoma soggettività giuridica, sono legate tra loro da un rapporto di tipo organico, in virtù del quale parte contraente resta il consorzio, il solo competente nell'esecuzione dell'appalto, il quale stipula in nome proprio, ma per conto delle stesse singole imprese; pertanto, è ai requisiti di idoneità tecnico-finanziaria da esso posseduti che occorre fare riferimento in sede di valutazione dei presupposti necessari ai fini della partecipazione alla gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.10.2010 n. 7524 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Consorzi - Art. 36 d.lgs. n. 163/2006 - Partecipazione alla gara - Istituzione formale - Necessità - Esclusione.
L’art. 36, I c., del D.Lgs. n. 163 del 2006 stabilisce che “Si intendono per consorzi stabili quelli, in possesso, a norma dell'articolo 35, dei requisiti previsti dall'articolo 40, formati da non meno di tre consorziati che, con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa”.
La norma non prevede espressamente che la autonoma struttura di impresa debba essere formalmente istituita, né che la decisione delle imprese consorziate di operare in modo congiunto debba essere formalizzata in un atto all’uopo redatto. In base al principio del favor partecipationis essa disposizione va quindi interpretata nel senso che consenta la più larga partecipazione possibile alla gara.
Consorzi - Partecipazione alle procedure di evidenza pubblica - Requisiti soggettivi.
In tema di requisiti soggettivi di partecipazione dei Consorzi alle procedure di evidenza pubblica, la giurisprudenza è orientata nel senso che, una volta che il Consorzio abbia superato la preselezione valendosi anche della somma dei requisiti delle ditte consorziate, non può più richiedersi ad esso l'esecuzione da parte di una singola consorziata anche se è tale ditta che assicura la presenza dei requisiti soggettivi richiesti per l'ammissione alla gara, essendo l'esecuzione dell'appalto di competenza del Consorzio, che potrà adempiere secondo le regole contrattuali che sono a fondamento della sua costituzione e del suo funzionamento, sempre che non siano richiesti requisiti soggettivi che attestino una capacità tecnica specifica che l'ordinamento riconosca solo ad alcuni soggetti con una regolamentazione a livello normativo delle modalità di conseguimento di tale idoneità, come l’iscrizione in albi, elenchi speciali ovvero conseguimento di particolari abilitazioni (Consiglio Stato, sez. V, 29.11.2004, n. 7765).
Il Consorzio stipula quindi il contratto in nome proprio ma per conto delle imprese consorziate, alle quali poi assegna i lavori, senza che sia obbligato a rispettare l’assegnazione originaria, anche perché il D.P.R. n. 34 del 2000 non prevede la coincidenza tra le qualificazioni delle singole imprese consorziate e la qualificazione SOA del Consorzio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.10.2010 n. 7524 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAE' da qualificarsi come ristrutturazione edilizia la realizzazione di una scala interna di collegamento tra piano terra, primo piano e sottotetto, oltre che gli interventi di parziale rifacimento dei solai e della pavimentazione, la quale è funzionale alla realizzazione di una unità abitativa all’interno di una vecchia cascina, i cui spazi vengono pertanto ripensati per essere resi funzionali a nuove esigenze di tipo abitativo.
“Rinnovare” e “sostituire” sono concetti non compatibili con un intervento edilizio consistente nella creazione ex novo di un elemento ulteriore.

La questione ruota tutta intorno alla possibilità di considerare manutenzione straordinaria (come assume il ricorrente) o ristrutturazione edilizia (come sostiene il Comune) un intervento edilizio di creazione di una scala interna di collegamento tra unità immobiliari posti a piani diversi in una vecchia cascina, attualmente raggiungibili soltanto attraverso una scala esterna (tra piano terra e primo piano) o –a quanto è dato di capire- attraverso l’utilizzo di attrezzature mobili (tra primo piano e sottotetto),
La questione deve essere risolta nel senso della sussumibilità dell’intervento in esame nel paradigma della ristrutturazione edilizia in quanto la realizzazione della scala interna di collegamento tra piano terra, primo piano e sottotetto, oltre che gli interventi di parziale rifacimento dei solai e della pavimentazione, è funzionale alla realizzazione di una unità abitativa all’interno di una vecchia cascina, i cui spazi vengono pertanto ripensati per essere resi funzionali a nuove esigenze di tipo abitativo.
Siamo, pertanto, fuori dell’ambito massimo di estensione della manutenzione straordinaria, che ricomprende per l’art. 3, co. 1, lett. b), d.p.r. 380/2001 (norma di riferimento, in quanto nella potestà legislativa concorrente in materia urbanistica le definizioni degli interventi edilizi costituiscono norme di principio), “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso”,
“Rinnovare” e “sostituire” sono concetti non compatibili con un intervento edilizio consistente nella creazione ex novo di un elemento ulteriore.
Nel complessivo progetto presentato dal ricorrente è corretto vedere, pertanto, come ha fatto il Comune, la creazione di un organismo parzialmente diverso da quello esistente che giustifica l’attribuzione allo stesso della categoria della ristrutturazione (TAR Lombardia-Brescia, sez. I, sentenza 15.10.2010 n. 4036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Principio di pubblicità delle sedute - Verifica preliminare ed esterna della regolarità dei plichi - Seduta pubblica - Necessità - Esame degli elementi valutativi delle offerte - Seduta riservata - Ragioni.
Il principio di pubblicità delle sedute, nel corso delle quali vengono svolti gli adempimenti connessi alla verifica della regolarità della documentazione richiesta dalle regole di gara, ai fini della ammissibilità delle offerte, è applicazione del più generale principio di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), ed è posto a garanzia, oltre che degli interessi pubblici richiamati, anche dei privati che partecipano alle procedure contrattuali pubbliche, i quali in tal modo sono posti in condizione di verificare la correttezza dell’attività amministrativa nelle singole gare.
La seduta pubblica deve essere adottata anche quando si tratti della verifica preliminare ed esterna della regolarità dei plichi contenenti la documentazione dell’offerta tecnica oggetto di valutazione da parte della commissione giudicatrice; l’esame degli elementi valutativi delle offerte tecniche deve essere invece effettuato in seduta riservata , al fine di evitare i condizionamenti che possono derivare dalla presenza dei concorrenti diretti interessati (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 15.10.2010 n. 2299 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: La competenza ad emettere l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in un'area interessata da deposito abusivo spetta al dirigente dell'ufficio tecnico comunale e non al sindaco.
La giurisprudenza prevalente, con cui il Collegio concorda, ha infatti da tempo chiarito che ai sensi dell'art. 14 D.L.vo n. 22/1997 (ora art. 192 D.L.vo n. 152/2006 che ha diversamente “ripristinato” espressamente la competenza del sindaco), la competenza ad emettere l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in un'area interessata da deposito abusivo spetta al dirigente dell'ufficio tecnico comunale e non al sindaco.
Ciò perché la lettura della disposizione di cui al 3º comma dell’art. 14 d.lgs. n. 22 del 1997, che attribuisce al sindaco la possibilità di emanare ordinanze di ripristino dello stato dei luoghi, deve infatti tenere in considerazione l’art. 107, co. 5, TUEL secondo cui le disposizioni che conferiscono agli organi di governo del comune e della provincia «l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti» (Cons. Stato, Sez. V, 12.06.2009, n. 3765; TAR Lombardia, Mi, Sez. IV, 10.06.2009, n. 3942; TAR Abruzzo, Pe, 31.03.2009, n. 197; TAR Basilicata 18.09.2003 n. 878; TAR Campania, Na, Sez. I, 12.06.2003 n. 1291; TAR Lombardia, Bs, 25.09.2001 n. 792; cfr. anche Cass., Sez. III, 15.06.2006) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 13.10.2010 n. 6453 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli oneri economici gravanti sul titolare di una concessione edilizia non sorgono per effetto del mero rilascio del titolo, ma sono geneticamente connessi all’effettiva attività di trasformazione del territorio.
Gli oneri economici gravanti sul titolare di una concessione edilizia non sorgono per effetto del mero rilascio del titolo, ma sono geneticamente connessi all’effettiva attività di trasformazione del territorio; lo si ricava dalle norme dell’art. 11 della L. 10/1977 laddove prevedono che il versamento del costo di costruzione deve avvenire in corso d’opera e non oltre sessanta giorni dalla conclusione dei lavori, mentre gli oneri di urbanizzazione sono versati al momento del rilascio del titolo edilizio, salvo che non sia pattuita la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione a carico del concessionario.
In proposito, la giurisprudenza è solita affermare che “l'obbligazione assunta di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione da colui che stipula una convenzione edilizia è propter rem, ma nel senso che essa va adempiuta non solo da colui che tale convenzione ha stipulato, ma anche da colui, se soggetto diverso, che richiede la concessione edilizia (vedi Cassazione civile sez. I, 20.12.1994, n. 10947; nonché Cassazione civile, sez. II, 26.11.1988 n. 6382); ovvero nel senso che colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi della concessione edilizia rilasciata al suo dante causa, ha nei confronti del Comune gli stessi obblighi che gravano sull'originario concessionario, ed è con quest'ultimo solidalmente obbligato per il pagamento degli oneri di urbanizzazione (vedi Cassazione civile sez. III, 17.06.1996, n. 5541)” (Tar Catania 3011/2004), e che “Gli oneri relativi alle opere di urbanizzazione costituiscono una obbligazione "propter rem": pertanto colui che realizza opere di trasformazione edilizia od urbanistica valendosi della concessione edilizia rilasciata al suo dante causa, ha nei confronti del Comune gli stessi obblighi che gravano sull'originario concessionario ed è con quest'ultimo solidamente obbligato per il pagamento degli oneri di urbanizzazione. Nulla vieta dal punto di vista logico prima che giuridico che alle identiche conclusioni debba pervenirsi in ordine alla parte del contributo commisurato al costo di costruzione; questo, infatti, in uno con gli oneri di urbanizzazione costituisce "il contributo" per il rilascio per permesso di costruire (già c.e.) con conseguente e doverosa disciplina unitaria ai fini che qui interessano delle due voci in cui si viene a scomporre” (Tar Bari 2078/2008).
Più di recente, questa Sezione (cfr. sentenza 602/2009) ha avuto modo di pronunciarsi ulteriormente sulla questione, operando dei distinguo più sottili che la hanno portata a precisare che “la solidarietà [fra titolare della concessione edilizia e cessionario del titolo, n.d.r.] potrebbe dunque sussistere solo laddove il presupposto di esigibilità del credito, ossia l’edificazione, abbia avuto consistenza in capo al dante causa ed al cessionario, in quanto, in tal caso, l’identico fenomeno urbanistico ed edilizio ha tratto origine da due coautori”.
Si è tratta, quindi, ex adverso la ulteriore conclusione che, ove ci sia stata voltura a favore di terzi del titolo edilizio da parte dell’originario titolare, unita al mancato avvio da parte di costui di alcuna attività edificatoria, l’intestatario iniziale della concessione deve essere ritenuto libero da ogni obbligo pecuniario nei confronti dell’ente concedente per oneri concessione e per contributo di costruzione, e libero altresì da ogni responsabilità per eventuali abusi edilizi realizzati dal cessionario (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 12.10.2010 n. 4104 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl trasferimento del diritto di proprietà su un immobile non implica ex se anche il trasferimento dello ius aedificandi concesso dall’ente pubblico sul medesimo terreno al proprietario, dal momento che è ben possibile –ad esempio– trasferire la sola proprietà del suolo costituendo contestualmente un diritto di superficie a favore dell’alienante/titolare di concessione edilizia.
Il trasferimento del diritto di proprietà su un immobile non implica ex se anche il trasferimento dello ius aedificandi concesso dall’ente pubblico sul medesimo terreno al proprietario, dal momento che è ben possibile –ad esempio– trasferire la sola proprietà del suolo costituendo contestualmente un diritto di superficie a favore dell’alienante/titolare di concessione edilizia.
La legge (art. 4, co. 6, L. 10/1977; oggi art. 11 del D.P.R. 380/2001) afferma che “La concessione è trasferibile ai successori o aventi causa”. Si può, quindi, concludere che lo ius aedificandi può costituire oggetto di trasferimento o in via autonoma (ad esempio, a favore del promissario acquirente; Tar Latina, 636/2005), ovvero in uno con l’immobile stesso.
Qualunque sia, comunque, la modalità di trasferimento del diritto di edificare già concesso dalla PA su un determinato immobile –cioè, sia nell’ipotesi in cui venga solo trasferito lo ius aedificandi; sia nel caso in cui venga trasferita anche la proprietà del terreno sottostante– l’acquirente non diviene automaticamente parte del rapporto pubblicistico di natura concessoria sussistente tra il cedente e l’ente pubblico, essendo a tale scopo necessario formulare al Comune una richiesta di subentro nel titolo edilizio già rilasciato al dante causa; richiesta che non può essere respinta.
In questa ottica si spiegano le affermazioni registrate in giurisprudenza secondo le quali “la successione nel diritto reale, pur non comportando l'automatico trasferimento della concessione stessa in capo al subentrante, tuttavia rende la voltura atto dovuto” (Cons. Stato, V, 1168/1991; negli stessi termini, Tar Catania, 276/2007), o “Il regolare trasferimento di un immobile oggetto di concessione di costruzione determina "ex se" il titolo dell'acquirente a subentrare nella concessione stessa, configurandosi la voltura come un atto di novazione soggettiva del rapporto tra l'amministrazione (parte immutata) ed il privato (parte mutata); (…)” (Tar Napoli, 2114/2002) (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 12.10.2010 n. 4104 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La voltura di una concessione edilizia concreti un atto di mera novazione soggettiva del rapporto tra l’amministrazione (parte immutata) e il privato (parte mutata) che non esplica alcuna incidenza sul contenuto precettivo della concessione e sull’utilizzazione assentita del territorio, ma rileva esclusivamente sotto il profilo soggettivo nel senso di ricomporre la corrispondenza, venuta meno a causa dell’alienazione dell’oggetto sul quale deve esplicarsi l’attività edilizia, tra intestatario della concessione e titolare della situazione giuridica.
La giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la voltura di una concessione edilizia concreti un atto di mera novazione soggettiva del rapporto tra l’amministrazione (parte immutata) e il privato (parte mutata) che non esplica alcuna incidenza sul contenuto precettivo della concessione e sull’utilizzazione assentita del territorio, ma rileva esclusivamente sotto il profilo soggettivo nel senso di ricomporre la corrispondenza, venuta meno a causa dell’alienazione dell’oggetto sul quale deve esplicarsi l’attività edilizia, tra intestatario della concessione e titolare della situazione giuridica.
Da ciò consegue che la voltura, eseguita successivamente all’alienazione dell’immobile oggetto dell’intervento (come nel caso), a favore dei nuovi proprietari, consente di rimuovere eventuali vizi originari del titolo autorizzatorio sanando ogni illegittimità ( C.S, Sez. V, 20.07.2000, n. 3854; C.S., Sez. V, 18.10.1996, n. 1252) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 12.10.2010 n. 4084 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Tacere sulle condanne riportate comporta l’esclusione dalla gara di appalto.
Gli oneri posti a carico del partecipante ad una gara di appalto, tra qui quello di dichiarare, sotto pena di falso, tutte le condanne riportate -con esclusione di quelle per cui vi sia stata riabilitazione o non menzione- costituiscono “lex specialis”.
Essi rientrano tra i criteri applicativi e non possono ritenersi illegittimi laddove non dispongono l’estromissione immediata della società partecipante alla gara ma prevedono la avocazione alla stazione appaltante di ogni valutazione in merito alla rilevanza dei requisiti richiesti (nella specie, rilevanza delle condanne in relazione all’incidenza sulla affidabilità morale e professionale).
L’irrilevanza delle condanne, con riferimento al giudizio di affidabilità morale o professionale dei partecipanti alla gara può sempre essere sottoposta al vaglio di legittimità innanzi al Giudice amministrativo.
Ciò che rileva nella fattispecie, invece, è il fatto che tutte le sentenze di condanna, fatte salve quelle pronunce per le quali fosse intervenuto formale provvedimento di riabilitazione o fosse stata dichiarata l’estinzione, dovevano essere espressamente indicate, comprese quelle per le quali era stato concesso il beneficio della non menzione.
La mancata dichiarazione da parte del partecipante alla gara di appalto di tutte le sentenze di condanna, fatte salve quelle pronunce per le quali fosse intervenuto formale provvedimento di riabilitazione, estinzione, o non menzione, incide non già sugli effetti di tali condanne, ma sulla situazione di infedeltà, reticenza o inaffidabilità della società che ha dichiarato un fatto non vero correlando così, la propria offerta, con un’attestazione falsa.
Alla violazione degli obblighi dichiarativi consegue la legittima l’esclusione dalla gara della società partecipante, non potendo aver rilievo l’indagine sui motivi che avevano indotto a sottacere tali condanne o l’insussistenza del dolo o della colpa (C.S. n. 4906/2009, n. 353/2002, n. 3183/2002) (massima tratta da www.litis.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.10.2010 n. 7349 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Reato di lottizzazione abusiva - Frazionamento della proprietà - Atti negoziali con previsioni pattizie - Reato a carattere permanente e progressivo nell'evento - Concorso nel reato - Prescrizione - Computo.
Si configura il reato di lottizzazione abusiva anche quando l'attività posta in essere sia successiva agli atti di frazionamento o ad opere già eseguite, perché tali attività iniziali, pur integrando la figura del reato, non definiscono l'iter criminoso che si perpetua negli interventi che incidono sull'assetto urbanistico.
Tenuto conto che il reato in questione è, per un verso, un reato a carattere permanente e progressivo e per altro verso a condotta libera, si deve considerare in primo luogo che non vi è alcuna coincidenza tra il momento in cui la condotta assume rilevanza penale e il momento di cessazione del reato, in quanto anche la condotta successiva alla commissione del reato dà luogo ad una situazione antigiuridica di pari efficacia criminosa.
In secondo luogo, se il reato di lottizzazione abusiva si realizza anche mediante atti negoziali diretti al frazionamento della proprietà, con previsioni pattizie rivelatrici dell'attentato al potere programmatorio dell'autorità comunale, ciò non significa che l'azione criminosa si esaurisca in questo tipo di condotta perché l'esecuzione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria ulteriormente compromettono le scelte di destinazione e di uso del territorio riservate alla competenza pubblica (Cass., Sez. Unite, 24/04/1992, Fogliari).
Tutti i concorrenti e coloro che hanno cooperato rispondono della lottizzazione abusiva nella sua interezza e, conseguentemente, la prescrizione inizia a decorrere, per tutti, dal compimento dell'ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell'esecuzione di opere di urbanizzazione, nell'ultimazione dei manufatti che compongono l'insediamento.
Lottizzazione abusiva negoziale - Frazionamento di un terreno - Trasferimento con quote societarie - C.d. suddivisione fattuale - Mancanza di atti formali di vendita dei lotti - Configurabilità - Presupposti - Art. 30, 1° c., T.U.E. n. 380/2001 - Art. 18, 1° c., L. n. 47/1985.
Il trasferimento di un terreno, sulla base di quote societarie che conferiscono sostanzialmente al suolo un assetto proprietario frazionato in lotti, è idoneo ad integrare il reato di lottizzazione abusiva c.d. "negoziale", tutte le volte che da elementi indiziari -indicati con elencazione non tassativa dall'art. 18, 1° comma, della legge n. 47/1985 ed attualmente dall'art. 30, 1° comma, del T.U. n. 380/2001- risulti in modo non equivoco la destinazione dei lotti a scopo edificatorio.
Il frazionamento di un terreno, può realizzarsi con qualsiasi forma di suddivisione fattuale dello stesso, dovendosi ritenere che il termine “frazionamento" -già nell'art. 18, 1° comma, della legge n. 47/1985 ed attualmente nell'art. 30, 1° comma, del T.U. n. 380/2001- sia stato utilizzato dal legislatore in modo atecnico, con riferimento a qualsiasi attività giuridica che abbia per effetto la suddivisione in lotti di una più ampia estensione territoriale, comunque predisposta od attuata ed anche se avvenuta in forma non catastale, attribuendone la disponibilità ad altri al fine di realizzare una non consentita trasformazione urbanistica o edilizia del territorio (Cass., Sez. III: 26.10,2007, Casile; 29.02.2000, n. 3668, Pennelli).
Sicché, l'attività di frazionamento abusivo di un terreno può realizzarsi anche in mancanza di atti formali di vendita dei lotti, in presenza di elementi indiziari che consentono tuttavia di riconoscere l'esistenza di quegli "atti giuridici equivalenti alla vendita" idonei a configurare anch'essi una lottizzazione abusiva.
Reato di lottizzazione abusiva - Concorso di persone - Necessità di un accordo preventivo - Esclusione.
Il reato di lottizzazione abusiva nella molteplicità di forme che esso può assumere in concreto, può essere posto in essere da una pluralità di soggetti, i quali, in base ai principi che regolano il concorso di persone nel reato, possono partecipare alla commissione del fatto con condotte anche eterogenee e diverse da quella strettamente costruttiva, purché ciascuno di essi apporti un contributo causale alla verificazione dell'illecito (sia pure svolgendo ruoli diversi ovvero intervenendo in fasi circoscritte della condotta illecita complessiva) e senza che vi sia alcuna necessità di un accordo preventivo [Cass., Sez. III 21.12.2009, n. 48924, Tortora ed altri; Cass. 08,10.2009, n. 39078, Apponi ed altri; Cass. 22.09.2009, n. 36844, Contò; Cass. 29.04.2009, n. 17865, P.M. in proc. Quarta ed altri] (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.10.2010 n. 35968 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Asta pubblica ed esclusione per errore di inserimento nella busta della ricevuta di cauzione.
Sebbene nella disciplina di gara, asta pubblica al prezzo più alto, è previsto che la busta contenente l’offerta deve essere sigillata ed inserita, insieme ad altra documentazione (compresa la ricevuta del prescritto deposito cauzionale) nella busta contenitore più grande anch’essa sigillata, non è comminata espressamente l’esclusione della gara per il caso in cui la ricevuta del deposito cauzionale venga posta nella busta contenente l’offerta invece che nella busta contenitore, prevedendosi invece l’esclusione per il mancato versamento del deposito cauzionale (massima tratta da www.litis.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.10.2010 n. 7335 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’esecuzione delle opere elencate dal novellato art. 6 del DPR 380/2001 è possibile senza il rilascio di alcun titolo abilitativo purché la realizzazione delle stesse sia compatibile con le destinazioni impresse alle varie aree dallo strumento urbanistico vigente.
Il Collegio ritiene condivisibile l’interpretazione della nuova disciplina legislativa seguita dall’Amministrazione resistente giacché l’art. 6 del DPR 380/2001, come modificato dalla legge n. 73/2010, espressamente statuisce che “(…) possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo i seguenti interventi: (…) le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, (…), ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale”.
Sulla scorta dei criteri di interpretazione letterale e sistematico, appare condivisibile la tesi seguita dal Comune secondo la quale l’esecuzione delle opere elencate dal citato art. 6 è possibile senza il rilascio di alcun titolo abilitativo purché la realizzazione delle stesse sia compatibile con le destinazioni impresse alle varie aree dallo strumento urbanistico vigente (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 30.09.2010 n. 5244 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nell'istruire un'istanza di permesso di costruire v'è l'obbligo di verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il permesso di costruire e che, quindi, questo sia rilasciato al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla e non, invece, l’obbligo di compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali, ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio.
A seguito della domanda di rilascio del permesso di costruire, a carico dell'Amministrazione incombe solo l'obbligo di verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il permesso di costruire e che, quindi, questo sia rilasciato al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla e non, invece, l’obbligo di compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali, ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.08.2010 n. 4416 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La motivazione del provvedimento amministrativo è finalizzata a consentire al cittadino la ricostruzione dell'iter logico e giuridico attraverso cui l'amministrazione si è determinata ad adottare un dato provvedimento, controllando, quindi, il corretto esercizio del potere ad esso conferito dalla legge e facendo valere, eventualmente nelle opportune sedi, le proprie ragioni.
La motivazione del provvedimento amministrativo è finalizzata a consentire al cittadino la ricostruzione dell'iter logico e giuridico attraverso cui l'amministrazione si è determinata ad adottare un dato provvedimento, controllando, quindi, il corretto esercizio del potere ad esso conferito dalla legge e facendo valere, eventualmente nelle opportune sedi, le proprie ragioni.
Pertanto, la garanzia di adeguata tutela delle ragioni del privato non viene meno per il fatto che nel provvedimento amministrativo finale non risultino chiaramente e compiutamente rese comprensibili le ragioni sottese alla scelta fatta dalla pubblica amministrazione, allorché le stesse possano essere agevolmente colte dalla lettura degli atti afferenti alle varie fasi in cui si articola il procedimento.
La motivazione è obbligo che viene rispettato non solo quando è l’atto finale ad essere compiutamente giustificato ma, soprattutto, nei casi in cui la normativa non impone modi di esternazione delle ragioni particolarmente analitici, quando le regole procedimentali vengano accuratamente seguite, in modo tale che si possa ragionevolmente ritenere che gli organi pubblici abbiano agito sotto un velo di ignoranza sull’esito finale del loro operato, così escludendo parzialità ed inefficienze (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5165 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Su alcune questioni attinenti le fasi e modalità di svolgimento di un pubblico concorso.
Nei concorsi pubblici, non è prescritta la verbalizzazione della votazione assegnata da ciascun commissario, salvo che risulti il dissenso da parte di taluno dei commissari, ai quali solo spetta di invalidare per tale motivo la verbalizzazione della seduta, in quanto, in un’ottica di maggiore rilievo e salve diverse disposizioni del bando o dei criteri fissati dalla commissione esaminatrice, l'onere di verbalizzazione delle operazioni di concorso (di cui all'art. 14 d.p.r. 09.05.1994 n. 487) è sufficientemente garantito dall'indicazione del giudizio finale.
Nei concorsi pubblici, la predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove è connotata da un’ampia discrezionalità, per cui i criteri adottati sfuggono al sindacato giurisdizionale, salvi i casi di manifesta illogicità e irrazionalità.
Nei concorsi pubblici il punteggio numerico deve essere considerato di per sé idoneo a sorreggere l'obbligo di motivazione richiesto dall'art. 3 l. 07.08.1990 n. 241 anche qualora non siano rinvenibili sull’elaborato segni grafici o glosse di commento a margine.
Nei concorsi pubblici, la stringatezza dei tempi di correzione degli elaborati costituisce vicenda normalmente sottratta al controllo di legittimità; la relativa censura deve ritenersi inammissibile, ove sia prospettata non in relazione ad un dato assoluto (tempo effettivamente occorso), ma ad un dato relativo (tempi medi di correzione), facendo risaltare l’assenza di alcuna prova o indizio dell'asserita incongruità del tempo occorso alla correzione delle prove della parte interessata, risultando dai verbali solo l'indicazione del tempo occorso alla correzione degli elaborati svolti da un certo numero di candidati
(massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5165 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’accorpamento di due finestre e la trasformazione di altra finestra in porta rappresentano modifiche degli elementi costitutivi dell’edificio ed inserimento di nuovi, funzionali alla trasformazione parziale dell’edificio e, come tali, sono stati classificati dalla giurisprudenza come interventi di “ristrutturazione edilizia".
Il Collegio ribadisce il concetto che alcuni dei lavori eseguiti (cioè, quelli che hanno interessato la modifica del numero e della consistenza delle finestre), pur se di scarso rilievo strutturale e caratterizzati da basso impatto estetico, si inseriscono nel novero delle “ristrutturazioni edilizie” previste dall’art. 20, co. 1, lett. d, della L.R. 71/1978, e definite come interventi “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
Infatti, l’accorpamento di due finestre, e la trasformazione di altra finestra in porta, rappresentano modifiche degli elementi costitutivi dell’edificio ed inserimento di nuovi, funzionali alla trasformazione parziale dell’edificio, e come tali sono stati classificati dalla giurisprudenza come interventi di “ristrutturazione edilizia”: “L'apertura di porte e finestre non rientra fra gli interventi di manutenzione straordinaria e, in quanto opere non di mero ripristino bensì modificatrici dell'aspetto degli edifici, vanno ricomprese fra quelle di ristrutturazione edilizia per la cui realizzazione è necessario il rilascio della concessione edilizia” (Tar Basilicata, 135/2007); “L'ampliamento di vano-finestra non rientra nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, né di restauro o risanamento conservativo (i quali presuppongono, ai sensi dell'art. 3, lett. b-c) d.P.R. n. 380/2001, la sostituzione o la conservazione di elementi -anche strutturali- degli edifici, che siano comunque preesistenti, ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che abbiano tuttavia carattere accessorio), ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui alla lettera c) del comma primo dell'articolo 10 d.P.R. n. 380/2001, dal momento che realizza un'oggettiva trasformazione della facciata del palazzo mediante la sostituzione e l'inserimento di elementi, nonché la modifica di altri” (Tar Napoli, 895/2009 e 505/2009) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 02.07.2010 n. 2641 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn materia di sanatoria ex art. 13 L. 47/1985 (ora art. 36 DPR 380/2001) il Collegio richiama la tesi tradizionale e più rigorista anche recentemente sposata dalla Sezione, che impone la verifica di conformità dei lavori eseguiti sine titulo con riguardo ad un doppio parametro normativo: quello vigente alla data di realizzazione, e quello vigente alla data di esame della domanda di sanatoria; il tutto in ossequio al principio di legalità.
Laddove si chiede l’applicazione della cd. “sanatoria giurisprudenziale” il ricorrente allude, in particolare, al filone giurisprudenziale che –nell’interpretare l’art. 13 della L. 47/1985 (ed il corrispondente art. 36 del D.P.R. 380/2001)– ha ritenuto sanabili le opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo edilizio, purché risultino conformi alla normativa urbanistica vigente al momento dell’esame della relativa domanda di sanatoria (cfr. Cons. Stato, V, 6498/2003; Cons. Stato, VI, 2835/2009).
Si tratta, in sostanza, di un orientamento che ritiene sanabile l’abuso “formale”, non necessariamente in presenza della “doppia conformità”, ma a condizione che sussista almeno la compatibilità delle opere rispetto allo strumento urbanistico vigente al momento della loro realizzazione.
Pur non disconoscendo le ragioni di utilità pratica che sottostanno al predetto orientamento, il Collegio richiama la tesi tradizionale e più rigorista anche recentemente sposata dalla Sezione, che impone la verifica di conformità dei lavori eseguiti sine titulo con riguardo ad un doppio parametro normativo: quello vigente alla data di realizzazione, e quello vigente alla data di esame della domanda di sanatoria; il tutto in ossequio al principio di legalità.
Si richiamano, in proposito, le approfondite argomentazioni in punto di diritto contenute nella sentenza n. 5/2009 di questa Sezione (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 02.07.2010 n. 2641 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Rapporto fra Piano di Lottizzazione e Convenzione di Lottizzazione.
Un’ipotesi di lottizzazione, presentata da soggetti privati, può essere presa in considerazione e valutata favorevolmente dall’Amministrazione comunale soltanto nel caso in cui la stessa sia idonea a soddisfare interessi pubblici di natura urbanistica, per cui, mentre in presenza dell’accordo di tutte le parti private ricomprese in un comparto omogeneo lo stesso è sicuramente valutabile positivamente dall’Amministrazione in quanto capace di poter compiutamente determinare un assetto complessivo di una certa area, allorquando questa volontà privata viene meno in parte, come è accaduto nel caso di specie, sicuramente l’Amministrazione è titolare del potere di valutare se tale ridotta composizione possa in qualche modo soddisfare gli interessi pubblici di natura urbanistica che la originaria lottizzazione era in grado di portare a compimento (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.05.2010 n. 3217 - link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: Alla violazione del termine finale di un procedimento amministrativo non consegue la illegittimità dell’atto tardivo.
Il ritardo non è un vizio in sé dell’atto ma è un presupposto che può determinare, in concorso con altre condizioni, una possibile forma di responsabilità risarcitoria della amministrazione.

Alla violazione del termine finale di un procedimento amministrativo non consegue la illegittimità dell’atto tardivo.
Lo stesso art. 2-bis della legge n. 241 del 1990, come introdotto dalla legge n. 69 del 2009, correla alla inosservanza del termine finale conseguenze significative sul piano della responsabilità civile della Amministrazione, ma non include, tra le conseguenze giuridiche del ritardo, profili afferenti la stessa legittimità dell’atto tardivamente adottato.
Il ritardo non è quindi un vizio in sé dell’atto ma è un presupposto che può determinare, in concorso con altre condizioni, una possibile forma di responsabilità risarcitoria della amministrazione (peraltro soltanto dall’entrata in vigore della legge n. 69/2009, che ha tipizzato la controversa figura del danno da ritardo) (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.04.2010 n. 1913 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La motivazione del provvedimento non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo.
La motivazione del provvedimento non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo; il fondamento dell'illegittimità della motivazione postuma va individuato nella tutela del buon andamento amministrativo e nell'esigenza di delimitazione del controllo giudiziario (massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11.03.2010 n. 1443 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Non può ritenersi che l'Amministrazione incorra nel vizio di difetto di motivazione quando le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento impugnato.
Sebbene il divieto di motivazione postuma, costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, meriti di essere confermato, rappresentando l'obbligo di motivazione il presidio essenziale del diritto di difesa, non può ritenersi che l'Amministrazione incorra nel vizio di difetto di motivazione quando le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento impugnato ed esse siano state rese evidenti mediante chiarimenti resi nel corso del giudizio (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 03.03.2010 n. 1241 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Nel corso del processo amministrativo non è consentito all'amministrazione di integrare la motivazione dell'atto impugnato con deduzioni contenute in una memoria difensiva o nell'atto d'appello susseguente alla sua soccombenza in primo grado.
Nel corso del processo amministrativo non è consentito all'amministrazione di integrare la motivazione dell'atto impugnato con deduzioni contenute in una memoria difensiva o nell'atto d'appello susseguente alla sua soccombenza in primo grado (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 23.02.2010 n. 1047 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISul silenzio-assenso degli atti amministrativi.
E' da osservare sul piano letterale, che l'art. 20 della L. 241/1990 si riferisce ai "procedimenti a istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi", con un richiamo quindi alla macro categoria dei provvedimenti amministrativi che appare comprensivo di tutti gli atti di natura autorizzatoria (ad eccezione delle materie di cui all'art. 20, comma 4, e fatto salvo, il campo d'intervento dell'art. 19 sulla attività private sottoposte a regime di liberalizzazione).
Invero, la generale applicazione del silenzio-assenso introdotta con la novella della legge n. 80/2005 ha capovolto la prospettiva risultante dal quadro normativo precedente, nel quale si era demandato ad un atto di normazione secondaria (il DPR n. 300/1992,) la individuazione delle fattispecie alle quali applicare il meccanismo di semplificazione amministrativa di cui si tratta, con la conseguenza che, nelle ipotesi non espressamente previste, il privato che aspirasse ad un provvedimento esplicito, a fronte dell'inerzia dell'amministrazione, conservava la possibilità di proporre ricorso avverso il c.d. silenzio-inadempimento.
Se prima delle modifiche alla l. n. 241 del 1990 sopravvenute nel 2005, infatti, il meccanismo di cui all'art. 20 poteva essere considerato un'eccezione al principio della conclusione del procedimento mediante provvedimento espresso (cfr. art. 2, comma 1, legge n. 241/1990) ed era ammesso solo in ipotesi tassativamente determinate, ora con la legge n. 80/2005 esso diviene una regola generale, mentre sono tassative le eccezioni.
Nel nuovo assetto conferito all'istituto, la tutela dell'interesse pubblico non è priva di adeguati strumenti di tutela posto che l'art. 20 prevede al comma 3 l'adozione di determinazioni in via di autotutela ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.02.2010 n. 1034 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'annullamento d'ufficio del provvedimento della P.A. presuppone una congrua motivazione sull'interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell'interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall'amministrazione.
L'annullamento di ufficio presuppone una congrua motivazione sull'interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell'interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall'amministrazione (cfr. Cons. St., sez. VI, 14/10/2004, n. 6656).
È appena il caso di soggiungere che tale principio, già enunciato dalla giurisprudenza amministrativa (invero già la risalente sentenza del Cons. St., VI, 24.12.1982, n. 721 affermava il principio, secondo cui la rimozione degli atti amministrativi illegittimi non deve pregiudicare l’interesse, cedevole solo a fronte di un più grave interesse pubblico, di chi sugli effetti di quell’atto abbia fatto affidamento), ha trovato da ultimo esplicito riscontro normativo nell'art. 14 della legge n. 15 del 2005, con il quale è stato introdotto l'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2010 n. 363 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Elemento necessario per poter procedere all'annullamento dell'atto illegittimo è in primo luogo l'interesse pubblico. L'interesse pubblico alla base del provvedimento di autotutela, come costantemente precisato dalla giurisprudenza, non può esaurirsi nel mero ripristino della legalità violata e ai fini di una corretta valutazione dell'esistenza, nel caso concreto, dell'interesse pubblico all'annullamento dell'atto, l'Amministrazione deve tener conto anche della circostanza che la propria attività è costituzionalmente orientata secondo i canoni dell'imparzialità e del buon andamento ed è retta dai principi generali dell'azione amministrativa sanciti dalla legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990 e succ. mod..
Elemento necessario per poter procedere all’annullamento dell’atto illegittimo è in primo luogo l’interesse pubblico. L’interesse pubblico alla base del provvedimento di autotutela, come costantemente precisato dalla giurisprudenza , non può esaurirsi nel mero ripristino della legalità violata (cfr. Cons. Stato, IV, n. 3909 del 2005; idem, sez. V, 07.01.2009, n. 17; Tar Molise, sez. I, 23.09.2009, n. 644; Tar Lazio, Roma, sez. III, 03.07.2009, n. 6443; Tar Campania, Napoli, sez. III, 14.05.2009, n. 2657; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 11.11.2008, n. 5303; Tar Puglia, Bari, sez. I, 15.05.2008, n. 1157) e ai fini di una corretta valutazione dell’esistenza, nel caso concreto, dell’interesse pubblico all’annullamento dell’atto, l’Amministrazione deve tener conto anche della circostanza che la propria attività è costituzionalmente orientata secondo i canoni dell’imparzialità e del buon andamento ed è retta dai principi generali dell’azione amministrativa sanciti dalla legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990 e succ. mod..
A ciò va aggiunto che risponde all’interesse pubblico l’annullamento d’ufficio improntato ai criteri di economicità., di efficacia, di pubblicità e di trasparenza, nonché al principio di derivazione comunitaria di “proporzionalità” dell’azione amministrativa, inteso quest’ultimo come dovere in capo alla P.A. di non comprimere le situazioni giuridiche soggettive coinvolte, se non nei casi di stretta necessità, valutando i pregiudizi agli stessi derivanti.
Nella motivazione necessaria, e particolarmente aggravata, del provvedimento di autotutela è necessario sia esplicitato l’apprezzamento -anche sul piano comparativo– in merito al sacrificio imposto ai destinatari, tenendo conto delle posizioni consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall’Amministrazione.
Inoltre, nell’esercizio del potere di autotutela l’Amministrazione non può pretermettere la garanzia partecipativa dell’avvio del relativo procedimento (cfr. da ultimo Cons. stato, sez. IV, 21.12.2009, n. 8516)
(cfr. da ultimo Cons. stato, sez. IV, 21.12.2009, n. 8516) (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 27.01.2010 n. 1059 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Gli atti amministrativi vanno interpretati non solo in base al loro tenore letterale quanto piuttosto avendo riguardo al potere effettivamente esercitato dall'Amministrazione, con la conseguenza che ai fini della loro qualificazione giuridica occorre prescindere dal nomen iuris adottato.
L'interpretazione dell'atto amministrativo deve tendere ad enucleare, in base alle regole legali dettate dall'ordinamento, la volontà obiettivata nell'atto stesso, senza che in questa interpretazione possa influire il punto di vista soggettivo dell'Amministrazione emanante.
In altri termini, in linea con la consolidata giurisprudenza, gli atti amministrativi vanno interpretati non solo in base al loro tenore letterale quanto piuttosto avendo riguardo al potere effettivamente esercitato dall'Amministrazione, con la conseguenza che ai fini della loro qualificazione giuridica occorre prescindere dal nomen iuris adottato (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.12.2009 n. 8756 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla necessità o meno, per disporre l’esclusione ex art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006, di una valutazione sulla gravità del reato.
L’art. 38, comma 1, lett. c), del codice dei contratti (il quale preclude la partecipazione alle gare ai soggetti "nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale"), richiede, per la sua applicazione, un’attività valutativa in ordine alla gravità del reato, finalizzata a verificare se lo stesso possa o non incidere sulla moralità professionale del concorrente.
L’ambito operativo dell’art. 27, comma 2, lett. q), del D.P.R. n. 34/2000 (a mente del quale sono inserite nel casellario "eventuali sentenze di condanna passate in giudicato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale a carico dei legali rappresentanti, degli amministratori delegati o dei direttori tecnici per reati contro la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico, la fede pubblica o il patrimonio"), non coincide con quello del citato art. 38; è pertanto illegittima l’annotazione nel casellario informatico di una esclusione da una gara per la omessa dichiarazione condanna di patteggiamento per tentato furto - reato contro il patrimonio, alla quale sia stata aggiunta che l’esclusione è stata disposta ai sensi del citato art. 38, nel caso in cui manchi, nel provvedimento espulsivo assunto dalla stazione appaltante, qualsiasi apprezzamento sulla gravità del reato taciuto (e sulla sua incidenza sulla moralità professionale) (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 12.12.2009 n. 12837 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Ai fini del risarcimento del danno derivante da lesione degli interessi legittimi, quanto all'elemento soggettivo non è richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa della P.A..
Ai fini del risarcimento del danno derivante da lesione degli interessi legittimi, quanto all'elemento soggettivo non è richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa della P.A.; infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione relativa di colpa dell'Amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice di cui all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie: il privato danneggiato può, quindi, invocare l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.
Il ritardo nell’esecuzione del giudicato dal quale discendeva l’obbligo per la P.A. di disporre l’immediata chiusura dell’esercizio farmaceutico non può essere scusato allegando la necessità della P.A. di attendere la definizione del procedimento di revisione delle piante organiche delle farmacie, atteso che l’attuazione di un dovere di esecuzione, nel caso in cui non passi necessariamente per un’attività conformativa al giudicato di carattere discrezionale, non può differirsi o subordinarsi ad un procedimento collegato dai tempi di definizione e dagli esiti altamente incerti. In tal caso, quindi, sussiste la colpa dell’amministrazione, intesa quale apparato che deve sollecitamente eseguire i giudicati (massima tratta da http://doc.sspal.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.12.2009 n. 7800 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La normativa di cui artt. 7 e ss. della legge n. 241 del 1990 in materia di partecipazione al procedimento amministrativo non deve essere applicata formalisticamente; si deve quindi escludere il vizio di omessa comunicazione dell’avvio del procedimento quando lo scopo della partecipazione sia stato comunque raggiunto o vi sia comunque un atto equipollente alla formale comunicazione.
La normativa di cui articoli 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990 non deve essere applicata formalisticamente, e si deve quindi escludere il vizio quando lo scopo della partecipazione sia stato comunque raggiunto o vi sia comunque un atto equipollente alla formale comunicazione (ex multis: Cons. Stato, Sez. IV, 09.03.2005, n. 968), derivando da ciò che nell’ambito del procedimento sopra descritto risulta individuata una fase specifica di comunicazione della proposta di vincolo da giudicarsi integralmente satisfattiva della garanzia della partecipazione procedimentale prescritta dalla normativa della legge “241” (Sez. VI: 30.12.2005, n. 7592; 03.11.2003, n. 6833); con tale fase viene infatti data formale e pubblica comunicazione della proposta di vincolo ai soggetti interessati, istituzionali e privati, viene assegnato loro un congruo termine per la presentazione di osservazioni e, di tali osservazioni, infine, si prescrive di tenere espressamente conto per l’adozione del provvedimento conclusivo, così garantendo e disciplinando, in concreto, la partecipazione al procedimento di formazione di tale provvedimento (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.12.2009 n. 7607 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISui presupposti necessari per applicare la sanzione dell'esclusione dalle gare prevista dall'art. 38, lett. f, del Codice dei contratti pubblici.
Ai sensi dell'art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006 (secondo cui sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che, "secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante"), il mancato invito o l'esclusione di un concorrente, e, successivamente, la mancata aggiudicazione di una gara, possono essere determinati dalla malafede e la negligenza contrattuale per le quali sia stata anche eventualmente adottata la risoluzione contrattuale; in tale ipotesi si manifesta infatti il prioritario interesse pubblico ad evitare di intrattenere rapporti contrattuali con un soggetto inadempiente in relazione al quale sussiste la ragionevole possibilità che si determini ancora detta sfavorevole evenienza.
La prescritta esclusione non ha carattere sanzionatorio, essendo la stessa prevista a presidio dell'elemento fiduciario destinato a connotare, sin dal momento genetico, i rapporti contrattuali di appalto pubblico.
La causa di esclusione prevista dal citato art. 38, non presuppone il necessario accertamento in sede giurisdizionale del comportamento di grave negligenza o malafede tenuto dall'aspirante aggiudicatario nel corso di un pregresso rapporto contrattuale intercorso con la stazione appaltante, essendo invece sufficiente la valutazione che la stessa Amministrazione abbia fatto, in sede per l'appunto amministrativa, del comportamento tenuto in altri e precedenti rapporti contrattuali dal soggetto che chiede di partecipare alla nuova procedura selettiva (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter, sentenza 26.11.2009 n. 11789 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: In tema di silenzio, l'art. 2, comma 5, della L. n. 241/1990, secondo il quale il Giudice può conoscere della fondatezza dell'istanza, va inteso nel senso che non può sorgere alcuna pretesa di valutazione della fondatezza dell'istanza se, per essa, è necessario acquisire gli elementi istruttori demandati ad un procedimento che o non si è mai svolto o si è svolto in modo incompleto senza giungere alla sua naturale conclusione con l'emanazione del provvedimento.
In tema di silenzio, l'art. 2, comma 5, della L. 07.08.1990 n. 241, secondo il quale il Giudice « può » conoscere della fondatezza dell'istanza, è quindi da intendersi nel senso che non può sorgere alcuna pretesa di valutazione della fondatezza dell'istanza se, per essa, è necessario acquisire gli elementi istruttori demandati ad un procedimento che o non si è mai svolto o si è svolto in modo incompleto senza giungere alla sua naturale conclusione con l'emanazione del provvedimento; infatti, in questi casi, il ricorrente non potrà ottenere una pronuncia sulla fondatezza della propria istanza perché il sorgere della situazione soggettiva che si vuole conseguire è, strutturalmente, condizionata alla formazione di atti e provvedimenti non ancora esistenti o all'effettuazione di valutazioni discrezionali non ancora compiute (TAR Sicilia-Palermo, sez. II, 20.10.2006, n. 2352) (TAR Lazio-Roma, III-quater, sentenza 25.11.2009 n. 11743 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla necessità o meno di comunicare l’avvio del procedimento in caso di esclusione.
Il provvedimento di esclusione dalle gare pubbliche non deve essere preceduto dall'avviso dell'inizio del procedimento nei confronti dell’impresa interessata (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 23.11.2009 n. 11482 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla natura dell’aggiudicazione provvisorie e sui presupposti per l’eventuale revoca.
L'aggiudicazione provvisoria di una gara di appalto è un atto ad effetti instabili, del tutto interinali, a fronte del quale non possono configurarsi situazioni di vantaggio stabili in capo al beneficiario.
In attesa dell'aggiudicazione definitiva e del concreto inizio del servizio non vi è infatti alcuna posizione consolidata dell'impresa concorrente che possa postulare il riferimento in sede di revoca dell'aggiudicazione ad un interesse pubblico giustificativo del sacrificio del privato e l'Amministrazione ha altresì il potere di provvedere all'annullamento dell'aggiudicazione provvisoria in via implicita e senza obbligo di particolare motivazione.
E’ legittima la revoca dell'aggiudicazione provvisoria giustificata da un nuovo apprezzamento della fattispecie in base a circostanze sopravvenute, essendo collegata ad una facoltà insindacabile dell'Amministrazione che non si inserisce in alcun rapporto contrattuale, ma attiene ancora alla fase di scelta del contraente, in cui l'Amministrazione ha la possibilità di valutare la persistenza dell'interesse pubblico all'esecuzione delle opere appaltate.
La P.A. può provvedere all'annullamento dell'aggiudicazione provvisoria, anche in via implicita e senza obbligo di particolare motivazione, specialmente se l'intervento in autotutela di tipo caducatorio è basato su una valutazione di convenienza economica.
E’ idonea a supportare la legittimità di un provvedimento di revoca in autotutela
dell’aggiudicazione provvisoria di una gara pubblica, la considerazione postuma, effettuata dalla stazione appaltante, in ordine alla possibilità di reperire nel mercato offerte migliori rispetto a quelle emerse nel corso della gara.
L'obbligo generale di indennizzo delle situazioni di pregiudizio arrecate ai soggetti interessati in conseguenza della revoca di atti amministrativi sussiste esclusivamente in caso di revoca di provvedimenti ad efficacia durevole e non anche in caso di revoca di atti ad effetti instabili ed interinali, qual è l'aggiudicazione provvisoria (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 09.11.2009 n. 10991 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla legittimità o meno di una clausola del bando di un appalto di servizi che impone di dimostrare la capacità tecnica mediante servizi analoghi in precedenza svolti e sulla possibilità o meno di differire la dimostrazione del requisito in parola al momento del periodo di prova.
E’ legittimo il bando di gara indetto per l'affidamento di un appalto di servizi nella parte in cui richiede ai partecipanti, quale requisito di capacità tecnica, quello afferente ai servizi in precedenza prestati ad amministrazioni e/o enti pubblici o a privati, atteso che l'art. 42, comma 1, lett. a), d.lgs. 12.04.2006 n. 163, rimette alla discrezionalità della stazione appaltante l'individuazione nella lex specialis di gara di «uno o più» dei modi di dimostrazione della capacità tecnica, fra quelli elencati dalla medesima norma, e la scelta di uno solo di essi non è irragionevole se rapportata all'oggetto dell'appalto e alle sue peculiarità.
Va esclusa dalla gara di appalto una impresa che abbia omesso, così come invece previsto dal bando, di dichiarare i servizi analoghi effettuati ad amministrazioni e/o enti pubblici o a privati negli ultimi tre anni, con indicazione degli importi delle date e dei destinatari.
D’altra parte, deve ritenersi che, se la ditta partecipante non può dimostrare di aver svolto servizi analoghi, può dimostrare altrimenti la propria capacità tecnica, ma non può pretendere, né l'Amministrazione può consentire (come invece era stato fatto nella specie) che la verifica di tale capacità sia omessa e spostata al momento del periodo di prova (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 09.11.2009 n. 1721 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla natura di collegio perfetto delle commissioni di gara, sulla partecipazione di supplenti e sulla derogabilità o meno del principio di continuità delle operazioni di gara.
La commissione giudicatrice di una gara di appalto costituisce un collegio perfetto che deve operare con il plenum e non con la semplice maggioranza dei suoi componenti. La natura di collegio perfetto della suddetta commissione non è inficiata dalla nomina di supplenti, ma, anzi, ne è confermata. Infatti il plenum dei componenti del collegio perfetto va riferito alla contestuale presenza del numero di componenti previsto, e non alla necessaria identità fisica delle persone che compongono il collegio.
Lo scopo della supplenza, nel caso di commissioni di gara, è quello, da un lato, di garantire che il collegio possa operare con il plenum anziché con la sola maggioranza, in caso di impedimento di taluno dei membri effettivi, e dall'altro lato che la commissione svolga le sue operazioni con continuità e tempestività, senza che il suo agire sia impedito o ritardato dall'impedimento di taluno dei suoi componenti.
Ai fini della legittimità dell'intervento del supplente in una commissione di gara, non è indispensabile che nel verbale si dia atto dell'impedimento del componente effettivo, atteso che, stante la legittimazione istituzionale del supplente a sostituire il membro effettivo per ogni suo impedimento, anche temporaneo, la verbalizzazione espressa dell'impedimento si tradurrebbe in una mera clausola di stile.
Il principio di continuità delle gare di appalto, secondo cui le gare stesse devono svolgersi in unica seduta, o in più sedute consecutive, costituisce un principio tendenziale, che deve applicarsi per soddisfare due esigenze fondamentali:
a) garantire la celerità delle operazioni, in ossequio al principio del buon andamento e di efficienza dell'amministrazione, per un verso, e, per altro verso, l'assoluta indipendenza di giudizio di chi presiede la gara onde sottrarlo a possibili influenze esterne;
b) impedire che i criteri di valutazione delle offerte vengano formulati dopo la conoscenza delle stesse.
Il principio di continuità della gara, in concreto, non viene violato se:
1) le operazioni di gara si svolgano con ragionevole celerità, anche se non in un unico giorno o in pochi giorni consecutivi;
2) la fissazione dei criteri di valutazione delle offerte preceda la conoscenza delle offerte medesime;
3) venga rispettato il principio di segretezza delle operazioni di gara fino alla enunciazione dell'esito della stessa.
In termini più generali, inoltre, il principio di continuità della gara può essere derogato qualora si verifichino situazioni particolari che obiettivamente impediscano la concentrazione e la conclusione delle operazioni di gara in un numero ristretto di sedute (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 05.11.2009 n. 10878 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISul diritto di accesso e segreti tecnici o commerciali.
L’art. 13 del D.Lgs. n. 163/2006, nel prevedere il divieto di accesso alle "informazioni fornite dagli offerenti nell’ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscono, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali", non prevede un divieto assoluto, in quanto lo stesso articolo consente l'accesso "al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell’ambito del quale viene formulata la richiesta di accesso" (c.d. accesso difensivo).
Tale norma, pertanto, impone alla stazione appaltante di effettuare un accurato controllo in ordine alla effettiva utilità della documentazione richiesta, alla stregua di una sorta di prova di resistenza (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Umbria, Sez. I, sentenza 05.11.2009 n. 662 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla possibilità o meno, per la commissione di gara di specificare i criteri di valutazione delle offerte, sulla legittimità o meno della valutazione in forma numerica delle offerte, sull’ammissibilità o meno di referenze bancarie rilasciate prima della pubblicazione del bando.
Prima dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 163 del 2006, si era consolidato il principio secondo il quale, nel caso di gara da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, eventuali specificazioni o integrazioni dei criteri di valutazione indicati dal bando di gara o dalla lettera d'invito ben potevano essere configurati dalle commissioni giudicatrici, seppure soltanto prima della apertura delle buste relative alle offerte e ciò indipendentemente dalla circostanza che i componenti la commissione avevano concretamente preso conoscenza delle offerte stesse.
A seguito all’entrata in vigore dell’art. 83, quarto comma, del D.L.vo n. 163 del 2006, nel caso di gara da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, non sussiste più la discrezionalità della commissione di gara nella specificazione dei criteri, dovendosi escludere che la commissione stessa abbia facoltà di integrare il bando, dovendo quest'ultimo prevedere e specificare gli eventuali sottocriteri; ne consegue l'illegittimità di una lex specialis che, pur richiamando il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, nulla preveda in ordine agli elementi dell'offerta da considerare ed all'attribuzione dei punteggi.
Nelle procedure di gara pubblica con il criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, la valutazione dell’offerta tecnica può essere considerata correttamente effettuata, mediante l'attribuzione di un mero punteggio numerico, allorquando nel bando di gara siano stati preventivamente e puntualmente prefissati dei criteri sufficientemente dettagliati, con la individuazione del punteggio minimo e massimo attribuibile alle specifiche singole voci e sottovoci comprese nel paradigma di valutazione e costituenti i diversi parametri indicatori della valenza tecnica dell'offerta; per cui ciascun punteggio è correlato ad un parametro tecnico-qualitativo precostituito, in grado di per sé di dimostrare la logicità e la congruità del giudizio tecnico espresso dalla commissione giudicatrice, al punto da non richiedere una ulteriore motivazione, esternandosi in tal caso compiutamente il giudizio negli stessi punteggi e nella loro graduatoria.
Legittimamente vengono ritenute valide le referenze bancarie prodotte da una impresa, anche se esse recano una data anteriore a quella di pubblicazione del bando, atteso che ciò che conta, per le referenze bancarie, è il dato sostanziale relativo alla loro idoneità ad attestare l’affidabilità dell’impresa concorrente (nella specie, peraltro, la lex specialis di gara richiedeva solo che le referenze bancarie fossero "idonee", così come previsto dall’art. 41 del Codice dei contratti pubblici, senza affatto stabilire una soglia cronologica di attendibilità).
Poiché le giustificazioni preventive consistono in elaborati che i concorrenti hanno l'onere di allegare già all'offerta, al fine di accelerare la verifica della congruità delle offerte anomale, nel caso in cui esse siano previste è possibile per la stazione appaltante stabilire la congruità dell'offerta se essa risulti già dai documenti prodotti, non sussistendo in tale ipotesi la necessità di aprire il sub-procedimento di verifica, con conseguente risparmio di tempo e di energie, sia per l'Amministrazione che per l'aggiudicatario.
La motivazione del giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala deve essere rigorosa ed analitica soltanto nel caso di giudizio negativo, mentre nel caso di giudizio positivo non è necessario che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti, con la conseguenza che il giudizio favorevole di non anomalia dell'offerta non richiede puntualità di argomentazioni, essendo sufficiente anche una motivazione per relationem alle stesse giustificazioni presentate dal concorrente sottoposto al relativo obbligo.
Il giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme e costituisce espressione paradigmatica di un potere tecnico-discrezionale dell'Amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o affette da errori di fatto. Questo significa che in ogni gara pubblica l'attendibilità dell'offerta va valutata nella sua globalità; del resto, lo stesso art. 88, comma 7, del Codice dei contratti, stabilisce che, all'esito del procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta, la stazione appaltante dichiara l'eventuale esclusione dell'offerta che risulta, "nel suo complesso", inaffidabile (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter, sentenza 04.11.2009 n. 10828 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa funzione sollecitatoria a cui si ispira l’istituto del silenzio-assenso non può pregiudicare la possibilità di adottare un provvedimento di annullamento in via di autotutela del silenzio-assenso, attraverso un pieno e ponderato esercizio dell’attività di valutazione e comparazione dei diversi interessi pubblici e privati coinvolti dall’esercizio della funzione amministrativa.
Osserva il Collegio che l’annullamento o la revoca d’ufficio del silenzio-assenso presenta necessariamente taluni aspetti peculiari rispetto all’ipotesi ordinaria in cui formi oggetto di intervento in via di autotutela un provvedimento espresso dall’amministrazione preposta alla cura dell’interesse pubblico specifico di cui si tratta.
Poiché infatti, per definizione, l’assenso tacito costituisce espressione di attività provvedimentale solo in virtù di fictio juris, deve necessariamente ritenersi che l’inerente potere di autotutela assorba in sé anche profili valutativi che normalmente ineriscono all’esercizio della funzione amministrativa di primo grado, ma che l’amministrazione non è stata a suo tempo in grado di esercitare (non importa per quali motivi).
La funzione sollecitatoria a cui si ispira l’istituto del silenzio-assenso non può, infatti, a pena di insanabile contrasto della relativa disciplina legislativa con la sovraordinata fonte costituzionale (art. 97 Cost.), pregiudicare la possibilità di un pieno e ponderato esercizio dell’attività di valutazione e comparazione dei diversi interessi pubblici e privati coinvolti dall’esercizio della funzione amministrativa, tanto più ove si tratti di funzione a contenuto pianificatorio a fronte della quale la scelta del legislatore regionale volta a consentire una disciplina tacita dell’assetto del territorio non può non trovare il proprio correttivo nel riconoscimento di un ampio ed incisivo potere di autotutela che garan-tisca comunque adeguati strumenti di intervento volti ad assicurare, e se del caso a ripristinare, un uso corretto e compatibile delle risorse territoriali ed ambientali oggetto di specifica tutela legislativa.
Discende dalle considerazioni svolte che, in sede di annullamento o revoca d’ufficio di autorizzazione tacita ad un piano di lottizzazione all’amministrazione competente deve essere restituito integro il potere-dovere di compiere, per la prima volta, quelle valutazioni che a suo tempo avrebbe potuto e dovuto porre a fondamento dell’esercizio della funzione istituzionale di primo grado ad essa spettante.
Correlativamente è legittimo il provvedimento di annullamento d’ufficio del silenzio-assenso, ove l’amministrazione, pur senza enucleare specifici profili di illegittimità dell’atto da annullare e specifiche, distinte, ragioni di interesse pubblico giustificanti l’annullamento medesimo, compia una completa ed approfondita disamina dell’assetto di interessi scaturente dal provvedimento tacitamente assentito, in rapporto a quello inerente alla funzione tipica cui è preordinata l’attività amministrativa di primo grado, pervenendo, ove ne riscontri la dissonanza, alla rimozione dell’assetto ritenuto contra legem ed al ripristino di quello risultante conforme all’interesse pubblico da perseguire.
Le riportate considerazioni sono state svolte da questo Consiglio con decisione 20.09.2002 n. 571 ed il Collegio le condivide interamente
(C.G.A.R.S., sentenza 22.10.2009 n. 994 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La violazione dell'art. 10-bis, L. n. 241/1990 non può ritenersi tale da produrre ex se l'illegittimità del provvedimento finale, dovendo la disposizione sul preavviso di rigetto, essere interpretata alla luce del successivo art. 21-octies comma 2, che impone al Giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo.
La violazione dell'art. 10-bis, della legge n. 241 del 1990 non produce ex se l'illegittimità del provvedimento finale, dovendo la disposizione sul preavviso di rigetto essere interpretata alla luce del successivo art. 21-octies comma 2, che impone al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo.
L'art. 21-octies rende, quindi, irrilevante la violazione delle norme sul procedimento o sulla forma dell'atto per il fatto che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in con-creto adottato
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.09.2009 n. 5235 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La necessità della comunicazione dell’avvio del procedimento ai destinatari dell’atto finale è stata prevista in generale dal menzionato art. 7 non soltanto per i procedimenti complessi che si articolano in più fasi (preparatoria, costitutiva ed integrativa dell’efficacia), ma anche per i procedimenti semplici che si esauriscono direttamente con l’adozione dell’atto finale, i quali comunque comportano una fase istruttoria da parte dell’autorità emanante.
L'obbligo di avviso dell'avvio del procedimento sussiste anche nella ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, sulla scorta della considerazione che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l'accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa.
La comunicazione di avvio del procedimento è da ritenersi superflua solo quando:
1) i presupposti fattuali dell'atto risultano assolutamente incontestati dalle parti;
2) il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili;
3) l'eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l'amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto.

L
a necessità della comunicazione dell’avvio del procedimento ai destinatari dell’atto finale è stata prevista in generale dal menzionato art. 7 non soltanto per i procedimenti complessi che si articolano in più fasi (preparatoria, costitutiva ed integrativa dell’efficacia), ma anche per i procedimenti semplici che si esauriscono direttamente con l’adozione dell’atto finale, i quali comunque comportano una fase istruttoria da parte della stessa autorità emanante.
La portata generale del principio è confermata dal fatto che il legislatore stesso (art 7, 1° comma, ed art. 13 L. 241/1990) si è premurato di apportare delle specifiche deroghe (speciali esigenze di celerità, atti normativi, atti generali, atti di pianificazione e di programmazione, procedimenti tributari) all’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, con la conseguenza che negli altri casi deve in linea di massima garantirsi tale comunicazione, salvo che non venga accertata in giudizio la sua superfluità in quanto il provvedimento adottato non avrebbe potuto essere diverso anche se fosse stata osservata la relativa formalità (cfr. CdS, sez. V n. 2823 del 22.05.2001 e n. 516 del 04.02.2003; sez. VI n. 686 del 7.2.2002).
Ha dato luogo a contrasti, in dottrina ed in giurisprudenza, la risposta al quesito relativo alla possibilità che la fase procedimentale indicata possa essere omessa o compressa per il fatto che si sia in presenza di provvedimento a contenuto vincolato.
Deve rilevarsi in proposito che parte della giurisprudenza ha affermato la sussistenza dell'obbligo di avviso dell'avvio del procedimento anche nella ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, sulla scorta della considerazione che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l'accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa (cfr. CdS sez. VI 20.04.2000 n. 2443; CdS 2953/2004; 2307/2004 e 396/2004). Secondo tale tesi, invero, non sarebbe rinvenibile alcun principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di rappresentare all'amministrazione l'inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma, esercitando preventivamente sul piano amministrativo quella difesa delle proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria.
In definitiva, quello che rileva è la complessità dell’accertamento da effettuare (V. CdS, sez. VI n. 686 del 07.02.2002).
Secondo altra prospettazione, invece, “le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua -con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa- quando l'interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono comunque all'apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti. In materia di comunicazione di avvio prevalgono, quindi, canoni interpretativi di tipo sostanzialistico e teleologico, non formalistico. Poiché l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ex art. 7 l. 07.08.1990 n. 241 è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all'azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l'atto conclusivo è destinato ad incidere -in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto del provvedimento- l'omissione di tale formalità non vizia il procedimento quando il contenuto di quest'ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, si da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione. Alla luce di questa linea interpretativa si può affermare che la comunicazione di avvio del procedimento dovrebbe diventare superflua quando: l'amministrazione; i presupposti fattuali dell'atto risultano assolutamente incontestati dalle parti; il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili; l'eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l'amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici)” (Consiglio Stato, sez. IV, 30.09.2002, n. 5003)
Tale orientamento da ultimo esposto appare alla Sezione in via di principio condivisibile, in quanto rispettoso delle garanzie procedimentali avulse da meccanicistiche applicazioni a natura essenzialmente formalistica.
Sotto altro profilo, conforto a tale interpretazione si rinviene in relazione al sopravvenuto disposto del comma 2 dell’art. 21-octies legge 15/2005, specificamente riferita alla violazione procedimentale dell’articolo 7, ed applicabile tanto alla ipotesi di atto vincolato che a quella di atto discrezionale: la novella legislativa ha previsto che l’amministrazione può dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, così superando la censura di carattere formale (per una recente ricostruzione del sistema alla luce della “novella”, si veda Consiglio Stato, sez. VI, 07.01.2008, n. 19)
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.08.2009 n. 4899 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Ha carattere di atto di conferma e non di atto meramente confermativo quello con cui l'Amministrazione, pur pervenendo allo stesso dispositivo di una precedente determinazione amministrativa, compia uno o più atti istruttori al fine di accertare la fondatezza di eventuali doglianze formulate dall'interessato con l'obiettivo di sollecitare una revisione, in fatto e in diritto, della precedente determinazione.
Un atto di conferma, assurgendo a nuova manifestazione di volontà dell'Amministrazione successiva ad un procedimento di riesame, si sostituisce alla precedente manifestazione di volontà e riapre i termini per impugnare.

Per giurisprudenza consolidata, ha carattere di atto di conferma e non di atto meramente confermativo quello con cui l'Amministrazione, pur pervenendo allo stesso dispositivo di una precedente determinazione amministrativa, compia uno o più atti istruttori al fine di accertare la fondatezza di eventuali doglianze formulate dall'interessato con l'obiettivo di sollecitare una revisione, in fatto e in diritto, della precedente determinazione.
Un atto di conferma, assurgendo a nuova manifestazione di volontà dell'Amministrazione successiva ad un procedimento di riesame, si sostituisce alla precedente manifestazione di volontà e riapre i termini per impugnare.
Laddove sia stato già oggetto di gravame giurisdizionale il precedente provvedimento, l'atto di conferma determina l'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del relativo gravame, non potendo il ricorrente ottenere alcun beneficio dall'eventuale annullamento del provvedimento impugnato, sostituito dall'Amministrazione all'esito di un nuovo iter istruttorio e sulla base di una nuovo percorso motivazionale (TAR Lazio Roma, sez. II, 14.05.2008, n. 4127) (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 08.05.2009 n. 4987 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'art. 7 L. n. 241/1990 va interpretato non in modo formalistico, ma con riferimento alla sua ratio concreta, che è quella di assicurare la partecipazione procedimentale del privato interessato al procedimento amministrativo, con la conseguenza che l'eventuale omissione dell'adempimento non determina illegittimità dell'azione amministrativa, laddove sia provato che il destinatario abbia avuto comunque e aliunde conoscenza del procedimento in corso, potendo quindi parteciparvi.
Costituisce jus receptum che l'art. 7 L. 241/1990 vada interpretato non in modo formalistico, ma con riferimento alla sua ratio concreta, che è quella di assicurare la partecipazione procedimentale del privato interessato al procedimento amministrativo; con la conseguenza che l’eventuale omissione dell’adempimento non determina illegittimità dell’azione amministrativa, laddove sia provato che il destinatario abbia avuto comunque e aliunde conoscenza del procedimento in corso, potendo quindi parteciparvi (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 07.12.2005, nr. 6990; Cons. Stato, sez. VI, 06.10.2005, nr. 5436) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.03.2009 n. 1207 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La differenza fra "l'atto di conferma" e "l'atto meramente confermativo" va individuata nel fatto che il primo presuppone un completo riesame della fattispecie, che si conclude con la conferma dell'atto in origine adottato dopo una nuova valutazione da parte dell'Autorità emanante, mentre il secondo si limita a richiamare il precedente provvedimento e a ribadirne integralmente il contenuto, senza alcun nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto già considerati.
La differenza fra "l'atto di conferma" e "l'atto meramente confermativo" va individuata nel fatto che il primo presuppone un completo riesame della fattispecie, che si conclude con la conferma dell'atto in origine adottato dopo una nuova valutazione da parte dell'Autorità emanante, mentre il secondo si limita a richiamare il precedente provvedimento e a ribadirne integralmente il contenuto, senza alcun nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto già considerati, con la conseguenza, sul piano processuale, che, mentre il primo si sostituisce integralmente al precedente provvedimento ed è autonomamente impugnabile, l'eventuale ricorso contro il secondo risulterebbe inammissibile perché proposto contro un atto privo di reale ed autonoma capacità lesiva (cfr., "ex multis" Cons. St. VI Sez., 17.12.2007 n. 6459) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 27.01.2009 n. 422 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISulla ratio del preavviso di rigetto ex art. 10-bis L. n. 241/1990.
La ratio del preavviso di rigetto di cui all'art. 10-bis L. n. 241/1990 va ravvisata nella sua natura di atto endo-procedimentale, poiché tale norma impone all'amministrazione, prima di adottare un provvedimento sfavorevole nei confronti del richiedente, di comunicargli le ragioni ostative all'accoglimento della sua istanza, sì da rendere possibile l'instaurazione di un vero e proprio contraddittorio endo-procedimentale, a carattere necessario, ed aumentare così le "chances" del cittadino di ottenere dalla stessa p.a. ciò che gli interessa, con la conseguenza che lo stesso non è immediatamente lesivo della sfera giuridica dei destinatari e, quindi, non è autonomamente ed immediatamente impugnabile (massima tratta da http://doc.sspal.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.09.2007 n. 4828 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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