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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di SETTEMBRE 2010

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aggiornamento al 29.09.2010

aggiornamento al 28.09.2010

aggiornamento al 27.09.2010

aggiornamento al 18.09.2010

aggiornamento al 13.09.2010

aggiornamento al 06.09.2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 29.09.2010

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A V V I S O
In relazione ai convegni organizzati in quel di Bergamo per il 06, 13 e 20 ottobre 2010, si avvisano i naviganti del sito che i posti a sedere per la 3^ giornata (sulla SCIA) sono esauriti.
Pertanto, da oggi mercoledì 29.09.2010 non saranno più accettate -e cestinate- eventuali adesioni che dovessero ancora pervenire per la suddetta data, mentre sono ancora disponibili posti per le date del 06 e 13 ottobre.
Ai fini della migliore cognizione del presente avviso, solo per oggi e domani il telefax sarà disattivato e riattivato da venerdì 01.10.2010.
Si coglie l'occasione per confermare -agli interessati- tutte le adesioni pervenute via telefax sino a ieri.
Inoltre, si chiede cortesemente a tutti coloro che hanno prenotato l'adesione alla 3^ giornata di effettivamente presenziare e di dare "forfait" solo a causa di forza maggiore (cataclismi, diluvio universale, caduta meteoriti, invasione di cavallette, ecc.) pregiudicando, altrimenti, la possibilità di partecipazione di coloro che fossero fattivamente interessati.
LA SEGRETERIA PTPL

AGGIORNAMENTO AL 28.09.2010

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NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA: Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) - Art. 49, commi 4-bis e seguenti, della Legge n. 122/2010 (Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggistici e Conservatori, nota 24.09.2010 n. 764 di prot.).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: M. Bottone, SUL DPR 09.07.2010 n. 139 (autorizzazione paesaggistica semplificata) - Quando per semplificare si abolisce …
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Ringraziamo il Geom. Marcellino Bottone, di Piedimonte Matese (CE), per il contributo ricevuto.

PUBBLICO IMPIEGO: F. Logiudice, I riflessi della manovra d’estate sul personale delle PPAA (link a www.altalex.com).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Piano territoriale paesistico (P.T.P.) - Costruzione abusiva - Area sottoposta a vincoli paesaggistici - Potere di ordinare la demolizione - Partecipazione al procedimento amministrativo - Fattispecie: demolizione opere abusive eseguite sul pubblico demanio marittimo - D.P.R. n. 380/2001 - Art. 7 e ss. L. n. 241/1990 e s.m.i. - Art. 1, L. n. 65/1986.
In ragione del loro contenuto rigidamente vincolato, gli atti sanzionatori in materia edilizia (tra cui l'ordine di demolizione della costruzione abusiva) non devono essere preceduti dalla comunicazione d'avvio del relativo procedimento (Cons. Stato, Sez. IV, sent. 15/05/2009, n. 3029; C.d.S., Sez. IV, sent. 26/09/2008, n. 4659; C.d.S., Sez. V, sent. 19/09/2008, n. 4530; C.d.S., Sez. V, 26/02/2003, n. 1095).
Nella specie, il verbale di sequestro dei manufatti abusivi redatto dal Corpo di Polizia Municipale (verbale ritualmente portato a legale conoscenza dell'appellante) costituisse altresì "partecipazione del procedimento amministrativo ai sensi dell'art. 7 e seguenti della legge n. 241/1990 e s.m.i.", in tal modo consentendo all'odierna appellante di conoscere il verosimile esito provvedimentale della vicenda e di versare in atti (laddove lo avesse ritenuto utile) le proprie deduzioni.
Sicché, non è contestabile la riferibilità dell'attività del Corpo di Polizia Municipale all'Ente-Comune di riferimento (in tal senso: art. 1, l. 07.03.1986, n. 65) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.09.2010 n. 7129 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Atti pubblici - Verbali provenienti da pubblici ufficiali - Efficacia probatoria e limiti - Querela di falso e art. 2700 c.c. - Apprezzamenti, valutazioni e deduzioni del pubblico ufficiale - Esclusione della c.d. fede privilegiata - Confutazione - Fattispecie: verbali della polizia municipale.
In materia di atti pubblici, se per un verso è vero che i verbali della polizia municipale, come tutti i verbali provenienti da pubblici ufficiali, hanno efficacia di piena prova, fino a querela di falso (art. 2700 c.c.) solo relativamente alla provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (mentre tale fede privilegiata non si estende né agli apprezzamenti del pubblico ufficiale ovvero alle sue ulteriori valutazioni e deduzioni); d'altra parte è pur vero che le valutazioni e deduzioni in tal modo svolte dai pubblici ufficiali possono essere confutate nella loro consistenza solo attraverso l'allegazione di circostanziate deduzioni in contrario che, nel caso di specie, non sono state in alcun modo fornite, se non attraverso l'indimostrata affermazione della destinazione dei manufatti in parola al superamento delle barriere architettoniche (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.09.2010 n. 7129 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Piano Territoriale Paesistico (P.T.P.) - Autorizzazione edilizia - Incremento dei volumi esistenti - Annullamento della Sovrintendenza - Legittimità - Fattispecie.
E' legittimo l'intervento della Sovrintendenza ostativo a qualsiasi incremento dei volumi esistenti (di fatto, per contrasto con l'art. 12.4 del P.T.P. campano), senza che si possa distinguere in considerazione della destinazione funzionale del nuovo volume da realizzare.
Nella specie, il Soprintendente per i beni architettonici ed il paesaggio di Napoli ha annullato l'autorizzazione rilasciata per la copertura di cassoni di raccolta dell'acqua siti nel giardino di pertinenza, anche al fine di allocazione di pannelli solari per la produzione di energia elettrica (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.09.2010 n. 7123 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Partecipazione al procedimento - Totale assenza della comunicazione - Finalità partecipativa e impossibilità di incidere - Interpretazione ed applicazione non meccanica né formalistica - Artt. 7, 8 e 10 L. n. 241/1990 - D.M. n. 165/2002.
Il raggiungimento della finalità partecipativa o l'impossibilità di incidere - con la partecipazione - sul contenuto del procedimento, sono stati considerati esimenti sufficienti ai fini della validità del provvedimento adottato senza la pedissequa osservanza delle norme citate, o anche in totale assenza della comunicazione.
Inoltre, ai sensi degli artt. 7, 8 e 10 L. 07.08.1990 n. 241, si deve tener conto dell'esigenza di una interpretazione ed applicazione non meccanica né formalistica delle norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo (Cons. Stato, Sez. IV, 15/06/2004, n. 4018) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.09.2010 n. 7123 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Parere dell’ente parco - Procedimenti autonomi - Competenze differenziate - Salvaguardia di beni solo parzialmente coincidenti - Coesistenza di una valutazione di incidenza positiva e di un parere del parco di segno opposto - Possibilità.
Non è precluso all’Ente parco l’esame degli effetti di un intervento sulle risorse naturali, quando si sia già conclusa favorevolmente la procedura di valutazione di incidenza ai sensi delle Direttive 1979/409/CE e 1992/43/CE. Ciò non soltanto in virtù del fatto che la legge attribuisce la competenza, per i due procedimenti, ad Amministrazioni diverse, ciascuna dotata di autonomo potere decisionale (la Provincia e l’Ente parco).
Invero, è da considerare che anche sul piano sostanziale i due procedimenti sono preordinati alla salvaguardia di beni solo parzialmente coincidenti: la fauna e l’habitat naturale per i siti d’importanza comunitaria SIC e ZPS, il paesaggio ed il complessivo equilibrio dell’ecosistema e delle risorse naturali e produttive per il Parco.
Sicché nulla esclude che in concreto coesistano, debitamente giustificate ed entrambe legittime, una valutazione di incidenza positiva ed un parere dell’Ente parco di segno opposto, anche quando quest’ultimo sia stato già anticipato (e disatteso) nell’ambito del procedimento condotto dalla Provincia (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 24.09.2010 n. 3493 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo paesaggistico - Art. 167 d.lgs. n. 42/2004 - Divieto di sanatoria paesistica - Interpretazione della norma conforme al principio di proporzionalità - Assenza di danno ambientale - Rilascio in via successiva dell’autorizzazione paesistica - Ammissibilità.
Se non ci si ferma a un’interpretazione letterale dell’art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs. 42/2004 e si integra la norma con il principio di proporzionalità, si può osservare come il divieto di sanatoria paesistica abbia in realtà la funzione di impedire all’amministrazione di trasformare ordinariamente, attraverso il giudizio di compatibilità paesistica, il danno ambientale in un equivalente monetario.
Il fatto compiuto viene quindi sanzionato con la remissione in pristino in quanto potrebbe indurre l’amministrazione ad accettare un prezzo in cambio di una lesione al vincolo paesistico.
Dove tuttavia non sussista alcun danno ambientale, o addirittura sia possibile ottenere un guadagno ambientale con l’assunzione da parte del trasgressore di specifiche obbligazioni nell’interesse del vincolo paesistico, non vi sono ragioni per escludere un’autorizzazione paesistica rilasciata in via successiva (v. TAR Brescia Sez. I 19.03.2008 n. 317; TAR Brescia Sez. I 25.05.2010 n. 2139): ciò a maggior ragione ove la costruzione sia regolarizzabile dal punto di vista urbanistico, in quanto sarebbe contraria all’art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs. 42/2004 come sopra interpretato l’imposizione della sanzione demolitoria per opere che una volta demolite potrebbero essere ricostruite identiche (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.09.2010 n. 3555 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di pertinenza - Regione Lombardia - Art. 27, c. 1, lett. e-6 L.r. 12/2005 - Volume della pertinenza - Limite del 20% rispetto all’edificio principale - Mediazione degli strumenti urbanistici comunali.
Sul piano urbanistico le pertinenze sono una categoria di interventi individuata non attraverso la nozione civilistica di cui all’art. 817 c.c. ma in ragione della modesta rilevanza economica e del limitato peso per il territorio (v. CS Sez. IV 13.01.2010 n. 41; TAR Brescia Sez. I 13.10.2008 n. 1259).
Nella Regione Lombardia, l’art. 27, comma 1, lett. e-6, della LR 12/2005 esclude che si possa definire pertinenza una costruzione il cui volume sia superiore al 20% del volume dell'edificio principale. Al di sotto di questa soglia le costruzioni collegate ad altri edifici non sono comunque automaticamente qualificabili come pertinenze.
La predetta norma regionale (come la corrispondente norma statale) richiede infatti che la qualificazione delle pertinenze sia mediata dagli strumenti urbanistici comunali e dai regolamenti edilizi.
Dunque la deroga alle regole stabilite per le nuove costruzioni è ammissibile solo quando la disciplina comunale contenga un criterio idoneo a differenziare le pertinenze dal resto dell’attività edificatoria (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.09.2010 n. 3555 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Anche per i piani di lottizzazione deve valere sia la norma sulla durata decennale che la norma sulla decadenza o inefficacia per la parte inattuata, entrambe dettate per i piani particolareggiati rispettivamente dagli artt. 16, comma 5, e 17, comma 1, della L. 1150/1942. Dispone quest’ultima disposizione che “decorso il termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione”.
Alla scadenza del Piano di lottizzazione ed ove lo stesso sia rimasto inattuato, si registra la sopravvenuta inefficacia del regime urbanistico di dettaglio dallo stesso introdotto, che pertanto non può più fungere da cornice giuridica di riferimento per il rilascio dei titoli concessori.
La scadenza del termine di esecuzione di un piano attuativo, infatti, ne determina l’inefficacia ma non ne produce per ciò solo la totale irrilevanza, sotto il profilo della specifica qualificazione dell’aspirazione di colui che sottoscrisse la convenzione a mantenere immutata la destinazione urbanistica data all’area dal piano regolatore e ad ottenere la ponderazione della propria situazione giuridica sostanziale con l’interesse pubblico perseguito dall’Ente locale.

Le convenzioni urbanistiche sono accordi stipulati tra il privato ed il Comune per determinare l’assetto di una parte del territorio e disciplinare i loro reciproci rapporti, precisando in particolare gli obblighi che il privato assume unilateralmente in attuazione delle norme di legge ed in conformità agli strumenti urbanistici.
Esse hanno natura di negozi bilaterali, onerosi e di scambio, il cui contenuto è condizionato dalla qualificazione pubblicistica di uno dei contraenti, ed hanno essenzialmente per oggetto l’assunzione, da parte del privato, dell’obbligo di cedere al Comune aree di proprietà nonché di versare somme di denaro ed eventualmente di eseguire direttamente determinate opere di urbanizzazione.
E’ necessario a questo punto richiamare il pacifico orientamento giurisprudenziale per il quale la fattispecie della parziale attuazione di un piano di lottizzazione non risulta espressamente disciplinata dall’art. 28 della L. 17/08/1942 n. 1150, e tuttavia la regolamentazione può essere ricavata dalla norma analoga dettata dall’art. 17 della stessa legge per i piani particolareggiati (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV – 30/06/2004 n. 4803; sez. IV – 25/07/2001 n. 4073): anche per i piani di lottizzazione deve valere sia la norma sulla durata decennale che la norma sulla decadenza o inefficacia per la parte inattuata, entrambe dettate per i piani particolareggiati rispettivamente dagli artt. 16, comma 5, e 17, comma 1, della L. 1150/1942 (TAR Sardegna – 18/08/2003 n. 1033). Dispone quest’ultima disposizione che “decorso il termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione”.
In proposito la giurisprudenza ha affermato che la fissazione di un termine di efficacia per le lottizzazioni risponde all’esigenza di assicurare effettività ed attualità alle previsioni urbanistiche, che risulterebbe compromessa se le lottizzazioni convenzionate avessero l’effetto di condizionare a tempo indeterminato la pianificazione urbanistica futura attraverso l’affidamento dei suoi titolari: pertanto, la scadenza del termine decennale fa venir meno –sul piano oppositivo– i presupposti dello ius aedificandi e, sul piano pretensivo, l’affidamento all’intangibilità delle destinazioni urbanistiche definite dal Piano (Consiglio di Stato, sez. IV – 13/04/2005 n. 1743; TAR Sicilia Catania, sez. I – 27/01/2004 n. 72; TAR Calabria Catanzaro, sez. I – 22/12/2004 n. 2453; TAR Puglia Lecce, sez. I – 14/09/2006 n. 4449).
In altri termini, alla scadenza del Piano di lottizzazione ed ove lo stesso sia rimasto inattuato, si registra la sopravvenuta inefficacia del regime urbanistico di dettaglio dallo stesso introdotto, che pertanto non può più fungere da cornice giuridica di riferimento per il rilascio dei titoli concessori.
La scadenza del termine di esecuzione di un piano attuativo, infatti, ne determina l’inefficacia ma non ne produce per ciò solo la totale irrilevanza, sotto il profilo della specifica qualificazione dell’aspirazione di colui che sottoscrisse la convenzione a mantenere immutata la destinazione urbanistica data all’area dal piano regolatore e ad ottenere la ponderazione della propria situazione giuridica sostanziale con l’interesse pubblico perseguito dall’Ente locale (Consiglio di Stato, sez. IV – 03/11/1998 n. 1412).
In buona sostanza l’amministrazione, nel rivedere la propria pianificazione, non può prescindere totalmente dalle legittime aspettative dei privati sottoscrittori della convenzione (o aventi causa), ma deve soppesarle con i valori collettivi sottesi alle nuove scelte urbanistiche; al contempo, tuttavia, l’omesso completamento delle opere di urbanizzazione entro il termine di legge osta al perfezionamento di una pretesa di tipo sostanzialmente automatico, consistente nel rilascio dei titoli abilitativi correlati alla qualità edificatoria del suolo.
Lo spessore della posizione giuridica dei privati è dunque sufficiente a garantire loro un adeguato giudizio di bilanciamento, che il Comune è tenuto a compiere prima di adottare nuove decisioni sull’assetto urbanistico del territorio coinvolto; detto spessore non raggiunge però la consistenza necessaria a far conservare (o affiorare) pretese edificatorie dirette
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 27.08.2010 n. 3251 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul recupero del sottotetto in Lombardia con innalzamento di quota in merito: alla distanza minima dai confini di proprietà, al rispetto della distanza di mt. 10,00 tra pareti finestrate di cui anche abusiva, alla nozione di sottotetto utile da recuperare in deroga ex L.R. 12/2005.
Occorre precisare in primo luogo che la qualificazione del recupero del sottotetto come ristrutturazione non è idonea da sola a rendere automaticamente possibile la sopraelevazione dell’edificio.
La ristrutturazione è una categoria di interventi edilizi che si può ripartire in due sottogruppi: da un lato la ristrutturazione pesante di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), del DPR 380/2001 (ossia quella che conduce a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comporta aumento di unità immobiliari o modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti, delle superfici) e dall’altro la ristrutturazione leggera (definita per residualità).
La ristrutturazione pesante equivale nella sostanza a una nuova costruzione che si aggiunge a una costruzione esistente. In questo quadro la scelta del legislatore regionale di definire il recupero del sottotetto come ristrutturazione non ha contenuto innovativo ma si limita a utilizzare il concetto di ristrutturazione pesante già presente nella normativa statale.
Il problema diventa allora fino a che punto la ristrutturazione pesante abbia regole diverse dalla nuova edificazione su area libera. In negativo, ovvero sotto il profilo sanzionatorio, non vi è nessuna differenza, in quanto l’art. 33, comma 6-bis, e l’art. 34, comma 2-bis, del DPR 380/2001 prevedono anche in questo caso l’applicazione di misure ripristinatorie o in subordine pecuniarie come negli abusi edilizi maggiori. In positivo, ovvero per quanto riguarda i diritti edificatori, dipende dal grado di resistenza delle norme che devono essere derogate.
Relativamente alla distanza dai confini si può ritenere che il recupero del sottotetto comportante sopraelevazione possa avvenire in deroga alle previsioni stabilite negli strumenti urbanistici comunali.
In via generale la giurisprudenza (v. Cass. civ. Sez. II 11.06.2008 n. 15527; Cass. civ. Sez. II 12.01.2005 n. 400; Cass. civ. Sez. II 27.05.2003 n. 8420; Cass. civ. Sez. II 08.01.2001 n. 200) si attiene alla seguente regola:
(a) la sopraelevazione, comportando nuovo volume, richiede sempre il rispetto della distanza dai confini indipendentemente dal fatto che in origine vi sia stata prevenzione nei confronti del proprietario confinante;
(b) tuttavia la normativa comunale può stabilire se e a quali condizioni sia ammessa la costruzione senza arretramento.
Nel caso del sottotetto è direttamente il legislatore regionale che pone la disciplina, sovrapponendosi alle scelte dei singoli comuni, con un chiaro favore per la realizzabilità di questo tipo di interventi.
L’art. 64, comma 1, della LR 12/2005 consente modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde (con il solo limite dell’altezza massima di zona) senza alcun riferimento all’arretramento dei muri esterni in relazione alla distanza dai confini.
L’art. 64, comma 2, della LR 12/2005 precisa ulteriormente che il recupero del sottotetto è ammesso anche in deroga ai limiti e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, ad eccezione del reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali.
La finalità che emerge da queste norme è di far prevalere su ogni diversa valutazione comunale l’interesse all’insediamento di nuova volumetria residenziale in continuità con le costruzioni sottostanti. Vi è quindi incompatibilità logica con il vincolo della distanza minima dai confini, che potrebbe compromettere l’utilità del recupero del sottotetto e alterare in modo disarmonico la sagoma degli edifici.
Poiché il legislatore regionale si è sostituito ai comuni in una materia nella disponibilità dei comuni stessi non vi sono altre ragioni che si oppongano alla possibilità di sopraelevare lungo il perimetro dell’edificio esistente.
La situazione cambia però radicalmente quando la sopraelevazione si collochi di fronte a pareti finestrate. In questo caso la distanza minima di 10 metri prevista (al di fuori della zona A) dall’art. 9, comma 1, n. 2, del DM 1444/1968 costituisce un ostacolo insuperabile.
La giurisprudenza ha chiarito che questa norma per la sua genesi (è stata adottata ex art. 41-quinquies, comma 8, della legge 17.08.1942 n. 1150, come introdotto dall’art. 17 della 06.08.1967 n. 765) e per la sua funzione igienico-sanitaria (evitare intercapedini malsane) costituisce un principio inderogabile della materia.
In particolare si tratta di una norma che prevale sia sulla potestà legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze (v. C.Cost. 16.06.2005 n. 232), sia sulla potestà regolamentare e pianificatoria dei comuni, in quanto deriva da una fonte normativa statale sovraordinata (v. Cass. civ. Sez. II 31.10.2006 n. 23495), sia infine sull’autonomia negoziale dei privati, in quanto tutela interessi pubblici che per la loro natura igienico-sanitaria non sono nella disponibilità delle parti (v. CS Sez. IV 12.06.2007 n. 3094).
Si può aggiungere che un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 64 della LR 12/2005 impedisce di leggervi una deroga estesa anche all’art. 9 del DM 1444/1968.
La Corte Costituzionale nella sentenza n. 232/2005 afferma al punto 4 che le normative locali (regionali o comunali) possono prevedere distanze inferiori alla misura minima, però fissa precisi limiti (“le deroghe, per essere legittime, devono attenere agli assetti urbanistici e quindi al governo del territorio e non ai rapporti tra vicini isolatamente considerati in funzione degli interessi privati dei proprietari dei fondi finitimi”).
Se ne deduce che l’introduzione di deroghe è consentita solo nell’ambito della pianificazione urbanistica, come nell’ipotesi espressamente prevista dall’art. 9 comma 3 del DM 1444/1968, che riguarda edifici tra loro omogenei perché inseriti in un piano particolareggiato o in un piano di lottizzazione (per una fattispecie relativa al centro storico v. TAR Brescia Sez. I 29.09.2009 n. 1712).
Di conseguenza non è possibile per la legge regionale (e nemmeno per gli strumenti urbanistici comunali) intervenire nei rapporti tra i privati autorizzando in via generale la sopraelevazione in deroga alla distanza minima dalle pareti finestrate: la deroga può essere inserita unicamente in una previsione normativa dedicata a una situazione urbanistica particolare in una precisa zona del territorio.
In questo modo si ottiene una ragionevole garanzia circa il fatto che gli interessi pubblici coinvolti (e specificamente quelli di natura igienico-sanitaria) siano stati in concreto valutati e tutelati mediante soluzioni planivolumetriche adeguate.
Estendendo questa linea argomentativa si può sostenere che la deroga alla distanza minima dalle pareti finestrate diventa ammissibile quando non vi siano in concreto pericoli di peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie all’interno delle abitazioni servite dalle finestre.
Questa situazione può verificarsi in fattispecie particolari, ad esempio quando il muro da sopraelevare non si trovi esattamente in corrispondenza della parete finestrata (v. TAR Brescia Sez. I 03.07.2008 n. 788).
Nel caso in esame i ricorrenti con le due DIA in variante (v. sopra ai punti 4 e 7) hanno cercato di limitare la sopraelevazione nella porzione del muro di confine che fronteggia il cavedio con la parete finestrata, tuttavia non è stato dimostrato che attraverso queste modifiche il progetto lasci del tutto immutata la condizione dei locali che ricevono luce e aria dalle finestre. In realtà per raggiungere questo obiettivo sarebbe necessario garantire alle finestre una fascia di rispetto (intesa come volume vuoto) di ampiezza tale da rendere neutre le sopraelevazioni ai lati.
Si osserva che il vincolo della distanza minima dalle pareti finestrate è efficace anche quando la presenza delle finestre sia abusiva. L’interesse pubblico di natura igienico-sanitaria che vieta la formazione di intercapedini malsane vale infatti in qualunque situazione, indipendentemente dalla regolarità della costruzione, in quanto non si colloca soltanto sul piano urbanistico ma coinvolge anche la tutela della salute.
È quindi necessario ottenere prima la rimozione dell’abuso: l’eliminazione delle finestre abusive determina di conseguenza anche la fuoriuscita dalla fattispecie di cui all’art. 9 del DM 1444/1968. Nel caso in esame i ricorrenti sostengono che il cavedio, in corrispondenza del primo piano, sarebbe stato realizzato abusivamente in luogo di un ripostiglio senza finestre. Peraltro la licenza edilizia relativa a questi lavori è del 1965 e quindi l’altezza del cavedio e la presenza delle relative finestre sono ormai elementi consolidati anche sotto il profilo giuridico.
L’art. 63, comma 1-bis, della LR 12/2005 definisce il sottotetto come il volume sovrastante l'ultimo piano degli edifici dei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura.
La norma non richiede che lo spazio sia praticabile e non indica la volumetria o l’altezza minima che distinguono il sottotetto dalle semplici intercapedini. In considerazione del favore legislativo per gli interventi di recupero è preferibile aderire a un’interpretazione estensiva della nozione di sottotetto, qualificando come tale qualsiasi volume non del tutto irrilevante che sia compreso tra il solaio e le falde del tetto e abbia la funzione di tenere separati questi elementi architettonici. La soglia di rilevanza può variare a seconda della morfologia dell’edificio.
Nel caso in esame l’altezza di 0,91 metri (media tra il valore minimo di 0,60 metri e quello massimo di 1,22 metri) si può considerare idonea a definire un vero e proprio locale con autonome seppure limitate funzionalità (ad esempio soffitta o ripostiglio).
Non è quindi corretto parlare di mera intercapedine, concetto da riservare agli spazi marginali.
In via generale è compito del responsabile del procedimento assicurare la completezza della documentazione ai sensi dell’art. 38, comma 5, della LR 12/2005 prima del rilascio del permesso di costruire.
L’omissione di questi controlli non garantisce al privato l’esenzione dall’onere di produzione ma impone all’amministrazione di fissare un termine per la regolarizzazione della pratica edilizia prima della conclusione dei lavori.
Solo nel caso in cui il supplemento istruttorio finalizzato alla regolarizzazione non abbia dato alcun esito l’amministrazione è legittimata a considerare inesistente la certificazione dell’invalidità e ad annullare in autotutela il permesso di costruire nella parte in cui prevede la deroga alla distanza minima dai confini (oppure integralmente se la deroga alla distanza non è scindibile dal resto del progetto)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 27.08.2010 n. 3240 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: In materia di vigilanza sull'attività edilizia, l’amministrazione deve intervenire non solo sull’attività materiale dei privati ma anche sui titoli edilizi che illegittimamente autorizzano questa attività. L’intervento è obbligatorio sia quando la violazione della normativa è accertata dagli uffici comunali sia quando giungono denunce da parte dei cittadini, ipotesi prevista espressamente dall’art. 27, comma 3, del DPR 380/2001.
Il potere di vigilanza sull’attività edilizia è lo strumento attribuito ai comuni per tutelare l’interesse pubblico all’ordinata trasformazione del territorio. Dopo il rilascio del permesso di costruire la vigilanza non si concentra nella sola repressione delle opere realizzate in difformità.
Lo scopo della vigilanza rimane sempre, come afferma l’art. 27, comma 1, del DPR 380/2001, la verifica della corrispondenza “alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi”.
Dunque l’amministrazione deve intervenire non solo sull’attività materiale dei privati ma anche sui titoli edilizi che illegittimamente autorizzano questa attività. L’intervento è obbligatorio sia quando la violazione della normativa è accertata dagli uffici comunali sia quando giungono denunce da parte dei cittadini, ipotesi prevista espressamente dall’art. 27, comma 3, del DPR 380/2001.
L’interesse pubblico al rispetto della normativa decade solo con il decorso del tempo, quando cresce parallelamente l’affidamento dei privati. Nel caso in esame tuttavia queste condizioni non sussistono.
In particolare:
(a) il tempo trascorso dalla realizzazione dei lavori è minimo, anzi si può osservare che in realtà alla data di inibizione della prima DIA (13.11.2007) i lavori risultavano quasi completati (v. sopra al punto 7) benché non fosse ancora decorso il termine di 30 giorni previsto dall’art. 42, comma 9, della LR 12/2005 per l’esame della pratica;
(b) con riguardo al permesso di costruire non può esservi alcun affidamento tutelabile, in quanto i ricorrenti hanno omesso di rappresentare la parete finestrata (v. sopra al punto 4) e quindi non hanno consentito agli uffici comunali di rilevare il mancato rispetto dell’art. 9 del DM 1444/1968 (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 27.08.2010 n. 3240 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non è equiparabile il sagrato ad un luogo di culto. Questa qualificazione non può derivare dal fatto che in talune occasioni le celebrazioni si svolgono sul sagrato, e tantomeno dal fatto che i fedeli sostano sul sagrato prima e dopo le funzioni religiose.
Solo la porzione di piazza prossima alla chiesa può considerarsi effettivamente pertinenza ai fini della tutela civilistica, in quanto serve a garantire un accesso libero e decoroso al luogo di culto. Per il resto lo spazio può costituire oggetto di valutazioni da parte dell’amministrazione nell’interesse della collettività.
Il collegamento di un’area o di un edificio con la casa parrocchiale non conferisce a tali beni la tutela prevista per i luoghi di culto, tutela che del resto non spetta neppure alla casa parrocchiale qualora non sia strutturalmente connessa a un edificio religioso.

Con il secondo motivo di ricorso si afferma che l’utilizzazione dei sagrati per la realizzazione di parcheggi pubblici sarebbe in contrasto con l’art. 831 cc., il quale vieta di utilizzare ad altri scopi gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico.
Tale destinazione non si perde neppure per effetto di alienazione, e quindi allo stesso modo non potrebbe essere modificata mediante espropriazione. Poiché il sagrato costituisce pertinenza della chiesa sarebbe per ciò stesso da considerare luogo di culto. Avendo ignorato questa relazione il Comune sarebbe inoltre incorso nei vizi di illogicità e difetto di motivazione.
La tesi non appare condivisibile nella parte in cui equipara il sagrato a un luogo di culto. Questa qualificazione non può derivare dal fatto che in talune occasioni le celebrazioni si svolgono sul sagrato, e tantomeno dal fatto che i fedeli sostano sul sagrato prima e dopo le funzioni religiose.
In realtà il sagrato, quando non sia delimitato da gradinate o altre opere che lo identificano con precisione, è semplicemente lo spazio antistante alla chiesa, e non coincide con l’intera piazza di cui la chiesa costituisce il fondale. Solo la porzione di piazza prossima alla chiesa può considerarsi effettivamente pertinenza ai fini della tutela civilistica, in quanto serve a garantire un accesso libero e decoroso al luogo di culto. Per il resto lo spazio può costituire oggetto di valutazioni da parte dell’amministrazione nell’interesse della collettività.
Nello specifico la localizzazione di parcheggi pubblici ricade tra le utilizzazioni collettive compatibili con la presenza di un luogo di culto. In effetti i parcheggi, anche se dal punto di vista estetico sottraggono pregio al contesto edificato, garantiscono un accettabile equilibrio tra le esigenze della viabilità e lo scenario in cui si colloca la chiesa.
I parcheggi, inoltre, rappresentano aree a standard utili alla stessa frequentazione dei luoghi di culto. Un passaggio delicato è certamente l’individuazione delle dimensioni della fascia di rispetto da garantire libera attorno all’edificio religioso. Non si tratta peraltro di un problema che attiene necessariamente alla fase della programmazione urbanistica.
In proposito si osserva che relativamente alla basilica il Comune si è preoccupato già nella variante semplificata di limitare l’area dei parcheggi pubblici a una parte soltanto della piazza. Per gli altri siti la fascia di rispetto sarà invece definita nella sede propria, ossia quando saranno predisposti i progetti dei lavori. Ancora più a valle si colloca il problema dell’eventuale sovrapposizione tra l’uso della piazza come parcheggio pubblico e lo svolgimento di celebrazioni sul sagrato.
Tali problemi potranno essere gestiti di volta in volta attraverso accordi tra l’amministrazione e l’autorità ecclesiastica per la sospensione temporanea dell’uso dei parcheggi.
Il collegamento di un’area o di un edificio con la casa parrocchiale non conferisce a tali beni la tutela prevista per i luoghi di culto, tutela che del resto non spetta neppure alla casa parrocchiale qualora non sia strutturalmente connessa a un edificio religioso.
A rigore poi la tutela ammissibile per gli spazi prossimi alla casa parrocchiale dovrebbe essere minore di quella ipotizzabile per i sagrati, in quanto questi ultimi, essendo a diretto contatto con gli edifici religiosi, non possono essere sostituiti nella loro funzione da altre aree, mentre la casa parrocchiale e gli spazi connessi sono normalmente fungibili.
Non modifica questa situazione la vecchia qualificazione data dal PRG come area per attrezzature religiose: il concetto urbanistico di attrezzatura religiosa è molto più ampio del concetto civilistico di luogo di culto e dunque sono consentite innovazioni in sede urbanistica a favore di altri tipi di destinazione (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 27.08.2010 n. 3237 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALI: L’ingegnere ha diritto al compenso anche per la progettazione di un’opera irrealizzabile.
L’ambito della responsabilità professionale va progressivamente estendendosi a tutte le categorie di professionisti, dai medici agli avvocati, notai, commercialisti, ecc.. Accade, così, che anche l’operato degli ingegneri e, più in generale, dei progettisti viene sottoposto sempre più di frequente al vaglio della giurisprudenza sotto il profilo dell’adempimento degli obblighi assunti nei confronti del proprio cliente/committente.
Nell’ultimo periodo, si registrano alcune interessanti pronunce, di merito e di legittimità, già intervenute in tema di responsabilità del progettista.
Nella sentenza 19.08.2010, n. 18747, giunge al vaglio della Corte di Cassazione -sia pure sotto il (solo) profilo della perdita del diritto ai compensi- un caso nel quale l’ingegnere aveva provveduto a redigere il progetto di un fabbricato che, carte alla mano, insisteva in parte sul fondo attiguo a quello appartenente ai committente che, peraltro, era di proprietà pubblica. Tale circostanza ostava alla concessione della licenza edilizia, con la conseguenza che il progetto eseguito dal professionista era risultato, in concreto, irrealizzabile.
Elemento decisivo, ancorché oggetto di alterne soluzione da parte dei giudici di merito, è rappresentato dal fatto che fossero stati proprio i clienti ad invitare l’ingegnere a realizzare il progetto prevedendo lo “sconfinamento” in proprietà comunale.
Secondo una prima prospettazione, un tale accordo, in quanto concluso in violazione di norme inderogabili, sarebbe da considerarsi nullo, con conseguente venir meno del diritto del professionista a percepire i compensi.
Tale prospettazione, proposta dalla difesa dei clienti, non ha convinto i Giudici di Piazza Cavour, i quali non hanno ravvisato che l’accordo avente ad oggetto la progettazione di un fabbricato “irrealizzabile” non si ponga in contrasto con nessuna norma inderogabile. La conclusione, invero perentoria, alla quale giunge la Suprema Corte, è condivisibile ed assolutamente in linea con gli indirizzi precedentemente espressi in tema di c.d. nullità virtuale dei contratti.
La violazione di norme indisponibili e inderogabili dalla volontà delle parti non vale da sola a concludere che la loro violazione determina la radicale nullità del contratto. Occorre, altresì, che le norme in considerazione, che si assumono violate, siano “norme di validità del contratto”, norme cioè che si riferiscono espressamente alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti e che, in assoluto o in presenza di determinate condizioni, vietano direttamente o indirettamente la stipulazione stessa del contratto.
Nella fattispecie, dunque, occorre accantonare l’impostazione fondata sull’istituto della nullità del contratto ed affrontare la questione nell’ottica della dicotomia adempimento/inadempimento dell’obbligazione professionale, con tutte le conseguenze che, rispettivamente ne derivano.
La redazione di un progetto irrealizzabile, ancorché rispondente alle indicazioni provenienti dal cliente, integra di regola un’ipotesi di inadempimento dell’obbligazione gravante a carico del professionista. Il progettista, infatti, è senza dubbio tenuto ad informare i clienti dei vincoli ed, in generale, di ogni limitazione alla concreta realizzabilità del progetto derivanti dalla normativa e, quindi, a predisporre un progetto capace di assicurare un risultato utile per il cliente in quanto idoneo ad incassare le necessarie autorizzazioni amministrative.
Nulla vieta, tuttavia, ai clienti di commissionare al professionista un progetto irrealizzabile, da redigere espressamente senza rispettare uno o più vincoli derivanti dalla normativa vigente. A condizione che il professionista abbia correttamente e preliminarmente adempiuto agli obblighi informativi gravanti a carico del progettista e, quindi, appurato che il professionista abbia reso edotti i clienti che le indicazioni fornite dai clienti sono destinate a non poter trovare pratica realizzazione, l’incarico di procedere comunque alla redazione del progetto è pienamente valido ed efficace.
E’ una questione di limiti e contenuto del mandato: nell’ipotesi in esame, infatti, l’oggetto del contratto è proprio quello di predisporre un progetto senza rispettare uno o più vincoli normativi. Un siffatto contratto è pienamente valido, nella misura in cui non è vietato da alcuna norma imperativa (nullità) e (annullabilità) non sottende alcun vizio del consenso, essendo stati adempiuti preliminarmente i doveri informativi).
A questo punto, come anticipato, la questione ruota tutta intorno all’adempimento/inadempimento dell’obbligazione assunta dall’ingegnere/mandatario nei confronti del proprio mandante. Nella fattispecie, il progettista ha correttamente adempiuto all’incarico ricevuto, maturando in questo modo il diritto alla controprestazione, ossia al pagamento dei compensi.
Il ragionamento sotteso alla decisione della Corte, in definitiva, appare rispondente ai principi generali che presiedono alla materia dei contratti in generale, nonché ai più specifici principi, di fonte giurisprudenziale, che si vanno formando nel campo della responsabilità professionale (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 19.08.2010 n. 18747 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Il fatto che una sala cinematografica privata sia aperta al pubblico non comporta, ai sensi della legge n. 104/1992 e del regolamento attuativo, la completa parificazione agli edifici pubblici per quanto riguarda la disciplina relativa alle barriere architettoniche.
Deve rammentarsi che la citata legge-quadro n. 104/1992, riguardante l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, ai fini della eliminazione o superamento delle barriere architettoniche stabilisce, all'art. 24, comma 1, che “Tutte le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico che sono suscettibili di limitare l'accessibilità e la visitabilità di cui alla legge 09.01.1989, n. 13, e successive modificazioni, sono eseguite in conformità alle disposizioni di cui…”.
Le anzidette disposizioni indicano, in concreto, i criteri per la esecuzione delle “opere” edilizie, riguardanti sia gli edifici pubblici che quelli privati aperti al pubblico, al fine di prevenire qualsiasi difficoltà nella loro fruizione da parte delle persone handicappate.
Nella surrichiamata legge n. 13/1989, recante “Disposizioni per favorire il superamento e eliminazioni delle barriere architettoniche negli edifici privati”, all'articolo 1, comma 1, è espressamente previsto che “I progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici, ovvero alla ristrutturazione di interi edifici, ivi compresi quelli di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata, presentati dopo sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge sono redatti in osservanza delle prescrizioni tecniche previste dal comma 2”; tali prescrizioni tecniche sono specificamente finalizzate a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata.
Da tali norme di legge emerge, dunque, con chiarezza, che l'obbligo di adeguamento riguarda soltanto le opere di costruzione e ristrutturazione ancora da eseguire, come si ricava inequivocabilmente anche dal termine dilatorio di sei mesi concesso per l'applicazione delle nuove prescrizioni tecniche ai relativi progetti, ai sensi del citato art. 1 della legge n. 13/1989.
Né possono ritenersi corrette le argomentazioni del primo giudice il quale, facendo leva sulle norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici dettate dal regolamento attuativo della legge n. 104/1992, emanato con d.P.R. 24.07.1996, n. 503, ha affermato che anche le sale cinematografiche rientrerebbero della disciplina dettata dall'art. 1, comma 4, in base al quale “Agli edifici e spazi pubblici esistenti, anche se non soggetti a recupero o riorganizzazione funzionale, devono essere apportati tutti quegli accorgimenti che possono migliorarne la fruibilità sulla base delle norme contenute nel presente regolamento”.
Anzitutto, non può non rilevarsi che una norma regolamentare deve essere sempre interpretata in coerenza con la norma primaria che ne è a fondamento, essendo in particolare escluso che la normativa secondaria possa imporre prestazioni non previste dalla legge, contrastando ciò con il principio fondamentale posto dall'art. 23 della Costituzione.
Inoltre, dalla stessa lettera della norma regolamentare sopra richiamata si evince chiaramente che l'esigenza di abbattere in via generale ed immediata le barriere architettoniche riguarda unicamente gli “edifici e spazi pubblici”, precisandosi significativamente che, in attesa dei previsti adeguamenti, “ogni edificio deve essere dotato, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, a cura dell'amministrazione pubblica che utilizza l'edificio, di un servizio di chiamata per attivare un servizio di assistenza…”.
Poiché, dunque, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, il fatto che una sala cinematografica privata sia aperta al pubblico non comporta, ai sensi della ripetuta legge n. 104/1992 e del regolamento attuativo, la completa parificazione agli edifici pubblici per quanto riguarda la disciplina relativa alle barriere architettoniche, ne consegue che con ogni evidenza le statuizioni della sentenza appellata non possono essere assecondate.
Nessun rilievo in senso contrario può attribuirsi, d’altronde, alla disposizione del comma 6 dello stesso articolo del regolamento in esame, secondo cui “Agli edifici di edilizia residenziale pubblica ed agli edifici privati compresi quelli aperti al pubblico si applica il decreto del ministro dei lavori pubblici 14.06.1989, n. 236”, che reca prescrizioni tecniche per gli interventi edilizi su tale strutture e che, per sua natura, non potrebbe certamente introdurre obblighi nuovi e diversi rispetto a quelli stabiliti per legge.
Sembra opportuno aggiungere, ancora, che le anziesposte conclusioni si pongono anche in stretta consonanza con il principio enunciato dalla Corte costituzionale con sentenza 04.07.2008, n. 251, nella quale, proprio con riferimento alla pretesa del remittente di imporre l'eliminazione delle barriere architettoniche pure negli edifici esistenti, si sottolinea che viene richiesta una pronuncia additiva “che non può essere considerata costituzionalmente obbligata …in quanto è diretta a privilegiare una delle possibili forme di intervento a favore delle persone disabili, in sostituzione di un sistema caratterizzato dalla concreta valutazione anche di altri interessi, dai quali non possono escludersi quelli relativi agli oneri economici eventualmente derivanti, allo stato, dalla forma di tutela prescelta” (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5151 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

VARI: L'uso comune della parolaccia può integrare reato di ingiuria.
Le cosiddette parolacce non sfuggono al raggio di punibilità tracciato dal reato di ingiuria solo perché divenute parte del linguaggio corrente.
Lo ha stabilito la Sezione Quinta della Corte di Cassazione con la quale si è stabilito che, in tema di tutela penale dell’onore, l’accertamento del carattere ingiurioso delle parole proferite implica la valutazione della personalità dell’offeso e dell’offensore, nonché del contesto in cui gli insulti sono stati pronunciati.
Per principio generale, in tema di tutela dell'onore, al fine di accertare se sia stato leso il bene protetto dall'art. 594 c.p., è necessario fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alla personalità dell'offeso e dell'offensore ed al contesto nel quale la frase ingiuriosa è stata pronunciata; ciò precisato, esistono, tuttavia, limiti invalicabili, posti dall'art. 2 Cost., a tutela della dignità umana, di guisa che alcune modalità espressive sono oggettivamente (e dunque per l'intrinseca carica di disprezzo e dileggio che esse manifestano e/o per la riconoscibile volontà di umiliare il destinatario) da considerarsi offensive e, quindi, inaccettabili in qualsiasi contesto pronunciate, tranne che siano riconoscibilmente utilizzate ioci causa).
Così, si è ritenuto che non integri gli estremi del reato di ingiuria, la condotta di colui che, in qualità di condomino, rivolga all'amministratore nel corso di un'assemblea condominiale, la seguente espressione: "Lei è un bugiardo, dice il falso e mente", considerato che, al fine di apprezzare la lesività di detta espressione, è necessario contestualizzarla e cioè rapportarle al contesto spazio-temporale nel quale è stata pronunciata, avuto riguardo allo standard di sensibilità sociale del tempo.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante in materia, richiamato anche dai giudici della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, non integra il reato di ingiuria l'utilizzo in determinati contesti di parole o frasi che, pur rappresentative di concetti osceni, sono ormai diventati di uso comune, perdendo la loro portata offensiva specialmente se profferite in un discorso tra soggetti in posizione di parità.
Nonostante ciò, gli ermellini, nella pronuncia che qui si commenta, precisano che, “pur affermandosi che l’espressione volgare sia venuta perdendo la accezione offensiva, per divenire solo sintomo di impoverimento del linguaggio e di maleducazione, la responsabilità penale non può essere esclusa in qualsiasi occasione”.
Tornando al caso di specie, infatti, la valenza offensiva della espressione “vaffa…” per essere esclusa o comunque scriminata con il riconoscimento di una causa di non punibilità, avrebbe dovuto essere inquadrata in un contesto tale da far giungere a conclusione liberatoria in base ai suddetti principi o comunque essere ricostruita come possibile reazione al fatto ingiusto altrui.
Sempre secondo il giudice nomofilattico, si è, dunque, in presenza di una motivazione del Tribunale del tutto logica e esaustiva, la quale dà atto di una plausibile interpretazione in senso offensivo della espressione in parola, all’interno di un contesto che ha visto il ricorrente porre in essere una vera e propria aggressione verbale ai danni della persona offesa, intendendo proferire parole capaci di attaccarne ed offenderne l’onore e il decoro piuttosto che porre fine ad una discussione con il ricorso ad una espressione col significato di “non infastidirmi” (Corte di Cassazione, Sez. V penale, sentenza 03.08.2010 n. 30956 - link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 27.09.2010

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AVVISO AI NAVIGANTI DEL PORTALE PTPL:
Il presente sito, con accesso libero, è frutto "artigianale" della passione e dedizione di chi vi opera.
Ricercare le news da pubblicare, nello sconfinato mondo del web, comporta dispendio di tempo inimmaginabile da sottrarre a ciò che rimane dopo il lavoro, la famiglia, i problemi quotidiani, ecc..
Al fine di poter migliorare la qualità dei contenuti del presente sito e la sua efficacia per gli addetti ai lavori -e non solo, si chiede la cortese collaborazione di ogni navigante affinché ci segnali/invii ogni utile materiale da mettere a disposizione di tutti affinché non ci siano differenze interpretative e/o comportamentali tra i vari uffici tecnici comunali, almeno lombardi.
Pertanto, saranno ben gradite segnalazioni (all'indirizzo: info.ptpl@tiscali.it) di sentenze non ancora pubblicate che risultano interessanti per quanto disposto dal giudice, oppure l'invio di quesiti/risposte su argomenti di ordine generale così come note, circolari, pareri e, comunque, ogni altro materiale ritenuto di interesse generale.
Grazie per la collaborazione. LA SEGRETERIA PTPL

EDILIZIA PRIVATALombardia, la "telenovela" sulla SCIA non finisce ...
Nell'aggiornamento al 18.09.2010 davamo notizia dell'emanazione della
nota 16.09.2010 n. 1340 di prot. da parte del Ministero per la Semplificazione Normativa, in risposta ad un quesito formulato dalla Regione Lombardia, circa chiarimenti sulla portata della SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) in materia edilizia.
Ebbene, la suddetta nota ministeriale l'avevamo definita come tale e non come la tanto auspicata ed invocata "circolare" chiarificatrice che sarebbe stata licenziata di lì a qualche giorno ... dobbiamo rettificare poiché quella nota, haimè, risulta essere la CIRCOLARE CHIARIFICATRICE!!
Invero, dopo averla letta chi scrive non ha le idee ben chiare sul nuovo istituto in relazione al fatto se la DIA, la SUPER-DIA e quant'altro siano stati abrogati o meno.
In un confronto dialettico con un responsabile di U.T.C. sono sortite le considerazioni che -di seguito- riproponiamo, le quali sono già state inviate, con nota comunale ufficiale, sia al Ministero della Semplificazione Normativa sia al Servizio Giuridico dell'Assessorato Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia.
Adesso, stiamo a vedere cosa ci risponderanno ...
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La Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) non si applica nella REGIONE LOMBARDIA.
Una recente nota del Ministero per la Semplificazione (nota 16.09.2010 n. 1340 di prot. a firma del Capo Ufficio Legislativo, Dott. Giuseppe Chinè), in risposta ad alcuni quesiti dell’Assessore al Territorio della REGIONE LOMBARDIA, chiarisce che:
• la SCIA si applica anche all’edilizia;
• la SCIA si intende quale “sostitutiva” della Dichiarazione Inizio attività (DIA);
• la SCIA non “sostituisce” né il PERMESSO DI COSTRUIRE né la DIA alternativa al PERMESSO DI COSTRUIRE.
Forse altre Regioni d'Italia hanno diversamente applicato il d.p.r. n. 380/2001 estendendo o sottraendo ambiti di applicazione della DIA, ma -nella REGIONE LOMBARDIA- non esistono due DIA cioè non esiste:
• una DIA (semplice)
• e una DIA alternativa al PERMESSO DI COSTRUIRE.
Nella REGIONE LOMBARDIA, in virtù dell’art. 41 della L.R. n. 12/2005 e s.m.i., esiste un'unica DIA che consente –appunto- di utilizzare il PERMESSO DI COSTRUIRE o la DIA alternativamente e per gli stessi interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia. In altre parole, in LOMBARDIA, la DIA è unica ed è alternativa al permesso di costruire.
Ne consegue che la citata nota del Dott. Giuseppe Chinè esclude, nella REGIONE LOMBARDIA, l’applicabilità della SCIA dall’ambito edilizio poiché –appunto- il Ministero ritiene che la SCIA si intenda unicamente “sostitutiva” della DIA ma non anche del PERMESSO DI COSTRUIRE e della DIA alternativa al PERMESSO DI COSTRUIRE.

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Pensioni e liquidazioni: una vera e propria mazzata per i dipendenti pubblici (CGIL-FP di Bergamo, nota 22.09.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: La disciplina della malattia nei comparti del pubblico impiego (CGIL-FP di Bergamo, settembre 2010).

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione paesaggistica semplificata: lo schema di flusso per la procedura semplificata in materia di beni ambientali.
Il Dott. Salvatore Abbate (Comune di Castelgomberto - VI) ha elaborato questa interessante e utile flow chart (schema grafico), riguardante la procedura semplificata per l'autorizzazione paesaggistica, ai sensi del dpr 139 del 2010.
Qualche altra semplificazione di questo tipo e l'Italia è sistemata! (link a
http://venetoius.myblog.it).

SICUREZZA LAVORO: Cantieri edili: tutte le violazioni sanzionabili dagli ispettori.
La DPL di Modena ha predisposto un documento riepilogativo delle possibili violazioni alle disposizioni del D.Lgs. 81/2008 e delle relative sanzioni, eventualmente applicabili dagli ispettori del lavoro alle aziende edili, ai committenti, ai coordinatori, ai preposti, etc.
In relazione ai vari adempimenti richiesti nell'ambito dei cantieri, il documento riporta le violazioni previste dalla normativa per le macchine e le attrezzature (gru, ponteggi, etc.), gli impianti, i piani di sicurezza, etc. e le relative sanzioni amministrative o penali con l’indicazione delle disposizioni di riferimento (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fonti rinnovabili: in Gazzetta Ufficiale le Linee Guida.
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre sono state pubblicate le Linee Guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili approvate dalla Conferenza Unificata lo scorso 8 luglio.
Le Linee Guida, che riguardano l'Autorizzazione Unica per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, hanno l'obiettivo di definire modalità e criteri unitari sul territorio nazionale per assicurare uno sviluppo ordinato delle infrastrutture energetiche.
Vediamo, in sintesi, le disposizioni del provvedimento.
Per la costruzione, l'esercizio e la modifica di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili è prevista l’autorizzazione unica rilasciata dalle Regioni.
La DIA (denuncia di inizio attività – oppure la SCIA, secondo le ultime modifiche) sarà sufficiente per realizzare:
- impianti fotovoltaici sugli edifici, con superficie dei pannelli non superiore a quella del tetto delle case su cui saranno collocati i moduli;
- impianti fotovoltaici di potenza inferiore a 20 kWp;
- impianti elettrici di cogenerazione a biomasse, di potenza massima inferiore a 1000 kW (elettrica) e a 3.000 kW (termica);
- gli impianti a biomasse, di potenza inferiore a 200 kW;
- gli impianti eolici di potenza inferiore a 60 kW;
- gli impianti idroelettrici e geotermoelettrici, di potenza inferiore a 100 kW ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Ponteggi, nuovi chiarimenti dal ministero.
Con la Circolare n. 29/2010 il Ministero del Lavoro ha fornito risposte a numerosi quesiti sull’impiego di ponteggi metallici fissi.
I quesiti che hanno trovato risposta nel documento del ministero sono inerenti l’autorizzazione alla costruzione e all’uso dei ponteggi (art. 131 T.U.S.), l’impiego di ponteggi come mezzi di protezione collettiva, gli apparecchi dì sollevamento materiali montati su un ponteggio, le sporgenze pericolose dei luoghi di passaggio, gli elementi di ripartizione dei carichi dei montanti al di sotto delle piastre di base metalliche delle basette, etc.
Per quanto riguarda l’autorizzazione ministeriale, il ministero ha chiarito che spetta al titolare della licenza stessa, e non all'impresa utilizzatrice, l'obbligo di richiederne il rinnovo al termine della validità decennale. L'impresa utilizzatrice, pertanto, può continuare ad utilizzare i ponteggi anche dopo il termine della validità di dieci anni della licenza ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Testo Unico Sicurezza: disponibile il testo nell'edizione settembre 2010 del Ministero del Lavoro.
Il Ministero del Lavoro ha reso disponibile on line il testo del Decreto Legislativo 09.04.2008 n. 81 (Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) aggiornato, nella versione datata settembre 2010, con le note introdotte per effetto delle disposizioni della Legge 13.08.2010 n. 136 (Antimafia), pubblicata sulla G.U. n.196 del 23.08.2010, in vigore dal 07.09.2010 (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Quali sono gli obblighi del datore di lavoro in ordine alle modalità di tenuta e vidimazione del registro infortuni? Risponde il Ministero del Lavoro.
Nell’apposita sezione FAQ del proprio sito internet il Ministero del Lavoro il Ministero del Lavoro ha fornito le istruzioni sulla modalità di tenuta e vidimazione del Registro infortuni.
Il registro infortuni deve essere redatto conformemente al modello approvato con D.M. 12.09.1958 (come modificato dal D.M. 05.12.1996), istitutivo dello stesso e tuttora in vigore, vidimato presso l’A.S.L. competente per territorio e conservato, a disposizione dell’organo di vigilanza, sul luogo di lavoro.
Nel caso di attività di breve durata, caratterizzata da mobilità, o svolta in sedi con pochi lavoratori e prive di adeguate strutture amministrative, l'obbligo in questione si ritiene assolto anche nell'ipotesi in cui il registro in esame sia tenuto nella sede centrale dell'impresa, sempre che tali attività non siano dislocate oltre l'ambito provinciale.
Nel caso in cui, invece, si tratti di imprese che svolgono attività prevalentemente fuori della propria sede per un periodo non breve ogni unità produttiva deve conservare un proprio registro che deve far vidimare dall’A.S.L. territorialmente competente (link a www.acca.it).

LAVORI PUBBLICI - SICUREZZA LAVORO: I costi della sicurezza comprendono i costi per la pulizia e il riscaldamento dei “baraccamenti.
Il Ministero del Lavoro ha risposto ad un nuovo quesito sul tema dei costi della sicurezza posto dall’ANCE, l’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili.
Il quesito riguarda i "baraccamenti" di cantiere, ovvero "... gabinetti; locali per lavarsi, spogliatoi, refettori locali di ricovero e di riposo" apprestamenti generalmente realizzati mediante utilizzo di monoblocchi prefabbricati.
Si chiedeva, in particolare, se tra i costi della sicurezza, possano essere ricomprese, oltre alle spese di installazione iniziale degli apprestamenti citati, anche quelle relative a riscaldamento/condizionamento, pulizia e manutenzioni.
Nella risposta al quesito il Ministero richiamando il punto 4.3.3 dell’All. XV al D.Lgs. 81/2008 "Le singole voci dei costi della sicurezza vanno calcolale considerando il costo di utilizzo per il cantiere interessato che comprende, quando applicabile, la posa in opera ed il successivo smontaggio, l'eventuale manutenzione e l'ammortamento" chiarisce che le spese di manutenzione dei suddetti "baraccamenti" sono ricomprese tra i costi della sicurezza.
Parimenti le spese di riscaldamento/condizionamento nonché dì pulizia, risultando necessarie per il corretto utilizzo degli stessi baraccamenti, dovranno essere ricomprese tra i suddetti costi della sicurezza (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 38 del 21.09.2010, "Testo coordinato della L.R. 02.02.2010 n. 5 «Norme in materia di Valutazione di Impatto Ambientale»" (testo coordinato L.R. 02.02.2010 n. 5 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 18.09.2010 n. 219 "Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili" (D.M. 10.09.2010).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 37 del 16.09.2010, "Programma Operativo Regionale FESR 2007-2013 della Regione Lombardia, Asse 2 «Energia» - Approvazione del Bando per la presentazione della domanda sulla Linea di Intervento 2.1.1.2 «Incentivi per la realizzazione di sistemi di climatizzazione per il soddisfacimento dei fabbisogni termici di edifici pubblici, attraverso pompe di calore»" (decreto D.S. 08.09.2010 n. 8413 - link a www.infopoint.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI: G. Morano, Il Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica, novità legislative e osservazioni giurisprudenziali (link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA - VARI: G. Genchi, Le nuove regole dettate in materia di conformità dei dati catastali (link a www.altalex.com).

APPALTI: A. Barbiero, Tracciabilità dei flussi finanziari relativi agli appalti ed ai finanziamenti pubblici (link a www.albertobarbiero.net).

URBANISTICA: C. Rapicavoli, Il primato dell'ambiente nella pianificazione urbanistica: responsabilità e tutela - L'attuale assetto delle competenze in materia - Le criticità - L'esperienza della Provincia di Treviso (link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: C. Rapicavoli, Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) - Applicabilità alla normativa sul recupero dei rifiuti in procedura semplificata (link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: C. Rapicavoli, Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) - Applicabilità alla normativa edilizia (link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Cancellaro, Le fonti rinnovabili nell’evoluzione normativa e giurisprudenziale: problematiche e soluzioni giuridiche (link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. R. Cerruto, La SCIA dei rifiuti (link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Offerta pari a zero: La formula matematica va modificata per la salvaguardia dell’interesse della p.a. (link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: A. Barbiero, Tracciabilità dei flussi finanziari relativi agli appalti ed ai finanziamenti pubblici (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

NEWS

APPALTI: Codice dei Contratti, il nuovo Regolamento alla firma del Presidente Napolitano.
Il Regolamento di Attuazione del Codice dei Contratti Pubblici di lavori servizi e forniture (D.Lgs. 163/2006), approvato dal Consiglio dei Ministri in a definitiva il 18 giugno scorso, è stato vistato dalla Ragioneria Generale dello Stato il 13 settembre scorso.
Il testo definitivo è ora stato inviato al Capo dello Stato per la firma, che dovrebbe avvenire entro la prossima settimana.
Dopo la firma del Capo dello Stato il provvedimento sarà inviato alla Corte dei Conti per la registrazione; superato quest’ultimo step avverrà la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, conclusiva di tutto l’iter di approvazione del provvedimento che entrerà in vigore solo dopo 6 mesi dalla stessa (in attuazione dell´articolo 5 del D.Lgs. n. 163 del 2006), ad esclusione delle disposizioni relative alle sanzioni alle imprese e alle SOA, che saranno vigenti quindici giorni dopo la pubblicazione del regolamento.
In assenza di ulteriori "intoppi" la pubblicazioni del provvedimento potrebbe avvenire entro la fine del prossimo mese di ottobre (link a www.acca.it).

APPALTI: Antimafia: i nuovi adempimenti operativi.
Il 07.09.2009 è entrata in vigore la Legge n. 136 del 13.08.2010, recante il "Piano straordinario contro le mafie, nonché la delega al Governo in materia di normativa antimafia", pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 196 del 23.08.2010.
Il provvedimento introduce la tracciabilità dei pagamenti negli appalti pubblici e alcuni ulteriori adempimenti per il trasporto dei materiali nei cantieri e le tessere di riconoscimento (D.Lgs. 09/04/2008, n. 81) degli addetti nei cantieri.
Sull’argomento abbiamo già riportato il parere dell’ANCE e la nota esplicativa del Ministero dell’Interno; questa volta proponiamo un approfondimento a cura della Direzione Provinciale del Lavoro di Modena dal titolo “Antimafia: i nuovi adempimenti operativi”.
L’autore individua gli ambiti applicativi dei nuovi adempimenti introdotti dalla L. 136/2010 evidenziando anche le sanzioni applicabili in caso di inadempienza (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Approvato il DdL per la promozione dei campi da golf.
Il Consiglio dei Ministri del 17.09.2010 ha approvato il disegno di “Legge quadro per la promozione del turismo sportivo e la realizzazione di impianti da golf”.
Il progetto di legge proposto dal Ministro del turismo, Maria Vittoria Brambilla, incentiva, oltre alla realizzazione di campi da golf, la costruzione di strutture ricettive turistico-alberghiere collegate ai campi.
Il provvedimento ha l'obiettivo di incrementare il turismo internazionale puntando sul GOLF che, con 64 milioni di golfisti attivi nel mondo e 94 federazioni, ogni anno muove 25 milioni di turisti con un giro d'affari solo in Europa di 50 miliardi di euro.
Secondo il DDL approvato i campi potranno essere realizzati anche all'interno di aree protette, con il "nulla osta dell'ente parco nazionale e dell'ente gestore delle aree marine protette".
Le Regioni individueranno i siti più idonei e i privati non potranno vendere i resort costruiti accanto ai campi prima di 5 anni (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Addio permessi. Con le nuove regole (SCIA) i lavori di ristrutturazione partono subito.
La Scia si applica nell'edilizia. Con il deposito in comune della Segnalazione certificata di inizio attività (Scia, appunto) si possono immediatamente avviare i lavori di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia "fedele" e le varianti a permessi di costruire. La presenza di un vincolo non impedisce poi l'utilizzo della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività), fatto comunque salvo l'ottenimento, prima di avviare i lavori, dell'autorizzazione specifica in caso di vincoli.
Questa, in sintesi è l'interpretazione fornita dal ministero delle Infrastrutture al quesito posto dalla regione Lombardia sull'applicabilità al mondo delle costruzioni del nuovo testo dell'articolo 19 della legge 241/1990, introdotto dalla manovra correttiva.
Restano invece soggetti a permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione, quelli di ristrutturazione urbanistica e le opere di ristrutturazione edilizia "infedele" che comportino cioè l'aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso.
Nulla viene quindi modificato rispetto alle opere già liberalizzate: restano soggette a semplice «comunicazione» i lavori di manutenzione straordinaria, le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, quelle di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, gli interventi per realizzare i pannelli solari, fotovoltaici e termici, le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici. Restano infine del tutto libere (senza neppure la «comunicazione») le opere di manutenzione ordinaria, quelle volte all'eliminazione di barriere architettoniche che non alterano la sagoma dell'edificio, le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo i movimenti di terra pertinenti all'esercizio dell'attività agricola, le serre mobili stagionali.
Infine, una precisazione importante del ministero: restano in vita le previsioni regionali che assoggettano a Dia (la cosiddetta "superDia") le opere che secondo il Testo unico sull'edilizia richiedono il permesso di costruire. L'impatto della manovra è così fortemente ridotto in Lombardia, dove ai sensi della legge regionale 12/2005 le grandi opere continuano a essere assoggettate a Dia e quelle minori, se non liberalizzate, sono ora sottoposte a Scia.
L'assetto tracciato dal ministero (riassunto nelle schede della pagina) può dirsi definitivo? A dire il vero, sulla Scia le interpretazioni in campo sono davvero tante e, per quanto autorevole, quella ministeriale non ha valore di legge e non risolve i dubbi che, sull'utilizzabilità della nuova procedura, sono stati sollevati dagli uffici tecnici delle amministrazioni comunali quotidianamente chiamati ad applicare sul campo le nuove disposizioni.
In primo luogo è stato osservato che la natura stessa dell'attività edilizia impedirebbe l'applicabilità della Scia alle costruzioni escluse dalle previsioni dell'articolo 19 della legge 241/1990 e assoggettate alle previsioni speciali del Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001).
A supporto dell'inapplicabilità della Scia all'edilizia sta poi la considerazione che dalla segnalazione certificata restano comunque escluse –lo prevede la manovra– le attività soggette a limiti o contingenti complessivi, ai quali sarebbero riconducibili gli indici edilizi che regolamentano tutta l'attività di trasformazione del territorio.
Sotto un altro profilo, è stato inoltre osservato che mentre l'articolo 22 del Testo unico disciplina la denuncia di inizio attività, la manovra, riscrivendo l'articolo 19 citato, ha cancellato la dichiarazione di inizio attività, per cui non vi sarebbe motivo di porre in dubbio la perdurante efficacia delle disposizioni sulla Dia edilizia: «Le espressioni "segnalazione certificata di inizio di attività" e "Scia" sostituiscono, rispettivamente, quelle di "dichiarazione di inizio di attività" e "Dia", ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia, e la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio di attività recata da ogni normativa statale e regionale».
Le ragioni a favore della non applicazione della Scia all'edilizia non sono considerate dalla nota ministeriale, che porta a sostegno della sua tesi i lavori preparatori della legge di conversione del Dl 78/2010 (As 2228). In particolare, il dossier di documentazione del Servizio studi del Senato suggerisce la seguente lettura della disposizione: «La norma ha anche un profilo abrogativo della normativa statale difforme, per cui si deve intendere che a essa va ricondotta anche la denuncia di inizio di attività edilizia, disciplinata dagli articoli 22 e 23 del Dpr n. 380 del 2001».
Di fronte a posizioni così distanti, però, gli operatori del settore sono in difficoltà. Alcuni, nel dubbio, scelgono di attendere comunque il decorso dei 30 giorni previsti dal Testo unico edilizia prima di dare avvio a lavori che, in base alla Scia, potrebbero avviare subito (articolo Il Sole 24 Ore del 20.09.2010).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Consorzi, revisori liberi. Possono essere eletti consiglieri comunali. Niente incompatibilità. Le norme di status sono di stretta interpretazione.
Quali norme disciplinano attualmente i consorzi tra enti locali? Sussiste una causa di incompatibilità tra la carica di consigliere comunale e quella di componente del collegio dei revisori dei conti di un consorzio?
L'art. 35, comma 8, della legge finanziaria per l'anno 2002 ha disposto che per l'esercizio dei servizi pubblici a rilevanza economica gli enti locali, entro il 30.06.2003, trasformassero le aziende ed i consorzi di cui all'articolo 31, comma 8, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 in società di capitali; la stessa norma, inoltre, nell'apportare modifiche al comma 8 dell'articolo 31 del citato Tuel, ha previsto che ai consorzi che gestiscono servizi pubblici privi di rilevanza economica si applicassero le medesime disposizioni applicabili alle aziende speciali.
Per quanto attiene all'organizzazione e alle funzioni svolte in materia di revisione economico finanziaria dai collegi dei revisori, secondo la disciplina dettata dagli artt. 234 ss. del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, la dottrina osserva che queste sono ampie e complesse e configurano il collegio dei revisori o il revisore unico non solo come un organo di supporto e di collaborazione alle funzioni del consiglio ma anche come struttura preposta all'esercizio di una funzione di vigilanza che investe non solo la regolarità contabile della gestione ma anche nuovi aspetti economici e patrimoniali della stessa.
La natura di organo terzo del collegio dei revisori dei conti è stata dichiarata anche dalla Corte dei conti che, con parere n. 13/2009, ha rilevato che l'attività di vigilanza dell'organo di revisione economico finanziaria, pur riconducibile a una funzione di controllo interno, si caratterizza per sua natura come controllo di regolarità, specie allorquando tale funzione concerne l'osservanza di norme. Pertanto, data la natura giuridica di tale collegio, la fattispecie in esame non rientra in alcuna delle cause di incompatibilità previste dall'art. 63 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267.
In particolare, nella causa ostativa individuata dall'art. 63, comma 1, n. 3, laddove è previsto che è incompatibile alla carica di consigliere comunale il consulente legale o amministrativo che presta opera in modo continuativo in favore delle imprese di cui ai numeri 1 e 2 dello stesso comma (l'impresa nel caso di specie è rappresentata dal Consorzio) non potendosi, sulla base della citata giurisprudenza, qualificare l'organo di revisione quale consulente amministrativo o tecnico del consorzio.
Ciò anche in considerazione di quanto più volte sancito dalla stessa Corte di cassazione, secondo cui norme che restringono eccezionalmente i diritti di status sono di stretta interpretazione.
Non sussiste, quindi, una causa di incompatibilità tra la carica di consigliere comunale e quella di componente del collegio dei revisori dei conti di un consorzio (articolo ItaliaOggi del 17.09.2010, pag. 37).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Strade vicinali.
Quale disciplina è applicabile ai consorzi di strade vicinali, già esistenti, in considerazione dell'abrogazione del dlgs n. 1446/1918, disposta dall'art. 2 del dl n. 200/2008?

La Corte dei conti, sezione regionale Emilia Romagna, con deliberazione n. 244/2009, ha affermato che «l'abrogazione della norma sopra citata (dlgs n. 1446/1918) non può aver influito sulla sorte dei soggetti già esistenti», proprio in considerazione della particolare connotazione formale che caratterizza i consorzi riguardanti le strade vicinali di uso pubblico, quali soggetti dotati di personalità giuridica (articolo ItaliaOggi del 17.09.2010, pag. 37).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Composizione dei gruppi.
Da quanti consiglieri deve essere composto un gruppo consiliare? Qual è il principio che regola la composizione delle commissioni consiliari?

La materia concernente la costituzione e il funzionamento dei gruppi consiliari è interamente demandata allo statuto e al regolamento di ciascun ente locale e, pertanto, anche le problematiche connesse alla stessa dovrebbero trovare adeguata soluzione nella specifica disciplina di cui l'ente locale si è dotato.
In merito il Consiglio di stato, sez. V, 25.01.2005, n. 148, ha affermato che atteso «il rapporto di gerarchia in cui si trovano le fonti delle norme in questione, l'antinomia si risolve con la prevalenza della disposizione dello statuto e la disapplicazione di quella regolamentare».
Per quanto concerne la composizione delle commissioni consiliari, l'univoco e consolidato indirizzo giurisprudenziale è nel senso che il criterio proporzionale richiesto inderogabilmente dall'art. 38, comma 6, del dlgs n. 267/2000 può dirsi rispettato ove sia assicurata, in ogni commissione, la presenza di ciascun gruppo presente in consiglio in modo che, se una lista è rappresentata da un solo consigliere, questi deve essere presente in tutte le commissioni costituite (v. Tar Lombardia, Brescia, 04.07.1992, n. 796; Tar Lombardia, Milano, 03.05.1996, n. 567) (articolo ItaliaOggi del 17.09.2010, pag. 37).

APPALTIAppalti, modifiche anti-ricorsi. Come la riforma della giustizia amministrativa peserà sui contratti. Le procedure del Codice de Lise saranno ridisegnate dalle nuove norme in vigore da giovedì.
Il 07 luglio scorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo 02.07.2010 n. 104, recante il «Codice del processo amministrativo» che, a partire dal 16.09.2010, disciplinerà, riscrivendolo, il giudizio avanti il giudice amministrativo.
L'intervento normativo, di largo respiro e volto a codificare le norme processuali proprie della giurisdizione in questione anche alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale registrata nel corso degli anni, si presenta particolarmente importante anche con riguardo al mondo dei contratti pubblici disciplinati dal cosiddetto Codice de Lise.
A pochi mesi, infatti, dall'entrata in vigore del D.Lgs. 53/2010, recante l'attuazione della cosiddetta Direttiva ricorsi, il Codice del processo va ad incidere e a modificare nuovamente le disposizioni contenute nel Codice dei contratti, e già oggetto di intervento in sede di recepimento del diritto comunitario.
Di seguito si cercherà di dare un breve resoconto delle novità più spiccatamente connesse con il mondo degli appalti ... (articolo ItaliaOggi del 15.09.2010).

INCARICHI PROFESSIONALIIntanto le p.a. chiedono conti dedicati ai professionisti.
Le pubbliche amministrazioni chiedono anche ai professionisti di aprire conti dedicati. L'applicazione dell'articolo 3 della legge 136/2010 sembra, infatti, non escludere i consulenti dall'obbligo di tracciabilità dei compensi. Anche andando al di là della stretta lettera della formulazione della norma. In effetti la disposizione citata parla solo di appaltatori, subappaltatori e subcontraenti della filiera delle imprese e di concessionari di finanziamenti pubblici anche europei a qualsiasi titolo interessati ai lavori, ai servizi e alle forniture.
Tuttavia, allo scopo di chiarire la portata dell'articolo 3, gli enti pubblici si stanno chiedendo se debba essere usata la definizione di operatore economico introdotto dal codice dei contratti pubblici.
Si tratta di una definizione molto ampia che comprende una persona fisica, o una persona giuridica, o un ente senza personalità giuridica, compreso il gruppo europeo di interesse economico (Geie), purché offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi ... (articolo ItaliaOggi del 14.09.2010 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIAppalti, tracciabilità da settembre. Il vincolo di trasparenza sui flussi finanziari non è retroattivo. Lo prevede la bozza di linee guida sulla legge antimafia. Ma resta l'ipotesi di un decreto di sospensione.
Conferma dell'obbligo di tracciabilità dei flussi finanziari per i contratti sottoscritti dopo il 7 settembre, anche se il bando di gara è precedente a tale data; obbligo di indicare nel contratto tutti i rapporti contrattuali relativi alla specifica commessa; le comunicazioni sulla tracciabilità dovranno essere effettuate dai legali rappresentanti; il Cup (Codice unitario progetto) corrispondente al contratto dovrà essere citato unitamente al Cig (Codice identificativo gara) e sarà rilasciato anche per forniture e servizi.
Sono questi alcuni dei punti contenuti nel documento base che l'Autorità ha messo a punto per la determinazione contenente le linee guida relative all'applicazione dell'articolo 3 della legge 136/2010; ma l'ipotesi di un decreto legge che rinvii l'applicazione della disposizione per definire con maggiore calma e accuratezza le modalità applicative dell'obbligo, è aperta e potrebbe realizzarsi entro venerdì ... (articolo ItaliaOggi del 14.09.2010 - tratto da www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

RISARCIBILITA' DANNI: Le procure della Corte dei conti possono iniziare l‘attività istruttoria ai fini dell‘esercizio dell‘azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno.
L’art. 17, comma 30-ter, del D.L. n. 78/2009, convertito nella legge n. 102/2009, prevede che “Le procure della Corte dei conti possono iniziare l‘attività istruttoria ai fini dell‘esercizio dell‘azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge”.
Con la sentenza n. 492/2010 la Corte dei conti, chiarendo che “Presupposto per l’iniziativa del Procuratore regionale è l’esistenza di una “notizia” di danno, da intendersi nel senso di informativa e non come denuncia o querela (o referto)…” e che, inoltre, “la specificità e la concretezza, intesa nel senso in precedenza evidenziato, non implica che la notizia di danno debba espressamente evidenziare anche tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi di responsabilità i quali, invece, vanno espressi nell’atto di citazione a giudizio…”, precisa che il Procuratore Regionale, “Ricevuta la notizia di danno qualificata,… nella sua autonomia, deve accertare l’esistenza delle condizioni e dei presupposti dell’azione, qualificando il fatto dannoso e riscontrando l’esistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi della responsabilità” (Corte dei Conti, Sez. I centrale d'appello, sentenza 01.09.2010 n. 492).

PUBBLICO IMPIEGO: Corte dei conti Puglia: per «normali» compiti d'ufficio stop a compensi aggiuntivi.
Niente compensi aggiuntivi ai dipendenti e ai dirigenti delle Pa per lo svolgimento di attività che rientrano nei compiti di ufficio. Tutte le forme di trattamento economico accessorio sono oggetto di contrattazione e né le amministrazioni né i singoli dirigenti possono disporre unilateralmente l'erogazione di compensi. Neppure lo svolgimento di tali attività fuori dall'orario di lavoro, l'uso del mezzo proprio o l'avere l'ente ottenuto notevoli benefici legittimano l'erogazione ditali compensi. In capo ai dirigenti inadempienti matura colpa grave per l'incuranza degli effetti sulla finanza dell'ente. La circostanza che alcuni progetti fossero stati preventivamente approvati dalla giunta determina solo una riduzione della responsabilità del dirigente e non costituisce una esimente.
Questi principi sono stati affermati dalla Corte dei Conti della Puglia nella sentenza 22.07.2010 n. 475 e nella sentenza 02.08.2010 n. 487.
Sono stati condannati due dirigenti della provincia di Lecce per avere corrisposto compensi aggiuntivi a propri collaboratori per lo svolgimento di attività comprese tra quelle di istituto, nei casi specifici la definizione delle iniziative per la utilizzazione degli strumenti di finanza innovativa e la classificazione degli alberghi.
Queste pronunce confermano un orientamento che è maggioritario nella magistratura contabile, ma che talvolta non è stato applicato in presenza di circostanze (sezione appello Corte conti Sicilia, sentenza 87/2009) per cui lo svolgimento di attività ordinarie deve comunque essere definito come uno sforzo straordinario. Tali non sono stati giudicati nella classificazione delle strutture alberghiere, in quanto attività programmabile, né i notevoli asseriti vantaggi finanziari che l'amministrazione potrebbe avere ottenuto. dall'applicazione degli strumenti di finanza innovativa.
Le sentenze ricordano che i principi di onnicomprensività e di contrattazione del trattamento economico si applicano non solo ai dipendenti, ma anche ai dirigenti. E aggiungono che questi compensi non sono riconducibili agli istituti contrattuali in vigore: non possono essere considerati produttività perché «erogati senza alcun riferimento ai parametri e metodologie di valutazione eventualmente adottati».
Per lo svolgimento al di fuori del normale orario di lavoro la forma di remunerazione è il compenso per lavoro straordinario, sussistendone le condizioni: in ogni caso, per potere assumere che l'ente ne abbia tratto vantaggio, ai fini della riduzione della responsabilità, il dirigente deve dimostrare che l'attività non poteva essere svolta nell'ordinario orario di lavoro.
L'eventuale decisione preventiva della giunta di costituire uno specifico gruppo di lavoro e distanziare risorse per la relativa remunerazione, in quanto la determinazione dirigenziale è a essa legata da un «rapporto di consequenzialità logica e cronologica», determina soltanto la riduzione della responsabilità, ma non l'esonero, poiché è comunque il dirigente che adottagli atti gestionali (articolo Il Sole 24 Ore del 20.09.2010 - tratto da www.corteconti.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Considerato che la funzione svolta dalla sottoscrizione del disciplinare è quella di rendere riferibili le prescrizioni di gara al dichiarante, non si può far rientrare la mancata presentazione di copia sottoscritta del disciplinare stesso tra le irregolarità formali, per le quali è consentita la regolarizzazione o l’integrazione, ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs. n. 163/2006.
In caso contrario, si verrebbe a realizzare una palese violazione della par condicio rispetto alle imprese concorrenti che abbiano puntualmente rispettato la disciplina prevista dalla lex specialis (parere di precontenzioso 25.03.2010 n. 68 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Considerato che l’ordinamento riconosce alla stazione appaltante la facoltà di prescrivere un periodo di validità della cauzione provvisoria maggiore del termine minimo previsto, qualora la stazione appaltante si avvalga di tale facoltà, la portata vincolante di una siffatta prescrizione esige che alla stessa sia data puntuale esecuzione nel corso della procedura.
Conseguentemente, se è stata prevista espressamente la sanzione dell’esclusione quale effetto della violazione di tale prescrizione, l’amministrazione è tenuta a darne precisa ed incondizionata esecuzione.
Né la produzione successiva al termine di presentazione delle offerte di una polizza con un termine di validità maggiore può essere considerata ammissibile, non trattandosi di meri chiarimenti di elementi già prodotti bensì di vera e propria integrazione sostitutiva (parere di precontenzioso 25.03.2010 n. 66 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In caso di A.T.I. miste si vengono a costituire delle sub-associazioni di tipo orizzontale e, a tali sub-associazioni, si applicano le regole dettate per il modello associativo orizzontale dall’art. 95, comma 2, del D.P.R. n. 554/1999.
Il periodo “l'impresa mandataria in ogni caso possiede i requisiti in misura maggioritaria”, deve essere inteso con riferimento ai requisiti minimi richiesti per la partecipazione allo specifico appalto, in relazione alla classifica posseduta risultante dall'attestazione SOA e concretamente “spesa” ai fini dell’esecuzione dei lavori e non in assoluto, avendo riguardo solo all’importo complessivo dei lavori.
È necessario che trovi applicazione, infatti, il principio di corrispondenza sostanziale tra la quota di qualificazione, la quota di partecipazione all'associazione e quella di esecuzione dei lavori, desumibile dal combinato disposto dell’art. 37 del D.Lgs. n. 163/2006 e degli artt. 93, comma 4, e 95 del D.P.R. n. 554/1999 e s.m. e dell’art. 3 del D.P.R. n. 34/2000 e s.m..
Quando all’A.T.I. partecipano due sole imprese, l’aggettivo maggioritario, che connota la percentuale del possesso dei requisiti da parte della capogruppo, indica che la mandataria deve spendere in quella specifica gara una qualifica superiore al 50 per cento dell’importo dei lavori, perché solo in tal modo essa potrà possedere anche una qualifica superiore a quella del suo unico associato.
Ciò deve avvenire, in considerazione delle esposte osservazioni, anche con riferimento alle singole categorie, sia prevalenti che scorporabili, di cui l’intervento si compone  (parere di precontenzioso 25.03.2010 n. 65 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Nel caso in cui la s.a. abbia indicato nei documenti di gara l’utilizzo di caselle e-mail create dalla stessa amministrazione per le comunicazioni con gli offerenti, la data di trasmissione delle comunicazioni è documentalmente provata, fino a prova contraria, dal report di consegna della e-mail generato automaticamente dal sistema di certificazione.
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La natura perentoria del termine per presentare la documentazione di cui all’art. 48 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 si desume sia dalla previsione di sanzioni a carico del concorrente che non abbia comprovato i requisiti nel termine previsto sia dalla specifica finalità che la suddetta disposizione persegue.
Il mancato rispetto dell’onere imposto dalla legge e dalla comunicazione della stazione appaltante determina in ogni caso l’escussione della garanzia provvisoria, tra le cui funzioni vi è quella di garantire la veridicità delle dichiarazioni fornite dalle imprese in sede di partecipazione alle gare, al fine di assicurare serietà e correttezza all’intero procedimento di gara e di liquidare forfetariamente il danno subito dalla stazione appaltante.
Il suo incameramento è quindi conseguenza diretta ed automatica dell’inadempimento del partecipante (parere di precontenzioso 25.03.2010 n. 64 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Nelle procedure indette prima dell’entrata in vigore del d.l. 01.07.2009, n. 78, convertito dalla legge 03.08.2009, n. 102, la mancata presentazione delle giustificazioni al momento della produzione dell’offerta economica, in assenza di una puntuale previsione del bando o del disciplinare, non può determinare alcuna ipotesi tipica di esclusione dalla gara.
La previsione di cui all’art. 86, co. 5, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, infatti, aveva la chiara finalità di semplificare il procedimento amministrativo e non quella di sanzionare con l’esclusione il mancato rispetto della stessa (parere di precontenzioso 25.03.2010 n. 63 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In riconoscimento dell'autonomia organizzativa degli operatori economici che concorrono alla gara, l’art. 51 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 consente la modificazione soggettiva degli stessi, sia con riferimento alla fase dell'offerta, che a quella dell'aggiudicazione e della stipulazione del contratto, con conseguente vincolo per la stazione appaltante di ammettere alle distinte fasi della procedura concorsuale i soggetti subentranti, previo accertamento in capo ad essi dei requisiti previsti per la partecipazione alla gara.
In una procedura ristretta per l’affidamento di servizi, devono ritenersi acquisiti in capo al soggetto cedente e, come tali, trasferibili al cessionario gli esiti della prequalificazione, alla cui stregua le imprese vengono ammesse a presentare le proprie offerte nel rispetto delle modalità e dei termini fissati nella lettera di invito (parere di precontenzioso 25.03.2010 n. 62 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’omessa allegazione della fotocopia del documento di identità comporta l’esclusione dalla gara, rappresentando tale documento un elemento costitutivo dell’autocertificazione.
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La mancata pubblicità delle sedute di gara rileva sempre come vizio della procedura, senza che occorra dimostrare una effettiva lesione della par condicio tra i concorrenti, trattandosi di un aspetto della selezione posto a tutela non solo della parità di trattamento dei partecipanti alla competizione ma ancor prima dell’interesse pubblico all’imparzialità e alla trasparenza dell’azione amministrativa (parere di precontenzioso 25.03.2010 n. 59 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: In materia di affidamenti di contratti di servizi e forniture, l’obbligo della comunicazione di cui all’art. 37, co. 4 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 è applicabile alla sola ipotesi di raggruppamenti “verticali” o “misti”, vale a dire con scorporo di singole parti per le quali rispondono in solido solo l’impresa esecutrice e quella mandataria, rendendosi in tal caso necessario specificare i diversi servizi destinati a essere svolti da ciascuna impresa.
Viceversa, la suddetta disposizione non trova margini di applicazione nel caso di riunioni “orizzontali”, laddove tutti gli operatori economici eseguono il tutto e, quindi, il medesimo tipo di prestazione, e tutte le imprese sono responsabili dell’intero in solido (parere di precontenzioso 25.03.2010 n. 57 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L'integrazione delle offerte in sede di gara su richiesta della stazione appaltante –allo scopo di far prevalere la sostanza sulla forma– si rivela finalizzata unicamente ad ottenere precisazioni in ordine alla documentazione prodotta, in vista della sanatoria di eventuali irregolarità formali, mentre una tale facoltà non può estendersi al caso in cui le perplessità rilevate riguardino l'offerta tecnica ed economica. Altrimenti verrebbe violato il principio della par condicio dei concorrenti mediante la modificazione postuma dell'offerta, con conseguente inammissibile incidenza sulla sostanza e non più solo sulla forma.
Non è consentito, infatti, specificare, rettificare o precisare e, sostanzialmente, cambiare, gli elementi negoziali costitutivi dell'offerta, tanto più ove siano già noti i contenuti delle altre offerte, in quanto l'accettazione di nuove condizioni costituisce manifesta e grave violazione dei principi di trasparenza dell'azione amministrativa e di rispetto della par condicio tra i concorrenti (parere di precontenzioso 11.03.2010 n. 56 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La trasformazione di una società da uno ad altro dei tipi previsti dalla legge non si traduce nell'estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di un altro, in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali che ad esso fanno capo.
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Nelle procedure indette per l'aggiudicazione di appalti pubblici, in capo alla stazione appaltante residua sempre, a prescindere da una regola esterna dettata da disposizioni di legge, di regolamento o rinvenibile nel bando di gara, un margine di discrezionalità tecnica che, nel prudente apprezzamento dell’amministrazione medesima, può investire le componenti dell'offerta nella loro serietà e congruità, in relazione all'oggetto della gara ed alle modalità di esecuzione del contratto, e che consente di disporre l'esclusione di offerte che presentino all'evidenza aspetti di inattendibilità (parere di precontenzioso 11.03.2010 n. 55 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Nel caso in cui un operatore economico che non abbia rispettato un termine perentorio per l’invio di documenti alleghi un inadempimento del servizio postale, è necessario che venga specificato alla stazione appaltante la natura del lamentato disservizio postale e che sia fornita adeguata documentazione probatoria dell’oggettiva impossibilità o estrema difficoltà di rispettare il termine assegnato.
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Il confronto tra la s.a. e l’offerente, la cui offerta è sospetta di anomalia, rappresenta indubbiamente un momento imprescindibile ai fini del rispetto dei principi comunitari che regolano la materia.
Tuttavia, appare evidente che tale legittimo contraddittorio non può mai essere dilatato ulteriormente a danno di altri concorrenti principi, ai quali la procedura concorsuale deve attenersi, vale a dire la par condicio tra i partecipanti, la trasparenza, la speditezza delle operazioni concorsuali.
Pertanto è necessario riconoscere al termine di cui all’art. 88, co. 2 del d.lgs. 12.04.2006 natura perentoria, avendo come finalità sia quella di garantire il contraddittorio in condizioni di parità tra tutti i concorrenti, sia quella di garantire il pubblico interesse, assicurando la definizione della gara in tempi rapidi e, comunque, certi.
È conforme alla normativa di settore, pertanto, l’operato della s.a. che escluda l’operatore economico che non abbia rispettato il suddetto termine (parere di precontenzioso 11.03.2010 n. 54 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Ai sensi dell’art. 91, comma 3, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, l’affidatario non può avvalersi del subappalto per la redazione delle relazioni geologiche.
Il legislatore, nell’escludere le relazioni geologiche dalle attività che il progettista può affidare in subappalto, ha perseguito di certo un’esigenza di tutela dell’amministrazione, che è meglio garantita dalla instaurazione di un rapporto diretto con il professionista (sia pur attraverso la sua partecipazione ad un raggruppamento temporaneo od altra forma associativa).
In una procedura per l’affidamento di servizi di progettazione cui partecipi un RTP, qualora il geologo non faccia parte della compagine sociale, è evidente che la redazione della relazione geologica verrebbe di fatto affidata ad un terzo, in violazione della richiamata norma che vieta per tale attività il subappalto (parere di precontenzioso 11.03.2010 n. 52 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La sottoscrizione di un modello nel quale non è stata operata alcuna scelta sul possesso dei requisiti di cui alle varie alternative determina incertezza assoluta sul possesso dei requisiti medesimi o sulle circostanze indicate nei punti specifici, con conseguente necessaria esclusione dalla gara dell’operatore economico che non ha fatto tali dichiarazioni.
La regolarizzazione della documentazione prodotta in sede di gara, peraltro, non può riferirsi alla carenza di dichiarazioni o di documenti richiesti a pena di esclusione.
La dichiarazione ex art. 38, comma 1, lettera c), del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 costituisce parte integrante ed elemento essenziale della domanda di partecipazione alla gara, con conseguente inammissibilità della regolarizzazione postuma (parere di precontenzioso 11.03.2010 n. 52 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Le stazioni appaltanti vantano un apprezzabile margine di discrezionalità nel chiedere requisiti di capacità economica, finanziaria e tecnica ulteriori e più severi rispetto a quelli previsti dalla legge, con il limite del rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza; sicché non è consentito pretendere il possesso di requisiti sproporzionati o estranei rispetto all’oggetto della gara.
In tale ottica, è stata ritenuta sproporzionata la richiesta, quale requisito di capacità economico finanziaria, di un fatturato pari o superiore a 5.000.000 di euro l’anno, a fronte di una base d’asta di 350.000 euro annui (parere di precontenzioso 11.03.2010 n. 50 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Le stazioni appaltanti possono richiedere requisiti di partecipazione che, pur essendo ulteriori e più restrittivi di quelli previsti dalla legge, rispettino il limite della logicità e della ragionevolezza e, cioè, della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito.
Tali requisiti possono essere censurati solo allorché appaiano viziati da eccesso di potere, ad esempio per illogicità o per incongruenza rispetto al fine pubblico della gara.
In una procedura aperta per l’affidamento di una fornitura di autobus, è conforme alla normativa di settore la richiesta di aver consegnato, nei tre anni precedenti, un numero di autobus almeno pari all’entità di ciascuno dei lotti per i quali si richiede di partecipare e della lunghezza prevista per lo stesso lotto.
A fronte della necessità, dichiarata dalla s.a. nel bando di gara, di rispettare tempi di consegna molto contenuti, appare ragionevole prevedere criteri di selezione idonei a individuare un operatore economico in grado di fornire autobus con le caratteristiche richieste, che abbia già precedentemente dimostrato le proprie capacità attraverso forniture analoghe a quella richiesta (parere di precontenzioso 11.03.2010 n. 49 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’art. 34 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 deve essere interpretato nel senso che l’elenco ivi contenuto non abbia carattere tassativo.
Non è preclusa, pertanto, la partecipazione ad una gara d’appalto di un Raggruppamento Temporaneo di Imprese composto da un consorzio ordinario e da una società (parere di precontenzioso 11.03.2010 n. 48 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Con riferimento ai soggetti tenuti alla dichiarazione di cui all’art. 38 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, la ratio legis è quella di escludere dalla partecipazione alle procedure di gara le società in cui determinati soggetti che hanno un significativo ruolo decisionale e gestionale, compresi gli institori e i vicari, siano incorsi in una delle cause di esclusione previste.
Ai fini di una corretta applicazione della normativa in questione occorre necessariamente fare riferimento alle funzioni sostanziali di tali soggetti più che alle qualifiche formali, altrimenti la evidenziata ratio potrebbe essere agevolmente elusa e, dunque, vanificata (parere di precontenzioso 11.03.2010 n. 47 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Localizzazione delle SRB - Regolamento comunale -Tutela della salute umana dalle emissioni - Attribuzione alla legislazione concorrente Stato-Regioni.
E’ illegittimo un regolamento comunale in tema di fissazione dei criteri per la localizzazione delle SRB laddove l'ente territoriale si sia posto quale obiettivo (non dichiarato, ma evincibile dal contenuto dell'atto regolamentare) quello di preservare la salute umana dalle emissioni elettromagnetiche promananti da impianti di radiocomunicazione (ad esempio attraverso la fissazione di distanze minime delle stazioni radio base da particolari tipologie d'insediamenti abitativi), essendo tale materia attribuita alla legislazione concorrente Stato-Regioni dell'art. 117 cost., come riformato dalla l. cost. 18.10.2001 n. 3 (in tal senso: Cons. Stato, Sez. VI, sent. 28.04.2010, n. 2436; id., Sez. VI, sent. 20.12.2002, n. 7274).
Istanza di autorizzazione ex art. 87 d.lgs. n. 259/2003 - Allegazione della denuncia di verifica sismica - Inizio dei lavori.
Il quadro normativo vigente non impone in alcun modo di allegare la denuncia di verifica sismica della SRB già in sede di presentazione dell’istanza di autorizzazione o della denuncia di cui all’art. 87, d.lgs. 259 del 2003, limitandosi -piuttosto- a prescrivere che la denuncia in parola avvenga prima del concreto inizio dei lavori (in tal senso: il primo comma dell’art. 4, l. 1086 del 1971; il primo comma dell’art. 17, l. 64 del 1974, nonché il comma 3 dell’art. 2, L.R. Campania 9 del 1983).
SRB - Istanza di autorizzazione ex art. 87 d.lgs. n. 259/2003 - Parere dell’ARPA - Attivazione dell’impianto.
La previsione ci cui all’art. 87, d.lgs. 259 del 2003 postula che il parere dell’ARPA sia richiesto solo ed esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell’impianto, non sussistendo un onere per il richiedente di allegare il parere in questione in sede di presentazione dell’istanza (ovvero della D.I.A.), né un puntuale obbligo di far pervenire il parere medesimo all’Ente procedente entro il termine di novanta giorni di cui al comma 9 dell’art. 87, cit..
L'accertamento, da parte dell'Organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22.02.2001, n. 36 della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della citata legge 22.02.2001, n. 36 deve infatti seguire, e non già precedere, la produzione dell'istanza (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.09.2010 n. 7128 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Spandimento di fanghi biologici - Autorizzazione - Istanza di rinnovo - Termine di centottanta giorni - Art. 208, c. 12 d.lgs. n. 152/2006 - Norma di carattere generale - Applicabilità alla procedura semplificata prevista dal successivo art. 210.
Il termine di centottanta giorni stabilito ai fini della tempestività dell’istanza di rinnovo dell’autorizzazione allo spandimento di fanghi biologici, stabilito dall’art. 208, co. 12, del D.Lgs. n. 152/2006, è norma di carattere generale che tipizza la procedura per l’autorizzazione ed i rinnovi e che non trova alcun richiamo derogatorio nella diversa procedura semplificata prevista dal successivo art. 210, che disciplina la diversa fattispecie del rinnovo dell’autorizzazione per coloro che ne erano già in possesso al momento dell’entrata in vigore del decreto.
Non può pertanto convenirsi con la tesi secondo cui, non essendo previsti, per tale rinnovo, termini per la presentazione dell’istanza, questa può proporsi anche immediatamente prima della scadenza: tale interpretazione contrasta, infatti, con la disciplina generale dell’art. 208 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.09.2010 n. 7073 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Nel caso di concessione di pubblici servizi, il ricorso alla trattativa privata deve ritenersi circoscritto ai casi di impossibilità di fare ricorso a pubbliche gare.
In tema di affidamento di servizi pubblici di rilevanza comunitaria, mediante concessione, i principi fondamentali dell'ordinamento comunitario (di cui agli arti. 43 e 49 del Trattato C.E.), nonché quelli che governano la materia dei contratti pubblici, impongono alle amministrazioni di procedere salvaguardano la pubblicità degli affidamenti e la non discriminazione delle imprese, "mediante l'utilizzo di procedure competitive selettive". Per contro, le "circostanze speciali" che consentono il ricorso alla trattativa privata non possono essere quelle connesse alla mera presunta maggiore convenienza tecnico-economica dell'intervento proposto.
Pertanto, anche nel caso di concessione di pubblici servizi, il ricorso alla trattativa privata deve ritenersi circoscritto ai casi di impossibilità di fare ricorso a pubbliche gare in ragione dell'estrema urgenza, ovvero della sussistenza di presupposti d'ordine tecnico tali da impedire, se non al prezzo di costi sproporzionati, la ricerca di altre soluzioni basate sul previo confronto concorrenziale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.09.2010 n. 7024 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: In caso di fusione o di altra operazione che comporti il trasferimento di azienda o di un suo ramo, al nuovo soggetto è consentito di avvalersi dei requisiti posseduti dall'impresa cedente, anche in assenza di una specifica previsione del bando.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale in caso di fusione o di altra operazione che comporti il trasferimento di azienda o di un suo ramo, al nuovo soggetto è consentito di avvalersi, ai fini della qualificazione, dei requisiti posseduti dall'impresa cedente.
Nelle gare indette per l'aggiudicazione di appalti con la pubblica amministrazione, l'istituto dell'avvalimento, infatti, ha portata generale ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti di partecipazione ed è, quindi, utilizzabile anche in assenza di una specifica previsione del bando, restando peraltro ferma la necessità, in ogni caso, di un vincolo giuridico, preesistente all'aggiudicazione della gara.
Pertanto, nel caso di specie, nessun addebito può muoversi sotto tale profilo alla Commissione giudicatrice, che ha riconosciuto il possesso della capacità professionale alla società aggiudicataria attribuendo validità alla dichiarazione rilasciata da un Comune in considerazione della fusione avvenuta ai sensi dell'art. 2501-ter c.c. della società capogruppo con la società aggiudicataria del servizio oggetto di gara presso il Comune (TAR Abruzzo, Sez. I, sentenza 20.09.2010 n. 668 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Art. 36 d.P.R. n. 380/2001 - Tipizzazione legale del silenzio - Atto tacito di diniego - Impugnazione - Termine di sessanta giorni - Decorrenza.
La disposizione normativa recata dall’art. 36, comma 3, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia configura a tutti gli effetti un’ipotesi di tipizzazione legale del silenzio serbato dall’amministrazione.
Una volta inutilmente decorso il suddetto termine, sulla domanda di sanatoria si forma a tutti gli effetti un atto tacito di diniego, con il conseguente onere della parte interessata di agire in sede impugnatoria nel termine di legge di sessanta giorni decorrente dalla data di formazione dell’atto negativo tacito (Cons. Stato, sez. IV, 03.02.2006, n. 401; sez. V, 11.02.2003, n. 706; sez. II, par. 12.04.2006, n. 7375/2004; Id., par. 07.05.2008, n. 4581/20077; CGA, 14.09.2009, n. 792; Tar Piemonte, sez. I, 08.03.2006, n. 1173; Id., 27.11.2007, n. 3508; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 21.03.2006, n. 642; Tar Lazio, Latina, 09.10.2006, n. 1044; Tar Campania, Napoli, sez. VI, 07.09.2006, n. 7960 e 12.02.2008, Id., sez. II, 21.11.2006, n. 10061, 23.09.2008, n. 10619; 08.06.2009, n. 3139; Id., sez. VII, 05.12.2006, n. 10401; Id., sez. II; Tar Campania, Salerno, Sez. II, 07.03.2008, n. 257) (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 17.09.2010 n. 17440 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Salvaguardia dell’ordine, della quiete e della salute pubblica - Ordinanza contingibile ed urgente - Mancata fissazione del termine di efficacia del provvedimento - Violazione del giusto procedimento e del contraddittorio - Illegittimità e colpa in capo all’amministrazione - Esclusione - Art. 54 D.Lgs. n. 267/2000.
La presenza di gravi elementi indicativi di pesante disagio per i residenti, considerati fronteggiabili dall’amministrazione solo attraverso la limitazione dell’orario dell’esercizio allo scopo di salvaguardare l’ordine, la quiete e la salute pubblici, in disparte ogni valutazione circa l’idoneità a creare il presupposto di urgenza connesso all’inquinamento acustico ed all’effettivo pericolo di danno grave ed imminente per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana per il legittimo ricorso ai poteri di ordinanza di cui all’art. 54 D.Lgs. n. 267/2000 (Cons. St. Sez. V, 13.02.2009, n. 828), esclude l’elemento soggettivo della colpa in capo all’amministrazione procedente (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.09.2010 n. 6979 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Provvedimento amministrativo illegittimo - Indizio presuntivo della colpa - Risarcimento del danno - Onere della prova - Fattispecie: situazione di inquinamento acustico e di pericolo per l’ordine, la quiete e la salute pubblica.
In sede di giudizio di risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, l’illegittimità dell’atto costituisce indizio presuntivo della colpa, restando a carico dell’amministrazione l’onere di dimostrare la scusabilità dell’errore per contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma, per la complessità del fatto ovvero per l’influenza di altri soggetti (Cons. St. Sez. V, 20.07.2009, n. 4527), elementi questi liberamente valutabili dal giudice al fine di escludere la colpevolezza, non potendo l’imputazione avvenire sulla base del dato meramente oggettivo dell’illegittimità del provvedimento (Cons. St. Sez. V, 13.04.2010, n. 2029).
Nella specie, l’amministrazione ha fornito piena dimostrazione dell’assenza di imputabilità di ogni responsabilità a titolo di dolo o di colpa, data la molteplicità di richieste di intervento provenienti da soggetti pubblici e privati, l’emergenza della situazione creatasi a causa del livello dei rumori percepiti dall’interno delle abitazioni, la necessità di intervenire prontamente, il giustificato affidamento sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente come unica misura idonea a fronteggiare immediatamente la situazione di inquinamento acustico e di pericolo per l’ordine, la quiete e la salute pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.09.2010 n. 6979 - link a www.ambientediritto.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: I consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere di valutare -con piena cognizione- la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che diversamente opinando sarebbe introdotta una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio del mandato del consigliere comunale.
Il diritto del consigliere comunale ad ottenere dall’ente tutte le informazioni utili all’espletamento del mandato non incontra neppure alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato al segreto d’ufficio.
Gli unici limiti all’esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali possono rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali (attraverso modalità che ragionevolmente sono fissate nel regolamento dell’ente) e, per altro verso, che esso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazione al diritto stesso.

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, da cui non vi è motivo di discostarsi (da ultimo C.d.S., sez. V, 09.10.2007, n. 5264), i consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere di valutare -con piena cognizione- la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Il diritto di accesso loro riconosciuto ha infatti una ratio diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto alla generalità dei cittadini (ex articolo 10 del D. Lgs. 18.08.2000, n. 267) ovvero a chiunque sia portatore di un "interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso" (ex art. 22 e ss. della legge 07.08.1990, n. 241): infatti, mentre in linea generale il diritto di accesso è finalizzato a permettere ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti per la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, quello riconosciuto ai consiglieri comunali è strettamente funzionale all’esercizio del proprio mandato, alla verifica e al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell’ente locale (C.d.S., sez. IV, 21.08.2006, n. 4855) ai fini della tutela degli interessi pubblici (piuttosto che di quelli privati e personali) e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività (C.d.S., sez. V, 08.09.1994, n. 976).
Di conseguenza sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che diversamente opinando sarebbe introdotta una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio del mandato del consigliere comunale (C.d.S., sez. V, 22.02.2007, n. 929; 09.12.2004, n. 7900); è stato osservato d’altra parte che dal termine “utili”, contenuto nell’articolo 43 del D. Lgs. 18.08.2000, n. 267, non può conseguire alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, detto aggettivo garantendo in realtà l’estensione di tale diritto di accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per l’esercizio del mandato (C.d.S., sez. V, 20.10.2005, n. 5879).
Deve anche aggiungersi che il diritto del consigliere comunale ad ottenere dall’ente tutte le informazioni utili all’espletamento del mandato non incontra neppure alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato al segreto d’ufficio (C.d.S., sez. V, 04.05.2004, n. 2716).
In definitiva gli unici limiti all’esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali possono rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali (attraverso modalità che ragionevolmente sono fissate nel regolamento dell’ente) e, per altro verso, che esso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazione al diritto stesso (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.09.2010 n. 6963 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Richiesta di realizzazione urgente dei lavori di messa in sicurezza di un costone roccioso - Silenzio rifiuto - Illegittimità - Risposta completa all’istanza - Necessità.
In tema di silenzio-rifiuto relativo a lavori di sistemazione sponde torrente, persiste l’obbligo della Regione (in specie Assessorato regionale alle Politiche ambientali e Difesa del suolo) di fornire una risposta completa all’istanza dell’interessato tenendo conto del complesso delle competenze degli altri settori regionali facenti parti dell’Assessorato stesso (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.09.2010 n. 6952 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Piano di lottizzazione - Oneri concessori relativi a concessioni edilizie - Rideterminazione e conguaglio - C.d. monetizzazione - Nozione - Titolo convenzionale - L.R. Lombardia n. 60/1977 (norme di attuazione della L. n. 10/1977).
La c.d. monetizzazione -consistente nel pagamento di una somma di denaro in alternativa alla cessione gratuita di aree necessarie per le opere di urbanizzazione- è prevista dalla legge regionale lombarda 05.12.1977 n. 60 (norme di attuazione della legge 20.01.1977 n. 10) con esclusivo riferimento alla lottizzazione di aree edificabili.
Dalla disciplina in questione (in particolare art. 12, lett. a), ne discende che la monetizzazione, per un verso, presuppone un intervento subordinato al piano di lottizzazione (o a piano attuativo assimilabile); per altro verso ha fonte in un atto convenzionale (preordinato all’esecuzione del piano), che precede -essendone il presupposto- il rilascio delle singole concessioni edilizie.
Queste ultime non scontano, all’atto del rilascio, altro onere che il contributo di concessione nella sua duplice componente (oneri di urbanizzazione e quota commisurata al costo di costruzione), salvi i casi di gratuità totale o parziale. Mentre, l’art. 9 della stessa legge regionale n. 60 del 1977 (il quale si limita a disporre che il rilascio della concessione sia subordinato, ove occorra, alla “cessione al comune, a valore di esproprio o senza corrispettivo nei casi specifici previsti dalle normative vigenti, delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, pertinenti all’intervento”) non legittima la monetizzazione in sede di rilascio della concessione edilizia; tanto meno quando la monetizzazione sia già stata definita in via convenzionale.
In altro termini, non v’è spazio, né in sede di rilascio della concessione edilizia, né in sede di rideterminazione o rettifica degli oneri concessori, per una monetizzazione volta a supplire alla (presunta) carenza di standard che non sia stata considerata in sede di (nel momento della) pianificazione attuativa.
Nel caso in esame esiste un titolo convenzionale che legittima la pretesa del Comune nei soli limiti pattuiti, risolvendosi ogni ulteriore imposizione non preventivamente deliberata (dagli organi competenti) e concordata (tra le parti) in una violazione contrattuale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.09.2010 n. 6950 - link a www.ambientediritto.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: Sulla competenza del Consiglio comunale relativamente al procedimento di formazione dei piani per l'edilizia economica e popolare e quindi anche alla loro revoca e/o annullamento.
In materia di pianificazione dell'edilizia residenziale pubblica, il legislatore nazionale, con l'originaria l. n. 167 del 1962 (art. 6), come modificata dalla l. n. 865 del 1971, relativamente al procedimento di formazione dei piani per l'edilizia economica e popolare ha espressamente attributo la competenza dell'adozione degli stessi al Consiglio comunale, con l'ulteriore competenza del predetto organo comunale anche per l'approvazione delle convenzioni pubblico-privatistiche disciplinanti l'assegnazione del diritto di superficie delle relative aree.
Peraltro, anche con riferimento alla disciplina di carattere generale introdotta dalle leggi di riforma degli enti locali, la n. 142/1990 prima e il dlgs n. 267/2000 poi, la competenza consiliare in tema di assegnazione di aree in diritto di superficie appare conforme alle previsioni recate da detta normativa, che assegna, appunto, al Consiglio comunale la generale competenza in ordine all'assegnazione di attività e servizi sul territorio comunale.
Inoltre, considerata la rilevante funzione economico-sociale e alla valenza urbanistica dei Piani per l'Edilizia Economica e Popolare l'adozione di tali atti di pianificazione (e quindi anche la loro revoca e/o annullamento) non può che spettare, in ragione degli interessi coinvolti, all'organo assembleare dell'Ente locale.
Nel caso di specie, la dichiarazione di decadenza risulta assunta con deliberazione consiliare, pertanto, non è ravvisabile alcun vizio di incompetenza e neppure quello di violazione del principio del contrarius actus, atteso che lo jus poenitendi è stato esercitato dallo stesso organo (il Consiglio comunale) che ha disposto l'assegnazione delle aree in diritto di superficie (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.09.2010 n. 6921 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: Compete al consiglio la dichiarazione di decadenza dalla convenzione urbanistica perché era del consiglio la competenza all’adozione della convenzione.
Il principio espresso in sentenza, si basa sull’assunto che il contrarius actus segua la stessa filiera procedurale dell’atto.
In materia di pianificazione dell’edilizia residenziale pubblica, il legislatore nazionale, con l’originaria legge n. 167 del 1962 (art. 6), come modificata dalla legge n. 865 del 1971, relativamente al procedimento di formazione dei piani per l’edilizia economica e popolare ha espressamente attributo la competenza dell’adozione degli stessi al Consiglio comunale, con l’ulteriore competenza del predetto organo comunale anche per l’approvazione delle convenzioni pubblico-privatistiche disciplinanti l’assegnazione del diritto di superficie delle relative aree, come allegate agli adottati Piani di Zona.
Peraltro, anche con riferimento alla disciplina di carattere generale introdotta dalle leggi di riforma degli enti locali, la n. 142/1990 prima e il D.Lgs. n. 267/2000 poi, la competenza consiliare in tema di assegnazione di aree in diritto di superficie appare conforme alle previsioni recate da detta normativa, che assegna, appunto, al Consiglio comunale la generale competenza in ordine all’assegnazione di attività e servizi sul territorio comunale.
Ed inoltre la funzione economico-sociale e la valenza urbanistica dei Piani per l’Edilizia Economica e Popolare comportano che l’adozione di tali atti di pianificazione e, quindi anche la loro revoca e/o annullamento, non possa non spettare, in ragione degli interessi coinvolti, all’organo assembleare dell’Ente locale.
Non c’è quindi alcun vizio di incompetenza e neppure quello di violazione del principio del contrarius actus, nel fatto che la decadenza sia stata adottata dal Consiglio atteso che lo jus poenitendi è stato esercitato dallo stesso organo (il Consiglio comunale) che ha disposto l’assegnazione delle aree in diritto di superficie per via della convenzione (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.09.2010 n. 6921 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Proroga - Rinnovo - Differenza - Disciplina applicabile.
Diversamente dal caso della proroga, che si limita a prolungare la durata del rapporto amministrativo, accedendo all’originario permesso di costruire, il rinnovo costituisce autonomo titolo edilizio, soggetto al rispetto della normativa vigente al momento della sua adozione (tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 19.09.2008, n. 4528) (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 15.09.2010 n. 465 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAPer le opere comportanti un aumento di volumetria l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata ex post dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo, non rientrando tale ipotesi tra le fattispecie marginali –i c.d. abusi minori– che eccezionalmente ammettono la sanatoria ambientale in deroga al divieto generale di nulla-osta postumo.
Per le opere comportanti un aumento di volumetria l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata ex post dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 08.10.2007 n. 5203), non rientrando tale ipotesi tra le fattispecie marginali –i c.d. abusi minori– che eccezionalmente ammettono la sanatoria ambientale in deroga al divieto generale di nulla-osta postumo; anche se, è stato chiarito, la stessa ratio che in materia urbanistica induce ad escludere i volumi tecnici dal calcolo della volumetria edificabile vale ugualmente per escludere tali volumi dal divieto di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, con la conseguenza che gli interventi che abbiano dato luogo alla realizzazione di soli volumi tecnici rientrano nell’eccezione di cui all’art. 167, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 42 del 2004 e sono pertanto suscettibili di accertamento della compatibilità paesaggistica (v. TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 03.11.2009 n. 6827).
Alla base della rigorosa disciplina in esame –si è detto– è la finalità di costituire un più solido deterrente contro gli abusi dei privati, così abbandonando il regime che in precedenza riconosceva un significativo peso al fatto compiuto (v. TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 19.03.2008 n. 317), senza peraltro che l’automaticità dell’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, in conseguenza della sola carenza del titolo formale e indipendentemente da ogni indagine circa l’effettiva incidenza ambientale del singolo intervento –anche quando il privato potrebbe poi ottenere l’autorizzazione per un progetto identico–, evidenzi profili di illegittimità costituzionale, a fronte di scelte del legislatore fondate su di una rigidità del sistema in tal modo funzionale alla più efficace tutela del bene “paesaggio”, assegnatario di un rango primario tra i valori costituzionalmente protetti, con il solo temperamento all’assolutezza della proibizione di valutazioni postume realizzato attraverso la previsione della sanatoria dei c.d. “abusi minori” (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 05.03.2009 n. 1762; Sez. II, 09.12.2008 n. 5737)
(TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 15.09.2010 n. 435 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIntendendosi per «sponda» il confine naturale dell’ordinaria portata dell’acqua nelle sue variazioni stagionali e per «argini» le barriere esterne, per lo più artificiali, erette a ulteriore difesa del territorio per il caso di piene eccezionali, l’esigenza di evitare soluzioni del tutto arbitrarie impone di assegnare ai due termini un significato equivalente e quindi di assumere a riferimento principale la «sponda» e la funzione a questa connessa, con la conseguenza che la fascia di protezione di 150 metri va misurata dal limite di piena ordinaria del corso d’acqua, sia esso coincidente con il ciglio di sponda sia esso coincidente con il piede esterno dell’argine, mentre restano a tal fine estranee le barriere protettive preordinate a contrastare le piene straordinarie.
Appare necessario definire la portata dell’art. 142, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 42 del 2004, che sottopone a vincolo paesaggistico “…i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna …”.
La giurisprudenza ha chiarito che, intendendosi per «sponda» il confine naturale dell’ordinaria portata dell’acqua nelle sue variazioni stagionali e per «argini» le barriere esterne, per lo più artificiali, erette a ulteriore difesa del territorio per il caso di piene eccezionali, l’esigenza di evitare soluzioni del tutto arbitrarie impone di assegnare ai due termini un significato equivalente e quindi di assumere a riferimento principale la «sponda» e la funzione a questa connessa, con la conseguenza che la fascia di protezione di 150 metri va misurata dal limite di piena ordinaria del corso d’acqua, sia esso coincidente con il ciglio di sponda sia esso coincidente con il piede esterno dell’argine, mentre restano a tal fine estranee le barriere protettive preordinate a contrastare le piene straordinarie (v. TAR Friuli Venezia Giulia 10.05.2007 n. 339).
Si tratta di orientamento conforme ad un consolidato indirizzo del giudice ordinario, formatosi in relazione alle corrispondenti norme contenute nell’art. 1 del decreto-legge n. 312 del 1985 (integrativo dell’art. 82 del d.P.R. n. 616/1977) e nell’art. 146 del d.lgs. n. 490 del 1999, orientamento da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi.
Va solo aggiunto che, per trattarsi di un vincolo paesaggistico ex lege, eventuali criteri diversi (da quello della c.d. “piena ordinaria”) contenuti in norme secondarie –quale il «piano territoriale di coordinamento provinciale» richiamato nella circostanza dall’Amministrazione comunale– cedono di fronte alla disciplina di rango primario, che prevale sulle altre previa loro disapplicazione da parte del giudice chiamato a risolvere la controversia
(TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 15.09.2010 n. 435 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla valutazione da parte della stazione appaltante della rilevanza di un precedente penale ai fini dell'accertamento della effettività della incisione sulla moralità professionale dell'imprenditore.
La dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata di un cessato legale rappresentante può aver luogo in svariate forme, purché risulti esistente, univoca e completa.

Ai sensi dell'art. 38, I c., lett. c), del D.Lgs. n. 163 del 2006, la causa di esclusione dalla partecipazione a gare pubbliche dei soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna o emanato un decreto penale opera solo se siano stati irrogati in relazione a reati gravi in danno della Comunità o dello Stato, incidenti sulla moralità professionale. La gravità e incidenza sulla moralità professionale dell'imprenditore dei reati diversi da quelli specificamente indicati dall'art. 45, prg. 2, direttiva 2004/18/Ce e comportanti l'esclusione dalla partecipazione a gare pubbliche, in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, deve essere accertata dalla stazione appaltante con la disamina in concreto delle caratteristiche dell'appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato.
La valutazione in concreto della rilevanza dei riscontrati precedenti penali ai fini dell'accertamento della effettività della incisione della moralità professionale dell'imprenditore, in assenza di parametri posti dall'art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006, è affidata quindi alla discrezionalità dell'Amministrazione. Inoltre, la mera sussistenza di una condanna definitiva per reati astrattamente incidenti sulla moralità professionale non vale a integrare la causa di esclusione di cui all'art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006, occorrendo una concreta valutazione della gravità di tali precedenti.
Il concorrente a una gara d'appalto, al fine di dimostrare di avere adottato le misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata di un cessato legale rappresentante, può limitarsi a dichiarare che quest'ultimo si è dimesso dall'incarico e che l'impresa ne ha preso atto, purché risulti da verbale dell'assemblea della società, oppure da altro atto in cui sia chiaramente indicata la volontà di dissociazione, senza necessità che tale volontà, per essere idoneamente dimostrata, debba essere suffragata anche dalla prova dell'instaurazione di una causa civile di responsabilità nei confronti dell'ex legale rappresentante. Detto verbale ed ogni altro atto recante chiara indicazione della volontà di dissociazione fanno infatti piena fede circa la sussistenza di tale volontà della impresa ed è quindi non necessario far ricorso anche alla instaurazione di un giudizio civile per dimostrarla, atteso che la dissociazione, non trattandosi di istituto giuridico codificato, può aver luogo in svariate forme, purché risulti esistente, univoca e completa (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.09.2010 n. 6694 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI: La spedizione postale equivale alla presentazione diretta.
E' notorio il consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza sia amministrativa, sia civile, sia contabile, pienamente condiviso dal Collegio, col quale è stato affermato che l’equipollenza della spedizione postale alla presentazione diretta costituisce principio generale, desunto da numerose disposizioni di legge, inteso a sollevare il privato dal rischio di disfunzioni del servizio postale ed a consentirgli l’integrale disponibilità del termine (cfr., tra le tante, Cons. St., sez. V, 10.02.2010 n. 655; Cass. civ., sez. II, 05.05.2008 n. 11028; C. Conti reg. Toscana, sez. giurisd., 19.04.1996 n. 199);
Invero, secondo tale principio, in mancanza di una regola diversa fissata nella lex specialis della procedura, il termine finale per la presentazione della domanda del privato alla pubblica amministrazione deve considerarsi osservato ove tale domanda sia inoltrata in tempo utile a mezzo raccomandata, rilevando in tal caso la data di spedizione e non quella di ricezione da parte della destinataria (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.09.2010 n. 6678 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATATrattandosi di un vincolo assoluto (quello cimiteriale) non può essere utile fare riferimento al carattere derogatorio di cui all'art. 9 della L. n. 122/1989, in quanto anche il parcheggio interrato, in quanto struttura servente all'uso abitativo e, comunque, posta nell'ambito della fascia di rispetto cimiteriale, rientra tra le costruzioni edilizie del tutto vietate dalla disposizione di cui al cit. art. 338.
L'articolo 338 del testo unico delle leggi sanitarie di cui al R.D. n. 1265/1934 vieta l'edificazione nelle aree ricadenti in fasce di rispetto cimiteriale dei manufatti che possono qualificarsi come costruzione edilizie, come tali incompatibili con la natura dei luoghi e con l'eventuale espansione del cimitero.
Al riguardo, la giurisprudenza, ormai consolidata, ha affermato che in materia di vincolo cimiteriale la salvaguardia del rispetto dei duecento metri prevista dal citato articolo (o al limite inferiore di cui al d.p.r. numero 285/1990 che ha previsto la possibilità di riduzione della fascia di rispetto da 200 mt. a 100 mt.) “si pone alla stregua di un vincolo assoluto di inedificabilità che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici, che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all'inumazione e alla sepoltura, nel mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale.
Si consideri ancora che il vincolo di rispetto cimiteriale, riguarda non solo i centri abitati, ma anche i fabbricati sparsi (cfr. TAR Milano, II Sez., 06.10.1993 n. 551).
Infine, che lo stesso vincolo preclude il rilascio della concessione, anche in sanatoria (ai sensi dell'art. 33 L. 28.02.1985 n. 47), senza necessità di compiere valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell'opera con i valori tutelati dal vincolo (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1871 del 12.11.1999)
” (cfr. C.S. V n. 1935/2007).
Inoltre, trattandosi di un vincolo assoluto, non può essere utile fare riferimento al carattere derogatorio di cui all'art. 9 della L. n. 122/1989, in quanto, anche il parcheggio interrato, in quanto struttura servente all'uso abitativo e, comunque, posta nell'ambito della fascia di rispetto cimiteriale, rientra tra le costruzioni edilizie del tutto vietate dalla disposizione di cui al cit. art. 338 .
La stessa Corte costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale di tale art. 9 (sent. 459/1989), ha interpretato la norma nel senso che il richiamo in essa contenuto al soli vincoli paesaggistici non consente l'indiscriminata utilizzazione del territorio per la realizzazione di parcheggi anche in zone soggette ad altri vincoli imposti dalla legislazione statale e regionale, che devono ritenersi fermi è impregiudicati, atteso che l'efficacia derogatoria di cui al citato art. 9 è prevista solo con riferimento, “agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti” mentre, nella fattispecie, vengono in rilievo ulteriori e diverse finalità specificamente tutelate dal cit. art. 338, posto a fondamento del provvedimento di diniego (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.09.2010 n. 6671 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il provvedimento di annullamento del nulla-osta paesistico non ha natura di atto recettizio.
La motivazione -resa dalla Commissione comunale per il Paesaggio- sottesa al rilascio di una autorizzazione paesaggistica nella formula stereotipata del tipo:
"gli interventi progettuali previsti risultano compatibili con gli elementi caratterizzanti l’ambito tutelato, proprio del sistema paesistico, geomorfologico, naturalistico e antropico esistente ed individuati in premessa. In particolare, le opere previste risultano essere di scarsa incidenza rispetto alle peculiarità proprie dell'unità di paesaggio interessata, determinando un impatto visivo non rilevante, assolutamente tollerabile, in piena compatibilità paesistica" risulta, all’evidenza, una motivazione tautologica che nulla dimostra di quanto afferma.
La giurisprudenza si è -ormai da tempo– consolidata (cfr., ex plurimis, Cons. St., Sez. VI, 09.10.2007 n. 5237; 05.03.2007 n. 1027, 16.03.2009 n. 1531, TAR Basilicata 04.04.2007 n. 271; TAR Lazio, Sez. II, 20.11.2008 n. 10460) nell’affermare che il provvedimento di annullamento del nulla-osta paesistico non ha natura di atto recettizio, con la conseguenza che il termine -perentorio- di 60 giorni previsto per la sua adozione attiene al solo esercizio del potere di annullamento da parte dell'Amministrazione statale e non anche alla comunicazione o notificazione ai destinatari del provvedimento stesso.
L’autorità che esamina una domanda di autorizzazione paesistica:
- deve manifestare la piena consapevolezza delle conseguenze derivanti dalla realizzazione delle opere nonché della visibilità dell’intervento progettato nel più vasto contesto ambientale e non può fondarsi su affermazioni apodittiche, da cui non si evincano le specifiche caratteristiche dei luoghi e del progetto;
- deve verificare se la realizzazione del progetto comporti una compromissione dell’area protetta, accertando in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità dei valori dei luoghi.
In relazione ai poteri al riguardo spettanti al Ministero, va ricordato che:
- il potere esercitato dall’Amministrazione statale sulla autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’autorità regionale (o dalle autorità subdelegate) va definito in termini di "cogestione dei valori paesistici", nel senso che esso costituisce espressione di amministrazione attiva, nell’ambito di un unitario procedimento complesso nel quale la conclusione del procedimento è appannaggio esclusivo all’amministrazione regionale (o a quella delegata da quest’ultima) soltanto nella ipotesi di diniego di autorizzazione, mentre, al contrario, ove l’autorizzazione sia accordata, essa costituisce il presupposto formale la cui comunicazione al Ministero attiva il necessario riesame del contenuto dell’autorizzazione e dà avvio, dunque, ad un’altra fase necessaria e non autonoma, nella quale il Ministero può annullare entro il prescritto termine di sessanta giorni;
- l’Autorità statale può annullare l’autorizzazione paesistica (oltre che per il vizio di violazione di legge in senso stretto e per quello di incompetenza) anche quando risulti un suo profilo di eccesso di potere (per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta); la medesima Autorità non può, viceversa, annullare l’autorizzazione paesistica sulla base di proprie considerazioni tecnico-discrezionali, contrarie a quelle effettuate dalla Regione o dall’Ente subdelegato;
- l’esame della domanda di autorizzazione paesaggistica da parte dell’Autorità statale deve essere coerente con il piano paesistico (ove sia stato emanato), si deve basare su un’idonea istruttoria e deve rendere un’adeguata motivazione (da cui devono risultare le ragioni poste a base della affermata prevalenza di un interesse diverso da quello tutelato in via primaria) e deve tenere conto del principio di leale cooperazione che in materia domina i rapporti tra il Ministero e le Regioni (cfr. TAR Brescia 25.02.2008 n. 153).
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Il D.M. 24.03.1976 ha dichiarato di notevole interesse pubblico, apponendo il vincolo paesaggistico, l'intero territorio di Manerba del Garda con la seguente motivazione: "riconosciuto che la zona predetta ha notevole interesse pubblico perché, degradante verso il lago, caratterizzata dalla vegetazione tipica del lago di Garda nell'alternanza di uliveti e boschi, presenta particolare pregio in quanto è costituita dai morbidi rilievi e lente ondulazioni che con i retrostanti colli morenici costituiscono i pregevoli quadri panoramici godibili da numerosi punti di vista. Inoltre detta zona è costituita da caratteristici sparsi casolari che presentano aspetti di interesse estetico e tradizionale ed è circondata dei rilievi dei territori finitimi già vincolati e visibili dalla strada gardesana".
La Commissione paesaggistica comunale ha espresso il proprio assenso al progetto presentato dal Maruelli, dopo aver richiamato il contenuto del vincolo, aver valutato la completezza degli elaborati progettuali presentati, aver richiamato la relazione presentata dal progettista ed aver valutato gli elementi di vulnerabilità e di rischio in relazione all'intervento proposto, con la seguente motivazione: "gli interventi progettuali previsti risultano compatibili con gli elementi caratterizzanti l’ambito tutelato, proprio del sistema paesistico, geomorfologico, naturalistico e antropico esistente ed individuati in premessa. In particolare, le opere previste risultano essere di scarsa incidenza rispetto alle peculiarità proprie dell'unità di paesaggio interessata, determinando un impatto visivo non rilevante, assolutamente tollerabile, in piena compatibilità paesistica".
Si tratta, all’evidenza, di motivazione tautologica che nulla dimostra di quanto afferma.
Peraltro, anche ove si volesse ritenere che tale giudizio di compatibilità trovi supporto nella relazione paesaggistica presentata dal richiedente, pur tuttavia sussistono rilevanti carenze istruttorie della pratica poste in luce da parte della Soprintendenza.
Invero, in applicazione delle direttive regionali, spetta all’ente sub-delegato effettuare la disamina delle criticità e la giustificazione, con adeguata motivazione, delle ragioni che inducono a ritenere che il progetto assoggettato ad autorizzazione paesaggistica non si ponga in contrasto con le finalità del vincolo
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 14.09.2010 n. 3523 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALombardia, sulla localizzazione dei luoghi di culto di diversa confessione religiosa e sul cambio della destinazione d'uso, anche senza opere, per ricavare un luogo di culto.
In sede di elaborazione degli strumenti urbanistici i comuni, qualora ricevano richieste di localizzazione di luoghi di culto, possono legittimamente porsi soltanto il problema dell’effettiva esigenza di queste infrastrutture in relazione al numero di soggetti interessati (anche su scala sovracomunale se per le ridotte distanze o per altri motivi risulti verosimile che il bacino potenziale è più ampio del territorio comunale: v. art. 72, comma 3, della LR 12/2005).
Una volta accertata l’esigenza di un luogo di culto la localizzazione deve essere necessariamente conforme alla proposta presentata, qualora i promotori del progetto abbiano la disponibilità degli immobili, in quanto una diversa soluzione, coinvolgendo diritti di terzi, equivarrebbe di fatto a un diniego arbitrario.
Un diniego legittimo deve basarsi invece sull’inidoneità del sito proposto, secondo le normali valutazioni urbanistiche. In questa fase la convenzione con i promotori del progetto non è necessaria, almeno in via generale, in quanto riguarda, come si è visto sopra al punto 14, le concrete modalità di realizzazione o sistemazione dell’edificio.
Niente impedisce naturalmente che già nel corso della stesura degli strumenti urbanistici si raggiungano intese per rimuovere eventuali ostacoli o per creare le condizioni per l’inserimento del luogo di culto nella programmazione urbanistica.
E' necessario esaminare le censure che si riferiscono specificamente al cambio di destinazione d’uso finalizzato alla realizzazione di un luogo di culto.
Si tratta delle censure contenute nel sesto e nel settimo motivo di ricorso, che richiedono una valutazione congiunta. Gli argomenti proposti non sono condivisibili per le ragioni esposte qui di seguito:
(a) innanzitutto non sono ravvisabili profili di illegittimità costituzionale nell’art. 52, comma 3-bis, della LR 12/2005, che impone l’obbligo del permesso di costruire solo per i cambi di destinazione d’uso relativi ad alcuni edifici particolari (luoghi di culto, centri sociali).
La norma vuole evitare che attraverso la liberalizzazione dei cambi di destinazione d’uso stabilita dall’art. 51 della LR 12/2005 siano realizzate innovazioni di grande impatto sul tessuto urbano senza un preventivo esame da parte dell’amministrazione.
L’obiettivo è ragionevole, e non appare discriminatorio proprio per l’indubbia rilevanza sociale di questo tipo di edifici, che rende preferibile il controllo preventivo all’eventuale remissione in pristino;
(b) è corretto quanto afferma la ricorrente circa la prevalenza delle qualificazioni del DPR 380/2001 (disciplina nazionale omogenea con riflessi penali) quando si tratta di applicare le misure repressive degli abusi edilizi.
Il fatto che l’art. 52 comma 3-bis della LR 12/2005 richieda il permesso di costruire anche per i cambi di destinazione d’uso senza opere non consente di equiparare l’abuso della ricorrente a quelli disciplinati dagli art. 31 e 33 del DPR 380/2001 (nuova costruzione, variazioni essenziali, ristrutturazione pesante).
A proposito della ristrutturazione pesante si osserva che in base all’art. 10, comma 1, lett. c), del DPR 380/2001 può essere considerato tale solo il cambio di destinazione d’uso negli immobili compresi nelle zone omogenee A;
(c) la repressione del cambio di destinazione d’uso operato dalla ricorrente non deve quindi partire dal dato formale (necessità del permesso di costruire) ma da quello sostanziale (si tratta di un intervento senza opere);
(d) anche con questa precisazione non è però possibile arrivare alla sanatoria disciplinata dall’art. 53, comma 2, della LR 12/2005. Questa norma stabilisce che il cambio di destinazione d'uso senza opere si può sanare con il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria anche quando risulti in contrasto con le previsioni urbanistiche comunali.
Il confronto con l’art. 52, comma 2, della LR 12/2005 chiarisce tuttavia che la sanatoria non è possibile quando manchi la conformità alla normativa igienico-sanitaria, il che è in effetti ragionevole se si considera il livello sovraordinato degli interessi pubblici collegati a quest’ultima (in particolare l’interesse alla salute e alla sicurezza collettiva);
(e) nel caso dei luoghi di culto, come si è visto sopra al punto 14, le questioni igienico-sanitarie sono una parte rilevante del contenuto della convenzione prevista dall’art. 70, comma 2, della LR 12/2005.
Un cambio di destinazione d’uso senza opere relativo a un luogo di culto non è quindi sanabile con il meccanismo ordinario dell’art. 53, comma 2, della LR 12/2005 proprio perché, mancando la convenzione, manca la regolamentazione che è considerata indispensabile per l’introduzione di un uso non solo diverso da quello precedente ma del tutto particolare e in grado di incidere in modo significativo sul contesto sociale;
(f) la convenzione potrebbe essere stipulata anche a posteriori con effetto sanante, ma appare comunque legittima la decisione del Comune di bloccare immediatamente gli effetti del cambio di destinazione d’uso per il tempo necessario a valutare la situazione e in attesa della presentazione di una richiesta di permesso di costruire da parte della ricorrente (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 14.09.2010 n. 3522 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla revoca, in autotutela, del contratto d'appalto già stipulato.
La giurisprudenza ha distinto le ipotesi in cui, successivamente alla stipulazione del contratto, l'amministrazione, nell'esercizio dei propri poteri di autotutela, abbia rimosso gli atti dell'evidenza pubblica dalle ipotesi di recesso o risoluzione del contratto per fatti verificatisi in costanza di rapporto.
La cognizione delle vicende riconducibili alla prima ipotesi è attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo, la cognizione delle vicende riconducibili alla seconda ipotesi è attribuita alla giurisdizione del giudice ordinario.
In particolare si è affermato che l'autotutela dell'amministrazione appaltante, che -nella specie, per vizi della procedura riguardanti la composizione della commissione aggiudicatrice, rilevati in sede cautelare dal giudice amministrativo- sospenda gli effetti del contratto già concluso, disponendo una nuova gara, non attiene all'esecuzione del contratto di diritto privato stipulato successivamente agli atti di evidenza pubblica, ma riguarda solo tali atti prodromici, di modo che riguardo all'esercizio dell'autotutela è configurabile la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in base all'art. 6 l. 21.07.2000 n. 205 (Cass., sez. un., 01.03.2006, n. 4508).
Per quanto attiene invece alla diversa ipotesi dell'esercizio del diritto di recesso è stato affermato che spetta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto l'accertamento della legittimità del recesso di una p.a. da un contratto di affidamento di pubblici servizi (C.S. V 13.07.2006 n. 4440). E, più in generale, si è affermato che le questioni nascenti da un contratto di appalto di lavori pubblici, dunque recesso , rescissione nonché risoluzione unilaterale del rapporto, investono in via diretta ed immediata posizioni di diritto soggettivo scaturenti da un rapporto giuridico ormai perfezionato ed operativo, onde non può dubitarsi che ricadano nella giurisdizione del giudice ordinario. Le suddette questioni si collocano, infatti, nella fase di esecuzione del contratto di appalto (successiva a quella della scelta del contraente) e gli atti posti in essere dalla p.a. in tal frangente si caratterizzano per l'evidente natura negoziale (C.S. V 30.01.2002 n. 515).
Si noti, ad abundantiam, che l'amministrazione resistente ha utilizzato nella specie un rimedio, quello del recesso dal contratto d'opera ex art. 2237 c.c., riconosciuto dall'ordinamento in capo a tutti i soggetti che hanno stipulato contratti d'opera.
Nel caso di specie, pertanto, l'Amministrazione non ha esercitato alcun potere autoritativo.
In ogni caso deve rilevarsi come la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie inerenti ai diritti e agli obblighi derivanti da un contratto di appalto di opere o di servizi pubblici non resta esclusa per il fatto che il committente si sia avvalso della facoltà, prevista dal contratto o dalla legge, di rescindere il rapporto, attesa l'inidoneità dell'atto rescindente ad incidere sulle posizioni soggettive nascenti dal contratto ed aventi, per ciò stesso, consistenza di diritti soggettivi. Di conseguenza detto provvedimento, ancorché rivestito delle forme dell'atto amministrativo, non cessa di operare nell'ambito delle paritetiche posizioni contrattuali, onde le contestazioni che investono tale forma di autotutela appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass. sez. un. 5 giugno 2006 n. 13170) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 14.09.2010 n. 3548 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Le amministrazioni pubbliche, in alternativa allo svolgimento di una procedura di evidenza pubblica di scelta del contraente, possono stipulare con altra amministrazione pubblica un accordo a titolo oneroso cui affidare il servizio.
Il diritto comunitario non impone in alcun modo alle autorità pubbliche di ricorrere ad una particolare forma giuridica per assicurare in comune le loro funzioni di servizio pubblico, consentendo, invece, alle amministrazioni aggiudicatrici, in alternativa allo svolgimento di una di procedura di evidenza pubblica di scelta del contraente, di stipulare un accordo a titolo oneroso con altra amministrazione pubblica, cui affidare il servizio (sentenza CGE 09.06.2009, C-480/06, par. n. 47).
Una cooperazione del genere tra autorità pubbliche non può rimettere in questione l'obiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, vale a dire la libera circolazione dei servizi e l'apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, poiché l'attuazione di tale cooperazione è retta unicamente da considerazioni e prescrizioni connesse al perseguimento di obiettivi d'interesse pubblico e poiché viene salvaguardato il principio della parità di trattamento degli interessati di cui alla direttiva 92/50, cosicché nessun impresa privata viene posta in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.09.2010 n. 6548 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE PROGETTUALI: Piani comunali, architetti senza esclusiva.
Nessuna esclusiva agli architetti per gli incarichi relativi ai Piani di governo del territorio comunale.
A dirlo il Consiglio di Stato Sez. V che, nella sentenza 10.09.2010 n. 6548, boccia il ricorso sollevato dall'ordine degli architetti della regione Lombardia e dal Consiglio nazionale (costituito in giudizio per sostenere le ragioni dell'ordine territoriale) in merito all'esclusione della categoria da una selezione per l'affidamento di un incarico di studio e consulenza tecnico-scientifica per la redazione del Piano di governo del territorio indetta dal comune di Pavia.
La riserva della selezione destinata, infatti, solo agli istituti universitari, e non a tutti gli altri operatori «particolarmente dei liberi professioni operanti nel settore», ha sollevato le ire dell'ordine degli architetti lombardi che aveva chiesto l'annullamento dell'avviso della selezione anche per «il prospettato conflitto di interessi tra appartenenti alla medesima categoria rappresentata».
Tutte motivazioni però respinte al mittente già in primo grado, ma non sufficienti per gli architetti che hanno deciso di presentarsi davanti ai giudici di Palazzo Spada. Questi in sostanza ribadiscono la decisione già presa dal Tar della Lombardia che aveva sancito come «il diritto comunitario non impone in alcun modo alle autorità pubbliche di ricorrere a una particolare forma giuridica per assicurare in comune le loro funzioni consentendo, invece, alle amministrazioni aggiudicatrici, in alternativa allo svolgimento di una procedura di evidenza pubblica di scelta del contraente, di stipulare un accordo a titolo oneroso con altra amministrazione pubblica, cui affidare il servizio".
Gli appellanti, poi avevano fatto leva su una sentenza precedente (23.12.2009 in C-305/08) con la quale si era affermato «che i servizi offerti alle amministrazioni aggiudicatrici da organismi che non agiscono in base a un preminente fine di lucro debbono considerarsi come appalti pubblici soggetti alle regole della trasparenza e della parità di trattamento». Anche questo secondo il Consiglio di stato non è corretto perché nella giurisprudenza comunitaria è riconosciuta la possibilità che le amministrazioni pubbliche, «ferma la loro legittimazione a concorrere alla pari delle imprese private nelle pubbliche gare, concludano accordi diretti per il perseguimento di fini di interesse pubblico» (articolo ItaliaOggi del 18.09.2010, pag. 30).

APPALTI FORNITURE: E' legittima la prescrizione del disciplinare di gara, stabilita a pena di esclusione, relativa all'allegazione della duplice certificazione di qualità per il fabbricante, qualora le due certificazioni assolvano tra di loro una funzione complementare.
E' legittima la prescrizione del disciplinare di gara, stabilita a pena di esclusione, relativa all’allegazione della duplice certificazione di qualità per il fabbricante, qualora le due certificazioni assolvano tra di loro una funzione complementare.
Nel caso di specie, il disciplinare richiedeva a pena di esclusione, per una gara per la fornitura di guanti, il possesso del certificato di conformità alle norme UNI EN ISO 13485/2004, con specifico riferimento ai dispositivi medici, ed il certificato generico di conformità alle norme ISO 9001:2000 per il fabbricante (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.09.2010 n. 6530 - link a
www.mediagraphic.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità dell'affidamento del servizio di refezione scolastica di un comune attraverso il modello della gestione associata tra comuni e gestione del servizio condotta a mezzo di una istituzione.
Ai fini della distinzione tra servizi pubblici locali di rilevanza economica e servizi privi di tale rilevanza è necessario far ricorso ad un criterio relativistico che tenga conto delle peculiarità del caso concreto.

Le istituzioni, seppure dotate di autonomia gestionale, quali organismi strumentali sono soggetti istituzionalmente dipendenti dagli enti locali e sono parte dell'apparato amministrativo che fa capo al Comune; come tali, le stesse possono, nell'ambito degli speciali moduli convenzionali o consorziali tra enti locali previsti dalle norme legislative e regolamentari, essere affidatarie di servizi pubblici sociali privi di rilevanza economica per la gestione comune tra più enti locali. Pertanto, non sussistono, nel caso di specie, ostacoli normativi al ricorso da parte di un comune, per la gestione del servizio di refezione scolastica, al ricorso al modulo della gestione associata ex art. 30 d.lgs. n. 18.08.2000, n. 267, tramite convenzione col limitrofo comune, avvalendosi quest'ultimo per la gestione del servizio, di una istituzione proprio organismo strumentale, considerato che si tratta di un servizio privo di rilevanza economica.
Ai fini della distinzione tra servizi pubblici locali di rilevanza economica e servizi pubblici locali privi di tale rilevanza, a fronte della rilevata inidoneità di criteri distintivi di natura astratta, sostanzialistica e/o ontologica, occorre far ricorso ad un criterio relativistico, che tenga conto delle peculiarità del caso concreto, quali la concreta struttura del servizio, le concrete modalità del suo espletamento, i suoi specifici connotati economico-organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio.
Pertanto, applicando siffatto criterio relativistico e contestualizzante al caso di specie, riguardante l'assegnazione del servizio di refezione scolastica nelle scuole del territorio comunale attraverso il modulo della gestione associata ex art. 30 d.lgs. n. 18.08.2000, n. 267, a mezzo di una Istituzione, si giunge alla conclusione che si versi in fattispecie di servizio in concreto privo di rilevanza economica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.09.2010 n. 6529 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente da una gara per omessa dichiarazione circa la condanna penale subita dal rappresentante della mandante, essendo irrilevante, ai fini dell'esclusione, la sua ignoranza o buona fede.
L'art. 38, c. 1, lett. c) e c. 2 del D.lgs. n. 163/2006, richiede che le imprese partecipanti ad una gara d'appalto dichiarino le condanne subite per i reati ivi specificatamente elencati nonché quelle conseguenti a reati gravi in danno dello Stato o della Comunità incidenti sulla moralità professionale.
Inoltre, l'Autorità di Vigilanza, con il parere di cui alla Determinazione n. 1/2010, ha precisato che "Gli operatori economici hanno l'obbligo di dichiarare qualsiasi condanna o violazione relativa alle fattispecie indicate alla lett. c)", in quanto "la valutazione della gravità della condanna dichiarata, e della sua incidenza sulla "moralità professionale", non è rimessa all'apprezzamento dell'impresa concorrente ma alla valutazione della stazione appaltante".
Pertanto, nel caso di specie, poiché è stata omessa la dichiarazione circa la condanna subita dal rappresentante della mandante, condanna che, rientrando fra quelle individuate dal citato art. 38, non riguarda un reato nelle more estinto, essendo irrilevante ai fini dell'esclusione, la sua ignoranza o buona fede, è legittimo il provvedimento di esclusione, nonché l'irrogazione delle sanzioni accessorie, la cui applicazione interviene anche in caso di omessa dichiarazione in ordine ai requisiti di carattere generale (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 10.09.2010 n. 4681 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: La decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio e di completamento dei lavori ovvero per sopravvenuta incompatibilità con lo strumento urbanistico sopravvenuto, opera di diritto, con la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se con l'inutile decorso del termine.
Il Collegio condivide infatti quella parte della giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Campania Napoli, sez. II, 30.01.2009, n. 542; TAR Campania Napoli, sez. II, 21.11.2006, n.10044) che ritiene che la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio e di completamento dei lavori ovvero per sopravvenuta incompatibilità con lo strumento urbanistico sopravvenuto, opera di diritto, con la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se con l'inutile decorso del termine.
Da ciò consegue che l'eventuale provvedimento di decadenza è sufficientemente motivato con il richiamo alla norma applicata, senza che sia necessaria una comparazione tra l'interesse del privato e quello pubblico, essendo quest'ultimo ope legis prevalente sul primo e non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, essendo la decadenza un effetto che si verifica ipso iure, senza che residui all'amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale
(TAR Bsasilicata, sentenza 10.09.2010 n. 593 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'inizio dei lavori, del permesso di costruire, deve avvenire entro l'anno dalla data di rilascio e non dalla data di ritiro dello stesso.
Deve premettersi che il permesso di costruire “de quo” -riprendendo la formula dell’art. 15 T.U. dell’Edilizia- disponeva che l’inizio dei lavori avvenisse entro un anno dal rilascio e non dal ritiro del titolo.
Prima dell’entrata in vigore del T.U. la giurisprudenza riteneva che il termine di inizio lavori decorreva dalla conoscenza del titolo e non dal mero rilascio (cfr. TAR Veneto, III, 29/07/2005 n. 3047). Ci si spingeva pure a far decorrere il termine dal ritiro del titolo edilizio.
Ora però la legge parlando di “rilascio” (comma 2: <<Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo…>>) sembra porre a carico del richiedente il permesso l’onere di darsi da fare per informarsi se il titolo edilizio sia stato o meno rilasciato.
Se così è, nella specie, essendo il permesso “de quo” stato rilasciato in data 16/12/2005, il termine annuale iniziava a decorrere dal giorno successivo
(TAR Bsasilicata, sentenza 10.09.2010 n. 593 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La stazione appaltante è tenuta ad autorizzare il subappalto anche di singole prestazioni: condizioni.
Deve essere annullato il provvedimento di diniego opposto da una stazione appaltante relativamente all'istanza con cui la società ricorrente aveva chiesto di poter subappaltare una delle prestazioni (posa in opera) ricomprese in una delle lavorazioni (fornitura di materiale e relativa posa in opera) facenti parte dell'appalto di cui era risultata aggiudicataria in quanto, se da un lato le limitazioni imposte dalla legge alla possibilità di accedere al subappalto rispondono all'esigenza di evitare che siano affidati in subappalto a prezzi troppo bassi, l'esecuzione di lavorazioni o prestazioni facenti parte delle lavorazioni previste dal bando, dall'altro neppure si può precludere la possibilità di farvi ricorso limitatamente all'esecuzione di alcune prestazioni.
Pertanto, perché possa farsi ricorso a siffatta forma contrattuale, è necessario scomporre il prezzo unitario delle singole lavorazioni indicando i prezzi unitari delle prestazioni ricomprese nelle suddette lavorazioni al fine di consentire alla stazione appaltante di verificare il rispetto del limite previsto dal c. 4 dell'art. 118 del d.lgvo n.163/2006, che impone all'appaltatore di praticare al subappaltatore gli stessi prezzi del contratto di appalto con un ribasso che non risulti superiore al 20%.
In altre parole, deve ritenersi che qualora l'affidatario intenda subappaltare singole prestazioni contrattuali, il limite del 20% deve essere riferito al prezzo di queste ultime come specificatamente indicato in sede di offerta, per cui in presenza di tale presupposto e delle altre condizioni indicate dal c. 2, dell'art. 118 del d.lgvo n. 163/2006, la stazione appaltante è tenuta ad autorizzare il subappalto anche di singole prestazioni (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 08.09.2010 n. 32140 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Atto meramente confermativo - Nozione.
L’atto meramente confermativo consiste in una determinazione priva del carattere della innovatività, con la quale l’amministrazione, piuttosto che determinare un nuovo assetto degli interessi in gioco previa valutazione dell’interesse pubblico perseguito, si limiti a rinviare la regolamentazione della fattispecie ad una propria precedente determinazione (richiamandone l’esistenza), senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione; esso è pertanto caratterizzato dalla sostanziale identità della parte dispositiva rispetto al precedente provvedimento, senza l’acquisizione di nuovi elementi di fatto ovvero senza una nuova valutazione dei fatti preesistenti, implicando quindi non già una nuova autonoma determinazione dell'amministrazione, sia pure identica nel contenuto alla precedente, ma solo una mera manifestazione della decisione dell'amministrazione di non ritornare sulle scelte già effettuate (C.d.S., sez. VI, 11.05.2007, n. 8853; sez. V, 29.12.2009, n. 8853; 04.03.2008, n. 797) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2010 n. 6522 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Impianti termici civili - Combustibili con contenuto di zolfo non superiore all’1% - D.lgs. n. 152/2006 - Delibera regionale con disposizioni maggiormente restrittive - Potere regionale di adottare misure a tutela della qualità dell’ambiente - Delibera 96/62/CE del 4 agosto 1999, n. 351.
Secondo il decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, negli impianti termici civili è consentito, tra l’altro, l’uso dell’olio combustibile e di altri distillati pesanti di petrolio con contenuto di zolfo non superiore all’1%; tale riconoscimento non comporta tuttavia sic et simpliciter l’illegittimità della delibera (nella specie, di limitazione all’utilizzazione di specifici combustibili per il riscaldamento civile nelle zone definite “critiche”, “di risanamento” e “di mantenimento”) che si inquadra nell’ambito delle misure, la cui adozione spetta alle Regioni, per tutelare la qualità dell’ambiente aria al fine di prevenire, eliminare o ridurre gli effetti nocivi dell’inquinamento atmosferico sulla salute umana e, in generale, sull’ambiente, in attuazione della delibera 96/62/CE del 04.08.1999, n. 351.
INQUINAMENTO - Regioni - Tutela dell’ambiente - Limitazione di un olio combustibile astrattamente utilizzabile secondo la normativa generale - Fondamento - Limiti - D.P.C.M. 08.03.2002 - Art. 281, c. 3 d.lgs. n. 152/2006.
Le Regioni hanno l’obbligo di rilevare obiettivamente la situazione di inquinamento, individuandone anche le ragioni ed i singoli fattori responsabili, e di valutare altrettanto obiettivamente, attraverso la misurazione dei singoli fattori di inquinamento ed il loro monitoraggio anche con riferimento ai valori soglia prestabiliti, le misure più adeguate per il conseguimento della finalità di tutela dell’ambiente aria, secondo programmi, azioni ed obiettivi: è del tutto ragionevole pertanto ritenere che l’amministrazione regionale possa anche limitare l’uso di un olio combustibile, quand’anche astrattamente ritenuto assolutamente utilizzabile secondo la generale normativa in materia ambientale, se esso, con riferimento ad una particolare area geografica, previamente definitiva, ed in ragione della peculiare situazione di incremento di quest’ultimo, da solo o per effetto dell’azione combinata con altri fattori inquinanti possa determinare il superamento della soglia dei valori limiti di inquinamento.
Tale potere regionale trova anche positivo fondamento nel D.P.C.M. 08.03.2002, espressamente rimasto in vigore, quanto al titolo II, per effetto della previsione di cui al terzo comma dell’articolo 290 del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, relativamente agli impianti temici civili di cui all’articolo 281, comma 3, fino alla data in cui è effettuato l’adeguamento disposto dalle autorizzazioni rilasciate ai sensi dell’articolo 281, comma 2.
Infatti l’articolo 11 del citato D.P.C.M. 08.03.2002 (collocato proprio nel titolo II) espressamente prevede che le Regioni, nell’ambito dei piani e programmi di cui agli articoli 8 e p del decreto legislativo 04.08.1999, n. 351, possano limitare l’uso tra l’altro degli oli combustibili, ove tale misura sia stata necessaria per il conseguimento degli obiettivi dell’aria (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2010 n. 6522 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sull'obbligo del versamento del contributo in favore dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici e conseguenze nel caso di versamento inferiore all'importo previsto (fattispecie riguardante una gara per l'affidamento del servizio di tesoreria).
L'obbligo del versamento generalizzato del contributo all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici a tutti gli operatori economici che intendano partecipare a procedure di scelta del contraente, si fonda sull'art. 1, c. 67, della l. n. 266 del 2005, che è stato regolato con deliberazione 10.01.2007, art. 1, lett. b), dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici. Ciò implica il superamento di ogni distinzione tra i vari tipi di affidamento previsti dal codice dei contratti pubblici (d.lgvo 12.04.2006, n. 163) in tutti i casi nei quali sia prevista una procedura comparativa o comunque selettiva.
L'estensione dei compiti di vigilanza attribuiti all'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici,infatti, ha comportato anche l'ampliamento del novero dei soggetti tenuti al pagamento del contributo in suo favore, nel settore dei servizi e delle forniture, perché sottoposti comunque alla vigilanza dell'organo di controllo, concernendo quindi anche i contratti in tutto o in parte esclusi dall'ambito di applicazione del Codice dei contratti, in quanto soggetti al potere di vigilanza dell'Autorità.
Ne consegue che, nel caso di specie, è necessario il versamento del contributo previsto in favore della predetta Autorità di vigilanza nel caso di gara per l'affidamento del servizio di tesoreria comunale, sebbene il contratto di tesoreria sia del tutto gratuito. Inoltre, il pagamento del contributo costituisce una condizione di ammissibilità dell'offerta così che un versamento in misura non corrispondente a quella dovuta implica l'inammissibilità della proposta contrattuale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2010 n. 6515 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Si ritiene conforme alla disciplina legislativa e di gara l'esclusione del raggruppamento che, nell'offerta tecnica in versione informatica (ma non in quella cartacea), aveva corredato di prezzi il computo metrico estimativo, rendendo così esplicito nell'ambito della documentazione di tipo tecnico, l'incidenza dei costi per oltre il nove per cento del totale.
Si ritiene conforme alla disciplina legislativa e di gara l’esclusione del raggruppamento che, nell’offerta tecnica in versione informatica (ma non in quella cartacea), aveva corredato di prezzi il computo metrico estimativo, rendendo così esplicito nell’ambito della documentazione di tipo tecnico, l’incidenza dei costi per oltre il nove per cento del totale.
Infatti, l'esame delle offerte economiche prima di quelle tecniche costituisce una palese violazione dei principi inderogabili di trasparenza e di imparzialità che devono presiedere le gare pubbliche in quanto la conoscenza preventiva dell'offerta economica consente di modulare il giudizio sull'offerta tecnica in modo non conforme alla parità di trattamento dei concorrenti e tale possibilità, ancorché remota ed eventuale, inficia la regolarità della procedura (C.d.S., V, 25.05.2009, n. 3217) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2010 n. 6509 - link a
www.mediagraphic.it).

APPALTI: Deve ritenersi che non abbia titolo ad essere risarcita ex articolo 1337 c.c. l'impresa che abbia presentato domanda di partecipazione a una procedura ad evidenza pubblica, che la stazione appaltante abbia revocato in costanza del termine per scadenza delle domande di partecipazione.
Deve ritenersi che non abbia titolo ad essere risarcita ex articolo 1337 c.c. l’impresa che abbia presentato domanda di partecipazione a una procedura ad evidenza pubblica, che la stazione appaltante abbia revocato in costanza del termine per scadenza delle domande di partecipazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2010 n. 6489 - link a
www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ogni volta che un’opera comporta un mutamento della situazione di fatto che permette un aumento dell’utilizzo di un immobile con aggravio per i servizi esistenti, si verifica un aumento del carico urbanistico e, quindi, si verifica il presupposto per il pagamento degli oo.uu..
La giurisprudenza ha chiarito che presupposto per il pagamento degli oneri è costituito dall’aumento del carico urbanistico. Il concetto di "carico urbanistico" non è definito dalla vigente legislazione, ma è in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico.
Come reiteratamente affermato, questa nozione deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento cd. primario (abitazioni, uffici, opifici,negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, etc.) che deve essere proporzionato all'insediamento primario (Cass. pen Sez. III 11.07.2007 n. 27045).
Ogni volta che un’opera comporta un mutamento della situazione di fatto che permette un aumento dell’utilizzo di un immobile con aggravio per i servizi esistenti, si verifica un aumento del carico urbanistico (TAR Lombadia-Milano, Sez. IV, sentenza 08.09.2010 n. 5168 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nel caso di collegamento sostanziale, deve essere provata in concreto l'esistenza di elementi oggettivi e concordanti, tali da ingenerare pericolo per il rispetto dei principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio tra i concorrenti.
La segretezza e la serietà delle offerte sono la traduzione e la garanzia del perseguimento dell’interesse pubblico. Poiché segretezza e serietà possono essere aggirate anche mediante situazioni di collegamento tra imprese, l’esigenza della tutela di tale interesse consente l’esclusione di offerte che provengano da concorrenti tra loro collegate, non solo e non tanto per tale situazione in sé considerata, ma per gli effetti che essa effettivamente produce sulle regole del confronto pubblico.
Nella sentenza in commento si evidenzia che nel caso di collegamento sostanziale deve essere provata in concreto l’esistenza di elementi oggettivi e concordanti, tali da ingenerare pericolo per il rispetto dei principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio tra i concorrenti. Di conseguenza, è consentito alla stazione appaltante prevedere e comminare l’esclusione delle offerte quando specifici elementi oggettivi e concordanti inducano a ritenere la sussistenza di situazioni, non riconducibili alle forme di collegamento societario di cui all’art. 2359 cod. civ., capaci di alterare la segretezza, la serietà e l’indipendenza delle offerte, purché l’individuazione non oltrepassi il limite della ragionevolezza e della logicità rispetto alla tutela avuta di mira e consistente nella autentica concorrenza tra le offerte.
Nel caso di specie, la situazione di collegamento è stata riscontrata dalla commissione di gara innanzitutto sulla base di elementi desunti dalle modalità di presentazione delle offerte (buste spedite lo stesso giorno e dal medesimo ufficio postale, garanzia fideiussoria rilasciata dalla medesima agenzia e con polizze emesse in sequenza e lo stesso giorno, somiglianza della veste grafica e coincidenza tra le residenze anagrafiche dei legali rappresentanti) che, di per sé, non sono tali da far necessariamente presumere una situazione di collegamento (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.09.2010 n. 6469 - link a
www.mediagraphic.it).

APPALTI: Il collegamento tra imprese legittima l’esclusione dalla gara quando altera l’indipendenza delle offerte.
Se è vero che il collegamento -così come il controllo- tra imprese è di per sé legittimo, è altrettanto incontestabile che ben può e deve l’Amministrazione, a tutela della regolarità ed effettività della competizione, evitare situazioni distorsive del confronto mediante l’esclusione dalla gara delle offerte che risultino frutto di accordi tesi ad influenzarne il risultato.
In altre parole, l’ordinamento, che consente e prevede il controllo tra imprese, quale espressione della libertà di iniziativa economica, vieta espressamente alle società controllate di partecipare alle gare: ciò significa che diversi sono i piani sui quali agiscono le diverse norme, e diverse sono le sfere di interessi dei quali sono posti a presidio, rimanendo fermo che, nel campo delle gare pubbliche, la segretezza e la serietà delle offerte sono la traduzione e la garanzia del perseguimento dell’interesse pubblico.
E poiché segretezza e serietà possono essere aggirate anche mediante situazioni di collegamento tra imprese, il medesimo principio consente l’esclusione di offerte che provengano da concorrenti tra loro collegate, non solo e non tanto per tale situazione in sé considerata, ma per gli effetti che essa effettivamente produce sulle regole del confronto pubblico.
E’ dunque consentito alla stazione appaltante prevedere e comminare l’esclusione delle offerte quando specifici elementi oggettivi e concordanti inducano a ritenere la sussistenza di situazioni, non riconducibili alle forme di collegamento societario di cui all’art. 2359 cod. civ., capaci di alterare la segretezza, la serietà e l’indipendenza delle offerte, purché l’individuazione non oltrepassi il limite della ragionevolezza e della logicità rispetto alla tutela avuta di mira e consistente nella autentica concorrenza tra le offerte (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.09.2010 n. 6469 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla questione della possibile edificazione in assenza di uno strumento attuativo in aree già urbanizzate in tutto o in parte ed in relazione a distinte soluzioni interpretative in rapporto alle diverse situazioni concrete di volta in volta emergenti.
Con riguardo alla questione della possibile edificazione in assenza di uno strumento attuativo in aree già urbanizzate in tutto o in parte, questo Tribunale amministrativo regionale ha indicato distinte soluzioni interpretative in rapporto alle diverse situazioni concrete di volta in volta emergenti (cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. IV, 25.01.2005 n. 359).
Così, nel caso in cui debbano asservirsi per la prima volta all’edificazione, mediante la costruzione di uno o più fabbricati, aree non ancora urbanizzate (che obiettivamente richiedano, per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo, la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria), si è affermata la necessità dello strumento attuativo (piano di lottizzazione o piano particolareggiato), quale presupposto per il rilascio del permesso di costruire.
E’ evidente che, in tale prima fattispecie, nella quale l’integrità d’origine del territorio non è sostanzialmente vulnerata, deve essere rigorosamente rispettata la cadenza, in ordine successivo, dell’approvazione del piano regolatore generale e della realizzazione dello strumento urbanistico d’attuazione, che garantisce una pianificazione razionale e ordinata del futuro sviluppo del territorio dal punto di vista urbanistico.
Viceversa, nel caso inverso di lotto intercluso o in altri analoghi casi nei quali la zona risulti totalmente urbanizzata, attraverso la realizzazione delle opere e dei servizi atti a soddisfare i necessari bisogni della collettività –quali strade, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione del gas, dell’acqua e dell’energia elettrica, scuole–, la pianificazione esecutiva non può ritenersi più necessaria e non può, pertanto, essere consentito all’ente locale un rifiuto al rilascio del titolo abilitativo basato sul solo argomento formale della mancata emanazione della strumentazione urbanistica di dettaglio (Cons. Stato, sez. IV, 04.12.2007, n. 6171).
Del resto, oscillazioni possono cogliersi nella giurisprudenza nelle situazioni intermedie, nelle quali il territorio risulti già più o meno intensamente urbanizzato.
In tali casi, caratterizzati da una sostanziale, anche se non completa urbanizzazione, è stata reputata convincente, in quanto operante un equilibrato contemperamento dei diversi interessi in gioco, la soluzione interpretativa per la quale la mancanza dello strumento attuativo può essere invocata a fondamento del diniego del titolo abilitativo edilizio soltanto nel caso in cui l’amministrazione abbia adeguatamente valutato lo stato di urbanizzazione già presente nella zona ed abbia congruamente evidenziato le concrete e ulteriori esigenze indotte dalla nuova costruzione (cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. IV, 02.03.2000, n. 596; 18.05.2000, n. 1413)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 03.09.2010 n. 17298 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'obbligo di cessione gratuita di aree per standards non può essere imposto in sede di rilascio di un permesso di costruire ‘semplice’, essendo diverso e aggiuntivo rispetto all’obbligo di corresponsione del contributo per opere di urbanizzazione posto a carico del richiedente il titolo edilizio ed afferendo, di regola, a convenzioni di lottizzazione o a strumenti attuativi preventivi di carattere urbanistico.
La giurisprudenza ha chiarito che l'obbligo di cessione gratuita di aree per standards non può essere imposto in sede di rilascio di un permesso di costruire ‘semplice’, essendo diverso e aggiuntivo rispetto all’obbligo di corresponsione del contributo per opere di urbanizzazione posto a carico del richiedente il titolo edilizio ed afferendo, di regola, a convenzioni di lottizzazione o a strumenti attuativi preventivi di carattere urbanistico; cosicché esso deve escludersi in caso di intervento diretto in zone di completamento (TAR Campania, Napoli, sez. IV, 25.01.2005, n. 359) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 03.09.2010 n. 17298 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul diritto di accesso in materia di appalti pubblici.
Il diritto di accesso è riconosciuto dagli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 07.08.1990, come fondamentale presidio a salvaguardia delle esigenze di tutela dei soggetti destinatari dell'azione amministrativa nonché come strumento essenziale al perseguimento della trasparenza e dell'imparzialità nella pubblica amministrazione, a chiunque abbia un interesse personale e concreto. L'interesse che sorregge il diritto di accesso è quello concretamente collegato alle esigenze specifiche del richiedente, vale a dire agli atti che direttamente lo riguardino o siano, in ogni caso, pertinenti con le particolari ragioni esposte a sostegno dell'istanza. Ne consegue, che, nel caso di specie la ricorrente, avendo partecipato alla selezione pubblica ed avendo intenzione di impugnarne le risultanze, ha un interesse giuridicamente rilevante a conoscere compiutamente l'offerta prodotta dalla controinteressata vincitrice e quindi sussistono le condizioni richieste dalla legge per l'esercizio del diritto di accesso.
In materia di procedure concorsuali, qualunque sia il procedimento selettivo usato, il candidato è portatore di un interesse qualificato alla conoscenza degli atti e documenti della commissione giudicatrice e comunque di tutti quelli della procedura -compresi quelli dei concorrenti che lo precedono nella graduatoria finale- atteso che tali atti per pacifica giurisprudenza esulano dal diritto alla riservatezza. In particolare per i pubblici appalti va osservato che l'applicazione generalizzata dell'esclusione dall'accesso prevista dall'art. 13, c. 5, del codice di cui al d.lgs. 163/2006 a tutela del segreto d'impresa, nel senso di riferirla (non solo ai terzi non concorrenti ma) anche alle altre imprese partecipanti alla procedura di affidamento, comporterebbe un'intollerabile compromissione della necessaria trasparenza delle gare di appalto e delle possibilità di tutela giurisdizionale di chi intenda contestare l'esito della gara. D'altra parte il medesimo art. 13 al c. 6 del d.lgs. 163/2006 stabilisce che, anche in relazione all'ipotesi di ricorrenza di segreti industriali o commerciali, "è comunque consentito l'accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso";
Con la partecipazione alla gara di appalto il concorrente accetta implicitamente le regole di trasparenza ed imparzialità che caratterizzano la selezione, per cui non potrebbe dedurre la tutela alla riservatezza a discapito della trasparenza della gara di appalto, fermo restando l'obbligo, per la parte richiedente l'accesso documentale, di impegnarsi a non divulgare in alcun modo la documentazione acquisita e di utilizzare i documenti acquisiti esclusivamente per la cura e la difesa dei suoi interessi giuridici; in altri termini l'esigenza di riservatezza è, quindi, recessiva di fronte all'accesso laddove il diritto sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti in cui esso è necessario alla difesa di quell'interesse; al più, l'Amministrazione potrà intervenire con opportuni accorgimenti (cancellature o omissis) in relazione alle eventuali parti dell'offerta idonee a rivelare i segreti industriali a condizione che queste ultime "non siano state in alcun modo prese in considerazione in sede di gara" (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 03.09.2010 n. 17286 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il permesso di sanatoria è un provvedimento tipico la cui applicazione è specificamente disciplinata dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 (come, in precedenza, dall’art. 13 della l. n. 47 del 1995) senza che sia possibile l'estensione di tale potere al di fuori dei presupposti (la cosiddetta "doppia conformità") di cui all'art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001. Il d.P.R. n. 380 del 2001 ha, infatti, predisposto una disciplina puntuale ed esaustiva della sanatoria in materia edilizia, tale da non ammettere spazi residui che consentano di affermare, in via interpretativa, la sopravvivenza della cosiddetta «sanatoria giurisprudenziale».
L’istituto della “sanatoria giurisprudenziale”, avente l’effetto di sanare immobili abusivi contrastanti con lo strumento pianificatorio vigente al momento della loro realizzazione e divenuti però conformi allo strumento urbanistico vigente nel momento in cui la P.A. provvede sulla domanda di sanatoria, discenderebbe dai principi generali di ragionevolezza, buon andamento ed economia della azione amministrativa.
Una rigida applicazione dell’art. 36, del d.P.R. n. 380/2001, prevedente, invece, la cd. “doppia conformità” alla disciplina urbanistico ed edilizia, presente, cioè, sia, al momento della realizzazione dell’abuso che a quello della presentazione dell’istanza, sarebbe, a parere del ricorrente, illogica in quanto imporrebbe la demolizione dell’immobile abusivo, consentendo di ottenere successivamente l’assenso edificatorio per ricostruirlo in modo identico. Non vi sarebbe alcuna “ragione di ritenere che l'ordinamento imponga di demolire un'opera prima di ottenere la concessione per realizzarla nuovamente” (Consiglio di Stato, sez. V, 21.10.2003, n. 6498).
Pur prendendo atto della possibile configurabilità, per autorevole parte della giurisprudenza, dell’istituto della cd. sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, ammessa nell’ipotesi in cui le opere, inizialmente abusive, diventino successivamente conformi alle norme urbanistico-edilizie e alle previsioni degli strumenti di pianificazione per effetto di normative o disposizioni pianificatorie sopravvenute, ritiene il Collegio di aderire al diverso orientamento secondo il quale il permesso di sanatoria è un provvedimento tipico la cui applicazione è specificamente disciplinata dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 (come, in precedenza, dall’art. 13 della l. n. 47 del 1995) senza che sia possibile l'estensione di tale potere al di fuori dei presupposti (la cosiddetta "doppia conformità") di cui all'art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001. Il d.P.R. n. 380 del 2001 ha, infatti, predisposto una disciplina puntuale ed esaustiva della sanatoria in materia edilizia, tale da non ammettere spazi residui che consentano di affermare, in via interpretativa, la sopravvivenza della cosiddetta «sanatoria giurisprudenziale».
In altri termini, a parere del Collegio, la sanatoria di un'opera non conforme allo strumento urbanistico vigente al momento della sua esecuzione rappresenterebbe una forzatura sia della disciplina in materia che dei principi generali dell'ordinamento in tema di sanatoria di attività illecite in generale attesa l’inesistenza a livello ordinamentale di un siffatto istituto.
Non sussiste l'antinomia che si vorrebbe creare con l'affermazione della c.d. sanatoria giurisprudenziale -e quindi con il sostanziale ripudio dell'esigenza della doppia conformità, ad onta della sua esplicita previsione negli art. 13 e 36 cit.- tra i principi di legalità e di buon andamento della p.a., con assegnazione della prevalenza a quest'ultimo, in nome di una presunta logica «efficientista»” (TAR Lombardia Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352).
Il principio di buon andamento, che fa ritenere illogico che si demolisca ciò che, al momento stesso, potrebbe essere autorizzato in base allo strumento vigente, deve recedere di fronte a quello, di pari rango costituzionale, di legalità che vuole che, anche in questa materia, siano osservate le disposizioni del legislatore (TAR Friuli Venezia Giulia Trieste, 23.08.2004, n. 542).
Le motivazioni fatte proprie dall'orientamento favorevole all’istituto menzionato, riassumibili, come detto, nel rilievo dell'incongruenza di un provvedimento che imponga la demolizione di opere di cui dovrebbe poi essere autorizzata la ricostruzione nella stessa forma e consistenza, non risultano, altresì, persuasive anche in ragione dell'appartenenza degli atti in parola a distinti procedimenti amministrativi: il procedimento di rilascio del permesso in sanatoria e quello, connesso ma autonomo, in cui si estrinseca l'attività sanzionatoria dell'Amministrazione (TAR Piemonte Torino, sez. I, 20.04.2005, n. 1094).
In conclusione, nel caso in esame, considerando che la stessa parte ricorrente ammette la non conformità dell'intervento allo strumento urbanistico vigente al momento della sua esecuzione, ne deriva l'esito necessariamente negativo della verifica di "doppia conformità" che inibisce il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, con la precisazione che la stessa Amministrazione è vincolata a negarla ove non ricorra la predetta ipotesi, così come ha fatto (Consiglio Stato, sez. IV, 26.04.2006, n. 2306; TAR Lombardia Brescia, 23.06.2003, n. 873; TAR Toscana Firenze, sez. III, 15.04.2002, n. 724) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 02.09.2010 n. 1887 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

SICUREZZA LAVORO: Il RSPP è un consulente del Datore di Lavoro che mantiene le responsabilità in materia di sicurezza.
La Corte di Cassazione, Sez. feriale penale, con la sentenza 26.08.2010 n. 32357, ha affermato che la designazione a Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) non equivale a delega di funzioni.
Dalla normativa di settore (art. 31, commi 2 e 5, D.Lgs. 09.04.2008, n. 81) emerge infatti che i componenti del servizio di prevenzione e protezione, essendo considerati dei semplici "ausiliari" del datore di lavoro, non possono venire chiamati a rispondere direttamente del loro operato, proprio perché non hanno un effettivo potere decisionale.
Ne deriva che il RSPP, come gli altri componenti del sevizio, è soltanto un "consulente" e i risultati dei suoi studi e delle sue elaborazioni, come in qualsiasi altro settore dell'amministrazione dell'azienda (ad esempio, in campo fiscale, tributario, etc.), vengono fatti propri dal vertice aziendale che della loro opera si avvale per meglio ottemperare agli obblighi di cui è esclusivo destinatario.
Il datore di lavoro, quindi, è e rimane il titolare dell'obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all'espletamento dell'attività lavorativa (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il sindaco non può bloccare l'antenna di telefonia mobile.
È illegittima l'ordinanza del sindaco che ha disposto la sospensione della costruzione degli impianti di telefonia mobile, motivata con l'allarme suscitato nella popolazione per il pericolo di inquinamento elettromagnetico e con la mancanza dei pareri necessari per il permesso di costruire.
Così ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.07.2010 n. 4889, confermando le decisioni emanate dal Tar Puglia-Lecce.
L'iter.
Il caso riguardava i lavori di costruzione degli impianti di telefonia mobile del comune, e il sindaco, sulla base di timori espressi da alcuni abitanti, ha emanato un'ordinanza d'urgenza di sospensione dei lavori. Il Tar ha accolto i ricorsi (specie per la mancanza di una congrua motivazione) e il Consiglio di Stato ha confermato le sentenze, sulla base dei seguenti argomenti:
- in materia di emissioni elettromagnetiche, la tutela della salute è affidata in via ordinaria agli organi dello Stato, che la esercitano nel rispetto di norme di rango primario, in particolare della legge 36/2001 e dei relativi decreti attuativi;
- questa competenza non può essere derogata da provvedimenti extra ordinem del sindaco, che possono essere emanati soltanto se l'autorità competente non può intervenire con i mezzi giuridici ordinari; di conseguenza, l'ordinanza del sindaco è illegittima e ne viene confermato l'annullamento.
La regola generale.
Il dispositivo della sentenza è esatto, ma la motivazione indica una regola generale che non collima con l' attuale sistema delle norme. Infatti, il sindaco è pur sempre «autorità sanitaria locale» (articolo 13 della legge 833/1978) e potrebbe quindi legittimamente intervenire, sia nell'ipotesi del superamento dei limiti di inquinamento elettromagnetico stabiliti dal Dm Ambiente del 10.09.1998, n. 381, sia nell'ipotesi del superamento dei limiti stabiliti dall'apposito regolamento comunale, previsto dall'articolo 8, comma 6, della stessa legge 36/2001.
Il punto rilevante è però che l' attuale sistema delle norme in materia di sanità è frammentario e disorganico. Le norme attribuiscono sovente identiche competenze ad autorità diverse e sarebbe perciò necessaria, oltre a una semplificazione abrogatrice, una meditata risistemazione di tutte queste competenze (articolo Il Sole 24 Ore del 20.09.2010).

APPALTI: Se la fase pubblicistica della gara ha profili di illegittimità, appalto annullabile anche dopo l'aggiudicazione. Potestà in autotutela prima della firma del contratto.
La stazione appaltante può sempre incidere con determinazioni unilaterali sugli esiti della fase pubblicistica della gara d'appalto qualora essi siano ritenuti affetti da profili di illegittimità, anche all'esito del provvedimento di aggiudicazione definitiva, atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente.
In altri termini, secondo la sentenza 26.07.2010 n. 4864 della Sez. VI del Consiglio di Stato, l'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione di una gara, prima che sia sottoscritto il contratto d'appalto vero e proprio, è sempre possibile, ricorrendo tuttavia un preciso e concreto interesse pubblico (nonostante l'articolo 6, quarto comma, del Rd 2440 dell'08.11.1923 equipari i processi verbali di aggiudicazione al contratto).
Una potestà di annullamento in autotutela, dunque, che si può  esercitare sul principio di buon andamento della Pa, se per  sono chiaramente fornite adeguate motivazioni sui presupposti di caducazione delle posizioni dei partecipanti alla gara, consolidatesi con l'aggiudicazione definitiva. Tale fase della procedura, infatti, secondo il collegio, non può  essere equiparata - non avendo la citata norma del Rd 2440/1923 natura automatica e obbligatoria   alla costituzione del vincolo contrattuale, che si ha unicamente al momento della stipulazione dell'accordo.
La vicenda esaminata dal collegio riguardava un bando pubblico per la stipula di un contratto di vendita di un suolo dell'ente, che prevedeva come corrispettivo un importo in denaro e alcuni immobili a uso residenziale in permuta ... (articolo Il Sole 24 Ore del 20.09.2010 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sui pareri alla Pa non cala sempre il velo del segreto professionale.
Segreto professionale sui pareri sulla strategia difensiva. Trasparenti, invece, i pareri forniti dagli avvocato per i procedimenti amministrativi.

Lo ha ribadito il TAR Puglia-Bari, Sez. I, con la sentenza 17.05.2010 n. 1903.
I pareri sono, dunque, di due tipi.
Sono sottratti all'accesso i pareri legali resi da professionisti esterni allo scopo di definire la strategia difensiva dell'Amministrazione, rispetto ad un contenzioso già in essere oppure imminente. Deve, invece, essere consentita, a chi vi abbia interesse, la conoscenza dei pareri legali utilizzati dall'Amministrazione nell'ambito della normale istruttoria procedimentale.
Tra l'altro lo stesso principio vale anche per i pareri e le perizie di carattere tecnico, redatte non da avvocati ma da professionisti tecnici (ingegneri, architetti, etc.), essendo identica la finalità, quando l'attività di consulenza sia comunque strumentale alla predisposizione della difesa in giudizio.
I pareri dei professionisti esterni redatti per la strategia difensiva dell'Amministrazione sono sottratti all'accesso.
Il punto di discrimine tra l'accessibilità o meno del parere reso da un legale esterno o interno ad un ente non è costituito, dunque, dalla natura dell'atto, ma dalla sua funzione: se il parere viene reso in una fase endoprocedimentale, prodromica ad un provvedimento amministrativo, lo stesso è ammesso all'accesso, mentre se viene reso in una fase contenziosa o anche precontenziosa, l'accesso è escluso a tutela delle esigenze di difesa.
Nel caso di consulenza dopo l'avvio di un procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrale, od anche meramente amministrativo), oppure dopo l'inizio di tipiche attività precontenziose, quali la richiesta di conciliazione obbligatoria che precede il giudizio in materia di rapporto di lavoro, e l'amministrazione si rivolge ad un professionista di fiducia, al fine di definire la propria strategia difensiva (accoglimento della pretesa, resistenza in giudizio, adozione di eventuali provvedimenti di autotutela, ecc.), il parere del legale non è destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire all'ente pubblico tutti gli elementi tecnico-giuridici utili per tutelare i propri interessi.
Proprio per questa ragione le consulenze legali per il contenzioso restano caratterizzate dalla riservatezza, che mira a tutelare non solo l'opera intellettuale del legale, ma anche la stessa posizione dell'amministrazione, la quale, esercitando il proprio diritto di difesa, deve poter fruire di una tutela piena (articolo ItaliaOggi del 13.09.2010).

EDILIZIA PRIVATA: Rovina di edificio, forza maggiore, nesso eziologico, responsabilità del proprietario.
E’ da escludersi la colpa del proprietario dell’immobile se il distacco della copertura del tetto è stato provocato da una violenta tempesta di vento, in quanto forza maggiore della natura, improvvisa, irresistibile ovvero imprevedibile, interruttiva del nesso eziologico, al ricorrere della quale il proprietario va mandato assolto da responsabilità per i danni cagionati (TRIBUNALE di Busto Arsizio, sentenza 20.01.2010 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAUna piscina realizzata in una proprietà privata a corredo esclusivo della stessa, non possiede una sua autonomia immobiliare, ma deve considerarsi quale pertinenza dell'immobile esistente, in quanto destinata ad essere usata a servizio dello stesso, nella sua configurazione di bene principale.
Secondo una nota giurisprudenza, anche del TAR per il Veneto, una piscina realizzata in una proprietà privata a corredo esclusivo della stessa, non possiede una sua autonomia immobiliare, ma deve considerarsi quale pertinenza dell'immobile esistente, in quanto destinata ad essere usata a servizio dello stesso, nella sua configurazione di bene principale (Consiglio Stato , sez. IV, 14.08.2006, n. 4780).
Inoltre, l’opera non altera in modo significativo l'assetto del territorio; pertanto, nella fattispecie in esame, la piscina, di contenuto rilievo dimensionale e di ridotto impatto dal punto di vista urbanistico, va considerata un manufatto avente rilievo pertinenziale (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 31.10.2007 n. 3489 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, ma con reti metalliche sorrette da paletti di ferro o di legno e senza muretto di sostegno, non necessitano di concessione edilizia, poiché entro siffatti limiti le recinzioni rientrano solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l’assetto delle singole proprietà.
Le recinzioni, in quanto estrinsecazione di una facoltà dominicale, non possono ritenersi di per sé incompatibili con la destinazione impressa all’area dal Piano Regolatore, neppure in presenza di eventuali vincoli espropriativi.

E' noto il costante insegnamento giurisprudenziale secondo cui le recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, ma con reti metalliche sorrette da paletti di ferro o di legno e senza muretto di sostegno, non necessitano di concessione edilizia, poiché entro siffatti limiti le recinzioni rientrano solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l’assetto delle singole proprietà (TAR Liguria, Sez. I, 11.09.2002, n. 961; TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 06.03.2002 n. 425).
Del resto, le recinzioni, in quanto estrinsecazione di una facoltà dominicale, non possono ritenersi di per sé incompatibili con la destinazione impressa all’area dal Piano Regolatore, neppure in presenza di eventuali vincoli espropriativi (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 27.07.2005, n. 3435) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.06.2007 n. 4949 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 18.09.2010

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NOVITA' NEL SITO

Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a Marcallo con Casone (MI) per giovedì 21.10.2010 co-organizzata dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni ivi riportate.

Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a Senago (MI) per martedì 12.10.2010 organizzata dal Comune di Senago (MI).
N.B.: leggere attentamente le istruzioni ivi riportate.

Bottone "CONVEGNI" n. 3 giornate di studio a Bergamo per mercoledì 06, 13 e 20.10.2010 organizzate dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni ivi riportate.

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA: Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). Articolo 49, commi 4-bis e seguenti, legge n. 122 del 2010 (Ministero per la Semplificazione Normativa, Ufficio Legislativo, nota 16.09.2010 n. 1340 di prot.).
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L'Ufficio Legislativo del Ministero per la Semplificazione Normativa risponde alla Regione Lombardia in merito a chiarimenti richiesti (articolo Il Sole 24 Ore del 17.09.2010).
Ma non è la tanto auspicata ed invocata circolare chiarificatrice, a tutto campo, la quale è in fase di stesura e dovrebbe essere imminente (settimana prossima??) la sua divulgazione.

EDILIZIA PRIVATA: SCIA, Prime indicazioni sulle conseguenze della modifica dell’art. 19, legge 07.08.1990, n. 241, disposta con legge 30.07.2010, n. 122, nell’ordinamento edilizio (ANCI Toscana, nota 16.09.2010).

QUESITI & PARERI

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, declaratoria dell'intervento di manutenzione straordinaria alla luce del d.l. n. 40/2010 convertito con legge n. 73/2010.
Un Comune lombardo ha posto alla regione Lombardia il quesito di seguito riportato.
DOMANDA: A seguito dell'entrata in vigore della legge 73/2010 (di conversione del d.l. n. 40/2010) ed in relazione al comunicato regionale 03.06.2010 (a firma dell'Assessore BELOTTI e del Direttore Generale MORI), ad oggi la declaratoria dell'intervento di manutenzione straordinaria cui attenersi, nell'istruttoria delle pratiche edilizie, è sempre quella di cui all'art. 27, comma 1, lett. b) oppure quella di cui all'art. 3, comma 1, lett. b) del DPR n. 380/2001?
RISPOSTA e-mail del 13.09.2010: Con riferimento alla Sua mail in data 14.07.2010, si precisa che, anche a seguito della legge n. 73/2010, di conversione del D.L. n. 40, la definizione degli interventi di manutenzione straordinaria rimane quella esplicitata all'art. 27, comma 1, lett. b), della L.R. n. 12/2005.
Come noto, quest'ultima disposizione non é meramente riproduttiva di quella contenuta nel T.U. statale, ovvero nell'art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, norma quest'ultima espressamente dichiarata disapplicata dall'art. 103, comma 1, della L.R. n. 12/2005.
Peraltro, ai fini della corretta individuazione del regime giuridico degli interventi, occorre tener conto della sopraggiunta disposizione statale in materia di attività edilizia libera (art. 6 del D.P.R. n. 380, "riscritto" dal comma 1 dell'art. 5 del D.L. 25.03.2010, n. 40, come sostituito dalla relativa legge di conversione n. 73/2010), immediatamente operante anche in Regione Lombardia, come chiarito dal comunicato regionale in data 03.06.2010.
In altri termini, per beneficiare del regime semplificato (comunicazione con relazione tecnica e asseverazione), l'intervento di manutenzione straordinaria, fermi gli altri presupposti, dovrà rispettare i limiti previsti al comma 2, lett. a) del "nuovo" art. 6 sopra richiamato; più precisamente, non dovrà riguardare le parti strutturali dell'edificio, né comportare aumento del numero delle unità immobiliari né implicare incremento dei parametri urbanistici.
Un cordiale saluto.
Arch. Gian Angelo Bravo - Direttore Vicario Direzione Generale Territorio e Urbanistica - U.O. Programmazione e Pianificazione Territoriale.

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 15.09.2010, suppl. ord. n. 217/L, "Attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa" (D.Lgs. 13.08.2010 n. 155).

ENTI LOCALI: G.U. 13.09.2010 n. 214 "Regolamento di esecuzione del sesto censimento generale dell’agricoltura, a norma dell’articolo 17, comma 2, del decreto-legge 25.09.2009, n. 135" (D.P.R. 23.07.2010 n. 154).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

URBANISTICA: W. Fumagalli, Lombardia, La perequazione: una facoltà o un obbligo? (AL n. 6/2010).

ATTI AMMINISTRATIVI: N. Durante, I rimedi contro l’inerzia dell’amministrazione: istruzioni per l’uso, con un occhio alla giurisprudenza e l’altro al codice del processo amministrativo, approvato con decreto legislativo 02.07.2010, n. 104 (link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: I rifiuti abbandonati e il proprietario del suolo (link a www.ambientelegale.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - VARI: Il prontuario dei termini del codice del processo amministrativo.
Il 16.09.2010 è entrato in vigore il codice del processo amministrativo.
Pubblichiamo il prontuario del termini processuali previsti dal codice, avvertendo che si tratta di una interpretazione delle nuove disposizioni del codice codice, da prendere con la dovuta cautela, in attesa che il nuovo sistema si consolidi nella prassi e nella interpretazione giurisprudenziale (link a http://venetoius.myblog.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

LAVORI PUBBLICI: Non è conforme alla normative di settore l’operato della s.a. che, al di fuori dai casi tassativi individuati dalla giurisprudenza e dai precedenti dell’Autorità, ricorra al contratto di vendita di cosa futura in luogo di procedere all’affidamento di un appalto di lavori.
Più precisamente è stato chiarito che il ricorso all’acquisto di cosa futura possa avvenire a tali condizioni:
a) l’espletamento di una preventiva gara informale, qualora l’area non sia puntualmente localizzabile;
b) l’immobile da acquistare possegga caratteristiche che lo rendono infungibile;
c) l’immobile abbia la destinazione urbanistica prevista dal PRG;
d) sia compiuta una valutazione costi-benefici;
e) il titolo di proprietà dell’area sia stato acquisito dal venditore in epoca “non sospetta” rispetto alla determinazione dell’Amministrazione di munirsi del bene;
f) l’oggetto del contratto sia esaustivamente determinato sin dal momento della stipula;
g) si proceda alla verifica del possesso, da parte del venditore, di sufficienti requisiti di capacità economica che valgano ad assicurare in via preventiva l’adempimento delle obbligazioni contrattuali, requisiti che devono preesistere alla stipulazione del contratto (parere di precontenzioso 25.02.2010 n. 46 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: In una procedura per l’affidamento del servizio di ristorazione scolastica, appare ragionevole e proporzionata la richiesta, quale requisito di partecipazione, dell’iscrizione al registro delle imprese della Camera di Commercio per attività inerenti a quelle oggetto dell’appalto, con inizio attività in data non inferiore agli ultimi tre anni.
Allo stesso modo, anche la richiesta di un costo medio per il personale di almeno il 40% del fatturato nell’anno precedente risulta essere proporzionata e giustificata dal particolare oggetto del contratto (parere di precontenzioso 25.02.2010 n. 45 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: In una procedura per l’affidamento della concessione di accertamento e riscossione delle entrate comunali, non è conforme alla normativa di settore la clausola dei documenti di gara che imponga al concessionario entrante di assumere i dipendenti di quello uscente.
La previsione di un siffatto obbligo, infatti, appare giustificabile solo nei limiti in cui lo stesso sia imposto da specifiche disposizioni di legge o dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento.
La clausola in questione, altrimenti, risulterebbe senz’altro lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché sarebbe atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 della Costituzione (parere di precontenzioso 25.02.2010 n. 44 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI FORNITURE: In una gara per la fornitura di manufatti ortodontici appare ragionevole e proporzionata la richiesta, quale requisito di partecipazione, della qualificazione UNI EN ISO 13485.
Mentre la certificazione UNI EN ISO 9001:2000 è inerente all’intero sistema aziendale ed è preordinata a svolgere una funzione di garanzia qualitativa di un determinato livello di esecuzione dell’intero rapporto contrattuale, la certificazione UNI EN ISO 13485 attiene invece ai sistemi di gestione della qualità dei dispositivi medici.
Le caratteristiche della certificazione UNI EN ISO 13485 conferiscono dunque all’operatore economico un quid pluris rispetto ai requisiti della più generale certificazione UNI EN ISO 9001:2000, in quanto attinenti ai requisiti specifici che la norma ISO impone agli operatori economici che operano nel mercato dei dispositivi medici (parere di precontenzioso 25.02.2010 n. 43 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La mera sussistenza di un contenzioso giurisdizionale con un’altra stazione appaltante non può di per sé integrare i presupposti per l’esclusione di un’impresa da una procedura di gara ai sensi dell’ art. 38, comma 1, lett. f) del d.lgs. 12.04.2006, n. 163.
La situazione ostativa, infatti, deve avere carattere di gravità e compete alla stazione appaltante l’accertamento, di natura discrezionale e comportante l’obbligo di motivazione, della esistenza e della gravità della condotta suscettibili di dar luogo all’esclusione ai sensi della disposizione in esame.
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Se l’art. 13 del d. l. 04.07.2006, n. 223 venisse interpretato in modo da ritenere che il solo fatto della partecipazione al capitale sociale da parte di un ente regionale o locale sia sufficiente per l’applicazione del divieto sancito dalla medesima disposizione, verrebbe limitata eccessivamente la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, imponendo pesanti restrizioni a società che non godono di una situazione di privilegio e che operano in condizione di parità con gli altri soggetti del mercato, perché sottoposte al rischio di impresa; un tale risultato -oltre che irragionevole- si pone in insanabile contrasto con il principio di neutralità di cui all'art. 259 del Trattato CE e con il principio di libertà di iniziativa economica garantito dall'art. 41 Cost., nonché con la autorevole lettura che del citato art. 13 è stata data dalla Corte Costituzionale (sentenza 30.07.2008, n. 326), nel senso che la norma in questione non nega né limita la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma impone loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative
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La circostanza che il capitale sociale di una società concorrente in una procedura di gara sia interamente posseduto da un’altra società, rientrante nel disposto dell’art. 13, co. 1, del d. l. 04.07.2006, n. 223, è condizione sufficiente a determinare l’applicabilità anche alla controllata dei divieti previsti in capo alla controllante, non essendo consentito di eludere sostanzialmente la previsione normativa attraverso lo schermo di una società di secondo grado (parere di precontenzioso 25.02.2010 n. 42 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Qualora la s.a. non abbia provveduto ad effettuare la procedura di accreditamento al sistema SIMOG, la stessa dovrà ovviare all’omissione commessa secondo le modalità indicate dall’Autorità: nel caso in cui la stazione appaltante abbia omesso di richiedere il CIG o di indicarlo sulla documentazione di gara, la medesima deve procedere a pubblicare un avviso di rettifica; qualora l’ente appaltante abbia perfezionato la procedura di scelta del contraente senza richiedere il Codice CIG e le circostanze non consentano, in relazione allo stato di avanzamento del procedimento, l‘assunzione di specifici provvedimenti correttivi, la s.a. deve procedere ad acquisire il Codice CIG e versare –pur se scaduti i termini temporalmente previsti– la relativa quota di contribuzione.
Inoltre la s.a. dovrà comunicare il medesimo Codice CIG alla concorrente aggiudicataria, al fine di consentirle di integrare la documentazione prodotta in sede di partecipazione a comprova dell’avvenuto pagamento con un’apposita autodichiarazione che, riportando i dati mancanti concernenti la gara, certifichi che il versamento del contributo all’Autorità prodotto in sede di gara sia stato effettuato esclusivamente ai fini della partecipazione alla procedura di gara in questione.
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Il fatto che l’importo a base d’asta non sia determinato o determinabile non esime le s.a. dall’obbligo di attivazione della procedura di accreditamento al Sistema SIMOG.
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Gli operatori economici, qualora la lex specialis non contenga prescrizioni in ordine all’obbligo del pagamento del contributo di gara, sono ugualmente tenuti ad effettuare tale versamento, stante il fatto che la dimostrazione del pagamento costituisce per essi condizione di ammissione a presentare l’offerta.
Non può, inoltre, essere motivo di esenzione dal versamento del contributo il fatto che il valore dell’appalto non sia determinato dalla lex specialis, dal momento che le Risposte ai quesiti sui contributi in sede di gara (consultabili sul sito internet dell’Autorità) disciplinano espressamente tale fattispecie, disponendo che qualora l’importo a base di gara non sia previsto, la determinazione del contributo da versare avviene considerando l’importo massimo previsto dalla deliberazione del 24.01.2008 (parere di precontenzioso 25.02.2010 n. 40 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In applicazione della regola del favor partecipationis, è preclusa alle s.a. qualsiasi esegesi postuma delle prescrizioni di gara -che siano caratterizzate da una obiettiva incertezza del suo significato- che conduca all’integrazione delle regole di gara, palesando significati del bando non chiaramente desumibili dalla lettura della sua formulazione (parere di precontenzioso 25.02.2010 n. 39 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La modifica introdotta dal d.l. 11.09.2008, n. 152 (c.d. terzo decreto correttivo) alla disciplina dell’offerta economicamente più vantaggiosa contenuta nell’art. 83, comma 4, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 ha reso più ristretti gli ambiti di libertà valutativa delle offerte, imponendo alle stazioni appaltanti di stabilire e prevedere, fin dalla formulazione della documentazione di gara, tutti i criteri di valutazione dell’offerta, precisando, ove necessario, anche i sub criteri e la ponderazione e cioè il valore o la rilevanza relativa attribuita a ciascuno di essi.
E’ stato, così, eliminato ogni margine di discrezionalità in capo alla commissione giudicatrice la quale, secondo la normativa previgente, poteva fissare, prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte, i criteri motivazionali cui si sarebbe attenuta per attribuire a ciascun criterio e sub criterio di valutazione il punteggio.
Solo nel caso in cui il bando di gara sia stato pubblicato in data antecedente all’entrata in vigore della modifica introdotta dal terzo decreto correttivo esso ricade sotto la previgente disciplina (parere di precontenzioso 25.02.2010 n. 38 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In mancanza di una esplicita previsione del disciplinare che sanzioni a pena di inammissibilità la presentazione di un’offerta pari a zero per una delle voci, la stazione appaltante non può disporre l’esclusione dell’offerta ovvero omettere di applicare la formula matematica prescritta.
Quest’ultima va comunque applicata, quando si pongano delle difficoltà pratiche, secondo un criterio di ragionevolezza volto a salvaguardare l’interesse della pubblica amministrazione a conseguire un risultato utile anche in presenza di clausole del bando ambigue (parere di precontenzioso 25.02.2010 n. 37 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La richiesta di informazioni positive da parte di almeno due aziende di credito non appare in contrasto non solo e non tanto con la legge o con alcun principio generale, ma neppure con alcun criterio logico.
Invero, costituisce un dato di comune esperienza che imprese, anche di limitate dimensioni, non concentrano, di regola, i loro rapporti con un solo istituto bancario, ma si avvalgono dei servizi di più d’uno.
Peraltro, in caso contrario, nulla impedisce agli operatori economici di informare la s.a., così da far constatare che, con riguardo alla specifica e dimostrata situazione, la prescrizione del bando non può essere osservata per obiettive ragioni ed essere autorizzati a provare la propria capacità economica e finanziaria mediante altri documenti ritenuti idonei dalla stazione appaltante (parere di precontenzioso 25.02.2010 n. 36 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Nel caso in cui una s.a. ometta, nei modelli di presentazioni delle offerte, le dichiarazioni di cui all’art. 38, co. 1, lett. m-bis), m-ter), m-quater), la tutela dell’affidamento e la correttezza dell’azione amministrativa impediscono che le conseguenze di una condotta colposa della s.a. possano essere traslate a carico del soggetto concorrente, comminando la sanzione dell’esclusione dalla gara.
In tali ipotesi, l’equivocità delle prescrizioni del bando di gara impone, in un corretto rapporto tra amministrazione e privato, che si dia alla lex specialis una lettura idonea a tutelare l’affidamento degli interessati in buona fede, dispensando in tal modo il concorrente dal dover ricostruire, attraverso indagini ermeneutiche ed integrative, ulteriori ed inespressi significati della volontà della s.a., che vanificano il principio di massima partecipazione e l’interesse pubblico all’individuazione della migliore offerta (parere di precontenzioso 10.02.2010 n. 34 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: La restrizione della dimostrazione del requisito tecnico-professionale ai soli servizi svolti nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni impedisce la partecipazione ai concorrenti che abbiano svolto analoghi servizi nei confronti di soggetti privati e, pertanto, contraddice la prescrizione normativa di cui all’articolo 42, comma 1, lettera a), del d. lgs. 12.04.2006, n. 163, che attribuisce eguale valore alle prestazioni pregresse eseguite nei confronti di soggetti pubblici e soggetti privati, prevedendo solo una diversa modalità probatoria del requisito.
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È conforme alla normativa di settore la richiesta di dimostrazione di un’esperienza pregressa in servizi analoghi a quelli oggetto di gara, ma non in servizi ad esso identici, salvo che tale scelta non trovi un’adeguata motivazione nelle caratteristiche tecniche del servizio oggetto dell’affidamento.
La capacità tecnica può essere dimostrata con riferimento ai principali servizi prestati negli ultimi tre anni, surrogabili ed integrabili, comunque, in base a scelte discrezionali della s. a., con uno o più degli elementi elencati all’articolo 42 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163. Non è conforme alla normativa di settore, pertanto, la clausola del bando che richiede la dimostrazione di aver svolto servizi identici a quelli oggetto di gara  (parere di precontenzioso 10.02.2010 n. 33 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Nell’affidamento di lavori di valore inferiore a 1 milione di euro, nel caso in cui le offerte siano inferiori a dieci, è preclusa alla s.a. la possibilità di fare uso della facoltà di esclusione automatica dalla gara di quelle offerte che presentino una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia.
Pertanto, una volta determinata la soglia di anomalia ai sensi dell’art. 86, comma 1 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, le s.a. devono procedere senz’altro, ai sensi dell’art. 86, comma 3, alla valutazione discrezionale della congruità di ogni offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa, secondo i criteri ed il procedimento di verifica di cui agli artt. 86, 87 e 88 del d.lgs. n. 163/2006 (parere di precontenzioso 10.02.2010 n. 32 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La specifica funzione attribuita alla sottoscrizione giustifica, da un lato, che essa sia una condizione essenziale (ad substantiam) per l’ammissibilità dell’offerta e, dall’altro, dà conto dell’esigenza che la stessa non solo non possa mancare, ma che debba essere apposta in originale, onde scongiurare il rischio di eventuali manomissioni che ne pregiudicherebbero l’attendibilità (parere di precontenzioso 10.02.2010 n. 31 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Le annotazioni riferite a collegamenti/controlli, pur se intervenute in epoca poco recente forniscono comunque utili indicazioni alle stazioni appaltanti ai fini della valutazione complessiva dell’affidabilità delle imprese e, quindi, costituiscono una necessaria forma di pubblicità da inserire nel Casellario informatico.
Una siffatta tipologia di annotazioni, però, non può costituire motivo di automatica esclusione da successive gare a cui l’impresa annotata intenda partecipare (parere di precontenzioso 10.02.2010 n. 30 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In materia di offerte anomale, l’art. 87 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, nella versione precedente alle modifiche apportate dal d.l. 01.07.2009, n. 78, non prevedeva affatto una sanzione in caso di inottemperanza, ma demandava alla discrezionalità della stazione appaltante il compito di determinare le modalità di presentazione delle predette giustificazioni.
Nelle procedure indette prima dell’entrata in vigore del suddetto decreto, la mancata presentazione delle giustificazioni al momento della produzione dell’offerta economica, in assenza di una puntuale previsione del bando o del disciplinare, non può determinare alcuna ipotesi tipica di esclusione dalla gara, atteso che in ogni caso l’amministrazione procedente, seguendo il procedimento di cui all’art. 88 del d.lgs. n. 163/2006, può effettuare la verifica e l’esclusione delle offerte anormalmente basse.
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Il calcolo relativo alla cauzione provvisoria deve essere effettuato sull’importo complessivo dei lavori posto a base d’appalto, ivi compreso l’importo relativo agli oneri di sicurezza, in quanto l’importo dei lavori è quello complessivo dell’intervento e gli oneri di sicurezza sono parte dell’importo dell’intera opera o lavoro da appaltare: l’individuazione separata dei costi della sicurezza, introdotta dal D.Lgs. n. 494/1996, rileva esclusivamente ai fini di evidenziare detta voce, sulla quale l’appaltatore non può effettuare alcun ribasso, a garanzia e tutela dei lavoratori.
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Non è consentito alle s.a. di procedere all’esclusione automatica dell’offerte anormalmente basse al di fuori dei casi espressamente previsti dal legislatore  (parere di precontenzioso 10.02.2010 n. 29 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La stazione appaltante è tenuta a valutare discrezionalmente l'incidenza di una condanna sulla moralità professionale dell’appaltatore con riferimento al tipo di reato commesso, fornendo, altresì, in relazione alla decisione adottata, adeguata e congrua motivazione.
Pertanto, i margini di insindacabilità attribuiti all’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione non consentono alla stazione appaltante di prescindere dal dare contezza di aver effettuato una concreta valutazione dell’incidenza della condanna sul vincolo fiduciario, mediante un’accurata indagine della rispondenza della fattispecie di reato a tutti gli elementi che delineano l’ipotesi di esclusione individuata dall’articolo 38, comma 1, lettera c), del d. lgs. 12.04.2006, n. 163.
Peraltro, l’espressione “moralità professionale” si riferisce, non tanto alle competenze professionali dell’imprenditore aspirante contraente con la Pubblica Amministrazione, quanto piuttosto ad una nozione ampia, comprendente la condotta e la gestione di tutta l’attività professionale. Ne possono, quindi, esulare solo quei fatti, estranei allo svolgimento dell’attività professionale, che riguardino esclusivamente la condotta personale del soggetto che partecipi alla gara (parere di precontenzioso 10.02.2010 n. 28 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In materia di requisiti generali, non è conforme alla normativa di settore la clausola del bando di gara che preveda l’obbligo di dichiarare, tra l’altro, l’esistenza di condanne non definitive, in quanto contrastante con il disposto dell’art. 38 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, oltre che con i principi di ordine costituzionale (art. 27 Cost.) e comunitario cui la stessa disciplina si ispira (parere di precontenzioso 10.02.2010 n. 27 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Qualora il bando commini espressamente l’esclusione dalla gara in conseguenza delle mancata presentazione dell’offerta tramite il servizio postale, l’amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tale prescrizione, restando preclusa all’interprete ogni valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, la sua incidenza sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa amministrazione si è autovincolata al momento del bando.
Ciò va ribadito in specie qualora la clausola sia chiaramente evidenziata nell’ambito della lex specialis, essendo riportata in grassetto ed a monte delle prescrizioni di presentazione dettate, nonché formulata in termini letterali che non presentano profili di dubbio interpretativo (parere di precontenzioso 10.02.2010 n. 26 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Le amministrazioni possono richiedere alle imprese requisiti di partecipazione ad una gara di appalto e di qualificazione più rigorosi e restrittivi di quelli minimi stabiliti dalla legge, purché, tuttavia, tali prescrizioni si rivelino rispettose dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, non limitino indebitamente l’accesso alla procedura di gara e siano giustificate da specifiche esigenze imposte dal peculiare oggetto dell’appalto.
La richiesta di aver svolto servizi oggetto dell’appalto esclusivamente con amministrazioni di un determinato territorio è idonea ad avvantaggiare imprese locali e si pone in contrasto con i principi di par condicio e libera concorrenza, nonché con gli art. 58 e 59 del trattato UE che prescrivono il divieto alle restrizioni della libera prestazioni di servizi (parere di precontenzioso 10.02.2010 n. 25 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Nel caso in cui un concorrente incorra in un errore che determini una difformità e carenza di una dichiarazione rispetto a quanto previsto dalla documentazione di gara nonché dalla normativa di settore, tale errore non può essere ascritto ad una mera irregolarità di tipo formale, sanabile ai sensi dell’art. 46 del d. lgs. 12.04.2006, n. 163, ma costituisce un vizio dell’offerta che non consente alla s.a. di ammettere l’offerente alla procedura in oggetto (parere di precontenzioso 10.02.2010 n. 24 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Le formalità previste per la presentazione dell’offerta, coerentemente con la finalità di tutelare la par condicio tra i concorrenti, assolvono alla funzione di assicurare l’autentica provenienza del plico, nonché di evitare la manomissione del contenuto di esso e di garantire la segretezza dell’offerta.
La siglatura, timbratura e sigillatura dei lembi, in particolare, assolve alla funzione di evitare ogni possibile contestazione e sospetto di manomissione, data la possibilità di aprire e chiudere agevolmente, senza lacerazioni o segni evidenti, i lembi preincollati delle buste all’uopo comunemente usate (parere di precontenzioso 10.02.2010 n. 23 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La disciplina di cui all’articolo 49 del d. lgs. 12.04.2006, n. 163, pur ammettendo l’istituto dell’avvalimento tra imprese facenti parte del medesimo raggruppamento, non elimina l’onere in capo alle imprese raggruppate di dichiarare di voler beneficiare di tale istituto e contestualmente di produrre la relativa documentazione a comprova della effettività della messa a disposizione dei requisiti da parte della ditta avvalente.
Qualora un concorrente voglia utilizzare l’istituto dell’avvalimento all’interno di un raggruppamento temporaneo di imprese, è necessario che dimostri che il requisito medesimo sia posseduto dall’impresa avvalsa in misura sufficiente, rispetto alle specifiche prescrizioni del bando, a consentire sia la sua partecipazione, sia la partecipazione dell’impresa avvalente, onde evitare che si possa integrare un’ipotesi di uso fittizio di un unico requisito.
Ai fini di tale dimostrazione è insufficiente il mero e ordinario mandato collettivo, alla base della costituzione del raggruppamento, è invece necessario un atto giuridico costitutivo di un rapporto di provvista idoneo ad evidenziare specificatamente l’effettiva disponibilità dei mezzi/risorse richiesti dalla lex specialis.
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Fermo restando il favor legis per l’istituto del r.t.i., stante la capacità dello stesso di ampliare il più possibile la platea dei concorrenti, tale finalità deve in ogni caso essere contemperata con l’esigenza di scongiurare il rischio che un eccessivo frazionamento dei requisiti renda l’accertamento sull’affidabilità dell’impresa scarsamente attendibile, attraverso la previsione dell’obbligo della sussistenza di una necessaria corrispondenza tra i requisiti posseduti e la parte di prestazione eseguita da ciascuna delle imprese associate (parere di precontenzioso 28.01.2010 n. 22 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Le disposizioni con le quali siano prescritti particolari adempimenti per l’ammissione alla gara, ove indichino in modo equivoco taluni dei detti adempimenti, vanno interpretate nel senso più favorevole all’ammissione degli aspiranti, corrispondendo all’interesse pubblico di assicurare un ambito più vasto di valutazioni, e quindi, un’aggiudicazione alle condizioni migliori possibili.
Pertanto, non è conforme alla normativa di settore il comportamento della s.a. che escluda dalla gara il partecipante che non abbia sottoscritto l’offerta economica su tutte le pagine, in mancanza della esplicita previsione nei documenti di gara che tale adempimento era necessario a pena di esclusione (parere di precontenzioso 28.01.2010 n. 21 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Deve ritenersi necessaria l’iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali per l’espletamento dell’attività di messa in sicurezza dei siti, poiché nella categoria “bonifica siti” rientrano anche le attività di messa in sicurezza a prescindere dall’attività di gestione dei rifiuti, così come previsto dall’articolo 6, comma 3 del decreto attuativo 25.10.1999 n. 471 (“ai siti sottoposti ad interventi di messa in sicurezza permanente si applicano le norme tecniche, finanziarie ed amministrative e le garanzie previste ai sensi del decreto legislativo 05.02.1997 n. 22, e successive modifiche ed integrazioni, per il controllo e la gestione delle discariche dopo la chiusura”).
L’attività relativa al trattamento dei rifiuti può comprendere sia esecuzione di lavori (la realizzazione dei movimenti di materia per la sistemazione dell’area destinata a discarica, la stabilizzazione del terreno e del corpo rifiuti, l’esecuzione di strutture di contenimento, la realizzazione di barriere di impermeabilizzazione, di sistemi di drenaggio del percolato e di pozzi di captazione del geogas, ecc.) che prestazione di servizi (la raccolta e trasporto dei rifiuti ecc.) (parere di precontenzioso 28.01.2010 n. 20 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Nel caso in cui, a fronte di una specifica e non equivoca previsione del bando, un concorrente ometta di firmare copia del capitolato da allegare all’offerta, tale mancanza non è sanabile attraverso un’integrazione documentale, realizzandosi altrimenti una lesione del principio di parità di trattamento.
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Con riferimento ai requisiti di fatturato per la partecipazione alle gare, sono conformi al principio di proporzionalità le previsioni dei bandi che prescrivano al massimo un fatturato sino al doppio dell’importo a base di gara (parere di precontenzioso 28.01.2010 n. 19 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Mentre è corretto riportare nella lex specialis il contenuto delle istruzioni operative concernenti il versamento del contributo all’Autorità, prevedendo altresì la necessaria comunicazione degli estremi del versamento effettuato presso gli uffici postali, non è invece, corretto procedere alla esclusione delle imprese che non hanno provveduto a comunicare gli estremi del versamento al sistema on-line, non costituendo la detta comunicazione causa di esclusione dalle procedure di gara (parere di precontenzioso 14.01.2010 n. 8 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La stazione appaltante è tenuta a valutare discrezionalmente l'incidenza di una condanna sulla moralità professionale dell’appaltatore con riferimento al tipo di reato commesso, fornendo, altresì, in relazione alla decisione adottata, adeguata e congrua motivazione.
Pertanto, i margini di insindacabilità attribuiti all’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione non consentono alla stazione appaltante di prescindere dal dare contezza di aver effettuato una concreta valutazione dell’incidenza della condanna sul vincolo fiduciario, mediante una accurata indagine della rispondenza della fattispecie di reato a tutti gli elementi che delineano l’ipotesi di esclusione individuata dall’articolo 38, comma 1, lettera c), del d. lgs. 12.04.2006, n. 163.
L’espressione “moralità professionale", peraltro, si riferisce, non tanto alle competenze professionali dell’imprenditore aspirante contraente con la Pubblica Amministrazione, quanto piuttosto ad una nozione ampia, comprendente la condotta e la gestione di tutta l’attività professionale. Ne possono, quindi, esulare solo quei fatti, estranei allo svolgimento dell’attività professionale, che riguardino esclusivamente la condotta personale del soggetto che partecipi alla gara (parere di precontenzioso 14.01.2010 n. 7 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: La categoria OG11 si riferisce ad un insieme coordinato di impianti da realizzarsi congiuntamente e che può ritenersi come una sommatoria di categorie specializzate, il cui contenuto specialistico e tecnologico è strettamente legato alle scelte del progettista.
Solo se il livello di complessità delle lavorazioni riferite alle categorie specializzate rimane su valori medi, la qualificazione nella categoria OG11 può assorbire le qualificazioni nelle specifiche categorie specializzate dovendosi tenere necessariamente conto delle scelte tecniche compiute dal progettista.
Pertanto, la qualificazione per la categoria di opere generali OG11 assorbe quella per la categoria di opere speciali solo nel caso in cui la disciplina speciale della singola gara non rechi alcuna clausola in contrario (parere di precontenzioso 14.01.2010 n. 6 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Quando per l'aggiudicazione della gara viene scelto il metodo della offerta economicamente più vantaggiosa, rientra nella discrezionalità della stazione appaltante la determinazione della incidenza del prezzo nella valutazione dell'offerta.
Pertanto, si deve ritenere che i limiti, previsti dall'art. 64 del D.P.R. n. 554/1999 relativamente ai fattori ponderali da attribuire ai vari elementi dell'offerta economicamente più vantaggiosa in caso di affidamento dei servizi di ingegneria, non possano essere interpretati come tassativi per la stazione appaltante, che altrimenti risulterebbe vincolata nell'esercizio di una discrezionalità in materia che discende dalla normativa comunitaria.
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Le s.a. nel bando di gara possono privilegiare le imprese che abbiano svolto attività identiche o analoghe a quella oggetto dell'appalto, attribuendo loro uno specifico punteggio utile ai fini dell'aggiudicazione, nella misura in cui tali aspetti dell'attività dell'impresa concorrente possano illuminare la qualità dell'offerta, assurgendo così a parametro afferente alle caratteristiche oggettive dell'offerta stessa.
Ciò non appare illogico o arbitrario, afferendo, in realtà, alla valutazione di elementi che hanno diretto ed immediato riferimento con la prestazione richiesta con l'oggetto della gara, in termini di logica presumibilità di una migliore esecuzione della prestazione richiesta.
Il collegamento all'oggetto dell'appalto, quindi, può legittimare il ricorso a criteri valutativi del merito tecnico di tipo "soggettivo" e l'utilizzo di detti criteri appare ragionevole quando consente di rispondere in concreto alle possibili specificità che le procedure di affidamento degli appalti pubblici possono presentare (parere di precontenzioso 14.01.2010 n. 5 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: L’articolo 91 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, nel disciplinare le procedure di affidamento dei servizi attinenti all'architettura ed all'ingegneria, ha individuato per l'applicazione delle disposizioni di derivazione comunitaria la soglia di 100.000 euro.
È conforme alla normativa di settore il comportamento della s.a. che, in una procedura per l’affidamento di un incarico di valore pari o superiore a tale cifra, richieda i requisiti di cui all’art. 66 del D.P.R. n. 554/1999, propriamente riguardante l'affidamento di servizi di ingegneria e di architettura di importo pari o superiore alla soglia comunitaria (parere di precontenzioso 14.01.2010 n. 5 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Costituisce onere per l'impresa che nel triennio antecedente abbia visto un avvicendamento nelle cariche tenute alla dichiarazione di cui all’art. 38, co. 1, lett. b) e c), prestare la dovuta diligenza nel rappresentare detta circostanza alla stazione appaltante.
A tal riguardo, l’impresa è tenuta a fornire la prescritta dichiarazione dei soggetti cessati ovvero ad integrare la dichiarazione sostitutiva rilasciata dal legale rappresentante, nel caso in cui detti soggetti siano divenuti irreperibili per l'impresa.
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Deve considerarsi sufficiente, ai fini della regolarità formale delle offerte, a fronte di una mancata specificazione della lex specialis, il richiamo complessivo all'art. 38 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163.
La commissione di gara non può determinare l'esclusione dei partecipanti che hanno presentato una dichiarazione nella quale vi sia un riferimento complessivo, non analitico all’art. 38, anche in coerenza con il principio in tema di contratti ad evidenza pubblica, secondo cui le disposizioni del bando devono essere interpretate in modo da consentire la più ampia partecipazione dei concorrenti (parere di precontenzioso 14.01.2010 n. 4 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La disciplina dell’offerta economicamente più vantaggiosa è contenuta nell’art. 83, co. 4, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 che, come noto, è stato recentemente modificato dal d.lgs. 11.09.2008, n. 152, (cd. terzo decreto correttivo), il quale ha reso più ristretti gli ambiti di libertà valutativa delle offerte, imponendo alle stazioni appaltanti di stabilire, fin dalla formulazione della documentazione di gara, tutti i criteri di valutazione dell’offerta, precisando, ove necessario, anche i sub-criteri e la ponderazione e cioè il valore o la rilevanza relativa attribuita a ciascuno di essi.
È stato eliminato, così, ogni margine di discrezionalità in capo alla Commissione giudicatrice la quale, secondo la normativa previgente, poteva fissare, prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte, i criteri motivazionali cui si sarebbe attenuta per attribuire a ciascun criterio e sub-criterio di valutazione il relativo punteggio (parere di precontenzioso 14.01.2010 n. 3 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Nel caso in cui il bando di gara espressamente stabilisca in capo ai concorrenti l’obbligo di rendere non una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione dell’art. 38, ma di indicare anche eventuali condanne per le quali si goda del beneficio della non menzione, è necessario rendere una dichiarazione completa e veritiera, attestando tutti i reati commessi dai soggetti tenuti alla dichiarazione.
Né la eventuale omissione può essere sanata con successiva integrazione documentale, determinandosi in tal caso la sostituzione di una dichiarazione, già resa in sede di offerta, con un’altra dichiarazione di diverso tenore letterale e significato, con evidente violazione del principio della par condicio dei concorrenti.
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Il concetto di “moralità professionale” delimita il campo di applicazione della causa di esclusione a quei fatti illeciti che manifestano una radicale e sicura contraddizione con i principi deontologici della professione. La mancanza di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa lascia un ampio spazio di valutazione discrezionale per la stazione appaltante, che consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali ad esempio, l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive.
Conseguentemente, è la stazione appaltante a dover valutare discrezionalmente l'incidenza di una condanna sulla moralità professionale dell’appaltatore con riferimento al tipo di reato commesso, fornendo, altresì, in relazione alla decisione adottata, adeguata e congrua motivazione (parere di precontenzioso 14.01.2010 n. 1 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Concessione in sanatoria c.d. straordinaria (o condono) - Specialità del procedimento - Verifiche, presupposti e condizioni - Parere della Commissione edilizia - Non obbligatorio - Fondamento.
La specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all'ordinario procedimento di rilascio della concessione ad edificare e l'assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità rendono, per il rilascio della concessione in sanatoria c.d. straordinaria (o condono), il parere della Commissione edilizia non obbligatorio, ma, tutt’al più, facoltativo, al fine di acquisire eventuali informazioni e valutazioni con riguardo a particolari e sporadici casi incerti e complessi, in assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato alla semplice verifica dei (pur numerosi) presupposti e condizioni espressamente e chiaramente fissati dal Legislatore (Cons. St., sez. IV, 12/02/2010 , n. 772 ; CdS sez. IV, 15/05/2009, n. 3010 ; CdS, sez. VI, 27/06/2008, n. 3282; CdS sez. V, 04/10/2007, n. 5153).
Nella specie non sussistevano quelle condizioni di complessità e difficoltà accertativa o valutativa e, dunque, non v’erano spazi per poter invocare utilmente l’intervento dell’organo consultivo collegiale.
Opere abusive sanabili - Annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale - Cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare - Limiti di superficie e volume per ampliamenti di edifici già esistenti - Art. 39, c. 19, L. n. 724/1994 - Art. 7, c. 3, L. n. 47/1985.
L’art. 39 della legge n. 724/1994 dispone, al comma 19, che per le opere abusive “divenute sanabili“ in forza dello stesso art. 39, “il proprietario ha il diritto di ottenere l’annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell’area di sedime e delle opere sopra questa realizzate disposte in attuazione dell’articolo 7, terzo comma, della legge 28.02.1985, n. 47”, e la cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare, fatti salvi i diritti dei terzi e del comune, nel caso in cui le opere stesse siano state destinate ad attività di pubblica utilità entro la data dell'01.12.1994.
Inoltre, l’articolo 39 della legge n. 724/1994, dopo avere fissato i limiti di superficie e volume per ampliamenti di edifici già esistenti, ha disposto che quei limiti “trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria."
La norma correla quindi il limite volumetrico massimo alla domanda di condono. Nella specie, a nulla vale invocare, l’avvenuto frazionamento dell’immobile in due unità immobiliari, perché se ciò fosse rilevante, si consentirebbe ad un soggetto di realizzare un grattacielo di migliaia di metri cubi, poi frazionarlo in tanti appartamenti tutti inferiori a 750 mc. e quindi invocare il condono (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5156 - link a www.ambientediritto.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Provvedimenti in materia edilizia - Attribuzione ai dirigenti - Art. 6, 2° comma, L. n. 127/1997 - Art. 51 L. n. 142/1990.
Solo a seguito dell'art. 6, 2° comma, L. n. 127/1997 è stata attribuita ai dirigenti degli Enti locali la competenza in ordine agli atti di gestione, anche con riferimento ai provvedimenti in materia edilizia.
La disposizione, nel sostituire l'art. 51 L. n. 142/1990, ha direttamente attribuito ai Dirigenti, tra l'altro, i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni anche di natura discrezionale (Cons. St., Sez. V, n. 5833 del 25.11.2001, n. 7632 del 21.11.2203 , n. 2694 del 04.05.2004 e n. 5757 del 09.11.2007; ma è altrettanto vero che, per consolidata giurisprudenza, non esistono ostacoli di ordine normativo -eccetto improbabili norme di statuto o regolamento dell’ente locale- a che il Sindaco deleghi un assessore all'adozione di atti in materia urbanistica ed edilizia che non costituiscano espressione di funzioni di Ufficiale di Governo ma che attengano alla cura di interessi tipicamente locali e strettamente coordinati con le esigenze della comunità insediata in un certo territorio (CdS, sez. V, 10/02/2009, n. 758; id., 16/11/2005, n. 6376; id., 24/11/1997, n. 1358) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5156 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: Dichiarazione implicita di pubblica utilità - Obbligo di comunicare l’avvio del procedimento - Fattispecie: approvazione progetto tecnico di variante lavori sistemazione ed occupazione urgenza - Art. 7, L. n. 241/1990.
Ai sensi dell’articolo 7 della legge 07.08.1990 n. 241, sussiste l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento culminante nella dichiarazione implicita di pubblica utilità dell’intervento da realizzare, in quanto immediatamente e direttamente lesivo di potenziali interessi (C.d.S., A.P., n. 14/1999 ).
Nel caso di specie, tuttavia, non si è avuta la dichiarazione di pubblica utilità implicita nell'approvazione del progetto delle opere da realizzare, perché essa consegue ope legis alla sola approvazione del progetto definitivo delle opere da realizzare, come stabilisce il comma 13 dell'articolo 14 della legge 11.02.1994, n. 109, laddove con la impugnata delibera consiliare n. 27 del 1998 è stato approvato soltanto il progetto di massima (CdS Sez. IV, n. 3364/09).
Pertanto, non essendoci alcuna valida ed utile dichiarazione di pubblica utilità e questa non potendo conseguire ex lege all'approvazione del progetto preliminare, non sussisteva alcun obbligo da parte della amministrazione comunale di comunicare ai ricorrenti l'esistenza del procedimento relativo alla realizzazione dei lavori per cui è causa (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5155 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: PRG - Discrezionalità dell’Amministrazione - Destinazione di zona di natura conformativa - Vincolo non finalizzato all’espropriazione - Mero obbligo per i proprietari di rispetto della destinazione impressa all’area.
La destinazione di una area a servizi (es. attrezzature ed impianti di interesse generale) corrisponde a destinazione di zona di PRG di natura conformativa, connessa alle determinazioni di pianificazione urbanistica rientranti nella discrezionalità dell’Amministrazione, cui corrisponde un mero obbligo per i proprietari di rispetto della destinazione impressa all’area e non un vincolo finalizzato all’espropriazione (C.d.S. Sez. IV, n. 4340/2002) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5155 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Comune non può assentire una concessione edilizia subordinatamente all’impegno del privato a rinunciare alla proposizione di azioni risarcitoria nei confronti del Comune, in quanto tale condizione non è volta a perseguire alcun interesse pubblico riconducibile alla materia urbanistico-edilizia e si pone in contrasto con il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi.
Il Comune, invero, non può in via generale apporre condizioni, sia sospensive che risolutive, alla concessione edilizia, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, stante la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale di detto provvedimento.

Come già chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (TAR Campania, sez. Salerno, II, 16.01.2007, n. 28), il Comune non può assentire una concessione edilizia subordinatamente all’impegno del privato a rinunciare alla proposizione di azioni risarcitoria nei confronti del Comune, in quanto tale condizione non è volta a perseguire alcun interesse pubblico riconducibile alla materia urbanistico-edilizia e si pone in contrasto con il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi.
Tale condizione si rivela, infatti, preordinata al perseguimento di interessi estranei a quelli sottesi al potere esercitato, volto a garantire lo svolgimento dell’attività edificatoria nel rispetto delle norme che la disciplinano ed in vista di una corretta ed equilibrata trasformazione del territorio, ed, esulando dall’ambito teleologico appena delineato, si propone di evitare i riflessi risarcitori eventualmente derivanti da una pregressa attività dell’Amministrazione: in tal modo subordinando l’efficacia della concessione rilasciata al perseguimento di scopi estranei al relativo schema tipologico.
Il Comune, invero, non può in via generale apporre condizioni, sia sospensive che risolutive, alla concessione edilizia, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, stante la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale di detto provvedimento (Cons. St, sez. V, 24.03.2001, n. 1702).
Tale condizione, peraltro, non inficia in toto la concessione assentita, dal momento che l’invalidità di una condizione apposta all’atto amministrativo comporta la invalidità totale dell’atto stesso solo qualora il contenuto della condizione abbia costituito il motivo essenziale della dichiarazione di volontà, la quale presumibilmente non vi sarebbe stata senza di quella (“vitiatur et vitiat”); ma la nullità e l’invalidità totale dell’atto amministrativo, a cagione dell’invalidità della condizione, non può certamente prodursi quando si tratti -come nel caso di specie- di atti dovuti (nei quali cioè non vi sia discrezionalità nell’an) e quando l’autorità amministrativa, che si determina per il provvedimento, dovrà dare ad esso il contenuto predeterminato dalle fonti normative, in assenza di discrezionalità nel quid (cfr. TAR Liguria, 25.10.1979, n. 381) (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 08.02.2007 n. 153 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATALa domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento di diniego, annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione, non può essere accolta ove persistano in capo alla p.a. significativi spazi di discrezionalità amministrativa pura in sede di riesercizio del potere e la parte istante non si sia limitata a chiedere il mero danno subito per effetto di un’illegittimità procedimentale sintomatica di una modalità comportamentale non improntata alla regola della correttezza, ma abbia richiesto l’intero pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del bene della vita, costituito dalla autorizzazione richiesta.
La domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento di diniego, annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione, non può essere accolta ove persistano in capo alla p.a. significativi spazi di discrezionalità amministrativa pura in sede di riesercizio del potere e la parte istante non si sia limitata a chiedere il mero danno subito per effetto di un’illegittimità procedimentale sintomatica di una modalità comportamentale non improntata alla regola della correttezza, ma abbia richiesto l’intero pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del bene della vita, costituito dalla autorizzazione richiesta (così Cons. St., sez. VI, 15.04.2003, n. 1945, e nello stesso senso, più di recente Cons. St. Ad. pl., 15.09.2005, n. 7).
Così si è dichiarata l’inammissibilità “allo stato“ della domanda volta al risarcimento del danno conseguente dall’annullamento di un diniego di concessione edilizia, posto che l’accoglimento nel merito del ricorso di per sé non implica che l’istanza sarà successivamente sicuramente esitata in senso favorevole dall’Amministrazione; in quanto la situazione, dopo l’annullamento di un diniego, è “ancora incerta ed incompiuta, l’assetto definitivo di interessi ancora di là da venire, ed in un simile quadro non sono ancora definiti i presupposti del risarcimento, sia con riguardo all’an (l’essersi effettivamente verificato un danno, e che tipo di danno, di quale natura) sia al quantum (cosa che potrà accertarsi solo dopo l’esito del procedimento e la realizzazione del bene della vita, ove questa avvenga)” (così di recente TAR Sicilia, sez. Catania, sez. I, 13.04.2006 n. 585).
Peraltro, questo Tribunale, con sentenza 13.12.2005, n. 855, ha anche affermato che ove venga annullato un diniego di concessione edilizia perché privo di idonea motivazione ben può essere accolta la richiesta di risarcimento dei danni quando sia stata esclusa, in relazione a quanto disposto dall’art. 21-octies della L. 07.08.1990, n. 241, la presenza di specifici elementi ostativi all’accoglimento della richiesta della parte ricorrente e ciò in quanto l’annullamento del diniego per difetto di motivazione, in ragione di quanto oggi previsto da tale art. 21-octies, comporta anche un giudizio in ordine alla spettanza o meno del bene della vita da conseguire, specie ove il Tribunale, prima di pervenire all’annullamento del diniego impugnato, abbia in effetti svolto in concreto un’attenta analisi della disciplina urbanistica della zona, per verificare -trattandosi di un atto vincolato- che non fosse “palese” che il contenuto dispositivo dell’atto impugnato non sarebbe stato diverso.
Prescindendo, in ogni caso da tale ultima ipotesi, la giurisprudenza amministrativa oggi sostiene costantemente che in caso di annullamento di un diniego di concessione edilizia per vizi che consentono il riesercizio del potere (come nel caso di difetto di motivazione), la domanda di risarcimento del danno non può essere valutata se non all’esito del nuovo esercizio del potere; infatti, solo l’eventuale reiterazione dell’atto negativo, per ragioni diverse dal precedente, esclude la sussistenza di un danno risarcibile derivante dal primo provvedimento, salva la verifica degli estremi del danno in caso di annullamento giurisdizionale anche del secondo provvedimento (così da ultimo Cons. St., sez. IV, 30.06.2006, n. 4231, e nello stesso TAR Abruzzo, sez. Pescara, 08.05.2003, n. 507).
Peraltro, è pacifico che la richiesta di risarcimento dei danni possa essere avanzata successivamente e separatamente dalla richiesta di annullamento dell’atto illegittimo (Cons. St., Ad. pl., 09.02.2006, n. 2)
(TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 08.02.2007 n. 153 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl concetto di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 31, c. 1, lett. d), l. n. 457/1978 comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, con l’unica condizione che la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto.
Secondo un univoco e consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. ex multis C.S., Sez. IV, 02.04.2002, n.1824), dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, il concetto di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 31, c. 1, lett. d), l. n. 457/1978 comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, con l’unica condizione che la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.09.2003 n. 5310 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

GIURISPRUDENZA

LAVORI PUBBLICI: Aumento dei prezzi dei materiali di costruzione - Istanza di compensazione - Termine di 30 giorni dalla pubblicazione del decreto ministeriale di rilevazione delle variazioni - Data di spedizione - Principio generale di equipollenza della spedizione alla presentazione diretta.
L’art. 1, c. 4, del d.l. n. 162/2008, in tema di istanza di compensazione per l’aumento dei prezzi dei materiali di costruzione, non può che essere interpretato alla luce del principio generale di equipollenza della spedizione postale alla presentazione diretta: in mancanza di una regola diversa fissata nella lex specialis della procedura, va pertanto ritenuto che il termine finale di 30 giorni (dalla pubblicazione del decreto ministeriale di rilevazione delle variazioni percentuali dei prezzi) per la presentazione della domanda del privato alla pubblica amministrazione sia osservato ove tale domanda sia inoltrata in tempo utile a mezzo raccomandata, rilevando in tal caso la data di spedizione e non quella di ricezione da parte della destinataria (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.09.2010 n. 6678 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Atto di asservimento - Cessione di cubatura tra fondi contigui - Finalità dell’istituto.
L’atto di asservimento dei suoli comporta la cessione di cubatura tra fondi contigui ed è funzionale ad accrescere la potenzialità edilizia di un’area per mezzo dell’utilizzo della cubatura realizzabile in una particella contigua e del conseguente computo anche della superficie di quest’ultima, ai fini della verifica del rispetto dell’indice di fabbricabilità fondiaria.
Asservimento - Limiti di volumetria - Vincolo ope legis - Strumenti negoziali privatistici - Relazione pertinenziale tra i lotti - Nuova disciplina sulla capacità edificatoria.
In tema di asservimento, nel caso in cui la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo sull’area discende ope legis senza necessità di strumenti negoziali privatistici (atto d’obbligo, trascrizione, ecc.), che devono invece sussistere nel caso di asservimento dei suoli limitrofi per ottenere una volumetria maggiore, anche reciproca; infatti, l’atto di asservimento di un lotto, che costituisce una qualità oggettiva dello stesso (una sorta di obbligazione “propter rem”) e realizza una specie particolare di relazione pertinenziale (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 23.04.2009, n. 3), non comporta un divieto assoluto di edificazione, pur costituendo un vincolo che rimane cristallizzato nel tempo, ma non può costituire limite rispetto alle determinazioni del pianificatore generale, che resta libero di dettare una nuova disciplina sulla volumetria e sulla capacità edificatoria (cfr. Cons Stato, sez. IV, 04.05.2006, n. 2488; idem, 29.07.2008, n. 3766; TAR Trentino Alto Adige Bolzano, 22.08.2007, n. 286; TAR Valle d'Aosta Aosta, sez. I, 15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 14.05.2010, n. 1736).
Asservimento - Potenzialità edificatoria dei terreni - Modifica della pianificazione urbanistica o normativa sopravvenuta.
L'asservimento di un terreno per realizzare una costruzione non rende lo stesso definitivamente inedificabile anche per il futuro; la destinazione ed utilizzazione delle aree rappresenta, infatti, un dato dinamico ed evolutivo, potendo mutare nel tempo l'indice fondiario, nonché la stessa previsione di lotti minimi, per cui la potenzialità edificatoria di un terreno va necessariamente valutata ed esaminata alla stregua della modificazione della pianificazione urbanistica e della normativa sopravvenuta (cfr. TAR Abruzzo, Pescara, 26.07.2006, n. 399) TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 10.09.2010 n. 32217 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Non può essere esclusa l’impresa cessionaria del ramo d’azienda che non abbia presentato le relative dichiarazioni in ordine alla posizione della cedente.
Con la sentenza in commento il TAR Lombardia, con riferimento ad una gara in cui erano state ammesse tre imprese, ha accolto il ricorso incidentale dell’aggiudicataria ed ha respinto il ricorso principale della società cooperativa appellante avverso una determinazione dirigenziale del comune di Milano di affidamento del servizio di attacchinaggio su impianti di proprietà comunale.
Il Consiglio di Stato, nel considerare l’appello infondato, ha ritenuto priva di pregio, in particolare, la doglianza con la quale si sostiene che l’aggiudicataria avrebbe dovuto dichiarare nella domanda di partecipazione, a pena di esclusione, l’intenzione di avvalersi dei requisiti acquisiti per effetto della cessione del ramo d’azienda stipulata anteriormente alla procedura.
Occorre osservare, spiegano i giudici d’appello, che in materia di procedure ad evidenza pubblica le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la impresa partecipante alla gara sono di stretta interpretazione dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di pregiudicare l’affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l’esigenza della più ampia partecipazione (V. le decisioni di questo Consiglio sez. V, 28.09.2005 n. 5194 e 13.01.2005 n. 82; Sez. IV, 15.06.2004 n. 3903; VI, 02.04.2003 n. 1709).
Inoltre, al fine di integrare i requisiti di partecipazione ad una gara di appalto ed a prescindere da un’espressa previsione del bando, sono certamente riconducibili al patrimonio di una società o di un imprenditore cessionari prima della partecipazione alla gara di un ramo d’azienda i requisiti posseduti dal soggetto cedente, giacché essi devono considerarsi compresi nella cessione in quanto strettamente connessi all'attività propria del ramo ceduto. In tal caso infatti nessuna norma del Codice dei contratti impone al cessionario di dichiarare espressamente, nella domanda, di partecipare alla gara grazie ai requisiti acquisiti con la precedente cessione; né varrebbe richiamare gli artt. 51 e 49, dal momento che si riferiscono rispettivamente alle diverse ipotesi nelle quali la cessione sia avvenuta nel corso della gara ovvero il concorrente ricorra ad imprese ausiliarie mediante l’avvalimento al fine di integrare i propri requisiti per partecipare alla gara.
L’orientamento sopra indicato è stato recentemente confermato dalla quinta Sezione (decisione 21.05.2010 n. 3213), rilevandosi che manca nel Codice appalti una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione d’azienda antecedente alla partecipazione alla gara un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi della cedente riferita sia agli amministratori e direttori tecnici in quanto l’art. 51 del Codice si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo di azienda successiva alla aggiudicazione della gara.
Ne discende che in assenza di tale norma e siccome la cessione di azienda comporta non una successione a titolo universale del cessionario al cedente bensì invece una successione nelle posizioni attive e passive relative all’azienda tra soggetti che conservano distinta personalità giuridica, non può essere esclusa l’impresa cessionaria del ramo d’azienda che non abbia presentato le relative dichiarazioni in ordine alla posizione della cedente , con conseguente infondatezza, concludono gli stessi giudici, della doglianza avanzata dall’appellante (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -  Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.09.2010 n. 6550 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nell’ambito del criterio selettivo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, anche quando il progetto posto a base di gara è definitivo, è consentito alle imprese di proporre le variazioni migliorative rese possibili dal possesso di peculiari conoscenze tecnologiche.
La giurisprudenza sottolinea costantemente la naturale vocazione del metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa a recepire i suggerimenti innovativi provenienti dall’esperienza e dalla capacità tecnica delle imprese concorrenti.
La Sezione ha affermato infatti: “E’ insito nella scelta del criterio selettivo dell'offerta economicamente più vantaggiosa che, anche quando il progetto posto a base di gara è definitivo, deve ritenersi consentito alle imprese di proporre le variazioni migliorative rese possibili dal possesso di peculiari conoscenze tecnologiche, purché non si alterino i caratteri essenziali delle prestazioni richieste” (Consiglio Stato, sez. V, 16.06.2010, n. 3806; 12.02.2010, n. 743; 17.09.2008 n. 4398; 11.07.2008 n. 3481) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.09.2010 n. 6545 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’apposizione di una o più condizioni al rilascio di un titolo edilizio può ritenersi generalmente ammessa soltanto quando si vada ad incidere su aspetti legati alla realizzazione dell’intervento costruttivo, sia da un punto di vista tecnico che strutturale, e ciò trovi un fondamento diretto o indiretto in una norma di legge o regolamento.
Diversamente, non è possibile apporre condizioni al titolo edilizio che siano estranee alla fase di realizzazione dell’intervento edilizio.

L’apposizione di una o più condizioni al rilascio di un titolo edilizio può ritenersi generalmente ammessa soltanto quando si vada ad incidere su aspetti legati alla realizzazione dell’intervento costruttivo, sia da un punto di vista tecnico che strutturale, e ciò trovi un fondamento diretto o indiretto in una norma di legge o regolamento.
Diversamente, non è possibile apporre condizioni al titolo edilizio che siano estranee alla fase di realizzazione dell’intervento edilizio.
Difatti, il Comune non può assentire una concessione edilizia subordinatamente all’impegno del privato a rinunciare all’indennizzo dovuto, nel caso di futura espropriazione dell’opera, “in quanto tale condizione non è volta a perseguire alcun interesse pubblico riconducibile alla materia urbanistico-edilizia e si pone in contrasto con il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi” (TAR Abruzzo, Pescara, 08.02.2007, n. 153).
In tal modo, infatti, si tende al perseguimento di finalità estranee a quelle sottese al potere esercitato, legato allo svolgimento dell’attività edificatoria, funzionalizzando l’attività amministrativa ad interessi avulsi rispetto a quelli tipizzati dal legislatore: del resto, in sede di rilascio di concessioni edilizie, non si può, in via generale, apporre condizioni, sia sospensive che risolutive, ai predetti titoli abilitativi, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, stante la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale di detti provvedimenti (cfr. Consiglio di Stato, V, 24.03.2001, n. 1702).
A ciò consegue certamente l’invalidità della condizione apposta, senza tuttavia che ciò ridondi sulla validità complessiva della concessione assentita, “dal momento che l’invalidità di una condizione apposta all’atto amministrativo comporta la invalidità totale dell’atto stesso solo qualora il contenuto della condizione abbia costituito il motivo essenziale della dichiarazione di volontà, la quale presumibilmente non vi sarebbe stata senza di quella (“vitiatur et vitiat”); ma la nullità e l’invalidità totale dell’atto amministrativo, a cagione dell’invalidità della condizione, non può certamente prodursi quando si tratti –come nel caso di specie– di atti dovuti (nei quali cioè non vi sia discrezionalità nell’an) e quando l’autorità amministrativa, che si determina per il provvedimento, dovrà dare ad esso il contenuto predeterminato dalle fonti normative, in assenza di discrezionalità nel quid” (TAR Abruzzo, Pescara, 08.02.2007, n. 153) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 10.09.2010 n. 5655 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rilascio di un titolo edilizio - Apposizione di condizioni - Limiti - Fattispecie: rinuncia all’indennizzo nel caso di futura espropriazione dell’opera - Invalidità della condizione.
L’apposizione di una o più condizioni al rilascio di un titolo edilizio può ritenersi generalmente ammessa soltanto quando si vada ad incidere su aspetti legati alla realizzazione dell’intervento costruttivo, sia da un punto di vista tecnico che strutturale, e ciò trovi un fondamento diretto o indiretto in una norma di legge o regolamento.
Diversamente, non è possibile apporre condizioni al titolo edilizio che siano estranee alla fase di realizzazione dell’intervento edilizio. Ne deriva che il Comune non può assentire una concessione edilizia subordinatamente all’impegno del privato a rinunciare all’indennizzo dovuto, nel caso di futura espropriazione dell’opera, “in quanto tale condizione non è volta a perseguire alcun interesse pubblico riconducibile alla materia urbanistico-edilizia e si pone in contrasto con il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi” (TAR Abruzzo, Pescara, 08.02.2007, n. 153; cfr. altresì Consiglio di Stato, V, 24.03.2001, n. 1702).
A ciò consegue certamente l’invalidità della condizione apposta, senza tuttavia che ciò ridondi sulla validità complessiva della concessione assentita (cfr. TAR Abruzzo, Pescara, 08.02.2007, n. 153) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 10.09.2010 n. 5655 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Presupposto - Conformità dell’opera edilizia agli strumenti urbanistici - Attività edilizia oggettivamente abusiva - Ricorso all’istituto della D.I.A. - Inammissibilità.
L'operatività della D.I.A. è subordinata alla conformità dell'attività edilizia alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e, in generale, della normativa urbanistica vigente (TAR Toscana Firenze, sez. III, 20.01.2009, n. 21), come dimostra anche la circostanza che tale denuncia deve essere accompagnata dalla asseverazione di conformità (TAR Campania Napoli, sez. IV, 12.01.2009, n. 68) che attesti, tra l’altro, il rispetto delle norme di sicurezza ed igienico sanitarie. Ne consegue che, in assenza di detta conformità urbanistico-edilizia o alle normative di settore, il ricorso all’istituto non è, a priori, ammissibile, rimanendo l’opera senza titolo per mancata produzione degli effetti legali tipici. In altri termini, la valenza di tale istituto non può trasformare in lecita e/o legittima un'attività edilizia oggettivamente abusiva (TAR Campania Napoli, sez. II, 03.02.2006, n. 1506).
Attività edilizia - Autorità comunale - Potere di vigilanza - Potere di sospensione - Ingiunzione di demolizione - Artt. 23 e 27 d.P.R. n. 380/2001.
Il potere di vigilanza e controllo sull'attività edilizia attribuito all'autorità comunale non è limitato alla previsione di cui all’art. 23, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001, relativo alla disciplina della denuncia di inizio attività; trattandosi, infatti, di un potere generale attribuito all'autorità amministrativa per tutti i tipi di intervento edilizio che avvengono sul territorio di competenza, può svolgersi senza limiti di tempo e può esplicarsi sia attraverso l’esercizio del potere di sospensione che di ingiunzione alla demolizione da parte dell'ente comunale ex art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001 (TAR Campania Napoli, sez. II, 03.02.2006, n. 1506) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 10.09.2010 n. 1962 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Accesso - Diniego - Mancata impugnazione nel termine di trenta giorni - Reiterazione dell’istanza di accesso - Successivo diniego - Carattere meramente confermativo - Impugnazione - Irricevibilità.
La mancata impugnazione del diniego all'accesso agli atti e all'attività amministrativa, nel termine di 30 giorni, decorrente dalla conoscenza del provvedimento di diniego o dalla formazione del silenzio significativo, non consente la reiterabilità dell'istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego, laddove a questo possa riconoscersi carattere meramente confermativo del primo, potendo l'interessato reiterare l'istanza di accesso e pretendere riscontro alla stessa solo in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati nell'originaria istanza o anche a fronte di una diversa prospettazione dell'interesse giuridicamente rilevante (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 09.09.2010 n. 3675 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIRITTO DELLE ACQUE - Qualificazione e gestione delle acque - Aste fontanili - Artt. 94, 115, 134 e 144, D. Lgs. n. 152/2006 - Art. 41, D.Lgs. n. 152/1999 - Art. 96 R.D. n. 523/1904 - Art. 1, D.P.R. n. 238/1999.
La qualificazione di tutte le acque come appartenenti al demanio pubblico, salvo limitatissime eccezioni ribadita dal D.P.R. 18.02.1999, n. 238, art. 1, è stata da ultimo confermata dal D.Lgs. 03.04.2006, n. 152. art. 144.
Ne consegue che anche alle aste fontanili resta ancora applicabile il R.D. 25.07.1904, n. 523, art. 96, non abrogato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, che anzi lo richiama espressamente all'art. 115, sostanzialmente riproducente il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 41 e che prevede comunque il divieto di copertura di qualunque corso d'acqua che non sia imposta da ragioni di tutela della pubblica incolumità.
Né è possibile trarre argomento decisivo contro tale conclusione dal fatto della depenalizzazione della fattispecie penale relativa alle acque potabili di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 94, ad opera dell'art. 134 del medesimo decreto, che renderebbe incompatibile la persistenza del reato in esame relativamente a quelle non potabili, in considerazione comunque del particolare rilievo economico delle aste fontanili soprattutto nelle regioni del nord, che porta ad escluderne l'inclusione in categorie a tutela minore (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.09.2010 n. 32941 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Responsabilità della P. A. nei confronti dei privati - Qualificazione - Responsabilità risarcitoria - Presupposti - Colpa dell'amministrazione - Onere della prova - Artt. 2043, 2727 e 2729 cod. civ..
Si qualifica la responsabilità della pubblica Amministrazione nei confronti dei privati per l'adozione di provvedimenti illegittimi, come responsabilità aquiliana (extracontrattuale da fatto illecito), allorquando -in assenza di una causa di giustificazione- venga arrecato un danno ad una posizione soggettiva riconosciuta dall'ordinamento meritevole di tutela, indipendentemente dalla qualificazione della stessa in termini di diritto soggettivo o di mero interesse legittimo, il danneggiato può invocare in suo favore l'applicazione dell'art. 2043 cod. civ..
Pertanto, ai fini della responsabilità risarcitoria, non è sufficiente il mero dato oggettivo dell'illegittimità del provvedimento, ma deve sussistere altresì la colpa, non del funzionario agente, bensì dell'Amministrazione come apparato, da intendersi come violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione, alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità. L'onere della prova incombe, al riguardo, sul privato che si pretende danneggiato. (Corte Cass. Sez. Un. Civ. 22/07/1999, n. 500).
Anche il Consiglio di Stato, ha qualificato la responsabilità della P.A. come extracontrattuale, con tutto ciò che ne consegue anche in tema di prova dell'elemento soggettivo (C. Stato sez. IV, 29/09/2005, n. 5204; sez. IV, 26/04/2006, n. 2288), dovendo ritenersi consentita, nei confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, la utilizzazione, per la verifica dell'elemento soggettivo, delle presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 cod. civ. (C. Stato, sez. IV, 06/07/2004, n. 5012).
In tale ottica il privato danneggiato, ancorché onerato della dimostrazione della colpa dell'amministrazione, risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari, quali la gravità della violazione, il carattere vincolato dell'azione amministrativa e l'univocità della normativa di riferimento. Così che, acquisiti gli indici rivelatori della colpa, spetta all'amministrazione l'allegazione degli elementi ascrivibili allo schema dell'errore scusabile e al giudice apprezzarne e liberamente valutarne l'idoneità ad attestare o a escludere la colpevolezza (C. Stato, sez. IV, 10/08/2004, n. 5500).
È stato altresì affermato che "ferma restando la permanente difficoltà di individuare un quid pluris rispetto alla stessa illegittimità dell'atto, la colpa dell'Amministrazione deve essere valutata tenendo conto dei vizi che inficiano il provvedimento, della gravità delle violazioni imputabili all'Amministrazione, anche alla luce del potere discrezionale concretamente esercitato, delle condizioni concrete, dell'apporto eventualmente dato dai privati al procedimento" (C. Stato, sez. IV, 12/01/2005, n. 43; 11/10/2006, n. 6059) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.09.2010 n. 32941 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: L’escussione della cauzione provvisoria, disciplinata dall’articolo 48 del codice dei contratti pubblici, ha carattere tassativo e non può essere estesa ad altre ipotesi diverse.
L’escussione della cauzione provvisoria è disciplinata dall’articolo 48 del codice dei contratti pubblici. Tale norma prevede, al comma 1, che “1. Le stazioni appaltanti prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all'unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, all’escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i provvedimenti di cui all'art. 6 comma 11. L’Autorità dispone altresì la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento.”
La disposizione prevede l’incameramento della cauzione come misura sanzionatoria correlata all’accertata difformità tra le dichiarazioni e gli accertamenti effettuati, ma non specifico riguardo ai requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa. Nel caso di specie, invece, la riscontrata divergenza tra la dichiarazione contenuta nell’offerta e la successiva verifica riguarda determinati aspetti dell’offerta, destinati ad essere valutati per l’attribuzione dei punteggi e non considerati quali “requisiti” di partecipazione.
Né la lex specialis di gara prevede l’estensione della misura sanzionatoria dell’incameramento della cauzione ad altre fattispecie diverse da quelle espressamente considerate dal citato articolo 48.
La Sezione, pertanto, ritiene di confermare il consolidato indirizzo interpretativo, secondo cui la previsione dell’articolo 48 ha carattere tassativo e non può essere estesa ad altre ipotesi diverse (TAR per il Veneto, Sezione I, sentenza n. 3013 del 23.09.2008; TAR Piemonte, Sez. I, 21/12/2009 n. 3709) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2010 n. 6519 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sono ammesse varianti migliorative riguardanti le modalità esecutive dell’opera o del servizio, purché non si traducano in una diversa ideazione dell’oggetto del contratto, che si ponga come del tutto alternativo rispetto a quello voluto dalla p.a..
La Sezione ritiene che, nei limiti in cui –come correttamente ha evidenziato il TAR– sia sindacabile la valutazione della stazione appaltante in ordine alla sussistenza di inammissibile variante essenziale ovvero di variante non essenziale quindi consentita, in assenza di ulteriori specificazioni da parte del bando non sia manifestamente illogico definire quella in parola quale elemento migliorativo, o, meglio, di somma di elementi migliorativi del viadotto, costituente a sua volta parte dell’oggetto del contratto ed il cui assetto planimetrico rimane invariato, mutando invece unicamente le modalità tecniche quali-quantitative e visive di realizzazione.
In altri termini, non si tratta di opera completamente diversa da quella voluta dall’amministrazione, bensì della stessa opera, con evidenti miglioramenti, sul piano sia tecnico che estetico, e conseguenti ovvie ricadute positive sulla sicurezza e sull’incidenza ambientale, articolatamente motivate dall’offerente. Ne deriva che la medesima variante ed il positivo apprezzamento che di essa ha operato il Comune di Benevento collimano pienamente con i criteri-guida elaborati dalla giurisprudenza amministrativa in materia in materia (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19.02.2003, n. 923; sez. V, 09.02.2001, n. 578; sez. IV, 02.04.1997, n. 309), che così possono riassumersi:
- sono ammesse varianti migliorative riguardanti le modalità esecutive dell’opera o del servizio, purché non si traducano in una diversa ideazione dell’oggetto del contratto, che si ponga come del tutto alternativo rispetto a quello voluto dalla p.a.;
- è essenziale che la proposta tecnica sia migliorativa rispetto al progetto base, che l’offerente dia contezza delle ragioni che giustificano l’adattamento proposto e le variazioni alle singole prescrizioni progettuali, che si dia la prova che la variante garantisca l’efficienza del progetto e le esigenze della p.a. sottese alla prescrizione variata;
- la commissione giudicatrice ha ampio margine di discrezionalità, trattandosi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
D’altro canto, la Sezione ha già affermato che la ratio della scelta normativa comunitaria, tradottasi nel cit. art. 76 del d.lgs. n. 163 del 2006, di consentire in via generale –se, come qui previsto, autorizzate dalla stazione appaltante e nei limiti dell’autorizzato– nelle gare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa la presentazione di varianti riposa sulla circostanza che, allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato su detto criterio, la stazione appaltante ha maggiore discrezionalità e soprattutto sceglie il contraente valutando non solo criteri matematici ma la complessità dell’offerta proposta, sicché nel corso del procedimento di gara potrebbero rendersi necessari degli aggiustamenti rispetto al progetto base elaborato dall’amministrazione (cfr. Cons. St., sez. V, 11.07.2008 n. 3481) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2010 n. 6500 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione edilizia: e alla fine il TAR ha rimesso alla Corte Costituzionale il rito lombardo.
Come noto, in Regione Lombardia la ricostruzione dell’edificio per effetto della sua ristrutturazione é da intendersi senza vincolo di sagoma. In tal senso dispongono sia l'art. 27, c. 1, lett. d) e 103 l.reg. Lombardia n. 12/2005 (che non prevede la sagoma tra i parametri da rispettare) sia dell’art. 22, l.reg. Lombardia n. 7 del 05.02.2010 (che interpretando l'articolo 27 dichiara espressamente che il rispetto della sagoma non é necessario).
Con sentenza n. 5122 del 2010 la sezione seconda del TAR Lombardia, Milano, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 27, c. 1, lett. d) e 103 l.reg. Lombardia n. 12/2005 e dell’art. 22, l.reg. Lombardia n. 7 del 05.02.2010, in relazione all’art. 117, c. 3, della Costituzione.
Se la rimessione era più che attesa, può forse stupire -ma in realtà neppure più di tanto- il fatto che invece di censurare il contrasto tra funzione legislativa e funzione giurisdizionale (ossia la scelta della Regione di attribuirsi il potere di emanare norme di interpretazione autentica quando é palese l'illegittimità costituzionale della norma "interpretata"), il TAR -probabilmente prendendo atto della determinazione della stessa Regione nel senso di mantenere aperto il conflitto invece che di ricomporlo- ha rimesso alla Corte tanto la norma interpretata (articolo 27 l.r. 12/2005) che la sua interpretazione (art. 22 l.r. 7/2010).
Nell'attesa della decisione della Corte, diventano attuali i profili di riflessione in merito alle conseguenza di una pronuncia di incostituzionalità delle norme in questione. Sul punto v. Quid iuris nell'ipotesi di un pronuncia di incostituzionalità della legge interpretativa? in La ristrutturazione edilizia in Lombardia alla luce della l.r. 7/2010 di interpretazione autentica dell'art. 27 l.r. n. 12/2005 pubblicato il 30.06.2010 all'indirizzo http://www.studiospallino.it/interventi/ristrutturazione.htm (commento tratto da www.studiospallino.it).
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Come è noto, l’edilizia, pur se non prevista esplicitamente, rientra nell'ambito della materia «governo del territorio», che l'art. 117, terzo comma, della Costituzione attribuisce alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni (cfr. ex multis, Corte Cost., 25.09.2003, n. 303 e 19.12.2003, n. 362).
La Corte Costituzionale ha, difatti, affermato che “la materia dei titoli abilitativi ad edificare appartiene storicamente all'urbanistica che, in base all'art. 117 Cost., nel testo previgente, formava oggetto di competenza concorrente. La parola "urbanistica" non compare nel nuovo testo dell'art. 117, ma ciò non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia più ricompresa nell'elenco del terzo comma: essa fa parte del “governo del territorio”. Se si considera che altre materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, sono specificamente individuati nello stesso terzo comma dell'art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel “governo del territorio”, appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli connessi all'urbanistica, e che il “governo del territorio” sia stato ridotto a poco più di un guscio vuoto” (cfr. Corte Cost., 25.09.2003, n. 303).
Le Regioni esercitano, pertanto, in materia edilizia, una potestà legislativa concorrente, nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale.
In linea con tali dettami, la legge regionale lombarda n. 12/2005 precisa, all’art. 1, c. 1, che “la presente legge, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 117, terzo comma, della Costituzione detta le norme di governo del territorio lombardo, definendo forme e modalità di esercizio delle competenze spettanti alla Regione e agli enti locali, nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento statale e comunitario, nonché delle peculiarità storiche, culturali, naturalistiche e paesaggistiche che connotano la Lombardia”.
Ad avviso del Collegio, l’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, recante la definizione degli interventi edilizi, costituisce un principio fondamentale della legislazione statale, non derogabile dal legislatore regionale.
Depongono in tal senso elementi di carattere letterale e sistematico, quale la rubrica della norma “Definizioni degli interventi edilizi” e la collocazione nel titolo I della parte I, recante “Disposizioni generali”.
La natura di principio fondamentale dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, è, inoltre, desumibile dal complessivo impianto del testo unico dell’edilizia e dal rilievo centrale che in esso assumono le definizioni degli interventi edilizi.
La disciplina applicabile agli interventi edilizi è, difatti, legata alla loro qualificazione: si pensi, ad esempio, alla tipologia di titolo abilitativo -se permesso di costruire o denuncia di inizio attività– cui l’intervento è assoggettato, all’onerosità o meno dell’intervento o alla differente disciplina sanzionatoria.
In considerazione di tale valenza trasversale, le definizioni delle tipologie di intervento edilizio sono, quindi, indubbia espressione di un principio fondamentale.
Il carattere di principio fondamentale dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, legato ad una esigenza di uniformità delle nozioni, è dimostrato, infine, dalla prevalenza delle definizioni in essa previste sulle eventuali diverse disposizioni contenute negli strumenti urbanistici generali e nei regolamenti edilizi (art. 3, c. 2, d.P.R. n. 380/2001).
L’art. 3, c. 1, lett. d) del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 definisce, quali interventi di ristrutturazione edilizia, “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”.
La prima formulazione della norma ricomprendeva tra gli interventi di ristrutturazione edilizia “quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”.
L'art. 1 del d.lgs. n. 27.12.2002, n. 301 ha modificato l'art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 eliminando la locuzione “fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche di materiali a quello preesistente” e l’ha sostituita con l’espressione “ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente” (art. 1, lett. a).
In mancanza dei requisiti previsti dall’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, l'intervento non può essere qualificato quale ristrutturazione edilizia, bensì quale nuova edificazione. La lettera e) dell’art. 3, comma 1, ricomprende infatti tra gli “interventi di nuova costruzione” quelli di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti.
Due sono, dunque, le ipotesi di ristrutturazione previste dall’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001: quella contemplata dalla prima parte della norma (c.d. intervento conservativo), che può comportare anche l’inserimento di nuovi volumi o modifiche della sagoma (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 08.10.2007, n. 5214; Cass. pen, 17.02.2010, n. 16393) e quella (c.d. intervento ricostruttivo) attuata mediante demolizione e ricostruzione, vincolata al rispetto di volume e sagoma dell’edificio preesistente.
Quanto al titolo abilitativo necessario per realizzare ristrutturazioni edilizie, l’art. 10 del d.P.R. n. 380/2001 subordina a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione c.d. pesante, quelli cioè che portano alla realizzazione di un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente e consistente in un aumento delle unità immobiliari, in modifiche del volume, dei prospetti, della sagoma o delle superfici oppure, per gli immobili nella zona A, con mutamenti di destinazione d'uso (in alternativa, però, l'intervento può essere anche effettuato con denuncia di inizio attività sulla base del combinato disposto artt. 3, 10 e 22, comma 3, lett. a) del d.P.R. n. 380/2001).
In tutti le altre ipotesi di ristrutturazione, c.d. leggere -quelle cioè di portata minore– è sufficiente la previa presentazione della dichiarazione di inizio attività.
La ristrutturazione attuata mediante demolizione e ricostruzione è, quindi, soggetta alla sola dichiarazione di inizio attività solo se porta alla realizzazione di un organismo che abbia la stessa volumetria e la stessa sagoma di quello preesistente.
La giurisprudenza accoglie un’interpretazione restrittiva del concetto di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, sempre volta a cogliere gli elementi che differenziano tale tipologia di intervento da quello di nuova costruzione.
Ad un primo orientamento che escludeva la demolizione e ricostruzione dalla fattispecie di ristrutturazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.02.1996, n. 144), è seguito l'orientamento, trasfuso nel Testo Unico dell'edilizia, che ha compreso la fattispecie nella categoria della “ristrutturazione” purché “fedele”, in quanto modalità estrema di conservazione dell'edificio preesistente nella sua consistenza strutturale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10.08.2000, n. 4397).
Per la giurisprudenza pressoché unanime, anche escludendo il superato criterio della fedele ricostruzione, esigenze di interpretazione logico-sistematica della nuova normativa inducono a ritenere che la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, debba conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell'edificio debba riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma e volumi; diversamente opinando, sarebbe, difatti, sufficiente la preesistenza di un edificio per definire ristrutturazione qualsiasi nuova realizzazione eseguita in luogo o sul luogo di quella preesistente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1177/2008; sez. V, n. 476/2004; n. 5310/2003; n, 4593/2003; 18.03.2008, n. 1177; 08.10.2007, n. 5214; 16.03.2007, n. 1276; 22.05.2006, n. 3006; Cass., sez. III, 26.10.2007, 18.03.2004).
Il legame con l’edificio preesistente, quanto a sagoma -intendendosi con tale concetto “la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale”, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti (cfr. Cass. sez. III, 23.04.2004, n. 19034)- e a volumetria, costituisce, quindi, per unanime giurisprudenza, il criterio distintivo degli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente dalle nuove costruzioni.
Le identità di volume e sagoma del nuovo edificio rispetto a quello originario giustificano, inoltre, il differente regime cui sono soggetti gli interventi di ristrutturazione edilizia rispetto alle nuove costruzioni: ove la ristrutturazione mantenga inalterati i parametri urbanistici ed edilizi preesistenti, l’intervento non è, difatti, subordinato al rispetto dei vincoli posti dagli strumenti urbanistici sopravvenuti, giacché la legittimazione urbanistica del manufatto da demolire si trasferisce su quello ricostruito (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14.11.1996, n. 1359; Cons. Stato, sez. V, 28.03.1998 , n. 369; Cass. civ., sez. II, 12.06.2001, n. 7909; Tar Calabria, Reggio Calabria, 24.01.2001, n. 36; Puglia, Bari, sez. III, 22.07.2004 n. 3210) .
Delineato, così, il quadro della normativa statale, si passa all’esame della disciplina dettata, per la Regione Lombardia, dal legislatore regionale.
L’art. 27 della l.reg. Lombardia n. 12/2005, al comma 1, lett. d), prevede che “nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione parziale o totale nel rispetto della volumetria preesistente fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
A differenza dell’art. 3, d.P.R. n. 380/2001, che, come si è visto, pone un vincolo di identità di volumetria e di sagoma tra il nuovo edificio e quello preesistente, la norma regionale non menziona il limite della sagoma.
L’art. 103 della l.reg. Lombardia n. 12/2005, prevede, inoltre, che, a seguito dell’entrata in vigore della legge 12/2005, cessi di avere diretta applicazione nella Regione la disciplina di dettaglio prevista, tra l’altro, dall’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, con ciò escludendo implicitamente il carattere di principio fondamentale della norma recante le definizioni degli interventi edilizi.
Il Tar Lombardia ha ritenuto di poter accedere ad una lettura conforme alla Costituzione di queste disposizioni, nonostante l’art. 27, c. 1, lett. d), della l. reg. Lombardia n. 12/2005 non contenesse alcun riferimento al limite della sagoma dell’edificio.
Dapprima il Tar Lombardia, Brescia, con la sentenza 13.05.2008, n. 504, ha affermato che “il concetto di ristrutturazione previa demolizione come intervento che rispetta sia il volume sia la sagoma dell’edificio preesistente è ben fermo e ripetuto di frequente in giurisprudenza, sì che è poco credibile che il legislatore regionale, il quale intendesse abbandonarlo per proporre una innovazione, lo abbia fatto per implicito, senza palesare con termini espressi tale intento”. Ha ritenuto incongruo che l’esigenza del limite di sagoma “possa venire accantonata senz’altro dalle legislazione regionale” e, quindi, “seguendo il costante insegnamento della Corte costituzionale per cui sin quando è possibile una legge ordinaria va interpretata in modo conforme a Costituzione” ha concluso che “il limite della sagoma, attinente ad un principio, nella norma lombarda che non lo prevede espressamente, vada ricavato per via di interpretazione logica e sistematica”.
Successivamente, anche questo Tar ha sostenuto che l’art. 27, c. 1, l. d), della L.R. Lombardia 11.03.2005, n. 12 dovesse interpretarsi nel senso di prescrivere anche il rispetto della sagoma dell’edificio preesistente, in quanto tale requisito, previsto dall’art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. 380/2001, costituisce espressione di un principio generale che orienta anche l’interpretazione della legislazione regionale (Tar Lombardia Milano, sez. II, 16.01.2009, n. 153).
Una tale soluzione dell’antinomia tra le previsioni dell’art. 27, c. 11, lett. d), della l.reg. Lombardia n. 12/2005 ed il principio fondamentale dettato dall’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 non può però più essere accolta.
Con l’art. 22 della l. reg. n. 7 del 05.02.2010, il legislatore regionale ha, difatti, adottato una norma di interpretazione autentica, specificando che “nella disposizione di cui all’art. 27, c. 1, lett. d), ultimo periodo, della legge regionale 11.03.2005, n. 12 la ricostruzione dell’edificio è da intendersi senza vincolo di sagoma”.
Ad avviso del Collegio, il combinato disposto degli artt. 27, c. 1, lett. d), ultimo periodo, della l.reg. Lombardia n. 12/2005, come interpretato dalla l.reg. n. 7/2010 -nella parte in cui esclude l’applicabilità del limite della sagoma alle ristrutturazioni edilizie mediante demolizione e ricostruzione- e 103 della l.reg. Lombardia n. 12/2005 -nella parte in cui prevede che, a seguito dell’entrata in vigore della legge 12/2005, cessi di avere diretta applicazione nella Regione la disciplina di dettaglio prevista, tra gli altri, dall’art. 3, d.P.R. n. 380/2001- si pone in aperto contrasto con il principio fondamentale della legislazione statale dettato dall’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 in materia di governo del territorio e viola, dunque, l’art. 117, c. 3 della Costituzione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.09.2010 n. 5122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il decorso del termine perentorio di 30 giorni dalla presentazione della dichiarazione di inizio attività costituisce il presupposto per l’esercizio del potere di autotutela: prima di tale termine all’amministrazione compete, difatti, il differente potere di verificare la sussistenza dei requisiti e presupposti normativi per l’esercizio dell’attività oggetto di denuncia e, se del caso, di inibire l’intervento edilizio.
Già prima dell’entrata in vigore della legge n. 80/2005, la giurisprudenza affermava la sussistenza, in capo alla p.a., di un potere residuale di intervento in autotutela sulla dichiarazione di inizio attività, successivamente alla scadenza del termine previsto dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio (Cons. Stato, sez. IV, 04.09.2002, n. 4453).
Con la legge n. 80/2005, il legislatore ha recepito questo orientamento giurisprudenziale ed ha modificato l’art. 19 della l. n. 241/1990 -norma che detta una disciplina generale della dichiarazione di inizio attività applicabile anche alla d.i.a. edilizia- facendo espressamente “salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies”.
Nessun dubbio sussiste, dunque, sulla possibilità per l’amministrazione di esercitare il potere di autotutela sulla d.i.a., e ciò a prescindere dalla soluzione della questione di quale sia la natura giuridica che ad essa si intenda attribuire.
Il Collegio ritiene, comunque, che il riferimento all’autotutela possa spiegarsi anche restando entro i confini della linea interpretativa secondo cui la d.i.a. è un atto del privato: il potere di autotutela sulla d.i.a. è, difatti, da intendersi come un potere sui generis che della consueta autotutela decisoria condivide soltanto i presupposti ed il procedimento -dovendo essere esercitato entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico- e che da essa si differenzia poiché non implica un’attività di secondo grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo.
Il richiamo, ad opera dell’art. 19 della l. n. 241/1990, agli artt. 21-quinquies e 21-nonies va, quindi, riferito alla possibilità di adottare non già atti di autotutela in senso proprio, ma di esercitare i poteri di inibizione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti, nell’osservanza dei presupposti sostanziali e procedimentali previsti dal tali norme (Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 717/2009).
Il decorso del termine perentorio di 30 giorni dalla presentazione della dichiarazione di inizio attività costituisce il presupposto per l’esercizio del potere di autotutela: prima di tale termine all’amministrazione compete, difatti, il differente potere di verificare la sussistenza dei requisiti e presupposti normativi per l’esercizio dell’attività oggetto di denuncia e, se del caso, di inibire l’intervento edilizio.
Pur se, con il perfezionarsi della d.i.a., si consolida in capo al privato una posizione di affidamento meritevole di protezione, tuttavia, “tale affidamento non è certamente così forte da escludere qualsiasi potere di intervento da parte della p.a., anche perché altrimenti per effetto della d.i.a., si andrebbe a consolidare una posizione più stabile rispetto a quella che deriva dal provvedimento autorizzatorio (il quale, ricorrendo le condizioni di legge, può essere appunto rimosso in via di autotutela)” (Cons. Stato, sent. n. 717/2009).
Non può, quindi, ritenersi che il decorso del termine di 30 giorni ingeneri un affidamento che prevalga, per ciò solo, su ogni interesse pubblico alla rimozione del titolo abilitativo perché, se così fosse, verrebbe negata in radice ogni possibilità per l’amministrazione di intervenire in autotutela.
È, pertanto, legittima la valutazione compiuta dal Comune di Besozzo che ha escluso la sussistenza in capo agli istanti di una posizione di affidamento in considerazione del decorso di un breve lasso di tempo tra la pronuncia di questo Tar del 04.12.2007, n. 6542 -di annullamento del provvedimento del 27.03.2007, con cui il Comune aveva inibito la realizzazione dell’attività edilizia oggetto della d.i.a. (prima di tale momento, difatti, non poteva sussistere in capo ai ricorrenti alcuna posizione di affidamento circa la legittimità dell’attività edilizia ma semmai la sola aspettativa di un esito positivo della controversia)- e l’esercizio del potere di autotutela, con l’adozione, in data 22.01.2008, del provvedimento impugnato.
Altresì corretta è stata la considerazione dell’amministrazione che ha escluso la sussistenza di una posizione di affidamento anche perché non era ancora stata posta in essere alcuna attività edificatoria (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.09.2010 n. 5122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di mere operazioni di sbancamento non è, invero, sufficiente a configurare l’inizio di una vera e propria attività edificatoria.
La realizzazione di mere operazioni di sbancamento non è, invero, sufficiente a configurare l’inizio di una vera e propria attività edificatoria (cfr. la giurisprudenza in tema di decadenza del permesso di costruire: Tar Lombardia Milano, sez. II, 08.03.2007, n. 372; Tar Lazio, Roma, sez. II, 11.05.2006, n. 3480; Cons. Stato, sez. IV, 03.10.2000, n. 5242) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.09.2010 n. 5122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Stipula del contratto - Discrezionalità dell’amministrazione - Limite dei principi di buona fede e correttezza - Tutela dell’affidamento del privato - Responsabilità precontrattuale - Art. 1337 c.c. - Fattispecie: omessa verifica della copertura finanziaria.
Se è vero che deve riconoscersi la libertà dell'Amministrazione di non dare corso all'aggiudicazione con la stipula del contratto (Cfr. Tar Basilicata n. 829/2004; Tar Napoli 3258/2002; Tar Salerno 163/2004), è pur vero che l'insindacabilità della discrezionalità dell'Amministrazione incontra, pur sempre, un limite insuperabile nei principi di buona fede e correttezza di cui all’art. 1337 c.c., alla cui puntuale osservanza è tenuta anche la P.A., e nella tutela dell'affidamento ingenerato nel privato.
Segnatamente, realizza un comportamento divergente dalle menzionate regole di buona fede e correttezza l’amministrazione che, nel porre in essere una procedura di affidamento di lavori, non addivenga alla stipula del contratto per l’omessa verifica e vigilanza sulla sussistenza della relativa copertura finanziaria.
E’ onere dell’amministrazione che ha indetto la gara, infatti, vigilare sulla sussistenza, prima, e sulla permanenza, poi, dei presupposti finanziari necessari alla stipula del contratto ed alla sua esecuzione (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 07.09.2010 n. 2167 - link a www.ambientediritto.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Deve sempre sussistere nei concorsi pubblici una riserva di posti per coloro che rappresentano una categoria c.d. debole, anche se il bando di concorso non l‘ha prevista.
La legge n. 482/1968 prevede espressamente la riserva di posti “allo scopo di favorire e tutelare il concreto collocamento al lavoro di coloro che rappresentano una categoria c.d. debole, in considerazione di menomazioni fisiche contratte in particolari circostanze (invalidi di guerra, civili, per servizio o per lavoro, privi della vista e sordomuti, ovvero gli orfani o le vedove di deceduti per fatti o infermità di analogo genere), nell'evidente presupposto che costoro abbiano particolari difficoltà nel reperire una occupazione, anche in adesione a tradizionali e consolidati principi di solidarietà umana e sociale” (sentenza del 09.07.2005 n. 3698).
Ciò comporta l’attribuzione di un carattere cogente alle disposizioni, per cui la riserva opera anche se il bando di concorso non l’ha prevista e, d’altro canto, essa si applica necessariamente anche alle selezioni per soli titoli, comunque preordinate all’assunzione (sentenza cit.).
Occorre aggiungere che i medesimi principi esigono che l’Amministrazione operi in maniera non formalistica nell’individuare i presupposti per accordare il beneficio, al fine di non vanificare le rilevanti ragioni sottese al riconoscimento della riserva di posti, di cui s’è detto (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 07.09.2010 n. 1935 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso in sanatoria - Presupposti per rilascio - Verifiche e obblighi del giudice penale - Art. 36, d.P.R. 380/2001.
Nel valutare il permesso in sanatoria, ex art. 36, d.P.R. 380/2001, il giudice non può semplicisticamente prendere atto della esistenza di tale titolo abilitativo affermando, in maniera apodittica, la conformità delle opere agli strumenti urbanistici, omettendo ogni valutazione in merito alla sussistenza dei presupposti per il legittimo rilascio del permesso, nonostante le opere fossero state riconosciute non sanabili.
Permesso in sanatoria - Verifica della c.d. doppia conformità e a tutti i parametri di legalità - Effetti - Verifica obbligatoria del giudice - Artt. 36, 44 e 45, d.P.R. n. 380/2001.
Ai sensi dell'art. 36, d.P.R. 380/2001, il responsabile dell'abuso o il proprietario possano ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda (c.d. doppia conformità).
Sicché, è pacifico, che il rilascio del permesso, ex art. 36 d.P.R. 380/2001, non determina automaticamente la estinzione del reato, dovendo il decidente, comunque, accertare la legittimità sostanziale del titolo sotto il profilo della sua conformità alla legge (Cass. 30/01/2003, in p.m. c Ciaravella), in quanto nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, esso decidente è tenuto ha verificare la conformità a tutti i parametri di legalità, fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria, non potendosi limitare alla verifica della esistenza ontologica del provvedimento amministrativo autorizzatorio, e deve accertare la integrazione o meno della fattispecie penale in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela, nella specie tutela del territorio (Cass. S.U. 21/12/1993, Borgia; Cass. 29/01/2001, n. 11716) (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 01.09.2010 n. 32543 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Integrazione documentale - Art. 46 Codice dei Contratti - Atti tempestivamente depositati - Violazione formale - Mancata alterazione della par condicio.
L’art. 46 del Codice dei Contratti è espressione, nel settore degli appalti pubblici, dei principi che sovrintendono l’istruttoria procedimentale, consacrati nell’art. 6 della L. 241 del 1990.
La disposizione deve essere intesa nel senso che l’Amministrazione deve disporre la regolarizzazione quando gli atti, tempestivamente depositati, contengano elementi che possano costituire un indizio e rendano ragionevole ritenere sussistenti i requisiti di partecipazione.
Quindi, quando il documento è già stato presentato in sede di gara, anche se parzialmente, è consentita la sua regolarizzazione se la violazione è squisitamente formale ed il rimedio, in concreto, non altera la par condicio tra i concorrenti (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 01.09.2010 n. 2163 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Accertamenti, ispezioni e controlli - Genuinità dell’accertamento - Comunicazione di avvio del procedimento - Momento in cui è dovuta - Individuazione.
Mentre gli accertamenti, le ispezioni ed i controlli cd. a sorpresa (aventi natura di mere attività preistruttorie, di accertamento preliminare all’avvio dei procedimenti volti ad ottenere il rispetto della normativa antinquinamento) non debbono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, per non rischiare di comprometterne la genuinità, sussiste invece l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, in relazione al vero e proprio inizio di quest’ultimo (C.d.S., Sez. VI, 18.05.2004, n. 3190) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 31.08.2010 n. 5148 - link a www.ambientediritto.it).

ESPROPRIAZIONE: Risarcimento danni per illegittima occupazione e trasformazione aree - Decreto di esproprio nullo e privo di giuridica efficacia - Giudizio di ottemperanza - Limiti di procedibilità - Fondi occupati illegittimamente - Proprietà - Fattispecie - Artt. 37 L. n. 1034/1971 e 27 R.D. n. 1054/1924.
Il giudizio di ottemperanza previsto dagli artt. 37 della legge n. 1034 del 1971 e 27 del R.D. n. 1054 del 1924 è diretto a far dichiarare il dovere dell’Amministrazione a conformarsi alle decisioni coperte da giudicato per far conseguire agli interessati l’utilitas o il bene della vita già loro riconosciuta in sede di cognizione nell’ambito del quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione sulla base del petitum, causa petendi e motivi del decisum (Cons. Stato Sez. IV 16/11/2007 n. 5883).
Nella specie, il TAR disponeva il rigetto dei ricorsi “dovuto da una parte al fatto che i fondi occupati sono ancora di proprietà dei ricorrenti i quali possono pretenderne la immediata restituzione e dall’altro lato ad una incompletezza delle domande, non essendo stata formulata né richiesta di restituzione né di risarcimento di danni diversi da quelli conseguenti alla perdita della proprietà”.
Lo stesso Tribunale nel dispositivo accertava e dichiarava che il decreto di esproprio, “emesso dal Comune di è nullo e privo di giuridica efficacia” (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5175 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ingiunzione di demolizione immobile - Lesione di interesse legittimo - Risarcimento del danno a carico della P.A. - Presupposti - Art. 2043 codice civile.
Il risarcimento del danno derivante da lesione di interesse legittimo, a carico della P.A. non costituisce un semplice effetto automatico dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato, richiedendo esso la verifica positiva di specifici requisiti, quali l’accertamento dell’imputabilità dell’evento dannoso alla responsabilità dell’amministrazione, l’esistenza di un danno patrimoniale ingiusto, il nesso causale tra l’illecito compiuto e il danno subito, l’esistenza di una condotta della P.A. caratterizzata dalla colpa (Cons. Stato Sez. V 12/12/2009 n.7800; idem, Sez VI n. 4689/2008) (sentenza del TAR PUGLIA - Sez. staccata di LECCE, Sezione III n. 05034/2005) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5160 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: PRG - Destinazione delle singole aree - Discrezionalità dell’Amministrazione - Sindacato giurisdizionale - Esclusione - Eccezione - Errori di fatto o da abnormi illogicità - Fattispecie.
In materia di pianificazione territoriale, le scelte effettuate dall'amministrazione per la destinazione delle singole aree, al momento dell'adozione del piano regolatore generale o di variante al medesimo, costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato giurisdizionale, salvo che non siano affette da errori di fatto o da abnormi illogicità (fattispecie: pianificazione territoriale e diniego concessione edilizia per realizzazione di un edificio residenziale) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5157 - link a www.ambientediritto.it).

AGGIORNAMENTO AL 13.09.2010

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UTILITA'

SICUREZZA LAVORO: Sicurezza di macchine e attrezzature: Indicazioni operative da ISPESL e Regione Lombardia.
ISPESL e Regione Lombardia hanno elaborato un documento dal titolo "Indicazioni operative e procedurali sull'applicazione del D. Lgs. 09.04.2008 n. 81 e s.m.i. relativamente agli aspetti inerenti la sicurezza impiantistica delle macchine e delle attrezzature impiegate nei luoghi di lavoro".
Il documento, che fornisce indicazioni operative e procedurali alla luce delle integrazioni e modifiche introdotte dal D. Lgs. 106/2009, è stato redatto da un gruppo di lavoro costituito da funzionari dei Dipartimenti ISPESL e delle ASL della Lombardia.
Le informazioni riguardano tre tipologie di attrezzature e impianti che sono oggetto di controllo e/o verifica da parte dei due enti:
- impianti elettrici;
- apparecchi di sollevamento;
- apparecchi a pressione (PED) (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: La Valutazione del rischio da stress lavoro-correlato: gli atti del Convegno di Perugia.
ACTAS (associazione per la cultura e le tecnologie dell'ambiente e della sicurezza) ha reso disponibile in rete la sintesi delle relazioni presentate in occasione del seminario di aggiornamento per RSPP organizzato nell'ambito della convenzione con il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Perugia ... (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: G.U. 10.09.2010 n. 212 "Regolamento recante norme relative al rilascio delle informazioni antimafia a seguito degli accessi e accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici" (D.P.R. 02.08.2010 n. 150).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Il foglio dei lavoratori della Funzione Pubblica (CGIL-FP di Bergamo, settembre 2010).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: La disciplina delle assunzioni dal 1° gennaio 2011 negli enti locali (CGIL-FP di Bergamo, nota 06.09.2010).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: La disciplina delle assunzioni fino al 31.12.2010 negli enti locali (CGIL-FP di Bergamo, nota 06.09.2010).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: I. Pisani, Codice dei beni culturali e del paesaggio: prime riflessioni in tema di interventi di lieve entità (link a www.studiospallino.it).

NEWS

APPALTIAppalti p.a., niente salti nel buio. Arriveranno martedì le linee guida dell'Authority ll.pp.. L'organismo guidato da Giuseppe Brienza al lavoro sul testo. L'Ance: serve una moratoria.
Arriveranno martedì le linee guida esplicative per l'applicazione della legge sulla tracciabilità dei pagamenti negli appalti pubblici (legge n. 136/2010, in vigore da martedì).

La determina che sta scrivendo l'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici metterà fine, è l'intento, all'impasse che si è determinata nei rapporti tra pubblica amministrazione e mondo delle imprese in relazione ai contratti per gli appalti pubblici.
Situazione che ha portato di fatto al blocco dei pagamenti da parte delle stazioni appaltanti. A scrivere le linee guida applicative, che arrivano in differita rispetto all'entrata in vigore della legge, martedì 07.09.2010, è ora l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici cui il ministero dell'interno ha delegato il compito, dopo aver precisato, giovedì sera, con una circolare inviata a tutti i prefetti, che l'applicazione dell'articolo 3 della legge 136/2010 sulla tracciabilità dei pagamenti non ha valore retroattivo. Interpretazione accolta dall'Authority che ieri ha ribadito che la norma sulla tracciabilità dei pagamenti non si applica ai contratti in essere, ma soltanto ai contratti stipulati dopo l'entrata in vigore della legge. (si veda articolo qui a fianco).
Ancora, l'Autorità ha fatto sapere di essersi impegnata a licenziare a tambur battente la determina con il regolamento che illustra operativamente come dovranno essere applicate le norme contenute nella legge che fa parte del pacchetto normativo antimafia messo a punto dal governo nella lotta contro le infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti pubblici.
La determina dell'Autorità guidata dal senatore Giuseppe Brienza, che dal 2 luglio ha assunto l'incarico di facente funzioni dell'organismo per la sorveglianza sugli appalti pubblici, in sostituzione dell'ex presidente Luigi Giampaolino, sarà emanata martedì, secondo quanto ha annunciato Brienza specificando che alla stesura del provvedimento stanno ancora lavorando in queste ore i suoi uffici.
Inoltre, il numero uno dell'organismo di via di Ripetta, ha dichiarato che lo schema di regolamento con le linee guida, che tiene conto delle esigenze espresse dagli operatori dell'industria delle costruzioni e dell'edilizia, saranno discusse nella riunione che l'Authority ha già convocato per lunedì.
Al tavolo siederanno i rappresentanti delle associazioni imprenditoriali interessate, dell'Anci, Upi, Avvocatura generale dello stato, stazioni appaltanti come l'Anas e ministeri competenti (infrastrutture e giustizia). In quella sede l'Authority sottoporrà alle parti il testo «che chiarirà», ha spiegato Brienza, «i nodi applicativi sollevati dagli operatori nella riunione, mercoledì scorso, al ministero dell'interno».
«Faremo chiarezza sul problema dei conti correnti dedicati ad ogni singolo appalto, sui codici identificativi dei progetti cui dovranno dotarsi i comuni (cup) e l'Authority (cig) ai fini della tracciabilità dei pagamenti negli appalti pubblici», ha specificato Brienza, «dopo l'approvazione del documento al tavolo di lunedì, martedì' il consiglio dell'Autorità approverà la determina che verrà emanata immediatamente».
In questa situazione, secondo l'Authority di Brienza non sarà necessario il decreto di sospensione temporanea della legge, così come era stato richiesto dall'Ance e dalle associazioni imprenditoriali. Ma ancora ieri sera, il presidente nazionale dei costruttori, Paolo Buzzetti (Ance), ha insistito sulla necessità di una moratoria «pur apprezzando il lodevolissimo sforzo in atto e dopo il chiarimento in merito alla non retroattività della legge n. 136/2010 sugli appalti in essere. La sospensione sull'applicabilità del provvedimento», ha spiegato, «è necessaria per capire in maniera inequivoca tutti i nodi applicativi della legge» (articolo ItaliaOggi dell'11.09.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it).).

APPALTILa tracciabilità dei pagamenti si applica ai nuovi contratti.
Inapplicabile ai contratti in corso la tracciabilità dei flussi finanziari prevista dalla legge 136 e relativa agli appalti pubblici.
Lo afferma il ministero dell'interno nella lettera 09.09.2010, prot. 13001/118/Gab, dal gabinetto del ministro Roberto Maroni ai prefetti per risolvere l'immediato problema operativo. Sarà invece l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, con una apposita determina che sarà emanata la prossima settimana, a chiarire i profili applicativi della disposizione di cui dovrà essere assicurata la piena effettività per tutta la cosiddetta filiera delle imprese coinvolte nei lavori, nelle forniture e nei servizi.
L'ipotesi di un decreto legge sembra però ancora aperta, sia per la valenza giuridica della nota, sia perché il settore imprenditoriale rimane comunque preoccupato per l'effetto di blocco dei pagamenti e delle attività di tutta la filiera produttiva. L'intervento del Viminale fa seguito ad una apposita riunione svoltasi nei giorni scorsi con i rappresentanti delle imprese, con l'Avvocatura generale, la procura Antimafia e con l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici e non assume neanche la forma di una vera e propria circolare, trattandosi di una lettera indirizzata ai prefetti e ai commissari governativi di Trento e Bolzano e alla prefettura di Aosta.
La lettera afferma che l'articolo 3 della legge 136/2010 sull'obbligo di effettuare pagamenti tramite bonifico bancario o postale su conti dedicati, deve applicarsi soltanto «ai contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge», cioè a tutti i contratti posti in essere dopo il 07.09.2010. La motivazione sottesa a questo chiarimento è duplice: in primo luogo si sostiene che, laddove il legislatore abbia inteso applicare le norme da esso dettate ai rapporti negoziali già in essere «lo ha sancito espressamente».
A conferma di ciò, si cita la norma della stessa legge che, con riguardo alla banca di dati nazionale unica della documentazione antimafia, prevede l'immediata efficacia delle informative negative «con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione». La seconda ragione addotta dal ministero afferisce a un profilo di merito e applicativo: si dice infatti che l'applicazione della tracciabilità anche ai contratti in essere si porrebbe in violazione delle norme civilistiche in materia di autonomia negoziale, dal momento che inciderebbe in modo sostanziale sull'assetto del rapporto contrattuale.
Il pericolo, in questa (denegata) ipotesi sarebbe quello di contenziosi che avrebbero pesanti conseguenze per le stazioni appaltanti e per le imprese coinvolte. La nota ministeriale ribadisce invece che rimane ferma l'efficacia della disposizioni sulla tracciabilità dei flussi finanziari previste da leggi speciali come quelle per l'Abruzzo e per l'Expo 2015; per questi contratti, in essere o ancora da stipulare, nulla cambia.
Nel frattempo la palla è passata all'Autorità di via di Ripetta che sta lavorando ad una bozza di determina che dovrebbe essere pronta la prossima settimana. E proprio per definire i contenuti del provvedimento la presidenza dell'Autorità ha convocato per lunedì pomeriggio una riunione con tutti i soggetti interessati (articolo ItaliaOggi dell'11.09.2010, pag. 31).

EDILIZIA PRIVATAAutorizzazione paesaggistica light. Iter semplificato per modifiche a balconi, scale e coperture. In vigore le norme del dpr 139/2010 che riguarda i nulla osta per gli interventi di lieve entità.
Diventa operativa l'autorizzazione paesaggistica light. È entrato in vigore il 10.09.2010 il dpr 09.07.2010, n. 139, e cioè il regolamento sul procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità.
Il provvedimento, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26.08.2010, ha immediata efficacia per le regioni a statuto ordinario; le regioni a statuto speciale devono adeguare la propria normativa.
Certo si tratta di piccoli interventi, ma molto frequenti. Si pensi agli interventi sui prospetti degli edifici esistenti (aperture di porte e finestre o modifica delle aperture esistenti per dimensione e posizione, chiusura di terrazze o di balconi chiusi su tre lati mediante installazione di infissi, realizzazione, modifica o sostituzione di scale esterne), oppure a interventi sulle coperture degli edifici esistenti (rifacimento del manto del tetto e delle lattonerie), agli impianti tecnologici ecc..
Si può attivare il procedimento semplificato e accelerato anche per ampliamento con incrementi di volume, ma non superiori al 10% della volumetria della costruzione originaria e comunque non superiore a 100 mc, e anche le demolizioni e ricostruzioni con stessa volumetria e sagoma preesistenti.
Insomma un notevole numero di interventi (circa il 75% del totale) è interessato dalle semplificazioni di procedura e organizzative.
Vediamo perché si allegerisce la disciplina dello speciale nulla osta necessario per realizzare piccoli interventi edilizi in aree sottoposte a vincoli.
Quanto alle semplificazioni di procedura vanno segnalati da una semplificazione del fascicolo del procedimento, con un coinvolgimento della responsabilità del progettista, che deve attestare la conformità dell'intervento.
La semplificazione significa riduzione dei tempi massimi di conclusione del procedimento: sono previsti sessanta giorni, contro i vecchi 105. Se, poi, il provvedimento è negativo, addirittura ci si ferma a trenta giorni (salvo che via siano istanze di riesame al soprintendente).
In effetti può dirsi che la pratica non arrivi nemmeno al soprintendente, se non supera alcuni passaggi iniziali in cui si verificano rispettivamente la conformità edilizia e poi quella paesaggistica: se l'amministrazione competente (comune o, in qualche caso, provincia o regione) esprime valutazione negativa la domanda viene direttamente rigettata, senza investire del procedimento la soprintendenza competente per territorio).
La palla passa al soprintendente in caso di valutazione positiva della conformità, o della compatibilità paesaggistica. Se la valutazione del soprintendente conferma la valutazione del comune o comunque dell'ente preposto, allora formula un parere vincolante favorevole e l'ente stesso provvede a rilasciare l'autorizzazione.
L'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione deve adottare il provvedimento conforme al parere vincolante favorevole entro cinque giorni successivi alla ricezione del parere e contestualmente, se ne ha la competenza, rilascia anche il permesso di costruire e comunque il titolo legittimante l'edificazione. Inoltre non c'è bisogno di motivare l'autorizzazione se non con un rinvio al parere della soprintendenza, che va allegato.
Se la valutazione del soprintendente è negativa (e quindi in contrasto con quella positiva dell'amministrazione locale) il soprintendente rigetta direttamente l'istanza, senza investire nuovamente l'ente della pratica.
Tra l'altro non è detto che il soprintendente debba pronunciarsi per forza: una volta ricevuta la pratica, se il soprintendente rimane inerte e non formula il suo parere, l'amministrazione competente deve andare avanti lo stesso e rilasciare l'autorizzazione, senza indire la conferenza di servizi (come sarebbe previsto, invece, dall'articolo 146, comma 9, del codice sull'ambiente.
Altro elemento acceleratorio consiste nel fatto che l'autorizzazione paesaggistica è immediatamente efficace, senza alcun periodo di moratoria.
Sempre da un punto di vista del procedimento un'altra spinta alla semplificazione e allo snellimento dovrebbe arrivare dalla tecnologia della comunicazione: se possibile l'istanza si presenta per via telematica (articolo ItaliaOggi dell'11.09.2010, pag. 28).

APPALTIL'agenzia delle entrate ci ripensa. Carichi pendenti, solo accertamenti definitivi.
I certificati dei requisiti fiscali emessi a norma dell'art. 38 del Codice dei contratti pubblici, non devono tener conto degli accertamenti ancora pendenti e pertanto non definitivi.
Questo è il senso di una recentissima circolare dell'Agenzia delle entrate – Direzione centrale normativa, che ha parzialmente modificato una precedente impostazione della stessa amministrazione finanziaria.
La circolare in esame (la n. 41/E del 03.08.2010), concerne alcuni aspetti legati alla «certificazione dei requisiti fiscali richiesti per la partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi e relativi subappalti, di cui al decreto legislativo 12.04.2006 n. 163, recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce».
Infatti da più parti vi erano stati interrogativi sulla portata applicativa, in special modo, dell'art. 38 della norma in esame.
L'articolo 38 del dlgs 12/04/2006 n. 163, infatti, dispone l'esclusione dalla partecipazione alle citate procedure di affidamento per i soggetti «che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti».
La stessa norma impone infatti che l'attestazione del possesso dei requisiti ora ricordati, possa essere fornita anche mediante dichiarazione sostitutiva, in conformità alle disposizioni del dpr 28.12.2000 n. 45.
Le dichiarazioni rese dai soggetti interessati, naturalmente possono essere poste al vaglio del controllo dell'Amministrazione finanziaria, e punite secondo le leggi vigenti in caso di dichiarazioni mendaci.
È sempre possibile richiedere, a cura di chi effettua la dichiarazione sostitutiva, all'Amministrazione finanziaria per i tributi su cui ha la competenza esclusiva, «conferma scritta della corrispondenza di quanto dichiarato con le risultanze dei registri da questa custoditi».
La relativa modulistica, è quella prevista dal Provvedimento dell'Agenzia delle entrate del 25/06/2001, relativa alla «certificazione dei carichi pendenti risultanti al sistema informativo dell'anagrafe tributaria
La circolare chiarisce, in modo chiaro e inequivocabile, che come espressamente previsto dal citato art. 38 del Codice dei contratti pubblici, l'irregolarità fiscale rilevante ai fini dell'esclusione delle procedure di affidamento può dirsi integrata qualora in capo al contribuente sia stata definitivamente accertata una qualunque violazione relativa agli obblighi di pagamento di tributi di competenza dell'Agenzia delle entrate. Del pari non si può considerarsi causa ostativa dalla partecipazione di procedure pubbliche di affidamento di lavori e appalti, nel caso in cui al momento della richiesta della certificazione, il contribuente abbia integralmente soddisfatto la pretesa dell'Amministrazione finanziaria, anche mediante definizione agevolata.
Inoltre, e questo è il chiarimento più significativo fornito nella Circolare del 3 agosto scorso, la definitività dell'accertamento, consegue al decorso del termine per l'impugnazione senza che venga proposto ricorso o istanza per l'accertamento con adesione.
Ovvero, qualora sia presentata impugnazione, che sia passata in giudicato la pronuncia giurisdizionale.
Pertanto gli Uffici locali dell'Agenzia dovranno iscrivere nella certificazione in argomento, solo esclusivamente le violazione definitivamente accertate in relazione al pagamento di tributi. In particolare, la circolare riferisce che è stato evidenziato che potrebbero determinarsi disparità di trattamento con riferimento alle ipotesi in cui alla gara partecipino anche soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato, per i quali tale certificazione non viene rilasciata dall'Agenzia delle entrate.
Appare chiaro che questi soggetti esteri potrebbero risultare favoriti nella partecipazione alle procedure di affidamento rispetto a soggetti stabiliti in Italia, qualora le informazioni in merito al requisito della regolarità fiscale rese dalle loro Amministrazioni fiscali fossero più scarne rispetto a quelle relative ai concorrenti nazionali.
Tenuto conto che la valutazione della sussistenza del requisito della regolarità fiscale spetta, comunque, alla stazione appaltante, occorre garantire l'uniformità dell'attività degli uffici dell'Agenzia incaricati della redazione dei suddetti modelli di certificazione in senso più strettamente corrispondente ai requisiti prescritti dal Codice dei contratti pubblici, coerentemente con quanto sopra argomentato in merito alle certificazioni rilasciate dalle amministrazioni fiscali di soggetti esteri.
Pertanto l'Agenzia, concludendo la circolare, ribadisce che nel certificato dei requisiti fiscali, devono essere indicate esclusivamente le violazioni definitivamente accertate (articolo ItaliaOggi del 10.09.2010, pag. 40).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Il diritto di assentarsi dal lavoro per 24 ore al mese va sempre riconosciuto. Permessi al capogruppo. Sì al beneficio anche se è l'unico rappresentante.
Un consigliere comunale, dipendente di una ditta privata e unico rappresentante di un partito in consiglio comunale, nel corso del mandato è confluito in altro gruppo consiliare, lasciando il gruppo di appartenenza non rappresentato; successivamente è rientrato nella originaria lista di provenienza. È possibile riconoscere a tale amministratore locale i permessi di cui all'art. 79, comma 4, del dlgs n. 267/2000 o, invece, è necessario, per fruire del beneficio richiesto, che il gruppo consiliare sia comunque formato da almeno due unità? E la lista originaria di appartenenza può considerarsi di nuovo in vita su semplice dichiarazione del soggetto interessato?
L'art. 79, comma 4, del dlgs. n. 267/2000 prevede che «i presidenti dei gruppi consiliari delle province e dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, hanno diritto, oltre hai permessi di cui ai precedenti commi, di assentarsi dai rispettivi posti di lavoro per un massimo di ventiquattro ore lavorative al mese».
La norma prevista dall'art.79, comma 4 del dlgs n. 267/2000, fa riferimento alla figura di «presidente del gruppo consiliare», pertanto i permessi sopraindicati possono essere fruiti dall'amministratore che ricopre la carica di «capogruppo consiliare» solo nel caso in cui, in base a norme statutarie e regolamentari del comune, la figura di capogruppo consiliare è in tutto assimilabile, per compiti e attribuzioni, a quella di presidente di gruppo consiliare.
Poiché il numero minimo dei componenti dei gruppi consiliari è lasciato all'autonomia tanto statuaria che regolamentare dell'ente locale, non possono non riconoscersi al consigliere, unico componente del gruppo, le prerogative, compresi i permessi di cui all'art. 79, comma 4 del dlgs n. 267/2000, riconosciute al presidente del gruppo consiliare, perché di fatto ricopre tale incarico.
Inoltre il consigliere, ritornando nell'originaria lista di appartenenza, poiché unico rappresentante del gruppo consiliare, può fruire nuovamente dei permessi di cui all'art. 79, comma 4, del dlgs n. 267/2000 naturalmente dandone comunicazione scritta al sindaco (articolo ItaliaOggi del 10.09.2010, pag. 39).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Delibere consigli provinciali.
Sono valide le deliberazioni adottate da un consiglio provinciale prima che ne fosse ridefinita la composizione?
Il Consiglio di stato, con parere della I sez., n. 666 del 10/07/2000 ha affermato che «il carattere retroattivo degli effetti derivanti dall'annullamento delle elezioni comunali trova un limite nel generale principio di conservazione degli atti secondo il quale gli atti posti in essere dal consiglio (prima che la illegittimità della sua elezione sia dichiarata) costituiscono espressione di un rapporto organico di fatto e sono dunque validi anche nei casi in cui non attengono a funzioni indifferibili».
Il predetto principio, sostanzialmente affermato anche dall'Adunanza plenaria del Consiglio di stato (13/10/1982, n. 374), ha trovato ulteriore conferma nella sentenza del Tar Sardegna Cagliari, sez. I, 26/4/2006, n. 801 il quale ha puntualizzato che «la pronuncia di correzione dei risultati elettorali con la sostituzione di un candidato in luogo di altro candidato, proprio per il suo carattere correttivo dei risultati elettorali, ha effetto ex nunc costitutivo di un diritto (ius ad officium) a favore del nuovo eletto. Da essa non consegue pertanto l'annullamento degli atti deliberati dal consiglio cui ha partecipato il consigliere erroneamente e illegittimamente proclamato eletto, atti che per il principio del funzionario di fatto rimangono pienamente produttivi di effetti, sia per un'esigenza di tutela dei terzi e sia per ragioni d'imputabilità all'ente degli atti posti in essere da chi appaia titolare dell'organo» (articolo ItaliaOggi del 10.09.2010, pag. 39).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Ordine del giorno.
Un consigliere comunale, nella sua qualità di capo gruppo, ha chiesto quale competenza sia riservata ai capigruppo consiliari in materia di predisposizione dell'ordine del giorno del consiglio comunale?

L' art. 38 del dlgs. n. 267/2000, al comma 2, rinvia ad apposito regolamento «il funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto» demandando allo stesso le modalità per la convocazione, nonché per la presentazione e la discussione delle proposte.
Ne deriva che l'imputazione di specifiche funzioni alla conferenza dei capigruppo (connotate, secondo la scelta operata dall'ente da maggiore o minore ampiezza), non può prescindere dal suo recepimento in apposite previsioni statutarie e regolamentari nel contesto della generale disciplina sul funzionamento del consiglio (articolo ItaliaOggi del 10.09.2010, pag. 39).

ENTI LOCALIGestione associata, tempi lunghi. Scaduto il termine per il dpcm su soglie demografiche e funzioni. L'obbligo per i piccoli comuni (previsto dalla manovra) lascia aperti molti dubbi da chiarire.
I tempi per l'avvio della gestione associata tra i piccoli comuni si allungano: il governo non ha infatti rispettato il termine della fine del mese di agosto per la adozione del dpcm previsto dal comma 31 dell'articolo 14 del decreto legge n. 78/2010. Peraltro non sembra che il ritardo possa essere contenuto entro tempi brevi: non si hanno infatti notizie della imminente presentazione di una bozza del provvedimento alla Conferenza stato città ed autonomie locali.
L'adozione del dpcm costituisce un passaggio essenziale per la concreta attuazione di questa che rappresenta, a parere di molti, la parte di maggiore rilievo della manovra estiva per i comuni visto che cambierà radicalmente le attribuzioni, la organizzazione e la stessa legittimazione della stragrande maggioranza dei municipi del nostro paese.
Ricordiamo che a questo provvedimento sono rimesse in modo espresso dalla norma di legge: la definizione dei tempi per il completamento della concreta attuazione del processo di gestione associata, nonché il limite demografico minimo che i comuni associati devono raggiungere per dare corso ad un ambito ottimale. Limite che deve essere definito nel rispetto dei principi costituzionali di differenziazione, sussidiarietà ed adeguatezza.
Molto probabilmente questo provvedimento detterà anche le regole da applicare per la definizione del numero minimo di comuni, criterio complementare e/o alternativo al numero minimo di abitanti. Il dpcm si carica di ulteriore importanza perché si deve chiarire esattamente quali sono le funzioni da gestire in forma associata.
In primo luogo, cosa vuol dire 70% delle spese certificate nell'ultimo anno per le funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo? Occorre in particolare chiarire quali sono le attività interessate, al di là dei compiti svolti dagli enti in materia di personale, contabilità, tributi, compiti che sicuramente possiamo considerare inseriti nella previsione legislativa. In tale ambito si deve inoltre precisare se le scelte che appartengono alle funzioni che i comuni svolgono per conto dello stato ed in cui il sindaco esercita il compito di ufficiale di governo (anagrafe, leva, stato civile, statistica, autorità sanitaria, medica ecc.), nonché il potere di ordinanza sono compresi e se, di conseguenza, il primo cittadino può trasferirle al vertice della gestione associata.
Nell'ambito delle funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato si deve chiarire se è compresa, come sembrerebbe, anche la competenza alla adozione degli atti di pianificazione urbanistica. Ed ancora, si deve chiarire il rapporto con la legislazione regionale.
La norma di legge statale rimette ad essa la definizione della dimensione territoriale ottimale ed omogenea delle materie che i comuni devono gestire direttamente nell'ambito delle competenze appartenenti alle regioni stesse. Le regioni dovranno inoltre fissare i tempi per l'avvio della gestione associata e definire le modalità attraverso cui si deve garantire il rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, nonché della riduzione della spesa.
Appare inoltre opportuno che il decreto, anche se non espressamente previsto dalla norma di legge, fornisca una serie di altri chiarimenti. Il riferimento va in primo luogo alla possibilità di delegare alle comunità montane la gestione in forma associata: la norma espressamente non lo prevede, in quanto richiama solo la convenzione e l'unione dei comuni, ma sulla base delle previsioni del dlgs n. 267/2000 le comunità montane sono definite come unioni di comuni.
Ed ancora appare utile definire se i comuni debbano necessariamente assegnare ad un unico soggetto la gestione di tutte le attività che decidono di svolgere in forma associata ovvero se possano, come sembrerebbe dal testo della norma e dal richiamo ai principi generali, dare corso ad una sorta di spezzatino. Cioè prevedere forme di gestione differenziata per singole attività, fermi ovviamente restando il rispetto dell'ambito territoriale ottimale minimo ed il divieto di aderire contemporaneamente a più di una unione (articolo ItaliaOggi del 10.09.2010, pag. 37).

AMBIENTE-ECOLOGIASentenza sui processi per reati ambientali. Anche l'eco-ente è parte civile.
Le associazioni ambientaliste possono costituirsi parte civile nel processo per reati ambientali. E questo «pur dopo l'abrogazione delle previsioni di legge che autorizzavano a proporre, in caso di inerzia degli enti territoriali, le azioni risarcitorie per danno ambientale». Le eco-associazioni hanno una legittimazione «iure proprio».
A ribadirlo è la Corte di Cassazione, I Sez. penale, nella sentenza n. 33170/2010 depositata ieri.
Con la sentenza, il collegio ha inoltre affermato «senza incertezze» anche la legittimazione alla «tutela civilistica per danni ambientali» collegati alla sicurezza dei lavoratori addetti, delle associazioni sindacali normativamente riconosciute e operanti con finalità istituzionali e associative di tutela dei prestatori di lavoro, perché da considerarsi anche enti esponenziali della collettività.
Eco-associazioni legittimate a costituirsi parte civile. I ricorrenti in Cassazione, imputati e condannati per una serie di reati fonte di danno ambientale, avevano contestato l'ammissione delle parti civili costituite nel corso processo: un'associazione sindacale, la Uil provinciale, e una ambientalista, Legambiente Puglia. Ammissione, secondo i ricorrenti, illegittima per violazione di legge e difetto di motivazione.
A detta degli stessi, l'associazione sindacale non poteva legittimamente tutelare la salute dei lavoratori là dove la condotta incriminata ... non incideva sull'azione sindacale, giacché in tale ipotesi è in singolo lavoratore ad avere il diritto alla tutela del suo diritto; mentre la Lega ambiente non aveva titolo a intervenire in giudizio in relazione a reati (635 e 674 c.p.) che non individuavano beni protetti riferibili all'ambiente: l'associazione non aveva, secondo loro, legittimazione processuale propria, al massimo una legittimazione «sostitutiva», in base all'articolo 81 c.p.c..
I giudici non hanno condiviso la tesi: richiamando una sentenza dell'anno prima (la n. 19883 dell'11.03.2009, sezione III) nella quale era stata ammessa la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale presentata da una onlus ambientalista, hanno ribadito che «le associazioni ambientaliste ... sono legittimate alla costituzione di parte civile 'iure proprio' nel processo per reati ambientali». Né, hanno aggiunto, «può nella fattispecie negarsi la sussistenza del danno ambientale dacché di questo risultano imputati i ricorrenti» (articolo ItaliaOggi del 10.09.2010, pag. 25 - link a www.corteconti.it).).

PUBBLICO IMPIEGOIn Gazzetta due circolari ministeriali Sanzioni ai pubblici per le inosservanze sul cartellino.
Sanzioni disciplinari per il dipendente pubblico che non rispetta le nuove regole sui cartellini identificativi obbligatori. E poi retribuzione di risultato di dirigenti e posizioni organizzative fuori dal taglio per le assenze per malattia.
Sono le principali precisazioni contenute in due circolari della Funzione pubblica n. 3 «(Articolo 55-novies del decreto legislativo 165 del 2001- identificazione del personale a contatto con il pubblico») e 8 («Assenze dal servizio per malattia dei pubblici dipendenti») pubblicate sulla «Gazzetta Ufficiale» 210 dell'08 settembre.
Il cartellino.
Tutti i dipendenti pubblici a contatto con il pubblico devono essere muniti di un cartellino di riconoscimento. L'inosservanza di questa prescrizione costituisce precisa la nuova circolare una valida ragione per l'avvio di un procedimento disciplinare e per la conseguente irrogazione di sanzioni.
Il cartellino identitificativo o la targa nella stanza o nella postazione di lavoro devono contenere le seguenti informazioni: posizione professionale, profilo, qualifica se dirigente, ufficio di appartenenza. Non devono essere contenuti dati eccedenti o non necessari rispetto alle finalità di trasparenza e tali da violare la privacy, come ad esempio le generalità personali.
L'obbligo precisa la circolare si applica a tutti dipendenti e dirigenti pubblici contrattualizzati, cioè ne sono escluse le forze armate, di polizia, i prefetti, i docenti universitari, i magistrati e le altre categorie a cui non si applica il Dlgs 165/2001: per queste figure comunque le singole amministrazioni possono introdurre l'obbligo. Siamo dinanzi a un obbligo che si applica anche alle regioni e alle autonomie locali. Da questo vincolo possono essere escluse specifiche categorie, sulla base di analitiche e argomentate motivazioni.
Questa esclusione ricorda la circolare deve essere contenuta in provvedimenti del ministro per la Pubblica amministrazione e l'innovazione adottati d'intesa con il ministro competente e, per le regioni e gli enti locali, con la Conferenza unificata tra Stato, regioni ed autonomie locali. L'obbligo si applica nei confronti dei dipendenti a contatto con il pubblico, intendendo come tali quelle -si legge nella circolare che «si intendono svolte in luogo pubblico e luogo aperto al pubblico nei confronti di un'utenza indistinta», valutazione- che deve essere effettuata in concreto dalle singole amministrazioni.
Le assenze.
Le assenze per malattia dei dipendenti pubblici sono diminuite di oltre il 30% a seguito delle disposizioni introdotte dal Dl 112/2008. Un'ulteriore riduzione è attesa dalla concreta applicazione del vincolo alla trasmissione telematica dei certificati direttamente da parte dei medici alle amministrazioni introdotto dalla «legge, Brunetta» (Dlgs 150/2009).
Per i primi io giorni di ogni assenza per malattia, fatte salve le eccezioni previste per i ricoveri ospedalieri, gli infortuni, le terapie salva vita e i morbi dipendenti da ragioni professionali, occorre effettuare il taglio di ogni forma di trattamento economico accessorio. L'eventuale esonero dal taglio spiega la circolare deve essere disposta solo sulla base di un adeguato supporto in termini di certificazione medica.
In questa decurtazione non deve essere compresa, per i dirigenti e i titolari di posizione organizzativa, la retribuzione di risultato in quanto essa non può essere equiparata a una «indennità giornaliera» perché dovuta a consuntivo sulla base degli «esiti del procedimento di valutazione» (articolo Il Sole 24 Ore del 10.09.2010, pag. 33 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOP.a., sanzioni senza Statuto. Niente collegi arbitrali per pubblici dipendenti. Una circolare del ministero del lavoro sugli effetti della riforma Brunetta.
Lo Statuto dei lavoratori non si applica alle controversie sul pubblico impiego. La riforma Brunetta (dlgs n. 150/2009), in particolare, eliminando la possibilità di adire collegi arbitrali per le decisioni sulle sanzioni disciplinari, non ha inteso rinviare ai medesimi organismi costituiti presso le direzioni provinciali del lavoro, come previsto dall'articolo 7 della legge n. 300/1970.
Lo precisa il ministero del lavoro nella circolare n. 28/2010.
La riforma Brunetta. La riforma del pubblico impiego operata dal dlgs n. 150/2009 ha introdotto alcune novità in tema di controversie. Due quelle principali, come spiega il ministero del lavoro: la prima relativamente alla disciplina delle procedure conciliative precontenziose, la seconda riguardo all'impugnazione delle sanzioni.
In merito al primo aspetto, la riforma ha sostituito la vecchia disciplina cosiddetta del patteggiamento con la possibilità, per la contrattazione collettiva, di regolamentare procedure di conciliazione non obbligatoria, a eccezione dell'ipotesi della sanzione del licenziamento. In merito alle impugnazioni, la riforma ha praticamente eliminato il ricorso a collegi arbitrali, rimettendo di fatto ogni decisione al giudice del lavoro.
Inapplicabile lo Statuto. Tutto ciò, spiega il ministero, appare delineare un disegno di razionalizzazione delle procedure di conciliazione e d'impugnazione ispirato dalla volontà di evitare il rischio di collusione che potrebbe derivare dallo svolgimento di procedure, regolate dalla contrattazione o dalla legge, di carattere arbitrale o svincolate dai presupposti sostanziali fissati dalla legge.
Considerazioni, queste, secondo il ministero, che inducono a pensare che dopo la riforma non sia possibile ritenere vigente l'articolo 7 della legge n. 300/1970 (lo statuto dei lavoratori), nonostante questo fosse richiamato dalla precedente normativa. Infatti, nell'ambito delle nuove norme, il citato articolo 7 non è stato mai richiamato.
Quando invece nel nuovo contesto normativo la volontà di applicare al settore pubblico la disciplina prevista per il settore privato (il predetto articolo 7) avrebbe dovuto essere espressa in maniera esplicita, mediante (appunto) richiamo o ridisciplina. Peraltro, conclude il ministero, questa conclusione sembra confermata pure dalla circostanza che, in attuazione del criterio di delega («abolire i collegi arbitrali di disciplina vietando espressamente di istituirli in sede di contrattazione collettiva»), la riforma ha definitivamente eliminato la possibilità di ricorrere a collegi arbitrali di disciplina.
Tale previsione, che in senso stretto si riferisce ai collegi, pare indice della volontà del Legislatore di escludere decisioni arbitrali in materia di impugnazioni disciplinari, con la conseguenza che anche l'impugnazione prevista e disciplinata dall'articolo 7 dello Statuto, in quanto svolta di fronte a un collegio di conciliazione e di arbitrato, deve ritenersi preclusa (articolo ItaliaOggi del 09.09.2010, pag. 32 - link a www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAContro il frastuono della movida tutela già in sede d'urgenza. Il tribunale di Venezia ha dato ragione ai cittadini con una inusuale ordinanza.
Ordine, già in sede provvisoria e d'urgenza, emesso inaudita altera parte, di cessare l'utilizzo di fonti rumorose che provochino il superamento dei limiti di cui al D.p.c.m. 14.11.1997, art. 2 tab. B. dalle ore 24.00 in poi. Il tutto in attesa che siano espletate le necessarie perizie per verificare l'effettiva intensità dell'emissione rumorosa.
E' questa la decisione –quanto mai inusuale- contenuta nell'ordinanza ex art. 700 cpc emessa dal Giudice Antonella Guerra del Tribunale di Venezia il 20.08.2010 (e confermata in sede di nomina del CTU il 3 settembre scorso), con la quale è stata accolta la domanda di un gruppo di proprietari di immobili siti nelle immediate vicinanza di un notissimo locale della costa veneta, i quali da alcuni anni combattevano contro le continue e fastidiose emissioni rumorose generate dalla musica e dal numeroso pubblico di frequentatori.
La causa, molto comune anche in grandi città alle prese con problemi della Movida e di locali che restano aperti fino a molto tardi la notte, segna un importante passo in quanto già in sede d'urgenza il Giudice ha riconosciuto fondato il danno arrecato dai rumori.
Questa decisione, di cui ora si entra nella fase di merito con le consuete perizie, fa seguito ad una precedente ordinanza emessa dal tribunale di Pordenone (Giudice, dott.ssa Clocchiatti, data 13.08.2010) solo alcune settimane prima che, su un problema analogo, attinente questa volta al rumore generato da un grande impianto di condizionamento industriale, ha stabilito che debbono cessare subito le immissioni rumorose che superino i limiti di 3 decibel oltre al rumore di fondo in attesa degli accertamenti peritali.
Sono decisioni importanti, che vorrei definire figlie di atteggiamenti seri della giurisprudenza che finalmente sta dimostrando sensibilità per un argomento, quello del danno di immissioni rumorose, per troppo tempo sottovalutato” spiega ad ItaliaOggi Nicola Todeschini, legale della parte ricorrente. “Chiedere ed ottenere tali provvedimenti interlocutori dovrebbe essere normale, del resto, dico io, perché ribellarsi all'ordine di rispettare le regole se non perché si ha il desiderio di violarle? La pronuncia di Pordenone, poi, contiene anche l'ordine, su mia richiesta, di monitorare le immissioni a cura del resistente, gravandolo quindi di un controllo, anche costoso, che può già avere l'effetto di disincentivare comportamenti disinvolti”.
Le due ordinanze citate rientrano in un preciso filone giurisprudenziale. “Si assiste, infatti, di pari passo con l'accrescere dell'attenzione sull'argomento, sia a pronunce più raffinate che a reazioni scomposte tra le quali, purtroppo, bisogna annoverare anche quelle del legislatore il quale, con un colpo di coda, ha tentato di minare la solidità dell'art. 844 cod. civ. tentando di livellarlo su criteri stabiliti in verità per disciplinare i rapporti con la pubblica amministrazione e non quelli tra privati” spiega Todeschini.
Gli interpreti attendono le prime pronunce per comprendere quale strada imboccherà la giurisprudenza. “L'auspicio è quello che i Giudici, dopo aver elaborato criteri ritenuti prima indiscutibili non facciano marcia indietro perché il danno alla persona, soprattutto di natura esistenziale, che patiscono le persone colpite dal rumore è indiscutibile” (articolo ItaliaOggi del 09.09.2010, pag. 22).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOCertificati medici con pec. I datori possono chiedere all'Inps l'invio per e-mail. Una circolare dell'Istituto fornisce le istruzioni alle aziende e alla p.a..
I datori di lavoro, privati e pubblici, possono ricevere i certificati medici di malattia anche via Pec.
Lo stabilisce l'Inps nella circolare 07.09.2010 n. 119 di ieri di cui dà notizia un comunicato stampa, diffuso sempre ieri, del ministero per la pubblica amministrazione il quale, peraltro, informa che i certificati finora inviati online ammontano a 302.813, con un incremento del 19% nell'ultima settimana.
Tutti i servizi a regime. È a partire dal 3 aprile, a seguito della riforma Brunetta (dlgs n. 150/2009) che i medici dipendenti del Ssn oppure in regime di convenzione sono tenuti a trasmettere all'Inps, tramite il Sac (Sistema di accoglienza centrale), il certificato di malattia del lavoratore. Ricevuto il certificato, il Sac lo invia all'Inps che lo mette a disposizione dei datori di lavoro, privati e pubblici, e dei lavoratori sul sito internet.
Fino a ieri, i certificati erano consultabili online tramite il codice pin o con l'inserimento del codice fiscale del lavoratore e del numero del certificato. Da ieri è operativa la nuova modalità, mediante la quale i datori di lavoro possono richiedere all'Inps di ricevere nella propria casella di posta elettronica certificata (Pec) le attestazioni di malattia dei propri dipendenti.
Una soluzione più efficiente, dal punto di vista delle aziende, perché le libera dall'impegno quotidiano di collegarsi al sito dell'Inps e verificare l'eventuale immissione di un certificato medico. Con la nuova procedura, infatti, sarà direttamente l'Inps, con invii giornalieri, ad inoltrare alla Pec del datore di lavoro tutti i certificati medici eventualmente trasmessi dai medici con riferimento ai rispettivi lavoratori.
Le istruzioni operative. Per accedere alla nuova possibilità, spiega la circolare, i datori di lavoro (pubblici e privati) devono trasmettere apposita richiesta all'Inps tramite l'indirizzo di Pec al quale richiedono di ricevere la trasmissione quotidiana delle certificazioni mediche.
La richiesta va inviata alle competenti sedi Inps i cui indirizzi sono reperibili su internet (www.Inps.it). Per essere accolta, la richiesta deve contenere le informazioni indicate in tabella.
I dati. Il comunicato stampa del ministero, relativamente alla copertura territoriale dell'operatività della trasmissione online dei certificati medici, sottolinea che la media regionale di medici dotati di pin (è la password che serve per l'invio dei certificati) si attesta al 75%.
Significa che, dal 27 agosto al 3 settembre, sono stati abilitati altri 8 mila medici di famiglia. In almeno otto regioni il processo si è sostanzialmente completato: Piemonte (84% dei medici abilitati), Valle d'Aosta (99%), Provincia di Bolzano (96%), Veneto (89%), Marche (91%), Basilicata (88%), Calabria (85%), Abruzzo (82%) e Sardegna (89%).
Nelle altre regioni, le percentuali di medici abilitati risultano quasi ovunque intorno al 60%. In Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Toscana ed Emilia Romagna, aggiunge il comunicato, i medici sono in possesso di carta nazionale dei servizi (Cns) per l'accesso al sistema.
Infine, spiega il comunicato, fino a ieri risultano inviati complessivamente 302.813 certificati, per un incremento del 19% nell'ultima settimana (articolo ItaliaOggi del 08.09.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Certificati di malattia on line: sul sito Inps l’iter per i datori Amministrazioni pubbliche e aziende private possono chiedere “in rete” di ricevere gli attestati sulla Pec.
Codice fiscale e numero progressivo Inpdap relativo alla “sede di servizio”, per le Amministrazioni pubbliche; matricola Inps, per le aziende private; indicazione del formato di invio dei file prescelto, per tutti.
Sono queste le semplici informazioni da fornire all’Istituto nazionale di previdenza sociale per ricevere sul proprio indirizzo e-mail “certificato” gli attestati di malattia dei dipendenti.
I dettagli della procedura da seguire sono impressi nero su bianco nella circolare Inps n. 119 del 07.09.2010 ... (link a www.nuovofiscooggi.it).

APPALTIIn vigore la legge antimafia. Stretta sui cantieri. Arriva un nuovo reato sulla scelta dei contraenti. Pagamenti pedinati negli appalti. Da oggi flussi finanziari tracciabili. Il bonifico unica possibilità.
Da oggi i flussi finanziari di chi partecipa alle gare di appalto e quelli di chi beneficia di finanziamenti pubblici devono essere pedinabili. Cioè tracciabili, mediante conti correnti dedicati. E tutte le transazioni dovranno essere effettuate mediante bonifico. Nessun'altra forma di pagamento o di intermediazione sarà tollerata Qualora ciò non avvenga, chi incapperà nelle sanzioni, potrebbe vedersi comminare una multa compresa tra il 2 e il 10% del valore della transazione effettuata.
A disporre il tutto è la legge n. 136 del 13.08.2010, recante il «piano straordinario contro le mafie, nonché la delega al governo in materia di normativa antimafia», entrata oggi in vigore.
Si tratta di una normativa approvata a inizio agosto (si veda ItaliaOggi del 6/6/2010) e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 197 del 23/08/2010. Con essa viene anche introdotto il meccanismo di stazione unica appaltante su scala regionale, vengono modificate al rialzo le pene legate al reato di turbativa d'asta (reclusione da sei mesi a cinque anni) e si delinea una nuova fattispecie di reato: turbativa del procedimento di scelta del contraente. La normativa, comunque, non si ferma qui.
La legge dispone una stretta sui cantieri, imponendo controlli aggiuntivi e consegna alle mani dell'esecutivo il compito di scrivere la riforma della normativa antimafia, mediante delega. Il governo, in particolare, avrà il compito di licenziare due decreti legislativi: uno contenente il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione e un altro finalizzato al restyling di tutta la documentazione antimafia ...
La stretta sui flussi finanziari. Mettendo a regime quanto già previsto per la ricostruzione in Abruzzo e per l'Expo 2015, la legge stabilisce che gli operatori economici coinvolti in appalti pubblici e i soggetti destinatari di finanziamenti pubblici, utilizzino obbligatoriamente conti correnti bancari o postali dedicati. L'obbligo di prevedere la tracciabilità è legato alla firma del contratto di appalto, che privo di questa clausola è nullo. Non solo. La tracciabilità riguarda tutti gli operatori in cantiere, siano essi fornitori, subappaltatori, dipendenti e consulenti. Cioè, tutti coloro che devono essere pagati tramite bonifico bancario e postale.
La norma si applica anche ai «concessionari di finanziamenti pubblici anche europei, a qualsiasi titolo interessati a lavori, servizi e forniture pubblici». Tra l'altro, il vincolo esclusivo di bonifico quale strumento di pagamento non convince l'Associazione nazionale delle pmi edili (Aniem) della Confai; il suo presidente, Dino Piacentini, pur apprezzando «misure che vanno nella direzione auspicata di lotta al lavoro sommerso, di qualificazione dei rapporti con i subcontraenti e di valorizzazione delle imprese sane», segnala «l'esigenza di non restringere eccessivamente le procedure di pagamento, ritenendo ammissibili procedure analoghe al bonifico, come ad esempio il Rid bancario, che possono garantire comunque un controllo sui flussi finanziari».
Comunque, in attesa di una «circolare esplicativa che possa fornire chiarimenti interpretativi», l'Aniem già «prende le distanze da un'applicazione retroattiva della norma, proposta dall'Autorità di vigilanza per i contratti pubblici». In merito, l'unica apertura dell'associazione è su una retroattività riferita ai soli «contratti in corso che abbiano una durata prolungata nel tempo». Come quelli «la cui durata va oltre due anni dall'entrata in vigore della legge».
Tornando ai conti correnti dedicati, va detto che le uniche transazioni che non incappano nell'obbligo di pagamento tramite bonifico bancario o postale, sono i pagamenti in favore di enti previdenziali, assicurativi e istituzionali, quelli effettuati da fornitori e gestori di pubblici servizi, nonché i pagamenti relativi ai tributi. Tali adempimenti potranno essere soddisfatti pagando con altre modalità, oltre al bonifico. Se poi, come detto, verranno violate le norme sulla tracciabilità, potranno essere irrogate sanzioni da un minimo del 2 a un massimo del 10% del valore della transazione.
Cantieristica. A riguardo la legge prevede che:
- per il controllo degli automezzi adibiti al trasporto materiali, la bolla di consegna indichi il numero di targa e il nominativo del proprietario degli automezzi interessati;
- le tessere degli addetti ai cantieri, siano integrate da informazioni aggiuntive, per facilitare il loro riconoscimento;
- le verifiche sul patrimonio possano riguardare la posizione fiscale, economica e patrimoniale del soggetto sottoposto a controllo.
È stato, poi, introdotto il reato di «turbata libertà del procedimento di scelta del contraente», che ricorre nella condotta di chi, con violenza o minaccia, doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando per condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione. Il reato viene punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e la multa da euro 130 a 1.032 euro.
Infine, la legge prevede l'istituzione, in ambito regionale, di una Stazione unica appaltante (Sua), ma potranno anche essere più d'una in ogni regione. L'obiettivo è garantire trasparenza, regolarità ed economicità nella gestione degli appalti pubblici e prevenire, così, infiltrazioni malavitose (articolo ItaliaOggi del 07.09.2010, pag. 25 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATADal 10 settembre operative le disposizioni di semplificazione delle autorizzazioni paesaggistiche. Piccola edilizia in preferenziale. Richiesti meno documenti e passaggi amministrativi ridotti.
Istanza corredata da semplice dichiarazione di conformità, procedimento amministrativo contenuto nei 60 giorni, efficacia immediata dell'autorizzazione rilasciata. Dal 10.09.2010, in virtù del nuovo dpr 09.07.2010, n. 139, l'autorizzazione per effettuare interventi di «lieve entità» su beni paesaggistici potrà essere ottenuta in via semplificata.
In base al provvedimento, emanato in attuazione del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 («Codice dei beni culturali e del paesaggio») e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26.08.2010 (n. 199) l'iter autorizzatorio soft riguarderà determinati interventi (39, in particolare, si veda ItaliaOggi del 31.08.2010) incidenti su aree o immobili dichiarati di interesse paesaggistico, e ciò anche se comportanti una alterazione dei luoghi o dell'aspetto esteriore degli edifici.
Quali interventi. Gli interventi che godranno della procedura semplificata saranno quelli compresi nelle trentanove categorie indicate dagli allegati al nuovo decreto presidenziale 139/2010, e coincidenti in sostanza con i seguenti progetti: incrementi contenuti del volume degli edifici; demolizione/ricostruzione con il rispetto di spazi preesistenti; interventi su prospetti e coperture; adeguamenti a norme antisismiche ed energetiche; realizzazione di piccole opere pertinenziali; taglio di vegetazione; impianti tecnologici esterni per uso domestico; impianti tecnici esterni al servizio di edifici produttivi; strutture temporanee per manifestazioni, concerti, eventi sportivi; deposito temporaneo di materiali a cielo libero per attività produttive; strutture stagionali non permanenti collegate ad attività turistiche, sportive o del tempo libero.
La domanda. L'istanza per il rilascio dell'autorizzazione dovrà essere presentata (ove possibile, per via telematica) all'Ente competente da un tecnico professionista attraverso una scheda-tipo corredata unicamente da una relazione paesaggistica «semplificata», relazione che dovrà in sostanza semplicemente attestare la conformità dell'intervento alla disciplina del paesaggio (il citato dlgs 42/2004) e a quella urbanistica.
Il procedimento amministrativo. L'iter amministrativo dovrà concludersi entro 60 giorni dalla ricezione della domanda. L'ufficio competente al rilascio della autorizzazione (regione o provincia/comune delegato) dovrà entro tale termine effettuare una verifica preliminare di compatibilità del progetto presentato alla disciplina paesaggistica e urbanistica. In caso positivo dovrà approfondire poi, con apposito screening, il tipo di istruttoria necessaria (se ordinaria o semplificata). In caso di ammissibilità (si veda altro servizio nella pagina seguente) alla procedura semplificata, lo stesso Ufficio dovrà infine effettuare, coinvolgendo la Sovrintendenza per un parere (non vincolante quando l'area interessata sia assoggettata a specifiche prescrizioni d'uso), la valutazione e concedere, in caso di esito positivo, una autorizzazione dall'efficacia immediata.
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Professionisti incastrati tra maggiori responsabilità.
La semplificazione dell'autorizzazione paesaggistica incastra il professionista: è il progettista che deve prendersi la responsabilità di attestare che il progetto rispetti i canoni di legge. In sostanza i benefici in termini di accelerazione dell'istruttoria da parte della pubblica amministrazione si pagano con la responsabilità del professionista.
L'istanza di autorizzazione paesaggistica, infatti, è corredata da una relazione paesaggistica semplificata, redatta da un tecnico abilitato. Il tecnico deve indicare le fonti normative o provvedimentali della disciplina paesaggistica, deve descrivere lo stato attuale dell'area interessata dall'intervento, e, soprattutto, deve attestare la conformità del progetto alle specifiche prescrizioni d'uso dei beni paesaggistici, se esistenti, oppure deve documentare la compatibilità con i valori paesaggistici, indicando le eventuali misure di inserimento paesaggistico previste.
E non basta. Nella relazione il tecnico abilitato deve anche attestare la conformità del progetto alla disciplina urbanistica ed edilizia. Ancora: se l'autorità preposta al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica non coincide con quella competente in materia urbanistica ed edilizia, l'istanza deve essere corredata dall'attestazione del comune territorialmente competente di conformità dell'intervento alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie; ma in caso di intervento soggetto a dichiarazione di inizio attività, la relazione deve essere corredata dalle asseverazioni di cui all'articolo 23 del T.u. edilizia e le asseverazioni di conformità dell'intervento sono sempre a firma del progettista.
In sostanza la semplificazione del procedimento si basa sulle attestazioni e dichiarazioni di regolarità del progetto: così si mette in campo una responsabilità diretta del professionista, chiamato a districarsi nel ginepraio della normativa urbanistica, edilizia e paesaggistica nazionale e locale.
Una responsabilità che può sfociare nel penale a fronte di dichiarazioni inveritiere. La responsabilità può anche registrarsi sul piano disciplinare con un controllo da parte degli ordini professionali nel caso di attività svolta con imperizia o negligenza. Un altro fronte di responsabilità è quello civile che vede contrapposti professionista e cliente.
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Le ipotesi del nuovo iter. Ricorso al Tar se la burocrazia va a passo di lumaca.
Contro le lentezze burocratiche si ricorre al Tar. L'iter presenta alcuni momenti cruciali in cui emerge la necessità che l'interessato si tuteli contro provvedimenti negativi o contro l'inerzia della pubblica amministrazione. Vediamo alcune ipotesi. Innanzi tutto può capitare che si verifichino ritardi e lungaggini rispetto al termine massimo di conclusione del procedimento.
Per questa ipotesi il regolamento richiama quanto previsto dagli articoli 2, comma 8, e 2-bis della legge 241/1990. Questo significa che l'interessato può proporre ricorso al Tar contro il silenzio dell'amministrazione. Il ricorso può essere proposto anche senza necessità di diffida all'amministrazione inadempiente, però, non oltre un anno dalla scadenza dei termini di conclusione del procedimento.
Il giudice amministrativo potrà anche entrare nel merito e conoscere della fondatezza dell'istanza. Naturalmente ciò vale per le ipotesi in cui il provvedimento ha natura vincolata e non per l'esercizio di discrezionalità amministrativa. Non viene espressamente richiamato dal regolamento, ma si applica anche l'articolo 2, comma 9, della legge 241/1990, che qualifica la mancata emanazione del provvedimento nei termini come un elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale (questo sia ai fini stipendiali sia ai fini disciplinari).
Inoltre (articolo 2-bis della legge 241/1990) le pubbliche amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno ingiusto causato dall'inosservanza del termine di conclusione del procedimento. Anche per le richieste di risarcimento danno da ritardo si va al Tar e tale diritto si prescrive in cinque anni. Si va dal giudice amministrativo anche per impugnare gli atti definitivi di diniego del rilascio dell'autorizzazione, così come nei casi in cui il controinteressato voglia impugnare l'avvenuto rilascio della stessa.
Si può verificare, per esempio, il caso del vicino di casa di chi vuole procedere a un ampliamento: il vicino è controinteressato e in quanto tale ha titolo a impugnare il provvedimento favorevole dell'amministrazione, anche qui con richiesta di risarcimento del danno. Va notato, infine, che il procedimento amministrativo semplificato comprende alcune fasi interne di tutela. Questo si verifica in caso di rigetto della domanda l'interessato da parte dell'amministrazione competente al rilascio della autorizzazione paesaggistica. In questo caso si può chiedere il riesame al soprintendente.
In sostanza la pratica viene bloccata dall'amministrazione competente al rilascio (per esempio il comune): il regolamento prevede che il diniego sia adottato da questa amministrazione senza passare dal soprintendente, al quale si può rivolgere l'interessato per provocare una valutazione dell'istanza e un ribaltamento della decisione della p.a. Entro 20 giorni dalla ricezione del provvedimento di rigetto, l'interessato può chiedere al soprintendente, con istanza motivata e corredata della documentazione, di pronunciarsi sulla domanda di autorizzazione paesaggistica semplificata.
A questo punto si verifica una fase di contraddittorio interno al procedimento: copia dell'istanza è inviata all'amministrazione che ha adottato il provvedimento negativo, la quale, entro dieci giorni dal ricevimento, può inviare le proprie deduzioni al soprintendente. Ricevuta l'istanza, il soprintendente, entro i successivi 30 giorni, verifica la conformità dell'intervento alle prescrizioni d'uso del bene paesaggistico ovvero la sua compatibilità paesaggistica e decide in via definitiva, rilasciando o negando l'autorizzazione.
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Al soprintendente solo pratiche filtrate.
Dal soprintendente vanno solo le pratiche con prognosi favorevole. Le altre sono bloccate prima dall'autorità competente a rilasciare l'autorizzazione (per esempio il comune delegato).
L'iter per le autorizzazioni paesaggistiche degli interventi di lieve entità, disciplinato dal dpr 09.07.2010 , n. 139 (regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità), vede termini serrati ed eliminazione di tempi morti e passaggi inutili.
Ecco come si articola il procedimento dalla presentazione dell'istanza all'esito conclusivo.
Ricevuta la domanda si deve verificare preliminarmente se l'intervento progettato non sia esonerato dall'autorizzazione paesaggistica o se, al contrario, sia assoggettato al regime ordinario (articolo 146 del Codice sull'ambiente). Nel primo caso, all'interessato viene comunicato che non occorre nulla e il procedimento finisce. Nel secondo caso vengono richieste le necessarie integrazioni ai fini del rilascio dell'autorizzazione ordinaria.
Se, invece, si applica il procedimento semplificato, l'ente competente al rilascio della autorizzazione comunica subito l'avvio del procedimento (articolo 7 legge 241/1990). La stessa comunicazione è la sede (unica) per la richiesta di documenti e chiarimenti indispensabili, da far pervenire in via telematica entro il termine di quindici giorni: si tratta di richiesta di integrazioni per l'istruttoria della pratica. Ai fini del computo del termine massimo di conclusione del procedimento (60 giorni) il procedimento resta sospeso fino alla ricezione della documentazione integrativa (i 15 giorni non si contano). Se la documentazione non arriva nei 15 giorni, l'amministrazione conclude comunque il procedimento e c'è, quindi, il rischio di un diniego per carenza documentale.
Cominciano a questo punto le verifiche preliminari edilizie e paesaggistiche. Entro trenta giorni dalla ricezione della domanda la p.a. deve verificare preliminarmente, se ne ha la competenza, la conformità dell'intervento progettato alla disciplina urbanistica ed edilizia. Il comune che agisce in subdelega è competente a tale verifica preliminare. Nel caso in cui l'ente che istruisce la pratica non sia competente, questo, nei trenta giorni, verifica l'attestazione di conformità urbanistica rilasciata dal comune nel cui territorio è localizzato l'intervento o l'asseverazione prescritta in caso di intervento sottoposto a denuncia di inizio di attività, già presentate all'atto della domanda.
Quindi all'atto della domanda si deve corredare la documentazione con queste attestazioni o asseverazioni. Ovviamente se si registra una irregolarità edilizia o urbanistica, l'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione dichiara l'improcedibilità della domanda di autorizzazione paesaggistica. Se, invece, si supera la verifica di conformità urbanistica ed edilizia si passa alla valutazione della conformità paesaggistica. Se la valutazione paesaggistica è negativa, l'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione invia comunicazione all'interessato il preavviso di diniego (articolo 10-bis della legge 241/1990): nel termine di dieci giorni, l'interessato può presentare eventuali osservazioni. La comunicazione sospende il termine per la conclusione del procedimento. A questo punto o si accolgono le osservazioni e il procedimento prosegue oppure le controdeduzioni non sono accolte e viene adottato atto di rigetto motivato.
Nel caso di rigetto della domanda l'interessato, può rivolgersi al soprintendente entro venti giorni dalla ricezione del provvedimento di rigetto e presentare una istanza motivata e corredata della documentazione, di pronunciarsi sulla domanda di autorizzazione paesaggistica semplificata. Il soprintendente ricevute le eventuali relazioni della p.a., entro trenta giorni, verifica la conformità dell'intervento progettato alle prescrizioni d'uso del bene paesaggistico o la sua compatibilità paesaggistica e decide in via definitiva, rilasciando o negando l'autorizzazione.
Non ci vuole necessariamente un assenso del soprintendente, invece, in caso di valutazione positiva della conformità o della compatibilità paesaggistica dell'intervento: è vero che l'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione deve provvedere immediatamente e, comunque, entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della domanda a trasmettere alla soprintendenza una motivata proposta di accoglimento della domanda stessa. Tuttavia o il soprintendente fa pervenire il suo parere vincolante oppure non si pronuncia. Se il soprintendente rimane inerte l'amministrazione competente deve andare avanti lo stesso e rilasciare l'autorizzazione, senza indire la conferenza di servizi (come sarebbe previsto, invece, dall'articolo 146, comma 9, del codice sull'ambiente).
L'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione deve adottare il provvedimento conforme al parere vincolante favorevole (se formulato) entro cinque giorni successivi alla ricezione del parere. Inoltre se ne ha la competenza, l'amministrazione rilascia contestualmente anche il permesso di costruire e comunque il titolo legittimante l'edificazione.
Non c'è bisogno di motivare l'autorizzazione se non con un rinvio al parere della soprintendenza, che va allegato. Se il soprintendente valuta negativamente la proposta ricevuta dall'amministrazione, allora, adotterà, entro venticinque giorni un provvedimento di rigetto dell'istanza, rispettando la procedura del preavviso di rigetto (articolo 10-bis della legge 241/1990). Nel provvedimento il soprintendente deve essere analitico ed esporre puntualmente i motivi di rigetto.
Nei casi in cui la legge prevede che il soprintendente si limiti a fornire un parere obbligatorio e non vincolante, il provvedimento di rigetto è adottato dall'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione. Il parere del soprintendente è obbligatorio e non vincolante quando l'area interessata dall'intervento di lieve entità è assoggettata a specifiche prescrizioni d'uso del paesaggio, contenute nella dichiarazione di notevole interesse pubblico, nel piano paesaggistico o negli atti di integrazione del vincolo. Il regolamento si preoccupa dell'ipotesi in cui si verificano ritardi e lungaggini. Decorso il termine di 60 giorni senza comunicazione della decisione conclusiva, l'interessato può rivolgersi al Tar (si veda servizio nella pagina precedente). L'autorizzazione paesaggistica semplificata è immediatamente efficace ed è valida cinque anni. Nel procedimento semplificato non è obbligatorio il parere delle commissioni locali per il paesaggio, a meno che non sia diversamente previsto dalla legislazione regionale (fermo restando il rispetto del termine per la conclusione del procedimento di 60 giorni) (articolo ItaliaOggi del 06.09.2010, pag. 10).

INCARICHI PROFESSIONALI:  Incarichi light con limiti incerti. La legge 122 impone di ridurre de1 10% i compensi rispetto al 30.04.2010. Manovra, Mancano i parametri per applicare la stretta ad attività non frazionabili come progetti e assistenza Legale.
Dal 1° gennaio 2011 tutte le pubbliche amministrazioni individuate dall'Istat dovranno ridurre del 10% i compensi ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, cda e organi collegiali, e ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo.
La norma (articolo 6, comma 3 della legge 122/2010) dispone l'adeguamento automatico di queste voci di spesa rispetto ai valori risultanti alla data del 30.04.2010, e ne blocca gli importi massimi sino a tutto il 2013 ... (articolo Il Sole 24 Ore del 06.09.2010, pag. 11 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Bergamo, ecco chi sono i dirigenti super-pagati della provincia.
La Fp-Cgil di Bergamo ha messo in fila dal più pagato a quello meno, i 48 dirigenti della Pubblica Amministrazione: in testa due della Provincia (07.09.2010 - link a www.bergamonews.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZI: La circostanza che un prestatore dei servizi non sia retribuito direttamente dalla p.a. con cui ha una relazione contrattuale implica di per sé, che il contratto debba essere qualificato come concessione di servizi.
L'assenza di remunerazione diretta del prestatore del servizio ad opera dell'amministrazione pubblica che gli ha attribuito un servizio costituisce un criterio sufficiente al fine della qualificazione del contratto come concessione di servizi, ai sensi dell'art. 1, n. 4, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, 31.03.2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi.
A questo riguardo, non importa sapere, in primo luogo, chi versi la remunerazione dovuta per i servizi prestati, ammesso che si tratti di un organismo sufficientemente distinto ed indipendente dall'amministrazione che ha attribuito il servizio in questione, né, in secondo luogo, quali siano le modalità del pagamento della remunerazione, né, in terzo luogo, se il rischio d'impresa collegato al servizio in questione sia, sin dall'inizio, limitato (Avvocato Generale J. Mazak, conclusioni 09.09.2010 n. C-274/09 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Deve sempre sussistere nei concorsi pubblici una riserva di posti per coloro che rappresentano una categoria c.d. debole, anche se il bando di concorso non l'ha prevista.
La legge n. 482/1968, recante disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private, prevede espressamente la riserva di posti "allo scopo di favorire e tutelare il concreto collocamento al lavoro di coloro che rappresentano una categoria c.d. debole, in considerazione di menomazioni fisiche contratte in particolari circostanze (invalidi di guerra, civili, per servizio o per lavoro, privi della vista e sordomuti, ovvero gli orfani o le vedove di deceduti per fatti o infermità di analogo genere), nell'evidente presupposto che costoro abbiano particolari difficoltà nel reperire una occupazione, anche in adesione a tradizionali e consolidati principi di solidarietà umana e sociale".
Ciò comporta l'attribuzione di un carattere cogente alle disposizioni, per cui la riserva opera anche se il bando di concorso non l'ha prevista e, d'altro canto, essa si applica necessariamente anche alle selezioni per soli titoli, comunque (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 07.09.2010 n. 1935 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Efficacia estintiva della sanatoria - Valutazione postuma di compatibilità paesaggistica - C.d. interventi minori - Fattispecie - Artt. 181 c. 1-ter sub a) e 167, D.L.vo n. 42/2004 - Art. 44, c. 1, lett. c, TU n. 380/2001 - Art. unico, c. 36, L. n. 308/2004.
L’efficacia estintiva della sanatoria è limitata ai reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti e non si estende ad altri reati correlati alla tutela di interessi diversi quali quelli previsti dalla normativa sulle opere in cemento armato, sulle costruzioni in zone sismiche oppure di tutela delle aree di interesse ambientale.
Per questi ultimi reati, la L. n. 308/2004 (art. unico, c. 36) ha novellato l'art. 181 D.L.vo n. 42/2004 ed introdotto la possibilità di una valutazione postuma di compatibilità paesaggistica di alcuni interventi minori all'esito della quale (pur rimanendo ferme le misure amministrative ripristinatorie e pecuniarie di cui all'art. 167 D.L.vo n. 42/2004) non si applicano le sanzioni penali.
Nella specie, l'imputato non ha fatto ricorso a tale procedure né poteva utilmente farlo poiché risultano realizzate nuove volumetrie e questa circostanza rende inapplicabile la speciale causa estintiva del reato come precisato dall'art. 181, c. 1-ter, sub a, D.L.vo n. 42/2004.
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Reato urbanistico e reato ambientale - Ordine di demolizione e riduzione in pristino - Effetti diversificati - T.U.E. n. 380/2001 - D.L.vo n. 42/2004.
L'ordine di demolizione caducato per il reato urbanistico, deve essere mantenuto in vigore per quello ambientale.
Sicché, la statuizione inerente la demolizione non deve essere revocata nei casi in cui sussista il reato ambientale, piuttosto, è necessario disporre anche la restitutio in pristinum per ricondurre l'assetto dei luoghi alla situazione originaria, comportando la reintegrazione totale del bene nell'area protetta, l'ordine di rimessione in pristino ha una ampiezza maggiore, ma comprensiva dello abbattimento del manufatto abusivo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 01.09.2010 n. 32547 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: ELETTROSMOG - Costruzione ripetitore telefonico e titolo abilitativo - Testo Unico in materia edilizia - Art. 87 d.lgs. n.259/2003 - Art. 44 d.P.R. n. 380/2001.
Le disposizioni presenti nell'art. 87 del d.lgs. 01.08.2003, n. 259 contengono una deroga al regime ordinario del Testo Unico in materia edilizia (d.P.R. 06.06.2001, n. 380), deroga che la Corte costituzionale ha ritenuto possa essere condivisa all'interno di un complessivo bilanciamento tra i principi costituzionali; tuttavia, da questo regime non risulta affatto escluso che l'ente territoriale conservi un potere di valutazione circa la compatibilità delle opere necessarie per l'installazione del ripetitore con le regole in materia urbanistica e ambientale.
In sostanza, il rilascio del permesso di costruire, altrimenti necessario, viene sostituito dal rilascio delle autorizzazioni come previste dal citato art. 87 al termine della specifica procedura ivi disciplinata, con la conseguenza che il mancato rispetto di queste disposizioni rende le opere abusive e suscettibili di sanzione ai sensi dell'art. 44 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (fattispecie: costruzione ripetitore telefonico e titolo abilitativo) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 01.09.2010 n. 32527 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla regolarizzazione della documentazione di gara di cui all'art. 46 del d.lgs. 163 del 2006.
L'art. 46 del d.lgs. 163 del 2006, deve essere inteso nel senso che l'Amministrazione deve disporre la regolarizzazione quando gli atti, tempestivamente depositati, contengano elementi che possano costituire un indizio e rendano ragionevole ritenere sussistenti i requisiti di partecipazione. La ratio va ricercata nella esigenza di assicurare la massima partecipazione alle gare di appalto, evitando che l'esito delle stesse possa essere alterato da carenze di ordine meramente formale nella documentazione comprovante il possesso dei requisiti dei partecipanti.
Pertanto, quando il documento è già stato presentato in sede di gara, anche se parzialmente, è consentita la sua regolarizzazione se, come nel caso di specie, la violazione è squisitamente formale ed il rimedio, in concreto, non altera la par condicio tra i concorrenti.
Tale impostazione, discende direttamente dalla applicazione di due principi tradizionalmente fissati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia: quello di proporzionalità e quello del dovere dell'Amministrazione di ascoltare i privati prima di assumere decisioni (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 01.09.2010 n. 2163 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIL'azione amministrativa deve essere orientata sulla concreta verifica dei requisiti di partecipazione coerentemente con la disposizione di carattere generale contenuta nell'art. 6, l. 07.08.1990 n. 241.
Nella pronuncia in commento il ricorrente ha partecipato alla gara indetta da un Comune per l’affidamento dei servizi di progettazione dei lavori di “stabilizzazione tramite muri in cemento armato rivestiti in pietrame” da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Il Comune richiedeva a tutti i partecipanti alla selezione di produrre “le dichiarazioni inerenti i requisiti di ordine generale prescritti dall’art. 38, comma 1, lettera m-bis), m-ter) ed m-quater del codice dei contratti pubblici” da rendersi a pena di esclusione.
Il raggruppamento ricorrente ometteva di rendere la dichiarazione di cui alla lettera m-bis) e, per tale motivo, veniva escluso. Il mandatario del raggruppamento presentava quindi istanza volta ad ottenere, in autotutela, la riammissione alla gara. L’istanza veniva rigettata determinando il ricorso in commento, ritenuto fondato dal Tribunale amministrativo per la Sardegna.
Secondo gli stessi giudici deve essere, anzitutto, chiarita una circostanza di fatto rilevante per la risoluzione della vicenda controversa: i soggetti facenti parte del costituendo raggruppamento sono tutti liberi professionisti oltre ad una società di ingegneria. Nessuno di questi soggetti era esecutore di lavori pubblici.
Come correttamente affermato dalla difesa del ricorrente, spiegano i giudici isolani, al caso di specie va applicato l’art. 46 del d.lgs. 163 del 2006. La stessa sezione ha già avuto modo di affermare con sentenza n. 1537 del 09.10.2009 che il principio della integrazione documentale è anzitutto sancito in via generale dall'art. 6, comma 1, lettera b), della L. n. 241 del 1990. L'art. 46 costituisce inoltre attuazione della corrispondente disposizione contenuta nella Direttiva 2004/18/CE.
La ratio va ricercata nella esigenza di assicurare la massima partecipazione alle gare di appalto, evitando che l'esito delle stesse possa essere alterato da carenze di ordine meramente formale nella documentazione comprovante il possesso dei requisiti dei partecipanti. L'art. 46 ha il delicato compito di contemperare principi talvolta in antitesi come quello del favor partecipationis e quello della par condicio tra i concorrenti. Il punto di equilibrio deve essere trovato nella distinzione tra il concetto di regolarizzazione e quello di integrazione documentale.
La regolarizzazione dei documenti è sempre possibile, mentre non sempre lo è l'integrazione che si risolverebbe in una lesione della parità di trattamento tra i partecipanti. Il legislatore del Codice, non ha affatto inteso assegnare alle amministrazioni aggiudicatrici una facoltà, bensì ha elevato a principio generale un modo di procedere, volto a far prevalere, entro certi limiti, la sostanza sulla forma. In definitiva, l'art. 46 del Codice dei Contratti, è espressione, nel settore degli appalti pubblici, dei principi che sovrintendono l'istruttoria procedimentale, consacrati nell'art. 6 della L. 241 del 1990.
La disposizione deve essere intesa nel senso che l'Amministrazione deve disporre la regolarizzazione quando gli atti, tempestivamente depositati, contengano elementi che possano costituire un indizio e rendano, come è palese nel caso oggetto della presente vicenda controversa, ragionevole ritenere sussistenti i requisiti di partecipazione. Quindi, quando il documento è già stato presentato in sede di gara, anche se parzialmente, è consentita la sua regolarizzazione se, come nel caso di specie, la violazione è squisitamente formale ed il rimedio, in concreto, non altera la par condicio tra i concorrenti.
Tale impostazione, discende direttamente dalla applicazione di due principi tradizionalmente fissati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia: quello di proporzionalità e quello del dovere dell'Amministrazione di ascoltare i privati prima di assumere decisioni.
È fuor di dubbio che l'esclusione dalla gara per dubbi in ordine alla effettiva sussistenza di un requisito in capo ad un partecipante, determina un forte scostamento del provvedimento amministrativo rispetto alla scopo della fase di qualificazione alla gara pubblica. Quando la ditta partecipante incorre in un errore nell'allegazione di un certificato o, in ogni caso, quando il contenuto di un documento non soddisfa appieno le necessità istruttorie dell'Amministrazione, il principio generale è che questi aspetti devono essere oggetto di chiarimenti ed integrazioni. Ciò in quanto quell'operatore economico potrebbe risultare in concreto il migliore contraente per soddisfare le necessità per cui è stata bandita la gara.
La combinazione del principio di proporzionalità con quello del dovere di introdurre nel processo decisionale pubblico le manifestazioni di interesse dei privati, determinano che l'esclusione dalla gara per motivi di carattere squisitamente formale deve costituire eccezione e non regola. Essa deve essere disposta solo quando appare chiaro che consentire al concorrente utili chiarimenti ai fini di un più completo accertamento dei fatti da parte dell'Amministrazione aggiudicatrice, determinerebbe una lesione della par condicio tra i concorrenti.
I giudici sardi richiamano quindi i principi già espressi dalla Sezione ricordando anche che la integrazione documentale prevista dall'art. 46 del Codice degli appalti pubblici è ammissibile nei casi di equivoche clausole del bando relative alla dichiarazione od alla documentazione da integrare o chiarire e che (nei limiti sopra ampiamente esposti) la sostanza deve prevalere sulla forma.
La conseguenza di tale impostazione è che l'azione amministrativa deve essere orientata sulla concreta verifica dei requisiti di partecipazione coerentemente con la disposizione di carattere generale contenuta nell'art. 6, l. 07.08.1990 n. 241 (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 01.09.2010 n. 2163 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Conferenza di servizi - Natura - Strumento procedimentale di coordinamento.
La conferenza di servizi, proprio perché è solo un modulo procedimentale e non costituisce anche un ufficio speciale della Pubblica amministrazione, autonomo rispetto ai soggetti che vi partecipano, riverbera certamente i suoi effetti (che sono di natura procedimentale) sull'atto finale (cfr. Cons. St. IV sez., 09.07.1999 n. 1193), ma non assurge alla dignità di organo "ad hoc", né acquista soggettività giuridica autonoma, essendo solo uno strumento procedimentale di coordinamento di Amministrazioni che restano diverse tra loro e mantengono la rispettiva autonomia soggettiva (cfr. Cons. St. IV Sez. 14.06.2001 n. 3169) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 31.08.2010 n. 5145 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - RIFIUTI - Trattamento e smaltimento - Principio di precauzione - Incertezza circa l’esistenza o la portata di rischi per la salute - Armonizzazione con il principio di proporzionalità.
Il principio di precauzione, di derivazione comunitaria, sancito dall'art. 174 par. 2, del Trattato di Roma, trova applicazione in tutti quei settori in cui si manifesta la necessità di un elevato livello di protezione, indipendentemente dall'accertamento di un effettivo nesso causale tra il fatto dannoso o potenzialmente tale e gli effetti pregiudizievoli che ne derivano (TAR Puglia, Lecce, sez. I, 23.01.2003, n. 260).
In tale senso le stesse istituzioni giudiziarie dell’Unione europea hanno avuto modo di affermare l’immediata applicabilità del principio di precauzione quando sussistono incertezze riguardo all'esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, e la conseguente possibilità di adottare misure protettive, senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi (Tribunale I grado C.E., sez. II, 19.11.2009; C.G. C.E. sentenza 14.07.1998, causa C-248/95; id. 03.12.1998, causa C-67/97, Bluhme).
Il principio è pacificamente ritenuto applicabile alla materia del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti (Corte giustizia C.E., sez. IV, 04.03.2010, n. 297), dovendo, peraltro, armonizzarsi, nella concreta applicazione, con quello di proporzionalità, non potendo chiaramente prefigurarsi la prevalenza del primo sul secondo, ma dovendosi ricercare un loro equilibrato bilanciamento in relazione agli interessi pubblici e privati in gioco.
Conseguentemente tutte le decisioni adottate dalle autorità competenti in materia ambientale devono essere assistite -in relazione alla pluralità e alla rilevanza degli interessi in gioco- da un apparato motivazionale particolarmente rigoroso, che tenga conto di una attività istruttoria parimenti ineccepibile (TAR Campania Napoli, sez. V, 02.11.2009, n. 6758) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 31.08.2010 n. 5145 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla proroga del servizio di distribuzione del gas naturale di cui all'art. 15, c. 7, d.lgs. 164/2000 (c.d. decreto Letta).
A differenza della proroga del periodo transitorio degli affidamenti del servizio di distribuzione del gas naturale prevista dalla l. n. 239/2004 (c.d. legge Marzano) per motivi di interesse pubblico, avente carattere eminentemente discrezionale, la proroga di cui all'art. 15, c. 7, del d.lgs. n. 164/2000 (c.d. decreto Letta), non è il frutto dell'esercizio di una facoltà dell'ente locale, ma è legata a presupposti tipizzati, che garantiscono un automatica prosecuzione del rapporto, salvo che l'ente locale non motivi in modo specifico sulla effettiva necessità di procedere ad una liberalizzazione immediata.
Gli incrementi di cui al predetto art. 15, c. 7, non sono il risultato di una negoziazione fra il comune ed il concessionario, né costituiscono una concessione a titolo grazioso, ma concretano un'aspettativa tutelata del concessionario che non può essere negata se non valutando la sua posizione, il sacrificio ed i danni che deriverebbero dalla mancata concessione del prolungamento del periodo transitorio, nonché la necessità e le effettive ragioni, per l'amministrazione, di procedere ad un'immediata liberalizzazione. In sostanza non può affermarsi nell'applicazione dell'art. 15 c. 7 alcuna cieca prevalenza dell'interesse pubblico sulla posizione dei concessionari.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittima la delibera consiliare con la quale si statuiva di porre definitivamente termine, con effetto dal 31.12.2005, alla concessione del servizio di distribuzione di gas naturale e di procedere all'indizione di una gara pubblica per l'individuazione del nuovo gestore, per aver omesso di tenere in adeguata considerazione, ai fini del decidere, il carattere automatico degli incrementi temporali di cui al c. 7 dell'art. 15, d.lgs. 164/2000, cit. nell'ambito del quadro normativo esistente al momento di adozione della medesima delibera (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.08.2010 n. 5984 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIE' al momento della presentazione dell'offerta che l'impresa deve dichiarare la sua effettiva posizione nei confronti degli obblighi previdenziali (DURC), a nulla rilevando che tale situazione possa essere accertata e dimostrata solo in un momento successivo alla scadenza del termine, pur se con riferimento ad una data anteriore a tale scadenza.
Il termine “teorico” per la presentazione delle offerte fissato dalla lex specialis, diventa “concreto” con l'effettiva presentazione dell'offerta ed è a quel momento che l'impresa deve dichiarare la sua effettiva posizione nei confronti degli obblighi previdenziali, a nulla rilevando che tale situazione possa essere accertata e dimostrata solo in un momento successivo alla scadenza del termine, pur se con riferimento ad una data anteriore a tale scadenza.
Non appare, infatti, ammissibile una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà che attesti il possesso di un requisito in data futura, a maggior ragione se tale requisito dipende non dalla mera presentazione dell'istanza, ma dall'accoglimento della stessa che, nella fattispecie, è avvenuto in data successiva alla scadenza del bando, a nulla rilevando gli effetti retroattivi di tale accertamento (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.08.2010 n. 5968 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla possibilità per le associazioni di volontariato di partecipare alle gare di appalto sebbene non perseguano preminente scopo di lucro e non siano iscritte alla Camera di Commercio o al registro delle imprese.
La Corte di Giustizia CE con la sentenza del 23.12.2009, C 305/08, ha ribadito che le disposizioni della direttiva 2004/08 devono essere interpretate "nel senso che consentono a soggetti che non perseguono preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un'impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato… di partecipare ad un appalto pubblico di servizi" e che tale direttiva osta all'interpretazione di una normativa nazionale che vieti a soggetti che "non perseguono preminente scopo di lucro di partecipare ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico".
Pertanto, l'assenza di fini di lucro non esclude che le associazioni di volontariato possano esercitare un'attività economica, né rileva la carenza di iscrizione alla Camera di Commercio o al registro delle imprese, che non costituiscono requisito indefettibile di partecipazione alle gare di appalto né, nel caso di specie, ciò era espressamente stabilito dalle norme di gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.08.2010 n. 5956 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: AREE PROTETTE - Siti di importanza comunitaria - Piani e progetti - Valutazione di incidenza - Natura - Mezzo preventivo di tutela dell’ambiente.
La procedura di valutazione di incidenza è, per sua natura, finalizzata alla verifica e valutazione degli effetti di attività ed interventi su siti di importanza comunitaria ed all’individuazione delle idonee misure di mitigazione, volte a prevenire il deterioramento dei medesimi. Ne consegue che la valutazione di incidenza si configura come un mezzo preventivo di tutela dell’ambiente, che si deve svolgere prima dell’approvazione del progetto, il quale deve poter essere modificato secondo le prescrizioni volte ad eliminare o ridurre l’incidenza negativa dell’opera progettata.
AREE PROTETTE - Siti di importanza comunitaria - Valutazione di incidenza - Carattere della necessaria previetà - Principi di precauzione e di prevenzione - Valutazione di incidenza postuma - Illegittimità.
Il carattere della necessaria previetà della procedura di valutazione di incidenza è funzionale al rispetto dei precetti comunitari e nazionali improntati ai principi di precauzione e prevenzione dell’azione ambientale, secondo quanto emerge anche dall’esegesi della c.d. “direttiva habitat” (n. 92/43/CEE) seguita dalla giurisprudenza comunitaria (in termini Corte Giustizia CE, 07.09.2004, in causa C-127/02; con riferimento alla V.I.A. : Corte Giustizia CE, 03.07.2008, in causa C-215/06; Corte Giustizia CE, 05.07.2007, in causa C-255/05).
Il necessario corollario di tale postulato è quello per cui la valutazione di incidenza postuma alle autorizzazioni (ed in particolare al permesso di costruire) presupponenti un progetto definitivo dell’opera deve considerarsi illegittima (in termini, con riferimento al contiguo tema della V.I.A., TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 20.01.2010, n. 583).
AREE PROTETTE - Siti di importanza comunitaria - Valutazione di incidenza - Atto a funzione prodromica rispetto al provvedimento autorizzatorio.
La valutazione di incidenza si caratterizza come “atto a funzione prodromica” rispetto al provvedimento autorizzatorio, che deve dunque precedere, per potere così utilmente concorrere alla valutazione ponderata degli interessi (cfr., in materia di pareri, Cons. Stato, Sez. IV, 12.06.1998, n. 941; TAR Liguria, Sez. I, 22.07.2005, n. 1080 secondo cui è inammissibile l’esercizio ex post della funzione consultiva, a sanatoria, dovendo il parere necessariamente precedere la decisione dell’organo deliberante).
AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Art. 29 d.lgs. n. 152/2006 - V.I.A. - Applicazione analogica - Istituto della sanatoria - Configurabilità - Esclusione.
Nella materia coinvolgente l’interesse ambientale, ad escludere la possibilità di una valutazione di incidenza postuma concorre, sul piano dell’interpretazione analogica, anche la disposizione dell’art. 29 del codice dell’ambiente (d.lgs. 03.04.2006, n. 152), il cui primo comma, con riferimento alla V.I.A., dopo avere premesso che detta valutazione è atto presupposto, o parte integrante del procedimento di autorizzazione od approvazione del progetto, sancisce che «i provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di impatto ambientale, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge», sembrando così escludere ogni possibilità di sanatoria (cfr. seppure in chiave di lettura comunitaria, TAR Lombardia-Brescia, nella sentenza 11.08.2007, n. 726; cfr. altresì Ad. Gen. del Consiglio di Stato, parere del 25.01.1996 e, con specifico riferimento ai titoli edilizi, Cons. Stato, Sez. VI, 24.09.2004, n. 6255) (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 24.08.2010 n. 429 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTILa previsione da parte della lex specialis rende idonea la comunicazione via fax anche dell’atto di esclusione ai fini della piena cognizione del contenuto del provvedimento.
La dita appellante, nella pronuncia in rassegna, ha partecipato alla gara bandita dal Comune in causa per l’aggiudicazione di appalto di lavori di riqualificazione ed ampliamento dell’area esterna di scuola materna ed annesso asilo nido.
L’amministrazione ha escluso l’offerta dalla gara per avere rinvenuto, tra i dati pubblicati nel casellario informatico dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, annotazione di revoca dell’attestazione SOA disposta a seguito di accertamento di rilascio di attestazione sulla base di documenti privi di riscontro oggettivo in atti o attestazioni di pubbliche amministrazioni e di tanto ha dato comunicazione alla stessa Autorità .
L’appellante lamenta che erroneamente il Tar avrebbe considerato irricevibile il proprio ricorso, facendo decorrere il termine di decadenza dalla data di ricezione via fax del provvedimento di esclusione, così contravvenendo ai principi in materia di notificazione degli atti delle pubbliche amministrazioni, di decorrenza del termine dalla piena conoscenza dell’atto lesivo, di necessità di prova della ricezione nonché dando errata applicazione dell’art. 77 D.Lgs. 163/2006.
Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha ritenuto che tali tesi non possano trovare accoglimento va in primo luogo considerato, infatti, che, in base a lineari principi, in materia di impugnazione di provvedimenti amministrativi in relazione agli atti in cui sia richiesta la notifica individuale, come quelli di esclusione e revoca dell’aggiudicazione di gare, si applica la regola generale della piena conoscenza di cui all’art. 21 L. n. 1034/1971, laddove il termine decorre dalla notificazione o dalla comunicazione individuale all’interessato (Cons. St. Sez. V, 22.03.2010, n. 1661, 15.09.2009, n. 5503, 24.03.2006, n. 1534). E’ quindi sufficiente, in assenza di notificazione (nel qual caso soltanto si applica la disciplina sulle notifiche richiamata da parte appellante), perché comunque decorra il termine di impugnazione, che l’interessato abbia avuto piena cognizione, mediante comunicazione individuale, del provvedimento e della sua natura lesiva.
La questione all’esame è, quindi, spiegano i i giudici d’appello, se tale cognizione possa considerarsi realizzata, come ritenuto dal TAR, attraverso la trasmissione dell’atto di esclusione via fax, conformemente alle forme di comunicazione di cui agli articoli 77 e 79 D.Lgs. n. 163/2006. In base alla più recente normativa (particolarmente d.P.R. 28.12.2000, n. 445), il fax è considerato un ordinario mezzo di comunicazione nel corso dell’istruttoria, sia per la presentazione di istanze di privati (art. 38, comma 1), che acquistano efficacia con la trasmissione, sia per la comunicazione di documenti di cui tale mezzo soddisfa sia la forma scritta che la fonte di provenienza. In forza dell’art. 43, comma 6, un fax deve presumersi giunto al destinatario quando il rapporto di trasmissione indica che questa è avvenuta regolarmente.
Più in generale, va considerato che l’ordinamento in numerosi casi conferisce certezza alle comunicazioni effettuate via fax: l’art. 136 del codice di procedura civile ammette la comunicazione per telefax nel rispetto della normativa sulla trasmissione dei documenti teletrasmessi, così come la legge fallimentare,al terzo comma dell’art. 26, dispone la completa equiparazione, ai fini della decorrenza del termine per il reclamo contro i decreti del giudice delegato e del tribunale, della comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento e di quella attraverso telefax, stabilendo che la garanzia di avvenuta ricezione in base al d.P.R. n. 445/2000 equivale a notificazione.
Parimenti, l’art. 77 D.Lgs. n. 163/2006 stabilisce la facoltà per le stazioni appaltanti e per gli operatori economici di inviare le comunicazioni via telefax, purché di ciò si dia comunicazione nel bando o nell’invito. L’adeguamento rispetto all’innovazione delle tecnologie di trasmissione e comunicazione riposa sulla circostanza che il fax utilizza un sistema di linee di trasmissione e dati e di apparecchiature che consente di poter documentare sia la partenza del messaggio dall’apparato trasmittente che, attraverso il rapporto di trasmissione, la ricezione da parte di quello ricevente, dando altrettanta certezza rispetto all’avviso di ricevimento della raccomandata della ricezione del messaggio.
Coerentemente, la giurisprudenza amministrativa ha stabilito che il rapporto di trasmissione fa presumere la prova dell’avvenuta ricezione spettando al destinatario la prova contraria concernente la mancata funzionalità dell’apparecchio (Cons. St. Sez. V, 24.04.2002, n. 2202, Sez. VI, 04.06.2007, n. 2951, 19.6.2009, n. 4151, 03.02.2009 n. 578).
L’idoneità della comunicazione mediante fax è avvalorata, nella specie, dalla circostanza che il disciplinare di gara abbia disposto che le imprese partecipanti indicassero il proprio numero di fax al quale l’amministrazione potesse far pervenire la richiesta ex art. 48 D.Lgs. 163/2006 ed a tanto l’appellante abbia provveduto accettando la comunicazione via fax sul controllo del possesso dei requisiti, conclusosi poi negativamente con il provvedimento di esclusione (in linea, quindi, anche con i commi 5-bis e 5-quinquies dell’art. 79 introdotti dal d.lgs. n. 53/2010, pur se inapplicabili ratione temporis alla controversia de qua).
La previsione da parte della lex specialis di tale mezzo di trasmissione rende, pertanto, idonea la comunicazione via fax anche dell’atto di esclusione ai fini della piena cognizione del contenuto del provvedimento e risulta rispettosa dell’art. 77 d.lgs n. 163 (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.08.2010 n. 5845 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di una piattaforma in calcestruzzo di considerevoli dimensioni abbisogna del preventivo rilascio della concessione edilizia.
La realizzazione di un ampio parcheggio mediante utilizzo di una piattaforma in calcestruzzo di considerevoli dimensioni è opera che non può essere assentita sulla base della presentazione di una semplice Denuncia di Inizio Attività, all’evidenza trattandosi di intervento comportante una effettiva e rilevante modificazione del territorio che all’epoca necessitava, ai sensi dell’art. 1 della L. n. 10 del 1977, del previo rilascio di concessione edilizia (v. TAR Veneto, sez. II, 03/04/2003 n. 2267) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 16.08.2010 n. 7495 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICACon il decorso del termine di 10 anni diventano inefficaci le previsioni del piano di lottizzazione che non hanno avuto concreta attuazione, nel senso che non è più consentita la sua ulteriore esecuzione, salva la possibilità di ulteriori costruzioni coerenti con le vigenti previsioni del piano regolatore generale e con le prescrizioni del piano attuativo, che per questa parte ha efficacia ultrattiva, in linea con il carattere di tendenziale stabilità di tutti i piani attuativi, cui si deve la concreta e dettagliata conformazione della proprietà privata.
L’art. 17, comma 1, della legge urbanistica fondamentale (legge 17.08.1942, n. 1150) dispone che «decorso il termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso».
La norma in questione, dunque, con riferimento ai piani particolareggiati di iniziativa pubblica, cui sono equiparati i piani di lottizzazione, tiene distinta la valenza urbanistica del piano attuativo dall’efficacia della convenzione.
Ciò comporta che con il decorso del termine di 10 anni diventano inefficaci le previsioni del piano di lottizzazione che non hanno avuto concreta attuazione, nel senso che non è più consentita la sua ulteriore esecuzione, salva la possibilità di ulteriori costruzioni coerenti con le vigenti previsioni del piano regolatore generale e con le prescrizioni del piano attuativo, che per questa parte ha efficacia ultrattiva, in linea con il carattere di tendenziale stabilità di tutti i piani attuativi, cui si deve la concreta e dettagliata conformazione della proprietà privata (Cons. Stato, Sez. V, 30.04.2009, n. 2768; TAR Umbria, 25.02.2010, n. 144).
Conviene inoltre precisare che cosa intenda la norma dicendo che il piano particolareggiato (o di lottizzazione) «diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione». Essa si riferisce all’ipotesi che taluno dei lotti edificabili sia rimasto in realtà inedificato. Verificandosi tale ipotesi, ne consegue che i proprietari di quei lotti non sono più tenuti ad eseguire le opere di urbanizzazione e non sono più assoggettati alle future espropriazioni; ciò in coerenza con il legame di corrispettività che corre fra l’attribuzione della potenzialità edificatoria e l’obbligo di eseguire le opere di urbanizzazione e di cedere porzioni di terreno alla p.a. (mediante esproprio o mediante un negozio di trasferimento). Anche in tale ipotesi, tuttavia, le destinazioni urbanistiche sopravvivono, pur venendo meno i vincoli in senso stretto.
Tutt’altro è da dire, invece, per l’ipotesi che i privati lottizzanti abbiano sfruttato le potenzialità edificatorie loro attribuite, ma siano rimasti inadempienti rispetto agli obblighi assunti con la convenzione di lottizzazione. In tal caso infatti non sarebbe pertinente l’affermazione che il piano perde efficacia nella parte in cui non è attuato: di fatto esso è attuato (se per attuazione s’intende, come si deve intendere, l’edificazione dei lotti); vi è invece un puro e semplice inadempimento concernente le obbligazioni corrispettive.
L’inadempimento, di per sé, ovviamente non estingue le obbligazioni ma semmai comporta un aggravio di responsabilità, ad es. per i danni da inadempimento. Vero è che tali obbligazioni possono cadere in prescrizione, qualora l’inadempienza si protragga abbastanza a lungo e non siano compiuti atti interruttivi; ma ciò vale per le obbligazioni di fare e di dare, non per le destinazioni urbanistiche inerenti – sino a che non sopravvenga una diversa pianificazione urbanistica.
Ne discende che, fino ad una nuova regolamentazione urbanistica generale difforme, nella fattispecie in esame, permane nell’area interessata dall’abuso edilizio, contrariamente a quanto assume parte ricorrente, l’efficacia e validità del vincolo di inedificabilità per destinazione a parcheggio pubblico (TAR Umbria, sentenza 16.08.2010 n. 426 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISulla mancata comunicazione di avvio del procedimento amministrativo.
La mancata comunicazione di avvio del procedimento è inidonea a viziarlo quando i presupposti fattuali risultino incontestati, il quadro normativo non presenti margini di incertezza sufficientemente apprezzabili, l’eventuale annullamento del provvedimento non privi l’Amministrazione del potere-dovere di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto, con conseguente non incidenza della partecipazione del privato ai fini della definizione di tale contenuto (cfr., di recente, C.d.S., Sez. VI, 24.11.2009, n. 7378)
(C.G.A.R.S., sentenza 12.08.2010 n. 1106 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALIIn tema di acquisizione da parte di un ente pubblico di prestazioni professionali in assenza di copertura finanziaria, il riconoscimento del debito fuori bilancio non costituisce fattispecie idonea a produrre i medesimi effetti negoziali riconducibili alla fattispecie legale (costituita dalla delibera di conferimento dell’incarico, dalla stipulazione del contratto e dal relativo impegno contabile), ma può solo fondare un’azione di indebito arricchimento nei limiti del riconoscimento dell’utilità della prestazione e dell’arricchimento per l’Amministrazione.
Come è stato osservato dalla Corte di Cassazione (sez. I, n. 7966 del 27.03.2008), in tema di acquisizione da parte di un ente pubblico di prestazioni professionali in assenza di copertura finanziaria, il riconoscimento del debito fuori bilancio non costituisce fattispecie idonea a produrre i medesimi effetti negoziali riconducibili alla fattispecie legale (costituita dalla delibera di conferimento dell’incarico, dalla stipulazione del contratto e dal relativo impegno contabile), ma può solo fondare un’azione di indebito arricchimento nei limiti del riconoscimento dell’utilità della prestazione e dell’arricchimento per l’Amministrazione (C.G.A.R.S., sentenza 12.08.2010 n. 1106 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'impugnazione immediata delle disposizioni della disciplina di gara che limitano illegittimamente il diritto alla partecipazione di un concorrente.
I requisiti di partecipazione alle gare d'appalto possono essere anche più rigorosi e restrittivi rispetto a quelli ex lege previsti, in relazione alle peculiari caratteristiche del servizio da appaltare.

Nel caso in cui le disposizioni della disciplina di gara limitano illegittimamente il diritto alla partecipazione di un concorrente, esso deve impugnare immediatamente la disciplina di gara e non attenderne l'esito, essendo la lesività di un atto aspetto oggettivo e indipendente dai requisiti posseduti dagli altri partecipanti alla gara.
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I bandi di gare d'appalto pubblico possono prevedere requisiti di partecipazione più rigorosi di quelli indicati dalla legge purché non discriminanti ed abnormi rispetto alle regole proprie del settore e che possano pertanto pretendere l'attestazione di requisiti di capacità diversi ed ulteriori dalla semplice iscrizione in albi o elenchi.
Le previsioni recate nelle relative disposizioni normative di settore sono volte a stabilire una semplice presunzione di possesso dei requisiti minimi per la partecipazione alla gara, che pertanto ben possono essere derogati (o meglio incrementati, sotto l'aspetto qualitativo e quantitativo) dall'amministrazione in relazione alle peculiari caratteristiche del servizio da appaltare.
Le scelte così operate, ampiamente discrezionali, impingono nel merito dell'azione amministrativa e si sottraggono, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie o sproporzionate, specie avuto riguardo alla specificità dell'oggetto ed all'esigenza di non restringere, oltre lo stretto indispensabile, la platea dei potenziali concorrenti e di non precostituire situazioni di privilegio.
Pertanto, nel caso di specie non è irragionevole, sproporzionata o discriminatoria la richiesta di specifici requisiti di esperienza nella gestione di piscine pubbliche, trattandosi dell'affidamento in concessione dell'impianta natatorio comunale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.08.2010 n. 5201 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione in sanatoria c.d. straordinaria (o condono) - Specialità del procedimento - Verifiche, presupposti e condizioni - Parere della Commissione edilizia - Non obbligatorio - Fondamento.
La specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all'ordinario procedimento di rilascio della concessione ad edificare e l'assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità rendono, per il rilascio della concessione in sanatoria c.d. straordinaria (o condono), il parere della Commissione edilizia non obbligatorio, ma, tutt’al più, facoltativo, al fine di acquisire eventuali informazioni e valutazioni con riguardo a particolari e sporadici casi incerti e complessi, in assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato alla semplice verifica dei (pur numerosi) presupposti e condizioni espressamente e chiaramente fissati dal Legislatore (Cons. St., sez. IV, 12/02/2010 , n. 772; CdS sez. IV, 15/05/2009, n. 3010; CdS, sez. VI, 27/06/2008, n. 3282; CdS sez. V, 04/10/2007, n. 5153).
Nella specie non sussistevano quelle condizioni di complessità e difficoltà accertativa o valutativa e, dunque, non v’erano spazi per poter invocare utilmente l’intervento dell’organo consultivo collegiale.
Opere abusive sanabili - Annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale - Cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare - Limiti di superficie e volume per ampliamenti di edifici già esistenti - Art. 39, c. 19, L. n. 724/1994 - Art. 7, c. 3, L. n. 47/1985.
L’art. 39 della legge n. 724/1994 dispone, al comma 19, che per le opere abusive “divenute sanabili“ in forza dello stesso art. 39, “il proprietario ha il diritto di ottenere l’annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell’area di sedime e delle opere sopra questa realizzate disposte in attuazione dell’articolo 7, terzo comma, della legge 28.02.1985, n. 47”, e la cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare, fatti salvi i diritti dei terzi e del comune, nel caso in cui le opere stesse siano state destinate ad attività di pubblica utilità entro la data dell'01.12.1994.
Inoltre, l’articolo 39 della legge n. 724/1994, dopo avere fissato i limiti di superficie e volume per ampliamenti di edifici già esistenti, ha disposto che quei limiti “trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria."
La norma correla quindi il limite volumetrico massimo alla domanda di condono. Nella specie, a nulla vale invocare, l’avvenuto frazionamento dell’immobile in due unità immobiliari, perché se ciò fosse rilevante, si consentirebbe ad un soggetto di realizzare un grattacielo di migliaia di metri cubi, poi frazionarlo in tanti appartamenti tutti inferiori a 750 mc. e quindi invocare il condono (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5156 - link a www.ambientediritto.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Provvedimenti in materia edilizia - Attribuzione ai dirigenti - Art. 6, 2° comma, L. n. 127/1997 - Art. 51 L. n. 142/1990. Solo a seguito dell'art. 6, 2° comma, L. n. 127/1997 è stata attribuita ai dirigenti degli Enti locali la competenza in ordine agli atti di gestione, anche con riferimento ai provvedimenti in materia edilizia.
La disposizione, nel sostituire l'art. 51 L. n. 142/1990, ha direttamente attribuito ai Dirigenti, tra l'altro, i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni anche di natura discrezionale (Cons. St., Sez. V, n. 5833 del 25.11.2001, n. 7632 del 21.11.2203, n. 2694 del 04.05.2004 e n. 5757 del 09.11.2007; ma è altrettanto vero che, per consolidata giurisprudenza, non esistono ostacoli di ordine normativo -eccetto improbabili norme di statuto o regolamento dell’ente locale- a che il Sindaco deleghi un assessore all'adozione di atti in materia urbanistica ed edilizia che non costituiscano espressione di funzioni di Ufficiale di Governo ma che attengano alla cura di interessi tipicamente locali e strettamente coordinati con le esigenze della comunità insediata in un certo territorio (CdS, sez. V, 10/02/2009, n. 758; id., 16/11/2005 , n. 6376; id., 24/11/1997, n. 1358) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5156 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sull'obbligo del responsabile dell'istruttoria di una gara di appalto di svolgere ogni tipo di attività volta all'accertamento dei fatti oggetto del procedimento.
Sussiste l'obbligo preciso del responsabile dell'istruttoria svolgere ogni tipo di attività volta all'accertamento dei fatti oggetto del procedimento, è se per tale necessità sono opportune più istanze istruttorie, non è violato il principio di non aggravamento del procedimento le quante volte tali istanze siano giustificate dall'esigenza di procedere.
Di conseguenza, nel caso di specie, l'errore materiale in cui è incorsa la cooperativa, la quale ha nei termini previsti prodotto la documentazione richiesta, ben avrebbe potuto indurre il responsabile del procedimento a richiedere la rettifica di istanze erronee o incomplete nella esplicazione di quel principio di regolarizzazione degli atti che si affianca a quello acquisitivo proprio dell'iniziativa di ufficio della fase istruttoria, sicché ne deriva che a fronte di documentazione ritenuta inidonea è onere dell'amministrazione completare l'istruttoria richiedendo all'interessato quanto necessario a tal fine.
Il principio secondo il quale il responsabile del procedimento amministrativo è tenuto a indicare o rettificare eventuali irregolarità formali è applicabile anche al procedimento di gara pubblica, a condizione che non sia turbata la par condicio dei concorrenti e non vi sia una modificazione del contenuto della documentazione presentata (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 30.07.2010 n. 3305 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ESPROPRIAZIONEEsproprio comunale anche per i beni tutelati. Indispensabile per il nulla-osta da parte del ministero. Il vincolo non fa venire meno il potere dell'ente locale.
Anche un bene tutelato può essere espropriato dall'amministrazione comunale, dopo aver acquisito il nulla osta da parte della soprintendenza competente.
E' questo l'innovativo principio affermato dalla VI Sezione del Consiglio di Stato, sentenza 27.07.2010 n. 4890, nel respingere l'appello proposto dai proprietari di un palazzo storico, che -in primo grado- avevano impugnato un decreto di occupazione d'urgenza del giardino antistante l'edificio, anch'esso vincolato.
Il provvedimento era stato emesso da un comune per la realizzazione sul giardino di una pubblica piazza e a sostegno dell'impugnativa gli interessati avevano contestato, tra l'altro, l'incompetenza del comune a procedere all'esproprio, stante la presenza di un vincolo storico-artistico sull'intero complesso immobiliare.
I giudici di Palazzo Spada, nel confermare la sentenza di primo grado (Tar Campania-Salerno, I sezione n. 258/2005), hanno evidenziato come i poteri espropriativi attribuiti al ministero per i Beni e le attività culturali, prima dal Testo unico dlg. 490/1999 (articoli 91 e seguenti) e oggi dal Dlgs /2004 (articoli 95 seguenti), perseguono una finalità ben specifica: il miglioramento delle condizioni del bene tutelato e la sua pi ampia fruibilità da parte della collettività. Il che corrisponde, quindi a una causa di pubblica utilità tipica e del tutto differente rispetto a quella della realizzazione dell'opera pubblica che l'amministrazione comunale voleva eseguire, rispetto alla quale l'amministrazione centrale risultava del tutto estranea.
Di conseguenza, l'assoggettamento di un bene privato a un vincolo storico artistico non fa di per sé venire meno gli ordinari poteri ablatori di un comune, che potranno essere esercitati nel rispetto delle finalità di tutela -finalità che, è bene sottolinearlo, costituiscono soltanto dei parametri in relazione ai quali va valutato l'impatto dell'intervento costruttivo che si intende attuare a seguito dell'esproprio.
Giunta competente.
Nel caso esaminato dalla sentenza, il Consiglio di Stato, richiamando precedenti orientamenti (sentenza II 3067/2001) coglie anche l'occasione per affermare la competenza della giunta municipale nell'approvazione del progetto preliminare dell'opera pubblica, rilevando come questo non avesse comportato alcuna variante allo strumento urbanistico generale, per cui doveva escludersi che la materia rientrasse nelle attribuzioni del consiglio comunale, così come delineate dall'articolo 42 del Dlgs n. 267/2000, bensì in quelle di tipo generale e residuale spettanti all'organo esecutivo, secondo quanto previsto dall'articolo 4 del medesimo decreto.
Tre ipotesi di «ablazione».
È utile ricostruire, a questo punto, la disciplina dell'esproprio di beni culturali appartenenti privati, introdotta nel nostro ordinamento già dalla legge n 2359/1865 (articolo 83) e poi dalla legge n. 1089/1939 (articolo 54) ed è finalizzata ad evitare il deperimento del bene tutelato per scarsa o inadeguata conservazione da parte dei proprietari. La successiva evoluzione legislativa, largamente trasfusa nel Testo unico n. 490/1999, ha ampliato l'ambito dei beni espropriabili, introducendo anche quelli mobili, e i casi in cui era possibile ricorrere alla procedura ablatoria.
Attualmente il Codice dei beni culturali, approvato col Dlgs n. 42/2004, contempla tre ipotesi di esproprio per pubblica utilità da parte del Ministero. La prima, delineata dall'articolo 95, consénte l'espropriazione di beni culturali, sia immobili che mobili, quando ci risulti indispensabile per «migliorare le condizioni di tutela ai fin! della fruizione pubblica dei béni medesimi».
In questa eventualità il Ministero può procedere direttamente all'esproprio, oppure autorizzare regioni e altri enti pubblici territoriali o altri enti ed istituti pubblici che ne abbiano fatto richiesta, ovvero disporre l'espropriazione in favore di persone giuridiche private senza fini di lucro.
Il secondo caso, disciplinato dall'articolo 96, quello dell'espropriazione per fini strumentali di edifici e aree non vincolate, ma poste in ambito contiguo al bene tutelato, e si giustifica con la necessità di «isolare o restaurare beni culturali immobili, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l'accesso».
Infine l'articolo 97 ammette il ricorso all'espropriazione di immobili al fine di eseguire ricerche e scavi, o interventi di interesse archeologico (articolo ItaliaOggi del 06.09.2010, pag. 10 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATAQuando è proposta una domanda volta ad ottenere il rilascio di un titolo edilizio, il vicino del richiedente può intervenire nel corso del relativo procedimento e può impugnare il provvedimento che accolga l'istanza, ma non ha titolo a ricevere l'avviso dell'avvio del procedimento in quanto ciò comporterebbe un aggravio del procedimento, in palese violazione dei principi di economicità ed efficacia dell'attività amministrativa.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che non vi è identità tra le posizioni di coloro che sono legittimati ad impugnare il provvedimento finale, quelle di coloro che possono intervenire nel procedimento (Cons. Stato, sez. VI, 12.04.2000, n. 2185) ovvero quelle di coloro che hanno titolo a ricevere l'avviso del procedimento (Cons. Stato, sez. VI, 15.09.1999, n. 1197).
Quando è proposta una domanda volta ad ottenere il rilascio di un titolo edilizio, il vicino del richiedente può intervenire nel corso del relativo procedimento e può impugnare il provvedimento che accolga l'istanza, ma non ha titolo a ricevere l'avviso dell'avvio del procedimento in quanto ciò comporterebbe un aggravio del procedimento, in palese violazione dei principi di economicità ed efficacia dell'attività amministrativa (Cons. Stato, sez. VI, 15.09.1999, n. 1197; 14.03.2002, n. 1533; 18.04.2005, n. 1773; Tar Liguria, 10.07.2009, n. 1736)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.07.2010 n. 3253 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa precarietà di un manufatto, la cui realizzazione non necessita di titolo edilizio non comportando una trasformazione del territorio, non dipende dalla qualità dei materiali utilizzati, o dalla sua facile rimovibilità, ma dalla temporaneità della funzione in relazione ad esigenze di natura contingente.
Per giurisprudenza costante, la precarietà di un manufatto, la cui realizzazione non necessita di titolo edilizio non comportando una trasformazione del territorio, non dipende dalla qualità dei materiali utilizzati, o dalla sua facile rimovibilità, ma dalla temporaneità della funzione in relazione ad esigenze di natura contingente (Cons. Stato, sez. IV, 15.05.2009, n. 3029; Cons. Stato, sez. IV, 06.06.2008, n. 2705; Cass. Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 22054).
La precarietà va, pertanto, esclusa quando, come nella fattispecie, si tratta di un’opera destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo: la struttura era esistente sin dal 1984 –secondo quanto asserito dalla stessa ricorrente– ed è stata stabilmente destinata ad ampliamento dell’attiguo ristorante. Anche in considerazione delle dimensioni e delle caratteristiche costruttive, essa realizza una trasformazione del territorio ed è dunque suscettibile di condono
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.07.2010 n. 3253 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa rilevanza giuridica della concessione edilizia (e quindi della concessione in sanatoria o cosiddetto condono) si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra comune e privato richiedente, senza estendersi ai rapporti tra privati.
E' stata affermata l'illegittima dell'esclusione, su immobili condonati, di interventi di manutenzione, aventi quale unica finalità la tutela della integrità della costruzione e la conservazione della sua funzionalità, “senza alterare l'aspetto esteriore dell'edificio”, ciò in quanto rappresenta una lesione al contenuto minimo della proprietà, perché l'anzidetto divieto incide addirittura sulla essenza stessa e sulle possibilità di mantenere e conservare il bene oggetto del diritto, producendo un inevitabile deterioramento di esso, con conseguente riduzione in cattivo stato ed un progressivo abbandono e deperimento (strutturale e funzionale) del medesimo.

Si richiamano al riguardo i principi affermati dal Consiglio di Stato con la sentenza sez. VI, 30.12.2006, n. 8262, secondo cui “la rilevanza giuridica della concessione edilizia (e quindi della concessione in sanatoria o cosiddetto condono) si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra comune e privato richiedente, senza estendersi ai rapporti tra privati.
La concessione così come il condono sono rilasciati sempre con salvezza dei diritti dei terzi, mentre il conflitto tra proprietari, interessati in senso opposto alla costruzione, va risolto in base al raffronto tra le caratteristiche dell'opera e le norme edilizie che la disciplinano, ai sensi dell'art. 871 codice civile.
Pertanto, il condono edilizio interessa i rapporti fra la p.a. e il privato costruttore, che può fruirne anche se l'edificio abusivo violi le norme sulle distanze legali.
Restano però naturalmente illesi i diritti dei terzi che possono far valere la violazione delle norme suddette e chiedere il risarcimento dei danni o la demolizione delle opere abusive (Cons. Stato sez. IV 16.10.1998, n. 1306)
”.
La Corte Costituzionale ha affermato l’illegittimità della esclusione, su immobili condonati, di interventi di manutenzione, aventi quale unica finalità la tutela della integrità della costruzione e la conservazione della sua funzionalità, “senza alterare l'aspetto esteriore dell'edificio”, ciò in quanto rappresenta una lesione al contenuto minimo della proprietà, perché l'anzidetto divieto incide addirittura sulla essenza stessa e sulle possibilità di mantenere e conservare il bene oggetto del diritto, producendo un inevitabile deterioramento di esso, con conseguente riduzione in cattivo stato ed un progressivo abbandono e deperimento (strutturale e funzionale) del medesimo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.07.2010 n. 3253 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario, anche se non responsabile dell'abuso, considerato che l'abuso edilizio costituisce illecito permanente e che l'ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l'accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione.
L'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area di sedime su cui insiste l'abuso, essendo una sanzione prevista per l'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, può essere disposta esclusivamente in danno del responsabile dell'abuso edilizio (ove egli sia anche proprietario del bene), non potendo operare nella sfera giuridica del proprietario che sia rimasto estraneo all'abuso sulla cosa detenuta dal locatario o affittuario, salvo che il proprietario non abbia dato il consenso alla realizzazione dell'abuso.

Dopo l’importante intervento della Corte costituzionale (Corte cost. 15.07.1991, n. 345), la giurisprudenza amministrativa ha univocamente rilevato che l'ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva <<può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario, anche se non responsabile dell'abuso, considerato che l'abuso edilizio costituisce illecito permanente e che l'ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l'accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione.
Tuttavia l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area di sedime su cui insiste l'abuso, essendo una sanzione prevista per l'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, può essere disposta esclusivamente in danno del responsabile dell'abuso edilizio (ove egli sia anche proprietario del bene), non potendo operare nella sfera giuridica del proprietario che sia rimasto estraneo all'abuso sulla cosa detenuta dal locatario o affittuario, salvo che il proprietario non abbia dato il consenso alla realizzazione dell'abuso (TAR Umbria, 01.06.2007, n. 477; TAR Campania Napoli, sez. II, 19.10.2006, n. 8673; TAR Lazio Roma, sez. II, 03.07.2007, n. 5968)
>> (TAR Sardegna, sez. II, 10.04.2009, n. 450; TAR Lazio Latina, sez. I, 01.09.2008, n. 1026) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 21.07.2010 n. 1807 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo di cui alla l. 10/1977 prescinde totalmente dall’esistenza delle opere di urbanizzazione inerenti la nuova costruzione e deve essere corrisposto dal titolare della concessione edilizia quale che sia il livello di urbanizzazione dell’area oggetto della concessione edilizia, trattandosi non di un corrispettivo volto a rimborsare un costo, bensì di un diverso onere generalizzato a carattere contributivo paratributario mirante alla realizzazione dell’assetto urbanistico del territorio comunale nel suo complesso.
Il contributo per il rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) imposto dalla legge 28.01.1977, n. 10 (art. 3; v. ora art. 16 d.P.R. 06.06.2001, n. 380) e commisurato agli oneri di urbanizzazione, ha carattere generale perché prescinde totalmente dall’esistenza, o meno, delle singole opere di urbanizzazione; esso ha natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario trae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere (Cons. St., sez. V, 15.12.2005, 7140).
Infatti, il contributo di cui alla l. 10/1977 prescinde totalmente dall’esistenza delle opere di urbanizzazione inerenti la nuova costruzione e deve essere corrisposto dal titolare della concessione edilizia quale che sia il livello di urbanizzazione dell’area oggetto della concessione edilizia, trattandosi non di un corrispettivo volto a rimborsare un costo, bensì di un diverso onere generalizzato a carattere contributivo paratributario mirante alla realizzazione dell’assetto urbanistico del territorio comunale nel suo complesso.
In termini generali, il fondamento del contributo di urbanizzazione -da versare al momento del rilascio di una concessione edilizia- non consiste nell’atto amministrativo in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità (TAR Brescia, 07.11.2005, 115).
Alla luce, dunque, sia del chiaro disposto dell’art. 10 l. n. 10/1977, sia della predetta natura tributaria della componente in esame del contributo, deve ritenersi infondata la tesi dei ricorrenti, secondo cui l’aver già eseguito, in occasione del rilascio di una precedente concessione, le opere di urbanizzazione primaria esime gli stessi dal pagamento degli oneri di urbanizzazione al momento del rilascio di successive concessioni (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 21.07.2010 n. 1786 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: L’interesse al ricorso, in materia di impugnazione degli atti di pianificazione, non può essere provato solo con la situazione dello stabile collegamento con la zona interessata dalle opere, ossia con la vicinitas, ma anche attraverso la dimostrazione del pregiudizio effettivo o anche potenziale, ma direttamente conseguente all’adozione degli atti gravati e della connessa utilitas ricavata dall’accoglimento del ricorso stesso.
L’orientamento del Consiglio di Stato (decisione n. 1584 del 10.04.2008) stabilisce che l’interesse al ricorso, in materia di impugnazione degli atti di pianificazione, non può essere provato solo con la situazione dello stabile collegamento con la zona interessata dalle opere, ossia con la vicinitas, ma anche attraverso la dimostrazione del pregiudizio effettivo o anche potenziale, ma direttamente conseguente all’adozione degli atti gravati e della connessa utilitas ricavata dall’accoglimento del ricorso stesso.
Tuttavia, nelle controversie attinenti alla realizzazione di interventi che incidono sul territorio, si deve ritenere che l’ordinamento riconosce una posizione qualificata e differenziata a tutti coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona interessata, anche se, in concreto, devono ritenersi titolati all’impugnativa solo i soggetti che possono lamentare una pregiudizievole alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio, per effetto della realizzazione dell’intervento controverso; con la precisazione che il pregiudizio non deve essere necessariamente attuale e concreto, nel senso che dall’esecuzione dei provvedimenti impugnati discenda in via immediata e diretta un danno certo alla sfera giuridica dei ricorrenti, essendo sufficiente che questo sia solo potenziale, ossia che possa verificarsi in futuro con una certa probabilità.
Naturalmente incombe sui ricorrenti la prova della sussistenza di un danno potenziale, cioè della possibilità del suo verificarsi in un futuro non troppo lontano
(T.R.G.A. Trento Alto Adige-Bolzano, sentenza 21.07.2010 n. 221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: La mancata sottoposizione delle osservazioni del privato al consiglio comunale svuota anche il principio della partecipazione dei cittadini alla formazione del piano urbanistico, eliminando la possibilità di contraddittorio comune-privato e né il sindaco né la giunta comunale avevano la competenza per il vaglio delle osservazioni del ricorrente.
I procedimenti di formazione degli strumenti urbanistici primari sono soggetti ad una normativa speciale che salvaguarda l’esigenza di contraddittorio tra parti pubbliche e private attraverso un apposito iter puntualmente disciplinato.
L’approvazione del piano urbanistico comunale (artt. 19 e 20 LP 11.8.1997, n. 13) rappresenta una fattispecie complessa, che dopo la stesura del piano e sua approvazione da parte del consiglio comunale prevede la pubblicazione, le osservazioni dei privati, l’esame di queste da parte del consiglio, le eventuali controdeduzioni e l’inoltro alla provincia, che, sentito il parere della commissione urbanistica provinciale, può approvare il piano com’è o con modifiche d’ufficio (in casi delimitati), proporre delle modifiche al comune, o restituirlo al comune perché provveda alla sua rielaborazione, e per il rinvio operato dall’art. 21 dell’anzidetta legge provinciale, lo stesso procedimento è previsto per l’adozione di varianti al piano urbanistico.
Nel caso di specie, le osservazioni del signor Schenk Eugen non sono state sottoposte all’esame del consiglio comunale per le controdeduzioni, ma sono state respinte dal Sindaco con nota del 19.07.2006 e, quindi, inviate dallo stesso all’Amministrazione provinciale che ha comunicato la loro reiezione, con riferimento a quanto scritto dal Sindaco nella precitata nota del 19.07.2006.
Le Amministrazioni resistenti obiettano come la previsione normativa di cui all’art. 19 della LUP preveda solo un eventuale intervento del consiglio comunale, per cui l’intervento non può considerarsi obbligatorio ed in ogni caso rientrerebbe nei poteri del consiglio delegare alla giunta municipale la formulazione delle controdeduzioni alle osservazioni dei privati.
Osserva il Collegio che, nella fattispecie de qua, non sono mancate solo le controdeduzioni del consiglio comunale: le osservazioni del ricorrente non sono state neppure sottoposte all’esame del consiglio, ma solo a quello della giunta provinciale, esautorando l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo dell’ente da una sua precipua funzione in materia urbanistica.
Il consiglio comunale, infatti, ai sensi dell’art. 28, co. 3 b), del T.U. sull’ordinamento degli enti locali, è competente tra l’altro, in via esclusiva, in ordine ai “piani territoriali e urbanistici” ed ai “pareri da rendere nelle dette materie”. Rientrano quindi nella competenza consiliare tutti gli atti con cui si esprime una valutazione in materia urbanistica, anche al di fuori di un procedimento di approvazione di uno strumento urbanistico. A maggior ragione è di sua esclusiva competenza l’esame delle osservazioni dei privati, sulla cui base il consiglio può controdedurre per rigettarle o condividerle, posto che tali osservazioni ed il loro successivo esame rientrano nel procedimento di formazione dello strumento urbanistico.
La mancata sottoposizione delle osservazioni del privato al consiglio comunale svuota anche il principio della partecipazione dei cittadini alla formazione del piano urbanistico, eliminando la possibilità di contraddittorio comune-privato e né il sindaco né la giunta comunale avevano la competenza per il vaglio delle osservazioni del ricorrente
(T.R.G.A. Trento Alto Adige-Bolzano, sentenza 21.07.2010 n. 221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Avviso di convocazione del Consiglio Comunale.
Non è necessaria la rinnovazione del primo avviso di convocazione del Consiglio Comunale, a seguito di seduta andata deserta, nell'ipotesi in cui la formulazione dello stesso rechi inequivocabilmente l'avvertimento che gli argomenti all'ordine del giorno non trattati nella prima seduta saranno riportati alla successiva ivi già indicata.
In ipotesi siffatte, invero, non può non rilevarsi come risulti di fatto ampiamente soddisfatta la ratio informativa e partecipativa che ispira l'onere di garanzia dello jus pubblicistico di cui sono titolari i consiglieri di un organo deliberativo, come quello in esame (Rilevato, pertanto, che già l'avviso di prima convocazione indicava il giorno e l'ora della seconda convocazione e che gli attuali appellati erano regolarmente intervenuti alla prima seduta, partecipando anche all'approvazione dei primi tre punti all'ordine del giorno, è fondato il gravame proposto dal Comune avverso la decisione con la quale il Giudice Amministrativo accoglieva il ricorso dei Consiglieri Comunali, statuendo l'annullamento delle delibere consiliari per non avere essi ricevuto l'avviso di convocazione della seconda seduta) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.05.2010 n. 3304 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: IL GIUDICE COMPETENTE IN MATERIA DI SORTE DEL CONTRATTO.
Il Tar Veneto delinea un’esaustiva e chiara illustrazione degli sviluppi giurisprudenziali e normativi in materia di giudice competente, laddove insorga il problema dell’efficacia del contratto di appalto, a seguito dell’annullamento di una procedura di gara.
Precisamente, viene affermato che: “nell'ipotesi di contratto stipulato da una Pubblica amministrazione, sulla base di una procedura di aggiudicazione risultata poi illegittima, sussiste la giurisdizione del G.A. in merito alla pronuncia di invalidità- inefficacia del contratto medesimo. Infatti, come statuito recentemente dalla Corte di cassazione, sussiste la necessità di un esame congiunto della domanda di invalidità dell'aggiudicazione e di privazione degli effetti del contratto stipulato, nonostante l'annullamento della gara, e ciò in virtù dei principi di concentrazione, effettività e ragionevole durata del giusto processo che la normativa comunitaria impone agli Stati membri di attuare. Quanto detto risulta, inoltre, pienamente conforme al principio di effettività della tutela, previsto dagli articoli 24 e 111 Cost.”.
I giudici amministrativi veneti prendono atto, primariamente, che, a seguito dell’accoglimento di entrambi i ricorsi, principale ed incidentale, stante la partecipazione di due soli operatori economici, illegittimamente ammessi, può considerarsi del tutto inefficace il contratto di appalto stipulato. Il Tar ritiene di poter esercitare tale potere (declaratoria di inefficacia del contratto), sulla base delle statuizioni espresse dalla Suprema corte, nella sentenza Sezioni Unite, n. 2096/2010.
Invero, il Tar si rende conto che il reale problema è rappresentato dal fatto che, all’epoca del’insorgere del contenzioso (luglio 2009), non solo non era stato emanato il decreto attuativo della Direttiva ricorsi, ma non era neppure spirato il termine per la recezione medesima (20.12.2009). Infatti, prima dell’indicato intervento della Cassazione, predominava l’orientamento, secondo il quale le controversie relative ai contratti rientrano nell’alveo della giurisdizione del giudice ordinario (CdS, Ap, n. 9/2008).
Tuttavia, aderendo alle novelle statuizioni della Cassazione, il Tar ritiene che il diritto comunitario, consacrato nelle direttive, incide nel sistema giurisdizionale interno anche retroattivamente, esigendo la trattazione unitaria delle domande di annullamento del procedimento di affidamento dell'appalto e di caducazione del contratto stipulato per effetto dell'illegittima aggiudicazione.
Si tratta di una posizione, che presenta un duplice pregio. In primo luogo, appare pienamente conforme al principio costituzionale di effettività della tutela (artt. 24 e 111 Cost.). In secondo luogo, occorre prendere atto che la rilevanza della connessione, fra illegittimità della procedura di gara ed effetti sul contratto stipulato, denegata in passato per la cognizione congiunta della lesione degli interessi legittimi e dei diritti conseguenti, non è più oggi contestabile, proprio per la presenza della nuova direttiva comunitaria, “incidente sulla ermeneutica delle norme interne (art. 117), che è vincolante in tale senso per l'interprete”.
Dunque, può “farsi rientrare nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sia l'annullamento della gara e dell'aggiudicazione che la domanda di privazione degli effetti del successivo appalto concluso dalla stazione appaltante con la contraente scelta in modo illegittimo”.
La tesi, avanzata dal Tar Veneto, secondo cui sussiste la giurisdizione esclusiva del G.A., in tema di sorte del contratto, anche per le controversie antecedenti all’entrata in vigore del D.Lgs n. 53/2010, è stata propugnata anche da un altro tribunale amministrativo di primo grado.
Precisamente, il Tar Calabria, sez. Catanzaro, con la sentenza numero 457 del 12.04.2010, ha affermato che, sul piano costituzionale, la giurisdizione esclusiva estesa al contratto è compatibile con il modello di giustizia amministrativa, delineato dall'articolo 103 della Costituzione. La giurisdizione esclusiva si giustifica in ragione del “collegamento” stretto tra la fase amministrativa e la fase negoziale di conclusione del contratto. Tale collegamento deriva dal fatto che il vizio del contratto, ad avviso del Tar calabrese, è conseguenza del vizio del provvedimento. In presenza di un vizio autonomo del contratto tale nesso, viceversa, verrebbe meno.
In definitiva, osservano i giudici amministrativi veneti, la giurisdizione esclusiva si giustifica, sul piano costituzionale, non soltanto in presenza di un intreccio di interessi legittimi e diritti soggettivi, nonché di diritti soggettivi incisi dall'esercizio di un potere amministrativo (Corte cost. n. 32/2010), ma anche in presenza di interessi legittimi e diritti soggettivi “separati”, ma, nondimeno, strettamente collegati (
commento tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - TAR Veneto, Sez. I, sentenza 07.05.2010 n. 1838 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: CONFERMA – ATTO CONFERMATIVO.
Il Tar Lombardia, sez. Brescia, rinviene, in via chiarificativa, un più puntuale elemento discretivo fra la conferma ed il mero atto confermativo: l’ulteriore adempimento istruttorio.
Precisamente, si afferma che “è necessario, affinché possa escludersi che un atto venga considerato meramente confermativo del precedente, che la sua formulazione sia preceduta da un riesame della situazione, che aveva condotto al precedente provvedimento. Giacché, solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure attraverso la rivalutazione degli interessi in gioco ed un nuovo esame degli elementi di fatto e diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dar luogo ad un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dar vita ad un provvedimento diverso dal precedente e, quindi, suscettibile di autonoma impugnazione”.
Il Tar Brescia si dimostra perfettamente consapevole del dibattito teorico in merito all’istituto della conferma e ritiene che il provvedimento impugnato (la nota di risposta del pregresso diniego) debba essere qualificato come “atto meramente confermativo”, in aderenza alla puntuale qualificazione operata dal Responsabile dell’Area Tecnica.
Al fine di dimostrare la natura di atto confermativo del provvedimento impugnato, il Tar precisa che la concreta fattispecie non presenta neanche la sussistenza di un “ulteriore adempimento istruttorio”, giustificativo della volontà di dar vita ad un nuovo provvedimento.
Si tratta di un’importate statuizione, in quanto, contribuisce a chiarire la differenziazione fra i due istituti.
Infatti, la giurisprudenza ha sinora fondato la qualificazione di un atto come di conferma propria, sulla base dei seguenti elementi:
a) “riesame dell’atto e dell’assetto di interesse sottostante” (CdS, sez. IV, n. 7732/2009);
b) “acquisizione di nuovi elementi di fatto” (Tar Lombardia, sez. Milano III, n. 4893/2009);
c) “avvio di una nuova istruttoria” (ex multis: CdS, sez. IV, nn. 3.551/2002 e 4890/2002);
d) “autonoma e distinta valutazione” (Tar Liguria, sez. I, n. 827/2003);
e) “presenza di una diversa motivazione”, od anche di “nuovi elementi”, (CdS, sez. IV n. 449/2003);
f) “apertura di apposito procedimento”, (CdS, sez. V, n. 619/2010);
g) “riponderazione degli interessi coinvolti” (CdS, sez. IV, n. 6333/2001).
Dunque, il Tar Brescia arricchisce gli elementi di differenziazione, evidenziando che basterebbe un sol “ulteriore adempimento istruttorio”, non rinvenuto nella concreta fattispecie, a far configurare la conferma propria in luogo di quella impropria. In mancanza anche di tale elemento, non può che essersi in presenza di un mero atto confermativo.
In conclusione, appare ben evidente che la giurisprudenza, anche grazie a tale ultima pronuncia, sembra pervenire ad una concezione ampia di conferma propria, convogliando in tale figura tutti quegli atti, che esprimano un indizio della volontà di ribadire un precedente provvedimento, introducendo un qualsiasivoglia elemento di novità, rispetto alle statuizioni precedenti.
In altri termini, l’atto meramente confermativo viene indirettamente ridotto ad una mera riproduzione, senza alcuna variazione (eccettuate mere integrazioni formali) della volontà provvedimentale espressa in precedenza. Laddove l’Amministrazione apra un procedimento, svolga un qualsiasi profilo di attività istruttoria (anche un “ulteriore adempimento istruttorio”), compia una, seppur limitata, nuova valutazione dell’assetto degli interessi, oppure tenga conto di elementi nuovi, oppure accenni ad una diversa motivazione, si è inevitabilmente in presenza di una conferma propria (
commento tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 1641 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: IL CONTENUTO DELLE CONVENZIONI DI LOTTIZZAZIONE.
La Corte di Cassazione affronta la delicata questione del “contenuto” delle convenzioni di lottizzazione, statuendo che: “la stipulazione con il Comune di una convenzione di lottizzazione implica che tutti i proprietari interessati dagli obblighi urbanizzativi, connessi alla lottizzazione medesima, ponendo in essere, di fatto, un consorzio urbanistico volontario, sono obbligati, in regime di comunione ed in difetto di espressa deroga, a sopportare e ripartire i complessivi oneri dell’intervento in misura proporzionale alle loro quote di partecipazione. Ciò vale anche per eventuali obblighi di natura facoltativa, quale quello di mettere a disposizione delle aree, eventualmente contenuti nella convenzione di lottizzazione”.
Occorre osservare che la convenzione di lottizzazione presenta un proprio contenuto “tipico-legale", previsto dalla legge, così sintetizzabile:
a) cessione gratuita, da parte dei proprietari lottizzanti in favore del Comune, di tutte le aree, che risultino necessarie alle realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, entro termini prestabiliti;
b) assunzione, a carico dei proprietari lottizzanti, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria, relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona lottizzata ai pubblici servizi;
c) prefissazione di termini, non superiori al decennio, entro i quali deve essere ultimata l’esecuzione delle opere di urbanizzazione;
d) prestazione, da parte dei proprietari lottizzanti, di congrue garanzie finanziarie, per l’adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione.
Oltre tale “contenuto”, le convenzioni di lottizzazione possono presentare contenuti più ampi, ma comunque non contradditori rispetto a quelli previsti dalla legislazione statale e regionale. In altri termini, la convenzione può prevedere obblighi ulteriori, che pongano più specifici impegni, sia in capo ai privati lottizzanti, sia in capo all’Amministrazione Comunale, la quale ne terrà conto, soprattutto in sede di valutazione delle istanze per il rilascio dei titoli edilizi.
La giurisprudenza, da tempo, ha evidenziato che nella convenzione le parti possono inserire, nell’ambito dell’autonomia negoziale che caratterizza la medesima, dei contenuti dispositivi, espressione di una libera negoziazione, purché i medesimi non contrastino con la funzione urbanizzativa (contenuto facoltativo-eventuale): in una convenzione di lottizzazione, può essere validamente inserita la clausola con la quale il privato si obbliga a cedere gratuitamente al Comune un Piano di un erigendo fabbricato da destinare a Scuola Materna (Cassazione Civile, sez I, n. 3322/1989).
Inoltre, la giurisprudenza qualifica come legittima la pattuizione relativa alla costituzione di una servitù di pubblico passaggio: nei negozi giuridici di attuazione di un Piano privato di lottizzazione, può essere assicurata, con apposita pattuizione, la destinazione a strada di una striscia continua, con efficacia reale, mediante la costituzione immediata di una servitù su di essa (Cassazione Civile, sez. II, n. 4655/1990).
Ancora, il Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza n. 33/2003, dopo aver ben chiarito che la convenzione di lottizzazione, in quanto rappresenta l’incontro di volontà delle parti contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale, retta dal codice civile, può prevedere prestazioni aggiuntive, a carico dei privati, come risultato di una libera negoziazione, ben chiarisce che “la cessione gratuita, in favore del Comune, di una porzione di fabbricato di 1.000 mq. da destinare genericamente a servizi pubblici, in aggiunta agli oneri di urbanizzazione, costituisce una legittima prestazione aggiuntiva, in quanto pienamente aderente alle esigenze di urbanizzazione dell’area”.
Nella concreta fattispecie, la messa a disposizione di area aggiuntiva, da parte di un lottizzante., in favore del Consorzio, ha dato luogo ad un’obbligazione facoltativa, non tipizzata, ma producente una chiara utilità per il Consorzio medesimo nel corso della sua attività di realizzazione delle opere di urbanizzazione.
Di conseguenza, in quanto si è giovato di tale “utilitas”, il Consorzio è tenuto, anche in qualità di lottizzante e, quindi di soggetto obbligato in regime di comunione a sopportare i complessivi oneri dell’intervento, a compensare il lottizzante, quale proprietario (
commento tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza n. 9941/2010 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non difetta di motivazione il provvedimento dell'Autorità comunale che annulli una concessione edilizia sul presupposto della sua non conformità al piano regolatore generale -erroneamente considerata sussistente al momento del rilascio- e della consequenziale necessità di rispettare la destinazione dell'area a verde pubblico, anche allo scopo di garantire, a fini igienico-sanitari, disponibilità di spazi liberi in rapporto alla densità abitativa.
La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che: “non difetta di motivazione il provvedimento dell'Autorità comunale che annulli una concessione edilizia … (i cui lavori siano già iniziati), sul presupposto della sua non conformità al piano regolatore generale -erroneamente considerata sussistente al momento del rilascio- e della consequenziale necessità di rispettare la destinazione dell'area a verde pubblico, anche allo scopo di garantire, a fini igienico-sanitari, disponibilità di spazi liberi in rapporto alla densità abitativa” (Consiglio Stato, sez. IV, 17.04.1990, n. 28) (TAR Lazio-Latina, sentenza 15.06.2009 n. 578 - link a www.giustizia-amministrativa.it)

ATTI AMMINISTRATIVI: Il potere di urgenza attribuito al sindaco dalla norma in esame (art. 54, 2° comma del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267) può essere esercitato solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale ed impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall’ordinamento giuridico e unicamente in presenza di un preventivo accertamento della situazione che deve fondarsi su prove concrete e non su mere presunzioni.
Affinché il sindaco possa adottare, in qualità di ufficiale di governo, provvedimenti contingibili e urgenti ai sensi dell’art. 54, 2° comma del D.Lgs. 267/2000, è necessario il concorso di tre presupposti:
1) una situazione, eccezionale e non prevedibile, di grave pericolo che minacci l’incolumità dei cittadini;
2) l’urgenza di provvedere;
3) la non fronteggiabilità della situazione con i normali rimedi apprestati dall’ordinamento.

Secondo l’interpretazione corrente, condivisa dalla Sezione, il potere di urgenza attribuito al sindaco dalla norma in esame (art. 54, 2° comma del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267) può essere esercitato solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale ed impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall’ordinamento giuridico e unicamente in presenza di un preventivo accertamento della situazione che deve fondarsi su prove concrete e non su mere presunzioni.
Gli anzidetti presupposti non ricorrono se il sindaco può fronteggiare la situazione con rimedi di carattere corrente nell’esercizio ordinario dei suoi poteri o se la situazione può essere prevenuta con i normali strumenti apprestati dall’ordinamento.
In sostanza, affinché il sindaco possa adottare, in qualità di ufficiale di governo, provvedimenti contingibili e urgenti ai sensi dell’art. 54, 2° comma del D.Lgs. 267/2000, è necessario il concorso di tre presupposti:
1) una situazione, eccezionale e non prevedibile, di grave pericolo che minacci l’incolumità dei cittadini;
2) l’urgenza di provvedere;
3) la non fronteggiabilità della situazione con i normali rimedi apprestati dall’ordinamento.
Giova ribadire, in linea con la prevalente giurisprudenza, che il potere del sindaco di emanare ordinanze contingibili e urgenti ai sensi dell’art. 54 T.U.E.L. deve fondarsi sull'esistenza concreta di "gravi pericoli" incombenti, di dimensioni tali da costituire una concreta ed effettiva minaccia per “l'incolumità dei cittadini” (TAR Puglia Lecce, sez. II, 08.05.2007, n. 1832; TAR Campania Napoli, sez. III, 14.06.2004, n. 9342; TAR Liguria, sez. II, 02.09.1994, n. 303) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 12.06.2009 n. 1680 - link a www.giustizia-amministrativa.it)

EDILIZIA PRIVATA: All'interno della fascia di rispetto cimiteriale è legittimo il rilascio del permesso di costruire per la ristrutturazione di un fabbricato esistente, mediante demolizione e fedele ricostruzione, nonché mediante spostamento del fabbricato in prossimità del confine del lotto di proprietà, più distante dal locale cimitero, in guisa da migliorarne la collocazione.
E' illegittimo il diniego del permesso di costruire per la ristrutturazione di un fabbricato esistente, mediante demolizione e fedele ricostruzione, nonché mediante spostamento del fabbricato in prossimità del confine del lotto di proprietà, più distante dal locale cimitero, in guisa da migliorarne la collocazione.
Invero, l’art. 338 r.d. n. 1265/1934 stabilisce che “All'interno della zona di rispetto per gli edifici esistenti sono consentiti interventi di recupero ovvero interventi funzionali all'utilizzo dell'edificio stesso, tra cui l'ampliamento nella percentuale massima del 10 per cento e i cambi di destinazione d'uso, oltre a quelli previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell'articolo 31 della legge 05.08.1978, n. 457”, oggi previsti dall’art. 3 d.P.R. 380/2001 tra cui la lett. d) “interventi di ristrutturazione edilizia", ove per tali si intendono “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica
” (TAR Lazio-Latina, sentenza 12.06.2009 n. 564 - link a www.giustizia-amministrativa.it)

EDILIZIA PRIVATA: Sulla differenza tra due tipi di variante edilizia: quelle “principali”, che debbono necessariamente essere precedute nella loro realizzazione da una concessione o un atto autorizzativi, e quelle minori, c.d. “in corso d’opera” che possono essere eseguite anche senza preventivo atto autorizzativo, il quale, tuttavia, dovrà essere richiesto prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori, cioè fino a quando è ancora efficace l’originario permesso di costruire, al quale esso accede.
Secondo parte della giurisprudenza, esistono due tipi di varianti: quelle “principali”, che debbono necessariamente essere precedute nella loro realizzazione da una concessione o un atto autorizzativi, e quelle minori, c.d. “in corso d’opera” che possono essere eseguite anche senza preventivo atto autorizzativo, il quale, tuttavia, dovrà essere richiesto prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori, cioè fino a quando è ancora efficace l’originario permesso di costruire, al quale esso accede.
Più in particolare, si sostiene che vanno distinte le varianti in senso proprio, cioè quelle che si riferiscono a modifiche quantitative e qualitative di limitata consistenza e di scarso rilievo rispetto al progetto originario, da quelle che, pur chiamate varianti nel linguaggio usuale del termine, tali non possono essere considerate perché, fuori dai limiti ora ricordati, richiedono la realizzazione di un qualcosa di completamente diverso rispetto all’originario permesso di costruire e, quindi, richiedono un ulteriore permesso: in questa seconda categoria vengono ricondotte le variati cc.dd. "improprie" o "essenziali", (Consiglio di Stato 02.04.2001 n. 1898).
A tal fine, assumono rilievo le modifiche apportate all'originario progetto e relative alla superficie coperta, al perimetro, all'aumento del numero dei piani, alla volumetria, alla distanza dalle proprietà limitrofe, nonché alle caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato (Consiglio di Stato 22.01.2003, n. 249).
Rispetto a questi parametri, sussiste un'effettiva variante solo se le modifiche quantitative e qualitative, in una valutazione complessiva dell'erigendo edificio, risultano sostanzialmente irrilevanti, in modo da poter ritenere che la costruzione sia ancora regolata dal primo permesso di costruire che, quindi, conserva intatta la sua efficacia ex tunc (Consiglio di Stato 30.07.2002, n. 4081).
Al contrario, il nuovo provvedimento, anche se definito di variante, è essenziale ed ha il carattere di nuovo permesso di costruire se le nuove opere edilizie vengono autorizzate sulla base di un progetto modificato in modo notevole in alcuno degli elementi sopra indicati (Tar Liguria 01.04.2005, n. 410; Tar Piemonte 07.02.2005, n. 269).
Una minore superficie di costruzione, da un lato, e maggiori superfici, in altri lati, sono da ritenersi quali difformità parziali e non varianti essenziali, di cui all'art. 32, lettera c), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, secondo cui sono tali le "modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza".
A tal fine, come chiarito dalla giurisprudenza, infatti, non basta, come nel caso in esame, una traslazione parziale, ma è viceversa necessario che essa sia tale da comportare lo spostamento del fabbricato su un'area totalmente o pressoché totalmente diversa da quella originariamente prevista: una modifica tale, appunto, da richiedere una nuova valutazione dell’intero progetto da parte dell'Amministrazione concedente, sotto il profilo della sua compatibilità con i parametri urbanistici e con la considerazione dell'area, e non una mera valutazione di singole modifiche allo stesso (Consiglio di Stato 20.11.2008, n. 5743).
Anche se la legge qualifica impropriamente queste denuncie di varianti non essenziali come dichiarazioni di inizio attività, in realtà poi chiarisce che esse possono essere presentate anche dopo che siano già stati realizzati i lavori, e cioè prima della dichiarazione di ultimazione dei medesimi (articolo 22, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001), come nel caso in esame
(TAR Molise, sentenza 11.06.2009 n. 386 - link a www.giustizia-amministrativa.it)

EDILIZIA PRIVATA: L’ordinanza di demolizione ha natura, valore e funzione di diffida, risolvendosi essa nel formale invito al trasgressore ad eliminare l’abuso edilizio.
Secondo l’ormai consolidato (e dal Collegio condiviso) orientamento della giurisprudenza amministrativa in materia, l’ordinanza di demolizione ha natura, valore e funzione di diffida, risolvendosi essa nel formale invito al trasgressore ad eliminare l’abuso edilizio (v. “ex multis”: TAR Basilicata 17/10/2002 n. 628).
Tale atto monitorio è pertanto prodromico alla valutazione ed alle determinazioni che successivamente l’Amministrazione Comunale dovrà adottare nell’eventualità che il destinatario non ottemperi, con la conseguenza che la valutazione circa la possibilità o meno di demolire un’opera abusiva (in relazione al caso in cui l’ingiunta demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità al titolo edilizio rilasciato) e l’ulteriore scelta tra la demolizione d’ufficio e l’irrogazione della sanzione pecuniaria, attiene ad un momento successivo ed eventuale rispetto all’atto di diffida (v. “ex multis” TAR Puglia-LE - sez. III, 01/07/2005 n. 3567) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 28.10.2008 n. 402 - link a www.giustizia-amministrativa.it)

APPALTILa regolarità contributiva è un requisito indispensabile non solo per la stipulazione del contratto, bensì per la stessa partecipazione alla gara. Per conseguenza, l'impresa dev’essere in regola con i relativi obblighi fin dalla presentazione della domanda, e conservare tale regolarità per tutto lo svolgimento della procedura di gara.
La regolarità contributiva è un requisito indispensabile non solo per la stipulazione del contratto, bensì per la stessa partecipazione alla gara (cfr. TAR Umbria 12.04.2006, n. 221, Cons. Stato, Sez. IV, 27.12.2004, n. 8215). Per conseguenza, l'impresa dev’essere in regola con i relativi obblighi fin dalla presentazione della domanda, e conservare tale regolarità per tutto lo svolgimento della procedura di gara.
La regolarità contributiva nei confronti degli enti previdenziali costituisce, infatti, indice rivelatore della correttezza dell'impresa nei rapporti con le proprie maestranze e deve, pertanto, poter essere apprezzata in relazione ai periodi durante i quali l'impresa stessa era tenuta ad effettuare i relativi versamenti.
Passando ad esaminare la problematica relativa alle caratteristiche ed ai controlli da effettuarsi in tema di dichiarazione di regolarità resa dai partecipanti alle gare pubbliche in forma di autodichiarazione, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che:
- le imprese che partecipano alle pubbliche gare d'appalto hanno l'onere, allorché rendono le autodichiarazioni previste dalla legge e/o dal bando, di rendersi particolarmente diligenti nel verificare preliminarmente (attraverso la documentazione in loro possesso o anche accedendo ai dati dei competenti uffici) che tali autodichiarazioni siano veritiere (cfr. TAR Palermo, sez. III, 15.09.2005, n. 1590);
- l'erronea attestazione della sussistenza dei requisiti di partecipazione ha rilevanza oggettiva, sicché il relativo inadempimento non tollera ulteriori indagini da parte dell'Amministrazione in ordine all'elemento psicologico (se questo, cioè, sia dovuto a dolo o colpa dell'impresa ) e alla gravità della violazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28.05.2004, n. 3466, Sez. VI 25.01.2003, n. 352, Sez. V 17.04.2003, n. 2081);
- al fine di valutare la veridicità della dichiarazione di regolarità contributiva prodotta, l’Amministrazione deve verificare la rispondenza di tale dichiarazione a quello che sarebbe stato il contenuto del certificato che in merito avrebbe rilasciato l'ente previdenziale, surrogato dall'autodichiarazione presentata (cfr. TAR Umbria 12.04.2006, n. 221).
Da ultimo, va soggiunto che la regolarità contributiva costituisce requisito sostanziale di partecipazione alla gara, per cui non può attribuirsi alcun effetto sanante alla domanda di dilazione e di rateizzazione del debito contributivo presentata dalla impresa che trova suo presupposto in uno stato di irregolarità contributiva (cfr. TAR Lazio Roma, sez. II, 19.06.2006, n. 4814).
Nelle ipotesi in cui emerge dal DURC l’irregolarità della posizione contributiva dell’aggiudicataria, la revoca dell’aggiudicazione è una conseguenza legittima ed automatica, priva di apprezzamenti discrezionali, senza che rilevi, nel silenzio delle norme, la natura e la rilevanza dell’irregolarità.
Scopo delle richiamate previsioni legislative, infatti, è proprio quello di escludere dalla contrattazione con le amministrazioni le imprese che non siano corrette (regolari) per quanto concerne gli obblighi previdenziali, proprio perché rivelano un atteggiamento di trascuratezza verso gli obblighi previdenziali (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5574/2007 del 23.10.2007)
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 13.03.2008 n. 458 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’impresa che si rende aggiudicataria di un appalto deve non solo essere in regola con gli obblighi previdenziali ed assistenziali sulla stessa gravanti fin dal momento della presentazione della domanda, ma deve conservare la correttezza contributiva per tutto lo svolgimento del rapporto contrattuale.
L’impresa che si rende aggiudicataria di un appalto deve non solo essere in regola con gli obblighi previdenziali ed assistenziali sulla stessa gravanti fin dal momento della presentazione della domanda, ma deve conservare la correttezza contributiva per tutto lo svolgimento del rapporto contrattuale (cfr. sul punto, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 30.01.2006 n. 288), con l’ovvia conseguenza che l’eventuale accertamento di una pendenza di carattere previdenziale o assistenziale in capo all’impresa pur dichiarata aggiudicataria dell’appalto prodottasi anche in epoca successiva alla scadenza del termine per partecipare al procedimento di scelta del contraente implica, a seconda dei casi, l’impossibilità per l’amministrazione appaltante di stipulare il contratto con l’impresa medesima, ovvero la risoluzione dello stesso.
Inoltre, viene ragionevolmente a porsi come del tutto irrilevante un eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione contributiva quand’anche ricondotto retroattivamente, quanto ad efficacia, al momento della scadenza del termine di pagamento, posto che ciò gioverebbe soltanto nell’ambito delle reciproche relazioni di credito e di debito tra i soggetti del rapporto obbligatorio e non già nei confronti dell’Amministrazione appaltante, nei confronti della quale rileva -per contro- soltanto l’esigenza di un puntuale rispetto degli obblighi incombenti sull’appaltatore per effetto di parametri normativi e/o contrattuali che si configurano quale espressione di affidabilità dell’impresa (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, dec. 288 del 2006 cit.).
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Come ha ben rilevato TAR Puglia, Sez. I, 25.01.2005 n. 218, “l’essere in regola, ovvero l’essere regolare e cioè l’esser conforme a una regola o alle regole, al regolamento o alle disposizioni di legge, alle norme e alle prescrizioni” (lemma “regolare” del “Vocabolario della lingua italiana”, edito dall’Istituto dell’enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Milano, 1991) rinvia ad una percezione non “atomistica e puntuale” della posizione previdenziale e assistenziale dell’impresa, sebbene “globale e sincronica”, come si comprende bene nelle esemplificazioni relative all’uso del lemma “regolarità” (“la condizione e la qualità di ciò che è regolare”) proprio in riferimento a pagamenti (“con riferimento al succedersi periodico di certi fatti; le raccomando la regolarità nei pagamenti”).
In altri termini, il legislatore nazionale, opportunamente e secondo una valutazione di discrezionalità che gli era senz’altro consentita dalla direttiva comunitaria, ha inteso mettere in rilievo più e oltre che la condizione “statica” dell’impresa ad un certo momento temporale anche la sua posizione “dinamica” nel rapporto giuridico previdenziale e assistenziale, (che com’è ovvio comprende, in quanto estensiva, la prima), coerente alla natura di durata del rapporto e ai flussi di debiti (ed eventuali crediti) che si generano nel medesimo.
Con questa precisazione appare corretta l’espressione, invalsa nell’uso comune, di “correntezza contributiva”, che sta ad indicare appunto l’essere in regola, o “al passo”, con le periodiche scadenze delle obbligazioni previdenziali e assistenziali quanto al loro pagamento (in modo efficace è stato osservato che “la correntezza contributiva non costituisce un dato che possa essere temporaneamente frazionato in quanto attiene alla diligente condotta dell’impresa … in riferimento a tutte le obbligazioni contributive relative a periodi precedenti e non solo, quindi, a quelle maturate nel periodo in cui è stata espletata la gara (e) deve, pertanto, poter essere apprezzata in relazione ai periodi (anche pregressi) durante i quali l’impresa stessa era tenuta ad effettuare i relativi versamenti”: cfr. TAR Basilicata, 27.08.2001, n. 667).
In questa chiave, tra l’altro, proprio il richiamo alla regolarità rispetto agli obblighi relativi al pagamento non consente di affermare e porre in valore la distinzione invocata dalla società cooperativa ricorrente tra il mancato pagamento dei contributi e l’omesso versamento delle c.d. sanzioni civili, ovvero di quelle obbligazioni pecuniarie accessorie connesse alla scadenza del termine d’adempimento, posto che esse sono conseguenza immediata e diretta proprio dell’irregolarità ovvero del non esser stata l’impresa “al corrente”, “al passo” con le scadenze temporali fissate per l’adempimento dell’obbligazione contributiva (principale) periodica.
Sotto altro profilo, poi, la nozione di irregolarità della posizione assicurativa previdenziale (e/o assistenziale), nei sensi dianzi posti in luce appare meglio correlata ai fini di interesse pubblico, diretti e indiretti, perseguiti dal legislatore comunitario e recepiti da quello nazionale. E’ evidente, infatti, che soltanto l’accertamento della regolarità nel tempo del versamento dei contributi previdenziali e assistenziali e quindi della capacità dell’impresa di far fronte alle relative obbligazioni (che sono contrassegnate da inconfondibili “stimmate” pubblicistiche quali prestazioni imposte ex art. 23 Cost., ciò che le differenzia in modo significativo dalle “comuni” obbligazioni civili) è idoneo a soddisfare l’interesse pubblico “primario” che viene in rilievo nelle gare d’appalto, incentrato sull’affidabilità dell’impresa concorrente attraverso l’indice rivelatore della sua più efficiente ed efficace gestione economico-produttiva (col conseguente condivisibile rilievo secondo il quale la regolarità contributiva “…non rileva quale espressione di un mero rapporto obbligatorio tra due soggetti, ma come qualificazione soggettiva dell’impresa in termini di rispetto degli obblighi normativi e, dunque, espressione di affidabilità, costituente presupposto per la partecipazione alla procedura concorsuale”: cfr. TAR Campania, Salerno, Sez. I, 07.03.2001, n. 227).
Trasparente è, nello stesso tempo, il coordinamento della disposizione comunitaria e nazionale all’interesse pubblico secondario relativo alla più piena e penetrante tutela della posizione assicurativa previdenziale e assistenziale dei lavoratori dipendenti delle imprese interessate alla partecipazione alle gare d’appalto, anche in una chiave volta ad assicurare l’effettività della concorrenza, che sarebbe frustrata qualora talune di esse potessero “giovarsi” della propria posizione d’irregolarità contributiva per proporre prezzi più bassi rispetto alle altre in regola, conseguendo “economie” di spese generali e gestionali proprio attraverso la violazione degli obblighi contributivi e assistenziali (discorso sostanzialmente analogo, salvo l’interesse pubblico ulteriore di natura fiscale, va fatto per la regolarità tributaria).
Nella prospettiva da ultimo segnalata, si comprende anche perché l’accertamento dell’inesistenza del requisito di partecipazione alla gara possa e debba essere svolto dall’amministrazione appaltante anche in momento successivo all’aggiudicazione, non potendosi ammettere che il mero fattore temporale “consolidi” una posizione soggettiva che, ab initio, avrebbe dovuto condurre all’esclusione e che, in quanto indice rivelatore di una gestione economico-produttiva non efficiente né efficace, propostasi in passato e riproponibile in futuro, riverbera i suoi effetti negativi al di là del momento storico-temporale nel quale si è situata la situazione d’irregolarità (sul potere di rivalutare anche dopo l’aggiudicazione la posizione d’irregolarità contributiva dell’impresa vedi Cons. Stato, Sez. V, 11.06.2001, n. 3130 … risultando quindi errato l’opposto orientamento di cui a TAR Lazio, Roma, Sez. I, 20.09.2001, n. 7686; sull’afferenza del requisito soggettivo della regolarità contributiva e tributaria alla sfera dei requisiti di partecipazione alla gara e quindi sulla sua necessaria compresenza al momento della domanda di partecipazione o dell’offerta e sino al momento, quantomeno, dell’aggiudicazione cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 27.12.2004, n. 8215 ).
Così delineata la nozione di regolarità contributiva, è evidente che i cc.dd. certificati di regolarità (o correntezza) contributiva rilasciati dagli istituti che gestiscono le assicurazioni sociali (I.N.P.S. e I.N.A.I.L.) -ora confluiti nel documento unico di regolarità contributiva o D.U.R.C., rilasciato in base a convenzioni tra i due istituti ai sensi dell’art. 2 comma 2 del D.L. 25.09.2002, n. 210 (recante “Disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di rapporti di lavoro a tempo parziale” e convertito nella L. 22.11.2002 n. 266), il cui comma 1 ha peraltro ribadito l’obbligo delle imprese affidatarie di appalti pubblici di presentare certificazione relativa alla regolarità contributiva a pena di “revoca dell’affidamento”- vanno qualificati tra le “dichiarazioni di scienza”.
L’amministrazione appaltante non ha alcun autonomo potere, né di accertamento né di valutazione ed apprezzamento del contenuto delle cc.dd. certificazioni di regolarità contributiva e tributaria (si rinvia a Cons. Stato, Sez. V, 03.06.2002, n. 3061 e Sez. VI, 01.12.2000, n. 6231, ordinanza), che sono dichiarazioni di scienza, incontestabili in sé e per sé e la cui efficacia vincolante rispetto all’amministrazione appaltante può essere superata soltanto dal positivo accertamento dell’inesistenza della posizione debitoria tributaria.
Se di tale potere, dunque, l’amministrazione è carente, non può esercitarne, sotto altre spoglie, in sede di considerazione dell’interesse pubblico all’annullamento di un’ammissione alla gara (e conseguente aggiudicazione) che sia radicalmente viziata in riferimento alla obiettiva carenza del requisito soggettivo di partecipazione (costituito dalla regolarità della posizione contributiva o tributaria).
Non può, in altri termini, ritenersi consentita in un momento successivo, e solo per effetto della circostanza che sia trascorso un intervallo temporale più o meno casualmente lungo, quella valutazione della sussistenza (e ancor meno della “consistenza”) del requisito soggettivo di partecipazione … che era preclusa al momento dell’aggiudicazione.
L’interesse pubblico sotteso al requisito soggettivo di partecipazione, che si collega anche al puntuale rispetto del principio generale della par condicio tra i partecipanti alla gara, e che, come visto, attiene anche all’effettiva garanzia della piena concorrenza tra le imprese, è per dir così immanente e permanente ed il fattore temporale non è in grado di “consolidare” gli effetti della sua violazione, almeno quando, come nella specie, residui un apprezzabile intervallo temporale sino alla conclusione del rapporto.
D’altro canto l’introduzione, sia pure con riferimento all’esercizio dei poteri di autotutela, di una sfera di “discrezionalità” in ordine all’apprezzamento dell’incidenza della carenza del requisito di partecipazione sull’interesse pubblico può finire per frustrare la stessa effettività delle disposizioni comunitaria e nazionale che, giova ribadire, non attribuiscono alle amministrazioni aggiudicatici alcun potere di giudizio in ordine alla sussistenza/insussistenza dei requisiti ivi stabiliti, ivi compresi quelli di “correntezza” previdenziale e tributaria.
A minor ragione, poi, può ammettersi una valutazione quali-quantitativa della gravità della posizione debitoria previdenziale e tributaria, posto che il requisito di partecipazione può solo essere sussistente o insussistente, come fatto storico cui si riconnettono le conseguenze giuridiche ineludibili stabilite dalle disposizioni comunitaria e nazionale, che non assegnano alcun rilievo (né correlativamente alcuna sfera di apprezzamento discrezionale) alla “importanza” e “gravità” del difetto del requisito (che costituirebbe contraddizione in termini, poiché il requisito c’è o non c’è, non potendoci essere in misura più o meno “sufficiente”); senza dire che per tale via si finirebbe per riconoscere un potere di valutazione svincolato da parametri certi ed obiettivi che comprometterebbe l’effettività dei principi di trasparenza delle gare e di par condicio tra i concorrenti”
(TAR Veneto, Sez. I, sentenza 17.05.2007 n. 1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIE' legittimo l'affidamento al Sindaco delle competenze dirigenziali in un comune con meno di 5000 abitanti.
L’articolo 53, comma 23, della legge n. 388 del 23.12.2000 ha previsto che gli enti locali con popolazione inferiore a 5000 abitanti, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possano adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all’articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 03.02.1993, n. 29, e successive modificazioni, e all’articolo 107 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio.
Il Comune di ... ha una popolazione inferiore ai 5000 abitanti e con delibera della Giunta del 23-12-2002 ha provveduto ad attribuire all’organo esecutivo le competenze previste dal T.U.E.L. per i dirigenti.
Sostiene ancora la società che tale delibera sarebbe illegittima in quanto la norma della legge 388 richiederebbe un apposito regolamento.
Tali profili di censura giustamente non sono stati ritenuti suscettibili di accoglimento dal giudice di prime cure.
Le disposizioni regolamentari organizzative cui fa riferimento la norma non necessariamente indicano l’approvazione di un regolamento.
In ogni caso, ai sensi dell’art 48 del T.U.E.L. è, altresì, di competenza della Giunta l’adozione dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi.
La previsione del rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio, la cui violazione peraltro non è oggetto di specifiche censure, non può valere rispetto a tale attribuzione prevista espressamente dalla legge, senza ulteriore discrezionalità se non sull’an, per la quale il Consiglio debba dettare criteri generali.
E’ evidente poi che la mancata espressa dizione di regolamento per la delibera che ha modificato le competenze all’interno del Comune non possa avere rilevanza, essendo principio generale che la natura degli atti si determini dal contenuto e non dalla loro denominazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.03.2007 n. 1052 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALe previsioni di P.R.G. che assolvono la funzione di impedire eventuali nuove costruzioni incompatibili “servono a conformare l’edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti” al momento dell’entrata in vigore del piano o di una sua variante, alle quali la legge equipara i manufatti in via di edificazione sulla base di uno specifico titolo assentivo.
La disciplina urbanistica contenuta nel P.R.G. è destinata a svolgere i suoi effetti ordinatori e conformativi, esclusivamente con riferimento al futuro.
Le previsioni di P.R.G. che assolvono la funzione di impedire eventuali nuove costruzioni incompatibili “servono a conformare l’edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti” al momento dell’entrata in vigore del piano o di una sua variante, alle quali la legge equipara i manufatti in via di edificazione sulla base di uno specifico titolo assentivo (cfr. Cons. St., sez. IV, 26.05.2003, n. 2827; id., 12.07.2002, n. 3931).
La disciplina urbanistica contenuta nel P.R.G. è destinata a svolgere i suoi effetti ordinatori e conformativi, esclusivamente con riferimento al futuro. Le N.T.A. sono atti a contenuto generale, recanti prescrizioni a carattere normativo e programmatico, destinate a regolare la futura attività edilizia.
Le opere già eseguite in conformità della disciplina previgente, conservano la loro precedente e legittima destinazione, senza che sia possibile impedire gli interventi necessari per integrarne o mantenerne la funzione (cfr. Cons. St., sez. V, 07.11.2005, n. 6201; id., 19.02.1997, n. 176)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.03.2007 n. 1052 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGONon appare dubbia la spettanza ai dipendenti degli uffici tecnici comunali chiamati ad accertare violazioni in materia edilizia della indennità di vigilanza in relazione alla riconosciuta qualità di ufficiali di polizia giudiziaria.
Osserva il Collegio che secondo indirizzi della Corte di Cassazione cui si richiama parte appellante nell’atto introduttivo di questa fase di giudizio, ribaditi in modo vincolante nel caso di specie con dichiarazione del competente Procuratore della Repubblica (cfr. nota del 30.12.1989 n. 1024/89) e secondo il dato testuale dell’art. 26, quarto comma, lett. f), del DPR 347/1983, non appare dubbia la spettanza ai dipendenti degli uffici tecnici comunali chiamati ad accertare violazioni in materia edilizia della indennità di vigilanza in relazione alla riconosciuta qualità di ufficiali di polizia giudiziaria (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.11.2003 n. 7232 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 06.09.2010

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EDILIZIA PRIVATA: Ultime news sulla S.C.I.A..
Ad oggi sono già 38 gg. (dal 31.07.2010) che è in vigore il nuovo istituto della S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) e nulla di nuovo si intravede all'orizzonte ...
Invero, non si contano più le telefonate che abbiamo fatto -già dai primi giorni di agosto- sia al Ministero della Semplificazione Normativa (che ha "partorito" questa bella novità ... potremmo definirla un nuovo "Porcellum??") sia all'Assessorato Regionale Territorio e Urbanistica per avere lumi in merito e la risposta è sempre stata la stessa:
boh!!
La domanda, nell'immediato, è una sola:
la S.C.I.A. ha sostituito la D.I.A. edilizia di cui al D.P.R. n. 380/2001??
A questo semplice interrogativo nessuno (chi di dovere!!) sa rispondere e fornire certezze nell'operare quotidiano dell'ufficio tecnico comunale ... e, intanto, il tempo passa.
Ad onor del vero, venerdì 03.09.2010 abbiamo fatto
BINGO!! ... cioè?? Finalmente, dopo l'ennesima telefonata, al Ministero della Semplificazione Normativa siamo riusciti ad interloquire col Capo dell'ufficio legislativo (perché gli altri funzionari non sapevano nulla oppure erano introvabili fuori stanza oppure erano in ferie) il quale ci ha anticipato che oggi pomeriggio (06.09.2010) si terrà una riunione fra i responsabili dei Ministeri della Semplificazione Normativa (Calderoli), per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione (Brunetta) e delle Infrastrutture e Trasporti (Matteoli) al fine di pervenire -al più presto- ad un chiarimento congiunto e, forse, "partorire" l'auspicata circolare che dia risposte ai mille dubbi e quesiti sorti nel frattempo.
Comunque, da commenti ufficiosi trapelati dal Ministero, parrebbe chiaro che la S.C.I.A. abbia sostituito anche la D.I.A. in materia edilizia ... almeno, nell'intendimento del legislatore, così come si sono svolti i lavori parlamentari da cui è sortita la Finanziaria estiva.
E ciò risulta ufficialmente confermato, dal Capo ufficio legislativo -Cons. Chiné, a seguito di intervista pubblicata su "Edilizia e Territorio" del 26.07.2010, n. 29, che potete leggere qui ... tuttavia, perché al telefono il Ministero non si sbilancia ufficialmente??
Questa è l'ennesima pessima figura (tanto per usare un eufemismo) che il legislatore e, nel caso di specie, il Ministro collezionano ...
ma credete che gliene importi qualcosa?? In TV si fanno "belli" in interviste nelle quali decantano le innumerevoli semplificazioni legiferate di cui si sono fatti promotori, tutte a vantaggio del Cittadino, delle Imprese, degli Operatori economici ... tuttavia, dopo ben 38 gg. il Ministero non sa ancora dare una risposta semplice e chiara al seguente interrogativo: la S.C.I.A. ha sostituito la D.I.A. edilizia di cui al D.P.R. n. 380/2001??
VERGOGNA !!
Siamo di fronte a veri e propri "dilettanti allo sbaraglio della politica" ai quali rivolgiamo un caloroso invito a dimettersi e, successivamente, partecipare alla trasmissione televisiva "la Corrida" ... lì, forse, avranno una fulgida carriera.
Della S.C.I.A. già se ne era a conoscenza -in tempi non sospetti- con la presentazione del maxiemendamento al Senato del Ministro Tremonti prima del voto finale di fiducia alla Finanziaria estiva ... il Ministero dello Sviluppo Economico, invero, è stato abbastanza tempestivo nell'emanare la propria circolare 10.08.2010 n. 3637/C ma questa inerisce unicamente sulle attività economiche che possono essere intraprese con la S.C.I.A. e non anche sulle attività edilizie.
Perché il Ministro Calderoli ha permesso che tutti i direttori generali, dirigenti, funzionari se ne andassero bellamente in vacanza anziché restare in ufficio a redigere tempestivamente la necessaria circolare esplicativa evitando, così, di "lasciare allo sbando" gli 8.094 uffici tecnici comunali d'Italia??
Dalle nostre parti (in ufficio tecnico) una fattispecie del genere ovverosia un simile deprecabile disservizio avrebbe comportato la destituzione immediata del responsabile dalla propria P.O. perché il Sindaco non può permettersi il lusso di perdere la faccia (il consenso elettorale) coi propri amministrati!! Ma al Ministero questo ed altro ...
Nel frattempo i tecnici comunali navigano a vista nella "cacca" senza sapere che pesci pigliare -per colpa di un legislatore "analfabeta" che scrive le leggi coi piedi- e col rischio sempre incombente del risarcimento del danno per atto illegittimo (che si respingano le DIA giacenti -ove il termine di 30 gg. non sia ancora trascorso- ovvero che si accettino ancora le D.I.A. in luogo delle S.C.I.A. ...).
06.09.2010 LA SEGRETERIA PTPL

UTILITA'

VARI: Il Conto Energia 2011 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Il decreto interministeriale 06.08.2010, recante "Incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare", più noto come "Conto energia 2011", è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 197 del 24.08.2010.
Le nuove tariffe incentivanti previste dal provvedimento entreranno in vigore alla scadenza dell'attuale sistema incentivante per il fotovoltaico (31.12.2010).
Entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto (25.08.2010), l'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas (AEEG) dovrà definire le modalità, i tempi e le condizioni per l'erogazione delle nuove tariffe e la loro copertura finanziaria con la componente A3 della bolletta elettrica.
Ricordiamo che per gli impianti che entreranno in funzione a partire dal 2011, è previsto un significativo taglio degli incentivi (fino al 18%).
Per gli impianti che entreranno in esercizio nel 2012 e nel 2013 è stabilita un'ulteriore riduzione delle tariffe del 6% all'anno, mentre per gli anni successivi si provvederà con un nuovo decreto. La riduzione degli incentivi è comunque più contenuta per i piccoli impianti e più marcata per quelli con maggiori dimensioni (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Disponibile il Testo Unico della Sicurezza aggiornato al mese di AGOSTO 2010 e commentato dal Ministero del Lavoro.
Il Ministero del Lavoro ha reso disponibile il testo aggiornato (agosto 2010) del Decreto Legislativo 81/2008 in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (Testo Unico della Sicurezza).
Il testo, che riporta le sanzioni a margine di ciascun articolo, è stato redatto "ad uso degli ispettori" del lavoro.
Il "testo coordinato" è inoltre corredato dalle note ufficiali pubblicate fino ad agosto 2010 (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 26.08.2010 n. 199 "Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42, e successive modificazioni" (D.P.R. 09.07.2010 n. 139).

VARI: G.U. 24.08.2010 n. 197 "Incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare" (D.M. 06.08.2010).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 24.08.2010 n. 197, suppl. ord. n. 205:
- "Terzo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 02.08.2010);
- "Terzo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 02.08.2010);
- "Terzo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 02.08.2010).

APPALTI: G.U. 23.08.2010 n. 196 "Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia" (L. 13.08.2010 n. 136).

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 12.08.2010 n. 187 "Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio delle attività commerciali con superficie superiore a 400 mq." (Ministero dell'Interno, decreto 27.07.2010).

NOTE, CIRCOLARI & COMUNICATI

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rimozione di depositi di GPL in serbatoi fissi interrati da parte di ditte terze. Considerazioni sulla bonifica dei serbatoi rimossi (Ministero dell'Interno, Dipartimento dei Vigili del Fuoco, nota 05.08.2010 n. 12026 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti elettrici temporanei. Obbligo di dichiarazione di conformità (Ministero dell'Interno, Dipartimento dei Vigili del Fuoco, nota 23.03.2009 n. 1212 di prot.).
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Per i Vigili del Fuoco l'obbligo vale anche per gli impianti in luoghi di spettacolo e intrattenimento.
Con lettera-circolare Prot. n. 1212 del 23.3.2009, il Dipartimento dei VV.F. fornisce importanti chiarimenti concernenti l'obbligo del rilascio della dichiarazione di conformità per gli impianti di cantiere e similari, ai sensi dell'art. 10, comma 2, del D. Min. Sviluppo Economico 37/2008.
All'uopo l'art. 10, comma 2 così recita:
«(...) Sono esclusi dagli obblighi della redazione del progetto e dell’attestazione di collaudo le installazioni per apparecchi per usi domestici e la fornitura provvisoria di energia elettrica per gli impianti di cantiere e similari, fermo restando l’obbligo del rilascio della dichiarazione di conformità. (...)».
In ragione di tale disposto, il Dipartimento ritiene che all'obbligo della dichiarazione di conformità, che ai sensi dell'art. 7 del D.Min. 37/2008 è rilasciata dall'impresa al termine dei lavori, previa l'effettuazione delle verifiche previste dalla normativa vigente, sulla base del modello all’Allegato I del decreto medesimo, siano soggetti anche gli impianti temporanei realizzati nelle attività soggette a vigilanza antincendio disciplinati dal D.Min. Interno 261/1996. Tali attività, elencate al comma 3, dell'art. 4, del suddetto D.Min. 261/1996, sono le seguenti:
a) teatri, cinema-teatri, teatri-tenda, circhi con capienza superiore a 500 posti; teatri all'aperto con capienza superiore a 2.000 posti;
b) teatri di posa per riprese cinematografiche e televisive con capienza superiore a 100 posti, quando é prevista la presenza del pubblico;
c) sale pubbliche di audizione in cui si tengono conferenze, concerti e simili con capienza superiore a 1.000 posti;
d) impianti per attività sportive all'aperto con capienza superiore a 10.000 posti anche quando gli stessi vengono occasionalmente utilizzati per manifestazioni diverse da quelle sportive;
e) impianti per attività sportive al chiuso con capienza superiore a 4.000 posti, anche quando gli stessi vengono occasionalmente utilizzati per manifestazioni diverse da quelle sportive;
f) edifici, luoghi e locali posti al chiuso ove si svolgono, anche occasionalmente, mostre, gallerie, esposizioni con superficie lorda superiore a 2.000 mq; fiere e quartieri fieristici con superficie lorda superiore a 4.000 mq se al chiuso e 10.000 mq se all'aperto;
g) locali ove si svolgono trattenimenti danzanti con capienza superiore a 1.500 persone;
h) luoghi o aree all'aperto, pubblici o aperti al pubblico, ove occasionalmente si presentano spettacoli o trattenimenti con afflusso di oltre 10.000 persone (commento tratto da www.legislazionetecnica.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: D. Meneguzzo, Non sempre la SCIA appare utilizzabile in materia edilizia (link a http://venetoius.myblog.it).

APPALTI: Nuove norme antimafia.
E' stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale (serie generale n. 196 del 23.08.2010) la legge 10.08.2010 n. 136, recante "Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia".
Segnaliamo, in particolare, le seguenti disposizioni ... (link a http://venetoius.myblog.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: M. Sperduti e E. Sperduti, Ancora una pronuncia del giudice amministrativo sul termine di validità del DURC (link a www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: L. De Gregorio, Il “limbo normativo” della tutela paesaggistica: le problematiche applicative e il contesto organizzativo e politico (link a www.altalex.com).

PUBBLICO IMPIEGO: M. M. Russo, TELECAMERE NON AUTORIZZATE SUL POSTO DI LAVORO: LA PROVA È VALIDA? (link a www.lavoroprevidenza.com).

EDILIZIA PRIVATA: C. Rapicavoli, Procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica D.P.R. 09.07.2010 n. 139 (link a www.filodiritto.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: G. Penzo Doria, Fine del telefax nell’èra della PEC? (link a www.filodiritto.com).

APPALTI SERVIZI: G. Chiàntera, Affidamento in house: regolazione del rapporto tra amministrazione e società, lo strumento contrattuale (link a www.filodiritto.com).

ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: C. Rapicavoli, Soppressione Agenzia segretari comunali e provinciali - Legge 30.07.2010 n. 122 – Istituzione unità di missione – D.M. 31.07.2010 – La funzione di direzione generale negli enti locali (link a www.filodiritto.com).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGODomanda via PEC per i concorsi. Norme in vigore, non servono regolamenti dei singoli enti. Il ministro Brunetta fornisce le linee guida per l'utilizzo della posta elettronica certificata.
Utilizzare la posta elettronica certificata per iscriversi al concorso pubblico. Da subito. Non c'è bisogno di alcun regolamento dell'ente pubblico che recepisca le norme nazionali sulla Pec.
Lo ha precisato il ministro Renato Brunetta, che ha firmato la circolare 03.09.2010 n. 12/2010 del dipartimento della funzione pubblica (in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale).
La circolare, che risponde alle richieste di chiarimento avanzate dal Consiglio nazionale degli agrotecnici (si veda ItaliaOggi del 24 agosto) fornisce le linee guida per la informatizzazione delle procedure concorsuali con l'obiettivo di lanciare l'uso massiccio della pec nei rapporti con la pubblica amministrazione in un settore cruciale.
La circolare, da questo punto di vista, è un punto fermo per le amministrazioni, in quanto rassicura sulla utilizzabilità della pec, valevole a tutti i fini di legge, e spiega come applicare alla pec le disposizioni su momenti cruciali della procedura concorsuale.
Si pensi ad esempio all'individuazione esatta della data di presentazione della domanda ai fini della valutazione della eventuale esclusione della domanda stessa.
La fonte generale che legittima l'uso della pec è l'articolo 38 del dpr 445/2000, che prevede espressamente che tutte le istanze e le dichiarazioni da presentare alla pubblica amministrazione o ai gestori o esercenti di pubblici servizi possono essere inviate anche per fax e via telematica (queste ultime devono essere conformi a quanto disposto dal dlgs 82/2005). Con riferimento specifico alla pec è il dpr 68/2005 a prevedere che l'invio di messaggi con la pec è valido agli effetti di legge.
La ricostruzione normativa è importante per tranquillizzare tutte le amministrazioni. È, infatti, vero che l'articolo 4 del dpr 487/1994 prevede quali modalità di presentazione della domanda di partecipazione ai concorsi la consegna a mano e la raccomandata A/r «con esclusione di qualsiasi altro mezzo». Ma è anche vero che la norma è superata dalle disposizioni sopravvenute e, quindi, non c'è da dubitare che la trasmissione per posta certificata è equivalente alla notificazione per mezzo della posta.
Il problema delle domande presentate alla p.a. è la verifica della firma delle stesse. Se il mezzo usato per la spedizione è la pec, occorre comprendere quali sono le regole. A questo quesito la circolare risponde citando il codice dell'amministrazione digitale (dlgs 82/2005). Le istanze e le dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica, sono valide in quattro casi:
1) se sottoscritte mediante la firma digitale;
2) quando l'autore è identificato dal sistema informatico con l'uso della carta d'identità elettronica o della carta nazionale dei servizi;
3) quando l'autore è identificato dal sistema informatico con i diversi strumenti previsti dalla normativa vigente;
4) quando l'autore è identificato dal sistema informatico attraverso le credenziali di accesso relative all'utenza personale di posta elettronica certificata.
In queste ipotesi le istanze e le dichiarazioni inviate o compilate sul sito sono equivalenti alle istanze e alle dichiarazioni sottoscritte con firma autografa apposta in presenza del dipendente addetto al procedimento.
Ecco dunque la risposta al quesito. L'inoltro tramite posta certificata è di per sé sufficiente a rendere valida l'istanza, a considerare identificato l'autore di essa e, conclude sul punto la circolare, a ritenere la stessa regolarmente sottoscritta. Non occorre la firma digitale o altro requisito. Beninteso, sottolinea Brunetta, se il candidato utilizza la firma digitale le istanza sono senz'altro da considerare valide da parte dell'amministrazione.
Altro aspetto da analizzare in relazione all'uso della pec è la prova della data di spedizione in relazione al termine entro il quale deve essere spedita la domanda. Per la pec la normativa di settore prevede la certificazione di data e ora dell'invio e della ricezione delle comunicazioni e l'integrità del contenuto delle stesse. Con lo stesso risultato della posta cartacea. Infine la pec può essere usato dalla p.a. per le comunicazioni al candidato.
Per rendere operative le indicazioni illustrate la circolare sottolinea che non sono necessari regolamenti degli enti o clausole specifiche nel bando di concorso.
Con proprio regolamento o apposite previsioni contenute nel bando invece le amministrazioni possono individuare ulteriori semplificazioni della comunicazione con i candidati e delle modalità di acquisizione delle domande di concorso, sempre nel limite del rispetto dei principi essenziali di certezza e trasparenza (articolo ItaliaOggi del 04.09.2010, pag. 25).

NEWS

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOComuni, stop a lsu. Via ai fondi per la stabilizzazione. In corso di pubblicazione i decreti con i finanziamenti.
Via libera alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili (lsu) negli enti locali. Con tre distinti decreti, in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, il ministero del lavoro fornisce procedure e criteri per la concessione di un contributo ai comuni con meno di 50 mila abitanti nel limite di un milione di euro per ciascuna annualità 2008, 2009 e 2010 (in totale 3 milioni di euro), finalizzato alla stabilizzazione di lavoratori impegnati in attività socialmente utili presso gli stessi enti e con oneri a carico del bilancio comunale da almeno otto anni.
Il termine di presentazione delle domande per l'ammissione al contributo scadrà 30 giorni dopo la pubblicazione dei provvedimenti.
Tre annualità. La stabilizzazione degli lsu è prevista dalla Finanziaria 2008, la legge n. 244/2007, a favore di quei soggetti che siano impegnati in tali attività nei comuni con meno di 50 mila abitanti con oneri tutti a carico del bilancio comunale e siano nella disponibilità dei comuni da almeno otto atti.
I comuni possono richiedere il contributo per una sola annualità, 2008, 2009 o 2010, a condizione di avere in carico lsu a decorrere dal 1° gennaio 2000 o da una data precedente.
Tre vie per la stabilizzazione. L'erogazione del contributo, che avverrà sulla base di un'apposita graduatoria predisposta a cura del ministero del lavoro, è finalizzato all'attuazione di un piano di stabilizzazione occupazionale che il comune deve avere a tal fine predisposto. Tale piano può prevedere una o più delle seguenti vie alternative di stabilizzazione:
a) assunzione dei lsu con contratto di lavoro a tempo indeterminato oppure a tempo determinato di durata superiore a 12 mesi presso lo stesso comune; in tal caso, il sindaco deve dichiarare la conformità delle stabilizzazioni ai vincoli finanziari vigenti in materia di assunzione e di contenimento della spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni;
b) assunzione dei lsu presso soggetti privati con contratto di lavoro a tempo indeterminato oppure a tempo determinato superiore a 12 mesi;
c) erogazione di un incentivo all'autoimprenditorialità da erogare ai lsu con indicazione del relativo ammontare.
La domanda. I comuni interessati devono presentare apposita domanda, da spedire con raccomandata oppure da consegnare a mano, al ministero del lavoro entro 30 giorni dalla data di pubblicazione in G.U. del decreto concernente la disponibilità di risorse per l'annualità (2008, 2009 o 2010) per la quale viene richiesto il contributo.
La domanda, sottoscritta dal sindaco, deve contenere tra l'altro il numero dei soggetti lsu con specificazione di quelli che si intendono stabilizzare. Nell'ipotesi di comuni con popolazione superiore a 5 mila abitanti, la domanda deve inoltre recare esplicita dichiarazione che le assunzioni sono conformi ai limiti di spesa e vengono effettuate nel rispetto del patto di stabilità per gli enti locali (articolo ItaliaOggi del 04.09.2010, pag. 26).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ O nel cda o nel consiglio. Ineleggibile l'amministratore di partecipate al 100%. L'incompatibilità non scatta se l'interessato cessa dalle funzioni.
Sussiste una causa di ineleggibilità nei confronti di un componente del consiglio di amministrazione di una società a totale partecipazione del comune, che vuole candidarsi alla carica di consigliere comunale?
L'ipotesi prospettata rientra nella fattispecie di cui all'art. 60, comma 1, n. 11) del Tuel, in quanto i componenti del consiglio di amministrazione sono amministratori di un'azienda dipendente dal comune, tenuto conto che il relativo capitale è interamente detenuto dal comune.
Il citato art. 60 prevede peraltro che talune cause d'ineleggibilità, tra cui quella in esame, non hanno effetto se l'interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dell'incarico o del comando, collocamento in aspettativa non retribuita non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature (articolo ItaliaOggi del 03.09.2010, pag. 33).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità.
L'eventuale elezione di un presidente della provincia, già sindaco di un comune, alla carica di consigliere regionale costituisce causa ostativa all'assunzione e all'espletamento del mandato elettivo?
A seguito della modifica del titolo V della Costituzione, con la legge costituzionale n. 3/2001, spetta alle regioni disciplinare le cause di incompatibilità alle cariche elettive regionali; fino all'entrata in vigore delle discipline regionali, continuano ad applicarsi le disposizioni statali in materia, in forza del principio di cui all'art. 1, comma 2, della legge n. 131/2003.
Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, «l'attuale art. 122 primo comma, della Costituzione, modificando la distribuzione delle competenze normative in tema di ineleggibilità e incompatibilità alla carica di consigliere regionale vigente prima dell'entrata in vigore della legge costituzionale n. 1/1999, ha sottratto la materia alla legislazione dello stato e l'ha attribuita a quella delle regioni; conseguentemente, per ragioni di congruenza sistematica, la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di legislazione elettorale ed organi di governo dei comuni, prevista dall'art. 117, secondo comma, lett. p) Cost. deve essere intesa con esclusione della disciplina delle cause di incompatibilità (oltre che di ineleggibilità) a cariche elettive regionali derivanti da cariche elettive comunali».
La competenza legislativa regionale in questione vale «nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della repubblica», principi recati, in particolare, dalla legge 02.07.2004, n. 165 (cfr., in tal senso, Corte cost. n. 201/2003).
Pertanto, nel caso in cui la regione non abbia disciplinato la materia diversamente da quanto statuito dall'art. 65 del decreto legislativo n. 267/2000, qualora l'amministratore non si dimetta, i consigli interessati dovranno avviare nei confronti del medesimo il procedimento di contestazione ai sensi dell'art. 69, concedendogli 10 giorni di tempo per rimuovere la causa di incompatibilità. Trascorso detto termine, intervenuta o meno la comunicazione dell'amministratore di voler accettare la carica regionale, i rispettivi consigli ne dichiarano la decadenza.
Dell'avvenuta dichiarazione di decadenza del sindaco da parte del consiglio comunale deve comunque essere reso tempestivamente edotto il prefetto per l'avvio della procedura di scioglimento del consiglio comunale, che come risaputo, comporta la permanenza in carica di giunta e consiglio fino al primo turno elettorale utile e che le funzioni di capo dell'amministrazione siano svolte dal vicesindaco, in virtù dell'art. 53 del decreto legislativo n. 267/2000.
Qualora il sindaco rassegni le dimissioni, alle medesime conseguono lo scioglimento del consiglio comunale con l'affidamento della gestione dell'ente ad un commissario straordinario (articolo ItaliaOggi del 03.09.2010, pag. 33).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Rimborsi spese.
Qual è la corretta applicazione dell'art. 2 del dm 12.02.2009, con il quale è stata fissata la misura del rimborso delle spese sostenute dagli amministratori locali in occasione delle missioni istituzionali, con particolare riferimento al rimborso previsto per la frazione di giornata che segue quelle in cui si è effettuato il pernottamento?
L'art. 2, comma 1, del citato decreto interministeriale prevede rimborsi forfetari diversi in relazione alla durata della missione, come specificato nelle lettere a), b), c) e d); il successivo comma 4 dispone che le citate misure non sono tra loro cumulabili.
Nel caso di specie, all'amministratore locale spetta solamente l'importo indicato alla lettera a) del comma 1 dell'art. 2, moltiplicato per i giorni di missione, senza tener conto della frazione di giornata residua (articolo ItaliaOggi del 03.09.2010, pag. 33).

PUBBLICO IMPIEGODa capo dei vigili a bibliotecario. Per la Cassazione il trasferimento è legittimo.
Il comune che decide di riorganizzare i propri uffici eliminando il posto da comandante può legittimamente trasferire l'operatore anche in biblioteca. Purché ci sia equivalenza di mansioni questa operazione di per sé non può infatti essere considerata discriminatoria e può prescindere anche dalla professionalità acquisita.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sez. lavoro, con la sentenza n. 18283 del 05.08.2010.
È curiosa e tutta italiana la vicenda occorsa al comandante della polizia municipale di un piccolo comune siciliano. Con delibera di giunta il settore della polizia municipale è stato inserito in una diversa organizzazione con contestuale soppressione del posto apicale e trasferimento del funzionario presso il servizio biblioteca.
Contro questa singolare iniziativa l'interessato ha proposto censure fino alla Corte di cassazione ma senza risultati apprezzabili. Con la privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, specifica innanzitutto la sentenza, le amministrazioni locali hanno ora ampia facoltà di ingerenza diretta nell'organizzazione lavorativa fermo restando il principio delle mansioni equivalenti.
In buona sostanza il dipendente deve essere adibito a mansioni per le quali è stato assunto «o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi».
Ai sensi dell'art. 52 del dlgs 165/2001 il concetto di equivalenza delle mansioni è particolarmente formale ancorandosi saldamente a una valutazione demandata ai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità acquisita. In pratica basta salvaguardare il formalismo delle mansioni per assecondare il dettato normativo. Ma nel caso in esame non è stato possibile neppure avvallare il carattere ritorsivo dell'intera manovra per la genericità delle considerazioni avanzate dall'interessato.
Risulta evidente però che questa determinazione è in forte controtendenza rispetto alla giurisprudenza maggioritaria che sostiene a spada tratta l'autonomia e l'indipendenza del comando di polizia locale, stante la sua peculiarità organizzativa e funzionale.
La legge quadro sulla polizia municipale n. 65/1986 di certo riconosce infatti tutte queste specificità e non ammette interferenze così incisive nei rapporti funzionali di un soggetto apicale incaricato di svolgere anche complesse attività di polizia (articolo ItaliaOggi del 03.09.2010, pag. 32 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOContratti decentrati al capolinea. P.a. e sindacati avranno margini di manovra molto ridotti. Gli effetti della legge 122/2010. La contrattazione locale può destinare le risorse ancora disponibili.
La manovra economica depotenzia la contrattazione decentrata. La previsione contenuta nell'articolo 9, comma 1, della legge 122/2010 limita notevolmente l'oggetto di quanto le amministrazioni, nella veste di datori, e i sindacati possono trattare, nelle materie residue soggette alla relazione della contrattazione.
La disposizione, come noto, congela parte delle retribuzioni, disponendo che il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti non può superare, in ogni caso, il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010.
Leggendo il comma 1 dell'articolo 9 in combinazione col successivo comma 2-bis, per effetto del quale sussiste non tanto un tetto individuale del salario accessorio, bensì un tetto per ente, si deve ritenere che il concetto di «trattamento ordinariamente spettante» comprenda la parte della retribuzione fissa e continuativa.
In altre parole, la contrattazione decentrata non potrà intervenire sulla retribuzione tabellare (ma questa è sempre stata materia riservata alla contrattazione nazionale), né su elementi che accedono in modo irreversibile al trattamento economico, come ad esempio retribuzione individuale di anzianità, effetti di reinquadramenti fissati nel passato dalla contrattazione collettiva, l'indennità di comparto propria della realtà di regioni ed enti locali e la posizione economica acquisita per effetto delle progressioni orizzontali.
La manovra, disponendo un generalizzato blocco della contrattazione collettiva, valevole tanto per quella nazionale, quanto per quella decentrata, e congelando le parti fisse e continuative delle retribuzioni dei singoli dipendenti, priva le amministrazioni per il triennio 2011-2013 della possibilità di attivare progressioni economiche. Conseguentemente, la contrattazione decentrata, che tipicamente ha come oggetto la destinazione del fondo delle risorse decentrate costituito dall'ente, non potrà occuparsi dell'eventuale destinazione alle progressioni orizzontali.
La contrattazione, ancora, viene privata della possibilità di intervenire sulla destinazione del fondo, con riferimento alla previsione contenuta nell'articolo 9, comma 2-bis, della legge 122/2010, ove si stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31.12.2013 l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale è automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio. Nella sostanza si introduce un obbligo discendente direttamente dalla legge di ridurre le risorse decentrate. Pertanto, spetta esclusivamente alle amministrazioni determinare l'ammontare della riduzione, nella fase della costituzione delle risorse.
Ovviamente, ciò finisce per circoscrivere gli spazi della contrattazione decentrata, la quale, nella sostanza, si limita a concordare la destinazione delle risorse decentrate libere, cioè ancora disponibili, dopo aver computato i valori delle progressioni economiche, dell'indennità di comparto, nonché delle indennità finalizzate a remunerare mansioni particolari o connesse a modalità di erogazione dei servizi (rischio, turno, reperibilità, disagio, maneggio valori, particolari responsabilità).
Questa parte ancora disponibile, per altro, riguarda le sole risorse stabili, quelle sulle quali è possibile una reale contrattazione. Infatti, le risorse variabili sono per loro natura già destinate dal contratto, ad esempio a incentivare progettisti, avvocati, gli uffici tributi per il recupero Ici, oppure al premio per i risultati individuali.
Alla contrattazione, comunque, resta certamente la competenza a destinare, annualmente, le risorse ancora disponibili. Da questo punto di vista, il ruolo della contrattazione non risulta cancellato, ma solo ridimensionato dai nuovi vincoli imposti dalla legge.
Ancora, la contrattazione decentrata deve provvedere all'adeguamento dei contratti decentrati stipulati prima dell'entrata in vigore del dlgs 150/2009 ai contenuti della riforma-Brunetta.
Quello disposto, infatti, dall'articolo 65 del dlgs 150/2009 è un vero e proprio obbligo e non una semplice facoltà. La legge ha lasciato alle parti la possibilità di adeguare gradualmente le clausole incompatibili con la riforma, dando ben due anni di tempo agli enti locali. Ma, le clausole non adeguate non possono considerarsi applicabili. Prima di attuarle occorre attivare la contrattazione, che ha l'obbligo di eliminare gli elementi di contrasto, per sbloccarne così l'attuabilità (articolo ItaliaOggi del 03.09.2010, pag. 32 - link a www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl fumo all’aperto non si può vietare. Non ci sono emergenze o pericoli che giustifichino le ordinanze. I provvedimenti dei sindaci sono illegittimi anche perché la materia richiede una disciplina unitaria.
Facendo riferimento all’articolo apparso su Italia-Oggi il 12.07.2010 «In vacanza nell’Italia dei divieti», pare utile introdurre una riflessione circa la legittimità costituzionale delle ordinanze sindacali che stabiliscono il divieto di fumo in luoghi aperti.
Tali provvedimenti comunali presentano una serie di criticità dal momento che derogano la disciplina statale, assumono la forma di ordinanza e, per di più, intervengono su di un ambito, come quello della tutela della salute, che necessita di una disciplina omogenea ... (articolo ItaliaOggi del 03.09.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it).

SICUREZZA LAVORONei cantieri lavoratori ai raggi X. Sul tesserino vanno indicati committente e data di assunzione. Dal 7 settembre si cambia registro: la legge antimafia aggiunge nuovi criteri di riconoscimento.
Addetti nei cantieri ai raggi X negli appalti. Dal prossimo 7 settembre, la tessera di riconoscimento deve essere arricchita di nuovi dettagli. In particolare, i datori di lavoro dovranno specificare anche la data di assunzione di ciascun lavoratore tenuto a indossarla nonché, nelle ipotesi di subappalto, la relativa autorizzazione. I lavoratori autonomi, invece, dovranno indicare il nome del committente.
A stabilirlo è la legge n. 136/2010, contenente il piano straordinario antimafia, che integra con proprie norme, operative da martedì prossimo, le disposizioni del T.u. sicurezza (il dlgs n. 81/2008).
La tessera di riconoscimento. Munire i lavoratori con apposita tesserino è un obbligo previsto dal T.u. sicurezza. In particolare, il dlgs n. 81/2008 stabilisce, all'articolo 18, che il datore di lavoro e i dirigenti, i quali organizzano e dirigono le attività secondo le attribuzioni e competenze a essi conferite, devono munire i lavoratori di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro. L'obbligo è previsto nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e subappalto.
Medesimo obbligo è disciplinato, sempre dal T.u., all'articolo 21 a carico dei lavoratori autonomi. Si tratta, in particolare, dei componenti dell'impresa familiare (articolo 230-bis del codice civile), dei lavoratori autonomi che compiono opere o servizi (ai sensi dell'articolo 2222 del codice civile), dei coltivatori diretti del fondo, dei soci di società semplici operanti nel settore agricolo, degli artigiani e piccoli commercianti. Tutti questi lavoratori, stabilisce il T.u., devono munirsi di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia e contenente le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto.
Le novità dal 7 settembre. Il provvedimento contro le mafie, la legge n. 136/2010 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 196/2010 (si veda ItaliaOggi del 24 agosto), integra le predette disposizioni del Tu sicurezza prescrivendo altre informazioni da dettagliare sulla tessera di riconoscimento. Quest'ultima, in base all'articolo 5 della predetta legge, nel caso di tessera destinata ai lavoratori di imprese, deve contenere oltre agli elementi già previsti anche la data di assunzione nonché, nelle ipotesi di subappalto, la relativa autorizzazione.
Nel caso di lavoratori autonomi, inoltre, lo stesso articolo 5 stabilisce che la tessera contenga pure l'indicazione del committente. Come accennato, l'integrazione delle informazioni, sia per i lavoratori dipendenti che per quelli autonomi, dovrà avvenire a partire dal prossimo 7 settembre, data di entrata in vigore delle nuove disposizioni contro le mafie.
Le sanzioni. Il T.u. sicurezza disciplina la tessera di riconoscimento in due momenti: come obbligo, per i datori di lavoro, di fornirla ai propri lavoratori e come obbligo per gli stessi lavoratori di esporla. In dettaglio l'obbligo di munire il proprio personale di tale tessera è previsto a carico delle imprese appaltatrici e subappaltatrici, nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto. Stesso obbligo (cioè di esporre la tessera di riconoscimento) vige anche in capo ai lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nei cantieri, i quali sono tenuti a provvedervi per proprio conto.
A carico dei datori di lavoro e dirigenti che non provvedono alla fornitura, al personale, della tessera di riconoscimento è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ciascun lavoratore. I lavoratori che non espongono la tessera di riconoscimento sono puniti con la stessa sanzione, ma d'importo da 50 a 300 euro. Quest'ultima sanzione è prevista anche a carico dei lavoratori autonomi che non provvedono a munirsi di tessera (articolo ItaliaOggi del 03.09.2010, pag. 25).

EDILIZIA PRIVATAPiccola edilizia semplificata a metà. I professionisti dovranno attestare la regolarità degli incrementi. Il regolamento sulle autorizzazioni paesaggistiche (in G.U.) sveltisce i tempi per 39 interventi.
Semplificata l'autorizzazione paesaggistica per i piccoli interventi edilizi. Ma non per i professionisti che dovranno attestare la regolarità di incrementi di volumetria (fino a 100 metri cubi) o demolizioni e ricostruzioni o della installazione di tende da sole a parabole.
Sono, infatti, questi alcuni degli interventi oggetto del dpr 09.07.2010 n. 139, e cioè del regolamento sul procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità.
Il provvedimento, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26.08.2010, avrà immediata efficacia per le regioni ordinarie, mentre quelle speciali dovranno adeguare il proprio ordinamento.
La semplificazione consiste in minori documenti da produrre, in tempi più stretti (60 giorni è il termine di conclusione del procedimento, nei passaggi procedurali). Gli interventi di lieve entità, elencati in coda al provvedimento, sono 39 e corrispondono al 75% del totale degli interventi. L'istanza deve essere corredata unicamente da una relazione paesaggistica semplificata, redatta da un tecnico abilitato su una scheda tipo. Non si applica, dunque, il dpcm 12/12/2005.
Tra l'altro si accorpa nella relazione anche l'attestazione di conformità dell'intervento alla disciplina del paesaggio e alla disciplina edilizia e urbanistica. Se possibile l'istanza si presenta per via telematica e, se riguarda attività industriali o artigianali, tramite lo sportello unico. Come si può notare l'autorizzazione non è di certo semplificata per il tecnico, che si assume la responsabilità delle attestazioni di conformità urbanistica.
Il procedimento autorizzatorio semplificato deve concludersi con un provvedimento espresso nel termine di 60 giorni dal ricevimento dell'istanza. In questo caso la semplificazione si coglie sui tempi, che vengono ridotti dai 105 previsti (40 presso l'ente locale, 45 per il parere vincolante del soprintendente e 20 per il provvedimento definitivo). Se l'amministrazione competente (comune o, in qualche caso, provincia o regione) esprime valutazione negativa la domanda viene direttamente rigettata, senza investire del procedimento la soprintendenza competente per territorio).
In caso, invece, di valutazione positiva della conformità, o della compatibilità paesaggistica, l'amministrazione locale (o regionale) invia la pratica al soprintendente. Se anche la valutazione del soprintendente è positiva, allora formula un parere vincolante favorevole.
Se la valutazione del soprintendente è negativa (e quindi in contrasto con quella positiva dell'amministrazione locale) il soprintendente rigetta direttamente l'istanza, senza investire nuovamente della questione l'ente locale. L'autorizzazione paesaggistica è immediatamente efficace ed è valida cinque anni (articolo ItaliaOggi del 31.08.2010, pag. 27).

PUBBLICO IMPIEGOConcorsi illegittimi senza mobilità.
Il bando per un concorso pubblico è illegittimo se l'ente non ha attivato la procedura di mobilità prevista dalla norma, in quanto non si è consentita agli interessati, la presentazione delle eventuali domande di trasferimento.

Il Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza 18.08.2010 n. 5830, ha annullato un bando per la copertura di un posto di funzionario amministrativo, bandito da un'unione di comuni.
Il comma 1 dell'articolo 30 del dlgs n. 165/2001, fissa il principio della mobilità volontaria a domanda, prevedendo che i posti vacanti possono essere ricoperti con cessione del contratto di lavoro da dipendenti di altre amministrazioni pubbliche, che richiedano il trasferimento. È necessario, comunque, che siano rese pubbliche le disponibilità dei posti, fissando preventivamente i criteri di scelta.
Il comma 2-bis, introdotto dalla legge n. 43/2005, stabilisce che le amministrazioni, prima di espletare il concorso, devono attivare le procedure di mobilità suddette, e il trasferimento è disposto nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell'area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso l'amministrazione di provenienza.
Le disposizioni normative sono senz'altro applicabili anche agli enti locali, in quanto rientranti nell'ambito delle disposizioni del decreto legislativo, e impongono alle amministrazioni pubbliche di avviare, prima dell'espletamento delle procedure concorsuali, le procedure di mobilità.
Con propria sentenza, il Tar per l'Emilia Romagna accoglieva il ricorso presentato da una cittadina, considerando che la norma obbligava ad avviare, preventivamente, le procedure di mobilità.
L'unione dei comuni presenta appello al Consiglio di stato, per la riforma della predetta sentenza, evidenziando l'autonomia costituzionalmente riconosciuta agli enti locali.
Per il Consiglio di stato l'appello è infondato, in quanto l'interpretazione letterale delle norme impone alle pubbliche amministrazioni di avviare prima la mobilità e poi espletare le procedure concorsuali. L'obbligo risponde all'interesse pubblico di riduzione della spesa pubblica. Tale previsione non lede l'autonomia delle amministrazioni poiché, al fine della copertura di un posto vacante, è tenuta, innanzitutto, ad avviare la procedura di mobilità, diretta ad accertare l'esistenza di dipendenti pubblici già in servizio, con le necessarie professionalità. Solo l'esito infruttuoso della mobilità permette all'ente di indire la procedura concorsuale.
Per i giudici di palazzo Spada, non può accogliersi neppure quanto sostenuto dall'appellante (che la procedura di mobilità sarebbe relativa soltanto all'immissione di dipendenti pubblici in posizione di comando o di fuori ruolo) in quanto, dalla corretta interpretazione della norma si evidenzia che tali categorie hanno, esclusivamente, una priorità rispetto agli altri dipendenti che partecipano alla mobilità, ergo non si può affermare che la procedura sia riservata soltanto a questi dipendenti.
La norma, infine, non può dirsi rispettata con il semplice esame delle domande di trasferimento presentate spontaneamente da dipendenti pubblici, in quanto manca l'adempimento all'obbligo di rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico e la fissazione preventiva dei criteri di scelta (articolo ItaliaOggi del 31.08.2010, pag. 27).

ENTI LOCALIScuole, videosorveglianza sì, ma a cancelli chiusi. Il Viminale: ecco come tutelarsi contro il vandalismo.
La videosorveglianza nelle scuole per la tutela dagli atti vandalici è ammessa solo negli orari di chiusura, limitatamente alle aree interessate.
Lo ha fatto sapere il ministero dell'interno con la circolare 06.08.2010 n. 558/A/421.2/70/195960 di prot..
Il provvedimento reca anche una sintesi delle novità introdotte dalla legge 38/2009 e dal provvedimento generale del garante della privacy emesso l'8 aprile scorso, che ha sostituito l'analogo provvedimento del 2004.
Il Viminale ha chiarito, inoltre, che restano fermi i divieti di utilizzo dei dispositivi di videosorveglianza per controllare a distanza i lavoratori. Insomma, via libera alle telecamere, ma a patto che vengano usate solo per difendersi dai vandali oppure per scongiurare la commissione di reati. Fermo restando, però, che anche nel caso di utilizzo lecito, le amministrazioni procedenti devono avvertire i cittadini della presenza delle telecamere con cartelli o altri mezzi.
Se le telecamere vengono installate direttamente dalle scuole, è il dirigente che deve avere cura di adempiere gli obblighi di informazione. Mentre, se ad installarle è il comune, dovrà provvedere il sindaco. In ogni caso è da escludere che le telecamere possano essere destinate al controllo a distanza dei lavoratori, docenti o non docenti che siano.
La sopravvivenza del divieto, previsto in via generale dallo statuto dei lavoratori (legge 300/70) rileva chiaramente incrociando le disposizioni del garante, nella sintesi fornita dal ministero guidato da Roberto Maroni, le quali dispongono che: «È vietato comunque il controllo a distanza dei lavoratori, sia all'interno degli edifici sia in altri luoghi di lavoro.». E, nel caso delle scuole, ne limitano l'utilizzo «solo negli orari di chiusura.».
Dunque, nel periodo in cui le prestazioni di lavoro sono sospese e i lavoratori sono a casa. Restano fermi gli obblighi di informazione previsti in via generale dal provvedimento del garante dell'8 aprile. E dunque, i cittadini che transitano nelle aree sorvegliate devono essere informati con cartelli della presenza delle telecamere, i cartelli devono essere resi visibili anche quando il sistema di videosorveglianza è attivo in orario notturno.
Le telecamere istallate a fini di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica non devono essere segnalate (articolo ItaliaOggi del 31.08.2010, pag. 33).

PUBBLICO IMPIEGODoppi incarichi, scattano le multe. La Gdf inizia a sanzionare le consulenze non autorizzate. Brunetta e le Fiamme gialle hanno deciso: la norma del T.u. va applicata. Recuperato un milione.
Rispetto al valore totale delle consulenze affidate dalla p.a. (1,4 miliardi nel 2009, ma la cifra, secondo la Funzione pubblica è destinata a salire a 2,5 miliardi se si considerano quelle non dichiarate) il milione di euro, recuperato dalla Guardia di finanza di Roma per violazione delle norme sulle incompatibilità nel pubblico impiego, può apparire una goccia nel mare.
Ma è anche il segnale che Brunetta e le Fiamme Gialle (con cui il ministro ha sottoscritto un protocollo d'intesa) intendono fare sul serio, pretendendo dalle amministrazioni il rispetto dell'art. 53 del T.u. (dlgs 165/2001) che punisce il conferimento di incarichi senza autorizzazione e la mancata comunicazione dei compensi con una sanzione amministrativa pari al doppio dell'importo corrisposto.
Una norma di trasparenza vecchia di 14 anni (ha fatto la comparsa nel nostro ordinamento con la Finanziaria del 1997, la legge 662/1996, prima di essere recepita nel T.u.) ma sempre disattesa anche perché mai le amministrazioni e i dipendenti pubblici non in regola venivano sanzionati.
Ora però la Guardia di finanza ha deciso di iniziare a far scattare le prime multe. I controlli hanno riguardato, in particolare, 11 tra dirigenti e funzionari pubblici che hanno svolto complessivamente 83 consulenze, a vario titolo, nei confronti di enti pubblici e privati. Senza aver mai chiesto il benestare alle amministrazioni di appartenenza o senza che queste ultime abbiano mai comunicato all'Anagrafe delle prestazioni (la banca dati degli incarichi attivata dalla Funzione pubblica) i compensi erogati.
Gli uomini del comando provinciale di Roma e del nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie hanno multato le amministrazioni committenti per 800.000 euro e hanno recuperato 245.000 euro dai pubblici dipendenti che hanno svolto incarichi in difetto di autorizzazione. Nell'elenco dei cattivi sono finiti l'avvocatura generale dello stato, la regione Lazio, dirigenti della regione Piemonte che svolgevano consulenze nella Capitale per conto di un ente pubblico economico, svariati comuni della provincia di Roma (Castelnuovo di porto, Sacrofano) e persino un ex ministro dei lavori pubblici per consulenze affidate a un ingegnere del ministero in sospetto conflitto d'interesse.
E a quanto pare è solo l'inizio perché la Gdf sembra aver già individuato il prossimo obiettivo: la Rai. Dove in passato numerosi dipendenti pubblici hanno svolto incarichi non autorizzati e di valore economico ignoto. Basterà incrociare i dati del modello 770 (compilato dai sostituti d'imposta) e risalire agli enti committenti (e, se del caso, inadempienti all'obbligo di comunicazione) sarà un gioco da ragazzi, assicurano le Fiamme gialle. Ma a questo punto la domanda è d'obbligo: perché ci sono voluti 14 anni? (articolo ItaliaOggi del 27.08.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOContratti locali, cura dimagrante. Integrativi limitati alla ripartizione del fondo risorse decentrate. Tutte le novità introdotte dalla manovra d'estate (legge 122/2010) in materia di personale.
La contrattazione collettiva decentrata integrativa può nel prossimo triennio, a seguito delle prescrizioni dettate dalla manovra (legge 122/2010) svolgersi esclusivamente per la ripartizione annuale del fondo per le risorse decentrate. E, in tale ambito, deve scontare i vincoli dettati per la riduzione del suo importo, nonché per la imposizione di un tetto al trattamento economico individuale.
Sono, come ben si vede, molti e di grande rilievo gli effetti determinati dalla finanziaria d'estate sulla contrattazione a livello locale.
Effetti a cui si aggiunge il blocco del rinnovo del contratto nazionale per il triennio 2010/2012, cioè per il primo destinato a coprire, sia per gli aspetti normativi che per quelli economici, un arco triennale, al posto dei vecchi contratti di durata quadriennale per gli aspetti normativi e biennale per quelli economici.
Se vogliamo sintetizzare queste novità l'espressione migliore è «drastica cura dimagrante» imposta alla contrattazione, senza dimenticare che già il dlgs n. 150/2009 si caratterizza per scelte che vanno nella stessa direzione. La manovra (articolo 9, comma 17) blocca per il triennio 2010/2012 e «senza possibilità di recupero... le procedure contrattuali e negoziali»; viene fatta salva unicamente la indennità di vacanza contrattuale.
Quando il legislatore si riferisce alle «procedure contrattuali e negoziali» dobbiamo intendere tale disposizione come la formula usata per comprendere nel blocco sia il personale pubblico cd contrattualizzato che quello cd non contrattualizzato, per il quale non vengono stipulati contratti, ma solo intese che sono poi recepite con provvedimenti quali i dpr. La formula, come si vede, è assai ampia e non è limitata alla sola contrattazione collettiva nazionale: di conseguenza essa comprende anche i contratti collettivi decentrati integrativi. Ricordiamo che, sulla base delle regole dettate dal dlgs n. 165/2001, la contrattazione nel pubblico impiego avviene su due livelli, nazionale e decentrato, che l'arco di validità delle intese è lo stesso e che vi è una supremazia gerarchica del livello nazionale su quello decentrato, supremazia che si manifesta soprattutto nella scelta delle materie.
Ricordiamo anche che le regole in vigore negli enti locali ci dicono che la contrattazione decentrata si svolge in un unico arco temporale ed ha carattere unitario. Per cui nel triennio 2010/2012 non si potrà dare luogo nelle singole amministrazioni alla stipula del contratto decentrato valevole per tale arco temporale: di qui la conseguenza che continuerà ad applicarsi, per quanto possibile, l'ultimo contratto stipulato.
Da sottolineare che questa disposizione impatta in misura assai rilevante con la necessità di adattare i contratti decentrati alle novità determinate dalla entrata in vigore del dlgs n. 150/2009, cioè la cd legge Brunetta: essa dà tempo alle amministrazioni dello stato fino al prossimo 31 dicembre ed agli enti locali, di fatto, fino alla fine del 2012 per modificare i contratti decentrati in modo da adattarli alle novità da essa introdotte. Arriviamo così alla seconda rilevante novità: la riduzione del fondo per le risorse decentrate.
Siamo in presenza di una novità pressoché assoluta negli enti locali; infatti fino alla entrata in vigore del dl n. 78/2010 questa possibilità era prevista in termini generali per le amministrazioni dello stato ed era estensibile per la parte variabile del fondo anche agli enti locali. Uno specifico vincolo alla riduzione era previsto solamente nel caso di esternalizzazione di attività con conseguente trasferimento di una parte del personale. Adesso invece la riduzione viene prevista in ben due forme.
In primo luogo il legislatore all'articolo 9, comma 2-bis, stabilisce che in caso di riduzione del numero dei dipendenti (il che a partire dal 2011 si realizzerà progressivamente in tutti gli enti a seguito dei drastici vincoli imposti alle assunzioni) la consistenza del fondo deve essere ridotta in modo automatico e proporzionale. Siamo in presenza di un taglio che deve essere effettuato, innanzitutto, sulla parte stabile. E inoltre viene stabilito dall'articolo 14, comma 7, che questo strumento può essere discrezionalmente utilizzato al fine di pervenire al rispetto dei vincoli dettati alla spesa per il personale.
Nella ripartizione del fondo la contrattazione collettiva deve tenere conto degli effetti che le nuove disposizioni di legge producono sulle progressioni economiche. La cd legge Brunetta ha già previsto che esse debbano svolgersi con una procedura selettiva ed interessare una quota limitata di dipendenti.
Con la manovra estiva viene aggiunto il tetto al trattamento economico individuale, tetto che sicuramente riguarda sia lo stipendio che quelle indennità che hanno natura formalmente di salario accessorio, ma che per il loro carattere fisso possono essere considerate come una componente del trattamento economico fondamentale. Per cui di fatto siamo in presenza di una impossibilità di riconoscere progressioni economiche nell'arco del triennio 2010/2012, fatte salve quelle erogate con decorrenza dall'01/01/2010 (in questo caso infatti il beneficio si estende per l'intero anno) (articolo ItaliaOggi del 27.08.2010, pag. 28 - link a www.corteconti.it).

INCENTIVO PROGETTAZIONEComuni, dipendenti senza Irap. L'imposta non può gravare sugli incentivi a progettisti e legali. Nonostante la giurisprudenza della Corte dei conti il dibattito rimane aperto tra gli operatori.
L'Irap sugli incentivi ai progettisti e legali delle pubbliche amministrazioni non può gravare sui compensi loro spettanti.
Nonostante la deliberazione della Corte dei Conti, sezioni riunite, n. 33/2010 rimane ancora aperto in dottrina e tra gli operatori un vero e proprio contrasto interpretativo, meritevole probabilmente di ulteriori e più lineari interventi.
Pomo della discordia è il passaggio nel quale le sezioni riunite affermano «ai fini della quantificazione dei fondi per l'incentivazione e per le avvocature interne, vanno accantonate, a fini di copertura, rendendole indisponibili, le somme che gravano sull'ente per oneri fiscali, nella specie, a titolo di Irap. Quantificati i fondi nel modo indicato, i compensi vanno corrisposti al netto, rispettivamente, degli «oneri assicurativi e previdenziali» e degli «oneri riflessi», che non includono, per le ragioni sopra indicate, l'Irap. L'Irap correlata a tali compensi, pertanto, costituisce, secondo le regole generali, un onere diretto a carico dell'ente datore di lavoro, senza possibilità di trasferimento sul dipendente».
Vi è chi ritiene di concludere, sulla base dell'indicazione vista sopra, che una volta determinato il fondo al netto degli oneri previdenziali, così da ricavare la base imponibile Irap e quantificarne l'importo, esso vada scorporato dal fondo. Dunque, ai dipendenti pubblici interessati può essere erogato il compenso incentivante dimagrito dell'Irap.
In effetti, come dimostra la tabella A, con questo tipo di conteggio, posto che il fondo incentivante sia 100 (lo 0,50% di una base di gara di 20.000 euro), lo scorporo dell'Irap mantiene in 100 l'entità del fondo. Contabilmente, dunque, l'ente non aggiunge i costi dell'Irap.
Ma questa lettura della norma abbatte il reddito del dipendente. Sicché si verifica il fenomeno che le sezioni riunite della Corte dei conti hanno voluto scongiurare: riversare sul lavoratore l'onere di un'imposta che, invece, grava esclusivamente sul datore di lavoro.
Allora, si può prospettare una soluzione diversa, come quella proposta nella tabella B. Le sezioni riunite, a ben vedere, affermano che l'Irap debba essere accantonata «ai fini della quantificazione dei fondi», per essere compresa nel quadro della spesa e non generare buchi di bilancio. Ciò significa che l'Irap concorre alla quantificazione del fondo, il quale è da ritenere non risulti costituito solo dalla semplice operazione di applicare lo 0,50% sul valore dell'importo a base di gara; ad esso si può supporre vada aggiunta l'Irap in precedenza quantificata ed allo scopo accantonata, in modo tale che l'ente possa attingere per l'impegno della spesa relativa a tale imposta al fondo incentivante stesso. L'accantonamento, insomma, non avrebbe lo scopo di scorporare l'imposta.
Solo in questo modo l'imposta graverebbe esclusivamente sul datore di lavoro, senza ribaltamenti nei confronti dei lavoratori, che trasformerebbero nella sostanza l'Irap in quello che la magistratura contabile ha esplicitamente negato che sia: un onere riflesso. Risulterebbe fondamentale, tuttavia, una presa di posizione più chiara e netta della Corte dei conti, corredata di uno strumento per dare un contenuto contabile alle proprie conclusioni (articolo ItaliaOggi del 27.08.2010, pag. 29 - link a www.corteconti.it).

APPALTILe misure del piano straordinario antimafia per prevenire le infiltrazioni criminali. Nulli i contratti non tracciabili. Pagamenti delle commesse pubbliche solo su conti dedicati.
A rischio di nullità i contratti di appalto delle commesse pubbliche qualora i relativi pagamenti non risultino canalizzati. Tale tracciabilità obbligatoria dei flussi finanziari viene estesa a tutta la filiera degli appalti e dei concessionari di finanziamenti pubblici.
Pesanti sanzioni ad hoc per tutte le ipotesi di inosservanza delle regole di tracciabilità.
È quanto deriva da alcune delle previsioni della legge 13/8/2010, n. 136 recante: «Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al governo in materia di normativa antimafia», pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 196 del 23/8/2010 il cui testo entrerà in vigore dal 7/9/2010.
La verifica dei flussi finanziari. Sempre più stringenti i cosiddetti controlli antimafia per prevenire ogni possibile infiltrazione di tipo criminale nella contrattualistica pubblica (sul tema si veda ItaliaOggi del 24/8/2010). Da ciò deriva l'obbligo, introdotto dall'art. 3 della legge 136/2010, della tracciabilità dei flussi finanziari a carico di appaltatori, subappaltatori e subcontraenti della filiera, per le transazioni relative a lavori, servizi, forniture pubbliche e gestione dei finanziamenti.
In particolare, la legge impone agli operatori delle imprese a qualsiasi titolo interessate ai citati contratti, ad utilizzare uno o più conti correnti bancari o postali dedicati alle pubbliche commesse.
Sulla scorta anche dell'esperienza del decreto legge per la ricostruzione in Abruzzo (dl 139/2009, convertito nella legge 77/2009) la norma prevede che su detti conti devono essere appoggiati tutti i movimenti finanziari (incassi e pagamenti), di qualsiasi importo (fatta eccezione per le piccole spese di cantiere di importo giornaliero di massimo 500 euro), da e verso altri conti, connessi all'esecuzione del contratto, sub-contratto o affidamento e finalizzati alla realizzazione dell'intervento.
Sul punto occorre precisare due aspetti. Per il primo, si rileva che i conti devono essere dedicati, ma possono esserlo: «Anche non in via esclusiva alle commesse pubbliche», ossia gli stessi potrebbero essere impiegati anche per transazioni che non rientrino nell'oggetto del contratto di appalto, tuttavia, il successivo comma 4 ha cura di precisare che ove per il pagamento di spese estranee ai lavori, ai servizi e alle forniture in commento, sia necessario il ricorso a somme provenienti da conti dedicati, questi ultimi possono essere successivamente reintegrati mediante bonifico bancario o postale. Mentre, ciò che non appare assolutamente ammissibile è il pagamento, anche solo «provvisoriamente», di operazioni attinenti i citati contratti con fondi provenienti da conti diversi da quelli dedicati o con metodi alternativi ai bonifici.
In merito al secondo, si fa notare che i conti dedicati possono essere accesi esclusivamente presso banche o presso la società Poste italiane s.p.a. e non invece, presso tutti i soggetti definiti «intermediari finanziari e altri soggetti esercenti attività finanziaria» ai fini della normativa antiriciclaggio, dall'art. 11 del decreto legislativo 231/2001.
Unica eccezione prevista all'impiego dello strumento del bonifico si rinviene nella possibilità, fermo restando l'obbligo di documentazione della spesa, di pagamenti in favore di enti previdenziali, assicurativi, istituzionali e quelli in favore di gestori e fornitori di pubblici servizi, ovvero quelli riguardanti tributi, nonché per le piccole spese giornaliere, di importo fino a 500 euro, salvo ribadire, tuttavia per queste ultime, il divieto di impiego del contante.
I presìdi per il monitoraggio. Tutte le movimentazioni relative al contratto di appalto, ai fini della tracciabilità dei flussi, dovranno essere appositamente targati riportando nella causale del bonifico bancario o postale l'indicazione del Cup ossia del codice unico di progetto relativo all'investimento pubblico sottostante. Articolata la procedura di rilascio del Cup che deve essere richiesto alla Stazione unica appaltante (Sua) che opera da tramite fra il Dipartimento per la programmazione della politica economica e gli appaltatori i quali comunicano alla stessa gli estremi identificativi dei conti correnti dedicati entro sette giorni dalla loro accensione, nonché le generalità e il codice fiscale delle persone delegate ad operare su di essi.
La Sua, che ricalca le centrali di committenza previste dall'art. 33 del Codice degli appalti (dlgs. 163/2006), verrà istituita in ambito regionale con un decreto del presidente del consiglio dei ministri, da adottare entro sei mesi dall'entrata in vigore del provvedimento in oggetto. Interessante segnalare, in proposito, che la regione Calabria è stata la prima ad adottare tale sistema centralizzato istituendo la propria Sua, che è già operativa con legge regionale 7/12/2007, n. 26.
Nullità dei contratti e clausola risolutiva espressa. Viene prevista una doppia barriera difensiva per i contratti in commento che sono sottoposti a nullità assoluta qualora non prevedano la clausola di assunzione dell'obbligo di tracciabilità e a risoluzione espressa dell'accordo qualora le transazioni finanziarie siano eseguite senza avvalersi di banche o Poste Italiane spa.
Molto efficaci, in ottica giuridica, quindi, le tutele poste all'osservanza delle norme sulla tracciabilità in aggiunta alle previsioni sanzionatorie. Si tratta, in pratica, del vincolo di inserire, da parte della Sua, nei contratti sottoscritti con gli appaltatori, una specifica clausola di assunzione dell'obbligo di tracciabilità dei flussi.
Detta clausola agisce a pena di nullità assoluta del contratto, ossia comporta una invalidità a monte del contratto, insanabile e nei confronti di tutti i soggetti ai sensi dell'articolo 1418 c.c. Inoltre, il contratto deve essere munito, della clausola risolutiva espressa ai sensi dell'art. 1456 c.c. che preveda la risoluzione immediata dello stesso allorché le transazioni finanziarie siano state eseguite senza avvalersi di banche o Poste. Per di più la norma precisa che qualsiasi soggetto che abbia notizia dell'inadempimento della propria controparte agli obblighi di tracciabilità deve procedere all'immediata risoluzione del rapporto contrattuale, informandone contestualmente la Sua e la prefettura-ufficio territoriale del governo territorialmente competente.
Le medesime regole devono essere osservate anche nei contratti sottoscritti con i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese a qualsiasi titolo interessate ai lavori.
Le sanzioni. Per i contratti che superano la prova della nullità e della risoluzione, la norma ipotizza una serie di deterrenti ad hoc a salvaguardia della trasparenza delle movimentazioni e della correttezza nell'aggiudicazione degli appalti che consistono sia in sanzioni amministrative pecuniarie ai sensi dell'art. 6 (per le quali si paventa, tuttavia, la possibilità di pagamento in misura ridotta con applicazione dell'oblazione di cui all'art. 16 della legge 689/1981), sia in apposite previsioni del codice penale, riepilogate nella tabella in pagina (articolo ItaliaOggi del 26.08.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGORimborsi auto vietati. Non per tutti. Il giro di vite vale solo per il personale che svolge attività ispettiva. Un parere del Friuli-Venezia Giulia prova a restringere il campo di applicazione della manovra.
Il divieto di rimborsare il costo di un quinto della benzina ai dipendenti pubblici che utilizzino l'auto propria vale solo per il personale adibito ad attività ispettiva.
Una flebile luce nel buio del garbuglio interpretativo determinato dall'articolo 6, comma 12, della legge 122/2010 prova a gettarla la regioni Friuli-Venezia Giulia, che col parere n. 10693/2010 ritiene di poter restringerne il campo di applicazione.
Secondo il parere regionale la disapplicazione del rimborso chilometrico ai dipendenti che facciano uso dell'auto propria, quindi, riguarda non ha portata generale. Non coinvolge, dunque, il personale autorizzato all'uso del proprio automezzo per ordinarie ragioni di servizio, ma solo il personale che, per lo svolgimento di funzioni ispettive, abbia frequente necessità di spostarsi.
Insomma, la regioni Friuli attribuisce rilievo interpretativo decisivo alla lettera espressa dell'articolo 15, comma 1, della legge 836/1973, che essendo riferito in modo chiaro solo ai dipendenti incaricati di funzioni ispettive solo nei confronti di questi esplica i suoi effetti.
Si tratta di un'interpretazione certamente volta a superare i problemi enormi posti dalla norma, la quale viene, oltre tutto, letta in modo erroneo (anche a causa della relazione alla legge 122/2010 redatta dal Servizio studi del Senato) quale divieto sia di utilizzare l'auto propria, sia di autorizzare tale utilizzo, da parte della dirigenza.
Molti enti ritengono che, pur non potendo pretendere il diritto al rimborso chilometrico, il dipendente che utilizzi l'auto propria ed il dirigente che lo autorizzi commetterebbero un'infrazione disciplinare. Si tratta, tuttavia, di una lettura abnorme, perché non tiene conto che il legislatore ha disapplicato gli articoli 15 della legge 836/1973 e 8 della legge 417/1978 (che ha introdotto l'indennità chilometrica pari al quinto del costo della benzina), ma non l'articolo 9 della medesima legge 417/1978.
Tale ultima norma prevede espressamente: «Quando particolari esigenze di servizio lo impongano qualora risulti economicamente più conveniente, l'uso del proprio mezzo di trasporto può essere autorizzato, con provvedimento motivato, anche oltre i limiti della circoscrizione provinciale».
Pertanto, nell'ordinamento rimane radicato in modo indubitabile il principio secondo il quale in assenza di alternative e, soprattutto, se risulti più conveniente (si deve pensare sia sul piano finanziario, sia sul piano organizzativo), il dipendente pubblico può, o addirittura deve essere autorizzato ad utilizzare il proprio mezzo di trasporto privato, senza che ciò comporti violazione disciplinare alcuna.
Secondo la regione Friuli Venezia Giulia, in ogni caso, per i dipendenti non incaricati di funzioni ispettive la disapplicazione dell'indennità chilometrica non opererebbe. Il che consentirebbe, dunque, al dipendente di una sede staccata di un ente di utilizzare la propria vettura per partecipare, ad esempio, a corsi di formazione indetti presso la sede centrale o partecipare a riunioni di lavoro.
La lettura fornita dal parere della regione ha il pregio di tentare di superare gli ostacoli organizzativi posti da una norma certamente frettolosa ed oscura nei contenuti. Tuttavia, si presta ad una obiezione: l'articolo 6, comma 12, della legge 122/2010 ha disapplicato non solo le leggi poste a disciplinare l'indennità chilometrica, ma anche tutte le norme contrattuali in materia.
Insomma, in assenza di una lettura ufficiale governativa o, meglio, di una correzione o abolizione della disposizione, è doveroso evidenziare la sua portata erga omnes, in quanto essa ha del tutto privato le amministrazioni del titolo giuridico per poter erogare il rimborso.
A questo punto potrebbero aprirsi spazi per una regolamentazione autonoma degli enti, alla luce del combinato disposto degli articoli 9 della legge 417/1978 e dell'articolo 12 della legge 836/1973, per effetto del quale l'impiego delle vetture private è certamente ammissibile e meritevole di un ovvio rimborso.
L'autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali, in particolare, può consentire loro di emanare norme regolamentari che definiscano in modo chiaro condizioni e presupposti per erogare l'indennità, definendone anche l'importo ovviamente in misura non superiore a quella della norma disapplicata (articolo ItaliaOggi del 25.08.2010, pag. 23).

APPALTIIn Gazzetta la legge sulla normativa antimafia. Nuovi reati e stazione appaltante unica in regione. Appalti, flussi finanziari pedinabili. Conti dedicati obbligatori e tracciabilità di compensi e incentivi.
I flussi finanziari di chi partecipa alle gare di appalto e quelli di chi beneficia di finanziamenti pubblici devono essere pedinabili. Cioè tracciabili, attraverso conti correnti dedicati. In caso contrario le sanzioni che scatteranno potranno andare dal 2 al 10% del valore della transazione.
Viene, inoltre, introdotto il meccanismo della stazione unica appaltante a livello regionale, cambiano al rialzo le pene relative al reato di turbativa d'asta (reclusione da sei mesi a cinque anni) e arriva una nuova fattispecie di reato, in relazione alla turbativa del procedimento di scelta del contraente.

È quanto prevede la nuova legge n. 136 del 13.08.2010, recante il «piano straordinario contro le mafie, nonché la delega al governo in materia di normativa antimafia»; legge approvata a inizio agosto (si veda ItaliaOggi del 6/6/2010) e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 197 del 23/08/2010.
La normativa dispone maggiori controlli sul cantiere e, come detto, reca deleghe al governo per riformare la normativa e la documentazione antimafia. In particolare, prevede che l'esecutivo emani due provvedimenti: un decreto legislativo recante il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione e un decreto di riordino della documentazione antimafia.
Il ministro dell'interno, Roberto Maroni, considera il Piano un passo in avanti verso la sconfitta definitiva delle mafie. «Sono convinto», ha detto in proposito, «che lo straordinario programma-progetto di sconfiggere la criminalità organizzata entro i prossimi tre anni, possa essere raggiunto. Questo provvedimento», ha chiosato, «si aggiunge a quelli approvati negli ultimi due anni, che hanno portato a risultati straordinari» sul piano del contrasto alle mafie.
Numeri, che a inizio agosto il governo quantificava in 26 dei 30 latitanti più pericolosi catturati e nel sequestro e confisca di beni per oltre 13 miliardi di euro. Del resto, la legge, nota come «Piano antimafie» detta importanti norme di immediata applicazione; quella sulla tracciabilità dei flussi finanziari è solo una, anche se tra le più efficaci. In particolare, mettendo a regime quanto già previsto per l'Abruzzo e l'Expo 2015, la legge stabilisce che gli operatori economici coinvolti in appalti pubblici e i soggetti destinatari di finanziamenti pubblici utilizzino obbligatoriamente conti correnti bancari o postali dedicati.
L'obbligo di prevedere la tracciabilità è legato alla firma del contratto di appalto, che privo di questa clausola è nullo. La tracciabilità colpisce tutti gli operatori in cantiere, siano essi fornitori, subappaltatori, dipendenti e consulenti. In sostanza, tutti coloro che vengono pagati con bonifico bancario e postale.
Non solo. La norma si applica anche ai «concessionari di finanziamenti pubblici anche europei, a qualsiasi titolo interessati a lavori, servizi e forniture pubblici». I conti dedicati potranno essere accesi esclusivamente presso le banche o presso la società Poste italiane spa e tutti i movimenti dovranno essere effettuati solo tramite bonifico bancario o postale. Restano esclusi dalla stretta i pagamenti in favore di enti previdenziali, assicurativi e istituzionali, quelli di fornitori e gestori di pubblici servizi, nonché i pagamenti riguardanti tributi.
Per questi adempimenti si potrà pagare con altre modalità, oltre al bonifico. Se, poi, verranno violate le norme sulla tracciabilità, potranno essere irrogate sanzioni che andranno da un minimo del 2 a un massimo del 10% del valore della transazione. Per quel che concerne, invece, il controllo degli automezzi adibiti al trasporto dei materiali, si prevede che la bolla di consegna del materiale impiegato nei cantieri indichi il numero di targa e il nominativo del proprietario degli automezzi adibiti al trasporto del materiale medesimo.
Sono inoltre previste disposizioni volte ad agevolare l'identificazione degli addetti nei cantieri, integrando il contenuto delle tessere di riconoscimento di cui al dlgs 09/04/2008, n. 81. La legge introduce anche norme tese ad ampliare la platea dei soggetti sottoposti alle verifiche e tenuti all'obbligo di comunicare le variazioni nell'entità e nella composizione del patrimonio. Le verifiche potranno riguardare sia la posizione fiscale sia la posizione economica e patrimoniale del soggetto. E avranno l'obiettivo di accertare illeciti valutari, societari o di altro tipo, in materia economica e finanziaria.
E' stato quindi inasprito il regime sanzionatorio per il reato di «turbata libertà degli incanti». Così, attraverso una novella all'art. 353, primo comma, del codice penale: si introduce il minimo edittale di sei mesi di reclusione (il massimo passa invece da due a cinque anni). Viene poi introdotto il reato di «turbata libertà del procedimento di scelta del contraente», che ricorre nella condotta di chi, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della amministrazione.
Il reato viene punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e la multa da euro 130 a 1.032 euro. Si prevede infine l'istituzione, in ambito regionale, di una Stazione unica appaltante (Sua), ma potranno anche essere più d'una in ogni regione, al fine di garantire trasparenza, regolarità ed economicità nella gestione degli appalti pubblici di lavori e servizi e prevenire, in tal modo, le infiltrazioni di natura malavitosa.
Infine, con un decreto da emanare entro sei mesi, dovrà essere stabilito quali enti, organismi e società potranno aderire alla Sua, quali saranno le attività e i servizi svolti dalla Sua ai sensi dell'art. 33 del Codice dei contratti (la Sua sarà nella sostanza una centrale di committenza) e quale sarà il contenuto delle convenzioni che la Sua stipulerà con gli enti che intendono aderire (articolo ItaliaOggi del 24.08.2010, pag. 19 - link a www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

INCARICHI PROFESSIONALILimiti agli incarichi legali esterni. La mappatura delle cause pendenti deve essere svolta all'interno. La Corte dei conti ha condannato il presidente dell'Anas a risarcire 700 mila per danno erariale.
Le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di far fronte alle ordinarie competenze istituzionali con il migliore e il più produttivo impiego delle risorse umane e professionali di cui esse dispongono. È ammesso il ricorso a incarichi e consulenze professionali esterne soltanto in presenza di specifiche condizioni quali la straordinarietà e l'eccezionalità delle esigenze da soddisfare, la carenza di strutture e di personale idoneo, il carattere limitato nel tempo e l'oggetto circoscritto dell'incarico o della consulenza.
Questo importante principio è stato confermato, ancora una volta, dalla Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. della regione Lazio, con la sentenza 03.08.2010 n. 1598.
Nel caso in esame il presidente dell'Anas era stato convenuto in giudizio per rispondere del danno erariale derivato all'ente per effetto dell'illecito conferimento di incarichi professionali.
Più precisamente la controversia concerne due contratti stipulati e aventi entrambi per oggetto «l'incarico di provvedere alla ricognizione e mappatura, intesa come analisi delle cause, valutazione e determinazione e classificazione dei rischi collegati, del contenzioso pendente presso il medesimo ente (circa 11.800 controversie)».
I due contratti, sostanzialmente uguali per le condizioni, gli importi e il numero di controversie da monitorare, prevedevano l'esame delle pratiche e i corrispettivi previsti erano determinati con l'indicazione di un importo forfettario per ciascuna pratica di monitoraggio, variabile da euro 2.390,00 +Iva ed euro 4.185,00 +Iva in relazione alle tipologie di contenzioso.
Il procuratore regionale aveva ritenuto comprovato un grave danno patrimoniale per l'erario consistente nel compenso pagato per le prestazioni oggetto dei contratti che potevano essere svolte da personale assegnato all' ufficio legale dell'ente il cui numero di dipendenti era comunque sufficiente per affidare la gestione dell'analisi del contenzioso.
Il presidente convenuto aveva, invece, evidenziato che la stipula dei due contratti era stata determinata dalla necessità di sopperire temporaneamente alla grave carenza di personale e all'esistenza di notevoli difficoltà, in termini di gestione ed organizzazione, dovute all'esigenza di una ristrutturazione dell'ente.
La Corte dei conti ha condannato il presidente dell'Anas a pagare a favore dell'ente la somma di euro 700 mila.
Secondo i giudici contabili, infatti, è indubbia la responsabilità amministrativa del presidente dell'Anas per aver conferito a soggetti esterni, secondo un criterio «avulso da qualsiasi previa ricognizione della effettiva insufficienza di risorse professionali interne», l'incarico di provvedere alla ricognizione e mappatura di tutto il contenzioso pendente.
È imputabile, poi, un comportamento improntato a «colpa grave» dal momento che ha agito in mancanza di un'idonea e preventiva valutazione circa la sussistenza dei presupposti necessari per il legittimo conferimento degli incarichi esterni, e per il conseguente pagamento della prestazione professionale. Questo comportamento non può che ritenersi ingiustificabile, approssimativo e in aperto contrasto con il principio di economicità nella spesa e, quindi, in aperto contrasto con il principio di buon andamento della p.a., ex art. 97 Cost.
Con la decisione in oggetto il collegio ha anche precisato che, in casi particolari e contingenti, può essere ammessa la legittimazione della p.a. ad affidare determinate attività all'opera di estranei dotati di provata capacita professionale e specifica conoscenza tecnica della materia di cui vengono chiamati ad occuparsi. È però necessario che si verifichino:
a) la straordinarietà e l'eccezionalità delle esigenze da soddisfare;
b) la mancanza di strutture e di apparati preordinati al loro soddisfacimento, ovvero, pur in presenza di detta organizzazione, la carenza, in relazione all'eccezionalità delle finalità, del personale addetto, sia sotto l'aspetto qualitativo che quantitativo.
Sebbene nell'ordinamento non sussista un generale divieto per la p.a. di ricorrere a esternalizzazioni per l'assolvimento di determinati compiti , tuttavia, il ricorso a incarichi esterni non può essere attuato violando tali condizioni e limiti (articolo ItaliaOggi del 02.09.2010, pag. 34 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere di urbanizzazione a scomputo: il ribasso d'asta va a vantaggio del privato, se non scende sotto i valori tabellari degli oneri dovuti.
Il sindaco del comune di Legnaro ha chiesto un parere alla Corte dei Conti del Veneto, ai sensi dell’art. 7, comma 8, della Legge 05.06.2003, n. 131, con un quesito che prende le mosse da quanto affermato da questa Sezione del controllo con la deliberazione n. 148/2009/PAR in data 30.07. 2009.
Il Comune chiedeva se spettino al comune i ribassi d’asta eventualmente conseguiti in sede di gara rispetto al corrispettivo astrattamente ed aprioristicamente posto a base d’asta, per quanto riguarda lo scomputo degli oneri di urbanizzazione relativi ad opere previste nelle convenzioni urbanistiche.
Con la deliberazione n. 94/2010/PAR la Corte veneta ha risposto che: "Ritiene quindi la Sezione che di fronte ad una operazione di più ampio respiro, nella quale l’onere assunto dal privato per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria superi (e non risulti quindi con essi in posizione di corrispettività) gli oneri di urbanizzazione, occorre procedere ad una valutazione globale della fattispecie, di modo che l’eventuale ribasso d’asta potrà competere al privato (in applicazione, anche in tal caso, ma in senso inverso, del criterio del “giusto prezzo”) purché, come suggerito dallo stesso Comune richiedente, in casi limite, il ribasso d’asta non scenda sotto i valori tabellari degli oneri dovuti. Al di fuori di quest’ultima ipotesi, infatti, il Comune sarebbe comunque garantito che il valore delle opere da realizzare superi comunque –a prescindere dalla spettanza del ribasso d’asta– quanto il privato avrebbe dovuto versare quali oneri di urbanizzazione primaria..." (commento tratto da http://venetoius.myblog.it - Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Veneto, parere 28.07.2010 n. 94/2010).

CONSIGLIERI COMUNALIIndennità piena al sindaco-pensionato.
Il dimezzamento dell'indennità di carica per gli amministratori locali, previsto dall'articolo 82 del Tuel opera solo se questi, non scegliendo di collocarsi in aspettativa, siano titolari di un rapporto di lavoro dipendente. Nessun taglio, infatti, è previsto per gli amministratori che durante il loro mandato siano titolari di un trattamento pensionistico.

A sgombrare i dubbi sul trattamento economico previsto per sindaci e assessori degli enti locali ci ha pensato la sezione regionale di controllo della Corte dei Conti campana che con il parere 22.07.2010 n. 106/2010 reso al comune di Rocca d'Evandro (Ce), ha chiarito la portata di quanto contenuto nel testo dell'articolo 82 del dlgs n-267/2000.
Nei fatti oggetto del parere, il comune casertano richiedeva l'intervento della Corte in merito alla spettanza in misura intera dell'indennità prevista dalla citata disposizione nei confronti dell'ex sindaco che già all'inizio del proprio mandato consiliare aveva dichiarato di essere titolare di un trattamento pensionistico di anzianità.
La norma, infatti, prevede che ai componenti degli organi esecutivi dei comuni, qualora prestino attività di lavoro dipendente e non abbiano chiesto l'aspettativa al proprio datore di lavoro, la misura delle indennità previste dalla legge sia concessa al 50%. Una finalità, quella prevista dal legislatore, che è quella di consentire all'amministratore titolare di pubbliche funzioni che presti contemporaneamente servizio quale lavoratore dipendente, di esercitare liberamente la scelta tra il dedicarsi a tempo pieno al mandato elettorale e il proseguire nella duplice attività (quella di amministratore e lavoratore). In tale ultimo caso, rileva la Corte, l'amministratore deve giustamente sopportare l'onere relativo alla riduzione del 50% dell'indennità di funzione connessa alla carica pubblica rivestita.
Questo complesso normativo, pertanto, non può essere interpretato estensivamente, sino a ricomprendere tra i destinatari della previsione di riduzione, anche chi sia titolare di un trattamento pensionistico. A condizione che non svolgano contemporaneamente alle funzioni elettive anche altra attività lavorativa dipendente in regime di cumulo con la pensione (articolo ItaliaOggi del 28.08.2010, pag. 24 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il Dirigente o Responsabile a tempo determinato non può ricevere compensi extra per incarichi professionali dallo stesso ente.
La norma generale in tema di incarichi conferiti dalle pubbliche amministrazioni a soggetti esterni è contenuta nell’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, ai sensi del quale: “per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”.
A sua volta, l’art. 110, comma 6, del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 (in linea di continuità con il previgente art. 51, comma 7, della legge n. 142/1990), prevede che “per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento [sull’ordinamento degli uffici e dei servizi] può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità”.
Come è noto, poiché il conferimento di incarichi professionali da parte delle pubbliche amministrazioni costituisce una problematica ricorrente, la giurisprudenza di questa Corte ha delineato un orientamento che può dirsi oramai consolidato.
Tenuto conto delle sempre più pressanti esigenze di contenimento della spesa pubblica, specie di quella corrente, un punto fermo è costituito dal carattere straordinario del ricorso ad apporti esterni: la pubblica amministrazione, di norma, è tenuta a perseguire i fini istituzionali utilizzando il proprio personale, talché l’incarico esterno è consentito solo qualora non sia ragionevolmente possibile provvedere con personale interno, o perché l’attività che deve essere svolta richiede un apporto professionale particolarmente elevato sotto il profilo tecnico-scientifico, oppure perché sussista una oggettiva, oltre che transitoria e contingente, impossibilità del personale in organico a provvedervi. Con il che un protrarsi nel tempo di un incarico esterno di consulenza, non può che confliggere con il principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, poiché, diversamente, assumerebbe i caratteri propri di un rapporto lavorativo “parallelo” a quello dei dipendenti di ruolo, modello non in sintonia con il delineato quadro ordinamentale.
In materia di consulenze, i criteri da rispettare per considerare legittima la scelta sono:
1) l’effettiva rispondenza degli incarichi agli obiettivi dell’amministrazione conferente;
2) la specificità e temporaneità dell’incarico;
3) l’impossibilità di procurarsi le utilità all’interno della propria organizzazione;
4) l’esistenza di un’adeguata motivazione delle scelte;
5) la proporzione fra compensi ed utilità conseguite (Corte conti, sez. III appello, 277 del 2002; Sez. riunite in sede di controllo n. 46/CONTR/05; Sez. regionale di controllo per la Campania n. 28/2008; Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, determinazione n. 21/2000).
Per la risoluzione del caso in esame, particolare rilevanza assume proprio il citato punto 3 e cioè l’impossibilità, per l’amministrazione pubblica, di procurarsi le utilità all’interno della propria organizzazione, condizione che lo stesso art. 10, comma 1, ultimo periodo, del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi comunali 15.07.1998, n. 160 espressamente evidenziava, laddove in esso si afferma che “presupposto per l’effettiva applicazione di tale facoltà è l’assenza di analoghe professionalità all’interno dell’ente”. Ne discende che contrasta, all’evidenza, con la vigente normativa e con i principi di razionale organizzazione di una pubblica amministrazione, che deve essere informata ai canoni dell’economicità e della buona gestione del pubblico denaro, incaricare un intraneus per lo svolgimento di un incarico esterno.
In effetti, l’omessa adeguata predeterminazione delle sfere di competenza degli uffici e le connesse responsabilità proprie dei funzionari, comporta la violazione dei più elementari principi organizzativi ai quali le amministrazioni pubbliche sono chiamate a conformare i rispettivi ordinamenti per assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione (Corte cost. n. 14/1962) e dunque per raggiungere una razionale, predeterminata e stabile distribuzione di compiti, per un esercizio dell’azione amministrativa ispirata ai canoni dell’efficacia, efficienza ed economicità.
Sicché confligge con i predetti criteri di razionalità ed economicità, corollari del principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), perimetrare in modo angusto, sì da frazionare in modo irrazionale le competenze degli uffici di un’amministrazione pubblica, nella specie di un Comune, con la riserva, via via, di introdurre ulteriori ambiti competenziali, comunque logicamente inerenti all’attività di istituzionale dell’ente, asseritamente conferibili attraverso la stipula di contratti ad hoc a tempo determinato (art. 110, commi 1, 2 e 3, cit.) allo stesso titolare dell’ufficio, da remunerare con apposite indennità ad personam; tale prassi, che fa leva su un mal concepito ius variandi dell’amministrazione, determina una violazione dei sopra ricordati principi del buon andamento della pubblica amministrazione e dell’onnicomprensività della remunerazione. Altrettanto vale per le ipotesi di attribuzione di incarichi di collaborazione esterna dietro pagamento di compensi stabiliti sulla base di tariffe professionali (art. 110, comma 6, cit.) aventi ad oggetto attività che ben potrebbero essere fronteggiate con le professionalità del personale già in servizio presso l’Amministrazione.
E’ evidente che in questi casi, in astratto, qualora sussista danno erariale, non possono ritenersi immuni da responsabilità amministrativa i titolari di quegli organi dell’amministrazione pubblica che, configurando in modo irrazionale, oltre che irragionevole, l’organizzazione (nella specie) di un Comune (o comunque di una pubblica amministrazione), sotto il profilo causale, cagionano o concorrono a cagionare la produzione di un danno.
Come sopra evidenziato, i caratteri dell’incarico dirigenziale ex art. 110, commi 1 e 2, TUEL sono omogenei rispetto a quelli conferiti ai dirigenti di “ruolo”; sicché i primi, come i secondi, sono a pieno titolo “intranei” all’amministrazione comunale, con la conseguenza che anche per essi vale il principio della onnicomprensività e per l’amministrazione il divieto di attribuire incarichi esterni a soggetti interni alla medesima amministrazione in possesso delle professionalità richieste.
Da ciò discende che la retribuzione da corrispondere al Mazzucca per la progettazione e direzione dei lavori della riqualificazione del centro storico di Bomporto affidategli con deliberazione della Giunta comunale n. 7 del 2004 (progettazione definitiva ed esecutiva) non poteva essere remunerata a tariffa professionale bensì in base all’art. 18 “Incentivi e spese per la progettazione” della legge 11.02.1994, n. 109 (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Emilia Romagna, sentenza 07.07.2010 n. 1222 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALIParcelle, meglio pagarle subito. Gli oneri per i ritardi gravano sul sindaco e sul segretario. Per la prima volta la Corte dei conti esonera da responsabilità l'ufficio tecnico del comune.
Il sindaco e il segretario comunale che gestiscono per conto dell'ente la richiesta di un libero professionista di pagamento della parcella sono direttamente e personalmente responsabili dei maggiori oneri che si siano determinati a seguito dei ritardi nella liquidazione della stessa e quindi sono chiamati a sostenere direttamente tali oneri aggiuntivi.
Il responsabile dell'ufficio tecnico, anche se formalmente responsabile, deve essere ritenuto esente nel caso in cui non abbia svolto alcun ruolo concreto nella vicenda. In un piccolo comune il sindaco svolge un ruolo preponderante rispetto agli uffici e ai suoi responsabili e il segretario ha un dovere di carattere generale di garantire il rispetto delle prescrizioni legislative.

Possono essere così riassunti i più importanti principi fissati dalla sentenza 30.06.2010 n. 268 della II Sez. centrale di appello della Corte dei Conti.
Siamo in presenza di una sentenza che, per alcuni aspetti, conferma la interpretazione per cui le condotte che determinano un danno in termini di aumento della spesa posta a carico dell'ente sono da ritenere colpevoli, salvo che si dimostri che si era rimasti comunque nell'ambito del tentativo non coronato da successo di contenere tali oneri.
L'aspetto innovativo della sentenza è invece quello di avere fatto prevalere, nella individuazione dei soggetti responsabili, il dato sostanziale, cioè coloro che hanno realmente gestito una vicenda, sul dato formale, colui che aveva tale compito sulla carta. Logica che ha anche ispirato i giudici contabili nella individuazione della misura della sanzione, posta per il 70% in capo al sindaco e per il 30% in capo al segretario, cifra ovviamente riferita ai maggiori oneri sostenuti dall'ente rispetto alla richiesta.
Il caso concreto scaturisce dalla parcella presentata da un professionista per la liquidazione del proprio compenso, parcella che è stata inizialmente ritenuta superiore a quanto pattuito e che, successivamente alla sua riconduzione entro gli ambiti di quanto previsto, è stata liquidata solo dopo un decreto ingiuntivo e, quindi, aumentata dagli interessi e dalle spese.
La difesa aveva invece sostenuto che la condotta del sindaco e del segretario era immune da responsabilità in quanto non hanno opposto ricorso al decreto ingiuntivo, quindi non hanno aumentato le spese a carico dell'ente. E che comunque la responsabilità andava posta in capo al responsabile dell'ufficio tecnico, in quanto soggetto competente a determinare la liquidazione del compenso stesso.
L'elemento del ruolo marginale svolto dal responsabile dell'ufficio tecnico risulta dalle dichiarazioni rese dal sindaco e dal segretario, nonché dalla documentazione esaminata dai giudici contabili, nonché dalla constatazione della sua cessazione dall'incarico prima della emanazione del decreto ingiuntivo. Il combinato disposto di tali elementi determina, e questo è un punto su cui la sentenza ha una valenza per molti aspetti innovativa, una attenuazione «della compartecipazione del tecnico comunale nella causazione dell'evento dannoso fino a renderla insignificante sotto il profilo soggettivo della colpa grave».
Viene dalla sentenza affermato che dal momento in cui il decreto ingiuntivo è stato notificato all'ente e non vi sono state opposizioni, in capo all'amministrazione era posto esclusivamente l'obbligo di provvedere in questo senso. Non è stata da parte dei giudici giudicata come meritevole di accoglimento la tesi per cui gli interessati si erano mossi per cercare di ottenere una qualche forma di riduzione degli oneri posti a carico dell'ente, mentre non si sono opposti per non aumentare gli stessi: «proprio la piena consapevolezza da parte degli appellanti circa l'insussistenza di un qualsiasi motivo giuridico per proporre validamente opposizione al decreto ingiuntivo, alla quale sarebbe seguita la sicura soccombenza, connota ancora di più in termini di colpa grave il loro comportamento omissivo e contrario alle regole di buona amministrazione».
Gli oneri devono essere posti soprattutto a carico del sindaco sia per il suo ruolo di vertice dell'amministrazione, sia perché nel caso specifico è stato che «risulta avere più frequentemente tenuto i contatti con l'ingegnere, inserendosi in prima persona nella gestione della vicenda», quindi per il comportamento effettivamente seguito. Mentre il segretario si è limitato a smistare le richieste all'ufficio non assumendo il necessario ruolo di dare corso alle stesse e, di conseguenza, altro elemento assai innovativo della sentenza, per non avere “dato concreta attuazione alle doverose misure tecnico-legali atte ad evitare il danno erariale".
Da sottolineare infine che la responsabilità è stata nel caso specifico conteggiata in misura assai ampia, avendo ad oggetto tutte le maggiori spese sostenute dall'ente, quindi gli oneri «della procedura esecutiva, conseguenti e consequenziali, con gli interessi legali successivi e le spese per l'esecuzione, per bolli e per l'atto di precetto» (articolo ItaliaOggi del 03.09.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

ATTI AMMINISTRATIVIRisarcibile l'imprenditore leso nella sua immagine dall'amministrazione. Tar Lazio L'imprenditore leso nell'immagine va risarcito dalla Pa.
Il TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, con la sentenza 30.08.2010 n. 31996 ha riconosciuto il danno esistenziale causato da un provvedimento amministrativo illegittimo.
Il danno non patrimoniale legato alla lesione dell'immagine imprenditoriale in seguito a un provvedimento illegittimo adottato dall'amministrazione è risarcibile anche in via equitativa.
Nel caso concreto, l'Agea, agenzia statale per le erogazioni pubbliche nel settore agricolo, in seguito a un'informativa prefettizia antimafia, aveva disposto un provvedimento di interdizione dall'ottenimento di erogazioni pubbliche, contratti, autorizzazioni e in generale benefici. In realtà l'informativa faceva riferimento a «taluni consiglieri» di una società cooperativa, di cui il ricorrente era socio, in quanto «legati da vincoli di parentela con persone sottoposte a misure di prevenzione».
Il ricorrente ha impugnato il provvedimento interdittivo. Ne ha, infatti, dedotto l'illegittimità per i seguenti motivi ai censura: violazione e falsa applicazione degli articoli 2,6 e io del Dpr 252/1998; eccesso di potere per travisamento dei fatti; illegittimità sotto altro profilo; difetto di legittimazione a procedere e carenza di interesse pubblico.
Peraltro, la stessa amministrazione aveva disposto la sospensione dell'esecutività del provvedimento, poi revocato in autotutela. Nonostante la revoca, tuttavia, i legali del ricorrente hanno rilevato la sussistenza di un danno sia economico, sia non economico, in termini di danno esistenziale.
In particolare, quanto al danno non patrimoniale, la difesa del ricorrente si è incentrata sull'immagine imprenditoriale dello stesso nonché sul suo onore e decoro e sulla sua reputazione personale, diritti inviolabili della persona che troverebbero la propria matrice costituzionale negli articoli 2 e 3 della Costituzione, e sul conseguente perturbamento psicologico per le ripercussioni negative sul proprio stile di vita, tra le quali, in particolare, l'abbandono della carica di consigliere del Cda della cooperativa nonché il trasferimento del proprio domicilio e della propria residenza in altro comune.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha rilevato come non possa essere revocabile l'influenza negativa che il provvedimento ha avuto sul piano dell'immagine imprenditoriale, anche se l'arco temporale di riferimento per valutare i danni è stato limitato (inferiore ai tre mesi).
Il Consiglio di Stato, inoltre, nella sentenza 5266/2009, aveva stabilito che è risarcibile anche invia equitativa l'ingiusta lesione di interessi inerenti alla persona, con riferimento ai diritti inviolabili, di cui all'articolo 2 della Costituzione. Inoltre, in giurisprudenza è stato evidenziato «l'onere del danneggiato di specificare gli elementi di fatto dai quali assumere l'esistenza e l'entità del danno» (Cassazione, sezioni unite, n. 26972/2008) (articolo Il Sole 24 Ore del 02.09.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il TAR Milano espelle i cavalli dalle zone urbanistiche B.
Afferma il TAR che in una zona classificata dal vigente PRG come B1 (di consolidamento in zone residenziali) è incompatibile dal punto di vista urbanistico sia l’esercizio dell’attività di equitazione e l’allevamento di cavalli all’interno della Cascina Grande sia il mantenimento dei cavalli da parte dei soci all’interno della parte di ricovero in Cascina Corte Grande, con la conseguenza che è legittima l'ordinanza del comune che vieta sia l'uno sia gli altri (esercizio dell'attività, allevamento e mantenimento) (commento tratto da http://venetoius.myblog.it - TAR Lombardia-Milano, ordinanza 27.08.2010 n. 908 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOP.a., attenuante per i fannulloni. Cassazione: timbrare e uscire è truffa lieve.
Ha diritto all'attenuante del valore lieve il dipendente pubblico condannato per truffa per aver timbrato e poi essere uscito solo per qualche ora.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con la sentenza 24.08.2010 n. 32290, ha accolto (solo sul fronte attenuante) il secondo motivo del ricorso di un dipendente comunale condannato per truffa perché usciva, dopo aver timbrato, durante l'orario di lavoro.
I giudici di piazza Cavour, confermando la condanna per truffa, hanno riconosciuto all'uomo il diritto a uno sconto di pena, date le assenze limitate a poche ore e accertate solo in tre occasioni. In particolare secondo la Cassazione «la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente a indurre in errore l'amministrazione di appartenenza circa la presenza sul luogo di lavoro, ed è dunque suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata, ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare, come nel caso concreto, economicamente apprezzabili».
Va tuttavia riconosciuta l'«attenuante del valore lieve» al dipendente qualora le assenze siano limitate a poche ore. La linea dura della Cassazione sui cosiddetti fannulloni si è fatta sentire spesso in questi ultimi due anni. Infatti la sentenza depositata ieri suona un po' come una voce fuori dal coro nel senso che diminuisce la pena da scontare perché in caso di assenza illegittima del lavoratore soltanto sporadica.
In altre occasioni, invece, gli Ermellini si sono limitati a confermare la condanna per truffa della Corte d'appello nella misura stabilita dai giudici di merito. Soltanto l'anno scorso è stata depositata una sentenza dalla seconda sezione penale del Palazzaccio con la quale è stato usato il pugno di ferro contro gli assenteisti. Infatti in quell'occasione (sentenza n. 41471) i giudici affermarono che «rischia il carcere per truffa aggravata consumata e una multa il dipendente pubblico che si fa timbrare il cartellino da un collega per andarsene allo stadio. Ciò perché la sua assenza dal lavoro costituisce un ingiusto danno patrimoniale per l'ente pubblico (in questo caso un comune) di cui è dipendente» (articolo ItaliaOggi del 25.08.2010, pag. 24 - link a www.corteconti.it).

APPALTIDurc irregolare, scarto irrilevante. Il Consiglio di stato non ammette eccezioni.
L'irregolarità del Durc non ammette eccezioni. Se un'impresa presenta una certificazione negativa ciò basta ad escluderla dall'appalto, a nulla rilevando l'entità delle irregolarità, né essendoci obbligo per il committente (la stazione appaltante) di svolgere un'istruttoria onde verificarne la gravità.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. V, aderendo all'indirizzo giurisprudenziale prevalente in materia, nella sentenza 24.08.2010 n. 5936.
La sentenza del Tar. La decisione ha annullato una sentenza del Tar Campania che, dando ragione ad un'impresa esclusa da un appalto del comune di Salerno, ha ritenuto fondata la tesi che, a fronte di un Durc incompleto in quanto privo di qualsiasi specificazione in ordine all'importo dei contributi non pagati (da cui la certificazione di irregolarità contributiva dell'impresa esclusa dall'appalto), la stazione appaltante (il committente) non poteva decidere l'esclusione dalla gara appunto perché, sulla base del Durc, non era possibile rendersi conto né della gravità dell'infrazione né della sicura esistenza della stessa.
La legge è legge. La sentenza del Tar, spiega il Consiglio di stato, ha trascurato che l'omissione di cui è accusato il Durc (entità/gravità delle infrazioni), non può di per sé determinare l'assoluta invalidità giuridica e quindi l'assoluta inutilizzabilità del documento stesso. Infatti, quanto basta per la appurare la regolarità contributiva è solo ed esclusivamente il Durc, che opera una verifica a una data ben precisa.
È vero, aggiunge il Cds, che la stazione appaltante non si è preoccupata di comprendere l'entità dell'irregolarità; come è pur vero che alcune sentenze hanno ritenuto non sufficiente il Durc ai fini dell'attestazione di non regolarità contributiva.
Tuttavia, l'orientamento giurisprudenziale prevalente in materia porta a escludere che le stazioni appaltanti debbano, in casi del genere, svolgere un'apposita istruttoria per verificare l'effettiva entità e gravità delle irregolarità contributive. Più ragionevole semmai, spiega il cds, sarebbe stato che l'impresa interessata si fosse preoccupata di verificare le risultanze del Durc e quindi di far presente al committente eventuali rettifiche prima della decisione dell'esclusione dalla gara. In definitiva, in adesione all'orientamento giurisprudenziale prevalente, il consiglio di stato riforma la sentenza del Tar Campania (articolo ItaliaOggi del 28.08.2010, pag. 26).

PUBBLICO IMPIEGOTar Calabria: Progressioni verticali possibili soltanto per bandi pre-riforma.
Le progressioni verticali vecchia maniera' non sono pi attuabili dal 15.11.2009, ma è possibile concludere solo quelle previste in bandi pubblicati prima dell'entrata in vigore del decreto 150/2009.
Sono queste le conclusioni del TAR Calabria-Reggio Calabria con la sentenza 23.08.2010 n. 914.
Dopo diverse interpretazioni della Corte dei conti, dell'Anci e della Funzione pubblica, arriva il primo provvedimento giurisdizionale sulle progressioni interne che chiarisce la portata delle novità della riforma Brunetta .
il decreto legislativo ha previsto notevoli modifiche al Dlgs 165/2001 introducendo le progressioni di carriera possibili solo attuando una riserva non superiore al 50% all'interno di un concorso. Inoltre, i dipendenti devono possedere il titolo di studio richiesto per l'accesso dall'esterno.
All'articolo 24 il legislatore aveva per indicato il l'gennaio 2010 come termine per poter utilizzarlo. Regioni ed autonomie locali avranno, tuttavia, tempo di adeguarsi sino al 31dicembre.
Per gli enti che applicano il decreto 267/2000 vi è poi una questione aggiuntiva, cioè la sopravvivenza dell'articolo 91 del medesimo Tuel secondo cui le amministrazioni che «non versino nelle situazioni strutturalmente deficitarie possono prevedere concorsi interamente riservati al personale dipendente, in relazione a particolari profili o figure professionali caratterizzati da una professionalità acquisita esclusivamente all'interno dell'ente». Norma mai abrogata o disapplicata.
Nell'incertezza interpretativa diversi enti si sono lanciati in azioni da foto finish, come quella, molto diffusa, di adottare a fine anno scorso delle delibere di modifica della programmazione triennale del fabbisogno di personale o di avvio delle procedure della progressione.
Ma tutto ciò , secondo il Tar Calabria, è inutile. Tra passato e futuro delle progressioni verticali la scure è scesa definitivamente il 15.11.2009, con l'entrata in vigore della riforma Brunetta. I giudici, peraltro, non vedono contraddizione tra l'articolo 52 del Tuel e l'articolo 24 del decreto legislativo 150/2009, il quale ha la finalità di valorizzare e premiare le risorse interne dotate di capacità e preparazione.
Sulla questione della specialità (articolo 91 del Tuel) la sentenza ritiene che la norma si debba considerare tacitamente abrogata per incompatibilità con l'articolo 5 del decreto 165/2001 e, soprattutto, per incompatibilità con l'articolo 52, comma 1-bis della legge 150/2009 che, per la carriera dei dipendenti, afferma la regola del concorso pubblico, con eventuale previsione di riserva massima del 50% agli interni.
Ci che attesta, quindi, la correttezza delle progressioni verticali ante riforma è la pubblicazione del bando. Nel caso in esame la pubblicazione era avvenuta il 30 dicembre scorso e quindi fuori tempo massimo. Il Tar conclude, infine, precisando (in antitesi con l'Anci) che il piano occupazionale, anche se approvato prima dell'entrata in vigore della legge, costituisce comunque un atto generale di pianificazione, suscettibile di divieti o limiti (articolo Il Sole 24 Ore del 02.09.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOÈ illegittimo bandire un concorso pubblico prima di avere espletato la procedura di mobilità del personale.
L’articolo 30 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, dopo aver fissato al primo comma il principio della mobilità volontaria a domanda (“1. Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Le amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire”), al successivo comma 2-bis, introdotto dall’articolo 5, del decreto legislativo 31.01.2005, n. 7, convertito con modificazioni dalla legge 31.03.2005, n. 43, stabilisce che “Le amministrazioni, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria, all'immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio. Il trasferimento è disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell'area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza”.
Il tenore letterale di tale previsione, di cui non è dubitabile in alcun modo l’applicazione anche agli enti locali (rientranti, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, nell’ambito delle disposizione del citato decreto legislativo 30.03.2001, n. 165), è del tutto univoco nell’imporre alle pubbliche amministrazioni che devono coprire eventuali posti vacanti del proprio organico di avviare le procedure di mobilità prima di procedere all’espletamento delle procedure concorsuali.
Tale obbligo ben si coordina con le strategie volte a contemperare il prevalente interesse pubblico alla razionalità dell’organizzazione pubblica e alla funzionalità dei suoi uffici, con le esigenze di riduzione della spesa pubblica e le aspirazioni dei pubblici dipendenti di poter espletare la propria attività in uffici quanto più possibili vicino alle proprie abitazioni.
Né può sostenersi che una simile previsione mortifichi e comprima irragionevolmente l’autonomia delle singole amministrazioni a bandire procedure concorsuali, atteso che non sussiste alcun divieto in tal senso: dando concreta attuazione al principio di buon andamento ed efficienza che deve connotare l’intera organizzazione amministrativa, all’accertamento della sussistenza di una vacanza di organico l’amministrazione è tenuta innanzitutto ad avviare la procedura di mobilità finalizzata ad accertare l’esistenza di pubblici dipendenti già in servizio, dotati della necessaria professionalità, che si trovino nella legittima condizione di poter ricoprire il posto vacante; l’esito infruttuoso di tale procedimento riespande le facoltà dell’amministrazione di indire la procedura concorsuale, ovviamente nel rispetto delle cogenti disposizioni finanziarie di contenimento della spesa pubblica.
In altri termini il reclutamento dei dipendenti pubblici avviene attraverso un procedimento complesso nell’ambito del quale la procedura concorsuale non è affatto soppressa, ma è subordinata alla previa obbligatoria attivazione della procedura di mobilità, in attuazione dei fondamentali principi di imparzialità e buon andamento, predicati dall’articolo 97 della Costituzione.
Non può pertanto neppure condividersi l’assunto delle amministrazioni appellanti, secondo cui la procedura di mobilità riguarderebbe solo l’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, in quanto, dalla corretta esegesi dalla disposizione in questione, si evince agevolmente che tale categoria di personale deve essere solo sistemata in ruolo con priorità rispetto agli altri dipendenti che hanno partecipato alla procedura di mobilità e non già che la procedura di mobilità sia esclusivamente riservata alla predetta categoria di dipendenti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.08.2010 n. 5830 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOMobbing, processo senza stop.
Il giudizio promosso dal lavoratore che chiede il risarcimento del danno da mobbing non dev'essere sospeso in attesa della fine della causa penale promossa dal datore di lavoro che contesta al dipendente degli illeciti.

È quanto sancito dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza 13.08.2010 n. 18668, ha accolto il ricorso di una dipendente comunale che aveva fatto causa all'ente locale per ottenere il risarcimento dei danni da mobbing.
Ma il Comune aveva ottenuto dal Tribunale di Mondovì la sospensione del giudizio civile in attesa della decisione definitiva su quello penale.
Contro questa decisione la donna ha fatto ricorso in Cassazione e ha vinto. La sezione lavoro ha stabilito che «in materia di rapporto fra giudizi civili e penali, fuori dei casi in cui i giudizi di danno possono proseguire davanti al giudice civile, il processo può essere sospeso se tra processo penale e altro giudizio ricorra il rapporto di pregiudizialità o se la sospensione sia prevista da altra specifica norma e sempre che la sentenza penale esplichi efficacia di giudicato nell'altro giudizio».
In altri termini, secondo la Cassazione «non è sufficiente che nei due processi rilevino gli stessi fatti, essendo necessario che una norma di diritto sostanziale colleghi un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile alla commissione del reato oggetto del giudizio penale)» (articolo ItaliaOggi del 24.08.2010, pag. 26).

EDILIZIA PRIVATAL’abbassamento della quota di calpestio interna al fabbricato e del conseguente aumento della volumetria non sembra, invero, trattarsi di una vicenda incompatibile con i principi giurisprudenziali, essendo stato chiarito che la “ristrutturazione” può anche comportare limitati incrementi di superficie e di volume non stravolgenti, specie quando si tratti di adeguare l’immobile a un nuovo uso consentito dal piano.
Per quanto riguarda il problema dell’abbassamento della quota di calpestio e del conseguente aumento della volumetria, non sembra invero trattarsi di una vicenda incompatibile con i principi giurisprudenziali, essendo stato chiarito che la “ristrutturazione” -ove ammessa (come nel caso di specie)- può anche comportare limitati incrementi di superficie e di volume non stravolgenti, specie quando si tratti di adeguare l’immobile a un nuovo uso consentito dal piano (Cons. St., IV, n. 5214/2007).
Nel caso specifico si tratta peraltro di interventi interni che non incidono per nulla sulla struttura e la sagoma dell’edificio (C.G.A.R.S., sentenza 12.08.2010 n. 1088 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO: Condominio: per modificare le tabelle millesimali basta la maggioranza.
Fino ad ora modificare le tabelle millesimali era un'operazione impossibile poiché, per una consolidata prassi, tale operazione richiedeva l'unanimità dell'assemblea condominiale.
È facile comprendere che la più banale delle modifiche alle tabelle millesimali finisce comunque per "penalizzare" almeno un condomino che, quindi, ha tutto l'interesse a votare contro.
Una sentenza della Cassazione a sezioni unite sconfessa questa tesi rivoluzionando l'orientamento precedente della stessa corte.
Con la sentenza 18477 del 09.08.2010 la Corte ha chiarito che per modificare le tabelle millesimali è sufficiente la maggioranza qualificata definita al comma 2 dell'art. 1136 del Codice Civile.
In altre parole, per modificare le tabelle millesimali è sufficiente una delibera assembleare approvata dalla maggioranza degli intervenuti in assemblea, che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio (500 millesimi) (Corte di Cassazione, Sezz. unite civili, sentenza 09.08.2010 n. 18477 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATAL'ordinanza di demolizione dell'opera abusivamente realizzata va obbligatoriamente notificata in via prioritaria e a pena di illegittimità al responsabile dell'abuso edilizio, mentre l'omessa notifica della stessa al proprietario dell'area, nella quale è stato commesso l'abuso edilizio, comporta soltanto la mancata acquisizione al patrimonio comunale dell'area stessa.
Per giurisprudenza costante “L'ordinanza di demolizione dell'opera abusivamente realizzata va obbligatoriamente notificata in via prioritaria e a pena di illegittimità al responsabile dell'abuso edilizio, mentre l'omessa notifica della stessa al proprietario dell'area, nella quale è stato commesso l'abuso edilizio, comporta soltanto la mancata acquisizione al patrimonio comunale dell'area stessa” (TAR Basilicata Potenza, sez. I, 17.11.2009, n. 765) e ciò in quanto l’acquisizione al patrimonio è una sanzione autonoma del tutto distinta dalla demolizione, anche se dipendente strettamente dalla sua inottemperanza (tra le tante TAR Puglia Lecce, sezione III, 03.02.2010, n. 423) (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 03.08.2010 n. 29688 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica; deve trattarsi di una opera preordinata ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato e dotata di un volume minimo, tale da non consentire, anche in relazione alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.
Per la Cassazione, “La nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica; deve trattarsi di una opera preordinata ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato e dotata di un volume minimo, tale da non consentire, anche in relazione alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede” (Cassazione penale, sezione III, 19.02.1998, n. 4134).
Nella fattispecie il patio di m. 3,50 x 25 è stato chiuso con struttura in alluminio e vetri ed è servito a realizzare un aumento di cubatura della parte già abusiva del ristorante e destinata ad ospitare altri tavoli, per come si evince dall’apparato fotografico offerto dal Comune.
Per giurisprudenza costante la chiusura del patio o di un portico determina una maggiore volumetria, con la conseguenza che non può essere assoggettato a semplice regime autorizzatorio, (Cassazione penale, sezione III, 17.03.2000, n. 8521), ma richiede il permesso a costruire (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 31.07.2010 n. 29497 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI lavori di demolizione e ricostruzione di un edificio fatiscente non rientrano nell'attività di straordinaria manutenzione, risanamento, restauro conservativo per la quale è sufficiente, ai sensi dell'art. 48 l. 05.08.1978 n. 457, la semplice autorizzazione del sindaco, bensì in quella di ristrutturazione, per la quale è necessaria la concessione edilizia.
La giurisprudenza ha affermato che i lavori di demolizione e ricostruzione di un edificio fatiscente non rientrano nell'attività di straordinaria manutenzione, risanamento, restauro conservativo per la quale è sufficiente, ai sensi dell'art. 48 l. 05.08.1978 n. 457, la semplice autorizzazione del sindaco, bensì in quella di ristrutturazione, per la quale è necessaria la concessione edilizia (TAR Campania Napoli, sez. VI, 20.05.2009, n. 2756) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 29.07.2010 n. 2015 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il principio del concorso pubblico non può essere derogato quando le mansioni proprie dei posti da coprire richiedono esperienze professionali suscettibili di essere acquisite anche presso strutture diverse da quelle appartenenti all’Amministrazione o Ente che bandisce il concorso.
Il Collegio non ignora (v. Sez. V, 18.12.2003 n. 8344) come fonti legislative primarie e secondarie, e gli stessi pronunciamenti del giudice delle leggi, ritengano senz’altro conforme all’interesse pubblico il fatto che precedenti esperienze non vadano perdute (Corte Cost., n. 141/1999); che non può escludersi in via preventiva che l’accesso ad un concorso pubblico possa essere condizionato al possesso di una precedente esperienza nell’amministrazione ove ragionevolmente configurabile quale requisito professionale (Corte cost., n. 373/2002), o ancora, che la ragionevolezza della deroga alla regola del pubblico concorso non può dirsi radicalmente esclusa nel caso che si tratti di concorso riservato interamente al personale con una determinata esperienza protratta nel tempo (Corte Cost., ord. n. 517 del 4.12.2002).
Occorre tuttavia tenere presente che, ancora secondo la Corte (sentenza 26.01.2004 n.34), la possibilità di deroga alla regola generale è ammessa “solo in presenza di peculiari situazioni giustificatrici, nell'esercizio di una discrezionalità che trova il suo limite nella necessità di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, primo comma, della Costituzione) ed il cui vaglio di costituzionalità non può che passare attraverso una valutazione di ragionevolezza della scelta operata dal legislatore.” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.07.2010 n. 4475 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: La qualifica apicale VII-led non è equivalente alla posizione D3 giuridica (ex VIII qualifica) e la laurea in lettere é equivalente agli altri titoli di studio ai fini del conseguimento delle qualifica di dirigente amministrativo ex art. 28 D. lgs. n. 165 2001.
Non è giuridicamente corretto sostenere che ai dipendenti degli enti locali a suo tempo inquadrati nella qualifica 7 led ai sensi del DPR n. 347/1983, ancorché titolari di posizioni apicali e di incarichi di responsabilità organizzativi, possa essere attribuito il diritto all’inquadramento nella posizione giuridica D3 secondo la tabella C allegata al C.C.N.L. 31.03.1999 sulle corrispondenze fra le qualifiche professionali possedute al momento dell'entrata in vigore del nuovo ordinamento professionale ed i livelli economici previsti all’interno della medesime ed unica categoria D.
Secondo la costante giurisprudenza, il livello economico differenziato, per i dipendenti nelle qualifiche comprese tra la prima e la settima del DPR n. 347/1983, si sostanzia in una maggiorazione retributiva conferita a dipendenti (in contingenti percentuali e previa selezione) senza determinare l'istituzione di nuove posizioni funzionali di lavoro, risolvendosi nell'attribuzione di un incremento stipendiale correlato non ad un mutamento di mansioni, ma al riconosciuto possesso, da parte di taluni dipendenti in comparazione con i pari grado, di una maggiore produttività ed impegno professionale (da ult. Cons. Stato, V, 13.06.2008, n. 2964; 29.11.2005, n. 6732; Cass. sez. lav., 23.01.2008, n. 1441; TAR Campania Napoli, sez. V, 14.10.2009, n. 5556).
Per vero, il livello economico differenziato non era previsto nella formulazione del DPR n. 347/1983, con il quale il personale degli enti locali fu inquadrato con decorrenza 1° gennaio 1983 sulla base delle declaratorie delle qualifiche funzionali e dei profili professionali istituiti dall’art. 26 e secondo le declaratorie previste dell’allegato 1: nell’originario accordo era infatti prevista dall’art. 30, l’istituzione di compensi incentivanti la produttività, la cui attribuzione individuale era subordinata a programmi di attività delle singole unità organiche ed alla verifica dei risultati.
L’istituzione del livello economico differenziato fu, infatti, prevista dagli artt. 35 e 36 del DPR n. 333/2990, per le figure professionali appartenenti alle qualifiche comprese fra la prima e la settima, secondo percentuali massime complessive per ciascuna qualifica funzionale e determinato maggiorando il trattamento economico tabellare iniziale di ogni qualifica di un importo annuo lordo pari al 40% della differenza con il trattamento tabellare iniziale della qualifica superiore.
Dal livello economico differenziato di professionalità erano pertanto esclusi i funzionari di ottava qualifica, peraltro prevista come apicale per i soli enti di tipo 3 (comuni classificati di II classe ai sensi della tab. A, all.to 1 alla L. n. 604/1962) dall’art. 2 del DPR n. 347/1983, ma non per quelli di tipo 4 (comuni classificati di III classe) per i quali la qualifica apicale era la settima.
Nell’inquadrare a sensi dell’art. 7, il personale in servizio degli enti locali secondo il nuovo sistema di classificazione introdotto dal CCNL del 31.03.1999 con la attribuzione della categoria e della posizione economica corrispondenti alla qualifica funzionale e al trattamento economico in godimento, la tabella C ha conseguentemente previsto la categoria D2 per il personale proveniente dalla qualifica 7 led e la categoria D3 per il personale proveniente dalla qualifica VIII. Per il personale proveniente dalla settima qualifica la tabella citata ha, infine, previsto la categoria D1.
In sostanza, nel nuovo inquadramento per categorie la differenza verticale fra il settimo e l’ottavo livello propria delle precedente contrattazione è stata comunque riconosciuta, sicché non può ritenersi completamente obliterata dal sistema di scorrimento orizzontale introdotto dal CCNL del 31.03.1999 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.07.2010 n. 4317 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Le procedure che consentono il passaggio da un’area inferiore a quella superiore integrano un vero e proprio concorso, tali essendo anche le procedure che vengono denominate “selettive”, qualunque sia l’oggetto delle prove che i candidati sono chiamati a sostenere.
La previsione del bando (e del regolamento di un ente locale) delle procedure di progressioni verticali che, in assenza di prova scritta, attribuisce al colloquio un’incidenza pari al 60 per cento del punteggio attribuibile (il resto è assegnato in base ai titoli posseduti) si pone in contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento ex art. 97 Costituzione.

E' consolidato l'indirizzo espresso dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 15.10.2003, n. 15403), secondo cui “considerato che mediante gli accordi collettivi stipulati nel comparto del pubblico impiego è stato previsto un sistema di inquadramento del personale articolato in aree o fasce, all’interno delle quali sono contemplati diversi profili professionali, si deve ritenere che le procedure che consentono il passaggio da un’area inferiore a quella superiore integrino un vero e proprio concorso, tali essendo anche le procedure che vengono denominate “selettive”, qualunque sia l’oggetto delle prove che i candidati sono chiamati a sostenere” (in tal senso, Cass. Sez. Un., 18.05.2007, n. 11559; Cons. Stato, sez. VI, 22.10.2008, n. 5184).
Nella giurisprudenza citata, il riferimento alla progressione da un’”area” ad altra superiore non va inteso in senso letterale, ma va letto nel suo significato sostanziale, comprensivo di tutti i passaggi da una “fascia” di inquadramento ad altra, non limitata agli aspetti meramente economici dei diversi livelli in cui si articola, eventualmente, ogni profilo professionale e ogni “area”.
L’aspetto novativo della vicenda, ripetutamente sottolineato dalla Cassazione, non è attenuato dalla circostanza che la progressione verticale sia disciplinata tenendo conto della pregressa appartenenza del dipendente alla stessa amministrazione. Questo dato potrebbe spiegare, fra l’altro, la previsione della contrattazione collettiva, secondo cui non è richiesto il superamento di un periodo di prova per la definitiva assunzione del personale selezionato attraverso il concorso interno. Del resto, la disciplina della prova non è decisiva per individuare la natura concorsuale della procedura selettiva.
Né può trascurarsi che la nozione generale di novazione oggettiva del rapporto, utilizzata per qualificare la natura giuridica della “progressione verticale” da un’area ad altra superiore, pone in evidenza anche la possibile sussistenza di alcuni –a volte non trascurabili- collegamenti con il rapporto originario.
Una previsione di bando (e di regolamento) che attribuisce al colloquio una incidenza pari al 60% del punteggio attribuibile si pone in contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento (principi che, come si è detto, in attuazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., devono trovare applicazione quale che sia la tipologia di procedura competitiva), ed è quindi viziata da eccesso di potere per irragionevolezza, posto che non è idonea a salvaguardare la par condicio dei candidati, né consente la selezione dei soggetti più idonei secondo procedure obiettive (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.07.2010 n. 4313 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOStipendi, conta la qualifica. Lo svolgimento di mansioni superiori è irrilevante. Palazzo Spada ha respinto l'appello di un dipendente della regione Calabria.
Nell'ambito del pubblico impiego è irrilevante, sia a fini economici che di carriera, lo svolgimento di mansioni superiori, in quanto nell'ambito di tale rapporto non sono le mansioni ma la qualifica il parametro al quale la retribuzione va riferita.
Il principio è stato sancito dal Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 02.07.2010 n. 4236.
La questione del riconoscimento economico delle mansioni superiori ha subito, nel tempo, orientamenti giurisprudenziali difformi, ma a seguito dell'articolo 56 del dlgs n. 29/1993, così come sostituito dal dlgs n. 80/1998, è stato riconosciuto al lavoratore pubblico il diritto alle differenze retributive dovute per le mansioni superiori, con attribuzione della responsabilità al dirigente che ha disposto l'incarico, in caso di dolo o colpa grave.
L'applicazione della normativa è stata rinviata e successivamente è intervenuto il dlgs n. 387/1998.
Nella sentenza in commento, il Consiglio di stato ha respinto l'appello presentato da un dipendente della regione Calabria, che aveva richiesto il riconoscimento della differenza retributiva maturata per lo svolgimento di mansioni superiori svolte tra il 1996 e il 1997.
Il Consiglio di stato non ha riconosciuto alla norma natura retroattiva e pertanto il diritto del dipendente pubblico alle differenze retributive, a seguito dello svolgimento delle mansioni superiori, va riconosciuto a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, ossia dal 22 novembre 1998, in quanto di carattere innovativo, ergo non ha alcuna efficacia sulle situazioni precedenti.
Nel merito i giudici di palazzo Spada hanno affermato che nessuna norma o principio generale consentiva, almeno fino all'entrata in vigore del dlgs n. 387/1998, la retribuzione delle mansioni superiori comunque svolte nel pubblico impiego.
È stato evidenziato, tuttavia, che le mansioni svolte dal dipendente pubblico, se superiori a quelle relative alla qualifica attribuita, non hanno rilevanza né dal punto di vista della progressione in carriera né dal punto di vista retributivo. Ciò in quanto il pubblico impiego si differenzia dal lavoro privato giacché le mansioni e la retribuzione trovano fondamento in un atto formale di nomina e non in una libera scelta del personale amministrativo.
Il riconoscimento non può trovare fondamento nell'articolo 36 della Costituzione, che fissa il principio della corrispondenza della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato, dato che la norma non trova applicazione nel rapporto di pubblico impiego, nel quale si applicano altri principi costituzionali.
In definitiva, nell'ambito lavorativo succitato non sono le mansioni ma la qualifica, il parametro al quale la retribuzione va riferita. L'amministrazione di appartenenza può e deve erogare la retribuzione corrispondente alle mansioni superiori solo nel caso in cui una norma speciale lo consenta (articolo ItaliaOggi del 03.09.2010, pag. 30 - link a www.corteconti.it).

URBANISTICALe scelte di pianificazione urbanistica sono connotate da un alto tasso di discrezionalità in capo all'Amministrazione e, pertanto, non necessitano di una particolare motivazione se non nei casi in cui sia configurabile in capo ai privati una situazione di affidamento qualificato riconducibile a specifiche vicende.
Le osservazioni formulate dai proprietari interessati costituiscono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una dettagliata motivazione, essendo sufficiente che siano state esaminate e ragionevolmente ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano regolatore o della sua variante.

Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, condiviso da questo Collegio, le scelte di pianificazione urbanistica sono connotate da un alto tasso di discrezionalità in capo all'Amministrazione e, pertanto, non necessitano di una particolare motivazione se non nei casi in cui sia configurabile in capo ai privati una situazione di affidamento qualificato riconducibile a specifiche vicende (tra le numerosissime decisioni in tal senso CdS, sez. IV, 07.04.2010 n. 1986).
Tali situazioni sono riscontrabili:
a) nel superamento degli standard minimi di cui al dm 02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (Cds sez. IV, 08.06.2007 n. 2999).
E’ ben noto, altresì, il principio per cui le osservazioni formulate dai proprietari interessati costituiscono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una dettagliata motivazione, essendo sufficiente che siano state esaminate e ragionevolmente ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano regolatore o della sua variante (CdS sez. IV 01.03.2010 n. 1182). Né rende necessaria una maggiore motivazione la precedente destinazione parzialmente edificatoria del fondo (CdS sez. IV 08.01.2007 n. 5210).
Per giustificare il rigetto delle osservazioni agli strumenti urbanistici (in particolare quando prevedano un maggior carico urbanistico) è infatti sufficiente che dette osservazioni siano state esaminate e ragionevolmente ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano regolatore o della sua variante (CdS sez. IV, 01.03.2010 n. 1182). Tra gli interessi e le considerazioni generali appena citati, rientra, ovviamente, il dimensionamento deciso in sede di adozione di piano
(TAR Marche, sentenza 30.06.2010 n. 2817 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulla natura di "fondo intercluso".
La natura di “fondo intercluso” di un’area, con riferimento alla necessità di congrua e specifica motivazione delle previsioni urbanistiche, non è stata ritenuta rilevante “ex se” ma solo nel caso immotivato passaggio di un’area interclusa da altri edifici non edificati abusivamente da edificabile ad agricola, tenendo conto che mantenere la destinazione a verde di un’area interclusa può comunque realizzare apprezzabili ragioni di interesse pubblico (sul tema, diffusamente Tar Campania Napoli 26.08.2009 n. 3296).
Nel caso in esame, non solo non sussiste l’interclusione, ma la destinazione agricola è rimasta invariata
(TAR Marche, sentenza 30.06.2010 n. 2817 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl certificato di agibilità/abitabilità deve essere rilasciato o negato per ragioni prevalentemente inerenti il profilo igienico-sanitario dell’edificio ovvero la conformità rispetto al progetto approvato.
Il certificato di agibilità/abitabilità, in base all'art. 4, d.P.R. 22.04.1994 n. 425, deve essere rilasciato o negato per ragioni prevalentemente inerenti il profilo igienico-sanitario dell’edificio ovvero la conformità rispetto al progetto approvato (così TAR Sicilia Catania, sez. I, 31.10.2008, n. 1898)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 30.06.2010 n. 1371 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn materia di installazione di impianti di telefonia mobile, l'Amministrazione non può esigere, in sede di presentazione dell'istanza di autorizzazione e/o di denuncia di inizio attività, documentazione diversa da quella prevista dall'allegato 13 - modello B, d.lgs. n. 259 del 2003 (in relazione a tale fase), fatti salvi adempimenti di minimo impatto che non si traducano in un indebito aggravamento del procedimento, quale qui dato e voluto dal legislatore speciale per favorire la ripetuta celere realizzazione della rete.
La giurisprudenza, alla quale presta adesione il Collegio, ha rilevato che, alla luce delle finalità acceleratorie e semplificatorie che presiedono il procedimento dettato dall'art. 87, d.lgs. n. 259 del 2003 in materia di installazione di impianti di telefonia mobile, l'Amministrazione non può esigere, in sede di presentazione dell'istanza di autorizzazione e/o di denuncia di inizio attività, documentazione diversa da quella prevista dall'allegato 13 - modello B, d.lgs. n. 259 del 2003 (in relazione a tale fase), fatti salvi adempimenti di minimo impatto che non si traducano in un indebito aggravamento del procedimento, quale qui dato e voluto dal legislatore speciale per favorire la ripetuta celere realizzazione della rete.
Fra questi ultimi non vi è spazio per richieste di documentazione che afferiscano direttamente a previsioni regolamentari dettate per le vicende puramente edilizie; ovvero, per ottenere il rilascio del permesso di costruire o per accompagnare la denuncia di inizio attività sempre in campo edilizio, né per imporre oneri esclusi dall'art. 93 del codice delle Comunicazioni che pone il divieto di imporre nuovi oneri "che non siano stabiliti dalla legge" (Così TAR Campania Napoli, sez. VII, 21.04.2009, n. 2077)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 30.06.2010 n. 1371 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl potere riconosciuto al Ministero per i beni Culturali ai sensi dell’articolo 82 del D.P.R. n. 616/1977 -ora articolo 159 del decreto legislativo n. 42/2004- è da intendersi quale espressione non già di un generale riesame nel merito della valutazione dell’Ente delegato, bensì di un potere di annullamento per motivi di legittimità, riconducibile al più generale potere di vigilanza, che il legislatore ha voluto riconoscere allo Stato nei confronti dell’esercizio delle funzioni delegate alle Regioni ed ai Comuni in materia di gestione del vincolo, fermo restando che il controllo di legittimità può riguardare anche tutti i possibili profili dell’eccesso di potere.
Il potere di annullamento dell’autorizzazione paesistica attribuito alla Soprintendenza non può comportare un riesame complessivo delle valutazioni tecnico-discrezionali compiute dall’Ente locale, tale da consentire la sovrapposizione o la sostituzione di una nuova valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell’autorizzazione, ma si estrinseca in un mero controllo di legittimità.
Infatti, secondo una consolidata giurisprudenza, anche di questa Sezione (ex multis, TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 16.10.2008, n. 16426), il potere riconosciuto al Ministero per i beni Culturali ai sensi dell’articolo 82 del D.P.R. n. 616/1977 -ora articolo 159 del decreto legislativo n. 42/2004- è da intendersi quale espressione non già di un generale riesame nel merito della valutazione dell’Ente delegato, bensì di un potere di annullamento per motivi di legittimità, riconducibile al più generale potere di vigilanza, che il legislatore ha voluto riconoscere allo Stato nei confronti dell’esercizio delle funzioni delegate alle Regioni ed ai Comuni in materia di gestione del vincolo, fermo restando che il controllo di legittimità può riguardare anche tutti i possibili profili dell’eccesso di potere (da ultimo, Corte Cost., 07.11.2007, n. 367)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 29.06.2010 n. 16423 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe piscine interrate non possono alterare i valori paesaggistici, perché non suscettibili di verticalizzazione con pregiudizio di visuali e visioni prospettiche.
Per una piscina eseguita perfettamente a raso con il piano di campagna attuale può trovare applicazione il principio giurisprudenziale, affermato anche da questa Sezione (TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 20.03.2009, n. 1552), secondo il quale le piscine interrate non possono alterare i valori paesaggistici, perché non suscettibili di verticalizzazione con pregiudizio di visuali e visioni prospettiche (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 29.06.2010 n. 16423 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' soggetta a concessione edilizia (oggi permesso di costruire) l’edificazione sia di un muro di recinzione, con specifiche caratteristiche, sia l’edificazione di un muro di contenimento.
La giurisprudenza è, da tempo, attestata nel ritenere soggetta a concessione edilizia (oggi permesso di costruire), l’edificazione sia del muro di recinzione, con specifiche caratteristiche, sia l’edificazione del muro di contenimento.
In proposito basterà richiamare, ex multis, Cons. St. Sez. V, 15.06.2000, n. 3320, a mente delle cui statuizioni, per la recinzione di un fondo rustico, è necessaria la concessione edilizia, se realizzata con opere edilizie permanenti, mentre non lo è nel caso di semplici paletti conficcati nel terreno o di ogni altro manufatto che, per le sue caratteristiche di precaria installazione, ha insito il concetto della precarietà e sua facile asportazione in caso di necessità.
In merito ai muri di contenimento, risulterà sufficiente richiamare, ex multis, C.G.A. 05.05.1993 n. 165, orientato a ritenere che un muro di sostegno di cemento armato non può considerarsi recinzione in quanto non ogni muro esistente al confine è opera di recinzione per cui, nel caso in cui in concreto la funzione del muro non sia quella di recingere ma di sostenere, il muro stesso deve essere autorizzato mediante il rilascio di una concessione edilizia.
A chiusura delle considerazioni espresse, appare opportuno riportarsi a quanto sinteticamente e chiaramente espresso da Tar Lazio–Latina n. 285 del 2002 che di seguito si trascrive, in quanto condiviso: “Ritiene il Collegio che se nel concetto di pertinenza possono essere ricomprese le recinzioni, certamente configurabili come opere poste a servizio ed ornamento della cosa principale, giusta l’art. 817 c.c., ciò non può dirsi per i muri di contenimento che hanno una consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento). Il muro di contenimento, pur potendo avere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche concomitante funzione di recinzione, è, tuttavia, sotto il profilo edilizio, un’opera più consistente di una recinzione (non essendo preordinata a recingere) e soprattutto è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione ai profili dianzi evidenziati.
Il che esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone, data la rilevanza dell’immutazione che esso produce sullo stato dei luoghi, sia la necessità della concessione edilizia, sia la legittimità, a torto contestata, dell’applicazione della misura sanzionatoria prevista dall’art. 7 della legge n. 47/1985
.”.
L’autonoma rilevanza dell’opera in questione esclude che esso possa essere ricondotto nella figura del risanamento conservativo che presuppone l’esistenza dell’organismo edilizio su cui intervenire (ex multis Cons. St. Sez. V 24.09.1999 n. 1154)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 9845 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI provvedimenti repressivi di abusi edilizi non devono essere preceduti dall’avviso di inizio del procedimento, sia perché consistono in procedimenti tipizzati e vincolati, sia perché i provvedimenti sanzionatori presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate nonché sul carattere non assentito delle stesse.
La giurisprudenza dominante è attestata nel ritenere che i provvedimenti repressivi di abusi edilizi non devono essere preceduti dall’avviso di inizio del procedimento, sia perché consistono in procedimenti tipizzati e vincolati, sia perché i provvedimenti sanzionatori presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate nonché sul carattere non assentito delle stesse (ex multis C.G.A. 06.02.2001 n. 70; Cons. St. Sez. II 25.10.2006 n. 8475/2004; Tar Basilicata 16.02.2008 n. 33; Tar Palermo, Sez. II 06.06.2007 n. 1617; Tar Bologna Sez. II 12.04.2007 n. 384) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 9845 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl potere del giudice amministrativo di condannare la Pubblica Amministrazione al risarcimento del danno è rigorosamente circoscritto alla sola ipotesi del previo annullamento dell’atto amministrativo illegittimo dal quale il danno predetto discende, posto che la ratio del potere medesimo è quella di evitare a chi ha ottenuto l'annullamento giurisdizionale dell'atto amministrativo di percorrere tutti i gradi della giustizia ordinaria per ottenere la piena soddisfazione delle posizioni soggettive lese.
Il potere del giudice amministrativo di condannare la Pubblica Amministrazione al risarcimento del danno è, nell'attuale ordinamento e secondo la lettura propria della sentenza della Corte Costituzionale 06.07.2004 n. 204, rigorosamente circoscritto alla sola ipotesi del previo annullamento dell’atto amministrativo illegittimo dal quale il danno predetto discende, posto che la ratio del potere medesimo, essendo fondata sull'art. 24 Cost., è quella di evitare a chi ha ottenuto l'annullamento giurisdizionale dell'atto amministrativo di percorrere tutti i gradi della giustizia ordinaria per ottenere la piena soddisfazione delle posizioni soggettive lese (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. IV, 28.07.2005 n. 4008).
Ciò pertanto significa che tale potere di condanna può essere esercitato soltanto in caso di illegittimità dell’atto incidentalmente valutata ovvero ritenuta dalla stessa amministrazione in sede di ricorso amministrativo, oppure di annullamento disposto in via di autotutela dalla stessa Pubblica Amministrazione o per effetto dell’accoglimento del ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto a’ sensi dell’art. 8 e ss. del D.P.R. 24.11.1971 n. 1199 (cfr. ibidem).
In tali evenienze può dunque venir meno la contestualità tra azione di annullamento e azione risarcitoria, ma non già l’essenziale condizione della consequenzialità del diritto patrimoniale al risarcimento del danno (cfr. ibidem): e ciò poiché in presenza di provvedimenti di sicura valenza autoritativa –come, per l’appunto, nel caso di specie- nei confronti dei quali non sia intervenuta in alcuna sede giudiziale o giustiziale una pronuncia di annullamento in dipendenza della loro asserita illegittimità, non può che trovare applicazione il principio della c.d. “pregiudizialità amministrativa”, in forza del quale è essenziale che la statuizione sulla domanda risarcitoria resti subordinata a quella diretta all'annullamento del provvedimento illegittimo (così TAR Lazio, Roma, Sez. III, 28.01.2009 n. 797).
Detto altrimenti, l’azione risarcitoria qui proposta indefettibilmente presuppone la previa statuizione in ordine alla sussistenza, o meno, dell’illegittimità che avrebbe asseritamente determinato, unitamente all’invalidità degli atti impugnati, anche il danno nei riguardi del soggetto leso: ma la circostanza che il ricorso straordinario non sia stato trasposto a’ sensi dell’art. 10 del medesimo D.P.R. 1199 del 1971 nella presente sede giurisdizionale non consente a questo giudice tale valutazione preliminare, la quale rimane dunque ora esclusivamente incardinata nella sede giustiziale straordinaria dove formerà oggetto di apposita statuizione nel mentre, per il principio del ne bis idem non può essere più introdotta nel presente giudizio nemmeno come valutazione incidenter tantum: e tale stato di cose non può, quindi, che determinare l’inammissibilità –allo stato– della domanda risarcitoria (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 21.06.2010 n. 2691 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa possibilità di rilascio di autorizzazione paesaggistica ex post è senz’altro esclusa quando l'intervento realizzato determini, anche parzialmente, la creazione di superfici utili o volumi.
E l’impianto serricolo di cui si tratta –costituito da tre serre in pali e capriate di rilevanti volumetrie– è senza dubbio tale da avere comportato, per le sue caratteristiche dimensionali, un significativo incremento volumetrico e di superficie, senza che possa rilevare in senso opposto la circostanza che la copertura delle serre sia stata effettuata in “materiale plastico asportabile”.

Nelle ipotesi di limitata edificabilità di aree soggette a tutela ambientale e paesaggistica le condizioni di compatibilità dell'edificazione con le esigenze di salvaguardia dell'interesse generale devono costituire oggetto di verifica preliminare all'intervento edilizio, non effettuabile ex post, tranne limitate ipotesi oggi previste dall’art. 167 D.lvo 42/2004, in sede di autorizzazione in sanatoria di interventi abusivamente realizzati in assenza del prescritto nulla osta (TAR Toscana, sez. III, 29.05.2007, n. 823).
Tuttavia, la possibilità di rilascio di autorizzazione paesaggistica ex post è senz’altro esclusa, ai sensi della norma citata, quando l'intervento realizzato determini, anche parzialmente, la creazione di superfici utili o volumi (ex multis: Consiglio Stato , sez. IV, 08.10.2007, n. 5203).
Ad avviso del Collegio, l’impianto serricolo di cui si tratta –costituito da tre serre in pali e capriate di rilevanti volumetrie– è senza dubbio tale da avere comportato, per le sue caratteristiche dimensionali, un significativo incremento volumetrico e di superficie, senza che possa rilevare in senso opposto la circostanza che la copertura delle serre sia stata effettuata in “materiale plastico asportabile” (né risulta chiaro, dal tenore della censura, perché tale circostanza dovrebbe far venire meno il presupposto di applicabilità del decreto 42/2004, in relazione al contenuto dell’art. 156).
Né rileva che la limitazione dalla lettura “a contrario” dell’art. 167, comma 4, lett. a), del D.lvo 42/2004 sia stata introdotta in data successiva alla realizzazione dell’abuso ed alla presentazione della relativa istanza di condono, atteso che la norma era vigente tanto nel momento in cui il Comune ha emanato la relativa autorizzazione paesaggistica quanto nel momento in cui la stessa è stata trasmessa alla Soprintendenza per l’esercizio dei poteri di competenza.
Infatti, in virtù del principio “tempus regit actum”, la conformità di un provvedimento amministrativo al parametro normativo di raffronto va apprezzata con riguardo alla legge applicabile all'epoca della sua adozione: pertanto è legittimo, in presenza di aumento di superfici utili o di volumetrie, il diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, emanato dopo l'entrata in vigore dell'art. 167 D.lvo 42/2004, seppur con riferimento ad interventi realizzati precedentemente, che dal 2004 vieta il rilascio di tali autorizzazioni (TAR Campania-Salerno, sez. II, 21.01.2010, n. 844)
(TAR Capania-Napoli, Sez. III, sentenza 15.06.2010 n. 14366 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul concetto di "ricostruzione" edilizia.
Come è noto, la figura della "ricostruzione", non costituisce una tipologia edilizia con una propria definizione contenuta nel T.U. dell'edilizia (come la ristrutturazione), con proprie specifiche regole, ma risulta comunque una tipologia di attività edilizia con la quale si individuano tutti quei casi nei quali si procede all'edificazione dopo la demolizione di una precedente struttura e nel rispetto di (almeno) alcuni degli elementi della precedente opera; orbene, in riferimento alla diversa possibile tipologia delle nuove opere che si realizzano (attraverso una ricostruzione) sono allora previste regole diverse: più in particolare, una ricostruzione è soggetta alle regole dettate per la ristrutturazione edilizia se la nuova opera coincide per volumetria, superfici e sagoma con l'immobile preesistente (e in tal caso le opere possono essere realizzate anche con una semplice DIA); una ricostruzione è invece soggetta alle regole dettate per le nuove costruzioni se tali elementi non coincidono (ed in tal caso è normalmente necessario il rilascio di un permesso di costruire) (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 15.06.2010 n. 14364 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'art. 3 l. n. 241 del 1990 consente l'uso della motivazione "per relatìonem" sicché non sussiste l'obbligo dell'amministrazione di notificare all'interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto l'obbligo di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione su richiesta dell'interessato.
Come è noto, l'art. 3 l. n. 241 del 1990 consente l'uso della motivazione "per relatìonem" con riferimento ad altri atti dell'amministrazione, che devono essere indicati e resi disponibili, nel senso che all'interessato deve essere consentito di prenderne visione, di richiederne e ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di chiederne la produzione in giudizio, sicché non sussiste l'obbligo dell'amministrazione di notificare all'interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto l'obbligo di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione su richiesta dell'interessato (TAR Veneto Venezia, sez. II, 25.02.2010, n. 532; TAR Liguria Genova, sez. II, 03.02.2010, n. 230) (TAR Campania Napoli, sez. II, 25.03.2010, n. 1611) (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 15.06.2010 n. 14364 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa denunzia di inizio di attività costituisce una dichiarazione del privato cui la legge, in presenza di specifiche condizioni, ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di costruire, ma non ha il carattere del provvedimento amministrativo, in quanto non promana da una pubblica amministrazione che ne è la destinataria e non costituisce esercizio di una potestà pubblicistica.
Il termine di 30 giorni previsto dall'art. 23, sesto comma, del D.P.R. n. 380 del 2001, entro il quale l’amministrazione può esercitare il proprio potere inibitorio avverso l'intervento presentato con d.i.a., deve considerarsi di carattere perentorio, con la conseguenza che, una volta scaduto detto termine, potranno pertanto essere emanati solo provvedimenti di autotutela e sanzionatori.

La giurisprudenza amministrativa ha precisato che la denunzia di inizio di attività costituisce una dichiarazione del privato cui la legge, in presenza di specifiche condizioni, ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di costruire, ma non ha il carattere del provvedimento amministrativo, in quanto non promana da una pubblica amministrazione che ne è la destinataria e non costituisce esercizio di una potestà pubblicistica (TAR Campania, Napoli, Sez. II, 27.06.2005 n. 8707).
Il termine di 30 giorni previsto dall'art. 23, sesto comma, del D.P.R. n. 380 del 2001, entro il quale l’amministrazione può esercitare il proprio potere inibitorio avverso l'intervento presentato con d.i.a., deve considerarsi di carattere perentorio, con la conseguenza che, una volta scaduto detto termine, potranno pertanto essere emanati solo provvedimenti di autotutela e sanzionatori (TAR Campania Napoli, Sez. III, 17.04.2008 n. 2300)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 15.06.2010 n. 14339 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’istallazione di manufatti su una strada vicinale (o come nel caso in esame, su area posta in prossimità di adiacente viabilità comunale) può essere correttamente negata qualora questi ostacolino o intralcino l’esercizio pubblico oppure, come nella fattispecie, diminuiscano sensibilmente le modalità di espletamento di servizi pubblici.
E' sufficiente richiamare l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato (Sez. V, 06.06.2002 n. 3173) secondo cui, in linea generale, l’istallazione di manufatti su una strada vicinale (o come nel caso in esame, su area posta in prossimità di adiacente viabilità comunale) può essere correttamente negata qualora questi ostacolino o intralcino l’esercizio pubblico oppure, come nella fattispecie, diminuiscano sensibilmente le modalità di espletamento di servizi pubblici (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 15.06.2010 n. 14339 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa comunicazione del parere negativo della Commissione edilizia da parte del funzionario competente al rilascio del titolo edificatorio costituisce manifestazione della volontà di aderire alla decisione e, rappresentando l’atto conclusivo del relativo procedimento, è immediatamente impugnabile.
In linea di principio, la comunicazione del parere negativo della Commissione edilizia da parte del funzionario competente al rilascio del titolo edificatorio costituisce, salvo diverse indicazioni emergenti dal contenuto dell’atto, manifestazione della volontà di aderire alla decisione e, rappresentando l’atto conclusivo del relativo procedimento, è immediatamente impugnabile (cfr., ex multis, TAR Piemonte, sez. I, 04.09.2009, n. 2253).
Nel caso in esame, tale valutazione trova conferma nel fatto che il provvedimento si chiude con l’indicazione del termine e dell’autorità cui è possibile ricorrere, elementi che avvalorano la qualificazione dell’atto come definitivo diniego dell’istanza edificatoria (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 15.06.2010 n. 2842 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione e l’utilizzazione di un parcheggio a raso bene possono essere ricomprese tra gli "interventi di nuova costruzione", di cui alla lettera e.3) dell’art. 3 DPR n. 380/2001, per cui sono tali gli interventi di realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato.
Pur in assenza di opere di trasformazione edilizia del territorio, è stata posta in essere una destinazione d’uso in contrasto con la normativa urbanistica vigente, la quale è avvalorata da una utilizzazione che concretamente evidenzia tale contrasto (TAR Toscana, sez. II, 20.01.2009, n. 66).
La realizzazione e l’utilizzazione del parcheggio a raso in questione bene possono essere ricomprese tra gli "interventi di nuova costruzione", di cui alla lettera e.3) dell’art. 3 DPR n. 380/2001, per cui sono tali gli interventi di realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato.
Conclusivamente, nell’area in questione, mediante la concreta utilizzazione a parcheggio, è stata posta in essere un’attività del tutto vietata dalla normativa urbanistica, come rilavato nella motivazione del provvedimento impugnato; e che, ove in astratto ciò fosse stato consentito dalle norme di piano, avrebbe dovuto essere assistita da permesso di costruire, in quanto è stato attuato un intervento sul territorio che ha comportato la perdurante modifica dello stato dei luoghi (Cass. Penale, sez. III, n. 6930 del 19.02.2004; TAR Umbria, 28.09.2006, n. 481) (TAR Campania-Napoli, Sez, IV, sentenza 14.06.2010 n. 14243 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa presentazione di un’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 Testo Unico dell’Edilizia o di una domanda condono edilizio hanno automatico effetto caducante sull’ordinanza di demolizione, rendendola inefficace.
Il Collegio aderisce all’orientamento giurisprudenziale secondo cui la presentazione di un’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 Testo Unico dell’Edilizia o di una domanda condono edilizio hanno automatico effetto caducante sull’ordinanza di demolizione, rendendola inefficace.
La presentazione di una domanda di sanatoria in epoca successiva all’adozione dell’ordinanza di demolizione (o, comunque, del provvedimento di irrogazione di altre sanzioni per abusi edilizi), produce l’effetto di rendere improcedibile l’impugnazione contro l’atto sanzionatorio per sopravvenuta carenza di interesse, posto che il riesame dell’abusività dell’opera, provocato dall’istanza, sia pure al fine di verificarne l’eventuale sanabilità, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, esplicito o implicito (di accoglimento o di rigetto), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa).
Nel senso dell’improcedibilità si è già peraltro più volte espressa la giurisprudenza anche di codesto Tribunale con riferimento sia alle istanze di condono, sia alle richieste di accertamento di conformità ex art. 36 Testo Unico dell’Edilizia, presentate dopo l’emissione di un’ordinanza di demolizione (TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 07.11.2008, n. 1482; TAR Campania Napoli, sez. VI, 22.10.2008, n. 17688; TAR Campania Napoli, sez. III, 18.09.2008, n. 10346; TAR Campania Napoli, sez. VI, 16.09.2008, n. 10220; TAR Campania Napoli, sez. VI, 18.03.2008, n. 1399; TAR Lombardia–Milano, Sez. II, 30.01.2008 n. 255/2008; TAR Lombardia–Milano, Sez. II, 27.02.2008 n. 545/2008; Consiglio Stato, sez. V, 26.06.2007, n. 3659; Cons. Stato, 31.05.2006 n. 7884)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 14.06.2010 n. 14223 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'onere di provare l'esistenza del manufatto oggetto di abuso alla data ultima per beneficiare del condono spetti al privato che chiede di condonarlo, il quale fa transitare tale onere in capo all'amministrazione soltanto se fornisce elementi concreti dell'esistenza dello stesso.
La giurisprudenza amministrativa si è già espressa nel senso che l'onere di provare l'esistenza del manufatto oggetto di abuso alla data ultima per beneficiare del condono spetti al privato che chiede di condonarlo, il quale fa transitare tale onere in capo all'amministrazione soltanto se fornisce elementi concreti dell'esistenza dello stesso.
Sul punto si veda TAR Campania Napoli, sez. VII, 24.07.2008, n. 9347, secondo cui "l'onere della prova in ordine alla data di realizzazione dell'immobile abusivo ricade su chi ha commesso l'abuso, nel mentre solo la deduzione, da parte di quest'ultimo, di «concreti elementi a sostegno delle proprie affermazioni, trasferisce il suddetto onere in capo all'Amministrazione». L'onere per il privato di dimostrare che l'opera è stata completata entro la data utile, comporta che anche la dichiarazione sostitutiva di atto notorio non è sufficiente a tal fine, essendo necessari ulteriori riscontri documentali, eventualmente anche indiziari, purché altamente probanti, con la conseguenza che, nel caso di mancato adempimento, da parte del richiedente il condono, all'onere di dimostrare che l'opera è stata completata entro la data utile, l'Amministrazione, cui non può farsi carico di accertare quale fosse la situazione del suo territorio alla data di scadenza del condono, è tenuta a respingere la domanda e a reprimere l'abuso" (nello stesso senso Cons. Stato, sez. VI, 06.05.2008, n. 2010).
D'altronde, è stato evidenziato in giurisprudenza che "l'onere della prova in ordine alla data per ottenere il condono grava sul richiedente la sanatoria; ciò perché mentre l'Amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che richiede la sanatoria può fornire qualunque documentazione da cui possa desumersi che l'abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data predetta, non potendosi ritenere al riguardo sufficiente la sola allegazione della dichiarazione sostitutiva di atto notorio. Mentre, ove il richiedente la sanatoria non dia la prova in questione, la domanda di condono deve essere respinta" (TAR Lazio Roma, sez. II, 02.07.2008, n. 6367)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 14.06.2010 n. 14223 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici e non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell’immobile cui accedono.
Tali strutture non possono, viceversa, ritenersi installabili senza concessione edilizia (oggi permesso di costruire) allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite; quando quindi per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o della parte dello stesso cui accedono.

Per giurisprudenza costante di questo TAR (TAR Campania Napoli, sez. IV, n. 897 del 18.02.2003, n. 12962 del 20.10.2003, n. 4107 del 16.07.2002; TAR Napoli, Sez. IV, 21.11.2006, n. 10122), gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici e non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell’immobile cui accedono.
Tali strutture non possono, viceversa, ritenersi installabili senza concessione edilizia (oggi permesso di costruire) allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite; quando quindi per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o della parte dello stesso cui accedono (in termini Consiglio di Stato, Sez. V, 13.03.2001 n. 1442, sez. II, 05.02.1997, n. 336, TAR Lazio, Sez. II n. 1055 del 15.02.2002, TAR Parma n. 114 del 06.03.2003).
Le opere di cui si verte infatti –in relazione alle dimensioni ed alla modalità di realizzazione- devono senz’altro considerarsi una “costruzione” che, oltre a richiedere per la sua realizzazione l’esistenza di un titolo abilitativo, determina indubbiamente un aumento volumetrico.
Pertanto, correttamente nel caso in esame –trattandosi di una sopraelevazione sul lastrico solare, consistente in una struttura di 55 mq. tompagnata di altezza pari a mt. 2,80– l’opera è stata qualificata come costruzione senza titolo dall’amministrazione comunale che ne ha ingiunto la demolizione (Consiglio di Stato, Sezione IV, 01.10.2007 n. 5049) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 14.06.2010 n. 14209 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I provvedimenti sanzionatori in materia edilizia non necessitano di alcuna motivazione in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico, perché la repressione degli abusi edilizi costituisce un preciso obbligo dell’Amministrazione, che non gode di alcuna discrezionalità al riguardo.
Il verbale di accertamento dell’inottemperanza alla precedente ingiunzione di demolizione di opere edilizie abusive, redatto e notificato dal personale della Polizia Municipale, ha valore endoprocedimentale ed efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate dai vigili urbani, mentre l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’opera abusiva non demolita richiede una autonoma determinazione del competente dirigente comunale.
I provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, salvo ipotesi particolari delle quali non ricorrono gli estremi nella fattispecie in esame, non necessitano di alcuna motivazione in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico, perché la repressione degli abusi edilizi costituisce un preciso obbligo dell’Amministrazione, che non gode di alcuna discrezionalità al riguardo.
Secondo la giurisprudenza di questo Tribunale (TAR Campania Napoli, Sez. II, 21.11.2006, n. 10110), il verbale di accertamento dell’inottemperanza alla precedente ingiunzione di demolizione di opere edilizie abusive, redatto e notificato dal personale della Polizia Municipale, ha valore endoprocedimentale ed efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate dai vigili urbani, mentre l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’opera abusiva non demolita richiede una autonoma determinazione del competente dirigente comunale. Poiché ai vigili urbani non è attribuita la competenza all’adozione di atti di amministrazione attiva, a tal uopo occorrendo che la preposta autorità amministrativa ne faccia proprio l’esito attraverso un formale atto di accertamento (cfr. TAR Campania, II Sezione, 18.05.2005, n. 6525), il mero verbale è atto privo di autonoma efficacia lesiva (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 14.06.2010 n. 14209 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA I limiti delle altezze, dettati per le costruzioni, non si applicano agli impianti tecnologici di cui al D.Lgs. 259/2003, essendo stati posti per l’edificazione di strutture e manufatti aventi un rilievo urbanistico ed edilizio diverso da quello dei detti impianti, i quali non sviluppano normalmente volumetria o cubatura, se non limitatamente ai basamenti e alle cabine accessorie, e non determinano perciò ingombro visivo paragonabile a quello delle costruzioni né simile impatto sul territorio.
Questo Consiglio ha chiarito (C. di S., VI, 07.06.2006, n. 3425) che i limiti delle altezze, dettati per le costruzioni, non si applicano agli impianti tecnologici di cui al D.Lgs. 259/2003, essendo stati posti per l’edificazione di strutture e manufatti aventi un rilievo urbanistico ed edilizio diverso da quello dei detti impianti, i quali non sviluppano normalmente volumetria o cubatura, se non limitatamente ai basamenti e alle cabine accessorie, e non determinano perciò ingombro visivo paragonabile a quello delle costruzioni né simile impatto sul territorio, dovendosi anche considerare che spesso “Le stazioni radio base, per esigenze di irradiamento del segnale, si sviluppano normalmente in altezza, tramite strutture metalliche, pali o tralicci, talora collocate su strutture preesistenti, su lastrici solari, su tetti, a ridosso di pali” come è nel caso in esame in cui l’impianto da adeguare si trova su un terrazzo.
Il richiamato art. 83 del regolamento edilizio comunale deve, in conclusione, essere disapplicato, essendo stato da tempo ammesso “che il giudice amministrativo, in applicazione del principio della gerarchia delle fonti possa valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra provvedimento e legge, eventualmente annullando il provvedimento a prescindere dall’impugnazione congiunta del regolamento” (C. di S., VI, 03.10.2007, n. 5098) (Consiglio di Stato, Sez. Vi, sentenza 18.12.2009 n. 8394 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il porticato, in quanto suscettibile di autonomo utilizzo (e, quindi, non classificabile come pertinenza) e con un proprio impatto volumetrico, costituisce opera nuova rispetto al precedente fabbricato, incidendo in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio, con la conseguente necessità del previo rilascio della concessione edilizia.
Le tettorie rientrano tra le opere edilizie idonee a trasformare in modo permanente il territorio, a causa dell'uso stabile delle stesse poiché in materia edilizia rileva l'oggettiva idoneità delle strutture installate ad incidere sullo stato dei luoghi, dovendosi, peraltro, escludere la precarietà ogni volta che l'opera sia destinata a fornire un'utilità prolungata nel tempo.
Anche la tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia.

Come chiarito dalla recente giurisprudenza, ormai consolidata, alla quale questo Collegio aderisce, il porticato, in quanto suscettibile di autonomo utilizzo (e, quindi, non classificabile come pertinenza) e con un proprio impatto volumetrico, costituisce opera nuova rispetto al precedente fabbricato, incidendo in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio, con la conseguente necessità del previo rilascio della concessione edilizia (cfr. ex multis, TAR Lazio, Latina, 19.01.2007, n. 44; TAR Toscana Firenze, sez. III, 17.07.2003, n. 2850).
L’esito non muta neanche nel caso in cui si ritenesse, come sostenuto dalla difesa dei ricorrenti, di qualificare l’opera come tettoia. Le tettorie, infatti, rientrano tra le opere edilizie idonee a trasformare in modo permanente il territorio, a causa dell'uso stabile delle stesse poiché in materia edilizia rileva l'oggettiva idoneità delle strutture installate ad incidere sullo stato dei luoghi, dovendosi, peraltro, escludere la precarietà ogni volta che l'opera sia destinata a fornire un'utilità prolungata nel tempo (cfr., TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 21.10.2009, n. 1922; TAR Lazio, Latina, 05.08.2009, n. 771; TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10059; TAR Lazio, Roma, sez. I, 18.06.2008, n. 5965).
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere, peraltro, che anche la tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia (TAR Lazio Latina, 05.08.2009, n. 771; TAR Lombardia Milano, sez. II, 04.12.2007, n. 6544) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 18.12.2009 n. 3639 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il caso di motivazione per relationem, l'art. 3 della legge 241/1990 non obbliga l'amministrazione ad accludere al provvedimento gli atti cui lo stesso rinvia, risultando sufficiente che tali atti siano resi disponibili, rimettendo dunque la concreta disponibilità all'attivazione dell'interessato, a mezzo del diritto di accesso.
La consolidata giurisprudenza è nel senso di ritenere che in caso di motivazione per relationem, l'art. 3 della legge generale sul procedimento amministrativo non obbliga l'amministrazione ad accludere al provvedimento gli atti cui lo stesso rinvia, risultando sufficiente che tali atti siano resi disponibili, rimettendo dunque la concreta disponibilità all'attivazione dell'interessato, a mezzo del diritto di accesso (cfr., TAR Lombardia Milano, sez. IV, 02.07.2009, n. 4258; TAR Lombardia Milano, sez. III, 29.04.2009, n. 3595) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 18.12.2009 n. 3639 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAL'approvazione del piano di lottizzazione non è atto dovuto, anche se conforme al piano regolatore generale, ma costituisce sempre espressione di potere discrezionale dell'autorità chiamata a valutare l'opportunità di dare attuazione alle previsioni dello strumento urbanistico generale.
Al Consiglio comunale va, dunque, riconosciuto un ampio potere discrezionale nella valutazione delle soluzioni proposte, giacché esso esercita pur sempre poteri di pianificazione del territorio comunale e non di semplice riscontro della conformità del piano allo strumento generale.

E’ pacifico che l'approvazione del piano di lottizzazione non è atto dovuto, anche se conforme al piano regolatore generale, ma costituisce sempre espressione di potere discrezionale dell'autorità chiamata a valutare l'opportunità di dare attuazione alle previsioni dello strumento urbanistico generale, essendovi fra quest'ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità, ma non di formale coincidenza; e che al Consiglio comunale va, dunque, riconosciuto un ampio potere discrezionale nella valutazione delle soluzioni proposte, giacché esso esercita pur sempre poteri di pianificazione del territorio comunale e non di semplice riscontro della conformità del piano allo strumento generale.
Peraltro, come in generale per tutti i casi di esercizio di un potere discrezionale, l’esigenza di consentire la verifica anche in sede giurisdizionale della legittimità dell’esercizio del potere impone all’Autorità amministrativa di indicare sempre, se del caso succintamente ma esaurientemente, le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della decisione adottata, restando evidente che nel sistema consacrato dall’art. 3 della legge 07.08.1990 n. 241 la mera affermazione che si agisca nell’esercizio di un potere discrezionale non vale ad escludere il predetto onere motivazionale.
Pertanto, se è vero che in tema di scelte urbanistiche l’amministrazione procedente dispone di un ampio potere discrezionale, è altrettanto vero che lo stesso trova il suo limite nell’arbitrarietà, nell’illogicità e nell’irragionevolezza delle scelte operate, la cui verifica non può che riscontrarsi dall’esame delle ragioni poste a fondamento della decisione assunta (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 18.12.2009 n. 2250 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Le ordinanze ex art. 50 T.U.E.L. hanno natura extra-ordinem, sono estremamente invasive della sfera giuridica dei destinatari di esse e, quindi, il sindaco deve assumersene la relativa responsabilità.
Laddove venga in considerazione la necessità di porre rimedio alla precarietà di edifici al fine di assicurare l’incolumità pubblica, é onere del Sindaco, nell’esercizio dei poteri di Ufficiale di Governo conferitigli dall’art. 50 T.U.E.L., individuare in maniera specifica ed articolata gli interventi ritenuti necessari ed imprescindibili allo scopo di assicurare l’incolumità pubblica, previo esperimento di adeguata istruttoria, all’occorrenza con richiesta di pareri agli enti competenti in materia: ad esempio al Genio Civile.
In difetto di ciò, infatti, il cittadino privato rimane sostanzialmente libero di individuare le modalità dell’intervento e si crea, perciò, un duplice ordine di rischi:
a) che il pericolo, che l’ordinanza contigibile ed urgente tendeva a prevenire, non venga rimosso per inadeguatezza intrinseca degli interventi;
b) che laddove più siano i destinatari della ordinanza, ad esempio in caso di comproprietà pro-diviso dello stabile in stato di precarietà, costoro agiscano autonomamente ponendo in essere interventi incompatibili.
Va ancora rilevato che le ordinanze ex art. 50 T.U.E.L. hanno natura extra-ordinem, sono estremamente invasive della sfera giuridica dei destinatari di esse e, quindi, il sindaco deve assumersene la relativa responsabilità: e laddove esse si limitino a demandare ai privati delle attività determinate solo in via generica –ad esempio: la “messa in sicurezza di un immobile” – esse integrano una sostanziale delega di responsabilità, come tale inammissibile (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 17.12.2009 n. 3213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici è competente alla dichiarazione dell'interesse culturale delle cose di proprietà privata.
Il vincolo indiretto, com’è noto, viene imposto su beni e aree circostanti a quelli sottoposti a vincolo diretto, per garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva o migliori condizioni ambientali e di decoro; appare perciò del tutto logico che –vincolata la villa– sia stato apposto un vincolo indiretto sul parco, risultando ragionevoli le limitazioni imposte con il provvedimento impugnato al fine di preservare il parco stesso, quale necessario ornamento della villa, ed evitare che la vista della villa risulti pregiudicata da altre costruzioni

Il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici è competente alla dichiarazione dell'interesse culturale delle cose di proprietà privata (CdS, VI, 3795/2008); non sussiste la violazione dell'art. 14, comma 6, d.lgs. n. 42 del 2004, il quale dispone che la dichiarazione dell'interesse culturale è adottata dal Ministero.
Tale disposizione, infatti, fa riferimento al Ministero, inteso nelle sue articolazioni, senza prevedere in modo specifico la competenza del Ministro. Per di più non va sottaciuto che, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 3, d.lgs. n. 29 del 1993, poi sostituito dall'art. 4, d.lgs. n. 165 del 2001, gli atti di amministrazione attiva dei singoli Ministeri sono stati assegnati alla competenza dei Dirigenti e non più al Ministro, alla luce del principio di separazione tra le funzioni di indirizzo, in capo al Ministro, e le funzioni di gestione delle amministrazioni, in capo ai Dirigenti (così Tar Campania, Napoli, VII, 9259/2006).
Né il procedimento di dichiarazione di bene culturale deve concludersi entro un termine perentorio (Tar Liguria, I, 54/2009).
Non è poi vero che il vincolo indiretto possa solo prescrivere distanze, misure e norme finalizzate ad evitare che siano messi in pericolo i beni culturali, ma non possa spingersi fino a dichiarare un terreno non edificabile: il vincolo indiretto ben può arrivare a determinare anche l'inedificabilità di determinate aree, pur essendo necessaria una motivazione rigorosa e sorretta da adeguata istruttoria, trattandosi evidentemente di imporre ai destinatari un sacrificio di notevole intensità (Tar Campania, Napoli, VIII, 2161/2009).
Né ciò determina un vincolo sostanzialmente espropriativo, senza indennizzo, con conseguente illegittimità costituzionale: come precisato dalla Consulta nella sentenza n. 56/1968, i vincoli finalizzati alla tutela dei beni culturali ben possono limitare, anche fortemente, il diritto di proprietà senza che sia necessario un indennizzo.
Il vincolo indiretto, com’è noto, viene imposto su beni e aree circostanti a quelli sottoposti a vincolo diretto, per garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva o migliori condizioni ambientali e di decoro (CdS, VI, 6513/2008); appare perciò del tutto logico che –vincolata la villa– sia stato apposto un vincolo indiretto sul parco, risultando ragionevoli le limitazioni imposte con il provvedimento impugnato al fine di preservare il parco stesso, quale necessario ornamento della villa, ed evitare che la vista della villa risulti pregiudicata da altre costruzioni (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 16.12.2009 n. 8804 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa legittimazione ad insorgere contro il permesso di costruire rilasciato a terzi si radica in capo al proprietario di un immobile sito nella zona interessata dalla costruzione o a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa (sia di natura reale che obbligatoria), senza che debba essere fornita dimostrazione della sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale.
Secondo maggioritaria giurisprudenza, che il collegio condivide (TAR Campania, NA sez. I 1439/2008), se è vero che la normativa urbanistica non consente l’esperimento di azioni popolari, la legittimazione ad insorgere contro il permesso di costruire rilasciato a terzi si radica in capo al proprietario di un immobile sito nella zona interessata dalla costruzione o a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa (sia di natura reale che obbligatoria), senza che debba essere fornita dimostrazione della sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale (cfr. anche Consiglio di Stato, Sez. V, 13.07.2000 n. 3904; TAR Umbria, 05.05.2006 n. 305; TAR Lazio Roma, Sez. II, 02.11.2005 n. 10255; TAR Campania Napoli, Sez. II, 06.05.2005 n. 5557; TAR Sicilia Catania, Sez. III, 02.08.2004 n. 1981; TAR Piemonte, Sez. I, 07.07.2003 n. 1042); in altri termini, è da ravvisare una posizione qualificata e differenziata in coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona di intervento edilizio e che facciano valere un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica, quale è quello all’osservanza delle prescrizioni regolatrici dell’edificazione, senza che sia necessario accertare in concreto se i lavori assentiti con l’atto gravato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 16.12.2009 n. 572 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di "variante" edilizia deve ricollegarsi a modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto all'originario progetto e gli elementi da prendere in considerazione, al fine di discriminare un nuovo permesso di costruire dalla variante ad altro preesistente, riguardano la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, le distanze dalle proprietà viciniori, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato.
Ha chiarito la Corte di Cassazione che non tutte le modifiche alla progettazione originaria possono definirsi varianti, e che queste si configurano solo allorquando il progetto già approvato non risulti sostanzialmente e radicalmente mutato dal nuovo elaborato (come accade, ad esempio, nelle ipotesi di sensibile spostamento della localizzazione del manufatto, aumento del numero dei piani, creazione di un piano seminterrato, modifica del prospetto esterno etc.).
La nozione di "variante" deve ricollegarsi a modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto all'originario progetto e gli elementi da prendere in considerazione, al fine di discriminare un nuovo permesso di costruire dalla variante ad altro preesistente, riguardano la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, le distanze dalle proprietà viciniori, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato (Sez. III penale, n. 9922 del 05/03/2009) (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 16.12.2009 n. 572 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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