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AGGIORNAMENTO AL 29.09.2010 |
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A V
V I S O
In relazione ai convegni
organizzati in quel di Bergamo per il 06, 13
e 20 ottobre 2010, si avvisano i naviganti
del sito che i posti a sedere per la 3^
giornata (sulla SCIA) sono esauriti.
Pertanto, da oggi mercoledì 29.09.2010 non
saranno più accettate -e cestinate-
eventuali adesioni che dovessero ancora
pervenire per la suddetta data, mentre sono
ancora disponibili posti per le date del 06
e 13 ottobre.
Ai fini della migliore cognizione del
presente avviso, solo per oggi e domani il
telefax sarà disattivato e riattivato da
venerdì 01.10.2010.
Si coglie l'occasione per confermare
-agli interessati- tutte le adesioni
pervenute via telefax sino a ieri.
Inoltre, si chiede cortesemente a tutti
coloro che hanno prenotato l'adesione alla
3^ giornata di effettivamente presenziare e
di dare "forfait" solo a causa di
forza maggiore (cataclismi, diluvio
universale, caduta meteoriti, invasione di
cavallette, ecc.)
pregiudicando, altrimenti, la possibilità di
partecipazione di coloro che fossero
fattivamente interessati.
LA SEGRETERIA PTPL |
AGGIORNAMENTO AL 28.09.2010 |
ã |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Segnalazione Certificata di Inizio
Attività (SCIA) - Art. 49, commi 4-bis e
seguenti, della Legge n. 122/2010
(Consiglio Nazionale degli Architetti,
Pianificatori, Paesaggistici e Conservatori,
nota 24.09.2010 n. 764 di prot.). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Bottone,
SUL DPR 09.07.2010 n. 139 (autorizzazione
paesaggistica semplificata) - Quando per
semplificare si abolisce …
---------------
Ringraziamo il Geom. Marcellino Bottone, di
Piedimonte Matese (CE), per il contributo
ricevuto. |
PUBBLICO IMPIEGO:
F. Logiudice,
I riflessi della manovra d’estate sul
personale delle PPAA (link a
www.altalex.com). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Piano territoriale paesistico
(P.T.P.) - Costruzione abusiva - Area
sottoposta a vincoli paesaggistici - Potere
di ordinare la demolizione - Partecipazione
al procedimento amministrativo -
Fattispecie: demolizione opere abusive
eseguite sul pubblico demanio marittimo -
D.P.R. n. 380/2001 - Art. 7 e ss. L. n.
241/1990 e s.m.i. - Art. 1, L. n. 65/1986.
In ragione del loro contenuto rigidamente
vincolato, gli atti sanzionatori in materia
edilizia (tra cui l'ordine di demolizione
della costruzione abusiva) non devono essere
preceduti dalla comunicazione d'avvio del
relativo procedimento (Cons. Stato, Sez. IV,
sent. 15/05/2009, n. 3029; C.d.S., Sez. IV,
sent. 26/09/2008, n. 4659; C.d.S., Sez. V,
sent. 19/09/2008, n. 4530; C.d.S., Sez. V,
26/02/2003, n. 1095).
Nella specie, il verbale di sequestro dei
manufatti abusivi redatto dal Corpo di
Polizia Municipale (verbale ritualmente
portato a legale conoscenza dell'appellante)
costituisse altresì "partecipazione del
procedimento amministrativo ai sensi
dell'art. 7 e seguenti della legge n. 241/1990
e s.m.i.", in tal modo consentendo
all'odierna appellante di conoscere il
verosimile esito provvedimentale della
vicenda e di versare in atti (laddove lo
avesse ritenuto utile) le proprie deduzioni.
Sicché, non è contestabile la riferibilità
dell'attività del Corpo di Polizia
Municipale all'Ente-Comune di riferimento
(in tal senso: art. 1, l. 07.03.1986, n. 65)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.09.2010 n. 7129 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
Atti pubblici - Verbali
provenienti da pubblici ufficiali -
Efficacia probatoria e limiti - Querela di
falso e art. 2700 c.c. - Apprezzamenti,
valutazioni e deduzioni del pubblico
ufficiale - Esclusione della c.d. fede
privilegiata - Confutazione - Fattispecie:
verbali della polizia municipale.
In materia di atti pubblici, se per un verso
è vero che i verbali della polizia
municipale, come tutti i verbali provenienti
da pubblici ufficiali, hanno efficacia di
piena prova, fino a querela di falso (art.
2700 c.c.) solo relativamente alla
provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale
che lo ha formato, alle dichiarazioni delle
parti e agli altri fatti che il pubblico
ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o
da lui compiuti (mentre tale fede
privilegiata non si estende né agli
apprezzamenti del pubblico ufficiale ovvero
alle sue ulteriori valutazioni e deduzioni);
d'altra parte è pur vero che le valutazioni
e deduzioni in tal modo svolte dai pubblici
ufficiali possono essere confutate nella
loro consistenza solo attraverso
l'allegazione di circostanziate deduzioni in
contrario che, nel caso di specie, non sono
state in alcun modo fornite, se non
attraverso l'indimostrata affermazione della
destinazione dei manufatti in parola al
superamento delle barriere architettoniche
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.09.2010 n. 7129 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Piano Territoriale Paesistico
(P.T.P.) - Autorizzazione edilizia -
Incremento dei volumi esistenti -
Annullamento della Sovrintendenza -
Legittimità - Fattispecie.
E' legittimo l'intervento della
Sovrintendenza ostativo a qualsiasi
incremento dei volumi esistenti (di fatto,
per contrasto con l'art. 12.4 del P.T.P.
campano), senza che si possa distinguere in
considerazione della destinazione funzionale
del nuovo volume da realizzare.
Nella specie, il Soprintendente per i beni
architettonici ed il paesaggio di Napoli ha
annullato l'autorizzazione rilasciata per la
copertura di cassoni di raccolta dell'acqua
siti nel giardino di pertinenza, anche al
fine di allocazione di pannelli solari per
la produzione di energia elettrica
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.09.2010 n. 7123 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Partecipazione al procedimento -
Totale assenza della comunicazione -
Finalità partecipativa e impossibilità di
incidere - Interpretazione ed applicazione
non meccanica né formalistica - Artt. 7, 8 e
10 L. n. 241/1990 - D.M. n. 165/2002.
Il raggiungimento della finalità
partecipativa o l'impossibilità di incidere
- con la partecipazione - sul contenuto del
procedimento, sono stati considerati
esimenti sufficienti ai fini della validità
del provvedimento adottato senza la
pedissequa osservanza delle norme citate, o
anche in totale assenza della comunicazione.
Inoltre, ai sensi degli artt. 7, 8 e 10 L.
07.08.1990 n. 241, si deve tener conto
dell'esigenza di una interpretazione ed
applicazione non meccanica né formalistica
delle norme in materia di partecipazione al
procedimento amministrativo (Cons. Stato,
Sez. IV, 15/06/2004, n. 4018) (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 24.09.2010 n. 7123 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
AREE PROTETTE - Valutazione di
incidenza - Parere dell’ente parco -
Procedimenti autonomi - Competenze
differenziate - Salvaguardia di beni solo
parzialmente coincidenti - Coesistenza di
una valutazione di incidenza positiva e di
un parere del parco di segno opposto -
Possibilità.
Non è precluso all’Ente parco l’esame degli
effetti di un intervento sulle risorse
naturali, quando si sia già conclusa
favorevolmente la procedura di valutazione
di incidenza ai sensi delle Direttive
1979/409/CE e 1992/43/CE. Ciò non soltanto
in virtù del fatto che la legge attribuisce
la competenza, per i due procedimenti, ad
Amministrazioni diverse, ciascuna dotata di
autonomo potere decisionale (la Provincia e
l’Ente parco).
Invero, è da considerare che anche sul piano
sostanziale i due procedimenti sono
preordinati alla salvaguardia di beni solo
parzialmente coincidenti: la fauna e
l’habitat naturale per i siti d’importanza
comunitaria SIC e ZPS, il paesaggio ed il
complessivo equilibrio dell’ecosistema e
delle risorse naturali e produttive per il
Parco.
Sicché nulla esclude che in concreto
coesistano, debitamente giustificate ed
entrambe legittime, una valutazione di
incidenza positiva ed un parere dell’Ente
parco di segno opposto, anche quando
quest’ultimo sia stato già anticipato (e
disatteso) nell’ambito del procedimento
condotto dalla Provincia (TAR Puglia-Bari,
Sez. I,
sentenza 24.09.2010 n. 3493 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo paesaggistico - Art. 167
d.lgs. n. 42/2004 - Divieto di sanatoria
paesistica - Interpretazione della norma
conforme al principio di proporzionalità -
Assenza di danno ambientale - Rilascio in
via successiva dell’autorizzazione
paesistica - Ammissibilità.
Se non ci si ferma a un’interpretazione
letterale dell’art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs.
42/2004 e si integra la norma con il
principio di proporzionalità, si può
osservare come il divieto di sanatoria
paesistica abbia in realtà la funzione di
impedire all’amministrazione di trasformare
ordinariamente, attraverso il giudizio di
compatibilità paesistica, il danno
ambientale in un equivalente monetario.
Il fatto compiuto viene quindi sanzionato
con la remissione in pristino in quanto
potrebbe indurre l’amministrazione ad
accettare un prezzo in cambio di una lesione
al vincolo paesistico.
Dove tuttavia non sussista alcun danno
ambientale, o addirittura sia possibile
ottenere un guadagno ambientale con
l’assunzione da parte del trasgressore di
specifiche obbligazioni nell’interesse del
vincolo paesistico, non vi sono ragioni per
escludere un’autorizzazione paesistica
rilasciata in via successiva (v. TAR Brescia
Sez. I 19.03.2008 n. 317; TAR Brescia Sez. I
25.05.2010 n. 2139): ciò a maggior ragione
ove la costruzione sia regolarizzabile dal
punto di vista urbanistico, in quanto
sarebbe contraria all’art. 167 commi 4 e 5
del Dlgs. 42/2004 come sopra interpretato
l’imposizione della sanzione demolitoria per
opere che una volta demolite potrebbero
essere ricostruite identiche (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 22.09.2010 n. 3555 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di pertinenza - Regione
Lombardia - Art. 27, c. 1, lett. e-6 L.r.
12/2005 - Volume della pertinenza - Limite
del 20% rispetto all’edificio principale -
Mediazione degli strumenti urbanistici
comunali.
Sul piano urbanistico le pertinenze sono una
categoria di interventi individuata non
attraverso la nozione civilistica di cui
all’art. 817 c.c. ma in ragione della
modesta rilevanza economica e del limitato
peso per il territorio (v. CS Sez. IV
13.01.2010 n. 41; TAR Brescia Sez. I
13.10.2008 n. 1259).
Nella Regione Lombardia, l’art. 27, comma 1,
lett. e-6, della LR 12/2005 esclude che si
possa definire pertinenza una costruzione il
cui volume sia superiore al 20% del volume
dell'edificio principale. Al di sotto di
questa soglia le costruzioni collegate ad
altri edifici non sono comunque
automaticamente qualificabili come
pertinenze.
La predetta norma regionale (come la
corrispondente norma statale) richiede
infatti che la qualificazione delle
pertinenze sia mediata dagli strumenti
urbanistici comunali e dai regolamenti
edilizi.
Dunque la deroga alle regole stabilite per
le nuove costruzioni è ammissibile solo
quando la disciplina comunale contenga un
criterio idoneo a differenziare le
pertinenze dal resto dell’attività
edificatoria (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 22.09.2010 n. 3555 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Anche
per i piani di lottizzazione deve valere sia
la norma sulla durata decennale che la norma
sulla decadenza o inefficacia per la parte
inattuata, entrambe dettate per i piani
particolareggiati rispettivamente dagli
artt. 16, comma 5, e 17, comma 1, della L.
1150/1942. Dispone quest’ultima disposizione
che “decorso il termine stabilito per la
esecuzione del piano particolareggiato
questo diventa inefficace per la parte in
cui non abbia avuto attuazione”.
Alla scadenza del Piano di lottizzazione ed
ove lo stesso sia rimasto inattuato, si
registra la sopravvenuta inefficacia del
regime urbanistico di dettaglio dallo stesso
introdotto, che pertanto non può più fungere
da cornice giuridica di riferimento per il
rilascio dei titoli concessori.
La scadenza del termine di esecuzione di un
piano attuativo, infatti, ne determina
l’inefficacia ma non ne produce per ciò solo
la totale irrilevanza, sotto il profilo
della specifica qualificazione
dell’aspirazione di colui che sottoscrisse
la convenzione a mantenere immutata la
destinazione urbanistica data all’area dal
piano regolatore e ad ottenere la
ponderazione della propria situazione
giuridica sostanziale con l’interesse
pubblico perseguito dall’Ente locale.
Le convenzioni urbanistiche sono accordi
stipulati tra il privato ed il Comune per
determinare l’assetto di una parte del
territorio e disciplinare i loro reciproci
rapporti, precisando in particolare gli
obblighi che il privato assume
unilateralmente in attuazione delle norme di
legge ed in conformità agli strumenti
urbanistici.
Esse hanno natura di negozi bilaterali,
onerosi e di scambio, il cui contenuto è
condizionato dalla qualificazione
pubblicistica di uno dei contraenti, ed
hanno essenzialmente per oggetto
l’assunzione, da parte del privato,
dell’obbligo di cedere al Comune aree di
proprietà nonché di versare somme di denaro
ed eventualmente di eseguire direttamente
determinate opere di urbanizzazione.
E’ necessario a
questo punto richiamare il pacifico
orientamento giurisprudenziale per il quale
la fattispecie della parziale attuazione di
un piano di lottizzazione non risulta
espressamente disciplinata dall’art. 28
della L. 17/08/1942 n. 1150, e tuttavia la
regolamentazione può essere ricavata dalla
norma analoga dettata dall’art. 17 della
stessa legge per i piani particolareggiati
(cfr. Consiglio di Stato, sez. IV –
30/06/2004 n. 4803; sez. IV – 25/07/2001 n.
4073): anche per i piani di lottizzazione
deve valere sia la norma sulla durata
decennale che la norma sulla decadenza o
inefficacia per la parte inattuata, entrambe
dettate per i piani particolareggiati
rispettivamente dagli artt. 16, comma 5, e
17, comma 1, della L. 1150/1942 (TAR
Sardegna – 18/08/2003 n. 1033). Dispone
quest’ultima disposizione che “decorso il
termine stabilito per la esecuzione del
piano particolareggiato questo diventa
inefficace per la parte in cui non abbia
avuto attuazione”.
In proposito la giurisprudenza ha affermato
che la fissazione di un termine di efficacia
per le lottizzazioni risponde all’esigenza
di assicurare effettività ed attualità alle
previsioni urbanistiche, che risulterebbe
compromessa se le lottizzazioni
convenzionate avessero l’effetto di
condizionare a tempo indeterminato la
pianificazione urbanistica futura attraverso
l’affidamento dei suoi titolari: pertanto,
la scadenza del termine decennale fa venir
meno –sul piano oppositivo– i presupposti
dello ius aedificandi e, sul piano
pretensivo, l’affidamento all’intangibilità
delle destinazioni urbanistiche definite dal
Piano (Consiglio di Stato, sez. IV –
13/04/2005 n. 1743; TAR Sicilia Catania,
sez. I – 27/01/2004 n. 72; TAR Calabria
Catanzaro, sez. I – 22/12/2004 n. 2453; TAR
Puglia Lecce, sez. I – 14/09/2006 n. 4449).
In altri termini, alla scadenza del Piano di
lottizzazione ed ove lo stesso sia rimasto
inattuato, si registra la sopravvenuta
inefficacia del regime urbanistico di
dettaglio dallo stesso introdotto, che
pertanto non può più fungere da cornice
giuridica di riferimento per il rilascio dei
titoli concessori.
La scadenza del termine di esecuzione di un
piano attuativo, infatti, ne determina
l’inefficacia ma non ne produce per ciò solo
la totale irrilevanza, sotto il profilo
della specifica qualificazione
dell’aspirazione di colui che sottoscrisse
la convenzione a mantenere immutata la
destinazione urbanistica data all’area dal
piano regolatore e ad ottenere la
ponderazione della propria situazione
giuridica sostanziale con l’interesse
pubblico perseguito dall’Ente locale
(Consiglio di Stato, sez. IV – 03/11/1998 n.
1412).
In buona sostanza l’amministrazione, nel
rivedere la propria pianificazione, non può
prescindere totalmente dalle legittime
aspettative dei privati sottoscrittori della
convenzione (o aventi causa), ma deve
soppesarle con i valori collettivi sottesi
alle nuove scelte urbanistiche; al contempo,
tuttavia, l’omesso completamento delle opere
di urbanizzazione entro il termine di legge
osta al perfezionamento di una pretesa di
tipo sostanzialmente automatico, consistente
nel rilascio dei titoli abilitativi
correlati alla qualità edificatoria del
suolo.
Lo spessore della posizione giuridica dei
privati è dunque sufficiente a garantire
loro un adeguato giudizio di bilanciamento,
che il Comune è tenuto a compiere prima di
adottare nuove decisioni sull’assetto
urbanistico del territorio coinvolto; detto
spessore non raggiunge però la consistenza
necessaria a far conservare (o affiorare)
pretese edificatorie dirette
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 27.08.2010 n. 3251 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul recupero del sottotetto in
Lombardia con innalzamento di quota in
merito: alla distanza minima dai confini di
proprietà, al rispetto della distanza di mt.
10,00 tra pareti finestrate di cui anche
abusiva, alla nozione di sottotetto utile da
recuperare in deroga ex L.R. 12/2005.
Occorre precisare in primo luogo che la
qualificazione del recupero del sottotetto
come ristrutturazione non è idonea da sola a
rendere automaticamente possibile la
sopraelevazione dell’edificio.
La ristrutturazione è una categoria di
interventi edilizi che si può ripartire in
due sottogruppi: da un lato la
ristrutturazione pesante di cui all’art. 10,
comma 1, lett. c), del DPR 380/2001 (ossia
quella che conduce a un organismo edilizio
in tutto o in parte diverso dal precedente e
comporta aumento di unità immobiliari o
modifiche del volume, della sagoma, dei
prospetti, delle superfici) e dall’altro la
ristrutturazione leggera (definita per
residualità).
La ristrutturazione pesante equivale nella
sostanza a una nuova costruzione che si
aggiunge a una costruzione esistente. In
questo quadro la scelta del legislatore
regionale di definire il recupero del
sottotetto come ristrutturazione non ha
contenuto innovativo ma si limita a
utilizzare il concetto di ristrutturazione
pesante già presente nella normativa
statale.
Il problema diventa allora fino a che punto
la ristrutturazione pesante abbia regole
diverse dalla nuova edificazione su area
libera. In negativo, ovvero sotto il profilo
sanzionatorio, non vi è nessuna differenza,
in quanto l’art. 33, comma 6-bis, e l’art.
34, comma 2-bis, del DPR 380/2001 prevedono
anche in questo caso l’applicazione di
misure ripristinatorie o in subordine
pecuniarie come negli abusi edilizi
maggiori. In positivo, ovvero per quanto
riguarda i diritti edificatori, dipende dal
grado di resistenza delle norme che devono
essere derogate.
Relativamente alla distanza dai confini si
può ritenere che il recupero del sottotetto
comportante sopraelevazione possa avvenire
in deroga alle previsioni stabilite negli
strumenti urbanistici comunali.
In via generale la giurisprudenza (v. Cass.
civ. Sez. II 11.06.2008 n. 15527; Cass. civ.
Sez. II 12.01.2005 n. 400; Cass. civ. Sez.
II 27.05.2003 n. 8420; Cass. civ. Sez. II
08.01.2001 n. 200) si attiene alla seguente
regola:
(a) la sopraelevazione, comportando nuovo
volume, richiede sempre il rispetto della
distanza dai confini indipendentemente dal
fatto che in origine vi sia stata
prevenzione nei confronti del proprietario
confinante;
(b) tuttavia la normativa comunale può
stabilire se e a quali condizioni sia
ammessa la costruzione senza arretramento.
Nel caso del sottotetto è direttamente il
legislatore regionale che pone la
disciplina, sovrapponendosi alle scelte dei
singoli comuni, con un chiaro favore per la
realizzabilità di questo tipo di interventi.
L’art. 64, comma 1, della LR 12/2005
consente modificazioni delle altezze di
colmo e di gronda e delle linee di pendenza
delle falde (con il solo limite dell’altezza
massima di zona) senza alcun riferimento
all’arretramento dei muri esterni in
relazione alla distanza dai confini.
L’art. 64, comma 2, della LR 12/2005 precisa
ulteriormente che il recupero del sottotetto
è ammesso anche in deroga ai limiti e alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici
comunali, ad eccezione del reperimento di
spazi per parcheggi pertinenziali.
La finalità che emerge da queste norme è di
far prevalere su ogni diversa valutazione
comunale l’interesse all’insediamento di
nuova volumetria residenziale in continuità
con le costruzioni sottostanti. Vi è quindi
incompatibilità logica con il vincolo della
distanza minima dai confini, che potrebbe
compromettere l’utilità del recupero del
sottotetto e alterare in modo disarmonico la
sagoma degli edifici.
Poiché il legislatore regionale si è
sostituito ai comuni in una materia nella
disponibilità dei comuni stessi non vi sono
altre ragioni che si oppongano alla
possibilità di sopraelevare lungo il
perimetro dell’edificio esistente.
La situazione cambia però radicalmente
quando la sopraelevazione si collochi di
fronte a pareti finestrate. In questo caso
la distanza minima di 10 metri prevista (al
di fuori della zona A) dall’art. 9, comma 1,
n. 2, del DM 1444/1968 costituisce un
ostacolo insuperabile.
La giurisprudenza ha chiarito che questa
norma per la sua genesi (è stata adottata ex
art. 41-quinquies, comma 8, della legge
17.08.1942 n. 1150, come introdotto
dall’art. 17 della 06.08.1967 n. 765) e per
la sua funzione igienico-sanitaria (evitare
intercapedini malsane) costituisce un
principio inderogabile della materia.
In particolare si tratta di una norma che
prevale sia sulla potestà legislativa
regionale, in quanto integra la disciplina
privatistica delle distanze (v. C.Cost.
16.06.2005 n. 232), sia sulla potestà
regolamentare e pianificatoria dei comuni,
in quanto deriva da una fonte normativa
statale sovraordinata (v. Cass. civ. Sez. II
31.10.2006 n. 23495), sia infine
sull’autonomia negoziale dei privati, in
quanto tutela interessi pubblici che per la
loro natura igienico-sanitaria non sono
nella disponibilità delle parti (v. CS Sez.
IV 12.06.2007 n. 3094).
Si può aggiungere che un’interpretazione
costituzionalmente orientata dell’art. 64
della LR 12/2005 impedisce di leggervi una
deroga estesa anche all’art. 9 del DM
1444/1968.
La Corte Costituzionale nella sentenza n.
232/2005 afferma al punto 4 che le normative
locali (regionali o comunali) possono
prevedere distanze inferiori alla misura
minima, però fissa precisi limiti (“le
deroghe, per essere legittime, devono
attenere agli assetti urbanistici e quindi
al governo del territorio e non ai rapporti
tra vicini isolatamente considerati in
funzione degli interessi privati dei
proprietari dei fondi finitimi”).
Se ne deduce che l’introduzione di deroghe è
consentita solo nell’ambito della
pianificazione urbanistica, come
nell’ipotesi espressamente prevista
dall’art. 9 comma 3 del DM 1444/1968, che
riguarda edifici tra loro omogenei perché
inseriti in un piano particolareggiato o in
un piano di lottizzazione (per una
fattispecie relativa al centro storico v.
TAR Brescia Sez. I 29.09.2009 n. 1712).
Di conseguenza non è possibile per la legge
regionale (e nemmeno per gli strumenti
urbanistici comunali) intervenire nei
rapporti tra i privati autorizzando in via
generale la sopraelevazione in deroga alla
distanza minima dalle pareti finestrate: la
deroga può essere inserita unicamente in una
previsione normativa dedicata a una
situazione urbanistica particolare in una
precisa zona del territorio.
In questo modo si ottiene una ragionevole
garanzia circa il fatto che gli interessi
pubblici coinvolti (e specificamente quelli
di natura igienico-sanitaria) siano stati in
concreto valutati e tutelati mediante
soluzioni planivolumetriche adeguate.
Estendendo questa linea argomentativa si può
sostenere che la deroga alla distanza minima
dalle pareti finestrate diventa ammissibile
quando non vi siano in concreto pericoli di
peggioramento delle condizioni
igienico-sanitarie all’interno delle
abitazioni servite dalle finestre.
Questa situazione può verificarsi in
fattispecie particolari, ad esempio quando
il muro da sopraelevare non si trovi
esattamente in corrispondenza della parete
finestrata (v. TAR Brescia Sez. I 03.07.2008
n. 788).
Nel caso in esame i ricorrenti con le due
DIA in variante (v. sopra ai punti 4 e 7)
hanno cercato di limitare la sopraelevazione
nella porzione del muro di confine che
fronteggia il cavedio con la parete
finestrata, tuttavia non è stato dimostrato
che attraverso queste modifiche il progetto
lasci del tutto immutata la condizione dei
locali che ricevono luce e aria dalle
finestre. In realtà per raggiungere questo
obiettivo sarebbe necessario garantire alle
finestre una fascia di rispetto (intesa come
volume vuoto) di ampiezza tale da rendere
neutre le sopraelevazioni ai lati.
Si osserva che il vincolo della distanza
minima dalle pareti finestrate è efficace
anche quando la presenza delle finestre sia
abusiva. L’interesse pubblico di natura
igienico-sanitaria che vieta la formazione
di intercapedini malsane vale infatti in
qualunque situazione, indipendentemente
dalla regolarità della costruzione, in
quanto non si colloca soltanto sul piano
urbanistico ma coinvolge anche la tutela
della salute.
È quindi necessario ottenere prima la
rimozione dell’abuso: l’eliminazione delle
finestre abusive determina di conseguenza
anche la fuoriuscita dalla fattispecie di
cui all’art. 9 del DM 1444/1968. Nel caso in
esame i ricorrenti sostengono che il
cavedio, in corrispondenza del primo piano,
sarebbe stato realizzato abusivamente in
luogo di un ripostiglio senza finestre.
Peraltro la licenza edilizia relativa a
questi lavori è del 1965 e quindi l’altezza
del cavedio e la presenza delle relative
finestre sono ormai elementi consolidati
anche sotto il profilo giuridico.
L’art. 63,
comma 1-bis, della LR 12/2005 definisce il
sottotetto come il volume sovrastante
l'ultimo piano degli edifici dei quali sia
stato eseguito il rustico e completata la
copertura.
La norma non richiede che lo spazio sia
praticabile e non indica la volumetria o
l’altezza minima che distinguono il
sottotetto dalle semplici intercapedini. In
considerazione del favore legislativo per
gli interventi di recupero è preferibile
aderire a un’interpretazione estensiva della
nozione di sottotetto, qualificando come
tale qualsiasi volume non del tutto
irrilevante che sia compreso tra il solaio e
le falde del tetto e abbia la funzione di
tenere separati questi elementi
architettonici. La soglia di rilevanza può
variare a seconda della morfologia
dell’edificio.
Nel caso in esame l’altezza di 0,91 metri
(media tra il valore minimo di 0,60 metri e
quello massimo di 1,22 metri) si può
considerare idonea a definire un vero e
proprio locale con autonome seppure limitate
funzionalità (ad esempio soffitta o
ripostiglio).
Non è quindi corretto parlare di mera
intercapedine, concetto da riservare agli
spazi marginali.
In via generale è compito del responsabile
del procedimento assicurare la completezza
della documentazione ai sensi dell’art. 38,
comma 5, della LR 12/2005 prima del rilascio
del permesso di costruire.
L’omissione di questi controlli non
garantisce al privato l’esenzione dall’onere
di produzione ma impone all’amministrazione
di fissare un termine per la
regolarizzazione della pratica edilizia
prima della conclusione dei lavori.
Solo nel caso in cui il supplemento
istruttorio finalizzato alla
regolarizzazione non abbia dato alcun esito
l’amministrazione è legittimata a
considerare inesistente la certificazione
dell’invalidità e ad annullare in autotutela
il permesso di costruire nella parte in cui
prevede la deroga alla distanza minima dai
confini (oppure integralmente se la deroga
alla distanza non è scindibile dal resto del
progetto)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 27.08.2010 n. 3240 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di vigilanza
sull'attività edilizia, l’amministrazione
deve intervenire non solo sull’attività
materiale dei privati ma anche sui titoli
edilizi che illegittimamente autorizzano
questa attività. L’intervento è obbligatorio
sia quando la violazione della normativa è
accertata dagli uffici comunali sia quando
giungono denunce da parte dei cittadini,
ipotesi prevista espressamente dall’art. 27,
comma 3, del DPR 380/2001.
Il potere di vigilanza sull’attività
edilizia è lo strumento attribuito ai comuni
per tutelare l’interesse pubblico
all’ordinata trasformazione del territorio.
Dopo il rilascio del permesso di costruire
la vigilanza non si concentra nella sola
repressione delle opere realizzate in
difformità.
Lo scopo della vigilanza rimane sempre, come
afferma l’art. 27, comma 1, del DPR
380/2001, la verifica della corrispondenza “alle
norme di legge e di regolamento, alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici ed
alle modalità esecutive fissate nei titoli
abilitativi”.
Dunque l’amministrazione deve intervenire
non solo sull’attività materiale dei privati
ma anche sui titoli edilizi che
illegittimamente autorizzano questa
attività. L’intervento è obbligatorio sia
quando la violazione della normativa è
accertata dagli uffici comunali sia quando
giungono denunce da parte dei cittadini,
ipotesi prevista espressamente dall’art. 27,
comma 3, del DPR 380/2001.
L’interesse pubblico al rispetto della
normativa decade solo con il decorso del
tempo, quando cresce parallelamente
l’affidamento dei privati. Nel caso in esame
tuttavia queste condizioni non sussistono.
In particolare:
(a) il tempo trascorso dalla realizzazione
dei lavori è minimo, anzi si può osservare
che in realtà alla data di inibizione della
prima DIA (13.11.2007) i lavori risultavano
quasi completati (v. sopra al punto 7)
benché non fosse ancora decorso il termine
di 30 giorni previsto dall’art. 42, comma 9,
della LR 12/2005 per l’esame della pratica;
(b) con riguardo al permesso di costruire
non può esservi alcun affidamento
tutelabile, in quanto i ricorrenti hanno
omesso di rappresentare la parete finestrata
(v. sopra al punto 4) e quindi non hanno
consentito agli uffici comunali di rilevare
il mancato rispetto dell’art. 9 del DM
1444/1968 (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 27.08.2010 n. 3240 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non è equiparabile il sagrato ad
un luogo di culto. Questa qualificazione non
può derivare dal fatto che in talune
occasioni le celebrazioni si svolgono sul
sagrato, e tantomeno dal fatto che i fedeli
sostano sul sagrato prima e dopo le funzioni
religiose.
Solo la porzione di piazza prossima alla
chiesa può considerarsi effettivamente
pertinenza ai fini della tutela civilistica,
in quanto serve a garantire un accesso
libero e decoroso al luogo di culto. Per il
resto lo spazio può costituire oggetto di
valutazioni da parte dell’amministrazione
nell’interesse della collettività.
Il collegamento di un’area o di un edificio
con la casa parrocchiale non conferisce a
tali beni la tutela prevista per i luoghi di
culto, tutela che del resto non spetta
neppure alla casa parrocchiale qualora non
sia strutturalmente connessa a un edificio
religioso.
Con il secondo motivo di ricorso si afferma
che l’utilizzazione dei sagrati per la
realizzazione di parcheggi pubblici sarebbe
in contrasto con l’art. 831 cc., il quale
vieta di utilizzare ad altri scopi gli
edifici destinati all’esercizio pubblico del
culto cattolico.
Tale destinazione non si perde neppure per
effetto di alienazione, e quindi allo stesso
modo non potrebbe essere modificata mediante
espropriazione. Poiché il sagrato
costituisce pertinenza della chiesa sarebbe
per ciò stesso da considerare luogo di
culto. Avendo ignorato questa relazione il
Comune sarebbe inoltre incorso nei vizi di
illogicità e difetto di motivazione.
La tesi non appare condivisibile nella parte
in cui equipara il sagrato a un luogo di
culto. Questa qualificazione non può
derivare dal fatto che in talune occasioni
le celebrazioni si svolgono sul sagrato, e
tantomeno dal fatto che i fedeli sostano sul
sagrato prima e dopo le funzioni religiose.
In realtà il sagrato, quando non sia
delimitato da gradinate o altre opere che lo
identificano con precisione, è semplicemente
lo spazio antistante alla chiesa, e non
coincide con l’intera piazza di cui la
chiesa costituisce il fondale. Solo la
porzione di piazza prossima alla chiesa può
considerarsi effettivamente pertinenza ai
fini della tutela civilistica, in quanto
serve a garantire un accesso libero e
decoroso al luogo di culto. Per il resto lo
spazio può costituire oggetto di valutazioni
da parte dell’amministrazione nell’interesse
della collettività.
Nello specifico la localizzazione di
parcheggi pubblici ricade tra le
utilizzazioni collettive compatibili con la
presenza di un luogo di culto. In effetti i
parcheggi, anche se dal punto di vista
estetico sottraggono pregio al contesto
edificato, garantiscono un accettabile
equilibrio tra le esigenze della viabilità e
lo scenario in cui si colloca la chiesa.
I parcheggi, inoltre, rappresentano aree a
standard utili alla stessa frequentazione
dei luoghi di culto. Un passaggio delicato è
certamente l’individuazione delle dimensioni
della fascia di rispetto da garantire libera
attorno all’edificio religioso. Non si
tratta peraltro di un problema che attiene
necessariamente alla fase della
programmazione urbanistica.
In proposito si osserva che relativamente
alla basilica il Comune si è preoccupato già
nella variante semplificata di limitare
l’area dei parcheggi pubblici a una parte
soltanto della piazza. Per gli altri siti la
fascia di rispetto sarà invece definita
nella sede propria, ossia quando saranno
predisposti i progetti dei lavori. Ancora
più a valle si colloca il problema
dell’eventuale sovrapposizione tra l’uso
della piazza come parcheggio pubblico e lo
svolgimento di celebrazioni sul sagrato.
Tali problemi potranno essere gestiti di
volta in volta attraverso accordi tra
l’amministrazione e l’autorità ecclesiastica
per la sospensione temporanea dell’uso dei
parcheggi.
Il collegamento di un’area o di un edificio
con la casa parrocchiale non conferisce a
tali beni la tutela prevista per i luoghi di
culto, tutela che del resto non spetta
neppure alla casa parrocchiale qualora non
sia strutturalmente connessa a un edificio
religioso.
A rigore poi la tutela ammissibile per gli
spazi prossimi alla casa parrocchiale
dovrebbe essere minore di quella
ipotizzabile per i sagrati, in quanto questi
ultimi, essendo a diretto contatto con gli
edifici religiosi, non possono essere
sostituiti nella loro funzione da altre
aree, mentre la casa parrocchiale e gli
spazi connessi sono normalmente fungibili.
Non modifica questa situazione la vecchia
qualificazione data dal PRG come area per
attrezzature religiose: il concetto
urbanistico di attrezzatura religiosa è
molto più ampio del concetto civilistico di
luogo di culto e dunque sono consentite
innovazioni in sede urbanistica a favore di
altri tipi di destinazione (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 27.08.2010 n. 3237 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
L’ingegnere ha diritto al
compenso anche per la progettazione di
un’opera irrealizzabile.
L’ambito della responsabilità professionale
va progressivamente estendendosi a tutte le
categorie di professionisti, dai medici agli
avvocati, notai, commercialisti, ecc..
Accade, così, che anche l’operato degli
ingegneri e, più in generale, dei
progettisti viene sottoposto sempre più di
frequente al vaglio della giurisprudenza
sotto il profilo dell’adempimento degli
obblighi assunti nei confronti del proprio
cliente/committente.
Nell’ultimo periodo, si registrano alcune
interessanti pronunce, di merito e di
legittimità, già intervenute in tema di
responsabilità del progettista.
Nella sentenza 19.08.2010, n. 18747, giunge
al vaglio della Corte di Cassazione -sia
pure sotto il (solo) profilo della perdita
del diritto ai compensi- un caso nel quale
l’ingegnere aveva provveduto a redigere il
progetto di un fabbricato che, carte alla
mano, insisteva in parte sul fondo attiguo a
quello appartenente ai committente che,
peraltro, era di proprietà pubblica. Tale
circostanza ostava alla concessione della
licenza edilizia, con la conseguenza che il
progetto eseguito dal professionista era
risultato, in concreto, irrealizzabile.
Elemento decisivo, ancorché oggetto di
alterne soluzione da parte dei giudici di
merito, è rappresentato dal fatto che
fossero stati proprio i clienti ad invitare
l’ingegnere a realizzare il progetto
prevedendo lo “sconfinamento” in
proprietà comunale.
Secondo una prima prospettazione, un tale
accordo, in quanto concluso in violazione di
norme inderogabili, sarebbe da considerarsi
nullo, con conseguente venir meno del
diritto del professionista a percepire i
compensi.
Tale prospettazione, proposta dalla difesa
dei clienti, non ha convinto i Giudici di
Piazza Cavour, i quali non hanno ravvisato
che l’accordo avente ad oggetto la
progettazione di un fabbricato “irrealizzabile”
non si ponga in contrasto con nessuna norma
inderogabile. La conclusione, invero
perentoria, alla quale giunge la Suprema
Corte, è condivisibile ed assolutamente in
linea con gli indirizzi precedentemente
espressi in tema di c.d. nullità virtuale
dei contratti.
La violazione di norme indisponibili e
inderogabili dalla volontà delle parti non
vale da sola a concludere che la loro
violazione determina la radicale nullità del
contratto. Occorre, altresì, che le norme in
considerazione, che si assumono violate,
siano “norme di validità del contratto”,
norme cioè che si riferiscono espressamente
alla struttura o al contenuto del
regolamento negoziale delineato dalle parti
e che, in assoluto o in presenza di
determinate condizioni, vietano direttamente
o indirettamente la stipulazione stessa del
contratto.
Nella fattispecie, dunque, occorre
accantonare l’impostazione fondata
sull’istituto della nullità del contratto ed
affrontare la questione nell’ottica della
dicotomia adempimento/inadempimento
dell’obbligazione professionale, con tutte
le conseguenze che, rispettivamente ne
derivano.
La redazione di un progetto irrealizzabile,
ancorché rispondente alle indicazioni
provenienti dal cliente, integra di regola
un’ipotesi di inadempimento
dell’obbligazione gravante a carico del
professionista. Il progettista, infatti, è
senza dubbio tenuto ad informare i clienti
dei vincoli ed, in generale, di ogni
limitazione alla concreta realizzabilità del
progetto derivanti dalla normativa e,
quindi, a predisporre un progetto capace di
assicurare un risultato utile per il cliente
in quanto idoneo ad incassare le necessarie
autorizzazioni amministrative.
Nulla vieta, tuttavia, ai clienti di
commissionare al professionista un progetto
irrealizzabile, da redigere espressamente
senza rispettare uno o più vincoli derivanti
dalla normativa vigente. A condizione che il
professionista abbia correttamente e
preliminarmente adempiuto agli obblighi
informativi gravanti a carico del
progettista e, quindi, appurato che il
professionista abbia reso edotti i clienti
che le indicazioni fornite dai clienti sono
destinate a non poter trovare pratica
realizzazione, l’incarico di procedere
comunque alla redazione del progetto è
pienamente valido ed efficace.
E’ una questione di limiti e contenuto del
mandato: nell’ipotesi in esame, infatti,
l’oggetto del contratto è proprio quello di
predisporre un progetto senza rispettare uno
o più vincoli normativi. Un siffatto
contratto è pienamente valido, nella misura
in cui non è vietato da alcuna norma
imperativa (nullità) e (annullabilità) non
sottende alcun vizio del consenso, essendo
stati adempiuti preliminarmente i doveri
informativi).
A questo punto, come anticipato, la
questione ruota tutta intorno
all’adempimento/inadempimento
dell’obbligazione assunta
dall’ingegnere/mandatario nei confronti del
proprio mandante. Nella fattispecie, il
progettista ha correttamente adempiuto
all’incarico ricevuto, maturando in questo
modo il diritto alla controprestazione,
ossia al pagamento dei compensi.
Il ragionamento sotteso alla decisione della
Corte, in definitiva, appare rispondente ai
principi generali che presiedono alla
materia dei contratti in generale, nonché ai
più specifici principi, di fonte
giurisprudenziale, che si vanno formando nel
campo della responsabilità professionale
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 19.08.2010 n. 18747 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il fatto che una sala
cinematografica privata sia aperta al
pubblico non comporta, ai sensi della legge
n. 104/1992 e del regolamento attuativo, la
completa parificazione agli edifici pubblici
per quanto riguarda la disciplina relativa
alle barriere architettoniche.
Deve rammentarsi che la citata legge-quadro
n. 104/1992, riguardante l'assistenza,
l'integrazione sociale e i diritti delle
persone handicappate, ai fini della
eliminazione o superamento delle barriere
architettoniche stabilisce, all'art. 24,
comma 1, che “Tutte le opere edilizie
riguardanti edifici pubblici e privati
aperti al pubblico che sono suscettibili di
limitare l'accessibilità e la visitabilità
di cui alla legge 09.01.1989, n. 13, e
successive modificazioni, sono eseguite in
conformità alle disposizioni di cui…”.
Le anzidette disposizioni indicano, in
concreto, i criteri per la esecuzione delle
“opere” edilizie, riguardanti sia gli
edifici pubblici che quelli privati aperti
al pubblico, al fine di prevenire qualsiasi
difficoltà nella loro fruizione da parte
delle persone handicappate.
Nella surrichiamata legge n. 13/1989,
recante “Disposizioni per favorire il
superamento e eliminazioni delle barriere
architettoniche negli edifici privati”,
all'articolo 1, comma 1, è espressamente
previsto che “I progetti relativi alla
costruzione di nuovi edifici, ovvero alla
ristrutturazione di interi edifici, ivi
compresi quelli di edilizia residenziale
pubblica, sovvenzionata ed agevolata,
presentati dopo sei mesi dall'entrata in
vigore della presente legge sono redatti in
osservanza delle prescrizioni tecniche
previste dal comma 2”; tali prescrizioni
tecniche sono specificamente finalizzate a
garantire l'accessibilità, l'adattabilità e
la visitabilità degli edifici privati e di
edilizia residenziale pubblica,
sovvenzionata ed agevolata.
Da tali norme di legge emerge, dunque, con
chiarezza, che l'obbligo di adeguamento
riguarda soltanto le opere di costruzione e
ristrutturazione ancora da eseguire, come si
ricava inequivocabilmente anche dal termine
dilatorio di sei mesi concesso per
l'applicazione delle nuove prescrizioni
tecniche ai relativi progetti, ai sensi del
citato art. 1 della legge n. 13/1989.
Né possono ritenersi corrette le
argomentazioni del primo giudice il quale,
facendo leva sulle norme per l'eliminazione
delle barriere architettoniche negli
edifici, spazi e servizi pubblici dettate
dal regolamento attuativo della legge n.
104/1992, emanato con d.P.R. 24.07.1996, n.
503, ha affermato che anche le sale
cinematografiche rientrerebbero della
disciplina dettata dall'art. 1, comma 4, in
base al quale “Agli edifici e spazi
pubblici esistenti, anche se non soggetti a
recupero o riorganizzazione funzionale,
devono essere apportati tutti quegli
accorgimenti che possono migliorarne la
fruibilità sulla base delle norme contenute
nel presente regolamento”.
Anzitutto, non può non rilevarsi che una
norma regolamentare deve essere sempre
interpretata in coerenza con la norma
primaria che ne è a fondamento, essendo in
particolare escluso che la normativa
secondaria possa imporre prestazioni non
previste dalla legge, contrastando ciò con
il principio fondamentale posto dall'art. 23
della Costituzione.
Inoltre, dalla stessa lettera della norma
regolamentare sopra richiamata si evince
chiaramente che l'esigenza di abbattere in
via generale ed immediata le barriere
architettoniche riguarda unicamente gli “edifici
e spazi pubblici”, precisandosi
significativamente che, in attesa dei
previsti adeguamenti, “ogni edificio deve
essere dotato, entro 180 giorni dalla data
di entrata in vigore del presente
regolamento, a cura dell'amministrazione
pubblica che utilizza l'edificio, di un
servizio di chiamata per attivare un
servizio di assistenza…”.
Poiché, dunque, contrariamente a quanto
affermato dal primo giudice, il fatto che
una sala cinematografica privata sia aperta
al pubblico non comporta, ai sensi della
ripetuta legge n. 104/1992 e del regolamento
attuativo, la completa parificazione agli
edifici pubblici per quanto riguarda la
disciplina relativa alle barriere
architettoniche, ne consegue che con ogni
evidenza le statuizioni della sentenza
appellata non possono essere assecondate.
Nessun rilievo in senso contrario può
attribuirsi, d’altronde, alla disposizione
del comma 6 dello stesso articolo del
regolamento in esame, secondo cui “Agli
edifici di edilizia residenziale pubblica ed
agli edifici privati compresi quelli aperti
al pubblico si applica il decreto del
ministro dei lavori pubblici 14.06.1989, n.
236”, che reca prescrizioni tecniche per
gli interventi edilizi su tale strutture e
che, per sua natura, non potrebbe certamente
introdurre obblighi nuovi e diversi rispetto
a quelli stabiliti per legge.
Sembra opportuno aggiungere, ancora, che le
anziesposte conclusioni si pongono anche in
stretta consonanza con il principio
enunciato dalla Corte costituzionale con
sentenza 04.07.2008, n. 251, nella quale,
proprio con riferimento alla pretesa del
remittente di imporre l'eliminazione delle
barriere architettoniche pure negli edifici
esistenti, si sottolinea che viene richiesta
una pronuncia additiva “che non può
essere considerata costituzionalmente
obbligata …in quanto è diretta a
privilegiare una delle possibili forme di
intervento a favore delle persone disabili,
in sostituzione di un sistema caratterizzato
dalla concreta valutazione anche di altri
interessi, dai quali non possono escludersi
quelli relativi agli oneri economici
eventualmente derivanti, allo stato, dalla
forma di tutela prescelta” (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5151 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI:
L'uso comune della parolaccia può
integrare reato di ingiuria.
Le cosiddette parolacce non
sfuggono al raggio di punibilità tracciato
dal reato di ingiuria solo perché divenute
parte del linguaggio corrente.
Lo ha stabilito la Sezione Quinta della
Corte di Cassazione con la quale si è
stabilito che, in tema di tutela penale
dell’onore, l’accertamento del carattere
ingiurioso delle parole proferite implica la
valutazione della personalità dell’offeso e
dell’offensore, nonché del contesto in cui
gli insulti sono stati pronunciati.
Per principio generale, in tema di tutela
dell'onore, al fine di accertare se sia
stato leso il bene protetto dall'art. 594
c.p., è necessario fare riferimento ad un
criterio di media convenzionale in rapporto
alla personalità dell'offeso e
dell'offensore ed al contesto nel quale la
frase ingiuriosa è stata pronunciata; ciò
precisato, esistono, tuttavia, limiti
invalicabili, posti dall'art. 2 Cost., a
tutela della dignità umana, di guisa che
alcune modalità espressive sono
oggettivamente (e dunque per l'intrinseca
carica di disprezzo e dileggio che esse
manifestano e/o per la riconoscibile volontà
di umiliare il destinatario) da considerarsi
offensive e, quindi, inaccettabili in
qualsiasi contesto pronunciate, tranne che
siano riconoscibilmente utilizzate ioci
causa).
Così, si è ritenuto che non integri gli
estremi del reato di ingiuria, la condotta
di colui che, in qualità di condomino,
rivolga all'amministratore nel corso di
un'assemblea condominiale, la seguente
espressione: "Lei è un bugiardo, dice il
falso e mente", considerato che, al fine
di apprezzare la lesività di detta
espressione, è necessario contestualizzarla
e cioè rapportarle al contesto
spazio-temporale nel quale è stata
pronunciata, avuto riguardo allo standard di
sensibilità sociale del tempo.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale
dominante in materia, richiamato anche dai
giudici della Quinta Sezione Penale della
Corte di Cassazione, non integra il reato di
ingiuria l'utilizzo in determinati contesti
di parole o frasi che, pur rappresentative
di concetti osceni, sono ormai diventati di
uso comune, perdendo la loro portata
offensiva specialmente se profferite in un
discorso tra soggetti in posizione di
parità.
Nonostante ciò, gli ermellini, nella
pronuncia che qui si commenta, precisano
che, “pur affermandosi che l’espressione
volgare sia venuta perdendo la accezione
offensiva, per divenire solo sintomo di
impoverimento del linguaggio e di
maleducazione, la responsabilità penale non
può essere esclusa in qualsiasi occasione”.
Tornando al caso di specie, infatti, la
valenza offensiva della espressione “vaffa…”
per essere esclusa o comunque scriminata con
il riconoscimento di una causa di non
punibilità, avrebbe dovuto essere inquadrata
in un contesto tale da far giungere a
conclusione liberatoria in base ai suddetti
principi o comunque essere ricostruita come
possibile reazione al fatto ingiusto altrui.
Sempre secondo il giudice nomofilattico, si
è, dunque, in presenza di una motivazione
del Tribunale del tutto logica e esaustiva,
la quale dà atto di una plausibile
interpretazione in senso offensivo della
espressione in parola, all’interno di un
contesto che ha visto il ricorrente porre in
essere una vera e propria aggressione
verbale ai danni della persona offesa,
intendendo proferire parole capaci di
attaccarne ed offenderne l’onore e il decoro
piuttosto che porre fine ad una discussione
con il ricorso ad una espressione col
significato di “non infastidirmi”
(Corte di Cassazione, Sez. V penale,
sentenza 03.08.2010 n. 30956 - link a
www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 27.09.2010 |
ã |
AVVISO AI NAVIGANTI DEL PORTALE PTPL:
Il presente sito, con accesso libero, è
frutto "artigianale" della passione e
dedizione di chi vi opera.
Ricercare le news da pubblicare, nello
sconfinato mondo del web, comporta dispendio
di tempo inimmaginabile da sottrarre a ciò
che rimane dopo il lavoro, la famiglia, i
problemi quotidiani, ecc..
Al fine di poter migliorare la qualità dei
contenuti del presente sito e la sua
efficacia per gli addetti ai lavori -e non
solo, si chiede la
cortese collaborazione di ogni navigante
affinché ci segnali/invii ogni utile materiale da
mettere a disposizione di tutti affinché non
ci siano differenze interpretative e/o
comportamentali tra i vari uffici tecnici
comunali, almeno lombardi.
Pertanto, saranno ben gradite segnalazioni
(all'indirizzo:
info.ptpl@tiscali.it) di sentenze non
ancora pubblicate che risultano interessanti
per quanto disposto dal giudice, oppure
l'invio di quesiti/risposte su argomenti di
ordine generale così come note, circolari,
pareri e, comunque, ogni altro materiale
ritenuto di interesse generale.
Grazie per la collaborazione. LA SEGRETERIA
PTPL |
EDILIZIA PRIVATA: Lombardia,
la "telenovela" sulla SCIA non finisce ...
Nell'aggiornamento al 18.09.2010
davamo notizia dell'emanazione della
nota 16.09.2010 n. 1340 di prot.
da parte del Ministero per la
Semplificazione Normativa, in risposta ad un
quesito formulato dalla Regione Lombardia,
circa chiarimenti sulla portata della SCIA
(Segnalazione Certificata di Inizio
Attività) in materia edilizia.
Ebbene, la suddetta nota ministeriale
l'avevamo definita come tale e non come la
tanto auspicata ed invocata "circolare"
chiarificatrice che sarebbe stata licenziata
di lì a qualche giorno ... dobbiamo rettificare
poiché quella nota, haimè, risulta essere la
CIRCOLARE CHIARIFICATRICE!!
Invero, dopo averla letta chi scrive non ha
le idee ben chiare sul nuovo istituto in
relazione al fatto se la DIA, la SUPER-DIA e
quant'altro siano stati abrogati o meno.
In un confronto dialettico con un
responsabile di U.T.C. sono sortite le
considerazioni che -di seguito-
riproponiamo, le quali sono già state
inviate, con nota comunale ufficiale, sia al
Ministero della Semplificazione Normativa
sia al Servizio Giuridico dell'Assessorato
Territorio e Urbanistica della Regione
Lombardia.
Adesso, stiamo a vedere cosa ci
risponderanno ...
---------------
La Segnalazione
certificata di inizio attività (SCIA) non si
applica nella REGIONE LOMBARDIA.
Una
recente nota del Ministero per la
Semplificazione (nota 16.09.2010 n. 1340 di
prot. a firma del Capo Ufficio Legislativo,
Dott. Giuseppe Chinè), in risposta ad alcuni
quesiti dell’Assessore al Territorio della
REGIONE LOMBARDIA, chiarisce che:
• la SCIA si applica anche
all’edilizia;
• la SCIA si intende quale “sostitutiva”
della Dichiarazione Inizio attività (DIA);
• la SCIA non “sostituisce”
né il PERMESSO DI COSTRUIRE né
la DIA alternativa al PERMESSO DI
COSTRUIRE.
Forse altre Regioni d'Italia hanno
diversamente applicato il d.p.r. n. 380/2001
estendendo o sottraendo ambiti di
applicazione della DIA, ma -nella REGIONE
LOMBARDIA- non esistono due DIA cioè non
esiste:
• una DIA (semplice)
• e una DIA alternativa al PERMESSO DI
COSTRUIRE.
Nella REGIONE LOMBARDIA, in virtù dell’art.
41 della L.R. n. 12/2005 e s.m.i.,
esiste un'unica DIA che consente
–appunto- di utilizzare il PERMESSO DI
COSTRUIRE o la DIA alternativamente e per
gli stessi interventi di trasformazione
urbanistica ed edilizia. In altre
parole, in LOMBARDIA, la DIA è unica
ed è alternativa al permesso di costruire.
Ne consegue che la citata nota del Dott.
Giuseppe Chinè esclude, nella REGIONE
LOMBARDIA, l’applicabilità della SCIA
dall’ambito edilizio poiché –appunto- il
Ministero ritiene che la SCIA
si intenda unicamente “sostitutiva”
della DIA ma non anche del
PERMESSO DI COSTRUIRE e della
DIA alternativa al PERMESSO DI COSTRUIRE. |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Pensioni e liquidazioni: una vera
e propria mazzata per i dipendenti pubblici
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 22.09.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
La disciplina della malattia nei
comparti del pubblico impiego
(CGIL-FP di Bergamo,
settembre 2010). |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione paesaggistica semplificata:
lo schema di flusso per la procedura
semplificata in materia di beni ambientali.
Il Dott. Salvatore Abbate (Comune di
Castelgomberto - VI) ha elaborato questa
interessante e utile flow chart
(schema grafico), riguardante la procedura
semplificata per l'autorizzazione
paesaggistica, ai sensi del dpr 139 del
2010.
Qualche altra semplificazione di questo tipo
e l'Italia è sistemata! (link a
http://venetoius.myblog.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Cantieri edili: tutte le violazioni
sanzionabili dagli ispettori.
La DPL di Modena ha predisposto un documento
riepilogativo delle possibili violazioni
alle disposizioni del D.Lgs. 81/2008 e delle
relative sanzioni, eventualmente applicabili
dagli ispettori del lavoro alle aziende
edili, ai committenti, ai coordinatori, ai
preposti, etc.
In relazione ai vari adempimenti richiesti
nell'ambito dei cantieri, il documento
riporta le violazioni previste dalla
normativa per le macchine e le attrezzature
(gru, ponteggi, etc.), gli impianti, i piani
di sicurezza, etc. e le relative sanzioni
amministrative o penali con l’indicazione
delle disposizioni di riferimento (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fonti rinnovabili: in Gazzetta Ufficiale le
Linee Guida.
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18
settembre sono state pubblicate le Linee
Guida per l'autorizzazione degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili approvate
dalla Conferenza Unificata lo scorso 8
luglio.
Le Linee Guida, che riguardano
l'Autorizzazione Unica per la realizzazione
di impianti di produzione di energia da
fonti rinnovabili, hanno l'obiettivo di
definire modalità e criteri unitari sul
territorio nazionale per assicurare uno
sviluppo ordinato delle infrastrutture
energetiche.
Vediamo, in sintesi, le disposizioni del
provvedimento.
Per la costruzione, l'esercizio e la
modifica di impianti di produzione di
energia da fonti rinnovabili è prevista
l’autorizzazione unica rilasciata dalle
Regioni.
La DIA (denuncia di inizio attività – oppure
la SCIA, secondo le ultime modifiche) sarà
sufficiente per realizzare:
- impianti fotovoltaici sugli edifici, con
superficie dei pannelli non superiore a
quella del tetto delle case su cui saranno
collocati i moduli;
- impianti fotovoltaici di potenza inferiore
a 20 kWp;
- impianti elettrici di cogenerazione a
biomasse, di potenza massima inferiore a
1000 kW (elettrica) e a 3.000 kW (termica);
- gli impianti a biomasse, di potenza
inferiore a 200 kW;
- gli impianti eolici di potenza inferiore a
60 kW;
- gli impianti idroelettrici e
geotermoelettrici, di potenza inferiore a
100 kW ... (link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Ponteggi, nuovi chiarimenti dal ministero.
Con la Circolare n. 29/2010 il Ministero del
Lavoro ha fornito risposte a numerosi
quesiti sull’impiego di ponteggi metallici
fissi.
I quesiti che hanno trovato risposta nel
documento del ministero sono inerenti
l’autorizzazione alla costruzione e all’uso
dei ponteggi (art. 131 T.U.S.), l’impiego di
ponteggi come mezzi di protezione
collettiva, gli apparecchi dì sollevamento
materiali montati su un ponteggio, le
sporgenze pericolose dei luoghi di
passaggio, gli elementi di ripartizione dei
carichi dei montanti al di sotto delle
piastre di base metalliche delle basette,
etc.
Per quanto riguarda l’autorizzazione
ministeriale, il ministero ha chiarito che
spetta al titolare della licenza stessa, e
non all'impresa utilizzatrice, l'obbligo di
richiederne il rinnovo al termine della
validità decennale. L'impresa utilizzatrice,
pertanto, può continuare ad utilizzare i
ponteggi anche dopo il termine della
validità di dieci anni della licenza ...
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Testo Unico Sicurezza: disponibile il testo
nell'edizione settembre 2010 del Ministero
del Lavoro.
Il Ministero del Lavoro ha reso disponibile
on line il testo del Decreto
Legislativo 09.04.2008 n. 81 (Testo unico in
materia di tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro) aggiornato,
nella versione datata settembre 2010, con le
note introdotte per effetto delle
disposizioni della Legge 13.08.2010 n. 136
(Antimafia), pubblicata sulla G.U. n.196 del
23.08.2010, in vigore dal 07.09.2010 (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Quali sono gli obblighi del datore di lavoro
in ordine alle modalità di tenuta e
vidimazione del registro infortuni? Risponde
il Ministero del Lavoro.
Nell’apposita sezione FAQ del proprio sito
internet il Ministero del Lavoro il
Ministero del Lavoro ha fornito le
istruzioni sulla modalità di tenuta e
vidimazione del Registro infortuni.
Il registro infortuni deve essere redatto
conformemente al modello approvato con D.M.
12.09.1958 (come modificato dal D.M.
05.12.1996), istitutivo dello stesso e
tuttora in vigore, vidimato presso l’A.S.L.
competente per territorio e conservato, a
disposizione dell’organo di vigilanza, sul
luogo di lavoro.
Nel caso di attività di breve durata,
caratterizzata da mobilità, o svolta in sedi
con pochi lavoratori e prive di adeguate
strutture amministrative, l'obbligo in
questione si ritiene assolto anche
nell'ipotesi in cui il registro in esame sia
tenuto nella sede centrale dell'impresa,
sempre che tali attività non siano dislocate
oltre l'ambito provinciale.
Nel caso in cui, invece, si tratti di
imprese che svolgono attività
prevalentemente fuori della propria sede per
un periodo non breve ogni unità produttiva
deve conservare un proprio registro che deve
far vidimare dall’A.S.L. territorialmente
competente (link a www.acca.it). |
LAVORI PUBBLICI - SICUREZZA LAVORO:
I costi della sicurezza comprendono i costi
per la pulizia e il riscaldamento dei “baraccamenti”.
Il Ministero del Lavoro ha risposto ad un
nuovo quesito sul tema dei costi della
sicurezza posto dall’ANCE, l’Associazione
Nazionale dei Costruttori Edili.
Il quesito riguarda i "baraccamenti"
di cantiere, ovvero "... gabinetti;
locali per lavarsi, spogliatoi, refettori
locali di ricovero e di riposo"
apprestamenti generalmente realizzati
mediante utilizzo di monoblocchi
prefabbricati.
Si chiedeva, in particolare, se tra i costi
della sicurezza, possano essere ricomprese,
oltre alle spese di installazione iniziale
degli apprestamenti citati, anche quelle
relative a riscaldamento/condizionamento,
pulizia e manutenzioni.
Nella risposta al quesito il Ministero
richiamando il punto 4.3.3 dell’All. XV al
D.Lgs. 81/2008 "Le singole voci dei costi
della sicurezza vanno calcolale considerando
il costo di utilizzo per il cantiere
interessato che comprende, quando
applicabile, la posa in opera ed il
successivo smontaggio, l'eventuale
manutenzione e l'ammortamento" chiarisce
che le spese di manutenzione dei suddetti "baraccamenti"
sono ricomprese tra i costi della sicurezza.
Parimenti le spese di
riscaldamento/condizionamento nonché dì
pulizia, risultando necessarie per il
corretto utilizzo degli stessi baraccamenti,
dovranno essere ricomprese tra i suddetti
costi della sicurezza (link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n.
38 del 21.09.2010, "Testo coordinato
della L.R. 02.02.2010 n. 5 «Norme in materia
di Valutazione di Impatto Ambientale»"
(testo
coordinato L.R. 02.02.2010 n. 5 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 18.09.2010 n. 219 "Linee guida per
l’autorizzazione degli impianti alimentati
da fonti rinnovabili" (D.M.
10.09.2010). |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 37 del
16.09.2010, "Programma Operativo
Regionale FESR 2007-2013 della Regione
Lombardia, Asse 2 «Energia» - Approvazione
del Bando per la presentazione della domanda
sulla Linea di Intervento 2.1.1.2 «Incentivi
per la realizzazione di sistemi di
climatizzazione per il soddisfacimento dei
fabbisogni termici di edifici pubblici,
attraverso pompe di calore»"
(decreto
D.S. 08.09.2010 n. 8413 - link a www.infopoint.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ATTI AMMINISTRATIVI:
G. Morano,
Il Ricorso Straordinario al Presidente della
Repubblica, novità legislative e
osservazioni giurisprudenziali
(link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
G. Genchi,
Le nuove regole dettate in materia di
conformità dei dati catastali (link a
www.altalex.com). |
APPALTI:
A. Barbiero,
Tracciabilità dei flussi finanziari relativi
agli appalti ed ai finanziamenti pubblici
(link a www.albertobarbiero.net). |
URBANISTICA:
C. Rapicavoli,
Il primato dell'ambiente nella
pianificazione urbanistica: responsabilità e
tutela - L'attuale assetto delle competenze
in materia - Le criticità - L'esperienza
della Provincia di Treviso (link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
C. Rapicavoli,
Segnalazione Certificata di Inizio Attività
(SCIA) - Applicabilità alla normativa sul
recupero dei rifiuti in procedura
semplificata (link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
C. Rapicavoli,
Segnalazione Certificata di Inizio Attività
(SCIA) - Applicabilità alla normativa
edilizia (link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Cancellaro,
Le fonti rinnovabili nell’evoluzione
normativa e giurisprudenziale: problematiche
e soluzioni giuridiche (link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
S. R. Cerruto,
La SCIA dei rifiuti
(link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Offerta pari a zero: La formula matematica
va modificata per la salvaguardia
dell’interesse della p.a. (link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
A. Barbiero,
Tracciabilità dei flussi finanziari relativi
agli appalti ed ai finanziamenti pubblici
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
NEWS |
APPALTI:
Codice dei Contratti, il nuovo Regolamento
alla firma del Presidente Napolitano.
Il Regolamento di Attuazione del Codice dei
Contratti Pubblici di lavori servizi e
forniture (D.Lgs. 163/2006), approvato dal
Consiglio dei Ministri in a definitiva il 18
giugno scorso, è stato vistato dalla
Ragioneria Generale dello Stato il 13
settembre scorso.
Il testo definitivo è ora stato inviato al
Capo dello Stato per la firma, che dovrebbe
avvenire entro la prossima settimana.
Dopo la firma del Capo dello Stato il
provvedimento sarà inviato alla Corte dei
Conti per la registrazione; superato
quest’ultimo step avverrà la pubblicazione
in Gazzetta Ufficiale, conclusiva di tutto
l’iter di approvazione del provvedimento che
entrerà in vigore solo dopo 6 mesi dalla
stessa (in attuazione dell´articolo 5 del
D.Lgs. n. 163 del 2006), ad esclusione delle
disposizioni relative alle sanzioni alle
imprese e alle SOA, che saranno vigenti
quindici giorni dopo la pubblicazione del
regolamento.
In assenza di ulteriori "intoppi" la
pubblicazioni del provvedimento potrebbe
avvenire entro la fine del prossimo mese di
ottobre (link a www.acca.it). |
APPALTI:
Antimafia: i nuovi adempimenti operativi.
Il 07.09.2009 è entrata in vigore la Legge
n. 136 del 13.08.2010, recante il "Piano
straordinario contro le mafie, nonché la
delega al Governo in materia di normativa
antimafia", pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale n. 196 del 23.08.2010.
Il provvedimento introduce la tracciabilità
dei pagamenti negli appalti pubblici e
alcuni ulteriori adempimenti per il
trasporto dei materiali nei cantieri e le
tessere di riconoscimento (D.Lgs.
09/04/2008, n. 81) degli addetti nei
cantieri.
Sull’argomento abbiamo già riportato il
parere dell’ANCE e la nota esplicativa del
Ministero dell’Interno; questa volta
proponiamo un approfondimento a cura della
Direzione Provinciale del Lavoro di Modena
dal titolo “Antimafia: i nuovi
adempimenti operativi”.
L’autore individua gli ambiti applicativi
dei nuovi adempimenti introdotti dalla L.
136/2010 evidenziando anche le sanzioni
applicabili in caso di inadempienza (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Approvato il DdL per la promozione dei campi
da golf.
Il Consiglio dei Ministri del 17.09.2010 ha
approvato il disegno di “Legge quadro per
la promozione del turismo sportivo e la
realizzazione di impianti da golf”.
Il progetto di legge proposto dal Ministro
del turismo, Maria Vittoria Brambilla,
incentiva, oltre alla realizzazione di campi
da golf, la costruzione di strutture
ricettive turistico-alberghiere collegate ai
campi.
Il provvedimento ha l'obiettivo di
incrementare il turismo internazionale
puntando sul GOLF che, con 64 milioni di
golfisti attivi nel mondo e 94 federazioni,
ogni anno muove 25 milioni di turisti con un
giro d'affari solo in Europa di 50 miliardi
di euro.
Secondo il DDL approvato i campi potranno
essere realizzati anche all'interno di aree
protette, con il "nulla osta dell'ente
parco nazionale e dell'ente gestore delle
aree marine protette".
Le Regioni individueranno i siti più idonei
e i privati non potranno vendere i resort
costruiti accanto ai campi prima di 5 anni
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Addio permessi. Con le nuove
regole (SCIA) i lavori di ristrutturazione
partono subito.
La Scia si applica
nell'edilizia.
Con il deposito in comune della Segnalazione
certificata di inizio attività (Scia,
appunto) si possono immediatamente avviare i
lavori di restauro e risanamento
conservativo, di ristrutturazione edilizia "fedele"
e le varianti a permessi di costruire. La
presenza di un vincolo non impedisce poi
l'utilizzo della Scia (Segnalazione
certificata di inizio attività), fatto
comunque salvo l'ottenimento, prima di
avviare i lavori, dell'autorizzazione
specifica in caso di vincoli.
Questa, in sintesi è l'interpretazione
fornita dal ministero delle Infrastrutture
al quesito posto dalla regione Lombardia
sull'applicabilità al mondo delle
costruzioni del nuovo testo dell'articolo 19
della legge 241/1990, introdotto dalla
manovra correttiva.
Restano invece soggetti a permesso di
costruire gli interventi di nuova
costruzione, quelli di ristrutturazione
urbanistica e le opere di ristrutturazione
edilizia "infedele" che comportino
cioè l'aumento di unità immobiliari,
modifiche del volume, della sagoma, dei
prospetti o delle superfici, ovvero che,
limitatamente agli immobili compresi nelle
zone omogenee A, comportino mutamenti della
destinazione d'uso.
Nulla viene quindi modificato rispetto alle
opere già liberalizzate: restano soggette a
semplice «comunicazione» i lavori di
manutenzione straordinaria, le opere dirette
a soddisfare obiettive esigenze contingenti
e temporanee, quelle di pavimentazione e di
finitura di spazi esterni, anche per aree di
sosta, gli interventi per realizzare i
pannelli solari, fotovoltaici e termici, le
aree ludiche senza fini di lucro e gli
elementi di arredo delle aree pertinenziali
degli edifici. Restano infine del tutto
libere (senza neppure la «comunicazione»)
le opere di manutenzione ordinaria, quelle
volte all'eliminazione di barriere
architettoniche che non alterano la sagoma
dell'edificio, le opere temporanee per
attività di ricerca nel sottosuolo i
movimenti di terra pertinenti all'esercizio
dell'attività agricola, le serre mobili
stagionali.
Infine, una precisazione importante del
ministero: restano in vita le previsioni
regionali che assoggettano a Dia (la
cosiddetta "superDia") le opere che
secondo il Testo unico sull'edilizia
richiedono il permesso di costruire.
L'impatto della manovra è così fortemente
ridotto in Lombardia, dove ai sensi della
legge regionale 12/2005 le grandi opere
continuano a essere assoggettate a Dia e
quelle minori, se non liberalizzate, sono
ora sottoposte a Scia.
L'assetto tracciato dal
ministero (riassunto nelle schede della
pagina) può dirsi definitivo?
A dire il vero, sulla Scia le
interpretazioni in campo sono davvero tante
e, per quanto autorevole, quella
ministeriale non ha valore di legge e non
risolve i dubbi che, sull'utilizzabilità
della nuova procedura, sono stati sollevati
dagli uffici tecnici delle amministrazioni
comunali quotidianamente chiamati ad
applicare sul campo le nuove disposizioni.
In primo luogo è stato osservato che la
natura stessa dell'attività edilizia
impedirebbe l'applicabilità della Scia alle
costruzioni escluse dalle previsioni
dell'articolo 19 della legge 241/1990 e
assoggettate alle previsioni speciali del
Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001).
A supporto dell'inapplicabilità della Scia
all'edilizia sta poi la considerazione che
dalla segnalazione certificata restano
comunque escluse –lo prevede la manovra– le
attività soggette a limiti o contingenti
complessivi, ai quali sarebbero
riconducibili gli indici edilizi che
regolamentano tutta l'attività di
trasformazione del territorio.
Sotto un altro profilo, è stato inoltre
osservato che mentre l'articolo 22 del Testo
unico disciplina la denuncia di inizio
attività, la manovra, riscrivendo l'articolo
19 citato, ha cancellato la dichiarazione di
inizio attività, per cui non vi sarebbe
motivo di porre in dubbio la perdurante
efficacia delle disposizioni sulla Dia
edilizia: «Le espressioni "segnalazione
certificata di inizio di attività" e "Scia"
sostituiscono, rispettivamente, quelle di
"dichiarazione di inizio di attività" e
"Dia", ovunque ricorrano, anche come parte
di una espressione più ampia, e la
disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce
direttamente, dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del
presente decreto, quella della dichiarazione
di inizio di attività recata da ogni
normativa statale e regionale».
Le ragioni a favore della non applicazione
della Scia all'edilizia non sono considerate
dalla nota ministeriale, che porta a
sostegno della sua tesi i lavori preparatori
della legge di conversione del Dl 78/2010
(As 2228). In particolare, il dossier di
documentazione del Servizio studi del Senato
suggerisce la seguente lettura della
disposizione: «La norma ha anche un
profilo abrogativo della normativa statale
difforme, per cui si deve intendere che a
essa va ricondotta anche la denuncia di
inizio di attività edilizia, disciplinata
dagli articoli 22 e 23 del Dpr n. 380 del
2001».
Di fronte a posizioni così distanti, però,
gli operatori del settore sono in
difficoltà. Alcuni, nel dubbio, scelgono di
attendere comunque il decorso dei 30 giorni
previsti dal Testo unico edilizia prima di
dare avvio a lavori che, in base alla Scia,
potrebbero avviare subito (articolo
Il Sole 24 Ore del 20.09.2010). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Consorzi,
revisori liberi. Possono essere eletti
consiglieri comunali. Niente
incompatibilità. Le norme di status sono di
stretta interpretazione.
Quali norme disciplinano
attualmente i consorzi tra enti locali?
Sussiste una causa di incompatibilità tra la
carica di consigliere comunale e quella di
componente del collegio dei revisori dei
conti di un consorzio?
L'art. 35, comma 8, della legge finanziaria
per l'anno 2002 ha disposto che per
l'esercizio dei servizi pubblici a rilevanza
economica gli enti locali, entro il
30.06.2003, trasformassero le aziende ed i
consorzi di cui all'articolo 31, comma 8,
del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267
in società di capitali; la stessa norma,
inoltre, nell'apportare modifiche al comma 8
dell'articolo 31 del citato Tuel, ha
previsto che ai consorzi che gestiscono
servizi pubblici privi di rilevanza
economica si applicassero le medesime
disposizioni applicabili alle aziende
speciali.
Per quanto attiene all'organizzazione e alle
funzioni svolte in materia di revisione
economico finanziaria dai collegi dei
revisori, secondo la disciplina dettata
dagli artt. 234 ss. del decreto legislativo
18.08.2000, n. 267, la dottrina osserva che
queste sono ampie e complesse e configurano
il collegio dei revisori o il revisore unico
non solo come un organo di supporto e di
collaborazione alle funzioni del consiglio
ma anche come struttura preposta
all'esercizio di una funzione di vigilanza
che investe non solo la regolarità contabile
della gestione ma anche nuovi aspetti
economici e patrimoniali della stessa.
La natura di organo terzo del collegio dei
revisori dei conti è stata dichiarata anche
dalla Corte dei conti che, con parere n.
13/2009, ha rilevato che l'attività di
vigilanza dell'organo di revisione economico
finanziaria, pur riconducibile a una
funzione di controllo interno, si
caratterizza per sua natura come controllo
di regolarità, specie allorquando tale
funzione concerne l'osservanza di norme.
Pertanto, data la natura giuridica di tale
collegio, la fattispecie in esame non
rientra in alcuna delle cause di
incompatibilità previste dall'art. 63 del
decreto legislativo 18.08.2000, n. 267.
In particolare, nella causa ostativa
individuata dall'art. 63, comma 1, n. 3,
laddove è previsto che è incompatibile alla
carica di consigliere comunale il consulente
legale o amministrativo che presta opera in
modo continuativo in favore delle imprese di
cui ai numeri 1 e 2 dello stesso comma
(l'impresa nel caso di specie è
rappresentata dal Consorzio) non potendosi,
sulla base della citata giurisprudenza,
qualificare l'organo di revisione quale
consulente amministrativo o tecnico del
consorzio.
Ciò anche in considerazione di quanto più
volte sancito dalla stessa Corte di
cassazione, secondo cui norme che
restringono eccezionalmente i diritti di
status sono di stretta interpretazione.
Non sussiste, quindi, una causa di
incompatibilità tra la carica di consigliere
comunale e quella di componente del collegio
dei revisori dei conti di un consorzio
(articolo ItaliaOggi del 17.09.2010, pag.
37). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Strade
vicinali.
Quale disciplina è applicabile ai consorzi
di strade vicinali, già esistenti, in
considerazione dell'abrogazione del dlgs n.
1446/1918, disposta dall'art. 2 del dl n.
200/2008?
La Corte dei conti, sezione regionale Emilia
Romagna, con deliberazione n. 244/2009, ha
affermato che «l'abrogazione della norma
sopra citata (dlgs n. 1446/1918) non può
aver influito sulla sorte dei soggetti già
esistenti», proprio in considerazione
della particolare connotazione formale che
caratterizza i consorzi riguardanti le
strade vicinali di uso pubblico, quali
soggetti dotati di personalità giuridica
(articolo ItaliaOggi del 17.09.2010, pag.
37). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/
Composizione dei gruppi.
Da quanti consiglieri deve essere composto
un gruppo consiliare? Qual è il principio
che regola la composizione delle commissioni
consiliari?
La materia concernente la costituzione e il
funzionamento dei gruppi consiliari è
interamente demandata allo statuto e al
regolamento di ciascun ente locale e,
pertanto, anche le problematiche connesse
alla stessa dovrebbero trovare adeguata
soluzione nella specifica disciplina di cui
l'ente locale si è dotato.
In merito il Consiglio di stato, sez. V,
25.01.2005, n. 148, ha affermato che atteso
«il rapporto di gerarchia in cui si
trovano le fonti delle norme in questione,
l'antinomia si risolve con la prevalenza
della disposizione dello statuto e la
disapplicazione di quella regolamentare».
Per quanto concerne la composizione delle
commissioni consiliari, l'univoco e
consolidato indirizzo giurisprudenziale è
nel senso che il criterio proporzionale
richiesto inderogabilmente dall'art. 38,
comma 6, del dlgs n. 267/2000 può dirsi
rispettato ove sia assicurata, in ogni
commissione, la presenza di ciascun gruppo
presente in consiglio in modo che, se una
lista è rappresentata da un solo
consigliere, questi deve essere presente in
tutte le commissioni costituite (v. Tar
Lombardia, Brescia, 04.07.1992, n. 796; Tar
Lombardia, Milano, 03.05.1996, n. 567)
(articolo ItaliaOggi del 17.09.2010, pag.
37). |
APPALTI: Appalti,
modifiche anti-ricorsi. Come la riforma
della giustizia amministrativa peserà sui
contratti. Le procedure del Codice de Lise
saranno ridisegnate dalle nuove norme in
vigore da giovedì.
Il 07 luglio scorso è stato pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo
02.07.2010 n. 104, recante il «Codice del
processo amministrativo» che, a partire
dal 16.09.2010, disciplinerà, riscrivendolo,
il giudizio avanti il giudice
amministrativo.
L'intervento normativo, di largo respiro e
volto a codificare le norme processuali
proprie della giurisdizione in questione
anche alla luce dell'evoluzione
giurisprudenziale registrata nel corso degli
anni, si presenta particolarmente importante
anche con riguardo al mondo dei contratti
pubblici disciplinati dal cosiddetto Codice
de Lise.
A pochi mesi, infatti, dall'entrata in
vigore del D.Lgs. 53/2010, recante
l'attuazione della cosiddetta Direttiva
ricorsi, il Codice del processo va ad
incidere e a modificare nuovamente le
disposizioni contenute nel Codice dei
contratti, e già oggetto di intervento in
sede di recepimento del diritto comunitario.
Di seguito si cercherà di dare un breve
resoconto delle novità più spiccatamente
connesse con il mondo degli appalti ...
(articolo ItaliaOggi
del 15.09.2010). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Intanto
le p.a. chiedono conti dedicati ai
professionisti.
Le pubbliche amministrazioni chiedono anche
ai professionisti di aprire conti dedicati.
L'applicazione dell'articolo 3 della legge
136/2010 sembra, infatti, non escludere i
consulenti dall'obbligo di tracciabilità dei
compensi. Anche andando al di là della
stretta lettera della formulazione della
norma. In effetti la disposizione citata
parla solo di appaltatori, subappaltatori e
subcontraenti della filiera delle imprese e
di concessionari di finanziamenti pubblici
anche europei a qualsiasi titolo interessati
ai lavori, ai servizi e alle forniture.
Tuttavia, allo scopo di chiarire la portata
dell'articolo 3, gli enti pubblici si stanno
chiedendo se debba essere usata la
definizione di operatore economico
introdotto dal codice dei contratti
pubblici.
Si tratta di una definizione molto ampia che
comprende una persona fisica, o una persona
giuridica, o un ente senza personalità
giuridica, compreso il gruppo europeo di
interesse economico (Geie), purché offra sul
mercato, rispettivamente, la realizzazione
di lavori o opere, la fornitura di prodotti,
la prestazione di servizi ...
(articolo ItaliaOggi
del 14.09.2010 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI: Appalti,
tracciabilità da settembre. Il vincolo di
trasparenza sui flussi finanziari non è
retroattivo. Lo prevede la bozza di linee
guida sulla legge antimafia. Ma resta
l'ipotesi di un decreto di sospensione.
Conferma dell'obbligo di tracciabilità dei
flussi finanziari per i contratti
sottoscritti dopo il 7 settembre, anche se
il bando di gara è precedente a tale data;
obbligo di indicare nel contratto tutti i
rapporti contrattuali relativi alla
specifica commessa; le comunicazioni sulla
tracciabilità dovranno essere effettuate dai
legali rappresentanti; il Cup (Codice
unitario progetto) corrispondente al
contratto dovrà essere citato unitamente al
Cig (Codice identificativo gara) e sarà
rilasciato anche per forniture e servizi.
Sono questi alcuni dei punti contenuti nel
documento base che l'Autorità ha messo a
punto per la determinazione contenente le
linee guida relative all'applicazione
dell'articolo 3 della legge 136/2010; ma
l'ipotesi di un decreto legge che rinvii
l'applicazione della disposizione per
definire con maggiore calma e accuratezza le
modalità applicative dell'obbligo, è aperta
e potrebbe realizzarsi entro venerdì ...
(articolo ItaliaOggi
del 14.09.2010 - tratto da
www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
RISARCIBILITA' DANNI:
Le procure della Corte dei conti
possono iniziare l‘attività istruttoria ai
fini dell‘esercizio dell‘azione di danno
erariale a fronte di specifica e concreta
notizia di danno.
L’art. 17, comma 30-ter, del D.L. n.
78/2009, convertito nella legge n. 102/2009,
prevede che “Le procure della Corte dei
conti possono iniziare l‘attività
istruttoria ai fini dell‘esercizio
dell‘azione di danno erariale a fronte di
specifica e concreta notizia di danno, fatte
salve le fattispecie direttamente sanzionate
dalla legge”.
Con la sentenza n. 492/2010 la Corte dei
conti, chiarendo che “Presupposto per
l’iniziativa del Procuratore regionale è
l’esistenza di una “notizia” di danno, da
intendersi nel senso di informativa e non
come denuncia o querela (o referto)…” e
che, inoltre, “la specificità e la
concretezza, intesa nel senso in precedenza
evidenziato, non implica che la notizia di
danno debba espressamente evidenziare anche
tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi
di responsabilità i quali, invece, vanno
espressi nell’atto di citazione a giudizio…”,
precisa che il Procuratore Regionale, “Ricevuta
la notizia di danno qualificata,… nella sua
autonomia, deve accertare l’esistenza delle
condizioni e dei presupposti dell’azione,
qualificando il fatto dannoso e riscontrando
l’esistenza degli elementi soggettivi ed
oggettivi della responsabilità” (Corte
dei Conti, Sez. I centrale d'appello,
sentenza 01.09.2010 n. 492). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Corte dei conti Puglia: per «normali»
compiti d'ufficio stop a compensi
aggiuntivi.
Niente compensi aggiuntivi ai
dipendenti e ai dirigenti delle Pa per lo
svolgimento di attività che rientrano nei
compiti di ufficio. Tutte le forme di
trattamento economico accessorio sono
oggetto di contrattazione e né le
amministrazioni né i singoli dirigenti
possono disporre unilateralmente
l'erogazione di compensi. Neppure lo
svolgimento di tali attività fuori
dall'orario di lavoro, l'uso del mezzo
proprio o l'avere l'ente ottenuto notevoli
benefici legittimano l'erogazione ditali
compensi. In capo ai dirigenti inadempienti
matura colpa grave per l'incuranza degli
effetti sulla finanza dell'ente. La
circostanza che alcuni progetti fossero
stati preventivamente approvati dalla giunta
determina solo una riduzione della
responsabilità del dirigente e non
costituisce una esimente.
Questi principi sono stati affermati dalla
Corte dei Conti della Puglia nella
sentenza 22.07.2010 n.
475 e nella
sentenza 02.08.2010 n. 487.
Sono stati condannati due dirigenti della
provincia di Lecce per avere corrisposto
compensi aggiuntivi a propri collaboratori
per lo svolgimento di attività comprese tra
quelle di istituto, nei casi specifici la
definizione delle iniziative per la
utilizzazione degli strumenti di finanza
innovativa e la classificazione degli
alberghi.
Queste pronunce confermano un orientamento
che è maggioritario nella magistratura
contabile, ma che talvolta non è stato
applicato in presenza di circostanze
(sezione appello Corte conti Sicilia,
sentenza 87/2009) per cui lo svolgimento di
attività ordinarie deve comunque essere
definito come uno sforzo straordinario. Tali
non sono stati giudicati nella
classificazione delle strutture alberghiere,
in quanto attività programmabile, né i
notevoli asseriti vantaggi finanziari che
l'amministrazione potrebbe avere ottenuto.
dall'applicazione degli strumenti di finanza
innovativa.
Le sentenze ricordano che i principi di
onnicomprensività e di contrattazione del
trattamento economico si applicano non solo
ai dipendenti, ma anche ai dirigenti. E
aggiungono che questi compensi non sono
riconducibili agli istituti contrattuali in
vigore: non possono essere considerati
produttività perché «erogati senza alcun
riferimento ai parametri e metodologie di
valutazione eventualmente adottati».
Per lo svolgimento al di fuori del normale
orario di lavoro la forma di remunerazione è
il compenso per lavoro straordinario,
sussistendone le condizioni: in ogni caso,
per potere assumere che l'ente ne abbia
tratto vantaggio, ai fini della riduzione
della responsabilità, il dirigente deve
dimostrare che l'attività non poteva essere
svolta nell'ordinario orario di lavoro.
L'eventuale decisione preventiva della
giunta di costituire uno specifico gruppo di
lavoro e distanziare risorse per la relativa
remunerazione, in quanto la determinazione
dirigenziale è a essa legata da un «rapporto
di consequenzialità logica e cronologica»,
determina soltanto la riduzione della
responsabilità, ma non l'esonero, poiché è
comunque il dirigente che adottagli atti
gestionali
(articolo
Il Sole 24 Ore del 20.09.2010 -
tratto da www.corteconti.it). |
AUTORITA'
CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Considerato che la funzione svolta dalla
sottoscrizione del disciplinare è quella di
rendere riferibili le prescrizioni di gara
al dichiarante, non si può far rientrare la
mancata presentazione di copia sottoscritta
del disciplinare stesso tra le irregolarità
formali, per le quali è consentita la
regolarizzazione o l’integrazione, ai sensi
dell’art. 46 del D.Lgs. n. 163/2006.
In caso contrario, si verrebbe a realizzare
una palese violazione della par condicio
rispetto alle imprese concorrenti che
abbiano puntualmente rispettato la
disciplina prevista dalla lex specialis
(parere
di precontenzioso 25.03.2010 n. 68 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Considerato che l’ordinamento riconosce alla
stazione appaltante la facoltà di
prescrivere un periodo di validità della
cauzione provvisoria maggiore del termine
minimo previsto, qualora la stazione
appaltante si avvalga di tale facoltà, la
portata vincolante di una siffatta
prescrizione esige che alla stessa sia data
puntuale esecuzione nel corso della
procedura.
Conseguentemente, se è stata prevista
espressamente la sanzione dell’esclusione
quale effetto della violazione di tale
prescrizione, l’amministrazione è tenuta a
darne precisa ed incondizionata esecuzione.
Né la produzione successiva al termine di
presentazione delle offerte di una polizza
con un termine di validità maggiore può
essere considerata ammissibile, non
trattandosi di meri chiarimenti di elementi
già prodotti bensì di vera e propria
integrazione sostitutiva (parere
di precontenzioso 25.03.2010 n. 66 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
In caso di A.T.I. miste si vengono a
costituire delle sub-associazioni di tipo
orizzontale e, a tali sub-associazioni, si
applicano le regole dettate per il modello
associativo orizzontale dall’art. 95, comma
2, del D.P.R. n. 554/1999.
Il periodo “l'impresa mandataria in ogni
caso possiede i requisiti in misura
maggioritaria”, deve essere inteso con
riferimento ai requisiti minimi richiesti
per la partecipazione allo specifico
appalto, in relazione alla classifica
posseduta risultante dall'attestazione SOA e
concretamente “spesa” ai fini
dell’esecuzione dei lavori e non in
assoluto, avendo riguardo solo all’importo
complessivo dei lavori.
È necessario che trovi applicazione,
infatti, il principio di corrispondenza
sostanziale tra la quota di qualificazione,
la quota di partecipazione all'associazione
e quella di esecuzione dei lavori,
desumibile dal combinato disposto dell’art.
37 del D.Lgs. n. 163/2006 e degli artt. 93,
comma 4, e 95 del D.P.R. n. 554/1999 e s.m.
e dell’art. 3 del D.P.R. n. 34/2000 e s.m..
Quando all’A.T.I. partecipano due sole
imprese, l’aggettivo maggioritario, che
connota la percentuale del possesso dei
requisiti da parte della capogruppo, indica
che la mandataria deve spendere in quella
specifica gara una qualifica superiore al 50
per cento dell’importo dei lavori, perché
solo in tal modo essa potrà possedere anche
una qualifica superiore a quella del suo
unico associato.
Ciò deve avvenire, in considerazione delle
esposte osservazioni, anche con riferimento
alle singole categorie, sia prevalenti che
scorporabili, di cui l’intervento si compone
(parere
di precontenzioso 25.03.2010 n. 65 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Nel caso in cui la s.a. abbia indicato nei
documenti di gara l’utilizzo di caselle
e-mail create dalla stessa amministrazione
per le comunicazioni con gli offerenti, la
data di trasmissione delle comunicazioni è
documentalmente provata, fino a prova
contraria, dal report di consegna della
e-mail generato automaticamente dal sistema
di certificazione.
---------------
La natura perentoria del termine per
presentare la documentazione di cui all’art.
48 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 si desume
sia dalla previsione di sanzioni a carico
del concorrente che non abbia comprovato i
requisiti nel termine previsto sia dalla
specifica finalità che la suddetta
disposizione persegue.
Il mancato rispetto dell’onere imposto dalla
legge e dalla comunicazione della stazione
appaltante determina in ogni caso
l’escussione della garanzia provvisoria, tra
le cui funzioni vi è quella di garantire la
veridicità delle dichiarazioni fornite dalle
imprese in sede di partecipazione alle gare,
al fine di assicurare serietà e correttezza
all’intero procedimento di gara e di
liquidare forfetariamente il danno subito
dalla stazione appaltante.
Il suo incameramento è quindi conseguenza
diretta ed automatica dell’inadempimento del
partecipante (parere
di precontenzioso 25.03.2010 n. 64 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Nelle procedure indette prima dell’entrata
in vigore del d.l. 01.07.2009, n. 78,
convertito dalla legge 03.08.2009, n. 102,
la mancata presentazione delle
giustificazioni al momento della produzione
dell’offerta economica, in assenza di una
puntuale previsione del bando o del
disciplinare, non può determinare alcuna
ipotesi tipica di esclusione dalla gara.
La previsione di cui all’art. 86, co. 5, del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163, infatti, aveva la
chiara finalità di semplificare il
procedimento amministrativo e non quella di
sanzionare con l’esclusione il mancato
rispetto della stessa (parere
di precontenzioso 25.03.2010 n. 63 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
In riconoscimento dell'autonomia
organizzativa degli operatori economici che
concorrono alla gara, l’art. 51 del d.lgs.
12.04.2006, n. 163 consente la modificazione
soggettiva degli stessi, sia con riferimento
alla fase dell'offerta, che a quella
dell'aggiudicazione e della stipulazione del
contratto, con conseguente vincolo per la
stazione appaltante di ammettere alle
distinte fasi della procedura concorsuale i
soggetti subentranti, previo accertamento in
capo ad essi dei requisiti previsti per la
partecipazione alla gara.
In una procedura ristretta per l’affidamento
di servizi, devono ritenersi acquisiti in
capo al soggetto cedente e, come tali,
trasferibili al cessionario gli esiti della
prequalificazione, alla cui stregua le
imprese vengono ammesse a presentare le
proprie offerte nel rispetto delle modalità
e dei termini fissati nella lettera di
invito (parere
di precontenzioso 25.03.2010 n. 62 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
L’omessa allegazione della fotocopia del
documento di identità comporta l’esclusione
dalla gara, rappresentando tale documento un
elemento costitutivo
dell’autocertificazione.
---------------
La mancata pubblicità delle sedute di gara
rileva sempre come vizio della procedura,
senza che occorra dimostrare una effettiva
lesione della par condicio tra i
concorrenti, trattandosi di un aspetto della
selezione posto a tutela non solo della
parità di trattamento dei partecipanti alla
competizione ma ancor prima dell’interesse
pubblico all’imparzialità e alla trasparenza
dell’azione amministrativa (parere
di precontenzioso 25.03.2010 n. 59 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
In materia di affidamenti di contratti di
servizi e forniture, l’obbligo della
comunicazione di cui all’art. 37, co. 4 del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163 è applicabile alla
sola ipotesi di raggruppamenti “verticali”
o “misti”, vale a dire con scorporo
di singole parti per le quali rispondono in
solido solo l’impresa esecutrice e quella
mandataria, rendendosi in tal caso
necessario specificare i diversi servizi
destinati a essere svolti da ciascuna
impresa.
Viceversa, la suddetta disposizione non
trova margini di applicazione nel caso di
riunioni “orizzontali”, laddove tutti
gli operatori economici eseguono il tutto e,
quindi, il medesimo tipo di prestazione, e
tutte le imprese sono responsabili
dell’intero in solido (parere
di precontenzioso 25.03.2010 n. 57 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
L'integrazione delle offerte in sede di gara
su richiesta della stazione appaltante –allo
scopo di far prevalere la sostanza sulla
forma– si rivela finalizzata unicamente ad
ottenere precisazioni in ordine alla
documentazione prodotta, in vista della
sanatoria di eventuali irregolarità formali,
mentre una tale facoltà non può estendersi
al caso in cui le perplessità rilevate
riguardino l'offerta tecnica ed economica.
Altrimenti verrebbe violato il principio
della par condicio dei concorrenti mediante
la modificazione postuma dell'offerta, con
conseguente inammissibile incidenza sulla
sostanza e non più solo sulla forma.
Non è consentito, infatti, specificare,
rettificare o precisare e, sostanzialmente,
cambiare, gli elementi negoziali costitutivi
dell'offerta, tanto più ove siano già noti i
contenuti delle altre offerte, in quanto
l'accettazione di nuove condizioni
costituisce manifesta e grave violazione dei
principi di trasparenza dell'azione
amministrativa e di rispetto della par
condicio tra i concorrenti (parere
di precontenzioso 11.03.2010 n. 56 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La trasformazione di una società da uno ad
altro dei tipi previsti dalla legge non si
traduce nell'estinzione di un soggetto e
nella correlativa creazione di un altro, in
luogo di quello precedente, ma configura una
vicenda meramente evolutiva e modificativa
del medesimo soggetto, la quale non incide
sui rapporti sostanziali e processuali che
ad esso fanno capo.
---------------
Nelle procedure indette per l'aggiudicazione
di appalti pubblici, in capo alla stazione
appaltante residua sempre, a prescindere da
una regola esterna dettata da disposizioni
di legge, di regolamento o rinvenibile nel
bando di gara, un margine di discrezionalità
tecnica che, nel prudente apprezzamento
dell’amministrazione medesima, può investire
le componenti dell'offerta nella loro
serietà e congruità, in relazione
all'oggetto della gara ed alle modalità di
esecuzione del contratto, e che consente di
disporre l'esclusione di offerte che
presentino all'evidenza aspetti di
inattendibilità (parere
di precontenzioso 11.03.2010 n. 55 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Nel caso in cui un operatore economico che
non abbia rispettato un termine perentorio
per l’invio di documenti alleghi un
inadempimento del servizio postale, è
necessario che venga specificato alla
stazione appaltante la natura del lamentato
disservizio postale e che sia fornita
adeguata documentazione probatoria
dell’oggettiva impossibilità o estrema
difficoltà di rispettare il termine
assegnato.
---------------
Il confronto tra la s.a. e l’offerente, la
cui offerta è sospetta di anomalia,
rappresenta indubbiamente un momento
imprescindibile ai fini del rispetto dei
principi comunitari che regolano la materia.
Tuttavia, appare evidente che tale legittimo
contraddittorio non può mai essere dilatato
ulteriormente a danno di altri concorrenti
principi, ai quali la procedura concorsuale
deve attenersi, vale a dire la par condicio
tra i partecipanti, la trasparenza, la
speditezza delle operazioni concorsuali.
Pertanto è necessario riconoscere al termine
di cui all’art. 88, co. 2 del d.lgs.
12.04.2006 natura perentoria, avendo come
finalità sia quella di garantire il
contraddittorio in condizioni di parità tra
tutti i concorrenti, sia quella di garantire
il pubblico interesse, assicurando la
definizione della gara in tempi rapidi e,
comunque, certi.
È conforme alla normativa di settore,
pertanto, l’operato della s.a. che escluda
l’operatore economico che non abbia
rispettato il suddetto termine (parere
di precontenzioso 11.03.2010 n. 54 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Ai sensi dell’art. 91, comma 3, del d.lgs.
12.04.2006, n. 163, l’affidatario non può
avvalersi del subappalto per la redazione
delle relazioni geologiche.
Il legislatore, nell’escludere le relazioni
geologiche dalle attività che il progettista
può affidare in subappalto, ha perseguito di
certo un’esigenza di tutela
dell’amministrazione, che è meglio garantita
dalla instaurazione di un rapporto diretto
con il professionista (sia pur attraverso la
sua partecipazione ad un raggruppamento
temporaneo od altra forma associativa).
In una procedura per l’affidamento di
servizi di progettazione cui partecipi un
RTP, qualora il geologo non faccia parte
della compagine sociale, è evidente che la
redazione della relazione geologica verrebbe
di fatto affidata ad un terzo, in violazione
della richiamata norma che vieta per tale
attività il subappalto (parere
di precontenzioso 11.03.2010 n. 52 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La sottoscrizione di un modello nel quale
non è stata operata alcuna scelta sul
possesso dei requisiti di cui alle varie
alternative determina incertezza assoluta
sul possesso dei requisiti medesimi o sulle
circostanze indicate nei punti specifici,
con conseguente necessaria esclusione dalla
gara dell’operatore economico che non ha
fatto tali dichiarazioni.
La regolarizzazione della documentazione
prodotta in sede di gara, peraltro, non può
riferirsi alla carenza di dichiarazioni o di
documenti richiesti a pena di esclusione.
La dichiarazione ex art. 38, comma 1,
lettera c), del d.lgs. 12.04.2006, n. 163
costituisce parte integrante ed elemento
essenziale della domanda di partecipazione
alla gara, con conseguente inammissibilità
della regolarizzazione postuma (parere
di precontenzioso 11.03.2010 n. 52 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Le stazioni appaltanti vantano un
apprezzabile margine di discrezionalità nel
chiedere requisiti di capacità economica,
finanziaria e tecnica ulteriori e più severi
rispetto a quelli previsti dalla legge, con
il limite del rispetto dei principi di
proporzionalità e ragionevolezza; sicché non
è consentito pretendere il possesso di
requisiti sproporzionati o estranei rispetto
all’oggetto della gara.
In tale ottica, è stata ritenuta
sproporzionata la richiesta, quale requisito
di capacità economico finanziaria, di un
fatturato pari o superiore a 5.000.000 di
euro l’anno, a fronte di una base d’asta di
350.000 euro annui (parere
di precontenzioso 11.03.2010 n. 50 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Le stazioni appaltanti possono richiedere
requisiti di partecipazione che, pur essendo
ulteriori e più restrittivi di quelli
previsti dalla legge, rispettino il limite
della logicità e della ragionevolezza e,
cioè, della loro pertinenza e congruità a
fronte dello scopo perseguito.
Tali requisiti possono essere censurati solo
allorché appaiano viziati da eccesso di
potere, ad esempio per illogicità o per
incongruenza rispetto al fine pubblico della
gara.
In una procedura aperta per l’affidamento di
una fornitura di autobus, è conforme alla
normativa di settore la richiesta di aver
consegnato, nei tre anni precedenti, un
numero di autobus almeno pari all’entità di
ciascuno dei lotti per i quali si richiede
di partecipare e della lunghezza prevista
per lo stesso lotto.
A fronte della necessità, dichiarata dalla
s.a. nel bando di gara, di rispettare tempi
di consegna molto contenuti, appare
ragionevole prevedere criteri di selezione
idonei a individuare un operatore economico
in grado di fornire autobus con le
caratteristiche richieste, che abbia già
precedentemente dimostrato le proprie
capacità attraverso forniture analoghe a
quella richiesta (parere
di precontenzioso 11.03.2010 n. 49 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
L’art. 34 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 deve
essere interpretato nel senso che l’elenco
ivi contenuto non abbia carattere tassativo.
Non è preclusa, pertanto, la partecipazione
ad una gara d’appalto di un Raggruppamento
Temporaneo di Imprese composto da un
consorzio ordinario e da una società (parere
di precontenzioso 11.03.2010 n. 48 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Con riferimento ai soggetti tenuti alla
dichiarazione di cui all’art. 38 del d.lgs.
12.04.2006, n. 163, la ratio legis è
quella di escludere dalla partecipazione
alle procedure di gara le società in cui
determinati soggetti che hanno un
significativo ruolo decisionale e
gestionale, compresi gli institori e i
vicari, siano incorsi in una delle cause di
esclusione previste.
Ai fini di una corretta applicazione della
normativa in questione occorre
necessariamente fare riferimento alle
funzioni sostanziali di tali soggetti più
che alle qualifiche formali, altrimenti la
evidenziata ratio potrebbe essere
agevolmente elusa e, dunque, vanificata (parere
di precontenzioso 11.03.2010 n. 47 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Localizzazione delle SRB -
Regolamento comunale -Tutela della salute
umana dalle emissioni - Attribuzione alla
legislazione concorrente Stato-Regioni.
E’ illegittimo un regolamento comunale in
tema di fissazione dei criteri per la
localizzazione delle SRB laddove l'ente
territoriale si sia posto quale obiettivo
(non dichiarato, ma evincibile dal contenuto
dell'atto regolamentare) quello di
preservare la salute umana dalle emissioni
elettromagnetiche promananti da impianti di
radiocomunicazione (ad esempio attraverso la
fissazione di distanze minime delle stazioni
radio base da particolari tipologie
d'insediamenti abitativi), essendo tale
materia attribuita alla legislazione
concorrente Stato-Regioni dell'art. 117
cost., come riformato dalla l. cost.
18.10.2001 n. 3 (in tal senso: Cons. Stato,
Sez. VI, sent. 28.04.2010, n. 2436; id.,
Sez. VI, sent. 20.12.2002, n. 7274).
Istanza di
autorizzazione ex art. 87 d.lgs. n. 259/2003
- Allegazione della denuncia di verifica
sismica - Inizio dei lavori.
Il quadro normativo vigente non impone in
alcun modo di allegare la denuncia di
verifica sismica della SRB già in sede di
presentazione dell’istanza di autorizzazione
o della denuncia di cui all’art. 87, d.lgs.
259 del 2003, limitandosi -piuttosto- a
prescrivere che la denuncia in parola
avvenga prima del concreto inizio dei lavori
(in tal senso: il primo comma dell’art. 4,
l. 1086 del 1971; il primo comma dell’art.
17, l. 64 del 1974, nonché il comma 3
dell’art. 2, L.R. Campania 9 del 1983).
SRB - Istanza di
autorizzazione ex art. 87 d.lgs. n. 259/2003
- Parere dell’ARPA - Attivazione
dell’impianto.
La previsione ci cui all’art. 87, d.lgs. 259
del 2003 postula che il parere dell’ARPA sia
richiesto solo ed esclusivamente ai fini
della concreta attivazione dell’impianto,
non sussistendo un onere per il richiedente
di allegare il parere in questione in sede
di presentazione dell’istanza (ovvero della
D.I.A.), né un puntuale obbligo di far
pervenire il parere medesimo all’Ente
procedente entro il termine di novanta
giorni di cui al comma 9 dell’art. 87, cit..
L'accertamento, da parte dell'Organismo
competente ad effettuare i controlli, di cui
all'articolo 14 della legge 22.02.2001, n.
36 della compatibilità del progetto con i
limiti di esposizione, i valori di
attenzione e gli obiettivi di qualità,
stabiliti uniformemente a livello nazionale
in relazione al disposto della citata legge
22.02.2001, n. 36 deve infatti seguire, e
non già precedere, la produzione
dell'istanza (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.09.2010 n. 7128 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Spandimento di fanghi
biologici - Autorizzazione - Istanza di
rinnovo - Termine di centottanta giorni -
Art. 208, c. 12 d.lgs. n. 152/2006 - Norma
di carattere generale - Applicabilità alla
procedura semplificata prevista dal
successivo art. 210.
Il termine di centottanta giorni stabilito
ai fini della tempestività dell’istanza di
rinnovo dell’autorizzazione allo spandimento
di fanghi biologici, stabilito dall’art.
208, co. 12, del D.Lgs. n. 152/2006, è norma
di carattere generale che tipizza la
procedura per l’autorizzazione ed i rinnovi
e che non trova alcun richiamo derogatorio
nella diversa procedura semplificata
prevista dal successivo art. 210, che
disciplina la diversa fattispecie del
rinnovo dell’autorizzazione per coloro che
ne erano già in possesso al momento
dell’entrata in vigore del decreto.
Non può pertanto convenirsi con la tesi
secondo cui, non essendo previsti, per tale
rinnovo, termini per la presentazione
dell’istanza, questa può proporsi anche
immediatamente prima della scadenza: tale
interpretazione contrasta, infatti, con la
disciplina generale dell’art. 208 (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 23.09.2010 n. 7073 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Nel caso di concessione di
pubblici servizi, il ricorso alla trattativa
privata deve ritenersi circoscritto ai casi
di impossibilità di fare ricorso a pubbliche
gare.
In tema di affidamento di servizi pubblici
di rilevanza comunitaria, mediante
concessione, i principi fondamentali
dell'ordinamento comunitario (di cui agli
arti. 43 e 49 del Trattato C.E.), nonché
quelli che governano la materia dei
contratti pubblici, impongono alle
amministrazioni di procedere salvaguardano
la pubblicità degli affidamenti e la non
discriminazione delle imprese, "mediante
l'utilizzo di procedure competitive
selettive". Per contro, le "circostanze
speciali" che consentono il ricorso alla
trattativa privata non possono essere quelle
connesse alla mera presunta maggiore
convenienza tecnico-economica
dell'intervento proposto.
Pertanto, anche nel caso di concessione di
pubblici servizi, il ricorso alla trattativa
privata deve ritenersi circoscritto ai casi
di impossibilità di fare ricorso a pubbliche
gare in ragione dell'estrema urgenza, ovvero
della sussistenza di presupposti d'ordine
tecnico tali da impedire, se non al prezzo
di costi sproporzionati, la ricerca di altre
soluzioni basate sul previo confronto
concorrenziale (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.09.2010 n. 7024 -
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APPALTI:
In caso di fusione o di altra
operazione che comporti il trasferimento di
azienda o di un suo ramo, al nuovo soggetto
è consentito di avvalersi dei requisiti
posseduti dall'impresa cedente, anche in
assenza di una specifica previsione del
bando.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale in caso di fusione o di
altra operazione che comporti il
trasferimento di azienda o di un suo ramo,
al nuovo soggetto è consentito di avvalersi,
ai fini della qualificazione, dei requisiti
posseduti dall'impresa cedente.
Nelle gare indette per l'aggiudicazione di
appalti con la pubblica amministrazione,
l'istituto dell'avvalimento, infatti, ha
portata generale ai fini della dimostrazione
del possesso dei requisiti di partecipazione
ed è, quindi, utilizzabile anche in assenza
di una specifica previsione del bando,
restando peraltro ferma la necessità, in
ogni caso, di un vincolo giuridico,
preesistente all'aggiudicazione della gara.
Pertanto, nel caso di specie, nessun
addebito può muoversi sotto tale profilo
alla Commissione giudicatrice, che ha
riconosciuto il possesso della capacità
professionale alla società aggiudicataria
attribuendo validità alla dichiarazione
rilasciata da un Comune in considerazione
della fusione avvenuta ai sensi dell'art.
2501-ter c.c. della società capogruppo con
la società aggiudicataria del servizio
oggetto di gara presso il Comune (TAR
Abruzzo, Sez. I,
sentenza 20.09.2010 n. 668 - link
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EDILIZIA PRIVATA:
Art. 36 d.P.R. n. 380/2001 -
Tipizzazione legale del silenzio - Atto
tacito di diniego - Impugnazione - Termine
di sessanta giorni - Decorrenza.
La disposizione normativa recata dall’art.
36, comma 3, del testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia configura a tutti gli
effetti un’ipotesi di tipizzazione legale
del silenzio serbato dall’amministrazione.
Una volta inutilmente decorso il suddetto
termine, sulla domanda di sanatoria si forma
a tutti gli effetti un atto tacito di
diniego, con il conseguente onere della
parte interessata di agire in sede
impugnatoria nel termine di legge di
sessanta giorni decorrente dalla data di
formazione dell’atto negativo tacito (Cons.
Stato, sez. IV, 03.02.2006, n. 401; sez. V,
11.02.2003, n. 706; sez. II, par.
12.04.2006, n. 7375/2004; Id., par.
07.05.2008, n. 4581/20077; CGA, 14.09.2009,
n. 792; Tar Piemonte, sez. I, 08.03.2006, n.
1173; Id., 27.11.2007, n. 3508; Tar
Lombardia, Milano, sez. II, 21.03.2006, n.
642; Tar Lazio, Latina, 09.10.2006, n. 1044;
Tar Campania, Napoli, sez. VI, 07.09.2006,
n. 7960 e 12.02.2008, Id., sez. II,
21.11.2006, n. 10061, 23.09.2008, n. 10619;
08.06.2009, n. 3139; Id., sez. VII,
05.12.2006, n. 10401; Id., sez. II; Tar
Campania, Salerno, Sez. II, 07.03.2008, n.
257) (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 17.09.2010 n. 17440 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Salvaguardia dell’ordine, della quiete e
della salute pubblica - Ordinanza
contingibile ed urgente - Mancata fissazione
del termine di efficacia del provvedimento -
Violazione del giusto procedimento e del
contraddittorio - Illegittimità e colpa in
capo all’amministrazione - Esclusione - Art.
54 D.Lgs. n. 267/2000.
La presenza di gravi elementi indicativi di
pesante disagio per i residenti, considerati
fronteggiabili dall’amministrazione solo
attraverso la limitazione dell’orario
dell’esercizio allo scopo di salvaguardare
l’ordine, la quiete e la salute pubblici, in
disparte ogni valutazione circa l’idoneità a
creare il presupposto di urgenza connesso
all’inquinamento acustico ed all’effettivo
pericolo di danno grave ed imminente per
l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana
per il legittimo ricorso ai poteri di
ordinanza di cui all’art. 54 D.Lgs. n.
267/2000 (Cons. St. Sez. V, 13.02.2009, n.
828), esclude l’elemento soggettivo della
colpa in capo all’amministrazione procedente (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 17.09.2010 n. 6979 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Provvedimento amministrativo
illegittimo - Indizio presuntivo della colpa
- Risarcimento del danno - Onere della prova
- Fattispecie: situazione di inquinamento
acustico e di pericolo per l’ordine, la
quiete e la salute pubblica.
In sede di giudizio di risarcimento del
danno derivante da provvedimento
amministrativo illegittimo, l’illegittimità
dell’atto costituisce indizio presuntivo
della colpa, restando a carico
dell’amministrazione l’onere di dimostrare
la scusabilità dell’errore per contrasti
giurisprudenziali sull’interpretazione della
norma, per la complessità del fatto ovvero
per l’influenza di altri soggetti (Cons. St.
Sez. V, 20.07.2009, n. 4527), elementi
questi liberamente valutabili dal giudice al
fine di escludere la colpevolezza, non
potendo l’imputazione avvenire sulla base
del dato meramente oggettivo
dell’illegittimità del provvedimento (Cons.
St. Sez. V, 13.04.2010, n. 2029).
Nella specie, l’amministrazione ha fornito
piena dimostrazione dell’assenza di
imputabilità di ogni responsabilità a titolo
di dolo o di colpa, data la molteplicità di
richieste di intervento provenienti da
soggetti pubblici e privati, l’emergenza
della situazione creatasi a causa del
livello dei rumori percepiti dall’interno
delle abitazioni, la necessità di
intervenire prontamente, il giustificato
affidamento sulla sussistenza dei
presupposti per l’adozione dell’ordinanza
contingibile ed urgente come unica misura
idonea a fronteggiare immediatamente la
situazione di inquinamento acustico e di
pericolo per l’ordine, la quiete e la salute
pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 17.09.2010 n. 6979 -
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CONSIGLIERI COMUNALI:
I consiglieri comunali hanno un
non condizionato diritto di accesso a tutti
gli atti che possano essere d'utilità
all'espletamento del loro mandato, ciò anche
al fine di permettere di valutare -con piena
cognizione- la correttezza e l'efficacia
dell'operato dell'Amministrazione, nonché
per esprimere un voto consapevole sulle
questioni di competenza del Consiglio, e per
promuovere, anche nell'ambito del Consiglio
stesso, le iniziative che spettano ai
singoli rappresentanti del corpo elettorale
locale.
Sul consigliere comunale non può gravare
alcun particolare onere di motivare le
proprie richieste di accesso, atteso che
diversamente opinando sarebbe introdotta una
sorta di controllo dell’ente, attraverso i
propri uffici, sull’esercizio del mandato
del consigliere comunale.
Il diritto del consigliere comunale ad
ottenere dall’ente tutte le informazioni
utili all’espletamento del mandato non
incontra neppure alcuna limitazione
derivante dalla loro eventuale natura
riservata, in quanto il consigliere è
vincolato al segreto d’ufficio.
Gli unici limiti all’esercizio del diritto
di accesso dei consiglieri comunali possono
rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso
deve avvenire in modo da comportare il minor
aggravio possibile per gli uffici comunali
(attraverso modalità che ragionevolmente
sono fissate nel regolamento dell’ente) e,
per altro verso, che esso non deve
sostanziarsi in richieste assolutamente
generiche ovvero meramente emulative, fermo
restando tuttavia che la sussistenza di tali
caratteri deve essere attentamente e
approfonditamente vagliata in concreto al
fine di non introdurre surrettiziamente
inammissibili limitazione al diritto stesso.
Secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, da cui non vi è motivo di
discostarsi (da ultimo C.d.S., sez. V,
09.10.2007, n. 5264), i consiglieri comunali
hanno un non condizionato diritto di accesso
a tutti gli atti che possano essere
d'utilità all'espletamento del loro mandato,
ciò anche al fine di permettere di valutare
-con piena cognizione- la correttezza e
l'efficacia dell'operato
dell'Amministrazione, nonché per esprimere
un voto consapevole sulle questioni di
competenza del Consiglio, e per promuovere,
anche nell'ambito del Consiglio stesso, le
iniziative che spettano ai singoli
rappresentanti del corpo elettorale locale.
Il diritto di accesso loro riconosciuto ha
infatti una ratio diversa da quella
che contraddistingue il diritto di accesso
ai documenti amministrativi riconosciuto
alla generalità dei cittadini (ex articolo
10 del D. Lgs. 18.08.2000, n. 267) ovvero a
chiunque sia portatore di un "interesse
diretto, concreto e attuale, corrispondente
ad una situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto
l'accesso" (ex art. 22 e ss. della legge
07.08.1990, n. 241): infatti, mentre in
linea generale il diritto di accesso è
finalizzato a permettere ai singoli soggetti
di conoscere atti e documenti per la tutela
delle proprie posizioni soggettive
eventualmente lese, quello riconosciuto ai
consiglieri comunali è strettamente
funzionale all’esercizio del proprio
mandato, alla verifica e al controllo del
comportamento degli organi istituzionali
decisionali dell’ente locale (C.d.S., sez.
IV, 21.08.2006, n. 4855) ai fini della
tutela degli interessi pubblici (piuttosto
che di quelli privati e personali) e si
configura come peculiare espressione del
principio democratico dell’autonomia locale
e della rappresentanza esponenziale della
collettività (C.d.S., sez. V, 08.09.1994, n.
976).
Di conseguenza sul consigliere comunale non
può gravare alcun particolare onere di
motivare le proprie richieste di accesso,
atteso che diversamente opinando sarebbe
introdotta una sorta di controllo dell’ente,
attraverso i propri uffici, sull’esercizio
del mandato del consigliere comunale
(C.d.S., sez. V, 22.02.2007, n. 929;
09.12.2004, n. 7900); è stato osservato
d’altra parte che dal termine “utili”,
contenuto nell’articolo 43 del D. Lgs.
18.08.2000, n. 267, non può conseguire
alcuna limitazione al diritto di accesso dei
consiglieri comunali, detto aggettivo
garantendo in realtà l’estensione di tale
diritto di accesso a qualsiasi atto
ravvisato utile per l’esercizio del mandato
(C.d.S., sez. V, 20.10.2005, n. 5879).
Deve anche aggiungersi che il diritto del
consigliere comunale ad ottenere dall’ente
tutte le informazioni utili all’espletamento
del mandato non incontra neppure alcuna
limitazione derivante dalla loro eventuale
natura riservata, in quanto il consigliere è
vincolato al segreto d’ufficio (C.d.S., sez.
V, 04.05.2004, n. 2716).
In definitiva gli unici limiti all’esercizio
del diritto di accesso dei consiglieri
comunali possono rinvenirsi, per un verso,
nel fatto che esso deve avvenire in modo da
comportare il minor aggravio possibile per
gli uffici comunali (attraverso modalità che
ragionevolmente sono fissate nel regolamento
dell’ente) e, per altro verso, che esso non
deve sostanziarsi in richieste assolutamente
generiche ovvero meramente emulative, fermo
restando tuttavia che la sussistenza di tali
caratteri deve essere attentamente e
approfonditamente vagliata in concreto al
fine di non introdurre surrettiziamente
inammissibili limitazione al diritto stesso
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 17.09.2010 n. 6963 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Richiesta di realizzazione
urgente dei lavori di messa in sicurezza di
un costone roccioso - Silenzio rifiuto -
Illegittimità - Risposta completa
all’istanza - Necessità.
In tema di silenzio-rifiuto relativo a
lavori di sistemazione sponde torrente,
persiste l’obbligo della Regione (in specie
Assessorato regionale alle Politiche
ambientali e Difesa del suolo) di fornire
una risposta completa all’istanza
dell’interessato tenendo conto del complesso
delle competenze degli altri settori
regionali facenti parti dell’Assessorato
stesso (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 17.09.2010 n. 6952 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Piano di lottizzazione - Oneri
concessori relativi a concessioni edilizie -
Rideterminazione e conguaglio - C.d.
monetizzazione - Nozione - Titolo
convenzionale - L.R. Lombardia n. 60/1977
(norme di attuazione della L. n. 10/1977).
La c.d. monetizzazione -consistente nel
pagamento di una somma di denaro in
alternativa alla cessione gratuita di aree
necessarie per le opere di urbanizzazione-
è prevista dalla legge regionale lombarda
05.12.1977 n. 60 (norme di attuazione della
legge 20.01.1977 n. 10) con esclusivo
riferimento alla lottizzazione di aree
edificabili.
Dalla disciplina in questione (in
particolare art. 12, lett. a), ne discende
che la monetizzazione, per un verso,
presuppone un intervento subordinato al
piano di lottizzazione (o a piano attuativo
assimilabile); per altro verso ha fonte in
un atto convenzionale (preordinato
all’esecuzione del piano), che precede
-essendone il presupposto- il rilascio delle
singole concessioni edilizie.
Queste ultime non scontano, all’atto del
rilascio, altro onere che il contributo di
concessione nella sua duplice componente
(oneri di urbanizzazione e quota commisurata
al costo di costruzione), salvi i casi di
gratuità totale o parziale. Mentre, l’art. 9
della stessa legge regionale n. 60 del 1977
(il quale si limita a disporre che il
rilascio della concessione sia subordinato,
ove occorra, alla “cessione al comune, a
valore di esproprio o senza corrispettivo
nei casi specifici previsti dalle normative
vigenti, delle aree necessarie alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione
primaria, pertinenti all’intervento”)
non legittima la monetizzazione in sede di
rilascio della concessione edilizia; tanto
meno quando la monetizzazione sia già stata
definita in via convenzionale.
In altro termini, non v’è spazio, né in sede
di rilascio della concessione edilizia, né
in sede di rideterminazione o rettifica
degli oneri concessori, per una
monetizzazione volta a supplire alla
(presunta) carenza di standard che non sia
stata considerata in sede di (nel momento
della) pianificazione attuativa.
Nel caso in esame esiste un titolo
convenzionale che legittima la pretesa del
Comune nei soli limiti pattuiti,
risolvendosi ogni ulteriore imposizione non
preventivamente deliberata (dagli organi
competenti) e concordata (tra le parti) in
una violazione contrattuale (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 17.09.2010 n. 6950 -
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COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA:
Sulla competenza del Consiglio
comunale relativamente al procedimento di
formazione dei piani per l'edilizia
economica e popolare e quindi anche alla
loro revoca e/o annullamento.
In materia di pianificazione dell'edilizia
residenziale pubblica, il legislatore
nazionale, con l'originaria l. n. 167 del
1962 (art. 6), come modificata dalla l. n.
865 del 1971, relativamente al procedimento
di formazione dei piani per l'edilizia
economica e popolare ha espressamente
attributo la competenza dell'adozione degli
stessi al Consiglio comunale, con
l'ulteriore competenza del predetto organo
comunale anche per l'approvazione delle
convenzioni pubblico-privatistiche
disciplinanti l'assegnazione del diritto di
superficie delle relative aree.
Peraltro, anche con riferimento alla
disciplina di carattere generale introdotta
dalle leggi di riforma degli enti locali, la
n. 142/1990 prima e il dlgs n. 267/2000 poi,
la competenza consiliare in tema di
assegnazione di aree in diritto di
superficie appare conforme alle previsioni
recate da detta normativa, che assegna,
appunto, al Consiglio comunale la generale
competenza in ordine all'assegnazione di
attività e servizi sul territorio comunale.
Inoltre, considerata la rilevante funzione
economico-sociale e alla valenza urbanistica
dei Piani per l'Edilizia Economica e
Popolare l'adozione di tali atti di
pianificazione (e quindi anche la loro
revoca e/o annullamento) non può che
spettare, in ragione degli interessi
coinvolti, all'organo assembleare dell'Ente
locale.
Nel caso di specie, la dichiarazione di
decadenza risulta assunta con deliberazione
consiliare, pertanto, non è ravvisabile
alcun vizio di incompetenza e neppure quello
di violazione del principio del
contrarius actus, atteso che lo jus
poenitendi è stato esercitato dallo
stesso organo (il Consiglio comunale) che ha
disposto l'assegnazione delle aree in
diritto di superficie (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 15.09.2010 n. 6921 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA:
Compete al consiglio la
dichiarazione di decadenza dalla convenzione
urbanistica perché era del consiglio la
competenza all’adozione della convenzione.
Il principio espresso in sentenza, si basa
sull’assunto che il contrarius actus
segua la stessa filiera procedurale
dell’atto.
In materia di pianificazione dell’edilizia
residenziale pubblica, il legislatore
nazionale, con l’originaria legge n. 167 del
1962 (art. 6), come modificata dalla legge
n. 865 del 1971, relativamente al
procedimento di formazione dei piani per
l’edilizia economica e popolare ha
espressamente attributo la competenza
dell’adozione degli stessi al Consiglio
comunale, con l’ulteriore competenza del
predetto organo comunale anche per
l’approvazione delle convenzioni
pubblico-privatistiche disciplinanti
l’assegnazione del diritto di superficie
delle relative aree, come allegate agli
adottati Piani di Zona.
Peraltro, anche con riferimento alla
disciplina di carattere generale introdotta
dalle leggi di riforma degli enti locali, la
n. 142/1990 prima e il D.Lgs. n. 267/2000
poi, la competenza consiliare in tema di
assegnazione di aree in diritto di
superficie appare conforme alle previsioni
recate da detta normativa, che assegna,
appunto, al Consiglio comunale la generale
competenza in ordine all’assegnazione di
attività e servizi sul territorio comunale.
Ed inoltre la funzione economico-sociale e
la valenza urbanistica dei Piani per
l’Edilizia Economica e Popolare comportano
che l’adozione di tali atti di
pianificazione e, quindi anche la loro
revoca e/o annullamento, non possa non
spettare, in ragione degli interessi
coinvolti, all’organo assembleare dell’Ente
locale.
Non c’è quindi alcun vizio di incompetenza e
neppure quello di violazione del principio
del contrarius actus, nel fatto che
la decadenza sia stata adottata dal
Consiglio atteso che lo jus poenitendi
è stato esercitato dallo stesso organo (il
Consiglio comunale) che ha disposto
l’assegnazione delle aree in diritto di
superficie per via della convenzione
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 15.09.2010 n. 6921 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire - Proroga -
Rinnovo - Differenza - Disciplina
applicabile.
Diversamente dal caso della proroga, che si
limita a prolungare la durata del rapporto
amministrativo, accedendo all’originario
permesso di costruire, il rinnovo
costituisce autonomo titolo edilizio,
soggetto al rispetto della normativa vigente
al momento della sua adozione (tra le tante,
Cons. Stato, Sez. V, 19.09.2008, n. 4528)
(TAR Umbria, Sez. I,
sentenza 15.09.2010 n. 465 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
le opere comportanti un aumento di
volumetria l’autorizzazione paesaggistica
non può essere rilasciata ex post
dall’Autorità preposta alla tutela del
vincolo, non rientrando tale ipotesi tra le
fattispecie marginali –i c.d. abusi minori–
che eccezionalmente ammettono la sanatoria
ambientale in deroga al divieto generale di
nulla-osta postumo.
Per le opere comportanti un aumento di
volumetria l’autorizzazione paesaggistica
non può essere rilasciata ex post
dall’Autorità preposta alla tutela del
vincolo (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez.
IV, 08.10.2007 n. 5203), non rientrando tale
ipotesi tra le fattispecie marginali –i c.d.
abusi minori– che eccezionalmente ammettono
la sanatoria ambientale in deroga al divieto
generale di nulla-osta postumo; anche se, è
stato chiarito, la stessa ratio che
in materia urbanistica induce ad escludere i
volumi tecnici dal calcolo della volumetria
edificabile vale ugualmente per escludere
tali volumi dal divieto di rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica in
sanatoria, con la conseguenza che gli
interventi che abbiano dato luogo alla
realizzazione di soli volumi tecnici
rientrano nell’eccezione di cui all’art.
167, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 42 del
2004 e sono pertanto suscettibili di
accertamento della compatibilità
paesaggistica (v. TAR Campania, Napoli, Sez.
VII, 03.11.2009 n. 6827).
Alla base della rigorosa disciplina in esame
–si è detto– è la finalità di costituire un
più solido deterrente contro gli abusi dei
privati, così abbandonando il regime che in
precedenza riconosceva un significativo peso
al fatto compiuto (v. TAR Lombardia,
Brescia, Sez. I, 19.03.2008 n. 317), senza
peraltro che l’automaticità dell’ordine di
ripristino dello stato dei luoghi, in
conseguenza della sola carenza del titolo
formale e indipendentemente da ogni indagine
circa l’effettiva incidenza ambientale del
singolo intervento –anche quando il privato
potrebbe poi ottenere l’autorizzazione per
un progetto identico–, evidenzi profili di
illegittimità costituzionale, a fronte di
scelte del legislatore fondate su di una
rigidità del sistema in tal modo funzionale
alla più efficace tutela del bene “paesaggio”,
assegnatario di un rango primario tra i
valori costituzionalmente protetti, con il
solo temperamento all’assolutezza della
proibizione di valutazioni postume
realizzato attraverso la previsione della
sanatoria dei c.d. “abusi minori” (v.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 05.03.2009
n. 1762; Sez. II, 09.12.2008 n. 5737)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 15.09.2010 n. 435 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Intendendosi
per «sponda» il confine naturale
dell’ordinaria portata dell’acqua nelle sue
variazioni stagionali e per «argini» le
barriere esterne, per lo più artificiali,
erette a ulteriore difesa del territorio per
il caso di piene eccezionali, l’esigenza di
evitare soluzioni del tutto arbitrarie
impone di assegnare ai due termini un
significato equivalente e quindi di assumere
a riferimento principale la «sponda» e la
funzione a questa connessa, con la
conseguenza che la fascia di protezione di
150 metri va misurata dal limite di piena
ordinaria del corso d’acqua, sia esso
coincidente con il ciglio di sponda sia esso
coincidente con il piede esterno
dell’argine, mentre restano a tal fine
estranee le barriere protettive preordinate
a contrastare le piene straordinarie.
Appare
necessario definire la portata dell’art.
142, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 42 del
2004, che sottopone a vincolo paesaggistico
“…i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua
iscritti negli elenchi previsti dal testo
unico delle disposizioni di legge sulle
acque ed impianti elettrici, approvato con
regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e
le relative sponde o piedi degli argini per
una fascia di 150 metri ciascuna …”.
La giurisprudenza ha chiarito che,
intendendosi per «sponda» il confine
naturale dell’ordinaria portata dell’acqua
nelle sue variazioni stagionali e per «argini»
le barriere esterne, per lo più artificiali,
erette a ulteriore difesa del territorio per
il caso di piene eccezionali, l’esigenza di
evitare soluzioni del tutto arbitrarie
impone di assegnare ai due termini un
significato equivalente e quindi di assumere
a riferimento principale la «sponda»
e la funzione a questa connessa, con la
conseguenza che la fascia di protezione di
150 metri va misurata dal limite di piena
ordinaria del corso d’acqua, sia esso
coincidente con il ciglio di sponda sia esso
coincidente con il piede esterno
dell’argine, mentre restano a tal fine
estranee le barriere protettive preordinate
a contrastare le piene straordinarie (v. TAR
Friuli Venezia Giulia 10.05.2007 n. 339).
Si tratta di orientamento conforme ad un
consolidato indirizzo del giudice ordinario,
formatosi in relazione alle corrispondenti
norme contenute nell’art. 1 del
decreto-legge n. 312 del 1985 (integrativo
dell’art. 82 del d.P.R. n. 616/1977) e
nell’art. 146 del d.lgs. n. 490 del 1999,
orientamento da cui il Collegio non ravvisa
ragioni per discostarsi.
Va solo aggiunto che, per trattarsi di un
vincolo paesaggistico ex lege,
eventuali criteri diversi (da quello della
c.d. “piena ordinaria”) contenuti in
norme secondarie –quale il «piano
territoriale di coordinamento provinciale»
richiamato nella circostanza
dall’Amministrazione comunale– cedono di
fronte alla disciplina di rango primario,
che prevale sulle altre previa loro
disapplicazione da parte del giudice
chiamato a risolvere la controversia
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 15.09.2010 n. 435 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla valutazione da parte della
stazione appaltante della rilevanza di un
precedente penale ai fini dell'accertamento
della effettività della incisione sulla
moralità professionale dell'imprenditore.
La dissociazione dalla condotta penalmente
sanzionata di un cessato legale
rappresentante può aver luogo in svariate
forme, purché risulti esistente, univoca e
completa.
Ai sensi dell'art. 38, I c., lett. c), del
D.Lgs. n. 163 del 2006, la causa di
esclusione dalla partecipazione a gare
pubbliche dei soggetti nei cui confronti sia
stata pronunciata sentenza di condanna o
emanato un decreto penale opera solo se
siano stati irrogati in relazione a reati
gravi in danno della Comunità o dello Stato,
incidenti sulla moralità professionale. La
gravità e incidenza sulla moralità
professionale dell'imprenditore dei reati
diversi da quelli specificamente indicati
dall'art. 45, prg. 2, direttiva 2004/18/Ce e
comportanti l'esclusione dalla
partecipazione a gare pubbliche, in assenza
di parametri normativi fissi e
predeterminati, deve essere accertata dalla
stazione appaltante con la disamina in
concreto delle caratteristiche dell'appalto,
del tipo di condanna, della natura e delle
concrete modalità di commissione del reato.
La valutazione in concreto della rilevanza
dei riscontrati precedenti penali ai fini
dell'accertamento della effettività della
incisione della moralità professionale
dell'imprenditore, in assenza di parametri
posti dall'art. 38 del D.Lgs. n. 163 del
2006, è affidata quindi alla discrezionalità
dell'Amministrazione. Inoltre, la mera
sussistenza di una condanna definitiva per
reati astrattamente incidenti sulla moralità
professionale non vale a integrare la causa
di esclusione di cui all'art. 38 del D.Lgs.
n. 163 del 2006, occorrendo una concreta
valutazione della gravità di tali
precedenti.
Il concorrente a una gara d'appalto, al fine
di dimostrare di avere adottato le misure di
completa dissociazione dalla condotta
penalmente sanzionata di un cessato legale
rappresentante, può limitarsi a dichiarare
che quest'ultimo si è dimesso dall'incarico
e che l'impresa ne ha preso atto, purché
risulti da verbale dell'assemblea della
società, oppure da altro atto in cui sia
chiaramente indicata la volontà di
dissociazione, senza necessità che tale
volontà, per essere idoneamente dimostrata,
debba essere suffragata anche dalla prova
dell'instaurazione di una causa civile di
responsabilità nei confronti dell'ex legale
rappresentante. Detto verbale ed ogni altro
atto recante chiara indicazione della
volontà di dissociazione fanno infatti piena
fede circa la sussistenza di tale volontà
della impresa ed è quindi non necessario far
ricorso anche alla instaurazione di un
giudizio civile per dimostrarla, atteso che
la dissociazione, non trattandosi di
istituto giuridico codificato, può aver
luogo in svariate forme, purché risulti
esistente, univoca e completa (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 14.09.2010 n. 6694 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI:
La spedizione postale equivale
alla presentazione diretta.
E' notorio il consolidato orientamento
espresso dalla giurisprudenza sia
amministrativa, sia civile, sia contabile,
pienamente condiviso dal Collegio, col quale
è stato affermato che l’equipollenza della
spedizione postale alla presentazione
diretta costituisce principio generale,
desunto da numerose disposizioni di legge,
inteso a sollevare il privato dal rischio di
disfunzioni del servizio postale ed a
consentirgli l’integrale disponibilità del
termine (cfr., tra le tante, Cons. St., sez.
V, 10.02.2010 n. 655; Cass. civ., sez. II,
05.05.2008 n. 11028; C. Conti reg. Toscana,
sez. giurisd., 19.04.1996 n. 199);
Invero, secondo tale principio, in mancanza
di una regola diversa fissata nella lex
specialis della procedura, il termine
finale per la presentazione della domanda
del privato alla pubblica amministrazione
deve considerarsi osservato ove tale domanda
sia inoltrata in tempo utile a mezzo
raccomandata, rilevando in tal caso la data
di spedizione e non quella di ricezione da
parte della destinataria (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 14.09.2010 n. 6678 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Trattandosi
di un vincolo assoluto (quello cimiteriale)
non può essere utile fare riferimento al
carattere derogatorio di cui all'art. 9
della L. n. 122/1989, in quanto anche il
parcheggio interrato, in quanto struttura
servente all'uso abitativo e, comunque,
posta nell'ambito della fascia di rispetto
cimiteriale, rientra tra le costruzioni
edilizie del tutto vietate dalla
disposizione di cui al cit. art. 338.
L'articolo 338 del testo unico delle leggi
sanitarie di cui al R.D. n. 1265/1934 vieta
l'edificazione nelle aree ricadenti in fasce
di rispetto cimiteriale dei manufatti che
possono qualificarsi come costruzione
edilizie, come tali incompatibili con la
natura dei luoghi e con l'eventuale
espansione del cimitero.
Al riguardo, la giurisprudenza, ormai
consolidata, ha affermato che in materia di
vincolo cimiteriale la salvaguardia del
rispetto dei duecento metri prevista dal
citato articolo (o al limite inferiore di
cui al d.p.r. numero 285/1990 che ha
previsto la possibilità di riduzione della
fascia di rispetto da 200 mt. a 100 mt.) “si
pone alla stregua di un vincolo assoluto di
inedificabilità che non consente in alcun
modo l'allocazione sia di edifici, che di
opere incompatibili col vincolo medesimo, in
considerazione dei molteplici interessi
pubblici che tale fascia di rispetto intende
tutelare e che possono enuclearsi nelle
esigenze di natura igienico sanitaria, nella
salvaguardia della peculiare sacralità che
connota i luoghi destinati all'inumazione e
alla sepoltura, nel mantenimento di un'area
di possibile espansione della cinta
cimiteriale.
Si consideri ancora che il vincolo di
rispetto cimiteriale, riguarda non solo i
centri abitati, ma anche i fabbricati sparsi
(cfr. TAR Milano, II Sez., 06.10.1993 n.
551).
Infine, che lo stesso vincolo preclude il
rilascio della concessione, anche in
sanatoria (ai sensi dell'art. 33 L.
28.02.1985 n. 47), senza necessità di
compiere valutazioni in ordine alla concreta
compatibilità dell'opera con i valori
tutelati dal vincolo (cfr. Cons. Stato, sez.
V, n. 1871 del 12.11.1999)” (cfr. C.S. V
n. 1935/2007).
Inoltre, trattandosi di un vincolo assoluto,
non può essere utile fare riferimento al
carattere derogatorio di cui all'art. 9
della L. n. 122/1989, in quanto, anche il
parcheggio interrato, in quanto struttura
servente all'uso abitativo e, comunque,
posta nell'ambito della fascia di rispetto
cimiteriale, rientra tra le costruzioni
edilizie del tutto vietate dalla
disposizione di cui al cit. art. 338 .
La stessa Corte costituzionale, investita
della questione di legittimità
costituzionale di tale art. 9 (sent.
459/1989), ha interpretato la norma nel
senso che il richiamo in essa contenuto al
soli vincoli paesaggistici non consente
l'indiscriminata utilizzazione del
territorio per la realizzazione di parcheggi
anche in zone soggette ad altri vincoli
imposti dalla legislazione statale e
regionale, che devono ritenersi fermi è
impregiudicati, atteso che l'efficacia
derogatoria di cui al citato art. 9 è
prevista solo con riferimento, “agli
strumenti urbanistici ed ai regolamenti
edilizi vigenti” mentre, nella
fattispecie, vengono in rilievo ulteriori e
diverse finalità specificamente tutelate dal
cit. art. 338, posto a fondamento del
provvedimento di diniego
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.09.2010 n. 6671 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il provvedimento di annullamento
del nulla-osta paesistico non ha natura di
atto recettizio.
La motivazione -resa dalla Commissione
comunale per il Paesaggio- sottesa al
rilascio di una autorizzazione paesaggistica
nella formula stereotipata del tipo:
"gli
interventi progettuali previsti risultano
compatibili con gli elementi caratterizzanti
l’ambito tutelato, proprio del sistema
paesistico, geomorfologico, naturalistico e
antropico esistente ed individuati in
premessa. In particolare, le opere previste
risultano essere di scarsa incidenza
rispetto alle peculiarità proprie dell'unità
di paesaggio interessata, determinando un
impatto visivo non rilevante, assolutamente
tollerabile, in piena compatibilità
paesistica" risulta, all’evidenza,
una motivazione
tautologica che nulla dimostra di quanto
afferma.
La giurisprudenza si è -ormai da tempo–
consolidata (cfr., ex plurimis, Cons.
St., Sez. VI, 09.10.2007 n. 5237; 05.03.2007
n. 1027, 16.03.2009 n. 1531, TAR Basilicata
04.04.2007 n. 271; TAR Lazio, Sez. II,
20.11.2008 n. 10460) nell’affermare che il
provvedimento di annullamento del nulla-osta
paesistico non ha natura di atto recettizio,
con la conseguenza che il termine
-perentorio- di 60 giorni previsto per la
sua adozione attiene al solo esercizio del
potere di annullamento da parte
dell'Amministrazione statale e non anche
alla comunicazione o notificazione ai
destinatari del provvedimento stesso.
L’autorità che esamina una domanda di
autorizzazione paesistica:
- deve manifestare la piena consapevolezza
delle conseguenze derivanti dalla
realizzazione delle opere nonché della
visibilità dell’intervento progettato nel
più vasto contesto ambientale e non può
fondarsi su affermazioni apodittiche, da cui
non si evincano le specifiche
caratteristiche dei luoghi e del progetto;
- deve verificare se la realizzazione del
progetto comporti una compromissione
dell’area protetta, accertando in concreto
la compatibilità dell’intervento col
mantenimento e l’integrità dei valori dei
luoghi.
In relazione ai poteri al riguardo spettanti
al Ministero, va ricordato che:
- il potere esercitato dall’Amministrazione
statale sulla autorizzazione paesaggistica
rilasciata dall’autorità regionale (o dalle
autorità subdelegate) va definito in termini
di "cogestione dei valori paesistici",
nel senso che esso costituisce espressione
di amministrazione attiva, nell’ambito di un
unitario procedimento complesso nel quale la
conclusione del procedimento è appannaggio
esclusivo all’amministrazione regionale (o a
quella delegata da quest’ultima) soltanto
nella ipotesi di diniego di autorizzazione,
mentre, al contrario, ove l’autorizzazione
sia accordata, essa costituisce il
presupposto formale la cui comunicazione al
Ministero attiva il necessario riesame del
contenuto dell’autorizzazione e dà avvio,
dunque, ad un’altra fase necessaria e non
autonoma, nella quale il Ministero può
annullare entro il prescritto termine di
sessanta giorni;
- l’Autorità statale può annullare
l’autorizzazione paesistica (oltre che per
il vizio di violazione di legge in senso
stretto e per quello di incompetenza) anche
quando risulti un suo profilo di eccesso di
potere (per sviamento, insufficiente
motivazione, difetto di istruttoria,
illogicità manifesta); la medesima Autorità
non può, viceversa, annullare
l’autorizzazione paesistica sulla base di
proprie considerazioni
tecnico-discrezionali, contrarie a quelle
effettuate dalla Regione o dall’Ente
subdelegato;
- l’esame della domanda di autorizzazione
paesaggistica da parte dell’Autorità statale
deve essere coerente con il piano paesistico
(ove sia stato emanato), si deve basare su
un’idonea istruttoria e deve rendere
un’adeguata motivazione (da cui devono
risultare le ragioni poste a base della
affermata prevalenza di un interesse diverso
da quello tutelato in via primaria) e deve
tenere conto del principio di leale
cooperazione che in materia domina i
rapporti tra il Ministero e le Regioni (cfr.
TAR Brescia 25.02.2008 n. 153).
---------------
Il D.M.
24.03.1976 ha dichiarato di notevole
interesse pubblico, apponendo il vincolo
paesaggistico, l'intero territorio di
Manerba del Garda con la seguente
motivazione: "riconosciuto che la zona
predetta ha notevole interesse pubblico
perché, degradante verso il lago,
caratterizzata dalla vegetazione tipica del
lago di Garda nell'alternanza di uliveti e
boschi, presenta particolare pregio in
quanto è costituita dai morbidi rilievi e
lente ondulazioni che con i retrostanti
colli morenici costituiscono i pregevoli
quadri panoramici godibili da numerosi punti
di vista. Inoltre detta zona è costituita da
caratteristici sparsi casolari che
presentano aspetti di interesse estetico e
tradizionale ed è circondata dei rilievi dei
territori finitimi già vincolati e visibili
dalla strada gardesana".
La Commissione paesaggistica comunale ha
espresso il proprio assenso al progetto
presentato dal Maruelli, dopo aver
richiamato il contenuto del vincolo, aver
valutato la completezza degli elaborati
progettuali presentati, aver richiamato la
relazione presentata dal progettista ed aver
valutato gli elementi di vulnerabilità e di
rischio in relazione all'intervento
proposto, con la seguente motivazione: "gli
interventi progettuali previsti risultano
compatibili con gli elementi caratterizzanti
l’ambito tutelato, proprio del sistema
paesistico, geomorfologico, naturalistico e
antropico esistente ed individuati in
premessa. In particolare, le opere previste
risultano essere di scarsa incidenza
rispetto alle peculiarità proprie dell'unità
di paesaggio interessata, determinando un
impatto visivo non rilevante, assolutamente
tollerabile, in piena compatibilità
paesistica".
Si tratta, all’evidenza, di motivazione
tautologica che nulla dimostra di quanto
afferma.
Peraltro, anche ove si volesse ritenere che
tale giudizio di compatibilità trovi
supporto nella relazione paesaggistica
presentata dal richiedente, pur tuttavia
sussistono rilevanti carenze istruttorie
della pratica poste in luce da parte della
Soprintendenza.
Invero, in applicazione delle direttive
regionali, spetta all’ente sub-delegato
effettuare la disamina delle criticità e la
giustificazione, con adeguata motivazione,
delle ragioni che inducono a ritenere che il
progetto assoggettato ad autorizzazione
paesaggistica non si ponga in contrasto con
le finalità del vincolo
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 14.09.2010 n. 3523 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Lombardia,
sulla localizzazione dei luoghi di culto di
diversa confessione religiosa e sul cambio
della destinazione d'uso, anche senza opere,
per ricavare un luogo di culto.
In sede di elaborazione degli strumenti
urbanistici i comuni, qualora ricevano
richieste di localizzazione di luoghi di
culto, possono legittimamente porsi soltanto
il problema dell’effettiva esigenza di
queste infrastrutture in relazione al numero
di soggetti interessati (anche su scala
sovracomunale se per le ridotte distanze o
per altri motivi risulti verosimile che il
bacino potenziale è più ampio del territorio
comunale: v. art. 72, comma 3, della LR
12/2005).
Una volta accertata l’esigenza di un luogo
di culto la localizzazione deve essere
necessariamente conforme alla proposta
presentata, qualora i promotori del progetto
abbiano la disponibilità degli immobili, in
quanto una diversa soluzione, coinvolgendo
diritti di terzi, equivarrebbe di fatto a un
diniego arbitrario.
Un diniego legittimo deve basarsi invece
sull’inidoneità del sito proposto, secondo
le normali valutazioni urbanistiche. In
questa fase la convenzione con i promotori
del progetto non è necessaria, almeno in via
generale, in quanto riguarda, come si è
visto sopra al punto 14, le concrete
modalità di realizzazione o sistemazione
dell’edificio.
Niente impedisce naturalmente che già nel
corso della stesura degli strumenti
urbanistici si raggiungano intese per
rimuovere eventuali ostacoli o per creare le
condizioni per l’inserimento del luogo di
culto nella programmazione urbanistica.
E' necessario esaminare le censure che si
riferiscono specificamente al cambio di
destinazione d’uso finalizzato alla
realizzazione di un luogo di culto.
Si tratta delle censure contenute nel sesto
e nel settimo motivo di ricorso, che
richiedono una valutazione congiunta. Gli
argomenti proposti non sono condivisibili
per le ragioni esposte qui di seguito:
(a)
innanzitutto non sono ravvisabili profili di
illegittimità costituzionale nell’art. 52,
comma 3-bis, della LR 12/2005, che impone
l’obbligo del permesso di costruire solo per
i cambi di destinazione d’uso relativi ad
alcuni edifici particolari (luoghi di culto,
centri sociali).
La norma vuole evitare che attraverso la
liberalizzazione dei cambi di destinazione
d’uso stabilita dall’art. 51 della LR
12/2005 siano realizzate innovazioni di
grande impatto sul tessuto urbano senza un
preventivo esame da parte
dell’amministrazione.
L’obiettivo è ragionevole, e non appare
discriminatorio proprio per l’indubbia
rilevanza sociale di questo tipo di edifici,
che rende preferibile il controllo
preventivo all’eventuale remissione in
pristino;
(b)
è corretto quanto afferma la ricorrente
circa la prevalenza delle qualificazioni del
DPR 380/2001 (disciplina nazionale omogenea
con riflessi penali) quando si tratta di
applicare le misure repressive degli abusi
edilizi.
Il fatto che l’art. 52 comma 3-bis della LR
12/2005 richieda il permesso di costruire
anche per i cambi di destinazione d’uso
senza opere non consente di equiparare
l’abuso della ricorrente a quelli
disciplinati dagli art. 31 e 33 del DPR
380/2001 (nuova costruzione, variazioni
essenziali, ristrutturazione pesante).
A proposito della ristrutturazione pesante
si osserva che in base all’art. 10, comma 1,
lett. c), del DPR 380/2001 può essere
considerato tale solo il cambio di
destinazione d’uso negli immobili compresi
nelle zone omogenee A;
(c)
la repressione del cambio di destinazione
d’uso operato dalla ricorrente non deve
quindi partire dal dato formale (necessità
del permesso di costruire) ma da quello
sostanziale (si tratta di un intervento
senza opere);
(d)
anche con questa precisazione non è però
possibile arrivare alla sanatoria
disciplinata dall’art. 53, comma 2, della LR
12/2005. Questa norma stabilisce che il
cambio di destinazione d'uso senza opere si
può sanare con il pagamento di una sanzione
amministrativa pecuniaria anche quando
risulti in contrasto con le previsioni
urbanistiche comunali.
Il confronto con l’art. 52, comma 2, della
LR 12/2005 chiarisce tuttavia che la
sanatoria non è possibile quando manchi la
conformità alla normativa
igienico-sanitaria, il che è in effetti
ragionevole se si considera il livello
sovraordinato degli interessi pubblici
collegati a quest’ultima (in particolare
l’interesse alla salute e alla sicurezza
collettiva);
(e)
nel caso dei luoghi di culto, come si è
visto sopra al punto 14, le questioni
igienico-sanitarie sono una parte rilevante
del contenuto della convenzione prevista
dall’art. 70, comma 2, della LR 12/2005.
Un cambio di destinazione d’uso senza opere
relativo a un luogo di culto non è quindi
sanabile con il meccanismo ordinario
dell’art. 53, comma 2, della LR 12/2005
proprio perché, mancando la convenzione,
manca la regolamentazione che è considerata
indispensabile per l’introduzione di un uso
non solo diverso da quello precedente ma del
tutto particolare e in grado di incidere in
modo significativo sul contesto sociale;
(f)
la convenzione potrebbe essere stipulata
anche a posteriori con effetto sanante, ma
appare comunque legittima la decisione del
Comune di bloccare immediatamente gli
effetti del cambio di destinazione d’uso per
il tempo necessario a valutare la situazione
e in attesa della presentazione di una
richiesta di permesso di costruire da parte
della ricorrente
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 14.09.2010 n. 3522 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla revoca, in autotutela, del
contratto d'appalto già stipulato.
La giurisprudenza ha distinto le ipotesi in
cui, successivamente alla stipulazione del
contratto, l'amministrazione, nell'esercizio
dei propri poteri di autotutela, abbia
rimosso gli atti dell'evidenza pubblica
dalle ipotesi di recesso o risoluzione del
contratto per fatti verificatisi in costanza
di rapporto.
La cognizione delle vicende riconducibili
alla prima ipotesi è attribuita alla
giurisdizione del giudice amministrativo, la
cognizione delle vicende riconducibili alla
seconda ipotesi è attribuita alla
giurisdizione del giudice ordinario.
In particolare si è affermato che
l'autotutela dell'amministrazione
appaltante, che -nella specie, per vizi
della procedura riguardanti la composizione
della commissione aggiudicatrice, rilevati
in sede cautelare dal giudice
amministrativo- sospenda gli effetti del
contratto già concluso, disponendo una nuova
gara, non attiene all'esecuzione del
contratto di diritto privato stipulato
successivamente agli atti di evidenza
pubblica, ma riguarda solo tali atti
prodromici, di modo che riguardo
all'esercizio dell'autotutela è
configurabile la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, in base all'art. 6
l. 21.07.2000 n. 205 (Cass., sez. un.,
01.03.2006, n. 4508).
Per quanto attiene invece alla diversa
ipotesi dell'esercizio del diritto di
recesso è stato affermato che spetta alla
giurisdizione del giudice ordinario la
controversia avente ad oggetto
l'accertamento della legittimità del recesso
di una p.a. da un contratto di affidamento
di pubblici servizi (C.S. V 13.07.2006 n.
4440). E, più in generale, si è affermato
che le questioni nascenti da un contratto di
appalto di lavori pubblici, dunque recesso ,
rescissione nonché risoluzione unilaterale
del rapporto, investono in via diretta ed
immediata posizioni di diritto soggettivo
scaturenti da un rapporto giuridico ormai
perfezionato ed operativo, onde non può
dubitarsi che ricadano nella giurisdizione
del giudice ordinario. Le suddette questioni
si collocano, infatti, nella fase di
esecuzione del contratto di appalto
(successiva a quella della scelta del
contraente) e gli atti posti in essere dalla
p.a. in tal frangente si caratterizzano per
l'evidente natura negoziale (C.S. V
30.01.2002 n. 515).
Si noti, ad abundantiam, che
l'amministrazione resistente ha utilizzato
nella specie un rimedio, quello del recesso
dal contratto d'opera ex art. 2237 c.c.,
riconosciuto dall'ordinamento in capo a
tutti i soggetti che hanno stipulato
contratti d'opera.
Nel caso di specie, pertanto,
l'Amministrazione non ha esercitato alcun
potere autoritativo.
In ogni caso deve rilevarsi come la
giurisdizione del giudice ordinario sulle
controversie inerenti ai diritti e agli
obblighi derivanti da un contratto di
appalto di opere o di servizi pubblici non
resta esclusa per il fatto che il
committente si sia avvalso della facoltà,
prevista dal contratto o dalla legge, di
rescindere il rapporto, attesa l'inidoneità
dell'atto rescindente ad incidere sulle
posizioni soggettive nascenti dal contratto
ed aventi, per ciò stesso, consistenza di
diritti soggettivi. Di conseguenza detto
provvedimento, ancorché rivestito delle
forme dell'atto amministrativo, non cessa di
operare nell'ambito delle paritetiche
posizioni contrattuali, onde le
contestazioni che investono tale forma di
autotutela appartengono alla giurisdizione
del giudice ordinario (Cass. sez. un. 5
giugno 2006 n. 13170) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 14.09.2010 n. 3548 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Le amministrazioni pubbliche, in
alternativa allo svolgimento di una
procedura di evidenza pubblica di scelta del
contraente, possono stipulare con altra
amministrazione pubblica un accordo a titolo
oneroso cui affidare il servizio.
Il diritto comunitario non impone in alcun
modo alle autorità pubbliche di ricorrere ad
una particolare forma giuridica per
assicurare in comune le loro funzioni di
servizio pubblico, consentendo, invece, alle
amministrazioni aggiudicatrici, in
alternativa allo svolgimento di una di
procedura di evidenza pubblica di scelta del
contraente, di stipulare un accordo a titolo
oneroso con altra amministrazione pubblica,
cui affidare il servizio (sentenza CGE
09.06.2009, C-480/06, par. n. 47).
Una cooperazione del genere tra autorità
pubbliche non può rimettere in questione
l'obiettivo principale delle norme
comunitarie in materia di appalti pubblici,
vale a dire la libera circolazione dei
servizi e l'apertura alla concorrenza non
falsata in tutti gli Stati membri, poiché
l'attuazione di tale cooperazione è retta
unicamente da considerazioni e prescrizioni
connesse al perseguimento di obiettivi
d'interesse pubblico e poiché viene
salvaguardato il principio della parità di
trattamento degli interessati di cui alla
direttiva 92/50, cosicché nessun impresa
privata viene posta in una situazione
privilegiata rispetto ai suoi concorrenti
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.09.2010 n. 6548 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI:
Piani comunali, architetti senza
esclusiva.
Nessuna esclusiva agli
architetti per gli incarichi relativi ai
Piani di governo del territorio comunale.
A dirlo il Consiglio di Stato Sez. V che,
nella
sentenza 10.09.2010 n. 6548,
boccia il ricorso sollevato dall'ordine
degli architetti della regione Lombardia e
dal Consiglio nazionale (costituito in
giudizio per sostenere le ragioni
dell'ordine territoriale) in merito
all'esclusione della categoria da una
selezione per l'affidamento di un incarico
di studio e consulenza tecnico-scientifica
per la redazione del Piano di governo del
territorio indetta dal comune di Pavia.
La riserva della selezione destinata,
infatti, solo agli istituti universitari, e
non a tutti gli altri operatori «particolarmente
dei liberi professioni operanti nel settore»,
ha sollevato le ire dell'ordine degli
architetti lombardi che aveva chiesto
l'annullamento dell'avviso della selezione
anche per «il prospettato conflitto di
interessi tra appartenenti alla medesima
categoria rappresentata».
Tutte motivazioni però respinte al mittente
già in primo grado, ma non sufficienti per
gli architetti che hanno deciso di
presentarsi davanti ai giudici di Palazzo
Spada. Questi in sostanza ribadiscono la
decisione già presa dal Tar della Lombardia
che aveva sancito come «il diritto
comunitario non impone in alcun modo alle
autorità pubbliche di ricorrere a una
particolare forma giuridica per assicurare
in comune le loro funzioni consentendo,
invece, alle amministrazioni aggiudicatrici,
in alternativa allo svolgimento di una
procedura di evidenza pubblica di scelta del
contraente, di stipulare un accordo a titolo
oneroso con altra amministrazione pubblica,
cui affidare il servizio".
Gli appellanti, poi avevano fatto leva su
una sentenza precedente (23.12.2009 in
C-305/08) con la quale si era affermato «che
i servizi offerti alle amministrazioni
aggiudicatrici da organismi che non agiscono
in base a un preminente fine di lucro
debbono considerarsi come appalti pubblici
soggetti alle regole della trasparenza e
della parità di trattamento». Anche
questo secondo il Consiglio di stato non è
corretto perché nella giurisprudenza
comunitaria è riconosciuta la possibilità
che le amministrazioni pubbliche, «ferma
la loro legittimazione a concorrere alla
pari delle imprese private nelle pubbliche
gare, concludano accordi diretti per il
perseguimento di fini di interesse pubblico»
(articolo ItaliaOggi del 18.09.2010, pag.
30). |
APPALTI FORNITURE:
E' legittima la prescrizione del
disciplinare di gara, stabilita a pena di
esclusione, relativa all'allegazione della
duplice certificazione di qualità per il
fabbricante, qualora le due certificazioni
assolvano tra di loro una funzione
complementare.
E' legittima la prescrizione del
disciplinare di gara, stabilita a pena di
esclusione, relativa all’allegazione della
duplice certificazione di qualità per il
fabbricante, qualora le due certificazioni
assolvano tra di loro una funzione
complementare.
Nel caso di specie, il disciplinare
richiedeva a pena di esclusione, per una
gara per la fornitura di guanti, il possesso
del certificato di conformità alle norme UNI
EN ISO 13485/2004, con specifico riferimento
ai dispositivi medici, ed il certificato
generico di conformità alle norme ISO
9001:2000 per il fabbricante (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 10.09.2010 n. 6530 -
link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità
dell'affidamento del servizio di refezione
scolastica di un comune attraverso il
modello della gestione associata tra comuni
e gestione del servizio condotta a mezzo di
una istituzione.
Ai fini della distinzione tra servizi
pubblici locali di rilevanza economica e
servizi privi di tale rilevanza è necessario
far ricorso ad un criterio relativistico che
tenga conto delle peculiarità del caso
concreto.
Le istituzioni, seppure dotate di autonomia
gestionale, quali organismi strumentali sono
soggetti istituzionalmente dipendenti dagli
enti locali e sono parte dell'apparato
amministrativo che fa capo al Comune; come
tali, le stesse possono, nell'ambito degli
speciali moduli convenzionali o consorziali
tra enti locali previsti dalle norme
legislative e regolamentari, essere
affidatarie di servizi pubblici sociali
privi di rilevanza economica per la gestione
comune tra più enti locali. Pertanto, non
sussistono, nel caso di specie, ostacoli
normativi al ricorso da parte di un comune,
per la gestione del servizio di refezione
scolastica, al ricorso al modulo della
gestione associata ex art. 30 d.lgs. n.
18.08.2000, n. 267, tramite convenzione col
limitrofo comune, avvalendosi quest'ultimo
per la gestione del servizio, di una
istituzione proprio organismo strumentale,
considerato che si tratta di un servizio
privo di rilevanza economica.
Ai fini della distinzione tra servizi
pubblici locali di rilevanza economica e
servizi pubblici locali privi di tale
rilevanza, a fronte della rilevata
inidoneità di criteri distintivi di natura
astratta, sostanzialistica e/o ontologica,
occorre far ricorso ad un criterio
relativistico, che tenga conto delle
peculiarità del caso concreto, quali la
concreta struttura del servizio, le concrete
modalità del suo espletamento, i suoi
specifici connotati economico-organizzativi,
la natura del soggetto chiamato ad
espletarlo, la disciplina normativa del
servizio.
Pertanto, applicando siffatto criterio
relativistico e contestualizzante al caso di
specie, riguardante l'assegnazione del
servizio di refezione scolastica nelle
scuole del territorio comunale attraverso il
modulo della gestione associata ex art. 30
d.lgs. n. 18.08.2000, n. 267, a mezzo di una
Istituzione, si giunge alla conclusione che
si versi in fattispecie di servizio in
concreto privo di rilevanza economica
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.09.2010 n. 6529 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un concorrente da una gara per omessa
dichiarazione circa la condanna penale
subita dal rappresentante della mandante,
essendo irrilevante, ai fini
dell'esclusione, la sua ignoranza o buona
fede.
L'art. 38, c. 1, lett. c) e c. 2 del D.lgs.
n. 163/2006, richiede che le imprese
partecipanti ad una gara d'appalto
dichiarino le condanne subite per i reati
ivi specificatamente elencati nonché quelle
conseguenti a reati gravi in danno dello
Stato o della Comunità incidenti sulla
moralità professionale.
Inoltre, l'Autorità di Vigilanza, con il
parere di cui alla Determinazione n. 1/2010,
ha precisato che "Gli operatori economici
hanno l'obbligo di dichiarare qualsiasi
condanna o violazione relativa alle
fattispecie indicate alla lett. c)", in
quanto "la valutazione della gravità
della condanna dichiarata, e della sua
incidenza sulla "moralità professionale",
non è rimessa all'apprezzamento dell'impresa
concorrente ma alla valutazione della
stazione appaltante".
Pertanto, nel caso di specie, poiché è stata
omessa la dichiarazione circa la condanna
subita dal rappresentante della mandante,
condanna che, rientrando fra quelle
individuate dal citato art. 38, non riguarda
un reato nelle more estinto, essendo
irrilevante ai fini dell'esclusione, la sua
ignoranza o buona fede, è legittimo il
provvedimento di esclusione, nonché
l'irrogazione delle sanzioni accessorie, la
cui applicazione interviene anche in caso di
omessa dichiarazione in ordine ai requisiti
di carattere generale (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 10.09.2010 n. 4681 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La decadenza della concessione
edilizia per mancata osservanza del termine
di inizio e di completamento dei lavori
ovvero per sopravvenuta incompatibilità con
lo strumento urbanistico sopravvenuto, opera
di diritto, con la conseguenza che il
provvedimento, ove adottato, ha carattere
meramente dichiarativo di un effetto
verificatosi ex se con l'inutile decorso del
termine.
Il Collegio condivide infatti quella parte
della giurisprudenza amministrativa (cfr.
TAR Campania Napoli, sez. II, 30.01.2009, n.
542; TAR Campania Napoli, sez. II,
21.11.2006, n.10044) che ritiene che la
decadenza della concessione edilizia per
mancata osservanza del termine di inizio e
di completamento dei lavori ovvero per
sopravvenuta incompatibilità con lo
strumento urbanistico sopravvenuto, opera di
diritto, con la conseguenza che il
provvedimento, ove adottato, ha carattere
meramente dichiarativo di un effetto
verificatosi ex se con l'inutile
decorso del termine.
Da ciò consegue che l'eventuale
provvedimento di decadenza è
sufficientemente motivato con il richiamo
alla norma applicata, senza che sia
necessaria una comparazione tra l'interesse
del privato e quello pubblico, essendo
quest'ultimo ope legis prevalente sul
primo e non è necessaria la comunicazione di
avvio del procedimento, essendo la decadenza
un effetto che si verifica ipso iure, senza
che residui all'amministrazione alcun
margine per valutazioni di ordine
discrezionale
(TAR Bsasilicata,
sentenza 10.09.2010 n. 593 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'inizio dei lavori, del permesso
di costruire, deve avvenire entro l'anno
dalla data di rilascio e non dalla data di
ritiro dello stesso.
Deve
premettersi che il permesso di costruire “de
quo” -riprendendo la formula dell’art.
15 T.U. dell’Edilizia- disponeva che
l’inizio dei lavori avvenisse entro un anno
dal rilascio e non dal ritiro del titolo.
Prima dell’entrata in vigore del T.U. la
giurisprudenza riteneva che il termine di
inizio lavori decorreva dalla conoscenza del
titolo e non dal mero rilascio (cfr. TAR
Veneto, III, 29/07/2005 n. 3047). Ci si
spingeva pure a far decorrere il termine dal
ritiro del titolo edilizio.
Ora però la legge parlando di “rilascio”
(comma 2: <<Il termine per l’inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno
dal rilascio del titolo…>>) sembra porre
a carico del richiedente il permesso l’onere
di darsi da fare per informarsi se il titolo
edilizio sia stato o meno rilasciato.
Se così è, nella specie, essendo il permesso
“de quo” stato rilasciato in data
16/12/2005, il termine annuale iniziava a
decorrere dal giorno successivo
(TAR Bsasilicata,
sentenza 10.09.2010 n. 593 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La stazione appaltante è tenuta
ad autorizzare il subappalto anche di
singole prestazioni: condizioni.
Deve essere annullato il provvedimento di
diniego opposto da una stazione appaltante
relativamente all'istanza con cui la società
ricorrente aveva chiesto di poter
subappaltare una delle prestazioni (posa in
opera) ricomprese in una delle lavorazioni
(fornitura di materiale e relativa posa in
opera) facenti parte dell'appalto di cui era
risultata aggiudicataria in quanto, se da un
lato le limitazioni imposte dalla legge alla
possibilità di accedere al subappalto
rispondono all'esigenza di evitare che siano
affidati in subappalto a prezzi troppo
bassi, l'esecuzione di lavorazioni o
prestazioni facenti parte delle lavorazioni
previste dal bando, dall'altro neppure si
può precludere la possibilità di farvi
ricorso limitatamente all'esecuzione di
alcune prestazioni.
Pertanto, perché possa farsi ricorso a
siffatta forma contrattuale, è necessario
scomporre il prezzo unitario delle singole
lavorazioni indicando i prezzi unitari delle
prestazioni ricomprese nelle suddette
lavorazioni al fine di consentire alla
stazione appaltante di verificare il
rispetto del limite previsto dal c. 4
dell'art. 118 del d.lgvo n.163/2006, che
impone all'appaltatore di praticare al
subappaltatore gli stessi prezzi del
contratto di appalto con un ribasso che non
risulti superiore al 20%.
In altre parole, deve ritenersi che qualora
l'affidatario intenda subappaltare singole
prestazioni contrattuali, il limite del 20%
deve essere riferito al prezzo di queste
ultime come specificatamente indicato in
sede di offerta, per cui in presenza di tale
presupposto e delle altre condizioni
indicate dal c. 2, dell'art. 118 del d.lgvo
n. 163/2006, la stazione appaltante è tenuta
ad autorizzare il subappalto anche di
singole prestazioni (TAR Lazio-Roma, Sez.
III,
sentenza 08.09.2010 n. 32140 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Atto meramente confermativo - Nozione.
L’atto meramente confermativo consiste in
una determinazione priva del carattere della
innovatività, con la quale
l’amministrazione, piuttosto che determinare
un nuovo assetto degli interessi in gioco
previa valutazione dell’interesse pubblico
perseguito, si limiti a rinviare la
regolamentazione della fattispecie ad una
propria precedente determinazione
(richiamandone l’esistenza), senza compiere
alcuna nuova istruttoria e senza una nuova
motivazione; esso è pertanto caratterizzato
dalla sostanziale identità della parte
dispositiva rispetto al precedente
provvedimento, senza l’acquisizione di nuovi
elementi di fatto ovvero senza una nuova
valutazione dei fatti preesistenti,
implicando quindi non già una nuova autonoma
determinazione dell'amministrazione, sia
pure identica nel contenuto alla precedente,
ma solo una mera manifestazione della
decisione dell'amministrazione di non
ritornare sulle scelte già effettuate
(C.d.S., sez. VI, 11.05.2007, n. 8853; sez.
V, 29.12.2009, n. 8853; 04.03.2008, n. 797)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2010 n. 6522 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Impianti termici
civili - Combustibili con contenuto di zolfo
non superiore all’1% - D.lgs. n. 152/2006 -
Delibera regionale con disposizioni
maggiormente restrittive - Potere regionale
di adottare misure a tutela della qualità
dell’ambiente - Delibera 96/62/CE del 4
agosto 1999, n. 351.
Secondo il decreto legislativo 03.04.2006,
n. 152, negli impianti termici civili è
consentito, tra l’altro, l’uso dell’olio
combustibile e di altri distillati pesanti
di petrolio con contenuto di zolfo non
superiore all’1%; tale riconoscimento non
comporta tuttavia sic et simpliciter
l’illegittimità della delibera (nella
specie, di limitazione all’utilizzazione di
specifici combustibili per il riscaldamento
civile nelle zone definite “critiche”,
“di risanamento” e “di
mantenimento”) che si inquadra
nell’ambito delle misure, la cui adozione
spetta alle Regioni, per tutelare la qualità
dell’ambiente aria al fine di prevenire,
eliminare o ridurre gli effetti nocivi
dell’inquinamento atmosferico sulla salute
umana e, in generale, sull’ambiente, in
attuazione della delibera 96/62/CE del
04.08.1999, n. 351.
INQUINAMENTO - Regioni -
Tutela dell’ambiente - Limitazione di un
olio combustibile astrattamente utilizzabile
secondo la normativa generale - Fondamento -
Limiti - D.P.C.M. 08.03.2002 - Art. 281, c.
3 d.lgs. n. 152/2006.
Le Regioni hanno l’obbligo di rilevare
obiettivamente la situazione di
inquinamento, individuandone anche le
ragioni ed i singoli fattori responsabili, e
di valutare altrettanto obiettivamente,
attraverso la misurazione dei singoli
fattori di inquinamento ed il loro
monitoraggio anche con riferimento ai valori
soglia prestabiliti, le misure più adeguate
per il conseguimento della finalità di
tutela dell’ambiente aria, secondo
programmi, azioni ed obiettivi: è del tutto
ragionevole pertanto ritenere che
l’amministrazione regionale possa anche
limitare l’uso di un olio combustibile,
quand’anche astrattamente ritenuto
assolutamente utilizzabile secondo la
generale normativa in materia ambientale, se
esso, con riferimento ad una particolare
area geografica, previamente definitiva, ed
in ragione della peculiare situazione di
incremento di quest’ultimo, da solo o per
effetto dell’azione combinata con altri
fattori inquinanti possa determinare il
superamento della soglia dei valori limiti
di inquinamento.
Tale potere regionale trova anche positivo
fondamento nel D.P.C.M. 08.03.2002,
espressamente rimasto in vigore, quanto al
titolo II, per effetto della previsione di
cui al terzo comma dell’articolo 290 del
decreto legislativo 03.04.2006, n. 152,
relativamente agli impianti temici civili di
cui all’articolo 281, comma 3, fino alla
data in cui è effettuato l’adeguamento
disposto dalle autorizzazioni rilasciate ai
sensi dell’articolo 281, comma 2.
Infatti l’articolo 11 del citato D.P.C.M.
08.03.2002 (collocato proprio nel titolo II)
espressamente prevede che le Regioni,
nell’ambito dei piani e programmi di cui
agli articoli 8 e p del decreto legislativo
04.08.1999, n. 351, possano limitare l’uso
tra l’altro degli oli combustibili, ove tale
misura sia stata necessaria per il
conseguimento degli obiettivi dell’aria
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2010 n. 6522 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sull'obbligo del versamento del
contributo in favore dell'Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici e
conseguenze nel caso di versamento inferiore
all'importo previsto (fattispecie
riguardante una gara per l'affidamento del
servizio di tesoreria).
L'obbligo del versamento generalizzato del
contributo all'Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici a tutti gli operatori
economici che intendano partecipare a
procedure di scelta del contraente, si fonda
sull'art. 1, c. 67, della l. n. 266 del
2005, che è stato regolato con deliberazione
10.01.2007, art. 1, lett. b), dell'Autorità
di vigilanza sui contratti pubblici. Ciò
implica il superamento di ogni distinzione
tra i vari tipi di affidamento previsti dal
codice dei contratti pubblici (d.lgvo
12.04.2006, n. 163) in tutti i casi nei
quali sia prevista una procedura comparativa
o comunque selettiva.
L'estensione dei compiti di vigilanza
attribuiti all'Autorità per la Vigilanza sui
contratti pubblici,infatti, ha comportato
anche l'ampliamento del novero dei soggetti
tenuti al pagamento del contributo in suo
favore, nel settore dei servizi e delle
forniture, perché sottoposti comunque alla
vigilanza dell'organo di controllo,
concernendo quindi anche i contratti in
tutto o in parte esclusi dall'ambito di
applicazione del Codice dei contratti, in
quanto soggetti al potere di vigilanza
dell'Autorità.
Ne consegue che, nel caso di specie, è
necessario il versamento del contributo
previsto in favore della predetta Autorità
di vigilanza nel caso di gara per
l'affidamento del servizio di tesoreria
comunale, sebbene il contratto di tesoreria
sia del tutto gratuito. Inoltre, il
pagamento del contributo costituisce una
condizione di ammissibilità dell'offerta
così che un versamento in misura non
corrispondente a quella dovuta implica
l'inammissibilità della proposta
contrattuale (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2010 n. 6515 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Si ritiene conforme alla
disciplina legislativa e di gara
l'esclusione del raggruppamento che,
nell'offerta tecnica in versione informatica
(ma non in quella cartacea), aveva corredato
di prezzi il computo metrico estimativo,
rendendo così esplicito nell'ambito della
documentazione di tipo tecnico, l'incidenza
dei costi per oltre il nove per cento del
totale.
Si ritiene conforme alla disciplina
legislativa e di gara l’esclusione del
raggruppamento che, nell’offerta tecnica in
versione informatica (ma non in quella
cartacea), aveva corredato di prezzi il
computo metrico estimativo, rendendo così
esplicito nell’ambito della documentazione
di tipo tecnico, l’incidenza dei costi per
oltre il nove per cento del totale.
Infatti, l'esame delle offerte economiche
prima di quelle tecniche costituisce una
palese violazione dei principi inderogabili
di trasparenza e di imparzialità che devono
presiedere le gare pubbliche in quanto la
conoscenza preventiva dell'offerta economica
consente di modulare il giudizio
sull'offerta tecnica in modo non conforme
alla parità di trattamento dei concorrenti e
tale possibilità, ancorché remota ed
eventuale, inficia la regolarità della
procedura (C.d.S., V, 25.05.2009, n. 3217)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2010 n. 6509 -
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APPALTI:
Deve ritenersi che non abbia
titolo ad essere risarcita ex articolo 1337
c.c. l'impresa che abbia presentato domanda
di partecipazione a una procedura ad
evidenza pubblica, che la stazione
appaltante abbia revocato in costanza del
termine per scadenza delle domande di
partecipazione.
Deve ritenersi che non abbia titolo ad
essere risarcita ex articolo 1337 c.c.
l’impresa che abbia presentato domanda di
partecipazione a una procedura ad evidenza
pubblica, che la stazione appaltante abbia
revocato in costanza del termine per
scadenza delle domande di partecipazione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2010 n. 6489 -
link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Ogni volta che un’opera comporta
un mutamento della situazione di fatto che
permette un aumento dell’utilizzo di un
immobile con aggravio per i servizi
esistenti, si verifica un aumento del carico
urbanistico e, quindi, si verifica il
presupposto per il pagamento degli oo.uu..
La giurisprudenza ha chiarito che
presupposto per il pagamento degli oneri è
costituito dall’aumento del carico
urbanistico. Il concetto di "carico
urbanistico" non è definito dalla
vigente legislazione, ma è in concreto preso
in considerazione in vari istituti di
diritto urbanistico.
Come reiteratamente affermato, questa
nozione deriva dall'osservazione che ogni
insediamento umano è costituito da un
elemento cd. primario (abitazioni, uffici,
opifici,negozi) e da uno secondario di
servizio (opere pubbliche in genere, strade,
fognature, elettrificazione, servizio
idrico, etc.) che deve essere proporzionato
all'insediamento primario (Cass. pen Sez.
III 11.07.2007 n. 27045).
Ogni volta che un’opera comporta un
mutamento della situazione di fatto che
permette un aumento dell’utilizzo di un
immobile con aggravio per i servizi
esistenti, si verifica un aumento del carico
urbanistico (TAR Lombadia-Milano, Sez. IV,
sentenza 08.09.2010 n. 5168 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nel caso di collegamento
sostanziale, deve essere provata in concreto
l'esistenza di elementi oggettivi e
concordanti, tali da ingenerare pericolo per
il rispetto dei principi di segretezza,
serietà delle offerte e par condicio tra i
concorrenti.
La segretezza e la serietà delle offerte sono la traduzione e la garanzia
del perseguimento dell’interesse pubblico.
Poiché segretezza e serietà possono essere
aggirate anche mediante situazioni di
collegamento tra imprese, l’esigenza della
tutela di tale interesse consente
l’esclusione di offerte che provengano da
concorrenti tra loro collegate, non solo e
non tanto per tale situazione in sé
considerata, ma per gli effetti che essa
effettivamente produce sulle regole del
confronto pubblico.
Nella sentenza in commento si evidenzia che
nel caso di collegamento sostanziale deve
essere provata in concreto l’esistenza di
elementi oggettivi e concordanti, tali da
ingenerare pericolo per il rispetto dei
principi di segretezza, serietà delle
offerte e par condicio tra i concorrenti. Di
conseguenza, è consentito alla stazione
appaltante prevedere e comminare
l’esclusione delle offerte quando specifici
elementi oggettivi e concordanti inducano a
ritenere la sussistenza di situazioni, non
riconducibili alle forme di collegamento
societario di cui all’art. 2359 cod. civ.,
capaci di alterare la segretezza, la serietà
e l’indipendenza delle offerte, purché
l’individuazione non oltrepassi il limite
della ragionevolezza e della logicità
rispetto alla tutela avuta di mira e
consistente nella autentica concorrenza tra
le offerte.
Nel caso di specie, la situazione di
collegamento è stata riscontrata dalla
commissione di gara innanzitutto sulla base
di elementi desunti dalle modalità di
presentazione delle offerte (buste spedite
lo stesso giorno e dal medesimo ufficio
postale, garanzia fideiussoria rilasciata
dalla medesima agenzia e con polizze emesse
in sequenza e lo stesso giorno, somiglianza
della veste grafica e coincidenza tra le
residenze anagrafiche dei legali
rappresentanti) che, di per sé, non sono
tali da far necessariamente presumere una
situazione di collegamento (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 06.09.2010 n. 6469 -
link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
Il collegamento tra imprese
legittima l’esclusione dalla gara quando
altera l’indipendenza delle offerte.
Se è vero che il collegamento -così come il
controllo- tra imprese è di per sé
legittimo, è altrettanto incontestabile che
ben può e deve l’Amministrazione, a tutela
della regolarità ed effettività della
competizione, evitare situazioni distorsive
del confronto mediante l’esclusione dalla
gara delle offerte che risultino frutto di
accordi tesi ad influenzarne il risultato.
In altre parole, l’ordinamento, che consente
e prevede il controllo tra imprese, quale
espressione della libertà di iniziativa
economica, vieta espressamente alle società
controllate di partecipare alle gare: ciò
significa che diversi sono i piani sui quali
agiscono le diverse norme, e diverse sono le
sfere di interessi dei quali sono posti a
presidio, rimanendo fermo che, nel campo
delle gare pubbliche, la segretezza e la
serietà delle offerte sono la traduzione e
la garanzia del perseguimento dell’interesse
pubblico.
E poiché segretezza e serietà possono essere
aggirate anche mediante situazioni di
collegamento tra imprese, il medesimo
principio consente l’esclusione di offerte
che provengano da concorrenti tra loro
collegate, non solo e non tanto per tale
situazione in sé considerata, ma per gli
effetti che essa effettivamente produce
sulle regole del confronto pubblico.
E’ dunque consentito alla stazione
appaltante prevedere e comminare
l’esclusione delle offerte quando specifici
elementi oggettivi e concordanti inducano a
ritenere la sussistenza di situazioni, non
riconducibili alle forme di collegamento
societario di cui all’art. 2359 cod. civ.,
capaci di alterare la segretezza, la serietà
e l’indipendenza delle offerte, purché
l’individuazione non oltrepassi il limite
della ragionevolezza e della logicità
rispetto alla tutela avuta di mira e
consistente nella autentica concorrenza tra
le offerte (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 06.09.2010 n. 6469 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla questione della possibile
edificazione in assenza di uno strumento
attuativo in aree già urbanizzate in tutto o
in parte ed in relazione a distinte
soluzioni interpretative in rapporto alle
diverse situazioni concrete di volta in
volta emergenti.
Con riguardo alla questione della possibile
edificazione in assenza di uno strumento
attuativo in aree già urbanizzate in tutto o
in parte, questo Tribunale amministrativo
regionale ha indicato distinte soluzioni
interpretative in rapporto alle diverse
situazioni concrete di volta in volta
emergenti (cfr., ex multis, TAR
Campania, Napoli, sez. IV, 25.01.2005 n.
359).
Così, nel caso in cui debbano asservirsi per
la prima volta all’edificazione, mediante la
costruzione di uno o più fabbricati, aree
non ancora urbanizzate (che obiettivamente
richiedano, per il loro armonico raccordo
col preesistente aggregato abitativo, la
realizzazione delle opere di urbanizzazione
primaria e secondaria), si è affermata la
necessità dello strumento attuativo (piano
di lottizzazione o piano particolareggiato),
quale presupposto per il rilascio del
permesso di costruire.
E’ evidente che, in tale prima fattispecie,
nella quale l’integrità d’origine del
territorio non è sostanzialmente vulnerata,
deve essere rigorosamente rispettata la
cadenza, in ordine successivo,
dell’approvazione del piano regolatore
generale e della realizzazione dello
strumento urbanistico d’attuazione, che
garantisce una pianificazione razionale e
ordinata del futuro sviluppo del territorio
dal punto di vista urbanistico.
Viceversa, nel caso inverso di lotto
intercluso o in altri analoghi casi nei
quali la zona risulti totalmente
urbanizzata, attraverso la realizzazione
delle opere e dei servizi atti a soddisfare
i necessari bisogni della collettività
–quali strade, spazi di sosta, fognature,
reti di distribuzione del gas, dell’acqua e
dell’energia elettrica, scuole–, la
pianificazione esecutiva non può ritenersi
più necessaria e non può, pertanto, essere
consentito all’ente locale un rifiuto al
rilascio del titolo abilitativo basato sul
solo argomento formale della mancata
emanazione della strumentazione urbanistica
di dettaglio (Cons. Stato, sez. IV,
04.12.2007, n. 6171).
Del resto, oscillazioni possono cogliersi
nella giurisprudenza nelle situazioni
intermedie, nelle quali il territorio
risulti già più o meno intensamente
urbanizzato.
In tali casi, caratterizzati da una
sostanziale, anche se non completa
urbanizzazione, è stata reputata
convincente, in quanto operante un
equilibrato contemperamento dei diversi
interessi in gioco, la soluzione
interpretativa per la quale la mancanza
dello strumento attuativo può essere
invocata a fondamento del diniego del titolo
abilitativo edilizio soltanto nel caso in
cui l’amministrazione abbia adeguatamente
valutato lo stato di urbanizzazione già
presente nella zona ed abbia congruamente
evidenziato le concrete e ulteriori esigenze
indotte dalla nuova costruzione (cfr., ex
multis, TAR Campania, Napoli, sez. IV,
02.03.2000, n. 596; 18.05.2000, n. 1413)
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.09.2010
n. 17298 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'obbligo di cessione gratuita di
aree per standards non può essere imposto in
sede di rilascio di un permesso di costruire
‘semplice’, essendo diverso e aggiuntivo
rispetto all’obbligo di corresponsione del
contributo per opere di urbanizzazione posto
a carico del richiedente il titolo edilizio
ed afferendo, di regola, a convenzioni di
lottizzazione o a strumenti attuativi
preventivi di carattere urbanistico.
La
giurisprudenza ha chiarito che l'obbligo di
cessione gratuita di aree per standards non
può essere imposto in sede di rilascio di un
permesso di costruire ‘semplice’,
essendo diverso e aggiuntivo rispetto
all’obbligo di corresponsione del contributo
per opere di urbanizzazione posto a carico
del richiedente il titolo edilizio ed
afferendo, di regola, a convenzioni di
lottizzazione o a strumenti attuativi
preventivi di carattere urbanistico;
cosicché esso deve escludersi in caso di
intervento diretto in zone di completamento
(TAR Campania, Napoli, sez. IV, 25.01.2005,
n. 359) (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.09.2010
n. 17298 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul diritto di accesso in materia
di appalti pubblici.
Il diritto di accesso è riconosciuto dagli
artt. 22 e ss. della l. n. 241 del
07.08.1990, come fondamentale presidio a
salvaguardia delle esigenze di tutela dei
soggetti destinatari dell'azione
amministrativa nonché come strumento
essenziale al perseguimento della
trasparenza e dell'imparzialità nella
pubblica amministrazione, a chiunque abbia
un interesse personale e concreto.
L'interesse che sorregge il diritto di
accesso è quello concretamente collegato
alle esigenze specifiche del richiedente,
vale a dire agli atti che direttamente lo
riguardino o siano, in ogni caso, pertinenti
con le particolari ragioni esposte a
sostegno dell'istanza. Ne consegue, che, nel
caso di specie la ricorrente, avendo
partecipato alla selezione pubblica ed
avendo intenzione di impugnarne le
risultanze, ha un interesse giuridicamente
rilevante a conoscere compiutamente
l'offerta prodotta dalla controinteressata
vincitrice e quindi sussistono le condizioni
richieste dalla legge per l'esercizio del
diritto di accesso.
In materia di procedure concorsuali,
qualunque sia il procedimento selettivo
usato, il candidato è portatore di un
interesse qualificato alla conoscenza degli
atti e documenti della commissione
giudicatrice e comunque di tutti quelli
della procedura -compresi quelli dei
concorrenti che lo precedono nella
graduatoria finale- atteso che tali atti per
pacifica giurisprudenza esulano dal diritto
alla riservatezza. In particolare per i
pubblici appalti va osservato che
l'applicazione generalizzata dell'esclusione
dall'accesso prevista dall'art. 13, c. 5,
del codice di cui al d.lgs. 163/2006 a
tutela del segreto d'impresa, nel senso di
riferirla (non solo ai terzi non concorrenti
ma) anche alle altre imprese partecipanti
alla procedura di affidamento, comporterebbe
un'intollerabile compromissione della
necessaria trasparenza delle gare di appalto
e delle possibilità di tutela
giurisdizionale di chi intenda contestare
l'esito della gara. D'altra parte il
medesimo art. 13 al c. 6 del d.lgs. 163/2006
stabilisce che, anche in relazione
all'ipotesi di ricorrenza di segreti
industriali o commerciali, "è comunque
consentito l'accesso al concorrente che lo
chieda in vista della difesa in giudizio dei
propri interessi in relazione alla procedura
di affidamento del contratto nell'ambito
della quale viene formulata la richiesta di
accesso";
Con la partecipazione alla gara di appalto
il concorrente accetta implicitamente le
regole di trasparenza ed imparzialità che
caratterizzano la selezione, per cui non
potrebbe dedurre la tutela alla riservatezza
a discapito della trasparenza della gara di
appalto, fermo restando l'obbligo, per la
parte richiedente l'accesso documentale, di
impegnarsi a non divulgare in alcun modo la
documentazione acquisita e di utilizzare i
documenti acquisiti esclusivamente per la
cura e la difesa dei suoi interessi
giuridici; in altri termini l'esigenza di
riservatezza è, quindi, recessiva di fronte
all'accesso laddove il diritto sia
esercitato per la difesa di un interesse
giuridico, nei limiti in cui esso è
necessario alla difesa di quell'interesse;
al più, l'Amministrazione potrà intervenire
con opportuni accorgimenti (cancellature o
omissis) in relazione alle eventuali parti
dell'offerta idonee a rivelare i segreti
industriali a condizione che queste ultime "non
siano state in alcun modo prese in
considerazione in sede di gara" (TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 03.09.2010 n. 17286 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il permesso di sanatoria è un
provvedimento tipico la cui applicazione è
specificamente disciplinata dall’art. 36 del
d.P.R. n. 380 del 2001 (come, in precedenza,
dall’art. 13 della l. n. 47 del 1995) senza
che sia possibile l'estensione di tale
potere al di fuori dei presupposti (la
cosiddetta "doppia conformità") di cui
all'art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001. Il
d.P.R. n. 380 del 2001 ha, infatti,
predisposto una disciplina puntuale ed
esaustiva della sanatoria in materia
edilizia, tale da non ammettere spazi
residui che consentano di affermare, in via
interpretativa, la sopravvivenza della
cosiddetta «sanatoria giurisprudenziale».
L’istituto della “sanatoria
giurisprudenziale”, avente l’effetto di
sanare immobili abusivi contrastanti con lo
strumento pianificatorio vigente al momento
della loro realizzazione e divenuti però
conformi allo strumento urbanistico vigente
nel momento in cui la P.A. provvede sulla
domanda di sanatoria, discenderebbe dai
principi generali di ragionevolezza, buon
andamento ed economia della azione
amministrativa.
Una rigida applicazione dell’art. 36, del
d.P.R. n. 380/2001, prevedente, invece, la
cd. “doppia conformità” alla
disciplina urbanistico ed edilizia,
presente, cioè, sia, al momento della
realizzazione dell’abuso che a quello della
presentazione dell’istanza, sarebbe, a
parere del ricorrente, illogica in quanto
imporrebbe la demolizione dell’immobile
abusivo, consentendo di ottenere
successivamente l’assenso edificatorio per
ricostruirlo in modo identico. Non vi
sarebbe alcuna “ragione di ritenere che
l'ordinamento imponga di demolire un'opera
prima di ottenere la concessione per
realizzarla nuovamente” (Consiglio di
Stato, sez. V, 21.10.2003, n. 6498).
Pur prendendo atto della possibile
configurabilità, per autorevole parte della
giurisprudenza, dell’istituto della cd.
sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”,
ammessa nell’ipotesi in cui le opere,
inizialmente abusive, diventino
successivamente conformi alle norme
urbanistico-edilizie e alle previsioni degli
strumenti di pianificazione per effetto di
normative o disposizioni pianificatorie
sopravvenute, ritiene il Collegio di aderire
al diverso orientamento secondo il quale il
permesso di sanatoria è un provvedimento
tipico la cui applicazione è specificamente
disciplinata dall’art. 36 del d.P.R. n. 380
del 2001 (come, in precedenza, dall’art. 13
della l. n. 47 del 1995) senza che sia
possibile l'estensione di tale potere al di
fuori dei presupposti (la cosiddetta "doppia
conformità") di cui all'art. 36 d.P.R.
n. 380 del 2001. Il d.P.R. n. 380 del 2001
ha, infatti, predisposto una disciplina
puntuale ed esaustiva della sanatoria in
materia edilizia, tale da non ammettere
spazi residui che consentano di affermare,
in via interpretativa, la sopravvivenza
della cosiddetta «sanatoria
giurisprudenziale».
In altri termini, a parere del Collegio, la
sanatoria di un'opera non conforme allo
strumento urbanistico vigente al momento
della sua esecuzione rappresenterebbe una
forzatura sia della disciplina in materia
che dei principi generali dell'ordinamento
in tema di sanatoria di attività illecite in
generale attesa l’inesistenza a livello
ordinamentale di un siffatto istituto.
“Non sussiste l'antinomia che si vorrebbe
creare con l'affermazione della c.d.
sanatoria giurisprudenziale -e quindi con il
sostanziale ripudio dell'esigenza della
doppia conformità, ad onta della sua
esplicita previsione negli art. 13 e 36
cit.- tra i principi di legalità e di buon
andamento della p.a., con assegnazione della
prevalenza a quest'ultimo, in nome di una
presunta logica «efficientista»” (TAR
Lombardia Milano, sez. II, 09.06.2006, n.
1352).
Il principio di buon andamento, che fa
ritenere illogico che si demolisca ciò che,
al momento stesso, potrebbe essere
autorizzato in base allo strumento vigente,
deve recedere di fronte a quello, di pari
rango costituzionale, di legalità che vuole
che, anche in questa materia, siano
osservate le disposizioni del legislatore
(TAR Friuli Venezia Giulia Trieste,
23.08.2004, n. 542).
Le motivazioni fatte proprie
dall'orientamento favorevole all’istituto
menzionato, riassumibili, come detto, nel
rilievo dell'incongruenza di un
provvedimento che imponga la demolizione di
opere di cui dovrebbe poi essere autorizzata
la ricostruzione nella stessa forma e
consistenza, non risultano, altresì,
persuasive anche in ragione
dell'appartenenza degli atti in parola a
distinti procedimenti amministrativi: il
procedimento di rilascio del permesso in
sanatoria e quello, connesso ma autonomo, in
cui si estrinseca l'attività sanzionatoria
dell'Amministrazione (TAR Piemonte Torino,
sez. I, 20.04.2005, n. 1094).
In conclusione, nel caso in esame,
considerando che la stessa parte ricorrente
ammette la non conformità dell'intervento
allo strumento urbanistico vigente al
momento della sua esecuzione, ne deriva
l'esito necessariamente negativo della
verifica di "doppia conformità" che
inibisce il rilascio del permesso di
costruire in sanatoria, con la precisazione
che la stessa Amministrazione è vincolata a
negarla ove non ricorra la predetta ipotesi,
così come ha fatto (Consiglio Stato, sez. IV,
26.04.2006, n. 2306; TAR Lombardia Brescia,
23.06.2003, n. 873; TAR Toscana Firenze,
sez. III, 15.04.2002, n. 724) (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 02.09.2010 n. 1887 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Il RSPP è un consulente del Datore di Lavoro
che mantiene le responsabilità in materia di
sicurezza.
La Corte di Cassazione, Sez. feriale penale, con la
sentenza
26.08.2010 n.
32357, ha affermato che la
designazione a Responsabile del Servizio di
Prevenzione e Protezione (RSPP) non equivale
a delega di funzioni.
Dalla normativa di settore (art. 31, commi 2
e 5, D.Lgs. 09.04.2008, n. 81) emerge
infatti che i componenti del servizio di
prevenzione e protezione, essendo
considerati dei semplici "ausiliari"
del datore di lavoro, non possono venire
chiamati a rispondere direttamente del loro
operato, proprio perché non hanno un
effettivo potere decisionale.
Ne deriva che il RSPP, come gli altri
componenti del sevizio, è soltanto un "consulente"
e i risultati dei suoi studi e delle sue
elaborazioni, come in qualsiasi altro
settore dell'amministrazione dell'azienda
(ad esempio, in campo fiscale, tributario,
etc.), vengono fatti propri dal vertice
aziendale che della loro opera si avvale per
meglio ottemperare agli obblighi di cui è
esclusivo destinatario.
Il datore di lavoro, quindi, è e rimane il
titolare dell'obbligo di prevenire la
verificazione di eventi dannosi connessi
all'espletamento dell'attività lavorativa
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il sindaco non può bloccare
l'antenna di telefonia mobile.
È illegittima
l'ordinanza del sindaco che ha disposto la
sospensione della costruzione degli impianti
di telefonia mobile, motivata con l'allarme
suscitato nella popolazione per il pericolo
di inquinamento elettromagnetico e con la
mancanza dei pareri necessari per il
permesso di costruire.
Così ha stabilito il Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 27.07.2010 n. 4889,
confermando le decisioni emanate dal Tar
Puglia-Lecce.
L'iter.
Il caso riguardava i lavori di costruzione
degli impianti di telefonia mobile del
comune, e il sindaco, sulla base di timori
espressi da alcuni abitanti, ha emanato
un'ordinanza d'urgenza di sospensione dei
lavori. Il Tar ha accolto i ricorsi (specie
per la mancanza di una congrua motivazione)
e il Consiglio di Stato ha confermato le
sentenze, sulla base dei seguenti argomenti:
- in materia di emissioni elettromagnetiche,
la tutela della salute è affidata in via
ordinaria agli organi dello Stato, che la
esercitano nel rispetto di norme di rango
primario, in particolare della legge 36/2001
e dei relativi decreti attuativi;
- questa competenza non può essere derogata
da provvedimenti extra ordinem del
sindaco, che possono essere emanati soltanto
se l'autorità competente non può intervenire
con i mezzi giuridici ordinari; di
conseguenza, l'ordinanza del sindaco è
illegittima e ne viene confermato
l'annullamento.
La regola generale.
Il dispositivo della sentenza è esatto, ma
la motivazione indica una regola generale
che non collima con l' attuale sistema delle
norme. Infatti, il sindaco è pur sempre «autorità
sanitaria locale» (articolo 13 della
legge 833/1978) e potrebbe quindi
legittimamente intervenire, sia nell'ipotesi
del superamento dei limiti di inquinamento
elettromagnetico stabiliti dal Dm Ambiente
del 10.09.1998, n. 381, sia nell'ipotesi del
superamento dei limiti stabiliti
dall'apposito regolamento comunale, previsto
dall'articolo 8, comma 6, della stessa legge
36/2001.
Il punto rilevante è però che l' attuale
sistema delle norme in materia di sanità è
frammentario e disorganico. Le norme
attribuiscono sovente identiche competenze
ad autorità diverse e sarebbe perciò
necessaria, oltre a una semplificazione
abrogatrice, una meditata risistemazione di
tutte queste competenze (articolo
Il Sole 24 Ore del 20.09.2010). |
APPALTI:
Se la fase pubblicistica della
gara ha profili di illegittimità, appalto
annullabile anche dopo l'aggiudicazione.
Potestà in autotutela prima della firma del
contratto.
La stazione appaltante può
sempre incidere con determinazioni
unilaterali sugli esiti della fase
pubblicistica della gara d'appalto qualora
essi siano ritenuti affetti da profili di
illegittimità, anche all'esito del
provvedimento di aggiudicazione definitiva,
atto conclusivo del procedimento di scelta
del contraente.
In altri termini, secondo la
sentenza 26.07.2010 n. 4864 della
Sez. VI del Consiglio di Stato,
l'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione
di una gara, prima che sia sottoscritto il
contratto d'appalto vero e proprio, è sempre
possibile, ricorrendo tuttavia un preciso e
concreto interesse pubblico (nonostante
l'articolo 6, quarto comma, del Rd 2440
dell'08.11.1923 equipari i processi verbali
di aggiudicazione al contratto).
Una potestà di annullamento in autotutela,
dunque, che si può esercitare sul
principio di buon andamento della Pa, se per
sono chiaramente fornite adeguate
motivazioni sui presupposti di caducazione
delle posizioni dei partecipanti alla gara,
consolidatesi con l'aggiudicazione
definitiva. Tale fase della procedura,
infatti, secondo il collegio, non può
essere equiparata - non avendo la citata
norma del Rd 2440/1923 natura automatica e
obbligatoria alla costituzione
del vincolo contrattuale, che si ha
unicamente al momento della stipulazione
dell'accordo.
La vicenda esaminata dal collegio riguardava
un bando pubblico per la stipula di un
contratto di vendita di un suolo dell'ente,
che prevedeva come corrispettivo un importo
in denaro e alcuni immobili a uso
residenziale in permuta ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 20.09.2010 -
tratto da www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Sui pareri alla Pa non cala
sempre il velo del segreto professionale.
Segreto professionale sui pareri sulla
strategia difensiva. Trasparenti, invece, i
pareri forniti dagli avvocato per i
procedimenti amministrativi.
Lo ha ribadito il TAR Puglia-Bari, Sez. I,
con la
sentenza 17.05.2010 n. 1903.
I pareri sono, dunque, di due tipi.
Sono sottratti all'accesso i pareri legali
resi da professionisti esterni allo scopo di
definire la strategia difensiva
dell'Amministrazione, rispetto ad un
contenzioso già in essere oppure imminente.
Deve, invece, essere consentita, a chi vi
abbia interesse, la conoscenza dei pareri
legali utilizzati dall'Amministrazione
nell'ambito della normale istruttoria
procedimentale.
Tra l'altro lo stesso principio vale anche
per i pareri e le perizie di carattere
tecnico, redatte non da avvocati ma da
professionisti tecnici (ingegneri,
architetti, etc.), essendo identica la
finalità, quando l'attività di consulenza
sia comunque strumentale alla
predisposizione della difesa in giudizio.
I pareri dei professionisti esterni redatti
per la strategia difensiva
dell'Amministrazione sono sottratti
all'accesso.
Il punto di discrimine tra l'accessibilità o
meno del parere reso da un legale esterno o
interno ad un ente non è costituito, dunque,
dalla natura dell'atto, ma dalla sua
funzione: se il parere viene reso in una
fase endoprocedimentale, prodromica ad un
provvedimento amministrativo, lo stesso è
ammesso all'accesso, mentre se viene reso in
una fase contenziosa o anche precontenziosa,
l'accesso è escluso a tutela delle esigenze
di difesa.
Nel caso di consulenza dopo l'avvio di un
procedimento contenzioso (giudiziario,
arbitrale, od anche meramente
amministrativo), oppure dopo l'inizio di
tipiche attività precontenziose, quali la
richiesta di conciliazione obbligatoria che
precede il giudizio in materia di rapporto
di lavoro, e l'amministrazione si rivolge ad
un professionista di fiducia, al fine di
definire la propria strategia difensiva
(accoglimento della pretesa, resistenza in
giudizio, adozione di eventuali
provvedimenti di autotutela, ecc.), il
parere del legale non è destinato a sfociare
in una determinazione amministrativa finale,
ma mira a fornire all'ente pubblico tutti
gli elementi tecnico-giuridici utili per
tutelare i propri interessi.
Proprio per questa ragione le consulenze
legali per il contenzioso restano
caratterizzate dalla riservatezza, che mira
a tutelare non solo l'opera intellettuale
del legale, ma anche la stessa posizione
dell'amministrazione, la quale, esercitando
il proprio diritto di difesa, deve poter
fruire di una tutela piena (articolo
ItaliaOggi del 13.09.2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rovina di edificio, forza
maggiore, nesso eziologico, responsabilità
del proprietario.
E’ da escludersi la colpa del proprietario
dell’immobile se il distacco della copertura
del tetto è stato provocato da una violenta
tempesta di vento, in quanto forza maggiore
della natura, improvvisa, irresistibile
ovvero imprevedibile, interruttiva del nesso
eziologico, al ricorrere della quale il
proprietario va mandato assolto da
responsabilità per i danni cagionati
(TRIBUNALE di Busto Arsizio,
sentenza 20.01.2010 - link a
www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
piscina realizzata in una proprietà privata
a corredo esclusivo della stessa, non
possiede una sua autonomia immobiliare, ma
deve considerarsi quale pertinenza
dell'immobile esistente, in quanto destinata
ad essere usata a servizio dello stesso,
nella sua configurazione di bene principale.
Secondo una nota giurisprudenza, anche del
TAR per il Veneto, una piscina realizzata in
una proprietà privata a corredo esclusivo
della stessa, non possiede una sua autonomia
immobiliare, ma deve considerarsi quale
pertinenza dell'immobile esistente, in
quanto destinata ad essere usata a servizio
dello stesso, nella sua configurazione di
bene principale (Consiglio Stato , sez. IV,
14.08.2006, n. 4780).
Inoltre, l’opera non altera in modo
significativo l'assetto del territorio;
pertanto, nella fattispecie in esame, la
piscina, di contenuto rilievo dimensionale e
di ridotto impatto dal punto di vista
urbanistico, va considerata un manufatto
avente rilievo pertinenziale
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 31.10.2007 n. 3489 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
recinzioni di fondi rustici senza opere
murarie, ma con reti metalliche sorrette da
paletti di ferro o di legno e senza muretto
di sostegno, non necessitano di concessione
edilizia, poiché entro siffatti limiti le
recinzioni rientrano solo tra le
manifestazioni del diritto di proprietà, che
comprende lo
ius excludendi alios o comunque la
delimitazione e l’assetto delle singole
proprietà.
Le recinzioni, in quanto estrinsecazione di
una facoltà dominicale, non possono
ritenersi di per sé incompatibili con la
destinazione impressa all’area dal Piano
Regolatore, neppure in presenza di eventuali
vincoli espropriativi.
E' noto il costante insegnamento
giurisprudenziale secondo cui le recinzioni
di fondi rustici senza opere murarie, ma con
reti metalliche sorrette da paletti di ferro
o di legno e senza muretto di sostegno, non
necessitano di concessione edilizia, poiché
entro siffatti limiti le recinzioni
rientrano solo tra le manifestazioni del
diritto di proprietà, che comprende lo
ius excludendi alios o comunque la
delimitazione e l’assetto delle singole
proprietà (TAR Liguria, Sez. I, 11.09.2002,
n. 961; TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. II,
06.03.2002 n. 425).
Del resto, le recinzioni, in quanto
estrinsecazione di una facoltà dominicale,
non possono ritenersi di per sé
incompatibili con la destinazione impressa
all’area dal Piano Regolatore, neppure in
presenza di eventuali vincoli espropriativi
(TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 27.07.2005,
n. 3435)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.06.2007 n. 4949 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 18.09.2010 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a
Marcallo con Casone (MI) per giovedì
21.10.2010 co-organizzata dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le
istruzioni ivi riportate. |
Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a
Senago (MI) per martedì 12.10.2010
organizzata dal Comune di Senago (MI).
N.B.: leggere attentamente le
istruzioni ivi riportate. |
Bottone "CONVEGNI" n. 3 giornate di studio a
Bergamo per mercoledì 06, 13 e 20.10.2010
organizzate dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le
istruzioni ivi riportate. |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Segnalazione certificata di inizio
attività (SCIA). Articolo 49, commi 4-bis e
seguenti, legge n. 122 del 2010
(Ministero per la Semplificazione Normativa,
Ufficio Legislativo,
nota
16.09.2010 n. 1340 di prot.).
---------------
L'Ufficio Legislativo del Ministero per la
Semplificazione Normativa risponde alla
Regione Lombardia in merito a chiarimenti
richiesti (articolo
Il Sole 24 Ore del 17.09.2010).
Ma non è la tanto auspicata ed invocata
circolare chiarificatrice, a tutto campo, la
quale è in fase di stesura e dovrebbe essere
imminente (settimana prossima??) la sua
divulgazione. |
EDILIZIA PRIVATA:
SCIA, Prime indicazioni sulle conseguenze
della modifica dell’art. 19, legge
07.08.1990, n. 241, disposta con legge
30.07.2010, n. 122, nell’ordinamento
edilizio (ANCI Toscana,
nota 16.09.2010). |
QUESITI &
PARERI |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, declaratoria dell'intervento
di manutenzione straordinaria alla luce del
d.l. n. 40/2010 convertito con legge n.
73/2010.
Un Comune lombardo ha posto alla regione
Lombardia il quesito di seguito riportato.
DOMANDA:
A seguito dell'entrata in vigore della
legge 73/2010 (di conversione del d.l. n.
40/2010) ed in relazione al
comunicato regionale 03.06.2010
(a firma dell'Assessore BELOTTI e del
Direttore Generale MORI), ad oggi la
declaratoria dell'intervento di manutenzione
straordinaria cui attenersi,
nell'istruttoria delle pratiche edilizie, è
sempre quella di cui all'art. 27, comma 1,
lett. b) oppure quella di cui all'art. 3,
comma 1, lett. b) del DPR n. 380/2001?
RISPOSTA e-mail del 13.09.2010:
Con riferimento alla Sua mail in data
14.07.2010, si precisa che, anche a seguito
della legge n. 73/2010, di conversione del
D.L. n. 40, la definizione degli interventi
di manutenzione straordinaria rimane quella
esplicitata all'art. 27, comma 1, lett. b),
della L.R. n. 12/2005.
Come noto, quest'ultima disposizione non é
meramente riproduttiva di quella contenuta
nel T.U. statale, ovvero nell'art. 3 del
D.P.R. n. 380/2001, norma quest'ultima
espressamente dichiarata disapplicata
dall'art. 103, comma 1, della L.R. n.
12/2005.
Peraltro, ai fini della corretta
individuazione del regime giuridico degli
interventi, occorre tener conto della
sopraggiunta disposizione statale in materia
di attività edilizia libera (art. 6 del
D.P.R. n. 380, "riscritto" dal comma 1
dell'art. 5 del D.L. 25.03.2010, n. 40, come
sostituito dalla relativa legge di
conversione n. 73/2010), immediatamente
operante anche in Regione Lombardia, come
chiarito dal comunicato regionale in data
03.06.2010.
In altri termini, per beneficiare del regime
semplificato (comunicazione con relazione
tecnica e asseverazione), l'intervento di
manutenzione straordinaria, fermi gli altri
presupposti, dovrà rispettare i limiti
previsti al comma 2, lett. a) del "nuovo"
art. 6 sopra richiamato; più precisamente,
non dovrà riguardare le parti strutturali
dell'edificio, né comportare aumento del
numero delle unità immobiliari né implicare
incremento dei parametri urbanistici.
Un cordiale saluto.
Arch. Gian Angelo Bravo - Direttore Vicario
Direzione Generale Territorio e Urbanistica
- U.O. Programmazione e Pianificazione
Territoriale. |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
15.09.2010, suppl. ord. n. 217/L, "Attuazione
della direttiva 2008/50/CE relativa alla
qualità dell’aria ambiente e per un’aria più
pulita in Europa" (D.Lgs.
13.08.2010 n. 155). |
ENTI LOCALI: G.U.
13.09.2010 n. 214 "Regolamento di
esecuzione del sesto censimento generale
dell’agricoltura, a norma dell’articolo 17,
comma 2, del decreto-legge 25.09.2009, n.
135"
(D.P.R. 23.07.2010 n.
154). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
URBANISTICA:
W. Fumagalli,
Lombardia, La perequazione: una facoltà o un
obbligo? (AL n. 6/2010). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
N. Durante,
I rimedi contro l’inerzia
dell’amministrazione: istruzioni per l’uso,
con un occhio alla giurisprudenza e l’altro
al codice del processo amministrativo,
approvato con decreto legislativo
02.07.2010, n. 104 (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
I rifiuti abbandonati e il proprietario del
suolo (link a
www.ambientelegale.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - VARI:
Il prontuario dei termini del codice del
processo amministrativo.
Il 16.09.2010 è entrato in vigore il codice
del processo amministrativo.
Pubblichiamo il prontuario del termini
processuali previsti dal codice, avvertendo
che si tratta di una interpretazione delle
nuove disposizioni del codice codice, da
prendere con la dovuta cautela, in attesa
che il nuovo sistema si consolidi nella
prassi e nella interpretazione
giurisprudenziale (link a http://venetoius.myblog.it). |
AUTORITA'
CONTRATTI PUBBLICI |
LAVORI PUBBLICI: Non
è conforme alla normative di settore
l’operato della s.a. che, al di fuori dai
casi tassativi individuati dalla
giurisprudenza e dai precedenti
dell’Autorità, ricorra al contratto di
vendita di cosa futura in luogo di procedere
all’affidamento di un appalto di lavori.
Più precisamente è stato chiarito che il
ricorso all’acquisto di cosa futura possa
avvenire a tali condizioni:
a) l’espletamento di una preventiva gara
informale, qualora l’area non sia
puntualmente localizzabile;
b) l’immobile da acquistare possegga
caratteristiche che lo rendono infungibile;
c) l’immobile abbia la destinazione
urbanistica prevista dal PRG;
d) sia compiuta una valutazione
costi-benefici;
e) il titolo di proprietà dell’area sia
stato acquisito dal venditore in epoca “non
sospetta” rispetto alla determinazione
dell’Amministrazione di munirsi del bene;
f) l’oggetto del contratto sia
esaustivamente determinato sin dal momento
della stipula;
g) si proceda alla verifica del possesso, da
parte del venditore, di sufficienti
requisiti di capacità economica che valgano
ad assicurare in via preventiva
l’adempimento delle obbligazioni
contrattuali, requisiti che devono
preesistere alla stipulazione del contratto
(parere di
precontenzioso 25.02.2010 n. 46 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: In
una procedura per l’affidamento del servizio
di ristorazione scolastica, appare
ragionevole e proporzionata la richiesta,
quale requisito di partecipazione, dell’iscrizione
al registro delle imprese della Camera di
Commercio per attività inerenti a quelle
oggetto dell’appalto, con inizio attività in
data non inferiore agli ultimi tre anni.
Allo stesso modo, anche la richiesta di un
costo medio per il personale di almeno il
40% del fatturato nell’anno precedente
risulta essere proporzionata e giustificata
dal particolare oggetto del contratto
(parere di
precontenzioso 25.02.2010 n. 45 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: In
una procedura per l’affidamento della
concessione di accertamento e riscossione
delle entrate comunali, non è conforme alla
normativa di settore la clausola dei
documenti di gara che imponga al
concessionario entrante di assumere i
dipendenti di quello uscente.
La previsione di un siffatto obbligo,
infatti, appare giustificabile solo nei
limiti in cui lo stesso sia imposto da
specifiche disposizioni di legge o dalla
contrattazione collettiva nazionale di
riferimento.
La clausola in questione, altrimenti,
risulterebbe senz’altro lesiva della
concorrenza, scoraggiando la partecipazione
alla gara e limitando ultroneamente la
platea dei partecipanti, nonché sarebbe atta
a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta
e garantita dall’art. 41 della Costituzione
(parere di
precontenzioso 25.02.2010 n. 44 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI FORNITURE: In
una gara per la fornitura di manufatti
ortodontici appare ragionevole e
proporzionata la richiesta, quale requisito
di partecipazione, della qualificazione UNI
EN ISO 13485.
Mentre la certificazione UNI EN ISO
9001:2000 è inerente all’intero sistema
aziendale ed è preordinata a svolgere una
funzione di garanzia qualitativa di un
determinato livello di esecuzione
dell’intero rapporto contrattuale, la
certificazione UNI EN ISO 13485 attiene
invece ai sistemi di gestione della qualità
dei dispositivi medici.
Le caratteristiche della certificazione UNI
EN ISO 13485 conferiscono dunque
all’operatore economico un quid pluris
rispetto ai requisiti della più generale
certificazione UNI EN ISO 9001:2000, in
quanto attinenti ai requisiti specifici che
la norma ISO impone agli operatori economici
che operano nel mercato dei dispositivi
medici
(parere di
precontenzioso 25.02.2010 n. 43 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
mera sussistenza di un contenzioso
giurisdizionale con un’altra stazione
appaltante non può di per sé integrare i
presupposti per l’esclusione di un’impresa
da una procedura di gara ai sensi dell’ art.
38, comma 1, lett. f) del d.lgs. 12.04.2006,
n. 163.
La situazione ostativa, infatti, deve avere
carattere di gravità e compete alla stazione
appaltante l’accertamento, di natura
discrezionale e comportante l’obbligo di
motivazione, della esistenza e della gravità
della condotta suscettibili di dar luogo
all’esclusione ai sensi della disposizione
in esame.
---------------
Se l’art. 13 del d. l. 04.07.2006, n. 223
venisse interpretato in modo da ritenere che
il solo fatto della partecipazione al
capitale sociale da parte di un ente
regionale o locale sia sufficiente per
l’applicazione del divieto sancito dalla
medesima disposizione, verrebbe limitata
eccessivamente la libertà di iniziativa
economica degli enti territoriali, imponendo
pesanti restrizioni a società che non godono
di una situazione di privilegio e che
operano in condizione di parità con gli
altri soggetti del mercato, perché
sottoposte al rischio di impresa; un tale
risultato -oltre che irragionevole- si pone
in insanabile contrasto con il principio di
neutralità di cui all'art. 259 del Trattato
CE e con il principio di libertà di
iniziativa economica garantito dall'art. 41
Cost., nonché con la autorevole lettura che
del citato art. 13 è stata data dalla Corte
Costituzionale (sentenza 30.07.2008, n.
326), nel senso che la norma in questione
non nega né limita la libertà di iniziativa
economica degli enti territoriali, ma impone
loro di esercitarla distintamente dalle
proprie funzioni amministrative
---------------
La circostanza che il capitale sociale di
una società concorrente in una procedura di
gara sia interamente posseduto da un’altra
società, rientrante nel disposto dell’art.
13, co. 1, del d. l. 04.07.2006, n. 223, è
condizione sufficiente a determinare
l’applicabilità anche alla controllata dei
divieti previsti in capo alla controllante,
non essendo consentito di eludere
sostanzialmente la previsione normativa
attraverso lo schermo di una società di
secondo grado
(parere di
precontenzioso 25.02.2010 n. 42 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Qualora la s.a. non abbia provveduto ad
effettuare la procedura di accreditamento al
sistema SIMOG, la stessa dovrà ovviare
all’omissione commessa secondo le modalità
indicate dall’Autorità: nel caso in cui la
stazione appaltante abbia omesso di
richiedere il CIG o di indicarlo sulla
documentazione di gara, la medesima deve
procedere a pubblicare un avviso di
rettifica; qualora l’ente appaltante abbia
perfezionato la procedura di scelta del
contraente senza richiedere il Codice CIG e
le circostanze non consentano, in relazione
allo stato di avanzamento del procedimento,
l‘assunzione di specifici provvedimenti
correttivi, la s.a. deve procedere ad
acquisire il Codice CIG e versare –pur se
scaduti i termini temporalmente previsti– la
relativa quota di contribuzione.
Inoltre la s.a. dovrà comunicare il medesimo
Codice CIG alla concorrente aggiudicataria,
al fine di consentirle di integrare la
documentazione prodotta in sede di
partecipazione a comprova dell’avvenuto
pagamento con un’apposita autodichiarazione
che, riportando i dati mancanti concernenti
la gara, certifichi che il versamento del
contributo all’Autorità prodotto in sede di
gara sia stato effettuato esclusivamente ai
fini della partecipazione alla procedura di
gara in questione.
---------------
Il fatto che l’importo a base d’asta non sia
determinato o determinabile non esime le
s.a. dall’obbligo di attivazione della
procedura di accreditamento al Sistema SIMOG.
---------------
Gli operatori economici, qualora la lex
specialis non contenga prescrizioni in
ordine all’obbligo del pagamento del
contributo di gara, sono ugualmente tenuti
ad effettuare tale versamento, stante il
fatto che la dimostrazione del pagamento
costituisce per essi condizione di
ammissione a presentare l’offerta.
Non può, inoltre, essere motivo di esenzione
dal versamento del contributo il fatto che
il valore dell’appalto non sia determinato
dalla lex specialis, dal momento che
le Risposte ai quesiti sui contributi in
sede di gara (consultabili sul sito internet
dell’Autorità) disciplinano espressamente
tale fattispecie, disponendo che qualora
l’importo a base di gara non sia previsto,
la determinazione del contributo da versare
avviene considerando l’importo massimo
previsto dalla deliberazione del 24.01.2008
(parere
di precontenzioso 25.02.2010 n. 40 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
In applicazione della regola del favor
partecipationis, è preclusa alle s.a.
qualsiasi esegesi postuma delle prescrizioni
di gara -che siano caratterizzate da una
obiettiva incertezza del suo significato-
che conduca all’integrazione delle regole di
gara, palesando significati del bando non
chiaramente desumibili dalla lettura della
sua formulazione (parere
di precontenzioso 25.02.2010 n. 39 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La modifica introdotta dal d.l. 11.09.2008,
n. 152 (c.d. terzo decreto correttivo) alla
disciplina dell’offerta economicamente più
vantaggiosa contenuta nell’art. 83, comma 4,
del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 ha reso più
ristretti gli ambiti di libertà valutativa
delle offerte, imponendo alle stazioni
appaltanti di stabilire e prevedere, fin
dalla formulazione della documentazione di
gara, tutti i criteri di valutazione
dell’offerta, precisando, ove necessario,
anche i sub criteri e la ponderazione e cioè
il valore o la rilevanza relativa attribuita
a ciascuno di essi.
E’ stato, così, eliminato ogni margine di
discrezionalità in capo alla commissione
giudicatrice la quale, secondo la normativa
previgente, poteva fissare, prima
dell’apertura delle buste contenenti le
offerte, i criteri motivazionali cui si
sarebbe attenuta per attribuire a ciascun
criterio e sub criterio di valutazione il
punteggio.
Solo nel caso in cui il bando di gara sia
stato pubblicato in data antecedente
all’entrata in vigore della modifica
introdotta dal terzo decreto correttivo esso
ricade sotto la previgente disciplina (parere
di precontenzioso 25.02.2010 n. 38 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
In mancanza di una esplicita previsione del
disciplinare che sanzioni a pena di
inammissibilità la presentazione di
un’offerta pari a zero per una delle voci,
la stazione appaltante non può disporre
l’esclusione dell’offerta ovvero omettere di
applicare la formula matematica prescritta.
Quest’ultima va comunque applicata, quando
si pongano delle difficoltà pratiche,
secondo un criterio di ragionevolezza volto
a salvaguardare l’interesse della pubblica
amministrazione a conseguire un risultato
utile anche in presenza di clausole del
bando ambigue (parere
di precontenzioso 25.02.2010 n. 37 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La richiesta di informazioni positive da
parte di almeno due aziende di credito non
appare in contrasto non solo e non tanto con
la legge o con alcun principio generale, ma
neppure con alcun criterio logico.
Invero, costituisce un dato di comune
esperienza che imprese, anche di limitate
dimensioni, non concentrano, di regola, i
loro rapporti con un solo istituto bancario,
ma si avvalgono dei servizi di più d’uno.
Peraltro, in caso contrario, nulla impedisce
agli operatori economici di informare la
s.a., così da far constatare che, con
riguardo alla specifica e dimostrata
situazione, la prescrizione del bando non
può essere osservata per obiettive ragioni
ed essere autorizzati a provare la propria
capacità economica e finanziaria mediante
altri documenti ritenuti idonei dalla
stazione appaltante (parere
di precontenzioso 25.02.2010 n. 36 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Nel caso in cui una s.a. ometta, nei modelli
di presentazioni delle offerte, le
dichiarazioni di cui all’art. 38, co. 1,
lett. m-bis), m-ter), m-quater), la tutela
dell’affidamento e la correttezza
dell’azione amministrativa impediscono che
le conseguenze di una condotta colposa della
s.a. possano essere traslate a carico del
soggetto concorrente, comminando la sanzione
dell’esclusione dalla gara.
In tali ipotesi, l’equivocità delle
prescrizioni del bando di gara impone, in un
corretto rapporto tra amministrazione e
privato, che si dia alla lex specialis
una lettura idonea a tutelare l’affidamento
degli interessati in buona fede, dispensando
in tal modo il concorrente dal dover
ricostruire, attraverso indagini
ermeneutiche ed integrative, ulteriori ed
inespressi significati della volontà della
s.a., che vanificano il principio di massima
partecipazione e l’interesse pubblico
all’individuazione della migliore offerta (parere
di precontenzioso 10.02.2010 n. 34 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
La restrizione della dimostrazione del
requisito tecnico-professionale ai soli
servizi svolti nei confronti delle Pubbliche
Amministrazioni impedisce la partecipazione
ai concorrenti che abbiano svolto analoghi
servizi nei confronti di soggetti privati e,
pertanto, contraddice la prescrizione
normativa di cui all’articolo 42, comma 1,
lettera a), del d. lgs. 12.04.2006, n. 163,
che attribuisce eguale valore alle
prestazioni pregresse eseguite nei confronti
di soggetti pubblici e soggetti privati,
prevedendo solo una diversa modalità
probatoria del requisito.
---------------
È conforme alla normativa di settore la
richiesta di dimostrazione di un’esperienza
pregressa in servizi analoghi a quelli
oggetto di gara, ma non in servizi ad esso
identici, salvo che tale scelta non trovi
un’adeguata motivazione nelle
caratteristiche tecniche del servizio
oggetto dell’affidamento.
La capacità tecnica può essere dimostrata
con riferimento ai principali servizi
prestati negli ultimi tre anni, surrogabili
ed integrabili, comunque, in base a scelte
discrezionali della s. a., con uno o più
degli elementi elencati all’articolo 42 del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163. Non è conforme
alla normativa di settore, pertanto, la
clausola del bando che richiede la
dimostrazione di aver svolto servizi
identici a quelli oggetto di gara (parere
di precontenzioso 10.02.2010 n. 33 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Nell’affidamento di lavori di valore
inferiore a 1 milione di euro, nel caso in
cui le offerte siano inferiori a dieci, è
preclusa alla s.a. la possibilità di fare
uso della facoltà di esclusione automatica
dalla gara di quelle offerte che presentino
una percentuale di ribasso pari o superiore
alla soglia di anomalia.
Pertanto, una volta determinata la soglia di
anomalia ai sensi dell’art. 86, comma 1 del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163, le s.a. devono
procedere senz’altro, ai sensi dell’art. 86,
comma 3, alla valutazione discrezionale
della congruità di ogni offerta che, in base
ad elementi specifici, appaia anormalmente
bassa, secondo i criteri ed il procedimento
di verifica di cui agli artt. 86, 87 e 88
del d.lgs. n. 163/2006 (parere
di precontenzioso 10.02.2010 n. 32 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La specifica funzione attribuita alla
sottoscrizione giustifica, da un lato, che
essa sia una condizione essenziale (ad
substantiam) per l’ammissibilità
dell’offerta e, dall’altro, dà conto
dell’esigenza che la stessa non solo non
possa mancare, ma che debba essere apposta
in originale, onde scongiurare il rischio di
eventuali manomissioni che ne
pregiudicherebbero l’attendibilità (parere
di precontenzioso 10.02.2010 n. 31 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Le annotazioni riferite a
collegamenti/controlli, pur se intervenute
in epoca poco recente forniscono comunque
utili indicazioni alle stazioni appaltanti
ai fini della valutazione complessiva
dell’affidabilità delle imprese e, quindi,
costituiscono una necessaria forma di
pubblicità da inserire nel Casellario
informatico.
Una siffatta tipologia di annotazioni, però,
non può costituire motivo di automatica
esclusione da successive gare a cui
l’impresa annotata intenda partecipare (parere
di precontenzioso 10.02.2010 n. 30 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
In materia di offerte anomale, l’art. 87 del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163, nella versione
precedente alle modifiche apportate dal d.l.
01.07.2009, n. 78, non prevedeva affatto una
sanzione in caso di inottemperanza, ma
demandava alla discrezionalità della
stazione appaltante il compito di
determinare le modalità di presentazione
delle predette giustificazioni.
Nelle procedure indette prima dell’entrata
in vigore del suddetto decreto, la mancata
presentazione delle giustificazioni al
momento della produzione dell’offerta
economica, in assenza di una puntuale
previsione del bando o del disciplinare, non
può determinare alcuna ipotesi tipica di
esclusione dalla gara, atteso che in ogni
caso l’amministrazione procedente, seguendo
il procedimento di cui all’art. 88 del d.lgs.
n. 163/2006, può effettuare la verifica e
l’esclusione delle offerte anormalmente
basse.
---------------
Il calcolo relativo alla cauzione
provvisoria deve essere effettuato
sull’importo complessivo dei lavori posto a
base d’appalto, ivi compreso l’importo
relativo agli oneri di sicurezza, in quanto
l’importo dei lavori è quello complessivo
dell’intervento e gli oneri di sicurezza
sono parte dell’importo dell’intera opera o
lavoro da appaltare: l’individuazione
separata dei costi della sicurezza,
introdotta dal D.Lgs. n. 494/1996, rileva
esclusivamente ai fini di evidenziare detta
voce, sulla quale l’appaltatore non può
effettuare alcun ribasso, a garanzia e
tutela dei lavoratori.
---------------
Non è consentito alle s.a. di procedere
all’esclusione automatica dell’offerte
anormalmente basse al di fuori dei casi
espressamente previsti dal legislatore
(parere
di precontenzioso 10.02.2010 n. 29 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La stazione appaltante è tenuta a valutare
discrezionalmente l'incidenza di una
condanna sulla moralità professionale
dell’appaltatore con riferimento al tipo di
reato commesso, fornendo, altresì, in
relazione alla decisione adottata, adeguata
e congrua motivazione.
Pertanto, i margini di insindacabilità
attribuiti all’esercizio del potere
discrezionale dell’Amministrazione non
consentono alla stazione appaltante di
prescindere dal dare contezza di aver
effettuato una concreta valutazione
dell’incidenza della condanna sul vincolo
fiduciario, mediante un’accurata indagine
della rispondenza della fattispecie di reato
a tutti gli elementi che delineano l’ipotesi
di esclusione individuata dall’articolo 38,
comma 1, lettera c), del d. lgs. 12.04.2006,
n. 163.
Peraltro, l’espressione “moralità
professionale” si riferisce, non tanto
alle competenze professionali
dell’imprenditore aspirante contraente con
la Pubblica Amministrazione, quanto
piuttosto ad una nozione ampia, comprendente
la condotta e la gestione di tutta
l’attività professionale. Ne possono,
quindi, esulare solo quei fatti, estranei
allo svolgimento dell’attività
professionale, che riguardino esclusivamente
la condotta personale del soggetto che
partecipi alla gara (parere
di precontenzioso 10.02.2010 n. 28 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
In materia di requisiti generali, non è
conforme alla normativa di settore la
clausola del bando di gara che preveda
l’obbligo di dichiarare, tra l’altro,
l’esistenza di condanne non definitive, in
quanto contrastante con il disposto
dell’art. 38 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163,
oltre che con i principi di ordine
costituzionale (art. 27 Cost.) e comunitario
cui la stessa disciplina si ispira (parere
di precontenzioso 10.02.2010 n. 27 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Qualora il bando commini espressamente
l’esclusione dalla gara in conseguenza delle
mancata presentazione dell’offerta tramite
il servizio postale, l’amministrazione è
tenuta a dare precisa ed incondizionata
esecuzione a tale prescrizione, restando
preclusa all’interprete ogni valutazione
circa la rilevanza dell’inadempimento, la
sua incidenza sulla regolarità della
procedura selettiva e la congruità della
sanzione contemplata nella lex specialis,
alla cui osservanza la stessa
amministrazione si è autovincolata al
momento del bando.
Ciò va ribadito in specie qualora la
clausola sia chiaramente evidenziata
nell’ambito della lex specialis,
essendo riportata in grassetto ed a monte
delle prescrizioni di presentazione dettate,
nonché formulata in termini letterali che
non presentano profili di dubbio
interpretativo (parere
di precontenzioso 10.02.2010 n. 26 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Le amministrazioni possono richiedere alle
imprese requisiti di partecipazione ad una
gara di appalto e di qualificazione più
rigorosi e restrittivi di quelli minimi
stabiliti dalla legge, purché, tuttavia,
tali prescrizioni si rivelino rispettose dei
principi di proporzionalità e
ragionevolezza, non limitino indebitamente
l’accesso alla procedura di gara e siano
giustificate da specifiche esigenze imposte
dal peculiare oggetto dell’appalto.
La richiesta di aver svolto servizi oggetto
dell’appalto esclusivamente con
amministrazioni di un determinato territorio
è idonea ad avvantaggiare imprese locali e
si pone in contrasto con i principi di par
condicio e libera concorrenza, nonché con
gli art. 58 e 59 del trattato UE che
prescrivono il divieto alle restrizioni
della libera prestazioni di servizi (parere
di precontenzioso 10.02.2010 n. 25 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Nel caso in cui un concorrente incorra in un
errore che determini una difformità e
carenza di una dichiarazione rispetto a
quanto previsto dalla documentazione di gara
nonché dalla normativa di settore, tale
errore non può essere ascritto ad una mera
irregolarità di tipo formale, sanabile ai
sensi dell’art. 46 del d. lgs. 12.04.2006,
n. 163, ma costituisce un vizio dell’offerta
che non consente alla s.a. di ammettere
l’offerente alla procedura in oggetto (parere
di precontenzioso 10.02.2010 n. 24 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Le formalità previste per la presentazione
dell’offerta, coerentemente con la finalità
di tutelare la par condicio tra i
concorrenti, assolvono alla funzione di
assicurare l’autentica provenienza del
plico, nonché di evitare la manomissione del
contenuto di esso e di garantire la
segretezza dell’offerta.
La siglatura, timbratura e sigillatura dei
lembi, in particolare, assolve alla funzione
di evitare ogni possibile contestazione e
sospetto di manomissione, data la
possibilità di aprire e chiudere
agevolmente, senza lacerazioni o segni
evidenti, i lembi preincollati delle buste
all’uopo comunemente usate (parere
di precontenzioso 10.02.2010 n. 23 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La disciplina di cui all’articolo 49 del d.
lgs. 12.04.2006, n. 163, pur ammettendo
l’istituto dell’avvalimento tra imprese
facenti parte del medesimo raggruppamento,
non elimina l’onere in capo alle imprese
raggruppate di dichiarare di voler
beneficiare di tale istituto e
contestualmente di produrre la relativa
documentazione a comprova della effettività
della messa a disposizione dei requisiti da
parte della ditta avvalente.
Qualora un concorrente voglia utilizzare
l’istituto dell’avvalimento all’interno di
un raggruppamento temporaneo di imprese, è
necessario che dimostri che il requisito
medesimo sia posseduto dall’impresa avvalsa
in misura sufficiente, rispetto alle
specifiche prescrizioni del bando, a
consentire sia la sua partecipazione, sia la
partecipazione dell’impresa avvalente, onde
evitare che si possa integrare un’ipotesi di
uso fittizio di un unico requisito.
Ai fini di tale dimostrazione è
insufficiente il mero e ordinario mandato
collettivo, alla base della costituzione del
raggruppamento, è invece necessario un atto
giuridico costitutivo di un rapporto di
provvista idoneo ad evidenziare
specificatamente l’effettiva disponibilità
dei mezzi/risorse richiesti dalla lex
specialis.
---------------
Fermo restando il favor legis per
l’istituto del r.t.i., stante la capacità
dello stesso di ampliare il più possibile la
platea dei concorrenti, tale finalità deve
in ogni caso essere contemperata con
l’esigenza di scongiurare il rischio che un
eccessivo frazionamento dei requisiti renda
l’accertamento sull’affidabilità
dell’impresa scarsamente attendibile,
attraverso la previsione dell’obbligo della
sussistenza di una necessaria corrispondenza
tra i requisiti posseduti e la parte di
prestazione eseguita da ciascuna delle
imprese associate (parere
di precontenzioso 28.01.2010 n. 22 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Le disposizioni con le quali siano
prescritti particolari adempimenti per
l’ammissione alla gara, ove indichino in
modo equivoco taluni dei detti adempimenti,
vanno interpretate nel senso più favorevole
all’ammissione degli aspiranti,
corrispondendo all’interesse pubblico di
assicurare un ambito più vasto di
valutazioni, e quindi, un’aggiudicazione
alle condizioni migliori possibili.
Pertanto, non è conforme alla normativa di
settore il comportamento della s.a. che
escluda dalla gara il partecipante che non
abbia sottoscritto l’offerta economica su
tutte le pagine, in mancanza della esplicita
previsione nei documenti di gara che tale
adempimento era necessario a pena di
esclusione (parere
di precontenzioso 28.01.2010 n. 21 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Deve ritenersi necessaria l’iscrizione
all’Albo nazionale dei gestori ambientali
per l’espletamento dell’attività di messa in
sicurezza dei siti, poiché nella categoria “bonifica
siti” rientrano anche le attività di
messa in sicurezza a prescindere
dall’attività di gestione dei rifiuti, così
come previsto dall’articolo 6, comma 3 del
decreto attuativo 25.10.1999 n. 471 (“ai
siti sottoposti ad interventi di messa in
sicurezza permanente si applicano le norme
tecniche, finanziarie ed amministrative e le
garanzie previste ai sensi del decreto
legislativo 05.02.1997 n. 22, e successive
modifiche ed integrazioni, per il controllo
e la gestione delle discariche dopo la
chiusura”).
L’attività relativa al trattamento dei
rifiuti può comprendere sia esecuzione di
lavori (la realizzazione dei movimenti di
materia per la sistemazione dell’area
destinata a discarica, la stabilizzazione
del terreno e del corpo rifiuti,
l’esecuzione di strutture di contenimento,
la realizzazione di barriere di
impermeabilizzazione, di sistemi di
drenaggio del percolato e di pozzi di
captazione del geogas, ecc.) che prestazione
di servizi (la raccolta e trasporto dei
rifiuti ecc.) (parere
di precontenzioso 28.01.2010 n. 20 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Nel caso in cui, a fronte di una specifica e
non equivoca previsione del bando, un
concorrente ometta di firmare copia del
capitolato da allegare all’offerta, tale
mancanza non è sanabile attraverso
un’integrazione documentale, realizzandosi
altrimenti una lesione del principio di
parità di trattamento.
---------------
Con riferimento ai requisiti di fatturato
per la partecipazione alle gare, sono
conformi al principio di proporzionalità le
previsioni dei bandi che prescrivano al
massimo un fatturato sino al doppio
dell’importo a base di gara (parere
di precontenzioso 28.01.2010 n. 19 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Mentre è corretto riportare nella lex
specialis il contenuto delle istruzioni
operative concernenti il versamento del
contributo all’Autorità, prevedendo altresì
la necessaria comunicazione degli estremi
del versamento effettuato presso gli uffici
postali, non è invece, corretto procedere
alla esclusione delle imprese che non hanno
provveduto a comunicare gli estremi del
versamento al sistema on-line, non
costituendo la detta comunicazione causa di
esclusione dalle procedure di gara (parere
di precontenzioso 14.01.2010 n. 8 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La stazione appaltante è tenuta a valutare
discrezionalmente l'incidenza di una
condanna sulla moralità professionale
dell’appaltatore con riferimento al tipo di
reato commesso, fornendo, altresì, in
relazione alla decisione adottata, adeguata
e congrua motivazione.
Pertanto, i margini di insindacabilità
attribuiti all’esercizio del potere
discrezionale dell’Amministrazione non
consentono alla stazione appaltante di
prescindere dal dare contezza di aver
effettuato una concreta valutazione
dell’incidenza della condanna sul vincolo
fiduciario, mediante una accurata indagine
della rispondenza della fattispecie di reato
a tutti gli elementi che delineano l’ipotesi
di esclusione individuata dall’articolo 38,
comma 1, lettera c), del d. lgs. 12.04.2006,
n. 163.
L’espressione “moralità professionale",
peraltro, si riferisce, non tanto alle
competenze professionali dell’imprenditore
aspirante contraente con la Pubblica
Amministrazione, quanto piuttosto ad una
nozione ampia, comprendente la condotta e la
gestione di tutta l’attività professionale.
Ne possono, quindi, esulare solo quei fatti,
estranei allo svolgimento dell’attività
professionale, che riguardino esclusivamente
la condotta personale del soggetto che
partecipi alla gara (parere
di precontenzioso 14.01.2010 n. 7 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
La categoria OG11 si riferisce ad un insieme
coordinato di impianti da realizzarsi
congiuntamente e che può ritenersi come una
sommatoria di categorie specializzate, il
cui contenuto specialistico e tecnologico è
strettamente legato alle scelte del
progettista.
Solo se il livello di complessità delle
lavorazioni riferite alle categorie
specializzate rimane su valori medi, la
qualificazione nella categoria OG11 può
assorbire le qualificazioni nelle specifiche
categorie specializzate dovendosi tenere
necessariamente conto delle scelte tecniche
compiute dal progettista.
Pertanto, la qualificazione per la categoria
di opere generali OG11 assorbe quella per la
categoria di opere speciali solo nel caso in
cui la disciplina speciale della singola
gara non rechi alcuna clausola in contrario
(parere
di precontenzioso 14.01.2010 n. 6 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Quando per l'aggiudicazione della gara viene
scelto il metodo della offerta
economicamente più vantaggiosa, rientra
nella discrezionalità della stazione
appaltante la determinazione della incidenza
del prezzo nella valutazione dell'offerta.
Pertanto, si deve ritenere che i limiti,
previsti dall'art. 64 del D.P.R. n. 554/1999
relativamente ai fattori ponderali da
attribuire ai vari elementi dell'offerta
economicamente più vantaggiosa in caso di
affidamento dei servizi di ingegneria, non
possano essere interpretati come tassativi
per la stazione appaltante, che altrimenti
risulterebbe vincolata nell'esercizio di una
discrezionalità in materia che discende
dalla normativa comunitaria.
---------------
Le s.a. nel bando di gara possono
privilegiare le imprese che abbiano svolto
attività identiche o analoghe a quella
oggetto dell'appalto, attribuendo loro uno
specifico punteggio utile ai fini
dell'aggiudicazione, nella misura in cui
tali aspetti dell'attività dell'impresa
concorrente possano illuminare la qualità
dell'offerta, assurgendo così a parametro
afferente alle caratteristiche oggettive
dell'offerta stessa.
Ciò non appare illogico o arbitrario,
afferendo, in realtà, alla valutazione di
elementi che hanno diretto ed immediato
riferimento con la prestazione richiesta con
l'oggetto della gara, in termini di logica
presumibilità di una migliore esecuzione
della prestazione richiesta.
Il collegamento all'oggetto dell'appalto,
quindi, può legittimare il ricorso a criteri
valutativi del merito tecnico di tipo "soggettivo"
e l'utilizzo di detti criteri appare
ragionevole quando consente di rispondere in
concreto alle possibili specificità che le
procedure di affidamento degli appalti
pubblici possono presentare (parere
di precontenzioso 14.01.2010 n. 5 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
L’articolo 91 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163,
nel disciplinare le procedure di affidamento
dei servizi attinenti all'architettura ed
all'ingegneria, ha individuato per
l'applicazione delle disposizioni di
derivazione comunitaria la soglia di 100.000
euro.
È conforme alla normativa di settore il
comportamento della s.a. che, in una
procedura per l’affidamento di un incarico
di valore pari o superiore a tale cifra,
richieda i requisiti di cui all’art. 66 del
D.P.R. n. 554/1999, propriamente riguardante
l'affidamento di servizi di ingegneria e di
architettura di importo pari o superiore
alla soglia comunitaria (parere
di precontenzioso 14.01.2010 n. 5 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Costituisce onere per l'impresa che nel
triennio antecedente abbia visto un
avvicendamento nelle cariche tenute alla
dichiarazione di cui all’art. 38, co. 1,
lett. b) e c), prestare la dovuta diligenza
nel rappresentare detta circostanza alla
stazione appaltante.
A tal riguardo, l’impresa è tenuta a fornire
la prescritta dichiarazione dei soggetti
cessati ovvero ad integrare la dichiarazione
sostitutiva rilasciata dal legale
rappresentante, nel caso in cui detti
soggetti siano divenuti irreperibili per
l'impresa.
---------------
Deve considerarsi sufficiente, ai fini della
regolarità formale delle offerte, a fronte
di una mancata specificazione della lex
specialis, il richiamo complessivo
all'art. 38 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163.
La commissione di gara non può determinare
l'esclusione dei partecipanti che hanno
presentato una dichiarazione nella quale vi
sia un riferimento complessivo, non
analitico all’art. 38, anche in coerenza con
il principio in tema di contratti ad
evidenza pubblica, secondo cui le
disposizioni del bando devono essere
interpretate in modo da consentire la più
ampia partecipazione dei concorrenti (parere
di precontenzioso 14.01.2010 n. 4 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La disciplina dell’offerta economicamente
più vantaggiosa è contenuta nell’art. 83, co.
4, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 che, come
noto, è stato recentemente modificato dal
d.lgs. 11.09.2008, n. 152, (cd. terzo
decreto correttivo), il quale ha reso più
ristretti gli ambiti di libertà valutativa
delle offerte, imponendo alle stazioni
appaltanti di stabilire, fin dalla
formulazione della documentazione di gara,
tutti i criteri di valutazione dell’offerta,
precisando, ove necessario, anche i
sub-criteri e la ponderazione e cioè il
valore o la rilevanza relativa attribuita a
ciascuno di essi.
È stato eliminato, così, ogni margine di
discrezionalità in capo alla Commissione
giudicatrice la quale, secondo la normativa
previgente, poteva fissare, prima
dell’apertura delle buste contenenti le
offerte, i criteri motivazionali cui si
sarebbe attenuta per attribuire a ciascun
criterio e sub-criterio di valutazione il
relativo punteggio (parere
di precontenzioso 14.01.2010 n. 3 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Nel caso in cui il bando di gara
espressamente stabilisca in capo ai
concorrenti l’obbligo di rendere non una
generica dichiarazione di insussistenza
delle cause di esclusione dell’art. 38, ma
di indicare anche eventuali condanne per le
quali si goda del beneficio della non
menzione, è necessario rendere una
dichiarazione completa e veritiera,
attestando tutti i reati commessi dai
soggetti tenuti alla dichiarazione.
Né la eventuale omissione può essere sanata
con successiva integrazione documentale,
determinandosi in tal caso la sostituzione
di una dichiarazione, già resa in sede di
offerta, con un’altra dichiarazione di
diverso tenore letterale e significato, con
evidente violazione del principio della par
condicio dei concorrenti.
---------------
Il concetto di “moralità professionale”
delimita il campo di applicazione della
causa di esclusione a quei fatti illeciti
che manifestano una radicale e sicura
contraddizione con i principi deontologici
della professione. La mancanza di parametri
fissi e predeterminati e la genericità della
prescrizione normativa lascia un ampio
spazio di valutazione discrezionale per la
stazione appaltante, che consente alla
stessa margini di flessibilità operativa al
fine di un apprezzamento delle singole
concrete fattispecie, con considerazione di
tutti gli elementi delle stesse che possono
incidere sulla fiducia contrattuale, quali
ad esempio, l’elemento psicologico, la
gravità del fatto, il tempo trascorso dalla
condanna, le eventuali recidive.
Conseguentemente, è la stazione appaltante a
dover valutare discrezionalmente l'incidenza
di una condanna sulla moralità professionale
dell’appaltatore con riferimento al tipo di
reato commesso, fornendo, altresì, in
relazione alla decisione adottata, adeguata
e congrua motivazione (parere
di precontenzioso 14.01.2010 n. 1 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione in sanatoria c.d.
straordinaria (o condono) - Specialità del
procedimento - Verifiche, presupposti e
condizioni - Parere della Commissione
edilizia - Non obbligatorio - Fondamento.
La specialità del procedimento di condono
edilizio rispetto all'ordinario procedimento
di rilascio della concessione ad edificare e
l'assenza di una specifica previsione in
ordine alla sua necessità rendono, per il
rilascio della concessione in sanatoria c.d.
straordinaria (o condono), il parere della
Commissione edilizia non obbligatorio, ma,
tutt’al più, facoltativo, al fine di
acquisire eventuali informazioni e
valutazioni con riguardo a particolari e
sporadici casi incerti e complessi, in
assenza dei quali il rilascio della
concessione in sanatoria è subordinato alla
semplice verifica dei (pur numerosi)
presupposti e condizioni espressamente e
chiaramente fissati dal Legislatore (Cons.
St., sez. IV, 12/02/2010 , n. 772 ; CdS sez.
IV, 15/05/2009, n. 3010 ; CdS, sez. VI,
27/06/2008, n. 3282; CdS sez. V, 04/10/2007,
n. 5153).
Nella specie non sussistevano quelle
condizioni di complessità e difficoltà
accertativa o valutativa e, dunque, non
v’erano spazi per poter invocare utilmente
l’intervento dell’organo consultivo
collegiale.
Opere abusive sanabili -
Annullamento delle acquisizioni al
patrimonio comunale - Cancellazione delle
relative trascrizioni nel pubblico registro
immobiliare - Limiti di superficie e volume
per ampliamenti di edifici già esistenti -
Art. 39, c. 19, L. n. 724/1994 - Art. 7, c.
3, L. n. 47/1985.
L’art. 39 della legge n. 724/1994 dispone,
al comma 19, che per le opere abusive “divenute
sanabili“ in forza dello stesso art. 39,
“il proprietario ha il diritto di
ottenere l’annullamento delle acquisizioni
al patrimonio comunale dell’area di sedime e
delle opere sopra questa realizzate disposte
in attuazione dell’articolo 7, terzo comma,
della legge 28.02.1985, n. 47”, e la
cancellazione delle relative trascrizioni
nel pubblico registro immobiliare, fatti
salvi i diritti dei terzi e del comune, nel
caso in cui le opere stesse siano state
destinate ad attività di pubblica utilità
entro la data dell'01.12.1994.
Inoltre, l’articolo 39 della legge n.
724/1994, dopo avere fissato i limiti di
superficie e volume per ampliamenti di
edifici già esistenti, ha disposto che quei
limiti “trovano altresì applicazione alle
opere abusive realizzate nel termine di cui
sopra relative a nuove costruzioni non
superiori ai 750 metri cubi per singola
richiesta di concessione edilizia in
sanatoria."
La norma correla quindi il limite
volumetrico massimo alla domanda di condono.
Nella specie, a nulla vale invocare,
l’avvenuto frazionamento dell’immobile in
due unità immobiliari, perché se ciò fosse
rilevante, si consentirebbe ad un soggetto
di realizzare un grattacielo di migliaia di
metri cubi, poi frazionarlo in tanti
appartamenti tutti inferiori a 750 mc. e
quindi invocare il condono (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5156 -
link a www.ambientediritto.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Provvedimenti in materia edilizia
- Attribuzione ai dirigenti - Art. 6, 2°
comma, L. n. 127/1997 - Art. 51 L. n.
142/1990.
Solo a seguito dell'art. 6, 2° comma, L. n.
127/1997 è stata attribuita ai dirigenti
degli Enti locali la competenza in ordine
agli atti di gestione, anche con riferimento
ai provvedimenti in materia edilizia.
La disposizione, nel sostituire l'art. 51 L.
n. 142/1990, ha direttamente attribuito ai
Dirigenti, tra l'altro, i provvedimenti di
autorizzazione, concessione o analoghi, il
cui rilascio presupponga accertamenti e
valutazioni anche di natura discrezionale
(Cons. St., Sez. V, n. 5833 del 25.11.2001,
n. 7632 del 21.11.2203 , n. 2694 del
04.05.2004 e n. 5757 del 09.11.2007; ma è
altrettanto vero che, per consolidata
giurisprudenza, non esistono ostacoli di
ordine normativo -eccetto improbabili norme
di statuto o regolamento dell’ente locale- a
che il Sindaco deleghi un assessore
all'adozione di atti in materia urbanistica
ed edilizia che non costituiscano
espressione di funzioni di Ufficiale di
Governo ma che attengano alla cura di
interessi tipicamente locali e strettamente
coordinati con le esigenze della comunità
insediata in un certo territorio (CdS, sez.
V, 10/02/2009, n. 758; id., 16/11/2005, n.
6376; id., 24/11/1997, n. 1358) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5156 -
link a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Dichiarazione implicita di
pubblica utilità - Obbligo di comunicare
l’avvio del procedimento - Fattispecie:
approvazione progetto tecnico di variante
lavori sistemazione ed occupazione urgenza -
Art. 7, L. n. 241/1990.
Ai sensi dell’articolo 7 della legge
07.08.1990 n. 241, sussiste l’obbligo di
comunicare l’avvio del procedimento
culminante nella dichiarazione implicita di
pubblica utilità dell’intervento da
realizzare, in quanto immediatamente e
direttamente lesivo di potenziali interessi
(C.d.S., A.P., n. 14/1999 ).
Nel caso di specie, tuttavia, non si è avuta
la dichiarazione di pubblica utilità
implicita nell'approvazione del progetto
delle opere da realizzare, perché essa
consegue ope legis alla sola
approvazione del progetto definitivo delle
opere da realizzare, come stabilisce il
comma 13 dell'articolo 14 della legge
11.02.1994, n. 109, laddove con la impugnata
delibera consiliare n. 27 del 1998 è stato
approvato soltanto il progetto di massima (CdS
Sez. IV, n. 3364/09).
Pertanto, non essendoci alcuna valida ed
utile dichiarazione di pubblica utilità e
questa non potendo conseguire ex lege
all'approvazione del progetto preliminare,
non sussisteva alcun obbligo da parte della
amministrazione comunale di comunicare ai
ricorrenti l'esistenza del procedimento
relativo alla realizzazione dei lavori per
cui è causa (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5155 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
PRG - Discrezionalità
dell’Amministrazione - Destinazione di zona
di natura conformativa - Vincolo non
finalizzato all’espropriazione - Mero
obbligo per i proprietari di rispetto della
destinazione impressa all’area.
La destinazione di una area a servizi (es.
attrezzature ed impianti di interesse
generale) corrisponde a destinazione di zona
di PRG di natura conformativa, connessa alle
determinazioni di pianificazione urbanistica
rientranti nella discrezionalità
dell’Amministrazione, cui corrisponde un
mero obbligo per i proprietari di rispetto
della destinazione impressa all’area e non
un vincolo finalizzato all’espropriazione
(C.d.S. Sez. IV, n. 4340/2002) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5155 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Comune non può assentire una concessione
edilizia subordinatamente all’impegno del
privato a rinunciare alla proposizione di
azioni risarcitoria nei confronti del
Comune, in quanto tale condizione non è
volta a perseguire alcun interesse pubblico
riconducibile alla materia
urbanistico-edilizia e si pone in contrasto
con il principio di tipicità dei
provvedimenti amministrativi.
Il Comune, invero, non può in via generale
apporre condizioni, sia sospensive che
risolutive, alla concessione edilizia, salvi
i casi espressamente previsti dalla legge,
stante la natura di accertamento costitutivo
a carattere non negoziale di detto
provvedimento.
Come già chiarito dalla giurisprudenza
amministrativa (TAR Campania, sez. Salerno,
II, 16.01.2007, n. 28), il Comune non può
assentire una concessione edilizia
subordinatamente all’impegno del privato a
rinunciare alla proposizione di azioni
risarcitoria nei confronti del Comune, in
quanto tale condizione non è volta a
perseguire alcun interesse pubblico
riconducibile alla materia
urbanistico-edilizia e si pone in contrasto
con il principio di tipicità dei
provvedimenti amministrativi.
Tale condizione si rivela, infatti,
preordinata al perseguimento di interessi
estranei a quelli sottesi al potere
esercitato, volto a garantire lo svolgimento
dell’attività edificatoria nel rispetto
delle norme che la disciplinano ed in vista
di una corretta ed equilibrata
trasformazione del territorio, ed, esulando
dall’ambito teleologico appena delineato, si
propone di evitare i riflessi risarcitori
eventualmente derivanti da una pregressa
attività dell’Amministrazione: in tal modo
subordinando l’efficacia della concessione
rilasciata al perseguimento di scopi
estranei al relativo schema tipologico.
Il Comune, invero, non può in via generale
apporre condizioni, sia sospensive che
risolutive, alla concessione edilizia, salvi
i casi espressamente previsti dalla legge,
stante la natura di accertamento costitutivo
a carattere non negoziale di detto
provvedimento (Cons. St, sez. V, 24.03.2001,
n. 1702).
Tale condizione, peraltro, non inficia in
toto la concessione assentita, dal momento
che l’invalidità di una condizione apposta
all’atto amministrativo comporta la
invalidità totale dell’atto stesso solo
qualora il contenuto della condizione abbia
costituito il motivo essenziale della
dichiarazione di volontà, la quale
presumibilmente non vi sarebbe stata senza
di quella (“vitiatur et vitiat”); ma
la nullità e l’invalidità totale dell’atto
amministrativo, a cagione dell’invalidità
della condizione, non può certamente
prodursi quando si tratti -come nel caso di
specie- di atti dovuti (nei quali cioè non
vi sia discrezionalità nell’an) e
quando l’autorità amministrativa, che si
determina per il provvedimento, dovrà dare
ad esso il contenuto predeterminato dalle
fonti normative, in assenza di
discrezionalità nel quid (cfr. TAR
Liguria, 25.10.1979, n. 381) (TAR
Abruzzo-Pescara, Sez. I,
sentenza 08.02.2007 n. 153 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: La
domanda di risarcimento del danno causato da
un illegittimo provvedimento di diniego,
annullato in sede giurisdizionale per
difetto di motivazione, non può essere
accolta ove persistano in capo alla p.a.
significativi spazi di discrezionalità
amministrativa pura in sede di riesercizio
del potere e la parte istante non si sia
limitata a chiedere il mero danno subito per
effetto di un’illegittimità procedimentale
sintomatica di una modalità comportamentale
non improntata alla regola della
correttezza, ma abbia richiesto l’intero
pregiudizio derivante dal mancato
conseguimento del bene della vita,
costituito dalla autorizzazione richiesta.
La domanda di
risarcimento del danno causato da un
illegittimo provvedimento di diniego,
annullato in sede giurisdizionale per
difetto di motivazione, non può essere
accolta ove persistano in capo alla p.a.
significativi spazi di discrezionalità
amministrativa pura in sede di riesercizio
del potere e la parte istante non si sia
limitata a chiedere il mero danno subito per
effetto di un’illegittimità procedimentale
sintomatica di una modalità comportamentale
non improntata alla regola della
correttezza, ma abbia richiesto l’intero
pregiudizio derivante dal mancato
conseguimento del bene della vita,
costituito dalla autorizzazione richiesta
(così Cons. St., sez. VI, 15.04.2003, n.
1945, e nello stesso senso, più di recente
Cons. St. Ad. pl., 15.09.2005, n. 7).
Così si è dichiarata l’inammissibilità “allo
stato“ della domanda volta al
risarcimento del danno conseguente
dall’annullamento di un diniego di
concessione edilizia, posto che
l’accoglimento nel merito del ricorso di per
sé non implica che l’istanza sarà
successivamente sicuramente esitata in senso
favorevole dall’Amministrazione; in quanto
la situazione, dopo l’annullamento di un
diniego, è “ancora incerta ed incompiuta,
l’assetto definitivo di interessi ancora di
là da venire, ed in un simile quadro non
sono ancora definiti i presupposti del
risarcimento, sia con riguardo all’an
(l’essersi effettivamente verificato un
danno, e che tipo di danno, di quale natura)
sia al quantum (cosa che potrà accertarsi
solo dopo l’esito del procedimento e la
realizzazione del bene della vita, ove
questa avvenga)” (così di recente TAR
Sicilia, sez. Catania, sez. I, 13.04.2006 n.
585).
Peraltro, questo Tribunale, con sentenza
13.12.2005, n. 855, ha anche affermato che
ove venga annullato un diniego di
concessione edilizia perché privo di idonea
motivazione ben può essere accolta la
richiesta di risarcimento dei danni quando
sia stata esclusa, in relazione a quanto
disposto dall’art. 21-octies della L.
07.08.1990, n. 241, la presenza di specifici
elementi ostativi all’accoglimento della
richiesta della parte ricorrente e ciò in
quanto l’annullamento del diniego per
difetto di motivazione, in ragione di quanto
oggi previsto da tale art. 21-octies,
comporta anche un giudizio in ordine alla
spettanza o meno del bene della vita da
conseguire, specie ove il Tribunale, prima
di pervenire all’annullamento del diniego
impugnato, abbia in effetti svolto in
concreto un’attenta analisi della disciplina
urbanistica della zona, per verificare
-trattandosi di un atto vincolato- che non
fosse “palese” che il contenuto
dispositivo dell’atto impugnato non sarebbe
stato diverso.
Prescindendo, in ogni caso da tale ultima
ipotesi, la giurisprudenza amministrativa
oggi sostiene costantemente che in caso di
annullamento di un diniego di concessione
edilizia per vizi che consentono il
riesercizio del potere (come nel caso di
difetto di motivazione), la domanda di
risarcimento del danno non può essere
valutata se non all’esito del nuovo
esercizio del potere; infatti, solo
l’eventuale reiterazione dell’atto negativo,
per ragioni diverse dal precedente, esclude
la sussistenza di un danno risarcibile
derivante dal primo provvedimento, salva la
verifica degli estremi del danno in caso di
annullamento giurisdizionale anche del
secondo provvedimento (così da ultimo Cons.
St., sez. IV, 30.06.2006, n. 4231, e nello
stesso TAR Abruzzo, sez. Pescara,
08.05.2003, n. 507).
Peraltro, è pacifico che la richiesta di
risarcimento dei danni possa essere avanzata
successivamente e separatamente dalla
richiesta di annullamento dell’atto
illegittimo (Cons. St., Ad. pl., 09.02.2006,
n. 2)
(TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I,
sentenza 08.02.2007 n. 153 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di ristrutturazione edilizia di cui
all’art. 31, c. 1, lett. d), l. n. 457/1978
comprende anche la demolizione seguita dalla
fedele ricostruzione del manufatto, con
l’unica condizione che la riedificazione
assicuri la piena conformità di sagoma, di
volume e di superficie tra il vecchio ed il
nuovo manufatto.
Secondo un univoco e consolidato
orientamento giurisprudenziale (cfr. ex
multis C.S., Sez. IV, 02.04.2002,
n.1824), dal quale non si ravvisano ragioni
per discostarsi, il concetto di
ristrutturazione edilizia di cui all’art.
31, c. 1, lett. d), l. n. 457/1978 comprende
anche la demolizione seguita dalla fedele
ricostruzione del manufatto, con l’unica
condizione che la riedificazione assicuri la
piena conformità di sagoma, di volume e di
superficie tra il vecchio ed il nuovo
manufatto
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 18.09.2003 n. 5310 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
GIURISPRUDENZA |
LAVORI PUBBLICI:
Aumento dei prezzi dei materiali
di costruzione - Istanza di compensazione -
Termine di 30 giorni dalla pubblicazione del
decreto ministeriale di rilevazione delle
variazioni - Data di spedizione - Principio
generale di equipollenza della spedizione
alla presentazione diretta.
L’art. 1, c. 4, del d.l. n. 162/2008, in
tema di istanza di compensazione per
l’aumento dei prezzi dei materiali di
costruzione, non può che essere interpretato
alla luce del principio generale di
equipollenza della spedizione postale alla
presentazione diretta: in mancanza di una
regola diversa fissata nella lex
specialis della procedura, va pertanto
ritenuto che il termine finale di 30 giorni
(dalla pubblicazione del decreto
ministeriale di rilevazione delle variazioni
percentuali dei prezzi) per la presentazione
della domanda del privato alla pubblica
amministrazione sia osservato ove tale
domanda sia inoltrata in tempo utile a mezzo
raccomandata, rilevando in tal caso la data
di spedizione e non quella di ricezione da
parte della destinataria (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 14.09.2010 n. 6678 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Atto di asservimento - Cessione
di cubatura tra fondi contigui - Finalità
dell’istituto.
L’atto di asservimento dei suoli comporta la
cessione di cubatura tra fondi contigui ed è
funzionale ad accrescere la potenzialità
edilizia di un’area per mezzo dell’utilizzo
della cubatura realizzabile in una
particella contigua e del conseguente
computo anche della superficie di
quest’ultima, ai fini della verifica del
rispetto dell’indice di fabbricabilità
fondiaria.
Asservimento - Limiti di
volumetria - Vincolo ope legis - Strumenti
negoziali privatistici - Relazione
pertinenziale tra i lotti - Nuova disciplina
sulla capacità edificatoria.
In tema di asservimento, nel caso in cui la
normativa urbanistica impone limiti di
volumetria, il vincolo sull’area discende
ope legis senza necessità di strumenti
negoziali privatistici (atto d’obbligo,
trascrizione, ecc.), che devono invece
sussistere nel caso di asservimento dei
suoli limitrofi per ottenere una volumetria
maggiore, anche reciproca; infatti, l’atto
di asservimento di un lotto, che costituisce
una qualità oggettiva dello stesso (una
sorta di obbligazione “propter rem”)
e realizza una specie particolare di
relazione pertinenziale (cfr. Cons. Stato,
Ad. plen., 23.04.2009, n. 3), non comporta
un divieto assoluto di edificazione, pur
costituendo un vincolo che rimane
cristallizzato nel tempo, ma non può
costituire limite rispetto alle
determinazioni del pianificatore generale,
che resta libero di dettare una nuova
disciplina sulla volumetria e sulla capacità
edificatoria (cfr. Cons Stato, sez. IV,
04.05.2006, n. 2488; idem, 29.07.2008, n.
3766; TAR Trentino Alto Adige Bolzano,
22.08.2007, n. 286; TAR Valle d'Aosta Aosta,
sez. I, 15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia,
Brescia, sez. I, 14.05.2010, n. 1736).
Asservimento -
Potenzialità edificatoria dei terreni -
Modifica della pianificazione urbanistica o
normativa sopravvenuta.
L'asservimento di un terreno per realizzare
una costruzione non rende lo stesso
definitivamente inedificabile anche per il
futuro; la destinazione ed utilizzazione
delle aree rappresenta, infatti, un dato
dinamico ed evolutivo, potendo mutare nel
tempo l'indice fondiario, nonché la stessa
previsione di lotti minimi, per cui la
potenzialità edificatoria di un terreno va
necessariamente valutata ed esaminata alla
stregua della modificazione della
pianificazione urbanistica e della normativa
sopravvenuta (cfr. TAR Abruzzo, Pescara,
26.07.2006, n. 399) TAR Lazio-Roma, Sez.
II-bis,
sentenza 10.09.2010 n. 32217 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Non può essere esclusa l’impresa
cessionaria del ramo d’azienda che non abbia
presentato le relative dichiarazioni in
ordine alla posizione della cedente.
Con la sentenza in commento il TAR
Lombardia, con riferimento ad una gara in
cui erano state ammesse tre imprese, ha
accolto il ricorso incidentale
dell’aggiudicataria ed ha respinto il
ricorso principale della società cooperativa
appellante avverso una determinazione
dirigenziale del comune di Milano di
affidamento del servizio di attacchinaggio
su impianti di proprietà comunale.
Il Consiglio di Stato, nel considerare
l’appello infondato, ha ritenuto priva di
pregio, in particolare, la doglianza con la
quale si sostiene che l’aggiudicataria
avrebbe dovuto dichiarare nella domanda di
partecipazione, a pena di esclusione,
l’intenzione di avvalersi dei requisiti
acquisiti per effetto della cessione del
ramo d’azienda stipulata anteriormente alla
procedura.
Occorre osservare, spiegano i giudici
d’appello, che in materia di procedure ad
evidenza pubblica le clausole di esclusione
poste dalla legge o dal bando in ordine alle
dichiarazioni cui è tenuta la impresa
partecipante alla gara sono di stretta
interpretazione dovendosi dare esclusiva
prevalenza alle espressioni letterali in
esse contenute restando preclusa ogni forma
di estensione analogica diretta ad
evidenziare significati impliciti, che
rischierebbe di pregiudicare l’affidamento
dei partecipanti, la par condicio dei
concorrenti e l’esigenza della più ampia
partecipazione (V. le decisioni di questo
Consiglio sez. V, 28.09.2005 n. 5194 e
13.01.2005 n. 82; Sez. IV, 15.06.2004 n.
3903; VI, 02.04.2003 n. 1709).
Inoltre, al fine di integrare i requisiti di
partecipazione ad una gara di appalto ed a
prescindere da un’espressa previsione del
bando, sono certamente riconducibili al
patrimonio di una società o di un
imprenditore cessionari prima della
partecipazione alla gara di un ramo
d’azienda i requisiti posseduti dal soggetto
cedente, giacché essi devono considerarsi
compresi nella cessione in quanto
strettamente connessi all'attività propria
del ramo ceduto. In tal caso infatti nessuna
norma del Codice dei contratti impone al
cessionario di dichiarare espressamente,
nella domanda, di partecipare alla gara
grazie ai requisiti acquisiti con la
precedente cessione; né varrebbe richiamare
gli artt. 51 e 49, dal momento che si
riferiscono rispettivamente alle diverse
ipotesi nelle quali la cessione sia avvenuta
nel corso della gara ovvero il concorrente
ricorra ad imprese ausiliarie mediante l’avvalimento
al fine di integrare i propri requisiti per
partecipare alla gara.
L’orientamento sopra indicato è stato
recentemente confermato dalla quinta Sezione
(decisione 21.05.2010 n. 3213), rilevandosi
che manca nel Codice appalti una norma, con
effetto preclusivo, che preveda in caso di
cessione d’azienda antecedente alla
partecipazione alla gara un obbligo
specifico di dichiarazioni in ordine ai
requisiti soggettivi della cedente riferita
sia agli amministratori e direttori tecnici
in quanto l’art. 51 del Codice si occupa
della sola ipotesi di cessione del ramo di
azienda successiva alla aggiudicazione della
gara.
Ne discende che in assenza di tale norma e
siccome la cessione di azienda comporta non
una successione a titolo universale del
cessionario al cedente bensì invece una
successione nelle posizioni attive e passive
relative all’azienda tra soggetti che
conservano distinta personalità giuridica,
non può essere esclusa l’impresa cessionaria
del ramo d’azienda che non abbia presentato
le relative dichiarazioni in ordine alla
posizione della cedente , con conseguente
infondatezza, concludono gli stessi giudici,
della doglianza avanzata dall’appellante
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.09.2010 n. 6550 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nell’ambito del criterio
selettivo dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, anche quando il progetto posto
a base di gara è definitivo, è consentito
alle imprese di proporre le variazioni
migliorative rese possibili dal possesso di
peculiari conoscenze tecnologiche.
La giurisprudenza sottolinea costantemente
la naturale vocazione del metodo
dell’offerta economicamente più vantaggiosa
a recepire i suggerimenti innovativi
provenienti dall’esperienza e dalla capacità
tecnica delle imprese concorrenti.
La Sezione ha affermato infatti: “E’
insito nella scelta del criterio selettivo
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
che, anche quando il progetto posto a base
di gara è definitivo, deve ritenersi
consentito alle imprese di proporre le
variazioni migliorative rese possibili dal
possesso di peculiari conoscenze
tecnologiche, purché non si alterino i
caratteri essenziali delle prestazioni
richieste” (Consiglio Stato, sez. V,
16.06.2010, n. 3806; 12.02.2010, n. 743;
17.09.2008 n. 4398; 11.07.2008 n. 3481)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.09.2010 n. 6545 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’apposizione
di una o più condizioni al rilascio di un
titolo edilizio può ritenersi generalmente
ammessa soltanto quando si vada ad incidere
su aspetti legati alla realizzazione
dell’intervento costruttivo, sia da un punto
di vista tecnico che strutturale, e ciò
trovi un fondamento diretto o indiretto in
una norma di legge o regolamento.
Diversamente, non è possibile apporre
condizioni al titolo edilizio che siano
estranee alla fase di realizzazione
dell’intervento edilizio.
L’apposizione di una o più condizioni al
rilascio di un titolo edilizio può ritenersi
generalmente ammessa soltanto quando si vada
ad incidere su aspetti legati alla
realizzazione dell’intervento costruttivo,
sia da un punto di vista tecnico che
strutturale, e ciò trovi un fondamento
diretto o indiretto in una norma di legge o
regolamento.
Diversamente, non è possibile apporre
condizioni al titolo edilizio che siano
estranee alla fase di realizzazione
dell’intervento edilizio.
Difatti, il Comune non può assentire una
concessione edilizia subordinatamente
all’impegno del privato a rinunciare
all’indennizzo dovuto, nel caso di futura
espropriazione dell’opera, “in quanto
tale condizione non è volta a perseguire
alcun interesse pubblico riconducibile alla
materia urbanistico-edilizia e si pone in
contrasto con il principio di tipicità dei
provvedimenti amministrativi” (TAR
Abruzzo, Pescara, 08.02.2007, n. 153).
In tal modo, infatti, si tende al
perseguimento di finalità estranee a quelle
sottese al potere esercitato, legato allo
svolgimento dell’attività edificatoria,
funzionalizzando l’attività amministrativa
ad interessi avulsi rispetto a quelli
tipizzati dal legislatore: del resto, in
sede di rilascio di concessioni edilizie,
non si può, in via generale, apporre
condizioni, sia sospensive che risolutive,
ai predetti titoli abilitativi, salvi i casi
espressamente previsti dalla legge, stante
la natura di accertamento costitutivo a
carattere non negoziale di detti
provvedimenti (cfr. Consiglio di Stato, V,
24.03.2001, n. 1702).
A ciò consegue certamente l’invalidità della
condizione apposta, senza tuttavia che ciò
ridondi sulla validità complessiva della
concessione assentita, “dal momento che
l’invalidità di una condizione apposta
all’atto amministrativo comporta la
invalidità totale dell’atto stesso solo
qualora il contenuto della condizione abbia
costituito il motivo essenziale della
dichiarazione di volontà, la quale
presumibilmente non vi sarebbe stata senza
di quella (“vitiatur et vitiat”); ma la
nullità e l’invalidità totale dell’atto
amministrativo, a cagione dell’invalidità
della condizione, non può certamente
prodursi quando si tratti –come nel caso di
specie– di atti dovuti (nei quali cioè non
vi sia discrezionalità nell’an) e quando
l’autorità amministrativa, che si determina
per il provvedimento, dovrà dare ad esso il
contenuto predeterminato dalle fonti
normative, in assenza di discrezionalità nel
quid” (TAR Abruzzo, Pescara, 08.02.2007,
n. 153)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 10.09.2010 n. 5655 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rilascio di un titolo edilizio -
Apposizione di condizioni - Limiti -
Fattispecie: rinuncia all’indennizzo nel
caso di futura espropriazione dell’opera -
Invalidità della condizione.
L’apposizione di una o più condizioni al
rilascio di un titolo edilizio può ritenersi
generalmente ammessa soltanto quando si vada
ad incidere su aspetti legati alla
realizzazione dell’intervento costruttivo,
sia da un punto di vista tecnico che
strutturale, e ciò trovi un fondamento
diretto o indiretto in una norma di legge o
regolamento.
Diversamente, non è possibile apporre
condizioni al titolo edilizio che siano
estranee alla fase di realizzazione
dell’intervento edilizio. Ne deriva che il
Comune non può assentire una concessione
edilizia subordinatamente all’impegno del
privato a rinunciare all’indennizzo dovuto,
nel caso di futura espropriazione
dell’opera, “in quanto tale condizione
non è volta a perseguire alcun interesse
pubblico riconducibile alla materia
urbanistico-edilizia e si pone in contrasto
con il principio di tipicità dei
provvedimenti amministrativi” (TAR
Abruzzo, Pescara, 08.02.2007, n. 153; cfr.
altresì Consiglio di Stato, V, 24.03.2001,
n. 1702).
A ciò consegue certamente l’invalidità della
condizione apposta, senza tuttavia che ciò
ridondi sulla validità complessiva della
concessione assentita (cfr. TAR Abruzzo,
Pescara, 08.02.2007, n. 153) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 10.09.2010 n. 5655 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Presupposto - Conformità
dell’opera edilizia agli strumenti
urbanistici - Attività edilizia
oggettivamente abusiva - Ricorso
all’istituto della D.I.A. - Inammissibilità.
L'operatività della D.I.A. è subordinata
alla conformità dell'attività edilizia alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici e,
in generale, della normativa urbanistica
vigente (TAR Toscana Firenze, sez. III,
20.01.2009, n. 21), come dimostra anche la
circostanza che tale denuncia deve essere
accompagnata dalla asseverazione di
conformità (TAR Campania Napoli, sez. IV,
12.01.2009, n. 68) che attesti, tra l’altro,
il rispetto delle norme di sicurezza ed
igienico sanitarie. Ne consegue che, in
assenza di detta conformità
urbanistico-edilizia o alle normative di
settore, il ricorso all’istituto non è, a
priori, ammissibile, rimanendo l’opera senza
titolo per mancata produzione degli effetti
legali tipici. In altri termini, la valenza
di tale istituto non può trasformare in
lecita e/o legittima un'attività edilizia
oggettivamente abusiva (TAR Campania Napoli,
sez. II, 03.02.2006, n. 1506).
Attività edilizia -
Autorità comunale - Potere di vigilanza -
Potere di sospensione - Ingiunzione di
demolizione - Artt. 23 e 27 d.P.R. n.
380/2001.
Il potere di vigilanza e controllo
sull'attività edilizia attribuito
all'autorità comunale non è limitato alla
previsione di cui all’art. 23, comma 6, del
d.P.R. n. 380/2001, relativo alla disciplina
della denuncia di inizio attività;
trattandosi, infatti, di un potere generale
attribuito all'autorità amministrativa per
tutti i tipi di intervento edilizio che
avvengono sul territorio di competenza, può
svolgersi senza limiti di tempo e può
esplicarsi sia attraverso l’esercizio del
potere di sospensione che di ingiunzione
alla demolizione da parte dell'ente comunale
ex art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001 (TAR
Campania Napoli, sez. II, 03.02.2006, n.
1506) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 10.09.2010 n. 1962 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Accesso - Diniego - Mancata impugnazione nel
termine di trenta giorni - Reiterazione
dell’istanza di accesso - Successivo diniego
- Carattere meramente confermativo -
Impugnazione - Irricevibilità.
La mancata impugnazione del diniego
all'accesso agli atti e all'attività
amministrativa, nel termine di 30 giorni,
decorrente dalla conoscenza del
provvedimento di diniego o dalla formazione
del silenzio significativo, non consente la
reiterabilità dell'istanza e la conseguente
impugnazione del successivo diniego, laddove
a questo possa riconoscersi carattere
meramente confermativo del primo, potendo
l'interessato reiterare l'istanza di accesso
e pretendere riscontro alla stessa solo in
presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o
meno, non rappresentati nell'originaria
istanza o anche a fronte di una diversa
prospettazione dell'interesse giuridicamente
rilevante (TAR Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 09.09.2010 n. 3675 -
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EDILIZIA PRIVATA:
DIRITTO DELLE ACQUE -
Qualificazione e gestione delle acque - Aste
fontanili - Artt. 94, 115, 134 e 144, D. Lgs.
n. 152/2006 - Art. 41, D.Lgs. n. 152/1999 -
Art. 96 R.D. n. 523/1904 - Art. 1, D.P.R. n.
238/1999.
La qualificazione di tutte le acque come
appartenenti al demanio pubblico, salvo
limitatissime eccezioni ribadita dal D.P.R.
18.02.1999, n. 238, art. 1, è stata da
ultimo confermata dal D.Lgs. 03.04.2006, n.
152. art. 144.
Ne consegue che anche alle aste fontanili
resta ancora applicabile il R.D. 25.07.1904,
n. 523, art. 96, non abrogato dal D.Lgs. n.
152 del 2006, che anzi lo richiama
espressamente all'art. 115, sostanzialmente
riproducente il D.Lgs. n. 152 del 1999, art.
41 e che prevede comunque il divieto di
copertura di qualunque corso d'acqua che non
sia imposta da ragioni di tutela della
pubblica incolumità.
Né è possibile trarre argomento decisivo
contro tale conclusione dal fatto della
depenalizzazione della fattispecie penale
relativa alle acque potabili di cui al
D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 94, ad opera
dell'art. 134 del medesimo decreto, che
renderebbe incompatibile la persistenza del
reato in esame relativamente a quelle non
potabili, in considerazione comunque del
particolare rilievo economico delle aste
fontanili soprattutto nelle regioni del
nord, che porta ad escluderne l'inclusione
in categorie a tutela minore (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.09.2010 n. 32941 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Responsabilità della P. A. nei
confronti dei privati - Qualificazione -
Responsabilità risarcitoria - Presupposti -
Colpa dell'amministrazione - Onere della
prova - Artt. 2043, 2727 e 2729 cod. civ..
Si qualifica la responsabilità della
pubblica Amministrazione nei confronti dei
privati per l'adozione di provvedimenti
illegittimi, come responsabilità aquiliana
(extracontrattuale da fatto illecito),
allorquando -in assenza di una causa di
giustificazione- venga arrecato un danno ad
una posizione soggettiva riconosciuta
dall'ordinamento meritevole di tutela,
indipendentemente dalla qualificazione della
stessa in termini di diritto soggettivo o di
mero interesse legittimo, il danneggiato può
invocare in suo favore l'applicazione
dell'art. 2043 cod. civ..
Pertanto, ai fini della responsabilità
risarcitoria, non è sufficiente il mero dato
oggettivo dell'illegittimità del
provvedimento, ma deve sussistere altresì la
colpa, non del funzionario agente, bensì
dell'Amministrazione come apparato, da
intendersi come violazione delle regole di
imparzialità, di correttezza e di buona
amministrazione, alle quali l'esercizio
della funzione amministrativa deve ispirarsi
e che si pongono come limiti esterni alla
discrezionalità. L'onere della prova
incombe, al riguardo, sul privato che si
pretende danneggiato. (Corte Cass. Sez. Un.
Civ. 22/07/1999, n. 500).
Anche il Consiglio di Stato, ha qualificato
la responsabilità della P.A. come
extracontrattuale, con tutto ciò che ne
consegue anche in tema di prova
dell'elemento soggettivo (C. Stato sez. IV,
29/09/2005, n. 5204; sez. IV, 26/04/2006, n.
2288), dovendo ritenersi consentita, nei
confini dello schema e della disciplina
della responsabilità aquiliana, la
utilizzazione, per la verifica dell'elemento
soggettivo, delle presunzioni semplici di
cui agli artt. 2727 e 2729 cod. civ. (C.
Stato, sez. IV, 06/07/2004, n. 5012).
In tale ottica il privato danneggiato,
ancorché onerato della dimostrazione della
colpa dell'amministrazione, risulta
agevolato dalla possibilità di offrire al
giudice elementi indiziari, quali la gravità
della violazione, il carattere vincolato
dell'azione amministrativa e l'univocità
della normativa di riferimento. Così che,
acquisiti gli indici rivelatori della colpa,
spetta all'amministrazione l'allegazione
degli elementi ascrivibili allo schema
dell'errore scusabile e al giudice
apprezzarne e liberamente valutarne
l'idoneità ad attestare o a escludere la
colpevolezza (C. Stato, sez. IV, 10/08/2004,
n. 5500).
È stato altresì affermato che "ferma
restando la permanente difficoltà di
individuare un quid pluris rispetto alla
stessa illegittimità dell'atto, la colpa
dell'Amministrazione deve essere valutata
tenendo conto dei vizi che inficiano il
provvedimento, della gravità delle
violazioni imputabili all'Amministrazione,
anche alla luce del potere discrezionale
concretamente esercitato, delle condizioni
concrete, dell'apporto eventualmente dato
dai privati al procedimento" (C. Stato,
sez. IV, 12/01/2005, n. 43; 11/10/2006, n.
6059) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.09.2010 n. 32941 -
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APPALTI:
L’escussione della cauzione
provvisoria, disciplinata dall’articolo 48
del codice dei contratti pubblici, ha
carattere tassativo e non può essere estesa
ad altre ipotesi diverse.
L’escussione della cauzione provvisoria è
disciplinata dall’articolo 48 del codice dei
contratti pubblici. Tale norma prevede, al
comma 1, che “1. Le stazioni appaltanti
prima di procedere all'apertura delle buste
delle offerte presentate, richiedono ad un
numero di offerenti non inferiore al 10 per
cento delle offerte presentate, arrotondato
all'unità superiore, scelti con sorteggio
pubblico, di comprovare, entro dieci giorni
dalla data della richiesta medesima, il
possesso dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, eventualmente
richiesti nel bando di gara, presentando la
documentazione indicata in detto bando o
nella lettera di invito. Quando tale prova
non sia fornita, ovvero non confermi le
dichiarazioni contenute nella domanda di
partecipazione o nell'offerta, le stazioni
appaltanti procedono all'esclusione del
concorrente dalla gara, all’escussione della
relativa cauzione provvisoria e alla
segnalazione del fatto all'Autorità per i
provvedimenti di cui all'art. 6 comma 11.
L’Autorità dispone altresì la sospensione da
uno a dodici mesi dalla partecipazione alle
procedure di affidamento.”
La disposizione prevede l’incameramento
della cauzione come misura sanzionatoria
correlata all’accertata difformità tra le
dichiarazioni e gli accertamenti effettuati,
ma non specifico riguardo ai requisiti di
capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa. Nel caso di specie,
invece, la riscontrata divergenza tra la
dichiarazione contenuta nell’offerta e la
successiva verifica riguarda determinati
aspetti dell’offerta, destinati ad essere
valutati per l’attribuzione dei punteggi e
non considerati quali “requisiti” di
partecipazione.
Né la lex specialis di gara prevede
l’estensione della misura sanzionatoria
dell’incameramento della cauzione ad altre
fattispecie diverse da quelle espressamente
considerate dal citato articolo 48.
La Sezione, pertanto, ritiene di confermare
il consolidato indirizzo interpretativo,
secondo cui la previsione dell’articolo 48
ha carattere tassativo e non può essere
estesa ad altre ipotesi diverse (TAR per il
Veneto, Sezione I, sentenza n. 3013 del
23.09.2008; TAR Piemonte, Sez. I, 21/12/2009
n. 3709) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2010 n. 6519 -
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APPALTI:
Sono ammesse varianti
migliorative riguardanti le modalità
esecutive dell’opera o del servizio, purché
non si traducano in una diversa ideazione
dell’oggetto del contratto, che si ponga
come del tutto alternativo rispetto a quello
voluto dalla p.a..
La Sezione ritiene che, nei limiti in cui
–come correttamente ha evidenziato il TAR–
sia sindacabile la valutazione della
stazione appaltante in ordine alla
sussistenza di inammissibile variante
essenziale ovvero di variante non essenziale
quindi consentita, in assenza di ulteriori
specificazioni da parte del bando non sia
manifestamente illogico definire quella in
parola quale elemento migliorativo, o,
meglio, di somma di elementi migliorativi
del viadotto, costituente a sua volta parte
dell’oggetto del contratto ed il cui assetto
planimetrico rimane invariato, mutando
invece unicamente le modalità tecniche
quali-quantitative e visive di
realizzazione.
In altri termini, non si tratta di opera
completamente diversa da quella voluta
dall’amministrazione, bensì della stessa
opera, con evidenti miglioramenti, sul piano
sia tecnico che estetico, e conseguenti
ovvie ricadute positive sulla sicurezza e
sull’incidenza ambientale, articolatamente
motivate dall’offerente. Ne deriva che la
medesima variante ed il positivo
apprezzamento che di essa ha operato il
Comune di Benevento collimano pienamente con
i criteri-guida elaborati dalla
giurisprudenza amministrativa in materia in
materia (cfr. Cons. Stato, sez. V,
19.02.2003, n. 923; sez. V, 09.02.2001, n.
578; sez. IV, 02.04.1997, n. 309), che così
possono riassumersi:
- sono ammesse varianti migliorative
riguardanti le modalità esecutive dell’opera
o del servizio, purché non si traducano in
una diversa ideazione dell’oggetto del
contratto, che si ponga come del tutto
alternativo rispetto a quello voluto dalla
p.a.;
- è essenziale che la proposta tecnica sia
migliorativa rispetto al progetto base, che
l’offerente dia contezza delle ragioni che
giustificano l’adattamento proposto e le
variazioni alle singole prescrizioni
progettuali, che si dia la prova che la
variante garantisca l’efficienza del
progetto e le esigenze della p.a. sottese
alla prescrizione variata;
- la commissione giudicatrice ha ampio
margine di discrezionalità, trattandosi di
valutazione dell’offerta economicamente più
vantaggiosa.
D’altro canto, la Sezione ha già affermato
che la ratio della scelta normativa
comunitaria, tradottasi nel cit. art. 76 del
d.lgs. n. 163 del 2006, di consentire in via
generale –se, come qui previsto, autorizzate
dalla stazione appaltante e nei limiti
dell’autorizzato– nelle gare col criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa
la presentazione di varianti riposa sulla
circostanza che, allorquando il sistema di
selezione delle offerte sia basato su detto
criterio, la stazione appaltante ha maggiore
discrezionalità e soprattutto sceglie il
contraente valutando non solo criteri
matematici ma la complessità dell’offerta
proposta, sicché nel corso del procedimento
di gara potrebbero rendersi necessari degli
aggiustamenti rispetto al progetto base
elaborato dall’amministrazione (cfr. Cons.
St., sez. V, 11.07.2008 n. 3481) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2010 n. 6500 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione edilizia: e alla
fine il TAR ha rimesso alla Corte
Costituzionale il rito lombardo.
Come noto, in Regione Lombardia la
ricostruzione dell’edificio per effetto
della sua ristrutturazione é da intendersi
senza vincolo di sagoma. In tal senso
dispongono sia l'art. 27, c. 1, lett. d) e
103 l.reg. Lombardia n. 12/2005 (che non
prevede la sagoma tra i parametri da
rispettare) sia dell’art. 22, l.reg.
Lombardia n. 7 del 05.02.2010 (che
interpretando l'articolo 27 dichiara
espressamente che il rispetto della sagoma
non é necessario).
Con sentenza n. 5122 del 2010 la sezione
seconda del TAR Lombardia, Milano, ha
sollevato questione di legittimità
costituzionale del combinato disposto degli
artt. 27, c. 1, lett. d) e 103 l.reg.
Lombardia n. 12/2005 e dell’art. 22, l.reg.
Lombardia n. 7 del 05.02.2010, in relazione
all’art. 117, c. 3, della Costituzione.
Se la rimessione era più che attesa, può
forse stupire -ma in realtà neppure più di
tanto- il fatto che invece di censurare il
contrasto tra funzione legislativa e
funzione giurisdizionale (ossia la scelta
della Regione di attribuirsi il potere di
emanare norme di interpretazione autentica
quando é palese l'illegittimità
costituzionale della norma "interpretata"),
il TAR -probabilmente prendendo atto della
determinazione della stessa Regione nel
senso di mantenere aperto il conflitto
invece che di ricomporlo- ha rimesso alla
Corte tanto la norma interpretata (articolo
27 l.r. 12/2005) che la sua interpretazione
(art. 22 l.r. 7/2010).
Nell'attesa della decisione della Corte,
diventano attuali i profili di riflessione
in merito alle conseguenza di una pronuncia
di incostituzionalità delle norme in
questione. Sul punto v.
Quid iuris nell'ipotesi di un
pronuncia di incostituzionalità della legge
interpretativa? in La
ristrutturazione edilizia in Lombardia alla
luce della l.r. 7/2010 di interpretazione
autentica dell'art. 27 l.r. n. 12/2005
pubblicato il 30.06.2010 all'indirizzo
http://www.studiospallino.it/interventi/ristrutturazione.htm
(commento tratto da www.studiospallino.it).
---------------
Come è noto, l’edilizia, pur se non prevista
esplicitamente, rientra nell'ambito della
materia «governo del territorio», che l'art.
117, terzo comma, della Costituzione
attribuisce alla potestà legislativa
concorrente dello Stato e delle Regioni
(cfr. ex multis, Corte Cost.,
25.09.2003, n. 303 e 19.12.2003, n. 362).
La Corte Costituzionale ha, difatti,
affermato che “la materia dei titoli
abilitativi ad edificare appartiene
storicamente all'urbanistica che, in base
all'art. 117 Cost., nel testo previgente,
formava oggetto di competenza concorrente.
La parola "urbanistica" non compare nel
nuovo testo dell'art. 117, ma ciò non
autorizza a ritenere che la relativa materia
non sia più ricompresa nell'elenco del terzo
comma: essa fa parte del “governo del
territorio”. Se si considera che altre
materie o funzioni di competenza
concorrente, quali porti e aeroporti civili,
grandi reti di trasporto e di navigazione,
produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell'energia, sono specificamente
individuati nello stesso terzo comma
dell'art. 117 Cost. e non rientrano quindi
nel “governo del territorio”, appare del
tutto implausibile che dalla competenza
statale di principio su questa materia siano
stati estromessi aspetti così rilevanti,
quali quelli connessi all'urbanistica, e che
il “governo del territorio” sia stato
ridotto a poco più di un guscio vuoto”
(cfr. Corte Cost., 25.09.2003, n. 303).
Le Regioni esercitano, pertanto, in materia
edilizia, una potestà legislativa
concorrente, nel rispetto dei principi
fondamentali della legislazione statale.
In linea con tali dettami, la legge
regionale lombarda n. 12/2005 precisa,
all’art. 1, c. 1, che “la presente legge,
in attuazione di quanto previsto
dall’articolo 117, terzo comma, della
Costituzione detta le norme di governo del
territorio lombardo, definendo forme e
modalità di esercizio delle competenze
spettanti alla Regione e agli enti locali,
nel rispetto dei principi fondamentali
dell’ordinamento statale e comunitario,
nonché delle peculiarità storiche,
culturali, naturalistiche e paesaggistiche
che connotano la Lombardia”.
Ad avviso del Collegio, l’art. 3 del d.P.R.
n. 380/2001, recante la definizione degli
interventi edilizi, costituisce un principio
fondamentale della legislazione statale, non
derogabile dal legislatore regionale.
Depongono in tal senso elementi di carattere
letterale e sistematico, quale la rubrica
della norma “Definizioni degli interventi
edilizi” e la collocazione nel titolo I
della parte I, recante “Disposizioni
generali”.
La natura di principio fondamentale
dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, è,
inoltre, desumibile dal complessivo impianto
del testo unico dell’edilizia e dal rilievo
centrale che in esso assumono le definizioni
degli interventi edilizi.
La disciplina applicabile agli interventi
edilizi è, difatti, legata alla loro
qualificazione: si pensi, ad esempio, alla
tipologia di titolo abilitativo -se permesso
di costruire o denuncia di inizio attività–
cui l’intervento è assoggettato,
all’onerosità o meno dell’intervento o alla
differente disciplina sanzionatoria.
In considerazione di tale valenza
trasversale, le definizioni delle tipologie
di intervento edilizio sono, quindi,
indubbia espressione di un principio
fondamentale.
Il carattere di principio fondamentale
dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, legato
ad una esigenza di uniformità delle nozioni,
è dimostrato, infine, dalla prevalenza delle
definizioni in essa previste sulle eventuali
diverse disposizioni contenute negli
strumenti urbanistici generali e nei
regolamenti edilizi (art. 3, c. 2, d.P.R. n.
380/2001).
L’art. 3, c. 1, lett. d) del d.P.R.
06.06.2001, n. 380 definisce, quali
interventi di ristrutturazione edilizia, “gli
interventi rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad
un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente. Tali interventi
comprendono il ripristino o la sostituzione
di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi
anche quelli consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve
le sole innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica”.
La prima formulazione della norma
ricomprendeva tra gli interventi di
ristrutturazione edilizia “quelli
consistenti nella demolizione e successiva
fedele ricostruzione di un fabbricato
identico quanto a sagoma, volumi, area di
sedime e caratteristiche dei materiali,
fatte salve le sole innovazioni necessarie
per l'adeguamento alla normativa antisismica”.
L'art. 1 del d.lgs. n. 27.12.2002, n. 301 ha
modificato l'art. 3 del d.P.R. n. 380/2001
eliminando la locuzione “fedele
ricostruzione di un fabbricato identico,
quanto a sagoma, volumi, area di sedime e
caratteristiche di materiali a quello
preesistente” e l’ha sostituita con
l’espressione “ricostruzione con la
stessa volumetria e sagoma di quello
preesistente” (art. 1, lett. a).
In mancanza dei requisiti previsti dall’art.
3 del d.P.R. n. 380/2001, l'intervento non
può essere qualificato quale
ristrutturazione edilizia, bensì quale nuova
edificazione. La lettera e) dell’art. 3,
comma 1, ricomprende infatti tra gli “interventi
di nuova costruzione” quelli di
trasformazione edilizia ed urbanistica del
territorio non rientranti nelle categorie
definite alle lettere precedenti.
Due sono, dunque, le ipotesi di
ristrutturazione previste dall’art. 3 del
d.P.R. n. 380/2001: quella contemplata dalla
prima parte della norma (c.d. intervento
conservativo), che può comportare anche
l’inserimento di nuovi volumi o modifiche
della sagoma (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
08.10.2007, n. 5214; Cass. pen, 17.02.2010,
n. 16393) e quella (c.d. intervento
ricostruttivo) attuata mediante demolizione
e ricostruzione, vincolata al rispetto di
volume e sagoma dell’edificio preesistente.
Quanto al titolo abilitativo necessario per
realizzare ristrutturazioni edilizie, l’art.
10 del d.P.R. n. 380/2001 subordina a
permesso di costruire gli interventi di
ristrutturazione c.d. pesante, quelli cioè
che portano alla realizzazione di un
organismo in tutto o in parte diverso dal
precedente e consistente in un aumento delle
unità immobiliari, in modifiche del volume,
dei prospetti, della sagoma o delle
superfici oppure, per gli immobili nella
zona A, con mutamenti di destinazione d'uso
(in alternativa, però, l'intervento può
essere anche effettuato con denuncia di
inizio attività sulla base del combinato
disposto artt. 3, 10 e 22, comma 3, lett. a)
del d.P.R. n. 380/2001).
In tutti le altre ipotesi di
ristrutturazione, c.d. leggere -quelle cioè
di portata minore– è sufficiente la previa
presentazione della dichiarazione di inizio
attività.
La ristrutturazione attuata mediante
demolizione e ricostruzione è, quindi,
soggetta alla sola dichiarazione di inizio
attività solo se porta alla realizzazione di
un organismo che abbia la stessa volumetria
e la stessa sagoma di quello preesistente.
La giurisprudenza accoglie
un’interpretazione restrittiva del concetto
di ristrutturazione edilizia mediante
demolizione e ricostruzione, sempre volta a
cogliere gli elementi che differenziano tale
tipologia di intervento da quello di nuova
costruzione.
Ad un primo orientamento che escludeva la
demolizione e ricostruzione dalla
fattispecie di ristrutturazione (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 09.02.1996, n. 144), è
seguito l'orientamento, trasfuso nel Testo
Unico dell'edilizia, che ha compreso la
fattispecie nella categoria della “ristrutturazione”
purché “fedele”, in quanto modalità
estrema di conservazione dell'edificio
preesistente nella sua consistenza
strutturale (cfr. Cons. Stato, sez. V,
10.08.2000, n. 4397).
Per la giurisprudenza pressoché unanime,
anche escludendo il superato criterio della
fedele ricostruzione, esigenze di
interpretazione logico-sistematica della
nuova normativa inducono a ritenere che la
ristrutturazione edilizia, per essere tale e
non finire per coincidere con la nuova
costruzione, debba conservare le
caratteristiche fondamentali dell'edificio
preesistente e la successiva ricostruzione
dell'edificio debba riprodurre le precedenti
linee fondamentali quanto a sagoma e volumi;
diversamente opinando, sarebbe, difatti,
sufficiente la preesistenza di un edificio
per definire ristrutturazione qualsiasi
nuova realizzazione eseguita in luogo o sul
luogo di quella preesistente (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, n. 1177/2008; sez. V, n.
476/2004; n. 5310/2003; n, 4593/2003;
18.03.2008, n. 1177; 08.10.2007, n. 5214;
16.03.2007, n. 1276; 22.05.2006, n. 3006;
Cass., sez. III, 26.10.2007, 18.03.2004).
Il legame con l’edificio preesistente,
quanto a sagoma -intendendosi con tale
concetto “la conformazione
planovolumetrica della costruzione ed il suo
perimetro considerato in senso verticale ed
orizzontale”, ovvero il contorno che
viene ad assumere l’edificio, ivi comprese
le strutture perimetrali con gli aggetti e
gli sporti (cfr. Cass. sez. III, 23.04.2004,
n. 19034)- e a volumetria, costituisce,
quindi, per unanime giurisprudenza, il
criterio distintivo degli interventi di
recupero del patrimonio edilizio esistente
dalle nuove costruzioni.
Le identità di volume e sagoma del nuovo
edificio rispetto a quello originario
giustificano, inoltre, il differente regime
cui sono soggetti gli interventi di
ristrutturazione edilizia rispetto alle
nuove costruzioni: ove la ristrutturazione
mantenga inalterati i parametri urbanistici
ed edilizi preesistenti, l’intervento non è,
difatti, subordinato al rispetto dei vincoli
posti dagli strumenti urbanistici
sopravvenuti, giacché la legittimazione
urbanistica del manufatto da demolire si
trasferisce su quello ricostruito (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 14.11.1996, n. 1359;
Cons. Stato, sez. V, 28.03.1998 , n. 369;
Cass. civ., sez. II, 12.06.2001, n. 7909;
Tar Calabria, Reggio Calabria, 24.01.2001,
n. 36; Puglia, Bari, sez. III, 22.07.2004 n.
3210) .
Delineato, così, il quadro della
normativa statale, si passa all’esame della
disciplina dettata, per la Regione
Lombardia, dal legislatore regionale.
L’art. 27 della l.reg. Lombardia n. 12/2005,
al comma 1, lett. d), prevede che “nell’ambito
degli interventi di ristrutturazione
edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e
ricostruzione parziale o totale nel rispetto
della volumetria preesistente fatte salve le
sole innovazioni necessarie per
l’adeguamento alla normativa antisismica”.
A differenza dell’art. 3, d.P.R. n.
380/2001, che, come si è visto, pone un
vincolo di identità di volumetria e di
sagoma tra il nuovo edificio e quello
preesistente, la norma regionale non
menziona il limite della sagoma.
L’art. 103 della l.reg. Lombardia n.
12/2005, prevede, inoltre, che, a seguito
dell’entrata in vigore della legge 12/2005,
cessi di avere diretta applicazione nella
Regione la disciplina di dettaglio prevista,
tra l’altro, dall’art. 3 del d.P.R. n.
380/2001, con ciò escludendo implicitamente
il carattere di principio fondamentale della
norma recante le definizioni degli
interventi edilizi.
Il Tar Lombardia ha ritenuto di poter
accedere ad una lettura conforme alla
Costituzione di queste disposizioni,
nonostante l’art. 27, c. 1, lett. d), della
l. reg. Lombardia n. 12/2005 non contenesse
alcun riferimento al limite della sagoma
dell’edificio.
Dapprima il Tar Lombardia, Brescia, con la
sentenza 13.05.2008, n. 504, ha affermato
che “il concetto di ristrutturazione
previa demolizione come intervento che
rispetta sia il volume sia la sagoma
dell’edificio preesistente è ben fermo e
ripetuto di frequente in giurisprudenza, sì
che è poco credibile che il legislatore
regionale, il quale intendesse abbandonarlo
per proporre una innovazione, lo abbia fatto
per implicito, senza palesare con termini
espressi tale intento”. Ha ritenuto
incongruo che l’esigenza del limite di
sagoma “possa venire accantonata
senz’altro dalle legislazione regionale”
e, quindi, “seguendo il costante
insegnamento della Corte costituzionale per
cui sin quando è possibile una legge
ordinaria va interpretata in modo conforme a
Costituzione” ha concluso che “il
limite della sagoma, attinente ad un
principio, nella norma lombarda che non lo
prevede espressamente, vada ricavato per via
di interpretazione logica e sistematica”.
Successivamente, anche questo Tar ha
sostenuto che l’art. 27, c. 1, l. d), della
L.R. Lombardia 11.03.2005, n. 12 dovesse
interpretarsi nel senso di prescrivere anche
il rispetto della sagoma dell’edificio
preesistente, in quanto tale requisito,
previsto dall’art. 3, comma 1, lettera d),
del D.P.R. 380/2001, costituisce espressione
di un principio generale che orienta anche
l’interpretazione della legislazione
regionale (Tar Lombardia Milano, sez. II,
16.01.2009, n. 153).
Una tale soluzione dell’antinomia tra le
previsioni dell’art. 27, c. 11, lett. d),
della l.reg. Lombardia n. 12/2005 ed il
principio fondamentale dettato dall’art. 3
del d.P.R. n. 380/2001 non può però più
essere accolta.
Con l’art. 22 della l. reg. n. 7 del
05.02.2010, il legislatore regionale ha,
difatti, adottato una norma di
interpretazione autentica, specificando che
“nella disposizione di cui all’art. 27,
c. 1, lett. d), ultimo periodo, della legge
regionale 11.03.2005, n. 12 la ricostruzione
dell’edificio è da intendersi senza vincolo
di sagoma”.
Ad avviso del Collegio, il combinato
disposto degli artt. 27, c. 1, lett. d),
ultimo periodo, della l.reg. Lombardia n.
12/2005, come interpretato dalla l.reg. n.
7/2010 -nella parte in cui esclude
l’applicabilità del limite della sagoma alle
ristrutturazioni edilizie mediante
demolizione e ricostruzione- e 103 della
l.reg. Lombardia n. 12/2005 -nella parte
in cui prevede che, a seguito dell’entrata
in vigore della legge 12/2005, cessi di
avere diretta applicazione nella Regione la
disciplina di dettaglio prevista, tra gli
altri, dall’art. 3, d.P.R. n. 380/2001-
si pone in aperto contrasto con il principio
fondamentale della legislazione statale
dettato dall’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001
in materia di governo del territorio e
viola, dunque, l’art. 117, c. 3 della
Costituzione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.09.2010 n. 5122 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Il decorso del termine perentorio
di 30 giorni dalla presentazione della
dichiarazione di inizio attività costituisce
il presupposto per l’esercizio del potere di
autotutela: prima di tale termine
all’amministrazione compete, difatti, il
differente potere di verificare la
sussistenza dei requisiti e presupposti
normativi per l’esercizio dell’attività
oggetto di denuncia e, se del caso, di
inibire l’intervento edilizio.
Già prima dell’entrata in vigore della legge
n. 80/2005, la giurisprudenza affermava la
sussistenza, in capo alla p.a., di un potere
residuale di intervento in autotutela sulla
dichiarazione di inizio attività,
successivamente alla scadenza del termine
previsto dalla legge per l’esercizio del
potere inibitorio (Cons. Stato, sez. IV,
04.09.2002, n. 4453).
Con la legge n. 80/2005, il legislatore ha
recepito questo orientamento
giurisprudenziale ed ha modificato l’art. 19
della l. n. 241/1990 -norma che detta una
disciplina generale della dichiarazione di
inizio attività applicabile anche alla
d.i.a. edilizia- facendo espressamente “salvo
il potere dell’amministrazione competente di
assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies”.
Nessun dubbio sussiste, dunque, sulla
possibilità per l’amministrazione di
esercitare il potere di autotutela sulla
d.i.a., e ciò a prescindere dalla soluzione
della questione di quale sia la natura
giuridica che ad essa si intenda attribuire.
Il Collegio ritiene, comunque, che il
riferimento all’autotutela possa spiegarsi
anche restando entro i confini della linea
interpretativa secondo cui la d.i.a. è un
atto del privato: il potere di autotutela
sulla d.i.a. è, difatti, da intendersi come
un potere sui generis che della
consueta autotutela decisoria condivide
soltanto i presupposti ed il procedimento
-dovendo essere esercitato entro un
ragionevole lasso di tempo, dopo aver
valutato gli interessi in conflitto e
sussistendone le ragioni di interesse
pubblico- e che da essa si differenzia
poiché non implica un’attività di secondo
grado insistente su un procedente
provvedimento amministrativo.
Il richiamo, ad opera dell’art. 19 della l.
n. 241/1990, agli artt. 21-quinquies e
21-nonies va, quindi, riferito alla
possibilità di adottare non già atti di
autotutela in senso proprio, ma di
esercitare i poteri di inibizione
dell’attività e di rimozione dei suoi
effetti, nell’osservanza dei presupposti
sostanziali e procedimentali previsti dal
tali norme (Cons. Stato, sez. VI, sent. n.
717/2009).
Il decorso del termine perentorio di 30
giorni dalla presentazione della
dichiarazione di inizio attività costituisce
il presupposto per l’esercizio del potere di
autotutela: prima di tale termine
all’amministrazione compete, difatti, il
differente potere di verificare la
sussistenza dei requisiti e presupposti
normativi per l’esercizio dell’attività
oggetto di denuncia e, se del caso, di
inibire l’intervento edilizio.
Pur se, con il perfezionarsi della d.i.a.,
si consolida in capo al privato una
posizione di affidamento meritevole di
protezione, tuttavia, “tale affidamento
non è certamente così forte da escludere
qualsiasi potere di intervento da parte
della p.a., anche perché altrimenti per
effetto della d.i.a., si andrebbe a
consolidare una posizione più stabile
rispetto a quella che deriva dal
provvedimento autorizzatorio (il quale,
ricorrendo le condizioni di legge, può
essere appunto rimosso in via di autotutela)”
(Cons. Stato, sent. n. 717/2009).
Non può, quindi, ritenersi che il decorso
del termine di 30 giorni ingeneri un
affidamento che prevalga, per ciò solo, su
ogni interesse pubblico alla rimozione del
titolo abilitativo perché, se così fosse,
verrebbe negata in radice ogni possibilità
per l’amministrazione di intervenire in
autotutela.
È, pertanto, legittima la valutazione
compiuta dal Comune di Besozzo che ha
escluso la sussistenza in capo agli istanti
di una posizione di affidamento in
considerazione del decorso di un breve lasso
di tempo tra la pronuncia di questo Tar del
04.12.2007, n. 6542 -di annullamento del
provvedimento del 27.03.2007, con cui il
Comune aveva inibito la realizzazione
dell’attività edilizia oggetto della d.i.a.
(prima di tale momento, difatti, non poteva
sussistere in capo ai ricorrenti alcuna
posizione di affidamento circa la
legittimità dell’attività edilizia ma semmai
la sola aspettativa di un esito positivo
della controversia)- e l’esercizio del
potere di autotutela, con l’adozione, in
data 22.01.2008, del provvedimento
impugnato.
Altresì corretta è stata la considerazione
dell’amministrazione che ha escluso la
sussistenza di una posizione di affidamento
anche perché non era ancora stata posta in
essere alcuna attività edificatoria
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.09.2010 n. 5122 -
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EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di mere
operazioni di sbancamento non è, invero,
sufficiente a configurare l’inizio di una
vera e propria attività edificatoria.
La realizzazione di mere operazioni di
sbancamento non è, invero, sufficiente a
configurare l’inizio di una vera e propria
attività edificatoria (cfr. la
giurisprudenza in tema di decadenza del
permesso di costruire: Tar Lombardia Milano,
sez. II, 08.03.2007, n. 372; Tar Lazio,
Roma, sez. II, 11.05.2006, n. 3480; Cons.
Stato, sez. IV, 03.10.2000, n. 5242)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.09.2010 n. 5122 -
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APPALTI:
Stipula del contratto -
Discrezionalità dell’amministrazione -
Limite dei principi di buona fede e
correttezza - Tutela dell’affidamento del
privato - Responsabilità precontrattuale -
Art. 1337 c.c. - Fattispecie: omessa
verifica della copertura finanziaria.
Se è vero che deve riconoscersi la libertà
dell'Amministrazione di non dare corso
all'aggiudicazione con la stipula del
contratto (Cfr. Tar Basilicata n. 829/2004;
Tar Napoli 3258/2002; Tar Salerno 163/2004),
è pur vero che l'insindacabilità della
discrezionalità dell'Amministrazione
incontra, pur sempre, un limite insuperabile
nei principi di buona fede e correttezza di
cui all’art. 1337 c.c., alla cui puntuale
osservanza è tenuta anche la P.A., e nella
tutela dell'affidamento ingenerato nel
privato.
Segnatamente, realizza un comportamento
divergente dalle menzionate regole di buona
fede e correttezza l’amministrazione che,
nel porre in essere una procedura di
affidamento di lavori, non addivenga alla
stipula del contratto per l’omessa verifica
e vigilanza sulla sussistenza della relativa
copertura finanziaria.
E’ onere dell’amministrazione che ha indetto
la gara, infatti, vigilare sulla
sussistenza, prima, e sulla permanenza, poi,
dei presupposti finanziari necessari alla
stipula del contratto ed alla sua esecuzione
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 07.09.2010 n. 2167 -
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ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Deve sempre sussistere nei
concorsi pubblici una riserva di posti per
coloro che rappresentano una categoria c.d.
debole, anche se il bando di concorso non
l‘ha prevista.
La legge n. 482/1968 prevede espressamente
la riserva di posti “allo scopo di
favorire e tutelare il concreto collocamento
al lavoro di coloro che rappresentano una
categoria c.d. debole, in considerazione di
menomazioni fisiche contratte in particolari
circostanze (invalidi di guerra, civili, per
servizio o per lavoro, privi della vista e
sordomuti, ovvero gli orfani o le vedove di
deceduti per fatti o infermità di analogo
genere), nell'evidente presupposto che
costoro abbiano particolari difficoltà nel
reperire una occupazione, anche in adesione
a tradizionali e consolidati principi di
solidarietà umana e sociale” (sentenza
del 09.07.2005 n. 3698).
Ciò comporta l’attribuzione di un carattere
cogente alle disposizioni, per cui la
riserva opera anche se il bando di concorso
non l’ha prevista e, d’altro canto, essa si
applica necessariamente anche alle selezioni
per soli titoli, comunque preordinate
all’assunzione (sentenza cit.).
Occorre aggiungere che i medesimi principi
esigono che l’Amministrazione operi in
maniera non formalistica nell’individuare i
presupposti per accordare il beneficio, al
fine di non vanificare le rilevanti ragioni
sottese al riconoscimento della riserva di
posti, di cui s’è detto (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 07.09.2010 n. 1935 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso in sanatoria -
Presupposti per rilascio - Verifiche e
obblighi del giudice penale - Art. 36,
d.P.R. 380/2001.
Nel valutare il permesso in sanatoria, ex
art. 36, d.P.R. 380/2001, il giudice non può
semplicisticamente prendere atto della
esistenza di tale titolo abilitativo
affermando, in maniera apodittica, la
conformità delle opere agli strumenti
urbanistici, omettendo ogni valutazione in
merito alla sussistenza dei presupposti per
il legittimo rilascio del permesso,
nonostante le opere fossero state
riconosciute non sanabili.
Permesso in sanatoria -
Verifica della c.d. doppia conformità e a
tutti i parametri di legalità - Effetti -
Verifica obbligatoria del giudice - Artt.
36, 44 e 45, d.P.R. n. 380/2001.
Ai sensi dell'art. 36, d.P.R. 380/2001, il
responsabile dell'abuso o il proprietario
possano ottenere il permesso in sanatoria se
l'intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente
sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione
della domanda (c.d. doppia conformità).
Sicché, è pacifico, che il rilascio del
permesso, ex art. 36 d.P.R. 380/2001, non
determina automaticamente la estinzione del
reato, dovendo il decidente, comunque,
accertare la legittimità sostanziale del
titolo sotto il profilo della sua conformità
alla legge (Cass. 30/01/2003, in p.m. c
Ciaravella), in quanto nel valutare la
sussistenza o meno della liceità di un
intervento edilizio, esso decidente è tenuto
ha verificare la conformità a tutti i
parametri di legalità, fissati dalla legge,
dai regolamenti edilizi, dagli strumenti
urbanistici e dalla concessione
edificatoria, non potendosi limitare alla
verifica della esistenza ontologica del
provvedimento amministrativo autorizzatorio,
e deve accertare la integrazione o meno
della fattispecie penale in vista
dell'interesse sostanziale che tale
fattispecie assume a tutela, nella specie
tutela del territorio (Cass. S.U.
21/12/1993, Borgia; Cass. 29/01/2001, n.
11716) (Corte di cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 01.09.2010 n. 32543 -
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APPALTI:
Integrazione documentale - Art.
46 Codice dei Contratti - Atti
tempestivamente depositati - Violazione
formale - Mancata alterazione della par
condicio.
L’art. 46 del Codice dei Contratti è
espressione, nel settore degli appalti
pubblici, dei principi che sovrintendono
l’istruttoria procedimentale, consacrati
nell’art. 6 della L. 241 del 1990.
La disposizione deve essere intesa nel senso
che l’Amministrazione deve disporre la
regolarizzazione quando gli atti,
tempestivamente depositati, contengano
elementi che possano costituire un indizio e
rendano ragionevole ritenere sussistenti i
requisiti di partecipazione.
Quindi, quando il documento è già stato
presentato in sede di gara, anche se
parzialmente, è consentita la sua
regolarizzazione se la violazione è
squisitamente formale ed il rimedio, in
concreto, non altera la par condicio tra i
concorrenti (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 01.09.2010 n. 2163 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Accertamenti,
ispezioni e controlli - Genuinità
dell’accertamento - Comunicazione di avvio
del procedimento - Momento in cui è dovuta -
Individuazione.
Mentre gli accertamenti, le ispezioni ed i
controlli cd. a sorpresa (aventi natura di
mere attività preistruttorie, di
accertamento preliminare all’avvio dei
procedimenti volti ad ottenere il rispetto
della normativa antinquinamento) non debbono
essere preceduti dalla comunicazione di
avvio del procedimento, per non rischiare di
comprometterne la genuinità, sussiste invece
l’obbligo di comunicazione dell’avvio del
procedimento amministrativo, in relazione al
vero e proprio inizio di quest’ultimo
(C.d.S., Sez. VI, 18.05.2004, n. 3190) (TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 31.08.2010 n. 5148 -
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ESPROPRIAZIONE:
Risarcimento danni per
illegittima occupazione e trasformazione
aree - Decreto di esproprio nullo e privo di
giuridica efficacia - Giudizio di
ottemperanza - Limiti di procedibilità -
Fondi occupati illegittimamente - Proprietà
- Fattispecie - Artt. 37 L. n. 1034/1971 e
27 R.D. n. 1054/1924.
Il giudizio di ottemperanza previsto dagli
artt. 37 della legge n. 1034 del 1971 e 27
del R.D. n. 1054 del 1924 è diretto a far
dichiarare il dovere dell’Amministrazione a
conformarsi alle decisioni coperte da
giudicato per far conseguire agli
interessati l’utilitas o il bene
della vita già loro riconosciuta in sede di
cognizione nell’ambito del quadro
processuale che ha costituito il substrato
fattuale e giuridico della sentenza di cui
si chiede l’esecuzione sulla base del
petitum, causa petendi e motivi
del decisum (Cons. Stato Sez. IV
16/11/2007 n. 5883).
Nella specie, il TAR disponeva il rigetto
dei ricorsi “dovuto da una parte al fatto
che i fondi occupati sono ancora di
proprietà dei ricorrenti i quali possono
pretenderne la immediata restituzione e
dall’altro lato ad una incompletezza delle
domande, non essendo stata formulata né
richiesta di restituzione né di risarcimento
di danni diversi da quelli conseguenti alla
perdita della proprietà”.
Lo stesso Tribunale nel dispositivo
accertava e dichiarava che il decreto di
esproprio, “emesso dal Comune di è nullo
e privo di giuridica efficacia”
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5175 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Ingiunzione di demolizione
immobile - Lesione di interesse legittimo -
Risarcimento del danno a carico della P.A. -
Presupposti - Art. 2043 codice civile.
Il risarcimento del danno derivante da
lesione di interesse legittimo, a carico
della P.A. non costituisce un semplice
effetto automatico dell’annullamento
giurisdizionale del provvedimento impugnato,
richiedendo esso la verifica positiva di
specifici requisiti, quali l’accertamento
dell’imputabilità dell’evento dannoso alla
responsabilità dell’amministrazione,
l’esistenza di un danno patrimoniale
ingiusto, il nesso causale tra l’illecito
compiuto e il danno subito, l’esistenza di
una condotta della P.A. caratterizzata dalla
colpa (Cons. Stato Sez. V 12/12/2009 n.7800;
idem, Sez VI n. 4689/2008) (sentenza del TAR
PUGLIA - Sez. staccata di LECCE, Sezione III
n. 05034/2005) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5160 -
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URBANISTICA:
PRG - Destinazione delle singole
aree - Discrezionalità dell’Amministrazione
- Sindacato giurisdizionale - Esclusione -
Eccezione - Errori di fatto o da abnormi
illogicità - Fattispecie.
In materia di pianificazione territoriale,
le scelte effettuate dall'amministrazione
per la destinazione delle singole aree, al
momento dell'adozione del piano regolatore
generale o di variante al medesimo,
costituiscono apprezzamenti di merito
sottratti al sindacato giurisdizionale,
salvo che non siano affette da errori di
fatto o da abnormi illogicità (fattispecie:
pianificazione territoriale e diniego
concessione edilizia per realizzazione di un
edificio residenziale) (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5157 -
link a www.ambientediritto.it). |
AGGIORNAMENTO AL 13.09.2010 |
ã |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO:
Sicurezza di macchine e attrezzature:
Indicazioni operative da ISPESL e Regione
Lombardia.
ISPESL e Regione Lombardia hanno elaborato
un documento dal titolo "Indicazioni
operative e procedurali sull'applicazione
del D. Lgs. 09.04.2008 n. 81 e s.m.i.
relativamente agli aspetti inerenti la
sicurezza impiantistica delle macchine e
delle attrezzature impiegate nei luoghi di
lavoro".
Il documento, che fornisce indicazioni
operative e procedurali alla luce delle
integrazioni e modifiche introdotte dal D.
Lgs. 106/2009, è stato redatto da un gruppo
di lavoro costituito da funzionari dei
Dipartimenti ISPESL e delle ASL della
Lombardia.
Le informazioni riguardano tre tipologie di
attrezzature e impianti che sono oggetto di
controllo e/o verifica da parte dei due
enti:
- impianti elettrici;
- apparecchi di sollevamento;
- apparecchi a pressione (PED)
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
La Valutazione del rischio da stress
lavoro-correlato: gli atti del Convegno di
Perugia.
ACTAS (associazione per la cultura e le
tecnologie dell'ambiente e della sicurezza)
ha reso disponibile in rete la sintesi delle
relazioni presentate in occasione del
seminario di aggiornamento per RSPP
organizzato nell'ambito della convenzione
con il Dipartimento di Ingegneria
Industriale dell'Università di Perugia ...
(link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI: G.U.
10.09.2010 n. 212 "Regolamento recante
norme relative al rilascio delle
informazioni antimafia a seguito degli
accessi e accertamenti nei cantieri delle
imprese interessate all’esecuzione di lavori
pubblici"
(D.P.R.
02.08.2010 n. 150). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il foglio dei lavoratori della
Funzione Pubblica
(CGIL-FP di Bergamo,
settembre 2010). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
La disciplina delle assunzioni
dal 1° gennaio 2011 negli enti locali
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 06.09.2010). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
La disciplina delle assunzioni
fino al 31.12.2010 negli enti locali
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 06.09.2010). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
I. Pisani,
Codice dei beni culturali e del paesaggio:
prime riflessioni in tema di interventi di
lieve entità (link a
www.studiospallino.it). |
NEWS |
APPALTI: Appalti
p.a., niente salti nel buio. Arriveranno
martedì le linee guida dell'Authority ll.pp..
L'organismo guidato da Giuseppe Brienza al
lavoro sul testo. L'Ance: serve una
moratoria.
Arriveranno martedì le linee guida
esplicative per l'applicazione della legge
sulla tracciabilità dei pagamenti negli
appalti pubblici (legge n. 136/2010, in
vigore da martedì).
La determina che sta scrivendo l'Autorità di
vigilanza sui lavori pubblici metterà fine,
è l'intento, all'impasse che si è
determinata nei rapporti tra pubblica
amministrazione e mondo delle imprese in
relazione ai contratti per gli appalti
pubblici.
Situazione che ha portato di fatto al blocco
dei pagamenti da parte delle stazioni
appaltanti. A scrivere le linee guida
applicative, che arrivano in differita
rispetto all'entrata in vigore della legge,
martedì 07.09.2010, è ora l'Autorità per la
vigilanza sui lavori pubblici cui il
ministero dell'interno ha delegato il
compito, dopo aver precisato, giovedì sera,
con una circolare inviata a tutti i
prefetti, che l'applicazione dell'articolo 3
della legge 136/2010 sulla tracciabilità dei
pagamenti non ha valore retroattivo.
Interpretazione accolta dall'Authority che
ieri ha ribadito che la norma sulla
tracciabilità dei pagamenti non si applica
ai contratti in essere, ma soltanto ai
contratti stipulati dopo l'entrata in vigore
della legge. (si veda articolo qui a
fianco).
Ancora, l'Autorità ha fatto sapere di
essersi impegnata a licenziare a tambur
battente la determina con il regolamento che
illustra operativamente come dovranno essere
applicate le norme contenute nella legge che
fa parte del pacchetto normativo antimafia
messo a punto dal governo nella lotta contro
le infiltrazioni della criminalità
organizzata negli appalti pubblici.
La determina dell'Autorità guidata dal
senatore Giuseppe Brienza, che dal 2 luglio
ha assunto l'incarico di facente funzioni
dell'organismo per la sorveglianza sugli
appalti pubblici, in sostituzione dell'ex
presidente Luigi Giampaolino, sarà emanata
martedì, secondo quanto ha annunciato
Brienza specificando che alla stesura del
provvedimento stanno ancora lavorando in
queste ore i suoi uffici.
Inoltre, il numero uno dell'organismo di via
di Ripetta, ha dichiarato che lo schema di
regolamento con le linee guida, che tiene
conto delle esigenze espresse dagli
operatori dell'industria delle costruzioni e
dell'edilizia, saranno discusse nella
riunione che l'Authority ha già convocato
per lunedì.
Al tavolo siederanno i rappresentanti delle
associazioni imprenditoriali interessate,
dell'Anci, Upi, Avvocatura generale dello
stato, stazioni appaltanti come l'Anas e
ministeri competenti (infrastrutture e
giustizia). In quella sede l'Authority
sottoporrà alle parti il testo «che
chiarirà», ha spiegato Brienza, «i nodi
applicativi sollevati dagli operatori nella
riunione, mercoledì scorso, al ministero
dell'interno».
«Faremo chiarezza sul problema dei conti
correnti dedicati ad ogni singolo appalto,
sui codici identificativi dei progetti cui
dovranno dotarsi i comuni (cup) e
l'Authority (cig) ai fini della
tracciabilità dei pagamenti negli appalti
pubblici», ha specificato Brienza, «dopo
l'approvazione del documento al tavolo di
lunedì, martedì' il consiglio dell'Autorità
approverà la determina che verrà emanata
immediatamente».
In questa situazione, secondo l'Authority di
Brienza non sarà necessario il decreto di
sospensione temporanea della legge, così
come era stato richiesto dall'Ance e dalle
associazioni imprenditoriali. Ma ancora ieri
sera, il presidente nazionale dei
costruttori, Paolo Buzzetti (Ance), ha
insistito sulla necessità di una moratoria «pur
apprezzando il lodevolissimo sforzo in atto
e dopo il chiarimento in merito alla non
retroattività della legge n. 136/2010 sugli
appalti in essere. La sospensione
sull'applicabilità del provvedimento»,
ha spiegato, «è necessaria per capire in
maniera inequivoca tutti i nodi applicativi
della legge»
(articolo ItaliaOggi
dell'11.09.2010, pag. 31 - link a
www.corteconti.it).). |
APPALTI: La
tracciabilità dei pagamenti si applica ai
nuovi contratti.
Inapplicabile ai
contratti in corso la tracciabilità dei
flussi finanziari prevista dalla legge 136 e
relativa agli appalti pubblici.
Lo afferma il ministero dell'interno nella
lettera
09.09.2010, prot. 13001/118/Gab, dal gabinetto
del ministro Roberto Maroni ai prefetti per
risolvere l'immediato problema operativo.
Sarà invece l'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici, con una apposita
determina che sarà emanata la prossima
settimana, a chiarire i profili applicativi
della disposizione di cui dovrà essere
assicurata la piena effettività per tutta la
cosiddetta filiera delle imprese coinvolte
nei lavori, nelle forniture e nei servizi.
L'ipotesi di un decreto legge sembra però
ancora aperta, sia per la valenza giuridica
della nota, sia perché il settore
imprenditoriale rimane comunque preoccupato
per l'effetto di blocco dei pagamenti e
delle attività di tutta la filiera
produttiva. L'intervento del Viminale fa
seguito ad una apposita riunione svoltasi
nei giorni scorsi con i rappresentanti delle
imprese, con l'Avvocatura generale, la
procura Antimafia e con l'Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici e non
assume neanche la forma di una vera e
propria circolare, trattandosi di una
lettera indirizzata ai prefetti e ai
commissari governativi di Trento e Bolzano e
alla prefettura di Aosta.
La lettera afferma che l'articolo 3 della
legge 136/2010 sull'obbligo di effettuare
pagamenti tramite bonifico bancario o
postale su conti dedicati, deve applicarsi
soltanto «ai contratti sottoscritti
successivamente alla data di entrata in
vigore della legge», cioè a tutti i
contratti posti in essere dopo il
07.09.2010. La motivazione sottesa a questo
chiarimento è duplice: in primo luogo si
sostiene che, laddove il legislatore abbia
inteso applicare le norme da esso dettate ai
rapporti negoziali già in essere «lo ha
sancito espressamente».
A conferma di ciò, si cita la norma della
stessa legge che, con riguardo alla banca di
dati nazionale unica della documentazione
antimafia, prevede l'immediata efficacia
delle informative negative «con
riferimento a tutti i rapporti, anche già in
essere, con la pubblica amministrazione».
La seconda ragione addotta dal ministero
afferisce a un profilo di merito e
applicativo: si dice infatti che
l'applicazione della tracciabilità anche ai
contratti in essere si porrebbe in
violazione delle norme civilistiche in
materia di autonomia negoziale, dal momento
che inciderebbe in modo sostanziale
sull'assetto del rapporto contrattuale.
Il pericolo, in questa (denegata) ipotesi
sarebbe quello di contenziosi che avrebbero
pesanti conseguenze per le stazioni
appaltanti e per le imprese coinvolte. La
nota ministeriale ribadisce invece che
rimane ferma l'efficacia della disposizioni
sulla tracciabilità dei flussi finanziari
previste da leggi speciali come quelle per
l'Abruzzo e per l'Expo 2015; per questi
contratti, in essere o ancora da stipulare,
nulla cambia.
Nel frattempo la palla è passata
all'Autorità di via di Ripetta che sta
lavorando ad una bozza di determina che
dovrebbe essere pronta la prossima
settimana. E proprio per definire i
contenuti del provvedimento la presidenza
dell'Autorità ha convocato per lunedì
pomeriggio una riunione con tutti i soggetti
interessati
(articolo ItaliaOggi
dell'11.09.2010, pag. 31). |
EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione
paesaggistica light. Iter semplificato per
modifiche a balconi, scale e coperture. In
vigore le norme del dpr 139/2010 che
riguarda i nulla osta per gli interventi di
lieve entità.
Diventa operativa l'autorizzazione
paesaggistica light. È entrato in vigore il
10.09.2010 il dpr 09.07.2010, n. 139,
e cioè il regolamento sul procedimento
semplificato di autorizzazione paesaggistica
per gli interventi di lieve entità.
Il provvedimento, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale del 26.08.2010, ha immediata
efficacia per le regioni a statuto
ordinario; le regioni a statuto speciale
devono adeguare la propria normativa.
Certo si tratta di piccoli interventi, ma
molto frequenti. Si pensi agli interventi
sui prospetti degli edifici esistenti
(aperture di porte e finestre o modifica
delle aperture esistenti per dimensione e
posizione, chiusura di terrazze o di balconi
chiusi su tre lati mediante installazione di
infissi, realizzazione, modifica o
sostituzione di scale esterne), oppure a
interventi sulle coperture degli edifici
esistenti (rifacimento del manto del tetto e
delle lattonerie), agli impianti tecnologici
ecc..
Si può attivare il procedimento semplificato
e accelerato anche per ampliamento con
incrementi di volume, ma non superiori al
10% della volumetria della costruzione
originaria e comunque non superiore a 100 mc,
e anche le demolizioni e ricostruzioni con
stessa volumetria e sagoma preesistenti.
Insomma un notevole numero di interventi
(circa il 75% del totale) è interessato
dalle semplificazioni di procedura e
organizzative.
Vediamo perché si allegerisce la disciplina
dello speciale nulla osta necessario per
realizzare piccoli interventi edilizi in
aree sottoposte a vincoli.
Quanto alle semplificazioni di procedura
vanno segnalati da una semplificazione del
fascicolo del procedimento, con un
coinvolgimento della responsabilità del
progettista, che deve attestare la
conformità dell'intervento.
La semplificazione significa riduzione dei
tempi massimi di conclusione del
procedimento: sono previsti sessanta giorni,
contro i vecchi 105. Se, poi, il
provvedimento è negativo, addirittura ci si
ferma a trenta giorni (salvo che via siano
istanze di riesame al soprintendente).
In effetti può dirsi che la pratica non
arrivi nemmeno al soprintendente, se non
supera alcuni passaggi iniziali in cui si
verificano rispettivamente la conformità
edilizia e poi quella paesaggistica: se
l'amministrazione competente (comune o, in
qualche caso, provincia o regione) esprime
valutazione negativa la domanda viene
direttamente rigettata, senza investire del
procedimento la soprintendenza competente
per territorio).
La palla passa al soprintendente in caso di
valutazione positiva della conformità, o
della compatibilità paesaggistica. Se la
valutazione del soprintendente conferma la
valutazione del comune o comunque dell'ente
preposto, allora formula un parere
vincolante favorevole e l'ente stesso
provvede a rilasciare l'autorizzazione.
L'amministrazione competente al rilascio
dell'autorizzazione deve adottare il
provvedimento conforme al parere vincolante
favorevole entro cinque giorni successivi
alla ricezione del parere e contestualmente,
se ne ha la competenza, rilascia anche il
permesso di costruire e comunque il titolo
legittimante l'edificazione. Inoltre non c'è
bisogno di motivare l'autorizzazione se non
con un rinvio al parere della
soprintendenza, che va allegato.
Se la valutazione del soprintendente è
negativa (e quindi in contrasto con quella
positiva dell'amministrazione locale) il
soprintendente rigetta direttamente
l'istanza, senza investire nuovamente l'ente
della pratica.
Tra l'altro non è detto che il
soprintendente debba pronunciarsi per forza:
una volta ricevuta la pratica, se il
soprintendente rimane inerte e non formula
il suo parere, l'amministrazione competente
deve andare avanti lo stesso e rilasciare
l'autorizzazione, senza indire la conferenza
di servizi (come sarebbe previsto, invece,
dall'articolo 146, comma 9, del codice
sull'ambiente.
Altro elemento acceleratorio consiste nel
fatto che l'autorizzazione paesaggistica è
immediatamente efficace, senza alcun periodo
di moratoria.
Sempre da un punto di vista del procedimento
un'altra spinta alla semplificazione e allo
snellimento dovrebbe arrivare dalla
tecnologia della comunicazione: se possibile
l'istanza si presenta per via telematica
(articolo ItaliaOggi
dell'11.09.2010, pag. 28). |
APPALTI: L'agenzia
delle entrate ci ripensa. Carichi pendenti,
solo accertamenti definitivi.
I certificati dei
requisiti fiscali emessi a norma dell'art.
38 del Codice dei contratti pubblici, non
devono tener conto degli accertamenti ancora
pendenti e pertanto non definitivi.
Questo è il senso di una recentissima
circolare dell'Agenzia delle entrate –
Direzione centrale normativa, che ha
parzialmente modificato una precedente
impostazione della stessa amministrazione
finanziaria.
La circolare in esame (la
n. 41/E del 03.08.2010), concerne
alcuni aspetti legati alla «certificazione
dei requisiti fiscali richiesti per la
partecipazione alle procedure di affidamento
delle concessioni e degli appalti di lavori,
forniture e servizi e relativi subappalti,
di cui al decreto legislativo 12.04.2006 n.
163, recante Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/Ce e
2004/18/Ce».
Infatti da più parti vi erano stati
interrogativi sulla portata applicativa, in
special modo, dell'art. 38 della norma in
esame.
L'articolo 38 del dlgs 12/04/2006 n. 163,
infatti, dispone l'esclusione dalla
partecipazione alle citate procedure di
affidamento per i soggetti «che hanno
commesso violazioni, definitivamente
accertate, rispetto agli obblighi relativi
al pagamento delle imposte e tasse, secondo
la legislazione italiana o quella dello
Stato in cui sono stabiliti».
La stessa norma impone infatti che
l'attestazione del possesso dei requisiti
ora ricordati, possa essere fornita anche
mediante dichiarazione sostitutiva, in
conformità alle disposizioni del dpr
28.12.2000 n. 45.
Le dichiarazioni rese dai soggetti
interessati, naturalmente possono essere
poste al vaglio del controllo
dell'Amministrazione finanziaria, e punite
secondo le leggi vigenti in caso di
dichiarazioni mendaci.
È sempre possibile richiedere, a cura di chi
effettua la dichiarazione sostitutiva,
all'Amministrazione finanziaria per i
tributi su cui ha la competenza esclusiva, «conferma
scritta della corrispondenza di quanto
dichiarato con le risultanze dei registri da
questa custoditi».
La relativa modulistica, è quella prevista
dal Provvedimento dell'Agenzia delle entrate
del 25/06/2001, relativa alla «certificazione
dei carichi pendenti risultanti al sistema
informativo dell'anagrafe tributaria.»
La circolare chiarisce, in modo chiaro e
inequivocabile, che come espressamente
previsto dal citato art. 38 del Codice dei
contratti pubblici, l'irregolarità fiscale
rilevante ai fini dell'esclusione delle
procedure di affidamento può dirsi integrata
qualora in capo al contribuente sia stata
definitivamente accertata una qualunque
violazione relativa agli obblighi di
pagamento di tributi di competenza
dell'Agenzia delle entrate. Del pari non si
può considerarsi causa ostativa dalla
partecipazione di procedure pubbliche di
affidamento di lavori e appalti, nel caso in
cui al momento della richiesta della
certificazione, il contribuente abbia
integralmente soddisfatto la pretesa
dell'Amministrazione finanziaria, anche
mediante definizione agevolata.
Inoltre, e questo è il chiarimento più
significativo fornito nella Circolare del 3
agosto scorso, la definitività
dell'accertamento, consegue al decorso del
termine per l'impugnazione senza che venga
proposto ricorso o istanza per
l'accertamento con adesione.
Ovvero, qualora sia presentata impugnazione,
che sia passata in giudicato la pronuncia
giurisdizionale.
Pertanto gli Uffici locali dell'Agenzia
dovranno iscrivere nella certificazione in
argomento, solo esclusivamente le violazione
definitivamente accertate in relazione al
pagamento di tributi. In particolare, la
circolare riferisce che è stato evidenziato
che potrebbero determinarsi disparità di
trattamento con riferimento alle ipotesi in
cui alla gara partecipino anche soggetti non
stabiliti nel territorio dello Stato, per i
quali tale certificazione non viene
rilasciata dall'Agenzia delle entrate.
Appare chiaro che questi soggetti esteri
potrebbero risultare favoriti nella
partecipazione alle procedure di affidamento
rispetto a soggetti stabiliti in Italia,
qualora le informazioni in merito al
requisito della regolarità fiscale rese
dalle loro Amministrazioni fiscali fossero
più scarne rispetto a quelle relative ai
concorrenti nazionali.
Tenuto conto che la valutazione della
sussistenza del requisito della regolarità
fiscale spetta, comunque, alla stazione
appaltante, occorre garantire l'uniformità
dell'attività degli uffici dell'Agenzia
incaricati della redazione dei suddetti
modelli di certificazione in senso più
strettamente corrispondente ai requisiti
prescritti dal Codice dei contratti
pubblici, coerentemente con quanto sopra
argomentato in merito alle certificazioni
rilasciate dalle amministrazioni fiscali di
soggetti esteri.
Pertanto l'Agenzia, concludendo la
circolare, ribadisce che nel certificato dei
requisiti fiscali, devono essere indicate
esclusivamente le violazioni definitivamente
accertate
(articolo ItaliaOggi
del 10.09.2010, pag. 40). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Il diritto di assentarsi dal
lavoro per 24 ore al mese va sempre
riconosciuto. Permessi al capogruppo. Sì al
beneficio anche se è l'unico rappresentante.
Un consigliere comunale,
dipendente di una ditta privata e unico
rappresentante di un partito in consiglio
comunale, nel corso del mandato è confluito
in altro gruppo consiliare, lasciando il
gruppo di appartenenza non rappresentato;
successivamente è rientrato nella originaria
lista di provenienza. È possibile
riconoscere a tale amministratore locale i
permessi di cui all'art. 79, comma 4, del
dlgs n. 267/2000 o, invece, è necessario,
per fruire del beneficio richiesto, che il
gruppo consiliare sia comunque formato da
almeno due unità? E la lista originaria di
appartenenza può considerarsi di nuovo in
vita su semplice dichiarazione del soggetto
interessato?
L'art. 79, comma 4, del dlgs. n. 267/2000
prevede che «i presidenti dei gruppi
consiliari delle province e dei comuni con
popolazione superiore a 15.000 abitanti,
hanno diritto, oltre hai permessi di cui ai
precedenti commi, di assentarsi dai
rispettivi posti di lavoro per un massimo di
ventiquattro ore lavorative al mese».
La norma prevista dall'art.79, comma 4 del
dlgs n. 267/2000, fa riferimento alla figura
di «presidente del gruppo consiliare»,
pertanto i permessi sopraindicati possono
essere fruiti dall'amministratore che
ricopre la carica di «capogruppo consiliare»
solo nel caso in cui, in base a norme
statutarie e regolamentari del comune, la
figura di capogruppo consiliare è in tutto
assimilabile, per compiti e attribuzioni, a
quella di presidente di gruppo consiliare.
Poiché il numero minimo dei componenti dei
gruppi consiliari è lasciato all'autonomia
tanto statuaria che regolamentare dell'ente
locale, non possono non riconoscersi al
consigliere, unico componente del gruppo, le
prerogative, compresi i permessi di cui
all'art. 79, comma 4 del dlgs n. 267/2000,
riconosciute al presidente del gruppo
consiliare, perché di fatto ricopre tale
incarico.
Inoltre il consigliere, ritornando
nell'originaria lista di appartenenza,
poiché unico rappresentante del gruppo
consiliare, può fruire nuovamente dei
permessi di cui all'art. 79, comma 4, del
dlgs n. 267/2000 naturalmente dandone
comunicazione scritta al sindaco
(articolo ItaliaOggi
del 10.09.2010, pag. 39). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Delibere consigli provinciali.
Sono valide le
deliberazioni adottate da un consiglio
provinciale prima che ne fosse ridefinita la
composizione?
Il Consiglio di stato, con parere della I
sez., n. 666 del 10/07/2000 ha affermato che
«il carattere retroattivo degli effetti
derivanti dall'annullamento delle elezioni
comunali trova un limite nel generale
principio di conservazione degli atti
secondo il quale gli atti posti in essere
dal consiglio (prima che la illegittimità
della sua elezione sia dichiarata)
costituiscono espressione di un rapporto
organico di fatto e sono dunque validi anche
nei casi in cui non attengono a funzioni
indifferibili».
Il predetto principio, sostanzialmente
affermato anche dall'Adunanza plenaria del
Consiglio di stato (13/10/1982, n. 374), ha
trovato ulteriore conferma nella sentenza
del Tar Sardegna Cagliari, sez. I,
26/4/2006, n. 801 il quale ha puntualizzato
che «la pronuncia di correzione dei
risultati elettorali con la sostituzione di
un candidato in luogo di altro candidato,
proprio per il suo carattere correttivo dei
risultati elettorali, ha effetto ex nunc
costitutivo di un diritto (ius ad officium)
a favore del nuovo eletto. Da essa non
consegue pertanto l'annullamento degli atti
deliberati dal consiglio cui ha partecipato
il consigliere erroneamente e
illegittimamente proclamato eletto, atti che
per il principio del funzionario di fatto
rimangono pienamente produttivi di effetti,
sia per un'esigenza di tutela dei terzi e
sia per ragioni d'imputabilità all'ente
degli atti posti in essere da chi appaia
titolare dell'organo»
(articolo ItaliaOggi
del 10.09.2010, pag. 39). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Ordine del giorno.
Un consigliere comunale, nella sua qualità
di capo gruppo, ha chiesto quale competenza
sia riservata ai capigruppo consiliari in
materia di predisposizione dell'ordine del
giorno del consiglio comunale?
L' art. 38 del dlgs. n. 267/2000, al comma
2, rinvia ad apposito regolamento «il
funzionamento dei consigli, nel quadro dei
principi stabiliti dallo statuto»
demandando allo stesso le modalità per la
convocazione, nonché per la presentazione e
la discussione delle proposte.
Ne deriva che l'imputazione di specifiche
funzioni alla conferenza dei capigruppo
(connotate, secondo la scelta operata
dall'ente da maggiore o minore ampiezza),
non può prescindere dal suo recepimento in
apposite previsioni statutarie e
regolamentari nel contesto della generale
disciplina sul funzionamento del consiglio
(articolo ItaliaOggi
del 10.09.2010, pag. 39). |
ENTI LOCALI: Gestione
associata, tempi lunghi. Scaduto il termine
per il dpcm su soglie demografiche e
funzioni. L'obbligo per i piccoli comuni
(previsto dalla manovra) lascia aperti molti
dubbi da chiarire.
I tempi per l'avvio della gestione associata
tra i piccoli comuni si allungano: il
governo non ha infatti rispettato il termine
della fine del mese di agosto per la
adozione del dpcm previsto dal comma 31
dell'articolo 14 del decreto legge n.
78/2010. Peraltro non sembra che il ritardo
possa essere contenuto entro tempi brevi:
non si hanno infatti notizie della imminente
presentazione di una bozza del provvedimento
alla Conferenza stato città ed autonomie
locali.
L'adozione del dpcm costituisce un passaggio
essenziale per la concreta attuazione di
questa che rappresenta, a parere di molti,
la parte di maggiore rilievo della manovra
estiva per i comuni visto che cambierà
radicalmente le attribuzioni, la
organizzazione e la stessa legittimazione
della stragrande maggioranza dei municipi
del nostro paese.
Ricordiamo che a questo provvedimento sono
rimesse in modo espresso dalla norma di
legge: la definizione dei tempi per il
completamento della concreta attuazione del
processo di gestione associata, nonché il
limite demografico minimo che i comuni
associati devono raggiungere per dare corso
ad un ambito ottimale. Limite che deve
essere definito nel rispetto dei principi
costituzionali di differenziazione,
sussidiarietà ed adeguatezza.
Molto probabilmente questo provvedimento
detterà anche le regole da applicare per la
definizione del numero minimo di comuni,
criterio complementare e/o alternativo al
numero minimo di abitanti. Il dpcm si carica
di ulteriore importanza perché si deve
chiarire esattamente quali sono le funzioni
da gestire in forma associata.
In primo luogo, cosa vuol dire 70% delle
spese certificate nell'ultimo anno per le
funzioni generali di amministrazione, di
gestione e di controllo? Occorre in
particolare chiarire quali sono le attività
interessate, al di là dei compiti svolti
dagli enti in materia di personale,
contabilità, tributi, compiti che
sicuramente possiamo considerare inseriti
nella previsione legislativa. In tale ambito
si deve inoltre precisare se le scelte che
appartengono alle funzioni che i comuni
svolgono per conto dello stato ed in cui il
sindaco esercita il compito di ufficiale di
governo (anagrafe, leva, stato civile,
statistica, autorità sanitaria, medica
ecc.), nonché il potere di ordinanza sono
compresi e se, di conseguenza, il primo
cittadino può trasferirle al vertice della
gestione associata.
Nell'ambito delle funzioni riguardanti la
gestione del territorio e dell'ambiente,
fatta eccezione per il servizio di edilizia
residenziale pubblica e locale e piani di
edilizia nonché per il servizio idrico
integrato si deve chiarire se è compresa,
come sembrerebbe, anche la competenza alla
adozione degli atti di pianificazione
urbanistica. Ed ancora, si deve chiarire il
rapporto con la legislazione regionale.
La norma di legge statale rimette ad essa la
definizione della dimensione territoriale
ottimale ed omogenea delle materie che i
comuni devono gestire direttamente
nell'ambito delle competenze appartenenti
alle regioni stesse. Le regioni dovranno
inoltre fissare i tempi per l'avvio della
gestione associata e definire le modalità
attraverso cui si deve garantire il rispetto
dei principi di efficienza, efficacia ed
economicità, nonché della riduzione della
spesa.
Appare inoltre opportuno che il decreto,
anche se non espressamente previsto dalla
norma di legge, fornisca una serie di altri
chiarimenti. Il riferimento va in primo
luogo alla possibilità di delegare alle
comunità montane la gestione in forma
associata: la norma espressamente non lo
prevede, in quanto richiama solo la
convenzione e l'unione dei comuni, ma sulla
base delle previsioni del dlgs n. 267/2000
le comunità montane sono definite come
unioni di comuni.
Ed ancora appare utile definire se i comuni
debbano necessariamente assegnare ad un
unico soggetto la gestione di tutte le
attività che decidono di svolgere in forma
associata ovvero se possano, come
sembrerebbe dal testo della norma e dal
richiamo ai principi generali, dare corso ad
una sorta di spezzatino. Cioè prevedere
forme di gestione differenziata per singole
attività, fermi ovviamente restando il
rispetto dell'ambito territoriale ottimale
minimo ed il divieto di aderire
contemporaneamente a più di una unione
(articolo ItaliaOggi
del 10.09.2010, pag. 37). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Sentenza
sui processi per reati ambientali. Anche
l'eco-ente è parte civile.
Le associazioni
ambientaliste possono costituirsi parte
civile nel processo per reati ambientali. E
questo «pur dopo l'abrogazione delle
previsioni di legge che autorizzavano a
proporre, in caso di inerzia degli enti
territoriali, le azioni risarcitorie per
danno ambientale». Le eco-associazioni hanno
una legittimazione «iure proprio».
A ribadirlo è la Corte di Cassazione, I Sez.
penale, nella sentenza n. 33170/2010
depositata ieri.
Con la sentenza, il collegio ha inoltre
affermato «senza incertezze» anche la
legittimazione alla «tutela civilistica
per danni ambientali» collegati alla
sicurezza dei lavoratori addetti, delle
associazioni sindacali normativamente
riconosciute e operanti con finalità
istituzionali e associative di tutela dei
prestatori di lavoro, perché da considerarsi
anche enti esponenziali della collettività.
Eco-associazioni legittimate a costituirsi
parte civile. I ricorrenti in Cassazione,
imputati e condannati per una serie di reati
fonte di danno ambientale, avevano
contestato l'ammissione delle parti civili
costituite nel corso processo:
un'associazione sindacale, la Uil
provinciale, e una ambientalista,
Legambiente Puglia. Ammissione, secondo i
ricorrenti, illegittima per violazione di
legge e difetto di motivazione.
A detta degli stessi, l'associazione
sindacale non poteva legittimamente tutelare
la salute dei lavoratori là dove la condotta
incriminata ... non incideva sull'azione
sindacale, giacché in tale ipotesi è in
singolo lavoratore ad avere il diritto alla
tutela del suo diritto; mentre la Lega
ambiente non aveva titolo a intervenire in
giudizio in relazione a reati (635 e 674
c.p.) che non individuavano beni protetti
riferibili all'ambiente: l'associazione non
aveva, secondo loro, legittimazione
processuale propria, al massimo una
legittimazione «sostitutiva», in base
all'articolo 81 c.p.c..
I giudici non hanno condiviso la tesi:
richiamando una sentenza dell'anno prima (la
n. 19883 dell'11.03.2009, sezione III) nella
quale era stata ammessa la richiesta di
risarcimento del danno non patrimoniale
presentata da una onlus ambientalista, hanno
ribadito che «le associazioni
ambientaliste ... sono legittimate alla
costituzione di parte civile 'iure proprio'
nel processo per reati ambientali». Né,
hanno aggiunto, «può nella fattispecie
negarsi la sussistenza del danno ambientale
dacché di questo risultano imputati i
ricorrenti»
(articolo ItaliaOggi
del 10.09.2010, pag. 25 - link a
www.corteconti.it).). |
PUBBLICO IMPIEGO: In
Gazzetta due circolari ministeriali Sanzioni
ai pubblici per le inosservanze sul
cartellino.
Sanzioni disciplinari
per il dipendente pubblico che non rispetta
le nuove regole sui cartellini
identificativi obbligatori. E poi
retribuzione di risultato di dirigenti e
posizioni organizzative fuori dal taglio per
le assenze per malattia.
Sono le principali precisazioni contenute in
due circolari della Funzione pubblica n. 3
«(Articolo 55-novies del decreto legislativo
165 del 2001- identificazione del personale
a contatto con il pubblico») e 8 («Assenze
dal servizio per malattia dei pubblici
dipendenti») pubblicate sulla «Gazzetta
Ufficiale» 210 dell'08 settembre.
Il cartellino.
Tutti i dipendenti pubblici a contatto con
il pubblico devono essere muniti di un
cartellino di riconoscimento. L'inosservanza
di questa prescrizione costituisce precisa
la nuova circolare una valida ragione per
l'avvio di un procedimento disciplinare e
per la conseguente irrogazione di sanzioni.
Il cartellino identitificativo o la targa
nella stanza o nella postazione di lavoro
devono contenere le seguenti informazioni:
posizione professionale, profilo, qualifica
se dirigente, ufficio di appartenenza. Non
devono essere contenuti dati eccedenti o non
necessari rispetto alle finalità di
trasparenza e tali da violare la privacy,
come ad esempio le generalità personali.
L'obbligo precisa la circolare si applica a
tutti dipendenti e dirigenti pubblici
contrattualizzati, cioè ne sono escluse le
forze armate, di polizia, i prefetti, i
docenti universitari, i magistrati e le
altre categorie a cui non si applica il Dlgs
165/2001: per queste figure comunque le
singole amministrazioni possono introdurre
l'obbligo. Siamo dinanzi a un obbligo che si
applica anche alle regioni e alle autonomie
locali. Da questo vincolo possono essere
escluse specifiche categorie, sulla base di
analitiche e argomentate motivazioni.
Questa esclusione ricorda la circolare deve
essere contenuta in provvedimenti del
ministro per la Pubblica amministrazione e
l'innovazione adottati d'intesa con il
ministro competente e, per le regioni e gli
enti locali, con la Conferenza unificata tra
Stato, regioni ed autonomie locali.
L'obbligo si applica nei confronti dei
dipendenti a contatto con il pubblico,
intendendo come tali quelle -si legge nella
circolare che «si intendono svolte in
luogo pubblico e luogo aperto al pubblico
nei confronti di un'utenza indistinta»,
valutazione- che deve essere effettuata in
concreto dalle singole amministrazioni.
Le assenze.
Le
assenze per malattia dei dipendenti pubblici
sono diminuite di oltre il 30% a seguito
delle disposizioni introdotte dal Dl
112/2008. Un'ulteriore riduzione è attesa
dalla concreta applicazione del vincolo alla
trasmissione telematica dei certificati
direttamente da parte dei medici alle
amministrazioni introdotto dalla «legge,
Brunetta» (Dlgs 150/2009).
Per i primi io giorni di ogni assenza per
malattia, fatte salve le eccezioni previste
per i ricoveri ospedalieri, gli infortuni,
le terapie salva vita e i morbi dipendenti
da ragioni professionali, occorre effettuare
il taglio di ogni forma di trattamento
economico accessorio. L'eventuale esonero
dal taglio spiega la circolare deve essere
disposta solo sulla base di un adeguato
supporto in termini di certificazione
medica.
In questa decurtazione non deve essere
compresa, per i dirigenti e i titolari di
posizione organizzativa, la retribuzione di
risultato in quanto essa non può essere
equiparata a una «indennità giornaliera»
perché dovuta a consuntivo sulla base degli
«esiti del procedimento di valutazione»
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 10.09.2010, pag. 33 - link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: P.a.,
sanzioni senza Statuto. Niente collegi
arbitrali per pubblici dipendenti. Una
circolare del ministero del lavoro sugli
effetti della riforma Brunetta.
Lo Statuto dei
lavoratori non si applica alle controversie
sul pubblico impiego. La riforma Brunetta (dlgs
n. 150/2009), in particolare, eliminando la
possibilità di adire collegi arbitrali per
le decisioni sulle sanzioni disciplinari,
non ha inteso rinviare ai medesimi organismi
costituiti presso le direzioni provinciali
del lavoro, come previsto dall'articolo 7
della legge n. 300/1970.
Lo precisa il ministero del lavoro nella
circolare n. 28/2010.
La riforma Brunetta.
La riforma del pubblico impiego operata dal
dlgs n. 150/2009 ha introdotto alcune novità
in tema di controversie. Due quelle
principali, come spiega il ministero del
lavoro: la prima relativamente alla
disciplina delle procedure conciliative
precontenziose, la seconda riguardo
all'impugnazione delle sanzioni.
In merito al primo aspetto, la riforma ha
sostituito la vecchia disciplina cosiddetta
del patteggiamento con la possibilità, per
la contrattazione collettiva, di
regolamentare procedure di conciliazione non
obbligatoria, a eccezione dell'ipotesi della
sanzione del licenziamento. In merito alle
impugnazioni, la riforma ha praticamente
eliminato il ricorso a collegi arbitrali,
rimettendo di fatto ogni decisione al
giudice del lavoro.
Inapplicabile lo Statuto.
Tutto ciò, spiega il ministero, appare
delineare un disegno di razionalizzazione
delle procedure di conciliazione e
d'impugnazione ispirato dalla volontà di
evitare il rischio di collusione che
potrebbe derivare dallo svolgimento di
procedure, regolate dalla contrattazione o
dalla legge, di carattere arbitrale o
svincolate dai presupposti sostanziali
fissati dalla legge.
Considerazioni, queste, secondo il
ministero, che inducono a pensare che dopo
la riforma non sia possibile ritenere
vigente l'articolo 7 della legge n. 300/1970
(lo statuto dei lavoratori), nonostante
questo fosse richiamato dalla precedente
normativa. Infatti, nell'ambito delle nuove
norme, il citato articolo 7 non è stato mai
richiamato.
Quando invece nel nuovo contesto normativo
la volontà di applicare al settore pubblico
la disciplina prevista per il settore
privato (il predetto articolo 7) avrebbe
dovuto essere espressa in maniera esplicita,
mediante (appunto) richiamo o ridisciplina.
Peraltro, conclude il ministero, questa
conclusione sembra confermata pure dalla
circostanza che, in attuazione del criterio
di delega («abolire i collegi arbitrali
di disciplina vietando espressamente di
istituirli in sede di contrattazione
collettiva»), la riforma ha
definitivamente eliminato la possibilità di
ricorrere a collegi arbitrali di disciplina.
Tale previsione, che in senso stretto si
riferisce ai collegi, pare indice della
volontà del Legislatore di escludere
decisioni arbitrali in materia di
impugnazioni disciplinari, con la
conseguenza che anche l'impugnazione
prevista e disciplinata dall'articolo 7
dello Statuto, in quanto svolta di fronte a
un collegio di conciliazione e di arbitrato,
deve ritenersi preclusa
(articolo ItaliaOggi
del 09.09.2010, pag. 32 - link a www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Contro
il frastuono della movida tutela già in sede
d'urgenza. Il tribunale di Venezia ha dato
ragione ai cittadini con una inusuale
ordinanza.
Ordine, già in sede
provvisoria e d'urgenza, emesso inaudita
altera parte, di cessare l'utilizzo di fonti
rumorose che provochino il superamento dei
limiti di cui al D.p.c.m. 14.11.1997, art. 2
tab. B. dalle ore 24.00 in poi. Il tutto in
attesa che siano espletate le necessarie
perizie per verificare l'effettiva intensità
dell'emissione rumorosa.
E' questa la decisione –quanto mai inusuale-
contenuta nell'ordinanza ex art. 700 cpc
emessa dal Giudice Antonella Guerra del
Tribunale di Venezia il 20.08.2010 (e
confermata in sede di nomina del CTU il 3
settembre scorso), con la quale è stata
accolta la domanda di un gruppo di
proprietari di immobili siti nelle immediate
vicinanza di un notissimo locale della costa
veneta, i quali da alcuni anni combattevano
contro le continue e fastidiose emissioni
rumorose generate dalla musica e dal
numeroso pubblico di frequentatori.
La causa, molto comune anche in grandi città
alle prese con problemi della Movida e di
locali che restano aperti fino a molto tardi
la notte, segna un importante passo in
quanto già in sede d'urgenza il Giudice ha
riconosciuto fondato il danno arrecato dai
rumori.
Questa decisione, di cui ora si entra nella
fase di merito con le consuete perizie, fa
seguito ad una precedente ordinanza emessa
dal tribunale di Pordenone (Giudice,
dott.ssa Clocchiatti, data 13.08.2010) solo
alcune settimane prima che, su un problema
analogo, attinente questa volta al rumore
generato da un grande impianto di
condizionamento industriale, ha stabilito
che debbono cessare subito le immissioni
rumorose che superino i limiti di 3 decibel
oltre al rumore di fondo in attesa degli
accertamenti peritali.
“Sono decisioni importanti, che vorrei
definire figlie di atteggiamenti seri della
giurisprudenza che finalmente sta
dimostrando sensibilità per un argomento,
quello del danno di immissioni rumorose, per
troppo tempo sottovalutato” spiega ad
ItaliaOggi Nicola Todeschini, legale della
parte ricorrente. “Chiedere ed ottenere
tali provvedimenti interlocutori dovrebbe
essere normale, del resto, dico io, perché
ribellarsi all'ordine di rispettare le
regole se non perché si ha il desiderio di
violarle? La pronuncia di Pordenone, poi,
contiene anche l'ordine, su mia richiesta,
di monitorare le immissioni a cura del
resistente, gravandolo quindi di un
controllo, anche costoso, che può già avere
l'effetto di disincentivare comportamenti
disinvolti”.
Le due ordinanze citate rientrano in un
preciso filone giurisprudenziale. “Si
assiste, infatti, di pari passo con
l'accrescere dell'attenzione sull'argomento,
sia a pronunce più raffinate che a reazioni
scomposte tra le quali, purtroppo, bisogna
annoverare anche quelle del legislatore il
quale, con un colpo di coda, ha tentato di
minare la solidità dell'art. 844 cod. civ.
tentando di livellarlo su criteri stabiliti
in verità per disciplinare i rapporti con la
pubblica amministrazione e non quelli tra
privati” spiega Todeschini.
Gli interpreti attendono le prime pronunce
per comprendere quale strada imboccherà la
giurisprudenza. “L'auspicio è quello che
i Giudici, dopo aver elaborato criteri
ritenuti prima indiscutibili non facciano
marcia indietro perché il danno alla
persona, soprattutto di natura esistenziale,
che patiscono le persone colpite dal rumore
è indiscutibile”
(articolo ItaliaOggi
del 09.09.2010, pag. 22). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Certificati
medici con pec. I datori possono chiedere
all'Inps l'invio per e-mail. Una circolare
dell'Istituto fornisce le istruzioni alle
aziende e alla p.a..
I datori di lavoro, privati
e pubblici, possono ricevere i certificati
medici di malattia anche via Pec.
Lo stabilisce l'Inps nella
circolare 07.09.2010 n. 119 di
ieri di cui dà notizia un comunicato stampa,
diffuso sempre ieri, del ministero per la
pubblica amministrazione il quale, peraltro,
informa che i certificati finora inviati
online ammontano a 302.813, con un
incremento del 19% nell'ultima settimana.
Tutti i servizi a regime.
È a partire dal 3 aprile, a seguito della
riforma Brunetta (dlgs n. 150/2009) che i
medici dipendenti del Ssn oppure in regime
di convenzione sono tenuti a trasmettere
all'Inps, tramite il Sac (Sistema di
accoglienza centrale), il certificato di
malattia del lavoratore. Ricevuto il
certificato, il Sac lo invia all'Inps che lo
mette a disposizione dei datori di lavoro,
privati e pubblici, e dei lavoratori sul
sito internet.
Fino a ieri, i certificati erano
consultabili online tramite il codice pin o
con l'inserimento del codice fiscale del
lavoratore e del numero del certificato. Da
ieri è operativa la nuova modalità, mediante
la quale i datori di lavoro possono
richiedere all'Inps di ricevere nella
propria casella di posta elettronica
certificata (Pec) le attestazioni di
malattia dei propri dipendenti.
Una soluzione più efficiente, dal punto di
vista delle aziende, perché le libera
dall'impegno quotidiano di collegarsi al
sito dell'Inps e verificare l'eventuale
immissione di un certificato medico. Con la
nuova procedura, infatti, sarà direttamente
l'Inps, con invii giornalieri, ad inoltrare
alla Pec del datore di lavoro tutti i
certificati medici eventualmente trasmessi
dai medici con riferimento ai rispettivi
lavoratori.
Le istruzioni operative.
Per accedere alla nuova possibilità, spiega
la circolare, i datori di lavoro (pubblici e
privati) devono trasmettere apposita
richiesta all'Inps tramite l'indirizzo di
Pec al quale richiedono di ricevere la
trasmissione quotidiana delle certificazioni
mediche.
La richiesta va inviata alle competenti sedi
Inps i cui indirizzi sono reperibili su
internet (www.Inps.it). Per essere accolta,
la richiesta deve contenere le informazioni
indicate in tabella.
I dati.
Il comunicato stampa del ministero,
relativamente alla copertura territoriale
dell'operatività della trasmissione online
dei certificati medici, sottolinea che la
media regionale di medici dotati di pin (è
la password che serve per l'invio dei
certificati) si attesta al 75%.
Significa che, dal 27 agosto al 3 settembre,
sono stati abilitati altri 8 mila medici di
famiglia. In almeno otto regioni il processo
si è sostanzialmente completato: Piemonte
(84% dei medici abilitati), Valle d'Aosta
(99%), Provincia di Bolzano (96%), Veneto
(89%), Marche (91%), Basilicata (88%),
Calabria (85%), Abruzzo (82%) e Sardegna
(89%).
Nelle altre regioni, le percentuali di
medici abilitati risultano quasi ovunque
intorno al 60%. In Lombardia, Friuli-Venezia
Giulia, Toscana ed Emilia Romagna, aggiunge
il comunicato, i medici sono in possesso di
carta nazionale dei servizi (Cns) per
l'accesso al sistema.
Infine, spiega il comunicato, fino a ieri
risultano inviati complessivamente 302.813
certificati, per un incremento del 19%
nell'ultima settimana
(articolo ItaliaOggi
del 08.09.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Certificati di malattia on line: sul sito
Inps l’iter per i datori Amministrazioni
pubbliche e aziende private possono chiedere
“in rete” di ricevere gli attestati
sulla Pec.
Codice fiscale e numero progressivo Inpdap
relativo alla “sede di servizio”, per
le Amministrazioni pubbliche; matricola
Inps, per le aziende private; indicazione
del formato di invio dei file prescelto, per
tutti.
Sono queste le semplici informazioni da
fornire all’Istituto nazionale di previdenza
sociale per ricevere sul proprio indirizzo
e-mail “certificato” gli attestati di
malattia dei dipendenti.
I dettagli della procedura da seguire sono
impressi nero su bianco nella circolare Inps
n. 119 del 07.09.2010 ... (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
APPALTI: In
vigore la legge antimafia. Stretta sui
cantieri. Arriva un nuovo reato sulla scelta
dei contraenti. Pagamenti pedinati negli
appalti. Da oggi flussi finanziari
tracciabili. Il bonifico unica possibilità.
Da oggi i flussi
finanziari di chi partecipa alle gare di
appalto e quelli di chi beneficia di
finanziamenti pubblici devono essere
pedinabili. Cioè tracciabili, mediante conti
correnti dedicati. E tutte le transazioni
dovranno essere effettuate mediante
bonifico. Nessun'altra forma di pagamento o
di intermediazione sarà tollerata Qualora
ciò non avvenga, chi incapperà nelle
sanzioni, potrebbe vedersi comminare una
multa compresa tra il 2 e il 10% del valore
della transazione effettuata.
A disporre il tutto è la legge n. 136 del
13.08.2010, recante il «piano
straordinario contro le mafie, nonché la
delega al governo in materia di normativa
antimafia», entrata oggi in vigore.
Si tratta di una normativa approvata a
inizio agosto (si veda ItaliaOggi del
6/6/2010) e pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale n. 197 del 23/08/2010. Con essa
viene anche introdotto il meccanismo di
stazione unica appaltante su scala
regionale, vengono modificate al rialzo le
pene legate al reato di turbativa d'asta
(reclusione da sei mesi a cinque anni) e si
delinea una nuova fattispecie di reato:
turbativa del procedimento di scelta del
contraente. La normativa, comunque, non si
ferma qui.
La legge dispone una stretta sui cantieri,
imponendo controlli aggiuntivi e consegna
alle mani dell'esecutivo il compito di
scrivere la riforma della normativa
antimafia, mediante delega. Il governo, in
particolare, avrà il compito di licenziare
due decreti legislativi: uno contenente il
codice delle leggi antimafia e delle misure
di prevenzione e un altro finalizzato al
restyling di tutta la documentazione
antimafia ...
La stretta sui flussi finanziari. Mettendo a
regime quanto già previsto per la
ricostruzione in Abruzzo e per l'Expo 2015,
la legge stabilisce che gli operatori
economici coinvolti in appalti pubblici e i
soggetti destinatari di finanziamenti
pubblici, utilizzino obbligatoriamente conti
correnti bancari o postali dedicati.
L'obbligo di prevedere la tracciabilità è
legato alla firma del contratto di appalto,
che privo di questa clausola è nullo. Non
solo. La tracciabilità riguarda tutti gli
operatori in cantiere, siano essi fornitori,
subappaltatori, dipendenti e consulenti.
Cioè, tutti coloro che devono essere pagati
tramite bonifico bancario e postale.
La norma si applica anche ai «concessionari
di finanziamenti pubblici anche europei, a
qualsiasi titolo interessati a lavori,
servizi e forniture pubblici». Tra
l'altro, il vincolo esclusivo di bonifico
quale strumento di pagamento non convince
l'Associazione nazionale delle pmi edili (Aniem)
della Confai; il suo presidente, Dino
Piacentini, pur apprezzando «misure che
vanno nella direzione auspicata di lotta al
lavoro sommerso, di qualificazione dei
rapporti con i subcontraenti e di
valorizzazione delle imprese sane»,
segnala «l'esigenza di non restringere
eccessivamente le procedure di pagamento,
ritenendo ammissibili procedure analoghe al
bonifico, come ad esempio il Rid bancario,
che possono garantire comunque un controllo
sui flussi finanziari».
Comunque, in attesa di una «circolare
esplicativa che possa fornire chiarimenti
interpretativi», l'Aniem già «prende le
distanze da un'applicazione retroattiva
della norma, proposta dall'Autorità di
vigilanza per i contratti pubblici». In
merito, l'unica apertura dell'associazione è
su una retroattività riferita ai soli
«contratti in corso che abbiano una durata
prolungata nel tempo». Come quelli «la cui
durata va oltre due anni dall'entrata in
vigore della legge».
Tornando ai conti correnti dedicati, va
detto che le uniche transazioni che non
incappano nell'obbligo di pagamento tramite
bonifico bancario o postale, sono i
pagamenti in favore di enti previdenziali,
assicurativi e istituzionali, quelli
effettuati da fornitori e gestori di
pubblici servizi, nonché i pagamenti
relativi ai tributi. Tali adempimenti
potranno essere soddisfatti pagando con
altre modalità, oltre al bonifico. Se poi,
come detto, verranno violate le norme sulla
tracciabilità, potranno essere irrogate
sanzioni da un minimo del 2 a un massimo del
10% del valore della transazione.
Cantieristica. A riguardo la legge prevede
che:
- per il controllo degli automezzi adibiti
al trasporto materiali, la bolla di consegna
indichi il numero di targa e il nominativo
del proprietario degli automezzi
interessati;
- le tessere degli addetti ai cantieri,
siano integrate da informazioni aggiuntive,
per facilitare il loro riconoscimento;
- le verifiche sul patrimonio possano
riguardare la posizione fiscale, economica e
patrimoniale del soggetto sottoposto a
controllo.
È stato, poi, introdotto il reato di «turbata
libertà del procedimento di scelta del
contraente», che ricorre nella condotta
di chi, con violenza o minaccia, doni,
promesse, collusioni o altri mezzi
fraudolenti, turba il procedimento
amministrativo diretto a stabilire il
contenuto del bando per condizionare le
modalità di scelta del contraente da parte
della pubblica amministrazione. Il reato
viene punito con la reclusione da sei mesi a
cinque anni e la multa da euro 130 a 1.032
euro.
Infine, la legge prevede l'istituzione, in
ambito regionale, di una Stazione unica
appaltante (Sua), ma potranno anche essere
più d'una in ogni regione. L'obiettivo è
garantire trasparenza, regolarità ed
economicità nella gestione degli appalti
pubblici e prevenire, così, infiltrazioni
malavitose (articolo ItaliaOggi
del 07.09.2010, pag. 25 - link a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Dal
10 settembre operative le disposizioni di
semplificazione delle autorizzazioni
paesaggistiche. Piccola edilizia in
preferenziale. Richiesti meno documenti e
passaggi amministrativi ridotti.
Istanza corredata da semplice dichiarazione
di conformità, procedimento amministrativo
contenuto nei 60 giorni, efficacia immediata
dell'autorizzazione rilasciata. Dal
10.09.2010, in virtù del nuovo dpr
09.07.2010, n. 139, l'autorizzazione per
effettuare interventi di «lieve entità»
su beni paesaggistici potrà essere ottenuta
in via semplificata.
In base al provvedimento, emanato in
attuazione del decreto legislativo
22.01.2004, n. 42 («Codice dei beni
culturali e del paesaggio») e pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale del 26.08.2010 (n.
199) l'iter autorizzatorio soft riguarderà
determinati interventi (39, in particolare,
si veda ItaliaOggi del 31.08.2010) incidenti
su aree o immobili dichiarati di interesse
paesaggistico, e ciò anche se comportanti
una alterazione dei luoghi o dell'aspetto
esteriore degli edifici.
Quali interventi.
Gli interventi che godranno della procedura
semplificata saranno quelli compresi nelle
trentanove categorie indicate dagli allegati
al nuovo decreto presidenziale 139/2010, e
coincidenti in sostanza con i seguenti
progetti: incrementi contenuti del volume
degli edifici; demolizione/ricostruzione con
il rispetto di spazi preesistenti;
interventi su prospetti e coperture;
adeguamenti a norme antisismiche ed
energetiche; realizzazione di piccole opere
pertinenziali; taglio di vegetazione;
impianti tecnologici esterni per uso
domestico; impianti tecnici esterni al
servizio di edifici produttivi; strutture
temporanee per manifestazioni, concerti,
eventi sportivi; deposito temporaneo di
materiali a cielo libero per attività
produttive; strutture stagionali non
permanenti collegate ad attività turistiche,
sportive o del tempo libero.
La domanda.
L'istanza per il rilascio
dell'autorizzazione dovrà essere presentata
(ove possibile, per via telematica) all'Ente
competente da un tecnico professionista
attraverso una scheda-tipo corredata
unicamente da una relazione paesaggistica
«semplificata», relazione che dovrà in
sostanza semplicemente attestare la
conformità dell'intervento alla disciplina
del paesaggio (il citato dlgs 42/2004) e a
quella urbanistica.
Il procedimento
amministrativo.
L'iter amministrativo dovrà concludersi
entro 60 giorni dalla ricezione della
domanda. L'ufficio competente al rilascio
della autorizzazione (regione o
provincia/comune delegato) dovrà entro tale
termine effettuare una verifica preliminare
di compatibilità del progetto presentato
alla disciplina paesaggistica e urbanistica.
In caso positivo dovrà approfondire poi, con
apposito screening, il tipo di istruttoria
necessaria (se ordinaria o semplificata). In
caso di ammissibilità (si veda altro
servizio nella pagina seguente) alla
procedura semplificata, lo stesso Ufficio
dovrà infine effettuare, coinvolgendo la
Sovrintendenza per un parere (non vincolante
quando l'area interessata sia assoggettata a
specifiche prescrizioni d'uso), la
valutazione e concedere, in caso di esito
positivo, una autorizzazione dall'efficacia
immediata.
---------------
Professionisti
incastrati tra maggiori responsabilità.
La semplificazione dell'autorizzazione
paesaggistica incastra il professionista: è
il progettista che deve prendersi la
responsabilità di attestare che il progetto
rispetti i canoni di legge. In sostanza i
benefici in termini di accelerazione
dell'istruttoria da parte della pubblica
amministrazione si pagano con la
responsabilità del professionista.
L'istanza di autorizzazione paesaggistica,
infatti, è corredata da una relazione
paesaggistica semplificata, redatta da un
tecnico abilitato. Il tecnico deve indicare
le fonti normative o provvedimentali della
disciplina paesaggistica, deve descrivere lo
stato attuale dell'area interessata
dall'intervento, e, soprattutto, deve
attestare la conformità del progetto alle
specifiche prescrizioni d'uso dei beni
paesaggistici, se esistenti, oppure deve
documentare la compatibilità con i valori
paesaggistici, indicando le eventuali misure
di inserimento paesaggistico previste.
E non basta. Nella relazione il tecnico
abilitato deve anche attestare la conformità
del progetto alla disciplina urbanistica ed
edilizia. Ancora: se l'autorità preposta al
rilascio dell'autorizzazione paesaggistica
non coincide con quella competente in
materia urbanistica ed edilizia, l'istanza
deve essere corredata dall'attestazione del
comune territorialmente competente di
conformità dell'intervento alle prescrizioni
urbanistiche ed edilizie; ma in caso di
intervento soggetto a dichiarazione di
inizio attività, la relazione deve essere
corredata dalle asseverazioni di cui
all'articolo 23 del T.u. edilizia e le
asseverazioni di conformità dell'intervento
sono sempre a firma del progettista.
In sostanza la semplificazione del
procedimento si basa sulle attestazioni e
dichiarazioni di regolarità del progetto:
così si mette in campo una responsabilità
diretta del professionista, chiamato a
districarsi nel ginepraio della normativa
urbanistica, edilizia e paesaggistica
nazionale e locale.
Una responsabilità che può sfociare nel
penale a fronte di dichiarazioni inveritiere.
La responsabilità può anche registrarsi sul
piano disciplinare con un controllo da parte
degli ordini professionali nel caso di
attività svolta con imperizia o negligenza.
Un altro fronte di responsabilità è quello
civile che vede contrapposti professionista
e cliente.
---------------
Le ipotesi del nuovo
iter. Ricorso al Tar se la burocrazia va a
passo di lumaca.
Contro le lentezze burocratiche si ricorre
al Tar. L'iter presenta alcuni momenti
cruciali in cui emerge la necessità che
l'interessato si tuteli contro provvedimenti
negativi o contro l'inerzia della pubblica
amministrazione. Vediamo alcune ipotesi.
Innanzi tutto può capitare che si
verifichino ritardi e lungaggini rispetto al
termine massimo di conclusione del
procedimento.
Per questa ipotesi il regolamento richiama
quanto previsto dagli articoli 2, comma 8, e
2-bis della legge 241/1990. Questo significa
che l'interessato può proporre ricorso al
Tar contro il silenzio dell'amministrazione.
Il ricorso può essere proposto anche senza
necessità di diffida all'amministrazione
inadempiente, però, non oltre un anno dalla
scadenza dei termini di conclusione del
procedimento.
Il giudice amministrativo potrà anche
entrare nel merito e conoscere della
fondatezza dell'istanza. Naturalmente ciò
vale per le ipotesi in cui il provvedimento
ha natura vincolata e non per l'esercizio di
discrezionalità amministrativa. Non viene
espressamente richiamato dal regolamento, ma
si applica anche l'articolo 2, comma 9,
della legge 241/1990, che qualifica la
mancata emanazione del provvedimento nei
termini come un elemento di valutazione
della responsabilità dirigenziale (questo
sia ai fini stipendiali sia ai fini
disciplinari).
Inoltre (articolo 2-bis della legge
241/1990) le pubbliche amministrazioni sono
tenute al risarcimento del danno ingiusto
causato dall'inosservanza del termine di
conclusione del procedimento. Anche per le
richieste di risarcimento danno da ritardo
si va al Tar e tale diritto si prescrive in
cinque anni. Si va dal giudice
amministrativo anche per impugnare gli atti
definitivi di diniego del rilascio
dell'autorizzazione, così come nei casi in
cui il controinteressato voglia impugnare
l'avvenuto rilascio della stessa.
Si può verificare, per esempio, il caso del
vicino di casa di chi vuole procedere a un
ampliamento: il vicino è controinteressato e
in quanto tale ha titolo a impugnare il
provvedimento favorevole
dell'amministrazione, anche qui con
richiesta di risarcimento del danno. Va
notato, infine, che il procedimento
amministrativo semplificato comprende alcune
fasi interne di tutela. Questo si verifica
in caso di rigetto della domanda
l'interessato da parte dell'amministrazione
competente al rilascio della autorizzazione
paesaggistica. In questo caso si può
chiedere il riesame al soprintendente.
In sostanza la pratica viene bloccata
dall'amministrazione competente al rilascio
(per esempio il comune): il regolamento
prevede che il diniego sia adottato da
questa amministrazione senza passare dal
soprintendente, al quale si può rivolgere
l'interessato per provocare una valutazione
dell'istanza e un ribaltamento della
decisione della p.a. Entro 20 giorni dalla
ricezione del provvedimento di rigetto,
l'interessato può chiedere al
soprintendente, con istanza motivata e
corredata della documentazione, di
pronunciarsi sulla domanda di autorizzazione
paesaggistica semplificata.
A questo punto si verifica una fase di
contraddittorio interno al procedimento:
copia dell'istanza è inviata
all'amministrazione che ha adottato il
provvedimento negativo, la quale, entro
dieci giorni dal ricevimento, può inviare le
proprie deduzioni al soprintendente.
Ricevuta l'istanza, il soprintendente, entro
i successivi 30 giorni, verifica la
conformità dell'intervento alle prescrizioni
d'uso del bene paesaggistico ovvero la sua
compatibilità paesaggistica e decide in via
definitiva, rilasciando o negando
l'autorizzazione.
---------------
Al soprintendente solo
pratiche filtrate.
Dal soprintendente vanno solo le pratiche
con prognosi favorevole. Le altre sono
bloccate prima dall'autorità competente a
rilasciare l'autorizzazione (per esempio il
comune delegato).
L'iter per le autorizzazioni paesaggistiche
degli interventi di lieve entità,
disciplinato dal dpr 09.07.2010 , n. 139
(regolamento recante procedimento
semplificato di autorizzazione paesaggistica
per gli interventi di lieve entità), vede
termini serrati ed eliminazione di tempi
morti e passaggi inutili.
Ecco come si articola il procedimento dalla
presentazione dell'istanza all'esito
conclusivo.
Ricevuta la domanda si deve verificare
preliminarmente se l'intervento progettato
non sia esonerato dall'autorizzazione
paesaggistica o se, al contrario, sia
assoggettato al regime ordinario (articolo
146 del Codice sull'ambiente). Nel primo
caso, all'interessato viene comunicato che
non occorre nulla e il procedimento finisce.
Nel secondo caso vengono richieste le
necessarie integrazioni ai fini del rilascio
dell'autorizzazione ordinaria.
Se, invece, si applica il procedimento
semplificato, l'ente competente al rilascio
della autorizzazione comunica subito l'avvio
del procedimento (articolo 7 legge
241/1990). La stessa comunicazione è la sede
(unica) per la richiesta di documenti e
chiarimenti indispensabili, da far pervenire
in via telematica entro il termine di
quindici giorni: si tratta di richiesta di
integrazioni per l'istruttoria della
pratica. Ai fini del computo del termine
massimo di conclusione del procedimento (60
giorni) il procedimento resta sospeso fino
alla ricezione della documentazione
integrativa (i 15 giorni non si contano). Se
la documentazione non arriva nei 15 giorni,
l'amministrazione conclude comunque il
procedimento e c'è, quindi, il rischio di un
diniego per carenza documentale.
Cominciano a questo punto le verifiche
preliminari edilizie e paesaggistiche. Entro
trenta giorni dalla ricezione della domanda
la p.a. deve verificare preliminarmente, se
ne ha la competenza, la conformità
dell'intervento progettato alla disciplina
urbanistica ed edilizia. Il comune che
agisce in subdelega è competente a tale
verifica preliminare. Nel caso in cui l'ente
che istruisce la pratica non sia competente,
questo, nei trenta giorni, verifica
l'attestazione di conformità urbanistica
rilasciata dal comune nel cui territorio è
localizzato l'intervento o l'asseverazione
prescritta in caso di intervento sottoposto
a denuncia di inizio di attività, già
presentate all'atto della domanda.
Quindi all'atto della domanda si deve
corredare la documentazione con queste
attestazioni o asseverazioni. Ovviamente se
si registra una irregolarità edilizia o
urbanistica, l'amministrazione competente al
rilascio dell'autorizzazione dichiara
l'improcedibilità della domanda di
autorizzazione paesaggistica. Se, invece, si
supera la verifica di conformità urbanistica
ed edilizia si passa alla valutazione della
conformità paesaggistica. Se la valutazione
paesaggistica è negativa, l'amministrazione
competente al rilascio dell'autorizzazione
invia comunicazione all'interessato il
preavviso di diniego (articolo 10-bis della
legge 241/1990): nel termine di dieci
giorni, l'interessato può presentare
eventuali osservazioni. La comunicazione
sospende il termine per la conclusione del
procedimento. A questo punto o si accolgono
le osservazioni e il procedimento prosegue
oppure le controdeduzioni non sono accolte e
viene adottato atto di rigetto motivato.
Nel caso di rigetto della domanda
l'interessato, può rivolgersi al
soprintendente entro venti giorni dalla
ricezione del provvedimento di rigetto e
presentare una istanza motivata e corredata
della documentazione, di pronunciarsi sulla
domanda di autorizzazione paesaggistica
semplificata. Il soprintendente ricevute le
eventuali relazioni della p.a., entro trenta
giorni, verifica la conformità
dell'intervento progettato alle prescrizioni
d'uso del bene paesaggistico o la sua
compatibilità paesaggistica e decide in via
definitiva, rilasciando o negando
l'autorizzazione.
Non ci vuole necessariamente un assenso del
soprintendente, invece, in caso di
valutazione positiva della conformità o
della compatibilità paesaggistica
dell'intervento: è vero che
l'amministrazione competente al rilascio
dell'autorizzazione deve provvedere
immediatamente e, comunque, entro il termine
di trenta giorni dal ricevimento della
domanda a trasmettere alla soprintendenza
una motivata proposta di accoglimento della
domanda stessa. Tuttavia o il soprintendente
fa pervenire il suo parere vincolante oppure
non si pronuncia. Se il soprintendente
rimane inerte l'amministrazione competente
deve andare avanti lo stesso e rilasciare
l'autorizzazione, senza indire la conferenza
di servizi (come sarebbe previsto, invece,
dall'articolo 146, comma 9, del codice
sull'ambiente).
L'amministrazione competente al rilascio
dell'autorizzazione deve adottare il
provvedimento conforme al parere vincolante
favorevole (se formulato) entro cinque
giorni successivi alla ricezione del parere.
Inoltre se ne ha la competenza,
l'amministrazione rilascia contestualmente
anche il permesso di costruire e comunque il
titolo legittimante l'edificazione.
Non c'è bisogno di motivare l'autorizzazione
se non con un rinvio al parere della
soprintendenza, che va allegato. Se il
soprintendente valuta negativamente la
proposta ricevuta dall'amministrazione,
allora, adotterà, entro venticinque giorni
un provvedimento di rigetto dell'istanza,
rispettando la procedura del preavviso di
rigetto (articolo 10-bis della legge
241/1990). Nel provvedimento il
soprintendente deve essere analitico ed
esporre puntualmente i motivi di rigetto.
Nei casi in cui la legge prevede che il
soprintendente si limiti a fornire un parere
obbligatorio e non vincolante, il
provvedimento di rigetto è adottato
dall'amministrazione competente al rilascio
dell'autorizzazione. Il parere del
soprintendente è obbligatorio e non
vincolante quando l'area interessata
dall'intervento di lieve entità è
assoggettata a specifiche prescrizioni d'uso
del paesaggio, contenute nella dichiarazione
di notevole interesse pubblico, nel piano
paesaggistico o negli atti di integrazione
del vincolo. Il regolamento si preoccupa
dell'ipotesi in cui si verificano ritardi e
lungaggini. Decorso il termine di 60 giorni
senza comunicazione della decisione
conclusiva, l'interessato può rivolgersi al
Tar (si veda servizio nella pagina
precedente). L'autorizzazione paesaggistica
semplificata è immediatamente efficace ed è
valida cinque anni. Nel procedimento
semplificato non è obbligatorio il parere
delle commissioni locali per il paesaggio, a
meno che non sia diversamente previsto dalla
legislazione regionale (fermo restando il
rispetto del termine per la conclusione del
procedimento di 60 giorni)
(articolo ItaliaOggi
del 06.09.2010, pag. 10). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi
light con limiti incerti. La legge 122
impone di ridurre de1 10% i compensi
rispetto al 30.04.2010. Manovra, Mancano i
parametri per applicare la stretta ad
attività non frazionabili come progetti e
assistenza Legale.
Dal 1° gennaio 2011 tutte le pubbliche
amministrazioni individuate dall'Istat
dovranno ridurre del 10% i compensi ai
componenti di organi di indirizzo, direzione
e controllo, cda e organi collegiali, e ai
titolari di incarichi di qualsiasi tipo.
La norma (articolo 6, comma 3 della legge
122/2010) dispone l'adeguamento automatico
di queste voci di spesa rispetto ai valori
risultanti alla data del 30.04.2010, e ne
blocca gli importi massimi sino a tutto il
2013 ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 06.09.2010, pag. 11 - link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Bergamo, ecco chi sono i dirigenti
super-pagati della provincia.
La Fp-Cgil di Bergamo ha messo in fila dal
più pagato a quello meno, i 48 dirigenti
della Pubblica Amministrazione: in testa due
della Provincia (07.09.2010 - link a
www.bergamonews.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI:
La circostanza che un prestatore
dei servizi non sia retribuito direttamente
dalla p.a. con cui ha una relazione
contrattuale implica di per sé, che il
contratto debba essere qualificato come
concessione di servizi.
L'assenza di remunerazione diretta del
prestatore del servizio ad opera
dell'amministrazione pubblica che gli ha
attribuito un servizio costituisce un
criterio sufficiente al fine della
qualificazione del contratto come
concessione di servizi, ai sensi dell'art.
1, n. 4, della direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio, 31.03.2004,
2004/18/CE, relativa al coordinamento delle
procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di lavori, di forniture e di
servizi.
A questo riguardo, non importa sapere, in
primo luogo, chi versi la remunerazione
dovuta per i servizi prestati, ammesso che
si tratti di un organismo sufficientemente
distinto ed indipendente
dall'amministrazione che ha attribuito il
servizio in questione, né, in secondo luogo,
quali siano le modalità del pagamento della
remunerazione, né, in terzo luogo, se il
rischio d'impresa collegato al servizio in
questione sia, sin dall'inizio, limitato
(Avvocato Generale J. Mazak,
conclusioni 09.09.2010 n. C-274/09
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Deve sempre sussistere nei
concorsi pubblici una riserva di posti per
coloro che rappresentano una categoria c.d.
debole, anche se il bando di concorso non
l'ha prevista.
La legge n. 482/1968, recante disciplina
generale delle assunzioni obbligatorie
presso le pubbliche amministrazioni e le
aziende private, prevede espressamente la
riserva di posti "allo scopo di favorire
e tutelare il concreto collocamento al
lavoro di coloro che rappresentano una
categoria c.d. debole, in considerazione di
menomazioni fisiche contratte in particolari
circostanze (invalidi di guerra, civili, per
servizio o per lavoro, privi della vista e
sordomuti, ovvero gli orfani o le vedove di
deceduti per fatti o infermità di analogo
genere), nell'evidente presupposto che
costoro abbiano particolari difficoltà nel
reperire una occupazione, anche in adesione
a tradizionali e consolidati principi di
solidarietà umana e sociale".
Ciò comporta l'attribuzione di un carattere
cogente alle disposizioni, per cui la
riserva opera anche se il bando di concorso
non l'ha prevista e, d'altro canto, essa si
applica necessariamente anche alle selezioni
per soli titoli, comunque (TAR Puglia-Lecce,
Sez. II,
sentenza 07.09.2010 n. 1935 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI -
Efficacia estintiva della sanatoria -
Valutazione postuma di compatibilità
paesaggistica - C.d. interventi minori -
Fattispecie - Artt. 181 c. 1-ter sub a) e
167, D.L.vo n. 42/2004 - Art. 44, c. 1, lett. c,
TU n. 380/2001 - Art. unico, c. 36, L. n.
308/2004.
L’efficacia estintiva della sanatoria è
limitata ai reati contravvenzionali previsti
dalle norme urbanistiche vigenti e non si
estende ad altri reati correlati alla tutela
di interessi diversi quali quelli previsti
dalla normativa sulle opere in cemento
armato, sulle costruzioni in zone sismiche
oppure di tutela delle aree di interesse
ambientale.
Per questi ultimi reati, la L. n. 308/2004
(art. unico, c. 36) ha novellato l'art. 181
D.L.vo n. 42/2004 ed introdotto la
possibilità di una valutazione postuma di
compatibilità paesaggistica di alcuni
interventi minori all'esito della quale (pur
rimanendo ferme le misure amministrative
ripristinatorie e pecuniarie di cui all'art.
167 D.L.vo n. 42/2004) non si applicano le
sanzioni penali.
Nella specie, l'imputato non ha fatto
ricorso a tale procedure né poteva utilmente
farlo poiché risultano realizzate nuove
volumetrie e questa circostanza rende
inapplicabile la speciale causa estintiva
del reato come precisato dall'art. 181, c.
1-ter, sub a, D.L.vo n. 42/2004.
BENI CULTURALI ED
AMBIENTALI - Reato urbanistico e reato
ambientale - Ordine di demolizione e
riduzione in pristino - Effetti
diversificati - T.U.E. n. 380/2001 - D.L.vo
n. 42/2004.
L'ordine di demolizione caducato per il
reato urbanistico, deve essere mantenuto in
vigore per quello ambientale.
Sicché, la statuizione inerente la
demolizione non deve essere revocata nei
casi in cui sussista il reato ambientale,
piuttosto, è necessario disporre anche la
restitutio in pristinum per ricondurre
l'assetto dei luoghi alla situazione
originaria, comportando la reintegrazione
totale del bene nell'area protetta, l'ordine
di rimessione in pristino ha una ampiezza
maggiore, ma comprensiva dello abbattimento
del manufatto abusivo (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 01.09.2010 n. 32547 -
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EDILIZIA PRIVATA:
ELETTROSMOG
- Costruzione ripetitore telefonico e titolo
abilitativo - Testo Unico in materia
edilizia - Art. 87 d.lgs. n.259/2003 - Art.
44 d.P.R. n. 380/2001.
Le disposizioni presenti nell'art. 87 del
d.lgs. 01.08.2003, n. 259 contengono una
deroga al regime ordinario del Testo Unico
in materia edilizia (d.P.R. 06.06.2001, n.
380), deroga che la Corte costituzionale ha
ritenuto possa essere condivisa all'interno
di un complessivo bilanciamento tra i
principi costituzionali; tuttavia, da questo
regime non risulta affatto escluso che
l'ente territoriale conservi un potere di
valutazione circa la compatibilità delle
opere necessarie per l'installazione del
ripetitore con le regole in materia
urbanistica e ambientale.
In sostanza, il rilascio del permesso di
costruire, altrimenti necessario, viene
sostituito dal rilascio delle autorizzazioni
come previste dal citato art. 87 al termine
della specifica procedura ivi disciplinata,
con la conseguenza che il mancato rispetto
di queste disposizioni rende le opere
abusive e suscettibili di sanzione ai sensi
dell'art. 44 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380
(fattispecie: costruzione ripetitore
telefonico e titolo abilitativo) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 01.09.2010 n. 32527 -
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APPALTI:
Sulla regolarizzazione della
documentazione di gara di cui all'art. 46
del d.lgs. 163 del 2006.
L'art. 46 del d.lgs. 163 del 2006, deve
essere inteso nel senso che
l'Amministrazione deve disporre la
regolarizzazione quando gli atti,
tempestivamente depositati, contengano
elementi che possano costituire un indizio e
rendano ragionevole ritenere sussistenti i
requisiti di partecipazione. La ratio
va ricercata nella esigenza di assicurare la
massima partecipazione alle gare di appalto,
evitando che l'esito delle stesse possa
essere alterato da carenze di ordine
meramente formale nella documentazione
comprovante il possesso dei requisiti dei
partecipanti.
Pertanto, quando il documento è già stato
presentato in sede di gara, anche se
parzialmente, è consentita la sua
regolarizzazione se, come nel caso di
specie, la violazione è squisitamente
formale ed il rimedio, in concreto, non
altera la par condicio tra i concorrenti.
Tale impostazione, discende direttamente
dalla applicazione di due principi
tradizionalmente fissati dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia:
quello di proporzionalità e quello del
dovere dell'Amministrazione di ascoltare i
privati prima di assumere decisioni (TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza 01.09.2010 n. 2163 -
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APPALTI: L'azione
amministrativa deve essere orientata sulla
concreta verifica dei requisiti di
partecipazione coerentemente con la
disposizione di carattere generale contenuta
nell'art. 6, l. 07.08.1990 n. 241.
Nella pronuncia in commento il ricorrente ha
partecipato alla gara indetta da un Comune
per l’affidamento dei servizi di
progettazione dei lavori di “stabilizzazione
tramite muri in cemento armato rivestiti in
pietrame” da aggiudicarsi con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa.
Il Comune richiedeva a tutti i partecipanti
alla selezione di produrre “le dichiarazioni
inerenti i requisiti di ordine generale
prescritti dall’art. 38, comma 1, lettera
m-bis), m-ter) ed m-quater del codice dei
contratti pubblici” da rendersi a pena di
esclusione.
Il raggruppamento ricorrente ometteva di
rendere la dichiarazione di cui alla lettera
m-bis) e, per tale motivo, veniva escluso.
Il mandatario del raggruppamento presentava
quindi istanza volta ad ottenere, in
autotutela, la riammissione alla gara.
L’istanza veniva rigettata determinando il
ricorso in commento, ritenuto fondato dal
Tribunale amministrativo per la Sardegna.
Secondo gli stessi giudici deve essere,
anzitutto, chiarita una circostanza di fatto
rilevante per la risoluzione della vicenda
controversa: i soggetti facenti parte del
costituendo raggruppamento sono tutti liberi
professionisti oltre ad una società di
ingegneria. Nessuno di questi soggetti era
esecutore di lavori pubblici.
Come correttamente affermato dalla difesa
del ricorrente, spiegano i giudici isolani,
al caso di specie va applicato l’art. 46 del
d.lgs. 163 del 2006. La stessa sezione ha
già avuto modo di affermare con sentenza n.
1537 del 09.10.2009 che il principio della
integrazione documentale è anzitutto sancito
in via generale dall'art. 6, comma 1, lettera
b), della L. n. 241 del 1990. L'art. 46
costituisce inoltre attuazione della
corrispondente disposizione contenuta nella
Direttiva 2004/18/CE.
La ratio va ricercata nella esigenza
di assicurare la massima partecipazione alle
gare di appalto, evitando che l'esito delle
stesse possa essere alterato da carenze di
ordine meramente formale nella
documentazione comprovante il possesso dei
requisiti dei partecipanti. L'art. 46 ha il
delicato compito di contemperare principi
talvolta in antitesi come quello del
favor partecipationis e quello della par
condicio tra i concorrenti. Il punto di
equilibrio deve essere trovato nella
distinzione tra il concetto di
regolarizzazione e quello di integrazione
documentale.
La regolarizzazione dei documenti è sempre
possibile, mentre non sempre lo è
l'integrazione che si risolverebbe in una
lesione della parità di trattamento tra i
partecipanti. Il legislatore del Codice, non
ha affatto inteso assegnare alle
amministrazioni aggiudicatrici una facoltà,
bensì ha elevato a principio generale un
modo di procedere, volto a far prevalere,
entro certi limiti, la sostanza sulla forma.
In definitiva, l'art. 46 del Codice dei
Contratti, è espressione, nel settore degli
appalti pubblici, dei principi che
sovrintendono l'istruttoria procedimentale,
consacrati nell'art. 6 della L. 241 del
1990.
La disposizione deve essere intesa nel senso
che l'Amministrazione deve disporre la
regolarizzazione quando gli atti,
tempestivamente depositati, contengano
elementi che possano costituire un indizio e
rendano, come è palese nel caso oggetto
della presente vicenda controversa,
ragionevole ritenere sussistenti i requisiti
di partecipazione. Quindi, quando il
documento è già stato presentato in sede di
gara, anche se parzialmente, è consentita la
sua regolarizzazione se, come nel caso di
specie, la violazione è squisitamente
formale ed il rimedio, in concreto, non
altera la par condicio tra i concorrenti.
Tale impostazione, discende direttamente
dalla applicazione di due principi
tradizionalmente fissati dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia:
quello di proporzionalità e quello del
dovere dell'Amministrazione di ascoltare i
privati prima di assumere decisioni.
È fuor di dubbio che l'esclusione dalla gara
per dubbi in ordine alla effettiva
sussistenza di un requisito in capo ad un
partecipante, determina un forte scostamento
del provvedimento amministrativo rispetto
alla scopo della fase di qualificazione alla
gara pubblica. Quando la ditta partecipante
incorre in un errore nell'allegazione di un
certificato o, in ogni caso, quando il
contenuto di un documento non soddisfa
appieno le necessità istruttorie
dell'Amministrazione, il principio generale
è che questi aspetti devono essere oggetto
di chiarimenti ed integrazioni. Ciò in
quanto quell'operatore economico potrebbe
risultare in concreto il migliore contraente
per soddisfare le necessità per cui è stata
bandita la gara.
La combinazione del principio di
proporzionalità con quello del dovere di
introdurre nel processo decisionale pubblico
le manifestazioni di interesse dei privati,
determinano che l'esclusione dalla gara per
motivi di carattere squisitamente formale
deve costituire eccezione e non regola. Essa
deve essere disposta solo quando appare
chiaro che consentire al concorrente utili
chiarimenti ai fini di un più completo
accertamento dei fatti da parte
dell'Amministrazione aggiudicatrice,
determinerebbe una lesione della par
condicio tra i concorrenti.
I giudici sardi richiamano quindi i principi
già espressi dalla Sezione ricordando anche
che la integrazione documentale prevista
dall'art. 46 del Codice degli appalti
pubblici è ammissibile nei casi di equivoche
clausole del bando relative alla
dichiarazione od alla documentazione da
integrare o chiarire e che (nei limiti sopra
ampiamente esposti) la sostanza deve
prevalere sulla forma.
La conseguenza di tale impostazione è che
l'azione amministrativa deve essere
orientata sulla concreta verifica dei
requisiti di partecipazione coerentemente
con la disposizione di carattere generale
contenuta nell'art. 6, l. 07.08.1990 n. 241
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza 01.09.2010 n. 2163 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Conferenza di servizi - Natura - Strumento
procedimentale di coordinamento.
La conferenza di servizi, proprio perché è
solo un modulo procedimentale e non
costituisce anche un ufficio speciale della
Pubblica amministrazione, autonomo rispetto
ai soggetti che vi partecipano, riverbera
certamente i suoi effetti (che sono di
natura procedimentale) sull'atto finale
(cfr. Cons. St. IV sez., 09.07.1999 n.
1193), ma non assurge alla dignità di organo
"ad hoc", né acquista soggettività
giuridica autonoma, essendo solo uno
strumento procedimentale di coordinamento di
Amministrazioni che restano diverse tra loro
e mantengono la rispettiva autonomia
soggettiva (cfr. Cons. St. IV Sez.
14.06.2001 n. 3169) (TAR Toscana,
Sez. II,
sentenza 31.08.2010 n. 5145 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - RIFIUTI -
Trattamento e smaltimento - Principio di
precauzione - Incertezza circa l’esistenza o
la portata di rischi per la salute -
Armonizzazione con il principio di
proporzionalità.
Il principio di precauzione, di derivazione
comunitaria, sancito dall'art. 174 par. 2,
del Trattato di Roma, trova applicazione in
tutti quei settori in cui si manifesta la
necessità di un elevato livello di
protezione, indipendentemente
dall'accertamento di un effettivo nesso
causale tra il fatto dannoso o
potenzialmente tale e gli effetti
pregiudizievoli che ne derivano (TAR Puglia,
Lecce, sez. I, 23.01.2003, n. 260).
In tale senso le stesse istituzioni
giudiziarie dell’Unione europea hanno avuto
modo di affermare l’immediata applicabilità
del principio di precauzione quando
sussistono incertezze riguardo all'esistenza
o alla portata di rischi per la salute delle
persone, e la conseguente possibilità di
adottare misure protettive, senza dover
attendere che siano esaurientemente
dimostrate la realtà e la gravità di tali
rischi (Tribunale I grado C.E., sez. II,
19.11.2009; C.G. C.E. sentenza 14.07.1998,
causa C-248/95; id. 03.12.1998, causa
C-67/97, Bluhme).
Il principio è pacificamente ritenuto
applicabile alla materia del trattamento e
dello smaltimento dei rifiuti (Corte
giustizia C.E., sez. IV, 04.03.2010, n.
297), dovendo, peraltro, armonizzarsi, nella
concreta applicazione, con quello di
proporzionalità, non potendo chiaramente
prefigurarsi la prevalenza del primo sul
secondo, ma dovendosi ricercare un loro
equilibrato bilanciamento in relazione agli
interessi pubblici e privati in gioco.
Conseguentemente tutte le decisioni adottate
dalle autorità competenti in materia
ambientale devono essere assistite -in
relazione alla pluralità e alla rilevanza
degli interessi in gioco- da un apparato
motivazionale particolarmente rigoroso, che
tenga conto di una attività istruttoria
parimenti ineccepibile (TAR Campania Napoli,
sez. V, 02.11.2009, n. 6758) (TAR Toscana,
Sez. II,
sentenza 31.08.2010 n. 5145 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla proroga del servizio di
distribuzione del gas naturale di cui
all'art. 15, c. 7, d.lgs. 164/2000 (c.d.
decreto Letta).
A differenza della proroga del periodo
transitorio degli affidamenti del servizio
di distribuzione del gas naturale prevista
dalla l. n. 239/2004 (c.d. legge Marzano)
per motivi di interesse pubblico, avente
carattere eminentemente discrezionale, la
proroga di cui all'art. 15, c. 7, del d.lgs.
n. 164/2000 (c.d. decreto Letta), non è il
frutto dell'esercizio di una facoltà
dell'ente locale, ma è legata a presupposti
tipizzati, che garantiscono un automatica
prosecuzione del rapporto, salvo che l'ente
locale non motivi in modo specifico sulla
effettiva necessità di procedere ad una
liberalizzazione immediata.
Gli incrementi di cui al predetto art. 15,
c. 7, non sono il risultato di una
negoziazione fra il comune ed il
concessionario, né costituiscono una
concessione a titolo grazioso, ma concretano
un'aspettativa tutelata del concessionario
che non può essere negata se non valutando
la sua posizione, il sacrificio ed i danni
che deriverebbero dalla mancata concessione
del prolungamento del periodo transitorio,
nonché la necessità e le effettive ragioni,
per l'amministrazione, di procedere ad
un'immediata liberalizzazione. In sostanza
non può affermarsi nell'applicazione
dell'art. 15 c. 7 alcuna cieca prevalenza
dell'interesse pubblico sulla posizione dei
concessionari.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittima
la delibera consiliare con la quale si
statuiva di porre definitivamente termine,
con effetto dal 31.12.2005, alla concessione
del servizio di distribuzione di gas
naturale e di procedere all'indizione di una
gara pubblica per l'individuazione del nuovo
gestore, per aver omesso di tenere in
adeguata considerazione, ai fini del
decidere, il carattere automatico degli
incrementi temporali di cui al c. 7
dell'art. 15, d.lgs. 164/2000, cit.
nell'ambito del quadro normativo esistente
al momento di adozione della medesima
delibera (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.08.2010 n. 5984 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: E'
al momento della presentazione dell'offerta
che l'impresa deve dichiarare la sua
effettiva posizione nei confronti degli
obblighi previdenziali (DURC), a nulla
rilevando che tale situazione possa essere
accertata e dimostrata solo in un momento
successivo alla scadenza del termine, pur se
con riferimento ad una data anteriore a tale
scadenza.
Il termine “teorico” per la
presentazione delle offerte fissato dalla
lex specialis, diventa “concreto”
con l'effettiva presentazione dell'offerta
ed è a quel momento che l'impresa deve
dichiarare la sua effettiva posizione nei
confronti degli obblighi previdenziali, a
nulla rilevando che tale situazione possa
essere accertata e dimostrata solo in un
momento successivo alla scadenza del
termine, pur se con riferimento ad una data
anteriore a tale scadenza.
Non appare, infatti, ammissibile una
dichiarazione sostitutiva dell'atto di
notorietà che attesti il possesso di un
requisito in data futura, a maggior ragione
se tale requisito dipende non dalla mera
presentazione dell'istanza, ma
dall'accoglimento della stessa che, nella
fattispecie, è avvenuto in data successiva
alla scadenza del bando, a nulla rilevando
gli effetti retroattivi di tale accertamento
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.08.2010 n. 5968 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla possibilità per le
associazioni di volontariato di partecipare
alle gare di appalto sebbene non perseguano
preminente scopo di lucro e non siano
iscritte alla Camera di Commercio o al
registro delle imprese.
La Corte di Giustizia CE con la sentenza del
23.12.2009, C 305/08, ha ribadito che le
disposizioni della direttiva 2004/08 devono
essere interpretate "nel senso che
consentono a soggetti che non perseguono
preminente scopo di lucro, non dispongono
della struttura organizzativa di un'impresa
e non assicurano una presenza regolare sul
mercato… di partecipare ad un appalto
pubblico di servizi" e che tale
direttiva osta all'interpretazione di una
normativa nazionale che vieti a soggetti che
"non perseguono preminente scopo di lucro
di partecipare ad una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico".
Pertanto, l'assenza di fini di lucro non
esclude che le associazioni di volontariato
possano esercitare un'attività economica, né
rileva la carenza di iscrizione alla Camera
di Commercio o al registro delle imprese,
che non costituiscono requisito
indefettibile di partecipazione alle gare di
appalto né, nel caso di specie, ciò era
espressamente stabilito dalle norme di gara
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.08.2010 n. 5956 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
AREE PROTETTE - Siti di
importanza comunitaria - Piani e progetti -
Valutazione di incidenza - Natura - Mezzo
preventivo di tutela dell’ambiente.
La procedura di valutazione di incidenza è,
per sua natura, finalizzata alla verifica e
valutazione degli effetti di attività ed
interventi su siti di importanza comunitaria
ed all’individuazione delle idonee misure di
mitigazione, volte a prevenire il
deterioramento dei medesimi. Ne consegue che
la valutazione di incidenza si configura
come un mezzo preventivo di tutela
dell’ambiente, che si deve svolgere prima
dell’approvazione del progetto, il quale
deve poter essere modificato secondo le
prescrizioni volte ad eliminare o ridurre
l’incidenza negativa dell’opera progettata.
AREE PROTETTE - Siti di
importanza comunitaria - Valutazione di
incidenza - Carattere della necessaria
previetà - Principi di precauzione e di
prevenzione - Valutazione di incidenza
postuma - Illegittimità.
Il carattere della necessaria previetà della
procedura di valutazione di incidenza è
funzionale al rispetto dei precetti
comunitari e nazionali improntati ai
principi di precauzione e prevenzione
dell’azione ambientale, secondo quanto
emerge anche dall’esegesi della c.d. “direttiva
habitat” (n. 92/43/CEE) seguita dalla
giurisprudenza comunitaria (in termini Corte
Giustizia CE, 07.09.2004, in causa
C-127/02; con riferimento alla V.I.A. :
Corte Giustizia CE, 03.07.2008, in causa
C-215/06; Corte Giustizia CE, 05.07.2007, in
causa C-255/05).
Il necessario corollario di tale postulato è
quello per cui la valutazione di incidenza
postuma alle autorizzazioni (ed in
particolare al permesso di costruire)
presupponenti un progetto definitivo
dell’opera deve considerarsi illegittima (in
termini, con riferimento al contiguo tema
della V.I.A., TAR Sicilia, Palermo, Sez. I,
20.01.2010, n. 583).
AREE PROTETTE - Siti di
importanza comunitaria - Valutazione di
incidenza - Atto a funzione prodromica
rispetto al provvedimento autorizzatorio.
La valutazione di incidenza si caratterizza
come “atto a funzione prodromica”
rispetto al provvedimento autorizzatorio,
che deve dunque precedere, per potere così
utilmente concorrere alla valutazione
ponderata degli interessi (cfr., in materia
di pareri, Cons. Stato, Sez. IV, 12.06.1998,
n. 941; TAR Liguria, Sez. I, 22.07.2005, n.
1080 secondo cui è inammissibile l’esercizio
ex post della funzione consultiva, a
sanatoria, dovendo il parere necessariamente
precedere la decisione dell’organo
deliberante).
AREE PROTETTE -
Valutazione di incidenza - Art. 29 d.lgs. n.
152/2006 - V.I.A. - Applicazione analogica -
Istituto della sanatoria - Configurabilità -
Esclusione.
Nella materia coinvolgente l’interesse
ambientale, ad escludere la possibilità di
una valutazione di incidenza postuma
concorre, sul piano dell’interpretazione
analogica, anche la disposizione dell’art.
29 del codice dell’ambiente (d.lgs.
03.04.2006, n. 152), il cui primo comma, con
riferimento alla V.I.A., dopo avere premesso
che detta valutazione è atto presupposto, o
parte integrante del procedimento di
autorizzazione od approvazione del progetto,
sancisce che «i provvedimenti di
autorizzazione o approvazione adottati senza
la previa valutazione di impatto ambientale,
ove prescritta, sono annullabili per
violazione di legge», sembrando così
escludere ogni possibilità di sanatoria
(cfr. seppure in chiave di lettura
comunitaria, TAR Lombardia-Brescia, nella
sentenza 11.08.2007, n. 726; cfr. altresì
Ad. Gen. del Consiglio di Stato, parere del
25.01.1996 e, con specifico riferimento ai
titoli edilizi, Cons. Stato, Sez. VI,
24.09.2004, n. 6255) (TAR Umbria, Sez. I,
sentenza 24.08.2010 n. 429 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: La
previsione da parte della lex specialis
rende idonea la comunicazione via fax anche
dell’atto di esclusione ai fini della piena
cognizione del contenuto del provvedimento.
La dita appellante, nella pronuncia in
rassegna, ha partecipato alla gara bandita
dal Comune in causa per l’aggiudicazione di
appalto di lavori di riqualificazione ed
ampliamento dell’area esterna di scuola
materna ed annesso asilo nido.
L’amministrazione ha escluso l’offerta dalla
gara per avere rinvenuto, tra i dati
pubblicati nel casellario informatico
dell’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture,
annotazione di revoca dell’attestazione SOA
disposta a seguito di accertamento di
rilascio di attestazione sulla base di
documenti privi di riscontro oggettivo in
atti o attestazioni di pubbliche
amministrazioni e di tanto ha dato
comunicazione alla stessa Autorità .
L’appellante lamenta che erroneamente il Tar
avrebbe considerato irricevibile il proprio
ricorso, facendo decorrere il termine di
decadenza dalla data di ricezione via fax
del provvedimento di esclusione, così
contravvenendo ai principi in materia di
notificazione degli atti delle pubbliche
amministrazioni, di decorrenza del termine
dalla piena conoscenza dell’atto lesivo, di
necessità di prova della ricezione nonché
dando errata applicazione dell’art. 77
D.Lgs. 163/2006.
Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha ritenuto
che tali tesi non possano trovare
accoglimento va in primo luogo considerato,
infatti, che, in base a lineari principi, in
materia di impugnazione di provvedimenti
amministrativi in relazione agli atti in cui
sia richiesta la notifica individuale, come
quelli di esclusione e revoca
dell’aggiudicazione di gare, si applica la
regola generale della piena conoscenza di
cui all’art. 21 L. n. 1034/1971, laddove il
termine decorre dalla notificazione o dalla
comunicazione individuale all’interessato
(Cons. St. Sez. V, 22.03.2010, n. 1661,
15.09.2009, n. 5503, 24.03.2006, n. 1534).
E’ quindi sufficiente, in assenza di
notificazione (nel qual caso soltanto si
applica la disciplina sulle notifiche
richiamata da parte appellante), perché
comunque decorra il termine di impugnazione,
che l’interessato abbia avuto piena
cognizione, mediante comunicazione
individuale, del provvedimento e della sua
natura lesiva.
La questione all’esame è, quindi, spiegano i
i giudici d’appello, se tale cognizione
possa considerarsi realizzata, come ritenuto
dal TAR, attraverso la trasmissione
dell’atto di esclusione via fax,
conformemente alle forme di comunicazione di
cui agli articoli 77 e 79 D.Lgs. n.
163/2006. In base alla più recente normativa
(particolarmente d.P.R. 28.12.2000, n. 445),
il fax è considerato un ordinario mezzo di
comunicazione nel corso dell’istruttoria,
sia per la presentazione di istanze di
privati (art. 38, comma 1), che acquistano
efficacia con la trasmissione, sia per la
comunicazione di documenti di cui tale mezzo
soddisfa sia la forma scritta che la fonte
di provenienza. In forza dell’art. 43, comma
6, un fax deve presumersi giunto al
destinatario quando il rapporto di
trasmissione indica che questa è avvenuta
regolarmente.
Più in generale, va considerato che
l’ordinamento in numerosi casi conferisce
certezza alle comunicazioni effettuate via
fax: l’art. 136 del codice di procedura
civile ammette la comunicazione per telefax
nel rispetto della normativa sulla
trasmissione dei documenti teletrasmessi,
così come la legge fallimentare,al terzo
comma dell’art. 26, dispone la completa
equiparazione, ai fini della decorrenza del
termine per il reclamo contro i decreti del
giudice delegato e del tribunale, della
comunicazione mediante lettera raccomandata
con avviso di ricevimento e di quella
attraverso telefax, stabilendo che la
garanzia di avvenuta ricezione in base al
d.P.R. n. 445/2000 equivale a notificazione.
Parimenti, l’art. 77 D.Lgs. n. 163/2006
stabilisce la facoltà per le stazioni
appaltanti e per gli operatori economici di
inviare le comunicazioni via telefax, purché
di ciò si dia comunicazione nel bando o
nell’invito. L’adeguamento rispetto
all’innovazione delle tecnologie di
trasmissione e comunicazione riposa sulla
circostanza che il fax utilizza un sistema
di linee di trasmissione e dati e di
apparecchiature che consente di poter
documentare sia la partenza del messaggio
dall’apparato trasmittente che, attraverso
il rapporto di trasmissione, la ricezione da
parte di quello ricevente, dando altrettanta
certezza rispetto all’avviso di ricevimento
della raccomandata della ricezione del
messaggio.
Coerentemente, la giurisprudenza
amministrativa ha stabilito che il rapporto
di trasmissione fa presumere la prova
dell’avvenuta ricezione spettando al
destinatario la prova contraria concernente
la mancata funzionalità dell’apparecchio
(Cons. St. Sez. V, 24.04.2002, n. 2202, Sez.
VI, 04.06.2007, n. 2951, 19.6.2009, n. 4151,
03.02.2009 n. 578).
L’idoneità della comunicazione mediante fax
è avvalorata, nella specie, dalla
circostanza che il disciplinare di gara
abbia disposto che le imprese partecipanti
indicassero il proprio numero di fax al
quale l’amministrazione potesse far
pervenire la richiesta ex art. 48 D.Lgs.
163/2006 ed a tanto l’appellante abbia
provveduto accettando la comunicazione via
fax sul controllo del possesso dei
requisiti, conclusosi poi negativamente con
il provvedimento di esclusione (in linea,
quindi, anche con i commi 5-bis e
5-quinquies dell’art. 79 introdotti dal
d.lgs. n. 53/2010, pur se inapplicabili
ratione temporis alla controversia de
qua).
La previsione da parte della lex
specialis di tale mezzo di trasmissione
rende, pertanto, idonea la comunicazione via
fax anche dell’atto di esclusione ai fini
della piena cognizione del contenuto del
provvedimento e risulta rispettosa dell’art.
77 d.lgs n. 163
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 18.08.2010 n. 5845 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di una piattaforma in
calcestruzzo di considerevoli dimensioni
abbisogna del preventivo rilascio della
concessione edilizia.
La realizzazione di un ampio parcheggio
mediante utilizzo di una piattaforma in
calcestruzzo di considerevoli dimensioni è
opera che non può essere assentita sulla
base della presentazione di una semplice
Denuncia di Inizio Attività, all’evidenza
trattandosi di intervento comportante una
effettiva e rilevante modificazione del
territorio che all’epoca necessitava, ai
sensi dell’art. 1 della L. n. 10 del 1977,
del previo rilascio di concessione edilizia
(v. TAR Veneto, sez. II, 03/04/2003 n. 2267)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 16.08.2010 n. 7495 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Con
il decorso del termine di 10 anni diventano
inefficaci le previsioni del piano di
lottizzazione che non hanno avuto concreta
attuazione, nel senso che non è più
consentita la sua ulteriore esecuzione,
salva la possibilità di ulteriori
costruzioni coerenti con le vigenti
previsioni del piano regolatore generale e
con le prescrizioni del piano attuativo, che
per questa parte ha efficacia ultrattiva, in
linea con il carattere di tendenziale
stabilità di tutti i piani attuativi, cui si
deve la concreta e dettagliata conformazione
della proprietà privata.
L’art. 17, comma 1, della legge urbanistica
fondamentale (legge 17.08.1942, n. 1150)
dispone che «decorso il termine stabilito
per la esecuzione del piano
particolareggiato questo diventa inefficace
per la parte in cui non abbia avuto
attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo
indeterminato l’obbligo di osservare nella
costruzione di nuovi edifici e nella
modificazione di quelli esistenti gli
allineamenti e le prescrizioni di zona
stabiliti dal piano stesso».
La norma in questione, dunque, con
riferimento ai piani particolareggiati di
iniziativa pubblica, cui sono equiparati i
piani di lottizzazione, tiene distinta la
valenza urbanistica del piano attuativo
dall’efficacia della convenzione.
Ciò comporta che con il decorso del termine
di 10 anni diventano inefficaci le
previsioni del piano di lottizzazione che
non hanno avuto concreta attuazione, nel
senso che non è più consentita la sua
ulteriore esecuzione, salva la possibilità
di ulteriori costruzioni coerenti con le
vigenti previsioni del piano regolatore
generale e con le prescrizioni del piano
attuativo, che per questa parte ha efficacia
ultrattiva, in linea con il carattere di
tendenziale stabilità di tutti i piani
attuativi, cui si deve la concreta e
dettagliata conformazione della proprietà
privata (Cons. Stato, Sez. V, 30.04.2009, n.
2768; TAR Umbria, 25.02.2010, n. 144).
Conviene inoltre precisare che cosa intenda
la norma dicendo che il piano
particolareggiato (o di lottizzazione) «diventa
inefficace per la parte in cui non abbia
avuto attuazione». Essa si riferisce
all’ipotesi che taluno dei lotti edificabili
sia rimasto in realtà inedificato.
Verificandosi tale ipotesi, ne consegue che
i proprietari di quei lotti non sono più
tenuti ad eseguire le opere di
urbanizzazione e non sono più assoggettati
alle future espropriazioni; ciò in coerenza
con il legame di corrispettività che corre
fra l’attribuzione della potenzialità
edificatoria e l’obbligo di eseguire le
opere di urbanizzazione e di cedere porzioni
di terreno alla p.a. (mediante esproprio o
mediante un negozio di trasferimento). Anche
in tale ipotesi, tuttavia, le destinazioni
urbanistiche sopravvivono, pur venendo meno
i vincoli in senso stretto.
Tutt’altro è da dire, invece, per l’ipotesi
che i privati lottizzanti abbiano sfruttato
le potenzialità edificatorie loro
attribuite, ma siano rimasti inadempienti
rispetto agli obblighi assunti con la
convenzione di lottizzazione. In tal caso
infatti non sarebbe pertinente
l’affermazione che il piano perde efficacia
nella parte in cui non è attuato: di fatto
esso è attuato (se per attuazione s’intende,
come si deve intendere, l’edificazione dei
lotti); vi è invece un puro e semplice
inadempimento concernente le obbligazioni
corrispettive.
L’inadempimento, di per sé, ovviamente non
estingue le obbligazioni ma semmai comporta
un aggravio di responsabilità, ad es. per i
danni da inadempimento. Vero è che tali
obbligazioni possono cadere in prescrizione,
qualora l’inadempienza si protragga
abbastanza a lungo e non siano compiuti atti
interruttivi; ma ciò vale per le
obbligazioni di fare e di dare, non per le
destinazioni urbanistiche inerenti – sino a
che non sopravvenga una diversa
pianificazione urbanistica.
Ne discende che, fino ad una nuova
regolamentazione urbanistica generale
difforme, nella fattispecie in esame,
permane nell’area interessata dall’abuso
edilizio, contrariamente a quanto assume
parte ricorrente, l’efficacia e validità del
vincolo di inedificabilità per destinazione
a parcheggio pubblico
(TAR Umbria,
sentenza 16.08.2010 n. 426 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Sulla
mancata comunicazione di avvio del
procedimento amministrativo.
La mancata comunicazione di avvio del
procedimento è inidonea a viziarlo quando i
presupposti fattuali risultino incontestati,
il quadro normativo non presenti margini di
incertezza sufficientemente apprezzabili,
l’eventuale annullamento del provvedimento
non privi l’Amministrazione del
potere-dovere di adottare un nuovo
provvedimento di identico contenuto, con
conseguente non incidenza della
partecipazione del privato ai fini della
definizione di tale contenuto (cfr., di
recente, C.d.S., Sez. VI, 24.11.2009, n.
7378)
(C.G.A.R.S.,
sentenza 12.08.2010 n. 1106 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: In
tema di acquisizione da parte di un ente
pubblico di prestazioni professionali in
assenza di copertura finanziaria, il
riconoscimento del debito fuori bilancio non
costituisce fattispecie idonea a produrre i
medesimi effetti negoziali riconducibili
alla fattispecie legale (costituita dalla
delibera di conferimento dell’incarico,
dalla stipulazione del contratto e dal
relativo impegno contabile), ma può solo
fondare un’azione di indebito arricchimento
nei limiti del riconoscimento dell’utilità
della prestazione e dell’arricchimento per
l’Amministrazione.
Come è stato
osservato dalla Corte di Cassazione (sez. I,
n. 7966 del 27.03.2008), in tema di
acquisizione da parte di un ente pubblico di
prestazioni professionali in assenza di
copertura finanziaria, il riconoscimento del
debito fuori bilancio non costituisce
fattispecie idonea a produrre i medesimi
effetti negoziali riconducibili alla
fattispecie legale (costituita dalla
delibera di conferimento dell’incarico,
dalla stipulazione del contratto e dal
relativo impegno contabile), ma può solo
fondare un’azione di indebito arricchimento
nei limiti del riconoscimento dell’utilità
della prestazione e dell’arricchimento per
l’Amministrazione
(C.G.A.R.S.,
sentenza 12.08.2010 n. 1106 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'impugnazione immediata delle
disposizioni della disciplina di gara che
limitano illegittimamente il diritto alla
partecipazione di un concorrente.
I requisiti di partecipazione alle gare
d'appalto possono essere anche più rigorosi
e restrittivi rispetto a quelli ex lege
previsti, in relazione alle peculiari
caratteristiche del servizio da appaltare.
Nel caso in cui le disposizioni della
disciplina di gara limitano illegittimamente
il diritto alla partecipazione di un
concorrente, esso deve impugnare
immediatamente la disciplina di gara e non
attenderne l'esito, essendo la lesività di
un atto aspetto oggettivo e indipendente dai
requisiti posseduti dagli altri partecipanti
alla gara.
---------------
I bandi di gare d'appalto pubblico possono
prevedere requisiti di partecipazione più
rigorosi di quelli indicati dalla legge
purché non discriminanti ed abnormi rispetto
alle regole proprie del settore e che
possano pertanto pretendere l'attestazione
di requisiti di capacità diversi ed
ulteriori dalla semplice iscrizione in albi
o elenchi.
Le previsioni recate nelle relative
disposizioni normative di settore sono volte
a stabilire una semplice presunzione di
possesso dei requisiti minimi per la
partecipazione alla gara, che pertanto ben
possono essere derogati (o meglio
incrementati, sotto l'aspetto qualitativo e
quantitativo) dall'amministrazione in
relazione alle peculiari caratteristiche del
servizio da appaltare.
Le scelte così operate, ampiamente
discrezionali, impingono nel merito
dell'azione amministrativa e si sottraggono,
pertanto, al sindacato del giudice
amministrativo, salvo che non siano ictu
oculi manifestamente irragionevoli,
irrazionali, arbitrarie o sproporzionate,
specie avuto riguardo alla specificità
dell'oggetto ed all'esigenza di non
restringere, oltre lo stretto
indispensabile, la platea dei potenziali
concorrenti e di non precostituire
situazioni di privilegio.
Pertanto, nel caso di specie non è
irragionevole, sproporzionata o
discriminatoria la richiesta di specifici
requisiti di esperienza nella gestione di
piscine pubbliche, trattandosi
dell'affidamento in concessione
dell'impianta natatorio comunale (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 04.08.2010 n. 5201 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione in sanatoria c.d.
straordinaria (o condono) - Specialità del
procedimento - Verifiche, presupposti e
condizioni - Parere della Commissione
edilizia - Non obbligatorio - Fondamento.
La specialità del procedimento di condono
edilizio rispetto all'ordinario procedimento
di rilascio della concessione ad edificare e
l'assenza di una specifica previsione in
ordine alla sua necessità rendono, per il
rilascio della concessione in sanatoria c.d.
straordinaria (o condono), il parere della
Commissione edilizia non obbligatorio, ma,
tutt’al più, facoltativo, al fine di
acquisire eventuali informazioni e
valutazioni con riguardo a particolari e
sporadici casi incerti e complessi, in
assenza dei quali il rilascio della
concessione in sanatoria è subordinato alla
semplice verifica dei (pur numerosi)
presupposti e condizioni espressamente e
chiaramente fissati dal Legislatore (Cons.
St., sez. IV, 12/02/2010 , n. 772; CdS sez.
IV, 15/05/2009, n. 3010; CdS, sez. VI,
27/06/2008, n. 3282; CdS sez. V, 04/10/2007,
n. 5153).
Nella specie non sussistevano quelle
condizioni di complessità e difficoltà
accertativa o valutativa e, dunque, non
v’erano spazi per poter invocare utilmente
l’intervento dell’organo consultivo
collegiale.
Opere abusive sanabili -
Annullamento delle acquisizioni al
patrimonio comunale - Cancellazione delle
relative trascrizioni nel pubblico registro
immobiliare - Limiti di superficie e volume
per ampliamenti di edifici già esistenti -
Art. 39, c. 19, L. n. 724/1994 - Art. 7, c.
3, L. n. 47/1985.
L’art. 39 della legge n. 724/1994 dispone,
al comma 19, che per le opere abusive “divenute
sanabili“ in forza dello stesso art. 39,
“il proprietario ha il diritto di
ottenere l’annullamento delle acquisizioni
al patrimonio comunale dell’area di sedime e
delle opere sopra questa realizzate disposte
in attuazione dell’articolo 7, terzo comma,
della legge 28.02.1985, n. 47”, e la
cancellazione delle relative trascrizioni
nel pubblico registro immobiliare, fatti
salvi i diritti dei terzi e del comune, nel
caso in cui le opere stesse siano state
destinate ad attività di pubblica utilità
entro la data dell'01.12.1994.
Inoltre, l’articolo 39 della legge n.
724/1994, dopo avere fissato i limiti di
superficie e volume per ampliamenti di
edifici già esistenti, ha disposto che quei
limiti “trovano altresì applicazione alle
opere abusive realizzate nel termine di cui
sopra relative a nuove costruzioni non
superiori ai 750 metri cubi per singola
richiesta di concessione edilizia in
sanatoria."
La norma correla quindi il limite
volumetrico massimo alla domanda di condono.
Nella specie, a nulla vale invocare,
l’avvenuto frazionamento dell’immobile in
due unità immobiliari, perché se ciò fosse
rilevante, si consentirebbe ad un soggetto
di realizzare un grattacielo di migliaia di
metri cubi, poi frazionarlo in tanti
appartamenti tutti inferiori a 750 mc. e
quindi invocare il condono (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5156 -
link a www.ambientediritto.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Provvedimenti in materia
edilizia - Attribuzione ai dirigenti - Art.
6, 2° comma, L. n. 127/1997 - Art. 51 L. n.
142/1990. Solo a seguito dell'art. 6, 2°
comma, L. n. 127/1997 è stata attribuita ai
dirigenti degli Enti locali la competenza in
ordine agli atti di gestione, anche con
riferimento ai provvedimenti in materia
edilizia.
La disposizione, nel sostituire l'art. 51 L.
n. 142/1990, ha direttamente attribuito ai
Dirigenti, tra l'altro, i provvedimenti di
autorizzazione, concessione o analoghi, il
cui rilascio presupponga accertamenti e
valutazioni anche di natura discrezionale
(Cons. St., Sez. V, n. 5833 del 25.11.2001,
n. 7632 del 21.11.2203, n. 2694 del
04.05.2004 e n. 5757 del 09.11.2007; ma è
altrettanto vero che, per consolidata
giurisprudenza, non esistono ostacoli di
ordine normativo -eccetto improbabili norme
di statuto o regolamento dell’ente locale- a
che il Sindaco deleghi un assessore
all'adozione di atti in materia urbanistica
ed edilizia che non costituiscano
espressione di funzioni di Ufficiale di
Governo ma che attengano alla cura di
interessi tipicamente locali e strettamente
coordinati con le esigenze della comunità
insediata in un certo territorio (CdS, sez.
V, 10/02/2009, n. 758; id., 16/11/2005 , n.
6376; id., 24/11/1997, n. 1358) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5156 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sull'obbligo del responsabile
dell'istruttoria di una gara di appalto di
svolgere ogni tipo di attività volta
all'accertamento dei fatti oggetto del
procedimento.
Sussiste l'obbligo preciso del responsabile
dell'istruttoria svolgere ogni tipo di
attività volta all'accertamento dei fatti
oggetto del procedimento, è se per tale
necessità sono opportune più istanze
istruttorie, non è violato il principio di
non aggravamento del procedimento le quante
volte tali istanze siano giustificate
dall'esigenza di procedere.
Di conseguenza, nel caso di specie, l'errore
materiale in cui è incorsa la cooperativa,
la quale ha nei termini previsti prodotto la
documentazione richiesta, ben avrebbe potuto
indurre il responsabile del procedimento a
richiedere la rettifica di istanze erronee o
incomplete nella esplicazione di quel
principio di regolarizzazione degli atti che
si affianca a quello acquisitivo proprio
dell'iniziativa di ufficio della fase
istruttoria, sicché ne deriva che a fronte
di documentazione ritenuta inidonea è onere
dell'amministrazione completare
l'istruttoria richiedendo all'interessato
quanto necessario a tal fine.
Il principio secondo il quale il
responsabile del procedimento amministrativo
è tenuto a indicare o rettificare eventuali
irregolarità formali è applicabile anche al
procedimento di gara pubblica, a condizione
che non sia turbata la par condicio dei
concorrenti e non vi sia una modificazione
del contenuto della documentazione
presentata (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 30.07.2010 n. 3305 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ESPROPRIAZIONE: Esproprio
comunale anche per i beni tutelati.
Indispensabile per il nulla-osta da parte
del ministero. Il vincolo non fa venire meno
il potere dell'ente locale.
Anche un bene tutelato può essere
espropriato dall'amministrazione comunale,
dopo aver acquisito il nulla osta da parte
della soprintendenza competente.
E' questo l'innovativo principio affermato
dalla VI Sezione del Consiglio di Stato,
sentenza 27.07.2010 n. 4890, nel
respingere l'appello proposto dai
proprietari di un palazzo storico, che -in
primo grado- avevano impugnato un decreto di
occupazione d'urgenza del giardino
antistante l'edificio, anch'esso vincolato.
Il provvedimento era stato emesso da un
comune per la realizzazione sul giardino di
una pubblica piazza e a sostegno
dell'impugnativa gli interessati avevano
contestato, tra l'altro, l'incompetenza del
comune a procedere all'esproprio, stante la
presenza di un vincolo storico-artistico
sull'intero complesso immobiliare.
I giudici di Palazzo Spada, nel confermare
la sentenza di primo grado (Tar
Campania-Salerno, I sezione n. 258/2005),
hanno evidenziato come i poteri
espropriativi attribuiti al ministero per i
Beni e le attività culturali, prima dal
Testo unico dlg. 490/1999 (articoli 91 e
seguenti) e oggi dal Dlgs /2004 (articoli 95
seguenti), perseguono una finalità ben
specifica: il miglioramento delle condizioni
del bene tutelato e la sua pi ampia
fruibilità da parte della collettività. Il
che corrisponde, quindi a una causa di
pubblica utilità tipica e del tutto
differente rispetto a quella della
realizzazione dell'opera pubblica che
l'amministrazione comunale voleva eseguire,
rispetto alla quale l'amministrazione
centrale risultava del tutto estranea.
Di conseguenza, l'assoggettamento di un bene
privato a un vincolo storico artistico non
fa di per sé venire meno gli ordinari poteri
ablatori di un comune, che potranno essere
esercitati nel rispetto delle finalità di
tutela -finalità che, è bene sottolinearlo,
costituiscono soltanto dei parametri in
relazione ai quali va valutato l'impatto
dell'intervento costruttivo che si intende
attuare a seguito dell'esproprio.
Giunta competente.
Nel caso esaminato dalla sentenza, il
Consiglio di Stato, richiamando precedenti
orientamenti (sentenza II 3067/2001) coglie
anche l'occasione per affermare la
competenza della giunta municipale
nell'approvazione del progetto preliminare
dell'opera pubblica, rilevando come questo
non avesse comportato alcuna variante allo
strumento urbanistico generale, per cui
doveva escludersi che la materia rientrasse
nelle attribuzioni del consiglio comunale,
così come delineate dall'articolo 42 del
Dlgs n. 267/2000, bensì in quelle di tipo
generale e residuale spettanti all'organo
esecutivo, secondo quanto previsto
dall'articolo 4 del medesimo decreto.
Tre ipotesi di «ablazione».
È utile ricostruire, a questo punto, la
disciplina dell'esproprio di beni culturali
appartenenti privati, introdotta nel nostro
ordinamento già dalla legge n 2359/1865
(articolo 83) e poi dalla legge n. 1089/1939
(articolo 54) ed è finalizzata ad evitare il
deperimento del bene tutelato per scarsa o
inadeguata conservazione da parte dei
proprietari. La successiva evoluzione
legislativa, largamente trasfusa nel Testo
unico n. 490/1999, ha ampliato l'ambito dei
beni espropriabili, introducendo anche
quelli mobili, e i casi in cui era possibile
ricorrere alla procedura ablatoria.
Attualmente il Codice dei beni culturali,
approvato col Dlgs n. 42/2004, contempla tre
ipotesi di esproprio per pubblica utilità da
parte del Ministero. La prima, delineata
dall'articolo 95, consénte l'espropriazione
di beni culturali, sia immobili che mobili,
quando ci risulti indispensabile per «migliorare
le condizioni di tutela ai fin! della
fruizione pubblica dei béni medesimi».
In questa eventualità il Ministero può
procedere direttamente all'esproprio, oppure
autorizzare regioni e altri enti pubblici
territoriali o altri enti ed istituti
pubblici che ne abbiano fatto richiesta,
ovvero disporre l'espropriazione in favore
di persone giuridiche private senza fini di
lucro.
Il secondo caso, disciplinato dall'articolo
96, quello dell'espropriazione per fini
strumentali di edifici e aree non vincolate,
ma poste in ambito contiguo al bene
tutelato, e si giustifica con la necessità
di «isolare o restaurare beni culturali
immobili, assicurarne la luce o la
prospettiva, garantirne o accrescerne il
decoro o il godimento da parte del pubblico,
facilitarne l'accesso».
Infine l'articolo 97 ammette il ricorso
all'espropriazione di immobili al fine di
eseguire ricerche e scavi, o interventi di
interesse archeologico
(articolo ItaliaOggi
del 06.09.2010, pag. 10 - link a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Quando
è proposta una domanda volta ad ottenere il
rilascio di un titolo edilizio, il vicino
del richiedente può intervenire nel corso
del relativo procedimento e può impugnare il
provvedimento che accolga l'istanza, ma non
ha titolo a ricevere l'avviso dell'avvio del
procedimento in quanto ciò comporterebbe un
aggravio del procedimento, in palese
violazione dei principi di economicità ed
efficacia dell'attività amministrativa.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere
che non vi è identità tra le posizioni di
coloro che sono legittimati ad impugnare il
provvedimento finale, quelle di coloro che
possono intervenire nel procedimento (Cons.
Stato, sez. VI, 12.04.2000, n. 2185) ovvero
quelle di coloro che hanno titolo a ricevere
l'avviso del procedimento (Cons. Stato, sez.
VI, 15.09.1999, n. 1197).
Quando è proposta una domanda volta ad
ottenere il rilascio di un titolo edilizio,
il vicino del richiedente può intervenire
nel corso del relativo procedimento e può
impugnare il provvedimento che accolga
l'istanza, ma non ha titolo a ricevere
l'avviso dell'avvio del procedimento in
quanto ciò comporterebbe un aggravio del
procedimento, in palese violazione dei
principi di economicità ed efficacia
dell'attività amministrativa (Cons. Stato,
sez. VI, 15.09.1999, n. 1197; 14.03.2002, n.
1533; 18.04.2005, n. 1773; Tar Liguria,
10.07.2009, n. 1736)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.07.2010 n. 3253 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
precarietà di un manufatto, la cui
realizzazione non necessita di titolo
edilizio non comportando una trasformazione
del territorio, non dipende dalla qualità
dei materiali utilizzati, o dalla sua facile rimovibilità,
ma dalla temporaneità della funzione in
relazione ad esigenze di natura contingente.
Per
giurisprudenza costante, la precarietà di un
manufatto, la cui realizzazione non
necessita di titolo edilizio non
comportando una trasformazione del
territorio, non dipende dalla qualità dei
materiali utilizzati, o dalla sua facile rimovibilità, ma dalla temporaneità della
funzione in relazione ad esigenze di natura
contingente (Cons. Stato, sez. IV,
15.05.2009, n. 3029; Cons. Stato, sez. IV,
06.06.2008, n. 2705; Cass. Pen., sez. III,
25.02.2009, n. 22054).
La precarietà va, pertanto, esclusa quando,
come nella fattispecie, si tratta di
un’opera destinata a dare un’utilità
prolungata nel tempo: la struttura era
esistente sin dal 1984 –secondo quanto
asserito dalla stessa ricorrente– ed è stata
stabilmente destinata ad ampliamento
dell’attiguo ristorante. Anche in
considerazione delle dimensioni e delle
caratteristiche costruttive, essa realizza
una trasformazione del territorio ed è
dunque suscettibile di condono
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.07.2010 n. 3253 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
rilevanza giuridica della concessione
edilizia (e quindi della concessione in
sanatoria o cosiddetto condono) si esaurisce
nell'ambito del rapporto pubblicistico tra
comune e privato richiedente, senza
estendersi ai rapporti tra privati.
E' stata affermata l'illegittima
dell'esclusione, su immobili condonati, di
interventi di manutenzione, aventi quale
unica finalità la tutela della integrità
della costruzione e la conservazione della
sua funzionalità, “senza alterare l'aspetto
esteriore dell'edificio”, ciò in quanto
rappresenta una lesione al contenuto minimo
della proprietà, perché l'anzidetto divieto
incide addirittura sulla essenza stessa e
sulle possibilità di mantenere e conservare
il bene oggetto del diritto, producendo un
inevitabile deterioramento di esso, con
conseguente riduzione in cattivo stato ed un
progressivo abbandono e deperimento
(strutturale e funzionale) del medesimo.
Si richiamano
al riguardo i principi affermati dal
Consiglio di Stato con la sentenza sez. VI,
30.12.2006, n. 8262, secondo cui “la
rilevanza giuridica della concessione
edilizia (e quindi della concessione in
sanatoria o cosiddetto condono) si esaurisce
nell'ambito del rapporto pubblicistico tra
comune e privato richiedente, senza
estendersi ai rapporti tra privati.
La concessione così come il condono sono
rilasciati sempre con salvezza dei diritti
dei terzi, mentre il conflitto tra
proprietari, interessati in senso opposto
alla costruzione, va risolto in base al
raffronto tra le caratteristiche dell'opera
e le norme edilizie che la disciplinano, ai
sensi dell'art. 871 codice civile.
Pertanto, il condono edilizio interessa i
rapporti fra la p.a. e il privato
costruttore, che può fruirne anche se
l'edificio abusivo violi le norme sulle
distanze legali.
Restano però naturalmente illesi i diritti
dei terzi che possono far valere la
violazione delle norme suddette e chiedere
il risarcimento dei danni o la demolizione
delle opere abusive (Cons. Stato sez. IV
16.10.1998, n. 1306)”.
La Corte
Costituzionale ha affermato l’illegittimità
della esclusione, su immobili condonati, di
interventi di manutenzione, aventi quale
unica finalità la tutela della integrità
della costruzione e la conservazione della
sua funzionalità, “senza alterare
l'aspetto esteriore dell'edificio”, ciò
in quanto rappresenta una lesione al
contenuto minimo della proprietà, perché
l'anzidetto divieto incide addirittura sulla
essenza stessa e sulle possibilità di
mantenere e conservare il bene oggetto del
diritto, producendo un inevitabile
deterioramento di esso, con conseguente
riduzione in cattivo stato ed un progressivo
abbandono e deperimento (strutturale e
funzionale) del medesimo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.07.2010 n. 3253 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'ordinanza
di demolizione di una costruzione abusiva può
legittimamente essere emanata nei confronti
del proprietario, anche se non responsabile
dell'abuso, considerato che l'abuso edilizio
costituisce illecito permanente e che
l'ordinanza stessa ha carattere
ripristinatorio e non prevede l'accertamento
del dolo o della colpa del soggetto cui si
imputa la trasgressione.
L'acquisizione gratuita al patrimonio
comunale dell'area di sedime su cui insiste
l'abuso, essendo una sanzione prevista per
l'inottemperanza all'ingiunzione di
demolizione, può essere disposta
esclusivamente in danno del responsabile
dell'abuso edilizio (ove egli sia anche
proprietario del bene), non potendo operare
nella sfera giuridica del proprietario che
sia rimasto estraneo all'abuso sulla cosa
detenuta dal locatario o affittuario, salvo
che il proprietario non abbia dato il
consenso alla realizzazione dell'abuso.
Dopo l’importante intervento della Corte
costituzionale (Corte cost. 15.07.1991, n.
345), la giurisprudenza amministrativa ha
univocamente rilevato che l'ordinanza di
demolizione di una costruzione abusiva <<può
legittimamente essere emanata nei confronti
del proprietario, anche se non responsabile
dell'abuso, considerato che l'abuso edilizio
costituisce illecito permanente e che
l'ordinanza stessa ha carattere
ripristinatorio e non prevede l'accertamento
del dolo o della colpa del soggetto cui si
imputa la trasgressione.
Tuttavia l'acquisizione gratuita al
patrimonio comunale dell'area di sedime su
cui insiste l'abuso, essendo una sanzione
prevista per l'inottemperanza
all'ingiunzione di demolizione, può essere
disposta esclusivamente in danno del
responsabile dell'abuso edilizio (ove egli
sia anche proprietario del bene), non
potendo operare nella sfera giuridica del
proprietario che sia rimasto estraneo
all'abuso sulla cosa detenuta dal locatario
o affittuario, salvo che il proprietario non
abbia dato il consenso alla realizzazione
dell'abuso (TAR Umbria, 01.06.2007, n. 477;
TAR Campania Napoli, sez. II, 19.10.2006, n.
8673; TAR Lazio Roma, sez. II, 03.07.2007,
n. 5968)>> (TAR Sardegna, sez. II,
10.04.2009, n. 450; TAR Lazio Latina, sez.
I, 01.09.2008, n. 1026)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 21.07.2010 n. 1807 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo di cui alla l.
10/1977 prescinde totalmente dall’esistenza
delle opere di urbanizzazione inerenti la
nuova costruzione e deve essere corrisposto
dal titolare della concessione edilizia
quale che sia il livello di urbanizzazione
dell’area oggetto della concessione
edilizia, trattandosi non di un
corrispettivo volto a rimborsare un costo,
bensì di un diverso onere generalizzato a
carattere contributivo paratributario
mirante alla realizzazione dell’assetto
urbanistico del territorio comunale nel suo
complesso.
Il contributo per il rilascio della
concessione edilizia (ora permesso di
costruire) imposto dalla legge 28.01.1977,
n. 10 (art. 3; v. ora art. 16 d.P.R.
06.06.2001, n. 380) e commisurato agli oneri
di urbanizzazione, ha carattere generale
perché prescinde totalmente dall’esistenza,
o meno, delle singole opere di
urbanizzazione; esso ha natura di
prestazione patrimoniale imposta e viene
determinato indipendentemente sia
dall’utilità che il concessionario trae dal
titolo edificatorio sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare
dette opere (Cons. St., sez. V, 15.12.2005,
7140).
Infatti, il contributo di cui alla l.
10/1977 prescinde totalmente dall’esistenza
delle opere di urbanizzazione inerenti la
nuova costruzione e deve essere corrisposto
dal titolare della concessione edilizia
quale che sia il livello di urbanizzazione
dell’area oggetto della concessione
edilizia, trattandosi non di un
corrispettivo volto a rimborsare un costo,
bensì di un diverso onere generalizzato a
carattere contributivo paratributario
mirante alla realizzazione dell’assetto
urbanistico del territorio comunale nel suo
complesso.
In termini generali, il fondamento del
contributo di urbanizzazione -da versare al
momento del rilascio di una concessione
edilizia- non consiste nell’atto
amministrativo in sé bensì nella necessità
di ridistribuire i costi sociali delle opere
di urbanizzazione, facendoli gravare sugli
interessati che beneficiano delle utilità
derivanti dalla presenza delle medesime,
secondo modalità eque per la comunità (TAR
Brescia, 07.11.2005, 115).
Alla luce, dunque, sia del chiaro disposto
dell’art. 10 l. n. 10/1977, sia della
predetta natura tributaria della componente
in esame del contributo, deve ritenersi
infondata la tesi dei ricorrenti, secondo
cui l’aver già eseguito, in occasione del
rilascio di una precedente concessione, le
opere di urbanizzazione primaria esime gli
stessi dal pagamento degli oneri di
urbanizzazione al momento del rilascio di
successive concessioni (TAR Puglia-Lecce,
Sez. I,
sentenza 21.07.2010 n. 1786 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
L’interesse al ricorso, in
materia di impugnazione degli atti di
pianificazione, non può essere provato solo
con la situazione dello stabile collegamento
con la zona interessata dalle opere, ossia
con la vicinitas, ma anche attraverso la
dimostrazione del pregiudizio effettivo o
anche potenziale, ma direttamente
conseguente all’adozione degli atti gravati
e della connessa utilitas ricavata
dall’accoglimento del ricorso stesso.
L’orientamento del Consiglio di Stato
(decisione n. 1584 del 10.04.2008)
stabilisce che l’interesse al ricorso, in
materia di impugnazione degli atti di
pianificazione, non può essere provato solo
con la situazione dello stabile collegamento
con la zona interessata dalle opere, ossia
con la vicinitas, ma anche attraverso
la dimostrazione del pregiudizio effettivo o
anche potenziale, ma direttamente
conseguente all’adozione degli atti gravati
e della connessa utilitas ricavata
dall’accoglimento del ricorso stesso.
Tuttavia, nelle controversie attinenti alla
realizzazione di interventi che incidono sul
territorio, si deve ritenere che
l’ordinamento riconosce una posizione
qualificata e differenziata a tutti coloro
che si trovano in una situazione di stabile
collegamento con la zona interessata, anche
se, in concreto, devono ritenersi titolati
all’impugnativa solo i soggetti che possono
lamentare una pregiudizievole alterazione
del preesistente assetto urbanistico ed
edilizio, per effetto della realizzazione
dell’intervento controverso; con la
precisazione che il pregiudizio non deve
essere necessariamente attuale e concreto,
nel senso che dall’esecuzione dei
provvedimenti impugnati discenda in via
immediata e diretta un danno certo alla
sfera giuridica dei ricorrenti, essendo
sufficiente che questo sia solo potenziale,
ossia che possa verificarsi in futuro con
una certa probabilità.
Naturalmente incombe sui ricorrenti la prova
della sussistenza di un danno potenziale,
cioè della possibilità del suo verificarsi
in un futuro non troppo lontano
(T.R.G.A. Trento Alto Adige-Bolzano,
sentenza 21.07.2010 n. 221 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
La mancata
sottoposizione delle osservazioni del
privato al consiglio comunale svuota anche
il principio della partecipazione dei
cittadini alla formazione del piano
urbanistico, eliminando la possibilità di
contraddittorio comune-privato e né il
sindaco né la giunta comunale avevano la
competenza per il vaglio delle osservazioni
del ricorrente.
I procedimenti
di formazione degli strumenti urbanistici
primari sono soggetti ad una normativa
speciale che salvaguarda l’esigenza di
contraddittorio tra parti pubbliche e
private attraverso un apposito iter
puntualmente disciplinato.
L’approvazione del piano urbanistico
comunale (artt. 19 e 20 LP 11.8.1997, n. 13)
rappresenta una fattispecie complessa, che
dopo la stesura del piano e sua approvazione
da parte del consiglio comunale prevede la
pubblicazione, le osservazioni dei privati,
l’esame di queste da parte del consiglio, le
eventuali controdeduzioni e l’inoltro alla
provincia, che, sentito il parere della
commissione urbanistica provinciale, può
approvare il piano com’è o con modifiche
d’ufficio (in casi delimitati), proporre
delle modifiche al comune, o restituirlo al
comune perché provveda alla sua
rielaborazione, e per il rinvio operato
dall’art. 21 dell’anzidetta legge
provinciale, lo stesso procedimento è
previsto per l’adozione di varianti al piano
urbanistico.
Nel caso di specie, le osservazioni del
signor Schenk Eugen non sono state
sottoposte all’esame del consiglio comunale
per le controdeduzioni, ma sono state
respinte dal Sindaco con nota del 19.07.2006
e, quindi, inviate dallo stesso
all’Amministrazione provinciale che ha
comunicato la loro reiezione, con
riferimento a quanto scritto dal Sindaco
nella precitata nota del 19.07.2006.
Le Amministrazioni resistenti obiettano come
la previsione normativa di cui all’art. 19
della LUP preveda solo un eventuale
intervento del consiglio comunale, per cui
l’intervento non può considerarsi
obbligatorio ed in ogni caso rientrerebbe
nei poteri del consiglio delegare alla
giunta municipale la formulazione delle
controdeduzioni alle osservazioni dei
privati.
Osserva il Collegio che, nella fattispecie
de qua, non sono mancate solo le
controdeduzioni del consiglio comunale: le
osservazioni del ricorrente non sono state
neppure sottoposte all’esame del consiglio,
ma solo a quello della giunta provinciale,
esautorando l’organo di indirizzo e di
controllo politico-amministrativo dell’ente
da una sua precipua funzione in materia
urbanistica.
Il consiglio comunale, infatti, ai sensi
dell’art. 28, co. 3 b), del T.U.
sull’ordinamento degli enti locali, è
competente tra l’altro, in via esclusiva, in
ordine ai “piani territoriali e
urbanistici” ed ai “pareri da rendere
nelle dette materie”. Rientrano quindi
nella competenza consiliare tutti gli atti
con cui si esprime una valutazione in
materia urbanistica, anche al di fuori di un
procedimento di approvazione di uno
strumento urbanistico. A maggior ragione è
di sua esclusiva competenza l’esame delle
osservazioni dei privati, sulla cui base il
consiglio può controdedurre per rigettarle o
condividerle, posto che tali osservazioni ed
il loro successivo esame rientrano nel
procedimento di formazione dello strumento
urbanistico.
La mancata sottoposizione delle osservazioni
del privato al consiglio comunale svuota
anche il principio della partecipazione dei
cittadini alla formazione del piano
urbanistico, eliminando la possibilità di
contraddittorio comune-privato e né il
sindaco né la giunta comunale avevano la
competenza per il vaglio delle osservazioni
del ricorrente
(T.R.G.A. Trento Alto Adige-Bolzano,
sentenza 21.07.2010 n. 221 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Avviso di convocazione del Consiglio
Comunale.
Non è necessaria la rinnovazione del primo
avviso di convocazione del Consiglio
Comunale, a seguito di seduta andata
deserta, nell'ipotesi in cui la formulazione
dello stesso rechi inequivocabilmente
l'avvertimento che gli argomenti all'ordine
del giorno non trattati nella prima seduta
saranno riportati alla successiva ivi già
indicata.
In ipotesi siffatte, invero, non
può non rilevarsi come risulti di fatto
ampiamente soddisfatta la ratio
informativa e partecipativa che ispira
l'onere di garanzia dello jus
pubblicistico di cui sono titolari i
consiglieri di un organo deliberativo, come
quello in esame (Rilevato, pertanto, che
già l'avviso di prima convocazione indicava
il giorno e l'ora della seconda convocazione
e che gli attuali appellati erano
regolarmente intervenuti alla prima seduta,
partecipando anche all'approvazione dei
primi tre punti all'ordine del giorno, è
fondato il gravame proposto dal Comune
avverso la decisione con la quale il Giudice
Amministrativo accoglieva il ricorso dei
Consiglieri Comunali, statuendo
l'annullamento delle delibere consiliari per
non avere essi ricevuto l'avviso di
convocazione della seconda seduta) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 25.05.2010 n. 3304 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
IL GIUDICE COMPETENTE IN MATERIA
DI SORTE DEL CONTRATTO.
Il Tar Veneto delinea un’esaustiva e chiara
illustrazione degli sviluppi
giurisprudenziali e normativi in materia di
giudice competente, laddove insorga il
problema dell’efficacia del contratto di
appalto, a seguito dell’annullamento di una
procedura di gara.
Precisamente, viene affermato che: “nell'ipotesi
di contratto stipulato da una Pubblica
amministrazione, sulla base di una procedura
di aggiudicazione risultata poi illegittima,
sussiste la giurisdizione del G.A. in merito
alla pronuncia di invalidità- inefficacia
del contratto medesimo. Infatti, come
statuito recentemente dalla Corte di
cassazione, sussiste la necessità di un
esame congiunto della domanda di invalidità
dell'aggiudicazione e di privazione degli
effetti del contratto stipulato, nonostante
l'annullamento della gara, e ciò in virtù
dei principi di concentrazione, effettività
e ragionevole durata del giusto processo che
la normativa comunitaria impone agli Stati
membri di attuare. Quanto detto risulta,
inoltre, pienamente conforme al principio di
effettività della tutela, previsto dagli
articoli 24 e 111 Cost.”.
I giudici amministrativi veneti prendono
atto, primariamente, che, a seguito
dell’accoglimento di entrambi i ricorsi,
principale ed incidentale, stante la
partecipazione di due soli operatori
economici, illegittimamente ammessi, può
considerarsi del tutto inefficace il
contratto di appalto stipulato. Il Tar
ritiene di poter esercitare tale potere
(declaratoria di inefficacia del contratto),
sulla base delle statuizioni espresse dalla
Suprema corte, nella sentenza Sezioni Unite,
n. 2096/2010.
Invero, il Tar si rende conto che il reale
problema è rappresentato dal fatto che,
all’epoca del’insorgere del contenzioso
(luglio 2009), non solo non era stato
emanato il decreto attuativo della Direttiva
ricorsi, ma non era neppure spirato il
termine per la recezione medesima
(20.12.2009). Infatti, prima dell’indicato
intervento della Cassazione, predominava
l’orientamento, secondo il quale le
controversie relative ai contratti rientrano
nell’alveo della giurisdizione del giudice
ordinario (CdS, Ap, n. 9/2008).
Tuttavia, aderendo alle novelle statuizioni
della Cassazione, il Tar ritiene che il
diritto comunitario, consacrato nelle
direttive, incide nel sistema
giurisdizionale interno anche
retroattivamente, esigendo la trattazione
unitaria delle domande di annullamento del
procedimento di affidamento dell'appalto e
di caducazione del contratto stipulato per
effetto dell'illegittima aggiudicazione.
Si tratta di una posizione, che presenta un
duplice pregio. In primo luogo, appare
pienamente conforme al principio
costituzionale di effettività della tutela
(artt. 24 e 111 Cost.). In secondo luogo,
occorre prendere atto che la rilevanza della
connessione, fra illegittimità della
procedura di gara ed effetti sul contratto
stipulato, denegata in passato per la
cognizione congiunta della lesione degli
interessi legittimi e dei diritti
conseguenti, non è più oggi contestabile,
proprio per la presenza della nuova
direttiva comunitaria, “incidente sulla
ermeneutica delle norme interne (art. 117),
che è vincolante in tale senso per
l'interprete”.
Dunque, può “farsi rientrare nell’ambito
della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo sia l'annullamento della gara
e dell'aggiudicazione che la domanda di
privazione degli effetti del successivo
appalto concluso dalla stazione appaltante
con la contraente scelta in modo illegittimo”.
La tesi, avanzata dal Tar Veneto, secondo
cui sussiste la giurisdizione esclusiva del
G.A., in tema di sorte del contratto, anche
per le controversie antecedenti all’entrata
in vigore del D.Lgs n. 53/2010, è stata
propugnata anche da un altro tribunale
amministrativo di primo grado.
Precisamente, il Tar Calabria, sez.
Catanzaro, con la sentenza numero 457 del
12.04.2010, ha affermato che, sul piano
costituzionale, la giurisdizione esclusiva
estesa al contratto è compatibile con il
modello di giustizia amministrativa,
delineato dall'articolo 103 della
Costituzione. La giurisdizione esclusiva si
giustifica in ragione del “collegamento”
stretto tra la fase amministrativa e la fase
negoziale di conclusione del contratto. Tale
collegamento deriva dal fatto che il vizio
del contratto, ad avviso del Tar calabrese,
è conseguenza del vizio del provvedimento.
In presenza di un vizio autonomo del
contratto tale nesso, viceversa, verrebbe
meno.
In definitiva, osservano i giudici
amministrativi veneti, la giurisdizione
esclusiva si giustifica, sul piano
costituzionale, non soltanto in presenza di
un intreccio di interessi legittimi e
diritti soggettivi, nonché di diritti
soggettivi incisi dall'esercizio di un
potere amministrativo (Corte cost. n.
32/2010), ma anche in presenza di interessi
legittimi e diritti soggettivi “separati”,
ma, nondimeno, strettamente collegati (commento
tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it -
TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 07.05.2010 n. 1838
-
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ATTI AMMINISTRATIVI:
CONFERMA – ATTO CONFERMATIVO.
Il Tar Lombardia, sez. Brescia, rinviene, in
via chiarificativa, un più puntuale elemento
discretivo fra la conferma ed il mero atto
confermativo: l’ulteriore adempimento
istruttorio.
Precisamente, si afferma che “è
necessario, affinché possa escludersi che un
atto venga considerato meramente
confermativo del precedente, che la sua
formulazione sia preceduta da un riesame
della situazione, che aveva condotto al
precedente provvedimento. Giacché, solo
l'esperimento di un ulteriore adempimento
istruttorio, sia pure attraverso la
rivalutazione degli interessi in gioco ed un
nuovo esame degli elementi di fatto e
diritto che caratterizzano la fattispecie
considerata, può dar luogo ad un atto
propriamente confermativo in grado, come
tale, di dar vita ad un provvedimento
diverso dal precedente e, quindi,
suscettibile di autonoma impugnazione”.
Il Tar Brescia si dimostra perfettamente
consapevole del dibattito teorico in merito
all’istituto della conferma e ritiene che il
provvedimento impugnato (la nota di risposta
del pregresso diniego) debba essere
qualificato come “atto meramente
confermativo”, in aderenza alla puntuale
qualificazione operata dal Responsabile
dell’Area Tecnica.
Al fine di dimostrare la natura di atto
confermativo del provvedimento impugnato, il
Tar precisa che la concreta fattispecie non
presenta neanche la sussistenza di un “ulteriore
adempimento istruttorio”, giustificativo
della volontà di dar vita ad un nuovo
provvedimento.
Si tratta di un’importate statuizione, in
quanto, contribuisce a chiarire la
differenziazione fra i due istituti.
Infatti, la giurisprudenza ha sinora fondato
la qualificazione di un atto come di
conferma propria, sulla base dei seguenti
elementi:
a) “riesame dell’atto e dell’assetto di
interesse sottostante” (CdS, sez. IV, n.
7732/2009);
b) “acquisizione di nuovi elementi di
fatto” (Tar Lombardia, sez. Milano III,
n. 4893/2009);
c) “avvio di una nuova istruttoria” (ex
multis: CdS, sez. IV, nn. 3.551/2002 e
4890/2002);
d) “autonoma e distinta valutazione”
(Tar Liguria, sez. I, n. 827/2003);
e) “presenza di una diversa motivazione”,
od anche di “nuovi elementi”, (CdS,
sez. IV n. 449/2003);
f) “apertura di apposito procedimento”,
(CdS, sez. V, n. 619/2010);
g) “riponderazione degli interessi
coinvolti” (CdS, sez. IV, n. 6333/2001).
Dunque, il Tar Brescia arricchisce gli
elementi di differenziazione, evidenziando
che basterebbe un sol “ulteriore
adempimento istruttorio”, non rinvenuto
nella concreta fattispecie, a far
configurare la conferma propria in luogo di
quella impropria. In mancanza anche di tale
elemento, non può che essersi in presenza di
un mero atto confermativo.
In conclusione, appare ben evidente che la
giurisprudenza, anche grazie a tale ultima
pronuncia, sembra pervenire ad una
concezione ampia di conferma propria,
convogliando in tale figura tutti quegli
atti, che esprimano un indizio della volontà
di ribadire un precedente provvedimento,
introducendo un qualsiasivoglia elemento di
novità, rispetto alle statuizioni
precedenti.
In altri termini, l’atto meramente
confermativo viene indirettamente ridotto ad
una mera riproduzione, senza alcuna
variazione (eccettuate mere integrazioni
formali) della volontà provvedimentale
espressa in precedenza. Laddove
l’Amministrazione apra un procedimento,
svolga un qualsiasi profilo di attività
istruttoria (anche un “ulteriore
adempimento istruttorio”), compia una,
seppur limitata, nuova valutazione
dell’assetto degli interessi, oppure tenga
conto di elementi nuovi, oppure accenni ad
una diversa motivazione, si è
inevitabilmente in presenza di una conferma
propria (commento
tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it -
TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 30.04.2010 n. 1641
-
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URBANISTICA:
IL CONTENUTO DELLE CONVENZIONI DI
LOTTIZZAZIONE.
La Corte di Cassazione affronta la delicata
questione del “contenuto” delle
convenzioni di lottizzazione, statuendo che:
“la stipulazione con il Comune di una
convenzione di lottizzazione implica che
tutti i proprietari interessati dagli
obblighi urbanizzativi, connessi alla
lottizzazione medesima, ponendo in essere,
di fatto, un consorzio urbanistico
volontario, sono obbligati, in regime di
comunione ed in difetto di espressa deroga,
a sopportare e ripartire i complessivi oneri
dell’intervento in misura proporzionale alle
loro quote di partecipazione. Ciò vale anche
per eventuali obblighi di natura
facoltativa, quale quello di mettere a
disposizione delle aree, eventualmente
contenuti nella convenzione di lottizzazione”.
Occorre osservare che la convenzione di
lottizzazione presenta un proprio contenuto
“tipico-legale", previsto dalla
legge, così sintetizzabile:
a) cessione gratuita, da parte dei
proprietari lottizzanti in favore del
Comune, di tutte le aree, che risultino
necessarie alle realizzazione delle opere di
urbanizzazione primaria, entro termini
prestabiliti;
b) assunzione, a carico dei proprietari
lottizzanti, degli oneri relativi alle opere
di urbanizzazione primaria e di una quota
parte delle opere di urbanizzazione
secondaria, relative alla lottizzazione o di
quelle opere che siano necessarie per
allacciare la zona lottizzata ai pubblici
servizi;
c) prefissazione di termini, non superiori
al decennio, entro i quali deve essere
ultimata l’esecuzione delle opere di
urbanizzazione;
d) prestazione, da parte dei proprietari
lottizzanti, di congrue garanzie
finanziarie, per l’adempimento degli
obblighi derivanti dalla convenzione.
Oltre tale “contenuto”, le
convenzioni di lottizzazione possono
presentare contenuti più ampi, ma comunque
non contradditori rispetto a quelli previsti
dalla legislazione statale e regionale. In
altri termini, la convenzione può prevedere
obblighi ulteriori, che pongano più
specifici impegni, sia in capo ai privati
lottizzanti, sia in capo all’Amministrazione
Comunale, la quale ne terrà conto,
soprattutto in sede di valutazione delle
istanze per il rilascio dei titoli edilizi.
La giurisprudenza, da tempo, ha evidenziato
che nella convenzione le parti possono
inserire, nell’ambito dell’autonomia
negoziale che caratterizza la medesima, dei
contenuti dispositivi, espressione di una
libera negoziazione, purché i medesimi non
contrastino con la funzione urbanizzativa
(contenuto facoltativo-eventuale): in una
convenzione di lottizzazione, può essere
validamente inserita la clausola con la
quale il privato si obbliga a cedere
gratuitamente al Comune un Piano di un
erigendo fabbricato da destinare a Scuola
Materna (Cassazione Civile, sez I, n.
3322/1989).
Inoltre, la giurisprudenza qualifica come
legittima la pattuizione relativa alla
costituzione di una servitù di pubblico
passaggio: nei negozi giuridici di
attuazione di un Piano privato di
lottizzazione, può essere assicurata, con
apposita pattuizione, la destinazione a
strada di una striscia continua, con
efficacia reale, mediante la costituzione
immediata di una servitù su di essa
(Cassazione Civile, sez. II, n. 4655/1990).
Ancora, il Consiglio di Stato, sez. V, nella
sentenza n. 33/2003, dopo aver ben chiarito
che la convenzione di lottizzazione, in
quanto rappresenta l’incontro di volontà
delle parti contraenti nell’esercizio
dell’autonomia negoziale, retta dal codice
civile, può prevedere prestazioni
aggiuntive, a carico dei privati, come
risultato di una libera negoziazione, ben
chiarisce che “la cessione gratuita, in
favore del Comune, di una porzione di
fabbricato di 1.000 mq. da destinare
genericamente a servizi pubblici, in
aggiunta agli oneri di urbanizzazione,
costituisce una legittima prestazione
aggiuntiva, in quanto pienamente aderente
alle esigenze di urbanizzazione dell’area”.
Nella concreta fattispecie, la messa a
disposizione di area aggiuntiva, da parte di
un lottizzante., in favore del Consorzio, ha
dato luogo ad un’obbligazione facoltativa,
non tipizzata, ma producente una chiara
utilità per il Consorzio medesimo nel corso
della sua attività di realizzazione delle
opere di urbanizzazione.
Di conseguenza, in quanto si è giovato di
tale “utilitas”, il Consorzio è
tenuto, anche in qualità di lottizzante e,
quindi di soggetto obbligato in regime di
comunione a sopportare i complessivi oneri
dell’intervento, a compensare il
lottizzante, quale proprietario (commento
tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it -
Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza n.
9941/2010
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EDILIZIA PRIVATA:
Non difetta di motivazione il
provvedimento dell'Autorità comunale che
annulli una concessione edilizia sul
presupposto della sua non conformità al
piano regolatore generale -erroneamente
considerata sussistente al momento del
rilascio- e della consequenziale necessità
di rispettare la destinazione dell'area a
verde pubblico, anche allo scopo di
garantire, a fini igienico-sanitari,
disponibilità di spazi liberi in rapporto
alla densità abitativa.
La giurisprudenza ha avuto modo di precisare
che: “non difetta di motivazione il
provvedimento dell'Autorità comunale che
annulli una concessione edilizia … (i cui
lavori siano già iniziati), sul presupposto
della sua non conformità al piano regolatore
generale -erroneamente considerata
sussistente al momento del rilascio- e della
consequenziale necessità di rispettare la
destinazione dell'area a verde pubblico,
anche allo scopo di garantire, a fini
igienico-sanitari, disponibilità di spazi
liberi in rapporto alla densità abitativa”
(Consiglio Stato, sez. IV, 17.04.1990, n.
28) (TAR Lazio-Latina,
sentenza 15.06.2009 n. 578 - link
a www.giustizia-amministrativa.it) |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il potere di urgenza attribuito
al sindaco dalla norma in esame (art. 54, 2°
comma del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267) può
essere esercitato solo per affrontare
situazioni di carattere eccezionale ed
impreviste, costituenti concreta minaccia
per la pubblica incolumità, per le quali sia
impossibile utilizzare i normali mezzi
apprestati dall’ordinamento giuridico e
unicamente in presenza di un preventivo
accertamento della situazione che deve
fondarsi su prove concrete e non su mere
presunzioni.
Affinché il sindaco possa adottare, in
qualità di ufficiale di governo,
provvedimenti contingibili e urgenti ai
sensi dell’art. 54, 2° comma del D.Lgs.
267/2000, è necessario il concorso di tre
presupposti:
1) una situazione, eccezionale e non
prevedibile, di grave pericolo che minacci
l’incolumità dei cittadini;
2) l’urgenza di provvedere;
3) la non fronteggiabilità della situazione
con i normali rimedi apprestati
dall’ordinamento.
Secondo l’interpretazione corrente,
condivisa dalla Sezione, il potere di
urgenza attribuito al sindaco dalla norma in
esame (art. 54, 2° comma del D.Lgs.
18.08.2000, n. 267) può essere esercitato
solo per affrontare situazioni di carattere
eccezionale ed impreviste, costituenti
concreta minaccia per la pubblica
incolumità, per le quali sia impossibile
utilizzare i normali mezzi apprestati
dall’ordinamento giuridico e unicamente in
presenza di un preventivo accertamento della
situazione che deve fondarsi su prove
concrete e non su mere presunzioni.
Gli anzidetti presupposti non ricorrono se
il sindaco può fronteggiare la situazione
con rimedi di carattere corrente
nell’esercizio ordinario dei suoi poteri o
se la situazione può essere prevenuta con i
normali strumenti apprestati
dall’ordinamento.
In sostanza, affinché il sindaco possa
adottare, in qualità di ufficiale di
governo, provvedimenti contingibili e
urgenti ai sensi dell’art. 54, 2° comma del
D.Lgs. 267/2000, è necessario il concorso di
tre presupposti:
1) una situazione, eccezionale e non
prevedibile, di grave pericolo che minacci
l’incolumità dei cittadini;
2) l’urgenza di provvedere;
3) la non fronteggiabilità della situazione
con i normali rimedi apprestati
dall’ordinamento.
Giova ribadire, in linea con la prevalente
giurisprudenza, che il potere del sindaco di
emanare ordinanze contingibili e urgenti ai
sensi dell’art. 54 T.U.E.L. deve fondarsi
sull'esistenza concreta di "gravi
pericoli" incombenti, di dimensioni tali
da costituire una concreta ed effettiva
minaccia per “l'incolumità dei cittadini”
(TAR Puglia Lecce, sez. II, 08.05.2007, n.
1832; TAR Campania Napoli, sez. III,
14.06.2004, n. 9342; TAR Liguria, sez. II,
02.09.1994, n. 303) (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 12.06.2009 n. 1680 -
link a www.giustizia-amministrativa.it) |
EDILIZIA PRIVATA:
All'interno della fascia di
rispetto cimiteriale è legittimo il rilascio
del permesso di costruire per la
ristrutturazione di un fabbricato esistente,
mediante demolizione e fedele ricostruzione,
nonché mediante spostamento del fabbricato
in prossimità del confine del lotto di
proprietà, più distante dal locale cimitero,
in guisa da migliorarne la collocazione.
E' illegittimo il diniego del permesso di
costruire per la ristrutturazione di un
fabbricato esistente, mediante demolizione e
fedele ricostruzione, nonché mediante
spostamento del fabbricato in prossimità del
confine del lotto di proprietà, più distante
dal locale cimitero, in guisa da migliorarne
la collocazione.
Invero, l’art. 338 r.d. n. 1265/1934
stabilisce che “All'interno della zona di
rispetto per gli edifici esistenti sono
consentiti interventi di recupero ovvero
interventi funzionali all'utilizzo
dell'edificio stesso, tra cui l'ampliamento
nella percentuale massima del 10 per cento e
i cambi di destinazione d'uso, oltre a
quelli previsti dalle lettere a), b), c) e
d) del primo comma dell'articolo 31 della
legge 05.08.1978, n. 457”, oggi previsti
dall’art. 3 d.P.R. 380/2001 tra cui la lett.
d) “interventi di ristrutturazione
edilizia", ove per tali si intendono “gli
interventi rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad
un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente.
Tali interventi comprendono il ripristino o
la sostituzione di alcuni elementi
costitutivi dell'edificio, l'eliminazione,
la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti. Nell'ambito degli
interventi di ristrutturazione edilizia sono
ricompresi anche quelli consistenti nella
demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente,
fatte salve le sole innovazioni necessarie
per l'adeguamento alla normativa antisismica”
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 12.06.2009 n. 564 - link
a www.giustizia-amministrativa.it) |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla differenza tra due tipi di
variante edilizia: quelle “principali”, che
debbono necessariamente essere precedute
nella loro realizzazione da una concessione
o un atto autorizzativi, e quelle minori,
c.d. “in corso d’opera” che possono essere
eseguite anche senza preventivo atto
autorizzativo, il quale, tuttavia, dovrà
essere richiesto prima della dichiarazione
di ultimazione dei lavori, cioè fino a
quando è ancora efficace l’originario
permesso di costruire, al quale esso accede.
Secondo parte della giurisprudenza, esistono
due tipi di varianti: quelle “principali”,
che debbono necessariamente essere precedute
nella loro realizzazione da una concessione
o un atto autorizzativi, e quelle minori,
c.d. “in corso d’opera” che possono
essere eseguite anche senza preventivo atto
autorizzativo, il quale, tuttavia, dovrà
essere richiesto prima della dichiarazione
di ultimazione dei lavori, cioè fino a
quando è ancora efficace l’originario
permesso di costruire, al quale esso accede.
Più in particolare, si sostiene che vanno
distinte le varianti in senso proprio, cioè
quelle che si riferiscono a modifiche
quantitative e qualitative di limitata
consistenza e di scarso rilievo rispetto al
progetto originario, da quelle che, pur
chiamate varianti nel linguaggio usuale del
termine, tali non possono essere considerate
perché, fuori dai limiti ora ricordati,
richiedono la realizzazione di un qualcosa
di completamente diverso rispetto
all’originario permesso di costruire e,
quindi, richiedono un ulteriore permesso: in
questa seconda categoria vengono ricondotte
le variati cc.dd. "improprie" o "essenziali",
(Consiglio di Stato 02.04.2001 n. 1898).
A tal fine, assumono rilievo le modifiche
apportate all'originario progetto e relative
alla superficie coperta, al perimetro,
all'aumento del numero dei piani, alla
volumetria, alla distanza dalle proprietà
limitrofe, nonché alle caratteristiche
funzionali e strutturali, interne ed
esterne, del fabbricato (Consiglio di Stato
22.01.2003, n. 249).
Rispetto a questi parametri, sussiste
un'effettiva variante solo se le modifiche
quantitative e qualitative, in una
valutazione complessiva dell'erigendo
edificio, risultano sostanzialmente
irrilevanti, in modo da poter ritenere che
la costruzione sia ancora regolata dal primo
permesso di costruire che, quindi, conserva
intatta la sua efficacia ex tunc
(Consiglio di Stato 30.07.2002, n. 4081).
Al contrario, il nuovo provvedimento, anche
se definito di variante, è essenziale ed ha
il carattere di nuovo permesso di costruire
se le nuove opere edilizie vengono
autorizzate sulla base di un progetto
modificato in modo notevole in alcuno degli
elementi sopra indicati (Tar Liguria
01.04.2005, n. 410; Tar Piemonte 07.02.2005,
n. 269).
Una minore
superficie di costruzione, da un lato, e
maggiori superfici, in altri lati, sono da
ritenersi quali difformità parziali e non
varianti essenziali, di cui all'art. 32,
lettera c), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
secondo cui sono tali le "modifiche
sostanziali di parametri urbanistico-edilizi
del progetto approvato ovvero della
localizzazione dell'edificio sull'area di
pertinenza".
A tal fine, come chiarito dalla
giurisprudenza, infatti, non basta, come nel
caso in esame, una traslazione parziale, ma
è viceversa necessario che essa sia tale da
comportare lo spostamento del fabbricato su
un'area totalmente o pressoché totalmente
diversa da quella originariamente prevista:
una modifica tale, appunto, da richiedere
una nuova valutazione dell’intero progetto
da parte dell'Amministrazione concedente,
sotto il profilo della sua compatibilità con
i parametri urbanistici e con la
considerazione dell'area, e non una mera
valutazione di singole modifiche allo stesso
(Consiglio di Stato 20.11.2008, n. 5743).
Anche se la legge qualifica impropriamente
queste denuncie di varianti non essenziali
come dichiarazioni di inizio attività, in
realtà poi chiarisce che esse possono essere
presentate anche dopo che siano già stati
realizzati i lavori, e cioè prima della
dichiarazione di ultimazione dei medesimi
(articolo 22, comma 2, d.p.r. n. 380 del
2001), come nel caso in esame
(TAR Molise,
sentenza 11.06.2009 n. 386 - link
a www.giustizia-amministrativa.it) |
EDILIZIA PRIVATA:
L’ordinanza di demolizione ha
natura, valore e funzione di diffida,
risolvendosi essa nel formale invito al
trasgressore ad eliminare l’abuso edilizio.
Secondo l’ormai consolidato (e dal Collegio
condiviso) orientamento della giurisprudenza
amministrativa in materia, l’ordinanza di
demolizione ha natura, valore e funzione di
diffida, risolvendosi essa nel formale
invito al trasgressore ad eliminare l’abuso
edilizio (v. “ex multis”: TAR
Basilicata 17/10/2002 n. 628).
Tale atto monitorio è pertanto prodromico
alla valutazione ed alle determinazioni che
successivamente l’Amministrazione Comunale
dovrà adottare nell’eventualità che il
destinatario non ottemperi, con la
conseguenza che la valutazione circa la
possibilità o meno di demolire un’opera
abusiva (in relazione al caso in cui
l’ingiunta demolizione non possa avvenire
senza pregiudizio della parte eseguita in
conformità al titolo edilizio rilasciato) e
l’ulteriore scelta tra la demolizione
d’ufficio e l’irrogazione della sanzione
pecuniaria, attiene ad un momento successivo
ed eventuale rispetto all’atto di diffida
(v. “ex multis” TAR Puglia-LE - sez.
III, 01/07/2005 n. 3567) (TAR Emilia
Romagna-Parma,
sentenza 28.10.2008 n. 402 - link
a www.giustizia-amministrativa.it) |
APPALTI: La
regolarità contributiva è un requisito
indispensabile non solo per la stipulazione
del contratto, bensì per la stessa
partecipazione alla gara. Per conseguenza,
l'impresa dev’essere in regola con i
relativi obblighi fin dalla presentazione
della domanda, e conservare tale regolarità
per tutto lo svolgimento della procedura di
gara.
La regolarità contributiva è un requisito
indispensabile non solo per la stipulazione
del contratto, bensì per la stessa
partecipazione alla gara (cfr. TAR Umbria
12.04.2006, n. 221, Cons. Stato, Sez. IV,
27.12.2004, n. 8215). Per conseguenza,
l'impresa dev’essere in regola con i
relativi obblighi fin dalla presentazione
della domanda, e conservare tale regolarità
per tutto lo svolgimento della procedura di
gara.
La regolarità contributiva nei confronti
degli enti previdenziali costituisce,
infatti, indice rivelatore della correttezza
dell'impresa nei rapporti con le proprie
maestranze e deve, pertanto, poter essere
apprezzata in relazione ai periodi durante i
quali l'impresa stessa era tenuta ad
effettuare i relativi versamenti.
Passando ad esaminare la problematica
relativa alle caratteristiche ed ai
controlli da effettuarsi in tema di
dichiarazione di regolarità resa dai
partecipanti alle gare pubbliche in forma di
autodichiarazione, la giurisprudenza ha
avuto modo di affermare che:
- le imprese che partecipano alle pubbliche
gare d'appalto hanno l'onere, allorché
rendono le autodichiarazioni previste dalla
legge e/o dal bando, di rendersi
particolarmente diligenti nel verificare
preliminarmente (attraverso la
documentazione in loro possesso o anche
accedendo ai dati dei competenti uffici) che
tali autodichiarazioni siano veritiere (cfr.
TAR Palermo, sez. III, 15.09.2005, n. 1590);
- l'erronea attestazione della sussistenza
dei requisiti di partecipazione ha rilevanza
oggettiva, sicché il relativo inadempimento
non tollera ulteriori indagini da parte
dell'Amministrazione in ordine all'elemento
psicologico (se questo, cioè, sia dovuto a
dolo o colpa dell'impresa ) e alla gravità
della violazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V,
28.05.2004, n. 3466, Sez. VI 25.01.2003, n.
352, Sez. V 17.04.2003, n. 2081);
- al fine di valutare la veridicità della
dichiarazione di regolarità contributiva
prodotta, l’Amministrazione deve verificare
la rispondenza di tale dichiarazione a
quello che sarebbe stato il contenuto del
certificato che in merito avrebbe rilasciato
l'ente previdenziale, surrogato
dall'autodichiarazione presentata (cfr. TAR
Umbria 12.04.2006, n. 221).
Da ultimo, va soggiunto che la regolarità
contributiva costituisce requisito
sostanziale di partecipazione alla gara, per
cui non può attribuirsi alcun effetto
sanante alla domanda di dilazione e di
rateizzazione del debito contributivo
presentata dalla impresa che trova suo
presupposto in uno stato di irregolarità
contributiva (cfr. TAR Lazio Roma, sez. II,
19.06.2006, n. 4814).
Nelle ipotesi
in cui emerge dal DURC l’irregolarità della
posizione contributiva dell’aggiudicataria,
la revoca dell’aggiudicazione è una
conseguenza legittima ed automatica, priva
di apprezzamenti discrezionali, senza che
rilevi, nel silenzio delle norme, la natura
e la rilevanza dell’irregolarità.
Scopo delle richiamate previsioni
legislative, infatti, è proprio quello di
escludere dalla contrattazione con le
amministrazioni le imprese che non siano
corrette (regolari) per quanto concerne gli
obblighi previdenziali, proprio perché
rivelano un atteggiamento di trascuratezza
verso gli obblighi previdenziali (cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 5574/2007 del 23.10.2007)
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 13.03.2008 n. 458 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’impresa
che si rende aggiudicataria di un appalto
deve non solo essere in regola con gli
obblighi previdenziali ed assistenziali
sulla stessa gravanti fin dal momento della
presentazione della domanda, ma deve
conservare la correttezza contributiva per
tutto lo svolgimento del rapporto
contrattuale.
L’impresa che si rende aggiudicataria di un
appalto deve non solo essere in regola con
gli obblighi previdenziali ed assistenziali
sulla stessa gravanti fin dal momento della
presentazione della domanda, ma deve
conservare la correttezza contributiva per
tutto lo svolgimento del rapporto
contrattuale (cfr. sul punto, ex multis,
Cons. Stato, Sez. IV, 30.01.2006 n. 288),
con l’ovvia conseguenza che l’eventuale
accertamento di una pendenza di carattere
previdenziale o assistenziale in capo
all’impresa pur dichiarata aggiudicataria
dell’appalto prodottasi anche in epoca
successiva alla scadenza del termine per
partecipare al procedimento di scelta del
contraente implica, a seconda dei casi,
l’impossibilità per l’amministrazione
appaltante di stipulare il contratto con
l’impresa medesima, ovvero la risoluzione
dello stesso.
Inoltre, viene ragionevolmente a porsi come
del tutto irrilevante un eventuale
adempimento tardivo dell’obbligazione
contributiva quand’anche ricondotto
retroattivamente, quanto ad efficacia, al
momento della scadenza del termine di
pagamento, posto che ciò gioverebbe soltanto
nell’ambito delle reciproche relazioni di
credito e di debito tra i soggetti del
rapporto obbligatorio e non già nei
confronti dell’Amministrazione appaltante,
nei confronti della quale rileva -per
contro- soltanto l’esigenza di un puntuale
rispetto degli obblighi incombenti
sull’appaltatore per effetto di parametri
normativi e/o contrattuali che si
configurano quale espressione di
affidabilità dell’impresa (cfr. Cons. Stato,
Sez. VI, dec. 288 del 2006 cit.).
---------------
Come ha ben
rilevato TAR Puglia, Sez. I, 25.01.2005 n.
218, “l’essere in regola, ovvero l’essere
regolare e cioè l’esser conforme a una
regola o alle regole, al regolamento o alle
disposizioni di legge, alle norme e alle
prescrizioni” (lemma “regolare”
del “Vocabolario della lingua italiana”,
edito dall’Istituto dell’enciclopedia
italiana fondata da Giovanni Treccani,
Milano, 1991) rinvia ad una percezione non “atomistica
e puntuale” della posizione
previdenziale e assistenziale dell’impresa,
sebbene “globale e sincronica”, come
si comprende bene nelle esemplificazioni
relative all’uso del lemma “regolarità”
(“la condizione e la qualità di ciò che è
regolare”) proprio in riferimento a
pagamenti (“con riferimento al succedersi
periodico di certi fatti; le raccomando la
regolarità nei pagamenti”).
In altri termini, il legislatore nazionale,
opportunamente e secondo una valutazione di
discrezionalità che gli era senz’altro
consentita dalla direttiva comunitaria, ha
inteso mettere in rilievo più e oltre che la
condizione “statica” dell’impresa ad
un certo momento temporale anche la sua
posizione “dinamica” nel rapporto
giuridico previdenziale e assistenziale,
(che com’è ovvio comprende, in quanto
estensiva, la prima), coerente alla natura
di durata del rapporto e ai flussi di debiti
(ed eventuali crediti) che si generano nel
medesimo.
Con questa precisazione appare corretta
l’espressione, invalsa nell’uso comune, di “correntezza
contributiva”, che sta ad indicare
appunto l’essere in regola, o “al passo”,
con le periodiche scadenze delle
obbligazioni previdenziali e assistenziali
quanto al loro pagamento (in modo efficace è
stato osservato che “la correntezza
contributiva non costituisce un dato che
possa essere temporaneamente frazionato in
quanto attiene alla diligente condotta
dell’impresa … in riferimento a tutte le
obbligazioni contributive relative a periodi
precedenti e non solo, quindi, a quelle
maturate nel periodo in cui è stata
espletata la gara (e) deve, pertanto, poter
essere apprezzata in relazione ai periodi
(anche pregressi) durante i quali l’impresa
stessa era tenuta ad effettuare i relativi
versamenti”: cfr. TAR Basilicata,
27.08.2001, n. 667).
In questa chiave, tra l’altro, proprio il
richiamo alla regolarità rispetto agli
obblighi relativi al pagamento non consente
di affermare e porre in valore la
distinzione invocata dalla società
cooperativa ricorrente tra il mancato
pagamento dei contributi e l’omesso
versamento delle c.d. sanzioni civili,
ovvero di quelle obbligazioni pecuniarie
accessorie connesse alla scadenza del
termine d’adempimento, posto che esse sono
conseguenza immediata e diretta proprio
dell’irregolarità ovvero del non esser stata
l’impresa “al corrente”, “al passo”
con le scadenze temporali fissate per
l’adempimento dell’obbligazione contributiva
(principale) periodica.
Sotto altro profilo, poi, la nozione di
irregolarità della posizione assicurativa
previdenziale (e/o assistenziale), nei sensi
dianzi posti in luce appare meglio correlata
ai fini di interesse pubblico, diretti e
indiretti, perseguiti dal legislatore
comunitario e recepiti da quello nazionale.
E’ evidente, infatti, che soltanto
l’accertamento della regolarità nel tempo
del versamento dei contributi previdenziali
e assistenziali e quindi della capacità
dell’impresa di far fronte alle relative
obbligazioni (che sono contrassegnate da
inconfondibili “stimmate”
pubblicistiche quali prestazioni imposte ex
art. 23 Cost., ciò che le differenzia in
modo significativo dalle “comuni”
obbligazioni civili) è idoneo a soddisfare
l’interesse pubblico “primario” che
viene in rilievo nelle gare d’appalto,
incentrato sull’affidabilità dell’impresa
concorrente attraverso l’indice rivelatore
della sua più efficiente ed efficace
gestione economico-produttiva (col
conseguente condivisibile rilievo secondo il
quale la regolarità contributiva “…non
rileva quale espressione di un mero rapporto
obbligatorio tra due soggetti, ma come
qualificazione soggettiva dell’impresa in
termini di rispetto degli obblighi normativi
e, dunque, espressione di affidabilità,
costituente presupposto per la
partecipazione alla procedura concorsuale”:
cfr. TAR Campania, Salerno, Sez. I,
07.03.2001, n. 227).
Trasparente è, nello stesso tempo, il
coordinamento della disposizione comunitaria
e nazionale all’interesse pubblico
secondario relativo alla più piena e
penetrante tutela della posizione
assicurativa previdenziale e assistenziale
dei lavoratori dipendenti delle imprese
interessate alla partecipazione alle gare
d’appalto, anche in una chiave volta ad
assicurare l’effettività della concorrenza,
che sarebbe frustrata qualora talune di esse
potessero “giovarsi” della propria
posizione d’irregolarità contributiva per
proporre prezzi più bassi rispetto alle
altre in regola, conseguendo “economie”
di spese generali e gestionali proprio
attraverso la violazione degli obblighi
contributivi e assistenziali (discorso
sostanzialmente analogo, salvo l’interesse
pubblico ulteriore di natura fiscale, va
fatto per la regolarità tributaria).
Nella prospettiva da ultimo segnalata, si
comprende anche perché l’accertamento
dell’inesistenza del requisito di
partecipazione alla gara possa e debba
essere svolto dall’amministrazione
appaltante anche in momento successivo
all’aggiudicazione, non potendosi ammettere
che il mero fattore temporale “consolidi”
una posizione soggettiva che, ab initio,
avrebbe dovuto condurre all’esclusione e
che, in quanto indice rivelatore di una
gestione economico-produttiva non efficiente
né efficace, propostasi in passato e
riproponibile in futuro, riverbera i suoi
effetti negativi al di là del momento
storico-temporale nel quale si è situata la
situazione d’irregolarità (sul potere di
rivalutare anche dopo l’aggiudicazione la
posizione d’irregolarità contributiva
dell’impresa vedi Cons. Stato, Sez. V,
11.06.2001, n. 3130 … risultando quindi
errato l’opposto orientamento di cui a TAR
Lazio, Roma, Sez. I, 20.09.2001, n. 7686;
sull’afferenza del requisito soggettivo
della regolarità contributiva e tributaria
alla sfera dei requisiti di partecipazione
alla gara e quindi sulla sua necessaria
compresenza al momento della domanda di
partecipazione o dell’offerta e sino al
momento, quantomeno, dell’aggiudicazione
cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 27.12.2004, n.
8215 ).
Così delineata la nozione di regolarità
contributiva, è evidente che i cc.dd.
certificati di regolarità (o correntezza)
contributiva rilasciati dagli istituti che
gestiscono le assicurazioni sociali
(I.N.P.S. e I.N.A.I.L.) -ora confluiti nel
documento unico di regolarità contributiva o
D.U.R.C., rilasciato in base a convenzioni
tra i due istituti ai sensi dell’art. 2
comma 2 del D.L. 25.09.2002, n. 210 (recante
“Disposizioni urgenti in materia di
emersione del lavoro sommerso e di rapporti
di lavoro a tempo parziale” e convertito
nella L. 22.11.2002 n. 266), il cui comma 1
ha peraltro ribadito l’obbligo delle imprese
affidatarie di appalti pubblici di
presentare certificazione relativa alla
regolarità contributiva a pena di “revoca
dell’affidamento”- vanno qualificati tra
le “dichiarazioni di scienza”.
L’amministrazione appaltante non ha alcun
autonomo potere, né di accertamento né di
valutazione ed apprezzamento del contenuto
delle cc.dd. certificazioni di regolarità
contributiva e tributaria (si rinvia a Cons.
Stato, Sez. V, 03.06.2002, n. 3061 e Sez. VI,
01.12.2000, n. 6231, ordinanza), che sono
dichiarazioni di scienza, incontestabili in
sé e per sé e la cui efficacia vincolante
rispetto all’amministrazione appaltante può
essere superata soltanto dal positivo
accertamento dell’inesistenza della
posizione debitoria tributaria.
Se di tale potere, dunque, l’amministrazione
è carente, non può esercitarne, sotto altre
spoglie, in sede di considerazione
dell’interesse pubblico all’annullamento di
un’ammissione alla gara (e conseguente
aggiudicazione) che sia radicalmente viziata
in riferimento alla obiettiva carenza del
requisito soggettivo di partecipazione
(costituito dalla regolarità della posizione
contributiva o tributaria).
Non può, in altri termini, ritenersi
consentita in un momento successivo, e solo
per effetto della circostanza che sia
trascorso un intervallo temporale più o meno
casualmente lungo, quella valutazione della
sussistenza (e ancor meno della “consistenza”)
del requisito soggettivo di partecipazione …
che era preclusa al momento
dell’aggiudicazione.
L’interesse pubblico sotteso al requisito
soggettivo di partecipazione, che si collega
anche al puntuale rispetto del principio
generale della par condicio tra i
partecipanti alla gara, e che, come visto,
attiene anche all’effettiva garanzia della
piena concorrenza tra le imprese, è per dir
così immanente e permanente ed il fattore
temporale non è in grado di “consolidare”
gli effetti della sua violazione, almeno
quando, come nella specie, residui un
apprezzabile intervallo temporale sino alla
conclusione del rapporto.
D’altro canto l’introduzione, sia pure con
riferimento all’esercizio dei poteri di
autotutela, di una sfera di “discrezionalità”
in ordine all’apprezzamento dell’incidenza
della carenza del requisito di
partecipazione sull’interesse pubblico può
finire per frustrare la stessa effettività
delle disposizioni comunitaria e nazionale
che, giova ribadire, non attribuiscono alle
amministrazioni aggiudicatici alcun potere
di giudizio in ordine alla
sussistenza/insussistenza dei requisiti ivi
stabiliti, ivi compresi quelli di “correntezza”
previdenziale e tributaria.
A minor ragione, poi, può ammettersi una
valutazione quali-quantitativa della gravità
della posizione debitoria previdenziale e
tributaria, posto che il requisito di
partecipazione può solo essere sussistente o
insussistente, come fatto storico cui si
riconnettono le conseguenze giuridiche
ineludibili stabilite dalle disposizioni
comunitaria e nazionale, che non assegnano
alcun rilievo (né correlativamente alcuna
sfera di apprezzamento discrezionale) alla “importanza”
e “gravità” del difetto del requisito
(che costituirebbe contraddizione in
termini, poiché il requisito c’è o non c’è,
non potendoci essere in misura più o meno “sufficiente”);
senza dire che per tale via si finirebbe per
riconoscere un potere di valutazione
svincolato da parametri certi ed obiettivi
che comprometterebbe l’effettività dei
principi di trasparenza delle gare e di par
condicio tra i concorrenti”
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 17.05.2007 n. 1507 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: E'
legittimo l'affidamento al Sindaco delle
competenze dirigenziali in un comune con
meno di 5000 abitanti.
L’articolo 53, comma 23, della legge n. 388
del 23.12.2000 ha previsto che gli enti
locali con popolazione inferiore a 5000
abitanti, anche al fine di operare un
contenimento della spesa, possano adottare
disposizioni regolamentari organizzative, se
necessario anche in deroga a quanto disposto
all’articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto
legislativo 03.02.1993, n. 29, e successive
modificazioni, e all’articolo 107 del testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli
enti locali, attribuendo ai componenti
dell’organo esecutivo la responsabilità
degli uffici e dei servizi ed il potere di
adottare atti anche di natura tecnica
gestionale. Il contenimento della spesa deve
essere documentato ogni anno, con apposita
deliberazione, in sede di approvazione del
bilancio.
Il Comune di ... ha una popolazione
inferiore ai 5000 abitanti e con delibera
della Giunta del 23-12-2002 ha provveduto ad
attribuire all’organo esecutivo le
competenze previste dal T.U.E.L. per i
dirigenti.
Sostiene ancora la società che tale delibera
sarebbe illegittima in quanto la norma della
legge 388 richiederebbe un apposito
regolamento.
Tali profili di censura giustamente non sono
stati ritenuti suscettibili di accoglimento
dal giudice di prime cure.
Le disposizioni regolamentari organizzative
cui fa riferimento la norma non
necessariamente indicano l’approvazione di
un regolamento.
In ogni caso, ai sensi dell’art 48 del
T.U.E.L. è, altresì, di competenza della
Giunta l’adozione dei regolamenti
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi.
La previsione del rispetto dei criteri
generali stabiliti dal Consiglio, la cui
violazione peraltro non è oggetto di
specifiche censure, non può valere rispetto
a tale attribuzione prevista espressamente
dalla legge, senza ulteriore discrezionalità
se non sull’an, per la quale il
Consiglio debba dettare criteri generali.
E’ evidente poi che la mancata espressa
dizione di regolamento per la delibera che
ha modificato le competenze all’interno del
Comune non possa avere rilevanza, essendo
principio generale che la natura degli atti
si determini dal contenuto e non dalla loro
denominazione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.03.2007 n. 1052 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Le
previsioni di P.R.G. che assolvono la
funzione di impedire eventuali nuove
costruzioni incompatibili “servono a
conformare l’edificazione futura e non anche
le costruzioni esistenti” al momento
dell’entrata in vigore del piano o di una
sua variante, alle quali la legge equipara i
manufatti in via di edificazione sulla base
di uno specifico titolo assentivo.
La disciplina
urbanistica contenuta nel P.R.G. è destinata
a svolgere i suoi effetti ordinatori e
conformativi, esclusivamente con riferimento
al futuro.
Le previsioni
di P.R.G. che assolvono la funzione di
impedire eventuali nuove costruzioni
incompatibili “servono a conformare
l’edificazione futura e non anche le
costruzioni esistenti” al momento
dell’entrata in vigore del piano o di una
sua variante, alle quali la legge equipara i
manufatti in via di edificazione sulla base
di uno specifico titolo assentivo (cfr.
Cons. St., sez. IV, 26.05.2003, n. 2827;
id., 12.07.2002, n. 3931).
La disciplina urbanistica contenuta nel
P.R.G. è destinata a svolgere i suoi effetti
ordinatori e conformativi, esclusivamente
con riferimento al futuro. Le N.T.A. sono
atti a contenuto generale, recanti
prescrizioni a carattere normativo e
programmatico, destinate a regolare la
futura attività edilizia.
Le opere già eseguite in conformità della
disciplina previgente, conservano la loro
precedente e legittima destinazione, senza
che sia possibile impedire gli interventi
necessari per integrarne o mantenerne la
funzione (cfr. Cons. St., sez. V,
07.11.2005, n. 6201; id., 19.02.1997, n.
176) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 06.03.2007 n. 1052 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Non
appare dubbia la spettanza ai dipendenti
degli uffici tecnici comunali chiamati ad
accertare violazioni in materia edilizia
della indennità di vigilanza in relazione
alla riconosciuta qualità di ufficiali di
polizia giudiziaria.
Osserva il Collegio che secondo indirizzi
della Corte di Cassazione cui si richiama
parte appellante nell’atto introduttivo di
questa fase di giudizio, ribaditi in modo
vincolante nel caso di specie con
dichiarazione del competente Procuratore
della Repubblica (cfr. nota del 30.12.1989
n. 1024/89) e secondo il dato testuale
dell’art. 26, quarto comma, lett. f), del
DPR 347/1983, non appare dubbia la spettanza
ai dipendenti degli uffici tecnici comunali
chiamati ad accertare violazioni in materia
edilizia della indennità di vigilanza in
relazione alla riconosciuta qualità di
ufficiali di polizia giudiziaria
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.11.2003 n. 7232 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 06.09.2010 |
ã |
EDILIZIA PRIVATA:
Ultime
news sulla S.C.I.A..
Ad oggi sono già 38 gg. (dal 31.07.2010) che è in
vigore il nuovo istituto della S.C.I.A.
(Segnalazione Certificata di Inizio
Attività) e nulla di nuovo si intravede
all'orizzonte ...
Invero, non si contano più le telefonate che
abbiamo fatto -già dai primi giorni di
agosto- sia al Ministero della
Semplificazione Normativa (che ha "partorito"
questa bella novità ... potremmo definirla
un nuovo "Porcellum??") sia all'Assessorato
Regionale Territorio e Urbanistica per avere
lumi in merito e la risposta è sempre stata
la stessa:
boh!!
La domanda, nell'immediato, è una sola:
la
S.C.I.A. ha sostituito la D.I.A. edilizia di
cui al D.P.R. n. 380/2001??
A questo semplice interrogativo nessuno (chi
di dovere!!) sa rispondere e fornire
certezze nell'operare quotidiano
dell'ufficio tecnico comunale ... e,
intanto, il tempo passa.
Ad onor del vero, venerdì 03.09.2010 abbiamo
fatto
BINGO!!
... cioè?? Finalmente, dopo l'ennesima telefonata, al
Ministero della Semplificazione Normativa
siamo riusciti ad interloquire
col Capo dell'ufficio legislativo (perché
gli altri funzionari non sapevano nulla
oppure erano introvabili fuori
stanza oppure erano in ferie) il quale ci ha
anticipato che oggi pomeriggio (06.09.2010)
si terrà una riunione fra i responsabili dei
Ministeri della Semplificazione Normativa
(Calderoli), per la Pubblica Amministrazione
e l'Innovazione (Brunetta) e delle
Infrastrutture e Trasporti (Matteoli) al
fine di pervenire -al più presto- ad un
chiarimento congiunto e, forse, "partorire"
l'auspicata circolare che dia risposte ai
mille dubbi e quesiti sorti nel frattempo.
Comunque, da commenti ufficiosi trapelati
dal Ministero, parrebbe chiaro che la S.C.I.A. abbia sostituito anche la D.I.A. in
materia edilizia ... almeno,
nell'intendimento del legislatore, così come
si sono svolti i lavori parlamentari da cui
è sortita la Finanziaria estiva.
E ciò risulta ufficialmente confermato, dal
Capo ufficio legislativo -Cons. Chiné, a
seguito di intervista pubblicata su "Edilizia
e Territorio" del 26.07.2010, n. 29, che
potete
leggere qui
... tuttavia, perché al telefono il
Ministero non si sbilancia ufficialmente??
Questa è l'ennesima pessima figura (tanto
per usare un eufemismo) che il legislatore
e, nel caso di specie, il Ministro collezionano ...
ma
credete che gliene importi qualcosa??
In TV si fanno "belli" in
interviste nelle quali decantano le innumerevoli
semplificazioni legiferate di cui si sono fatti
promotori, tutte a vantaggio del Cittadino,
delle Imprese, degli Operatori economici ...
tuttavia, dopo ben 38 gg. il Ministero non sa
ancora dare una risposta
semplice e chiara al seguente interrogativo:
la
S.C.I.A. ha sostituito la D.I.A. edilizia di
cui al D.P.R. n. 380/2001??
VERGOGNA !!
Siamo di fronte a veri e propri "dilettanti
allo sbaraglio della politica" ai quali
rivolgiamo un caloroso invito a dimettersi
e, successivamente, partecipare alla
trasmissione televisiva "la Corrida"
... lì, forse, avranno una fulgida carriera.
Della S.C.I.A. già se ne era a conoscenza
-in tempi non sospetti- con la presentazione del maxiemendamento al
Senato del Ministro Tremonti prima del voto
finale di fiducia alla Finanziaria estiva
... il Ministero dello Sviluppo Economico,
invero, è stato abbastanza tempestivo nell'emanare la propria circolare 10.08.2010
n. 3637/C ma questa inerisce unicamente
sulle attività economiche che possono essere
intraprese con la S.C.I.A. e non anche sulle
attività edilizie.
Perché
il Ministro Calderoli ha permesso che tutti
i direttori generali, dirigenti, funzionari
se ne andassero bellamente in vacanza
anziché restare in ufficio a redigere
tempestivamente la necessaria circolare
esplicativa evitando, così, di "lasciare allo sbando"
gli 8.094 uffici tecnici comunali d'Italia??
Dalle nostre parti (in ufficio tecnico) una
fattispecie del genere ovverosia un simile
deprecabile disservizio avrebbe comportato la
destituzione immediata del responsabile
dalla propria P.O. perché il Sindaco non può permettersi il
lusso di perdere la faccia (il consenso
elettorale) coi propri amministrati!! Ma al
Ministero questo ed altro ...
Nel frattempo i tecnici comunali
navigano a vista nella "cacca" senza
sapere che pesci pigliare -per colpa di un
legislatore "analfabeta" che scrive
le leggi coi piedi- e col rischio
sempre incombente del risarcimento del danno
per atto illegittimo (che si respingano le
DIA giacenti -ove il termine di 30 gg. non
sia ancora trascorso- ovvero
che si accettino ancora le D.I.A. in luogo
delle S.C.I.A. ...).
06.09.2010 LA SEGRETERIA PTPL |
UTILITA' |
VARI:
Il Conto Energia 2011 pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale.
Il decreto interministeriale 06.08.2010,
recante "Incentivazione della produzione
di energia elettrica mediante conversione
fotovoltaica della fonte solare", più
noto come "Conto energia 2011", è
stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
197 del 24.08.2010.
Le nuove tariffe incentivanti previste dal
provvedimento entreranno in vigore alla
scadenza dell'attuale sistema incentivante
per il fotovoltaico (31.12.2010).
Entro 60 giorni dalla data di entrata in
vigore del decreto (25.08.2010), l'Autorità
per l'Energia Elettrica e il Gas (AEEG)
dovrà definire le modalità, i tempi e le
condizioni per l'erogazione delle nuove
tariffe e la loro copertura finanziaria con
la componente A3 della bolletta elettrica.
Ricordiamo che per gli impianti che
entreranno in funzione a partire dal 2011, è
previsto un significativo taglio degli
incentivi (fino al 18%).
Per gli impianti che entreranno in esercizio
nel 2012 e nel 2013 è stabilita un'ulteriore
riduzione delle tariffe del 6% all'anno,
mentre per gli anni successivi si provvederà
con un nuovo decreto. La riduzione degli
incentivi è comunque più contenuta per i
piccoli impianti e più marcata per quelli
con maggiori dimensioni (link a
www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Disponibile il Testo Unico della Sicurezza
aggiornato al mese di AGOSTO 2010 e
commentato dal Ministero del Lavoro.
Il Ministero del Lavoro ha reso disponibile
il testo aggiornato (agosto 2010) del
Decreto Legislativo 81/2008 in materia di
salute e sicurezza nei luoghi di lavoro
(Testo Unico della Sicurezza).
Il testo, che riporta le sanzioni a margine
di ciascun articolo, è stato redatto "ad
uso degli ispettori" del lavoro.
Il "testo coordinato" è inoltre
corredato dalle note ufficiali pubblicate
fino ad agosto 2010 (link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
26.08.2010 n. 199 "Regolamento recante
procedimento semplificato di autorizzazione
paesaggistica per gli interventi di lieve
entità, a norma dell’articolo 146, comma 9,
del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42, e
successive modificazioni"
(D.P.R.
09.07.2010 n. 139). |
VARI: G.U.
24.08.2010 n. 197 "Incentivazione della
produzione di energia elettrica mediante
conversione fotovoltaica della fonte solare"
(D.M.
06.08.2010). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
24.08.2010 n. 197, suppl. ord. n. 205:
- "Terzo elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica alpina in Italia, ai sensi
della direttiva 92/43/CEE" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto 02.08.2010);
- "Terzo elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica continentale in Italia, ai
sensi della direttiva 92/43/CEE"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 02.08.2010);
- "Terzo elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica mediterranea in Italia, ai
sensi della direttiva 92/43/CEE"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 02.08.2010). |
APPALTI: G.U.
23.08.2010 n. 196 "Piano straordinario
contro le mafie, nonché delega al Governo in
materia di normativa antimafia"
(L.
13.08.2010 n. 136). |
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 12.08.2010 n. 187 "Approvazione
della regola tecnica di prevenzione incendi
per la progettazione, costruzione ed
esercizio delle attività commerciali con
superficie superiore a 400 mq."
(Ministero dell'Interno,
decreto 27.07.2010). |
NOTE,
CIRCOLARI & COMUNICATI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rimozione di depositi di GPL in serbatoi
fissi interrati da parte di ditte terze.
Considerazioni sulla bonifica dei serbatoi
rimossi (Ministero dell'Interno, Dipartimento dei
Vigili del Fuoco,
nota
05.08.2010 n. 12026 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti elettrici temporanei. Obbligo di
dichiarazione di conformità (Ministero dell'Interno, Dipartimento dei
Vigili del Fuoco,
nota
23.03.2009 n. 1212 di prot.).
---------------
Per i Vigili del Fuoco
l'obbligo vale anche per gli impianti in
luoghi di spettacolo e intrattenimento.
Con lettera-circolare Prot. n. 1212 del
23.3.2009, il Dipartimento dei VV.F.
fornisce importanti chiarimenti concernenti
l'obbligo del rilascio della dichiarazione
di conformità per gli impianti di cantiere e
similari, ai sensi dell'art. 10, comma 2,
del D. Min. Sviluppo Economico 37/2008.
All'uopo l'art. 10, comma 2 così recita:
«(...) Sono esclusi dagli obblighi della
redazione del progetto e dell’attestazione
di collaudo le installazioni per apparecchi
per usi domestici e la fornitura provvisoria
di energia elettrica per gli impianti di
cantiere e similari, fermo restando
l’obbligo del rilascio della dichiarazione
di conformità. (...)».
In ragione di tale disposto, il Dipartimento
ritiene che all'obbligo della dichiarazione
di conformità, che ai sensi dell'art. 7 del
D.Min. 37/2008 è rilasciata dall'impresa al
termine dei lavori, previa l'effettuazione
delle verifiche previste dalla normativa
vigente, sulla base del modello all’Allegato
I del decreto medesimo, siano soggetti anche
gli impianti temporanei realizzati nelle
attività soggette a vigilanza antincendio
disciplinati dal D.Min. Interno 261/1996.
Tali attività, elencate al comma 3,
dell'art. 4, del suddetto D.Min. 261/1996,
sono le seguenti:
a)
teatri, cinema-teatri, teatri-tenda, circhi
con capienza superiore a 500 posti; teatri
all'aperto con capienza superiore a 2.000
posti;
b)
teatri di posa per riprese cinematografiche
e televisive con capienza superiore a 100
posti, quando é prevista la presenza del
pubblico;
c)
sale pubbliche di audizione in cui si
tengono conferenze, concerti e simili con
capienza superiore a 1.000 posti;
d)
impianti per attività sportive all'aperto
con capienza superiore a 10.000 posti anche
quando gli stessi vengono occasionalmente
utilizzati per manifestazioni diverse da
quelle sportive;
e)
impianti per attività sportive al chiuso con
capienza superiore a 4.000 posti, anche
quando gli stessi vengono occasionalmente
utilizzati per manifestazioni diverse da
quelle sportive;
f)
edifici, luoghi e locali posti al chiuso ove
si svolgono, anche occasionalmente, mostre,
gallerie, esposizioni con superficie lorda
superiore a 2.000 mq; fiere e quartieri
fieristici con superficie lorda superiore a
4.000 mq se al chiuso e 10.000 mq se
all'aperto;
g)
locali ove si svolgono trattenimenti
danzanti con capienza superiore a 1.500
persone;
h)
luoghi o aree all'aperto, pubblici o aperti
al pubblico, ove occasionalmente si
presentano spettacoli o trattenimenti con
afflusso di oltre 10.000 persone (commento
tratto da www.legislazionetecnica.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
D. Meneguzzo,
Non sempre la SCIA appare utilizzabile in
materia edilizia (link a http://venetoius.myblog.it). |
APPALTI:
Nuove norme antimafia.
E' stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale
(serie generale n. 196 del 23.08.2010) la
legge 10.08.2010 n. 136, recante "Piano
straordinario contro le mafie, nonché delega
al Governo in materia di normativa
antimafia".
Segnaliamo, in particolare, le seguenti
disposizioni ... (link a http://venetoius.myblog.it). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
M. Sperduti e E. Sperduti,
Ancora una pronuncia del giudice
amministrativo sul termine di validità del
DURC (link a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L. De Gregorio,
Il “limbo normativo” della tutela
paesaggistica: le problematiche applicative
e il contesto organizzativo e politico
(link a www.altalex.com). |
PUBBLICO IMPIEGO:
M. M. Russo,
TELECAMERE NON AUTORIZZATE SUL POSTO DI
LAVORO: LA PROVA È VALIDA? (link
a www.lavoroprevidenza.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
C. Rapicavoli,
Procedimento semplificato di autorizzazione
paesaggistica D.P.R. 09.07.2010 n. 139
(link a www.filodiritto.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
G. Penzo Doria,
Fine del telefax nell’èra della PEC?
(link a www.filodiritto.com). |
APPALTI SERVIZI:
G. Chiàntera,
Affidamento in house: regolazione del
rapporto tra amministrazione e società, lo
strumento contrattuale (link a
www.filodiritto.com). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI:
C. Rapicavoli,
Soppressione Agenzia segretari comunali e
provinciali - Legge 30.07.2010 n. 122 –
Istituzione unità di missione – D.M.
31.07.2010 – La funzione di direzione
generale negli enti locali (link
a www.filodiritto.com). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO IMPIEGO: Domanda
via PEC per i concorsi. Norme in vigore, non
servono regolamenti dei singoli enti. Il
ministro Brunetta fornisce le linee guida
per l'utilizzo della posta elettronica
certificata.
Utilizzare la posta
elettronica certificata per iscriversi al
concorso pubblico. Da subito. Non c'è
bisogno di alcun regolamento dell'ente
pubblico che recepisca le norme nazionali
sulla Pec.
Lo ha precisato il ministro Renato Brunetta,
che ha firmato la
circolare 03.09.2010 n. 12/2010 del
dipartimento della funzione pubblica (in
corso di pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale).
La circolare, che risponde alle richieste di
chiarimento avanzate dal Consiglio nazionale
degli agrotecnici (si veda ItaliaOggi del 24
agosto) fornisce le linee guida per la
informatizzazione delle procedure
concorsuali con l'obiettivo di lanciare
l'uso massiccio della pec nei rapporti con
la pubblica amministrazione in un settore
cruciale.
La circolare, da questo punto di vista, è un
punto fermo per le amministrazioni, in
quanto rassicura sulla utilizzabilità della
pec, valevole a tutti i fini di legge, e
spiega come applicare alla pec le
disposizioni su momenti cruciali della
procedura concorsuale.
Si pensi ad esempio all'individuazione
esatta della data di presentazione della
domanda ai fini della valutazione della
eventuale esclusione della domanda stessa.
La fonte generale che legittima l'uso della
pec è l'articolo 38 del dpr 445/2000, che
prevede espressamente che tutte le istanze e
le dichiarazioni da presentare alla pubblica
amministrazione o ai gestori o esercenti di
pubblici servizi possono essere inviate
anche per fax e via telematica (queste
ultime devono essere conformi a quanto
disposto dal dlgs 82/2005). Con riferimento
specifico alla pec è il dpr 68/2005 a
prevedere che l'invio di messaggi con la pec
è valido agli effetti di legge.
La ricostruzione normativa è importante per
tranquillizzare tutte le amministrazioni. È,
infatti, vero che l'articolo 4 del dpr
487/1994 prevede quali modalità di
presentazione della domanda di
partecipazione ai concorsi la consegna a
mano e la raccomandata A/r «con
esclusione di qualsiasi altro mezzo». Ma
è anche vero che la norma è superata dalle
disposizioni sopravvenute e, quindi, non c'è
da dubitare che la trasmissione per posta
certificata è equivalente alla notificazione
per mezzo della posta.
Il problema delle domande presentate alla
p.a. è la verifica della firma delle stesse.
Se il mezzo usato per la spedizione è la
pec, occorre comprendere quali sono le
regole. A questo quesito la circolare
risponde citando il codice
dell'amministrazione digitale (dlgs
82/2005). Le istanze e le dichiarazioni
presentate alle pubbliche amministrazioni
per via telematica, sono valide in quattro
casi:
1) se sottoscritte mediante la firma
digitale;
2) quando l'autore è identificato dal
sistema informatico con l'uso della carta
d'identità elettronica o della carta
nazionale dei servizi;
3) quando l'autore è identificato dal
sistema informatico con i diversi strumenti
previsti dalla normativa vigente;
4) quando l'autore è identificato dal
sistema informatico attraverso le
credenziali di accesso relative all'utenza
personale di posta elettronica certificata.
In queste ipotesi le istanze e le
dichiarazioni inviate o compilate sul sito
sono equivalenti alle istanze e alle
dichiarazioni sottoscritte con firma
autografa apposta in presenza del dipendente
addetto al procedimento.
Ecco dunque la risposta al quesito.
L'inoltro tramite posta certificata è di per
sé sufficiente a rendere valida l'istanza, a
considerare identificato l'autore di essa e,
conclude sul punto la circolare, a ritenere
la stessa regolarmente sottoscritta. Non
occorre la firma digitale o altro requisito.
Beninteso, sottolinea Brunetta, se il
candidato utilizza la firma digitale le
istanza sono senz'altro da considerare
valide da parte dell'amministrazione.
Altro aspetto da analizzare in relazione
all'uso della pec è la prova della data di
spedizione in relazione al termine entro il
quale deve essere spedita la domanda. Per la
pec la normativa di settore prevede la
certificazione di data e ora dell'invio e
della ricezione delle comunicazioni e
l'integrità del contenuto delle stesse. Con
lo stesso risultato della posta cartacea.
Infine la pec può essere usato dalla p.a.
per le comunicazioni al candidato.
Per rendere operative le indicazioni
illustrate la circolare sottolinea che non
sono necessari regolamenti degli enti o
clausole specifiche nel bando di concorso.
Con proprio regolamento o apposite
previsioni contenute nel bando invece le
amministrazioni possono individuare
ulteriori semplificazioni della
comunicazione con i candidati e delle
modalità di acquisizione delle domande di
concorso, sempre nel limite del rispetto dei
principi essenziali di certezza e
trasparenza
(articolo ItaliaOggi
del 04.09.2010, pag. 25). |
NEWS |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Comuni,
stop a lsu. Via ai fondi per la
stabilizzazione. In corso di pubblicazione i
decreti con i finanziamenti.
Via libera alla stabilizzazione dei
lavoratori socialmente utili (lsu) negli
enti locali. Con tre distinti decreti, in
attesa di pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale, il ministero del lavoro fornisce
procedure e criteri per la concessione di un
contributo ai comuni con meno di 50 mila
abitanti nel limite di un milione di euro
per ciascuna annualità 2008, 2009 e 2010 (in
totale 3 milioni di euro), finalizzato alla
stabilizzazione di lavoratori impegnati in
attività socialmente utili presso gli stessi
enti e con oneri a carico del bilancio
comunale da almeno otto anni.
Il termine di presentazione delle domande
per l'ammissione al contributo scadrà 30
giorni dopo la pubblicazione dei
provvedimenti.
Tre annualità.
La stabilizzazione degli lsu è prevista
dalla Finanziaria 2008, la legge n.
244/2007, a favore di quei soggetti che
siano impegnati in tali attività nei comuni
con meno di 50 mila abitanti con oneri tutti
a carico del bilancio comunale e siano nella
disponibilità dei comuni da almeno otto
atti.
I comuni possono richiedere il contributo
per una sola annualità, 2008, 2009 o 2010, a
condizione di avere in carico lsu a
decorrere dal 1° gennaio 2000 o da una data
precedente.
Tre vie per la
stabilizzazione.
L'erogazione del contributo, che avverrà
sulla base di un'apposita graduatoria
predisposta a cura del ministero del lavoro,
è finalizzato all'attuazione di un piano di
stabilizzazione occupazionale che il comune
deve avere a tal fine predisposto. Tale
piano può prevedere una o più delle seguenti
vie alternative di stabilizzazione:
a) assunzione dei lsu con contratto di
lavoro a tempo indeterminato oppure a tempo
determinato di durata superiore a 12 mesi
presso lo stesso comune; in tal caso, il
sindaco deve dichiarare la conformità delle
stabilizzazioni ai vincoli finanziari
vigenti in materia di assunzione e di
contenimento della spesa per il personale
delle pubbliche amministrazioni;
b) assunzione dei lsu presso soggetti
privati con contratto di lavoro a tempo
indeterminato oppure a tempo determinato
superiore a 12 mesi;
c) erogazione di un incentivo all'autoimprenditorialità
da erogare ai lsu con indicazione del
relativo ammontare.
La domanda.
I comuni interessati devono presentare
apposita domanda, da spedire con
raccomandata oppure da consegnare a mano, al
ministero del lavoro entro 30 giorni dalla
data di pubblicazione in G.U. del decreto
concernente la disponibilità di risorse per
l'annualità (2008, 2009 o 2010) per la quale
viene richiesto il contributo.
La domanda, sottoscritta dal sindaco, deve
contenere tra l'altro il numero dei soggetti
lsu con specificazione di quelli che si
intendono stabilizzare. Nell'ipotesi di
comuni con popolazione superiore a 5 mila
abitanti, la domanda deve inoltre recare
esplicita dichiarazione che le assunzioni
sono conformi ai limiti di spesa e vengono
effettuate nel rispetto del patto di
stabilità per gli enti locali
(articolo ItaliaOggi
del 04.09.2010, pag. 26). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ O nel cda o nel consiglio.
Ineleggibile l'amministratore di partecipate
al 100%. L'incompatibilità non scatta se
l'interessato cessa dalle funzioni.
Sussiste una causa di
ineleggibilità nei confronti di un
componente del consiglio di amministrazione
di una società a totale partecipazione del
comune, che vuole candidarsi alla carica di
consigliere comunale?
L'ipotesi prospettata rientra nella
fattispecie di cui all'art. 60, comma 1, n.
11) del Tuel, in quanto i componenti del
consiglio di amministrazione sono
amministratori di un'azienda dipendente dal
comune, tenuto conto che il relativo
capitale è interamente detenuto dal comune.
Il citato art. 60 prevede peraltro che
talune cause d'ineleggibilità, tra cui
quella in esame, non hanno effetto se
l'interessato cessa dalle funzioni per
dimissioni, trasferimento, revoca
dell'incarico o del comando, collocamento in
aspettativa non retribuita non oltre il
giorno fissato per la presentazione delle
candidature
(articolo ItaliaOggi
del 03.09.2010, pag. 33). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Incompatibilità.
L'eventuale elezione di
un presidente della provincia, già sindaco
di un comune, alla carica di consigliere
regionale costituisce causa ostativa
all'assunzione e all'espletamento del
mandato elettivo?
A seguito della modifica del titolo V della
Costituzione, con la legge costituzionale n.
3/2001, spetta alle regioni disciplinare le
cause di incompatibilità alle cariche
elettive regionali; fino all'entrata in
vigore delle discipline regionali,
continuano ad applicarsi le disposizioni
statali in materia, in forza del principio
di cui all'art. 1, comma 2, della legge n.
131/2003.
Secondo la giurisprudenza della Corte
costituzionale, infatti, «l'attuale art.
122 primo comma, della Costituzione,
modificando la distribuzione delle
competenze normative in tema di
ineleggibilità e incompatibilità alla carica
di consigliere regionale vigente prima
dell'entrata in vigore della legge
costituzionale n. 1/1999, ha sottratto la
materia alla legislazione dello stato e l'ha
attribuita a quella delle regioni;
conseguentemente, per ragioni di congruenza
sistematica, la competenza legislativa
esclusiva dello Stato in materia di
legislazione elettorale ed organi di governo
dei comuni, prevista dall'art. 117, secondo
comma, lett. p) Cost. deve essere intesa con
esclusione della disciplina delle cause di
incompatibilità (oltre che di
ineleggibilità) a cariche elettive regionali
derivanti da cariche elettive comunali».
La competenza legislativa regionale in
questione vale «nei limiti dei principi
fondamentali stabiliti con legge della
repubblica», principi recati, in
particolare, dalla legge 02.07.2004, n. 165
(cfr., in tal senso, Corte cost. n.
201/2003).
Pertanto, nel caso in cui la regione non
abbia disciplinato la materia diversamente
da quanto statuito dall'art. 65 del decreto
legislativo n. 267/2000, qualora
l'amministratore non si dimetta, i consigli
interessati dovranno avviare nei confronti
del medesimo il procedimento di
contestazione ai sensi dell'art. 69,
concedendogli 10 giorni di tempo per
rimuovere la causa di incompatibilità.
Trascorso detto termine, intervenuta o meno
la comunicazione dell'amministratore di
voler accettare la carica regionale, i
rispettivi consigli ne dichiarano la
decadenza.
Dell'avvenuta dichiarazione di decadenza del
sindaco da parte del consiglio comunale deve
comunque essere reso tempestivamente edotto
il prefetto per l'avvio della procedura di
scioglimento del consiglio comunale, che
come risaputo, comporta la permanenza in
carica di giunta e consiglio fino al primo
turno elettorale utile e che le funzioni di
capo dell'amministrazione siano svolte dal
vicesindaco, in virtù dell'art. 53 del
decreto legislativo n. 267/2000.
Qualora il sindaco rassegni le dimissioni,
alle medesime conseguono lo scioglimento del
consiglio comunale con l'affidamento della
gestione dell'ente ad un commissario
straordinario
(articolo ItaliaOggi
del 03.09.2010, pag. 33). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Rimborsi spese.
Qual è la corretta
applicazione dell'art. 2 del dm 12.02.2009,
con il quale è stata fissata la misura del
rimborso delle spese sostenute dagli
amministratori locali in occasione delle
missioni istituzionali, con particolare
riferimento al rimborso previsto per la
frazione di giornata che segue quelle in cui
si è effettuato il pernottamento?
L'art. 2, comma 1, del citato decreto
interministeriale prevede rimborsi forfetari
diversi in relazione alla durata della
missione, come specificato nelle lettere a),
b), c) e d); il successivo comma 4 dispone
che le citate misure non sono tra loro
cumulabili.
Nel caso di specie, all'amministratore
locale spetta solamente l'importo indicato
alla lettera a) del comma 1 dell'art. 2,
moltiplicato per i giorni di missione, senza
tener conto della frazione di giornata
residua
(articolo ItaliaOggi
del 03.09.2010, pag. 33). |
PUBBLICO IMPIEGO: Da
capo dei vigili a bibliotecario. Per la
Cassazione il trasferimento è legittimo.
Il comune che decide di
riorganizzare i propri uffici eliminando il
posto da comandante può legittimamente
trasferire l'operatore anche in biblioteca.
Purché ci sia equivalenza di mansioni questa
operazione di per sé non può infatti essere
considerata discriminatoria e può
prescindere anche dalla professionalità
acquisita.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sez.
lavoro, con la sentenza n. 18283 del
05.08.2010.
È curiosa e tutta italiana la vicenda
occorsa al comandante della polizia
municipale di un piccolo comune siciliano.
Con delibera di giunta il settore della
polizia municipale è stato inserito in una
diversa organizzazione con contestuale
soppressione del posto apicale e
trasferimento del funzionario presso il
servizio biblioteca.
Contro questa singolare iniziativa
l'interessato ha proposto censure fino alla
Corte di cassazione ma senza risultati
apprezzabili. Con la privatizzazione del
rapporto di pubblico impiego, specifica
innanzitutto la sentenza, le amministrazioni
locali hanno ora ampia facoltà di ingerenza
diretta nell'organizzazione lavorativa fermo
restando il principio delle mansioni
equivalenti.
In buona sostanza il dipendente deve essere
adibito a mansioni per le quali è stato
assunto «o alle mansioni considerate
equivalenti nell'ambito della
classificazione professionale prevista dai
contratti collettivi».
Ai sensi dell'art. 52 del dlgs 165/2001 il
concetto di equivalenza delle mansioni è
particolarmente formale ancorandosi
saldamente a una valutazione demandata ai
contratti collettivi, indipendentemente
dalla professionalità acquisita. In pratica
basta salvaguardare il formalismo delle
mansioni per assecondare il dettato
normativo. Ma nel caso in esame non è stato
possibile neppure avvallare il carattere
ritorsivo dell'intera manovra per la
genericità delle considerazioni avanzate
dall'interessato.
Risulta evidente però che questa
determinazione è in forte controtendenza
rispetto alla giurisprudenza maggioritaria
che sostiene a spada tratta l'autonomia e
l'indipendenza del comando di polizia
locale, stante la sua peculiarità
organizzativa e funzionale.
La legge quadro sulla polizia municipale n.
65/1986 di certo riconosce infatti tutte
queste specificità e non ammette
interferenze così incisive nei rapporti
funzionali di un soggetto apicale incaricato
di svolgere anche complesse attività di
polizia
(articolo ItaliaOggi
del 03.09.2010, pag. 32 - link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Contratti
decentrati al capolinea. P.a. e sindacati
avranno margini di manovra molto ridotti.
Gli effetti della legge 122/2010. La
contrattazione locale può destinare le
risorse ancora disponibili.
La manovra economica depotenzia la
contrattazione decentrata. La previsione
contenuta nell'articolo 9, comma 1, della
legge 122/2010 limita notevolmente l'oggetto
di quanto le amministrazioni, nella veste di
datori, e i sindacati possono trattare,
nelle materie residue soggette alla
relazione della contrattazione.
La disposizione, come noto, congela parte
delle retribuzioni, disponendo che il
trattamento economico complessivo dei
singoli dipendenti non può superare, in ogni
caso, il trattamento ordinariamente
spettante per l'anno 2010.
Leggendo il comma 1 dell'articolo 9 in
combinazione col successivo comma 2-bis, per
effetto del quale sussiste non tanto un
tetto individuale del salario accessorio,
bensì un tetto per ente, si deve ritenere
che il concetto di «trattamento
ordinariamente spettante» comprenda la parte
della retribuzione fissa e continuativa.
In altre parole, la contrattazione
decentrata non potrà intervenire sulla
retribuzione tabellare (ma questa è sempre
stata materia riservata alla contrattazione
nazionale), né su elementi che accedono in
modo irreversibile al trattamento economico,
come ad esempio retribuzione individuale di
anzianità, effetti di reinquadramenti
fissati nel passato dalla contrattazione
collettiva, l'indennità di comparto propria
della realtà di regioni ed enti locali e la
posizione economica acquisita per effetto
delle progressioni orizzontali.
La manovra, disponendo un generalizzato
blocco della contrattazione collettiva,
valevole tanto per quella nazionale, quanto
per quella decentrata, e congelando le parti
fisse e continuative delle retribuzioni dei
singoli dipendenti, priva le amministrazioni
per il triennio 2011-2013 della possibilità
di attivare progressioni economiche.
Conseguentemente, la contrattazione
decentrata, che tipicamente ha come oggetto
la destinazione del fondo delle risorse
decentrate costituito dall'ente, non potrà
occuparsi dell'eventuale destinazione alle
progressioni orizzontali.
La contrattazione, ancora, viene privata
della possibilità di intervenire sulla
destinazione del fondo, con riferimento alla
previsione contenuta nell'articolo 9, comma
2-bis, della legge 122/2010, ove si
stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio
2011 e sino al 31.12.2013 l'ammontare
complessivo delle risorse destinate
annualmente al trattamento accessorio del
personale è automaticamente ridotto in
misura proporzionale alla riduzione del
personale in servizio. Nella sostanza si
introduce un obbligo discendente
direttamente dalla legge di ridurre le
risorse decentrate. Pertanto, spetta
esclusivamente alle amministrazioni
determinare l'ammontare della riduzione,
nella fase della costituzione delle risorse.
Ovviamente, ciò finisce per circoscrivere
gli spazi della contrattazione decentrata,
la quale, nella sostanza, si limita a
concordare la destinazione delle risorse
decentrate libere, cioè ancora disponibili,
dopo aver computato i valori delle
progressioni economiche, dell'indennità di
comparto, nonché delle indennità finalizzate
a remunerare mansioni particolari o connesse
a modalità di erogazione dei servizi
(rischio, turno, reperibilità, disagio,
maneggio valori, particolari
responsabilità).
Questa parte ancora disponibile, per altro,
riguarda le sole risorse stabili, quelle
sulle quali è possibile una reale
contrattazione. Infatti, le risorse
variabili sono per loro natura già destinate
dal contratto, ad esempio a incentivare
progettisti, avvocati, gli uffici tributi
per il recupero Ici, oppure al premio per i
risultati individuali.
Alla contrattazione, comunque, resta
certamente la competenza a destinare,
annualmente, le risorse ancora disponibili.
Da questo punto di vista, il ruolo della
contrattazione non risulta cancellato, ma
solo ridimensionato dai nuovi vincoli
imposti dalla legge.
Ancora, la contrattazione decentrata deve
provvedere all'adeguamento dei contratti
decentrati stipulati prima dell'entrata in
vigore del dlgs 150/2009 ai contenuti della
riforma-Brunetta.
Quello disposto, infatti, dall'articolo 65
del dlgs 150/2009 è un vero e proprio
obbligo e non una semplice facoltà. La legge
ha lasciato alle parti la possibilità di
adeguare gradualmente le clausole
incompatibili con la riforma, dando ben due
anni di tempo agli enti locali. Ma, le
clausole non adeguate non possono
considerarsi applicabili. Prima di attuarle
occorre attivare la contrattazione, che ha
l'obbligo di eliminare gli elementi di
contrasto, per sbloccarne così l'attuabilità
(articolo ItaliaOggi
del 03.09.2010, pag. 32 - link a www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
fumo all’aperto non si può vietare. Non ci
sono emergenze o pericoli che giustifichino
le ordinanze. I provvedimenti dei sindaci
sono illegittimi anche perché la materia
richiede una disciplina unitaria.
Facendo riferimento all’articolo apparso su
Italia-Oggi il 12.07.2010 «In vacanza
nell’Italia dei divieti», pare utile
introdurre una riflessione circa la
legittimità costituzionale delle ordinanze
sindacali che stabiliscono il divieto di
fumo in luoghi aperti.
Tali provvedimenti comunali presentano una
serie di criticità dal momento che derogano
la disciplina statale, assumono la forma di
ordinanza e, per di più, intervengono su di
un ambito, come quello della tutela della
salute, che necessita di una disciplina
omogenea ...
(articolo ItaliaOggi
del 03.09.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it). |
SICUREZZA LAVORO: Nei
cantieri lavoratori ai raggi X. Sul
tesserino vanno indicati committente e data
di assunzione. Dal 7 settembre si cambia
registro: la legge antimafia aggiunge nuovi
criteri di riconoscimento.
Addetti nei cantieri ai
raggi X negli appalti.
Dal prossimo 7 settembre, la tessera di
riconoscimento deve essere arricchita di
nuovi dettagli. In particolare, i datori di
lavoro dovranno specificare anche la data di
assunzione di ciascun lavoratore tenuto a
indossarla nonché, nelle ipotesi di
subappalto, la relativa autorizzazione. I
lavoratori autonomi, invece, dovranno
indicare il nome del committente.
A stabilirlo è la legge n. 136/2010,
contenente il piano straordinario antimafia,
che integra con proprie norme, operative da
martedì prossimo, le disposizioni del T.u.
sicurezza (il dlgs n. 81/2008).
La tessera di
riconoscimento.
Munire i lavoratori con apposita tesserino è
un obbligo previsto dal T.u. sicurezza. In
particolare, il dlgs n. 81/2008 stabilisce,
all'articolo 18, che il datore di lavoro e i
dirigenti, i quali organizzano e dirigono le
attività secondo le attribuzioni e
competenze a essi conferite, devono munire i
lavoratori di apposita tessera di
riconoscimento, corredata di fotografia,
contenente le generalità del lavoratore e
l'indicazione del datore di lavoro.
L'obbligo è previsto nell'ambito dello
svolgimento di attività in regime di appalto
e subappalto.
Medesimo obbligo è disciplinato, sempre dal
T.u., all'articolo 21 a carico dei
lavoratori autonomi. Si tratta, in
particolare, dei componenti dell'impresa
familiare (articolo 230-bis del codice
civile), dei lavoratori autonomi che
compiono opere o servizi (ai sensi
dell'articolo 2222 del codice civile), dei
coltivatori diretti del fondo, dei soci di
società semplici operanti nel settore
agricolo, degli artigiani e piccoli
commercianti. Tutti questi lavoratori,
stabilisce il T.u., devono munirsi di
apposita tessera di riconoscimento,
corredata di fotografia e contenente le
proprie generalità, qualora effettuino la
loro prestazione in un luogo di lavoro nel
quale si svolgano attività in regime di
appalto o subappalto.
Le novità dal 7 settembre.
Il provvedimento contro le mafie, la legge
n. 136/2010 pubblicata in Gazzetta Ufficiale
n. 196/2010 (si veda ItaliaOggi del 24
agosto), integra le predette disposizioni
del Tu sicurezza prescrivendo altre
informazioni da dettagliare sulla tessera di
riconoscimento. Quest'ultima, in base
all'articolo 5 della predetta legge, nel
caso di tessera destinata ai lavoratori di
imprese, deve contenere oltre agli elementi
già previsti anche la data di assunzione
nonché, nelle ipotesi di subappalto, la
relativa autorizzazione.
Nel caso di lavoratori autonomi, inoltre, lo
stesso articolo 5 stabilisce che la tessera
contenga pure l'indicazione del committente.
Come accennato, l'integrazione delle
informazioni, sia per i lavoratori
dipendenti che per quelli autonomi, dovrà
avvenire a partire dal prossimo 7 settembre,
data di entrata in vigore delle nuove
disposizioni contro le mafie.
Le sanzioni.
Il T.u. sicurezza disciplina la tessera di
riconoscimento in due momenti: come obbligo,
per i datori di lavoro, di fornirla ai
propri lavoratori e come obbligo per gli
stessi lavoratori di esporla. In dettaglio
l'obbligo di munire il proprio personale di
tale tessera è previsto a carico delle
imprese appaltatrici e subappaltatrici,
nell'ambito dello svolgimento di attività in
regime di appalto o subappalto. Stesso
obbligo (cioè di esporre la tessera di
riconoscimento) vige anche in capo ai
lavoratori autonomi che esercitano
direttamente la propria attività nei
cantieri, i quali sono tenuti a provvedervi
per proprio conto.
A carico dei datori di lavoro e dirigenti
che non provvedono alla fornitura, al
personale, della tessera di riconoscimento è
prevista la sanzione amministrativa
pecuniaria da 100 a 500 euro per ciascun
lavoratore. I lavoratori che non espongono
la tessera di riconoscimento sono puniti con
la stessa sanzione, ma d'importo da 50 a 300
euro. Quest'ultima sanzione è prevista anche
a carico dei lavoratori autonomi che non
provvedono a munirsi di tessera
(articolo ItaliaOggi
del 03.09.2010, pag. 25). |
EDILIZIA PRIVATA: Piccola
edilizia semplificata a metà. I
professionisti dovranno attestare la
regolarità degli incrementi. Il regolamento
sulle autorizzazioni paesaggistiche (in
G.U.) sveltisce i tempi per 39 interventi.
Semplificata
l'autorizzazione paesaggistica per i piccoli
interventi edilizi. Ma non per i
professionisti che dovranno attestare la
regolarità di incrementi di volumetria (fino
a 100 metri cubi) o demolizioni e
ricostruzioni o della installazione di tende
da sole a parabole.
Sono, infatti, questi alcuni degli
interventi oggetto del dpr 09.07.2010 n.
139, e cioè del regolamento sul procedimento
semplificato di autorizzazione paesaggistica
per gli interventi di lieve entità.
Il provvedimento, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale del 26.08.2010, avrà immediata
efficacia per le regioni ordinarie, mentre
quelle speciali dovranno adeguare il proprio
ordinamento.
La semplificazione consiste in minori
documenti da produrre, in tempi più stretti
(60 giorni è il termine di conclusione del
procedimento, nei passaggi procedurali). Gli
interventi di lieve entità, elencati in coda
al provvedimento, sono 39 e corrispondono al
75% del totale degli interventi. L'istanza
deve essere corredata unicamente da una
relazione paesaggistica semplificata,
redatta da un tecnico abilitato su una
scheda tipo. Non si applica, dunque, il dpcm
12/12/2005.
Tra l'altro si accorpa nella relazione anche
l'attestazione di conformità dell'intervento
alla disciplina del paesaggio e alla
disciplina edilizia e urbanistica. Se
possibile l'istanza si presenta per via
telematica e, se riguarda attività
industriali o artigianali, tramite lo
sportello unico. Come si può notare
l'autorizzazione non è di certo semplificata
per il tecnico, che si assume la
responsabilità delle attestazioni di
conformità urbanistica.
Il procedimento autorizzatorio semplificato
deve concludersi con un provvedimento
espresso nel termine di 60 giorni dal
ricevimento dell'istanza. In questo caso la
semplificazione si coglie sui tempi, che
vengono ridotti dai 105 previsti (40 presso
l'ente locale, 45 per il parere vincolante
del soprintendente e 20 per il provvedimento
definitivo). Se l'amministrazione competente
(comune o, in qualche caso, provincia o
regione) esprime valutazione negativa la
domanda viene direttamente rigettata, senza
investire del procedimento la soprintendenza
competente per territorio).
In caso, invece, di valutazione positiva
della conformità, o della compatibilità
paesaggistica, l'amministrazione locale (o
regionale) invia la pratica al
soprintendente. Se anche la valutazione del
soprintendente è positiva, allora formula un
parere vincolante favorevole.
Se la valutazione del soprintendente è
negativa (e quindi in contrasto con quella
positiva dell'amministrazione locale) il
soprintendente rigetta direttamente
l'istanza, senza investire nuovamente della
questione l'ente locale. L'autorizzazione
paesaggistica è immediatamente efficace ed è
valida cinque anni
(articolo ItaliaOggi
del 31.08.2010, pag. 27). |
PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi
illegittimi senza mobilità.
Il bando per un concorso pubblico è
illegittimo se l'ente non ha attivato la
procedura di mobilità prevista dalla norma,
in quanto non si è consentita agli
interessati, la presentazione delle
eventuali domande di trasferimento.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, nella
sentenza 18.08.2010 n. 5830, ha
annullato un bando per la copertura di un
posto di funzionario amministrativo, bandito
da un'unione di comuni.
Il comma 1 dell'articolo 30 del dlgs n.
165/2001, fissa il principio della mobilità
volontaria a domanda, prevedendo che i posti
vacanti possono essere ricoperti con
cessione del contratto di lavoro da
dipendenti di altre amministrazioni
pubbliche, che richiedano il trasferimento.
È necessario, comunque, che siano rese
pubbliche le disponibilità dei posti,
fissando preventivamente i criteri di
scelta.
Il comma 2-bis, introdotto dalla legge n.
43/2005, stabilisce che le amministrazioni,
prima di espletare il concorso, devono
attivare le procedure di mobilità suddette,
e il trasferimento è disposto nei limiti dei
posti vacanti, con inquadramento nell'area
funzionale e posizione economica
corrispondente a quella posseduta presso
l'amministrazione di provenienza.
Le disposizioni normative sono senz'altro
applicabili anche agli enti locali, in
quanto rientranti nell'ambito delle
disposizioni del decreto legislativo, e
impongono alle amministrazioni pubbliche di
avviare, prima dell'espletamento delle
procedure concorsuali, le procedure di
mobilità.
Con propria sentenza, il Tar per l'Emilia
Romagna accoglieva il ricorso presentato da
una cittadina, considerando che la norma
obbligava ad avviare, preventivamente, le
procedure di mobilità.
L'unione dei comuni presenta appello al
Consiglio di stato, per la riforma della
predetta sentenza, evidenziando l'autonomia
costituzionalmente riconosciuta agli enti
locali.
Per il Consiglio di stato l'appello è
infondato, in quanto l'interpretazione
letterale delle norme impone alle pubbliche
amministrazioni di avviare prima la mobilità
e poi espletare le procedure concorsuali.
L'obbligo risponde all'interesse pubblico di
riduzione della spesa pubblica. Tale
previsione non lede l'autonomia delle
amministrazioni poiché, al fine della
copertura di un posto vacante, è tenuta,
innanzitutto, ad avviare la procedura di
mobilità, diretta ad accertare l'esistenza
di dipendenti pubblici già in servizio, con
le necessarie professionalità. Solo l'esito
infruttuoso della mobilità permette all'ente
di indire la procedura concorsuale.
Per i giudici di palazzo Spada, non può
accogliersi neppure quanto sostenuto
dall'appellante (che la procedura di
mobilità sarebbe relativa soltanto
all'immissione di dipendenti pubblici in
posizione di comando o di fuori ruolo) in
quanto, dalla corretta interpretazione della
norma si evidenzia che tali categorie hanno,
esclusivamente, una priorità rispetto agli
altri dipendenti che partecipano alla
mobilità, ergo non si può affermare che la
procedura sia riservata soltanto a questi
dipendenti.
La norma, infine, non può dirsi rispettata
con il semplice esame delle domande di
trasferimento presentate spontaneamente da
dipendenti pubblici, in quanto manca
l'adempimento all'obbligo di rendere
pubbliche le disponibilità dei posti in
organico e la fissazione preventiva dei
criteri di scelta
(articolo ItaliaOggi
del 31.08.2010, pag. 27). |
ENTI LOCALI: Scuole,
videosorveglianza sì, ma a cancelli chiusi.
Il Viminale: ecco come tutelarsi contro il
vandalismo.
La videosorveglianza
nelle scuole per la tutela dagli atti
vandalici è ammessa solo negli orari di
chiusura, limitatamente alle aree
interessate.
Lo ha fatto sapere il ministero dell'interno
con la
circolare 06.08.2010 n.
558/A/421.2/70/195960 di prot..
Il provvedimento reca anche una sintesi
delle novità introdotte dalla legge 38/2009
e dal provvedimento generale del garante
della privacy emesso l'8 aprile scorso, che
ha sostituito l'analogo provvedimento del
2004.
Il Viminale ha chiarito, inoltre, che
restano fermi i divieti di utilizzo dei
dispositivi di videosorveglianza per
controllare a distanza i lavoratori.
Insomma, via libera alle telecamere, ma a
patto che vengano usate solo per difendersi
dai vandali oppure per scongiurare la
commissione di reati. Fermo restando, però,
che anche nel caso di utilizzo lecito, le
amministrazioni procedenti devono avvertire
i cittadini della presenza delle telecamere
con cartelli o altri mezzi.
Se le telecamere vengono installate
direttamente dalle scuole, è il dirigente
che deve avere cura di adempiere gli
obblighi di informazione. Mentre, se ad
installarle è il comune, dovrà provvedere il
sindaco. In ogni caso è da escludere che le
telecamere possano essere destinate al
controllo a distanza dei lavoratori, docenti
o non docenti che siano.
La sopravvivenza del divieto, previsto in
via generale dallo statuto dei lavoratori
(legge 300/70) rileva chiaramente
incrociando le disposizioni del garante,
nella sintesi fornita dal ministero guidato
da Roberto Maroni, le quali dispongono che:
«È vietato comunque il controllo a
distanza dei lavoratori, sia all'interno
degli edifici sia in altri luoghi di lavoro.».
E, nel caso delle scuole, ne limitano
l'utilizzo «solo negli orari di chiusura.».
Dunque, nel periodo in cui le prestazioni di
lavoro sono sospese e i lavoratori sono a
casa. Restano fermi gli obblighi di
informazione previsti in via generale dal
provvedimento del garante dell'8 aprile. E
dunque, i cittadini che transitano nelle
aree sorvegliate devono essere informati con
cartelli della presenza delle telecamere, i
cartelli devono essere resi visibili anche
quando il sistema di videosorveglianza è
attivo in orario notturno.
Le telecamere istallate a fini di tutela
dell'ordine e della sicurezza pubblica non
devono essere segnalate
(articolo ItaliaOggi
del 31.08.2010, pag. 33). |
PUBBLICO IMPIEGO: Doppi
incarichi, scattano le multe. La Gdf inizia
a sanzionare le consulenze non autorizzate.
Brunetta e le Fiamme gialle hanno deciso: la
norma del T.u. va applicata. Recuperato un
milione.
Rispetto al valore totale delle consulenze
affidate dalla p.a. (1,4 miliardi nel 2009,
ma la cifra, secondo la Funzione pubblica è
destinata a salire a 2,5 miliardi se si
considerano quelle non dichiarate) il
milione di euro, recuperato dalla Guardia di
finanza di Roma per violazione delle norme
sulle incompatibilità nel pubblico impiego,
può apparire una goccia nel mare.
Ma è anche il segnale che Brunetta e le
Fiamme Gialle (con cui il ministro ha
sottoscritto un protocollo d'intesa)
intendono fare sul serio, pretendendo dalle
amministrazioni il rispetto dell'art. 53 del
T.u. (dlgs 165/2001) che punisce il
conferimento di incarichi senza
autorizzazione e la mancata comunicazione
dei compensi con una sanzione amministrativa
pari al doppio dell'importo corrisposto.
Una norma di trasparenza vecchia di 14 anni
(ha fatto la comparsa nel nostro ordinamento
con la Finanziaria del 1997, la legge
662/1996, prima di essere recepita nel T.u.)
ma sempre disattesa anche perché mai le
amministrazioni e i dipendenti pubblici non
in regola venivano sanzionati.
Ora però la Guardia di finanza ha deciso di
iniziare a far scattare le prime multe. I
controlli hanno riguardato, in particolare,
11 tra dirigenti e funzionari pubblici che
hanno svolto complessivamente 83 consulenze,
a vario titolo, nei confronti di enti
pubblici e privati. Senza aver mai chiesto
il benestare alle amministrazioni di
appartenenza o senza che queste ultime
abbiano mai comunicato all'Anagrafe delle
prestazioni (la banca dati degli incarichi
attivata dalla Funzione pubblica) i compensi
erogati.
Gli uomini del comando provinciale di Roma e
del nucleo speciale spesa pubblica e
repressione frodi comunitarie hanno multato
le amministrazioni committenti per 800.000
euro e hanno recuperato 245.000 euro dai
pubblici dipendenti che hanno svolto
incarichi in difetto di autorizzazione.
Nell'elenco dei cattivi sono finiti
l'avvocatura generale dello stato, la
regione Lazio, dirigenti della regione
Piemonte che svolgevano consulenze nella
Capitale per conto di un ente pubblico
economico, svariati comuni della provincia
di Roma (Castelnuovo di porto, Sacrofano) e
persino un ex ministro dei lavori pubblici
per consulenze affidate a un ingegnere del
ministero in sospetto conflitto d'interesse.
E a quanto pare è solo l'inizio perché la
Gdf sembra aver già individuato il prossimo
obiettivo: la Rai. Dove in passato numerosi
dipendenti pubblici hanno svolto incarichi
non autorizzati e di valore economico
ignoto. Basterà incrociare i dati del
modello 770 (compilato dai sostituti
d'imposta) e risalire agli enti committenti
(e, se del caso, inadempienti all'obbligo di
comunicazione) sarà un gioco da ragazzi,
assicurano le Fiamme gialle. Ma a questo
punto la domanda è d'obbligo: perché ci sono
voluti 14 anni?
(articolo ItaliaOggi
del 27.08.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Contratti
locali, cura dimagrante. Integrativi
limitati alla ripartizione del fondo risorse
decentrate. Tutte le novità introdotte dalla
manovra d'estate (legge 122/2010) in materia
di personale.
La contrattazione
collettiva decentrata integrativa può nel
prossimo triennio, a seguito delle
prescrizioni dettate dalla manovra (legge
122/2010) svolgersi esclusivamente per la
ripartizione annuale del fondo per le
risorse decentrate. E, in tale ambito, deve
scontare i vincoli dettati per la riduzione
del suo importo, nonché per la imposizione
di un tetto al trattamento economico
individuale.
Sono, come ben si vede, molti e di grande
rilievo gli effetti determinati dalla
finanziaria d'estate sulla contrattazione a
livello locale.
Effetti a cui si aggiunge il blocco del
rinnovo del contratto nazionale per il
triennio 2010/2012, cioè per il primo
destinato a coprire, sia per gli aspetti
normativi che per quelli economici, un arco
triennale, al posto dei vecchi contratti di
durata quadriennale per gli aspetti
normativi e biennale per quelli economici.
Se vogliamo sintetizzare queste novità
l'espressione migliore è «drastica cura
dimagrante» imposta alla contrattazione,
senza dimenticare che già il dlgs n.
150/2009 si caratterizza per scelte che
vanno nella stessa direzione. La manovra
(articolo 9, comma 17) blocca per il
triennio 2010/2012 e «senza possibilità
di recupero... le procedure contrattuali e
negoziali»; viene fatta salva unicamente
la indennità di vacanza contrattuale.
Quando il legislatore si riferisce alle «procedure
contrattuali e negoziali» dobbiamo
intendere tale disposizione come la formula
usata per comprendere nel blocco sia il
personale pubblico cd contrattualizzato che
quello cd non contrattualizzato, per il
quale non vengono stipulati contratti, ma
solo intese che sono poi recepite con
provvedimenti quali i dpr. La formula, come
si vede, è assai ampia e non è limitata alla
sola contrattazione collettiva nazionale: di
conseguenza essa comprende anche i contratti
collettivi decentrati integrativi.
Ricordiamo che, sulla base delle regole
dettate dal dlgs n. 165/2001, la
contrattazione nel pubblico impiego avviene
su due livelli, nazionale e decentrato, che
l'arco di validità delle intese è lo stesso
e che vi è una supremazia gerarchica del
livello nazionale su quello decentrato,
supremazia che si manifesta soprattutto
nella scelta delle materie.
Ricordiamo anche che le regole in vigore
negli enti locali ci dicono che la
contrattazione decentrata si svolge in un
unico arco temporale ed ha carattere
unitario. Per cui nel triennio 2010/2012 non
si potrà dare luogo nelle singole
amministrazioni alla stipula del contratto
decentrato valevole per tale arco temporale:
di qui la conseguenza che continuerà ad
applicarsi, per quanto possibile, l'ultimo
contratto stipulato.
Da sottolineare che questa disposizione
impatta in misura assai rilevante con la
necessità di adattare i contratti decentrati
alle novità determinate dalla entrata in
vigore del dlgs n. 150/2009, cioè la cd
legge Brunetta: essa dà tempo alle
amministrazioni dello stato fino al prossimo
31 dicembre ed agli enti locali, di fatto,
fino alla fine del 2012 per modificare i
contratti decentrati in modo da adattarli
alle novità da essa introdotte. Arriviamo
così alla seconda rilevante novità: la
riduzione del fondo per le risorse
decentrate.
Siamo in presenza di una novità pressoché
assoluta negli enti locali; infatti fino
alla entrata in vigore del dl n. 78/2010
questa possibilità era prevista in termini
generali per le amministrazioni dello stato
ed era estensibile per la parte variabile
del fondo anche agli enti locali. Uno
specifico vincolo alla riduzione era
previsto solamente nel caso di
esternalizzazione di attività con
conseguente trasferimento di una parte del
personale. Adesso invece la riduzione viene
prevista in ben due forme.
In primo luogo il legislatore all'articolo
9, comma 2-bis, stabilisce che in caso di
riduzione del numero dei dipendenti (il che
a partire dal 2011 si realizzerà
progressivamente in tutti gli enti a seguito
dei drastici vincoli imposti alle
assunzioni) la consistenza del fondo deve
essere ridotta in modo automatico e
proporzionale. Siamo in presenza di un
taglio che deve essere effettuato,
innanzitutto, sulla parte stabile. E inoltre
viene stabilito dall'articolo 14, comma 7,
che questo strumento può essere
discrezionalmente utilizzato al fine di
pervenire al rispetto dei vincoli dettati
alla spesa per il personale.
Nella ripartizione del fondo la
contrattazione collettiva deve tenere conto
degli effetti che le nuove disposizioni di
legge producono sulle progressioni
economiche. La cd legge Brunetta ha già
previsto che esse debbano svolgersi con una
procedura selettiva ed interessare una quota
limitata di dipendenti.
Con la manovra estiva viene aggiunto il
tetto al trattamento economico individuale,
tetto che sicuramente riguarda sia lo
stipendio che quelle indennità che hanno
natura formalmente di salario accessorio, ma
che per il loro carattere fisso possono
essere considerate come una componente del
trattamento economico fondamentale. Per cui
di fatto siamo in presenza di una
impossibilità di riconoscere progressioni
economiche nell'arco del triennio 2010/2012,
fatte salve quelle erogate con decorrenza
dall'01/01/2010 (in questo caso infatti il
beneficio si estende per l'intero anno)
(articolo ItaliaOggi
del 27.08.2010, pag. 28 - link a www.corteconti.it). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE: Comuni,
dipendenti senza Irap. L'imposta non può
gravare sugli incentivi a progettisti e
legali. Nonostante la giurisprudenza della
Corte dei conti il dibattito rimane aperto
tra gli operatori.
L'Irap sugli incentivi
ai progettisti e legali delle pubbliche
amministrazioni non può gravare sui compensi
loro spettanti.
Nonostante la deliberazione della Corte dei
Conti, sezioni riunite, n. 33/2010 rimane
ancora aperto in dottrina e tra gli
operatori un vero e proprio contrasto
interpretativo, meritevole probabilmente di
ulteriori e più lineari interventi.
Pomo della discordia è il passaggio nel
quale le sezioni riunite affermano «ai
fini della quantificazione dei fondi per
l'incentivazione e per le avvocature
interne, vanno accantonate, a fini di
copertura, rendendole indisponibili, le
somme che gravano sull'ente per oneri
fiscali, nella specie, a titolo di Irap.
Quantificati i fondi nel modo indicato, i
compensi vanno corrisposti al netto,
rispettivamente, degli «oneri assicurativi e
previdenziali» e degli «oneri riflessi», che
non includono, per le ragioni sopra
indicate, l'Irap. L'Irap correlata a tali
compensi, pertanto, costituisce, secondo le
regole generali, un onere diretto a carico
dell'ente datore di lavoro, senza
possibilità di trasferimento sul dipendente».
Vi è chi ritiene di concludere, sulla base
dell'indicazione vista sopra, che una volta
determinato il fondo al netto degli oneri
previdenziali, così da ricavare la base
imponibile Irap e quantificarne l'importo,
esso vada scorporato dal fondo. Dunque, ai
dipendenti pubblici interessati può essere
erogato il compenso incentivante dimagrito
dell'Irap.
In effetti, come dimostra la tabella A, con
questo tipo di conteggio, posto che il fondo
incentivante sia 100 (lo 0,50% di una base
di gara di 20.000 euro), lo scorporo
dell'Irap mantiene in 100 l'entità del
fondo. Contabilmente, dunque, l'ente non
aggiunge i costi dell'Irap.
Ma questa lettura della norma abbatte il
reddito del dipendente. Sicché si verifica
il fenomeno che le sezioni riunite della
Corte dei conti hanno voluto scongiurare:
riversare sul lavoratore l'onere di
un'imposta che, invece, grava esclusivamente
sul datore di lavoro.
Allora, si può prospettare una soluzione
diversa, come quella proposta nella tabella
B. Le sezioni riunite, a ben vedere,
affermano che l'Irap debba essere
accantonata «ai fini della quantificazione
dei fondi», per essere compresa nel quadro
della spesa e non generare buchi di
bilancio. Ciò significa che l'Irap concorre
alla quantificazione del fondo, il quale è
da ritenere non risulti costituito solo
dalla semplice operazione di applicare lo
0,50% sul valore dell'importo a base di
gara; ad esso si può supporre vada aggiunta
l'Irap in precedenza quantificata ed allo
scopo accantonata, in modo tale che l'ente
possa attingere per l'impegno della spesa
relativa a tale imposta al fondo
incentivante stesso. L'accantonamento,
insomma, non avrebbe lo scopo di scorporare
l'imposta.
Solo in questo modo l'imposta graverebbe
esclusivamente sul datore di lavoro, senza
ribaltamenti nei confronti dei lavoratori,
che trasformerebbero nella sostanza l'Irap
in quello che la magistratura contabile ha
esplicitamente negato che sia: un onere
riflesso. Risulterebbe fondamentale,
tuttavia, una presa di posizione più chiara
e netta della Corte dei conti, corredata di
uno strumento per dare un contenuto
contabile alle proprie conclusioni
(articolo ItaliaOggi
del 27.08.2010, pag. 29 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI: Le
misure del piano straordinario antimafia per
prevenire le infiltrazioni criminali. Nulli
i contratti non tracciabili. Pagamenti delle
commesse pubbliche solo su conti dedicati.
A rischio di nullità i contratti di appalto
delle commesse pubbliche qualora i relativi
pagamenti non risultino canalizzati. Tale
tracciabilità obbligatoria dei flussi
finanziari viene estesa a tutta la filiera
degli appalti e dei concessionari di
finanziamenti pubblici.
Pesanti sanzioni ad hoc per tutte le ipotesi
di inosservanza delle regole di
tracciabilità.
È quanto deriva da alcune delle previsioni
della legge 13/8/2010, n. 136 recante:
«Piano straordinario contro le mafie, nonché
delega al governo in materia di normativa
antimafia», pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale n. 196 del 23/8/2010 il cui testo
entrerà in vigore dal 7/9/2010.
La verifica dei flussi
finanziari.
Sempre più stringenti i cosiddetti controlli
antimafia per prevenire ogni possibile
infiltrazione di tipo criminale nella
contrattualistica pubblica (sul tema si veda
ItaliaOggi del 24/8/2010). Da ciò deriva
l'obbligo, introdotto dall'art. 3 della
legge 136/2010, della tracciabilità dei
flussi finanziari a carico di appaltatori,
subappaltatori e subcontraenti della
filiera, per le transazioni relative a
lavori, servizi, forniture pubbliche e
gestione dei finanziamenti.
In particolare, la legge impone agli
operatori delle imprese a qualsiasi titolo
interessate ai citati contratti, ad
utilizzare uno o più conti correnti bancari
o postali dedicati alle pubbliche commesse.
Sulla scorta anche dell'esperienza del
decreto legge per la ricostruzione in
Abruzzo (dl 139/2009, convertito nella legge
77/2009) la norma prevede che su detti conti
devono essere appoggiati tutti i movimenti
finanziari (incassi e pagamenti), di
qualsiasi importo (fatta eccezione per le
piccole spese di cantiere di importo
giornaliero di massimo 500 euro), da e verso
altri conti, connessi all'esecuzione del
contratto, sub-contratto o affidamento e
finalizzati alla realizzazione
dell'intervento.
Sul punto occorre precisare due aspetti. Per
il primo, si rileva che i conti devono
essere dedicati, ma possono esserlo: «Anche
non in via esclusiva alle commesse pubbliche»,
ossia gli stessi potrebbero essere impiegati
anche per transazioni che non rientrino
nell'oggetto del contratto di appalto,
tuttavia, il successivo comma 4 ha cura di
precisare che ove per il pagamento di spese
estranee ai lavori, ai servizi e alle
forniture in commento, sia necessario il
ricorso a somme provenienti da conti
dedicati, questi ultimi possono essere
successivamente reintegrati mediante
bonifico bancario o postale. Mentre, ciò che
non appare assolutamente ammissibile è il
pagamento, anche solo «provvisoriamente», di
operazioni attinenti i citati contratti con
fondi provenienti da conti diversi da quelli
dedicati o con metodi alternativi ai
bonifici.
In merito al secondo, si fa notare che i
conti dedicati possono essere accesi
esclusivamente presso banche o presso la
società Poste italiane s.p.a. e non invece,
presso tutti i soggetti definiti «intermediari
finanziari e altri soggetti esercenti
attività finanziaria» ai fini della
normativa antiriciclaggio, dall'art. 11 del
decreto legislativo 231/2001.
Unica eccezione prevista all'impiego dello
strumento del bonifico si rinviene nella
possibilità, fermo restando l'obbligo di
documentazione della spesa, di pagamenti in
favore di enti previdenziali, assicurativi,
istituzionali e quelli in favore di gestori
e fornitori di pubblici servizi, ovvero
quelli riguardanti tributi, nonché per le
piccole spese giornaliere, di importo fino a
500 euro, salvo ribadire, tuttavia per
queste ultime, il divieto di impiego del
contante.
I presìdi per il
monitoraggio.
Tutte le movimentazioni relative al
contratto di appalto, ai fini della
tracciabilità dei flussi, dovranno essere
appositamente targati riportando nella
causale del bonifico bancario o postale
l'indicazione del Cup ossia del codice unico
di progetto relativo all'investimento
pubblico sottostante. Articolata la
procedura di rilascio del Cup che deve
essere richiesto alla Stazione unica
appaltante (Sua) che opera da tramite fra il
Dipartimento per la programmazione della
politica economica e gli appaltatori i quali
comunicano alla stessa gli estremi
identificativi dei conti correnti dedicati
entro sette giorni dalla loro accensione,
nonché le generalità e il codice fiscale
delle persone delegate ad operare su di
essi.
La Sua, che ricalca le centrali di
committenza previste dall'art. 33 del Codice
degli appalti (dlgs. 163/2006), verrà
istituita in ambito regionale con un decreto
del presidente del consiglio dei ministri,
da adottare entro sei mesi dall'entrata in
vigore del provvedimento in oggetto.
Interessante segnalare, in proposito, che la
regione Calabria è stata la prima ad
adottare tale sistema centralizzato
istituendo la propria Sua, che è già
operativa con legge regionale 7/12/2007, n.
26.
Nullità dei contratti e
clausola risolutiva espressa.
Viene prevista una doppia barriera difensiva
per i contratti in commento che sono
sottoposti a nullità assoluta qualora non
prevedano la clausola di assunzione
dell'obbligo di tracciabilità e a
risoluzione espressa dell'accordo qualora le
transazioni finanziarie siano eseguite senza
avvalersi di banche o Poste Italiane spa.
Molto efficaci, in ottica giuridica, quindi,
le tutele poste all'osservanza delle norme
sulla tracciabilità in aggiunta alle
previsioni sanzionatorie. Si tratta, in
pratica, del vincolo di inserire, da parte
della Sua, nei contratti sottoscritti con
gli appaltatori, una specifica clausola di
assunzione dell'obbligo di tracciabilità dei
flussi.
Detta clausola agisce a pena di nullità
assoluta del contratto, ossia comporta una
invalidità a monte del contratto, insanabile
e nei confronti di tutti i soggetti ai sensi
dell'articolo 1418 c.c. Inoltre, il
contratto deve essere munito, della clausola
risolutiva espressa ai sensi dell'art. 1456
c.c. che preveda la risoluzione immediata
dello stesso allorché le transazioni
finanziarie siano state eseguite senza
avvalersi di banche o Poste. Per di più la
norma precisa che qualsiasi soggetto che
abbia notizia dell'inadempimento della
propria controparte agli obblighi di
tracciabilità deve procedere all'immediata
risoluzione del rapporto contrattuale,
informandone contestualmente la Sua e la
prefettura-ufficio territoriale del governo
territorialmente competente.
Le medesime regole devono essere osservate
anche nei contratti sottoscritti con i
subappaltatori e i subcontraenti della
filiera delle imprese a qualsiasi titolo
interessate ai lavori.
Le sanzioni.
Per i contratti che superano la prova della
nullità e della risoluzione, la norma
ipotizza una serie di deterrenti ad hoc a
salvaguardia della trasparenza delle
movimentazioni e della correttezza
nell'aggiudicazione degli appalti che
consistono sia in sanzioni amministrative
pecuniarie ai sensi dell'art. 6 (per le
quali si paventa, tuttavia, la possibilità
di pagamento in misura ridotta con
applicazione dell'oblazione di cui all'art.
16 della legge 689/1981), sia in apposite
previsioni del codice penale, riepilogate
nella tabella in pagina
(articolo ItaliaOggi
del 26.08.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Rimborsi
auto vietati. Non per tutti. Il giro di vite
vale solo per il personale che svolge
attività ispettiva. Un parere del
Friuli-Venezia Giulia prova a restringere il
campo di applicazione della manovra.
Il divieto di rimborsare
il costo di un quinto della benzina ai
dipendenti pubblici che utilizzino l'auto
propria vale solo per il personale adibito
ad attività ispettiva.
Una flebile luce nel buio del garbuglio
interpretativo determinato dall'articolo 6,
comma 12, della legge 122/2010 prova a
gettarla la regioni Friuli-Venezia Giulia,
che col parere n. 10693/2010 ritiene di
poter restringerne il campo di applicazione.
Secondo il parere regionale la
disapplicazione del rimborso chilometrico ai
dipendenti che facciano uso dell'auto
propria, quindi, riguarda non ha portata
generale. Non coinvolge, dunque, il
personale autorizzato all'uso del proprio
automezzo per ordinarie ragioni di servizio,
ma solo il personale che, per lo svolgimento
di funzioni ispettive, abbia frequente
necessità di spostarsi.
Insomma, la regioni Friuli attribuisce
rilievo interpretativo decisivo alla lettera
espressa dell'articolo 15, comma 1, della
legge 836/1973, che essendo riferito in modo
chiaro solo ai dipendenti incaricati di
funzioni ispettive solo nei confronti di
questi esplica i suoi effetti.
Si tratta di un'interpretazione certamente
volta a superare i problemi enormi posti
dalla norma, la quale viene, oltre tutto,
letta in modo erroneo (anche a causa della
relazione alla legge 122/2010 redatta dal
Servizio studi del Senato) quale divieto sia
di utilizzare l'auto propria, sia di
autorizzare tale utilizzo, da parte della
dirigenza.
Molti enti ritengono che, pur non potendo
pretendere il diritto al rimborso
chilometrico, il dipendente che utilizzi
l'auto propria ed il dirigente che lo
autorizzi commetterebbero un'infrazione
disciplinare. Si tratta, tuttavia, di una
lettura abnorme, perché non tiene conto che
il legislatore ha disapplicato gli articoli
15 della legge 836/1973 e 8 della legge
417/1978 (che ha introdotto l'indennità
chilometrica pari al quinto del costo della
benzina), ma non l'articolo 9 della medesima
legge 417/1978.
Tale ultima norma prevede espressamente: «Quando
particolari esigenze di servizio lo
impongano qualora risulti economicamente più
conveniente, l'uso del proprio mezzo di
trasporto può essere autorizzato, con
provvedimento motivato, anche oltre i limiti
della circoscrizione provinciale».
Pertanto, nell'ordinamento rimane radicato
in modo indubitabile il principio secondo il
quale in assenza di alternative e,
soprattutto, se risulti più conveniente (si
deve pensare sia sul piano finanziario, sia
sul piano organizzativo), il dipendente
pubblico può, o addirittura deve essere
autorizzato ad utilizzare il proprio mezzo
di trasporto privato, senza che ciò comporti
violazione disciplinare alcuna.
Secondo la regione Friuli Venezia Giulia, in
ogni caso, per i dipendenti non incaricati
di funzioni ispettive la disapplicazione
dell'indennità chilometrica non opererebbe.
Il che consentirebbe, dunque, al dipendente
di una sede staccata di un ente di
utilizzare la propria vettura per
partecipare, ad esempio, a corsi di
formazione indetti presso la sede centrale o
partecipare a riunioni di lavoro.
La lettura fornita dal parere della regione
ha il pregio di tentare di superare gli
ostacoli organizzativi posti da una norma
certamente frettolosa ed oscura nei
contenuti. Tuttavia, si presta ad una
obiezione: l'articolo 6, comma 12, della
legge 122/2010 ha disapplicato non solo le
leggi poste a disciplinare l'indennità
chilometrica, ma anche tutte le norme
contrattuali in materia.
Insomma, in assenza di una lettura ufficiale
governativa o, meglio, di una correzione o
abolizione della disposizione, è doveroso
evidenziare la sua portata erga omnes,
in quanto essa ha del tutto privato le
amministrazioni del titolo giuridico per
poter erogare il rimborso.
A questo punto potrebbero aprirsi spazi per
una regolamentazione autonoma degli enti,
alla luce del combinato disposto degli
articoli 9 della legge 417/1978 e
dell'articolo 12 della legge 836/1973, per
effetto del quale l'impiego delle vetture
private è certamente ammissibile e
meritevole di un ovvio rimborso.
L'autonomia organizzativa e finanziaria
degli enti locali, in particolare, può
consentire loro di emanare norme
regolamentari che definiscano in modo chiaro
condizioni e presupposti per erogare
l'indennità, definendone anche l'importo
ovviamente in misura non superiore a quella
della norma disapplicata
(articolo ItaliaOggi
del 25.08.2010, pag. 23). |
APPALTI: In
Gazzetta la legge sulla normativa antimafia.
Nuovi reati e stazione appaltante unica in
regione. Appalti, flussi finanziari
pedinabili. Conti dedicati obbligatori e
tracciabilità di compensi e incentivi.
I flussi finanziari di
chi partecipa alle gare di appalto e quelli
di chi beneficia di finanziamenti pubblici
devono essere pedinabili. Cioè tracciabili,
attraverso conti correnti dedicati. In caso
contrario le sanzioni che scatteranno
potranno andare dal 2 al 10% del valore
della transazione.
Viene, inoltre, introdotto il meccanismo
della stazione unica appaltante a livello
regionale, cambiano al rialzo le pene
relative al reato di turbativa d'asta
(reclusione da sei mesi a cinque anni) e
arriva una nuova fattispecie di reato, in
relazione alla turbativa del procedimento di
scelta del contraente.
È quanto prevede la nuova legge n. 136 del
13.08.2010, recante il «piano
straordinario contro le mafie, nonché la
delega al governo in materia di normativa
antimafia»; legge approvata a inizio
agosto (si veda ItaliaOggi del 6/6/2010) e
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 197
del 23/08/2010.
La normativa dispone maggiori controlli sul
cantiere e, come detto, reca deleghe al
governo per riformare la normativa e la
documentazione antimafia. In particolare,
prevede che l'esecutivo emani due
provvedimenti: un decreto legislativo
recante il codice delle leggi antimafia e
delle misure di prevenzione e un decreto di
riordino della documentazione antimafia.
Il ministro dell'interno, Roberto Maroni,
considera il Piano un passo in avanti verso
la sconfitta definitiva delle mafie. «Sono
convinto», ha detto in proposito, «che
lo straordinario programma-progetto di
sconfiggere la criminalità organizzata entro
i prossimi tre anni, possa essere raggiunto.
Questo provvedimento», ha chiosato, «si
aggiunge a quelli approvati negli ultimi due
anni, che hanno portato a risultati
straordinari» sul piano del contrasto
alle mafie.
Numeri, che a inizio agosto il governo
quantificava in 26 dei 30 latitanti più
pericolosi catturati e nel sequestro e
confisca di beni per oltre 13 miliardi di
euro. Del resto, la legge, nota come «Piano
antimafie» detta importanti norme di
immediata applicazione; quella sulla
tracciabilità dei flussi finanziari è solo
una, anche se tra le più efficaci. In
particolare, mettendo a regime quanto già
previsto per l'Abruzzo e l'Expo 2015, la
legge stabilisce che gli operatori economici
coinvolti in appalti pubblici e i soggetti
destinatari di finanziamenti pubblici
utilizzino obbligatoriamente conti correnti
bancari o postali dedicati.
L'obbligo di prevedere la tracciabilità è
legato alla firma del contratto di appalto,
che privo di questa clausola è nullo. La
tracciabilità colpisce tutti gli operatori
in cantiere, siano essi fornitori,
subappaltatori, dipendenti e consulenti. In
sostanza, tutti coloro che vengono pagati
con bonifico bancario e postale.
Non solo. La norma si applica anche ai «concessionari
di finanziamenti pubblici anche europei, a
qualsiasi titolo interessati a lavori,
servizi e forniture pubblici». I conti
dedicati potranno essere accesi
esclusivamente presso le banche o presso la
società Poste italiane spa e tutti i
movimenti dovranno essere effettuati solo
tramite bonifico bancario o postale. Restano
esclusi dalla stretta i pagamenti in favore
di enti previdenziali, assicurativi e
istituzionali, quelli di fornitori e gestori
di pubblici servizi, nonché i pagamenti
riguardanti tributi.
Per questi adempimenti si potrà pagare con
altre modalità, oltre al bonifico. Se, poi,
verranno violate le norme sulla
tracciabilità, potranno essere irrogate
sanzioni che andranno da un minimo del 2 a
un massimo del 10% del valore della
transazione. Per quel che concerne, invece,
il controllo degli automezzi adibiti al
trasporto dei materiali, si prevede che la
bolla di consegna del materiale impiegato
nei cantieri indichi il numero di targa e il
nominativo del proprietario degli automezzi
adibiti al trasporto del materiale medesimo.
Sono inoltre previste disposizioni volte ad
agevolare l'identificazione degli addetti
nei cantieri, integrando il contenuto delle
tessere di riconoscimento di cui al dlgs 09/04/2008, n. 81. La legge introduce anche
norme tese ad ampliare la platea dei
soggetti sottoposti alle verifiche e tenuti
all'obbligo di comunicare le variazioni
nell'entità e nella composizione del
patrimonio. Le verifiche potranno riguardare
sia la posizione fiscale sia la posizione
economica e patrimoniale del soggetto. E
avranno l'obiettivo di accertare illeciti
valutari, societari o di altro tipo, in
materia economica e finanziaria.
E' stato quindi inasprito il regime
sanzionatorio per il reato di «turbata
libertà degli incanti». Così, attraverso
una novella all'art. 353, primo comma, del
codice penale: si introduce il minimo
edittale di sei mesi di reclusione (il
massimo passa invece da due a cinque anni).
Viene poi introdotto il reato di «turbata
libertà del procedimento di scelta del
contraente», che ricorre nella condotta
di chi, con violenza o minaccia, o con doni,
promesse, collusioni o altri mezzi
fraudolenti, turba il procedimento
amministrativo diretto a stabilire il
contenuto del bando o di altro atto
equipollente al fine di condizionare le
modalità di scelta del contraente da parte
della amministrazione.
Il reato viene punito con la reclusione da
sei mesi a cinque anni e la multa da euro
130 a 1.032 euro. Si prevede infine
l'istituzione, in ambito regionale, di una
Stazione unica appaltante (Sua), ma potranno
anche essere più d'una in ogni regione, al
fine di garantire trasparenza, regolarità ed
economicità nella gestione degli appalti
pubblici di lavori e servizi e prevenire, in
tal modo, le infiltrazioni di natura
malavitosa.
Infine, con un decreto da emanare entro sei
mesi, dovrà essere stabilito quali enti,
organismi e società potranno aderire alla
Sua, quali saranno le attività e i servizi
svolti dalla Sua ai sensi dell'art. 33 del
Codice dei contratti (la Sua sarà nella
sostanza una centrale di committenza) e
quale sarà il contenuto delle convenzioni
che la Sua stipulerà con gli enti che
intendono aderire
(articolo ItaliaOggi
del 24.08.2010, pag. 19 - link a www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
INCARICHI PROFESSIONALI: Limiti
agli incarichi legali esterni. La mappatura
delle cause pendenti deve essere svolta
all'interno. La Corte dei conti ha
condannato il presidente dell'Anas a
risarcire 700 mila per danno erariale.
Le pubbliche
amministrazioni hanno l'obbligo di far
fronte alle ordinarie competenze
istituzionali con il migliore e il più
produttivo impiego delle risorse umane e
professionali di cui esse dispongono. È
ammesso il ricorso a incarichi e consulenze
professionali esterne soltanto in presenza
di specifiche condizioni quali la
straordinarietà e l'eccezionalità delle
esigenze da soddisfare, la carenza di
strutture e di personale idoneo, il
carattere limitato nel tempo e l'oggetto
circoscritto dell'incarico o della
consulenza.
Questo importante principio è stato
confermato, ancora una volta, dalla Corte
dei Conti, Sez. giurisdiz. della regione
Lazio, con la
sentenza 03.08.2010 n. 1598.
Nel caso in esame il presidente dell'Anas
era stato convenuto in giudizio per
rispondere del danno erariale derivato
all'ente per effetto dell'illecito
conferimento di incarichi professionali.
Più precisamente la controversia concerne
due contratti stipulati e aventi entrambi
per oggetto «l'incarico di provvedere
alla ricognizione e mappatura, intesa come
analisi delle cause, valutazione e
determinazione e classificazione dei rischi
collegati, del contenzioso pendente presso
il medesimo ente (circa 11.800 controversie)».
I due contratti, sostanzialmente uguali per
le condizioni, gli importi e il numero di
controversie da monitorare, prevedevano
l'esame delle pratiche e i corrispettivi
previsti erano determinati con l'indicazione
di un importo forfettario per ciascuna
pratica di monitoraggio, variabile da euro
2.390,00 +Iva ed euro 4.185,00 +Iva in
relazione alle tipologie di contenzioso.
Il procuratore regionale aveva ritenuto
comprovato un grave danno patrimoniale per
l'erario consistente nel compenso pagato per
le prestazioni oggetto dei contratti che
potevano essere svolte da personale
assegnato all' ufficio legale dell'ente il
cui numero di dipendenti era comunque
sufficiente per affidare la gestione
dell'analisi del contenzioso.
Il presidente convenuto aveva, invece,
evidenziato che la stipula dei due contratti
era stata determinata dalla necessità di
sopperire temporaneamente alla grave carenza
di personale e all'esistenza di notevoli
difficoltà, in termini di gestione ed
organizzazione, dovute all'esigenza di una
ristrutturazione dell'ente.
La Corte dei conti ha condannato il
presidente dell'Anas a pagare a favore
dell'ente la somma di euro 700 mila.
Secondo i giudici contabili, infatti, è
indubbia la responsabilità amministrativa
del presidente dell'Anas per aver conferito
a soggetti esterni, secondo un criterio «avulso
da qualsiasi previa ricognizione della
effettiva insufficienza di risorse
professionali interne», l'incarico di
provvedere alla ricognizione e mappatura di
tutto il contenzioso pendente.
È imputabile, poi, un comportamento
improntato a «colpa grave» dal momento che
ha agito in mancanza di un'idonea e
preventiva valutazione circa la sussistenza
dei presupposti necessari per il legittimo
conferimento degli incarichi esterni, e per
il conseguente pagamento della prestazione
professionale. Questo comportamento non può
che ritenersi ingiustificabile,
approssimativo e in aperto contrasto con il
principio di economicità nella spesa e,
quindi, in aperto contrasto con il principio
di buon andamento della p.a., ex art. 97
Cost.
Con la decisione in oggetto il collegio ha
anche precisato che, in casi particolari e
contingenti, può essere ammessa la
legittimazione della p.a. ad affidare
determinate attività all'opera di estranei
dotati di provata capacita professionale e
specifica conoscenza tecnica della materia
di cui vengono chiamati ad occuparsi. È però
necessario che si verifichino:
a) la straordinarietà e l'eccezionalità
delle esigenze da soddisfare;
b) la mancanza di strutture e di apparati
preordinati al loro soddisfacimento, ovvero,
pur in presenza di detta organizzazione, la
carenza, in relazione all'eccezionalità
delle finalità, del personale addetto, sia
sotto l'aspetto qualitativo che
quantitativo.
Sebbene nell'ordinamento non sussista un
generale divieto per la p.a. di ricorrere a
esternalizzazioni per l'assolvimento di
determinati compiti , tuttavia, il ricorso a
incarichi esterni non può essere attuato
violando tali condizioni e limiti
(articolo ItaliaOggi
del 02.09.2010, pag. 34 - link a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere di urbanizzazione a scomputo: il
ribasso d'asta va a vantaggio del privato,
se non scende sotto i valori tabellari degli
oneri dovuti.
Il sindaco del comune di Legnaro ha chiesto
un parere alla Corte dei Conti del Veneto,
ai sensi dell’art. 7, comma 8, della Legge 05.06.2003, n. 131, con un quesito che
prende le mosse da quanto affermato da
questa Sezione del controllo con la
deliberazione n. 148/2009/PAR in data 30.07. 2009.
Il Comune chiedeva se spettino
al comune i ribassi d’asta eventualmente
conseguiti in sede di gara rispetto al
corrispettivo astrattamente ed
aprioristicamente posto a base d’asta, per
quanto riguarda lo scomputo degli oneri di
urbanizzazione relativi ad opere previste
nelle convenzioni urbanistiche.
Con la deliberazione n. 94/2010/PAR la Corte
veneta ha risposto che: "Ritiene quindi la
Sezione che di fronte ad una operazione di
più ampio respiro, nella quale l’onere
assunto dal privato per la realizzazione di
opere di urbanizzazione primaria superi (e
non risulti quindi con essi in posizione di
corrispettività) gli oneri di
urbanizzazione, occorre procedere ad una
valutazione globale della fattispecie, di
modo che l’eventuale ribasso d’asta potrà
competere al privato (in applicazione, anche
in tal caso, ma in senso inverso, del
criterio del “giusto prezzo”) purché, come
suggerito dallo stesso Comune richiedente,
in casi limite, il ribasso d’asta non scenda
sotto i valori tabellari degli oneri dovuti.
Al di fuori di quest’ultima ipotesi,
infatti, il Comune sarebbe comunque
garantito che il valore delle opere da
realizzare superi comunque –a prescindere
dalla spettanza del ribasso d’asta– quanto
il privato avrebbe dovuto versare quali
oneri di urbanizzazione primaria..."
(commento tratto da http://venetoius.myblog.it
-
Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Veneto,
parere 28.07.2010 n.
94/2010). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Indennità
piena al sindaco-pensionato.
Il dimezzamento dell'indennità di carica per
gli amministratori locali, previsto
dall'articolo 82 del Tuel opera solo se
questi, non scegliendo di collocarsi in
aspettativa, siano titolari di un rapporto
di lavoro dipendente. Nessun taglio,
infatti, è previsto per gli amministratori
che durante il loro mandato siano titolari
di un trattamento pensionistico.
A sgombrare i dubbi sul trattamento
economico previsto per sindaci e assessori
degli enti locali ci ha pensato la sezione
regionale di controllo della Corte dei Conti
campana che con il
parere 22.07.2010 n. 106/2010 reso al
comune di Rocca d'Evandro (Ce), ha chiarito
la portata di quanto contenuto nel testo
dell'articolo 82 del dlgs n-267/2000.
Nei fatti oggetto del parere, il comune
casertano richiedeva l'intervento della
Corte in merito alla spettanza in misura
intera dell'indennità prevista dalla citata
disposizione nei confronti dell'ex sindaco
che già all'inizio del proprio mandato
consiliare aveva dichiarato di essere
titolare di un trattamento pensionistico di
anzianità.
La norma, infatti, prevede che ai componenti
degli organi esecutivi dei comuni, qualora
prestino attività di lavoro dipendente e non
abbiano chiesto l'aspettativa al proprio
datore di lavoro, la misura delle indennità
previste dalla legge sia concessa al 50%.
Una finalità, quella prevista dal
legislatore, che è quella di consentire
all'amministratore titolare di pubbliche
funzioni che presti contemporaneamente
servizio quale lavoratore dipendente, di
esercitare liberamente la scelta tra il
dedicarsi a tempo pieno al mandato
elettorale e il proseguire nella duplice
attività (quella di amministratore e
lavoratore). In tale ultimo caso, rileva la
Corte, l'amministratore deve giustamente
sopportare l'onere relativo alla riduzione
del 50% dell'indennità di funzione connessa
alla carica pubblica rivestita.
Questo complesso normativo, pertanto, non
può essere interpretato estensivamente, sino
a ricomprendere tra i destinatari della
previsione di riduzione, anche chi sia
titolare di un trattamento pensionistico. A
condizione che non svolgano
contemporaneamente alle funzioni elettive
anche altra attività lavorativa dipendente
in regime di cumulo con la pensione
(articolo ItaliaOggi
del 28.08.2010, pag. 24 - link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il Dirigente o Responsabile a tempo
determinato non può ricevere compensi extra
per incarichi professionali dallo stesso
ente.
La norma generale in tema di incarichi
conferiti dalle pubbliche amministrazioni a
soggetti esterni è contenuta nell’art. 7,
comma 6, del decreto legislativo 30.03.2001,
n. 165, ai sensi del quale: “per esigenze
cui non possono far fronte con personale in
servizio, le amministrazioni pubbliche
possono conferire incarichi individuali ad
esperti di provata competenza, determinando
preventivamente durata, luogo, oggetto e
compenso della collaborazione”.
A sua volta, l’art. 110, comma 6, del d.lgs.
18.08.2000, n. 267 (in linea di continuità
con il previgente art. 51, comma 7, della
legge n. 142/1990), prevede che “per
obiettivi determinati e con convenzioni a
termine, il regolamento [sull’ordinamento
degli uffici e dei servizi] può prevedere
collaborazioni esterne ad alto contenuto di
professionalità”.
Come è noto, poiché il conferimento di
incarichi professionali da parte delle
pubbliche amministrazioni costituisce una
problematica ricorrente, la giurisprudenza
di questa Corte ha delineato un orientamento
che può dirsi oramai consolidato.
Tenuto conto delle sempre più pressanti
esigenze di contenimento della spesa
pubblica, specie di quella corrente, un
punto fermo è costituito dal carattere
straordinario del ricorso ad apporti
esterni: la pubblica amministrazione, di
norma, è tenuta a perseguire i fini
istituzionali utilizzando il proprio
personale, talché l’incarico esterno è
consentito solo qualora non sia
ragionevolmente possibile provvedere con
personale interno, o perché l’attività che
deve essere svolta richiede un apporto
professionale particolarmente elevato sotto
il profilo tecnico-scientifico, oppure
perché sussista una oggettiva, oltre che
transitoria e contingente, impossibilità del
personale in organico a provvedervi. Con il
che un protrarsi nel tempo di un incarico
esterno di consulenza, non può che
confliggere con il principio costituzionale
di buon andamento della pubblica
amministrazione, poiché, diversamente,
assumerebbe i caratteri propri di un
rapporto lavorativo “parallelo” a
quello dei dipendenti di ruolo, modello non
in sintonia con il delineato quadro
ordinamentale.
In materia di consulenze, i criteri da
rispettare per considerare legittima la
scelta sono:
1) l’effettiva rispondenza degli incarichi
agli obiettivi dell’amministrazione
conferente;
2) la specificità e temporaneità
dell’incarico;
3) l’impossibilità di procurarsi le utilità
all’interno della propria organizzazione;
4) l’esistenza di un’adeguata motivazione
delle scelte;
5) la proporzione fra compensi ed utilità
conseguite (Corte conti, sez. III appello,
277 del 2002; Sez. riunite in sede di
controllo n. 46/CONTR/05; Sez. regionale di
controllo per la Campania n. 28/2008;
Autorità di vigilanza sui lavori pubblici,
determinazione n. 21/2000).
Per la risoluzione del caso in esame,
particolare rilevanza assume proprio il
citato punto 3 e cioè l’impossibilità, per
l’amministrazione pubblica, di procurarsi le
utilità all’interno della propria
organizzazione, condizione che lo stesso
art. 10, comma 1, ultimo periodo, del
regolamento sull’ordinamento degli uffici e
dei servizi comunali 15.07.1998, n. 160
espressamente evidenziava, laddove in esso
si afferma che “presupposto per
l’effettiva applicazione di tale facoltà è
l’assenza di analoghe professionalità
all’interno dell’ente”. Ne discende che
contrasta, all’evidenza, con la vigente
normativa e con i principi di razionale
organizzazione di una pubblica
amministrazione, che deve essere informata
ai canoni dell’economicità e della buona
gestione del pubblico denaro, incaricare un
intraneus per lo svolgimento di un
incarico esterno.
In effetti, l’omessa adeguata
predeterminazione delle sfere di competenza
degli uffici e le connesse responsabilità
proprie dei funzionari, comporta la
violazione dei più elementari principi
organizzativi ai quali le amministrazioni
pubbliche sono chiamate a conformare i
rispettivi ordinamenti per assicurare il
buon andamento e l'imparzialità
dell'amministrazione (Corte cost. n.
14/1962) e dunque per raggiungere una
razionale, predeterminata e stabile
distribuzione di compiti, per un esercizio
dell’azione amministrativa ispirata ai
canoni dell’efficacia, efficienza ed
economicità.
Sicché confligge con i predetti criteri di
razionalità ed economicità, corollari del
principio di buon andamento della pubblica
amministrazione (art. 97 Cost.), perimetrare
in modo angusto, sì da frazionare in modo
irrazionale le competenze degli uffici di
un’amministrazione pubblica, nella specie di
un Comune, con la riserva, via via, di
introdurre ulteriori ambiti competenziali,
comunque logicamente inerenti all’attività
di istituzionale dell’ente, asseritamente
conferibili attraverso la stipula di
contratti ad hoc a tempo determinato (art.
110, commi 1, 2 e 3, cit.) allo stesso
titolare dell’ufficio, da remunerare con
apposite indennità ad personam; tale
prassi, che fa leva su un mal concepito
ius variandi dell’amministrazione,
determina una violazione dei sopra ricordati
principi del buon andamento della pubblica
amministrazione e dell’onnicomprensività
della remunerazione. Altrettanto vale per le
ipotesi di attribuzione di incarichi di
collaborazione esterna dietro pagamento di
compensi stabiliti sulla base di tariffe
professionali (art. 110, comma 6, cit.)
aventi ad oggetto attività che ben
potrebbero essere fronteggiate con le
professionalità del personale già in
servizio presso l’Amministrazione.
E’ evidente che in questi casi, in astratto,
qualora sussista danno erariale, non possono
ritenersi immuni da responsabilità
amministrativa i titolari di quegli organi
dell’amministrazione pubblica che,
configurando in modo irrazionale, oltre che
irragionevole, l’organizzazione (nella
specie) di un Comune (o comunque di una
pubblica amministrazione), sotto il profilo
causale, cagionano o concorrono a cagionare
la produzione di un danno.
Come sopra evidenziato, i caratteri
dell’incarico dirigenziale ex art. 110,
commi 1 e 2, TUEL sono omogenei rispetto a
quelli conferiti ai dirigenti di “ruolo”;
sicché i primi, come i secondi, sono a pieno
titolo “intranei” all’amministrazione
comunale, con la conseguenza che anche per
essi vale il principio della
onnicomprensività e per l’amministrazione il
divieto di attribuire incarichi esterni a
soggetti interni alla medesima
amministrazione in possesso delle
professionalità richieste.
Da ciò discende che la retribuzione da
corrispondere al Mazzucca per la
progettazione e direzione dei lavori della
riqualificazione del centro storico di
Bomporto affidategli con deliberazione della
Giunta comunale n. 7 del 2004 (progettazione
definitiva ed esecutiva) non poteva essere
remunerata a tariffa professionale bensì in
base all’art. 18 “Incentivi e spese per
la progettazione” della legge
11.02.1994, n. 109 (Corte dei Conti, Sez.
giurisdiz. Emilia
Romagna,
sentenza 07.07.2010 n.
1222 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI: Parcelle,
meglio pagarle subito. Gli oneri per i
ritardi gravano sul sindaco e sul
segretario. Per la prima volta la Corte dei
conti esonera da responsabilità l'ufficio
tecnico del comune.
Il sindaco e il segretario comunale che
gestiscono per conto dell'ente la richiesta
di un libero professionista di pagamento
della parcella sono direttamente e
personalmente responsabili dei maggiori
oneri che si siano determinati a seguito dei
ritardi nella liquidazione della stessa e
quindi sono chiamati a sostenere
direttamente tali oneri aggiuntivi.
Il responsabile dell'ufficio tecnico, anche
se formalmente responsabile, deve essere
ritenuto esente nel caso in cui non abbia
svolto alcun ruolo concreto nella vicenda.
In un piccolo comune il sindaco svolge un
ruolo preponderante rispetto agli uffici e
ai suoi responsabili e il segretario ha un
dovere di carattere generale di garantire il
rispetto delle prescrizioni legislative.
Possono essere così riassunti i più
importanti principi fissati dalla
sentenza 30.06.2010 n. 268
della II Sez. centrale di appello della
Corte dei Conti.
Siamo in presenza di una sentenza che, per
alcuni aspetti, conferma la interpretazione
per cui le condotte che determinano un danno
in termini di aumento della spesa posta a
carico dell'ente sono da ritenere colpevoli,
salvo che si dimostri che si era rimasti
comunque nell'ambito del tentativo non
coronato da successo di contenere tali
oneri.
L'aspetto innovativo della sentenza è invece
quello di avere fatto prevalere, nella
individuazione dei soggetti responsabili, il
dato sostanziale, cioè coloro che hanno
realmente gestito una vicenda, sul dato
formale, colui che aveva tale compito sulla
carta. Logica che ha anche ispirato i
giudici contabili nella individuazione della
misura della sanzione, posta per il 70% in
capo al sindaco e per il 30% in capo al
segretario, cifra ovviamente riferita ai
maggiori oneri sostenuti dall'ente rispetto
alla richiesta.
Il caso concreto scaturisce dalla parcella
presentata da un professionista per la
liquidazione del proprio compenso, parcella
che è stata inizialmente ritenuta superiore
a quanto pattuito e che, successivamente
alla sua riconduzione entro gli ambiti di
quanto previsto, è stata liquidata solo dopo
un decreto ingiuntivo e, quindi, aumentata
dagli interessi e dalle spese.
La difesa aveva invece sostenuto che la
condotta del sindaco e del segretario era
immune da responsabilità in quanto non hanno
opposto ricorso al decreto ingiuntivo,
quindi non hanno aumentato le spese a carico
dell'ente. E che comunque la responsabilità
andava posta in capo al responsabile
dell'ufficio tecnico, in quanto soggetto
competente a determinare la liquidazione del
compenso stesso.
L'elemento del ruolo marginale svolto dal
responsabile dell'ufficio tecnico risulta
dalle dichiarazioni rese dal sindaco e dal
segretario, nonché dalla documentazione
esaminata dai giudici contabili, nonché
dalla constatazione della sua cessazione
dall'incarico prima della emanazione del
decreto ingiuntivo. Il combinato disposto di
tali elementi determina, e questo è un punto
su cui la sentenza ha una valenza per molti
aspetti innovativa, una attenuazione «della
compartecipazione del tecnico comunale nella
causazione dell'evento dannoso fino a
renderla insignificante sotto il profilo
soggettivo della colpa grave».
Viene dalla sentenza affermato che dal
momento in cui il decreto ingiuntivo è stato
notificato all'ente e non vi sono state
opposizioni, in capo all'amministrazione era
posto esclusivamente l'obbligo di provvedere
in questo senso. Non è stata da parte dei
giudici giudicata come meritevole di
accoglimento la tesi per cui gli interessati
si erano mossi per cercare di ottenere una
qualche forma di riduzione degli oneri posti
a carico dell'ente, mentre non si sono
opposti per non aumentare gli stessi: «proprio
la piena consapevolezza da parte degli
appellanti circa l'insussistenza di un
qualsiasi motivo giuridico per proporre
validamente opposizione al decreto
ingiuntivo, alla quale sarebbe seguita la
sicura soccombenza, connota ancora di più in
termini di colpa grave il loro comportamento
omissivo e contrario alle regole di buona
amministrazione».
Gli oneri devono essere posti soprattutto a
carico del sindaco sia per il suo ruolo di
vertice dell'amministrazione, sia perché nel
caso specifico è stato che «risulta avere
più frequentemente tenuto i contatti con
l'ingegnere, inserendosi in prima persona
nella gestione della vicenda», quindi
per il comportamento effettivamente seguito.
Mentre il segretario si è limitato a
smistare le richieste all'ufficio non
assumendo il necessario ruolo di dare corso
alle stesse e, di conseguenza, altro
elemento assai innovativo della sentenza,
per non avere “dato concreta attuazione
alle doverose misure tecnico-legali atte ad
evitare il danno erariale".
Da sottolineare infine che la responsabilità
è stata nel caso specifico conteggiata in
misura assai ampia, avendo ad oggetto tutte
le maggiori spese sostenute dall'ente,
quindi gli oneri «della procedura
esecutiva, conseguenti e consequenziali, con
gli interessi legali successivi e le spese
per l'esecuzione, per bolli e per l'atto di
precetto»
(articolo ItaliaOggi
del 03.09.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
ATTI AMMINISTRATIVI: Risarcibile
l'imprenditore leso nella sua immagine
dall'amministrazione. Tar Lazio
L'imprenditore leso nell'immagine va
risarcito dalla Pa.
Il TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, con la
sentenza 30.08.2010 n. 31996 ha
riconosciuto il danno esistenziale causato
da un provvedimento amministrativo
illegittimo.
Il danno non patrimoniale legato alla
lesione dell'immagine imprenditoriale in
seguito a un provvedimento illegittimo
adottato dall'amministrazione è risarcibile
anche in via equitativa.
Nel caso concreto, l'Agea, agenzia statale
per le erogazioni pubbliche nel settore
agricolo, in seguito a un'informativa
prefettizia antimafia, aveva disposto un
provvedimento di interdizione
dall'ottenimento di erogazioni pubbliche,
contratti, autorizzazioni e in generale
benefici. In realtà l'informativa faceva
riferimento a «taluni consiglieri» di
una società cooperativa, di cui il
ricorrente era socio, in quanto «legati
da vincoli di parentela con persone
sottoposte a misure di prevenzione».
Il ricorrente ha impugnato il provvedimento
interdittivo. Ne ha, infatti, dedotto
l'illegittimità per i seguenti motivi ai
censura: violazione e falsa applicazione
degli articoli 2,6 e io del Dpr 252/1998;
eccesso di potere per travisamento dei
fatti; illegittimità sotto altro profilo;
difetto di legittimazione a procedere e
carenza di interesse pubblico.
Peraltro, la stessa amministrazione aveva
disposto la sospensione dell'esecutività del
provvedimento, poi revocato in autotutela.
Nonostante la revoca, tuttavia, i legali del
ricorrente hanno rilevato la sussistenza di
un danno sia economico, sia non economico,
in termini di danno esistenziale.
In particolare, quanto al danno non
patrimoniale, la difesa del ricorrente si è
incentrata sull'immagine imprenditoriale
dello stesso nonché sul suo onore e decoro e
sulla sua reputazione personale, diritti
inviolabili della persona che troverebbero
la propria matrice costituzionale negli
articoli 2 e 3 della Costituzione, e sul
conseguente perturbamento psicologico per le
ripercussioni negative sul proprio stile di
vita, tra le quali, in particolare,
l'abbandono della carica di consigliere del
Cda della cooperativa nonché il
trasferimento del proprio domicilio e della
propria residenza in altro comune.
Il Tribunale amministrativo regionale del
Lazio ha rilevato come non possa essere
revocabile l'influenza negativa che il
provvedimento ha avuto sul piano
dell'immagine imprenditoriale, anche se
l'arco temporale di riferimento per valutare
i danni è stato limitato (inferiore ai tre
mesi).
Il Consiglio di Stato, inoltre, nella
sentenza 5266/2009, aveva stabilito che è
risarcibile anche invia equitativa
l'ingiusta lesione di interessi inerenti
alla persona, con riferimento ai diritti
inviolabili, di cui all'articolo 2 della
Costituzione. Inoltre, in giurisprudenza è
stato evidenziato «l'onere del
danneggiato di specificare gli elementi di
fatto dai quali assumere l'esistenza e
l'entità del danno» (Cassazione, sezioni
unite, n. 26972/2008)
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 02.09.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il TAR Milano espelle i cavalli dalle
zone urbanistiche B.
Afferma il TAR che in una zona classificata
dal vigente PRG come B1 (di consolidamento
in zone residenziali) è incompatibile dal
punto di vista urbanistico sia l’esercizio
dell’attività di equitazione e l’allevamento
di cavalli all’interno della Cascina Grande
sia il mantenimento dei cavalli da parte dei
soci all’interno della parte di ricovero in
Cascina Corte Grande, con la conseguenza che
è legittima l'ordinanza del comune che vieta
sia l'uno sia gli altri (esercizio
dell'attività, allevamento e mantenimento)
(commento tratto da http://venetoius.myblog.it
- TAR Lombardia-Milano,
ordinanza 27.08.2010 n. 908 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: P.a.,
attenuante per i fannulloni. Cassazione:
timbrare e uscire è truffa lieve.
Ha diritto
all'attenuante del valore lieve il
dipendente pubblico condannato per truffa
per aver timbrato e poi essere uscito solo
per qualche ora.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che,
con la
sentenza
24.08.2010 n. 32290, ha accolto (solo
sul fronte attenuante) il secondo motivo del
ricorso di un dipendente comunale condannato
per truffa perché usciva, dopo aver
timbrato, durante l'orario di lavoro.
I giudici di piazza Cavour, confermando la
condanna per truffa, hanno riconosciuto
all'uomo il diritto a uno sconto di pena,
date le assenze limitate a poche ore e
accertate solo in tre occasioni. In
particolare secondo la Cassazione «la
falsa attestazione del pubblico dipendente
circa la presenza in ufficio riportata sui
cartellini marcatempo o nei fogli di
presenza, è condotta fraudolenta, idonea
oggettivamente a indurre in errore
l'amministrazione di appartenenza circa la
presenza sul luogo di lavoro, ed è dunque
suscettibile di integrare il reato di truffa
aggravata, ove il pubblico dipendente si
allontani senza far risultare, mediante
timbratura del cartellino o della scheda
magnetica, i periodi di assenza, sempre che
siano da considerare, come nel caso
concreto, economicamente apprezzabili».
Va tuttavia riconosciuta l'«attenuante
del valore lieve» al dipendente qualora
le assenze siano limitate a poche ore. La
linea dura della Cassazione sui cosiddetti
fannulloni si è fatta sentire spesso in
questi ultimi due anni. Infatti la sentenza
depositata ieri suona un po' come una voce
fuori dal coro nel senso che diminuisce la
pena da scontare perché in caso di assenza
illegittima del lavoratore soltanto
sporadica.
In altre occasioni, invece, gli Ermellini si
sono limitati a confermare la condanna per
truffa della Corte d'appello nella misura
stabilita dai giudici di merito. Soltanto
l'anno scorso è stata depositata una
sentenza dalla seconda sezione penale del
Palazzaccio con la quale è stato usato il
pugno di ferro contro gli assenteisti.
Infatti in quell'occasione (sentenza n.
41471) i giudici affermarono che «rischia
il carcere per truffa aggravata consumata e
una multa il dipendente pubblico che si fa
timbrare il cartellino da un collega per
andarsene allo stadio. Ciò perché la sua
assenza dal lavoro costituisce un ingiusto
danno patrimoniale per l'ente pubblico (in
questo caso un comune) di cui è dipendente»
(articolo ItaliaOggi
del 25.08.2010, pag. 24 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI: Durc
irregolare, scarto irrilevante. Il Consiglio
di stato non ammette eccezioni.
L'irregolarità del Durc
non ammette eccezioni. Se un'impresa
presenta una certificazione negativa ciò
basta ad escluderla dall'appalto, a nulla
rilevando l'entità delle irregolarità, né
essendoci obbligo per il committente (la
stazione appaltante) di svolgere
un'istruttoria onde verificarne la gravità.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez.
V, aderendo all'indirizzo giurisprudenziale
prevalente in materia, nella
sentenza 24.08.2010 n. 5936.
La sentenza del Tar.
La decisione ha annullato una sentenza del
Tar Campania che, dando ragione ad
un'impresa esclusa da un appalto del comune
di Salerno, ha ritenuto fondata la tesi che,
a fronte di un Durc incompleto in quanto
privo di qualsiasi specificazione in ordine
all'importo dei contributi non pagati (da
cui la certificazione di irregolarità
contributiva dell'impresa esclusa
dall'appalto), la stazione appaltante (il
committente) non poteva decidere
l'esclusione dalla gara appunto perché,
sulla base del Durc, non era possibile
rendersi conto né della gravità
dell'infrazione né della sicura esistenza
della stessa.
La legge è legge.
La sentenza del Tar, spiega il Consiglio di
stato, ha trascurato che l'omissione di cui
è accusato il Durc (entità/gravità delle
infrazioni), non può di per sé determinare
l'assoluta invalidità giuridica e quindi
l'assoluta inutilizzabilità del documento
stesso. Infatti, quanto basta per la
appurare la regolarità contributiva è solo
ed esclusivamente il Durc, che opera una
verifica a una data ben precisa.
È vero, aggiunge il Cds, che la stazione
appaltante non si è preoccupata di
comprendere l'entità dell'irregolarità; come
è pur vero che alcune sentenze hanno
ritenuto non sufficiente il Durc ai fini
dell'attestazione di non regolarità
contributiva.
Tuttavia, l'orientamento giurisprudenziale
prevalente in materia porta a escludere che
le stazioni appaltanti debbano, in casi del
genere, svolgere un'apposita istruttoria per
verificare l'effettiva entità e gravità
delle irregolarità contributive. Più
ragionevole semmai, spiega il cds, sarebbe
stato che l'impresa interessata si fosse
preoccupata di verificare le risultanze del
Durc e quindi di far presente al committente
eventuali rettifiche prima della decisione
dell'esclusione dalla gara. In definitiva,
in adesione all'orientamento
giurisprudenziale prevalente, il consiglio
di stato riforma la sentenza del Tar
Campania
(articolo ItaliaOggi
del 28.08.2010, pag. 26). |
PUBBLICO IMPIEGO: Tar
Calabria: Progressioni verticali possibili
soltanto per bandi pre-riforma.
Le progressioni
verticali vecchia maniera' non sono pi
attuabili dal 15.11.2009, ma è possibile
concludere solo quelle previste in bandi
pubblicati prima dell'entrata in vigore del
decreto 150/2009.
Sono queste le conclusioni del TAR
Calabria-Reggio Calabria con la
sentenza 23.08.2010 n. 914.
Dopo diverse interpretazioni della Corte dei
conti, dell'Anci e della Funzione pubblica,
arriva il primo provvedimento
giurisdizionale sulle progressioni interne
che chiarisce la portata delle novità della
riforma Brunetta .
il decreto legislativo ha previsto notevoli
modifiche al Dlgs 165/2001 introducendo le
progressioni di carriera possibili solo
attuando una riserva non superiore al 50%
all'interno di un concorso. Inoltre, i
dipendenti devono possedere il titolo di
studio richiesto per l'accesso dall'esterno.
All'articolo 24 il legislatore aveva per
indicato il l'gennaio 2010 come termine per
poter utilizzarlo. Regioni ed autonomie
locali avranno, tuttavia, tempo di adeguarsi
sino al 31dicembre.
Per gli enti che applicano il decreto
267/2000 vi è poi una questione aggiuntiva,
cioè la sopravvivenza dell'articolo 91 del
medesimo Tuel secondo cui le amministrazioni
che «non versino nelle situazioni
strutturalmente deficitarie possono
prevedere concorsi interamente riservati al
personale dipendente, in relazione a
particolari profili o figure professionali
caratterizzati da una professionalità
acquisita esclusivamente all'interno
dell'ente». Norma mai abrogata o
disapplicata.
Nell'incertezza interpretativa diversi enti
si sono lanciati in azioni da foto finish,
come quella, molto diffusa, di adottare a
fine anno scorso delle delibere di modifica
della programmazione triennale del
fabbisogno di personale o di avvio delle
procedure della progressione.
Ma tutto ciò , secondo il Tar Calabria, è
inutile. Tra passato e futuro delle
progressioni verticali la scure è scesa
definitivamente il 15.11.2009, con l'entrata
in vigore della riforma Brunetta. I giudici,
peraltro, non vedono contraddizione tra
l'articolo 52 del Tuel e l'articolo 24 del
decreto legislativo 150/2009, il quale ha la
finalità di valorizzare e premiare le
risorse interne dotate di capacità e
preparazione.
Sulla questione della specialità (articolo
91 del Tuel) la sentenza ritiene che la
norma si debba considerare tacitamente
abrogata per incompatibilità con l'articolo
5 del decreto 165/2001 e, soprattutto, per
incompatibilità con l'articolo 52, comma
1-bis della legge 150/2009 che, per la
carriera dei dipendenti, afferma la regola
del concorso pubblico, con eventuale
previsione di riserva massima del 50% agli
interni.
Ci che attesta, quindi, la correttezza delle
progressioni verticali ante riforma è la
pubblicazione del bando. Nel caso in esame
la pubblicazione era avvenuta il 30 dicembre
scorso e quindi fuori tempo massimo. Il Tar
conclude, infine, precisando (in antitesi
con l'Anci) che il piano occupazionale,
anche se approvato prima dell'entrata in
vigore della legge, costituisce comunque un
atto generale di pianificazione,
suscettibile di divieti o limiti (articolo
Il Sole 24 Ore
del 02.09.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
È
illegittimo bandire un concorso pubblico
prima di avere espletato la procedura di
mobilità del personale.
L’articolo 30 del decreto legislativo
30.03.2001, n. 165, dopo aver fissato al
primo comma il principio della mobilità
volontaria a domanda (“1. Le
amministrazioni possono ricoprire posti
vacanti in organico mediante cessione del
contratto di lavoro di dipendenti
appartenenti alla stessa qualifica in
servizio presso altre amministrazioni, che
facciano domanda di trasferimento. Le
amministrazioni devono in ogni caso rendere
pubbliche le disponibilità dei posti in
organico da ricoprire attraverso passaggio
diretto di personale da altre
amministrazioni, fissando preventivamente i
criteri di scelta. Il trasferimento è
disposto previo parere favorevole dei
dirigenti responsabili dei servizi e degli
uffici cui il personale è o sarà assegnato
sulla base della professionalità in possesso
del dipendente in relazione al posto
ricoperto o da ricoprire”), al
successivo comma 2-bis, introdotto
dall’articolo 5, del decreto legislativo
31.01.2005, n. 7, convertito con
modificazioni dalla legge 31.03.2005, n. 43,
stabilisce che “Le amministrazioni, prima
di procedere all'espletamento di procedure
concorsuali, finalizzate alla copertura di
posti vacanti in organico, devono attivare
le procedure di mobilità di cui al comma 1,
provvedendo, in via prioritaria,
all'immissione in ruolo dei dipendenti,
provenienti da altre amministrazioni, in
posizione di comando o di fuori ruolo,
appartenenti alla stessa area funzionale,
che facciano domanda di trasferimento nei
ruoli delle amministrazioni in cui prestano
servizio. Il trasferimento è disposto, nei
limiti dei posti vacanti, con inquadramento
nell'area funzionale e posizione economica
corrispondente a quella posseduta presso le
amministrazioni di provenienza”.
Il tenore letterale di tale previsione, di
cui non è dubitabile in alcun modo
l’applicazione anche agli enti locali
(rientranti, ai sensi dell’articolo 1, comma
2, nell’ambito delle disposizione del citato
decreto legislativo 30.03.2001, n. 165), è
del tutto univoco nell’imporre alle
pubbliche amministrazioni che devono coprire
eventuali posti vacanti del proprio organico
di avviare le procedure di mobilità prima di
procedere all’espletamento delle procedure
concorsuali.
Tale obbligo ben si coordina con le
strategie volte a contemperare il prevalente
interesse pubblico alla razionalità
dell’organizzazione pubblica e alla
funzionalità dei suoi uffici, con le
esigenze di riduzione della spesa pubblica e
le aspirazioni dei pubblici dipendenti di
poter espletare la propria attività in
uffici quanto più possibili vicino alle
proprie abitazioni.
Né può sostenersi che una simile previsione
mortifichi e comprima irragionevolmente
l’autonomia delle singole amministrazioni a
bandire procedure concorsuali, atteso che
non sussiste alcun divieto in tal senso:
dando concreta attuazione al principio di
buon andamento ed efficienza che deve
connotare l’intera organizzazione
amministrativa, all’accertamento della
sussistenza di una vacanza di organico
l’amministrazione è tenuta innanzitutto ad
avviare la procedura di mobilità finalizzata
ad accertare l’esistenza di pubblici
dipendenti già in servizio, dotati della
necessaria professionalità, che si trovino
nella legittima condizione di poter
ricoprire il posto vacante; l’esito
infruttuoso di tale procedimento riespande
le facoltà dell’amministrazione di indire la
procedura concorsuale, ovviamente nel
rispetto delle cogenti disposizioni
finanziarie di contenimento della spesa
pubblica.
In altri termini il reclutamento dei
dipendenti pubblici avviene attraverso un
procedimento complesso nell’ambito del quale
la procedura concorsuale non è affatto
soppressa, ma è subordinata alla previa
obbligatoria attivazione della procedura di
mobilità, in attuazione dei fondamentali
principi di imparzialità e buon andamento,
predicati dall’articolo 97 della
Costituzione.
Non può pertanto neppure condividersi
l’assunto delle amministrazioni appellanti,
secondo cui la procedura di mobilità
riguarderebbe solo l’immissione in ruolo dei
dipendenti, provenienti da altre
amministrazioni, in posizione di comando o
di fuori ruolo, in quanto, dalla corretta
esegesi dalla disposizione in questione, si
evince agevolmente che tale categoria di
personale deve essere solo sistemata in
ruolo con priorità rispetto agli altri
dipendenti che hanno partecipato alla
procedura di mobilità e non già che la
procedura di mobilità sia esclusivamente
riservata alla predetta categoria di
dipendenti (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 18.08.2010 n. 5830 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Mobbing,
processo senza stop.
Il giudizio promosso dal lavoratore che
chiede il risarcimento del danno da mobbing
non dev'essere sospeso in attesa della fine
della causa penale promossa dal datore di
lavoro che contesta al dipendente degli
illeciti.
È quanto sancito dalla Corte di Cassazione
che, con la
sentenza
13.08.2010 n. 18668, ha accolto il
ricorso di una dipendente comunale che aveva
fatto causa all'ente locale per ottenere il
risarcimento dei danni da mobbing.
Ma il Comune aveva ottenuto dal Tribunale di
Mondovì la sospensione del giudizio civile
in attesa della decisione definitiva su
quello penale.
Contro questa decisione la donna ha fatto
ricorso in Cassazione e ha vinto. La sezione
lavoro ha stabilito che «in materia di
rapporto fra giudizi civili e penali, fuori
dei casi in cui i giudizi di danno possono
proseguire davanti al giudice civile, il
processo può essere sospeso se tra processo
penale e altro giudizio ricorra il rapporto
di pregiudizialità o se la sospensione sia
prevista da altra specifica norma e sempre
che la sentenza penale esplichi efficacia di
giudicato nell'altro giudizio».
In altri termini, secondo la Cassazione «non
è sufficiente che nei due processi rilevino
gli stessi fatti, essendo necessario che una
norma di diritto sostanziale colleghi un
effetto sul diritto oggetto del giudizio
civile alla commissione del reato oggetto
del giudizio penale)»
(articolo ItaliaOggi
del 24.08.2010, pag. 26). |
EDILIZIA PRIVATA: L’abbassamento
della quota di calpestio interna al
fabbricato e del conseguente aumento della
volumetria non sembra, invero, trattarsi di
una vicenda incompatibile con i principi
giurisprudenziali, essendo stato chiarito
che la “ristrutturazione” può anche
comportare limitati incrementi di superficie
e di volume non stravolgenti, specie quando
si tratti di adeguare l’immobile a un nuovo
uso consentito dal piano.
Per quanto riguarda il problema
dell’abbassamento della quota di calpestio e
del conseguente aumento della volumetria,
non sembra invero trattarsi di una vicenda
incompatibile con i principi
giurisprudenziali, essendo stato chiarito
che la “ristrutturazione” -ove
ammessa (come nel caso di specie)- può anche
comportare limitati incrementi di superficie
e di volume non stravolgenti, specie quando
si tratti di adeguare l’immobile a un nuovo
uso consentito dal piano (Cons. St., IV, n.
5214/2007).
Nel caso specifico si tratta peraltro di
interventi interni che non incidono per
nulla sulla struttura e la sagoma
dell’edificio
(C.G.A.R.S.,
sentenza 12.08.2010 n. 1088 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO:
Condominio: per modificare le
tabelle millesimali basta la maggioranza.
Fino ad ora modificare le tabelle
millesimali era un'operazione impossibile
poiché, per una consolidata prassi, tale
operazione richiedeva l'unanimità
dell'assemblea condominiale.
È facile comprendere che la più banale delle
modifiche alle tabelle millesimali finisce
comunque per "penalizzare" almeno un
condomino che, quindi, ha tutto l'interesse
a votare contro.
Una sentenza della Cassazione a sezioni
unite sconfessa questa tesi rivoluzionando
l'orientamento precedente della stessa
corte.
Con la sentenza 18477 del 09.08.2010 la
Corte ha chiarito che per modificare le
tabelle millesimali è sufficiente la
maggioranza qualificata definita al comma 2
dell'art. 1136 del Codice Civile.
In altre parole, per modificare le tabelle
millesimali è sufficiente una delibera
assembleare approvata dalla maggioranza
degli intervenuti in assemblea, che
rappresentino almeno la metà del valore
dell'edificio (500 millesimi) (Corte di
Cassazione, Sezz. unite civili,
sentenza 09.08.2010 n. 18477 -
link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'ordinanza
di demolizione dell'opera abusivamente
realizzata va obbligatoriamente notificata
in via prioritaria e a pena di illegittimità
al responsabile dell'abuso edilizio, mentre
l'omessa notifica della stessa al
proprietario dell'area, nella quale è stato
commesso l'abuso edilizio, comporta soltanto
la mancata acquisizione al patrimonio
comunale dell'area stessa.
Per giurisprudenza costante “L'ordinanza
di demolizione dell'opera abusivamente
realizzata va obbligatoriamente notificata
in via prioritaria e a pena di illegittimità
al responsabile dell'abuso edilizio, mentre
l'omessa notifica della stessa al
proprietario dell'area, nella quale è stato
commesso l'abuso edilizio, comporta soltanto
la mancata acquisizione al patrimonio
comunale dell'area stessa” (TAR
Basilicata Potenza, sez. I, 17.11.2009, n.
765) e ciò in quanto l’acquisizione al
patrimonio è una sanzione autonoma del tutto
distinta dalla demolizione, anche se
dipendente strettamente dalla sua
inottemperanza (tra le tante TAR Puglia
Lecce, sezione III, 03.02.2010, n. 423)
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 03.08.2010 n. 29688 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di pertinenza urbanistica ha
peculiarità sue proprie, che la distinguono
da quella civilistica; deve trattarsi di una
opera preordinata ad una oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di
mercato e dotata di un volume minimo, tale
da non consentire, anche in relazione alle
caratteristiche dell'edificio principale,
una sua destinazione autonoma e diversa da
quella a servizio dell'immobile cui accede.
Per la Cassazione, “La nozione di
pertinenza urbanistica ha peculiarità sue
proprie, che la distinguono da quella
civilistica; deve trattarsi di una opera
preordinata ad una oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di
mercato e dotata di un volume minimo, tale
da non consentire, anche in relazione alle
caratteristiche dell'edificio principale,
una sua destinazione autonoma e diversa da
quella a servizio dell'immobile cui accede”
(Cassazione penale, sezione III, 19.02.1998,
n. 4134).
Nella fattispecie il patio di m. 3,50 x 25 è
stato chiuso con struttura in alluminio e
vetri ed è servito a realizzare un aumento
di cubatura della parte già abusiva del
ristorante e destinata ad ospitare altri
tavoli, per come si evince dall’apparato
fotografico offerto dal Comune.
Per giurisprudenza costante la chiusura del
patio o di un portico determina una maggiore
volumetria, con la conseguenza che non può
essere assoggettato a semplice regime
autorizzatorio, (Cassazione penale, sezione
III, 17.03.2000, n. 8521), ma richiede il
permesso a costruire
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 31.07.2010 n. 29497 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
lavori di demolizione e ricostruzione di un
edificio fatiscente non rientrano
nell'attività di straordinaria manutenzione,
risanamento, restauro conservativo per la
quale è sufficiente, ai sensi dell'art. 48
l. 05.08.1978 n. 457, la semplice
autorizzazione del sindaco, bensì in quella
di ristrutturazione, per la quale è
necessaria la concessione edilizia.
La giurisprudenza ha affermato che i lavori
di demolizione e ricostruzione di un
edificio fatiscente non rientrano
nell'attività di straordinaria manutenzione,
risanamento, restauro conservativo per la
quale è sufficiente, ai sensi dell'art. 48
l. 05.08.1978 n. 457, la semplice
autorizzazione del sindaco, bensì in quella
di ristrutturazione, per la quale è
necessaria la concessione edilizia (TAR
Campania Napoli, sez. VI, 20.05.2009, n.
2756)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 29.07.2010 n. 2015 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Il principio
del concorso pubblico non può essere
derogato quando le mansioni proprie dei
posti da coprire richiedono esperienze
professionali suscettibili di essere
acquisite anche presso strutture diverse da
quelle appartenenti all’Amministrazione o
Ente che bandisce il concorso.
Il Collegio non ignora (v. Sez. V,
18.12.2003 n. 8344) come fonti legislative
primarie e secondarie, e gli stessi
pronunciamenti del giudice delle leggi,
ritengano senz’altro conforme all’interesse
pubblico il fatto che precedenti esperienze
non vadano perdute (Corte Cost., n.
141/1999); che non può escludersi in via
preventiva che l’accesso ad un concorso
pubblico possa essere condizionato al
possesso di una precedente esperienza
nell’amministrazione ove ragionevolmente
configurabile quale requisito professionale
(Corte cost., n. 373/2002), o ancora, che la
ragionevolezza della deroga alla regola del
pubblico concorso non può dirsi radicalmente
esclusa nel caso che si tratti di concorso
riservato interamente al personale con una
determinata esperienza protratta nel tempo
(Corte Cost., ord. n. 517 del 4.12.2002).
Occorre tuttavia tenere presente che, ancora
secondo la Corte (sentenza 26.01.2004 n.34),
la possibilità di deroga alla regola
generale è ammessa “solo in presenza di
peculiari situazioni giustificatrici,
nell'esercizio di una discrezionalità che
trova il suo limite nella necessità di
garantire il buon andamento della pubblica
amministrazione (art. 97, primo comma, della
Costituzione) ed il cui vaglio di
costituzionalità non può che passare
attraverso una valutazione di ragionevolezza
della scelta operata dal legislatore.”
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.07.2010 n. 4475 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
La qualifica
apicale VII-led non è equivalente alla
posizione D3 giuridica (ex VIII qualifica) e
la laurea in lettere é equivalente agli
altri titoli di studio ai fini del
conseguimento delle qualifica di dirigente
amministrativo ex art. 28 D. lgs. n. 165
2001.
Non è giuridicamente corretto sostenere che
ai dipendenti degli enti locali a suo tempo
inquadrati nella qualifica 7 led ai sensi
del DPR n. 347/1983, ancorché titolari di
posizioni apicali e di incarichi di
responsabilità organizzativi, possa essere
attribuito il diritto all’inquadramento
nella posizione giuridica D3 secondo la
tabella C allegata al C.C.N.L. 31.03.1999
sulle corrispondenze fra le qualifiche
professionali possedute al momento
dell'entrata in vigore del nuovo ordinamento
professionale ed i livelli economici
previsti all’interno della medesime ed unica
categoria D.
Secondo la costante giurisprudenza, il
livello economico differenziato, per i
dipendenti nelle qualifiche comprese tra la
prima e la settima del DPR n. 347/1983, si
sostanzia in una maggiorazione retributiva
conferita a dipendenti (in contingenti
percentuali e previa selezione) senza
determinare l'istituzione di nuove posizioni
funzionali di lavoro, risolvendosi
nell'attribuzione di un incremento
stipendiale correlato non ad un mutamento di
mansioni, ma al riconosciuto possesso, da
parte di taluni dipendenti in comparazione
con i pari grado, di una maggiore
produttività ed impegno professionale (da
ult. Cons. Stato, V, 13.06.2008, n. 2964;
29.11.2005, n. 6732; Cass. sez. lav.,
23.01.2008, n. 1441; TAR Campania Napoli,
sez. V, 14.10.2009, n. 5556).
Per vero, il livello economico differenziato
non era previsto nella formulazione del DPR
n. 347/1983, con il quale il personale degli
enti locali fu inquadrato con decorrenza 1°
gennaio 1983 sulla base delle declaratorie
delle qualifiche funzionali e dei profili
professionali istituiti dall’art. 26 e
secondo le declaratorie previste
dell’allegato 1: nell’originario accordo era
infatti prevista dall’art. 30, l’istituzione
di compensi incentivanti la produttività, la
cui attribuzione individuale era subordinata
a programmi di attività delle singole unità
organiche ed alla verifica dei risultati.
L’istituzione del livello economico
differenziato fu, infatti, prevista dagli
artt. 35 e 36 del DPR n. 333/2990, per le
figure professionali appartenenti alle
qualifiche comprese fra la prima e la
settima, secondo percentuali massime
complessive per ciascuna qualifica
funzionale e determinato maggiorando il
trattamento economico tabellare iniziale di
ogni qualifica di un importo annuo lordo
pari al 40% della differenza con il
trattamento tabellare iniziale della
qualifica superiore.
Dal livello economico differenziato di
professionalità erano pertanto esclusi i
funzionari di ottava qualifica, peraltro
prevista come apicale per i soli enti di
tipo 3 (comuni classificati di II classe ai
sensi della tab. A, all.to 1 alla L. n.
604/1962) dall’art. 2 del DPR n. 347/1983,
ma non per quelli di tipo 4 (comuni
classificati di III classe) per i quali la
qualifica apicale era la settima.
Nell’inquadrare a sensi dell’art. 7, il
personale in servizio degli enti locali
secondo il nuovo sistema di classificazione
introdotto dal CCNL del 31.03.1999 con la
attribuzione della categoria e della
posizione economica corrispondenti alla
qualifica funzionale e al trattamento
economico in godimento, la tabella C ha
conseguentemente previsto la categoria D2
per il personale proveniente dalla qualifica
7 led e la categoria D3 per il personale
proveniente dalla qualifica VIII. Per il
personale proveniente dalla settima
qualifica la tabella citata ha, infine,
previsto la categoria D1.
In sostanza, nel nuovo inquadramento per
categorie la differenza verticale fra il
settimo e l’ottavo livello propria delle
precedente contrattazione è stata comunque
riconosciuta, sicché non può ritenersi
completamente obliterata dal sistema di
scorrimento orizzontale introdotto dal CCNL
del 31.03.1999 (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.07.2010 n. 4317 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Le procedure che
consentono il passaggio da un’area inferiore
a quella superiore integrano un vero e
proprio concorso, tali essendo anche le
procedure che vengono denominate
“selettive”, qualunque sia l’oggetto delle
prove che i candidati sono chiamati a
sostenere.
La
previsione del bando (e del regolamento di
un ente locale) delle procedure di
progressioni verticali che, in assenza di
prova scritta, attribuisce al colloquio
un’incidenza pari al 60 per cento del
punteggio attribuibile (il resto è assegnato
in base ai titoli posseduti) si pone in
contrasto con i principi di imparzialità e
buon andamento ex art. 97 Costituzione.
E' consolidato l'indirizzo espresso dalla
Sezioni Unite della Corte di Cassazione
(sent. 15.10.2003, n. 15403), secondo cui “considerato
che mediante gli accordi collettivi
stipulati nel comparto del pubblico impiego
è stato previsto un sistema di inquadramento
del personale articolato in aree o fasce,
all’interno delle quali sono contemplati
diversi profili professionali, si deve
ritenere che le procedure che consentono il
passaggio da un’area inferiore a quella
superiore integrino un vero e proprio
concorso, tali essendo anche le procedure
che vengono denominate “selettive”,
qualunque sia l’oggetto delle prove che i
candidati sono chiamati a sostenere” (in
tal senso, Cass. Sez. Un., 18.05.2007, n.
11559; Cons. Stato, sez. VI, 22.10.2008, n.
5184).
Nella giurisprudenza citata, il riferimento
alla progressione da un’”area” ad
altra superiore non va inteso in senso
letterale, ma va letto nel suo significato
sostanziale, comprensivo di tutti i passaggi
da una “fascia” di inquadramento ad
altra, non limitata agli aspetti meramente
economici dei diversi livelli in cui si
articola, eventualmente, ogni profilo
professionale e ogni “area”.
L’aspetto novativo della vicenda,
ripetutamente sottolineato dalla Cassazione,
non è attenuato dalla circostanza che la
progressione verticale sia disciplinata
tenendo conto della pregressa appartenenza
del dipendente alla stessa amministrazione.
Questo dato potrebbe spiegare, fra l’altro,
la previsione della contrattazione
collettiva, secondo cui non è richiesto il
superamento di un periodo di prova per la
definitiva assunzione del personale
selezionato attraverso il concorso interno.
Del resto, la disciplina della prova non è
decisiva per individuare la natura
concorsuale della procedura selettiva.
Né può trascurarsi che la nozione generale
di novazione oggettiva del rapporto,
utilizzata per qualificare la natura
giuridica della “progressione verticale”
da un’area ad altra superiore, pone in
evidenza anche la possibile sussistenza di
alcuni –a volte non trascurabili-
collegamenti con il rapporto originario.
Una previsione di bando (e di regolamento)
che attribuisce al colloquio una incidenza
pari al 60% del punteggio attribuibile si
pone in contrasto con i principi di
imparzialità e buon andamento (principi che,
come si è detto, in attuazione degli artt.
3, 51 e 97 Cost., devono trovare
applicazione quale che sia la tipologia di
procedura competitiva), ed è quindi viziata
da eccesso di potere per irragionevolezza,
posto che non è idonea a salvaguardare la
par condicio dei candidati, né consente la
selezione dei soggetti più idonei secondo
procedure obiettive (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 06.07.2010 n. 4313 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Stipendi,
conta la qualifica. Lo svolgimento di
mansioni superiori è irrilevante. Palazzo
Spada ha respinto l'appello di un dipendente
della regione Calabria.
Nell'ambito del pubblico
impiego è irrilevante, sia a fini economici
che di carriera, lo svolgimento di mansioni
superiori, in quanto nell'ambito di tale
rapporto non sono le mansioni ma la
qualifica il parametro al quale la
retribuzione va riferita.
Il principio è stato sancito dal Consiglio
di Stato, Sez. V, con la
sentenza 02.07.2010 n. 4236.
La questione del riconoscimento economico
delle mansioni superiori ha subito, nel
tempo, orientamenti giurisprudenziali
difformi, ma a seguito dell'articolo 56 del
dlgs n. 29/1993, così come sostituito dal
dlgs n. 80/1998, è stato riconosciuto al
lavoratore pubblico il diritto alle
differenze retributive dovute per le
mansioni superiori, con attribuzione della
responsabilità al dirigente che ha disposto
l'incarico, in caso di dolo o colpa grave.
L'applicazione della normativa è stata
rinviata e successivamente è intervenuto il
dlgs n. 387/1998.
Nella sentenza in commento, il Consiglio di
stato ha respinto l'appello presentato da un
dipendente della regione Calabria, che aveva
richiesto il riconoscimento della differenza
retributiva maturata per lo svolgimento di
mansioni superiori svolte tra il 1996 e il
1997.
Il Consiglio di stato non ha riconosciuto
alla norma natura retroattiva e pertanto il
diritto del dipendente pubblico alle
differenze retributive, a seguito dello
svolgimento delle mansioni superiori, va
riconosciuto a decorrere dalla data di
entrata in vigore del decreto legislativo,
ossia dal 22 novembre 1998, in quanto di
carattere innovativo, ergo non ha alcuna
efficacia sulle situazioni precedenti.
Nel merito i giudici di palazzo Spada hanno
affermato che nessuna norma o principio
generale consentiva, almeno fino all'entrata
in vigore del dlgs n. 387/1998, la
retribuzione delle mansioni superiori
comunque svolte nel pubblico impiego.
È stato evidenziato, tuttavia, che le
mansioni svolte dal dipendente pubblico, se
superiori a quelle relative alla qualifica
attribuita, non hanno rilevanza né dal punto
di vista della progressione in carriera né
dal punto di vista retributivo. Ciò in
quanto il pubblico impiego si differenzia
dal lavoro privato giacché le mansioni e la
retribuzione trovano fondamento in un atto
formale di nomina e non in una libera scelta
del personale amministrativo.
Il riconoscimento non può trovare fondamento
nell'articolo 36 della Costituzione, che
fissa il principio della corrispondenza
della retribuzione alla quantità e qualità
del lavoro prestato, dato che la norma non
trova applicazione nel rapporto di pubblico
impiego, nel quale si applicano altri
principi costituzionali.
In definitiva, nell'ambito lavorativo
succitato non sono le mansioni ma la
qualifica, il parametro al quale la
retribuzione va riferita. L'amministrazione
di appartenenza può e deve erogare la
retribuzione corrispondente alle mansioni
superiori solo nel caso in cui una norma
speciale lo consenta
(articolo ItaliaOggi
del 03.09.2010, pag. 30 - link a www.corteconti.it). |
URBANISTICA: Le
scelte di pianificazione urbanistica sono
connotate da un alto tasso di
discrezionalità in capo all'Amministrazione
e, pertanto, non necessitano di una
particolare motivazione se non nei casi in
cui sia configurabile in capo ai privati una
situazione di affidamento qualificato
riconducibile a specifiche vicende.
Le osservazioni formulate dai proprietari
interessati costituiscono un mero apporto
collaborativo alla formazione degli
strumenti urbanistici e non danno luogo a
peculiari aspettative, con la conseguenza
che il loro rigetto non richiede una
dettagliata motivazione, essendo sufficiente
che siano state esaminate e ragionevolmente
ritenute in contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della
formazione del piano regolatore o della sua
variante.
Secondo il costante orientamento
giurisprudenziale, condiviso da questo
Collegio, le scelte di pianificazione
urbanistica sono connotate da un alto tasso
di discrezionalità in capo
all'Amministrazione e, pertanto, non
necessitano di una particolare motivazione
se non nei casi in cui sia configurabile in
capo ai privati una situazione di
affidamento qualificato riconducibile a
specifiche vicende (tra le numerosissime
decisioni in tal senso CdS, sez. IV,
07.04.2010 n. 1986).
Tali situazioni sono riscontrabili:
a) nel superamento degli standard minimi di
cui al dm 02.04.1968, con l'avvertenza che
la motivazione ulteriore va riferita
esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento,
indipendentemente dal riferimento alla
destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento
qualificato del privato derivante da
convenzioni di lottizzazione, accordi di
diritto privato intercorsi tra il Comune e i
proprietari delle aree, aspettative nascenti
da giudicati di annullamento di dinieghi di
concessione edilizia o di silenzio-rifiuto
su una domanda di concessione;
c) nella modificazione in zona agricola
della destinazione di un'area limitata,
interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo (Cds sez. IV, 08.06.2007 n. 2999).
E’ ben noto,
altresì, il principio per cui le
osservazioni formulate dai proprietari
interessati costituiscono un mero apporto
collaborativo alla formazione degli
strumenti urbanistici e non danno luogo a
peculiari aspettative, con la conseguenza
che il loro rigetto non richiede una
dettagliata motivazione, essendo sufficiente
che siano state esaminate e ragionevolmente
ritenute in contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della
formazione del piano regolatore o della sua
variante (CdS sez. IV 01.03.2010 n. 1182).
Né rende necessaria una maggiore motivazione
la precedente destinazione parzialmente
edificatoria del fondo (CdS sez. IV
08.01.2007 n. 5210).
Per giustificare il rigetto delle
osservazioni agli strumenti urbanistici (in
particolare quando prevedano un maggior
carico urbanistico) è infatti sufficiente
che dette osservazioni siano state esaminate
e ragionevolmente ritenute in contrasto con
gli interessi e le considerazioni generali
poste a base della formazione del piano
regolatore o della sua variante (CdS sez. IV,
01.03.2010 n. 1182). Tra gli interessi e le
considerazioni generali appena citati,
rientra, ovviamente, il dimensionamento
deciso in sede di adozione di piano
(TAR Marche,
sentenza 30.06.2010 n. 2817 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
natura di "fondo intercluso".
La natura di “fondo
intercluso” di un’area, con riferimento
alla necessità di congrua e specifica
motivazione delle previsioni urbanistiche,
non è stata ritenuta rilevante “ex se” ma
solo nel caso immotivato passaggio di
un’area interclusa da altri edifici non
edificati abusivamente da edificabile ad
agricola, tenendo conto che mantenere la
destinazione a verde di un’area interclusa
può comunque realizzare apprezzabili ragioni
di interesse pubblico (sul tema,
diffusamente Tar Campania Napoli 26.08.2009
n. 3296).
Nel caso in esame, non solo non sussiste l’interclusione,
ma la destinazione agricola è rimasta
invariata
(TAR Marche,
sentenza 30.06.2010 n. 2817 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
certificato di agibilità/abitabilità deve
essere rilasciato o negato per ragioni
prevalentemente inerenti il profilo
igienico-sanitario dell’edificio ovvero la
conformità rispetto al progetto approvato.
Il certificato di agibilità/abitabilità, in
base all'art. 4, d.P.R. 22.04.1994 n. 425,
deve essere rilasciato o negato per ragioni
prevalentemente inerenti il profilo
igienico-sanitario dell’edificio ovvero la
conformità rispetto al progetto approvato
(così TAR Sicilia Catania, sez. I,
31.10.2008, n. 1898)
(TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 30.06.2010 n. 1371 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di installazione di impianti di
telefonia mobile, l'Amministrazione non può
esigere, in sede di presentazione
dell'istanza di autorizzazione e/o di
denuncia di inizio attività, documentazione
diversa da quella prevista dall'allegato 13
- modello B, d.lgs. n. 259 del 2003 (in
relazione a tale fase), fatti salvi
adempimenti di minimo impatto che non si
traducano in un indebito aggravamento del
procedimento, quale qui dato e voluto dal
legislatore speciale per favorire la
ripetuta celere realizzazione della rete.
La
giurisprudenza, alla quale presta adesione
il Collegio, ha rilevato che, alla luce
delle finalità acceleratorie e
semplificatorie che presiedono il
procedimento dettato dall'art. 87, d.lgs. n.
259 del 2003 in materia di installazione di
impianti di telefonia mobile,
l'Amministrazione non può esigere, in sede
di presentazione dell'istanza di
autorizzazione e/o di denuncia di inizio
attività, documentazione diversa da quella
prevista dall'allegato 13 - modello B,
d.lgs. n. 259 del 2003 (in relazione a tale
fase), fatti salvi adempimenti di minimo
impatto che non si traducano in un indebito
aggravamento del procedimento, quale qui
dato e voluto dal legislatore speciale per
favorire la ripetuta celere realizzazione
della rete.
Fra questi ultimi non vi è spazio per
richieste di documentazione che afferiscano
direttamente a previsioni regolamentari
dettate per le vicende puramente edilizie;
ovvero, per ottenere il rilascio del
permesso di costruire o per accompagnare la
denuncia di inizio attività sempre in campo
edilizio, né per imporre oneri esclusi
dall'art. 93 del codice delle Comunicazioni
che pone il divieto di imporre nuovi oneri "che
non siano stabiliti dalla legge" (Così
TAR Campania Napoli, sez. VII, 21.04.2009,
n. 2077) (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 30.06.2010 n. 1371 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
potere riconosciuto al Ministero per i beni
Culturali ai sensi dell’articolo 82 del
D.P.R. n. 616/1977 -ora articolo 159 del
decreto legislativo n. 42/2004- è da
intendersi quale espressione non già di un
generale riesame nel merito della
valutazione dell’Ente delegato, bensì di un
potere di annullamento per motivi di
legittimità, riconducibile al più generale
potere di vigilanza, che il legislatore ha
voluto riconoscere allo Stato nei confronti
dell’esercizio delle funzioni delegate alle
Regioni ed ai Comuni in materia di gestione
del vincolo, fermo restando che il controllo
di legittimità può riguardare anche tutti i
possibili profili dell’eccesso di potere.
Il potere di annullamento
dell’autorizzazione paesistica attribuito
alla Soprintendenza non può comportare un
riesame complessivo delle valutazioni
tecnico-discrezionali compiute dall’Ente
locale, tale da consentire la
sovrapposizione o la sostituzione di una
nuova valutazione di merito a quella
compiuta in sede di rilascio
dell’autorizzazione, ma si estrinseca in un
mero controllo di legittimità.
Infatti, secondo una consolidata
giurisprudenza, anche di questa Sezione (ex
multis, TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
16.10.2008, n. 16426), il potere
riconosciuto al Ministero per i beni
Culturali ai sensi dell’articolo 82 del
D.P.R. n. 616/1977 -ora articolo 159 del
decreto legislativo n. 42/2004- è da
intendersi quale espressione non già di un
generale riesame nel merito della
valutazione dell’Ente delegato, bensì di un
potere di annullamento per motivi di
legittimità, riconducibile al più generale
potere di vigilanza, che il legislatore ha
voluto riconoscere allo Stato nei confronti
dell’esercizio delle funzioni delegate alle
Regioni ed ai Comuni in materia di gestione
del vincolo, fermo restando che il controllo
di legittimità può riguardare anche tutti i
possibili profili dell’eccesso di potere (da
ultimo, Corte Cost., 07.11.2007, n. 367)
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 29.06.2010 n. 16423 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
piscine interrate non possono alterare i
valori paesaggistici, perché non
suscettibili di verticalizzazione con
pregiudizio di visuali e visioni
prospettiche.
Per una piscina
eseguita perfettamente a raso con il piano
di campagna attuale può trovare applicazione
il principio giurisprudenziale, affermato
anche da questa Sezione (TAR Campania,
Napoli, Sez. VII, 20.03.2009, n. 1552),
secondo il quale le piscine interrate non
possono alterare i valori paesaggistici,
perché non suscettibili di verticalizzazione
con pregiudizio di visuali e visioni
prospettiche (TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 29.06.2010 n. 16423 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
soggetta a concessione edilizia (oggi
permesso di costruire) l’edificazione sia di
un muro di recinzione, con specifiche
caratteristiche, sia l’edificazione di un
muro di contenimento.
La giurisprudenza è, da tempo, attestata nel
ritenere soggetta a concessione edilizia
(oggi permesso di costruire), l’edificazione
sia del muro di recinzione, con specifiche
caratteristiche, sia l’edificazione del muro
di contenimento.
In proposito basterà richiamare, ex
multis, Cons. St. Sez. V, 15.06.2000, n.
3320, a mente delle cui statuizioni, per la
recinzione di un fondo rustico, è necessaria
la concessione edilizia, se realizzata con
opere edilizie permanenti, mentre non lo è
nel caso di semplici paletti conficcati nel
terreno o di ogni altro manufatto che, per
le sue caratteristiche di precaria
installazione, ha insito il concetto della
precarietà e sua facile asportazione in caso
di necessità.
In merito ai muri di contenimento, risulterà
sufficiente richiamare, ex multis,
C.G.A. 05.05.1993 n. 165, orientato a
ritenere che un muro di sostegno di cemento
armato non può considerarsi recinzione in
quanto non ogni muro esistente al confine è
opera di recinzione per cui, nel caso in cui
in concreto la funzione del muro non sia
quella di recingere ma di sostenere, il muro
stesso deve essere autorizzato mediante il
rilascio di una concessione edilizia.
A chiusura delle considerazioni espresse,
appare opportuno riportarsi a quanto
sinteticamente e chiaramente espresso da Tar
Lazio–Latina n. 285 del 2002 che di seguito
si trascrive, in quanto condiviso: “Ritiene
il Collegio che se nel concetto di
pertinenza possono essere ricomprese le
recinzioni, certamente configurabili come
opere poste a servizio ed ornamento della
cosa principale, giusta l’art. 817 c.c., ciò
non può dirsi per i muri di contenimento che
hanno una consistenza diversa dalle
recinzioni, dalle quali si differenziano per
funzione (che non è quella di delimitare,
proteggere ed eventualmente abbellire la
proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere
il terreno al fine di evitare movimenti
franosi dello stesso) e struttura (che deve,
appunto, essere idonea per consistenza e
modalità costruttive ad assolvere alla
funzione di contenimento). Il muro di
contenimento, pur potendo avere, in rapporto
alla situazione dei luoghi, anche
concomitante funzione di recinzione, è,
tuttavia, sotto il profilo edilizio,
un’opera più consistente di una recinzione
(non essendo preordinata a recingere) e
soprattutto è dotata di propria specificità
ed autonomia, in relazione ai profili dianzi
evidenziati.
Il che esclude la sua riconducibilità al
concetto di pertinenza, conseguendone, data
la rilevanza dell’immutazione che esso
produce sullo stato dei luoghi, sia la
necessità della concessione edilizia, sia la
legittimità, a torto contestata,
dell’applicazione della misura sanzionatoria
prevista dall’art. 7 della legge n. 47/1985.”.
L’autonoma rilevanza dell’opera in questione
esclude che esso possa essere ricondotto
nella figura del risanamento conservativo
che presuppone l’esistenza dell’organismo
edilizio su cui intervenire (ex multis
Cons. St. Sez. V 24.09.1999 n. 1154)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 29.06.2010 n. 9845 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
provvedimenti repressivi di abusi edilizi
non devono essere preceduti dall’avviso di
inizio del procedimento, sia perché
consistono in procedimenti tipizzati e
vincolati, sia perché i provvedimenti
sanzionatori presuppongono un mero
accertamento tecnico sulla consistenza delle
opere realizzate nonché sul carattere non
assentito delle stesse.
La
giurisprudenza dominante è attestata nel
ritenere che i provvedimenti repressivi di
abusi edilizi non devono essere preceduti
dall’avviso di inizio del procedimento, sia
perché consistono in procedimenti tipizzati
e vincolati, sia perché i provvedimenti
sanzionatori presuppongono un mero
accertamento tecnico sulla consistenza delle
opere realizzate nonché sul carattere non
assentito delle stesse (ex multis
C.G.A. 06.02.2001 n. 70; Cons. St. Sez. II
25.10.2006 n. 8475/2004; Tar Basilicata
16.02.2008 n. 33; Tar Palermo, Sez. II
06.06.2007 n. 1617; Tar Bologna Sez. II
12.04.2007 n. 384)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 29.06.2010 n. 9845 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
potere del giudice amministrativo di
condannare la Pubblica Amministrazione al
risarcimento del danno è rigorosamente
circoscritto alla sola ipotesi del previo
annullamento dell’atto amministrativo
illegittimo dal quale il danno predetto
discende, posto che la ratio del potere
medesimo è quella di evitare a chi ha
ottenuto l'annullamento giurisdizionale
dell'atto amministrativo di percorrere tutti
i gradi della giustizia ordinaria per
ottenere la piena soddisfazione delle
posizioni soggettive lese.
Il potere del giudice amministrativo di
condannare la Pubblica Amministrazione al
risarcimento del danno è, nell'attuale
ordinamento e secondo la lettura propria
della sentenza della Corte Costituzionale
06.07.2004 n. 204, rigorosamente
circoscritto alla sola ipotesi del previo
annullamento dell’atto amministrativo
illegittimo dal quale il danno predetto
discende, posto che la ratio del
potere medesimo, essendo fondata sull'art.
24 Cost., è quella di evitare a chi ha
ottenuto l'annullamento giurisdizionale
dell'atto amministrativo di percorrere tutti
i gradi della giustizia ordinaria per
ottenere la piena soddisfazione delle
posizioni soggettive lese (cfr. al riguardo
Cons. Stato, Sez. IV, 28.07.2005 n. 4008).
Ciò pertanto significa che tale potere di
condanna può essere esercitato soltanto in
caso di illegittimità dell’atto
incidentalmente valutata ovvero ritenuta
dalla stessa amministrazione in sede di
ricorso amministrativo, oppure di
annullamento disposto in via di autotutela
dalla stessa Pubblica Amministrazione o per
effetto dell’accoglimento del ricorso
straordinario al Capo dello Stato proposto
a’ sensi dell’art. 8 e ss. del D.P.R.
24.11.1971 n. 1199 (cfr. ibidem).
In tali evenienze può dunque venir meno la
contestualità tra azione di annullamento e
azione risarcitoria, ma non già l’essenziale
condizione della consequenzialità del
diritto patrimoniale al risarcimento del
danno (cfr. ibidem): e ciò poiché in
presenza di provvedimenti di sicura valenza
autoritativa –come, per l’appunto, nel caso
di specie- nei confronti dei quali non sia
intervenuta in alcuna sede giudiziale o
giustiziale una pronuncia di annullamento in
dipendenza della loro asserita
illegittimità, non può che trovare
applicazione il principio della c.d. “pregiudizialità
amministrativa”, in forza del quale è
essenziale che la statuizione sulla domanda
risarcitoria resti subordinata a quella
diretta all'annullamento del provvedimento
illegittimo (così TAR Lazio, Roma, Sez. III,
28.01.2009 n. 797).
Detto altrimenti, l’azione risarcitoria qui
proposta indefettibilmente presuppone la
previa statuizione in ordine alla
sussistenza, o meno, dell’illegittimità che
avrebbe asseritamente determinato,
unitamente all’invalidità degli atti
impugnati, anche il danno nei riguardi del
soggetto leso: ma la circostanza che il
ricorso straordinario non sia stato
trasposto a’ sensi dell’art. 10 del medesimo
D.P.R. 1199 del 1971 nella presente sede
giurisdizionale non consente a questo
giudice tale valutazione preliminare, la
quale rimane dunque ora esclusivamente
incardinata nella sede giustiziale
straordinaria dove formerà oggetto di
apposita statuizione nel mentre, per il
principio del ne bis idem non può essere più
introdotta nel presente giudizio nemmeno
come valutazione incidenter tantum: e
tale stato di cose non può, quindi, che
determinare l’inammissibilità –allo stato–
della domanda risarcitoria
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 21.06.2010 n. 2691 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
possibilità di rilascio di autorizzazione
paesaggistica ex post è senz’altro esclusa
quando l'intervento realizzato determini,
anche parzialmente, la creazione di
superfici utili o volumi.
E l’impianto serricolo di cui si tratta
–costituito da tre serre in pali e capriate
di rilevanti volumetrie– è senza dubbio tale
da avere comportato, per le sue
caratteristiche dimensionali, un
significativo incremento volumetrico e di
superficie, senza che possa rilevare in
senso opposto la circostanza che la
copertura delle serre sia stata effettuata
in “materiale plastico asportabile”.
Nelle ipotesi di limitata edificabilità di
aree soggette a tutela ambientale e
paesaggistica le condizioni di compatibilità
dell'edificazione con le esigenze di
salvaguardia dell'interesse generale devono
costituire oggetto di verifica preliminare
all'intervento edilizio, non effettuabile
ex post, tranne limitate ipotesi oggi
previste dall’art. 167 D.lvo 42/2004, in
sede di autorizzazione in sanatoria di
interventi abusivamente realizzati in
assenza del prescritto nulla osta (TAR
Toscana, sez. III, 29.05.2007, n. 823).
Tuttavia, la possibilità di rilascio di
autorizzazione paesaggistica ex post
è senz’altro esclusa, ai sensi della norma
citata, quando l'intervento realizzato
determini, anche parzialmente, la creazione
di superfici utili o volumi (ex multis:
Consiglio Stato , sez. IV, 08.10.2007, n.
5203).
Ad avviso del
Collegio, l’impianto serricolo di cui si
tratta –costituito da tre serre in pali e
capriate di rilevanti volumetrie– è senza
dubbio tale da avere comportato, per le sue
caratteristiche dimensionali, un
significativo incremento volumetrico e di
superficie, senza che possa rilevare in
senso opposto la circostanza che la
copertura delle serre sia stata effettuata
in “materiale plastico asportabile”
(né risulta chiaro, dal tenore della
censura, perché tale circostanza dovrebbe
far venire meno il presupposto di
applicabilità del decreto 42/2004, in
relazione al contenuto dell’art. 156).
Né rileva che la limitazione dalla lettura “a
contrario” dell’art. 167, comma 4, lett.
a), del D.lvo 42/2004 sia stata introdotta
in data successiva alla realizzazione
dell’abuso ed alla presentazione della
relativa istanza di condono, atteso che la
norma era vigente tanto nel momento in cui
il Comune ha emanato la relativa
autorizzazione paesaggistica quanto nel
momento in cui la stessa è stata trasmessa
alla Soprintendenza per l’esercizio dei
poteri di competenza.
Infatti, in virtù del principio “tempus
regit actum”, la conformità di un
provvedimento amministrativo al parametro
normativo di raffronto va apprezzata con
riguardo alla legge applicabile all'epoca
della sua adozione: pertanto è legittimo, in
presenza di aumento di superfici utili o di
volumetrie, il diniego di autorizzazione
paesaggistica in sanatoria, emanato dopo
l'entrata in vigore dell'art. 167 D.lvo
42/2004, seppur con riferimento ad
interventi realizzati precedentemente, che
dal 2004 vieta il rilascio di tali
autorizzazioni (TAR Campania-Salerno, sez.
II, 21.01.2010, n. 844)
(TAR Capania-Napoli, Sez. III,
sentenza 15.06.2010 n. 14366 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul concetto di "ricostruzione"
edilizia.
Come è noto, la figura della "ricostruzione",
non costituisce una tipologia edilizia con
una propria definizione contenuta nel T.U.
dell'edilizia (come la ristrutturazione),
con proprie specifiche regole, ma risulta
comunque una tipologia di attività edilizia
con la quale si individuano tutti quei casi
nei quali si procede all'edificazione dopo
la demolizione di una precedente struttura e
nel rispetto di (almeno) alcuni degli
elementi della precedente opera; orbene, in
riferimento alla diversa possibile tipologia
delle nuove opere che si realizzano
(attraverso una ricostruzione) sono allora
previste regole diverse: più in particolare,
una ricostruzione è soggetta alle regole
dettate per la ristrutturazione edilizia se
la nuova opera coincide per volumetria,
superfici e sagoma con l'immobile
preesistente (e in tal caso le opere possono
essere realizzate anche con una semplice
DIA); una ricostruzione è invece soggetta
alle regole dettate per le nuove costruzioni
se tali elementi non coincidono (ed in tal
caso è normalmente necessario il rilascio di
un permesso di costruire) (TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 15.06.2010 n. 14364 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L'art. 3 l. n. 241 del 1990
consente l'uso della motivazione "per
relatìonem" sicché non sussiste l'obbligo
dell'amministrazione di notificare
all'interessato tutti gli atti richiamati
nel provvedimento, ma soltanto l'obbligo di
indicarne gli estremi e di metterli a
disposizione su richiesta dell'interessato.
Come è noto,
l'art. 3 l. n. 241 del 1990 consente l'uso
della motivazione "per relatìonem"
con riferimento ad altri atti
dell'amministrazione, che devono essere
indicati e resi disponibili, nel senso che
all'interessato deve essere consentito di
prenderne visione, di richiederne e
ottenerne copia in base alla normativa sul
diritto di accesso ai documenti
amministrativi e di chiederne la produzione
in giudizio, sicché non sussiste l'obbligo
dell'amministrazione di notificare
all'interessato tutti gli atti richiamati
nel provvedimento, ma soltanto l'obbligo di
indicarne gli estremi e di metterli a
disposizione su richiesta dell'interessato
(TAR Veneto Venezia, sez. II, 25.02.2010, n.
532; TAR Liguria Genova, sez. II,
03.02.2010, n. 230)
(TAR Campania Napoli, sez. II, 25.03.2010,
n. 1611) (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 15.06.2010 n. 14364 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
denunzia di inizio di attività costituisce
una dichiarazione del privato cui la legge,
in presenza di specifiche condizioni,
ricollega effetti tipici corrispondenti a
quelli del permesso di costruire, ma non ha
il carattere del provvedimento
amministrativo, in quanto non promana da una
pubblica amministrazione che ne è la
destinataria e non costituisce esercizio di
una potestà pubblicistica.
Il termine di 30 giorni previsto dall'art.
23, sesto comma, del D.P.R. n. 380 del 2001,
entro il quale l’amministrazione può
esercitare il proprio potere inibitorio
avverso l'intervento presentato con d.i.a.,
deve considerarsi di carattere perentorio,
con la conseguenza che, una volta scaduto
detto termine, potranno pertanto essere
emanati solo provvedimenti di autotutela e
sanzionatori.
La giurisprudenza amministrativa ha
precisato che la denunzia di inizio di
attività costituisce una dichiarazione del
privato cui la legge, in presenza di
specifiche condizioni, ricollega effetti
tipici corrispondenti a quelli del permesso
di costruire, ma non ha il carattere del
provvedimento amministrativo, in quanto non
promana da una pubblica amministrazione che
ne è la destinataria e non costituisce
esercizio di una potestà pubblicistica (TAR
Campania, Napoli, Sez. II, 27.06.2005 n.
8707).
Il termine di 30 giorni previsto dall'art.
23, sesto comma, del D.P.R. n. 380 del 2001,
entro il quale l’amministrazione può
esercitare il proprio potere inibitorio
avverso l'intervento presentato con d.i.a.,
deve considerarsi di carattere perentorio,
con la conseguenza che, una volta scaduto
detto termine, potranno pertanto essere
emanati solo provvedimenti di autotutela e
sanzionatori (TAR Campania Napoli, Sez. III,
17.04.2008 n. 2300)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 15.06.2010 n. 14339 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’istallazione
di manufatti su una strada vicinale (o come
nel caso in esame, su area posta in
prossimità di adiacente viabilità comunale)
può essere correttamente negata qualora
questi ostacolino o intralcino l’esercizio
pubblico oppure, come nella fattispecie,
diminuiscano sensibilmente le modalità di
espletamento di servizi pubblici.
E' sufficiente
richiamare l’orientamento espresso dal
Consiglio di Stato (Sez. V, 06.06.2002 n.
3173) secondo cui, in linea generale,
l’istallazione di manufatti su una strada
vicinale (o come nel caso in esame, su area
posta in prossimità di adiacente viabilità
comunale) può essere correttamente negata
qualora questi ostacolino o intralcino
l’esercizio pubblico oppure, come nella
fattispecie, diminuiscano sensibilmente le
modalità di espletamento di servizi pubblici
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 15.06.2010 n. 14339 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
comunicazione del parere negativo della
Commissione edilizia da parte del
funzionario competente al rilascio del
titolo edificatorio costituisce
manifestazione della volontà di aderire alla
decisione e, rappresentando l’atto
conclusivo del relativo procedimento, è
immediatamente impugnabile.
In linea di principio, la comunicazione del
parere negativo della Commissione edilizia
da parte del funzionario competente al
rilascio del titolo edificatorio
costituisce, salvo diverse indicazioni
emergenti dal contenuto dell’atto,
manifestazione della volontà di aderire alla
decisione e, rappresentando l’atto
conclusivo del relativo procedimento, è
immediatamente impugnabile (cfr., ex
multis, TAR Piemonte, sez. I,
04.09.2009, n. 2253).
Nel caso in esame, tale valutazione trova
conferma nel fatto che il provvedimento si
chiude con l’indicazione del termine e
dell’autorità cui è possibile ricorrere,
elementi che avvalorano la qualificazione
dell’atto come definitivo diniego
dell’istanza edificatoria
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 15.06.2010 n. 2842 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione e l’utilizzazione di un
parcheggio a raso bene possono essere
ricomprese tra gli "interventi di nuova
costruzione", di cui alla lettera e.3)
dell’art. 3 DPR n. 380/2001, per cui sono
tali gli interventi di realizzazione di
infrastrutture e di impianti, anche per
pubblici servizi, che comporti la
trasformazione in via permanente di suolo
inedificato.
Pur in assenza di opere di trasformazione
edilizia del territorio, è stata posta in
essere una destinazione d’uso in contrasto
con la normativa urbanistica vigente, la
quale è avvalorata da una utilizzazione che
concretamente evidenzia tale contrasto (TAR
Toscana, sez. II, 20.01.2009, n. 66).
La realizzazione e l’utilizzazione del
parcheggio a raso in questione bene possono
essere ricomprese tra gli "interventi di
nuova costruzione", di cui alla lettera
e.3) dell’art. 3 DPR n. 380/2001, per cui
sono tali gli interventi di realizzazione di
infrastrutture e di impianti, anche per
pubblici servizi, che comporti la
trasformazione in via permanente di suolo
inedificato.
Conclusivamente, nell’area in questione,
mediante la concreta utilizzazione a
parcheggio, è stata posta in essere
un’attività del tutto vietata dalla
normativa urbanistica, come rilavato nella
motivazione del provvedimento impugnato; e
che, ove in astratto ciò fosse stato
consentito dalle norme di piano, avrebbe
dovuto essere assistita da permesso di
costruire, in quanto è stato attuato un
intervento sul territorio che ha comportato
la perdurante modifica dello stato dei
luoghi (Cass. Penale, sez. III, n. 6930 del
19.02.2004; TAR Umbria, 28.09.2006, n. 481)
(TAR Campania-Napoli, Sez, IV,
sentenza 14.06.2010 n. 14243 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione di un’istanza di accertamento
di conformità ex art. 36 Testo Unico
dell’Edilizia o di una domanda condono
edilizio hanno automatico effetto caducante
sull’ordinanza di demolizione, rendendola
inefficace.
Il Collegio aderisce all’orientamento
giurisprudenziale secondo cui la
presentazione di un’istanza di accertamento
di conformità ex art. 36 Testo Unico
dell’Edilizia o di una domanda condono
edilizio hanno automatico effetto caducante
sull’ordinanza di demolizione, rendendola
inefficace.
La presentazione di una domanda di sanatoria
in epoca successiva all’adozione
dell’ordinanza di demolizione (o, comunque,
del provvedimento di irrogazione di altre
sanzioni per abusi edilizi), produce
l’effetto di rendere improcedibile
l’impugnazione contro l’atto sanzionatorio
per sopravvenuta carenza di interesse, posto
che il riesame dell’abusività dell’opera,
provocato dall’istanza, sia pure al fine di
verificarne l’eventuale sanabilità, comporta
la necessaria formazione di un nuovo
provvedimento, esplicito o implicito (di
accoglimento o di rigetto), che vale
comunque a superare il provvedimento
sanzionatorio oggetto dell’impugnativa).
Nel senso dell’improcedibilità si è già
peraltro più volte espressa la
giurisprudenza anche di codesto Tribunale
con riferimento sia alle istanze di condono,
sia alle richieste di accertamento di
conformità ex art. 36 Testo Unico
dell’Edilizia, presentate dopo l’emissione
di un’ordinanza di demolizione (TAR Calabria
Catanzaro, sez. II, 07.11.2008, n. 1482; TAR
Campania Napoli, sez. VI, 22.10.2008, n.
17688; TAR Campania Napoli, sez. III,
18.09.2008, n. 10346; TAR Campania Napoli,
sez. VI, 16.09.2008, n. 10220; TAR Campania
Napoli, sez. VI, 18.03.2008, n. 1399; TAR
Lombardia–Milano, Sez. II, 30.01.2008 n.
255/2008; TAR Lombardia–Milano, Sez. II,
27.02.2008 n. 545/2008; Consiglio Stato,
sez. V, 26.06.2007, n. 3659; Cons. Stato,
31.05.2006 n. 7884)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 14.06.2010 n. 14223 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'onere
di provare l'esistenza del manufatto oggetto
di abuso alla data ultima per beneficiare
del condono spetti al privato che chiede di
condonarlo, il quale fa transitare tale
onere in capo all'amministrazione soltanto
se fornisce elementi concreti dell'esistenza
dello stesso.
La
giurisprudenza amministrativa si è già
espressa nel senso che l'onere di provare
l'esistenza del manufatto oggetto di abuso
alla data ultima per beneficiare del condono
spetti al privato che chiede di condonarlo,
il quale fa transitare tale onere in capo
all'amministrazione soltanto se fornisce
elementi concreti dell'esistenza dello
stesso.
Sul punto si veda TAR Campania Napoli, sez.
VII, 24.07.2008, n. 9347, secondo cui "l'onere
della prova in ordine alla data di
realizzazione dell'immobile abusivo ricade
su chi ha commesso l'abuso, nel mentre solo
la deduzione, da parte di quest'ultimo, di
«concreti elementi a sostegno delle proprie
affermazioni, trasferisce il suddetto onere
in capo all'Amministrazione». L'onere per il
privato di dimostrare che l'opera è stata
completata entro la data utile, comporta che
anche la dichiarazione sostitutiva di atto
notorio non è sufficiente a tal fine,
essendo necessari ulteriori riscontri
documentali, eventualmente anche indiziari,
purché altamente probanti, con la
conseguenza che, nel caso di mancato
adempimento, da parte del richiedente il
condono, all'onere di dimostrare che l'opera
è stata completata entro la data utile,
l'Amministrazione, cui non può farsi carico
di accertare quale fosse la situazione del
suo territorio alla data di scadenza del
condono, è tenuta a respingere la domanda e
a reprimere l'abuso" (nello stesso senso
Cons. Stato, sez. VI, 06.05.2008, n. 2010).
D'altronde, è stato evidenziato in
giurisprudenza che "l'onere della prova
in ordine alla data per ottenere il condono
grava sul richiedente la sanatoria; ciò
perché mentre l'Amministrazione comunale non
è normalmente in grado di accertare la
situazione edilizia di tutto il proprio
territorio alla data indicata dalla
normativa sul condono, colui che richiede la
sanatoria può fornire qualunque
documentazione da cui possa desumersi che
l'abuso sia stato effettivamente realizzato
entro la data predetta, non potendosi
ritenere al riguardo sufficiente la sola
allegazione della dichiarazione sostitutiva
di atto notorio. Mentre, ove il richiedente
la sanatoria non dia la prova in questione,
la domanda di condono deve essere respinta"
(TAR Lazio Roma, sez. II, 02.07.2008, n.
6367)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 14.06.2010 n. 14223 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli interventi consistenti nella
installazione di tettoie o di altre
strutture che siano comunque apposte a parti
di preesistenti edifici e non compresi entro
coperture volumetriche previste in un
progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime della concessione
edilizia (oggi permesso di costruire)
soltanto ove la loro conformazione e le loro
ridotte dimensioni rendono evidente e
riconoscibile la loro finalità di arredo o
di riparo e protezione (anche da agenti
atmosferici) dell’immobile cui accedono.
Tali strutture non possono, viceversa,
ritenersi installabili senza concessione
edilizia (oggi permesso di costruire)
allorquando le loro dimensioni sono di
entità tale da arrecare una visibile
alterazione all'edificio o alle parti dello
stesso su cui vengono inserite; quando
quindi per la loro consistenza dimensionale
non possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà,
nell'edificio principale o della parte dello
stesso cui accedono.
Per giurisprudenza costante di questo TAR
(TAR Campania Napoli, sez. IV, n. 897 del
18.02.2003, n. 12962 del 20.10.2003, n. 4107
del 16.07.2002; TAR Napoli, Sez. IV,
21.11.2006, n. 10122), gli interventi
consistenti nella installazione di tettoie o
di altre strutture che siano comunque
apposte a parti di preesistenti edifici e
non compresi entro coperture volumetriche
previste in un progetto assentito, possono
ritenersi sottratti al regime della
concessione edilizia (oggi permesso di
costruire) soltanto ove la loro
conformazione e le loro ridotte dimensioni
rendono evidente e riconoscibile la loro
finalità di arredo o di riparo e protezione
(anche da agenti atmosferici) dell’immobile
cui accedono.
Tali strutture non possono, viceversa,
ritenersi installabili senza concessione
edilizia (oggi permesso di costruire)
allorquando le loro dimensioni sono di
entità tale da arrecare una visibile
alterazione all'edificio o alle parti dello
stesso su cui vengono inserite; quando
quindi per la loro consistenza dimensionale
non possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà,
nell'edificio principale o della parte dello
stesso cui accedono (in termini Consiglio di
Stato, Sez. V, 13.03.2001 n. 1442, sez. II,
05.02.1997, n. 336, TAR Lazio, Sez. II n.
1055 del 15.02.2002, TAR Parma n. 114 del
06.03.2003).
Le opere di cui si verte infatti –in
relazione alle dimensioni ed alla modalità
di realizzazione- devono senz’altro
considerarsi una “costruzione” che,
oltre a richiedere per la sua realizzazione
l’esistenza di un titolo abilitativo,
determina indubbiamente un aumento
volumetrico.
Pertanto, correttamente nel caso in esame
–trattandosi di una sopraelevazione sul
lastrico solare, consistente in una
struttura di 55 mq. tompagnata di altezza
pari a mt. 2,80– l’opera è stata qualificata
come costruzione senza titolo
dall’amministrazione comunale che ne ha
ingiunto la demolizione (Consiglio di Stato,
Sezione IV, 01.10.2007 n. 5049)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 14.06.2010 n. 14209 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I provvedimenti sanzionatori in
materia edilizia non necessitano di alcuna
motivazione in ordine alla prevalenza
dell’interesse pubblico, perché la
repressione degli abusi edilizi costituisce
un preciso obbligo dell’Amministrazione, che
non gode di alcuna discrezionalità al
riguardo.
Il
verbale di accertamento dell’inottemperanza
alla precedente ingiunzione di demolizione
di opere edilizie abusive, redatto e
notificato dal personale della Polizia
Municipale, ha valore endoprocedimentale ed
efficacia meramente dichiarativa delle
operazioni effettuate dai vigili urbani,
mentre l’acquisizione gratuita al patrimonio
comunale dell’opera abusiva non demolita
richiede una autonoma determinazione del
competente dirigente comunale.
I provvedimenti sanzionatori in materia
edilizia, salvo ipotesi particolari delle
quali non ricorrono gli estremi nella
fattispecie in esame, non necessitano di
alcuna motivazione in ordine alla prevalenza
dell’interesse pubblico, perché la
repressione degli abusi edilizi costituisce
un preciso obbligo dell’Amministrazione, che
non gode di alcuna discrezionalità al
riguardo.
Secondo la giurisprudenza di questo
Tribunale (TAR Campania Napoli, Sez. II,
21.11.2006, n. 10110), il verbale di
accertamento dell’inottemperanza alla
precedente ingiunzione di demolizione di
opere edilizie abusive, redatto e notificato
dal personale della Polizia Municipale, ha
valore endoprocedimentale ed efficacia
meramente dichiarativa delle operazioni
effettuate dai vigili urbani, mentre
l’acquisizione gratuita al patrimonio
comunale dell’opera abusiva non demolita
richiede una autonoma determinazione del
competente dirigente comunale. Poiché ai
vigili urbani non è attribuita la competenza
all’adozione di atti di amministrazione
attiva, a tal uopo occorrendo che la
preposta autorità amministrativa ne faccia
proprio l’esito attraverso un formale atto
di accertamento (cfr. TAR Campania, II
Sezione, 18.05.2005, n. 6525), il mero
verbale è atto privo di autonoma efficacia
lesiva
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 14.06.2010 n. 14209 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I limiti delle altezze, dettati
per le costruzioni, non si applicano agli
impianti tecnologici di cui al D.Lgs.
259/2003, essendo stati posti per
l’edificazione di strutture e manufatti
aventi un rilievo urbanistico ed edilizio
diverso da quello dei detti impianti, i
quali non sviluppano normalmente volumetria
o cubatura, se non limitatamente ai
basamenti e alle cabine accessorie, e non
determinano perciò ingombro visivo
paragonabile a quello delle costruzioni né
simile impatto sul territorio.
Questo Consiglio ha chiarito (C. di S., VI,
07.06.2006, n. 3425) che i limiti delle
altezze, dettati per le costruzioni, non si
applicano agli impianti tecnologici di cui
al D.Lgs. 259/2003, essendo stati posti per
l’edificazione di strutture e manufatti
aventi un rilievo urbanistico ed edilizio
diverso da quello dei detti impianti, i
quali non sviluppano normalmente volumetria
o cubatura, se non limitatamente ai
basamenti e alle cabine accessorie, e non
determinano perciò ingombro visivo
paragonabile a quello delle costruzioni né
simile impatto sul territorio, dovendosi
anche considerare che spesso “Le stazioni
radio base, per esigenze di irradiamento del
segnale, si sviluppano normalmente in
altezza, tramite strutture metalliche, pali
o tralicci, talora collocate su strutture
preesistenti, su lastrici solari, su tetti,
a ridosso di pali” come è nel caso in
esame in cui l’impianto da adeguare si trova
su un terrazzo.
Il richiamato art. 83 del regolamento
edilizio comunale deve, in conclusione,
essere disapplicato, essendo stato da tempo
ammesso “che il giudice amministrativo,
in applicazione del principio della
gerarchia delle fonti possa valutare
direttamente, attraverso lo strumento della
disapplicazione del regolamento, il
contrasto tra provvedimento e legge,
eventualmente annullando il provvedimento a
prescindere dall’impugnazione congiunta del
regolamento” (C. di S., VI, 03.10.2007,
n. 5098)
(Consiglio di Stato, Sez. Vi,
sentenza 18.12.2009 n. 8394 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il porticato, in quanto
suscettibile di autonomo utilizzo (e,
quindi, non classificabile come pertinenza)
e con un proprio impatto volumetrico,
costituisce opera nuova rispetto al
precedente fabbricato, incidendo in modo
permanente e non precario sull’assetto
edilizio, con la conseguente necessità del
previo rilascio della concessione edilizia.
Le tettorie rientrano tra le opere edilizie
idonee a trasformare in modo permanente il
territorio, a causa dell'uso stabile delle
stesse poiché in materia edilizia rileva
l'oggettiva idoneità delle strutture
installate ad incidere sullo stato dei
luoghi, dovendosi, peraltro, escludere la
precarietà ogni volta che l'opera sia
destinata a fornire un'utilità prolungata
nel tempo.
Anche la tettoia avente carattere di
stabilità, realizzata in aderenza ad un
preesistente fabbricato ed idonea ad
un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter
essere considerata una mera pertinenza,
costituisce un'opera esterna per la cui
realizzazione occorre la concessione
edilizia.
Come chiarito dalla recente giurisprudenza,
ormai consolidata, alla quale questo
Collegio aderisce, il porticato, in quanto
suscettibile di autonomo utilizzo (e,
quindi, non classificabile come pertinenza)
e con un proprio impatto volumetrico,
costituisce opera nuova rispetto al
precedente fabbricato, incidendo in modo
permanente e non precario sull’assetto
edilizio, con la conseguente necessità del
previo rilascio della concessione edilizia
(cfr. ex multis, TAR Lazio, Latina,
19.01.2007, n. 44; TAR Toscana Firenze, sez.
III, 17.07.2003, n. 2850).
L’esito non muta neanche nel caso in cui si
ritenesse, come sostenuto dalla difesa dei
ricorrenti, di qualificare l’opera come
tettoia. Le tettorie, infatti, rientrano tra
le opere edilizie idonee a trasformare in
modo permanente il territorio, a causa
dell'uso stabile delle stesse poiché in
materia edilizia rileva l'oggettiva idoneità
delle strutture installate ad incidere sullo
stato dei luoghi, dovendosi, peraltro,
escludere la precarietà ogni volta che
l'opera sia destinata a fornire un'utilità
prolungata nel tempo (cfr., TAR Emilia
Romagna Bologna, sez. II, 21.10.2009, n.
1922; TAR Lazio, Latina, 05.08.2009, n. 771;
TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008,
n. 10059; TAR Lazio, Roma, sez. I,
18.06.2008, n. 5965).
La giurisprudenza è consolidata nel
ritenere, peraltro, che anche la tettoia
avente carattere di stabilità, realizzata in
aderenza ad un preesistente fabbricato ed
idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a
non poter essere considerata una mera
pertinenza, costituisce un'opera esterna per
la cui realizzazione occorre la concessione
edilizia (TAR Lazio Latina, 05.08.2009, n.
771; TAR Lombardia Milano, sez. II,
04.12.2007, n. 6544) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 18.12.2009 n. 3639 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il caso di motivazione per
relationem, l'art. 3 della legge 241/1990
non obbliga l'amministrazione ad accludere
al provvedimento gli atti cui lo stesso
rinvia, risultando sufficiente che tali atti
siano resi disponibili, rimettendo dunque la
concreta disponibilità all'attivazione
dell'interessato, a mezzo del diritto di
accesso.
La consolidata
giurisprudenza è nel senso di ritenere che
in caso di motivazione per relationem,
l'art. 3 della legge generale sul
procedimento amministrativo non obbliga
l'amministrazione ad accludere al
provvedimento gli atti cui lo stesso rinvia,
risultando sufficiente che tali atti siano
resi disponibili, rimettendo dunque la
concreta disponibilità all'attivazione
dell'interessato, a mezzo del diritto di
accesso (cfr., TAR Lombardia Milano, sez. IV,
02.07.2009, n. 4258; TAR Lombardia Milano,
sez. III, 29.04.2009, n. 3595)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 18.12.2009 n. 3639 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: L'approvazione
del piano di lottizzazione non è atto
dovuto, anche se conforme al piano
regolatore generale, ma costituisce sempre
espressione di potere discrezionale
dell'autorità chiamata a valutare
l'opportunità di dare attuazione alle
previsioni dello strumento urbanistico
generale.
Al Consiglio comunale va, dunque,
riconosciuto un ampio potere discrezionale
nella valutazione delle soluzioni proposte,
giacché esso esercita pur sempre poteri di
pianificazione del territorio comunale e non
di semplice riscontro della conformità del
piano allo strumento generale.
E’ pacifico che l'approvazione del piano di
lottizzazione non è atto dovuto, anche se
conforme al piano regolatore generale, ma
costituisce sempre espressione di potere
discrezionale dell'autorità chiamata a
valutare l'opportunità di dare attuazione
alle previsioni dello strumento urbanistico
generale, essendovi fra quest'ultimo e gli
strumenti attuativi un rapporto di
necessaria compatibilità, ma non di formale
coincidenza; e che al Consiglio comunale va,
dunque, riconosciuto un ampio potere
discrezionale nella valutazione delle
soluzioni proposte, giacché esso esercita
pur sempre poteri di pianificazione del
territorio comunale e non di semplice
riscontro della conformità del piano allo
strumento generale.
Peraltro, come in generale per tutti i casi
di esercizio di un potere discrezionale,
l’esigenza di consentire la verifica anche
in sede giurisdizionale della legittimità
dell’esercizio del potere impone
all’Autorità amministrativa di indicare
sempre, se del caso succintamente ma
esaurientemente, le ragioni di fatto e di
diritto poste a fondamento della decisione
adottata, restando evidente che nel sistema
consacrato dall’art. 3 della legge
07.08.1990 n. 241 la mera affermazione che
si agisca nell’esercizio di un potere
discrezionale non vale ad escludere il
predetto onere motivazionale.
Pertanto, se è vero che in tema di scelte
urbanistiche l’amministrazione procedente
dispone di un ampio potere discrezionale, è
altrettanto vero che lo stesso trova il suo
limite nell’arbitrarietà, nell’illogicità e
nell’irragionevolezza delle scelte operate,
la cui verifica non può che riscontrarsi
dall’esame delle ragioni poste a fondamento
della decisione assunta
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 18.12.2009 n. 2250 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Le ordinanze ex art. 50 T.U.E.L.
hanno natura extra-ordinem, sono
estremamente invasive della sfera giuridica
dei destinatari di esse e, quindi, il
sindaco deve assumersene la relativa
responsabilità.
Laddove venga in considerazione la necessità
di porre rimedio alla precarietà di edifici
al fine di assicurare l’incolumità pubblica,
é onere del Sindaco, nell’esercizio dei
poteri di Ufficiale di Governo conferitigli
dall’art. 50 T.U.E.L., individuare in
maniera specifica ed articolata gli
interventi ritenuti necessari ed
imprescindibili allo scopo di assicurare
l’incolumità pubblica, previo esperimento di
adeguata istruttoria, all’occorrenza con
richiesta di pareri agli enti competenti in
materia: ad esempio al Genio Civile.
In difetto di ciò, infatti, il cittadino
privato rimane sostanzialmente libero di
individuare le modalità dell’intervento e si
crea, perciò, un duplice ordine di rischi:
a) che il pericolo, che l’ordinanza
contigibile ed urgente tendeva a prevenire,
non venga rimosso per inadeguatezza
intrinseca degli interventi;
b) che laddove più siano i destinatari della
ordinanza, ad esempio in caso di
comproprietà pro-diviso dello stabile in
stato di precarietà, costoro agiscano
autonomamente ponendo in essere interventi
incompatibili.
Va ancora rilevato che le ordinanze ex art.
50 T.U.E.L. hanno natura extra-ordinem,
sono estremamente invasive della sfera
giuridica dei destinatari di esse e, quindi,
il sindaco deve assumersene la relativa
responsabilità: e laddove esse si limitino a
demandare ai privati delle attività
determinate solo in via generica –ad
esempio: la “messa in sicurezza di un
immobile” – esse integrano una
sostanziale delega di responsabilità, come
tale inammissibile
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 17.12.2009 n. 3213 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il direttore regionale per i beni
culturali e paesaggistici è competente alla
dichiarazione dell'interesse culturale delle
cose di proprietà privata.
Il vincolo indiretto, com’è noto, viene
imposto su beni e aree circostanti a quelli
sottoposti a vincolo diretto, per garantirne
una migliore visibilità e fruizione
collettiva o migliori condizioni ambientali
e di decoro; appare perciò del tutto logico
che –vincolata la villa– sia stato apposto
un vincolo indiretto sul parco, risultando
ragionevoli le limitazioni imposte con il
provvedimento impugnato al fine di
preservare il parco stesso, quale necessario
ornamento della villa, ed evitare che la
vista della villa risulti pregiudicata da
altre costruzioni
Il direttore regionale per i beni culturali
e paesaggistici è competente alla
dichiarazione dell'interesse culturale delle
cose di proprietà privata (CdS, VI,
3795/2008); non sussiste la violazione
dell'art. 14, comma 6, d.lgs. n. 42 del
2004, il quale dispone che la dichiarazione
dell'interesse culturale è adottata dal
Ministero.
Tale disposizione, infatti, fa riferimento
al Ministero, inteso nelle sue
articolazioni, senza prevedere in modo
specifico la competenza del Ministro. Per di
più non va sottaciuto che, a seguito
dell'entrata in vigore dell'art. 3, d.lgs.
n. 29 del 1993, poi sostituito dall'art. 4,
d.lgs. n. 165 del 2001, gli atti di
amministrazione attiva dei singoli Ministeri
sono stati assegnati alla competenza dei
Dirigenti e non più al Ministro, alla luce
del principio di separazione tra le funzioni
di indirizzo, in capo al Ministro, e le
funzioni di gestione delle amministrazioni,
in capo ai Dirigenti (così Tar Campania,
Napoli, VII, 9259/2006).
Né il procedimento di dichiarazione di bene
culturale deve concludersi entro un termine
perentorio (Tar Liguria, I, 54/2009).
Non è poi vero che il vincolo indiretto
possa solo prescrivere distanze, misure e
norme finalizzate ad evitare che siano messi
in pericolo i beni culturali, ma non possa
spingersi fino a dichiarare un terreno non
edificabile: il vincolo indiretto ben può
arrivare a determinare anche l'inedificabilità
di determinate aree, pur essendo necessaria
una motivazione rigorosa e sorretta da
adeguata istruttoria, trattandosi
evidentemente di imporre ai destinatari un
sacrificio di notevole intensità (Tar
Campania, Napoli, VIII, 2161/2009).
Né ciò determina un vincolo sostanzialmente
espropriativo, senza indennizzo, con
conseguente illegittimità costituzionale:
come precisato dalla Consulta nella sentenza
n. 56/1968, i vincoli finalizzati alla
tutela dei beni culturali ben possono
limitare, anche fortemente, il diritto di
proprietà senza che sia necessario un
indennizzo.
Il vincolo indiretto, com’è noto, viene
imposto su beni e aree circostanti a quelli
sottoposti a vincolo diretto, per garantirne
una migliore visibilità e fruizione
collettiva o migliori condizioni ambientali
e di decoro (CdS, VI, 6513/2008); appare
perciò del tutto logico che –vincolata la
villa– sia stato apposto un vincolo
indiretto sul parco, risultando ragionevoli
le limitazioni imposte con il provvedimento
impugnato al fine di preservare il parco
stesso, quale necessario ornamento della
villa, ed evitare che la vista della villa
risulti pregiudicata da altre costruzioni
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 16.12.2009 n. 8804 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
legittimazione ad insorgere contro il
permesso di costruire rilasciato a terzi si
radica in capo al proprietario di un
immobile sito nella zona interessata dalla
costruzione o a chi si trovi in una
situazione di stabile collegamento con la
zona stessa (sia di natura reale che
obbligatoria), senza che debba essere
fornita dimostrazione della sussistenza di
un interesse qualificato alla tutela
giurisdizionale.
Secondo maggioritaria giurisprudenza, che il
collegio condivide (TAR Campania, NA sez. I
1439/2008), se è vero che la normativa
urbanistica non consente l’esperimento di
azioni popolari, la legittimazione ad
insorgere contro il permesso di costruire
rilasciato a terzi si radica in capo al
proprietario di un immobile sito nella zona
interessata dalla costruzione o a chi si
trovi in una situazione di stabile
collegamento con la zona stessa (sia di
natura reale che obbligatoria), senza che
debba essere fornita dimostrazione della
sussistenza di un interesse qualificato alla
tutela giurisdizionale (cfr. anche Consiglio
di Stato, Sez. V, 13.07.2000 n. 3904; TAR
Umbria, 05.05.2006 n. 305; TAR Lazio Roma,
Sez. II, 02.11.2005 n. 10255; TAR Campania
Napoli, Sez. II, 06.05.2005 n. 5557; TAR
Sicilia Catania, Sez. III, 02.08.2004 n.
1981; TAR Piemonte, Sez. I, 07.07.2003 n.
1042); in altri termini, è da ravvisare una
posizione qualificata e differenziata in
coloro che si trovano in una situazione di
stabile collegamento con la zona di
intervento edilizio e che facciano valere un
interesse giuridicamente protetto di natura
urbanistica, quale è quello all’osservanza
delle prescrizioni regolatrici
dell’edificazione, senza che sia necessario
accertare in concreto se i lavori assentiti
con l’atto gravato comportino o meno un
effettivo pregiudizio per il soggetto che
propone l’impugnazione
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 16.12.2009 n. 572 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di "variante" edilizia deve
ricollegarsi a modificazioni qualitative o
quantitative di non rilevante consistenza
rispetto all'originario progetto e gli
elementi da prendere in considerazione, al
fine di discriminare un nuovo permesso di
costruire dalla variante ad altro
preesistente, riguardano la superficie
coperta, il perimetro, la volumetria, le
distanze dalle proprietà viciniori, nonché
le caratteristiche funzionali e strutturali,
interne ed esterne, del fabbricato.
Ha chiarito la Corte di Cassazione che non
tutte le modifiche alla progettazione
originaria possono definirsi varianti, e che
queste si configurano solo allorquando il
progetto già approvato non risulti
sostanzialmente e radicalmente mutato dal
nuovo elaborato (come accade, ad esempio,
nelle ipotesi di sensibile spostamento della
localizzazione del manufatto, aumento del
numero dei piani, creazione di un piano
seminterrato, modifica del prospetto esterno
etc.).
La nozione di "variante" deve
ricollegarsi a modificazioni qualitative o
quantitative di non rilevante consistenza
rispetto all'originario progetto e gli
elementi da prendere in considerazione, al
fine di discriminare un nuovo permesso di
costruire dalla variante ad altro
preesistente, riguardano la superficie
coperta, il perimetro, la volumetria, le
distanze dalle proprietà viciniori, nonché
le caratteristiche funzionali e strutturali,
interne ed esterne, del fabbricato (Sez. III
penale, n. 9922 del 05/03/2009)
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 16.12.2009 n. 572 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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