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AGGIORNAMENTO AL 21.08.2010
(ci
prendiamo qualche giorno di riposo ... pertanto,
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NOVITA' NEL
SITO |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel bottone
MODULISTICA è stato
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fac-simile (modificabile a piacimento) di
S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di
Inizio Attività). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
APPALTI:
G.U. 18.08.2010 n. 192, suppl. ord. n. 196:
- "Linee guida per l’affidamento dei
servizi attinenti all’architettura ed
all’ingegneria" (Autorità per la
Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori,
servizi e forniture,
determinazione 27.07.2010 n. 5);
- "Modelli di segnalazione all’Autorità
per le comunicazioni ai fini
dell’inserimento di notizie nel casellario
informatico riferite a Operatori Economici
nei cui confronti sussistono cause di
esclusione ex art. 38 del decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163, ovvero per
l’inserimento di notizie utili nonché per
l’applicazione di sanzioni ex art. 48 del
decreto legislativo n. 163/2006"
(Autorità per la Vigilanza sui Contratti
Pubblici di lavori, servizi e forniture,
comunicato del Presidente 29.07.2010). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
18.08.2010 n. 192 "Testo del
decreto-legge 08.07.2010, n. 105, coordinato
con la legge di conversione 13.08.2010, n.
129, recante misure urgenti in
materia di energia. Proroga di termine per
l’esercizio di delega legislativa in materia
di riordino del sistema degli incentivi". |
NEWS |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il
blocco stipendi non è un dogma. Esclusi i
compensi da eventi straordinari. Ma urgono
chiarimenti. Molti gli aspetti problematici
della manovra 2010. Dubbi sulle assunzioni
nei mini-enti.
È in vigore da poco più di 20 giorni eppure
la manovra correttiva dei conti pubblici
(legge 122/2010) sta già creando più di un
grattacapo agli operatori delle pubbliche
amministrazioni e degli enti locali, alle
prese in questi giorni d'estate con i primi
tentativi di decifrare alcune disposizioni
particolarmente criptiche.
Soprattutto in materia di personale.
Occorrono chiarimenti su quale debba essere
il tetto del trattamento economico
individuale dei dipendenti pubblici per i
prossimi 3 anni. Su come operare la
riduzione del fondo per la contrattazione
decentrata in caso di diminuzione del numero
dei dipendenti. Su quale sia il numero
massimo di assunzioni a tempo indeterminato
che i comuni al di sotto dei 5 mila abitanti
possono effettuare a partire dallo 1°
gennaio 2011. E ancora, sull'applicazione
anche alle unioni dei comuni delle deroghe
per le assunzioni negli enti di nuova
istituzione; sulla estensione del blocco
della contrattazione collettiva per il
triennio 2010/2012 anche ai contratti
decentrati. Su cosa si debba intendere per
taglio delle spese destinate esclusivamente
alla formazione. Vediamoli nel dettaglio.
L'articolo 9 stabilisce che i compensi «ordinariamente
spettanti» per l'anno 2010 costituiscono
il tetto di quelli erogabili ai dipendenti
pubblici nel triennio 2011/2013 e che in
tale tetto non sono compresi i compensi
«derivanti da eventi straordinari della
dinamica retributiva», quali gli arretrati,
le assenze, le malattie, la maternità, il
«conseguimento di funzioni diverse».
Rispetto al testo iniziale del decreto sono
state inserite queste eccezioni ed è stata
sostituita la base di riferimento, che non è
più quella di cassa, cioè il trattamento in
godimento, ma quella di competenza, cioè il
trattamento spettante in via ordinaria.
Sulla base del nuovo testo è evidente che lo
svolgimento di compiti diversi, ad esempio
avere attribuita per la prima volta una
posizione organizzativa o averne una di peso
maggiore, non rientra nel blocco. Così come
nuove modalità di svolgimento della
prestazione, ad esempio il turno, la
reperibilità o lo svolgimento nelle giornate
festive sembrano escluse dal blocco. Ed
ancora si deve escludere lo svolgimento, ad
esempio per ragioni elettorali o per eventi
eccezionali, di ore aggiuntive di lavoro
straordinario.
Mentre l'ottenimento di una posizione di
progressione economica determina
necessariamente che il dipendente debba
ricevere una quantità minore di risorse
legate al trattamento accessorio per non
superare il tetto, in quanto siamo in
presenza di un miglioramento che ha
carattere continuativo: di fatto siamo in
presenza di un blocco sostanziale di questo
istituto.
Rimane da chiarire se il conseguimento di
premi in ragione di valutazioni positive e
della applicazione del dlgs n. 150/2009,
cosiddetta legge Brunetta, rientri o meno in
questo ambito: a parere di chi scrive la
volontà del legislatore va in senso
contrario e nel trattamento economico «ordinariamente
spettante» vanno compresi solo quello
fondamentale e le altre voci che hanno un
carattere sostanzialmente analogo, cioè
stabile, con esclusione invece di quelle
legate allo svolgimento delle proprie
prestazioni.
Un secondo dubbio riguarda il modo con cui
ridurre il fondo a seguito della diminuzione
del numero di dipendenti: la norma si limita
a dirci che essa deve avvenire
automaticamente ed in misura proporzionale,
mentre manca ogni riferimento alla base di
calcolo. In particolare non viene chiarito
se il taglio debba avvenire esclusivamente
sulla parte stabile o anche su quella
variabile e come determinare la proporzione.
Ad avviso di chi scrive, stante la sua
natura, la proporzione va calcolata in
rapporto al numero dei dipendenti in
servizio: per cui si deve ridurre il fondo
della quantità di risorse attribuita come
media ad ogni dipendente, a prescindere dai
residui e dalle parti non utilizzate. Questa
appare come la lettura più appropriata del
carattere proporzionale del fondo, per cui
non si deve fare riferimento al trattamento
economico accessorio in effettivo godimento
da parte del dipendente cessato.
Ed ancora il taglio non sembra comprendere
la parte variabile, che è oggetto di una
determinazione autonoma dell'ente, ma solo
la parte stabile. Occorre ricordare che a
questo taglio del fondo se ne può aggiungere
un altro a seguito della necessità di
restare dentro il tetto della spesa del
personale.
Per tutti gli enti locali viene fissato il
tetto delle assunzioni nel 20% della spesa
sostenuta per il personale cessato dal
servizio nell'anno precedente: la norma non
opera distinzioni tra enti soggetti o meno
al patto. Ma la norma non abroga il comma
562 della legge finanziaria 2007 che fissa
per gli enti non soggetti al patto il tetto
nel numero dei dipendenti cessati nell'anno
precedente. Ad avviso dell'Anci questa
disposizione continua ad essere in vigore,
per cui nelle amministrazioni più piccole
non si applica il nuovo ed assai più rigido
vincolo.
Tale interpretazione, che va nella direzione
di addolcire in misura assai rilevante
questa asprezza della cd manovra estiva, si
basa su una carenza della disposizione, ma
ha bisogno di conferme istituzionali in
quanto sembra contrastare con una precisa
volontà legislativa, determinando una
condizione di favore per gli enti di più
ridotte dimensioni.
Gli enti di nuova istituzione possono, nei
cinque anni successivi, assumere personale
entro il tetto del 50% delle entrate
correnti certe e continuative e del 60%
della propria dotazione organica. Tale
deroga sembra applicabile anche alle unioni
di comuni, che ovviamente non sono
sottoposte alla necessità di una preventiva
autorizzazione da parte di ministeri.
Viene disposto il blocco dei contratti
collettivi per il triennio 2010/2012. La
formulazione assai ampia utilizzata dal
legislatore sembra comprendere non solo i
contratti nazionali, ma anche quelli
decentrati integrativi. Il che produce
effetti assai dirompenti sulla concreta
applicazione del dlgs n. 150/2009, cd legge
Brunetta, che impone la revisione dei
contratti decentrati integrativi entro
l'anno per le amministrazioni dello stato ed
entro il 2012 per gli enti locali. Al di
fuori di tale vincolo si pone unicamente la
contrattazione per la ripartizione del fondo
per il trattamento economico accessorio.
Con una disposizione di dubbia legittimità,
e sulla cui opportunità non si possono che
avere ancora più dubbi, sono state tagliate
del 50% rispetto al 2009 le spese per la
formazione. Il testo finale ci dice che il
vincolo riguarda le spese destinate
esclusivamente ad attività di formazione. In
tal modo si è evidentemente cercato di
restringere l'ambito di applicazione e si
sono volute escludere le attività in cui la
formazione è una componente, che si aggiunge
alla erogazione di servizi o di prestazioni
professionali
(articolo ItaliaOggi
del 20.08.2010, pag. 30 - link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Salario
accessorio da ridurre. Le risorse variabili
del fondo devono decrescere ogni anno. La
manovra 2010 introduce l'ennesimo vincolo
all'aumento della spesa per il personale.
Le risorse variabili del
fondo contrattuale per il salario accessorio
debbono decrescere annualmente. L'articolo
9, comma 2-bis, del dl 78/2010, convertito
in legge 122/2010 introduce di fatto un
nuovo ed ennesimo vincolo alla crescita
della spesa di personale nelle
amministrazioni pubbliche e, in particolare,
negli enti locali.
La disposizione, pur consentendo di
distribuire tra i dipendenti la retribuzione
legata al risultato senza congelare la
remunerazione del singolo dipendente a
quanto percepito (sempre solo a titolo di
salario accessorio) nel 2010, stabilisce che
«a decorrere dall'01.01.2011 e sino al
31.12.2013 l'ammontare complessivo delle
risorse destinate annualmente al trattamento
accessorio del personale, anche di livello
dirigenziale, di ciascuna delle
amministrazioni di cui all'articolo 1, comma
2, del decreto legislativo 30.03.2001, n.
165, non può superare il corrispondente
importo dell'anno 2010 ed è, comunque,
automaticamente ridotto in misura
proporzionale alla riduzione del personale
in servizio».
Si introduce, come è evidente, un vincolo
alla spesa complessiva connessa al salario
accessorio, prendendo come riferimento
quella sostenuta nel 2010. Non solo: poiché
dal 2011 sarà consentito sostituire solo il
20% del personale cessato, l'ammontare delle
risorse destinate al salario accessorio deve
necessariamente scendere, anche se di poco,
rispetto all'anno precedente.
Per gli enti locali il vincolo appare
particolarmente stringente e destinato a
rimanere operante anche successivamente al
31/12/2013. Occorre, allo scopo, combinare
la disposizione vista prima col testo
dell'articolo 1, comma 557, della legge
296/2006, come novellato sempre dalla
manovra economica estiva, ai sensi del quale
comuni e province debbono rispettare il
principio del «contenimento delle
dinamiche di crescita della contrattazione
integrativa, tenuto anche conto delle
corrispondenti disposizioni dettate per le
amministrazioni statali».
La
formulazione della norma null'altro è se non
un giro di parole, per affermare che gli
enti locali allo scopo di contenere il costo
della spesa di personale non solo possono,
ma in assenza di altre soluzioni, debbono
ridurre quanto destinato al finanziamento
dei fondi contrattuali.
Salta, allora, sia pure in parte, uno dei
capisaldi dell'autonomia degli enti locali
in tema di contrattazione: la possibilità di
incrementare le risorse variabili in modo
autonomo, anche se condizionato
dall'attivazione di servizi di maggiore
qualità, richiedenti una superiore
produttività. Tale facoltà è concessa
dall'articolo 15, comma 5, del Ccnl
01/04/1999.
È inevitabile applicare adesso la norma
contrattuale alla luce delle limitazioni
poste dalla manovra. Da un lato, sicuramente
fino al 31/12/2013 l'incremento facoltativo
delle risorse variabili non potrà essere del
tutto discrezionale, poiché complessivamente
l'ammontare del salario accessorio non potrà
superare quello del 2010, al netto delle
riduzioni proporzionali alle fuoriuscite di
personale. Dall'altro, enti che denuncino
situazioni di eccesso di spesa di personale
tali da portarli vicino o oltre la soglia
del 40% dell'incidenza di tale spesa sul
totale di quella corrente, saranno tenuti ad
agire primariamente sugli oneri della
contrattazione, per invertire la tendenza e
diminuire la spesa di personale, sia in
termini assoluti, sia in termini
percentuali.
Non manca tra gli interpreti qualche voce
secondo la quale addirittura le disposizioni
della legge 122/2010 in esame avrebbero di
fatto abolito implicitamente l'articolo 15,
comma 2, del citato Ccnl 01/04/1999, che
consente agli enti locali di incrementare le
risorse variabili, previo rispetto di alcuni
parametri di virtuosità.
Tale tesi appare tuttavia eccessivamente
restrittiva. Dovendo portarla alle estreme
conseguenze, essa dovrebbe indurre a
considerare abolito, allora, anche il comma
5 dell'articolo 15 del Ccnl 01/04/1999 e
ogni altra disposizione contrattuale che
consenta incrementi facoltativi alle risorse
variabili.
Le cose, però, non stanno così. Gli enti
locali mantengono la possibilità di
incrementare le risorse variabili, in
applicazione dell'espressa facoltà loro
concessa dall'articolo 40, comma
3-quinquies, del dlgs 165/2001. Ma, la
manovra 2010 restringe i margini di
discrezionalità, fino ad annullarli per gli
enti non virtuosi e, comunque, a contenerli
entro gli obblighi di progressiva riduzione,
derivanti dalle cessazioni dal servizio del
personale.
Resta, tuttavia, irrisolto il problema di
come quantificare la riduzione delle risorse
variabili in funzione delle cessazioni dei
dipendenti, poiché il salario connesso al
risultato non è per sua natura
quantificabile in modo fisso e certo
(articolo ItaliaOggi
del 20.08.2010, pag. 29). |
INCARICHI PROGETTUALI: Progettazioni
Tariffe chiare e meno ribassi.
Maggiore dettaglio nella
definizione dei corrispettivi a base di gara
per la progettazioni; riferimento alle
tariffe professionali; accurata verifica
delle offerte anomale, riduzione
dell'incidenza dei ribassi offerti dai
progettisti; maggiore qualità nelle offerte.
Sono questi gli obiettivi perseguiti
dall'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici con la
determinazione 27.07.2010 n.
5 sui servizi di ingegneria e architettura
(si veda ItaliaOggi del 29/7/2010), che fa
seguito ai lavori condotti da un apposito
tavolo tecnico, cui hanno partecipato
rappresentanti degli ordini professionali,
delle associazioni di categoria interessate
e del ministero delle infrastrutture e dei
trasporti.
La determinazione è stata pubblicata sul
supplemento ordinario n. 196 alla Gazzetta
Ufficiale n. 192 del 18.08.2010.
Il provvedimento (corredato da dieci
tabelle) fornisce indicazioni e chiarimenti
sulle disposizioni vigenti relative alle
modalità di affidamento, alla determinazione
dell'importo a base di gara,
all'individuazione dei requisiti di
partecipazione e dei criteri di
aggiudicazione dell'offerta, prestando
particolare attenzione al procedimento di
verifica della congruità delle offerte
(articolo ItaliaOggi
del 20.08.2010, pag. 24). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Troppo
part-time blocca il Durc. Dal 1° ottobre
niente documento a chi supera i limiti del
ccnl. Le indicazioni della commissione
nazionale delle casse edili dopo l'accordo
del 19 aprile.
Niente Durc se in
cantiere lavorano troppi operai a tempo
parziale. Ed è troppo, per esempio, la
presenza di due operai a part-time in
un'impresa che ha in forza 65 operai a tempo
indeterminato. A partire dal prossimo 1°
ottobre, le casse edili considereranno
elemento di irregolarità contrattuale e
contributiva, ai fini del rilascio del
Documento unico di regolarità contributiva
(il Durc), l'eventuale superamento da parte
dell'impresa delle percentuali massime di
utilizzo di contratti part-time fissate dai
contratti collettivi del settore edile.
Lo rende noto la Cnce, la commissione
nazionale paritetica delle casse edili,
nella delibera n. 433/2010, in attuazione
dell'accordo 19.04.2010 di rinnovo del ccnl
edilizia.
Part-time vincolati.
Il vincolo all'utilizzo dei rapporti di
lavoro a tempo parziale nel settore edile,
vincoli di natura non normativa ma
contrattuale, è stato introdotto
dall'accordo 18.06.2008 di rinnovo del ccnl
20.05.2004.
Tale accordo, in particolare, disciplina il
lavoro a tempo parziale prevedendo che il
relativo rapporto può essere di tipo:
a) orizzontale, con riduzione della
prestazione rispetto all'orario normale
giornaliero;
b) verticale, con attività lavorativa svolta
a tempo pieno, ma limitatamente a periodi
predeterminati nel corso della settimana,
del mese o dell'anno;
c) misto, con combinazione delle due
precedenti modalità (orizzontale e
verticale).
Altresì, ha previsto la forma scritta per
l'instaurazione del rapporto con indicazione
dell'orario di lavoro con riferimento al
giorno, alla settimana, al mese o all'anno;
che la retribuzione, diretta e indiretta,
nonché tutti gli istituti contrattuali
devono essere riconosciuti in proporzione
all'orario di lavoro concordato; che le
parti (lavoratore e datore di lavoro)
possono stabilire condizioni per la
trasformazione del rapporto da tempo pieno a
tempo parziale o viceversa.
La novità, tuttavia, è stata l'introduzione
di un vincolo all'instaurazione di tali
rapporti. Per le assunzioni effettuate dal
1° agosto 2008, infatti, le imprese possono
assumere «operai» a tempo parziale
nella misura percentuale del 3% del totale
degli assunti a tempo indeterminato, fermo
restando la possibilità di assumere almeno
un operaio a tempo parziale se non si eccede
il 30% degli operai a tempo pieno dipendenti
dell'impresa (per due part-time occorrono 66
dipendenti a tempo pieno); nonché la
possibilità, per le imprese fino a tre
dipendenti, di assumere operai a tempo
parziale per un periodo massimo temporale
pari al 30% del monte ore annuale degli
addetti occupati nell'impresa.
L'accordo 19.04.2010.
La novità del vincolo ai part-time riguarda
solamente il personale con qualifica di
operaio. Sono invece esclusi i contratti a
tempo parziale stipulati per gli impiegati,
per gli operai non adibiti alla produzione,
esclusi gli autisti, per gli operai di 4°
livello, per gli operai occupati in lavori
di restauro e archeologici, per gli operai
che fruiscano di trattamento pensionistico
nonché per le trasformazioni di rapporti da
full-time a part-time motivate dal gravi
problemi di salute del richiedente, ovvero
da necessità di assistenza del coniuge o
parenti che richiedano assistenza continua.
Il vincolo ha avuto finora riflessi
solamente contrattuali (assunzioni) e
contributivi (versamenti contributivi).
L'accordo di rinnovo sottoscritto il 19
aprile scorso, però, ha aggiunto
un'ulteriore conseguenza al vincolo: la
regolarità contributiva.
Stop al Durc.
In sostanza, la nuova disciplina (del ccnl)
stabilisce che la presenza di contratti a
tempo parziale in misura eccedente le
percentuali previste dal ccnl impedisce il
rilascio del Durc. Per l'entrata in vigore
della nuova disposizione è stato affidato il
compito alla Cnce di recepire con propria
delibera il nuovo criterio di «regolarità
contributiva».
Ciò è avvenuto con la delibera n. 433/2010,
la quale ha fissato l'operatività della
nuova disposizione dal prossimo 1° ottobre.
Entro questa data, dunque, le imprese hanno
tempo per regolarizzare eventuali surplus di
rapporti a tempo parziale. Solo in tal modo
potranno evitare il diniego del rilascio del
Durc che, inevitabilmente, scatterà dal 1°
ottobre
(articolo ItaliaOggi
del 19.08.2010, pag. 26). |
EDILIZIA PRIVATA: S.C.I.A.,
due mesi per fare i controlli. Tempi stretti
per verificare che le nuove attività siano
in regola. Lo Sviluppo economico interviene
sul passaggio da Dia a segnalazione
certificata d'inizio attività.
Dalla Dia si passa alla
Scia. Con qualche novità per la prassi: per
effettuare i controlli ci saranno solo due
mesi di tempo. Scaduto il termine la
pubblica amministrazione avrà limitatissime
possibilità per intervenire. Non solo. In
sostituzione di pareri prescritti dalla
norma ci potranno essere attestazioni
redatte dal tecnico di fiducia. Quindi, sarà
possibile conciliare la Scia con le
differenti tipologie di Dia previste in
origine.
Il ministero dello sviluppo economico ha
fatto il punto della situazione chiarendo
cosa (e come) cambia dopo la legge 122/2010.
A meno di due mesi di distanza dall'entrata
in vigore delle rilevanti modifiche all'art.
19 della legge 241/1990 a seguito del dlgs
59/2010 di recepimento della direttiva
Bolkestein, le carte sono state nuovamente
rimescolate.
Così il dicastero riscrive le regole del
gioco. E lo fa con la
circolare 10.08.2010 n. 3637/C;
un atto attraverso cui il dipartimento
impresa e internazionalizzazione, direzione
generale per il mercato, la concorrenza, il
consumatore, cerca di chiarire la situazione
dopo che la dichiarazione d'inizio attività,
la Dia per intenderci, è stata sostituita
dalla segnalazione certificata di inizio
attività, la Scia. Così, sono molte le
novità contenute nel novellato articolo 19,
a seguito della legge 122, pubblicata in
Gazzetta Ufficiale il 30 luglio scorso.
Legge di conversione della manovra economica
d'estate, ovvero del decreto legge 78/2010.
Così, l'intento del ministero è fornire
alcune prime indicazioni, pur dando atto
della necessità di riservare a un futuro
momento, più complete e meditate istruzioni.
Quattro le sezioni in cui la circolare è
articolata:
1) le considerazioni generali;
2) un'analisi dell'impatto della Scia sulla
normativa per l'installazione di impianti,
autoriparazione, pulizie e facchinaggio;
3) uno specifico esame dell'impatto sulla
disciplina per l'attività di
intermediazione, per l'agente ed il
rappresentante di commercio, il mediatore
marittimo e lo spedizioniere;
4) infine, una specifica sezione è dedicata
alle attività di vendita e somministrazione
che, più di ogni altra, sono state
profondamente innovate dal dlgs 59/2010 e
che, quindi, ora sono nuovamente
rivoluzionate.
Per quanto riguarda gli aspetti generali, il
direttore Gianfrancesco Vecchio, rileva che
una delle novità contenute nel nuovo art. 19
riguarda la possibilità di corredare la Scia
con le attestazioni e asseverazioni di
tecnici abilitati che sostituiscono anche
eventuali pareri di organi o enti appositi.
Inoltre, la p.a. ha 60 giorni di tempo per
esperire i controlli, dopodiché può
intervenire soltanto in rigide ipotesi, tra
le quali la mendacità delle dichiarazioni
fornite nella Scia o per pericolo di danno
al patrimonio artistico e culturale, o per
l'ambiente, la salute, la sicurezza pubblica
o la difesa nazionale.
Per quanto riguarda le attività di stretta
competenza delle camere di commercio anche
per ciò che riguarda la verifica dei
requisiti previsti, il Mise evidenzia che il
nuovo sistema semplifica le procedure perché
la Scia potrà essere contestuale a ComUnica.
Va rilevato, peraltro, chiosa la circolare,
che qualora una camera di commercio dovesse
adottare provvedimenti di inibizione
dell'attività, questi determineranno
l'iscrizione d'ufficio della cessazione
dell'attività illegittimamente svolta nella
posizione Rea dell'impresa. Più articolata
la sezione dedicata a commercio e
somministrazione, in forza del fatto che la
formulazione dell'articolo 19 della legge
241/1990 antecedente all'introduzione della
Scia, prevedeva per quest'ultimo distinte
ipotesi di Dia ad efficacia immediata o
differita.
La circolare prende in esame le singole
fattispecie per pervenire alla conclusione
che laddove era prevista la Dia andrà ora la
Scia, a condizione che l'ente competente non
si sia dotato di uno strumento di
programmazione; nel qual caso il
procedimento dovrà essere sottoposto a
autorizzazione.
Tra le fattispecie soggette a autorizzazione
la circolare elenca l'apertura di nuovi
esercizi pubblici; il trasferimento di sede
degli stessi nell'ipotesi di zona tutelata
dal comune attraverso lo strumento di
programmazione; l'avvio dell'attività di
vendita nelle medie o grandi strutture di
vendita compresi i centri commerciali e,
infine, il commercio su area pubblica sia se
esercitato in forma fissa sia itinerante (articolo ItaliaOggi
del 18.08.2010, pag. 24). |
PUBBLICO IMPIEGO: Controlli
in chiaro sulle e-mail. Vanno definite le
procedure per le verifiche contro l'uso
personale. Per il datore di lavoro opportuno
codificare le regole sull'utilizzo di posta
elettronica ed internet.
E' difficile immaginare lo svolgimento di
mansioni d'ufficio senza l'accesso a
internet e alla posta elettronica; il loro
uso ha cambiato radicalmente non soltanto il
modo di svolgere la prestazione lavorativa,
ma anche le abitudini di vita ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 18.08.2010, pag. 23 - link a www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI: Costi
di bonifica fuori dalle spese correnti.
La bonifica di un'area è operazione neutrale
sotto il profilo finanziario e la relativa
spesa è connotata da caratteri di assoluta
eccezionalità; tali oneri possono essere
esclusi dal computo delle spese correnti.
La Corte dei conti, sezione regionale di
controllo per la Lombardia, è intervenuta
–con il
parere 26.07.2010 n. 822–
sulla base della richiesta del comune di
Cassolnovo (Pv).
Nel 2009 l'ente non ha rispettato il patto
di stabilità e il bilancio corrente è stato
redatto con l'applicazione delle sanzioni
previste dalla normativa. Si è, però,
verificato uno versamento di olio esausto in
terreni agricoli, da parte di ignoti, e
pertanto l'ente ha dovuto bonificare l'area.
La spesa comporterà il mancato rispetto del
patto per il 2010 e l'impossibilità di
rispettare la sanzione della spesa corrente
minima degli ultimi tre esercizi. Si chiede,
dunque, se tale spesa possa essere esclusa
dal saldo finanziario e dalle sanzioni 2009.
La Corte effettua un esaustivo esame della
normativa sul settore rifiuti, osservando
che il risarcimento del danno per la
bonifica del sito grava, in linea generale,
sull'autore della condotta o comunque sul
proprietario dell'area, a certe condizioni e
di conseguenza, l'operazione è neutra sotto
il profilo finanziario.
In relazione alla possibilità di escludere
la spesa in oggetto dal computo del patto,
il Collegio ritiene che non si possano
introdurre eccezioni alla norma, che
inizialmente prevedeva la possibilità di
escludere le spese sostenute dai comuni per
la bonifica di siti inquinati.
Tale possibilità è stata poi abrogata. Nel
caso in cui sia ravvisabile in capo al
proprietario dell'area dolo o colpa, l'ente
locale può accertare la relativa entrata,
computandola di fini del patto di stabilità,
nei confronti dello stesso, anche se
l'attività di sversamento è opera di ignoti.
Nel caso in cui il proprietario non possa
rispondere della spesa la normativa
giuscontabile non permette l'accertamento
dell'entrata e pertanto la relativa spesa
grava sul saldo finanziario.
La spesa sostenuta diventa, invece,
rilevante, in quanto impedisce nel 2010 la
riduzione della spesa corrente nella misura
minima degli ultimi tre esercizi. In tal
caso, l'intervento non trova compensazione
in una voce di entrata, considerato che la
sanzione per la violazione del patto 2009,
non riguarda un saldo, bensì un tetto di
spesa.
Per la Corte, la sanzione è un meccanismo
rigido che opera sulla spesa corrente e il
rispetto non viene meno se durante
l'esercizio sorge la necessità di sostenere
spese non previste all'inizio dell'anno; in
tal caso l'ente dovrà effettuare la
riduzione di altre spese, liberando le
risorse necessarie.
Il principio è però applicabile nel caso di
spese impreviste, mentre la spesa oggetto
del parere è connotata da caratteri di
eccezionalità
(articolo ItaliaOggi
del 20.08.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi,
niente affidamenti diretti. Necessaria la
procedura comparativa anche per importi
minimi. Per la Corte dei conti i regolamenti
comunali che prescrivono il contrario sono
illegittimi.
Illegittimi i
regolamenti degli enti locali che consentono
l'affidamento diretto di incarichi di
collaborazione esterni, al di sotto di
determinate soglie dell'importo
contrattuale.
La Corte dei Conti, sezione regionale di
controllo per il Trentino-Alto Adige, con il
parere 10.06.2010 n. 18/2010 torna
sulla delicata questione dei criteri di
affidamento, censurando il regolamento di
organizzazione di un comune, che aveva
inserito nel regolamento la possibilità di
affidare gli incarichi professionali in via
diretta, senza cioè alcuna procedura
comparativa, a condizione che fossero di
valore inferiore ai 20 mila euro.
Dopo un primo rilievo della sezione, il
regolamento ha portato la soglia per gli
affidamenti diretti a 10 mila euro. Ma la
magistratura contabile ha censurato anche la
riduzione della soglia.
La deliberazione della sezione Trentino-Alto
Adige non si ferma, però, solo alla
stigmatizzazione dell'illegittimità del
regolamento e va oltre, fornendo preziose
indicazioni in merito ai presupposti al
ricorrere dei quali per le amministrazioni
risulterebbe possibile assegnare gli
incarichi senza procedere ad una selezione
preventiva.
In premessa, la deliberazione sottolinea che
in ogni caso l'ipotesi dell'affidamento
diretto deve costituire sempre un'eccezione,
da motivare, di volta in volta, nella
singola determinazione d'incarico con
riferimento all'ipotesi in concreto
realizzatasi. Ovviamente, la previsione di
una soglia di valore del contratto, specie
se particolarmente alta, consentirebbe di
trasformare l'affidamento diretto da evento
eccezionale a sistema normale.
Tra le motivazioni che possono giustificare
l'assegnazione senza procedura comparativa,
la magistratura contabile ritiene possa
farsi riferimento al requisito della «particolare
urgenza» connessa alla realizzazione
dell'attività discendente dall'incarico. In
altre parole, non deve risultare urgente
conferire l'incarico, ma svolgere
l'attività.
In aggiunta alle considerazioni della delibera, ovviamente anche nel caso
di urgenza le amministrazioni debbono aver
prima dell'incarico verificato che
sussistano tutti gli altri presupposti di
legittimità, tra i quali, in particolare, il
controllo sull'inesistenza della
professionalità all'interno dell'ente, la
pertinenza dell'attività con le competenze
istituzionali e la previsione nell'ambito
del programma degli incarichi, approvato dal
consiglio comunale.
Ancora, l'incarico diretto potrebbe
risultare ammissibile, a condizione che
l'amministrazione dimostri che le
prestazioni professionali di cui abbisogni
siano tali da non consentire forme di
comparazione. In questo caso, occorre avere
riguardo alla natura dell'incarico,
all'oggetto della prestazione oppure alle
abilità/conoscenze/qualificazioni
dell'incaricato. Insomma, per prestazioni
professionali infungibili, come quelle
caratterizzate da elevata funzione
intellettuale, è possibile non procedere
alla verifica comparativa, richiesta
dall'articolo 7, commi 6 e seguenti, del
dlgs 165/2001.
Ulteriore ipotesi di incarico diretto,
potrebbe essere una procedura selettiva
andata deserta, senza che ad essa abbia
partecipato alcun interessato.
In ogni caso, secondo la magistratura
contabile l'eccezionalità diretto è da
considerare di stretta interpretazione e non
consente deroghe, anche se discendenti
dall'esiguità del compenso pattuito per la
prestazione affidata al professionista
(articolo ItaliaOggi
del 20.08.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
ATTI AMMINISTRATIVI: Alla
convalida degli atti viziati di incompetenza
può provvedersi anche in pendenza di gravame
in sede amministrativa e giurisdizionale. E’
fatta salva la possibilità di convalida del
provvedimento annullabile, sussistendone le
ragioni di interesse pubblico ed entro un
termine ragionevole.
L’art. 6, legge 18.03.1968 n. 249, prevede
che, “Alla convalida degli atti viziati
di incompetenza può provvedersi anche in
pendenza di gravame in sede amministrativa e
giurisdizionale.”; l’art. 21-nonies,
legge n. 241/1990, al comma 2, sancisce che,
“E’ fatta salva la possibilità di
convalida del provvedimento annullabile,
sussistendone le ragioni di interesse
pubblico ed entro un termine ragionevole.”.
Tali disposizioni legittimano interventi
tesi ad emendare l’atto difforme dallo
schema legale tipico e definito dall’art.
21-octies, legge 241/1990, per il quale “1.
E’ annullabile il provvedimento
amministrativo adottato in violazione di
legge o viziato da eccesso di potere o da
incompetenza.”.
L’ambito di operatività dell’istituto
(utilizzabile quanto meno per il vizio di
incompetenza ex art. 6, legge n. 249/1968,
anche ove siano stati attivati i meccanismi
di reazione giurisdizionale o giustiziale)
coincide, quindi, con la nozione di
provvedimento annullabile e la funzione che
gli è propria, cioè emendare e conservare,
implica uno stretto collegamento tra atto
convalidato ed atto convalidante
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.08.2010 n. 5636 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: L’assegnazione
alla competenza consiliare
dell’organizzazione e dell’affidamento dei
servizi pubblici locali è costantemente
giustificata dal fatto che le scelte ad esse
sottese si connettono all’esercizio dei
poteri di indirizzo e di controllo
politico-amministrativo, caratterizzante
entrambi i momenti in cui si articola la
scelta ricadente, appunto, sul modulo e
sulle modalità di assegnazione del servizio.
L’assegnazione alla competenza consiliare
(cfr. C.S., sezione V, dec. 9301/2003)
dell’organizzazione e dell’affidamento dei
servizi pubblici locali è costantemente
giustificata dal fatto che le scelte ad esse
sottese si connettono all’esercizio dei
poteri di indirizzo e di controllo
politico-amministrativo, caratterizzante
entrambi i momenti in cui si articola la
scelta ricadente, appunto, sul modulo e
sulle modalità di assegnazione del servizio.
Gli elementi che devono poi confluire
nell’opzione sono stati, in materia di
servizi pubblici locali, fissati dall’art.
113, commi 5, 7 e 11, relativo ai soggetti
ai quali conferire il servizio, agli
elementi sull’espletamento delle gare ad
evidenza pubblica ed ai parametri di
controllo, costituenti oggetto del contratto
di servizio, quale fonte di disciplina dei
rapporti tra enti locali e società di
erogazione del servizio
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.08.2010 n. 5636 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Aumento
della Tarsu solo se collegato ai costi dei
servizi. Il Cds boccia la delibera non
adeguatamente documentata.
È illegittima la
delibera con la quale un comune ha aumentato
le tariffe della tassa per lo smaltimento
rifiuti solidi urbani, non supportata da
adeguata istruttoria volta a dimostrare uno
scostamento tra entrate e costo del
servizio.
Lo ha sancito il Consiglio di stato, Sez. V,
con la
sentenza 11.08.2010 n. 5616.
Nel caso in esame il Tar Lazio-Sezione
staccata di Latina, aveva accolto il ricorso
proposto dalla Confcommercio Ascom, contro
la deliberazione della giunta comunale di
Terracina, con la quale era stato
determinato l'incremento nella misura del
20% delle tariffe per lo smaltimento dei
rifiuti solidi urbani per il 2008.
In particolare, il tribunale regionale aveva
riconosciuto la mancanza di una motivazione
dal momento che l'amministrazione non aveva
indicato le ragioni per cui, a fronte della
necessità di assicurare la copertura totale
della spese e in assenza di dati certi in
ordine alla spesa e alle entrate, aveva
ritenuto di poter stabilire in una
determinata entità l'importo dell'aumento.
Contro questa sentenza aveva proposto
appello il comune di Terracina, lamentando
di aver avuto necessità di incrementare
complessivamente la tariffa Tarsu per
avvicinarsi al rispetto degli obblighi di
pareggio tra costi e ricavi previsto dalla
normativa di settore con riferimento
all'imminente applicazione della Tariffa
igiene ambientale (Tia) già a partire dal
2009 e ricordando come la relativa normativa
aveva previsto un periodo transitorio
durante il quale le amministrazioni comunali
avevano la facoltà di anticipare
l'applicazione delle disposizioni Tia dal
2009.
Aveva eccepito, infine, che la delibera di
incremento delle tariffe della Tarsu, in
quanto atto generale, era sottratto
all'obbligo di motivazione ai sensi
dell'art. 3, comma 3, legge n. 241/1990 e
successive modificazioni.
Il Consiglio di stato conferma la sentenza
di primo grado. Come osserva il collegio,
sebbene gli artt. 61 e 69, comma 2, dlgs
15.11.1993 n. 507 e 49 del dlgs n. 22 del
1997 consentano in sede di determinazione
della Tarsu la copertura integrale del costo
del servizio con la garanzia di una
percentuale minima del 50% e diano anche la
facoltà ai comuni di introdurre nella
vigenza del periodo transitorio, in via
sperimentale e graduale, il nuovo sistema di
tariffazione Tia, nel contempo è previsto
anche un reticolo di garanzie a favore degli
utenti.
Le disposizioni normative, infatti,
prescrivono un'adeguata istruttoria sulla
base di dati ufficiali che poi si deve
tradurre in una ragionevole giustificazione
dell'incremento del prelievo nelle relative
delibere comunali e, comunque, nei limiti
del costo complessivo del servizio.
Nel caso in oggetto la delibera comunale
impugnata è venuta sostanzialmente a
modificare la già vigente copertura minima
del servizio (che è un presupposto
indispensabile delle tariffe antecedenti) e
di conseguenza «doveva specificamente
esternare sulla base di dati ufficiali le
ragioni che avevano determinato l'aumento
per la copertura minima obbligatoria del
costo del servizio sulla base dello stesso
art. 69, 2° comma, dlgs. n. 507/1993 in
connessione con le altre disposizioni del
medesimo decreto che lo integrano».
L'amministrazione comunale, invece, ha
voluto applicare un incremento sostanzioso
del 20% delle precedenti tariffe senza avere
dati certi in ordine allo scostamento tra
entrate e costo del servizio, invocando
genericamente la necessità di assicurare la
tendenziale copertura totale della spesa,
che non viene in alcun modo indicata,
neppure per relationem.
Alla luce di queste considerazioni la
delibera non può che ritenersi illegittima
(articolo ItaliaOggi
del 17.08.2010, pag. 20). |
EDILIZIA PRIVATA: La
funzione dell’autorizzazione paesaggistica è
quella di verifica della compatibilità
dell’opera edilizia che si intende
realizzare con l’esigenza di conservazione
dei valori paesistici protetti dal vincolo.
Quest’ultimo contiene un accertamento circa
l’esistenza di valori paesistici
oggettivamente non derogabile e che è
compito dell’autorizzazione accertare in
concreto la compatibilità dell’intervento
con il mantenimento e l’integrità dei
richiamati valori.
Difatti, il paesaggio è un valore
costituzionale primario e, pertanto,
l’autorità amministrativa non deve svolgere
una ponderazione comparativa tra un
interesse primario ed un interesse
secondario, ma unicamente operare un
giudizio in concreto circa il rispetto da
parte dell’intervento progettato delle
esigenze connesse alla tutela del paesaggio
stesso.
La determinazione dell’ente locale deve,
dunque, essere motivata anche quando abbia
contenuto positivo, favorevole al
richiedente. Tale principio trova oggi
espresso fondamento normativo nell’articolo
3 della legge n. 241/1990, secondo il quale
ogni provvedimento amministrativo, di
contenuto sia negativo che positivo, deve
essere motivato, recando l’indicazione dei
presupposti di fatto e delle ragioni
giuridiche che hanno determinato la
decisione in relazione alle risultanze
dell’istruttoria.
L’articolo 82 del DPR n. 616/1977 (di poi la
normativa di cui all’art. 151 del D.Lgs. n.
490/1999 ed oggi quella contenuta nel D.Lgs.
n. 42/2004) configura un sistema complesso
di tutela del paesaggio, implicante
l’intervento sia della Regione che dello
Stato, in cui la concorrenza dei poteri è
disciplinata dal principio di leale
cooperazione ( Corte Cost., sent. n.
359/1995, n. 151/1986, n. 302/1988).
Con specifico riferimento ai poteri della
Regione (o dell’ente subdelegato), va
rilevato che la funzione dell’autorizzazione
paesaggistica è quella di verifica della
compatibilità dell’opera edilizia che si
intende realizzare con l’esigenza di
conservazione dei valori paesistici protetti
dal vincolo.
E’ stato, infatti, evidenziato (cfr. Cons.
Stato, VI, 14-11-1991, n.828; VI,
25-09-1995, n. 963) che quest’ultimo
contiene un accertamento circa l’esistenza
di valori paesistici oggettivamente non
derogabile e che è compito
dell’autorizzazione accertare in concreto la
compatibilità dell’intervento con il
mantenimento e l’integrità dei richiamati
valori.
Difatti, il paesaggio è un valore
costituzionale primario e, pertanto,
l’autorità amministrativa non deve svolgere
una ponderazione comparativa tra un
interesse primario ed un interesse
secondario, ma unicamente operare un
giudizio in concreto circa il rispetto da
parte dell’intervento progettato delle
esigenze connesse alla tutela del paesaggio
stesso.
La determinazione dell’ente locale deve,
dunque, essere motivata anche quando abbia
contenuto positivo, favorevole al
richiedente.
Tale principio, già consolidato in
giurisprudenza in relazione alla peculiare
natura dell’atto ed alla rilevanza degli
interessi coinvolti (cfr. Cons. Stato, VI,
15-12-1981, n.751; 19-05-1981, n. 221; IV,
18-11-1980, n. 1104), trova oggi espresso
fondamento normativo nell’articolo 3 della
legge n. 241/1990, secondo il quale ogni
provvedimento amministrativo, di contenuto
sia negativo che positivo, deve essere
motivato, recando l’indicazione dei
presupposti di fatto e delle ragioni
giuridiche che hanno determinato la
decisione in relazione alle risultanze
dell’istruttoria.
Quanto, poi, al contenuto di tale
motivazione, la giurisprudenza è ferma nel
ritenere, ai fini della congruità e
sufficienza della stessa, che debba esservi
l’indicazione della ricostruzione dell’iter
logico seguito, in ordine alle ragioni di
compatibilità effettive che – in riferimento
agli specifici valori paesistici dei luoghi
- possano consentire tutti i progettati
lavori, considerati nella loro globalità e
non esclusivamente in semplici episodi di
dettaglio (cfr. Cons. Stato, VI, 05-07-1990,
n. 692; 14-11-1991, n. 828; 25-09-1993, n.
963; 20-06-1995, n. 952).
Le considerazioni sopra svolte valgono anche
per il procedimento di condono edilizio di
opere realizzate su aree sottoposte a
vincolo, per il quale l’articolo 32 della
legge n. 47/1985 dispone che “il rilascio
della concessione o dell’autorizzazione in
sanatoria … è subordinato al parere
favorevole delle amministrazioni preposte
alla tutela del vincolo stesso”.
Invero, la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato,
VI, 28-01-1998, n. 114) ha avuto modo di
chiarire che il suddetto parere ha natura e
funzioni identiche alla autorizzazione
paesaggistica, in quanto entrambi gli atti
costituiscono il presupposto per
l’assentimento del titolo che legittima la
trasformazione urbanistico edilizia della
zona protetta; con la conseguenza che anche
in tale caso è applicabile il potere
ministeriale di annullamento del
provvedimento
(TAR Campania-Basilicata, Sez. II,
sentenza 07.08.2010 n. 10168 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI: Contributi
di bonifica, ora l'onere della prova cade
sul contribuente. Sentenza della Cassazione:
cartelle esattoriali? Tocca al cittadino
smentire eventuali vantaggi.
In caso di cartelle
esattoriali è il contribuente che deve
dimostrare di non trarre vantaggi dalle
opere di bonifica. Quando gli oneri relativi
a contributi di bonifica siano determinati
sulla base di un piano di classifica
definitivo, a carico del consorzio non è
prevista la dimostrazione di un vantaggio
diretto e specifico agli immobili ricompresi
nel piano di classifica stesso; non viene
tuttavia meno il diritto del contribuente di
fornire la prova contraria nel giudizio
tributario, e questo anche se il piano di
classifica non sia stato impugnato di fronte
al giudice amministrativo.
Sono queste le interessanti conclusioni che
si ricavano dalla
sentenza 21.07.2010 n. 17066
emessa dalla Sez. tributaria della Corte di
Cassazione.
La bonifica è una faccenda che riguarda
l'agricoltura; tuttavia, recentemente e in
maniera sempre più consistente, questi
contributi vedono come destinatario finale,
e sempre più spesso, i proprietari urbani.
I piani di classifica in effetti, vengono
predisposti sulla base di un piano-tipo,
circoscrivono e individuano anche immobili
che non traggono alcun beneficio dalla
bonifica; questi piani di classifica si
protraggono per molto tempo, mentre
dovrebbero essere valutati anno per anno
sulla base dei reali incrementi di valore
recati agli immobili sottoposti al
contributo; contro queste pretese, quando
illegittime, è possibile ricorrere
rivolgendosi alla Commissione tributaria
provinciale; questa può accogliere il
ricorso e disapplicare il «piano di
classifica» anche se questo stesso piano
di classifica non sia stato impugnato
dinanzi al giudice amministrativo.
Dinanzi al giudice tributario il
contribuente dovrà dimostrare di non trarre
alcun vantaggio diretto e specifico dalle
opere di bonifica e potrà far questo,
predisponendo specifiche perizie tecniche
che attestino la mancanza di benefici
diretti. È il caso di un contribuente che,
quale erede universale della madre,
proponeva ricorso contro il silenzio rifiuto
concernente il rimborso richiesto per
contributi versati per un complesso
immobiliare esistente nell'ambito del
comprensorio di bonifica; il contribuente in
relazione agli immobili, ricorreva sul
rilievo della inesistenza di un qualsiasi
vantaggio dalle opere di bonifica.
La Commissione provinciale di Bergamo, a
cui, si era rivolto lo stesso contribuente
ricorrendo, respingeva il ricorso. La
decisione veniva confermata dalla
Commissione regionale della Lombardia che
riteneva che la prova di un idoneo beneficio
si ricavasse dall'esistenza del piano di
classifica, tra l'altro definitivo, poiché
non impugnato dinanzi al giudice
amministrativo. La Cassazione tributaria ha
ribaltato completamente quanto stabilito dai
giudici dei due gradi di merito e disposto
il rinvio alla Commissione regionale della
Lombardia che dovrà valutare le prove
offerte dal contribuente.
I giudici di Piazza Cavour hanno tratto il
loro convincimento dal principio enunciato
nella sentenza n. 26009/2008 della
cassazione resa a Sezioni Unite; in questo
giudicato la Corte stabilisce che quando la
cartella esattoriale sia motivata con
riferimento ad un piano di classifica
approvato dalla regione, è onere del
contribuente provare di non trarre alcun
vantaggio diretto e specifico dalle opere di
bonifica.
In presenza di un piano di classifica,
infatti, nessuno specifico onere probatorio
grava sul consorzio; tale inversione
dell'onere probatorio quindi, realizza una
presunzione «iuris tantum» e non «iuris
de iure» (che può derivare solo dalla
legge) che consente al contribuente la prova
contraria. Il fatto di non aver impugnato il
piano di classifica, proseguono gli
ermellini, non pregiudica la contestazione
in sede tributaria.
Secondo il collegio, il contribuente è
ammesso a provare in giudizio la
insussistenza del beneficio, sia sotto il
profilo della inesistenza dello stesso, sia
in ordine ai criteri con cui il consorzio ha
messo in esecuzione le direttive per la
determinazione del contributo
(articolo ItaliaOggi
del 19.08.2010, pag. 25). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio della concessione edilizia (ora
permesso di costruire) impone
all'amministrazione comunale una preliminare
verifica circa la legittimazione sostanziale
del soggetto che chiede di esercitare lo ius
aedificandi, onde l'accertamento del
possesso del titolo a costruire costituisce
una condizione la cui mancanza impedisce
all'ente comunale di procedere oltre
nell'esame dell'istanza, anche se va escluso
l'obbligo di effettuare complesse indagini
dirette a ricostruire tutte le vicende
riguardanti l'immobile, quali l'inesistenza
di servitù o di altri vincoli reali idonei a
limitare l'attività edificatoria.
Deve ritenersi illegittima la concessione
edilizia rilasciata in base alla richiesta
di un solo comproprietario, dovendo
l'amministrazione verificare la sussistenza,
in capo al richiedente stesso, di un titolo
idoneo di godimento sull'immobile ed
accertare altresì la legittimazione
soggettiva di quest'ultimo, la quale
presuppone il consenso, anche tacito,
dell'altro proprietario in regime di
comunione.
La giurisprudenza amministrativa ha
affermato che: ”Il rilascio della
concessione edilizia (ora permesso di
costruire) impone all'amministrazione
comunale una preliminare verifica circa la
legittimazione sostanziale del soggetto che
chiede di esercitare lo ius aedificandi,
in tal senso inducendo la prescrizione di
cui all'art. 4 comma 1, l. n. 10 del 1977 («la
concessione è data dal sindaco al
proprietario dell'area o a chi abbia titolo
per richiederla [...]»), e
successivamente quella di cui all'art. 11
comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 («il
permesso di costruire è rilasciato al
proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo»), onde
l'accertamento del possesso del titolo a
costruire (da riconoscere a chiunque abbia,
in virtù di un diritto reale o di
obbligazione sull'immobile, la facoltà di
eseguire i lavori in progetto) costituisce
una condizione la cui mancanza impedisce
all'ente comunale di procedere oltre
nell'esame dell'istanza, anche se va escluso
l'obbligo di effettuare complesse indagini
dirette a ricostruire tutte le vicende
riguardanti l'immobile, quali l'inesistenza
di servitù o di altri vincoli reali idonei a
limitare l'attività edificatoria” (TAR
Emilia Romagna-Parma, 21.02.2007, n. 53).
La giurisprudenza del Consiglio di Stato,
proprio in considerazione della
trasformazione del territorio conseguente ad
opere di ben minore entità, ha affermato che
“l'attività edilizia soggetta a
concessione, determinando una apprezzabile
trasformazione dell'area interessata, sia
pure finalizzata al miglioramento oggettivo
della cosa, determina, di regola,
un'incidenza significativa sul diritto di
ciascuno dei comproprietari, deve ritenersi
illegittima la concessione edilizia
rilasciata in base alla richiesta di un solo
comproprietario, dovendo l'amministrazione
verificare la sussistenza, in capo al
richiedente stesso, di un titolo idoneo di
godimento sull'immobile ed accertare altresì
la legittimazione soggettiva di
quest'ultimo, la quale presuppone il
consenso, anche tacito, dell'altro
proprietario in regime di comunione"
(fattispecie relative alla richiesta di
realizzazione dell'asfaltatura di una strada
privata per la quale un altro
comproprietario aveva manifestato
espressamente il suo dissenso) Consiglio
Stato, sez. V, 15.03.2001, n. 1507
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 13.07.2010 n. 5677 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I fatti sopravvenuti che possono
legittimare la proroga del termine di inizio
o completamento dei lavori, della
concessione ddilizia, ai sensi dell'art. 15,
comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno
un rilievo automatico, ma possono costituire
oggetto di valutazione in sede
amministrativa qualora l'interessato
proponga un'apposita domanda di proroga, il
cui accoglimento è indefettibile affinché
non sia pronunciata la decadenza del titolo
edilizio.
In tema di efficacia della concessione
edilizia, il termine di tre anni stabilito
dall'art. 4, comma 4, l. 28.01.1977, n. 10,
per l'ultimazione dei lavori di costruzione
è perentorio e, come tale, non tollera
interruzioni o sospensioni.
La giurisprudenza ha affermato che “i
fatti sopravvenuti che possono legittimare
la proroga del termine di inizio o
completamento dei lavori ai sensi dell'art.
15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non
hanno un rilievo automatico, ma possono
costituire oggetto di valutazione in sede
amministrativa qualora l'interessato
proponga un'apposita domanda di proroga, il
cui accoglimento è indefettibile affinché
non sia pronunciata la decadenza del titolo
edilizio” (Cons. di St., IV, 10.08.2007,
n. 4423).
Nello stesso senso è del resto anche la
giurisprudenza penale: “in tema di
efficacia della concessione edilizia, il
termine di tre anni stabilito dall'art. 4,
comma 4, l. 28.01.1977, n. 10, per
l'ultimazione dei lavori di costruzione è
perentorio e, come tale, non tollera
interruzioni o sospensioni. In relazione
all'insorgenza di fatti estranei alla
volontà del concessionario e non imputabili
a sua colpa, la legge, invero, consente di
poter fruire di un più lungo periodo, ma
soltanto a condizione che ci si avvalga
delle procedure a tale scopo predisposte dai
commi 4 e 5 del succitato art. 4 (che
prevedono la richiesta di un provvedimento
di proroga della concessione edilizia,
ovvero di una nuova concessione per la parte
non ultimata)” (Cass. Pen., 25.03.1993)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 05.07.2010 n. 5569 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
decadenza della concessione edilizia opera
“di diritto”, cioè si verifica
automaticamente, ope legis.
Per quanto concerne la mancanza di un
formale provvedimento di decadenza della
concessione edilizia, si osserva che, nel
vigore della precedente normativa (art. 4 L.
28.01.1977 n. 10), la giurisprudenza
discuteva circa la natura costitutiva o
dichiarativa della pronuncia di decadenza
(in quest’ultimo senso cfr. Cons. di St., V,
27.03.2000, n. 1755).
Orbene, il testo unico in materia edilizia
D.P.R. n. 380/2001 ha inteso per l’appunto
porre fine a tale diatriba, chiarendo che la
decadenza opera “di diritto”, cioè si
verifica automaticamente, ope legis
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 05.07.2010 n. 5569 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
divieto di costruire ad una certa distanza
dalla sede stradale non deve essere inteso
restrittivamente, e cioè come previsto al
solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali emergenti dal suolo e
suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla sua incolumità delle persone, ma è
connesso alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all'occorrenza, dal
concessionario, per l'esecuzione dei lavori,
per l'impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni,
sicché le distanze previste dalla normativa
vanno rispettate anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede
stradale.
Giova richiamare l’art. 1 del D.Lgs.
16.12.1992, n. 495 (recante il regolamento
di esecuzione e di attuazione del codice
della strada), a mente del quale “le
distanze dal confine stradale all'interno
dei centri abitati, da rispettare nelle
nuove costruzioni, nelle demolizioni
integrali e conseguenti ricostruzioni o
negli ampliamenti fronteggianti le strade,
non possono essere inferiori a: a) 30 m per
le strade di tipo A […]”.
Contrariamente a quanto ritenuto dai
ricorrenti, il termine “fronteggianti”
non si riferisce affatto ai soli manufatti “in
elevazione” rispetto al livello della
strada, bensì a tutte le costruzioni che si
trovino, in proiezione orizzontale, di
fronte al confine stradale, e siano dunque
finitime ad esso.
Per costante giurisprudenza, infatti, il
divieto di costruire ad una certa distanza
dalla sede stradale non deve essere inteso
restrittivamente, e cioè come previsto al
solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali emergenti dal suolo e
suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla sua incolumità delle persone, ma è
connesso alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all'occorrenza, dal
concessionario, per l'esecuzione dei lavori,
per l'impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni,
sicché le distanze previste dalla normativa
vanno rispettate anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede
stradale (Cass., II, 01.06.1995, n. 6118;
Cons. di St., IV, 18.10.2002, n. 5716; id.,
25.09.2002, n. 4927; TAR Campania-Salerno,
II, 09.04.2009, n. 1383).
Del resto, già la normativa precedente (art.
4 del D.M. 01.04.1968) -rispetto alla quale
quella di cui all’art. 1 del D. Lgs.
16.12.1992, n. 495 si pone in linea di
coerente continuità– stabiliva che alle
distanze da osservarsi nella edificazione a
partire dal ciglio della strada e da
misurarsi in proiezione orizzontale, “va
aggiunta la larghezza dovuta alla proiezione
di eventuali scarpate”, con ciò
confermando che, al fine di escludere
l’applicazione della fascia di rispetto
stradale, non rileva che l’autostrada corra
(come nel caso di specie) su di un rilevato
posto ad una quota superiore rispetto a
quella del terreno oggetto della progettata
edificazione.
Per il resto, l’art. 9 della legge
24.03.1989, n. 122, nella parte in cui
consente di derogare agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi
vigenti, costituisce norma eccezionale, non
applicabile –ex art. 14 disp. prel. c.c.–
oltre i casi in essa specificamente
considerati (i divieti contenuti negli
strumenti urbanistici e nei regolamenti
edilizi)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 05.07.2010 n. 5565 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Gare:
in caso di illegittima aggiudicazione va
riconosciuta la perdita di chance. Il danno
è anche curriculare. Risarcimento in
percentuale variabile fra l'1 e il 5%.
Il risarcimento del
danno da illegittima aggiudicazione di una
gara di appalto va rapportato non soltanto
all'utile di impresa, ma anche al danno
curriculare derivante dalla mancata
acquisizione dell'appalto e alla conseguente
diminuzione di peso imprenditoriale in
termini di ridotto radicamento sul mercato;
tale danno va riferito a una percentuale
variabile fra l'1 e il 5% dell'appalto.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez.
VI, con la
sentenza 27.04.2010 n. 2384 in
merito a una fattispecie di risarcimento del
danno da riconoscere a una società
classificatasi al secondo posto in una
procedura di aggiudicazione di un appalto
pubblico.
L'amministrazione aveva infatti proceduto a
una illegittima aggiudicazione a favore di
un concorrente che aveva omesso di
presentare la fotocopia del documento di
identità a corredo dell'autocertificazione
sulla regolarità contributiva e
sull'insussistenza di cause di esclusione.
Il Consiglio di stato, dopo avere verificato
la non scusabilità dell'errore
dell'amministrazione (che non aveva tenuto
presente quanto previsto nella disciplina
sulle autocertificazioni di cui al dpr 445)
e quindi la sussistenza dei presupposti per
procedere al risarcimento della lesione
dell'interesse legittimo, entra nel merito
della quantificazione del danno da risarcire
al ricorrente che, senza l'aggiudicazione
illegittima, sarebbe risultato
aggiudicatario. A tale riguardo i giudici in
primo luogo richiamano la necessità di
rapportare il quantum del risarcimento
all'utile che l'impresa avrebbe conseguito a
seguito dell'aggiudicazione illegittimamente
negata.
La sentenza, in particolare, richiama la
giurisprudenza che, facendo leva
sull'articolo 122 del regolamento della
legge Merloni (dpr 554/1999) e sull'articolo
37-septies, comma 1, lettera c, della citata
Merloni, determina il risarcimento nella
misura del 10% dell'importo dell'appalto.
I giudici però precisano che, anche in
presenza di queste norme e della
giurisprudenza che si sviluppò negli anni
rispetto all'analoga disposizione della
legge fondamentale sui lavori pubblici, il
giudice deve giungere alla determinazione
del valore dopo una «concreta
determinazione, nei casi in cui sussistano
diversi rapporti fra costi e ricavi, in
termini documentabili dalla parte
interessata».
La sentenza chiarisce quindi in primo luogo
che non rientrano nel risarcimento del danno
tutti i costi che il concorrente ha
affrontato per presentare l'offerta (salvo
il caso, difficilmente, se non mai,
riscontrabile, in cui lo preveda la stazione
appaltante). Tali costi devono essere
infatti ricondotti a un investimento
riferibile al «rischio dell'impresa,
funzionale alla previsione di guadagno in
astratto quantificata».
In secondo luogo la sentenza richiama il
principio per cui il risarcimento del danno
per illegittima aggiudicazione deve essere
ricondotto alla cosiddetta «perdita di
chance», ovvero al guadagno che
l'impresa avrebbe potuto ottenere, in base a
una ragionevole valutazione di probabilità e
alle regole del mercato.
Inoltre i giudici aggiungono un passaggio di
particolare interesse relativo alla
specificazione di un ulteriore profilo che
dettaglia il principio generale della
perdita di chance. In particolare la
sentenza precisa che «appare poi
ragionevole» che nella definizione del
risarcimento sia compreso quello che viene
definito «danno curriculare» che si
sostanzia nella riduzione («deminutio»)
di peso imprenditoriale della società
causato dal non avere potuto aggiudicarsi la
commessa che, invece, se non ci fosse stata
l'illegittima aggiudicazione, sarebbe
spettata.
Il Consiglio di Stato chiarisce che questa
riduzione di peso imprenditoriale «può
essere rapportata a un inferiore radicamento
nel mercato, anche come possibile concausa
di crisi economica o imprenditoriale, in
termini di difficile determinazione, ma in
linea di massima rapportabili a valori
percentuali compresi fra l'1 e il 5%
dell'importo globale del servizio da
aggiudicare»
(articolo ItaliaOggi
del 18.08.2010, pag. 30 - link a www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Ordinanza di rimozione rifiuti in
caso di costruzioni e riutilizzo di inerti
edili.
Il potere di ordinanza previsto dall'art.
192 del D.Lgs. n. 152/2006 (ed in precedenza
dall'art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997) ha un
diverso fondamento rispetto alle ordinanze
disciplinate dall'art. 54 del T.U.E.L. e
prefigura un'ordinanza di sgombero a
carattere sanzionatorio, di cui è riprova il
fatto che, per la sua applicazione a carico
dei soggetti obbligati in solido, è
necessaria l'imputazione agli stessi a
titolo di dolo o colpa del comportamento
tenuto in violazione dei divieti di legge.
Va ricordato che il riutilizzo del materiale
proveniente dall'attività di costruzione non
può prescindere dalla preventiva attività di
separazione richiesta dal D.M. 05.02.1998,
posto che i materiali residuanti dalla
attività di demolizione edilizia conservano
la natura di rifiuti sino al completamento
delle attività di separazione e cernita, in
quanto la disciplina in materia di gestione
dei rifiuti si applica sino al completamento
delle operazioni di recupero, tra le quali
il citato art. 183, lett. h) indica la
cernita o la selezione.
In ogni caso, inoltre, il riutilizzo nelle
opere di riempimento deve avvenire, come
ribadito dall’art. 186 del citato D.Lgs.
senza recare pregiudizio all'ambiente (TAR
Veneto, Sez. III,
sentenza 29.09.2009 n. 2454 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
terzi, lesi dal rilascio di un permesso di
costruire, conservano una c.d. “doppia
tutela”: oltre ad esperire davanti al
giudice ordinario l’azione civile per la
demolizione in caso di violazione delle
disposizioni sulle distanze, possono
impugnare davanti al giudice amministrativo
il titolo abilitativo illegittimo.
Per quanto concerne la tutela dei terzi,
lesi dal rilascio di un permesso di
costruire, questi conservano una c.d. “doppia
tutela”: oltre ad esperire davanti al
giudice ordinario l’azione civile per la
demolizione in caso di violazione delle
disposizioni sulle distanze, possono
impugnare davanti al giudice amministrativo
il titolo abilitativo illegittimo.
Certamente è necessario che siano titolari
di interessi differenziati, come nel caso,
che qui ricorre, di collegamento non
occasionale all'insediamento abitativo nel
cui ambito si colloca la costruzione
assentita; collegamento derivante dalla
proprietà di immobili in zona (in questo
caso confinanti; cfr. Cons. Stato, sez. V,
30.01.2003, n. 469; V, 07.04.2004, n. 1968;
IV, 11.12.1998, n. 1627).
E’ evidente che la riconosciuta
legittimazione non può dipendere,
soprattutto quando si discute delle
distanze, dall’entità dell’intervento
contestato
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 13.06.2008 n. 2954- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
tema di distanze legali, solo il muro di
contenimento di una scarpata o di un
terrapieno naturale non può considerarsi
"costruzione" agli effetti della disciplina
delle distanze per la parte che adempie alla
sua specifica funzione, e, quindi, dalle
fondamenta al livello del fondo superiore,
qualunque sia l'altezza della parete
naturale o della scarpata o del terrapieno
cui aderisce, impedendone lo smottamento; la
parte del muro che si innalza oltre il piano
del fondo sovrastante, invece, in quanto
priva della funzione di conservazione dello
stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina
giuridica propria delle sue oggettive
caratteristiche di costruzione in senso
tecnico giuridico, ed alla medesima
disciplina devono ritenersi soggetti, perché
costruzioni nel senso sopra specificato, il
terrapieno ed il relativo muro di
contenimento elevati ad opera dell'uomo per
creare un dislivello artificiale o per
accentuare il naturale dislivello esistente.
I requisiti essenziali del muro di cinta,
che a norma dell'art. 878 c.c. non va
considerato nel computo delle distanze
legali, sono costituiti dall'isolamento
delle facce, l'altezza non superiore a metri
3, la sua destinazione alla demarcazione
della linea di confine e alla separazione e
chiusura della proprietà; mentre quando non
si è in presenza di un dislivello naturale,
ma si tratta di un dislivello di origine
artificiale deve essere considerato
costruzione in senso tecnico-giuridico il
muro che assolve in modo permanente e
definitivo anche alla funzione di
contenimento di un terrapieno creato
dall'opera dell'uomo.
L’intervento
assentito con l’impugnato permesso di
costruire consiste nella realizzazione di un
terrapieno artificiale con mura di
tamponamento, necessario per portare “a
livello” della strada il terreno
adiacente all’immobile degli appellanti e
consentire così la creazione di un
parcheggio scoperto e di un muretto che lo
delimita.
Tale intervento costituisce una “nuova
costruzione” e non può essere
qualificato come manutenzione straordinaria
(semplice sistemazione di spazi aperti
comportante modifica alle quote dei
terreni), come affermato dagli appellanti e
ritenuto dal Comune (cfr., Cons. Stato, V,
n. 1835/1999).
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere
che in tema di distanze legali, solo il muro
di contenimento di una scarpata o di un
terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione"
agli effetti della disciplina delle distanze
per la parte che adempie alla sua specifica
funzione, e, quindi, dalle fondamenta al
livello del fondo superiore, qualunque sia
l'altezza della parete naturale o della
scarpata o del terrapieno cui aderisce,
impedendone lo smottamento; la parte del
muro che si innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della
funzione di conservazione dello stato dei
luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica
propria delle sue oggettive caratteristiche
di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi
soggetti, perché costruzioni nel senso sopra
specificato, il terrapieno ed il relativo
muro di contenimento elevati ad opera
dell'uomo per creare un dislivello
artificiale o per accentuare il naturale
dislivello esistente (Cass. civ, II, n.
145/2006; n. 243/1992; n. 12763/1991; Cons.
Stato, n. 5213/2007).
E’ stato anche precisato che i requisiti
essenziali del muro di cinta, che a norma
dell'art. 878 c.c. non va considerato nel
computo delle distanze legali, sono
costituiti dall'isolamento delle facce,
l'altezza non superiore a metri 3, la sua
destinazione alla demarcazione della linea
di confine e alla separazione e chiusura
della proprietà; mentre quando non si è in
presenza di un dislivello naturale, ma si
tratta di un dislivello di origine
artificiale deve essere considerato
costruzione in senso tecnico-giuridico il
muro che assolve in modo permanente e
definitivo anche alla funzione di
contenimento di un terrapieno creato
dall'opera dell'uomo (Cass. civ., II, n.
8144/2001) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 13.06.2008 n. 2954- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le verifiche di compatibilità
edilizia ed urbanistica delle infrastrutture
di comunicazioni elettroniche devono essere
svolte nell'ambito del procedimento
disciplinato dall'art. 87 d.lg. n. 259 del
2003.
Come è stato ritenuto dal Consiglio di Stato
con sentenza sez. VI, 28.02.2006, n. 889, le
verifiche di compatibilità edilizia ed
urbanistica delle infrastrutture di
comunicazioni elettroniche devono essere
svolte nell'ambito del procedimento
disciplinato dall'art. 87 d.lg. n. 259 del
2003.
Infatti, la "ratio" della riforma è
stata quella di semplificare il procedimento
e di concentrare al suo interno tutte le
relative valutazioni di carattere
urbanistico-edilizio e igienico-sanitarie,
le quali sono state unificate sul piano
procedimentale.
Il potere del
Comune, dopo la formazione del
silenzio-assenso dei 90 gg. previsto
dall'art. 87 del D.Lgs. 259/2003, si limita
alla eventuale autotutela annullatoria, alla
presenza dei presupposti tralaticiamente
affermati dalla giurisprudenza: sussistenza
di un’illegittimità, pur non sufficiente per
sé sola a sostenere l’annullamento,
esistenza di un interesse pubblico concreto
ed attuale alla rimozione dell'atto,
adeguata motivazione
(C.G.A.R.S.,
sentenza 11.06.2008 n. 514 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’applicazione
della sanzione demolitoria rispetto ad un
abuso edilizio consistente nell’esecuzione
di un’opera in assenza del titolo
abilitativo costituisce atto dovuto, per il
quale è "in re ipsa" l’interesse pubblico
alla sua rimozione.
La validità ovvero l’efficacia dell’ordine
di demolizione non risultano pregiudicate,
con la pretesa automaticità, dalla
successiva presentazione di un’istanza ex
art. 36 del d.p.r. 380/2001.
Nello schema giuridico delineato dall’art. 7
della legge n. 47/1985 (oggi art. 31 del
d.p.r. 380/2001) non vi è spazio per
apprezzamenti discrezionali, atteso che
l’applicazione della sanzione demolitoria
rispetto ad un abuso edilizio consistente
nell’esecuzione di un’opera in assenza del
titolo abilitativo costituisce atto dovuto,
per il quale è "in re ipsa"
l’interesse pubblico alla sua rimozione
(cfr. TAR Campania, Sez. IV, 24.09.2002, n.
5556; 04.07.2001, n. 3071; Consiglio Stato,
sez. IV, 27.04.2004, n. 2529).
Una volta accertata l'esecuzione di opere in
assenza di concessione non costituisce,
dunque, onere del Comune verificare la
sanabilità delle opere in sede di vigilanza
sull'attività edilizia (TAR Campania, Sez.
IV, 24.09.2002, n. 5556; TAR Lazio, sez.
II-ter, 21.06.1999, n. 1540).
In definitiva, l’atto può ritenersi
sufficientemente motivato per effetto della
stessa descrizione dell’abuso accertato,
presupposto giustificativo necessario e
sufficiente a fondare la spedizione della
misura sanzionatoria.
La Sezione
condivide l’orientamento giurisprudenziale
–già ripetutamente applicato (cfr. Tar
Campania Sez. II n. 9757 del 19.10.2007, n.
8345/2007, n. 10128/2004, n. 816/2005)–
secondo cui la validità ovvero l’efficacia
dell’ordine di demolizione non risultano
pregiudicate, con la pretesa automaticità,
dalla successiva presentazione di un’istanza
ex art. 36 del d.p.r. 380/2001.
Sul punto, mette conto evidenziare che nel
sistema non è rinvenibile una previsione
dalla quale possa desumersi un tale effetto,
sicché, se, da un lato, la presentazione
dell’istanza ex art. 36 D.P.R. 380/2001
determina inevitabilmente un arresto
dell’efficacia dell’ordine di demolizione,
all’evidente fine di evitare, in caso di
accoglimento dell’istanza, la demolizione di
un’opera che, pur realizzata in assenza o
difformità dal permesso di costruire, è
conforme alla strumentazione urbanistica
vigente, dall’altro, occorre ritenere che
l’efficacia dell’atto sanzionatorio sia
soltanto sospesa, cioè che l’atto sia posto
in uno stato di temporanea quiescenza.
All’esito del procedimento di sanatoria, in
caso di accoglimento dell’istanza, l’ordine
di demolizione rimarrà privo di effetti in
ragione dell’accertata conformità
dell’intervento alla disciplina urbanistica
ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso sia al momento
della presentazione della domanda, con
conseguente venir meno dell’originario
carattere abusivo dell’opera realizzata.
Di contro, in caso di rigetto dell’istanza,
l’ordine di demolizione a suo tempo adottato
riacquista la sua efficacia, che non era
definitivamente cessata, bensì era rimasta
solo sospesa in attesa della conclusione del
nuovo iter procedimentale, con la sola
precisazione che il termine concesso per
l’esecuzione spontanea della demolizione
deve decorrere dal momento in cui il diniego
di sanatoria perviene a conoscenza
dell’interessato, che non può rimanere
pregiudicato dall’avere esercitato una
facoltà di legge, quale quella di chiedere
l’accertamento di conformità urbanistica, e
deve pertanto poter fruire dell’intero
termine a lui assegnato per adeguarsi
all’ordine, evitando così le conseguenze
negative connesse alla mancata esecuzione
dello stesso.
In sostanza, considerato che il procedimento
di verifica della compatibilità urbanistica
dell’opera avviato ad istanza di parte è un
procedimento del tutto autonomo e differente
dal precedente procedimento sanzionatorio
avviato d’ufficio e conclusosi con
l’ordinanza di demolizione dell’opera
eseguita in assenza o difformità del titolo
abilitativo, il Collegio ritiene che non
sussista motivo per imporre
all’amministrazione comunale il riesercizio
del potere sanzionatorio a seguito
dell’esito negativo del procedimento di
accertamento di conformità urbanistica,
atteso che il provvedimento di demolizione
costituisce un atto vincolato a suo tempo
adottato in esito ad un procedimento
amministrativo sul quale non interferisce
l’eventuale conclusione negativa del
procedimento ad istanza di parte ex art. 36
D.P.R. 380/2001.
Un nuovo procedimento sanzionatorio,
infatti, si rivelerebbe, in assenza di
un’espressa previsione legislativa,
un’inutile ed antieconomica duplicazione
dell’agere amministrativo (cfr. anche Tar
Campania, Sezione III, n. 10369/2006)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 10.06.2008 n. 5818 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
potere di annullamento degli atti
amministrativi può essere sempre esercitato
parzialmente, nel senso che possono essere
annullati solo alcuni atti del procedimento,
mantenendosi validi ed efficaci gli atti
anteriori, qualora, rispetto a questi, non
sussistano ragioni demolitorie.
Nel caso di invalidità di una gara per
l'aggiudicazione di un contratto della p.a.
per la illegittima esclusione di alcune
ditte offerenti non occorre disporre la
rinnovazione integrale della procedura (con
la riapertura cioè, della stessa fase di
presentazione delle offerte) ma può
legittimamente mantenersi fermo il
subprocedimento di presentazione delle
offerte e disporre la rinnovazione solo
della fase dell'esame comparativo delle
offerte già pervenute.
Secondo principi generali del diritto
amministrativo, il potere di annullamento
degli atti amministrativi può essere sempre
esercitato parzialmente, nel senso che
possono essere annullati solo alcuni atti
del procedimento, mantenendosi validi ed
efficaci gli atti anteriori, qualora,
rispetto a questi, non sussistano ragioni
demolitorie.
Nel caso di invalidità di una gara per
l'aggiudicazione di un contratto della p.a.
per la illegittima esclusione di alcune
ditte offerenti non occorre disporre la
rinnovazione integrale della procedura (con
la riapertura cioè, della stessa fase di
presentazione delle offerte) ma può
legittimamente mantenersi fermo il
subprocedimento di presentazione delle
offerte e disporre la rinnovazione solo
della fase dell'esame comparativo delle
offerte già pervenute.
Ma ciò nelle sole procedure di
aggiudicazione "automatiche" nelle
quali l'accertamento dei vizi concernenti
l'ammissione o l'esclusione dei concorrenti
non comporta la necessità di rinnovare la
procedura sin dal momento della
presentazione delle offerte, perché il
criterio oggettivo e vincolato
dell'aggiudicazione priva di qualsiasi
rilevanza l'intervenuta conoscenza, da parte
della commissione giudicatrice dei contenuti
delle altre offerte già ammesse.
Solo quando si debbano effettuare
apprezzamenti di discrezionalità tecnica o
amministrativa, con attribuzione di punteggi
legati a valutazioni di ordine tecnico
(licitazione privata col metodo dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, appalto
concorso), l'illegittima esclusione di un
concorrente, se accertata dopo l’esame delle
offerte, rende necessario il rinnovo
dell'intero procedimento a partire dalla
stessa fase di presentazione delle offerte.
La riammissione delle concorrenti
originariamente escluse, infatti,
impedirebbe di effettuare una valutazione
delle loro offerte rispettando i principi
della "par condicio" tra i
concorrenti e della necessaria contestualità
del giudizio comparativo, perché la seconda
valutazione risulterebbe oggettivamente
condizionata dall'intervenuta conoscenza
delle precedenti offerte e dall'attribuzione
del punteggio
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.06.2008 n. 2843- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
L’approvazione del piano di
lottizzazione non è atto dovuto, anche se
conforme al piano regolatore generale, ma
costituisce sempre espressione di potere
discrezionale dell’autorità chiamata a
valutare l’opportunità di dare attuazione
alle previsioni dello strumento urbanistico
generale, essendovi fra quest’ultimo e gli
strumenti attuativi un rapporto di
necessaria compatibilità, ma non di formale
coincidenza.
La giurisprudenza amministrativa, con
indirizzo che può considerarsi pacifico,
afferma che l’approvazione del piano di
lottizzazione non è atto dovuto, anche se
conforme al piano regolatore generale, ma
costituisce sempre espressione di potere
discrezionale dell’autorità chiamata a
valutare l’opportunità di dare attuazione
alle previsioni dello strumento urbanistico
generale, essendovi fra quest’ultimo e gli
strumenti attuativi un rapporto di
necessaria compatibilità, ma non di formale
coincidenza (Consiglio di Stato, sez. IV,
02.03.2004 n. 957; id., 29.01.2008 n. 248).
Tale affermazione giurisprudenziale si
coordina con quanto in precedenza rilevato
circa il fatto che la conformità urbanistica
del piano di lottizzazione non esclude la
possibilità di una piena valutazione dei
contenuti di quest’ultimo, senza che ciò
implichi incisione delle previsioni dello
strumento superiore, almeno tutte le volte
in cui non vi sia un rapporto di necessaria
consequenzialità tra i contenuti dell’uno e
quelli dell’altro.
La mancata approvazione del piano di
lottizzazione non pone, quindi, in
discussione l’attualità delle previsioni del
Piano regolatore generale, né, tanto meno,
la conformità di esso alle linee guida
regionali.
Ciò in quanto, si ripete, la conformità allo
strumento di livello superiore non comporta
necessariamente la condivisione delle scelte
operate dallo strumento attuativo.
Alla luce di quanto evidenziato, va
affermato che al Consiglio Comunale va
riconosciuto ampio potere discrezionale
nella valutazione delle soluzioni proposte,
giacché esso esercita pur sempre poteri di
pianificazione del territorio comunale e non
di semplice riscontro della conformità del
piano allo strumento generale.
L’assenza di discrezionalità caratterizza il
rilascio del titolo edilizio, non certo
l’approvazione dello strumento attuativo, la
cui previsione da parte delle norme tecniche
d’attuazione risponde proprio all’esigenza
di consentire una valutazione discrezionale
in ordine al concreto assetto che si intende
imprimere la territorio.
Certamente l’esercizio di potere
discrezionale deve essere accompagnato da
congrua motivazione, ma, se non si vuole
ridurre la questione della completezza della
motivazione a mero esercizio teorico o,
addirittura, a petizione di principio, ciò
che occorre verificare è se le ragioni
esposte a fondamento del diniego possano, in
concreto, supportare le determinazioni
assunte
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 06.06.2008 n. 624 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
degrado di un immobile non è di ostacolo
all’imposizione del vincolo di cui alla l.
1089/1939, essendo il relativo provvedimento
volto in definitiva ad impedire l’ulteriore
degrado del bene e a garantire quanto meno
la conservazione del valore residuo; in
particolare, lo stato di cattiva
manutenzione o di parziale distruzione di un
bene non ne impedisce l'assoggettamento al
vincolo, restando rimessa alla valutazione
discrezionale dell'amministrazione
l’accertamento dell'idoneità di quanto
rimane dell'opera ad esprimere il valore
artistico e storico che si vuole tutelare;
valutazione sindacabile in sede di
legittimità solo sotto i profili della
manifesta illogicità e del travisamento dei
fatti.
La dichiarazione del valore storico
artistico di un bene con il giudizio
relativo circa l’interesse particolarmente
importante ai sensi della legge 01.06.1939
n. 1089 presuppone un giudizio di
discrezionalità tecnica, non sindacabile in
sede di giudizio di legittimità se non per
vizi di eccesso di potere per errore nei
presupposti e per manifesta illogicità e che
la normativa di riferimento, stabilisce,
negli artt. 1 e 2 della legge 01.06.1939, n.
1089, che sono sottoposti a vincolo, tra
l’altro, “le ville, i parchi e i giardini
che abbiano interesse artistico o storico”,
sempre che il loro interesse sia
particolarmente importante, secondo quanto
dispone il successivo art. 3, e che il
vincolo può essere apposto anche alle “cose
immobili che, a causa del loro riferimento
con la storia politica, militare, della
letteratura, dell'arte e della cultura in
genere, siano state riconosciute di
interesse particolarmente importante e come
tali abbiano formato oggetto di
notificazione, in forma amministrativa, del
Ministero per la educazione nazionale”.
In proposito deve premettersi, altresì, che,
mentre gli artt. 1 e 3 della citata legge
assoggettano a vincolo “le ville, i
parchi e i giardini” di valore storico-
artistico intrinseco particolarmente
importante, l’art. 2 della legge stessa
consente di sottoporre a vincolo, con
apposito provvedimento, ulteriori immobili,
che, pur non avendo in sé valore
storico-artistico, siano ciò nondimeno di
interesse particolarmente importante quale “testimonianza
storica”, per il loro riferimento alla
storia politica, alla storia militare, alla
storia della letteratura, dell’arte, e della
cultura in genere, e, dunque, ad un’epoca e
alle manifestazioni storiche e culturali di
quell’epoca e che il procedimento che dà
luogo all'emanazione del decreto di vincolo
dei beni indicati nell'art. 2 citato deve
accertare il collegamento dei beni e della
loro utilizzazione con gli accadimenti della
storia e della cultura, individuando
l'interesse “particolarmente importante”
del bene che può dipendere o dalla qualità
dell'accadimento che col bene appare
collegato o dalla particolare rilevanza che
il bene ha rivestito per la storia politica,
militare, della letteratura, dell'arte e
della cultura; dell'esistenza di tali
elementi occorre dare conto nella
motivazione dei provvedimenti di vincolo i
quali, tuttavia, nella parte in cui
esprimono il giudizio di rilevanza del
particolare interesse del bene,
costituiscono il frutto di un apprezzamento
tecnico-discrezionale che, secondo i
principi generali, è sindacabile sotto il
profilo della congruità e della logicità
della motivazione.
Il degrado di
un immobile non è di ostacolo
all’imposizione del vincolo di cui trattasi,
essendo il relativo provvedimento volto in
definitiva ad impedire l’ulteriore degrado
del bene e a garantire quanto meno la
conservazione del valore residuo; in
particolare, lo stato di cattiva
manutenzione o di parziale distruzione di un
bene non ne impedisce l'assoggettamento al
vincolo, restando rimessa alla valutazione
discrezionale dell'amministrazione
l’accertamento dell'idoneità di quanto
rimane dell'opera ad esprimere il valore
artistico e storico che si vuole tutelare;
valutazione sindacabile in sede di
legittimità solo sotto i profili della
manifesta illogicità e del travisamento dei
fatti (in tal senso, cfr. sez. VI,
23.11.1993, n. 927; 30.11.1995, n. 1362;
28.12.2000, n. 7034).
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.05.2008 n. 2430- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: In
materia d’accesso ai documenti
amministrativi, per controinteressati
s’intendono «… tutti i soggetti, individuati
o facilmente individuabili in base alla
natura del documento richiesto, che
dall'esercizio dell'accesso vedrebbero
compromesso il loro diritto alla
riservatezza…».
Il diritto d'accesso recede qualora si
tratti di dati personali (dati c.d.
«sensibili»), cioè di quegli atti idonei a
rivelare l'origine razziale o etnica, le
convenzioni religiose o politiche, lo stato
di salute o la vita sessuale dei terzi, nel
qual caso l'art. 60 del Dlgs 196/2003
consente l'accesso solo a condizione che la
posizione giuridica soggettiva, che il
richiedente deve far valere o difendere, sia
di rango almeno pari a quello della persona
cui si riferiscono tali dati.
L'accesso prevale anche sul diritto alla
riservatezza qualora sia strumentale alla
cura o alla difesa degli interessi giuridici
del soggetto richiedente, salvo che vengano
in considerazione (ma non è questo il caso)
appunto quei dati sensibili o
sensibilissimi, idonei cioè a rivelare lo
stato di salute o la vita sessuale, per il
cui trattamento dispone l’art. 60 del Dlgs
196/2003.
In materia d’accesso ai documenti
amministrativi, per controinteressati
s’intendono «… tutti i soggetti,
individuati o facilmente individuabili in
base alla natura del documento richiesto,
che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero
compromesso il loro diritto alla
riservatezza…». Non è chi non veda come
la norma primaria riconosca la posizione di
controinteresse in capo soltanto a coloro,
tra tutti quelli nominati o coinvolti nel
documento oggetto dell'istanza ostensiva,
che per effetto dell'accesso vedrebbero
pregiudicato il loro diritto alla
riservatezza.
Ebbene, non sottovaluta certo il Collegio
l'ampliamento e la progressiva importanza
assunta dal diritto alla riservatezza, ma
quest’ultimo concerne solo quelle vicende
collegate in modo apprezzabile alla sfera
privata del soggetto (cfr. così Cons. St.,
VI, 25.06.2007 n. 3601), secondo quanto al
riguardo prevedono, in generale (compresi i
dati sensibili e giudiziari), l’art. 59 e,
per i dati idonei a rivelare lo stato di
salute e la vita sessuale, l’art. 60 del
D.lgS. 30.06.2003 n. 196.
Sul punto, già la Sezione (cfr. TAR Lazio,
II, 19.10.2006 n. 10620) ebbe modo di
precisare, con statuizione da cui il
Collegio non ha motivo di discostarsi, che,
nel bilanciamento di interessi che connota
la disciplina del diritto d'accesso, questo
prevale sull'esigenza di riservatezza dei
terzi ogniqualvolta esso serva per la cura o
la difesa di interessi giuridici del
richiedente, come nella specie, dove il
Condominio controinteressato ha acceduto
agli atti del ricorrente per verificare se
ed in qual misura i lavori edili da lui
effettuati implichino pro-blemi alla statica
del fabbricato.
La Sezione ha altresì chiarito che il
diritto d'accesso recede qualora si tratti
di dati personali (dati c.d. «sensibili»),
cioè di quegli atti idonei a rivelare
l'origine razziale o etnica, le convenzioni
religiose o politiche, lo stato di salute o
la vita sessuale dei terzi, nel qual caso
l'art. 60 del Dlgs 196/2003 consente
l'accesso solo a condizione che la posizione
giuridica soggettiva, che il richiedente
deve far valere o difendere, sia di rango
almeno pari a quello della persona cui si
riferiscono tali dati (cfr. pure Cons. St.,
VI, 27.10.2006 n. 6440).
Fuori da questa ipotesi, che non sussiste in
materia urbanistico-edilizia —nel qual campo
il ricorrente ed il Condominio
controinteressato in pratica controvertono—,
resta fermo il jus receptum (cfr.,
per tutti, Cons. St., VI, 23.10.2007 n.
5569) per cui l'accesso prevale anche sul
diritto alla riservatezza qualora sia
strumentale (e nella specie, certamente lo
è) alla cura o alla difesa degli interessi
giuridici del soggetto richiedente, salvo
che vengano in considerazione (ma non è
questo il caso) appunto quei dati sensibili
o sensibilissimi, idonei cioè a rivelare lo
stato di salute o la vita sessuale, per il
cui trattamento dispone l’art. 60 del Dlgs
196/2003.
Sicché, ai fini dell’operatività
dell’istituto partecipativo ex art. 3, c. 2,
del DPR 184/2006, non basta predicare d’aver
un generico interesse alla riservatezza dei
dati cui un terzo intende accedere, a pena
di formulare una pretesa meramente
formalista, se non emulativa. Occorre,
infatti, fornire un serio principio di
prova, atto a dimostrare in concreto,
soprattutto quando non si versi in alcuno
dei casi ex artt. 59 e 60 del Dlgs 196/2003,
la natura comunque riservata delle
informazioni contenute in atti e documenti
altrimenti accessibili.
In altre parole, pure l’accesso ai documenti
amministrativi è procedimentalizzato secondo
le regole di cui all’art. 25 della l.
241/1990 ed agli artt. 2 e ss. del DPR
184/2006, sia pur con formula assai semplice
e priva di solennità, atta a garantire la
trasparenza e la conoscibilità dell’agire
amministrativo. Resta perciò fermo anche per
l’accesso il principio del raggiungimento
dello scopo di cui all’art. 21-octies della
l. 241/1990, onde le norme sulla
partecipazione al procedimento
amministrativo non possono esser applicate
meccanicamente e formalisticamente (arg. ex
Cons. St., V, 09.10.2007 n. 5251).
Tanto nella considerazione che l’omessa
comunicazione ex art. 3, c. 1 del DPR
184/2006 implica sì un vizio procedimentale
che si riverbera sull’ ammissione del
controinteressato ad accedere alle D.I.A.
de quibus, ma, poiché quest’ultima non
avrebbe potuto avere in concreto altro
risultato, è considerato dalla legge non
annullabile perché la circostanza che il suo
contenuto sia, malgrado i vizi, quello
corretto priva il ricorrente dell'interesse
a coltivare un giudizio annullatorio, da cui
non potrebbe ricavare alcuna concreta
utilità (arg. ex Cons. St., VI, 21.09.2006
n. 5547; id., IV, 12.09.2007 n. 4828, per la
violazione dell’art. 10-bis della l.
241/1990; id., V, n. 5251/2007, cit.).
Invero, non l’astratto scostamento dal
modello normativo determina l’illegittimità
dell’atto, ma solo la difformità che
danneggia in concreto la parte che lo
denuncia, stante lo stretto legame, proprio
del contenzioso amministrativo delineato
dapprima dalla giurisprudenza e, quindi,
dalla novella del 2005 alla l. 241/1990 tra
tutela dell’interesse azionato e vizio
dell’atto.
Non nega il Collegio che, tanto nel
procedimento, quanto nel processo innanzi a
questo Giudice, le forme rappresentino il
ragionevole punto d’equilibrio tra le
opposte esigenze e dimostrino la presumibile
conformità a diritto d’una statuizione che
non può pretendere, di per sé sola, di
legittimarsi per forza propria.
Tuttavia ed in disparte il ripudio
dell’ordinamento di tutele strumentali per
fini solo o ictu oculi emulativi o in
abuso di diritti, l'omessa allegazione, come
nella specie, d’ un sia pur minimo principio
di prova sull’utilitas ritraibile
(ossia, di un’effettiva riservatezza
rispetto ad esigenze di giustizia altrui)
implica che il ricorrente vanta solo un
interesse diseconomico, non coerente, cioè,
con i principi ex art. 1 della l. 241/1990,
che la P.A. procedente deve parimenti
realizzare
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 21.05.2008 n. 4790 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: All’interno
della procedura di gara i partecipanti
accettano il rischio di far conoscere ai
concorrenti la propria offerta tecnica
avendo come contropartita la possibilità di
esercitare un identico diritto di accesso
per conseguire o difendere l’aggiudicazione.
Nei confronti dei soggetti rimasti estranei
alla gara i concorrenti riacquistano però un
diritto pieno alla riservatezza.
Per superare tale diritto è necessario che
sia dimostrato come attraverso la tutela
della riservatezza sia in realtà garantita
una situazione di abuso. In altri termini la
richiesta di accesso non può essere fondata
semplicemente sull’esigenza esplorativa di
verificare se vi sia stata violazione della
proprietà intellettuale ma di tale
violazione devono essere forniti indizi
significativi.
Mentre per i concorrenti che si confrontano
nella procedura di gara vale il principio di
reciproca trasparenza ora codificato
dall’art. 13, comma 6, del Dlgs. 12.04.2006
n. 163, in base al quale le offerte tecniche
sono sempre conoscibili in tutti gli aspetti
rilevanti ai fini dell’aggiudicazione, per i
soggetti che come il ricorrente non hanno
partecipato alla gara il diritto di difesa
non può beneficiare di una tutela
altrettanto vasta.
In effetti, all’interno della procedura di
gara i partecipanti accettano il rischio di
far conoscere ai concorrenti la propria
offerta tecnica avendo come contropartita la
possibilità di esercitare un identico
diritto di accesso per conseguire o
difendere l’aggiudicazione. Nei confronti
dei soggetti rimasti estranei alla gara i
concorrenti riacquistano però un diritto
pieno alla riservatezza.
Per superare tale diritto è necessario che
sia dimostrato come attraverso la tutela
della riservatezza sia in realtà garantita
una situazione di abuso. In altri termini la
richiesta di accesso non può essere fondata
semplicemente sull’esigenza esplorativa di
verificare se vi sia stata violazione della
proprietà intellettuale ma di tale
violazione devono essere forniti indizi
significativi.
Sulla base di queste considerazioni deve
essere esclusa la possibilità per il
ricorrente di accedere direttamente
all’offerta tecnica della controinteressata
mentre gli deve essere consentito di
ricercare eventuali indizi di abuso presenti
nei restanti atti della procedura. Sono
quindi accessibili non soltanto le lettere
di invito e i provvedimenti di
aggiudicazione ma anche i verbali delle
commissioni giudicatrici. Questi ultimi
normalmente contengono riferimenti
descrittivi dell’offerta tecnica senza
tuttavia esporre nel dettaglio l’intero
progetto di gestione.
Da questi riferimenti un soggetto che opera
nello stesso settore, e quindi dotato di
adeguata professionalità, può desumere se vi
siano elementi che corrispondono alla
propria metodologia. L’accesso ai verbali
(senza allegati documentali) può quindi
essere considerato un ragionevole equilibrio
tra le esigenze di accesso e quelle di
riservatezza (anche ai sensi dell’art. 13
comma 7 del Dlgs. 163/2006 per quanto
riguarda i contratti nei settori speciali).
Se da questa forma parziale di accesso
emergessero elementi ulteriori a sostegno
del sospetto di utilizzazione abusiva della
proprietà intellettuale potrebbe poi essere
formulata una nuova e motivata istanza
all’ente aggiudicatore
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 20.05.2008 n. 521 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’assenza
nel bando di gara di una previsione volta a
consentire l’avvalimento non può essere
certo intesa nel senso di escludere
l’utilizzo di questo istituto, ma, al
contrario, in quello di ammetterlo nella
portata più ampia.
Al fine di dimostrare il possesso dei
requisiti necessari per la partecipazione ad
una gara d'appalto non è ammissibile un
“doppio avvalimento”.
L’assenza nel bando di gara di una
previsione volta a consentire l’avvalimento
non può essere certo intesa nel senso di
escludere l’utilizzo di questo istituto, ma,
al contrario, in quello di ammetterlo nella
portata più ampia (cfr. Cons. Stato, sez. VI,
22.04.2008, n. 1856), non ravvisandosi del
resto alcuna ragione, di ordine giuridico o
fattuale, atta a sostenere la tesi
dell’amministrazione secondo cui l’avvalimento
sarebbe incompatibile con il contratto di “concessione
di lavori” .
Al fine di dimostrare il possesso dei
requisiti necessari per la partecipazione ad
una gara d'appalto non è ammissibile un “doppio
avvalimento” (cfr. art. 49, comma 6,
d.lgs. n. 163/2006: “il concorrente può
avvalersi di una sola impresa ausiliaria per
ciascun requisito o categoria”)
(TAR Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 12.05.2008 n. 3875 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Le
disposizioni di dettaglio contenute
nell’art. 21 della legge nr. 109 del 1994,
in materia di nomina e composizione delle
Commissioni di gara negli appalti di lavori,
non sono automaticamente applicabili a
quelli di servizi e forniture.
Non è sempre e comunque necessario che la
Commissione di gara operi in composizione
plenaria, ben potendo ciò non avvenire
allorché la Commissione svolga una attività
meramente preparatorie o istruttorie, ferma
restando la necessità del plenum tutte le
volte che debba procedersi a valutazioni o
comunque ad attività decisorie.
Il Collegio non ravvisa ragioni che
autorizzino a discostarsi dal consolidato
orientamento secondo cui le disposizioni di
dettaglio contenute nell’art. 21 della legge
nr. 109 del 1994, in materia di nomina e
composizione delle Commissioni di gara negli
appalti di lavori, non sono automaticamente
applicabili a quelli di servizi e forniture
(cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez.
V, 19.06.2006, nr. 3579; sez. VI,
22.11.2005, nr. 6519; id. 12.11.2003, nr.
7251; sez. V, 10.06.2002, nr. 3207; sez. VI,
03.12.1998, nr. 1648).
Ciò discende, secondo l’avviso di gran lunga
prevalente, dal carattere eccezionale delle
disposizioni in oggetto (sia quelle relative
al numero e alle modalità di scelta dei
componenti la Commissione, sia quella che
impone che detta nomina avvenga dopo la
presentazione delle offerte da parte dei
concorrenti): e, difatti, anche laddove il
citato art. 21 è stato considerato
espressione di un principio generale, ciò si
è fatto limitatamente alla disposizione
secondo cui i membri della Commissione
devono essere in maggioranza esperti del
settore cui afferisce l’oggetto di gara, e
non certo anche in riferimento alle
ulteriori disposizioni di dettaglio
contenute nella medesima norma.
Occorre
richiamare il consolidato insegnamento
secondo cui non è sempre e comunque
necessario che la Commissione di gara operi
in composizione plenaria, ben potendo ciò
non avvenire allorché la Commissione svolga
una attività meramente preparatorie o
istruttorie, ferma restando la necessità del
plenum tutte le volte che debba procedersi a
valutazioni o comunque ad attività decisorie
(cfr. Cons. Stato, sez. VI, 06.06.2006, nr.
3386; id. 27.12.2000, nr. 6875; sez. IV,
07.07.2000, nr. 3819)
(cfr. ad esempio Cons. Stato, sez. V,
18.04.2004, nr. 1408) (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 12.05.2008 n. 2188 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
collegamento fra le imprese che osta alla
loro partecipazione alle gare non è solo
quello previsto dall'art. 2359 richiamato
dall'art. 10 comma 1-bis della legge n.
109/1994, atteso che la previsione della
norma civilistica si basa su una presunzione
che non può escludere la sussistenza di
altre ipotesi di collegamento o controllo
societario atte ad alterare le gare di
appalto.
Al di fuori dei casi di cui all’art. 2359
c.c. nei quali il controllo sussiste per
definizione, il collegamento tra imprese
deve essere accertato attraverso la
valutazione di specifici indizi gravi,
precisi e concordanti, trattandosi di una
prova presuntiva disciplinata dall’art. 2729
cod. civ..
E' ius receptum nella giurisprudenza
del Consiglio di Stato che il collegamento
fra le imprese che osta alla loro
partecipazione alle gare non è solo quello
previsto dall'art. 2359 richiamato dall'art.
10, comma 1-bis, della legge n. 109/1994,
atteso che la previsione della norma
civilistica si basa su una presunzione che
non può escludere la sussistenza di altre
ipotesi di collegamento o controllo
societario atte ad alterare le gare di
appalto (ex plurimis CdS V 22.04.2004
n. 2317; CdS IV n. 5792 del 2004).
Non v'è alcun dubbio sulla rilevanza del
collegamento c.d. "sostanziale" ai
fini dell'escludibilità delle imprese, anche
al di là della testuale previsione dell'art.
2359 cod. civ. per l'esigenza di garantire
il costante rispetto in sede di gara della
segretezza e della par condicio (così
C.d.S., VI, 14.06.2006, n. 3500).
Il Collegio –nel ribadire che, al di fuori
dei casi di cui all’art. 2359 c.c. nei quali
il controllo sussiste per definizione, il
collegamento tra imprese deve essere
accertato attraverso la valutazione di
specifici indizi gravi, precisi e
concordanti, trattandosi di una prova
presuntiva disciplinata dall’art. 2729 cod.
civ.– ritiene tuttavia di concordare con la
valutazione di sussistenza, nel caso di
specie, di sufficienti indici di
collegamento sostanziale tra le altre due
cooperative sociali presenti in gara, che è
stata operata dal primo giudice
(C.G.A.R.S.,
sentenza 06.05.2008 n. 412 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di aperture in un fabbricato
non rientra nel novero degli interventi
assentibili con il permesso di costruire,
giacché è priva dei connotati di nuova
costruzione ai sensi dell’art. 3 del D.P.R.
n. 380/2001, non integrando alcuna
trasformazione innovativa, in termini
plano-volumetrici, dell’assetto edilizio
esistente.
Il Collegio osserva che la realizzazione di
aperture in un fabbricato non rientra nel
novero degli interventi assentibili con il
permesso di costruire, giacché è priva dei
connotati di nuova costruzione ai sensi
dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, non
integrando alcuna trasformazione innovativa,
in termini plano-volumetrici, dell’assetto
edilizio esistente.
Al caso di specie dovrebbe, infatti, essere
applicato il diverso regime della denuncia
di inizio attività, assistito da altra
tipologia di corredo sanzionatorio (cfr.
Cass. Pen., Sez. III, 09.02.2006 n. 8303).
Ne deriva che la situazione abusiva
riscontrata dall’amministrazione comunale
non può essere riguardata dal quadro
sanzionatorio contemplato dall’art. 31 del
D.P.R. n. 380/2001, poiché non si tratta di
intervento eseguito in assenza del
prescritto permesso di costruire.
La demolizione irrogata si presenta, quindi,
inappropriata e violativa della legge.
La circostanza che le aperture de quibus
permettono al fabbricato della ricorrente
l’affaccio su area di proprietà comunale
(adibita a cortile di scuola elementare),
non cambia i termini della questione, non
comportando alcun mutamento delle
caratteristiche dell’intervento edilizio e
della disciplina ad esso riferibile. Semmai,
il fatto che le dette aperture possano
consentire, secondo l’amministrazione
comunale, l’indebito accesso di privati
cittadini su suolo pubblico, potrà rilevare
dal punto di vista civilistico in relazione
alla normativa in tema di distanze e di
servitù di passaggio.
In conclusione, ribadite le suesposte
considerazioni, il provvedimento impugnato
si presenta illegittimo e deve essere
annullato
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 23.04.2008 n. 417 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
regola secondo la quale va esclusa dalla
gara di appalto l’impresa che si sia resa
responsabile di errore professionale grave
nella esecuzione di un contratto pubblico,
non può ritenersi abbia introdotto
nell’ordinamento una sorta di incapacità a
contrattare con le Pubbliche
Amministrazioni, ma deve essere intesa nel
senso che essa vale unicamente se il grave
errore sia stato commesso nei rapporti
intercorsi con la stessa Amministrazione
aggiudicatrice.
La valutazione in sede amministrativa delle
gravi precedenti inadempienze contrattuali
cui collegare l’esclusione delle imprese
concorrenti a gare pubbliche, deve essere
sempre motivata, essendo la stessa connessa
a nozioni ampie e generiche quali quelle
della grave negligenza e malafede che
richiedono una adeguata indagine sulle
fattispecie concrete dalle quali viene
desunto il giudizio di scarsa affidabilità
del soggetto partecipante, di cui bisogna
dare conto con la esternazione delle ragioni
che hanno giustificato un eventuale giudizio
negativo sulla professionalità dell’impresa
esclusa.
La giurisprudenza ha avuto modo di precisare
che la regola secondo la quale va esclusa
dalla gara di appalto l’impresa che si sia
resa responsabile di errore professionale
grave nella esecuzione di un contratto
pubblico, non può ritenersi abbia introdotto
nell’ordinamento una sorta di incapacità a
contrattare con le Pubbliche
Amministrazioni, ma deve essere intesa nel
senso che essa vale unicamente se il grave
errore sia stato commesso nei rapporti
intercorsi con la stessa Amministrazione
aggiudicatrice (Cons. St., Sez. V,
22.08.2003, n. 4570; 19.06.2006, n. 3591).
Ciò comporta quindi che, stante la
previsione della norma sopra richiamata come
interpretata dalla giurisprudenza,
l’esclusione dalle gare pubbliche per
inaffidabilità delle imprese concorrenti per
grave negligenza e malafede commessa nel
corso di esecuzione di precedenti contratti
pubblici, può essere pronunciata in termini
di automaticità soltanto quando il
comportamento di deplorevole trascuratezza e
slealtà sia stato posto in essere in
occasione di un pregresso rapporto negoziale
intercorso con la stessa stazione appaltante
che indice la gara.
Qualora, invece, il giudizio di
inaffidabilità professionale su un’impresa
partecipante ad una gara pubblica venga
desunto da gravi errori professionali e
tecnici commessi dall’impresa nella sua
pregressa attività imprenditoriale, la norma
di legge richiamata (art 38, comma 1, lett.
f) del D.lgs. n. 163 del 2006) per come
formulata, consente di valorizzare i
precedenti professionali delle imprese
concorrenti nel loro complesso, con la
possibilità quindi di valorizzare e tenere
conto anche di rapporti contrattuali
intercorsi con amministrazioni appaltanti
diverse da quella che indice la gara, in
esecuzione dei quali da parte degli organi
competenti sia stato acclarato una
incapacità tecnico-professionale alla
esecuzione dei lavori pubblici oggetto di
precedenti affidamenti.
La valutazione
in sede amministrativa delle gravi
precedenti inadempienze contrattuali cui
collegare l’esclusione delle imprese
concorrenti a gare pubbliche, deve essere
sempre motivata, essendo la stessa connessa
a nozioni ampie e generiche quali quelle
della grave negligenza e malafede che
richiedono una adeguata indagine sulle
fattispecie concrete dalle quali viene
desunto il giudizio di scarsa affidabilità
del soggetto partecipante, di cui bisogna
dare conto con la esternazione delle ragioni
che hanno giustificato un eventuale giudizio
negativo sulla professionalità dell’impresa
esclusa (Cons. St., Sez. VI, 11.04.2006, n.
2001; Sez. IV, 30.06.2006, n. 4231; TAR
Friuli, 10.05.2007, n. 330) (TAR
Marche,
sentenza 21.04.2008 n. 244 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
privato titolare di interesse pretensivo ha
titolo al risarcimento del danno ove,
sussistendo tutti i requisiti dell’illecito
(colpa, nesso di causalità, ...), riesca a
dimostrare che la propria aspirazione al
provvedimento era destinata, secondo un
criterio di normalità, ad un esito
favorevole, con la conseguenza che la
protezione risarcitoria dell’interesse
pretensivo può esser accordata, quindi,
soltanto in presenza di un giudizio
prognostico sulla spettanza definitiva del
bene collegato a tale interesse che,
tuttavia, nella vicenda di cui è causa, allo
stato, non risulta in alcun modo comprovato,
determinando pertanto la inammissibilità
della domanda risarcitoria avanzata dalla
parte ricorrente che potrà essere proposta
soltanto all’esito del nuovo esercizio del
potere da parte dell’Amministrazione.
Ritiene il
Collegio, in adesione al prevalente
orientamento della giurisprudenza, che il
privato titolare di interesse pretensivo ha
titolo al risarcimento del danno ove,
sussistendo tutti i requisiti dell’illecito
(colpa, nesso di causalità, ...), riesca a
dimostrare che la propria aspirazione al
provvedimento era destinata, secondo un
criterio di normalità, ad un esito
favorevole, con la conseguenza che la
protezione risarcitoria dell’interesse
pretensivo può esser accordata, quindi,
soltanto in presenza di un giudizio
prognostico sulla spettanza definitiva del
bene collegato a tale interesse che,
tuttavia, nella vicenda di cui è causa, allo
stato, non risulta in alcun modo comprovato,
determinando pertanto la inammissibilità
della domanda risarcitoria avanzata dalla
parte ricorrente che potrà essere proposta
soltanto all’esito del nuovo esercizio del
potere da parte dell’Amministrazione (Cons.
St., Sez. VI, 11.04.2006, n. 2001; Sez. IV,
30.06.2006, n. 4231; TAR Friuli, 10.05.2007,
n. 330) (TAR
Marche,
sentenza 21.04.2008 n. 244 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Comune, ancorché mantenga intatte intatte le
proprie competenze in materia di governo del
territorio, queste tuttavia, per espressa
valutazione legislativa, non possono
interferire con quelle relative alla
installazione delle reti di
telecomunicazione e, in particolare, non
possono determinare vincoli e limiti così
stringenti da concretizzarsi in un divieto
di carattere pressoché generalizzato (e
senza prevedere alcuna possibile
localizzazione alternativa), in contrasto
con le esigenze tecniche necessarie a
consentire la realizzazione effettiva della
rete di telefonia cellulare che assicuri la
copertura del servizio nell’intero
territorio comunale.
Il Collegio ritiene di dover confermare
l’orientamento espresso di recente da questa
stessa Sezione, in fattispecie analoghe alla
presente, con le sentenze 17.01.2006 n. 70,
09.05.2006 n. 1010, 21.07.2006 n. 1743,
19.02.2007, n. 566, 20.02.2007, n. 583,
11.04.2007, n. 1106, 10.05.2007, n. 1320, in
conformità, peraltro, a un condiviso
indirizzo giurisprudenziale ormai
consolidato (cfr., fra le tante, Cons.
Stato, sez. VI, 11.01. 2005, n. 100;
09.06.2005, n. 3040; 26.07.2005, n. 4000;
04.09.2006, n. 5096).
Va, quindi, ribadito che il Comune, ancorché
mantenga intatte intatte le proprie
competenze in materia di governo del
territorio, queste tuttavia, per espressa
valutazione legislativa, non possono
interferire con quelle relative alla
installazione delle reti di
telecomunicazione e, in particolare, non
possono determinare vincoli e limiti così
stringenti da concretizzarsi in un divieto
di carattere pressoché generalizzato (e
senza prevedere alcuna possibile
localizzazione alternativa), in contrasto
con le esigenze tecniche necessarie a
consentire la realizzazione effettiva della
rete di telefonia cellulare che assicuri la
copertura del servizio nell’intero
territorio comunale.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n.
331/2003, ha, infatti, chiarito che
nell’esercizio dei suoi poteri, il Comune
non può rendere di fatto impossibile la
realizzazione di una rete completa di
infrastrutture per le telecomunicazioni,
trasformando i criteri di individuazione,
che pure il Comune può fissare, in
limitazioni alla localizzazione con
prescrizioni aventi natura diversa da quella
consentita dalla legge quadro n. 36 del
2001. Devono, pertanto, ritenersi
illegittimi per incompetenza e per eccesso
di potere gli atti del Comune che intenda
regolamentare la materia in argomento per
profili estranei all’urbanistica ed alla
pianificazione del territorio.
In particolare, il Comune non può, mediante
il formale utilizzo degli strumenti di
natura edilizia-urbanistica, adottare
misure, le quali nella sostanza
costituiscano una deroga ai limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici
fissati dallo Stato, quali,
esemplificativamente, il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare in tutte
le zone territoriali omogenee, ovvero la
introduzione di distanze fisse da osservare
rispetto alle abitazioni e ai luoghi
destinati alla permanenza prolungata delle
persone o al centro cittadino (cfr. anche,
in tal senso, Cons. Stato, sez. VI,
29.11.2006, n. 6994).
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali
non al governo del territorio, ma alla
tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo e si trasformano in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva
allo Stato attraverso l’individuazione di
puntuali limiti di esposizione, valori di
attenzione ed obiettivi di qualità, da
introdursi con D.P.C.M., su proposta del
Ministro dell’Ambiente di concerto con il
Ministro della Salute (in tal senso, fra le
tante, Cons. Stato, IV, 03.06.2002, n. 3095,
20.12.2002, n. 7274, 10.02.2003, n. 673,
14.02.2005, n. 450, 05.08.2005, n. 4159;
sez. VI, 01.04.2003, n. 1226, 30.05.2003, n.
2997, 30.07.2003, n. 4391; 26.08.2003, n.
4841, 15.06.2006, n. 3534)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 12.03.2008 n. 340 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La classificazione delle strade
comunali ha valore solo dichiarativo, con la
conseguenza che i provvedimenti di
autotutela possessoria delle strade stesse
non presuppongono necessariamente che la
strada tutelata sia iscritta nei registri
del Comune, sicché ove manchi l'iscrizione,
o essa sia stata annullata per
illegittimità, l'esercizio del relativo
potere da parte del sindaco è solamente
condizionato al preventivo e rigoroso
accertamento dell'uso pubblico della strada.
La preesistenza -di fatto- dell'uso pubblico
di una strada, anche se questa sia del tutto
privata, è uno dei presupposti che
legittimano l'esercizio dei poteri di
autotutela possessoria delle strade
vicinali, attribuito al Sindaco dall'art. 15
D.L. Lgt. n. 1446 cit. (C.g.a. 18.06.2003,
n. 244; Cons. St., Sez. V, 12.08.1998, n.
1250; 07.04.1995, n. 522; 23.01.1991, n. 64;
TAR Lazio, Latina, 15.05.2004, n. 332; TAR
Lazio, Roma, 29.03.2004, n. 2922; TAR
Calabria, Catanzaro, 15.01.2002, n. 17; TAR
Calabria Catanzaro, 02.03.1999, n. 255; TAR
Sicilia, Catania, 29.09.1994, n. 2147).
La stessa classificazione delle strade
comunali ha valore solo dichiarativo, con la
conseguenza che i provvedimenti di
autotutela possessoria delle strade stesse
non presuppongono necessariamente che la
strada tutelata sia iscritta nei registri
del Comune, sicché ove manchi l'iscrizione,
o essa sia stata annullata per
illegittimità, l'esercizio del relativo
potere da parte del sindaco è solamente
condizionato al preventivo e rigoroso
accertamento dell'uso pubblico della strada
(cfr. TAR Piemonte, Torino con sentenza n.
22 del 13.01.2000).
Nello stesso senso è stato osservato in
giurisprudenza che il potere di ordinanza in
materia di polizia demaniale si configura
come una forma di autotutela di carattere
possessorio da parte della P.A. per la
conservazione dello stato di fatto dei beni
demaniale o dei beni soggetti a servitù
pubbliche e tale potere si pone su di un
piano di parallelismo con le azioni
possessorie, di guisa che il potere ex art.
15 D.L. Lgt. 1446/1918 deve intendersi
finalizzato al ripristino dello stato di
fatto preesistente in ordine all'uso
pubblico della strada, indipendentemente
dalla natura e spettanza dei diritti reali
sulla strada medesima (cfr. TAR Umbria,
Perugia, 22.09.1994, n. 562)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 311 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'installazione
dell'antenna di una stazione radioelettrica
non costituisce trasformazione del
territorio comunale agli effetti delle leggi
urbanistiche e, pertanto, non necessita ex
art. 397 cit. di concessione o
autorizzazione edilizia più di quanto ne
necessitino le antenne televisive poste sui
tetti delle case. Ma la realizzazione di
simili manufatti va vista anche in concreto
ed in relazione alla obiettiva consistenza
degli impianti, richiedendosi, in caso di
installazione di tralicci o antenne di
notevoli dimensioni e situati in prossimità
di edifici la concessione edilizia.
E' pur vero, in astratto, che
l'installazione dell'antenna di una stazione
radioelettrica non costituisce
trasformazione del territorio comunale agli
effetti delle leggi urbanistiche e,
pertanto, non necessita ex art. 397 cit. di
concessione o autorizzazione edilizia più di
quanto ne necessitino le antenne televisive
poste sui tetti delle case (Cons. St., Sez.
V, 20.10.1988, n. 594). Ma la realizzazione
di simili manufatti va vista anche in
concreto ed in relazione alla obiettiva
consistenza degli impianti, richiedendosi,
in caso di installazione di tralicci o
antenne di notevoli dimensioni e situati in
prossimità di edifici la concessione
edilizia (cfr. TAR Lazio 26.11.1988, n.
1503).
In giurisprudenza è stato osservato che:
- l'installazione di un'antenna per
radioamatore è priva di rilevanza edilizia
(in quanto non comporta attività di
trasformazione del territorio) e pertanto
non deve formare oggetto di concessione di
costruzione, salvo che non si componga di
opere eccedenti quelle necessarie per la
semplice posa in opera delle attrezzature
tecniche costituenti l'impianto (cfr. TAR
Piemonte, Torino, 21.12.2002, n. 2157;
16.04.1993, n. 163);
- se di non rilevanti dimensioni
l'installazione di antenne ricetrasmittenti
non necessita di concessione edilizia,
essendo sufficiente la denuncia inizio
attività (TAR Campania, Napoli, 05.06.2003,
n. 7295);
- l'installazione di un'antenna saldamente
ancorata al suolo e visibile dai luoghi
circostanti comporta alterazione del
territorio avente rilievo ambientale ed
estetico, sicché necessita del rilascio
della concessione edilizia ai sensi
dell'art. 1 L. 28.01.1977 n. 10 (Cons. St.,
Sez. VI, 10.06.2003, n. 3265; Sez. VI,
26.09.2003, n. 5502);
- l'installazione di un'antenna saldamente
ancorata al suolo e visibile dai luoghi
circostanti (nella specie un'antenna alta
circa 8 metri per stazione radio), comporta
alterazione del territorio avente rilievo
ambientale ed estetico, sicché necessita del
rilascio della concessione edilizia (Cons.
St., Sez. V, 06.04.1998, n. 415).
Ed in tali arresti giurisprudenziali ben si
vede che la consistenza degli impianti di
ricetrasmissione non può ritenersi del tutto
irrilevante al fine di stabilire se occorra
o meno un titolo abilitativo di natura
edilizia
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 310 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
salvaguardia dell'area di rispetto
cimiteriale di 200 metri prevista dall'art.
338 T.U. 27.07.1934 n. 1265 si pone alla
stregua di un vincolo assoluto di
inedificabilità che non consente in alcun
modo l'allocazione sia di edifici che di
opere incompatibili col vincolo medesimo, in
considerazione dei molteplici interessi
pubblici che tale fascia di rispetto intende
tutelare e che possono enuclearsi nelle
esigenze di natura igienico sanitaria, nella
salvaguardia della peculiare sacralità che
connota i luoghi destinati all'inumazione e
alla sepoltura, nel mantenimento di un'area
di possibile espansione della cinta
cimiteriale.
Il vincolo di rispetto cimiteriale, riguarda
non solo i centri abitati, ma anche i
fabbricati sparsi.
Occorre premettere, quanto al vincolo
cimiteriale, che la salvaguardia dell'area
di rispetto cimiteriale di 200 metri
prevista dall'art. 338 T.U. 27.07.1934 n.
1265 si pone alla stregua di un vincolo
assoluto di inedificabilità che non consente
in alcun modo l'allocazione sia di edifici
che di opere incompatibili col vincolo
medesimo, in considerazione dei molteplici
interessi pubblici che tale fascia di
rispetto intende tutelare e che possono
enuclearsi nelle esigenze di natura igienico
sanitaria, nella salvaguardia della
peculiare sacralità che connota i luoghi
destinati all'inumazione e alla sepoltura,
nel mantenimento di un'area di possibile
espansione della cinta cimiteriale
(giurisprudenza pacifica: cfr., da ultimo,
CdS, V, 03.05.2007 n. 1933; IV, 12.03.2007
n. 1185).
Si consideri ancora che il vincolo di
rispetto cimiteriale, riguarda non solo i
centri abitati, ma anche i fabbricati sparsi
(cfr. TAR Milano, II, 06.10.1993 n. 551).
Infine, che lo stesso vincolo preclude il
rilascio della concessione, anche in
sanatoria (ai sensi dell'art. 33 L.
28.02.1985 n. 47), senza necessità di
compiere valutazioni in ordine alla concreta
compatibilità dell'opera con i valori
tutelati dal vincolo (cfr. Cons. Stato, V,
03.05.2007 n. 1934).
In relazione all’asserita inapplicabilità
del disposto contenuto nell’art. 57, III
comma del DPR n. 285/1990, va osservato come
tale norma -peraltro abrogata dall’art. 28,
II comma della legge n. 166/2002– sia invece
applicabile al caso di specie in quanto
vigente al momento della decisione della
domanda di sanatoria: in ogni caso, sia la
disciplina vigente all’epoca dei realizzati
abusi, sia quella attualmente vigente,
consente di realizzare, all’interno della
fascia di 200 metri dal perimetro
cimiteriale, solo interventi di recupero, di
manutenzione, di restauro e risanamento
conservativo dell’edificato esistente,
ovvero interventi di ampliamento funzionali
all’utilizzo dell’edificio nei limiti del
10% dell’esistente
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 07.02.2008 n. 325 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: E'
illegittima un'ordinanza di rimozione
rifiuti abbandonati, ex art. 14 D.Lgs. n.
22/1997, non preceduta da avviso di avvio
del procedimento di cui agli artt. 7 e segg.
L. n. 241 del 1990.
Risulta in atti che il gravato provvedimento
non sia stato preceduto da avviso di avvio
del procedimento di cui agli artt. 7 e segg.
L. n. 241 del 1990 e che lo stesso nemmeno
indichi delle specifiche ragioni d’urgenza a
giustificazione di tale omissione.
Ritiene il Collegio che l’ordinanza di
rimozione di rifiuti abbandonati ex art. 14
D.Lgs. n. 22 del 1997 debba essere preceduta
dalla suddetta comunicazione ai soggetti
interessati, stante la rilevanza
dell’eventuale apporto procedimentale che
tali soggetti possono fornire, quanto meno
in riferimento all’accertamento delle
effettive responsabilità per l’abusivo
deposito di rifiuti.
Occorre inoltre osservare che, in tali casi,
l’esigenza di un effettivo contraddittorio
tra amministrazione procedente e tutti i
soggetti a vario titolo coinvolti nel fatto,
è espressamente prevista dall’art. 192,
comma 3, del D. Lgs. n. 152 del 2006 (Codice
dell’Ambiente), laddove si prescrive che i
controlli svolti dall’amministrazione
riguardo all’abbandono di rifiuti sul
terreno debbano essere effettuati in
contraddittorio con i privati interessati
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 31.01.2008 n. 64 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un’area edificatoria già
utilizzata a fini edilizi è suscettibile di
ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non
esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio
dell’ulteriore permesso di costruire,
dovendosi considerare non solo la superficie
libera ed il volume ad essa corrispondente,
ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in
relazione all’intera superficie dell’area
(superficie scoperta più superficie
impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si
chiede la realizzazione.
Un’area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è suscettibile di ulteriore
edificazione solo quando la costruzione su
di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa
vigente al momento del rilascio
dell’ulteriore permesso di costruire,
dovendosi considerare non solo la superficie
libera ed il volume ad essa corrispondente,
ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in
relazione all’intera superficie dell’area
(superficie scoperta più superficie
impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si
chiede la realizzazione (cfr. Cons. di
Stato, sez. V, 12.07.2004 n. 5039).
A nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa
(id., 28.02.2001 n. 1074).
Ai fini del calcolo della volumetria
realizzabile “non rileva la circostanza
che l’unico fondo del proprietario sia stato
suddiviso in catasto in più particelle,
dovendosi verificare (...) l’esistenza di
più manufatti sul fondo dell’originario
unico proprietario” (cfr. id., sez. V,
26.11.1994 n. 1382).
Allorché un’area edificabile venga
successivamente frazionata in più parti tra
vari proprietari,….., la volumetria
disponibile ai sensi della normativa
urbanistica nell’intera area permane
invariata, con la duplice conseguenza che,
nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata
sul fondo originario una costruzione, i
proprietari dei vari terreni, in cui detto
fondo è stato frazionato, hanno a
disposizione solo la volumetria che residua
tenuto conto dell’originaria costruzione e
in proporzione della rispettiva quota di
acquisto (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
16.02.1987 n. 91) (Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 29.01.2008 n. 255 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
perdita di efficacia della concessione di
costruzione per mancato inizio o ultimazione
dei lavori nei termini prescritti deve
essere accertata e dichiarata con formale
provvedimento dell’Amministrazione, anche ai
fini del necessario contraddittorio col
privato circa l’esistenza dei presupposti di
fatto e di diritto che possano legittimare
la determinazione.
Che la perdita di efficacia della
concessione di costruzione per mancato
inizio o ultimazione dei lavori nei termini
prescritti debba essere accertata e
dichiarata con formale provvedimento
dell’Amministrazione, anche ai fini del
necessario contraddittorio col privato circa
l’esistenza dei presupposti di fatto e di
diritto che possano legittimare la
determinazione, costituisce iur receptum
nella giurisprudenza di questo Consesso
(cfr., da ultimo, fra le tante, Sez. VI,
17.02.2006 n. 671; Sez. V, 20.10.2004, n.
6831) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.01.2008 n. 249 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’autorità
che esamina una domanda di autorizzazione
paesistica: - deve manifestare la piena
consapevolezza delle conseguenze derivanti
dalla realizzazione delle opere nonché della
visibilità dell’intervento progettato nel
più vasto contesto ambientale e non può
fondarsi su affermazioni apodittiche, da cui
non si evincano le specifiche
caratteristiche dei luoghi e del progetto; -
deve verificare se la realizzazione del
progetto comporti una compromissione
dell’area protetta, accertando in concreto
la compatibilità dell’intervento col
mantenimento e l’integrità dei valori dei
luoghi.
Deve escludersi che il Ministero possa
annullare l’autorizzazione paesaggistica
sulle base delle proprie considerazioni
tecnico-discrezionali, contrarie a quelle
effettuate dalla Regione o dall’ente
subdelegato, rispettose dei principi sopra
esposti; inoltre, il provvedimento statale
di annullamento dell’autorizzazione
paesistica non può basarsi su una propria
valutazione tecnico discrezionale sugli
interessi in conflitto e sul valore che in
concreto deve prevalere, né può
apoditticamente affermare che la
realizzazione del progetto pregiudica i
valori ambientali e paesaggistici, ma deve
basarsi sull’esistenza di circostanze di
fatto o di elementi specifici (da esporre
nella motivazione) che non siano stati
esaminati dall’Autorità che ha emanato
l’autorizzazione ovvero che siano stati da
essa irrazionalmente valutati, in contrasto
con la regola–cardine della leale
cooperazione o con altri principi sulla
legittimità dell’azione amministrativa.
Per giurisprudenza costante (anche della
stessa Ad. Plen. n. 9/2001), il
provvedimento di annullamento
dell’autorizzazione paesaggistica deve
essere motivato.
Come ha chiarito la costante giurisprudenza
del Consiglio di Stato (v. per tutte Ad.
Plen., 14.12.2001, n. 9), l’autorità che
esamina una domanda di autorizzazione
paesistica:
- deve manifestare la piena consapevolezza
delle conseguenze derivanti dalla
realizzazione delle opere nonché della
visibilità dell’intervento progettato nel
più vasto contesto ambientale e non può
fondarsi su affermazioni apodittiche, da cui
non si evincano le specifiche
caratteristiche dei luoghi e del progetto;
- deve verificare se la realizzazione del
progetto comporti una compromissione
dell’area protetta, accertando in concreto
la compatibilità dell’intervento col
mantenimento e l’integrità dei valori dei
luoghi.
In applicazione della medesima
giurisprudenza:
- deve escludersi che il Ministero possa
annullare l’autorizzazione paesaggistica
sulle base delle proprie considerazioni
tecnico-discrezionali, contrarie a quelle
effettuate dalla Regione o dall’ente
subdelegato, rispettose dei principi sopra
esposti;
- il provvedimento statale di annullamento
dell’autorizzazione paesistica non può
basarsi su una propria valutazione tecnico
discrezionale sugli interessi in conflitto e
sul valore che in concreto deve prevalere,
né può apoditticamente affermare che la
realizzazione del progetto pregiudica i
valori ambientali e paesaggistici, ma deve
basarsi sull’esistenza di circostanze di
fatto o di elementi specifici (da esporre
nella motivazione) che non siano stati
esaminati dall’Autorità che ha emanato
l’autorizzazione ovvero che siano stati da
essa irrazionalmente valutati, in contrasto
con la regola–cardine della leale
cooperazione o con altri principi sulla
legittimità dell’azione amministrativa.
Nell’architettura strutturale della
motivazione che sorregge il provvedimento
impugnato, esso risulta soltanto
individuato, nella sua fisica consistenza,
ma non risultano esplicitate né “le
circostanze di fatto o gli elementi
specifici (da esporre nella motivazione) che
non siano stati esaminati dall’autorità che
ha emanato l’autorizzazione ovvero che siano
state da essa irrazionalmente valutati”:
rispetto al “deposito contiguo al piano
terra del medesimo immobile”, dunque,
non risultano esplicitate le ragioni che,
per la resistente Amministrazione, militano
in ordine alla incompatibilità dell’opera
con il mantenimento e l’integrità dei valori
dei luoghi (Cons. St. Sez. VI 14.11.1991 n.
828), non risultando utile, a tal fine, per
quanto sopra detto, la generica ed
apodittica affermazione del pregiudizio
arrecato dall’opera ai valori paesistici ed
ambientali.
Poiché, per giurisprudenza costante (anche
della stessa Ad. Plen. n. 9/2001), il
provvedimento di annullamento
dell’autorizzazione deve essere motivato, la
rilevata carenza di motivazione in ordine
all’opera in questione, ridonda a vizio di
legittimità dell’atto impugnato
(TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 24.01.2008 n. 65 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI:
La legittimazione processuale sia
passiva che attiva del Comune spetta al
Sindaco e non al Dirigente comunale, il
quale ai sensi dell’art. 107, comma 2,
D.Lg.vo n. 267/2000 ha solo la
rappresentanza legale sostanziale (e non
quella processuale) del Comune.
Il mandato al difensore va sempre rilasciato
dal Sindaco ed il ricorso contro il Comune
va sempre notificato al Comune in persona
del Sindaco p.t., in quanto l’unico organo
comunale al quale spetta la legittimazione
processuale attiva o passiva del Comune.
La legittimazione processuale sia passiva
che attiva del Comune spetta al Sindaco e
non al Dirigente comunale (che ha emanato
l’atto impugnato con il ricorso
giurisdizionale), il quale ai sensi
dell’art. 107, comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000
ha solo la rappresentanza legale sostanziale
(e non quella processuale) del Comune e con
apposita norma statutaria (cfr. art. 6,
comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000, ai sensi del
quale spetta allo Statuto stabilire, tra
l’altro, “i modi di esercizio della
rappresentanza legale dell’Ente, anche in
giudizio”) può essere stabilito che la
decisione di promuovere o resistere ad una
lite giudiziaria può essere attribuita
(anziché alla Giunta Comunale) ai competenti
Dirigenti comunali, come già previsto per i
Dirigenti statali dall’art. 16, comma 1,
lett. f), D.Lg.vo n. 29/1993 (vedi ora
l’art. 16, comma 1, lett. f), D.Lg.vo n.
165/2001), ma il mandato al difensore va
sempre rilasciato dal Sindaco ed il ricorso
contro il Comune va sempre notificato al
Comune in persona del Sindaco p.t., in
quanto l’unico organo comunale al quale
spetta la legittimazione processuale attiva
o passiva del Comune
(TAR Basilicata,
sentenza 12.06.2007 n. 471 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Salvo
che non vi siano esplicite disposizioni in
contrario, in tanto i volumi costruiti al di
sotto dell’originario piano di campagna non
incidono sulla volumetria consentita in
quanto il piano di campagna non venga
definitivamente alterato dalla costruzione.
E' principio generale vigente in materia
urbanistica quello secondo cui, salvo che
non vi siano esplicite disposizioni in
contrario, in tanto i volumi costruiti al di
sotto dell’originario piano di campagna non
incidono sulla volumetria consentita in
quanto il piano di campagna non venga
definitivamente alterato dalla costruzione
(V. le decisioni di questa Sezione n. 390 del
04.08.1986 e n. 481 del 01.10.1986)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 01.07.2002 n. 3589 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 16.08.2010 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel bottone
MODULISTICA è stato
modificato/integrato il
fac-simile (modificabile a piacimento) di
comunicazione esecuzione interventi edilizi
liberi ex art. 6 DPR n. 380/2001.
Ciò a seguito della interessante ed utile
circolare
02.08.2010 n. 196035 di prot..
emanata da parte della Regione Emilia
Romagna, la quale è in gran parte attuale
anche in Regione Lombardia, nonostante le
diverse discipline regionali in materia edilizio-urbanistica. |
GURI - GUEE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n.
32 del 12.08.2010
(link a www.infopoint.it):
- "Atto di indirizzo per l’aggiornamento
del Database topografico e l’interscambio
con le banche dati catastali (art. 3, l.r.
12/2005)" (deliberazione
G.R. 28.07.2010 n. 338);
- "Approvazione del bando di
finanziamento 2010 per lo «Sviluppo del
Database topografico ai sensi della l.r.
12/2005»" (decreto
D.S. 29.07.2010 n. 7571). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
11.08.2010 n. 186, suppl. ord. n. 184/L, "Modifiche
ed integrazioni al decreto legislativo
03.04.2006, n. 152, recante norme in materia
ambientale, a norma dell’articolo 12 della
legge 18.06.2009, n. 69"
(D.Lgs.
29.06.2010 n. 128). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
URBANISTICA:
Chiarimenti ai Comuni sull'applicazione
della VAS a seguito della sentenza del TAR
Lombardia (Regione Lombardia,
nota 28.07.2010 - link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 - Titolo V,
parte quarta. Bonifica siti contaminati
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Qualità dell'Ambiente,
nota 02.03.2010 n. 3753 di prot.). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
URBANISTICA:
P. Brambilla,
V.A.S. E COMPETENZE - Il Consiglio di Stato
non sospende la scure del Tar Milano
abbattutasi sulla V.A.S. della Regione
Lombardia (link a
www.greenlex.it). |
COMPETENZE PROFESSIONALI -
EDILIZIA PRIVATA: La
nomina del collaudatore quando il
costruttore esegue in proprio (art. 67,
comma 4, D.P.R. n. 380/2001) - Verifica e
denuncia dell'eventuale incompetenza del
progettista (Centro Studi Consiglio
Nazionale Ingegneri, luglio 2010).
---------------
Il documento del Centro Studi del CNI
illustra la procedura di nomina e le
attività connesse del collaudatore quando il
costruttore esegue in proprio. Il documento
aggiorna la procedura ai sensi delle NTC (DM
14.01.2008) e fornisce indicazioni utili in
tutti i casi di collaudo di strutture anche
in zone sismiche.
Da notare il sottotitolo "Verifica
e denuncia dell'eventuale incompetenza del
progettista".
Nel testo dello studio si legge che "l'ordine
professionale è titolare di una funzione che
deve esercitare, sempre e comunque, a
richiesta del privato ed alla quale non può
ostare nessuna condizione, nemmeno
l'eventuale riscontrata incompetenza del
progettista" (dei C.A.), e che pertanto
"l'attività di controllo sul rispetto
delle competenze professionali del
progettista compete agli Uffici Tecnici
dell'Amministrazione", che ormai -
seguito delle note deleghe in materia di
denunce C.A. concesse dalla Regione con L.R.
n. 1/2000- sappiamo
essere gli Uffici Tecnici comunali. |
NEWS |
ATTI AMMINISTRATIVI: Le
p.a. litigano? Decide il governo. Se non si
raggiunge l'accordo in conferenza dei
servizi. La manovra 2010 ha modificato la
legge 241/1990 per semplificare le procedure
pubbliche.
Al governo l'ultima parola quando non si
raggiunge l'accordo in conferenza dei
servizi. Lo prevede l'articolo 49 della
manovra (legge 122/2010) che ha modificato
la legge 241/1990 sul procedimento
amministrativo. L'obiettivo è di
semplificare la procedura e accelerare i
tempi per l'adozione del provvedimento
finale.
Le modifiche nello specifico attribuiscono
all'esecutivo la decisione finale in caso di
motivato dissenso da parte delle
amministrazioni preposte alla tutela del
paesaggio, salute ed ambiente. In
particolare le novità riguardano
l'attivazione della conferenza di servizi e
la disciplina del dissenso. Sul primo punto
la novella prevede che l'amministrazione
procedente ha la facoltà e non l'obbligo di
indire la conferenza di servizi istruttoria,
cui si ricorre qualora sia opportuno
effettuare un esame contestuale di vari
interessi pubblici coinvolti in un
procedimento amministrativo. La precedente
formulazione poteva essere interpretata nel
senso della obbligatorietà di tale tipo di
conferenza.
La conferenza di servizi decisoria resta,
invece, obbligatoria, tranne i casi in cui
la legge consente all'amministrazione
procedente di sostituirsi alle altre
amministrazioni chiamate a pronunciarsi.
Le nuove norme prevedono il coordinamento
con le norme in materia di tutela dei beni
culturali e del paesaggio, stabilendo un
calendario, almeno trimestrale, delle
riunioni delle conferenze di servizi che
coinvolgano atti di assenso o consultivi
comunque denominati di competenza del
ministero per i beni e le attività
culturali.
Inoltre, le soprintendenze devono esprimersi
in maniera definitiva in sede di conferenza
di servizi, in ordine a tutti i
provvedimenti di loro competenza, ai sensi
del dlgs 42/2004 (Codice dei beni
culturali), nei casi di opera o attività
sottoposta anche ad autorizzazione
paesaggistica: il soprintendente, quindi, si
dovrà esprimere un'unica volta e in via
definitiva nella conferenza di servizi,
sulla base di un calendario almeno
trimestrale delle riunioni delle conferenze
concordato con lo sportello unico o con il
comune.
Vengono riscritte le disposizioni relative
agli effetti del dissenso espresso nella
conferenza di servizi. Innanzi tutto diventa
obbligatorio manifestare il dissenso nella
conferenza di servizi anche per le
amministrazioni preposte alla tutela
ambientale (salvo l'esercizio del potere
sostitutivo da parte del Consiglio dei
ministri), paesaggistico-territoriale, del
patrimonio storico-artistico o alla tutela
della salute e della pubblica incolumità.
Il dissenso deve essere congruamente
motivato, non può riferirsi a questioni
connesse che non costituiscono oggetto della
conferenza medesima e deve dare specifiche
indicazioni per le modifiche progettuali
necessarie ai fini dell'assenso.
Nel dettaglio della procedura della
disciplina del dissenso, il regime
precedente prevedeva che, se il dissenso era
espresso da un'amministrazione preposta alla
tutela ambientale,
paesaggistico-territoriale, del patrimonio
storico-artistico o alla tutela della salute
e della pubblica incolumità, la decisione
veniva rimessa dall'amministrazione
procedente, entro 10 giorni: al Consiglio
dei ministri, in caso di dissenso tra
amministrazioni statali; alla Conferenza
stato-regioni, in caso di dissenso tra
un'amministrazione statale e una regionale o
tra più amministrazioni regionali; alla
Conferenza unificata, in caso di dissenso
tra un'amministrazione statale o regionale e
un ente locale o tra più enti locali.
Se il dissenso era espresso da una regione
in una delle materie di propria competenza,
la determinazione sostitutiva era rimessa
dall'amministrazione procedente, entro 10
giorni: alla Conferenza stato-regioni, per i
dissensi tra un'amministrazione statale e
una regionale o tra amministrazioni
regionali; alla Conferenza unificata, per i
dissensi tra una regione o provincia
autonoma e un ente locale.
Se la Conferenza non provvedeva entro i
termini, la decisione era rimessa al
Consiglio dei ministri. In caso di dissenso
tra amministrazioni regionali, la procedura
non si applicava se le regioni interessate
avevano ratificato, con propria legge,
intese per la composizione del dissenso. Le
nuove regole attribuiscono, invece, al
consiglio dei ministri la decisione finale
nella maggior parte dei casi di «motivato
dissenso da parte di un'amministrazione
preposta alla tutela ambientale,
paesaggistico-territoriale, del patrimonio
storico-artistico o alla tutela della salute
e della pubblica incolumità».
Vi sono alcune eccezioni: intese raggiunte
tra le regioni; specifici procedimenti
previsti dalla legge obiettivo, o dalle
disposizioni in tema di localizzazione di
opere statali.
Analogamente, se il motivato dissenso è
espresso da una regione o da una provincia
autonoma in una delle materie di propria
competenza, la competenza è attribuita al
consiglio dei ministri, che delibera in
esercizio del proprio potere sostitutivo con
la partecipazione delle regioni o delle
province autonome interessate
(articolo
ItaliaOggi del 13.08.2010, pag. 32
- link a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
S.C.I.A. rischia di essere un'arma spuntata. I
professionisti sono chiamati a districarsi
in un groviglio di norme.
La segnalazione certificata di inizio
attività (cosiddetta Scia) in edilizia
rischia di essere un'arma spuntata.
Infatti nel ginepraio di norme statali,
regionali, civilistiche, dei regolamenti
edilizi, di igiene, di sicurezza ecc. il
professionista è chiamato ad assumere il
ruolo di un acrobata che si esibisce senza
rete di protezione.
Il nuovo istituto, introdotto dall'articolo
49 della legge n. 122 del 30/07/2010, si
applica agli interventi già soggetti a
dichiarazione di inizio attività, previsti
nella normativa statale e regionale, con la
sola esclusione dei casi in cui sussistano
vincoli ambientali, paesaggistici o
culturali.
Per tali interventi dovrà richiedersi il
permesso a costruire, posto che la nuova
disciplina cancella la Dia dall'ordinamento
giuridico lasciando quali titoli abilitativi
soltanto la Scia ed il permesso a costruire.
Infatti il comma 4-ter dell'articolo 49,
prevede che la Scia sostituisce
direttamente, dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del
presente decreto, quella della dichiarazione
di inizio attività recata da ogni normativa
statale e regionale.
Con la segnalazione certificata di inizio
attività o «Scia», i lavori
inizieranno subito (e non più dopo il
termine dilatorio previsto dalla Dia) sulla
base di un'asseverazione di un tecnico
abilitato che attesterà sotto la propria
responsabilità, che il progetto è conforme
alle norme vigenti. Il termine «asseverare»
ha il significato di «affermare con
solennità», e cioè di porre in essere una
dichiarazione di particolare rilevanza
formale e di particolare valore nei
confronti dei terzi quanto a
verità-affidabilità del contenuto. L'art.
29, comma 3, dpr n. 380/2001 dispone poi che
«Per le opere realizzate dietro
presentazione di denuncia di inizio
attività, il progettista assume la qualità
di persona esercente un servizio di pubblica
necessità ai sensi degli artt. 359 e 481
c.p.» (Corte di cassazione penale, sez.
III, 16/07/2010, sentenza n. 27699).
La prudenza è d'obbligo posto che in caso di
dichiarazione falsa o mendace oltre alla
segnalazione all'ordine professionale, è
previsto un aumento della sanzione penale da
uno a tre anni oltre all'eventuale
interdizione dalla professione (articolo 49
commi 3 e 6). L'amministrazione competente
nel termine di sessanta giorni dal
ricevimento della segnalazione, in caso di
accertata non conformità a legge della
stessa , ove ciò sia possibile, consente
all'interessato di provvedere a conformare
alla normativa vigente l'attività ed i suoi
effetti entro un termine, in ogni caso non
inferiore a 30 giorni (una sorta di
accertamento di conformità cui non segue un
permesso in sanatoria) e soltanto ove ciò
non sia possibile, adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell'attività e di rimozione degli eventuali
effetti dannosi di essa , fatto salvo il
potere di assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies della Legge n.
241/1990.
In caso di dichiarazioni sostitutive di
certificazione e dell'atto di notorietà
false o mendaci, l'amministrazione, ferma
restando l'applicazione delle sanzioni
penali di cui sopra, può sempre e in ogni
tempo adottare i provvedimenti in via di
autotutela del titolo abilitativo tacito
(così era qualificata la Dia, da Consiglio
di stato sez. VI n. 6910/2004 e più di
recente, da Tar Piemonte n. 1885/2006, da
Tar Lombardia n. 4066/2010) in questo caso
invece ci si troverebbe di fronte ad un
titolo abilitativo, efficace dal momento del
ricevimento della certificazione, ma
condizionato dal decorso dei sessanta giorni
senza che sia stato esercitato il potere
inibitorio dell'amministrazione.
Se l'autotutela, come sembra, debba
esercitarsi entro e non oltre i 60 giorni,
posto che soltanto in caso di dichiarazioni
false o mendaci ne è prevista l'adozione
sempre e in ogni tempo, è questione sulla
quale probabilmente si discuterà; è certo
invece, che come la prassi vuole, i
professionisti prima di inoltrare la Scia,
per non correre rischi, consulteranno gli
uffici comunali così come facevano per la
Dia con buona pace della riduzione dei
tempi.
Nelle regioni poi, la cui normativa prevede
l'alternatività tra il Permesso a costruire
e la Dia, ora Scia, la prudenza
nell'utilizzo di tale istituto sarà ancora
maggiore. Insomma nulla di veramente nuovo e
capace di invertire la tendenza e ridurre i
tempi.
Per velocizzare concretamente l'attività
amministrativa connessa al rilascio o
controllo dei titoli abilitativi di
carattere edilizio, necessita pertanto che
si crei uno vero sportello unico
dell'edilizia affidando ai comuni (sotto una
certa soglia in maniera associata) non
soltanto la cura dei rapporti con gli altri
enti interessati al procedimento (Asl,
Vigili del fuoco ecc.) ma le loro
attribuzioni anche attraverso il distacco
del personale addetto
(articolo ItaliaOggi del 13.08.2010, pag.
32). |
PUBBLICO IMPIEGO: La
manovra ha eliminato l'indennità
chilometrica per le missioni di servizio. Ma
non il principio. Rimborsi spese senza più
regole. Rifusione dei costi da parametrare
ai prezzi dei mezzi pubblici.
La disapplicazione dell'indennità
chilometrica per i dipendenti pubblici che
utilizzino il proprio mezzo per le missioni
di servizio non ha abolito il diritto al
rimborso delle spese incontrate. È un vero
guazzabuglio giuridico quello causato
dall'articolo 6, comma 12, del dl 78/2010,
convertito in legge 122/2006.
L'ultimo periodo di tale disposizione
stabilisce che «gli articoli 15 della
legge 18.12.1973, n. 836 e 8 della legge
26.07.1978, n. 417 e relative disposizioni
di attuazione, non si applicano al personale
contrattualizzato di cui al dlgs 165 del
2001 e cessano di avere effetto eventuali
analoghe disposizioni contenute nei
contratti collettivi». Le norme
disapplicate consentivano il rimborso delle
spese per missioni autorizzate con auto del
dipendente, nel limite di un quinto del
costo del carburante.
La norma, occorre sottolinearlo senza giri
di parole, merita un immediato intervento
correttivo o abrogativo. Nell'intento,
infatti, di conseguire risparmi per la spesa
pubblica, si è confusa la necessità di
limitare le auto blu, con le spese per
trasferte. Le due cose non hanno nulla a che
vedere tra loro. I dipendenti pubblici sono
spesso stati autorizzati in passato ad
utilizzare le proprie vetture per le
trasferte, essenzialmente per due motivi: in
primo luogo perché il parco delle auto
pubbliche, per quanto ampio e diffuso, non
consente di assicurare l'impiego dell'auto
di servizio ai dipendenti pubblici impegnati
in attività esterne.
E di dipendenti che svolgono servizi esterni
ve n'è tantissimi in tutte le pubbliche
amministrazioni; basti pensare non solo a
chi svolge servizi ispettivi nelle direzioni
provinciali del lavoro o nelle agenzie
fiscali, ma ai dipendenti delle dogane, ai
docenti delle scuole impegnati su più sedi,
ai dipendenti delle aziende regionali per
l'ambiente, a coloro che svolgono i servizi
tecnico-manutentivi in reperibilità.
Insomma, la norma forse crea risparmi
finanziari, ma causa caos organizzativi o
pesanti limitazioni nel conseguimento degli
obiettivi gestionali degli enti.
Il secondo motivo del ricorso alle auto
private dei dipendenti deriva
dall'inevitabile assenza in alcune zone di
mezzi di trasporto utili o
dall'inconciliabilità degli orari;
paradossalmente, un dipendente, per effetto
dell'articolo 6, comma 12, della manovra
finanziaria, dovendo utilizzare un mezzo di
trasporto pubblico esistente, a causa degli
orari, potrebbe essere costretto al
pernottamento in un albergo. Il che non
aiuta sicuramente a ridurre i costi delle
trasferte.
In ogni caso, l'articolo 6, comma 12,
disapplica l'articolo 15 della legge
813/1973, ma non il suo articolo 12, ai
sensi del quale «per i percorsi o per le
frazioni di percorso non serviti da ferrovia
o da altri servizi di linea è corrisposta, a
titolo di rimborso spesa, un'indennità di
lire 43 a chilometro aumentabile, per i
percorsi effettuati a piedi in zone prive di
strade, a lire 62 a chilometro».
La norma, non attuabile per quanto concerne
l'entità (per altro irrisoria) del rimborso
spesa, anch'essa per questa parte travolta
dalla manovra 2010, è rilevante perché pone
un principio generale ovvio: se il pubblico
dipendente è comandato a svolgere missioni e
non sia possibile utilizzare mezzi pubblici,
ha diritto a un rimborso delle spese
incontrate per svolgere comunque la missione
nonostante l'impossibilità di utilizzare i
trasporti pubblici.
Dunque, la manovra 2010 ha inopportunamente
reso inoperante le norme poste a determinare
l'ammontare del rimborso, senza abolire il
principio del rimborso delle spese. Appare
evidente il cortocircuito giuridico (oltre
che organizzativo) causato dalla frettolosa
disposizione della legge 122/2010: da un
lato, la norma elimina l'indennità
chilometrica per il personale in missione
che faccia uso dell'auto propria, ma
dall'altro lascia fermo il principio del
rimborso delle spese, facendo mancare un
parametro per comprendere quale possa essere
l'entità di tale rimborso.
Una soluzione pratica, allora, può essere
immaginata. E cioè adottare atti
organizzativi interni, norme da inserire nel
regolamento di organizzazione di ciascun
ente, che facendo leva sull'articolo 12
della legge 836/1973 fissino il rimborso
delle spese del personale autorizzato
all'uso dell'auto propria in misura pari a
quelle che avrebbero incontrato se la
missione fosse stata condotta utilizzando un
mezzo pubblico di trasporto, in quanto
comune, ai sensi del comma 1 dell'articolo
12 da ultimo citato, tale spesa dovrebbe
essere rimborsata.
La soluzione migliore, in ogni caso, resta
l'auspicabile e celere eliminazione
dell'articolo 6, comma 12, ultimo periodo
della legge 122/2010
(articolo ItaliaOggi
del 11.08.2010, pag. 24). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: La
Manovra estiva/ Retroattivo il calmiere sugli
stipendi. Da giugno inefficaci le clausole
contrattuali per il 2008/2009 con
adeguamenti superiori al 3,2%.
Ai dipendenti pubblici lo sforzo per il
risanamento del bilancio pubblico costerà,
fra tagli e blocchi degli stipendi, alcuni
miliardi di euro ...
(articolo Il Sole 24
Ore
dell'11.08.2010, pag. 13 - link a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Con la «S.C.I.A.» l'attività
parte in un giorno. Per iniziare è
sufficiente la segnalazione.
L'amministrazione ha 60 giorni di tempo per
le verifiche.
La dichiarazione di inizio attività (Dia)
-prevista e disciplinata dall'art. 19 della
legge 241/1990- è sostituita dalla
Segnalazione certificata di inizio attività
(Scia) ...
(articolo Il Sole 24
Ore
del 06.08.2010, pag. 23 - link a www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
PUBBLICO IMPIEGO: Disco
rosso ai dirigenti tuttofare. Niente
incarichi libero-professionali per i manager
a tempo. Per la Corte conti
dell'Emilia-Romagna i compensi extra
costituiscono danno erariale.
Il dirigente o responsabile assunto a tempo
determinato sulla base delle previsioni
dell'articolo 110 del d.lgs. n. 267/2000 non
può ricevere dallo stesso ente incarichi
professionali né per la redazione di
progetti di opere pubbliche né per la
direzione dei lavori. Lo svolgimento di tali
attività deve essere remunerato
esclusivamente, come per i dipendenti ed i
dirigenti assunti a tempo indeterminato,
tramite i compensi previsti prima
dall'articolo 18 della legge n. 109/1994 ed
ora dal codice degli appalti per la
incentivazione del personale dell'ufficio
tecnico in caso di realizzazione di opere
pubbliche. Tutto ciò che viene percepito in
aggiunta a tali somme determina danno
erariale.
Possono essere così riassunti i principi
dettati dalla sezione giurisdizionale della
Corte dei conti dell'Emilia-Romagna nella
sentenza 07.07.2010 n. 1222.
Siamo in presenza di una sentenza che per la
prima volta fissa con molta chiarezza il
divieto di conferire incarichi ai dipendenti
e dirigenti assunti a tempo determinato e
che sostanzialmente li parifica a quelli a
tempo indeterminato.
La sentenza evidenzia in premessa che, dopo
la cd privatizzazione del rapporto di lavoro
dei dipendenti pubblici, «è proprio nella
disciplina del conferimento degli incarichi
dirigenziali che si manifesta, con la
massima intensità, la connessione tra
pubblicità delle funzioni
dell'amministrazione e carattere
privatistico del rapporto individuale di
lavoro».
Ed ancora, «il rapporto di lavoro che
lega gli esterni alla amministrazione
pubblica è ontologicamente omogeneo a quello
del personale di ruolo, dato che, in base
alla disciplina negoziale collettiva che
costituisce la fonte regolatrice del
rapporto di impiego, anche questi soggetti,
non diversamente da quelli di ruolo, sono
tenuti a effettuare una prestazione
lavorativa connotata dai caratteri della
professionalità, continuatività ed
esclusività, con predeterminazione
dell'orario di lavoro, a fronte di una
retribuzione determinata e onnicomprensiva».
Su questa base si deve sottolineare che «contrasta
con la vigente normativa e con i principi di
razionale organizzazione di una pubblica
amministrazione, che deve essere informata
ai canoni dell'economicità e della buona
gestione del pubblico denaro, incaricare un
intraneus per lo svolgimento di un incarico
esterno».
Da qui la conclusione che «la
retribuzione da corrispondere per la
progettazione e direzione dei lavori della
riqualificazione del centro storico
affidategli con deliberazione della giunta
comunale (progettazione definitiva ed
esecutiva) non poteva essere remunerata a
tariffa professionale bensì in base all'art.
18 della legge n. 109/1994. La ratio del
divieto di conferire incarichi
libero-professionali ai dipendenti pubblici,
al di fuori delle ipotesi espressamente
previste, discende sia dal più volte citato
principio di onnicomprensività della
retribuzione sia da quello di esclusività
che li lega all'ente datore di lavoro, e
consiste nell'evitare commistioni di
qualsiasi tipo tra interessi pubblici e
privati che potrebbero minare il principio
costituzionale di imparzialità dell'azione
amministrativa, con incompatibilità logica,
prima che giuridica, tra lo svolgimento
della libera professione e il rapporto di
impiego con una pubblica amministrazione».
Da qui la conclusione che il funzionario non
aveva alcun diritto a percepire un distinto
compenso di posizione per ognuno dei servizi
assegnati, dato che la retribuzione prevista
dal comma 3 dello stesso art. 110 del d.lgs.
n. 267/2000 è connotata dal principio della
onnicomprensività.
Da evidenziare infine che ai fini del
calcolo della prescrizione «il dies a quo
decorre dopo che l'appalto di servizi abbia
formato oggetto della positiva valutazione
da parte della stazione appaltante,
condizione alla quale è subordinato il
legittimo pagamento della parcella con il
che è, comunque, da escludere che il momento
della maturazione dei cosiddetti anticipi
sul corrispettivo pattuito spettante
all'appaltatore possano segnare il dies a
quo da cui comincia a decorrere la
prescrizione dell'azione di danno a titolo
di responsabilità amministrativa».
Infine l'ente ha riconosciuto come
produttiva di danno erariale anche l'avere
richiesto, dopo il conferimento
dell'incarico, un parere legale sulla
materia e ciò perché «il parere stesso
era privo di utilità con riferimento
all'atto gestorio posto in essere dai
convenuti»
(articolo
ItaliaOggi del 13.08.2010, pag. 31
- link a www.corteconti.it). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE: Parcelle,
l'Irap la paga il comune. L'imposta su
progettazioni e spese legali grava
sull'ente. Per le sezioni unite della Corte
dei conti il balzello non può essere
sostenuto dal lavoratore.
L'Irap, applicabile sui
compensi per la progettazione tecnica e per
le avvocature interne, grava sull'ente
locale e non può essere sostenuta dal
lavoratore pubblico in quanto il presupposto
impositivo si realizza in capo all'ente. I
fondi incentivanti vanno corrisposti al
netto degli oneri assicurativi e
previdenziali e degli oneri riflessi, senza
comprendere l'Irap.
Il principio è stato affermato dalle sezioni
riunite in sede di controllo della Corte dei
Conti con la
deliberazione 07.06.2010 n. 33.
Sia la sezione regionale di controllo per il
Veneto che quella per il Piemonte, in
considerazione degli orientamenti difformi
di alcune sezioni regionali, hanno
interessato l'ufficio di Coordinamento per
avviare il deferimento della questione alle
sezioni riunite.
L'Imposta regionale sulle attività
produttive colpisce, con carattere di
realità, un fatto economico differente dal
reddito il quale è, invece, espressione
della capacità contributiva in capo a chi
organizza un'attività ed è autore delle
scelte dalle quali deriva la suddivisione
della ricchezza tra i diversi soggetti che
in varia natura concorrono alla sua
creazione.
I compensi incentivanti, oggetto del
presente intervento, pur differenti nelle
fonti normative, presentano un elemento
comune dovuto alla necessità di chiarire se
questi debbano essere corrisposti al netto o
al lordo dell'Irap e pertanto se tale
imposta debba gravare sul lavoratore o
sull'amministrazione.
L'articolo 1, comma 208, della legge
finanziaria per il 2006 ha previsto che le
somme finalizzate alla corresponsione di
compensi professionali dovuti al personale
dell'avvocatura interna delle pubbliche
amministrazioni sono comprensive degli oneri
riflessi a carico del datore di lavoro.
Per quanto riguarda il personale tecnico
l'articolo 9 del codice degli appalti
prevede che una somma non superiore al due
per cento di quella a base d'asta,
comprensiva anche degli oneri previdenziali
e assistenziali a carico
dell'amministrazione, è ripartita tra i vari
tecnici interni.
Una prima tesi sostenuta da una parte delle
sezioni regionali esclude che nell'ambito
degli oneri riflessi possa essere ricompresa
l'Irap, in quanto tale imposta è un onere
diretto dell'amministrazione che, a
differenza degli oneri riflessi, resta
totalmente a carico del datore di lavoro,
quale soggetto passivo dell'imposta.
Diversamente per effetto del gravare sul
dipendente pubblico si trasformerebbe in
un'imposta sul reddito.
L'interpretazione trova supporto nella
lettera della norma che non fa riferimento
esplicito all'Irap ma soltanto agli oneri
riflessi e poi è la stessa legge
finanziaria, che in altre disposizioni, fa
riferimento anche all'Irap.
La tesi opposta, sulla base della quale dal
compenso incentivante va trattenuta la quota
a titolo di Irap, si fonda sulla
considerazione che diversamente l'ente
locale si troverebbe a corrispondere ai
dipendenti un importo superiore, con il
conseguente aggravio di oneri di imposta a
titolo Irap.
Per le sezioni riunite l'espressione oneri
riflessi utilizzata dal legislatore
ricomprende anche gli oneri previdenziali e
assistenziali. Il problema è se la locuzione
oneri riflessi comprenda tutti gli oneri,
compresi quelli fiscali e pertanto anche
l'Irap. Fondamentale, per la Corte, è il
criterio letterale per propendere sul fatto
che l'Irap gravi, nei casi in esame,
sull'amministrazione pubblica. Nella stessa
legge finanziaria al comma 181 si parla di
oneri contributivi e dell'Irap, al comma 198
-al lordo degli oneri riflessi a carico
delle amministrazioni e dell'Irap- mentre
come visto il comma 208 fa riferimento
esclusivamente agli oneri riflessi.
Anche l'interpretazione sistematica delle
norme in questione conferma, per la Corte
dei conti, la tesi secondo la quale debba
escludersi l'Irap dall'ambito degli oneri
riflessi. Lo stesso Consiglio di stato -con
la sentenza n. 32/1994- ha ritenuto che i
compensi professionali da corrispondere
all'avvocatura interna e al personale
tecnico costituiscono parte della
retribuzione e pertanto per questi soggetti
non si realizzano i presupposti per
l'applicazione dell'Irap, in quanto privi di
autonoma organizzazione.
Il presupposto impositivo dell'Irap si
realizza in capo all'ente che eroga il
compenso, il quale è il soggetto passivo
dell'imposta cioè colui che, in quanto
titolare di un'organizzazione, è tenuto a
concorrere alle spese pubbliche, così come
precisato anche dall'Agenzia delle entrate
con la
risoluzione 02.04.2008 n. 123/E (articolo
ItaliaOggi del 13.08.2010, pag. 33
- link a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire -
Autorizzazione paesaggistica - Autonomia dei
due titoli abilitativi - Ottenimento
dell’autorizzazione paesaggistica -
Affidamento del privato circa il rilascio
del permesso di costruire -
Inconfigurabilità.
Il permesso di costruire e l’autorizzazione
paesaggistica sono titoli che assolvono
funzioni differenti in quanto tutelano
valori differenti e sono emessi sulla base
di valutazioni di tipo diverso (l’una di
conformità urbanistica, l’altra di
compatibilità paesaggistica).
Pretendere che dall’emanazione dell’una
possa discendere un affidamento
all’emanazione anche dell’altro significa
negare l’autonomia dei due titoli
abilitativi e pretendere, alla fin fine, di
poter fare a meno di uno di essi, avendo
ottenuto l’altro (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 06.08.2010 n. 2654 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione paesaggistica -
Annullamento - Art. 159, c. 3, d.lgs. n.
42/2004 - Termine di 60 gg. - Emissione del
provvedimento - Notifica in data successiva
- Irrilevanza.
L’art. 159, co. 3, d.lgs. 42/2004 stabilisce
infatti che il Ministero può annullare
l’autorizzazione entro i 60 gg. successivi
alla ricezione dell’autorizzazione, così
indicando in modo evidente che nel termine
di legge deve essere emesso -non notificato-
il provvedimento (in senso conforme cfr. da
ultimo Tar Salerno, II, 1391/2010).
Autorizzazione
paesaggistica - Difetto di motivazione o di
istruttoria - Elementi di illegittimità
valutabili dall’amministrazione statale dei
beni culturali.
Il difetto di motivazione ed il difetto di
istruttoria dell’autorizzazione
paesaggistica rilasciata in primo grado
costituiscono elementi di illegittimità
della stessa valutabili dall’amministrazione
statale dei beni culturali (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 06.08.2010 n. 2652 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Diritto all’accesso ai documenti
- Presupposti e limiti - Situazione
giuridicamente tutelata e collegata al
documento - Domanda sproporzionata -
Fattispecie - Artt. 3, 23, 24 e 25, L. n.
241/1990, e s.m.i. - D.lgs. n. 196/2003
(codice in materia di protezione dei dati
personali).
Ai sensi del capo V, legge n. 241/1990, il
diritto (rectius: interesse
legittimo) di accesso ai documenti
amministrativi è consentito ai soggetti
privati che abbiano un interesse diretto,
concreto ed attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale sia chiesto
l’accesso.
La richiesta dev’essere motivata ed il
richiedente, nella domanda, deve indicare
gli estremi del documento oggetto della
richiesta, ovvero, gli elementi che ne
consentano l’individuazione, e comprovare
l’interesse connesso all’oggetto della
richiesta.
La domanda di accesso non può essere
palesemente sproporzionata rispetto
all’effettivo interesse conoscitivo del
soggetto, che deve specificare il puntuale
riferimento che lega il documento richiesto
alla propria posizione soggettiva, ritenuta
meritevole di tutela.
Sicché, la richiesta di accesso ai documenti
deve indicare i presupposti di fatto e
rendere percettibile l’interesse specifico,
concreto ed attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento de quo.
Nella specie, la richiesta di accesso non
conteneva alcuno degli elementi sopra
indicati, avendo l’attuale appellante
tentato di usare l’istituto dell’accesso
forse per non pagare quanto dovuto, dal
momento che, quanto agli atti richiesti, (incontestatamente)
avrebbe dovuto richiedere il registro al
gestore degli impianti e la deliberazione di
determinazione del canone alla Segreteria
comunale, mentre, quanto alla richiesta di
conoscere i contributi corrisposti dagli
altri utenti, effettivamente nessun
interesse specifico e concreto sussisteva,
in capo alla ricorrente, a prenderne visione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.08.2010 n. 5226 -
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APPALTI:
Bandi di gare d'appalto pubblico
- Requisiti minimi o più rigorosi di
partecipazione - Presupposti e limiti -
Sindacato del giudice amministrativo -
Limiti - Fattispecie: Aggiudicazione gara
per gestione piscina comunale - Risarcimento
danni.
I bandi di gare d'appalto pubblico possono
prevedere requisiti di partecipazione più
rigorosi di quelli indicati dalla legge
purché non discriminanti ed abnormi rispetto
alle regole proprie del settore e che
possano pertanto pretendere l'attestazione
di requisiti di capacità diversi ed
ulteriori dalla semplice iscrizione in albi
o elenchi.
Le previsioni recate nelle relative
disposizioni normative di settore sono volte
a stabilire una semplice presunzione di
possesso dei requisiti minimi per la
partecipazione alla gara, che pertanto ben
possono essere derogati (o meglio
incrementati, sotto l'aspetto qualitativo e
quantitativo) dall'amministrazione in
relazione alle peculiari caratteristiche del
servizio da appaltare (Cons. St., sez. V,
06/04/2009, n. 2138; C.d.S. 19/11/2009
n. 7247; C.d.S. sez. IV, 12/06/2007, n. 3103;
C.d.S. sez. VI, 10/01/2007, n. 37).
Le scelte così operate, ampiamente
discrezionali, impingono nel merito
dell'azione amministrativa e si sottraggono,
pertanto, al sindacato del giudice
amministrativo, salvo che non siano ictu
oculi manifestamente irragionevoli,
irrazionali, arbitrarie o sproporzionate,
specie avuto riguardo alla specificità
dell'oggetto ed all'esigenza di non
restringere, oltre lo stretto
indispensabile, la platea dei potenziali
concorrenti e di non precostituire
situazioni di privilegio.
Fattispecie: impugnazione
dell’aggiudicazione della gara per la
gestione di una piscina comunale e richiesta
di risarcimento danni.
Disciplina di gara -
Diritto alla partecipazione - Disposizione e
lesività dell’atto - Impugnazione immediata
senza attenderne l’esito - Necessità.
In materia di appalti pubblici, quando si
ritiene che le disposizione della disciplina
di gara limitano illegittimamente il proprio
diritto alla partecipazione, l’interessato
deve impugnare immediatamente la disciplina
di gara e non attenderne l’esito, essendo la
lesività di un atto aspetto oggettivo e
indipendente dai requisiti posseduti dagli
altri partecipanti alla gara (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 04.08.2010 n. 5201 -
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ESPROPRIAZIONE:
Progetto di pubblica utilità -
Ordinanza di occupazione - Motivazione che
rilevi l’urgenza - “Legge obiettivo”
n.443/2001 - Occupazione anticipata
finalizzata all'esproprio di terreni - Art.
22-bis, testo unico sugli espropri n.
327/2001 - Fattispecie.
A seguito dell’entrata in vigore dell‘art.
22-bis, testo unico sugli espropri n. 327
del 2001, deve ritenersi sufficiente la
motivazione dell’ordinanza di occupazione
che rilevi l’urgenza di consentire la
realizzazione previste dal progetto di
pubblica utilità.
Nella specie, l’immissione in possesso
riguardava la realizzazione di lavori aventi
una specifica qualificazione legale di
urgenza, in quanto volti al raddoppio della
strada statale Aurelia bis, rientrante
nell’ambito di applicazione della “legge
obiettivo” n.443/2001 (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5174 -
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URBANISTICA:
Reato di lottizzazione abusiva -
Configurabilità - Mutamento di destinazione
d’uso - Art. 18, L. n. 47/1985, trasfuso
senza modificazioni nell’art. 30, DPR n.
380/2001.
Il reato di lottizzazione abusiva, secondo
la definizione contenuta nella L. n. 47 del
1985, art. 18, trasfuso senza modificazioni
nel DPR n. 380 del 2001, art. 30, può essere
realizzato mediante attività materiale
costituita dalla esecuzione di opere che
determinano una trasformazione edilizia o
urbanistica del territorio, in violazione
degli strumenti urbanistici vigenti o
adottati o comunque di leggi statali e
regionali, ovvero il compimento di attività
negoziale che, attraverso il frazionamento
dei terreni, ne modifichi inequivocabilmente
la destinazione d’uso a scopo edificatorio
(Cass. Pen. N. 10889/2005).
Particolare rilevanza assume, quindi, la
destinazione del territorio stabilita dagli
strumenti urbanistici, in quanto la
lottizzazione abusiva viene ad incidere
direttamente sul potere di programmazione
dell’uso del territorio da parte dell’ente
locale o sull’assetto del territorio già
stabilito.
E’ stata identificata la lottizzazione
abusiva nel caso in cui le singole unità
abitative perdano la originaria destinazione
d’uso per acquistare quella residenziale,
posto che tale modifica si pone in contrasto
con lo strumento urbanistico (Cass. Pen.,
III Sez., n. 6990 del 2006). Oppure, per
effetto del mutamento di destinazione d’uso
di un complesso immobiliare la cui
originaria destinazione assentita dalla P.A
era quella di manufatti in zona artigianale
con destinazione laboratorio-alloggio del
custode (Cass. Pen., III sez., n.
42471/2008).
Lottizzazione abusiva -
Mutamento di destinazione d’uso -
Fattispecie.
In tema di lottizzazione abusiva, il
mutamento di destinazione d’uso incide sulla
pianificazione del territorio effettuata
dalla P.A., sicché a nulla rileva
l’eventuale rispetto degli standards
edificatori in relazione al rapporto
superficie/volume previsti dal PRG per
l’edilizia residenziale.
Nella specie, manufatti originariamente
assentiti a scopo artigianale sono stati
trasformati in unità residenziali.
Convenzioni di
lottizzazione - Opere di urbanizzazione
primaria e secondaria - Termine per
l’esecuzione - 10 anni dalla sottoscrizione
dell’atto negoziale - Permesso di costruire
- Potere regionale di annullamento Termine -
Art. 39, DPR n. 380/2001.
In materia di convenzioni di lottizzazione,
il termine per l’esecuzione delle opere di
urbanizzazione è fissato in 10 anni dalla
sottoscrizione dell’atto negoziale e
conseguentemente si considera esigibile il
correlativo diritto dell’Amministrazione
alla scadenza di tale arco temporale.
Così come l’art. 39 del DPR n. 380 del 2001,
fissa il termine massimo in dieci anni dalla
adozione il potere regionale di annullamento
del permesso di costruire (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 03.08.2010 n. 5170 -
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ATTI AMMINISTRATIVI: In
ospedale vince la trasparenza. L'interessato
può ottenere la documentazione sanitaria. Il
Tar Lombardia impone di consegnare i
registri infermieristici e medici relativi a
un paziente.
Più trasparenza in corsia. L'interessato ha
diritto di avere copia della documentazione
relativa al registro delle consegne
infermieristiche, alla turnazione dei
medici, agli ordini di servizio del
personale medico e infermieristico.
Così ha deciso il TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza 02.08.2010 n. 3322,
accogliendo il ricorso del vedovo di una
signora deceduta durante la degenza.
Il vedovo solo con quella documentazione ha
la possibilità di valutare se sono state
rispettate indicazioni impartite dai medici.
E non si può opporre, per bloccare la
richiesta di accesso, una pretesa
riservatezza del personale sanitario.
Nel caso specifico, dopo la morte della
moglie ricoverata nel reparto ginecologia di
un ospedale, l'interessato ha chiesto il
rilascio di copia: 1) del registro delle
consegne infermieristiche e/o il diario
infermieristico e/o della cartella
infermieristica, 2) della turnazione dei
medici del pronto soccorso e del reparto di
ginecologia, 3) degli ordini di servizio del
personale medico ed infermieristico, 4) di
ogni altra documentazione medico sanitaria
eventualmente creata sia su supporto
cartaceo che digitale.
L'interessato ha motivato la sua richiesta
con l'esigenza di acquisire documentazione
necessaria a sostegno della domanda di
risarcimento dei danni subiti in conseguenza
del decesso della coniuge.
L'ospedale si è limitato a consegnare la
cartella clinica, e nulla più. Il vedovo non
ha desistito e ha di nuovo rivolto la
richiesta di copia dei documenti, anche
sulla base dell'articolo 39-quater del
codice di procedura penale (investigazioni
difensive).
Alla conseguente seconda istanza di copia
dei documenti, l'ospedale dichiarava di non
ravvisare la necessità di fornire copia
degli ordini di servizio e dell'elenco del
personale in servizio, precisando che tale
documentazione sarebbe stata consegnata solo
in esecuzione di un ordine specifico
dell'Autorità giudiziaria.
Da qui il ricorso al Tribunale
amministrativo regionale.
Il Tar ha dato ragione al vedovo,
sgomberando la strada da una eccezione di
inammissibilità per avere l'interessato
rivolto la richiesta ai sensi della
normativa sulle indagini difensive. In
questo caso il codice di procedura penale
prevede che le forme di tutela contro il
diniego dell'ente pubblico siano quelle
previste dallo steso codice e quindi
richiesta di intervento del pubblico
ministero.
Il Tar, sul punto, ha affermato che il mero
riferimento, contenuto nella seconda
domanda, all'eventuale instaurazione di un
procedimento penale e alla necessità di
svolgere in tale sede le migliori difese
anche ai sensi della legge n. 397/2000
(investigazioni difensive) integra un
elemento del tutto generico, inidoneo di per
sé a ricondurre l'istanza a quelle previste
dal citato articolo 391-quater.
Nel merito il Tar ha stabilito che per
supportate la domanda di risarcimento dei
danni non basta la cartella clinica: la
tutela completa delle ragioni dei parenti
della defunta richiede la compiuta
conoscenza non solo degli interventi
praticati sulla degente, secondo quanto
emerge dalla cartella clinica, ma anche la
possibilità di comprendere se gli interventi
effettuati dal personale medico ed
infermieristico siano coerenti con gli
ordini di servizio e con le consegne
lasciate dal personale concretamente
intervenuto.
In sostanza la conoscenza degli interventi
praticati diviene utile ai fini della tutela
degli interessi del ricorrente solo se
confrontabile con le regole di condotta cui
doveva attenersi il personale intervenuto. A
tale scopo, si legge nella sentenza, è del
tutto coerente la richiesta di conoscenza
sia degli ordini di servizio, sia della
concreta turnazione del personale medico ed
infermieristico intervenuto, sia delle
consegne infermieristiche.
Tuttavia bisogna comunque fissare alcuni
paletti: la richiesta deve essere accolta
solo in relazione agli ordini di servizio,
alla turnazione dei medici e degli
infermieri e al registro delle consegne
infermieristiche riferibili al reparto di
pronto soccorso e al reparto durante il
tempo di ricovero della coniuge defunta e
nei limiti degli interventi praticati nei
suoi confronti.
La sentenza ha dato anche alcuni riferimenti
per poter inquadrare la richiesta di accesso
come una richiesta ai sensi della normativa
sulle indagini difensive, qualora l'attività
di investigazione difensiva sia svolta in
via preventiva, e cioè prima
dell'instaurazione di un procedimento
penale: è necessario che il difensore abbia
ricevuto un apposito mandato per
l'eventualità che si instauri un
procedimento penale e che il mandato sia
rilasciato con sottoscrizione autenticata e
contenga la nomina del difensore, nonché
l'indicazione dei fatti ai quali si
riferisce (articolo 391-nonies codice di
procedura penale).
Solo in presenza di questi elementi si
applicano le disposizione del codice di
procedura penale, che individuano una
modalità di accesso diversa e ulteriore
rispetto a quella prevista dalla legge sulla
trasparenza amministrativa (legge 241 del
1990)
(articolo ItaliaOggi del 12.08.2010, pag.
20). |
APPALTI SERVIZI:
Impianti di illuminazione -
Comuni - R.D. 15.10.1925 e D.L. n. 902/1986
- Riscatto - Implicita abrogazione ex T.U.
n. 267/2000 - Inconfigurabilità.
La normativa in materia di riscatto degli
impianti di cui al R.D. 15.10.1925, n. 1568
ed al D.L. n. 902/1986 non risulta
implicitamente abrogata per effetto della
sopravvenuta disciplina poi recepita dal
T.U. n. 267/2000 nella misura in cui mira
all’assicurazione in capo agli enti locali,
della proprietà degli impianti costituente
presupposto indefettibile per l’indizione
della procedura per l’affidamento del
servizio pubblico ovvero per la relativa
assunzione in house (ordinanza Consiglio di
Stato, V, n. 6639/2008 del 12.12.2009).
Ne discende che deve ritenersi sussistere,
in capo agli enti locali, l’astratta
possibilità di riscattare la proprietà degli
impianti di illuminazione pubblica
realizzati da Enel, quale concessionario di
servizio (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 02.08.2010 n. 2612 -
link a www.ambientediritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Il
comune non può decidere da solo sui fondi
premiali.
Ulteriore stop alla riforma Brunetta. Questa
volta a porre un freno all'applicazione del
decreto legislativo 150/2009 agli enti
locali è il Tribunale di Salerno: con la
sentenza 19.07.2010
viene condannato per condotta antisindacale
un comune che aveva deciso in via
unilaterale la destinazione delle somme
ricomprese nel fondo per le risorse
decentrate.
Il caso esaminato dall'organo
giurisdizionale prende il via dalla mancata
sottoscrizione definitiva dell'accordo
decentrato per il 2009.
Dopo aver firmato l'ipotesi di accordo in
periodo ante Dlgs 150/2009, la giunta
comunale rileva che nella stessa ipotesi è
presente una serie di vizi di legittimità e
quindi non ne autorizza la sottoscrizione
definitiva. Ne seguono una serie di incontri
fra la delegazione di parte pubblica e le
organizzazioni sindacali, dove, tra l'altro,
viene posta in rilievo anche la non corretta
costituzione del fondo per la contrattazione
decentrata.
Si arriva, così, nel periodo di vigenza
della riforma Brunetta e l'amministrazione
comunale decide di dare attuazione
all'articolo 54, comma 3-ter, del decreto
150, nel quale si prevede la facoltà del
datore di lavoro di provvedere in via
unilaterale e provvisoria nelle materie per
le quali non è stato raggiunto l'accordo in
sede decentrata.
Osserva, però, il collegio giudicante come
il comune possa procedere in via unilaterale
solo nel momento in cui i contratti
decentrati in essere alla data di entrata in
vigore del decreto legislativo 150/2009
(15.11.2009) perdano la loro efficacia. Con
l'articolo 65 di questo decreto, poi, per
gli enti locali vengono individuati il
31.12.2011 quale termine per l'adeguamento
dei contratti decentrati alla riforma
Brunetta e il 31.12.2012 quale data dalla
quale, in caso di mancato adeguamento, non
si possono più applicare i vecchi Ccdi.
Quindi, fino a queste date,
l'amministrazione deve rispettare quanto
disposto dal Ccnl, in particolare l'articolo
4 del contratto del 22.01.2004 che prevede
la contrattazione per la destinazione delle
risorse per la contrattazione decentrata.
Richiamando, poi, i presupposti individuati
dalla corte di Cassazione, sezione Lavoro,
sentenza 5422/1998, per l'individuazione
della condotta antisindacale -vale a dire
l'obiettività, l'attualità e la concretezza-
e riconoscendone l'esistenza nel
comportamento tenuto dal comune, il
tribunale accoglie il ricorso proposto in
base all'articolo 28 della legge 300/1970.
Il comportamento del datore di lavoro
pubblico, non rispettando il diritto
all'informazione e alla consultazione delle
organizzazioni sindacali, ha inciso
negativamente sulla sfera patrimoniale delle
stesse, intesa nell'accezione più ampia e
che ricomprende il diritto all'immagine e al
rispetto della sue funzioni
(articolo Il Sole 24
Ore
del 13.08.2010, pag. 24). |
COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI: Pf,
l'ok spetta ai dirigenti. La giunta decide
l'inserimento in programmazione. Il Cds:
negli enti pubblici la valutazione delle
proposte è di competenza dirigenziale.
Nel project financing
l'unica fase di natura «politica», rimessa
al consiglio comunale, è quella attinente
all'inserimento in programmazione degli
interventi; la successiva fase di
valutazione delle proposte è di competenza
dirigenziale e non della giunta trattandosi
di valutazioni tecniche e di attività
gestionale.
Lo afferma il Consiglio di Stato, Sez. V,
con la
sentenza 01.09.2009 n. 5136 che
riforma una pronuncia del Tar Toscana; in
primo grado era stato accolto un ricorso
contro il provvedimento dirigenziale di non
accoglimento di una proposta di «project
financing», con la motivazione che il
provvedimento era stato emanato da un
dirigente comunale e non dalla giunta
municipale.
I giudici di palazzo Spada bocciano la
decisione del Tar affermando che «la
valutazione in ordine alla congruità del
progetto presentato era (e non poteva che
essere) del dirigente preposto all'apposito
settore».
La sentenza giunge a questa conclusione
esaminando i passaggi della procedura
delineata dalle normativa sulla finanza di
progetto nel Codice dei contratti pubblici,
anche con riferimento alle modifiche del
terzo decreto correttivo del settembre 2008.
Dalla lettura di queste norme il Consiglio
di stato ricava che la scelta di natura «politica»
avviene nella fase in cui l'ente pubblico
individua, nell'ambito del programma
triennale dei lavori, di competenza del
consiglio comunale, gli interventi da
finanziare mediante l'apporto dei privati.
A questa fase «politica» segue poi
una fase procedimentale caratterizzata da
più momenti: presentazione di un progetto
completo, sua valutazione, inserimento a
base d'asta, selezione successiva e infine
aggiudicazione della concessione e di
esercizio al promotore finanziario
prescelto.
Questa seconda fase (articolata ma ritenuta
in altre pronunce dello stesso Consiglio di
stato comunque «unitaria») viene
considerata dai giudici come «attività di
gestione, vale a dire attività di
valutazione tecnica consequenziale a quella
scelta che, coerentemente e necessariamente,
ai sensi del decreto legislativo n. 267 del
2000, è nella esclusiva competenza dei
dirigenti».
In questa seconda fase la competenza, tranne
eccezioni contenute negli statuti comunali o
in norme specifiche, è quindi del dirigente
e non della giunta che, invece, ha una
competenza residuale: è titolare di tutte
quelle attività che non sono attribuite alla
competenza di altri organi, tra cui i
dirigenti
(articolo
ItaliaOggi del 11.08.2010, pag. 28
- link a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un
sottotetto termico non abitabile, di
rilevante superficie ed altezza media
oggettivamente suscettibile di suo
abitativo, non può rientrare, con tutta
evidenza, nel concetto di volume tecnico,
che comprende esclusivamente le porzioni di
fabbricato destinate ad ospitare impianti,
legati da un rapporto di strumentalità
necessaria con l’utilizzazione dello stesso.
Il Collegio ritiene che l’intervento
progettato, impropriamente definito
sottotetto termico non abitabile, non può
rientrare, con tutta evidenza, nella
destinazione dichiarata né è sussumibile nel
concetto di volume tecnico, che comprende
esclusivamente le porzioni di fabbricato
destinate ad ospitare impianti, legati da un
rapporto di strumentalità necessaria con
l’utilizzazione dello stesso.
In realtà, tenuto conto delle
caratteristiche costruttive, della rilevante
superficie ed altezza media, esso si
sostanzia piuttosto in un piano di copertura
oggettivamente suscettibile di uso abitativo
(cfr. Consiglio di Stato, V Sezione,
21.10.1992 n. 1025 e 13.05.1997 n. 483; TAR
Campania, IV Sezione, 12.01.2000 n. 30; II
Sezione, 03.02.2006 n. 1506).
Invero, come chiarito dalla citata
giurisprudenza, ai fini della qualificazione
di una costruzione, rilevano le
caratteristiche oggettive della stessa,
prescindendosi dall’intento dichiarato dal
privato di voler destinare l’opera ad
utilizzazioni più ristrette di quelle alle
quali il manufatto potenzialmente si presta.
Il consistente aumento dell’altezza e del
volume del fabbricato, con il conseguente
mutamento della sagoma, comportano poi che
non possa farsi ricorso alle categorie degli
interventi di manutenzione straordinaria o
di ristrutturazione edilizia, secondo le
definizioni contenute nell’art. 3, comma 1,
lett. b) e d), del d.P.R. 06.06.2001 n. 380
–che ha riprodotto le previsioni già
contenute nell’art. 31, della legge
05.08.1978 n. 457– venendo in rilievo un
quid novum, ossia un organismo del tutto
diverso nella sua consistenza rispetto a
quello preesistente ed autonomamente
utilizzabile, che si configura indubbiamente
come una nuova costruzione (TAR
Campania-Napoli, Sez. II
sentenza 09.04.2008 n. 2063 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
per effetto delle disposizioni contenute
nell'art. 3 d.P.R. 06.06.2001 n. 380 la
nozione di ristrutturazione è stata
ulteriormente estesa, non per questo possono
considerarsi venuti meno i limiti che ne
condizionano le caratteristiche e consentono
di distinguerla dall'ipotesi di nuova
costruzione, vale a dire la necessità che la
ricostruzione sia identica per sagoma,
volumetria e superficie, al fabbricato
demolito.
Secondo un consolidato insegnamento
giurisprudenziale del giudice
amministrativo, se per effetto delle
disposizioni contenute nell'art. 3 d.P.R.
06.06.2001 n. 380 la nozione di
ristrutturazione è stata ulteriormente
estesa, non per questo possono considerarsi
venuti meno i limiti che ne condizionano le
caratteristiche e consentono di distinguerla
dall'ipotesi di nuova costruzione, vale a
dire, la necessità che la ricostruzione sia
identica, per sagoma, volumetria e
superficie, al fabbricato demolito (C.
Stato, sez. IV, 28.07.2005 n. 4011) e che
costituiscono ristrutturazione urbanistica
sia la trasformazione degli organismi
edilizi con un insieme sistematico di opere
che possono portare anche ad un organismo in
tutto od in parte diverso dal precedente,
sempre che detti interventi riguardino solo
alcuni elementi dell'edificio (ripristino o
sostituzione di alcuni elementi costituitivi
dell'edificio; eliminazione, modifica e
inserimento di nuovi elementi o nuovi
impianti), sia la demolizione e
ricostruzione, sempre che ciò avvenga con la
stessa volumetria e sagoma
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 09.04.2008 n. 531 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della legittimazione al ricorso contro
i titoli edilizi occorre utilizzare il
criterio dello stabile collegamento tra il
ricorrente e la zona interessata
all’attività edilizia assentita, non
essendo, peraltro, sufficiente la mera
prossimità con l’area oggetto di intervento,
ma essendo necessaria l’immediatezza della
vicinanza della proprietà con l’area
edificanda.
Secondo un costante e consolidato
orientamento degli organi di giustizia
amministrativa, ai fini della legittimazione
al ricorso contro i titoli edilizi occorre
utilizzare il criterio dello stabile
collegamento tra il ricorrente e la zona
interessata all’attività edilizia assentita,
non essendo, peraltro, sufficiente la mera
prossimità con l’area oggetto di intervento,
ma essendo necessaria l’immediatezza della
vicinanza della proprietà con l’area
edificanda (cfr. per tutti, Cons. St., sez.
V, 28.06.2004, n. 4790); in aggiunta, va
però anche ulteriormente precisato, che la
predetta condizione dell’azione
rappresentata dalla “vicinitas”,
ossia dallo stabile collegamento tra il
ricorrente e la zona interessata
dall’intervento assentito, va valutata alla
stregua di un giudizio che tenga
necessariamente conto della natura e delle
dimensioni dell’opera realizzata, della sua
destinazione, delle sue implicazioni
urbanistiche ed anche delle conseguenze
prodotte dal nuovo insediamento sulla “qualità
della vita” di coloro che per residenza,
attività lavorativa e simili, sono in
durevole rapporto con la zona in cui sorge
la nuova opera (Cons. St., sez. IV,
31.05.2007, n. 2849)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 09.04.2008 n. 387 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
significato della "superficie di vendita" in
base al D.Lgs. n. 114/1998.
In base all'art. 4 del D. L.vo 31.03.1998,
n. 114, per “superficie di vendita”
si intende “l’area destinata alla
vendita, compresa quella occupata dai
banchi, scaffalature e simili”, mentre
non costituisce superficie di vendita, per
espressa disposizione contenuta in tale
norma, esclusivamente l’area “destinata a
magazzini, depositi, locali di lavorazione,
uffici e servizi”.
Ora, interpretando tale normativa la
giurisprudenza ha già chiarito che per
superficie di vendita di un esercizio
commerciale si deve intendere quella su cui
sostano e si spostano, oltre al personale
addetto al servizio, i consumatori per
esaminare gli oggetti posti in vendita
collocati negli appositi spazi e per
concludere le operazioni di vendita, sicché
“la zona di esposizione dei prodotti
commercializzati dall’esercizio va inclusa
nella superficie di vendita” (cfr. TAR
Veneto, sez. III, 02.11.2004, n. 3825)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 09.04.2008 n. 387 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI: La
progettazione delle opere viarie, idrauliche
ed igieniche, che non siano strettamente
connesse con i singoli fabbricati, è di
pertinenza degli ingegneri.
Parte ricorrente deduce che, nella specie,
la competenza per la redazione del progetto
per la realizzazione di opere per il
recupero, risanamento e potenziamento della
rete di distribuzione idrica sarebbe
attribuita ex lege esclusivamente
alla figura professionale dell’ingegnere.
Il capo IV del Regolamento per le
Professioni d'Ingegnere e di Architetto,
approvato con Regio Decreto 23.10.1925 n.
2537, di esecuzione della legge 24.06.1923
n. 1395 disciplina l'oggetto ed i limiti
delle competenze spettanti alle due figure
professionali.
L'art. 51 del R.D. 23.10.1925 n. 2537
determina la competenza degli ingegneri
nella progettazione e conduzione dei lavori
per "estrarre ed utilizzare i materiali
direttamente od indirettamente occorrenti
per le costruzioni e per le industrie, dei
lavori relativi alle vie ed ai mezzi di
trasporto di deflusso e di comunicazione,
alle costruzioni di ogni specie, alle
macchine ed agli impianti industriali,
nonché, in generale, alle applicazioni della
fisica, i rilievi geometrici e le operazioni
di estimo".
In tale formulazione ampia e comprensiva
sono ricomprese le costruzioni stradali, le
opere igienico-sanitarie (acquedotti,
fognature ed impianti di depurazione), gli
impianti elettrici, le opere idrauliche e,
di certo, anche le opere di edilizia civile
(nella espressione "costruzioni di ogni
specie").
L'art. 52 del medesimo Regio Decreto dispone
che rientrano nella competenza comune di
ingegneri ed architetti le "opere di
edilizia civile" ed il raccordo con la
norma che precede indica che questa
categoria è stata individuata nell'ambito
della più ampia e generale competenza degli
ingegneri "per costruzioni di ogni specie".
Il medesimo art. 52, comma II, riserva alla
competenza degli architetti le opere di
edilizia civile che presentano rilevante
carattere artistico e di restauro ed il
ripristino degli edifici di interesse
storico-artistico.
Tuttavia la parte residua (e quindi i
calcoli, i rilievi geometrici, le tecniche
di intervento strutturale, la parte
ricostruttiva) rientra in altra ipotesi di
competenza comune.
Orbene, non vi è dubbio che nella nozione di
"opere di edilizia civile" siano da
comprendere tutte le opere anche connesse ed
accessorie, purché, ovviamente, si tratti di
pertinenze al servizio di singoli fabbricati
o complessi edilizi.
Peraltro (e l'argomento assume un rilievo
decisivo ai fini della verifica dei
contenuti dispositivi degli artt. 51 e 52
del R.D. n. 2537 del 1925), l'art. 54,
ultimo comma, del R.D. 23.10.1925 n. 2537
contempla un allargamento della competenza
degli architetti, per i soli professionisti
appartenenti a questa categoria che abbiano
conseguito il diploma di architetto civile,
in questi termini: "sono autorizzati a
compiere le attività di cui all'art. 51"
(vale a dire quelle riservata agli
ingegneri) "ad eccezione però di quanto
riguarda le applicazioni industriali e della
fisica, nonché i lavori relativi alle vie,
ai mezzi di comunicazione e di trasporto ed
alle opere idrauliche".
Ne consegue, su tali basi normative, che la
regola da valere, salvo eccezione
espressamente individuata, non può affatto
essere quella della equivalenza delle
competenze professionali di ingegneri ed
architetti.
E' infatti pacifico che la progettazione
delle opere viarie, idrauliche ed igieniche,
che non siano strettamente connesse con i
singoli fabbricati, sia di pertinenza degli
ingegneri (cfr.: Cons. Stato, Sez. V,
06.04.1998, n. 416; Sez. IV, 19.02.1990, n.
92; Sez. III, 11.12.1984, n. 1538)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 09.04.2008 n. 354 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’azione
di repressione degli abusi edilizi
costituisce attività dovuta e vincolata.
L'obbligo di motivazione -inteso nella sua
essenzialità, senza cioè inutili formalismi-
è infatti assolto con la mera indicazione,
anche "per relationem", dei presupposti di
fatto.
Costituisce orientamento consolidato della
giurisprudenza amministrativa il fatto che
l’azione di repressione degli abusi edilizi
costituisce attività dovuta e vincolata.
L'obbligo di motivazione -inteso nella sua
essenzialità, senza cioè inutili formalismi-
è infatti assolto con la mera indicazione,
anche "per relationem", dei
presupposti di fatto (ad es.: verbali di
contravvenzione, individuazione dettagliata
delle opere abusive) utili per ricostruire
l'iter logico seguito dall'amministrazione
competente (cfr., tra le tante, TAR
Campania, sez. IV, 22.03.2007, n. 2725 e TAR
Puglia, sez. II, 23.12.2002, n. 5843).
Lo stesso vale con riferimento alla
indicazione della normativa applicabile alla
specifica fattispecie di abuso contestato
dall’amministrazione comunale nel senso che,
al fine di assolvere all’obbligo di
motivazione, è sufficiente il richiamo alla
disposizione precettiva quando essa non
lasci margini di discrezionalità
all’interprete ovvero contenga concetti
giuridici indeterminati che
l’amministrazione è obbligata a “riempire”
di contenuto
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 07.04.2008 n. 2904 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
tettoia avente carattere di stabilità ed
idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a
non poter essere considerata una mera
pertinenza, costituisce un'opera esterna per
la cui realizzazione occorre la concessione
edilizia (ora permesso di costruire).
Il Collegio
ritiene di poter confermare quell’indirizzo
giurisprudenziale (cfr. TAR Lazio, Roma,
sez. II, 08.06.2005, n. 4655 e TAR
Lombardia, sez. II, 23.11.2006, n. 2834 e
04.12.2007 n. 6544) secondo cui una tettoia
avente carattere di stabilità ed idonea ad
un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter
essere considerata una mera pertinenza,
costituisce un'opera esterna per la cui
realizzazione occorre la concessione
edilizia (ora permesso di costruire).
Va, invero, osservato che le descritte
caratteristiche del manufatto depongono per
ritenere che si tratti di opere nuove che
attuano una trasformazione permanente del
territorio, ciò sia per il materiale
utilizzato per la loro realizzazione (che,
comunque, non consente un’agevole
rimovibilità) che per la funzione a cui
risultano adibite (deposito prodotti).
Ulteriore elemento che depone a favore della
necessità del previo rilascio della
concessione edilizia è possibile rinvenire
nella definizione di “nuova costruzione”
contenuta ora nell’art. 3 del DPR n.
380/2001, che, sebbene non applicabile
ratione temporis al caso di specie,
fornisce elementi utili dal punto di vista
interpretativo.
Ed invero, l’art. 3, comma 1, lett. e.5) del
DPR n. 380/2001 annovera tra gli interventi
di nuova costruzione “l'installazione di
manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di
strutture di qualsiasi genere, quali
roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, e che non
siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee”
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 07.04.2008 n. 2904 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di pertinenza previsto dal diritto
civile (art. 817 ss. c.c.) va distinto da
quello inteso in senso urbanistico (vd. art.
7 comma 2, lett. a) d.l. 23.01.1982 n. 9
convertito nella l. 25.03.1982 n. 94), per
cui non assumono carattere di pertinenza
quelle costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa civilistica, sono suscettibili
di svolgere una funzione autonoma rispetto
ad altra costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa, come nel caso di specie, essere
successivamente utilizzato in modo autonomo
e separato.
La
giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che
il concetto di pertinenza previsto dal
diritto civile (art. 817 ss. c.c.) va
distinto da quello inteso in senso
urbanistico (vd. art. 7 comma 2, lett. a)
d.l. 23.01.1982 n. 9 convertito nella l.
25.03.1982 n. 94), per cui non assumono
carattere di pertinenza quelle costruzioni
che, pur potendo essere qualificate come
beni pertinenziali secondo la normativa
civilistica, sono suscettibili di svolgere
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa, come nel caso di specie, essere
successivamente utilizzato in modo autonomo
e separato (per tutte, TAR Toscana, sez. III,
27.11.2006, n. 6052 e Cons. St., sez. V,
13.06.2006, n. 3490)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 07.04.2008 n. 2904 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Sulla
corretta interpretazione ed individuazione
delle aree a standard da destinare a verde
pubblico ed a parcheggio pubblico.
Il D.M. 02.04.1968, n. 1444, nel determinare
e nell’individuare gli spazi pubblici
riservati a verde pubblico ed a parcheggi,
prevede espressamente all’art. 3, che tali
spazi debbano essere “effettivamente
utilizzabili”, “con esclusione di fasce
verdi lungo le strade”.
In altri termini, gli spazi pubblici in
questione debbono essere localizzati in modo
tale da consentire una loro piena
utilizzazione da parte della generalità
degli utenti: cioè, per un verso, le aree
destinate a verde pubblico attrezzato
debbono avere una dimensione tale da poter
essere proficuamente utilizzate dalla
generalità degli utenti per il gioco e per
lo sport e non debbono risolversi in “spazi
di risulta” esclusivamente posti a
servizio dei fabbricati, per altro verso le
aree destinate a parcheggio pubblico debbono
essere localizzate in modo tale da
consentire alla generalità dei cittadini di
accedervi
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 07.04.2008 n. 378 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: Per
effetto della riforma delle autonomie locali
vi è stata una generale devoluzione delle
competenze del sindaco ai dirigenti del
Comune, atteso che la nuova organizzazione
complessiva dell'ente locale pone una “summa
divisio” tra organi di governo (elettivi),
preposti agli atti di indirizzo e di
controllo, ed i dirigenti, preposti agli
atti di gestione ordinaria di tutte le altre
funzioni amministrative, nei quali ultimi
rientra senz'altro l'ordine di demolizione
di un manufatto abusivo, in quanto atto di
vigilanza sul territorio.
Per effetto della riforma delle autonomie
locali ai sensi degli artt. 4 e 51 della l.
08.06.1990 n. 142 e del d.lgs. n. 29/1993,
sfociato nella legge n. 127 del 15.05.1997
(successivamente recepito, per quanto
riguarda gli enti locali, nel testo unico
approvato con d.lgs. 18.08.2000, n. 267) vi
è stata una generale devoluzione delle
competenze del sindaco ai dirigenti del
Comune, atteso che la nuova organizzazione
complessiva dell'ente locale pone una “summa
divisio” tra organi di governo
(elettivi), preposti agli atti di indirizzo
e di controllo, ed i dirigenti, preposti
agli atti di gestione ordinaria di tutte le
altre funzioni amministrative, nei quali
ultimi rientra senz'altro l'ordine di
demolizione di un manufatto abusivo, in
quanto atto di vigilanza sul territorio.
Trattandosi di atto sanzionatorio a
carattere vincolato, esso è ed era,
pertanto, da ritenersi di competenza del
dirigente del settore (Consiglio Stato, sez.
V, 06.03.2000, n. 1149; TAR Lazio, sez. II,
19.09.1994, n. 1052), anche prima che l'art.
2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191,
espressamente attribuisse al dirigente il
potere di ordinare la demolizione d'ufficio
in caso di inosservanza dell'ordine di
rimozione rivolto all'autore dell'abuso
(cfr. TAR Campania Napoli, sez. II,
19.10.2006, n. 8683; TAR Lombardia Brescia,
04.07.2000, n. 610)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.04.2008 n. 1911 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
presupposto per l’adozione dell'ordine di
demolizione di opere edilizie abusive è
soltanto la constatata esecuzione dell'opera
in totale difformità dalla concessione od in
assenza della medesima, con la conseguenza
che tale provvedimento, ove ricorrono i
predetti requisiti, è atto dovuto ed è
sufficientemente motivato con la
affermazione della accertata abusività
dell'opera, essendo “in re ipsa” l'interesse
pubblico alla sua rimozione.
Per
giurisprudenza pacifica di questo Tribunale,
in materia urbanistica, il presupposto per
l’adozione dell'ordine di demolizione di
opere edilizie abusive è soltanto la
constatata esecuzione dell'opera in totale
difformità dalla concessione od in assenza
della medesima, con la conseguenza che tale
provvedimento, ove ricorrono i predetti
requisiti, è atto dovuto ed è
sufficientemente motivato con la
affermazione della accertata abusività
dell'opera, essendo “in re ipsa”
l'interesse pubblico alla sua rimozione.
In sostanza, la motivazione dell'ordinanza
di demolizione non deve essere sorretta da
alcuna specifica motivazione in ordine alla
sussistenza dell'interesse pubblico a
disporre la sanzione, poiché l'abuso, anche
se risalente nel tempo, non può giustificare
alcun legittimo affidamento del
contravventore a veder conservata una
situazione di fatto che il semplice
trascorrere del tempo non può legittimare.
Il presupposto per l'adozione dell'ordine di
demolizione di opere edilizie abusive è
soltanto la constatata esecuzione dell'opera
in totale difformità, dalla concessione o in
assenza della medesima, con la conseguenza
che tale provvedimento -ove ricorrano i
predetti requisiti- è atto dovuto ed è
sufficientemente motivato con l'affermazione
dell'accertata abusività dell'opera.
L'ordinanza di demolizione, quindi, in
quanto atto vincolato, non richiede in alcun
caso una specifica motivazione su puntuali
ragioni di interesse pubblico o sulla
comparazione di quest'ultimo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.04.2008 n. 1911 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
precarietà di un manufatto edilizio che ne
giustifica il non assoggettamento a
concessione edilizia dipende non già dai
materiali utilizzati o dal sistema del suo
ancoraggio al suolo bensì dall'uso cui esso
è destinato, per cui tale precarietà deve
essere esclusa ogni qual volta l'opera sia
destinata a dare un'utilità prolungata nel
tempo, ancorché a termine in relazione
all'obiettiva ed intrinseca destinazione
naturale del manufatto.
La precarietà
di un manufatto edilizio che ne giustifica
il non assoggettamento a concessione
edilizia dipende non già dai materiali
utilizzati o dal sistema del suo ancoraggio
al suolo bensì dall'uso cui esso è
destinato, per cui tale precarietà deve
essere esclusa ogni qual volta l'opera sia
destinata a dare un'utilità prolungata nel
tempo, ancorché a termine in relazione
all'obiettiva ed intrinseca destinazione
naturale del manufatto (cfr. Tar Lombardia,
Sez staccata di Brescia 15.07.1993, n. 619).
Nel caso di specie, come risulta
dall’ordinanza di demolizione, il container
in questione era adibito a ufficio (e tale
elemento non è stato contraddetto dalla
ricorrente), di conseguenza deve ritenersi
che tale manufatto, non essendo destinato a
soddisfare esigenze temporanee ed incidendo
in modo permanente e non precario
sull'assetto edilizio del territorio, sia
assoggettabile a permesso di costruzione con
conseguente applicabilità del regime
demolitorio di cui all'art. 7 l. 28.02.1985
n. 47
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.04.2008 n. 1911 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La destinazione di zona agricola
è compatibile con la realizzazione di
impianti a rete di urbanizzazione primaria
(quali cavidotti, condutture del gas,
elettrodotti, impianti di telefonia, anche
mobile, reti fognarie, etc.).
Per giurisprudenza pacifica la destinazione
di zona agricola è compatibile con la
realizzazione di impianti a rete di
urbanizzazione primaria (quali cavidotti,
condutture del gas, elettrodotti, impianti
di telefonia, anche mobile, reti fognarie,
etc.).
Altrimenti opinando, e guardando al caso di
specie in esame, l’allacciamento della rete
fognaria cittadina con gli impianti di
depurazione, che sono normalmente ubicati
fuori dal centro abitato, sarebbe
praticamente impossibile.
Il generico richiamo a pretese norme
tecniche di attuazione del p.r.g. –non
indicate, né precisate in ricorso– al di là
della genericità della prospettazione,
risulta comunque superabile in base a
un’interpretazione logico-sistematica della
disciplina urbanistica che, comunque, non
può condurre ad esiti aberranti, quali
l’impossibilità di collegare la rete
fognaria a quella di collettamento e
depurazione (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 04.04.2008 n. 1858 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Allorché
nel corso del procedimento di rilascio del
titolo si verifichi un intervento -di terzi-
che contesta la legittimazione del
richiedente a conseguire l’assenso ai lavori
in progetto, l’amministrazione è tenuta a
dar corso ad accertamenti istruttori.
Il collegio conosce e considera in linea di
principio condivisibile l’orientamento della
giurisprudenza che ritiene che al comune non
competa necessariamente un’indagine
approfondita sulla corrispondenza tra le
dichiarazioni del richiedente il titolo
legittimante la domanda di permesso e la
realtà dei diritti reali interessati.
Tuttavia, allorché nel corso del
procedimento di rilascio del titolo si
verifichi un intervento (raccomandata
16.04.2007) che contesta la legittimazione
del richiedente a conseguire l’assenso ai
lavori in progetto, l’amministrazione è
tenuta a dar corso ad accertamenti
istruttori, che non possono essere
compendiati nella tautologica proposizione
utilizzata dall’amministrazione (“…
ritenuto che l’entità delle opere previste a
progetto nelle parti comuni rientri nei
limiti fissati dall’art. 1102 del Codice
Civile…”), che non permette di
comprendere perché sia stato ritenuto
osservato il disposto dell’art. 1102 c.c.
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 04.04.2008 n. 462 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Presupposto
per l'emanazione dell'ordinanza di
demolizione di opere edilizie abusive è
soltanto la constatata esecuzione di queste
ultime in assenza o in totale difformità del
titolo concessorio, con la conseguenza che,
essendo l'ordinanza atto dovuto, essa è
sufficientemente motivata con l'accertamento
dell'abuso, essendo "in re ipsa" l'interesse
pubblico alla sua rimozione e sussistendo
l'eventuale obbligo di motivazione al
riguardo solo se l'ordinanza stessa
intervenga a distanza di tempo
dall'ultimazione dell'opera avendo l'inerzia
dell'amministrazione creato un qualche
affidamento nel privato.
Costituisce
jus receptum che in caso di abuso
edilizio “l'ordinanza di demolizione non
richiede, in linea generale, una specifica
motivazione; l'abusività costituisce di per
sé motivazione sufficiente per l'adozione
della misura repressiva in argomento. Ne
consegue che, in presenza di un'opera
abusiva, l'autorità amministrativa è tenuta
ad intervenire affinché sia ripristinato lo
stato dei luoghi, non sussistendo alcuna
discrezionalità dell'amministrazione in
relazione al provvedere” (TAR Lazio
Roma, sez. I, 19.07.2006, n. 6021); infatti
“l'ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e
non necessita di motivazione ulteriore
rispetto all'indicazione dei presupposti di
fatto e all'individuazione e qualificazione
degli abusi edilizi” (TAR Marche Ancona,
sez. I, 12.10.2006, n. 824) ed, ancora, “presupposto
per l'emanazione dell'ordinanza di
demolizione di opere edilizie abusive è
soltanto la constatata esecuzione di queste
ultime in assenza o in totale difformità del
titolo concessorio, con la conseguenza che,
essendo l'ordinanza atto dovuto, essa è
sufficientemente motivata con l'accertamento
dell'abuso, essendo "in re ipsa" l'interesse
pubblico alla sua rimozione e sussistendo
l'eventuale obbligo di motivazione al
riguardo solo se l'ordinanza stessa
intervenga a distanza di tempo
dall'ultimazione dell'opera avendo l'inerzia
dell'amministrazione creato un qualche
affidamento nel privato” (Consiglio di
Stato, sez. V, 29.05.2006 n. 3270)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 03.04.2008 n. 1831 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
è affatto pacifico in giurisprudenza che la
tettoia possa essere qualificato come un
intervento realizzabile senza il permesso a
costruire (per la asserita natura di bene
precario) ovvero essere ricondotto sic et
simpliciter ad un intervento manutentivo
straordinario.
Il Collegio evidenzia –come peraltro già
ampiamente illustrato in precedenti pronunce
della Sezione (cfr. TAR Napoli, sezione VI,
n. 961/2007)– che non è affatto pacifico in
giurisprudenza che la tettoia possa essere
qualificato come un intervento realizzabile
senza il permesso a costruire (per la
asserita natura di bene precario) ovvero
essere ricondotto sic et simpliciter
ad un intervento manutentivo straordinario.
Numerose pronunce, infatti, evidenziano in
linea generale che la realizzazione di una
tettoia è soggetta a concessione edilizia ai
sensi dell'art. 1 L. 28.01.1977 n. 10 in
quanto essa, pur avendo carattere
pertinenziale rispetto all'immobile cui essa
accede, incide sull'assetto edilizio
preesistente; ovvero che la costruzione di
una tettoia non rientra nel concetto di
manutenzione straordinaria, atteso che
quest'ultima si fonda sul duplice
presupposto che i lavori progettati siano
preordinati alla mera rinnovazione o
sostituzione di parti dell'edificio o alla
realizzazione di impianti igienico sanitari
e che i volumi e le superfici preesistenti
non vengano alterati o non siano destinati
ad altro uso (cfr., TAR Campania–Napoli nr.
12962 - 20.10.2003; TAR Puglia–Bari, 3573 nr.
25.09.2003; TAR Sicilia–Catania nr. 1061 -
01.07.2003; TAR Campania–Napoli nr. 897 -
18.02.2003)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 03.04.2008 n. 1831 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI: Non
rientra nella competenza professionale del
geometra la progettazione e la realizzazione
di opere in cemento armato che eccedano i
limiti posti dagli art. 16 ss. r.d.
11.02.1929 n. 274, ossia le piccole
costruzioni accessorie di edifici rurali e
per uso di industrie agricole, che non
richiedano particolari operazioni di calcolo
e non costituiscano comunque pericolo per
l'incolumità delle persone (nella specie, e'
illegittimo il progetto firmato da un
geometra per la realizzazione di un grande
capannone industriale, poggiante su una
fondazione di pali e pilastri in cemento
armato e con solai in laterocemento e,
comunque, di natura e dimensioni tali da non
poter esser definito come una modesta
costruzione civile).
La Sezione ha ripetutamente chiarito che per
gli edifici destinati a civile abitazione,
la competenza dei geometri e' limitata alle
sole costruzioni di modeste dimensioni, con
divieto di progettare opere per cui vi sia
impiego di cemento armato, tale da
implicare, in relazione alla destinazione
dell'opera, un pericolo per l'incolumità
della persone in caso di difetto
strutturale, stante l'evidente favore che le
varie norme pongono per la competenza
esclusiva dei tecnici laureati, nonché
l'obbligo della p.a., in sede di rilascio
della concessione edilizia, di motivare
congruamente in ordine alla sufficienza
della redazione di un progetto da parte di
un geometra (Consiglio Stato sez. V,
13.01.1999, n. 25).
La competenza dei geometri per la
realizzazione in cemento armato di piccole
costruzioni accessorie di edifici rurali
deve essere estesa, ai sensi dell'art. 16
r.d. 11.02.1929 n. 274, anche alle opere
accessorie alle costruzioni civili, fermo
restando che deve trattarsi di costruzioni
di dimensioni esigue e tali da non
presentare particolari problemi strutturali
(Consiglio Stato sez. V, 08.06.1998, n.
779).
Secondo tale pronuncia, non rientra nella
competenza professionale del geometra la
progettazione e la realizzazione di opere in
cemento armato che eccedano i limiti posti
dagli art. 16 ss. r.d. 11.02.1929 n. 274,
ossia le piccole costruzioni accessorie di
edifici rurali e per uso di industrie
agricole, che non richiedano particolari
operazioni di calcolo e non costituiscano
comunque pericolo per l'incolumità delle
persone (nella specie, e' illegittimo il
progetto firmato da un geometra per la
realizzazione di un grande capannone
industriale, poggiante su una fondazione di
pali e pilastri in cemento armato e con
solai in laterocemento e, comunque, di
natura e dimensioni tali da non poter esser
definito come una modesta costruzione
civile).
Questo rigoroso orientamento è solo in parte
contrastato da altre pronunce, secondo le
quali, dal complesso normativo risultante
dal r.d. 16.11.1939 n. 2229 e dalle l.
05.11.1971 n. 1086, 02.02.1974 n. 64 e
02.03.1949 n. 144 si deve trarre la
conclusione che ai tecnici diplomati non è
preclusa in assoluto la progettazione di
strutture in cemento armato: anzi la stessa
e' specificamente prevista e consentita
sempre che si mantenga nei limiti della
competenza come determinata nella rispettiva
disciplina professionale: ne consegue che la
competenza dei geometri alla progettazione,
direzione e vigilanza di modeste costruzioni
civili non trova alcuna limitazione o
preclusione nella relativa struttura in
cemento armato e dovendo anzi tenersi conto
della specifica cultura di tali
professionisti accresciuta dall'evoluzione
delle relative conoscenze tecniche
(Consiglio Stato sez. IV, 09.08.1997, n.
784).
Infatti, anche tale decisione circoscrive il
proprio campo di azione alle opere di
dimensioni minori, senza generalizzare la
competenza progettuale dei geometri: poiché
l'art. 16 lett. m) r.d. 11.02.1929 n. 274,
concernente l'ordinamento professionale dei
geometri, consente l'attività di
progettazione, direzione e vigilanza di
"modeste costruzioni civili" senza ulteriori
specificazioni, rientra nella competenza dei
geometri anche la progettazione di
costruzioni in cemento armato, purché tali
costruzioni, sotto il profilo
tecnico-qualitativo, rientrino, per i
problemi tecnici che implicano, nella loro
preparazione professionale.
6. Va rilevato, poi, che un indirizzo più
restrittivo è sostenuto dalla Cassazione
civile, secondo la quale il r.d. 16.11.1939
n. 2229 esclude dalla competenza dei
geometri -essendo di competenza di
architetti ed ingegneri- i progetti di
lavori comportanti l'impiego di cemento
armato. Tale disciplina non e' mutata dopo
le leggi 05.11.1971 n. 1086 sulle opere in
conglomerato cementizio e 02.02.1974 n. 64
sulle costruzioni in zone sismiche
(Cassazione civile sez. II, 30.03.1999, n.
3046).
In tale prospettiva, si afferma che a norma
dell'art. 16 lett. m) r.d. 11.02.1929 n.
274, la competenza dei geometri e' limitata
alla progettazione, direzione e vigilanza di
modeste costruzioni civili, con esclusione
di quelle che comportino l'adozione anche
parziale di strutture in cemento armato,
mentre in via di eccezione, si estende anche
a queste strutture, a norma della lett. l)
del medesimo articolo, solo con riguardo
alle piccole costruzioni accessorie
nell'ambito degli edifici rurali o destinati
alle industrie agricole che non richiedano
particolari operazioni di calcolo e che per
la loro destinazione non comportino pericolo
per le persone, restando quindi comunque
esclusa la suddetta competenza nel campo
delle costruzioni civili ove si adottino
strutture in cemento armato, la cui
progettazione e direzione qualunque ne sia
l'importanza e' pertanto riservata solo agli
ingegneri e architetti iscritti nei relativi
albi professionali (Cassazione civile sez.
II, 02.04.1997, n. 2861).
Tanto la progettazione quanto l'esecuzione
di opere in conglomerato cementizio,
semplice ed armato, riservata per legge agli
ingegneri ed agli architetti, esulano dalla
competenza professionale dei geometri, cui è
riconosciuta esclusivamente la facoltà (ex
art. 16 lettera L del regolamento di cui al
r.d. n. 274 del 1929) di progettare lavori
comportanti l'impiego di cemento armato
-limitatamente a piccole costruzioni
accessorie di edifici rurali ovvero adibiti
ad uso di industrie agricole- di limitata
importanza, di struttura ordinaria e che non
richiedano, comunque, particolari operazioni
di calcolo, tali, in definitiva, da non
poter comportare, per loro destinazione,
pericolo alcuno per l'incolumità delle
persone (Cassazione civile sez. II,
22.10.1997, n. 10365).
La giurisprudenza penale, poi, afferma che
l'art. 2 della legge 05.11.1971 n. 1086,
nell'indicare i professionisti abilitati
alla progettazione ed alla costruzione delle
opere in conglomerato cementizio armato,
normale e precompresso, fa espressamente
salvi i limiti delle singole competenze
professionali.
Per quanto riguarda i geometri, occorre fare
riferimento alle lettere l) e m) dell'art.
16 del r.d. 11.02.1929 n. 274, che segnano i
limiti della competenza del geometra in
materia di costruzioni rurali e civili, e da
cui può desumersi che, relativamente alle
costruzioni in cemento armato, il geometra
e' abilitato alla progettazione e direzione
di lavori afferenti a esse solo quando si
tratti di modeste costruzioni -intendendosi
con tale termine la limitata entità
dell'opera nel suo complesso e non la sola
semplicità di essa- che non richiedano
complessi calcoli delle strutture e non
comportino problemi di stabilità e pericolo
per la incolumità pubblica (fattispecie
in cui e' stata ritenuta corretta la
valutazione dei giudici di merito che
avevano escluso l'abilitazione del geometra
trattandosi di opere, realizzate in
difformità totale dalla concessione edilizia
e comportanti aumenti planovolumetrici e di
superficie, ritenute non di modesta entità
con riferimento all'edificio
complessivamente considerato)
(Cassazione penale sez. III, 16.10.1996, n.
10125).
Nello stesso senso, si è chiarito che
risponde del reato di esercizio abusivo
della professione il geometra che procede
alla progettazione ed alla direzione dei
lavori di un edificio con strutture di
cemento armato che non sia di modeste
dimensioni anche se il progetto e'
controfirmato o vistato da un professionista
abilitato o se i calcoli del cemento armato
sono stati fatti eseguire da un ingegnere.
Al fine di valutare la entità dell'opera il
giudice dovrà tenere conto sia delle
dimensioni che della complessità oltre che
dell'importo economico. Non necessariamente
dovrà trattarsi di un'unica unità abitativa,
ma non potrà certo rientrare tra le
competenze del geometra la progettazione di
cubature utili ad edifici con una pluralità
di appartamenti.
Il testo fondamentale che fissa i limiti
della competenza dei geometri è ancora
l'art. 16 del r.d. 11.02.1929 n. 247,
poiché' anche le norme successive che hanno
consentito la progettazione di struttura di
cemento armato, fanno riferimento ai limiti
posti da tale legge (Cassazione penale sez.
VI, 10.10.1995, n. 1147; Cassazione penale
sez. VI, 02.02.1993).
Dunque, per valutare la idoneità del
geometra a firmare il progetto di un’opera
edilizia che comporta l’uso di cemento
armato, occorre considerare le concrete
caratteristiche dell’intervento.
A tal fine, non possono essere prefissati
criteri rigidi e fissi, ma è necessario
considerare tutte le particolarità della
concreta vicenda, anche alla luce
dell’evoluzione tecnica ed economica del
settore edilizio
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 31.01.2001 n. 348 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 10.08.2010 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
Inserito il
nuovo dossier "Incarichi
Professionali e progettuali". |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI: B.U.L.
Lombardia, serie ordinaria n. 32 del
09.08.2010, "Certificazione energetica
degli edifici pubblici – Aggiornamento del
termine finale"
(deliberazione
G.R. 28.07.2010 n. 335 - link a www.infopoint.it) |
NEWS |
ATTI AMMINISTRATIVI: L'atto
illegittimo può costare caro. C'è il
risarcimento in caso di mancato esercizio di
autotutela. Per attivare l'azione sono
necessari un provvedimento non conforme e la
colpevolezza del Fisco.
Riconosciuto al contribuente il diritto al
risarcimento in seguito al mancato o
ritardato annullamento di un atto
illegittimo mediante l'istituto
dell'autotutela da parte
dell'amministrazione finanziaria qualora,
tale comportamento omissivo, abbia arrecato
un danno al soggetto.
Se l'ufficio finanziario, in altri termini,
non sia tempestivamente intervenuto ad
annullare un atto emesso illegittimamente e
ciò abbia provocato un ingiusto danno al
contribuente (si pensi al sostenimento di
spese legali per proporre ricorso e ottenere
per altra via l'annullamento dell'atto), ciò
genererà responsabilità extracontrattuale.
In pillole, quanto emerso da una pronuncia
della terza sezione civile della Suprema
Corte con la sentenza n. 698 del 2010 che ha
confermato l'ormai salda presa di posizione
della giurisprudenza a riguardo in tema di
risarcimento del danno da mancato esercizio
del potere di autotutela.
A riguardo, il Consiglio nazionale dei
dottori commercialisti e degli esperti
contabili ha emanato, lo scorso luglio, la
circolare 20/IR in commento alla suddetta
pronuncia.
La struttura dell'illecito.
Affinché il contribuente possa esperire
un'azione di risarcimento del danno nei
confronti dell'amministrazione finanziaria,
è bene ricordarlo, è necessario che siano
presenti i seguenti elementi costitutivi
dell'illecito vale a dire la condotta,
l'evento, il danno ingiusto e il relativo
nesso. Sarà dunque una condotta umana che si
concretizzerà in un particolare evento a
dover far scaturire un fatto illecito in
quanto lesivo di una situazione soggettiva
tutelata dall'ordinamento.
Con riferimento allo specifico caso
dell'illecito posto in essere
dall'amministrazione finanziaria, dovrà
dunque essere presente non solo l'atto
illegittimo in quanto difforme alla
disciplina legale dunque l'elemento
oggettivo, ma anche quello soggettivo. Vale
a dire, dovrà essere accertata la
colpevolezza nel modo in cui
l'amministrazione ha agito dunque,
l'evidenza di una condotta perlomeno
colposa.
Il primo punto da definire, spiega
chiaramente la circolare, risiede nel fatto
che l'attività istituzionale
dell'amministrazione viene posta in essere
da una persona fisica dunque, a tal fine,
occorre che tra amministrazione e autore vi
sia un rapporto di immedesimazione oltre che
l'atto lesivo abbia fondamentalmente uno
scopo istituzionale: in caso contrario
infatti, si correrebbe il rischio di non
poter riferire all'amministrazione
quell'illecito.
Ciò premesso, l'elemento soggettivo
dell'illecito va ricercato proprio
nell'evidente contrasto tra i principi
fondamentali e istituzionali che muovono
l'operato dell'amministrazione finanziaria
come per esempio l'imparzialità e la
correttezza ex art. 97 della Costituzione e
l'atto illegittimo posto in essere dalla
stessa. In altri termini, la colpa tende ad
assumere un connotato oggettivo in quanto,
intesa come violazione delle norme che
regolano l'attività amministrativa.
Quanto appena detto porta a delle ovvie
quanto pragmatiche conclusioni: l'elemento
soggettivo della colpa non sarà presente
qualora la disciplina sottostante la
fattispecie di riferimento sia poco chiara o
contraddittoria o ancora, se siano poco
chiari gli orientamenti della
giurisprudenza. Viceversa, l'elemento
soggettivo dovrà considerarsi come presente
quando non si tenga conto della prassi,
degli indirizzi, delle pronunce
sull'argomento ma, la ricostruzione della
fattispecie sia la conseguenza di una mera
interpretazione personale del funzionario in
questione.
Elementi dunque, quelli appena enunciati, da
dover considerare da entrambe le parti in
causa per poter comprendere innanzitutto se
vi siano gli estremi per poter parlare di
illegittimità dell'atto con tutte le
conseguenze che potrebbero derivare da tale
convinzione
(articolo
ItaliaOggi del 09.08.2010, pag. 13
- link a www.corteconti.it).
--------------
Il varco è stato aperto
da una sentenza della Cassazione.
La terza sezione civile della suprema corte
ha condannato, con la sentenza n. 698 del
2010, l'amministrazione finanziaria al
risarcimento del danno per atto illegittimo
e mancato esercizio dei poteri di
autotutela.
Nel caso di specie, l'amministrazione
ricorrente, contestava la violazione della
norma primaria per difetto sia nell'elemento
dell'ingiustizia del danno, considerando che
l'annullamento in autotutela non costituisce
obbligo dell'amministrazione, sia per quello
soggettivo della colpa sulla base del fatto
che la legge non prevede, esplicitamente,
alcun termine per procedere all'annullamento
dell'atto.
La Corte ha ritenuto entrambe le motivazioni
non fondate procedendo a un esame in
astratto senza scendere a valutazioni di
fatto.
Con riferimento all'ingiustizia del danno
consistente nelle spese legali sostenute, la
stessa ha affermato che l'amministrazione
non è affatto esclusa dalla circostanza che
le stesse si riferiscono a un «procedimento
amministrativo» e non a un contenzioso e
dunque non a vere e proprie spese
processuali. Con riferimento invece alla
mancanza dell'elemento della colpa, la Corte
promuove il mancato o ritardato annullamento
a elemento costitutivo di responsabilità in
quanto, unico modo per poter rimuovere gli
effetti pregiudizievoli scaturenti dall'atto
illegittimo.
Quanto appena detto non può che mettere in
estrema guardia gli uffici amministrativi
che, ogniqualvolta siano destinatari di
un'istanza di riesame dovranno (a questo
punto quasi obbligatoriamente per non
incappare in spiacevoli situazioni)
ricontrollare il loro operato sia negli
elementi di fatto che di diritto magari mal
considerati oltre che considerarne di nuovi
qualora il contribuente istante li abbia
presentati.
La stessa amministrazione, una volta
condannata al risarcimento del danno, potrà
comunque rivalersi nei confronti del
funzionario agente attivando un giudizio di
responsabilità amministrativa davanti la
Corte dei Conti
(articolo
ItaliaOggi del 09.08.2010, pag. 13
- link a www.corteconti.it).
-------------
La colpa
dell'amministrazione deve essere evidente.
Non è sufficiente l'illegittimità dell'atto,
affinché si configuri responsabilità da
parte dell'amministrazione, ma, occorre
anche che siano state violate le regole di
correttezza e buona amministrazione alla
base dell'azione amministrativa e dunque che
sia ravvisabile una colpa.
La
circolare
22.07.2010 n. 20/IR del Cndcec, dà
una carrellata delle principali fonti
giurisprudenziali con riferimento alle
richieste di risarcimento per responsabilità
aquiliana dell'amministrazione finanziaria:
analisi quest'ultima fondamentale per
comprendere quali fattispecie siano
potenzialmente annoverabili tra quelle per
cui valga la pena poter esperire ricorso
contro l'amministrazione finanziaria.
In due importanti pronunce, quelle del
giudice di pace di Mestre del 18.09.2000 n.
653 e quella del giudice di pace di Patti
del 13.04.2005 n. 157 il ritardo
nell'emissione del provvedimento di
annullamento non è stato per nulla preso in
considerazione in quanto si è ravvisata
un'evidente colpa dell'ufficio
nell'applicazione della norma al momento
dell'emissione dell'avviso di accertamento.
Le norme da dover applicare in entrambe i
casi erano infatti chiare e senza
interpretazioni ambigue dunque, il tutto
sarebbe stato evitabile usando la normale
negligenza.
Veniamo invece alle pronunce rese in tema da
parte della Corte di Cassazione: in
particolar modo, la n. 1191 del 27.01.2003
tratta dell'iscrizione a ruolo di
determinati tributi ed è stata qualificata
dalla Corte come fonte di responsabilità
dell'amministrazione per la mancata
osservanza di regole di buona
amministrazione oltre che dell'obbligo di
conformarsi al giudicato penale. Ancora, in
un'ulteriore pronuncia del 2004 (23 luglio,
sentenza n. 13801), la Cassazione ha
affermato chiaramente che il danno causato
al contribuente dall'amministrazione dovrà
essere non solo quello relativo alle spese
legali sostenute per instaurare un
procedimento contenzioso ma, anche qualora
le stesse facciano riferimento a un
procedimento amministrativo conclusosi con
l'annullamento in autotutela di un
provvedimento illegittimo.
A conferma di tale indirizzo, due recenti
sentenze del 2007 (Cass. Ss.Uu, 04.01.2007,
n. 15 e Cass. sez. V, 21.02.2007, n. 4055)
in cui la Suprema corte ha confermato la
possibilità di condannare l'amministrazione
al risarcimento del danno anche nel caso in
cui vi sia stato l'annullamento dell'atto
non venendo meno, in questo caso, né
l'elemento della colpa né quello del danno.
Anzi, a maggior ragione, il fatto che
l'amministrazione abbia posto in essere
l'annullamento con ritardo è la cartina di
tornasole di un'ammissione delle proprie
colpe e dunque, va da sé la necessaria
quantificazione del danno così come chiarito
da autorevole giurisprudenza
(articolo ItaliaOggi del 09.08.2010, pag.
13). |
EDILIZIA PRIVATA: LA
MANOVRA CORRETTIVA/ Pro e contro della
Segnalazione certificata di inizio attività.
Scia, progettisti responsabilizzati. I
professionisti dovranno assumersi i rischi
delle opere edili.
Scia edilizia nelle mani
dei professionisti.
L'articolo 49 della manovra (decreto
78/2010), ora definitivamente approvata,
manda in soffitta la Denuncia di inizio
attività (Dia) prevista dal Testo Unico per
l'edilizia e dalle leggi regionali e
responsabilizza sempre di più i
professionisti esterni.
In effetti la Scia (Segnalazione certificata
di inizio attività) si basa su uno scambio:
puoi aprire subito, oggi stesso, il
cantiere, ma devi assumerti la
responsabilità per intero dell'istruttoria e
ti esponi ai controlli successivi degli
uffici tecnici comunali. Da qui il primo
rischio, e cioè che il progettista non
sempre ritenga di assumere su di sé l'onere
e la responsabilità dell'asseverazione
dell'opera alla disciplina urbanistica.
C'è anche un secondo rischio sul piano
dell'effettività dei controlli: se si
impianta il cantiere il giorno stesso della
presentazione della Scia al comune, può
essere che gli uffici dell'amministrazione
non possano verificare lo stato iniziale del
manufatto, modificabile fin da subito. E ciò
potrebbe essere lo stratagemma per coprire
abusi: basterebbe presentare la Scia e
mutare immediatamente lo stato dei luoghi.
In sostanza i parametri del successo o
dell'insuccesso della Scia in edilizia
dipendono dalla accettazione di rischi
professionali da parte del progettista e dal
regime dei controlli della pubblica
amministrazione. Potrebbe aggiungersi che un
parametro del successo potrebbe essere la
velocità della procedura.
Tuttavia questo potrebbe non essere
completamente vero se l'istruttoria svolta
dal professionista (che deve preoccuparsi di
vagliare in anticipo ogni possibile aspetto)
si prolunga e, quindi, il tempo guadagnato
per assenza di istruttoria a cura degli
uffici comunali, in realtà, si perde prima
nell'istruttoria del progettista privato.
Altro elemento che potrà, nell'immediatezza,
mettere in stand by la Scia è
l'estensione agli interventi di nuova
costruzione, cioè a quegli interventi per
cui attualmente è previsto il permesso di
costruire o la Super Dia.
Tra l'altro, l'articolo 49 citato prevede
che le espressioni «segnalazione
certificata di inizio attività» e «Scia»
sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione
di inizio attività» e «Dia»,
ovunque ricorrano, anche come parte di una
espressione più ampia», e la disciplina «sostituisce
direttamente, quella della dichiarazione di
inizio attività recata da ogni normativa
statale e regionale».
Peraltro vi è un connotato di estrema
importanza relativo alla efficacia della
Scia: somiglia (molto di più di quanto lo si
potesse dire per la Dia) a un
silenzio-assenso. Questo perché si
restringono e di molto le possibilità di
intervento sanzionatorio ex post (si può
agire solo se c'è pericolo di un danno non
riparabile per il patrimonio artistico e
culturale, per l'ambiente, per la salute,
per la sicurezza pubblica o la difesa
nazionale).
---------------
I casi di non
ammissibilità della nuova segnalazione. Il
titolo edilizio non va del tutto in
soffitta.
Il titolo edilizio (con un dubbio per il
permesso di costruire e la super Dia) viene
sostituito da una segnalazione certificata.
Non sempre però. Questo potrà avvenire
quando il rilascio del titolo «dipenda
esclusivamente dall'accertamento di
requisiti e presupposti richiesti dalla
legge o da atti amministrativi a contenuto
generale, e non sia previsto alcun limite o
contingente complessivo o specifici
strumenti di programmazione settoriale per
il rilascio degli stessi».
Si tratta di un requisito che esclude la
Scia ogni volta che vi sia un apprezzamento
discrezionale, riservato alla p.a., da
formulare in strumenti di programmazione,
anch'essi riservati alla pubblica
amministrazione.
Tali limiti potranno assumere valenza
specifica in ambito edilizio, anche se non
si può dire che ciò comporti tassativamente
l'esclusione della Scia per tutte le opere
per le quali è previsto il permesso di
costruire. A prescindere dalla questione del
titolo la Scia in edilizia non è ammessa nei
casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali e degli atti
rilasciati.
Appurata l'ammissibilità si passa ai
riscontri procedurali. La nuova disposizione
pretende che la segnalazione sia corredata
dalle dichiarazioni sostitutive di
certificazioni e dell'atto di notorietà per
quanto riguarda tutti gli stati, le qualità
personali e i fatti nonché dalle
attestazioni e asseverazioni di tecnici
abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di
conformità da parte dell'Agenzia delle
imprese (articolo 38, comma 4, del
decreto-legge 112/2008), relative alla
sussistenza dei requisiti e dei presupposti;
inoltre tali attestazioni e asseverazioni
sono corredate dagli elaborati tecnici
necessari per consentire le verifiche di
competenza dell'amministrazione.
L'istruttoria, che avrebbe dovuto fare il
comune a seguito della richiesta del titolo,
è anticipata a prima della presentazione
della Segnalazione. Certo la norma consente
una semplificazione. Nei casi in cui la
legge prevede l'acquisizione di pareri di
organi o enti appositi, o l'esecuzione di
verifiche preventive, essi sono comunque
sostituiti dalle autocertificazioni,
attestazioni e asseverazioni o
certificazioni: ma questo significa una
sovraesposizione del progettista privato,
che si assume tutte le responsabilità di
asseverazioni e certificazioni.
La nuova disposizione precisa che chiunque,
nelle dichiarazioni o attestazioni o
asseverazioni che corredano la segnalazione
di inizio attività, dichiari o attesti
falsamente l'esistenza dei requisiti o dei
presupposti è punito con la reclusione da
uno a tre anni. A prescindere dai risvolti
penali sono salve le verifiche successive
degli organi e delle amministrazioni
competenti: se c'è qualcosa che non va, la
p.a. controlla a posteriori e ha più tempo
per farlo.
Una volta presentata la Segnalazione,
l'attività oggetto della stessa può essere
iniziata subito e cioè dalla data della
presentazione della segnalazione
all'amministrazione competente. In edilizia
non si deve aspettare il termine dilatorio
iniziale di trenta giorni, previsto dal
Testo unico per l'edilizia, utilizzabile
dagli uffici tecnici per controllare le Dia
(almeno a campione) per eventualmente
ordinare di non iniziare i lavori.
A questo punto la palla passa agli uffici
tecnici: l'amministrazione competente, in
caso di accertata carenza dei requisiti e
dei presupposti, nel termine di sessanta
giorni dal ricevimento della segnalazione,
può adottare motivati provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell'attività e di
rimozione degli eventuali effetti dannosi di
essa.
Si noti che l'amministrazione può
intervenire a lavori già iniziati oppure a
lavori da iniziare: in sostanza l'inizio dei
lavori è fatto a proprio rischio e pericolo.
Se poi tutto viene bloccato il danno può
essere considerevole. Non a caso si può
prevedere che chi non ha propensione al
rischio preferirà attendere il decorso dei
sessanta giorni. Ma allora i tempi che
sembravano azzerati, addirittura si
allungano. Se oggi dopo la presentazione
della Dia bisogna aspettare trenta giorni,
con la Scia potrà essere prudente aspettarne
il doppio (sessanta). Anche per evitare di
dover bloccare un cantiere, dopo avere
effettuato spese per i materiali, ponteggi,
anticipi a ditte esecutrici, ecc..
Va sottolineato che la disposizione
subordina il divieto di prosecuzione
dell'attività e il ripristino alla
possibilità che l'interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta
attività e i suoi effetti entro un termine
fissato dall'amministrazione, in ogni caso
non inferiore a trenta giorni: questo si
realizzerà non senza pregiudizio, in quanto
si tratta di modificare il progetto in
corsa, con inevitabili strascichi di
carattere economico (spese per doppia
progettazione e varianti).
L'amministrazione indipendentemente dal
decorso dei sessanta giorni potrà
intervenire con provvedimenti di revoca e di
annullamento e in caso di dichiarazioni
sostitutive false o mendaci, può sempre e in
ogni tempo adottare i provvedimenti di
blocco cantiere e ordine di ripristino.
Il problema qui è come provare il falso: si
pensi a una descrizione della consistenza
iniziale del manufatto, non conforma allo
stato di fatto, a fronte di una modifica
intervenuta con l'apertura immediata del
cantiere. Peraltro, salvo il caso della
(prova di) dichiarazione inveritiera,
decorso i sessanta giorni
all'amministrazione è consentito intervenire
solo in presenza del pericolo di un danno
per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza
pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato accertamento dell'impossibilità di
tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente.
Questa limitazione del potere di intervento
si applica anche all'edilizia e limita
quindi il potere di revoca e annullamento a
questi casi: ecco perché la Scia è un
mini-silenzio assenso. Infine, il vicino di
casa che vuole contestare la Scia edilizia
del condomino dovrà ricorrere al giudice
amministrativo
(articolo ItaliaOggi
del 09.08.2010, pag. 9). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Avvocati pubblici (e tecnici
comunali) e Irap.
Relativamente all'articolo pubblicato il
26.07.2010 relativo all'Irap sui compensi ai
tecnici e agli avvocati dipendenti pubblici,
l'Unione Nazione Avvocati Enti Pubblici
precisa quanto segue ...
(articolo Il Sole 24
Ore 09.08.2010, pag. 8). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Incarichi
anche senza laurea. Soprattutto nei piccoli
enti.
Non sempre è essenziale
il possesso della laurea per l'attribuzione
di un incarico ai sensi dell'art. 110 del
Tuel.
L'indicazione arriva dalla sezione regionale
della Corte dei Conti della Lombardia con la
deliberazione n. 702/2010.
L'attribuzione di tali incarichi nelle
amministrazioni prive di dirigenza deve
essere temperata sia in relazione alle
peculiari dimensioni organizzative dell'ente
sia alla necessità che i servizi e le
funzioni fondamentali vengano svolte
regolarmente ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 09.08.2010, pag. 8
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Mobilità, Sì "condizionato"
all'interscambio.
La deliberazione n. 49/2010 della
Corte dei Conti sezione regionale di
controllo per il Veneto riaccende la
questione sulla natura della mobilità con
particolare riferimento alle possibilità di
assunzione per gli enti che non hanno
rispettato il patto di stabilità ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 09.08.2010, pag. 8
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Personale.
Anche dopo la conversione delta manovra
resta il congelamento delle retribuzioni per
il prossimo triennio. Fasce di merito ancora
in bilico. Possibile un rinvio al 2014 per i
premi alle performance dei dipendenti.
Rimane in bilico l'applicazione delle fasce
di merito introdotte dalla riforma Brunetta
anche dopo le modifiche apportate in sede di
conversione del Dl 78/2010.
La premialità della performance si basa
sulla possibilità di differenziare di anno
in anno in modo significativo il trattamento
accessorio collegato al merito. Il
congelamento della retribuzione dei singoli
dipendenti per il triennio 2011-2013 fa
evidentemente traballare questo principio,
prospettandone un possibile rinvio al 2014
...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 09.08.2010, pag. 8
- link a www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Tracciabilità
rifiuti da manuale. Dalle chiavi Usb al
software: spiegati gli obblighi del Sistri.
Pubblicate on-line le istruzioni sul sistema
telematico indirizzate agli operatori di
settore.
Utilizzo dei dispositivi di tracciamento
telematico dei rifiuti, pianificazione delle
operazione di gestione dei beni a fine vita
da parte dei diversi attori della filiera,
impiego del software per colloquiare con il
cervellone centrale.
Con la diffusione ufficiale avvenuta in
questi giorni attraverso il sito web
istituzionale dell'atteso «manuale
utente Sistri» sono
finalmente a disposizione degli operatori le
istruzioni per poter adempiere ai nuovi
obblighi imposti dal debuttante sistema di
tracciamento telematico dei rifiuti in
vigore dal prossimo 1° ottobre 2010.
Il manuale Sistri.
Le istruzioni, scaricabili dall'indirizzo
web www.sistri.it nella forma di un file «pdf»
ipertestuale, sono state elaborate dal
comitato tecnico/scientifico del Sistri in
ossequio al dm MinAmbiente 17.12.2009, il
regolamento istitutivo (in attuazione del
dlgs 152/2006, cd. «Codice dell'ambiente»)
del sistema destinato a sostituire i
registri di carico/scarico, formulario di
trasporto e «Mud», che dal prossimo
autunno obbligherà i gestori di rifiuti
speciali a utilizzare dispositivi
elettronici (chiavi Usb, Black box, impianti
di videosorveglianza) per comunicare a un
sistema informatico telematico pubblico
tutti i dati relativi ai rifiuti posseduti e
a monitorarne ogni spostamento con controllo
satellitare.
Le istruzioni operative.
Il manuale, avverte lo stesso Comitato
Sistri, non è però nella sua versione
definitiva, prevista solo dopo
l'acquisizione e il vaglio da parte dello
stesso organo delle problematiche, delle
proposte di modifica o di integrazione che
saranno segnalate da parte dell'utenza
interessata. Tre le sezioni che compongono
le linee guida: «Dispositivi»
illustra l'utilizzo dei dispositivi Usb da
interfacciare con i propri computer, della
Black box da installare sui veicoli che
effettuano il trasporto dei rifiuti, dei
dispositivi di videosorveglianza che devono
monitorare ingressi e uscite di rifiuti da
discariche e altri luoghi di trattamento dei
beni a fine vita; «Procedure» è
dedicata alla sequenza delle nuove
operazioni che devono effettuare produttori,
intermediari, trasportatori e gestori finali
di rifiuti (con delucidazioni anche in
merito alla movimentazione di rifiuti
durante attività di manutenzione, lavori nei
cantieri, micro raccolta, trasporto
transfrontaliero); «Guide» descrive
l'uso del software che produttori e
detentori di rifiuti, trasportatori e
gestori di impianti di trattamento devono
utilizzare per comunicare al cervellone
Sistri i dati relativi a quantità e qualità
dei rifiuti mossi.
Il «test Sistri».
Parallelamente alla predisposizione e
diffusione del manuale, il governo ha
avviato lo scorso 26.07.2010 un test di
verifica della funzionalità del nuovo
sistema attraverso il coinvolgimento di un
insieme rappresentativo delle diverse classi
di utenti, dunque dei citati gestori di
rifiuti speciali.
Sarà proprio da tale insieme di soggetti che
arriverà il feedback necessario per mettere
a punto il sistema informatico in procinto
di partire e dare versione definitiva al
relativo e descritto manuale d'uso per gli
utenti.
La partenza del Sistri.
La data del 1° ottobre 2010 quale termine
iniziale per gli adempimenti operativi del
Sistri (ossia, tracciamento satellitare
trasporti, comunicazione telematica dei dati
e videosorveglianza impianti di trattamento)
è stata stabilita dal dm MinAmbiente
09.07.2010, terzo «correttivo» al
citato dm MinAmbiente 17.12.2009.
La partenza del nuovo sistema sarà meno
traumatica per i piccoli gestori di rifiuti
grazie proprio al citato dm 09.07.2010, che
ha concesso ai microraccoglitori più tempo
per la comunicazione telematica della
movimentazione dei rifiuti e allargato ai
produttori che non eccedono le 4 tonnellate
di rifiuti pericolosi annui o le 20 di
rifiuti non pericolosi la possibilità di
delegare a organizzazioni di categoria
rappresentative la comunicazione stessa.
Dopo la diffusione del descritto e atteso «manuale
utenti» (che segue a breve distanza la
pubblicazione del dm 17.06.2010, recante
istruzioni su importi e pagamento dovuti per
i diritti di segreteria per il rilascio dei
dispositivi Usb) l'ultimo mancante tassello
al «puzzle Sistri» è ora costituito
dalle sanzioni per la violazione dei
relativi obblighi, sanzioni che appare
verosimile arriveranno tramite il decreto
legislativo di recepimento della nuova
direttiva 2008/98/Ce sui rifiuti dallo
scorso aprile al vaglio del consiglio dei
ministri.
Il decreto legislativo in parola introdurrà
direttamente nel dlgs 152/2006 (il citato «Codice
dell'ambiente»), il sistema
sanzionatorio per la violazione delle norme
ex dm MinAmbiente 17.12.2009
(articolo ItaliaOggi del 09.08.2010, pag.
21). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA: Le
convenzioni urbanistiche in vigore debbono
sempre considerarsi valide rebus sic
stantibus, per cui legittimamente
l’Amministrazione, in presenza di un
interesse pubblico sopravvenuto, ha la
facoltà di introdurre nuove previsioni, con
il solo onere di motivare le esigenze che le
determinano.
Le convenzioni urbanistiche in vigore
debbono sempre considerarsi valide rebus
sic stantibus, per cui legittimamente
l’Amministrazione, in presenza di un
interesse pubblico sopravvenuto, ha la
facoltà di introdurre nuove previsioni, con
il solo onere di motivare le esigenze che le
determinano; infatti l’evolversi delle
situazioni e a dinamicità degli interessi
incidono in modo particolare sull’assetto
urbanistico e ne legittimano l’adeguamento,
atteso che lo ius variandi, relativo
alle prescrizioni di piano regolatore
generale, include anche un ius poenitendi,
relativo ai vincoli assunti dal Comune con
la convenzione di lottizzazione” (Cfr.,
ex pluribus, Cons. St., IV, 13.07.1993,
n. 711; TAR Lombardia, Brescia, 10.04.2006,
n. 374).
In questa ottica si è deciso che: “La
variante di un piano regolatore che
conferisce nuova destinazione ad aree già
urbanisticamente classificate necessita di
apposita motivazione solo quando le
classificazioni preesistenti siano assistite
da specifiche aspettative in capo ai
rispettivi titolari fondate su atti di
contenuto concreto, nel senso che deve
trattarsi di scelte che incidano su
specifiche aspettative, come quelle
derivanti da un piano di lottizzazione
approvato o da un giudicato di annullamento
di un diniego di concessione edilizia, o
dalla reiterazione di un vincolo scaduto, o
dai criteri tecnico urbanistici stabiliti
per la formazione del piano regolatore"
(Cfr. Cons. St., Sez., IV 25.11.2003, n.
7771, 03.07.2000, n. 3646 e 05.08.2005, n.
4166) (TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 15.07.2010 n. 516 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Nell'ambito
di un Piano di Lottizzazione in zona
paesaggisticamente vincolata, la
Soprintendenza può formulare considerazioni
critiche esprimendosi in via preventiva sul
progetto complessivo del piano di
lottizzazione (se sufficientemente
dettagliato) ma nell’esame dei singoli
permessi di costruire non può rimettere in
discussione le scelte urbanistiche comunali
e deve di volta in volta limitarsi a
denunciare gli inconvenienti prodotti
dall’ultimo edificio della serie.
Come si è rilevato in un altro caso di
lottizzazione in zona vincolata (v. TAR
Brescia Sez. I 09.04.2010 n. 1531) la
Soprintendenza può formulare considerazioni
critiche esprimendosi in via preventiva sul
progetto complessivo del piano di
lottizzazione (se sufficientemente
dettagliato) ma nell’esame dei singoli
permessi di costruire non può rimettere in
discussione le scelte urbanistiche comunali
e deve di volta in volta limitarsi a
denunciare gli inconvenienti prodotti
dall’ultimo edificio della serie.
Dunque, l’effetto di conurbazione può essere
opposto come causa ostativa solo se si
dimostra contestualmente che il singolo
edificio, aggiungendosi a quelli esistenti,
determina un andamento iperbolico nella
trasformazione del territorio e altera in
modo intollerabile le caratteristiche
naturali o tradizionali dei luoghi.
Una simile dimostrazione non è però fornita
dalla Soprintendenza, che sul punto
rappresenta una “probabile”
dissoluzione degli spazi agricoli senza
ulteriori precisazioni riferite
all’intervento in questione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 12.07.2010 n. 2483 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Al
fine di verificare se una determinata opera
abbia carattere precario occorre verificare
l’oggettiva funzione di esse ed cioè
l'interesse finale al cui soddisfacimento
l'opera stessa è destinata.
Solo le opere agevolmente rimuovibili e
funzionali a soddisfare una esigenza
oggettivamente temporanea (es. baracca o
pista di cantiere, manufatto per una
manifestazione…) possono ritenersi di
carattere precario e, in quanto tali, non
richiedenti la concessione edilizia.
Al fine di verificare se una determinata
opera abbia carattere precario (condizione
per l'accertamento della non necessarietà
del rilascio della relativa concessione
edilizia), occorre verificare l’oggettiva
funzione di esse ed cioè l'interesse finale
al cui soddisfacimento l'opera stessa è
destinata.
Solo le opere agevolmente rimuovibili e
funzionali a soddisfare una esigenza
oggettivamente temporanea (es. baracca o
pista di cantiere, manufatto per una
manifestazione…) possono ritenersi di
carattere precario e, in quanto tali, non
richiedenti la concessione edilizia (cfr.
TAR Sardegna, Sez. II, 12.02.2010 n. 158).
I manufatti realizzati dal ricorrente non
possono essere considerati come opere
funzionali al soddisfacimento delle esigenze
di cantiere in considerazione delle loro
notevoli dimensioni (nella fattispecie si
tratta di due manufatti in legno delle
dimensioni di mt. 4,90 x 5,90 e di mt. 3,10
x 5,90, con veranda di mt. 4,90 x 5,90 e con
altezze variabili da mt. 2,60 a mt. 4,00)
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 25.06.2010 n. 1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il ricorso allo scomputo, in
conseguenza dell'esecuzione diretta delle
opere di urbanizzazione, costituisce una
facoltà rimessa alla parte richiedente che,
ove lo ritenga opportuno, può obbligarsi
verso l'Amministrazione ad eseguire opere di
urbanizzazione; spetta, comunque,
all'Amministrazione, in base
all'obbligazione unilateralmente assunta
dalla parte, accettare o meno la proposta e
subordinarla a condizioni o prescrizioni
specifiche.
Secondo un precedente pronunciamento del
Consiglio di Stato (sentenza 1209/1999) “il
ricorso allo scomputo, in conseguenza
dell'esecuzione diretta delle opere di
urbanizzazione, costituisce, peraltro, una
facoltà rimessa alla parte richiedente, che,
ove lo ritenga opportuno, può obbligarsi
verso l'Amministrazione ad eseguire opere di
urbanizzazione; spetta, comunque,
all'Amministrazione, in base
all'obbligazione unilateralmente assunta
dalla parte, accettare o meno la proposta e
subordinarla a condizioni o prescrizioni
specifiche; solo una volta intervenuta tale
approvazione diviene, poi, pienamente
efficace l'atto d'obbligo; con la
conseguenza che non può poi, la parte
promittente, unilateralmente, in un momento
successivo, mutare le condizioni sulle quali
è intervenuto il consenso comunale,
altrimenti venendosi ad alterare
ingiustificatamente, mediante l'iniziativa
unilaterale del medesimo obbligato
principale, le basi stesse del consenso …
l'art. 11 della legge n. 10/1977 non esclude
affatto che tra le parti possa, per
valutazioni di convenienza -connesse alla
piena disponibilità, in capo al beneficiano,
della facoltà accordata dal legislatore- di
regolare il rapporto anche in termini
diversi, limitando, se questo è l'interesse
della parte, lo scomputo in termini parziali
e non totali; si verte, infatti, in tema di
diritti disponibili e il legislatore non ha
affatto inteso escludere che la parte
promittente possa liberamente assumere
impegni patrimoniali più onerosi rispetto a
quelli astrattamente previsti dalla legge"
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 22.06.2010 n. 2125 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Le
osservazioni dei privati sui progetti sono
un mero apporto collaborativo alla
formazione degli strumenti urbanistici e non
danno luogo a peculiari aspettative, con la
conseguenza che il loro rigetto non richiede
una specifica motivazione, essendo
sufficiente che esse siano state esaminate e
ritenute in contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della
formazione del piano.
E’ principio di diritto ormai consolidato in
giurisprudenza che “le osservazioni dei
privati sui progetti sono un mero apporto
collaborativo alla formazione degli
strumenti urbanistici e non danno luogo a
peculiari aspettative, con la conseguenza
che il loro rigetto non richiede una
specifica motivazione, essendo sufficiente
che esse siano state esaminate e ritenute in
contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della
formazione del piano” (Cons. Stato, sez.
IV, 07.07.2008, n. 3358; in senso conforme
Tar Puglia, Bari, 22.10.2008, n. 2357; Tar
Piemonte, sez. I, 29.09.2008, n. 2080; Tar
Campania, Napoli, sez. VIII, 30.07.2008, n.
9582) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 17.06.2010 n. 2329 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Non
è necessaria l’acquisizione del parere per
la procedura di approvazione del piano di
recupero.
Il piano di recupero, in quanto strumento
attuativo, è suscettibile di perseguire sia
finalità di recupero del patrimonio edilizio
esistente in misura più complessa degli
interventi di manutenzione ordinaria e di
ristrutturazione edilizia, sia finalità di
recupero urbanistico, e può quindi prevedere
interventi rivolti a sostituire l'esistente
tessuto urbanistico-edilizio con altro
diverso, mediante un insieme sistematico di
interventi edilizi anche con la
modificazione del disegno dei lotti, degli
isolati e della rete stradale.
I piani di recupero possono avere ad oggetto
non solo un semplice recupero edilizio, ma
anche un recupero urbanistico vero e
proprio, che può essere attuato anche
mediante la demolizione di edifici
preesistenti; in tal caso, il piano di
recupero di presenta come strumento del
tutto autonomo, ed alternativo, rispetto al
piano particolareggiato.
A giudizio
della giurisprudenza amministrativa, non è
necessaria l’acquisizione del parere per la
procedura di approvazione del piano di
recupero (cfr. Tar Venezia, I, 443/1998: il
piano di recupero di iniziativa privata deve
chiudersi con un provvedimento espresso da
parte del consiglio comunale. Non è
obbligatorio richiedere il parere della
commissione edilizia; ma nel caso in cui
tale parere venga richiesto, esso non può
sostituire il necessariamente espresso e
formale provvedimento terminale del
procedimento che solo il consiglio comunale
è deputato ad emettere).
Non è fondato neanche il terzo motivo del
ricorso principale in cui si deduce che la
delibera approvata sarebbe illegittima per
violazione della l. 457/1978 in quanto i
piani di recupero dovrebbero agevolare il
recupero del patrimonio edilizio esistente,
laddove il progetto presentato dalla
controinteressata prevede che gli edifici
siano demoliti (in realtà, che siano
demoliti solo in parte).
La norma attributiva del potere esercitato
in concreto dall’amministrazione nel caso in
esame è l’art. 27 l. 457/1978 che dispone
nel suo primo periodo che “i comuni
individuano, nell'ambito degli strumenti
urbanistici generali, le zone ove, per le
condizioni di degrado, si rende opportuno il
recupero del patrimonio edilizio ed
urbanistico esistente mediante interventi
rivolti alla conservazione, al risanamento,
alla ricostruzione e alla migliore
utilizzazione del patrimonio stesso”.
Le espressioni usata dalla norma attributiva
di potere sono, pertanto, “conservazione,
al risanamento, alla ricostruzione e alla
migliore utilizzazione” del patrimonio.
Non si parla espressamente di demolizione,
ma si usano termini come “ricostruzione”
che lasciano sottendere la possibilità di
disporre demolizione nell’approvazione di un
piano di recupero.
Questa interpretazione è stata confermata
dalla giurisprudenza amministrativa che si è
espressa più volte sulla compatibilità tra
piano di recupero e demolizione degli
edifici da recuperare ed ha sempre ammesso
la possibilità di ricorrere ad esse.
Sul punto, ad esempio, CdS, IV, 4759/2009,
secondo cui “il piano di recupero, in
quanto strumento attuativo, è suscettibile
di perseguire sia finalità di recupero del
patrimonio edilizio esistente in misura più
complessa degli interventi di manutenzione
ordinaria e di ristrutturazione edilizia,
sia finalità di recupero urbanistico, e può
quindi prevedere interventi rivolti a
sostituire l'esistente tessuto
urbanistico-edilizio con altro diverso,
mediante un insieme sistematico di
interventi edilizi anche con la
modificazione del disegno dei lotti, degli
isolati e della rete stradale”.
In termini più espliciti Tar Toscana, I,
2831/2003, secondo cui “il piano di
recupero è per sua natura finalizzato ad
organizzare razionalmente ed esteticamente
il patrimonio edilizio esistente, eliminando
situazioni di degrado e di disarmonia:
pertanto può tradursi in interventi edilizi
diretti, di volta in volta, alla
conservazione, al risanamento, alla
ricostruzione o comunque ad una migliore
utilizzazione di un preesistente immobile e
può consistere in sole opere di manutenzione
ordinaria e straordinaria o di restauro, in
opere di ristrutturazione più o meno ampia,
sino a giungere ad un recupero cosiddetto
pesante, costituito dalla demolizione e
ricostruzione di un edificio: ne consegue
che dette opere di ristrutturazione possono
legittimamente tradursi, ancorché entro
certi limiti, in un organismo che per
consistenza e caratteristiche tipologiche
rechi persino connotazioni di novità
rispetto all'edificio preesistente”.
Nello stesso senso d’altronde si era già
espresso in passato CdS, IV, 96/1996,
secondo cui “i piani di recupero possono
avere ad oggetto non solo un semplice
recupero edilizio, ma anche un recupero
urbanistico vero e proprio, che può essere
attuato anche mediante la demolizione di
edifici preesistenti; in tal caso, il piano
di recupero di presenta come strumento del
tutto autonomo, ed alternativo, rispetto al
piano particolareggiato”
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 17.06.2010 n. 2329 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'installazione
di un cancello su una strada privata
soggetta a uso pubblico è assimilabile alla
costruzione su aree di proprietà del Comune
ai sensi dell'art. 32, commi 5 e 6, L.
28.02.1985 n. 47.
Conseguentemente, l'amministrazione
comunale, nel corso dell'istruttoria, come
avviene per il rilascio della concessione
edilizia, anche se l’atto autorizzativo è
rilasciato facendo salvi i diritti dei
terzi, deve verificare che esista il titolo
per intervenire sulla proprietà su cui si
chiede di realizzare il manufatto.
Tuttavia deve escludersi un obbligo del
Comune di effettuare complessi accertamenti
diretti a ricostruire tutte le vicende
riguardanti la titolarità dell'immobile, con
particolare riferimento all'inesistenza di
servitù o di altri diritti reali da parte di
terzi che potrebbero essere limitati dal
manufatto a realizzarsi.
L'installazione di un cancello su una strada
privata soggetta a uso pubblico è
assimilabile alla costruzione su aree di
proprietà del Comune ai sensi dell'art. 32,
commi 5 e 6, L. 28.02.1985 n. 47 (TAR
Lombardia Brescia, 13.09.2005, n. 833).
Ne consegue che l'amministrazione comunale,
nel corso dell'istruttoria, come avviene per
il rilascio della concessione edilizia,
anche se l’atto autorizzativo è rilasciato
facendo salvi i diritti dei terzi, deve
verificare che esista il titolo per
intervenire sulla proprietà su cui si chiede
di realizzare il manufatto.
Tuttavia deve escludersi un obbligo del
Comune di effettuare complessi accertamenti
diretti a ricostruire tutte le vicende
riguardanti la titolarità dell'immobile, con
particolare riferimento all'inesistenza di
servitù o di altri diritti reali da parte di
terzi che potrebbero essere limitati dal
manufatto a realizzarsi, atteso che il
provvedimento autorizzativo in discorso è un
atto amministrativo che rende legittima
l'attività autorizzata nell'ordinamento
pubblicistico e regola il rapporto che, in
relazione a quell'attività, si genera tra
l'autorità amministrativa che lo emette ed
il soggetto a favore del quale è emesso.
Ne discende che, non essendo tale atto
amministrativo suscettibile di attribuire al
beneficiario diritti soggettivi in
conseguenza all'attività stessa, eventuali
situazioni di contitolarità del diritto,
ovvero di diritti tra loro configgenti,
devono essere fatte valere alla stregua
della disciplina fissata dal diritto comune
dovendosi escludere, in tal senso,
un’attività ulteriore dell’amministrazione
che ad essa non compete (arg. ex Cons.
Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223; anche
TAR Lombardia Milano, sez. II, 06.02.2009,
n. 1157).
Appartengono, infatti, alla giurisdizione
ordinaria le controversie in tema di
proprietà, pubblica o privata, delle strade,
nonché circa l'esistenza di diritti di uso
pubblico ovvero di servitù in favore di
fondi privati su strade private, in quanto
tali questioni hanno ad oggetto
l'accertamento dell'esistenza e
dell'ampiezza di diritti soggettivi, sia dei
privati che della P.A. (cfr. TAR Emilia
Romagna Parma, 12.07.2005, n. 383)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.06.2010 n. 1863 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Affinché
una strada privata possa essere considerata
ad uso pubblico non basta che essa possa
servire da collegamento con una via pubblica
e sia adibita al transito di persone diverse
dal proprietario, ma è anche necessario che
la strada sia posta al servizio di una
collettività indeterminata di cittadini
portatori di un interesse generale.
In mancanza di espressa classificazione di
una strada privata nell'elenco delle strade
vicinali, per considerare assoggettata ad
uso pubblico una strada privata è necessario
che la stessa sia oggettivamente idonea
all'attuazione di un pubblico interesse
consistente nella necessità di uso per le
esigenze della circolazione o per
raggiungere edifici di interesse collettivo
(chiese, edifici pubblici).
Affinché una
strada privata possa essere considerata ad
uso pubblico non basta che essa possa
servire da collegamento con una via pubblica
e sia adibita al transito di persone diverse
dal proprietario, ma è anche necessario che
la strada sia posta al servizio di una
collettività indeterminata di cittadini
portatori di un interesse generale.
Non è, quindi, da considerare ad uso
pubblico una strada che:
1) è utilizzata prevalentemente dagli
abitanti dei comparti edilizi che su essa
prospettano;
2) è priva di marciapiedi e, pertanto, non
si presenta destinata alla circolazione dei
pedoni come richiede, invece, l'art. 2 del
codice della strada allorché definisce il
concetto di strada;
3) è a vicolo cieco e, dunque, per essa non
può valere il principio della presunzione di
uso pubblico che opera solo qualora il
tratto di strada colleghi due strade
pubbliche (TAR Veneto Venezia, sez. II,
24.01.2008, n. 169).
Peraltro, costituisce jus receptum
che, in mancanza di espressa classificazione
di una strada privata nell'elenco delle
strade vicinali, per considerare
assoggettata ad uso pubblico una strada
privata è necessario che la stessa sia
oggettivamente idonea all'attuazione di un
pubblico interesse consistente nella
necessità di uso per le esigenze della
circolazione o per raggiungere edifici di
interesse collettivo (chiese, edifici
pubblici).
Deve quindi essere verificato:
a) il requisito del passaggio esercitato da
una collettività di persone qualificate
dall'appartenenza ad un gruppo territoriale;
b) la concreta idoneità della strada a
soddisfare, anche per il collegamento con la
via pubblica, esigenze di generale
interesse;
c) un titolo valido a sorreggere
l'affermazione del diritto di uso pubblico,
che può anche identificarsi nella
protrazione dell'uso stesso da tempo
immemorabile (cfr. TAR Calabria Catanzaro,
sez. II, 10.06.2008, n. 643)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.06.2010 n. 1863 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'installazione nell'abitato (o
in prossimità di questo) di una industria
insalubre non è di per sé vietato in
assoluto, dal momento che lo stesso art. 216
del T.U.L.S. n. 1265 del 1934, lo consente
in determinate circostanze ed in particolari
condizioni, se accompagnato
dall'introduzione di particolari metodi
produttivi o cautele in grado di escludere
qualsiasi rischio di compromissione della
salute del vicinato.
La valutazione dell'attività produttiva
sotto il profilo sanitario non può essere
compiuta aprioristicamente vietando in modo
generalizzato determinati insediamenti
produttivi nel centro abitato o ad una
prestabilita distanza dallo stesso, in
quanto tale valutazione deve essere compiuta
sul caso specifico da parte dell'autorità
sanitaria, che deve accertare la presenza
delle condizioni indispensabili affinché
essa si svolga senza pregiudizio per la
salute pubblica.
Risulta, quindi, del tutto apodittico
escludere la possibilità della continuazione
dell’esercizio della attività sulla scorta
della sola considerazione di una pretesa
incompatibilità urbanistica, che non trova
fondamento nella normativa di riferimento
che, al contrario, impone una valutazione in
concreto della sussistenza delle condizioni
prescritte per il permanere dell’attività
stessa in zona residenziale.
Né si ritiene che tali conclusioni possano
porsi in contrasto con il precedente di
questo Tribunale, rappresentato dalla
sentenza del 12.04.2005, n. 311.
Diversamente da quanto riportato negli
scritti di parte ricorrente, in tale
pronuncia si legge: “che secondo il
consolidato orientamento della
giurisprudenza, l'installazione nell'abitato
(o in prossimità di questo) di una industria
insalubre non è di per sé vietato in
assoluto, dal momento che lo stesso art. 216
del T.U.L.S. n. 1265 del 1934, lo consente
in determinate circostanze ed in particolari
condizioni, se accompagnato
dall'introduzione di particolari metodi
produttivi o cautele in grado di escludere
qualsiasi rischio di compromissione della
salute del vicinato (C.G.A., 28.11.1996,
n. 450; Cons. Stato, Sez. IV, 31.07.2000, n.
4214; TAR Lombardia, Brescia, 27.04.2000, n.
366; TAR Emilia Romagna, Parma, 09.02.2001,
n. 60; TAR Marche, 23.11.2001 n. 1201; TAR
Lombardia, Brescia, 16.07.2003, n. 1095)”.
A ben vedere, quindi, la sentenza richiamata
afferma proprio il principio più sopra
riportato e a cui il Collegio ha ritenuto di
conformarsi, secondo cui “la valutazione
dell'attività produttiva sotto il profilo
sanitario non può essere compiuta
aprioristicamente vietando in modo
generalizzato determinati insediamenti
produttivi nel centro abitato o ad una
prestabilita distanza dallo stesso, in
quanto tale valutazione deve essere compiuta
sul caso specifico da parte dell'autorità
sanitaria, che deve accertare la presenza
delle condizioni indispensabili affinché
essa si svolga senza pregiudizio per la
salute pubblica (Cfr. anche TAR Lombardia
Milano, Sez. III, 29.09.1990, n. 4)”.
Ne discende l’illegittimità
dell’aprioristico diniego del nullaosta in
ragione della mera valutazione della
destinazione dell’area in cui si trova
l’immobile in cui è esercitata l’attività
artigianale in questione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 27.05.2010 n. 2152 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L’annullamento
d’ufficio di un provvedimento amministrativo
è un atto discrezionale da assumere entro un
termine ragionevole e solo dopo un attento
bilanciamento degli interessi pubblici e
privati coinvolti.
L’art. 21-nonies della legge 241/1990
considera l’annullamento d’ufficio un atto
discrezionale da assumere entro un termine
ragionevole e solo dopo un attento
bilanciamento degli interessi pubblici e
privati coinvolti. La giurisprudenza ha però
individuato dei casi in cui la
discrezionalità si azzera vanificando sia
l’interesse del destinatario sia il tempo
trascorso.
Possono essere considerate in particolare
due fattispecie:
(a) quando il destinatario abbia ottenuto il
provvedimento inducendo in errore
l’amministrazione attraverso una falsa
rappresentazione della realtà, non
necessariamente operando con dolo (v. CS
Sez. IV 12.03.2007 n. 1189, giudizio
riguardante un annullamento d’ufficio
intervenuto a 10 anni di distanza);
(b) quando la conservazione del
provvedimento illegittimo sia “semplicemente
insopportabile” per l’evidente
insufficienza dell’affidamento del
destinatario rispetto al danno subito
dall’amministrazione o da altri soggetti (v.
TRGA Trento 16.12.2009 n. 305, giudizio che
si pone specificamente nella prospettiva
della tutela del terzo).
L’annullamento
parziale del titolo edilizio non soltanto è
ammissibile ma è doveroso, per il principio
di proporzionalità, essendo necessario
calibrare esattamente la misura repressiva
sull’entità dell’infrazione. L’art. 38 del
DPR 06.06.2001 n. 380, che prevede la
remissione in pristino per gli edifici il
cui titolo edilizio sia stato annullato,
deve essere interpretato simmetricamente al
precedente art. 34 sugli interventi
parzialmente difformi dal titolo edilizio.
Come può esservi una parziale difformità
originaria per violazione del titolo
edilizio così può esservi una parziale
difformità sopravvenuta per annullamento del
titolo stesso. È poi una distinta questione
(non coinvolta nel presente giudizio) quella
riguardante il contenuto specifico di un
eventuale ordine di demolizione riferito
alla porzione di edificio rimasta priva di
titolo
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 14.05.2010 n. 1733 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
diritto di ottenere la riduzione in pristino
di un immobile costruito senza il rispetto
delle distanze legali non si estingue per il
decorso del tempo ma subisce gli effetti
dell'usucapione, in quanto quest’ultimo
istituto può dar luogo all'acquisto di un
contrario (e prevalente) diritto a mantenere
la costruzione a distanza inferiore a quella
legale.
La
giurisprudenza equipara l'azione per il
rispetto delle distanze legali a una
negatoria servitutis (v. Cass. civ. Sez.
II 21.10.2009 n. 22348) e precisa che il
diritto di ottenere la riduzione in pristino
di un immobile costruito senza il rispetto
delle distanze legali non si estingue per il
decorso del tempo ma subisce gli effetti
dell'usucapione, in quanto quest’ultimo
istituto può dar luogo all'acquisto di un
contrario (e prevalente) diritto a mantenere
la costruzione a distanza inferiore a quella
legale (v. Cass. civ. Sez. II 07.09.2009 n.
19289).
Dunque da una parte non vi è un affidamento
tutelabile dei destinatari della
concessione, che hanno fuorviato il Comune,
ma dall’altra non vi è più un affidamento
tutelabile del terzo.
A questo punto solo un autonomo e attuale
interesse pubblico potrebbe sostenere
l’annullamento d’ufficio, ma tale interesse
evidentemente non può essere costituito dal
mero ripristino delle distanze minime dal
confine, dove vengono in rilievo norme
integrative del codice civile (v. Cass. civ.
Sez. II 10.01.2006 n. 145) che tutelano
primariamente la proprietà confinante.
Quando i rapporti tra i privati a proposito
dei confini hanno stabilmente assunto una
diversa sistemazione è preclusa
all’amministrazione la possibilità di
intervenire per il ripristino della
legalità.
Sarebbero necessari altri interessi pubblici
(ad esempio di natura igienico-sanitaria o
collegati alla sicurezza collettiva) ma di
questi non è fornita alcuna puntuale
dimostrazione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 14.05.2010 n. 1733 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 09.08.2010 |
ã |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA: L.
Cirese,
SCIA al posto della DIA … e del PdC!
---------------
In questi primi giorni di entrata in
vigore della L. 30.07.2010 n. 122, di
conversione del D.L. 31.05.2010 n. 78, si
sono avuti i primi orientamenti contrastanti
in merito all'applicabilità -o meno- della S.C.I.A.
(Segnalazione Certificata di Inizio Lavori)
in materia edilizia laddove dovrebbe aver
sostituito la D.I.A. di cui al DPR n.
380/2001 e L.R. n. 12/2005.
Nell'attesa della tanto auspicata circolare
ministeriale che dirima, urgentemente, tale
incertezza interpretativa, un contributo
potrebbe pervenire dalla lettura del
dossier a cura del "Servizio studi del
Senato" approntato quali
schede di lettura del "Disegno di legge
A.S. n. 2228 - “Conversione in legge del
decreto-legge 31.05.2010, n. 78, recante
misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica” Le
modifiche della Commissione".
Le pagine di interesse, dalla n. 137 alla n.
142, sono esplicite nell'evidenziare
che la S.C.I.A. ha sostituito, ad ogni
effetto, la D.I.A..
Comunque, aspettiamo di leggere -quanto
prima- la circolare ministeriale anche al
fine di capire come si esprimerà,
ufficialmente, la Regione Lombardia in
merito, appunto, alla D.I.A. regionale.
Invero, sul punto, la Direzione Generale
Territorio e Urbanistica si è già espressa
informalmente con e-mail del 06.08.2010, a
seguito di richiesta di chiarimenti urgenti
da parte di un Comune, come di seguito
riportato:
"La
nuova disciplina in materia di
semplificazione, introdotta dal Parlamento
in sede di esame della manovra economica
varata dal Governo con il D.L. n. 78, pone
non pochi dubbi e problemi.
Appare chiaro l'intento del legislatore di
assicurare l'immediata applicabilità della
disciplina della SCIA come istituto di
carattere generale, avendola dichiarata
espressamente attinente alla "tutela della
concorrenza" e qualificata "livello
essenziale delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali", così
riconducendola alla competenza esclusiva
statale (norma peraltro di dubbia
costituzionalità).
Non altrettanto chiara e scontata è invece
l'applicazione della nuova disciplina anche
all'edilizia, mancando qualsivoglia richiamo
al Testo unico dell'edilizia (D.P.R. n.
380/2001), ove peraltro si parla di Denuncia
(non Dichiarazione) di inizio attività.
Un chiaro indirizzo sul punto, come pure
circa l'esatto ambito di applicazione della
nuova disciplina, se cioè la SCIA può
sostituire anche il permesso di costruire
ovvero solo la DIA, solo la DIA statale o
anche la DIA regionale, non può che venire
-si spera a breve- dal Governo (Ministero
della Semplificazione), ispiratore della
novità legislativa.
In ogni caso, anche al fine di valutare
l'impatto della nuova disciplina
sull'ordinamento regionale, la D.G.
Territorio ha già avviato una riflessione
congiunta con la Presidenza.
Distinti saluti.
Arch. Gian Angelo Bravo - Direttore vicario
D.G. Territorio e urbanistica".
LA SEGRETERIA PTPL - 09.08.2010 |
URBANISTICA:
M. Luraghi e V. Latorraca,
La V.A.S. secondo il TAR Milano
(link a www.lavatellilatorraca.it). |
APPALTI:
B. Colombo e V. Latorraca
Le modifiche introdotte ai ricorsi
giurisdizionali in materia di contratti
pubblici dal D.Lgs. n. 53/2010
(link a www.lavatellilatorraca.it). |
APPALTI:
L. Bellagamba,
La questione della pubblicità della seduta
di gara a procedura ristretta, nella
sub-fase della prequalificazione, in
rapporto all’art. 13, comma 2, lett. b), del
codice dei contratti - I
paradigmi normativi della procedura
ristretta semplificata nei lavori e della
c.d. forcella nei servizi di progettazione (link a www.linibellagamba.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI:
C. Rapicavoli,
Legge 30.07.2010 n. 122 – Indicazioni
applicative per gli Enti Locali. Modifiche
alla Legge 241/1990 in materia di conferenza
di servizi - Segnalazione Certificata di
Inizio Attività (SCIA) (link a
www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
C. Rapicavoli,
Legge 30.07.2010 n. 122. Modifiche alla
Legge 241/1990 in materia di Conferenza di
Servizi - Segnalazione Certificata di Inizio
Attività (SCIA) (link a
www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
C. Rapicavoli,
L’affidamento dei servizi pubblici locali -
Il regolamento attuativo (link a
www.ambientediritto.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI:
COMPETENZE PROFESSIONALI DEI GEOMETRI - Il
prof. Avv. Salvatore Alberto Romano, su
richiesta del C.N.G., esprime un suo parere
sulla Sentenza della Corte di Cassazione n.
19292/2009 (Il Triangolo n.
1/2010). |
QUESITI &
PARERI |
SEGRETARI COMUNALI: Attestazione
orario di lavoro segretari comunali.
A seguito di continue assenze dal posto di
lavoro del segretario comunale, alcuni
concittadini hanno richiesto al
sottoscritto, agente di polizia municipale
in servizio c/o il Comune di A., se il
segretario comunale ha l'obbligo di timbrare
il cartellino e di rispettare l'orario di
lavoro così come tutti i dipendenti
pubblici.
Si premette che, il Comune di A. conta circa
6.500 abitanti, con circa 20 dipendenti in
organico, attualmente, suddivisi su due
settori, con due responsabili categoria D di
cui: uno Finanziario/Amministrativo/Anagrafe
Stato Civile e l'altro Tecnico/Sviluppo e
servizi al territorio/Polizia Municipale.
Tanto premesso, si gradirebbe conoscere, ai
sensi delle vigenti normative, gli obblighi
a cui deve attenersi anche il Segretario
comunale (Risorse Umane nella pubblica
amministrazione n. 3/2010). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Richiesta contribuzione
tributaria o commerciale utenti del servizio
comunale (frazione verde). Rifiuti solidi
urbani. Riconoscimento tributario.
Il Comune di (omissis) ha proposto un
quesito in merito alla possibile richiesta
di contribuzione, tributaria o commerciale,
a carico degli utenti del servizio di
conferimento della frazione verde dei
rifiuti solidi urbani soggetta a raccolta
differenziata (Regione Piemonte,
parere n.
71/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nomina responsabile procedimento
autorizzazioni paesaggistiche.
Il presidente della forma associativa
Comunità Collinare (omissis) pone il
seguente quesito:
“Questa Unione ha effettuato una
selezione per titoli per individuare il
migliore aspirante all’incarico di
“responsabile del procedimento di rilascio
delle autorizzazioni paesaggistiche”;
l’incarico risulta essere per le
amministrazioni pubbliche obbligatorio,
dovendo assicurare la separazione fra gli
addetti all’urbanistica e detta figura.
Effettuata la selezione, il migliore
candidato e’ stato nominato dal presidente
ai sensi dell’art. 110 del D.L.vo n.
267/2000, per la durata di un triennio.
L’incarico si svolge da parte
dell’architetto incaricato con ampia
autonomia, ferma restando la necessità di
assolvere una certa presenza presso la sede
dell’Unione e di sottoscrivere le
istruttorie sulle istanze degli utenti;
l’atto finale e’ invece firmato dal
responsabile urbanistico del Comune relativo
alla pratica; l’attività’ prestata rientra
certamente nelle “alte specializzazioni”.
Il regolamento che disciplina il nuovo
servizio prevede che detto responsabile
riceva un compenso pari al 75 % dei diritti
percepiti su ciascuna pratica evasa, senza
determinare alcun minimo ne’ scadenze
determinate.
Precisiamo ancora che:
- la figura concorrente doveva
necessariamente essere iscritta all’Albo
Professionale;
- l’incaricato ha una sua partita IVA ma
versa attualmente in regime di IVA
agevolata;
- ha una propria copertura previdenziale
(Cassa Architetti).
Ciò premesso, chiediamo di conoscere come
debba essere qualificato il rapporto di
lavoro fra questo Ente e il professionista
indicato, quindi quale regime fiscale e
previdenziale l’Unione quale datore di
lavoro o committente deve assicurare alla
figura sopra descritta” (Regione
Piemonte,
parere n.
43/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Sul limite del 3,2% degli
incrementi contrattuali del biennio
economico 2008-2009
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 02.08.2010). |
NOTE,
CIRCOLARI & COMUNICATI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Visite
fiscali - Oneri a carico del datore di
lavoro
(ASL di Bergamo,
nota
28.07.2010 n. 102382 di prot.). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Visite fiscali disposte dal datore di
lavoro pubblico - Sentenza della Corte
Costituzionale n. 207 del 07.06.2010
(Regione Lombardia,
nota 22.06.2010 n. 22282 di prot.). |
URBANISTICA:
Procedimenti di Valutazione Ambientale
Strategica. Coinvolgimento Soprintendenze di
settore
(Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, Direzione Regionale per i Beni
Culturali e Paesaggistici della Lombardia,
nota 18.03.2008 n.
3787 di prot.). |
URBANISTICA: Raccordo
verifica Valutazione Ambientale Strategica (VAS)
e Valutazione di Incidenza (VIC) sugli atti
di pianificazione
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Qualità dell'Ambiente,
nota 15.01.2008 n. 1383 di prot.). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA e
DIGITALIZZAZIONE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA |
PUBBLICO IMPIEGO: Ex
sindacalisti, vita dura nella p.a..
Dirigenti e componenti di Rsu non possono
dirigere il personale. Circolare di Brunetta
sul dlgs 150/2009. Ma la semplice iscrizione
non fa scattare l'incompatibilità.
Dirigenti pubblici
senza conflitti di interesse. I manager che
si occupano di risorse umane in una
amministrazione dello stato dovranno
rinunciare all'incarico se sono dirigenti
sindacali, o lo sono stati negli ultimi due
anni, oppure hanno fatto parte di una Rsu,
o, ancora, ricoprono o hanno ricoperto
posizioni direttive in un partito.
E non potranno far nulla per rimuovere la
causa di incompatibilità che resterà tale
anche se dovessero dimettersi dal sindacato
o dal partito. Perché solo il passare del
tempo (due anni) renderà possibile il
conferimento dell'incarico nella p.a.
Lo ha precisato il ministro della funzione
pubblica, Renato Brunetta, che ieri ha
firmato la
circolare
06.08.2010 n. 11/2010 interpretativa
di una delle disposizioni più controverse
della riforma che porta il suo nome. Si
tratta dell'art. 53, comma 1-bis, del T.u.
sul pubblico impiego (dlgs 165/2001) nel
testo introdotto dalla riforma Brunetta (dlgs
150/2009).
Viste le numerose richieste di chiarimenti
pervenute a palazzo Vidoni, il ministro è
intervenuto a delimitare l'ambito di
intervento della norma. Che si applicherà
agli incarichi conferiti a partire dal
15.11.2009 (data di entrata in vigore del
dlgs 150), ma solo nelle amministrazioni
dello stato. Per tutte le altre p.a., enti
locali compresi, la norma costituirà una
disposizione di principio.
Ma vediamo innanzitutto a chi si applicherà
il giro di vite.
La semplice iscrizione a un sindacato o a un
partito politico non basterà a far sorgere
la causa di incompatibilità. Per far
scattare il conflitto di interessi, precisa
il ministro, «sono richiesti la
partecipazione alle scelte
dell'organizzazione e lo svolgimento di
compiti di reale impulso all'attività».
L'identikit tracciato da Brunetta porta
allora ad escludere dalle responsabilità
direttive in materia di personale i
dirigenti sindacali e coloro che hanno il
potere di agire in nome e per conto del
sindacato in qualità di funzionari delegati.
Incompatibilità anche per i componenti delle
Rsu perché queste sono elette sulla base di
liste presentate dalle organizzazioni
sindacali. Per i partiti valgono gli stessi
princìpi. La semplice iscrizione a un
movimento politico sarà irrilevante ai fini
dell'applicazione della norma, perché,
spiega Brunetta, «è necessario utilizzare
criteri rispettosi e non eccedenti la
finalità della legge».
Dunque, solo chi ha ricoperto posizioni
direttive in un partito dovrà dire addio al
ruolo di manager pubblico. Non, chi in quel
partito si è candidato ed è risultato
eletto. Infatti, precisa la circolare, «da
un lato le cariche in partiti politici
possono essere attribuite anche a soggetti
che non sono risultati eletti, dall'altro
dal fatto di essere stato eletto non
consegue automaticamente l'attribuzione di
una carica».
In pratica, la nota della funzione pubblica
distingue tra il concetto di carica
politica, «che comporta un'investitura
formale nell'organizzazione
dell'associazione» e quello di carica
pubblica. Solo la prima fa scattare il
conflitto di interesse.
Collaborazioni.
La legge Brunetta mette sullo stesso piano
chi ricopra un ruolo direttivo in un
sindacato o in un partito e chi abbia
rapporti continuativi, di collaborazione o
consulenza, con simili organizzazioni.
La circolare si è posta il problema di
chiarire quali siano le collaborazioni
idonee a configurare il divieto e la
risposta è stata che tali possono definirsi
solo i rapporti di lavoro (autonomo o
subordinato) per i quali sia stato pattuito
un compenso. Pertanto, non saranno rilevanti
eventuali collaborazioni a titolo gratuito.
Sanzioni.
Nel caso in cui dovesse emergere la
situazione di incompatibilità, ferme
restando le eventuali sanzioni per falsa
dichiarazione (art. 76 del dpr 445/2000),
l'amministrazione dovrà avviare il
procedimento disciplinare che potrà
concludersi con il licenziamento senza
preavviso quando c'è stato un falso
documentale.
La responsabilità potrà estendersi anche al
soggetto che ha conferito l'incarico il
quale avrebbe dovuto essere a conoscenza
della situazione ostativa, svolgendo i
relativi accertamenti (articolo ItaliaOggi
del 07.08.2010, pag. 26). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Programmazione della formazione delle
amministrazioni pubbliche (direttiva
30.07.2010 n. 10/2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Impugnazione sanzioni disciplinari -
applicabilità art. 7, commi 6 e 7, l. 300
del 1970 alle controversie relative al
pubblico impiego (parere
UPPA 22.07.2010 n. 34439 di prot.). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA: La
liberalizzazione edilizia batte le normative
locali.
La liberalizzazione
edilizia introdotta con il dl n. 40/2010
trova immediata applicazione locale e
prevale sulla legislazione regionale
previgente incompatibile.
Lo ha ribadito la regione Emilia Romagna con
la
circolare
02.08.2010 n. 196035 di prot..
La legge 73/2010, in vigore dal 26 maggio
scorso (e che ha convertito con modifiche il
dl 40/2010), ha introdotto ovvero rafforzato
il concetto di attività edilizia libera.
Questa innovazione, incidendo sull'art. 6
del dpr 380/2001, ha immediatamente
sollevato perplessità specialmente circa
l'applicabilità o meno della riforma in
ambito locale, laddove le regioni hanno già
legiferato nel dettaglio l'attività
edilizia.
A parere della regione emiliana la nuova
stesura dell'art. 6 contiene una disciplina
statale di dettaglio avente l'obiettivo
della «semplificazione normativa e
procedurale dell'attività edilizia, cioè in
una materia, il governo del territorio, a
legislazione concorrente» ai sensi della
Carta costituzionale.
In buona sostanza la riforma governativa
apporta una nuova formulazione delle regole
burocratiche su una quota significativa di
interventi edilizi che «prevale anche
sulla legislazione regionale previgente con
essa incompatibile, ma che è destinata ad
operare fino all'entrata in vigore di una
nuova normativa regionale di recepimento dei
principi fondamentali in essa contenuti».
Restano sul tappeto delicate questioni
interpretative con particolare riferimento
ai nuovi regimi giuridici degli interventi
edilizi. Per questo motivo la regione Emilia
Romagna ha divulgato indicazioni operative
per consentire l'applicazione uniforme e
armonizzata della nuova semplificazione
statale.
In pratica le istruzioni regionali si
concentrano nell'individuazione degli ambiti
immediatamente semplificati e nella
ricostruzione dei tre distinti regimi
giuridici introdotti dalla riforma.
Nella corposa circolare si evidenziano
quindi gli interventi edilizi liberalizzati
ed al loro rapporto con le variazioni in
corso d'opera. Si prende poi in
considerazione la nuova burocrazia per
l'aggiornamento catastale esaminando pure il
nuovo impianto sanzionatorio.
A corredo della nota l'assessorato regionale
allega anche i nuovi modelli di
comunicazione di inizio dei lavori e di
asseverazione da parte del tecnico abilitato
che potranno essere personalizzati in
conformità ai diversi regolamenti comunali
(articolo ItaliaOggi
del 07.08.2010, pag. 22). |
ENTI LOCALI: Partecipate,
slittano le dismissioni. Ci sarà tempo fino
al 31/12/2011. Divieto di nuove
costituzioni. Le novità introdotte
dalla manovra (legge 122/2010) per le
società e gli organi collegiali.
Il dl 78/2010 «Misure urgenti in materia
di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica» è stato
recentemente convertito nella legge
30.07.2010, n. 122 (pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale n. 176 del 30/07/2010).
Nonostante in sede di conversione siano
state eliminate alcune imprecisioni rispetto
al testo originario del decreto legge,
l'applicazione concreta delle nuove
disposizioni si presenta assai complessa e
tale da far auspicare solerti interventi
interpretativi da parte delle Autorità
competenti.
Vediamo le principali novità.
Incarichi negli organi
collegiali degli enti che ricevono
contributi a carico delle finanze pubbliche.
In sede di conversione è stato confermato
che dal 31/05/2010 la partecipazione agli
organi collegiali, anche di amministrazione,
degli enti che comunque ricevono contributi
a carico delle finanze pubbliche, nonché la
titolarità di organi dei predetti enti è
onorifica; essa può dar luogo esclusivamente
al rimborso delle spese sostenute ove
previsto dalla normativa vigente; qualora
siano già stati previsti dei gettoni di
presenza, questi non possono superare
l'importo di 30 euro a seduta giornaliera.
Il termine enti è estremamente generico e
aveva lasciato inizialmente pensare che la
disposizione dovesse applicarsi anche alle
società; fortunatamente, in sede di
conversione in legge, queste ultime sono
state espressamente aggiunte ai soggetti
esclusi, salvando in tal modo i membri dei
loro organi amministrativi e dei collegi
sindacali dall'obbligo di assumersi
responsabilità, spesso anche gravose, senza
avere la possibilità di ricevere in cambio
alcun compenso. Se la questione può dirsi
risolta anche per le società consortili, il
problema resta invece tuttora aperto per i
consorzi.
Adeguamento degli statuti.
In sede di conversione è stato confermato
che tutti gli enti pubblici, anche
economici, e gli organismi pubblici, anche
con personalità giuridica di diritto
privato, sono tenuti ad adeguare i
rispettivi statuti al fine di assicurare
che, a decorrere dal primo rinnovo
successivo al 31/05/2010, gli organi di
amministrazione e quelli di controllo, ove
non già costituiti in forma monocratica,
nonché il collegio dei revisori, siano
costituiti da un numero non superiore,
rispettivamente, a cinque e a tre
componenti.
La previsione in commento ripropone il tema
relativo alla necessità di stabilire i casi
in cui un organismo con personalità
giuridica di diritto privato debba essere
considerato pubblico; a tale riguardo, può
essere fatto riferimento al principio
secondo il quale tutti coloro che operano
prevalentemente con risorse pubbliche devono
essere considerati organismi pubblici a
prescindere dalla forma giuridica che
assumono.
Pertanto, a titolo di esempio, la
disposizione in commento troverà
applicazione a una società consortile
partecipata da un ente locale, qualora
quest'ultimo eroghi alla stessa la maggior
parte dei contributi finalizzati alla
copertura dei costi d'esercizio.
Riduzione dei compensi
degli amministratori e dei membri del
collegio sindacale.
I compensi previsti per i componenti del
consiglio di amministrazione e del collegio
sindacale sono ridotti del 10%:
- nelle società inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione
(l'elenco delle amministrazioni pubbliche
inserite in tale conto è stato recentemente
pubblicato dall'Istat sulla G.U. n. 171 del
24/07/2010)
- nelle società possedute, direttamente o
indirettamente, in misura totalitaria alla
data del 31/05/2010 dalle amministrazioni
pubbliche.
In base alla ridefinizione dell'ambito di
applicazione della disposizione avvenuta in
sede di conversione del decreto, sono ora
tenute ad applicare la riduzione del 10% dei
compensi anche le società partecipate
indirettamente dalle amministrazioni
pubbliche, purché tale partecipazione possa
comunque configurarsi come totalitaria.
Tuttavia, tale obbligo, sia per le
partecipazioni dirette che per quelle
indirette, non scatta immediatamente, ma
sorge a partire dalla prima scadenza del
consiglio o del collegio successiva al
31/05/2010. La disposizione non si applica
alle società quotate e alle loro
controllate.
Il divieto di costituire società per i
comuni con meno di 30 mila abitanti.
Rispetto al testo originario del decreto
legge 78/2010, in sede di conversione gli
effetti della disposizione in commento sono
stati posticipati di un anno. Il comma 32
dell'art. 14 prevede che, fermo quanto
previsto dall'art. 3, commi 27, 28 e 29,
della legge 244/2007 (legge Finanziaria
2008), i comuni con popolazione inferiore a
30 mila abitanti non possono costituire
società.
Entro il 31/12/2011 i comuni mettono in
liquidazione le società già costituite al
31/05/2010, ovvero, ne cedono le
partecipazioni. Gli effetti del richiamo
alla legge Finanziaria 2008 non sono ancora
chiari: secondo un'interpretazione
prudenziale, ciò presupporrebbe una doppia
verifica, nel senso che per mantenere una
partecipazione societaria il comune dovrebbe
prima verificare che la stessa sia
strettamente necessaria al perseguimento
delle proprie finalità istituzionali e,
successivamente, verificare se sia
soddisfatta la condizione relativa al
parametro dimensionale.
Il divieto comunque non si applica nel caso
di società con partecipazione paritaria e
nel caso di società con partecipazione
proporzionale al numero degli abitanti,
qualora siano costituite da più comuni la
cui popolazione complessiva superi i 30 mila
abitanti. Invece, i comuni con popolazione
compresa tra 30 mila e 50 mila abitanti
possono detenere la partecipazione di una
sola società; entro il 31/12/2011 i predetti
comuni mettono in liquidazione le altre
società già costituite.
In sede di conversione in legge del decreto
è stata inoltre prevista l'emanazione entro
il 28/10/2010 di un decreto ministeriale con
cui dovranno essere determinate le modalità
attuative del comma 32, nonché ulteriori
ipotesi di esclusione (articolo ItaliaOggi
del 06.08.2010, pag. 34). |
APPALTI: Le
novità di immediata applicazione del ddl
antimafia approvato in via definitiva dal
senato. Appalti, in gara con conti ai raggi
X. Tracciabilità dei flussi finanziari.
Stretta sulla turbativa d'asta.
Tracciabilità dei flussi
finanziari per tutti i partecipanti a gare
di appalto e per i beneficiari di
finanziamenti pubblici; introduzione della
stazione unica appaltante a livello
regionale; inasprimento del reato di
turbativa d'asta (con reclusione da sei mesi
a cinque anni) e introduzione di una nuova
fattispecie penale con riguardo alla
turbativa del procedimento di scelta del
contraente; maggiori controlli sul cantiere;
deleghe per riformare la normativa e la
documentazione antimafia.
È quanto stabilisce il disegno di legge
recante il «piano straordinario contro le
mafie, nonché la delega al governo in
materia di normativa antimafia»
approvato in via definitiva dal senato
martedì ...
(articolo ItaliaOggi
del 06.08.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI: Appalti,
stop a segnalazioni di violazioni non
definitive.
Stop alla segnalazione delle violazioni
fiscali non ancora definitive: nelle
certificazioni rilasciate all'ente
appaltante ai fini della partecipazione
delle imprese agli appalti pubblici, gli
uffici dell'agenzia delle entrate dovranno
indicare soltanto le infrazioni degli
obblighi di pagamento definitivamente
accertate.
E' quanto stabilisce la
circolare 03.08.2010
n. 41/E dell'Agenzia delle Entrate,
concernente l'attestazione dei requisiti
fiscali richiesti per la partecipazione alle
procedure di affidamento delle concessioni e
degli appalti e subappalti di lavori,
forniture e servizi di cui al dlgs 163/2006
(c.d. codice dei contratti pubblici).
L'art. 38, comma 1, lettera g) del codice
esclude dalla partecipazione i soggetti che
hanno commesso violazioni, definitivamente
accertate, degli obblighi relativi al
pagamento delle imposte e tasse, secondo la
legislazione italiana o quella dello stato
in cui sono stabiliti. Il comma successivo
prevede che il possesso dei requisiti
richiesti possa essere attestato mediante
dichiarazione sostitutiva ai sensi del dpr
445/2000, fatto salvo il potere di controllo
delle amministrazioni procedenti.
In merito ai requisiti fiscali, con la
circolare 25.05.2007
n. 34/E l'Agenzia delle Entrate ha
fornito istruzioni sui compiti degli uffici,
chiarendo che, qualora la stazione
appaltante richieda il controllo
dell'autocertificazione, gli uffici devono
utilizzare il modello approvato con
provvedimento del 25.06.2001, segnalando
anche le eventuali violazioni non
definitivamente accertate, in modo da
fornire al richiedente ogni elemento utile a
valutare la sussistenza del requisito della
regolarità fiscale.
Nella nuova circolare, tuttavia, viene
osservato che, in base al citato art. 38,
l'irregolarità fiscale può dirsi integrata
qualora sia stata definitivamente accertata
una qualunque violazione relativa agli
obblighi di pagamento di imposte e tasse, e
deve considerarsi venuta meno nel caso in
cui, alla data di richiesta della
certificazione, il contribuente abbia
integralmente soddisfatto la pretesa del
fisco, anche mediante definizione agevolata.
Tanto premesso, modificando le precedenti
indicazioni in senso più aderente alla
norma, anche al fine di non pregiudicare le
imprese nazionali rispetto a quelle estere,
l'agenzia ha ora stabilito che gli uffici
devono indicare nella certificazione
esclusivamente le violazioni di pagamento
definitivamente accertate, circostanza che
si realizza con l'inutile decorso dei
termini di impugnativa o a seguito di
sentenza definitiva (articolo ItaliaOggi
del 04.08.2010, pag. 20 - link a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Pa,
sì agli incarichi a legali esterni.
Legittimo l'affidamento diretto e senza
svolgere la gara. Il principio è stato
affermato di recente da una decisione del
Consiglio di Stato sugli enti locali.
È illegittimo
l'affidamento diretto e senza gara, a favore
di un avvocato, di un incarico professionale
di consulenza legale, a supporto dello
svolgimento delle ordinarie attività
amministrative dell'ente.
Nel caso in esame un Consorzio di Bonifica
toscano aveva deciso di affidare
direttamente ad un avvocato l'incarico di
consulenza legale per la durata di un anno,
in considerazione della sua comprovata
professionalità e della specifica competenza
amministrativa già sperimentata nel corso di
una collaborazione da lui prestata nell'anno
precedente.
Un altro professionista, però, consultando
il sito internet del Consorzio e
riscontrando l'avvenuta assegnazione diretta
del sopra citato incarico di consulenza di
tipo normativo - legale, aveva deciso di
impugnare la determina di affidamento,
chiedendone l'annullamento, al fine di
tutelare il proprio interesse allo
svolgimento di una procedura selettiva
pubblica alla quale avrebbe potuto
partecipare, in quanto cultore di diritto
amministrativo e specialista nel settore
degli appalti e dei contratti pubblici ...
(articolo ItaliaOggi
del 02.08.2010 - link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: In
data 03.08.2010 è stato definitivamente
sottoscritto il contratto collettivo
nazionale di lavoro dell’Area II della
Dirigenza Regioni ed Autonomie Locali
relativo al biennio economico 2008-2009
(comunicato
stampa 04.08.2010 - link a www.aranagenzia.it). |
VARI:
È legge il nuovo codice della strada.
I destinatari delle nuove regole sono
soprattutto i giovani. Le novità maggiori
previste dalla riforma del codice della
strada riguardano l'alcol: divieto assoluto
di bere per i neopatentati, i giovani fino a
ventuno anni; divieto di vendita e
somministrazione di bevande alcoliche e
superalcoliche nelle stazioni di servizio
autostradali a partire dalle dieci di sera;
nei locali notturni è vietato vendere e
somministrare bevande alcoliche di qualsiasi
tipo dalle ore 3 alle ore 6.
Obbligatorio esporre anche le tabelle
illustrative sugli effetti dannosi
dell’alcol e un test volontario per rilevare
il proprio tasso alcolemico. Se il
conducente in stato di ebbrezza provoca un
incidente stradale è disposto il fermo
amministrativo del veicolo e qualora sia
stato accertato un valore corrispondente ad
un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi
per litro (g/1), la patente di guida è
revocata.
E quando gli accertamenti forniscono esito
positivo o quando si ha ragionevole motivo
di ritenere che il conducente del veicolo si
trovi sotto l'effetto conseguente all'uso di
sostanze stupefacenti o psicotrope, i
conducenti, nel rispetto della riservatezza
personale e senza pregiudizio per
l'integrità fisica, possono essere
sottoposti ad accertamenti
clinico-tossicologici e strumentali su
campioni di mucosa del cavo orale prelevati
a cura di personale sanitario ausiliario
delle forze di polizia. Inasprimento delle
sanzioni per chi trucca le minicar sulle
quali si prevede ora l'obbligo delle cinture
di sicurezza; divieto per coloro ai quali
venga revocata la patente di guidare
ciclomotori o minicar.
Di grande rilievo anche la previsione della
sicurezza stradale come materia obbligatoria
in tutte le scuole di ogni ordine e grado.
La Legge che ha avuto il via libera dal
Senato è stata pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale n. 175 del 29.07. 2010 (link a
www.governo.it).
---------------
Si legga anche
questo articolo (link a
www.altalex.com). |
CORTE DEI
CONTI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Nella p.a. incarichi
prevalentemente a tempo indeterminato. La
riforma Brunetta ha abrogato la disciplina
sui contratti ai dirigenti del Testo unico
degli enti locali. Chiarimento della corte
dei conti puglia.
La disciplina degli
incarichi dirigenziali a tempo determinato
contenuta nel testo unico degli enti locali
è da considerare implicitamente abolita
dalla riforma-Brunetta.
È la Corte dei Conti, Sezione regionale di
controllo della Puglia ad esprimere, per
prima, un chiaro avviso sulle sorti
dell'articolo 110, commi 1 e 2, del dlgs
267/2000 a seguito della riforma
dell'articolo 19, commi da 6 a 6-ter, del
dlgs 165/2001, da parte del dlgs 150/2009.
E il destino delle regole particolari degli
incarichi a contratto negli enti locali non
poteva che essere quello delineato dalla
magistratura contabile: l'abolizione
implicita, cui consegue l'obbligo di
applicare le sole regole contenute
nell'articolo 19, commi 6-6-ter.
Il
parere 17.06.2010
n. 44 della Sezione Puglia
contraddice efficacemente tutte le ragioni
addotte dall'opposta teoria della permanente
vigenza dell'articolo 110 del Tuel. A
partire dal principio di speciali, secondo
il quale la norma del dlgs 267/2000, in
quanto «speciale», non potrebbe
essere derogata da una legge generale,
ancorché successiva cronologicamente.
Le cose, mette in rilievo la magistratura
contabile, in questo caso non stanno così.
La questione degli incarichi dirigenziali a
contratto, infatti, il legislatore ha
manifestato espressamente la volontà, col
comma 6-ter dell'articolo 19 del dlgs
165/2001, di estendere le nuove regole sugli
incarichi dirigenziali a contratto non solo
nell'ambito dello Stato, ma anche di tutte
le altre amministrazioni pubbliche. Il
conduce all'inefficacia delle relative norme
speciali previgenti, dovendosi ricondurre a
unità e coerenza l'ordinamento giuridico.
Del resto, osserva la Sezione Puglia, la
lettura costituzionalmente orientata della
riforma alla disciplina della dirigenza a
contratto non può giustificare l'ulteriore
vigenza dell'articolo 110, commi 1 e 2 del
dlgs 267/2000, come dimostrano le recenti ed
ormai consolidate pronunce della Corte
costituzionale (103/2007, 104/2007,
161/2008, 9/2010), tutte intese ad
evidenziare la stretta correlazione tra la
struttura del rapporto di lavoro della
dirigenza e l'effettività della distinzione
funzionale tra i compiti di indirizzo
politico-amministrativo degli organi di
governo e quelli di gestione di competenza
della dirigenza.
La legge, dunque, deve creare un assetto
della dirigenza pubblica prevalentemente
fondato su un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato al quale si acceda per
concorso pubblico, con conseguente
restrizione degli spazi a contratti a tempo
determinato, soprattutto se basati su
elementi di fiduciarietà.
La volontà di comprimere per tutte le
amministrazioni pubbliche, ivi comprese
quelle locali, la possibilità di assumere
dirigenti a contratto, d'altra parte, è
dimostrata dall'articolo 6, comma 2, lettera
h), della legge 15/2009, che ha demandato al
legislatore delegato, cioè al d.lgs 150/2009
la ridefinizione della disciplina relativa
al conferimento degli incarichi ai soggetti
estranei alla pubblica amministrazione e ai
dirigenti non appartenenti ai ruoli, «prevedendo
comunque la riduzione, rispetto a quanto
previsto dalla normativa vigente, delle
quote percentuali di dotazione organica
entro cui e' possibile il conferimento degli
incarichi medesimi».
Coerentemente con tale criterio di delega,
il dlgs 150/2009 modificando il testo unico
del pubblico impiego ha esteso l'ambito di
applicazione delle norme sulla dirigenza
pubblica, tendenti a restringere lo spoil
system e gli incarichi a contratto, alle
altre amministrazioni.
Né, ulteriore rilevante conclusione del
parere 44/2010, vale ad escludere la piena
applicabilità dell'articolo 19, comma 6, del
dlgs 165/2001, nell'ordinamento locale «l'esistenza
dell'autonomia regolamentare in materia di
organizzazione e di svolgimento delle
funzioni riconosciuta agli enti locali
dall'art. 117, 6° comma, della Costituzione,
in quanto la materia dell'accesso al
pubblico impiego è oggetto di riserva di
legge (art. 97, comma 3, Cost.)».
Il parere mette, finalmente, bene in
evidenza la differenza che esiste tra la
funzione di organizzazione ed il
reclutamento. Gli enti sono autonomi nello
stabilire l'architettura organizzativa,
ovvero quante strutture di vertice esistano,
di quali servizi siano composte, con quali
interrelazioni sono connesse e, di
conseguenza, quanti e quali siano le
posizioni dirigenziali preposte. Ma, tutto
ciò non ha nulla a che vedere col sistema di
reclutamento, non rimesso all'autonomia
regolamentare, bensì disciplinato dalla
legge.
La Sezione Puglia, concordemente con la
Sezione Autonomie e le Sezioni Piemonte ed
Emilia Romagna, priva di pregio anche
l'osservazione secondo la quale l'abolizione
dell'articolo 110, commi 1 e 2, avrebbe
dovuto essere frutto di una norma espressa,
in applicazione dell'articolo 1, comma 4,
del Tuel, ribadendo che tale ultima norma «di
rafforzamento» altro non essendo se non
una fonte di pari rango legislativo al d.lgs
150/23009, rimane comunque soggetta al
criterio cronologico, traducendosi in buona
sostanza in un'esortazione ovviamente non
vincolante per il legislatore futuro. Se
così non fosse, sarebbe, infatti, l'articolo
1, comma 4, una norma incostituzionale.
Infine, il parere si esprime anche sulla
percentuale di dirigenti a contratto
acquisibili dagli enti locali, osservando
che essa non possa che coincidere col tetto
dell'8%, riferito ai dirigenti non generali,
non potendosi applicare la percentuale del
10%, che riguarda i dirigenti di prima
fascia, assenti nell'ordinamento locale
(articolo ItaliaOggi
del 06.08.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: L'osservanza dell'orario di lavoro
costituisce un obbligo del dipendente
pubblico, anche del personale con qualifica
dirigenziale, quale elemento essenziale
della prestazione retribuita dalla
Amministrazione Pubblica e l'orario di
lavoro, comunque articolato, deve essere
documentato ed accertato mediante controlli
di tipo automatici ed obiettivi, come
disposto dalle vigenti normative in materia.
L'osservanza dell'orario di lavoro
costituisce un obbligo del dipendente
pubblico, anche del personale con qualifica
dirigenziale, quale elemento essenziale
della prestazione retribuita dalla
Amministrazione Pubblica e l'orario di
lavoro, comunque articolato, deve essere
documentato ed accertato mediante controlli
di tipo automatici ed obiettivi, come
disposto dalle vigenti normative in materia.
I sistemi automatizzati di rilevazione
dell'orario di lavoro devono essere
utilizzati per determinare direttamente la
retribuzione principale e quella accessoria,
da corrispondere a ciascun dipendente, per
cui ciò comporta che ad ogni eventuale
assenza, totale o parziale dal posto di
lavoro (che non sia giustificata dalla
vigente normativa in materia) consegue
-oltre alla proporzionale automatica
riduzione della retribuzione- anche
l'attivazione, da parte dei Dirigenti
responsabili, delle procedure disciplinari
previste dalla normativa vigente.
Anche “i
permessi brevi fruiti dai dipendenti
pubblici per esigenze personali” (tra i
quali rientrano certamente anche le
consumazioni al bar fuori dell'edificio
presso il quale i dipendenti pubblici sono
in servizio) devono essere autorizzati e
recuperati successivamente secondo modalità
definite dal Dirigente, ed “i Dirigenti
sono responsabili dell'osservanza
dell'orario di lavoro da parte del personale
dipendente”; eventuali violazioni dei
dirigenti responsabili e del personale
dipendente, conseguenti a dolo o colpa
grave, che comportano una mancata
prestazione, con relativo danno erariale,
concretano una violazione penale, oltre che
responsabilità disciplinare e contabile.
In presenza di
accertata dolosa o colposa inadempienza
nella dovuta prestazione lavorativa da parte
dei pubblici dipendenti, è pacifica e
consolidata la giurisprudenza della Corte
dei Conti nel riconoscere la responsabilità
amministrativa contabile dei predetti
dipendenti pubblici, ritenendo che il danno
è, in questi casi, quanto meno pari alla
spesa sostenuta dall'Amministrazione
Pubblica datrice di lavoro per la
retribuzione complessivamente erogata a
favore dei dipendenti pubblici in questione
nel periodo in cui essi non hanno reso la
dovuta prestazione lavorativa, fatti salvi
comunque gli ulteriori danni che possono
essere stati causati a motivo della assenza
arbitraria nella gestione dei servizi ai
quali i predetti dipendenti pubblici erano
addetti o preposti (cfr., fra le tante, Sez.
Giurisd. Reg. Molise, Sent. n. 226 del
22.11.1996; Sez. Giurisd. Reg. Toscana,
Sent. n. 275 del 20.05.1996; Sez. Giurisd.
Reg. Veneto, Sent. n. 238 del 29.11.2000;
Sez. Giurisd. Reg. Marche, Sent. n. 807 del
28.10.2003; Sez. Giurisd. Reg. Sicilia,
Sent. n. 2375 del 23.08.2004; Sez. Giurisd.
Reg. Liguria, Sent. n. 704 del 19.05.2005; e
di questa Sezione Giurisdizionale Regionale
dell'Umbria, tra le varie, Sent. n. 50/E.L./96
del 17.01.1996; Sent. n. 152/R/96
dell'11.03.1996; Sent. n. 290/E.L./97 del
21.07.1997; Sent. n. 831/R/98 del
02.10.1998; Sent. n. 52/R/99
dell'08.02.1999; Sent. n. 379/E.L./99
dell'01.07.1999; Sent. n. 424/R/2000 del
31.07.2000; Sent. n. 2/E.L./2004 del
09.01.2004, ecc.).
Facendo
applicazione al caso di specie del
richiamato e condiviso indirizzo
giurisprudenziale, si deve convenire con la
Procura Regionale sulla irregolare ed
eticamente riprovevole condotta tenuta,
nella circostanza, dalla Sig.ra ...,
la quale -quantomeno il 24.04.2003 (data del
controllo formale)- si è assentata dal suo
ufficio durante l'orario di servizio, senza
autorizzazione, senza timbratura del
cartellino magnetico e senza alcuna
giustificazione, per essersi recata a fare
colazione al bar al di fuori dell'edificio
comunale.
In sostanza, nella fattispecie che ci
occupa, la convenuta è venuta meno, con
colpa grave, ai suoi precisi obblighi di
servizio, allorché -senza la prescritta
autorizzazione, senza timbratura del
cartellino magnetico e senza alcuna
giustificazione- si è assentata dal suo
ufficio per i motivi innanzi detti,
sottraendo un certo periodo di tempo
all'orario di lavoro ed al tempo di lavoro
contrattualmente definito.
Nella vicenda in esame il danno patrimoniale
sussiste ed è chiaramente da imputare alla
violazione del sinallagma
prestazione/retribuzione contrattualmente
definito, non essendo stato recuperato da
parte della convenuta il tempo di lavoro
arbitrariamente e colposamente sottratto
all'Amministrazione Pubblica datore di
lavoro, pur in presenza di regolare
percezione della intera retribuzione (Corte
dei Conti, Sez. giurisdiz. Umbria,
sentenza 23.08.2005 n. 313 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Il
“danno all'immagine ed al prestigio della
P.A.” rientra nella connotazione del “danno
patrimoniale in senso ampio” ex art. 2043
c.c., in collegamento con l'art. 2 Cost., e
“non si correla necessariamente ad un
comportamento causativo di reato penale”,
non rientrando nell'ambito di applicabilità
dell'art. 2059 c.c. ma può ben discendere
anche “da un comportamento gravemente
illegittimo ovvero gravemente illecito
extrapenale”.
Il “danno all'immagine ed al prestigio della
P.A.” compiuto da parte di un soggetto
legato alla P.A. da un rapporto di lavoro,
di impiego o di servizio (anche di fatto)
viene in rilievo unitamente ad altri
fondamentali e necessari concomitanti
elementi, quali il necessario “clamor” e la
risonanza e l'amplificazione della notizia
da parte dei vari mezzi di informazione, che
“non integrano (però) la lesione, ma ne
indicano la dimensione”, stando ad
evidenziare gli “indici di dimensione via
via maggiori che il medesimo evento lesivo
può assumere a seconda delle circostanze”.
Per quanto
attiene il “danno all'immagine ed al
prestigio della P.A.” è ben nota, ormai,
la posizione e la impostazione concettuale
assunta in merito a tale forma di danno
erariale da questa Sez. Giurisd. Reg.
dell'Umbria (si citano, tra le tante, Sent.
n. 501/E.L./1998; Sent. n. 1087/R/1998;
Sent. n. 147/R/1999; Sent. n. 582/E.L./1999;
Sent. n. 622/E.L./1999; Sent. n. 505/R/2000;
Sent. n. 557/R/2000; Sent. n. 620/E.L./2000;
Sent. n. 98/E.L./2001; Sent. n. 511/R/2001;
Sent. n. 275/E.L./2004; Sent. n. 278/E.L./2004;
Sent. n. 49/E.L./2005; ecc.; tutte
perfettamente in linea con la giurisprudenza
prevalente e maggioritaria in materia, come
definita anche in sede di Appello -vedasi
al riguardo, in particolare, Sez. Centr.
Giurisd. d'Appello, Sent. n. 78/2003/A e
Sent. n. 340/2003/A- e dalle Sezioni
Riunite in sede Giurisd. della Corte dei
Conti con la Sentenza n. 10/Q.M./2003).
In questa sede si ritiene, peraltro, di
dover ribadire che il “danno all'immagine
ed al prestigio della P.A.” -contrariamente a quanto fatto presente dalla
difesa della convenuta- rientra nella
connotazione del “danno patrimoniale in
senso ampio” ex art. 2043 c.c., in
collegamento con l'art. 2 Cost., e “non si
correla necessariamente ad un comportamento
causativo di reato penale”, non rientrando
nell'ambito di applicabilità dell'art. 2059
c.c. (fermo restando, in ogni caso, il
principio della separatezza del giudizio per
responsabilità amministrativa contabile
rispetto a quello penale, come rilevabile
dal novellato art. 3 c.p.p.), ma può ben
discendere anche “da un comportamento
gravemente illegittimo ovvero gravemente
illecito extrapenale”.
A quest'ultimo
riguardo, è stato, inoltre, precisato che -ove non si tratti di fattispecie derivante
da reati penali- “non tutti gli atti o
comportamenti genericamente illegittimi o
illeciti compiuti da un amministratore, da
un dipendente (anche di fatto), o da un
agente pubblico (che pure non giovano
certamente al prestigio ed all'immagine
della P.A.) sono causalmente idonei a
determinare una menomazione di detta
immagine e di detto prestigio”, venendo in
rilievo -a questi fini (e, perciò,
rilevanti nel giudizio di responsabilità
amministrativa contabile)- “solo i
comportamenti gravemente illegittimi ovvero
gravemente illeciti (anche di carattere
extrapenale)”, purché “idonei - nella loro
consistenza fenomenica” - a produrre quella
“grave perdita di prestigio e della
immagine” e quel “grave detrimento della
personalità pubblica”.
Va, inoltre, fatto rilevare che il “danno
all'immagine ed al prestigio della P.A.”
compiuto da parte di un soggetto legato alla
P.A. da un rapporto di lavoro, di impiego o
di servizio (anche di fatto) viene in
rilievo unitamente ad altri fondamentali e
necessari concomitanti elementi, quali il
necessario “clamor” e la risonanza e
l'amplificazione della notizia da parte dei
vari mezzi di informazione, che “non
integrano (però) la lesione, ma ne indicano
la dimensione”, stando ad evidenziare gli
“indici di dimensione via via maggiori che
il medesimo evento lesivo può assumere a
seconda delle circostanze”.
Come indicato anche nelle precedenti citate
Sentenze della Corte dei Conti, tale forma
di danno erariale va inquadrato:
a)
nell'ambito della categoria del “danno
patrimoniale ingiusto per violazione di un
diritto fondamentale della persona giuridica
pubblica”, rapportandolo, quindi, -come già
evidenziato- al “danno patrimoniale in
senso ampio” ex art. 2043 c.c. in
collegamento con l'art. 2 Cost.;
b)
nell'ambito della fattispecie del “danno
esistenziale”, inteso quale “tutela della
propria identità, del proprio nome, della
propria reputazione e credibilità”;
c)
nell'ambito della categoria del
“danno/evento” (e non del
“danno/conseguenza”), considerato che,
poiché l'“oggetto del risarcimento non può
che essere una perdita cagionata dalla
lesione di una situazione giuridica
soggettiva e la liquidazione del danno non
può riferirsi se non a perdite, a questi
limiti soggiace anche la tutela risarcitoria
dei danni non patrimoniali causati dalla
lesione di diritti od interessi
costituzionalmente protetti, quali il
diritto all'immagine, con la peculiarità che
essa deve essere ammessa, per precetto
costituzionale, indipendentemente dalla
dimostrazione di perdite patrimoniali,
oggetto del risarcimento, senza la
diminuzione o la privazione di valori
inerenti al bene protetto”;
d)
nell'ambito delle fattispecie per le
quali -non essendo richiesta la prova delle
spese necessarie al recupero del bene
giuridico leso- si può fare affidamento -per la concreta determinazione
dell'ammontare del danno erariale- sulla
“valutazione equitativa del Giudice”, ai
sensi dell'art. 1226 c.c., sulla base dei
“parametri di tipo oggettivo, soggettivo e
sociale” come definiti dalla giurisprudenza
maggioritaria e prevalente della Corte dei
Conti di cui si è detto ed, in particolare,
da diverse Sentenze della Sez. Giurisd. Reg.
dell'Umbria;
e)
nell'ambito delle fattispecie per le
quali sussiste in ogni caso “l'onere per
l'attore di indicare le presunzioni, gli
indizi e gli altri parametri che intende
utilizzare sul piano probatorio” (Corte
dei Conti, Sez. giurisdiz. Umbria,
sentenza 23.08.2005 n. 313 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AUTORITA'
CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI SERVIZI:
Trasmissione dei dati relativi ad
affidamenti a Cooperative sociali ex art. 5
della Legge n. 381/1991 (comunicato
21.07.2010 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Trasmissione dei dati relativi a soggetti
che eseguono opere a scomputo degli oneri di
urbanizzazione (comunicato
21.07.2010 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Quesiti giuridici.
Il Presidente ad interim dell’Autorità,
Giuseppe Brienza, ha emanato un comunicato
per chiarire chi è legittimato a presentare
richiesta di parere giuridico, in base ai
requisiti di ammissibilità previsti
dall’articolo 2 del Regolamento sulla
istruttoria dei quesiti giuridici.
Per i Ministeri possono presentare richiesta
il Ministro, il Segretario Generale, i
Direttori Generali.
Per gli Enti Territoriali, il Presidente
della Giunta Regionale o Provinciale e gli
Assessori, il Sindaco e gli Assessori, il
Segretario Provinciale e Comunale, il
Segretario Generale, i Direttori Generali.
Per le Università e altri istituti, il
Rettore, il Preside, il Direttore
Amministrativo. Per le altre Autorità
indipendenti e Agenzie, il Presidente ed il
Segretario Generale.
Per i soggetti privati, il Presidente e
l’Amministratore Delegato (comunicato
21.07.2010 - link a
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GIURISPRUDENZA |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Fenomeni di
inquinamento in atto - Avviso di avvio del
procedimento - Omissione - Legittimità -
Esigenze di celerità - Art. 7 L. n.
241/1990.
In presenza di fenomeni di inquinamento
della falda freatica con possibile
inquinamento batteriologico può
legittimamente omettersi la comunicazione di
avvio del procedimento, in quanto fondata
ragione di impedimento derivante da
particolari esigenze di celerità (art. 7 l.
241/1990) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 06.08.2010 n. 2656 - link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Istruttoria - Forma libera - Dichiarazioni
di persone a conoscenza dei fatti -
Utilizzabilità - Fondamento - Art. 6, c. 1
L. n. 241/1990.
Secondo la norma generale dell’art. 6, co.
1, lett. b), della L. n. 241/1990,
l’istruttoria nel procedimento
amministrativo in generale si svolge in
forma libera, e non conosce prove legali
predeterminate, talché possono essere
senz’altro usate dall’amministrazione prove
costituite da dichiarazioni di persone a
conoscenza dei fatti e documentazione
prodotta dagli stessi (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 06.08.2010 n. 2656 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
L'affidamento ad una società
mista con gara ad evidenza pubblica per la
selezione del socio, non costituisce
affidamento diretto.
La sussistenza di un interesse di una
società mista alla partecipazione ad una
gara in ambito extra territoriale non può
che essere valutata dall'ente esponenziale
della comunità di riferimento, ossia il
Comune che ha costituito la società.
L'affidamento di un servizio pubblico ad una
società mista appositamente costituita con
un socio privato operativo, scelto mediante
procedura ad evidenza pubblica, è da
equiparare all'affidamento mediante gara.
Tale procedura garantisce, infatti, il
rispetto dei principi comunitari in tema di
libero mercato, in quanto non si realizza un
affidamento diretto alla società, ma
piuttosto un affidamento con procedura di
evidenza pubblica dell'attività operativa
della società mista al partner privato,
tramite la stessa gara volta
all'individuazione di quest'ultimo.
Il modello, in altre parole, trae la propria
peculiarità dalla circostanza che la gara ad
evidenza pubblica per la scelta del socio
privato abbia ad oggetto, al tempo stesso,
l'attribuzione dei compiti operativi e
quella della qualità di socio (nella
specie, è stato ritenuto legittimo, sulla
base di dette considerazioni, l'affidamento
del servizio relativo alla gestione della
farmacia comunale ad una società mista, in
cui il socio privato di minoranza è stata
effettuata mediante procedura ad evidenza
pubblica).
La sussistenza di un interesse della società
mista alla partecipazione ad una gara in
ambito extra territoriale non può che essere
valutata dall'ente esponenziale della
comunità di riferimento, ossia il Comune che
ha costituito la società. Ne deriva che, ove
il Comune, che detiene la quota
maggioritaria del capitale sociale,
autorizzi una modificazione statutaria
finalizzata a consentire la partecipazione
alla gara in questione, non sembra si possa
dubitare che abbia ritenuto la gestione di
una nuova farmacia come rispondente
all'interesse della comunità di riferimento
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.08.2010 n. 5214 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
L’art. 5, co. 1, della legge 381/1991 non
consente di utilizzare le convenzioni ivi
previste per l’affidamento di servizi
pubblici locali quale il servizio di
scuolabus.
L’art. 5, co. 1, della legge 08.11.1991 n.
381, in materia di cooperative sociali,
consente agli enti pubblici ed alle società
di capitali a partecipazione pubblica di
stipulare “anche in deroga alla
disciplina in materia di contratti della
pubblica amministrazione” apposite
convenzioni con le cooperative sociali come
definite dal precedente art. 1, ovvero con i
corrispondenti organismi operanti negli
altri Stati membri della Comunità europea,
per la fornitura di “beni o servizi”
diversi da quelli socio-sanitari ed
educativi il cui importo stimato sia
inferiore alla c.d. soglia comunitaria e
purché tali convenzioni siano finalizzate
alla creazione di opportunità di lavoro per
le persone svantaggiate.
La norma non consente, perciò, di utilizzare
le convenzioni ivi previste per
l’affidamento di servizi pubblici locali,
quale deve considerarsi il servizio di
scuolabus di cui qui si discute.
Non v’è dubbio infatti, a tal riguardo, che
il detto servizio si inquadri perfettamente
nel concetto di servizio pubblico locale
come qualificato dall’art. 112 del t.u.e.l.
di cui al d.lgs. 18.08.2000 n. 267, ai
sensi del quale “gli enti locali,
nell’ambito delle rispettive competenze,
provvedono alla gestione dei servizi
pubblici che abbiano per oggetto produzione
di beni ed attività rivolte a realizzare
fini sociali e a promuovere lo sviluppo
economico e civile delle comunità locali”.
Tanto sul piano sia soggettivo, essendo il
ripetuto servizio riconducibile alla
competenza comunale, che oggettivo, attese
le finalità sociali a favore della
collettività dell’attività svolta, le quali
caratterizzano e distinguono appunto il
servizio pubblico rispetto alla fornitura di
servizi, diretta a soddisfare esigenze
dell’amministrazione pubblica e che questa
ha facoltà, a termine del cit. art. 5, co.
1, della legge n. 381 del 1991, di
procurarsi tramite convenzione diretta, in
deroga alle norme in materia di contratti
dell’amministrazione pubblica, con le
cooperative sociali ove tale convenzione sia
volta allo scopo di creare opportunità di
lavoro per le persone svantaggiate (cfr., in
fattispecie analoga riguardante il servizio
pubblico di raccolta e trasporto di rifiuti
urbani, la decisione sull’appello reg. gen.
n. 5394/2009 assunta alla camera di
consiglio del 09.02.2010, in corso di
pubblicazione).
Il detto art. 5, co. 3, prevede una mera
facoltà di deroga all’evidenza pubblica da
parte dell’ente pubblico o società di
capitali a partecipazione pubblica, ossia
una mera volontà della stazione appaltante,
sicché la scelta di procedere mediante gara
e, conseguentemente, di negare il
convenzionamento non solo è insindacabile,
ma pure, come affermato dal TAR, non
necessita di alcuna specifica motivazione
(ben altrimenti che nel caso di adesione
alla proposta di deroga) se non, come fatto
nella specie, la semplice enunciazione
dell’aver seguito la regola e senza che
l’intento di procedervi debba essere
preannunciato prima della relativa
determinazione.
In ciò non diversamente, in tema di concorsi
a posti alle dipendenze di amministrazioni
pubbliche, dalla nomina degli idonei in
posti vacanti che, com’è noto, costituisce
una facoltà e non un obbligo, trattandosi di
potere che rientra nella discrezionalità
dell’ente, fatte salve situazioni
particolari in cui il legislatore abbia
espressamente disposto l’obbligo per le
amministrazioni di procedere allo
scorrimento delle graduatorie ancora valide
(cfr., in materia, Cons. St., sez. V,
18.12.2009 n. 8369) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 02.08.2010 n. 5100 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il principio di omnicomprensività della
retribuzione impedisce di attribuire
compensi aggiuntivi per lo svolgimento di
attività lavorative comunque riconducibili
ai doveri istituzionali dei dipendenti
pubblici.
Secondo la recente giurisprudenza della
Sezione (cfr. Cons. St., Sez. V, 12.02.2008,
n. 493), alla quale il Collegio ritiene di
dover prestare adesione, non ravvisando
validi motivi per discostarsene, il
principio di omnicomprensività della
retribuzione impedisce di attribuire
compensi aggiuntivi per lo svolgimento di
attività lavorative comunque riconducibili
ai doveri istituzionali dei dipendenti
pubblici.
In tale ambito si colloca anche l’attività
di notificazione svolta dai messi comunali
nell’interesse dell’amministrazione
finanziaria o di altre amministrazioni dello
Stato, tenendo conto della evoluzione
dell’ordinamento.
Il Collegio è consapevole della decisione
della Sezione, 20.10.1994, n. 1183, la quale
ha affermato la sussistenza del diritto dei
dipendenti comunali messi notificatori ad
ottenere un compenso aggiuntivo per
l’espletamento del servizio delle
notificazioni, qualificato come aggiuntivo e
autonomamente disciplinato, quanto
all’aspetto retributivo.
Detta pronuncia, tuttavia, si riferisce ad
un contesto ordinamentale e temporale, nel
quale il principio della onnicomprensività
retributiva e della contrattualizzazione
della disciplina dei compensi spettanti al
personale non era ancora completamente
attuato.
In ogni caso, poi, occorre considerare con
attenzione anche il quadro mansionario
concretamente attribuito, di volta in volta,
ai dipendenti addetti al servizio di
notificazione. In tale prospettiva, non può
essere trascurato che le attività assegnate
all’attuale appellante consistono proprio “nella
funzione di notificazione degli atti di
pertinenza del comune e nelle altre
incombenze spettanti per legge e per
regolamento al messo comunale”.
Anche la notificazione degli atti
nell’interesse dell’amministrazione
finanziaria o di altra amministrazione dello
Stato si svolge nel normale orario di
ufficio e mediante l’utilizzo degli
strumenti organizzativi messi a disposizione
dall’amministrazione.
Numerose disposizioni succedutesi nel tempo,
poi, hanno evidenziato la sussistenza del
dovere istituzionale dei messi comunali di
effettuare le prescritte attività di
notifica anche in relazione agli atti di
competenza dell’amministrazione finanziaria
(fra le tante: art. 32 del D.P.R. n.
636/1972; art. 60 del D.P.R. n. 600/1973.
Solo il quadro normativo preesistente al
1979 permetteva il riconoscimento, in favore
dei messi comunali, di un compenso
aggiuntivo per ogni atto
dell'Amministrazione finanziaria notificato.
Vi erano, infatti, almeno tre disposizioni
che portavano a tale conclusione:
- l’art. 1 della legge 27.02.1955 n. 83, che
riconosceva ai messi comunali un compenso di
lire 25 per ogni atto notificato ad istanza
dell'Amministrazione finanziaria;
- l’art. 1 della legge 24.02.1971 n. 114,
che elevava a lire 50 o a lire 100 il
compenso per le dette notifiche);
- l’art. 1 della legge 10.05.1976 n. 249,
che fissava il compenso in una misura
variabile da lire 500 a lire 750, a seconda
della classe demografica del comune.
Successivamente, le tre disposizioni
richiamate sono state superate, per
abrogazione implicita o esplicita.
In particolare, l’art. 19, comma 4, del
D.P.R. 01.06.1979 n. 191 ha espressamente
stabilito che “al personale dipendente
degli Enti locali di cui all’art. 1 compete
esclusivamente la retribuzione annua lorda
derivante dal trattamento economico di
livello e dalla progressione economica
orizzontale, inglobante qualsiasi
retribuzione per prestazioni a carattere sia
continuativo che occasionale ad eccezione
del compenso per lavoro straordinario,
dell’indennità di missione e trasferimento,
dell’indennità per la funzione di
coordinamento di cui all’art. 24, del
compenso per servizio ordinario notturno e
festivo nonché delle indennità per maneggio
valori, per radiazioni ionizzanti e per
profilassi antitubercolare da determinare
con le modalità di cui al regolamento di
attuazione della legge n. 734 del 1973,
approvato con D.P.R. n. 146 del 1975, e
successive modificazioni, nonché con le
modalità previste dalla legge n. 310 del
1953”.
Mediante tale norma è stata cristallizzato
esplicitamente il principio di
onnicomprensività del trattamento economico
del personale degli enti locali, con la
conseguente abrogazione di tutte le
disposizioni, anche di valore legislativo,
prevedenti componenti retributive non
rientranti nell'elencazione prevista
dall'art. 19, comma 4.
Alla modifica del 1979 sono poi seguiti
altri due interventi normativi di rilievo.
L'art. 4, comma 2, della legge 12.07.1991 n.
202 ha abrogato l'art. 4, comma 1, della
legge n. 249 del 1976. L'art. 34 della legge
18.02.1999 n. 28 ha previsto una nuova
disciplina, ad efficacia retroattiva, dei
compensi di notifica, affermando che “a
decorrere dal 27.07.1991 e fino all'entrata
in vigore della disciplina concernente il
riordino dei compensi spettanti ai Comuni
per la notificazione degli atti a mezzo dei
messi comunali su richiesta di uffici della
Pubblica amministrazione, al Comune spetta,
ove non corrisposta, la somma di lire
tremila per ogni singolo atto
dell'Amministrazione finanziaria notificato”.
In base a tale norma, il compenso per le
notificazioni va corrisposto alle
amministrazioni comunali e non già ai
dipendenti.
Una ulteriore conferma della correttezza di
questa interpretazione, deriva dal tenore
dell'art. 10 della legge 03.08.1999 n. 265,
secondo il quale “le pubbliche
amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2
del decreto legislativo 03.02.1993 n. 29, e
successive modificazioni, possono avvalersi,
per le notificazioni dei propri atti, dei
messi comunali, qualora non sia possibile
eseguire utilmente le notificazioni
ricorrendo al servizio postale o alle altre
forme di notificazione previste dalla legge.
Al Comune che vi provvede spetta da parte
dell'Amministrazione richiedente, per ogni
singolo atto notificato, oltre alle spese di
spedizione a mezzo posta raccomandata con
avviso di ricevimento, una somma determinata
con decreto dei Ministri del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica,
dell’interno e delle finanze”.
In tale solco si è inserita la
interpretazione giurisprudenziale
successiva, che sottolinea il rapporto di
immedesimazione organica diretta tra
Amministrazione finanziaria o statale in
genere e singolo messo notificatore.
In particolare, nella giurisprudenza del
giudice di primo grado si è chiarito che:
- il diritto dei messi notificatori al
compenso per gli atti notificati a richiesta
dell'Amministrazione finanziaria, previsto
da specifiche norme di legge, è stato
soppresso dall'art. 19 del D.P.R. 01.06.1979
n. 191; peraltro, la disposizione dell'art.
34 della legge 18.02.1999 n. 28 -concernente
il riordino dei compensi spettanti ai Comuni
per la notificazione degli atti a mezzo dei
messi comunali su richiesta di uffici della
Pubblica amministrazione- prevede come unica
destinataria l'Amministrazione comunale, con
la conseguenza che deve essere esclusa,
almeno a livello implicito, qualsiasi
volontà legislativa di attribuire un
particolare compenso per ogni atto
notificato al singolo messo comunale (cfr.
TAR Basilicata, 13.07.2004 n. 725 e TAR
Puglia, Lecce, Sez. II, 20.09.2001 n. 5415 e
10.05.2000 n. 2343).
In senso analogo, la giurisprudenza ha
affermato che, in virtù del principio di
onnicomprensività della retribuzione dei
dipendenti degli Enti locali, fissato
dall'art. 19 D.P.R. 01.06.1979 n. 191, ai
dipendenti comunali con la qualifica di
messo non spetta alcun compenso aggiuntivo
per l’attività di notificazione di atti
richiesta al Comune dall'Amministrazione
finanziaria, rientrando tali funzioni tra
gli ordinari compiti d' ufficio spettanti ai
detti dipendenti (cfr. TAR Piemonte, Sez. II,
25.01.2003 n. 117 e 15.04.2000 n. 421).
Ancora, si è stabilito che, in tema di
notifica degli avvisi di accertamento
tributario, qualora l'Amministrazione
finanziaria, avvalendosi della facoltà di
cui all'art. 600 del D.P.R. 29.09.1973 n.
600, richieda al Comune di provvedere
all'incombente a mezzo di messi comunali, si
instaura, tra Amministrazione statale ed
Ente locale, un rapporto di preposizione
gestoria che deve essere qualificato come
mandato ex lege, la cui violazione
costituisce, se del caso, fonte di
responsabilità esclusiva a carico del
Comune, non essendo ravvisabile
l'instaurazione di un rapporto di servizio
diretto tra Amministrazione finanziaria e
messi comunali, che operano alle esclusive
dipendenze dell' Ente territoriale (cfr. TAR
Veneto, 22.08.2002 n. 4508).
Infatti, deve escludersi che tra i messi
comunali e l’Amministrazione richiedente la
notifica corra un rapporto diretto (Cass.,
SS.UU., 06.06.1997 n. 5069, Cass.,
16.06.1998 n. 5987 e TAR Toscana, Sez. I,
14.11.1997 n. 527).
Da ultimo, appare significativa la
circostanza che sia intervenuto, in epoca
successiva, un nuovo assetto della materia,
costituito dall’art. 54 del C.C.N.L. del
14.09.2000, secondo il quale i messi
notificatori sono stati destinatari del
compenso pari al 35% degli introiti per le
notifiche.
Tale evenienza conferma come sia
indispensabile, per il riconoscimento della
pretesa indennità in favore del personale
dipendente, una norma specifica che lo
consenta.
È appena il caso di osservare che le recenti
decisioni della IV Sezione (19.02.2007, n.
850 e 14.02.2006, n. 604), non alterano la
conclusione raggiunta, perché esse si
limitano ad affermare la persistente vigenza
dell’obbligo dell’amministrazione
finanziaria di corrispondere ai comuni un
compenso per l’effettuazione delle
notifiche, senza prendere alcuna esplicita
posizione sulla fondatezza della pretesa
economica fatta valere dai dipendenti (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 02.08.2010 n. 5099 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI:
SUL C.D. "SOCCORSO ISTRUTTORIO".
1. Appalto pubblico (in generale) -
Documentazione - Errore materiale -
Rettifica - Obblighi della stazione
appaltante.
2. Procedimento amministrativo -
Responsabile del procedimento - Istruttoria
- Doveri - Profili.
1. In caso di errore materiale di una
cooperativa, la quale ha nei termini
previsti prodotto la documentazione
richiesta dal bando di gara, è obbligo del
responsabile del procedimento richiedere la
rettifica di istanze erronee o incomplete
nella esplicazione di quel principio di
regolarizzazione degli atti che si affianca
a quello acquisitivo proprio dell'iniziativa
di ufficio della fase istruttoria, sicché ne
deriva che a fronte di documentazione
ritenuta inidonea è onere
dell'amministrazione completare l'istruttoria richiedendo all'interessato
quanto necessario a tal fine, e il principio
secondo il quale il responsabile del
procedimento amministrativo è tenuto a
indicare o rettificare eventuali
irregolarità formali è applicabile anche al
procedimento di gara pubblica, a condizione
che non sia turbata la par condicio dei
concorrenti e non vi sia una modificazione
del contenuto della documentazione
presentata (confronta fra le tante Cons.
Stato, sez. V, 03-09-2001 n. 4586).
2.
E' obbligo preciso del responsabile
dell'istruttoria svolgere ogni tipo di
attività volta all'accertamento dei fatti
oggetto del procedimento, e se per tale
necessità sono opportune più istanze
istruttorie, non è violato il principio di
non aggravamento del procedimento, quante
volte tali istanze siano giustificate
dall'esigenza di procedere (TAR Veneto, Sez.
I,
sentenza 30.07.2010 n. 3305 -
link a
http://mondolegale.it). |
URBANISTICA: E'
legittimo che l'Amministrazione comunale non
sottoscriva una convenzione urbanistica già
approvata e, in via di autotutela, provveda
successivamente ad autodeterminarsi in
merito alla quantificazione della
monetizzazione della ree a standard.
E' corretta la lettura dell'art. 46 l.r.
Lombardia n. 12/2005 circa l’espressione “somma
commisurata all’utilità economica conseguita
per effetto della mancata cessione” nel
senso che l’utilità da corrispondere deve
essere pari al valore di mercato delle aree
edificabili che, grazie alla monetizzazione,
restano nella disponibilità del lottizzante.
L’espressione “commisurata” non può che
essere intesa come sinonimo di “pari a” in
quanto, il legislatore regionale, ove avesse
voluto attribuire all’espressione il diverso
significato di “proporzionata” (e dunque
avesse inteso l’utilità come pari ad una
quota o percentuale del valore di mercato),
avrebbe indicato il criterio per la
determinazione della somma (e, dunque, la
misura della quota o della percentuale da
applicare al valore di mercato).
Non costituisce motivo di illegittimità
della deliberazione impugnata la mancata
conclusione del procedimento con la stipula
della convenzione nella versione precedente
alle modifiche apportate con la
deliberazione impugnata: con quest’ultimo
atto l’amministrazione ha, difatti, escluso
di volere addivenire alla stipula della
convenzione nel testo previsto dalla
delibera del Consiglio Comunale n. 43 del
23.04.2007. La p.a. ha, dunque, esercitato
il potere di autotutela per annullare e
modificare lo schema di convenzione nella
parte relativa alla quantificazione
dell’importo dovuto dalla lottizzante per la
monetizzazione delle aree a standard non
cedute in sito, facendo così venire meno
l’obbligo di addivenire alla stipula della
convenzione nel testo originariamente
previsto.
L’amministrazione con la deliberazione
impugnata ha esercitato il potere di
autotutela annullando e modificando la
previsione dello schema di convenzione
relativa all’importo dovuto per la
monetizzazione delle aree a standard non
cedute in sito, in conseguenza di un
approfondimento della questione sollevata
dalla associazione Astrov e
dell’accoglimento di una interpretazione
dell’art. 46, l. Regione Lombardia n.
12/2005 differente rispetto a quella
precedentemente seguita: l’avere mutato il
proprio convincimento non concreta affatto
un vizio dell’atto impugnato essendo, al
contrario, il presupposto per l’esercizio
del potere di autotutela; non rileva,
dunque, il contrasto tra quanto asserito
nell’atto di autotutela e in precedenti
provvedimenti.
Ai sensi
dell’art. 46, c. 1, lett. a, l. Regione
Lombardia n. 12/2005 “la convenzione,
alla cui stipulazione è subordinato il
rilascio dei permessi di costruire ovvero la
presentazione delle denunce di inizio
attività relativamente agli interventi
contemplati dai piani attuativi, oltre a
quanto stabilito ai numeri 3) e 4)
dell'articolo 8 della legge 06.08.1967,
n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge
urbanistica 17.08.1942, n. 1150), deve
prevedere: a) la cessione gratuita, entro
termini prestabiliti, delle aree necessarie
per le opere di urbanizzazione primaria,
nonché la cessione gratuita delle aree per
attrezzature pubbliche e di interesse
pubblico o generale previste dal piano dei
servizi; qualora l'acquisizione di tali aree
non risulti possibile o non sia ritenuta
opportuna dal comune in relazione alla loro
estensione, conformazione o localizzazione,
ovvero in relazione ai programmi comunali di
intervento, la convenzione può prevedere, in
alternativa totale o parziale della
cessione, che all'atto della stipulazione i
soggetti obbligati corrispondano al comune
una somma commisurata all'utilità economica
conseguita per effetto della mancata
cessione e comunque non inferiore al costo
dell'acquisizione di altre aree. I proventi
delle monetizzazioni per la mancata cessione
di aree sono utilizzati per la realizzazione
degli interventi previsti nel piano dei
servizi, ivi compresa l'acquisizione di
altre aree a destinazione pubblica”.
La decisione dell’amministrazione di
interpretare l’espressione “somma
commisurata all’utilità economica conseguita
per effetto della mancata cessione” nel
senso che l’utilità da corrispondere deve
essere pari al valore di mercato delle aree
edificabili che, grazie alla monetizzazione,
restano nella disponibilità del lottizzante,
è frutto di una corretta lettura dell’art.
46, l. Regione Lombardia n. 12/2005.
A favore di tale soluzione depone, in primo
luogo, il tenore letterale della
disposizione: l’espressione “commisurata”
non può che essere intesa come sinonimo di “pari
a” in quanto, il legislatore regionale,
ove avesse voluto attribuire all’espressione
il diverso significato di “proporzionata”
(e dunque avesse inteso l’utilità come pari
ad una quota o percentuale del valore di
mercato), avrebbe indicato il criterio per
la determinazione della somma (e, dunque, la
misura della quota o della percentuale da
applicare al valore di mercato).
L’interpretazione accolta
dall’amministrazione è, inoltre, rispettosa
della ratio dell’art. 46, l. Regione
Lombardia n. 12/2005, che è quella prevedere
il pagamento di una somma di denaro che sia
di importo tale da realizzare l’equivalenza
delle due soluzioni (cessione delle aree e
monetizzazione) sia per l’amministrazione
comunale che per il privato (il quale, in
mancanza di tale obbligo, conseguirebbe un
indebito vantaggio ricorrendo alla
monetizzazione).
Né l’art. 46, l. Regione Lombardia n.
12/2005 così interpretato integra, come
invece paventa la ricorrente, una riserva
alla mano pubblica di quote di edificabilità
privata senza che siano previsti i ristori e
le garanzie di cui all’art. 42 Cost.: la
norma, oltre ad attribuire al privato una
facoltà e non un obbligo, mira, difatti,
unicamente a compensare la maggiore utilità
economica che al privato deriva dal ricorso
alla monetizzazione anziché alla cessione
delle aree
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.07.2010 n. 3280 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO - L. n.
447/1995 - Applicabilità ai rapporti tra
privati - Esclusione - Art. 844 c.c. -
Immissioni superiori alla normale
tollerabilità - Rumore differenziale -
Limite dei 3 Db.
La L. 447/1995 non si applica nei rapporti
tra i privati: ai fini dell’art. 844 c.c.,
le immissioni si presumono superiori alla
normale tollerabilità , ai fini dell’art.
844 c.c., quando il c.d. “differenziale”
tra il rumore causato dalle fonti rumorose
ed il “rumore di fondo” superi il
limite di 3 Db (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 30.07.2010 n. 3274 -
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APPALTI:
Concorrente ad una gara pubblica
- Dichiarazioni - Falso innocuo - Nozione.
Il falso dichiarato da un concorrente ad una
gara pubblica può ritenersi innocuo, e,
quindi, non idoneo a giustificare un
provvedimento di esclusione dalla gara,
quando non è in grado di influenzare lo
svolgimento e l’esito della gara stessa.
Pertanto, non rientrano nella categoria
penalistica del “falso innocuo”
quelle omissioni e difformità, attuate dai
concorrenti, in grado di incidere
direttamente sui requisiti e sulle
condizioni di partecipazione alla gara e
sulla possibilità di addivenire più
agevolmente all’aggiudicazione della stessa,
anche sotto il profilo inerente la
valutazione morale della concorrente (Cons.
Stato, V, 13.02.2009, n. 829; cfr. Cass.
penale, V, 02.10.2008, n. 39432; 07.11.2007,
n. 3564).
Dichiarazione di non
essersi avvalsi dei piani di emersione del
lavoro irregolare - Sanzione dell’esclusione
- Espressa previsione del bando - Necessità
- Obbligo di fornire la dichiarazione -
Discrezionalità dell’amministrazione.
Per poter determinare l’esclusione dalla
gara, la dichiarazione di non essersi
avvalsi dei piani di emersione del lavoro
irregolare, di cui alla L. 383/2001, deve
essere espressamente richiesta dal bando, ed
a pena di esclusione. Se così non è, essa
viene a costituire solo un’eteronoma ragione
impeditiva dell’aggiudicazione, che la P.A.
dovrà valutare successivamente alla
conclusione della gara stessa.
Né può ritenersi illegittimo il bando, nella
parte in cui non prevede debba essere resa
dai concorrenti la dichiarazione di non
essersi avvalsi dei piani di emersione, dato
che appartiene alla discrezionalità
dell’Amministrazione imporre ex ante agli
stessi l’obbligo di fornire la
dichiarazione, ovvero valutare ex post la
situazione di fatto. (TAR Friuli Venezia
Giulia, I, 08.02.2008, n. 112).
Fatti costituenti reato
- Incidenza sulla moralità professionale -
Artt. 75 D.P.R. n. 554/1999 e 38 D.lgs. n.
163/2006 - Valutazione della natura ostativa
- Stazione appaltante - Esclusione o
ammissione - Adeguata motivazione -
Necessità.
Nell’ambito dei reati che, a norma dell’art.
75, comma 1, lett. c), del D.P.R. n.
554/1999 e dell’art. 38 del D.lgs. n.
163/2006, possono incidere sull’affidabilità
morale dei partecipanti alle gare sono
certamente da includere quelli in materia di
prevenzione degli infortuni sul lavoro; la
valutazione della natura ostativa, o no, di
fatti costituenti reato è tuttavia rimessa
esclusivamente alla stazione appaltante la
quale, di volta in volta, in considerazione
di tutte le circostanze concretamente
rilevanti nei singoli casi, è chiamata a
verificare l’effettiva incidenza delle
condanne sul vincolo fiduciario destinato a
instaurarsi con l’impresa aggiudicataria (C.G.A.
01.06.2010, n. 806; Cons. Stato, V,
02.02.2010, n. 428; 31.01.2006, n. 349;
28.04.2003, n. 2129).
Di siffatta valutazione l’Amministrazione
appaltante deve dare contezza attraverso
un’esaustiva motivazione pure nell’ipotesi
in cui, in luogo dell’esclusione, ci sia una
determinazione di ammissione alla gara e si
sia alla presenza di fattispecie delittuose
(C.G.A. 04.02.2010, n. 101).
In questo caso, infatti, si radica
l’interesse degli altri concorrenti (in
particolare, del secondo classificato) a
conoscere le ragioni della disposta
ammissione, sicché l’amministrazione
appaltante è tenuta, in ossequio al generale
obbligo di motivazione, almeno a dar conto
dell’avvenuta presa in considerazione dei
precedenti penali dichiarati dal
concorrente, appunto al fine di escluderne,
se del caso, l’incidenza sulla moralità
professionale (cfr. TAR Lazio, Roma, III,
11.11.2009, n. 11084).
Contratto concluso a
seguito di illegittima aggiudicazione -
Domanda di annullamento Giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo -
Direttiva 2007/66/CE - D.lgs. n. 53/2010.
La domanda di annullamento del contratto non
presuppone l’impugnazione dello stesso in
senso proprio, dato che questo non ha natura
di provvedimento amministrativo, bensì di
quelli unilateralmente posti dalla PA nella
formazione della sua volontà di addivenirne
alla conclusione mediante l’individuazione
del miglior contraente; prima ancora
dell’entrata in vigore del decreto
legislativo 20.03.2010, n. 53, è stato
affermato dalle Sezioni unite della Corte di
Cassazione (ordinanza 10.02.2010, n. 2906)
che per effetto della Direttiva del
Parlamento Europeo e del Consiglio
dell'11.12.2007, n. 66, secondo una
interpretazione costituzionalmente e
comunitariamente (art. 117 Cost.) orientata
delle norme in materia, per le gare bandite
sin dalla data di entrata in vigore di essa,
è necessario l'esame congiunto della domanda
di invalidità dell'aggiudicazione e di
privazione degli effetti del contratto
concluso, prima o dopo la decisione del
giudice adito, in ragione dei principi di
concentrazione, effettività e ragionevole
durata del giusto processo disegnato nella
Carta costituzionale.
Per effetto della Direttiva in questione,
pertanto, anche prima del termine indicato
per la sua trasposizione nel diritto
interno, si configura la giurisdizione
(esclusiva) del giudice amministrativo
estesa agli effetti ed alla sorte del
contratto concluso a seguito di illegittima
aggiudicazione (TAR Sicilia-Palermo, Sez.
III,
sentenza 29.07.2010 n. 9057 -
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URBANISTICA:
Piano di recupero - Piano
attuativo delle scelte urbanistiche - Piano
particolareggiato - Equivalenza - Finalità -
Conservazione, ricostruzione e
riutilizzazione del patrimonio edilizio
esistente.
Il piano di recupero è, sotto il profilo
giuridico, uno strumento urbanistico
sostanzialmente attuativo delle scelte
urbanistiche primarie contenute nel piano
regolatore generale ed è, quindi,
equivalente al piano particolareggiato
(P.P.).
In particolare, secondo la definizione che
la giurisprudenza ha dato dell’istituto,
questo “è per sua natura finalizzato ad
organizzare razionalmente ed esteticamente
il patrimonio edilizio preesistente, avendo
come connotazione tipica - che ne individua
anche i limiti oggettivi - quella di
disciplinare la conservazione, ricostruzione
e riutilizzazione del patrimonio
preesistente” (Cons. Stato, IV,
05.03.2008, n. 922).
Pianificazione attuativa
o piano di lottizzazione - Omissione -
Possibilità - Condizioni necessarie.
Può prescindersi dalla pianificazione
attuativa prescritta dalle norme tecniche di
P.R.G., o dal sostitutivo piano di
lottizzazione, ai fini del rilascio della
concessione edilizia, solo ove nella zona
territoriale omogenea, entro la quale ricade
il terreno che si vorrebbe edificare, sia
dimostrata la sussistenza di una situazione
di fatto corrispondente a quella derivante
dal piano attuativo medesimo (o dal
sostitutivo piano di lottizzazione), ovvero
vi sia la presenza di opere di
urbanizzazione primaria e secondaria pari
agli standard urbanistici minimi prescritti
(cfr. Consiglio di Stato, V, 03.03.2004, n.
1013; TAR Sicilia, Palermo, III, 07.05.2010,
n. 6469) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 29.07.2010 n. 9052 -
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URBANISTICA:
IMPUGNAZIONE DEGLI STRUMENTI DI
PIANIFICAZIONE URBANISTICA.
Piani urbanistici -
Regolatore generale - Prescrizioni - Natura
- Differenze - Conseguenze in tema di
impugnazione giurisdizionale - Termini -
Disciplina - Ragioni.
In tema di disposizioni dirette a
regolamentare l'uso del territorio negli
aspetti urbanistici ed edilizi, contenute
nel piano regolatore, nei piani attuativi o
in altro strumento generale individuato
dalla normativa statale e regionale, deve
distinguersi fra le prescrizioni che in via
immediata stabiliscono le potenzialità
edificatorie della porzione di territorio
interessata (nel cui ambito rientrano le
norme di c.d. zonizzazione; di destinazione
di aree a soddisfare gli "standard"
urbanistici; di localizzazione di opere
pubbliche o di interesse collettivo) dalle
altre regole che più in dettaglio
disciplinano l'esercizio dell'attività
edificatoria, generalmente contenute nelle
norme tecniche di attuazione del piano (N.T.A.)
o nel regolamento edilizio (disposizioni sul
calcolo delle distanze e delle altezze;
sull'osservanza di canoni estetici;
sull'assolvimento di oneri procedimentali e
documentali).
Per le disposizioni
appartenenti alla prima categoria, in
relazione all'immediato effetto conformativo
dello "jus aedificandi" dei proprietari dei
suoli interessati che ne deriva, ove se ne
intenda contestare il contenuto, si impone
un onere di immediata impugnativa, in
osservanza del termine decadenziale a
partire dalla pubblicazione dello strumento
pianificatorio. Altrimenti le regole di
zonizzazione e di localizzazione
verserebbero in condizione di
inoppugnabilità ed esplicherebbero efficacia
cogente per ogni avente causa, che
subentrasse nel diritto dominicale con tutti
i suoi limiti, sia di natura privatistica
che pubblicistica.
A diversa conclusione
deve pervenirsi con riguardo alle
prescrizioni di dettaglio contenute nelle N.T.A. che, per la loro natura
regolamentare, sono suscettibili di ripetuta
applicazione ed esplicano un effetto lesivo
nel momento in cui è adottato l'atto
applicativo e possono, quindi, formare
oggetto di censura in occasione della sua
impugnazione (cfr. in termini Cons. Stato,
sez. VI, 05-08-2005 n. 4159) (TAR Veneto,
Sez. II,
sentenza 29.07.2010 n. 3286 -
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Abusi - Demolizione -
Presupposti necessari - Conseguenza -
Obbligo di motivazione dell'ingiunzione di
demolizione - Insussistenza - Deroghe - Casi.
2. Abusi - Repressione - Obbligo
di motivazione congrua - Sussistenza -
Ipotesi - Ragioni - Conseguenze.
1. Presupposto per l'adozione dell'ordine di
demolizione di opere edilizie abusive resta
essenzialmente la constatata realizzazione
dell'opera in assenza del titolo abilitativo
(o in totale difformità da esso), con la
conseguenza che nella ricorrenza del
predetto requisito l'ingiunzione demolitoria
costituisce praticamente un atto dovuto.
Quanto al profilo della valutazione degli
interessi urbanistici e ambientali, i
provvedimenti che irrogano sanzioni previste
dalla legge in materia edilizia non
necessitano in generale di alcuna specifica
motivazione in ordine all'interesse pubblico
a disporre il ripristino della situazione
conforme a legge, con la sola eccezione in
cui tra l'illecito e la sanzione demolitoria
sia decorso un notevole lasso di tempo (cfr.
Cons. Stato, sez. V, n. 3443/2002; cfr.
TAR Veneto, sez. II, 13-03-2008 n. 605;
TAR Veneto, sez. II, 26-02-2008 n. 454;
TAR Lombardia Milano, sez. II, 08-11-2007
n. 6200).
2.
La repressione dell'abuso edilizio, disposta
a distanza di tempo ragguardevole, richiede
una puntuale motivazione sull'interesse
pubblico al ripristino dei luoghi. In tali
casi, infatti, per il lungo lasso di tempo
trascorso dalla commissione dell'abuso ed il
protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione
preposta alla vigilanza, si ritiene che si
sia ingenerata una posizione di affidamento
nel privato, in relazione alla quale
l'esercizio del potere repressivo è
subordinato ad un onere di congrua
motivazione che, avuto riguardo anche
all'entità e alla tipologia dell'abuso,
indichi il pubblico interesse, evidentemente
diverso da quello ripristino della legalità,
idoneo a giustificare il sacrificio del
contrapposto interesse privato (cfr. Cons.
Stato, sez. V, n. 883/2008; Cons. Stato,
sez. V, n. 3270/2006) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 29.07.2010 n. 3286 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Manutenzione - Ordinaria -
Sussistenza - Condizioni - Conseguenza.
Tra gli interventi di manutenzione
ordinaria possono farsi rientrare solo
quelli di modesta entità, che hanno per
oggetto le finiture degli edifici e non
quelli che hanno a oggetto anche parti,
porzioni o elementi strutturali di un
edificio o di un manufatto. Infatti, laddove
è accertata la realizzazione di nuova
volumetria è sempre necessario il rilascio
di concessione edilizia (o di permesso di
costruire) e non è possibile riscontrare
ordinaria o straordinaria manutenzione a
fronte di suddetto aumento di volumetria
(cfr. TAR Trentino Alto Adige-Trento 28-02-2008 n. 57; TAR
Lazio, sez. II, 18-05-2005 n. 3915; TAR
Lazio, sez. II, 06-10-2001 n. 8160; Cons.
Stato, sez. V, 12-10-1999 n. 1431; Cons.
Stato, sez. V, 13-07-1992 n. 646) (TAR Veneto,
Sez. II,
sentenza 29.07.2010 n. 3286 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO - Verbale
di accertamento - Percezione del rumore o
della musica all’esterno di un locale -
Natura - Valutazione o giudizio -
Esclusione.
Il verbale di accertamento redatto dal
pubblico ufficiale fa prova, fino a querela
di falso, con riguardo ai fatti attestati
dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua
presenza e conosciuti senza alcun margine di
apprezzamento, oppure da lui compiuti,
nonché riguardo alla provenienza del
documento dallo stesso pubblico ufficiale e
alle dichiarazioni delle parti; in tale
categoria rientra anche la percezione del
rumore o della musica all’esterno di un
locale, trattandosi non di una valutazione o
di un giudizio ma di una percezione di
quanto avvenuto in presenza dell’agente (TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 22.07.2010 n. 3202 -
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PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi
pubblici, stop al sindacato. Consiglio
stato: non c'è legittimazione.
Off limits per le sigle
sindacali presentare ricorsi sui concorsi
indetti dal ministero. Non è riconosciuta
loro la legittimazione ad agire in giudizio
per tutelare gli iscritti da un concorso che
leda carriera e aspettative economiche.
È questa la pronuncia del Consiglio di
Stato, Sez. IV, che con la
sentenza 16.07.2010 n. 4600 ha
accolto il ricorso del ministero delle
finanze, capovolgendo la decisione del
tribunale amministrativo che, al contrario
aveva accolto il ricorso di Dirstat finanze.
La decisione.
I giudici di Palazzo Spada fanno leva su un
consolidato orientamento giurisprudenziale
per cui le associazioni di categoria sono
legittimate ad agire in giudizio allorché
facciano valere interessi propri della
categoria che rappresentano. Per il
consiglio di stato invece non è ravvisabile
una legittimazione a ricorrere da parte di
un'associazione per la salvaguardia di
interessi propri di una parte sola degli
iscritti dove non ci sia una omogeneità di
posizioni soggettive.
Per i giudici non si comprende l'interesse
collettivo generale di cui l'organizzazione
si intende fare portatrice potendo
sussistere per lo stesso consiglio di stato,
contrasti anche potenziali tra gli
associati.
«La posizione di Dirpubblica»,
scrivono dunque i giudici, «non è idonea
a superare il dato oggettivo costituito
dalla impossibilità di riferire l'interesse
dedotto in giudizio alla totalità dei suoi
iscritti e ciò non può non incidere
negativamente sulla legittimazione
processuale del sindacato».
La vicenda.
Il Tar Lazio–Roma n. 3403/2006 con sentenza
340/2006 aveva accolto il ricorso proposto
dalla Federazione Dirpubblica per
l'annullamento del decreto del ministro
dell'economia e delle finanze 03.08.2005 e
del decreto del rettore della Scuola
superiore dell'economia e delle finanze del
14.09.2005 nonché degli atti successivi
dello speciale corso-concorso pubblico per
il reclutamento di dirigenti (i primi 10
classificati) e funzionari (gli ulteriori 25
dell'unica graduatoria).
Il Consiglio di stato ha dunque depositato
il 16/07/2010 la sentenza già emessa in
camera di consiglio lo stesso giorno del
12/05/2010 con la quale è stato accolto il
ricorso di parte pubblica e degli altri
controinteressati condannando Dirpubblica al
pagamento complessivo di 6 mila euro di
spese processuali.
Il Tar in primo grado aveva invece
condannato il ministero dell'economia alle
spese per 4 mila euro (articolo ItaliaOggi
del 04.08.2010, pag. 23 - link a www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Sulla
legittimazione delle associazioni di
protezione ambientale ovvero di comitati ad
impugnare gli atti illegittimi della P.A..
Italia Nostra è legittimata ex art. 13 e 18,
co. 5, l. 349/1986 a “ricorrere in sede di
giurisdizione amministrativa per
l'annullamento di atti illegittimi”.
E' pacifico l’indirizzo giurisprudenziale
secondo cui un comitato spontaneo di
cittadini può essere legittimato ad
impugnare provvedimenti ritenuti lesivi di
interessi comuni solo se dimostra di avere
un collegamento stabile con il territorio
ove svolge l’attività di tutela degli
interessi stessi, se la sua attività si è
protratta nel tempo e se, quindi, il
comitato non nasce in funzione della
impugnazione di singoli atti e
provvedimenti.
Italia Nostra è legittimata ex art. 13 e 18,
co. 5, l. 349/1986 a “ricorrere in sede
di giurisdizione amministrativa per
l'annullamento di atti illegittimi”.
Non essendo espressamente specificato nella
norma quali siano gli atti illegittimi
contro cui le associazioni di protezione
ambientale possono ricorrere, essi devono
essere ricavati interpretativamente
dall’art. 1, co. 2, stessa legge che
individua come finalità ambientali del
Ministero dell’Ambiente “la promozione,
la conservazione ed il recupero delle
condizioni ambientali conformi agli
interessi fondamentali della collettività ed
alla qualità della vita, nonché la
conservazione e la valorizzazione del
patrimonio naturale nazionale e la difesa
delle risorse naturali dall'inquinamento”.
Le norme degli artt. 13 e 18 l. 349/1986,
infatti, attribuendo alle associazioni di
protezione ambientale legittimazione attiva
nei giudizi dinanzi al giudice ordinario ed
a quello amministrativo per tutelare
finalità (di protezione dell’ambiente) che
sono proprie dell’amministrazione dello
Stato, costituiscono applicazione del
principio di sussidiarietà orizzontale poi
recepito dall’art. 118, ultimo comma, Cost..
La lettura riduttiva che propone la
controinteressata che vorrebbe limitare la
legittimazione delle associazioni di
protezione ambientale soltanto alla tutela
paesistica, che è soltanto una delle tante
species della protezione ambientale,
non può pertanto essere condivisa.
Occorre anche aggiungere, pur essendo
ultroneo per le ragioni appena precisate,
che in ogni caso il sito in cui verrebbe ad
essere realizzata l’area produttiva non è
privo di rilievo paesistico, in quanto
classificato dal piano territoriale
paesistico regionale come “area di
elevata naturalità” ed assoggettata al
regime di conservazione degli elementi di
naturalità che caratterizza queste ultime.
La tutela paesaggistica, infatti, ormai si è
evoluta rispetto al momento in cui venne
introdotta con il d.l. 312/1985, e non si
realizza più soltanto attraverso le forme
del binomio vincolo
paesaggistico/autorizzazione paesaggistica
previsto dagli artt. 146 e ss. d.lgs.
42/2004, ma anche attraverso ulteriori
strumenti giuridici che prevedono strumenti
di tutela diversi dalla necessità di uno
specifico titolo abilitativo ulteriore
rispetto a quello edilizio.
Si pensi, ad esempio, alle previsioni
dell’art. 25, co. 1, n.t.a. del Piano
territoriale paesistico regionale lombardo
che stabilisce che: "in tutto il
territorio regionale i progetti che incidono
sull’esteriore aspetto dei luoghi e degli
edifici sono soggetti a esame sotto il
profilo del loro inserimento nel contesto",
e dell’art. 25, co. 3, che assegna al
progettista privato il compito di effettuare
quest'esame perché stabilisce che: "ai
fini dell’esame di cui al comma 1, il
progettista, in fase di elaborazione del
progetto, considera preliminarmente la
sensibilità paesistica del sito e il grado
di incidenza del progetto", seguito dal
successivo art. 29, co. 1, che precisa che è
lo stesso progettista privato che,
effettuato l'esame paesistico, classifica
l'intervento in quanto prevede che: "ferma
restando la facoltà di verifica da parte
dell’amministrazione competente, il
progettista, sulla base dei criteri di cui
agli articoli 26 e 27, determina l’entità
dell’impatto paesistico di cui all’articolo
28. L’impatto potrà risultare inferiore o
superiore ad una soglia di rilevanza".
Questo sistema -in cui la classificazione
effettuata dal progettista privato è
decisiva per alleggerire o aggravare il
prosieguo della procedura amministrativa (in
quanto l’art. 29, co. 2, stabilisce che: "i
progetti il cui impatto non superi la soglia
di rilevanza si intendono automaticamente
accettabili sotto il profilo paesistico e,
quindi, possono essere presentati
all’amministrazione competente per i
necessari atti di assenso o per la denuncia
di inizio attività senza obbligo di
presentazione della relazione paesistica";
mentre correlativamente per i progetti che
superino la soglia di rilevanza, l’art. 29,
co. 3, invece, prevede che: "i progetti
il cui impatto superi la soglia di rilevanza
sono soggetti a giudizio di impatto
paesistico e pertanto le istanze di
autorizzazione o concessione edilizia ovvero
della dichiarazione di inizio attività
devono essere corredate dalla relazione
paesistica di cui all’articolo 25, comma 6;
la presentazione di tale relazione
costituisce condizione necessaria per il
rilascio dei successivi atti di assenso o
per l’inizio dei lavori in caso di
dichiarazione di inizio attività")–
null’altro prevede se non una tutela
paesistica che si svolge in forme diverse
dalla necessità di apposita autorizzazione
paesaggistica (prevista per le sole aree
sottoposte a vincolo).
Deve, pertanto, affermarsi che nell’attuale
sviluppo dell’ordinamento giuridico l’ambito
di applicazione della tutela paesaggistica
non riguarda ormai soltanto le aree oggetto
di vincolo di tutela, in quanto il vincolo
di tutela ex artt. 146 e ss. d.lgs. 42/2004
è soltanto uno degli strumenti attraverso
cui l’ordinamento persegue l’obiettivo della
tutela del paesaggio. Tra tali altri
istituti finalizzati alla tutela del
paesaggio vi sono anche la relazione
sull’impatto paesistico di cui all’art. 29
delle n.t.a. del P.T.P.R. o, come nel caso
in esame, la perimetrazione come ambito di
elevata naturalità sottoposto a regime di
conservazione.
---------------
Non è fondata neanche la eccezione di
inammissibilità relativa al Comitato
dell’Isola, che -a giudizio della
controinteressata- non avrebbe
legittimazione attiva in quanto priva di
personalità giuridica.
In punto di legittimazione ad impugnare dei
comitati l’orientamento della giurisprudenza
amministrativa è nel senso che “quel che
concerne, invece, il Comitato è pacifico
l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui un
comitato spontaneo di cittadini può essere
legittimato ad impugnare provvedimenti
ritenuti lesivi di interessi comuni solo se
dimostra di avere un collegamento stabile
con il territorio ove svolge l’attività di
tutela degli interessi stessi, se la sua
attività si è protratta nel tempo e se,
quindi, il comitato non nasce in funzione
della impugnazione di singoli atti e
provvedimenti” (CdS, IV, 1001/2010).
Pertanto, secondo la giurisprudenza si
tratta di valutare caso per caso se
l’attività del comitato si è protratta nel
tempo o è frutto di una costituzione
estemporanea finalizzata al ricorso.
Nel caso in esame siamo di fronte ad un
soggetto giuridico nato con statuto del
06.11.1998 che recava già nell’oggetto la “promozione
e valorizzazione della natura e
dell’ambiente nei confronti di una selvaggia
industrializzazione ed occupazione del
territorio dell’Isola bergamasca”, e che
è senz’altro radicato in loco, in quanto
agisce solo nell’area dell’Isola bergamasca,
in cui rientra il progetto di creazione del
nuovo polo produttivo, talché si può
riconoscere al Comitato dell’Isola lo
stabile collegamento con l’area oggetto del
provvedimento impugnato che lo legittima
all’impugnazione in sede processuale
(TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 01.07.2010 n. 2411 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Come
tutti gli strumenti di piano sono approvati
a seguito di ricognizione del fabbisogno
della comunità locale, anche la variante
urbanistica per insediamenti produttivi (di
cui allo sportello unico attività produttive
- SUAP) può essere approvata solo a seguito
di una ricognizione da parte del fabbisogno
di nuovi impianti produttivi ed alla
valutazione del Comune che effettivamente
ritenga che, per l’ordinato sviluppo della
comunità locale, occorrano nuovi impianti
produttivi la cui localizzazione non sia
possibile nel contesto del piano vigente per
insufficienza delle aree a ciò destinate.
La giurisprudenza amministrativa ha ribadito
più volte il proprio diritto ad esercitare
un sindacato sulle scelte di piano proprio
in base alla coerenza della scelta
effettuata (a valle) dal Comune con la
ricognizione (a monte) delle esigenze di
sviluppo della comunità locale che le scelte
di piano puntano a soddisfare, ed ha
affermato l’illegittimità di scelte che
amplino o diminuiscano parametri urbanistici
sulla base di incongrua o insufficiente
ricognizione del relativo fabbisogno.
Una variante per insediamenti produttivi col
S.U.A.P. è sottoposta a procedure
semplificate di approvazione che, però, non
stravolgono le regole dell’urbanistica e
che, anzi, proprio per essere approvata con
modalità semplificate richiede oneri
motivazionali ancora più penetranti laddove,
per esempio, "le ragioni di pubblico
interesse specifico che spingono
l'amministrazione ad adottare un P.I.P.
devono essere adeguatamente specificate con
particolare riferimento alla tipologia di
attività che si intendono insediare con tale
strumento, alle finalità di promozione
dell'attività d'impresa perseguite, ai
benefici economici e sociali particolari che
l'amministrazione si prefigge da tale
strumento. Né tali ragioni ed interessi
pubblici possono ridursi alla semplice
localizzazione di attività economiche ed
all'urbanizzazione primaria e secondaria che
sono finalità perseguibili con gli ordinari
strumenti urbanistici e nell'ambito di una
dialettica ordinaria con i proprietari delle
aree".
E' fondato il
primo motivo di ricorso, in cui si deduce
che la delibera impugnata sarebbe
illegittima per violazione dell’art. 5
d.p.r. 447/1988 in quanto non sarebbe stata
rispettata nel caso in esame la sequenza
procedimentale necessaria per autorizzare la
localizzazione di impianti produttivi in
variante al p.r.g. che doveva passare
attraverso un provvedimento ricognitivo del
fabbisogno, una relazione del responsabile
del procedimento attestante la insufficienza
delle aree produttive, una relazione
geologica.
Le associazioni ricorrenti sostengono, in
definitiva, che la variante per impianti
produttivi in deroga allo strumento di piano
possa essere consentita soltanto previa
ricognizione del fabbisogno di aree
industriali, e quindi soltanto all’esito
della valutazione da parte del Comune della
necessità -per lo sviluppo ordinato della
comunità- di individuare nuove aree
destinate ad attività produttive vista
l’insufficienza di quelle previste in piano.
Il Comune di Palazzago ha seguito una
procedura meno articolata, perché si è
limitata a constatare che nel piano
regolatore non esistessero aree disponibili
per nuove attività produttive ed ha
conseguentemente assentito la variante di
piano con cui si trasformava un’area
agricola in zona industriale, senza porsi il
problema del se vi fosse o meno il
fabbisogno delle nuove attività industriali
che si andranno ad insediare nell’area
oggetto della variante.
La prospettazione delle associazioni
ricorrenti è corretta.
La norma attributiva del potere esercitato
in concreto dall’amministrazione nel caso in
esame è l’art. 5 d.p.r. 447/1998 il cui co. 1
dispone che “qualora il progetto presentato
sia in contrasto con lo strumento
urbanistico, o comunque richieda una sua
variazione, il responsabile del procedimento
rigetta l'istanza. Tuttavia, allorché il
progetto sia conforme alle norme vigenti in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza
del lavoro ma lo strumento urbanistico non
individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato, il responsabile del procedimento
può, motivatamente, convocare una conferenza
di servizi, disciplinata dall'articolo 14 l.
241/1990, come modificato dall'articolo 17 l.
127/1997, per le conseguenti decisioni,
dandone contestualmente pubblico avviso.
Alla conferenza può intervenire qualunque
soggetto, portatore di interessi pubblici o
privati, individuali o collettivi nonché i
portatori di interessi diffusi costituiti in
associazioni o comitati, cui possa derivare
un pregiudizio dalla realizzazione del
progetto dell'impianto industriale”.
L’art. 2, co. 1, stessa legge aveva già
previsto che “la individuazione delle aree
da destinare all'insediamento di impianti
produttivi, in conformità alle tipologie
generali e ai criteri determinati dalle
regioni, anche ai sensi dell'articolo 26
d.lgs. 112/1998, è effettuata dai comuni,
salvaguardando le eventuali prescrizioni dei
piani territoriali sovracomunali (ne
consegue che le aree in esame devono essere
individuate “scegliendole prioritariamente
tra le aree, zone o nuclei già esistenti,
anche se totalmente o parzialmente
dimessi”).
Il combinato di queste due norme consente di
desumere che il procedimento di approvazione
della variante per insediamenti produttivi
non è sottratto ai tradizionali presupposti
che reggono gli strumenti di piano ed alle
esigenze cui sono funzionalizzati gli
stessi, in quanto il d.p.r. 447/1998 si limita
a semplificarne l’approvazione, ma non
stravolge i principi che regolano la
elaborazione della pianificazione comunale.
Da quanto appena esposto consegue che -come
tutti gli strumenti di piano sono approvati
a seguito di ricognizione del fabbisogno
della comunità locale (fabbisogno di nuovi
alloggi, che porta all’individuazione di
nuove aree destinate a residenza o
all’ampliamento degli indici di
edificabilità di quelle già individuate come
tali; fabbisogno di nuovi servizi pubblici
per effetto dell’incremento della
popolazione locale, che porta
all’ampliamento delle aree destinate ad
attrezzature; fabbisogno di nuove aree a
verde per garantire il rispetto degli
standard a fronte dell’aumento di altri
parametri urbanistici)- anche la variante
per insediamenti produttivi può essere
approvata solo a seguito di una ricognizione
da parte del fabbisogno di nuovi impianti
produttivi ed alla valutazione del Comune
che effettivamente ritenga che per
l’ordinato sviluppo della comunità locale
occorrano nuovi impianti produttivi la cui
localizzazione non sia possibile nel
contesto del piano vigente per insufficienza
delle aree a ciò destinate.
La giurisprudenza amministrativa ha
ribadito, infatti, più volte il proprio
diritto ad esercitare un sindacato sulle
scelte di piano proprio in base alla
coerenza della scelta effettuata (a valle)
dal Comune con la ricognizione (a monte)
delle esigenze di sviluppo della comunità
locale che le scelte di piano puntano a
soddisfare, ed ha affermato l’illegittimità
di scelte che amplino o diminuiscano
parametri urbanistici sulla base di
incongrua o insufficiente ricognizione del
relativo fabbisogno (sul punto v. CdS
7338/2006: In sede di controversia riguardante
la legittimità del dimensionamento di un
piano urbanistico il sindacato
giurisdizionale non è limitato alla
valutazione nella sua dimensione globale
della stima del fabbisogno abitativo fatta
dal comune, ma la razionalità e l'esattezza
della previsione può essere verificata sia
con il controllo dell'istruttoria eseguita e
dei dati raccolti, sia con l'analisi della
logica della loro elaborazione successiva ai
fini della fissazione di detto fabbisogno; TAR Sardegna 164/2009:
Nella determinazione
del fabbisogno abitativo, ai fini del
dimensionamento del piano regolatore
generale, il Comune non è tenuto a
considerare esclusivamente l'andamento
demografico che si è avuto nell'ultimo
periodo, potendo invece valutare anche
fenomeni sociali, o economici che di fatto
incidono sulla prevedibile domanda di
alloggi e quindi sull'aumento del traffico
veicolare nella zona; TAR Sicilia,
Catania, II, 1080/2007: Il limite massimo del
70%, previsto dall'art. 3, l. n. 167 del
1962 di estensione delle zone da includere
nei piani di edilizia economica e popolare,
si applica anche al dimensionamento dei
programmi costruttivi in questione e tale
dimensionamento, secondo quanto disposto
dalla giurisprudenza, incontra il duplice
limite della proporzione fra fabbisogno
complessivo calcolato e quota di alloggi
riservata all'intervento pubblico e quello
relativo alla proporzione tra alloggi
progettati e superficie a tal fine
vincolata).
Il principio in esame è stato espresso anche
da questo Tribunale nella pronuncia 85/2005 in
cui si è ritenuta l’illegittimità di una
decisione del pianificatore comunale sul
rilievo che “il potere dell'amministrazione
di modificare le scelte contenute nel
precedente PRG deve essere esercitato con
ragionevolezza e coerenza, per cui nella
fattispecie era indispensabile dare
congruamente conto delle ragioni che
inducevano a prevedere due nuove aree di
espansione non soltanto attraverso un
generale raffronto tra la zona prescelta
dallo strumento urbanistico e le altre zone
potenzialmente utilizzabili ricomprese nel
territorio comunale, ma anche alla luce dei
risultati dell'indagine sul fabbisogno che
non hanno evidenziato un deficit di nuovi
alloggi per uso abitativo”.
Questi principi di diritto, dettati per la
pianificazione comunale che segue le vie
ordinarie, valgono a maggior ragione per la
variante per insediamenti produttivi, che –si è detto– è sottoposta a procedure
semplificate di approvazione, che però non
stravolgono le regole dell’urbanistica, e
che anzi proprio per essere approvata come
modalità semplificate richiede oneri
motivazionali ancora più penetranti, come
rilevato da TAR Lombardia, Milano, II,
sentenza n. 4046 del 10/09/2008, secondo cui
“le ragioni di pubblico interesse specifico
che spingono l'amministrazione ad adottare
un P.I.P. devono essere adeguatamente
specificate con particolare riferimento alla
tipologia di attività che si intendono
insediare con tale strumento, alle finalità
di promozione dell'attività d'impresa
perseguite, ai benefici economici e sociali
particolari che l'amministrazione si
prefigge da tale strumento. Né tali ragioni
ed interessi pubblici possono ridursi alla
semplice localizzazione di attività
economiche ed all'urbanizzazione primaria e
secondaria che sono finalità perseguibili
con gli ordinari strumenti urbanistici e
nell'ambito di una dialettica ordinaria con
i proprietari delle aree”.
Nel caso in esame, pertanto, il Comune di
Palazzago –ricevuta la richiesta del
Consorzio San Sosimo- non doveva limitarsi a
verificare soltanto se vi fossero aree
disponibili nel territorio comunale per
realizzare l’insediamento industriale
richiesto, ma doveva anzitutto verificare se
questo insediamento fosse o meno
proporzionato per le esigenze di sviluppo
della comunità locale (verifica affatto
formale, posto che ben 9 ditte su 10
costituenti il Consorzio non avevano sede a
Palazzago).
Le parti resistenti contestano tenacemente
che questa verifica dovesse essere
effettuata con riferimento alle sole
esigenze della comunità locale, ma questa
opinione non può essere avallata. Come si è
evidenziato sopra, l’ambito di riferimento
della variante P.I.P. ex d.p.r. 447/1998 è
quello comunale, perché gli artt. 2 e 5 del
decreto citato individuano nei Comuni i
soggetti cui è affidata la procedura di
variante.
E’ vero, invece, -ed in questo si viene
incontro alle argomentazioni delle parti
resistenti, pur non aderendovi appieno- che
le esigenze di sviluppo della comunità
locale non sono individuate soltanto sulla
base della sede della società richiedente
l’insediamento (perché possono essere
verificate –a mero titolo di esempio–
anche le prospettive occupazionali
determinate dall’insediamento di nuovi
impianti nel territorio comunale per
diminuire il tasso di disoccupazione, con la
conseguenza che un eventuale pieno impiego
della popolazione residente già acquisito
non legittimerebbe –sotto questo profilo-
ulteriori aumenti del carico industriale,
laddove una situazione di inoccupazione di
manodopera specializzata in un certo settore
industriale potrebbe essere richiamata a
supporto della decisione di favorire
l’insediamento in loco di aziende
provenienti da fuori territorio e
specializzate nello stesso settore).
Ma –comunque si ricostruisca il sistema- nel
caso in esame queste prospettazioni restano
meramente astratte, perché in realtà il
Comune di Palazzago non ha effettuato
proprio nessuna valutazione sul fabbisogno,
talché non si rende necessario scendere nel
dettaglio ad individuare i criteri che
avrebbero potuto in astratto reggere tale
valutazione.
Ne consegue che, in conformità con
l’ordinanza cautelare già resa in corso di
causa, deve essere rilevata la illegittimità
del provvedimento impugnato, che deve
pertanto essere annullato (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 01.07.2010 n. 2411 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI:
CONTRATTO DI LOCAZIONE INTERCORRENTE TRA
P.A. E PRIVATO.
Contratti della p.A. - Principi generali
- Contratto di locazione - Rinnovo tacito -
Inammissibilità - Ragioni.
Nei confronti della p.A. non è
configurabile il rinnovo tacito del
contratto di locazione, né rileva per la
formazione del contratto un mero
comportamento concludente, anche protrattosi
per anni.
Ed infatti, la normativa speciale
dettata in tema di contratti della p.A.
prevale sulla diversa disciplina dei
rapporti tra privati, quale quella dettata
in tema di stipula di locazioni
ultranovennali e in tema di rinnovo tacito
del contratto di locazione ex art. 1597,
Cod. Civ. (cfr. Cass. Civ., sez. III,
08-01-2005 n. 258; Cass. Civ., sez. III,
03-08-2002 n. 11649) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 30.06.2010 n.
2746 - link a
http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’annullamento ministeriale del nulla-osta
paesaggistico non deve essere preceduto da
preavviso di rigetto ex art. 10-bis della
legge 07.08.1990, n. 241. Il relativo
procedimento, infatti, non può esser
qualificato come procedimento a istanza di
parte, trattandosi di procedimento attivato
d’ufficio dalla stessa autorità (nella
fattispecie il comune) che ha emesso l’atto
soggetto a controllo; al relativo
procedimento quindi si applica la normale
disciplina sull’avviso di procedimento e in
particolare l’art. 159 del d.lgs. 24.01.2004,
n. 42, nel testo vigente all’epoca del
rilascio del nulla-osta.
L’annullamento ministeriale del
nulla osta paesaggistico non deve esser preceduto
da preavviso di rigetto ex articolo 10-bis
della legge 07.08.1990, n. 241; il relativo
procedimento infatti non può esser
qualificato come procedimento a istanza di
parte, trattandosi di procedimento attivato
d’ufficio dalla stessa autorità (nella
fattispecie il comune di Formia) che ha
emesso l’atto soggetto a controllo; al
relativo procedimento quindi si applica la
normale disciplina sull’avviso di
procedimento e in particolare l’articolo 159
del d.lgs. 24.01.2004, n. 42, che, nel testo
vigente all’epoca del rilascio del nulla
osta (e peraltro non diversamente da quanto
è stabilito dal testo attuale) prevedeva
l’invio del nulla osta alla competente
soprintendenza e agli interessati, per i
quali la relativa comunicazione valeva e
vale quale avviso di procedimento ex
articolo 7 della legge n. 241
(TAR Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 17.06.2010 n. 1054 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia di inizio
attività edilizia – Natura giuridica della
dia – autorizzazione implicita di natura provvedimentale – tutela dei terzi –
modalità.
Secondo il recente orientamento del
Consiglio di Stato, dal quale il Collegio
non ravvisa valide ragioni per discostarsi,
il terzo che si oppone ai lavori edilizi
intrapresi tramite D.I.A. è legittimato a
proporre ricorso direttamente avverso il
titolo abilitativo formatosi a seguito di
D.I.A., il cui possesso è essenziale, non
potendosi da esso prescindere, non
trattandosi di ipotesi di attività edilizia
liberalizzata.
Si è quindi in presenza, decorsi i 30 giorni
(art. 23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del
2001), di una autorizzazione implicita di
natura provvedimentale, che può essere
contestata dal terzo entro l'ordinario
termine di decadenza di sessanta giorni,
decorrenti dalla comunicazione al terzo del
perfezionamento della D.I.A., o
dall'avvenuta conoscenza del consenso
(implicito) all'intervento oggetto di D.I.A..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo
formatosi a seguito di D.I.A. ha ad oggetto,
quindi, non il mancato esercizio dei poteri
sanzionatori o di autotutela
dell'amministrazione, ma direttamente l'assentibilità,
o meno, dell'intervento edilizio (cfr. Cons.
Stato, Sez. VI, 05.04.2007 n. 1550; TAR
Sicilia, Catania, II, 15.07.2009, n. 1328)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 14.06.2010 n.
2544 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Niente
risarcimento alle lumache. Il Tar Piemonte
anticipa la riforma del processo
amministrativo sui danni provocati dalle p.a..
Al palo chi non ha impugnato in tempo il
provvedimento.
Niente risarcimento
dalla p.a. se il danneggiato non ha
impugnato in tempo il provvedimento
amministrativo. In questo caso l'azione
autonoma di risarcimento è sì ammissibile,
ma la domanda di ristoro è infondata.
Il TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 11.06.2010 n. 2753,
anticipa il codice del processo
amministrativo, affronta il nodo della
pregiudiziale dell'annullamento dell'atto
rispetto alla azione risarcitoria (e lo
esclude), ma poi ritiene che nel merito non
spetta il risarcimento a chi non ha
impugnato l'atto.
La materia andrà rivista alla luce della
futura entrata in vigore del codice del
processo amministrativo (dal 16.09.2010),
che attribuisce alla mancata azione per
l'annullamento dell'atto l'effetto o di
diminuire o di azzerare il risarcimento.
Insomma con il codice del processo
amministrativo bisognerà valutare in
concreto, caso per caso, se la mancata
impugnazione porterà all'esclusione del
risarcimento o se, invece, ci sarà spazio
per un risarcimento seppure abbattuto
nell'importo.
Ma vediamo di analizzare la sentenza del Tar
Piemonte.
Nel caso specifico una signora ha chiesto il
risarcimento dei danni causati
dall'esclusione del terreno di sua proprietà
della superficie da un piano urbanistico, da
cui sarebbe scaturita la possibilità di
edificarlo, con relativo aumento del valore
venale.
Questo senza avere chiesto l'annullamento
degli atti deliberativi di approvazione del
piano urbanistico stesso.
Il Tar si è, innanzi tutto, posto il
problema della ammissibilità della domanda
autonoma di risarcimento e lo ha risolto
positivamente.
Dopo la sentenza delle sezioni unite della
Cassazione del 23/12/2008, si legge nella
pronuncia del Tar, l'azione di annullamento
del provvedimento non costituisce più un
presupposto processuale dell'azione di
risarcimento dei danni causati del
provvedimento illegittimo e l'interessato
può limitarsi alla domanda di accertamento
del suo diritto al risarcimento del danno, e
relativa condanna, senza necessariamente
dover impugnare il provvedimento a monte.
Tuttavia la mancata impugnazione dell'atto
determina un esito negativo nel merito
dell'azione di risarcimento.
Il principio formulato dalla sentenza in
esame mette in evidenza che la domanda di
risarcimento del danno derivante da
provvedimento non impugnato o tardivamente
impugnato o superato da un nuovo
provvedimento sostitutivo del precedente non
impugnato è ammissibile, ma è infondata nel
merito in quanto la mancata definizione in
termini di annullamento dell'atto fonte del
danno impedisce che lo stesso possa essere
considerato ingiusto o illecita la condotta
conseguente dell'Amministrazione che ne ha
curato l'esecuzione.
Insomma ci sarebbe una sorta di automatismo
tra richiesta di impugnativa dell'atto e
richiesta di risarcimento del danno: senza
la prima l'azione autonoma per ottenere il
ristoro sarebbe persa in partenza.
Qualche chance in più dovrebbe arrivare dal
nuovo codice del processo amministrativo.
Quest'ultimo prevede che l'azione di
risarcimento per lesione di interessi
legittimi dovrà essere proposta entro il
termine di decadenza di centoventi giorni;
ma soprattutto prescrive che il giudice
esclude il risarcimento dei danni che si
sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria
diligenza, anche attraverso l'impugnazione,
nel termine di decadenza, degli atti lesivi
illegittimi.
Come spiega la relazione al codice in
relazione alla questione della pregiudiziale
amministrativa, si è optato per l'autonoma
esperibilità della tutela risarcitoria per
la lesione delle posizioni di interesse
legittimo, prevedendo per l'esercizio di
tale azione un termine di decadenza di
quattro mesi e affermando l'applicazione di
principi analoghi a quelli espressi
dall'articolo 1227 codice civile per quanto
riguarda i danni che avrebbero potuto essere
evitati mediante il tempestivo esperimento
dell'azione di annullamento.
Ciò significa una valutazione in ogni
singolo processo dei danni che si potevano
evitare con l'impugnativa dell'atto,
residuando, quindi, in concreto la
possibilità di risarcimento del danno anche
a fronte di mancante iniziative contro i
provvedimenti della p.a.
(articolo ItaliaOggi
del 08.07.2010, pag. 42). |
ENTI LOCALI - I.C.I.: La
Cassazione sulla decadenza dello strumento
urbanistico. Ici, imponibilità a maglie
larghe.
Agli effetti dell'Ici va considerato
edificabile anche il terreno concretamente
inedificabile a causa dell'intervenuta
decadenza dello strumento urbanistico.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez.
tributaria, con la
sentenza 28.05.2010 n. 13135.
Impostazione del problema.
La nozione di terreno edificabile è da tempo
oggetto di contrastanti orientamenti
dottrinali e giurisprudenziali, come vedremo
solo in parte composti dall'intervento del
legislatore.
Il problema nasce dal fatto che le diverse
norme tributarie vigenti ne danno una
nozione sempre differente, ora di tipo «statico»,
or'altra «dinamica» cioè che tiene
conto della futura vocazione del bene
immobile che si assume edificabile.
La questione si pone anche ai fini Ici,
imposta nella quale il presupposto si
verifica in modo diverso a seconda che
un'area sia o meno da considerarsi «edificabile»,
intendendosi per tale quella utilizzabile a
scopo edificatorio in base agli strumenti
urbanistici generali o attuativi.
Un quadro normativo così complesso ha
indotto il legislatore a comporre il
dibattito con l'art. 11, comma quaterdecies,
del decreto legge n. 203/2005, introdotto
dalla legge di conversione n. 248/2005,
secondo cui un'area è da considerare
comunque fabbricabile se è utilizzabile a
scopo edificatorio in base allo strumento
urbanistico generale, indipendentemente
dall'adozione di strumenti urbanistici
alternativi del medesimo.
Anche tale disposizione non è però stata
sufficiente, occorrendo precisare quale
fosse la data in cui lo strumento
urbanistico generale producesse i suoi
effetti: la problematica è stata così
risolta dall'art. 36, comma 2, del decreto
legge n. 223/2006 (convertito con la legge
248/2006) per il quale lo strumento
urbanistico generale produce gli effetti di
cui sopra fin dal momento della sua adozione
da parte del Comune, e dunque anche prima
dell'approvazione da parte della regione.
Alla luce di tale quadro normativo la Corte
di cassazione, con la sentenza n. 25506/2009
resa a sezioni unite, ha ribadito tali
principi rilevando che ai fini della
edificabilità non solo è irrilevante
l'approvazione da parte della regione ma è
altresì irrilevante l'adozione di strumenti
attuativi del medesimo.
La stessa sentenza ha però precisato che il
valore venale di comune commercio sul quale
va quantificata l'Ici, va determinato «tenendo
anche conto di quanto sia effettiva e
prossima la utilizzabilità a scopo
edificatorio del suolo e di quanto possano
incidere gli ulteriori eventuali oneri di
urbanizzazione».
Ancora la Corte di cassazione ha ritenuto
che ai fini della qualificazione di area
fabbricabile è sufficiente la mera
potenzialità edificatoria mentre non rileva
la presenza di «vincoli capaci di
condizionare in concreto la possibilità di
costruire, perché tali limiti non fanno
venir meno ed, anzi, presuppongono la
vocazione edificatoria del terreno,
incidendo soltanto sul suo valore venale».
Il caso di specie.
Sulla base di tali principi, la Corte di
cassazione censura la tesi della Commissione
tributaria regionale che aveva ritenuto
inedificabile un terreno pur incluso dal
programma di fabbricazione in zona omogenea
D/2 a motivo dell'intervenuta decadenza
dello strumento urbanistico alternativo,
circostanza che, secondo la difesa, avrebbe
comportato la concreta inedificabilità dei
suoli.
Naturalmente, tale principio non può essere
spinto fino al punto di non tener conto di
quali siano le concrete possibilità
edificatorie.
In questo senso, la stessa Corte di
cassazione, con la sentenza 09/03/2010 n.
5735 ha escluso l'edificabilità di un'area
compresa in una zona destinata dal Piano
regolatore generale a verde pubblico
attrezzato, in quanto tale vincolo preclude
ai privati tutte quelle trasformazioni del
suolo che sono riconducibili alla normativa
tecnica di edificabilità
(articolo ItaliaOggi
del 02.08.2010, pag. 23). |
SEGRETARI COMUNALI: Anche
il segretario comunale, come tutti i
dipendenti, è tenuto all’osservanza
dell’obbligo dell’orario di ufficio e alla
conseguente timbratura del cartellino
marcatempo attestante la presenza in
ufficio.
La sezione ritiene che anche il segretario
comunale, come tutti i dipendenti, sia
tenuto all’osservanza dell’obbligo
dell’orario di ufficio e alla conseguente
timbratura del cartellino marcatempo
attestante la presenza in ufficio.
In tal senso si vedano pure le note del
Ministero dell’interno n.
9400207/17200.16455 in data 21.03.1994 e n.
9406529/17200/16455 in data 30.08.1994,
entrambe indirizzate alla Prefettura di
Caserta
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 18.04.2007 n. 1763 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
legittimo costruire un canile in zona
agricola tenuto conto che la destinazione a
zona agricola di un'area non impone un
obbligo specifico di utilizzazione effettiva
in tal senso, avendo solo lo scopo di
evitare insediamenti residenziali.
La circostanza che la realizzazione del
canile municipale sia inserita in zona
agricola non è di per sé idonea a rendere
illegittimo l’operato dell’Amministrazione,
atteso che la destinazione a zona agricola
di un'area, e fatta salva la previsione di
particolari vincoli ambientali o paesistici,
non impone un obbligo specifico di
utilizzazione effettiva in tal senso, avendo
solo lo scopo di evitare insediamenti
residenziali; la stessa, pertanto, non
costituisce ostacolo alla installazione di
opere, come quella di cui trattasi, che non
riguardino l'edilizia residenziale e che,
per contro, si rivelino, per ovvi motivi,
incompatibili con zone abitate e quindi
necessariamente da realizzare in aperta
campagna
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.01.2005 n. 253 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Con
l’entrata in vigore della L. 349/1993, ogni
attività rientrante nella generale categoria
della attività cinotecnica deve ritenersi
compatibile con la destinazione agricola di
una determinata zona; come pure deve
ritenersi pacifico che nell’ambito della
categoria della attività cinotecnica debbono
farsi rientrare tutte quelle attività,
nessuna esclusa, potenzialmente rientranti
in tipologie analoghe.
Nel caso di specie occorre fare riferimento
alla L. 349 del 23.08.1993 la quale,
all’articolo 1, precisa che “per attività
cinotecnica si intende l’attività volta
all’allevamento, alla selezione e
addestramento delle razze canine”.
La stessa legge, peraltro, all’articolo 2,
precisa che “l’attività cinotecnica è
considerata a tutti gli effetti attività
imprenditoriale agricola quando i redditi
che ne derivano sono prevalenti rispetto a
quelli di altre attività economiche non
agricole svolte dallo stesso soggetto”.
Lo stesso articolo, al comma 2, aggiunge che
“i soggetti, persone fisiche o
giuridiche, singoli o associati, che
esercitano attività cinotecnica di cui al
comma 1 sono imprenditori agricoli, ai sensi
dell’articolo 2135 del C.C.”.
Tenendo dunque presente i testé riportati
principi normativi non può non ritenersi
condivisibile l’assunto di parte ricorrente
secondo il quale, con l’entrata in vigore
della L. 349/1993, ogni attività rientrante
nella generale categoria della attività
cinotecnica debba ritenersi compatibile con
la destinazione agricola di una determinata
zona; come pure deve ritenersi pacifico che
nell’ambito della categoria della attività
cinotecnica debbono farsi rientrare tutte
quelle attività, nessuna esclusa,
potenzialmente rientranti in tipologie
analoghe.
Alle considerazione che precedono deve
senz’altro aggiungersi quella della
sussistenza di un pubblico interesse allo
svolgimento della attività di che trattasi
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 04.06.2004 n. 745 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 02.08.2010 |
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GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
APPALTI SERVIZI:
G.U. 31.07.2010 n. 177 "Trasmissione dei
dati relativi ad affidamenti a Cooperative
sociali, ex articolo 5 della legge n.
381/1991"
(Autorità per la Vigilanza sui Contratti
Pubblici di Lavoro, Servizi e Forniture,
comunicato).
IL PRESIDENTE
- Visto l’art. 7, comma 8, del decreto
legislativo n. 163/2006 che prevede che le
stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori
sono tenuti a comunicare all’Osservatorio
per contratti di importo superiore alla
soglia dei 150.000 euro dati informativi sui
contratti pubblici;
- Visto il Comunicato del Presidente del
04.04.2008, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 94 del 21.04.2008 con il quale
si definiscono le modalità telematiche per
la trasmissione dei dati dei contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture, di
importo superiore alla soglia dei 150.000
euro;
- Viste le istruzioni relative alle
contribuzioni dovute, ai sensi dell’art. 1,
comma 67, della legge 23.12.2005, n. 266, di
soggetti pubblici e privati in vigore
dall'01.05.2010;
- Visto l’art. 5 della legge n. 381/91 che
prevede la possibilità per i soggetti
aggiudicatori di stipulare convenzioni con
le cooperative sociali di cui all’art. 1,
comma 1, lett. b (cooperative che svolgono
attività agricole, industriali, commerciali
o di servizi diverse dalla gestione di
servizi socio-sanitari ed educativi e
finalizzate all’inserimento lavorativo di
persone svantaggiate) anche in deroga alla
disciplina in materia di contratti della
pubblica amministrazione;
Considerato che le disposizioni sulle
comunicazioni di dati all’Osservatorio sono
preordinate al rispetto dei principi
fondamentali di matrice comunitaria in
materia di contratti pubblici tra i quali
quelli di trasparenza, correttezza, parità
di trattamento e non discriminazione;
- Ritenuto che la deroga prevista dall’art.
5, legge n. 381/1991, deve considerarsi
riferita alle procedure di affidamento, ma
non ai suddetti principi comunitari;
COMUNICA
- Che le stazioni appaltanti che procedono
ad affidamenti ai sensi dell’art 5, della
legge n. 381/1991, sono tenute ad effettuare
le comunicazioni all’Osservatorio dei
contratti pubblici, con le seguenti
modalità:
* convenzioni di importo superiore alla
soglia dei 150.000 euro: secondo quanto
specificato nel Comunicato del Presidente
del 04.04.2008, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 94 del 21.04.2008;
* convenzioni di importo inferiore alla
soglia dei 150.000 euro: limitatamente alla
sola acquisizione del codice CIG, fino a
quando non verranno rese note con ulteriori
comunicazioni le relative modalità di
trasmissione dei dati.
- Che non possono essere stipulate
convenzioni ai sensi dell’art. 5, comma 1,
legge n. 381/1991 per la fornitura di
servizi socio-sanitari ed educativi (art. 1,
comma 1, lett. a). |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
31.07.2010 n. 177 "Trasmissione dei dati
relativi a soggetti che eseguono opere a
scomputo degli oneri di urbanizzazione"
(Autorità per la Vigilanza sui Contratti
Pubblici di Lavoro, Servizi e Forniture,
comunicato).
IL PRESIDENTE
- Visti l’art. 32, comma 1, lett. g) e
l’art. 122, comma 8 del decreto legislativo
n. 163/2006, come modificati dal decreto
legislativo n. 152/2008;
- Vista la Determinazione dell’Autorità n. 7
del 16.07.2009, avente ad oggetto
problematiche applicative delle disposizioni
in materia di opere a scomputo degli oneri
di urbanizzazione dopo il terzo decreto
correttivo del Codice dei contratti;
- Considerata la necessità di monitorare gli
appalti eseguiti da privati che assumono in
via diretta l’esecuzione delle opere di
urbanizzazione a scomputo totale o parziale
del contributo previsto per il rilascio del
permesso di costruire;
COMUNICA
- Che le amministrazioni che concedono il
permesso di costruire sono tenute a
trasmettere all’Autorità i dati
identificativi dei soggetti titolari di tale
permesso, nel caso in cui allo stesso acceda
una convenzione, o altro accordo, sulla
realizzazione di opere a scomputo degli
oneri di urbanizzazione. |
ENTI LOCALI - VARI:
G.U. 30.07.2010, suppl. ord. n. 174/L:
- "Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 31.05.2010,
n. 78, recante misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica" (Legge
30.07.2010 n. 122);
- "Testo del
decreto-legge 31.05.2010, n. 78 coordinato
con la legge di conversione 30.07.2010, n.
122 recante: «Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica»". |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U.
30.07.2010 n. 176 "Comunicazione
dell’avvio a regime del sistema regionale
della regione Lombardia, per la trasmissione
telematica dei dati delle ricette a carico
del Servizio sanitario nazionale da parte
dei medici prescrittori regionali"
(Ragioneria Generale dello Stato,
decreto 14.07.2010). |
ENTI LOCALI - VARI:
G.U. 29.07.2010, suppl. ord. n. 171/L, "Disposizioni
in materia di sicurezza stradale"
(L.
29.07.2010 n. 120). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
CONFORMITA’ CATASTALE IN CASO DI
COMPRAVENDITA (Confedilizia,
nota 23.07.2010 n. 14233 di prot.). |
QUESITI &
PARERI |
EDILIZIA PRIVATA:
Applicabilità del contributo di
costruzione previsto all’art. 16 D.P.R.
380/2001 a caso specifico.
E’ chiesto parere in merito
all’applicabilità del contributo di
costruzione previsto all’art. 16 D.P.R.
380/2001 al caso specifico del rilascio di
permesso di costruire richiesto da un
coltivatore diretto e finalizzato al
recupero, per l’esercizio di attività
agrituristica, di una porzione dell’unico
fabbricato rurale facente parte dell’azienda
agricola, localizzato in centro abitato,
zona RR totalmente o parzialmente edificata
a prevalente tipologia rurale (Regione
Piemonte,
parere n.
72/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
10 -
Quanto al fatto che l'eliminazione di una
parte della parete esterna dell'immobile e
la realizzazione di una vetrata
esclude la riconducibilità dell'intervento
medesimo nell'ambito della manutenzione
straordinaria, configurandosi, invece, come
ristrutturazione edilizia (Geometra Orobico
n. 3/2010). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Quesito
9 -
Quanto alla fascia di rispetto cimiteriale
ed al potere attribuito al Consiglio
Comunale dall'art. 338 del R.D. 27.07.1934
n. 1265, così come modificato dall'art. 28
della legge 01.08.2002 n. 166, se
non vi ostino ragioni igienico-sanitarie
accertate dalla competente Azienda USL, di
ridurre la zona di rispetto cimiteriale,
tenendo conto degli elementi ambientali di
pregio dell'area (Geometra Orobico n.
3/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
8 -
Quanto alla realizzazione di opere sul
lastrico solare ed alla modifica di
destinazione d'uso del medesimo
(Geometra Orobico n. 3/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
7 -
Quanto alla presentazione dell'istanza di
accertamento di conformità successivamente
alla presentazione del ricorso
giurisdizionale avverso ordinanza di
demolizione ed alla
improcedibilità del ricorso per sopravvenuta
carenza di interesse (Geometra Orobico n.
3/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
6 -
Quanto al fatto che la demolizione dei
manufatti abusivi non equivale al ripristino
dello stato dei luoghi (Geometra
Orobico n. 3/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
5 -
Quanto al titolo abilitativo necessario per
la costruzione di una tettoia
(Geometra Orobico n. 3/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
4 -
Quanto alla nozione di pertinenza
urbanistica
(Geometra Orobico n. 3/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
3 -
Quanto al carattere permanente dell'illecito
(abuso edilizio)
(Geometra Orobico n. 3/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
2 -
Quanto alla qualificazione del silenzio
serbato dal Comune sulla domanda di
sanatoria ed alla relativa motivazione
(Geometra Orobico n. 3/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
1 -
Quanto agli effetti sull'ordine di
demolizione a seguito della presentazione di
istanza di sanatoria ed art. 36 D.P.R. n.
380/2001
(Geometra Orobico n. 3/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
10 -
Quanto all'esclusione della necessità del
rilascio di alcuna autorizzazione in
presenza della precarietà e temporaneità
dell'opera (Geometra Orobico n.
2/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
9 -
Quanto alla sottrazione, per l'armadietto di
alluminio situato sul balcone, alle sanzioni
di cui all'art. 33 del D.P.R. n. 380/2001
(Geometra Orobico n. 2/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
8 -
Quanto all'inapplicabilità della procedura
di accertamento di conformità di cui
all'art. 36 D.P.R. n. 380/2001, al caso di
opere realizzate in zona sottoposta a
vincolo paesaggistico, secondo
quanto espressamente previsto dall'art. 146
del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni
culturali) (Geometra Orobico n. 2/2010). |
URBANISTICA:
Quesito
7 -
Quanto alla motivazione delle scelte
urbanistiche che incidono sulle aspettative
particolarmente qualificate dei privati
(Geometra Orobico n. 2/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
6 -
Quanto all'irrogazione di sanzione
pecuniaria per la riscontrata realizzazione
di opere edili senza la preventiva denuncia
di inizio attività (Geometra
Orobico n. 2/2010). |
LAVORI PUBBLICI:
Quesito
5 -
Quanto alla competenza della Giunta e del
Consiglio Comunale in tema di programmazione
delle opere pubbliche (Geometra
Orobico n. 2/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
4 -
Quanto alla derogabilità del principio
generale secondo cui il computo del limite
di altezza, entro il quale è consentita
l'edificazione, va effettuato considerato
l'originale piano di campagna,
ovvero il livello naturale del terreno di
sedime e non la quota di terreno sistemato
(Geometra Orobico n. 2/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
3 -
Quanto alla previsione di cui all'art. 3.2,
seconda parte, del D.M. 236 del 14.06.1989
secondo la quale, negli edifici residenziali
con non più di tre livelli fuori terra,
è consentita la deroga
all'installazione di meccanismi per
l'accesso ai piani superiori, ivi compresi i
servoscala, purché ne sia assicurata la
possibilità della relativa installazione in
un tempo successivo (Geometra Orobico n.
2/2010). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
Quesito
2 -
Quanto alla possibilità per l'autorità
amministrativa di costituire una servitù di
contenuto non specificatamente previsto
nell'ordinamento ma indicato nel
provvedimento amministrativo,
costituente la servitù al di fuori delle
fattispecie tipiche previste dal codice
civile o da leggi speciali (nel caso
specifico, costituzione coattiva di servitù
di sorvolo di fondo altrui a mezzo delle
pale di due aerogeneratori, appunto non
contemplata tra quelle astrattamente
descritte dalla legge) (Geometra Orobico n.
2/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
1 -
Quanto alla determinazione degli oneri di
urbanizzazione in sede di rilascio di
concessione edilizia (Geometra
Orobico n. 2/2010). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
M. Fracanzani,
Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del
contratto nel nuovo processo amministrativo:
dall’onere di impugnazione alla pronuncia di
inefficacia (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
G. Guzzo,
GIUSTIFICAZIONE PREVENTIVA ED ANOMALIA DELLE
OFFERTE: EVOLUZIONE LEGISLATIVA E PROFILI
GIURISPRUDENZIALI
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La proposizione successiva del ricorso non
inficia l’efficacia preclusiva del D.U.R.C.
negativo (link a
www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia,
Corso di specializzazione sull'applicazione
della L.R. n. 12/2005:
4^ lezione (parte A) - Edificazione nelle
zone agricole (Geometra Orobico
n. 3/2010). |
APPALTI:
D. Chitò,
BASTA IL “NUDO” PUNTEGGIO NUMERICO PER
AGGIUDICARE UN APPALTO PUBBLICO? (Consiglio
di Stato, Sez. V, sentenza n. 4543 del
31.08.2007) (link a
www.iussit.eu). |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Il rafforzamento locale di edifici in
muratura con tiranti.
Il consorzio Reluis ha aggiornato (luglio
2010) la pubblicazione dal titolo: ”Esempio
di calcolo su rafforzamento locale di
edifici in muratura con tiranti”.
L’intervento illustrato nella pubblicazione
prevede il rafforzamento locale di un
edificio in muratura, mediante introduzione
di tiranti, nel caso in cui si attivi il
meccanismo di ribaltamento fuori piano.
Il caso esaminato, in particolare, riguarda
gli ultimi due livelli di una parete di un
edificio sito in centro storico ... (link a
www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Dall’INAIL un manuale innovativo per
l’informazione sui rischi in cantiere.
In edilizia è sempre più forte la presenza
di lavoratori stranieri che molto spesso,
non conoscendo bene la lingua, si trovano in
una situazione di svantaggio nella
comprensione delle più elementari norme di
sicurezza. L'Inail si propone di ovviare a
tale difficoltà con la realizzazione di
pubblicazioni "visuali" in modo che
il contenuto sia facilmente comprensibile
per i lavoratori di ogni lingua.
Questi "spot" risultano essere dei
mezzi informativi universalmente validi, a
prescindere dalla nazionalità e dalla
cultura del singolo lavoratore.
La pubblicazione "Audio-visivi per
l'informazione nel cantiere multietnico"
curata dall'INAIL contiene vignette che
illustrano l'esatto comportamento da
adottare in condizione di rischio.
Le situazioni di rischio illustrate nella
pubblicazione sono: ... (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pubblicata la norma UNI per l'acustica in
edilizia: dal 2012 obbligatoria la
Certificazione Acustica degli edifici?
Dal 2012 chi vorrà vendere o affittare un
alloggio dovrà dotarlo, oltre che della
certificazione energetica, anche della
certificazione acustica.
L´obbligo verrà quasi certamente introdotto
dal provvedimento atteso in autunno, che
recepirà la norma Uni 11367 “Acustica in
edilizia - Classificazione acustica delle
unità immobiliari - Procedura di valutazione
e verifica in opera”, pubblicata il
22.07.2010.
La classificazione acustica di una unità
immobiliare ha lo scopo di informare gli
interessati sulle caratteristiche acustiche
della stessa e di tutelare i vari soggetti
che intervengono nel processo edilizio
(progettisti, produttori di materiali da
costruzione, costruttori, venditori, ecc.)
da possibili contestazioni successive ...
(link a www.acca.it). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA e
DIGITALIZZAZIONE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Certificati di malattia on-line - Descrizione
dei servizi (nota
25.06.2010). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Quesito in merito alle assunzioni di
personale diversamente abile ai fini del
completamento della quota di riserva
prevista dall'art. 3 della legge 12.03.1999
n. 68 (parere
UPPA 16.06.2010 n. 28398 di prot.). |
PUBBLICO IMPIEGO: Brunetta,
sindacati nell'angolo. Circolare della
funzione pubblica spiega gli effetti della
legge 150 sulla contrattazione integrativa.
Organizzazione interna senza concertazione.
Basta l'informativa.
Applicazione graduale
delle nuove disposizioni in materia di
relazione sindacale, immediata applicabilità
della restrizione di materie oggetto di
contrattazione collettiva, applicazione dei
nuovi limiti ai contratti decentrati
sottoscritti dopo l'entrata in vigore del
dlgs n. 150/2009, limitazione delle materie
oggetto di concertazione e rinvio della
applicazione del bonus delle eccellenze e
del premio per l'innovazione alla stipula
dei nuovi contratti nazionali.
Possono essere così riassunte le principali
indicazioni contenute nella
circolare 13.05.2010 n. 7 del
ministro della funzione pubblica «Contrattazione
integrativa. Indirizzi applicativi del
decreto legislativo 27.10.2009, n. 150».
Le relazioni sindacali. La legge cd Brunetta
ha, come è noto, rivoluzionato le regole
esistenti in materia di relazioni sindacali.
Attraverso una serie coordinata di
interventi essa ha voluto ridefinire in modo
completamente diverso il ruolo delle
organizzazioni sindacali. In particolare si
vuole impedire che continuino ad essere
concretamente praticati comportamenti di
cogestione, cioè di coinvolgimento diretto
dei soggetti sindacali nella adozione delle
scelte gestionali.
In primo luogo, è stato stabilito che le
disposizioni di legge prevalgono comunque
sulle clausole contrattuali, salvo che la
legge consenta ai contratti di derogare alle
sue prescrizioni. Ed ancora è stato previsto
che le leggi abbiano carattere imperativo.
Ed inoltre sugli atti di gestione compiuti
dai dirigenti con i poteri e le capacità del
privato datore di lavoro l'unica forma di
relazione sindacale consentita è
l'informazione.
Altresì, le forme di partecipazione
sindacale non devono essere svolte su tutte
le scelte che hanno ricadute sulla
organizzazione. E infine la contrattazione
viene limitata, oltre che al trattamento
economico, alle relazioni sindacali ed ai
diritti ed obblighi direttamente pertinenti
al rapporto di lavoro.
Essa viene inoltre vietata nelle seguenti materie: organizzazione degli
uffici, oggetto di partecipazione sindacale
(ai sensi dell'articolo 9 del dlgs n. 165
del 2001, nuovo testo), afferenti alle
prerogative dirigenziali ai sensi degli
articoli 5, comma 2, 16 e 17 del dlgs n. 165
del 2001, nuovo testo), conferimento e
revoca degli incarichi dirigenziali, nonché
quelle di cui all'articolo 2, comma 1,
lettera c), della legge 23.10.1992 n. 421.
La contrattazione collettiva è consentita
negli esclusivi limiti previsti dalle norme
di legge nelle materie relative alle
sanzioni disciplinari, alla valutazione
delle prestazioni ai fini della
corresponsione del trattamento accessorio,
della mobilità e delle progressioni
economiche.
Sulla base di queste disposizioni la
circolare del ministro Brunetta ci dice che
vanno sottoposte a revisione le materie
oggetto di concertazione. Anche se
espressamente previste dai contratti
nazionali esse infatti non possono sforare i
nuovi e più rigidi limiti dettati dalla
novella legislativa. Per cui su tutte le
scelte che si riferiscono alla
organizzazione interna la concertazione
regredisce automaticamente alla semplice
informazione, che peraltro non deve
necessariamente essere preventiva.
I contratti decentrati.
Le nuove disposizioni sulla limitazione
delle materie oggetto di contrattazione
collettiva, come più in generale quelle
sulle relazioni sindacali, sono in linea
generale immediatamente applicabili o,
meglio, sono entrate in vigore insieme al
dlgs n. 150/2009, cioè lo scorso 15
novembre. Quindi i nuovi contratti
decentrati integrativi, quelli sottoscritti
dopo tale data, devono uniformarsi a questi
principi.
La circolare sottolinea espressamente che
questo effetto si produce sugli istituti che
hanno una maggior rilievo innovativo.
Al riguardo sono menzionate in modo diretto
le progressioni economiche o orizzontali. E
viene ricordato che dobbiamo applicare
necessariamente procedure selettive, che
dobbiamo erogare questo beneficio solo ad
una quantità limitata di personale, che si
deve tenere conto degli esiti delle
valutazioni e che si deve privilegiare lo
sviluppo delle competenze professionali.
Da evidenziare che, contrariamente a quanto
sostenuto dal sindacato, l'applicazione di
queste nuove regole non è rinviata
all'adeguamento dei regolamenti e al
31.12.2010, ma interessa direttamente i
contratti stipulati dalla metà dello scorso
novembre. Altra utile precisazione è quella
per cui questi vincoli si applicano a
prescindere dall'anno a cui la
contrattazione si riferisce: ciò che conta è
la data di sottoscrizione.
Per i contratti decentrati integrativi che a
quella data erano già in vigore l'obbligo di
adeguamento deve essere soddisfatto entro il
prossimo 31 dicembre per le amministrazioni
dello stato, mentre regioni, enti locali e
sanità hanno tempo fino al 31.12.2011 per
effettuare tale adeguamento, ma le clausole
in contrasto con i vincoli legislativi
cesseranno di produrre i propri effetti solo
dal 31.12.2012, quindi una proroga di fatto
per un altro anno.
Occorre, infine su questo punto,
sottolineare invece che le nuove regole
sulla valutazione delle prestazioni dei
dirigenti e dei dipendenti devono essere
adottate entro il 31.12.2010 ed entrare in
vigore dal prossimo 01.01.2011. Il mancato
adeguamento delle metodologie esistente
determina la irrogazione di una sanzione: il
divieto di corrispondere ogni forma di
trattamento economico accessorio collegato
alle performance.
Le novità non
immediatamente applicabili.
Il decreto rinvia la immediata applicazione
di una parte rilevante di disposizioni alla
stipula dei nuovi contratti collettivi
nazionali di lavoro. In questo ambito sono
compresi, in primo luogo, il bonus per
l'eccellenza ed il premio per l'innovazione.
Tale conseguenza si può ritenere scontata
perché il decreto Brunetta espressamente
rimette alla contrattazione collettiva la
determinazione della misura di questi premi.
Altrettanto scontato è il rinvio
dell'aumento fino al 30% del totale del
trattamento economico dell'ammontare della
retribuzione di risultato dei dirigenti.
Un carattere innovativo ha invece
l'indicazione di subordinare al nuovo
contratto, il che concretamente vuol dire
che se ne parlerà non prima del 2013, anche
il vincolo a destinare la quota prevalente
del trattamento economico accessorio
comunque denominato alla incentivazione
delle performance: tale scelta viene
motivata con l'esigenza di ristrutturazione
complessiva della struttura del trattamento
economico
(articolo ItaliaOggi
del 23.07.2010, pag. 34 - link a www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
SICUREZZA LAVORO: Sicurezza,
risponde il dirigente Negli enti pubblici la
responsabilità erariale è personale.
In una pubblica
amministrazione, la violazione di una
disposizione in materia di prevenzione
infortuni ed igiene del lavoro, prevista dal
dlgs n. 626/1994, deve essere estinta
personalmente dal dirigente generale
dell'ente e non certo con i fondi della
collettività.
Infatti, la natura delle responsabilità per
le omissioni sanzionate da detta normativa,
assistite da sanzioni penali, hanno
carattere del tutto personale, così come il
pagamento dell'ammenda in misura ridotta,
atto, questo, teso ad evitare la sanzione
penale prevista dalla norma.
È quanto ha chiarito la sezione
giurisdizionale della Corte dei Conti per la
regione siciliana, nel testo della
sentenza 12.07.2010 n. 1574/2010,
con la quale ha condannato il direttore
generale del Comune di Palermo (in solido
con altro funzionario), a rifondere le casse
comunali della somma (poco più di ottomila
euro) che queste hanno subìto per effetto
del pagamento dell'ammenda prevista dal
decreto sulla sicurezza nei luoghi di
lavoro, riscontrate dalla competente azienda
sanitaria nei locali del comando della
polizia municipale del capoluogo siciliano.
Secondo il collegio della magistratura
contabile siciliana, la responsabilità per
le omissioni sanzionate dal dlgs n.
626/1994, assistite da sanzioni penali,
hanno carattere del tutto personale.
Infatti, l'art. 21 della norma prevede che,
entro e non oltre sessanta giorni dalla
scadenza del termine fissato nella
prescrizione a regolarizzare l'irregolarità
riscontrata, l'organo di vigilanza verifica
se la violazione è stata eliminata. In caso
positivo, si ammette a pagare in sede
amministrativa una somma pari a un quarto
del massimo dell'ammenda stabilita,
comunicando al pubblico ministero
l'adempimento nonché l'eventuale pagamento
della somma ovvero il mancato adempimento
alla prescrizione. Quindi, sanando
l'irregolarità e pagando la sanzione, la
contravvenzione si estingue e il pubblico
ministero chiede l'archiviazione.
Nel caso sotteso, pertanto, sussiste un
danno alle casse del comune di Palermo, in
quanto l'ammenda è stata posta a carico del
bilancio dell'ente e non con fondi personali
del soggetto responsabile della violazione.
Il direttore generale, diretto destinatario
della contravvenzione e, di conseguenza,
individuato come datore di lavoro
responsabile delle violazioni delle
disposizioni in materia di sicurezza
riscontrate dall'azienda sanitaria locale, è
incorso «in un errore inescusabile»
per aver disposto il pagamento della
sanzione di cui era diretto destinatario,
ponendola a carico del bilancio comunale.
Né può ritenersi, aggiunge il collegio, che
manchi il requisito della colpa grave, in
quanto si tratta di un soggetto non
rivestito di professionalità specifica,
considerato che il ruolo di direttore
generale dallo stesso ricoperto
nell'organizzazione comunale «evidentemente
presuppone il possesso di una
professionalità adeguata».
Ma il danno è stato altresì addebitato (in
misura molto ridotta) anche al funzionario
responsabile del procedimento del pagamento
dell'oblazione. Infatti, il dirigente
preposto alla salute e la sicurezza dei
lavoratori, quando ha accertato che la
sanzione veniva pagata con i fondi comunali,
«aveva l'obbligo di farne rimostranza al
diretto superiore e di darvi esecuzione solo
laddove l'ordine fosse stato nuovamente
confermato per iscritto»
(articolo
ItaliaOggi del 28.07.2010 - link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Niente
deroghe sulle spese. Nel 2011 i costi del
personale non devono crescere. Per la Corte
conti della Puglia non sono più possibili
eccezioni ai vincoli.
Le modifiche introdotte
dall'articolo 14 del dl n. 78/2010 escludono
la permanenza in vigore delle deroghe alla
riduzione della spesa del personale previste
sia per gli enti sottoposti al patto di
stabilità, che per quelli esclusi. La
disposizione è di immediata applicazione,
già nel 2010.
Lo ha precisato la sezione regionale di
controllo della Corte dei Conti per la
Puglia con il
parere
08.07.2010 n. 55.
Il comune di Grumo Appula ha richiesto un
parere circa le spese di personale da
sostenere per l'istituzione dell'ufficio di
piano quale organo per gestire le risorse
del piano sociale di zona. Si chiede, tra
l'altro, se il citato articolo 14 abbia
abrogato le deroghe previste dai commi 557 e
562 dell'articolo 1 della legge finanziaria
per il 2007 e, nell'ipotesi che tale
eliminazione abbia avuto effetto immediato,
se esiste ancora la possibilità di
effettuare le assunzioni già programmate,
considerando che le stesse potrebbero
incidere in maniera superiore nel 2011.
Il comma 7 dell'articolo 14 della manovra
2010 modifica il comma 557 della legge
finanziaria 2007, che disciplina i vincoli
in materia di assunzione di personale per
gli enti locali sottoposti al patto di
stabilità. La nuova versione del comma 557
stabilisce che gli enti assicurano la
riduzione delle spese di personale, al lordo
degli oneri riflessi e dell'Irap, con
esclusione dei costi relativi ai rinnovi
contrattuali e questo attraverso azioni
lasciate alla propria autonomia.
Il legislatore ha introdotto, poi, nel comma
557, la definizione di spesa di personale
contenuta nell'articolo 76 comma 1 del dl n.
112/2008, che per tale motivo è stato
abrogato. Nel caso di violazione di queste
norme l'ente non potrà assumere personale a
qualsiasi titolo e non potrà stipulare
contratti di servizio elusivi del divieto.
La soppressione del comma 562 dell'articolo
1 della legge finanziaria per il 2007 -che
permetteva agli enti non soggetti al patto
di derogare alla disciplina della spesa di
personale- e la contestuale abrogazione del
comma 2 dell'articolo 76 del dl n. 112/2008
-divieto di utilizzare tale deroga- hanno
determinato l'impossibilità per tali enti di
avvalersi di deroghe in materia di
contenimento della spesa del personale,
spesa che non deve superare l'ammontare
dell'anno 2004 e le assunzioni possono
avvenire nel limite delle cessazioni di
rapporti di lavoro a tempo indeterminato
complessivamente intervenute nel precedente
anno.
La Corte dei conti ritiene che con
l'introduzione della normativa prevista
dall'articolo 14, è venuta meno la
possibilità per tutti gli enti di fruire di
deroghe ai vincoli in materia di spesa del
personale. La disciplina è, per la sezione,
di immediata applicazione e gli enti debbono
attuare ogni iniziativa che sia in grado di
garantire l'osservanza dei vincoli in
materia di spesa del personale, evitando che
le assunzioni programmate precedentemente al
31 maggio producano un incremento di spesa
nel 2011.
Orientamento analogo è stato seguito dalla
sezione regionale di controllo per il
Piemonte, che con la deliberazione n. 46 del
29 giugno scorso ha evidenziato che soltanto
il comma 9 dell'articolo 14 (che ha
novellato l'articolo 76, comma 7, del dl n.
112 del 2008) prevede, espressamente, che
l'applicazione decorrerà dall'01.01.2011,
mentre non essendo nulla previsto per le
altre disposizioni, le misure debbono
ritenersi di applicazione immediata.
Il comune istante, ente non soggetto al
patto, sarà tenuto all'obbligo di
contenimento della spesa entro l'ammontare
dell'anno 2004, senza possibilità di deroga
(articolo ItaliaOggi
del 30.07.2010, pag. 33 - link a www.corteconti.it). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA:
Bonifici per 36 e 55 per cento: istruzioni
per l'uso della ritenuta.
Nessuna sanzione per violazioni commesse in
sede di prima applicazione della norma
introduttiva.
Chiarimenti in arrivo per banche e Poste
italiane Spa sulle regole per effettuare la
ritenuta del 10% sui bonifici relativi al
pagamento di lavori di ristrutturazione e di
risparmio energetico.
A fornirli è la circolare 28.07.2010 n. 40/E
nella quale i tecnici dell'Agenzia delle
Entrate spiegano che il calcolo va
effettuato sul totale del bonifico da cui
deve essere scorporata l'Iva ... (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Gruppi, decide lo statuto. Sul
distacco la competenza è del regolamento. La
materia attiene al funzionamento dei
consigli su cui gli enti hanno mani libere.
È ammissibile la
costituzione di un gruppo consiliare
originato dal distacco di due consiglieri
provinciali dal gruppo di appartenenza
originario, configurandosi quale formazione
politica di carattere autonomo, non presente
nel consiglio a seguito delle ultime
consultazioni elettorali?
La materia dei gruppi consiliari afferisce
al funzionamento dei consigli disciplinato,
come prevede espressamente l'art. 38, comma
2 del Tuel n. 267/2000, dall'apposito
regolamento comunale nel quadro dei principi
stabiliti dallo statuto, essendo
riconosciuta ai consigli piena autonomia
funzionale e organizzativa (v. comma 3
stesso articolo 38).
Ne deriva che le problematiche relative alla
costituzione e al funzionamento dei gruppi
consiliari devono essere valutate alla
stregua delle specifiche norme statutarie e
regolamentari di cui l'ente locale si è
dotato. Pertanto l'ipotesi del distacco dal
gruppo di appartenenza originario deve
essere attuata esclusivamente in conformità
alle surriferite disposizioni
(articolo ItaliaOggi
del 30.07.2010, pag. 35). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Conflitti di interesse.
Qual è la portata
interpretativa dell'art. 78 del T.u. delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali?
La statuizione recata dal T.u. ha inteso
disciplinare l'attività professionale
privata dei titolari di uffici pubblici
nell'ambito del territorio da essi
amministrato, in special modo in quei
settori potenzialmente conflittuali con
l'ente territoriale, ma in caso di
inosservanza non ha inteso far decadere gli
amministratori della carica ricoperta.
Essa si prefigge la garanzia
dell'imparzialità dell'azione amministrativa
in un quadro comunque di attenzione alle
concrete condizioni di operatività degli
enti locali, soprattutto di quelli minori, e
si rivolge a coloro che svolgono in proprio
un'attività libero-professionale nello
stesso delicato settore nel quale come
pubblici amministratori sono chiamati a
tutelare interessi della collettività
locale.
La Corte di appello di Salerno, nella
sentenza n. 270/2000, ha chiarito che tale
disposizione non costituisce una ulteriore
causa di incompatibilità rispetto alla
vigente disciplina.
Destinatari della norma sono i componenti
della giunta comunale che, nei campi
dell'edilizia, dei lavori pubblici e
dell'urbanistica forniscono prestazioni di
carattere prevalentemente intellettuale che
richiedono il possesso di specifici
requisiti di formazione culturale e tecnica
(titoli di studio e iscrizione ai relativi
albi, ordini e collegi professionali).
L'attività professionale, per la quale la
norma prescrive l'obbligo di astensione, è
in generale quella in «materia di
edilizia privata e pubblica», nel
territorio amministrato.
La norma, quindi, non circoscrive l'obbligo
di astensione ai soli incarichi conferiti da
parte di pubbliche amministrazioni (anche
perché, qualora il rapporto si costituisse
con l'Ente di appartenenza
dell'amministratore potrebbe configurarsi la
causa di incompatibilità di cui all'art. 63,
comma 1, n. 2, del dlgs 267/200), ma lo
estende anche a quelli svolti nell'interesse
di privati
(articolo ItaliaOggi
del 30.07.2010, pag. 35). |
PUBBLICO IMPIEGO: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Spese legali.
Un comune è tenuto anche alla refusione
delle spese peritali sostenute da un
dirigente ed un funzionario per la difesa,
in un procedimento penale conclusosi con
sentenza di assoluzione, nel caso in cui le
stesse esorbitino dal massimale di polizza
assicurativo previsto per gli oneri di
assistenza legale ai sensi dell'art. 43,
comma 1, del Ccnl 14/9/2000 per i dipendenti
e dell'art. 7 del Ccnl 27.02.1997 per i
dirigenti, e utilizzato per il rimborso
delle spese legali sostenute dai medesimi
dipendenti?
La normativa disciplinante il patrocinio
legale di cui all'art. 28, comma 3, del Ccnl
14/9/2000 per il dipendenti, e quella di cui
all'art. 12, comma 3 del Ccnl 2000/2001 per
il personale dirigenziale prevedono
espressamente che la disciplina ivi
contenuta non trova applicazione per i
dipendenti assicurati ai sensi dei suddetti
artt. 43 e 7.
Conseguentemente non è possibile accedere
alla richiesta del predetto personale di
refusione delle spese peritali tenuto conto
che le stesse dovrebbero essere oggetto
della copertura assicurativa al pari delle
spese legali
(articolo ItaliaOggi
del 30.07.2010, pag. 35). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Ordine del
giorno.
L'inversione della trattazione degli
argomenti posti all'ordine del giorno, può
costituire irregolarità nello svolgimento
dei lavori assembleari?
L'art. 38, comma 2, del Tuel n. 267/2000,
demanda all'apposito regolamento comunale la
disciplina sul funzionamento del Consiglio,
cui si riconosce, ai sensi del successivo
comma 3, autonomia funzionale e
organizzativa.
Per la trattazione degli atti di sindacato
ispettivo, vale quanto prescritto dall'art.
43,comma 3, del Tuel che prevede un termine
di 30 giorni per rispondere alle
interrogazioni e ad ogni altra istanza di
sindacato ispettivo
(articolo ItaliaOggi
del 30.07.2010, pag. 35). |
PUBBLICO IMPIEGO: Le
progressioni orizzontali finiscono per
essere congelate. La legge 122/2010 incide
notevolmente sull'impiego delle risorse
decentrate.
La manovra economica 2010 rende molto
difficoltose le progressioni orizzontali,
ovvero il sistema selettivo finalizzato agli
incrementi economici del trattamento dei
dipendenti pubblici, da ultimo regolato
dall'articolo 23 del dlgs 150/2009.
Il maxiemendamento al dl 78/2010 incide
notevolmente sull'impiego delle risorse
contrattuali decentrate delle pubbliche
amministrazioni, poiché stabilisce che per
il triennio 2011-2013 l'ammontare
complessivo delle risorse destinate
annualmente al trattamento accessorio del
personale pubblico, anche di livello
dirigenziale, non può superare il
corrispondente importo dell'anno 2010 ed è,
comunque, automaticamente ridotto in misura
proporzionale alla riduzione del personale
in servizio.
L'ultima disposizione, in particolare,
modifica radicalmente il sistema delle
relazioni sindacali, in quanto ha introdotto
un automatismo sottratto a qualsiasi
rapporto di contrattazione o concertazione
tra le parti, per effetto del quale al
ridursi del personale in servizio, per
qualsiasi causa, deve necessariamente
ridursi in proporzione proprio la parte
delle risorse decentrate posta a finanziare
il salario accessorio.
La progressione orizzontale, pur non essendo
qualificabile come salario accessorio perché
stabilmente acquisita al trattamento
economico fondamentale del dipendente che
l'abbia acquisita, viene indirettamente
colpita da questa misura, nonostante essa
sia posta sostanzialmente a ridurre la spesa
complessiva che ciascun'amministrazione
sostiene per finanziare gli elementi non
fissi e continuativi della paga dei propri
dipendenti.
Infatti, le risorse decentrate sono
destinate a finanziare due macro voci di
spesa: una prima, riguarda il trattamento
fisso e continuativo (tra cui la
progressione orizzontale e l'indennità di
comparto per gli enti locali), nonché le
indennità come turno, reperibilità, maneggio
valori, rischio, connesse a prestazioni rese
dai singoli dipendenti per assicurare una
razionale organizzazione delle attività; una
seconda, invece, concerne proprio il
trattamento accessorio vero e proprio, e in
particolare la retribuzione connessa al
raggiungimento dei risultati, collettivi e
individuali.
La progressione orizzontale, proprio perché
rimane saldamente connessa alla posizione
retributiva del dipendente che la
acquisisce, diminuisce le disponibilità
dell'insieme complessivo delle risorse
decentrate: più aumenta l'ammontare delle
risorse destinate alle progressioni, più,
simmetricamente, si riduce il fondo per il
salario accessorio.
In conseguenza di ciò, posto che per legge
il salario accessorio è destinato a
diminuire automaticamente in proporzione
alla riduzione del personale in servizio, la
progressione orizzontale nella sostanza
finisce per essere congelata, ed
utilizzabile solo reinvestendo la posizione
economica acquisita dal personale che cessa
dal servizio, destinata a rifinanziare la
parte stabile del fondo.
Non sarebbe agevole, invece, una politica di
espansione delle progressioni orizzontali
che dia luogo ad una spesa superiore a
quella consentita dal rifinanziamento
derivante dalle cessazioni dal servizio,
perché si darebbe luogo ad una riduzione
delle risorse disponibili per il salario
accessorio tale da diminuire eccessivamente
le disponibilità per il trattamento
economico accessorio.
Il tutto, per altro, in un quadro nel quale
risulta vigente, anche se non operante, il
principio secondo il quale il finanziamento
del trattamento economico legato alla
performance individuale, e dunque, al
risultato dovrebbe risultare prevalente,
nell'ambito delle risorse decentrate
(articolo ItaliaOggi
del 30.07.2010, pag. 30 - link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: MANOVRA
2010/ Gli enti si attrezzano per rispettare
il tetto del 3,2% ai rinnovi contrattuali.
Risorse aggiuntive da restituire. I comuni
virtuosi devono recuperare le somme extra
corrisposte.
Il recupero delle risorse aggiuntive
inserite nel fondo 2009 da parte degli enti
virtuosi e il taglio della indennità pari a
1/5 del costo di un litro di benzina per km
percorso con la propria automobile per
ragioni di servizio e previa apposita
autorizzazione: sono questi i principali
aspetti su cui in molti enti locali ci si
sta concretamente arrovellando per cercare
di evitare l’effetto che sembra essere
voluto dalla manovra (legge n.122/2010) ... (articolo ItaliaOggi
del 30.07.2010, pag. 30 - link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
MANOVRA 2010/ Le misure per enti
locali e p.a. del dl 78 definitivamente
convertito dalla camera. Ora ai tagli non
c’è più scampo. Blocco del turnover,
congelamento dei contratti e degli stipendi.
La manovra correttiva dei conti pubblici è
legge. Con 321 sì, 270 no e 4 astenuti
l’aula della camera ha definitivamente
convertito in legge il dl 78/2010 che vale
24 miliardi di euro per il 2011-2012. Il
testo, su cui il governo ha incassato la
fiducia, è identico a quello approvato dal
senato e profondamente modificato per
effetto del maxiemendamento.
Ecco tutte le novità per p.a. ed enti locali
della legge di conversione (n. 122/2010 che
sarà pubblicata sul supplemento ordinario n.
174/L alla G.U. di oggi n. 176/2010) ... (articolo ItaliaOggi
del 30.07.2010, pag. 29 - link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Carte
d'identità a rischio. Proroga della scadenza
rifiutata in molti paesi. Una circolare del
Viminale invita chi va all'estero a rifare.
Vacanze all'estero a rischio per numerosi
italiani a causa della proroga sulla carta
d'identità. Infatti, molti Paesi stranieri
non riconoscono i documenti che attestano la
proroga della carta d'identità, non
consentendo così l'ingresso sul loro
territorio.
Per ovviare a questo inconveniente,
pertanto, è preferibile che i cittadini in
possesso di carta d'identità, la cui
scadenza quinquennale è stata prorogata ed
intendano recarsi all'estero, chiedano agli
uffici anagrafe del comune di residenza il
rilascio un nuovo documento d'identità,
sopportando i costi della carta stessa e dei
diritti di segreteria.
E' quanto ha messo nero su bianco il
Dipartimento degli affari interni e
territoriali del Ministero dell'interno, nel
testo della
circolare
28.07.2010 n. 23, indirizzata a tutti
i Prefetti e, tra gli altri,
all'Associazione nazionale dei comuni
italiani (Anci) e all'Associazione Nazionale
degli Ufficiali di Stato Civile e d'Anagrafe
(Anusca).
Come si ricorderà, per effetto dell'articolo
31 del decreto legge 25.06.2008, n. 112
(convertito nella legge n. 133/2008), la
durata della carta d'identità è stata
fissata da cinque a dieci anni, prevedendo
altresì l'estensione di tale durata anche
alle carte d'identità in corso di validità
alla data di entrata in vigore del decreto
legge.
Per effetto di queste disposizioni, il
Viminale aveva prontamente diffuso (si
vedano le circolari Mininterno n. 8 e 12 del
2008) istruzioni ai comuni sulle modalità di
proroga della validità dei documenti di
identità. Con due differenti modalità. La
prima, in caso di documento cartaceo,
mediante apostilla di proroga da apporre sul
retro del documento stesso. La seconda,
qualora il cittadino fosse in possesso di
una carta d'identità elettronica, attraverso
la consegna di un documento attestante la
nuova scadenza stabilita per effetto della
citata legge n. 133/2008.
Tuttavia, queste modalità di attestazione
della validità della carta d'identità hanno
trovato, quasi immediatamente, alcune
difficoltà. Infatti, come cita la stessa
circolare in esame, sono stati segnalati “disagi”,
provocati dal mancato riconoscimento, da
parte delle Autorità di frontiera “di un
significativo” numero di Paesi esteri,
del documento di identità prorogato secondo
le modalità sopra riportate.
Pertanto, in relazione alla circostanza che,
in questi casi, il documento di identità
prorogato secondo le previsioni del Dl n.
112/2008, diventa “inutilizzabile”
per l'espatrio, il Viminale ammette che è
meglio eliminare il problema alla radice.
Infatti, si ritiene che si possa procedere
alla sostituzione della carta d'identità da
prorogare o già prorogata, seppure valida
per il territorio italiano, con una nuova
carta d'identità la cui validità decennale
decorrerà dalla data di rilascio. In
pratica, con le stesse previsioni in caso di
deterioramento, smarrimento o furto del
documento di riconoscimento.
Ma il fatto che il documento, seppur valido
in Italia, non viene accettato da un “significativo”
numero di Paesi esteri, non mette al riparo
il cittadino dai relativi costi. Infatti, a
chi intende recarsi all'estero, il nuovo
documento d'identità, previo il ritiro di
quello in possesso, potrà essere rilasciato
dietro il pagamento del corrispettivo del
costo della carta e dei diritti di
segreteria
(articolo ItaliaOggi
del 30.07.2010, pag. 23 - link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - VARI: In
G.U. la legge n. 120/2010 di riforma del
Codice della strada. Termini ridotti a 90
giorni. Notifiche sprint, preavvisi in
soffitta. Le multe sul parabrezza rischiano
di far perdere tempo agli enti.
Drastica riduzione dei
tempi di notifica dei verbali che segnerà il
destino dei tradizionali preavvisi di
accertamento per divieto di sosta. Diversa
ripartizione dei proventi dell'autovelox con
nuove regole per l'uso dei misuratori.
Limiti all'ingerenza dei privati negli
accertamenti strumentali delle infrazioni e
via libera a nuove telecamere per accertare
gli accessi alle aree pedonali e altre
importanti violazioni.
Sono queste alcune delle importanti novità
di diretto impatto sugli enti locali
introdotte dalla legge di riforma del codice
della strada (legge n.120/2010 pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 29
luglio 2010).
Notificazione dei verbali e
preavvisi di sosta.
Viene ridotto da 150 a 90 giorni il periodo
concesso agli organi accertatori per la
notificazione postale delle multe stradali
(in caso di mancata contestazione immediata
della violazione). Qualora invece
l'infrazione sia stata contestata
immediatamente al trasgressore, diventa
obbligatorio notificare il verbale anche al
proprietario del veicolo o ai responsabili
in solido entro cento giorni
dall'accertamento.
Queste nuove regole, che peraltro saranno
valide solo per le violazioni commesse dopo
l'entrata in vigore della riforma,
metteranno in forte discussione l'utilizzo
da parte dei comandi di polizia municipale
dei cosiddetti preavvisi di accertamento che
tradizionalmente vengono lasciati sul
parabrezza dei veicoli in divieto di sosta.
Tali preavvisi, non disciplinati dal codice
della strada né dal relativo regolamento di
esecuzione e attuazione, sono utilizzati per
semplificare il procedimento sanzionatorio,
agevolando il pagamento in misura ridotta
(che generalmente può essere effettuato
entro 10-20 giorni) e, conseguentemente,
evitando l'attività e le spese relative alla
notificazione.
Con la drastica riduzione del periodo utile
per notificare i verbali di contestazione
diventa certamente più difficile includere
nell'iter temporalmente ristretto anche i
preavvisi. Infatti, questi atti di
accertamento delle infrazioni stradali
costringono l'organo accertatore ad
attendere molti giorni prima di poter
conoscere se il trasgressore ha effettuato
il pagamento in misura ridotta. Un'attesa
che, ora, con le nuove regole, mette a forte
rischio il rispetto dei tempi più ridotti
per la notificazione dei verbali.
Proventi autovelox e nuove
regole.
Per le violazioni dei limiti di velocità
accertate dalla polizia municipale mediante
l'impiego di apparecchi o di sistemi di
rilevamento oppure con l'utilizzo di
dispositivi o di mezzi tecnici di controllo
a distanza delle violazioni ai sensi
dell'art. 4 del decreto legge n. 121 del
20.06.2002, i relativi proventi dovranno
essere ripartiti in misura uguale fra il
comune e l'ente proprietario della strada o
gli enti che esercitano le relative funzioni
ai sensi dell'art. 39 del decreto del
presidente della repubblica n. 381 del
22.03.1974, restando escluse le strade in
concessione.
Questa importante novità, tuttavia, non
entrerà in vigore subito, ma soltanto dal
primo esercizio finanziario successivo
all'approvazione di un decreto ministeriale,
con il quale dovranno essere definite le
modalità di trasmissione in via informatica
di una relazione sui proventi delle
infrazioni accertate con l'autovelox.
Tale relazione, che dovrà essere inviata
ogni anno entro il 31 maggio al ministero
delle infrastrutture e dei trasporti e al
ministero dell'interno, dovrà indicare, con
riferimento all'anno precedente, l'ammontare
complessivo dei proventi di spettanza del
comune, come risultante da rendiconto
approvato nel medesimo anno, e gli
interventi realizzati sfruttando queste
risorse, specificando gli oneri sostenuti
per ciascun intervento.
Le somme derivanti dall'attribuzione delle
quote dei proventi ripartiti devono essere
destinate alla manutenzione e messa in
sicurezza della segnaletica, delle barriere
e delle altre infrastrutture stradali e al
potenziamento delle attività di controllo e
accertamento delle infrazioni stradali con
le connesse spese relative al personale di
polizia municipale. Peraltro, queste spese
del personale finanziate con la quota dei
proventi ripartiti non potranno superare i
limiti e i vincoli imposti dalla norme sul
patto di stabilità interno e sul
contenimento delle spese in materia di
pubblico impiego.
La percentuale dei proventi oggetto della
ripartizione e spettanti al comune sarà
ridotta del 30% annuo se l'ente li
utilizzerà in modo non conforme o se non
trasmetterà la prescritta relazione.
Con lo stesso decreto che determinerà le
regole relative ai proventi ripartiti,
verranno definite anche le modalità di
posizionamento e utilizzo di autovelox e
telelaser, che fuori dei centri abitati non
potranno essere installati, fin da subito,
ad una distanza inferiore a un chilometro
dal segnale che impone il limite di
velocità.
Ingerenza dei privati.
Gli enti locali potranno accertare
strumentalmente le violazioni del Codice
della strada soltanto con apparecchiature di
loro proprietà o acquisite con contratto di
locazione finanziaria o di noleggio a canone
fisso.
Tali apparecchiature, inoltre, dovranno
essere utilizzate esclusivamente con
l'impiego del personale di polizia locale,
fatto salvo quanto previsto dall'art. 5 del
dpr 250 del 22.06.1999, recante le norme per
l'autorizzazione all'installazione e
all'esercizio di impianti per la rilevazione
degli accessi di veicoli ai centri storici e
alle zone a traffico limitato a norma
dell'art. 7, comma 133-bis, della legge n.
127 del 15.05.1997.
Nuove telecamere e
strumenti tecnologici.
L'uso delle telecamere viene esteso anche al
controllo degli accessi non autorizzati ad
aree pedonali e centri storici e della
circolazione sulle strade riservate.
Inoltre, mediante apparecchiature o
dispositivi omologati potranno essere
rilevate anche le violazioni relative alla
velocità pericolosa, alla guida contromano,
all'uso del casco protettivo, al trasporto
sui mezzi a due ruote e alla circolazione
con veicoli sottoposti a fermo o sequestro
amministrativo. Gli strumenti, però, fuori
dal centro abitato, potranno essere
installati solo su tratti di strada
espressamente individuati dai prefetti.
Verranno legalizzate alcune tecnologie
applicate ai semafori. Infatti, con un
apposito decreto ministeriale saranno
definite le caratteristiche per
l'omologazione e l'installazione degli
impianti per regolare la velocità, degli
impianti che si attivano al rilevamento
della velocità dei veicoli in arrivo e dei
dispositivi finalizzati a visualizzare il
tempo residuo di accensione delle luci dei
nuovi impianti semaforici.
Via libera anche all'utilizzo dei tabelloni
luminosi frequentemente installati ai
margini delle strade per evidenziare la
velocità degli utenti: con la riforma questi
display vengono inclusi fra i segnali
luminosi elencati dall'art. 41 del Codice
stradale.
Impianti pubblicitari.
All'interno dei centri abitati, su qualunque
tipo di strada e non più soltanto
limitatamente alle strade urbane di
quartiere e locali, i comuni potranno
concedere deroghe alle norme relative alle
distanze minime per il posizionamento dei
cartelli e degli altri mezzi pubblicitari,
nel rispetto delle esigenze di sicurezza
della circolazione stradale e nel rispetto
dei divieti previsti dall'art. 23, comma 1,
del Codice della strada; viene meno anche la
condizione delle «ragioni di interesse
generale o di ordine tecnico».
Novità importanti per la rimozione dei
cartelli pubblicitari abusivi. In presenza
di mezzi pubblicitari non regolamentari o
installati senza autorizzazione, decorso
inutilmente il termine della diffida, gli
organi di vigilanza stradale possono
accedere sul fondo privato per effettuare la
rimozione.
Inoltre, se sono decorsi sessanta giorni
dalla rimozione (per gli impianti su area
pubblica) o dalla diffida (per gli impianti
su area privata) senza che l'autore della
violazione, il proprietario o il possessore
del terreno abbiano richiesto la
restituzione dei mezzi pubblicitari rimossi,
l'ente proprietario può disporne liberamente
(articolo ItaliaOggi
del 30.07.2010, pag. 32). |
PUBBLICO IMPIEGO: La
falsa malattia è truffa. Il dipendente non
può stare a casa senza motivo.
La notizia è la seguente: un'azienda
pugliese ha alle proprie dipendenze un
lavoratore con il quale non tutto funziona
serenamente, tanto da esserci una vertenza
in corso tra le parti. Il lavoratore
tuttavia è assente per malattia da due
settimane, con regolare certificato medico
che –a tutela della privacy– non riporta la
patologia di cui è affetto.
Il datore di lavoro non si attiva
personalmente per smascherare il dipendente
infedele né si affida ad un investigatore
privato: si rivolge alla Guardia di Finanza.
Le Fiamme Gialle scoprono il dipendente a
lavorare rigorosamente al nero presso altro
datore di lavoro, con conseguente denuncia
di truffa ai danni dell'Inps e truffa ai
danni dell'azienda. Sarebbe infatti stata
circa di 800 euro la cifra che l'Inps
avrebbe dovuto rimborsare al datore per il
periodo di infermità.
La questione stimola la riflessione
perlomeno su tre distinti aspetti: la
rilevanza che ha il comportamento commissivo
del lavoratore ai fini della attivazione
delle forze dell'ordine, la rilevanza penale
della finta malattia e la violazione dei
principi di fedeltà e buona fede tipici del
rapporto di lavoro subordinato.
Sul primo: rileva, a riguardo, il reato di
truffa disciplinato dall'art. 640-bis del
codice penale, che nel caso specifico, si
realizza nei confronti dell'ente pubblico in
funzione di ente erogatore di prestazioni
sociali nell'ambito delle prestazioni
sostitutive della retribuzione. La truffa
aggravata per il conseguimento di erogazioni
pubbliche (art. 640-bis c.p.) è stata
introdotta con l'art. 22 legge n. 55/1990,
recante disposizioni per la prevenzione
della delinquenza mafiosa. Secondo il c. 2
n. 1 della norma in esame, la truffa è
aggravata se il fatto è commesso a danno
dello Stato o di altro ente pubblico: in tal
caso, alla normale lesione patrimoniale si
aggiunge quella agli interessi della p.a.
interessata.
Lo stesso art. 640-bis punisce le stesse
condotte del reato di truffa (realizzata
attraverso artifizi e raggiri), aggiungendo
la specialità dell' oggetto del reato quali
«contributi, finanziamenti, mutui
agevolati ovvero altre erogazioni dello
stesso tipo, comunque denominate, concessi o
erogati da parte dello Stato, di altri enti
pubblici o dalla Comunità europea».
Da tale breve illustrazione della norma,
riviene evidente non solo la competenza
della Guardia di finanza ad intervenire in
un similare caso, ma anche l'obbligatorietà
dell'intervento, stante la rilevanza
pubblica del bene leso. Finta malattia,
quindi, che realizza una sua precisa
collocazione tra i comportamenti del
lavoratore penalmente rilevanti e
suscettibile di aggravante, pur compiuta
nell'ambito di un rapporto di natura
privata.
I due ulteriori aspetti sono intimamente
collegati tra loro, pur di diversa
connotazione penale e civilistica. Se
infatti dal punto di vista penale, l'assenza
falsamente giustificata realizza la truffa «ordinaria»
nei confronti del datore di lavoro che non
riceve la prestazione lavorativa cui ha
interesse, si è in presenza –dal punto di
vista civilistico– della violazione dei
consolidati principi di buona fede,
caratterizzanti il rapporto di lavoro
subordinato.
Infatti, «l'obbligo di fedeltà vieta
qualsiasi condotta in contrasto con i doveri
connessi all'inserimento del lavoratore
nella struttura dell'impresa e che sia
comunque idonea a ledere irrimediabilmente
il presupposto fiduciario del rapporto.
L'obbligo di fedeltà a carico del lavoratore
subordinato va collegato ai principi
generali di correttezza e buona fede ex
artt. 1175 e 1375 e per tanto impone al
lavoratore di tenere un comportamento leale
nei confronti del proprio datore di lavoro,
astenendosi da qualsiasi atto idoneo a
nuocergli anche potenzialmente per cui, ai
fini della violazione dell'obbligo di
fedeltà incombente sul lavoratore ex art.
2105 c.c., è sufficiente la preordinazione
di un'attività contraria agli interessi del
datore di lavoro anche solo potenzialmente
produttiva di danno» (Cass. 26.08.2003
n. 12489).
Sono queste iniziali riflessioni
sull'episodio narrato, che non mancherà di
motivare ulteriori opinioni e commenti. Ma
soprattutto, se il ricorso all'ausilio della
Guardia di finanza da parte dei datori di
lavoro che verranno a trovarsi in analoghe
situazioni, non sarà più un'eccezione.
Dipendenti avvisati
(articolo ItaliaOggi
del 30.07.2010, pag. 27). |
VARI: Immobili
sotto stretto controllo. Il ruolo del notaio
si arricchisce di ulteriori incombenze. Le
novità nell'ambito delle operazioni di
compravendita, rogiti notarili ed erogazione
dei mutui.
Le ultime modifiche legislative hanno
apportato importanti novità nell'ambito
delle operazioni di compravendita
immobiliare, rogiti notarili e connesse
operazioni di erogazione dei mutui
ipotecari. Lo scopo che la nuova manovra
nell'art. 19, comma 14, dl 78/2010 intende
perseguire, è ostacolare il continuo
proliferare degli immobili non aventi le
caratteristiche necessarie per la loro
compravendita; immobili fiscalmente
inesistenti in quanto la loro costruzione
non è stata mai autorizzata e mai denunciata
al catasto o in altri casi di immobili che
pur regolarmente iscritti sono stati
successivamente oggetto di variazioni e
modifiche non denunciate oppure di immobili
che pur forniti delle autorizzazioni locali
per la loro costruzione non sono poi stati
inseriti nei registri catastali.
La nuova norma prevede che per l'esecuzione
degli atti pubblici e delle scritture
private autenticate tra vivi relative al
trasferimento o alla costituzione di diritti
reali su immobili contengano, a pena di
nullità:
- l'identificazione catastale;
- il riferimento alle planimetrie depositate
in catasto;
- la dichiarazione resa in atto notarile
dagli intestatari della conformità allo
stato di fatto dei dati catastali e delle
planimetrie.
Lo scopo del legislatore è quello di indurre
i soggetti coinvolti ad allegare al rogito
notarile le planimetrie specificando in atto
che le medesime trovano corrispondenza con i
dati catastali inseriti nell'atto stesso. In
catasto, ciascuna unità immobiliare,
possiede una identificazione planimetrica e
una numerica, per cui la prima è necessaria
per rappresentare in scala la consistenza
fisica dell'immobile e la seconda serve a
codificare la sua destinazione attribuendole
un reddito solo figurato; in merito al terzo
punto , gli intestatari sono coloro che
intervengono al rogito come disponenti dei
diritti oggetto del rogito e non come
intestatari degli immobili così come dai
dati catastali.
Il ruolo del notaio si arricchisce così di
un'ulteriore incombenza posto che gli è
affidato il compito di identificare gli
intestatari catastali e verificare la
conformità con le risultanze dei registri
immobiliari.
Il legislatore identifica gli atti oggetto
delle nuove disposizioni negli atti pubblici
e nelle scritture private autenticate tra
vivi che abbiano per oggetto il
trasferimento, la costituzione o lo
scioglimento di comunione di diritti reali
su fabbricati già esistenti, intesi come
unità immobiliari urbane:
- atti relativi al trasferimento di diritti
reali (anche per quota parte) con
riferimento ai contratti di compravendita,
permuta, transazione, rendita, donazione,
conferimento in società, assegnazione ai
soci per recesso o riduzione del capitale
della società o liquidazione;
- atti relativi alla costituzione e/o
rinuncia di diritti reali con riferimento
agli atti che costituiscono il diritto di
usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e
servitù;
- atti relativi allo scioglimento di
comunione di diritti reali acquisiti in
comune da più soggetti;
- atti relativi alla concessione/iscrizione
di ipoteca esistenti nel contratto di mutuo
ipotecario proposti dalla banca in sede di
stipula notarile.
Gli atti esclusi sono:
- atti posti in essere non tra vivi
(testamento);
- atti che non trasferiscono diritti reali
(i fondi patrimoniali, gli atti preliminari
di compravendita, gli atti di fusione,
scissione, trasformazione di società).
Appare evidente che la ratio della
nuova norma viene attuata da una parte
attribuendo alla fase di stipula una
maggiore azione di controllo
nell'individuare gli intestatari catastali
verificando la loro conformità con le
risultanze dei registri immobiliari e
dall'altra «istituzionalizzando» la
responsabilità degli stessi intestatari
attraverso anche una loro dichiarazione con
cui attestano che lo stato di fatto
dell'immobile è conforme ai dati catastali e
alle planimetrie.
Con riferimento invece alla tipologia degli
immobili oggetto delle nuove disposizioni,
si evidenzia che la norma parla di «edifici
già esistenti»; non si è stabilito quali
gli effetti in caso di dichiarazione di
conformità resa dal venditore diversa (per
dolo o per colpa) da quella reale
(articolo ItaliaOggi del 29.07.2010, pag.
28). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Scia mette il turbo alle nuove iniziative.
Norma antiburocrazia nella
manovra correttiva.
Con l'introduzione della Scia (segnalazione
certificata inizio attività) sarà più facile
iniziare un'attività d'impresa o edilizia.
La Scia sostituirà infatti la Dia, e le
amministrazioni avranno 60 giorni (e non più
30), per esercitare i controlli ed
eventualmente richiedere (se si accerta
carenza dei requisiti necessari) la
rimozione degli effetti dannosi, a cui
l'impresa dovrà provvedere entro 30 giorni.
La Scia quindi consiste in
un'autocertificazione che, tuttavia, non
potrà essere utilizzata nei casi in cui
sussistano vincoli ambientali, paesaggistici
o culturali o nell'ambito di quei
procedimenti in cui siano necessari atti
rilasciati dalle amministrazioni preposte
alla difesa nazionale, alla pubblica
sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla
cittadinanza, all'amministrazione della
giustizia, all'amministrazione delle finanze
(compresi gli atti concernenti le reti di
acquisizione del gettito, anche derivanti
dal gioco, nonché quelli imposti dalla
normativa comunitaria).
L'attività oggetto della segnalazione può
essere iniziata dalla data della
presentazione della segnalazione
all'amministrazione competente, senza
attendere 30 giorni, come accadeva prima
della riforma con la Dia.
Il legislatore ha inteso rispondere
all'esigenza di liberalizzazione
dell'attività d'impresa, istituendo una
«segnalazione certificata di inizio
attività» che sostituisce «ogni atto di
autorizzazione, licenza, concessione non
costitutiva, permesso o nulla osta comunque
denominato, comprese le domande per le
iscrizioni in albi o ruoli richieste per
l'esercizio di attività imprenditoriale,
commerciale o artigianale».
Dal punto di vista normativo, infatti, il
maxi-emendamento governativo ha introdotto
all'articolo 49 il comma 4-bis, il quale ha
sostituito integralmente l'art. 19 della
legge n. 241/90 (originariamente rubricato «Dichiarazione
di inizio attività»).
Correderanno la segnalazione (per quanto
riguarda tutti gli stati, le qualità
personali ecc.) le dichiarazioni sostitutive
di certificazioni e dell'atto di notorietà,
le attestazioni e le asseverazioni di
tecnici abilitati, ovvero le dichiarazioni
di conformità da parte delle agenzie delle
imprese (di cui all'art. 38, comma 4, dl n.
112/2008, convertito dalla legge n.
133/2008), relative alla sussistenza dei
requisiti e dei presupposti richiesti dalla
legge o da atti amministrativi a contenuto
generale.
Le autocertificazioni, attestazioni e
asseverazioni o certificazioni sostituiranno
anche l'acquisizione di pareri di organi o
enti appositi, ovvero l'esecuzione di
verifiche preventive.
Vincoli.
L'applicazione della nuova disciplina è
subordinata alle seguenti condizioni:
- che il rilascio dipenda esclusivamente
dall'accertamento di requisiti e presupposti
richiesti dalla legge o di atti
amministrativi a contenuto generale;
- che non sia previsto alcun limite o
contingente complessivo o specifici
strumenti di programmazione settoriale per
il rilascio degli atti stessi, con la sola
esclusione:
a) dei casi in cui sussistano vincoli
ambientali, paesaggistici o culturali;
b) per quei procedimenti in cui siano
necessari atti rilasciati dalle
amministrazioni preposte alla difesa
nazionale, alla pubblica sicurezza,
all'immigrazione, all'asilo, alla
cittadinanza, all'amministrazione della
giustizia, all'amministrazione delle
finanze, compresi gli atti concernenti le
reti di acquisizione del gettito, anche
derivante dal gioco, nonché di quelli
imposti dalla normativa comunitaria;
- che gli atti richiesti non riguardino le
attività economiche a prevalente carattere
finanziario, ivi comprese quelle regolate
dal testo unico bancario.
Divieti.
Il testo della manovra prevede anche
l'adozione di motivati provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell'attività, in
caso di accertata carenza dei requisiti e
dei presupposti. Il termine è fissato in 60
giorni dal ricevimento della segnalazione e
può contenere l'ordine di rimozione degli
eventuali effetti dannosi.
L'amministrazione può però anche fissare un
termine (in ogni caso non inferiore a 30
giorni) entro cui l'interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta
attività ed i suoi effetti.
In caso di dichiarazioni sostitutive di
certificazione e dell'atto di notorietà
false o mendaci, l'amministrazione, ferma
restando la responsabilità penale, potrà
sempre e in ogni tempo adottare i suddetti
provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell'attività e di rimozione degli eventuali
effetti dannosi.
Deroghe.
Decorso il predetto termine di 60 giorni,
l'amministrazione potrà intervenire solo in
presenza del pericolo di un danno grave e
irreparabile per il patrimonio artistico e
culturale, per l'ambiente, per la salute,
per la sicurezza pubblica o la difesa
nazionale e previo motivato accertamento
dell'impossibilità di tutelare comunque tali
interessi mediante conformazione
dell'attività dei privati alla normativa
vigente.
Dia.
Le nuove disposizioni stabiliscono che la
disciplina sulla Scia sostituirà
direttamente, dall'entrata in vigore della
legge di conversione del decreto legge,
quella della Dia (statale e regionale). La
disciplina sulla Scia che è stata
introdotta, infatti, è ricondotta alla
tutela della concorrenza ai sensi dell'art.
17, comma 2, lett. e), della Costituzione
(materia di competenza legislativa esclusiva
dello Stato), e costituisce livello
essenziale delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali ai sensi della
lettera m) del medesimo comma 2.
Ciò ha consentito di risolvere il problema
del rapporto con la disciplina della
dichiarazione di inizio di attività recata
da ogni normativa regionale. Inoltre, le
espressioni «segnalazione certificata di
inizio di attività» e «Scia» sostituiranno,
rispettivamente, quelle di «dichiarazione di
inizio di attività» e «Dia».
Semplificazioni.
In materia di semplificazione è stata
introdotta una normativa a cascata che tende
a ridurre gli adempimenti amministrativi
gravanti sulle Pmi, al fine di promuovere lo
sviluppo del sistema produttivo e la
competitività delle imprese. In particolare,
il governo sarà autorizzato ad adottare uno
o più regolamenti di delegificazione, volti
a semplificare e ridurre gli adempimenti
amministrativi a carico delle pmi, in base
ai seguenti principi e criteri:
a) proporzionalità degli adempimenti
amministrativi in relazione alla dimensione
dell'impresa e al settore di attività,
nonché alle esigenza di tutela degli
interessi pubblici coinvolti;
b) eliminazione di autorizzazioni, licenze,
permessi, ovvero di dichiarazioni,
attestazioni, certificazioni, comunque
denominati, nonché degli adempimenti
amministrativi e delle procedure non
necessarie rispetto alla tutela degli
interessi pubblici in relazione alla
dimensione dell'impresa ovvero alle attività
esercitate;
c) estensione dell'utilizzo
dell'autocertificazione, delle attestazioni
e asseverazioni dei tecnici abilitati nonché
delle dichiarazioni di conformità da parte
delle agenzie delle imprese (art. 38, comma
4, dl n. 112/2008);
d) informatizzazione degli adempimenti e
delle procedure amministrative, secondo la
disciplina del dlgs 82/2005 (codice
dell'amministrazione digitale);
e) soppressione delle autorizzazioni e dei
controlli per le imprese in possesso di
certificazione Iso o equivalente, per le
attività oggetto di tale certificazione;
f) coordinamento delle attività di controllo
al fine di evitare duplicazioni e
sovrapposizioni, assicurando la
proporzionalità degli stessi in relazione
alla tutela degli interessi pubblici
coinvolti.
Entrata in vigore.
I regolamenti in materia di Scia dovranno
essere emanati entro 12 mesi dall'entrata in
vigore della legge di conversione del dl
78/2010, ed entreranno in vigore il
quindicesimo giorno successivo alla loro
pubblicazione
(articolo ItaliaOggi
del 26.07.2010, pag. 10). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Permessi da documentare. I
dipendenti hanno diritto di assentarsi dal
lavoro per partecipare ai consigli. Se la
seduta non si apre basta la convocazione.
Un lavoratore
dipendente, consigliere circoscrizionale,
può usufruire dei permessi di cui all'art.
79 del decreto legislativo n. 267/2000
quando la seduta non viene dichiarata aperta
a causa dell'assenza del presidente e del
vicepresidente della commissione?
L'articolo 79, al comma 3, prevede per i
lavoratori dipendenti il diritto di
assentarsi per tutta la durata delle
riunioni degli organi di cui fanno parte per
la loro effettiva durata, compreso il tempo
per raggiungere il luogo della riunione e di
rientrare al posto di lavoro. Ulteriori
permessi non retribuiti, sino ad un massimo
di 24 ore lavorative mensili, sono previsti,
qualora sia necessario, al successivo comma
5, a prescindere dall'effettiva
partecipazione dell'amministratore alle
sedute, considerato che eventuali assenze
possono rivestire significato politico. Il
lavoratore dipendente dovrà comunque
documentare, come prescritto dal comma 6 del
citato art. 79, mediante attestazione
dell'ente, sia i permessi retribuiti che
quelli non retribuiti e, in caso di non
partecipazione alle sedute sarà sufficiente
la sola convocazione del consiglio comunale
(articolo ItaliaOggi
del 23.07.2010, pag. 35). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Incompatibilità del Sindaco.
Sussiste una causa di
incompatibilità, ai sensi dell'art. 63,
comma 1, n. 4 del dlgs n. 267/2000, nei
confronti del sindaco che ha taciuto
l'esistenza di presunte cause ostative
all'assunzione ed all'espletamento del
mandato elettivo?
La Corte di cassazione ha più volte ribadito
che l'espressione «essere parte di un
procedimento» va inteso in senso tecnico,
per cui la pendenza di una lite va accertata
con riferimento alla qualità di parte in
senso processuale; quindi, agli effetti
della sussistenza della causa di
incompatibilità della lite pendente con il
comune, non sono sindacabili i motivi del
giudizio pendente, dovendo unicamente
rilevarsi il dato formale ed obiettivo di
tale pendenza, che esaurisce ex se il
presupposto dell'incompatibilità (cfr. Cass.
civ., sez. I, 16.02.1991, n. 1666).
Secondo un orientamento giurisprudenziale
più recente è stato ritenuto che ad
integrare gli estremi della causa di
incompatibilità di cui al comma 1, n. 4 del
citato articolo 63, «non basta la pura e
semplice constatazione di un procedimento
civile o amministrativo nel quale risultino
coinvolti, attivamente o passivamente,
l'eletto o l'ente, ma occorre che a tale
dato formale corrisponda una concreta
contrapposizione di parti, ossia una reale
situazione di conflitto: solo in tal caso
sussiste l'esigenza di evitare che il
conflitto di interessi nella lite medesima
possa orientare le scelte dell'eletto in
pregiudizio dell'ente amministrativo, o
comunque possa ingenerare all'esterno
sospetti al riguardo» (cfr. Cass. civ.,
sez. I, 28.07.2001, n. 10335).
Resta, comunque, fermo che chiunque sia in
possesso di una potenziale notizia di reato
può direttamente investire la competente
autorità giudiziaria
(articolo ItaliaOggi
del 23.07.2010, pag. 35). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Versamento
dei contributi.
L'ente locale è tenuto
al versamento dei contributi obbligatori,
del Tfr, dei contributi per il fondo
integrativo pensioni, per il fondo di
solidarietà, e per il fondo di previdenza
complementare a favore di un assessore
provinciale che ha optato per l'aspettativa
non retribuita, presso il proprio datore di
lavoro?
L'art. 86 del dlgs 267/2000 attribuisce
all'ente locale l'onere di effettuare, per
gli amministratori che svolgono l'attività
lavorativa, i versamenti degli oneri
previdenziali, assistenziali e assicurativi
ai rispettivi istituti, dandone
comunicazione tempestiva al datore di
lavoro, secondo le diverse modalità
prescritte dai commi 1 e 2 del citato art.
86.
Il predetto adempimento è previsto al comma
1, per i lavoratori dipendenti collocato in
aspettativa non retribuita, e al comma 2 per
i lavoratori non dipendenti, intendendo per
tali i cosiddetti lavoratori autonomi.
Pertanto, nel caso di specie,
l'amministrazione locale è tenuta, per i
suoi amministratori, esclusivamente ai
suddetti versamenti in quanto ritenuti
obbligatori per legge a carico del datore di
lavoro
(articolo ItaliaOggi
del 23.07.2010, pag. 35). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Surroga.
La surroga, da parte del
consiglio comunale, di un consigliere
decaduto dalla carica è un atto necessario?
La reintegrazione del plenum del consiglio
con la surroga del consigliere decaduto
rappresenta adempimento prioritario ed
ineludibile. Il consolidato orientamento
della giurisprudenza e della dottrina
ritiene che la delibera di surroga
costituisca atto necessario e dovuto,
sottratto a qualsiasi relazione con la
discrezionalità amministrativa e con
l'indirizzo politico della maggioranza
espressi dall'assemblea consiliare
(articolo ItaliaOggi
del 23.07.2010, pag. 35). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: CONSIGLIO
DEI MINISTRI/Il preconsiglio ha esaminato un
dlgs sull'inquinamento sonoro. I limiti
acustici li detta lo Stato. Multe tra 500 e
20 mila euro. Un catasto per le fonti del
rumore.
Istituzione del Catasto
nazionale delle sorgenti di rumore,
definizione delle competenze in materia fra
stato e regioni cui spetterà dettare le
norme sulle autorizzazioni comunali per le
manifestazioni all'aperto; adeguamento delle
sanzioni da un minimo di 500 a un massimo di
20 mila euro; novità sulle modalità di
accesso e consultazione da parte del
pubblico relativamente ai piani di
classificazione acustica.
Sono questi i principali contenuti di uno
schema di decreto legislativo, andato in
settimana al vaglio del preconsiglio dei
ministri e presto all'esame di uno dei
prossimi Cdm.
La bozza di dlgs attua la delega
contenuta nell'articolo 11 della legge
88/2009 e coordina la normativa nazionale
con la direttiva comunitaria 49/2002. Il
decreto, fra le altre cose, prevede la
competenza dello stato nella determinazione
dei requisiti acustici da assicurare
all'interno dei mezzi di trasporto pubblici
collettivi, dei criteri per la
predisposizione di impatto acustico e delle
valutazioni di clima acustico e dei
requisiti acustici da assicurare all'interno
dei locali pubblici di ristorazione.
Spetterà invece alle regioni la definizione
delle modalità di rilascio delle
autorizzazioni comunali per lo svolgimento
di attività temporanee e di manifestazioni
in luogo pubblico o aperto al pubblico,
qualora esso comporti l'impiego di
macchinari o di impianti rumorosi.
Vengono previsti anche i contenuti dei «piani
di risanamento» e dei «piani di
contenimento e abbattimento del rumore»
in ipotesi particolari di impatto
paesaggistico ambientale, che potranno
prevedere, in accordo con le autorità
competenti alla approvazione e alla
autorizzazione per la realizzazione degli
interventi, un raggiungimento graduale nel
tempo dei limiti.
Il decreto stabilisce nuove norme per
l'accesso alle informazioni inerenti il
piano di classificazione acustica comunale,
il piano comunale di risanamento acustico e
le modalità di consultazione degli stessi
(anche informatiche); viene introdotto anche
l'obbligo di comunicazione, mediante avviso
pubblico, delle modalità di consultazione
dei piani.
Il decreto stabilisce anche le modalità di
presentazione del piano di risanamento degli
impianti industriali, prevedendo un termine,
non superiore a un periodo di 30 mesi, entro
il quale le imprese prevedono di adeguarsi
ai limiti previsti dalle norme della Legge
Quadro sull'inquinamento acustico e un
termine di sei mesi entro il quale la
Regione, sentite le Autorità competenti, ha
facoltà di apportare eventuali modifiche ed
integrazioni al piano di risanamento
acustico.
Viene istituito presso l'Ispra il «Catasto
nazionale delle Sorgenti di rumore», per
le cui modalità organizzative si rinvia a un
successivo decreto del ministro
dell'ambiente, di concerto con il ministro
delle infrastrutture e con il ministro dello
sviluppo economico, da emanare entro i 18
mesi.
Vengono anche aggiornate in euro le sanzioni
amministrative per chi supera i valori
limite e si prevede l'attribuzione al
ministero dell'ambiente, della facoltà di
comminare le sanzioni, nei casi di ritardo
nella presentazione dei piani di
contenimento ed abbattimento e dei progetti
di attuazione, nonché nei casi di ritardo
nella realizzazione degli interventi
previsti dai progetti esecutivi approvati.
Sono infine previsti diversi decreti
ministeriali di attuazione per la verifica
delle mappe acustiche di cui alla legge
194/2005 e per le campagne di monitoraggio.
Nel frattempo ieri è stata anche pubblicata
la norma UNI 11367 «Acustica in edilizia
- Classificazione acustica delle unità
immobiliari - Procedura di valutazione e
verifica in opera», norma volontaria che
prevede quattro differenti classi di
efficienza acustica: si va dalla classe 1,
che identifica il livello più alto (più
silenzioso), alla classe 4 che è la più
bassa (più rumoroso), applicabile per ogni
singola unità immobiliare.
Secondo Piero Torretta, presidente UNI «Come
tutte le norme tecniche di
prodotto/servizio, la norma UNI 11367 ha
posto al centro della sua attenzione il
consumatore, le sue esigenze, la sua tutela
nel rapporto con il mondo della produzione,
che -a sua volta- è impegnato a dare
informazioni sul tipo di prodotto che
realizza e immette sul mercato: in
particolare su quali sono le caratteristiche
e le prestazioni rispetto allo standard
definito dalla norma tecnica di riferimento»
(articolo ItaliaOggi
del 23.07.2010, pag. 22). |
EDILIZIA PRIVATA: Nuovi
edifici, d'obbligo la classificazione
acustica. Schema di decreto delegato a breve
in consiglio dei ministri.
Per i nuovi edifici sarà
previsto l'obbligo di indicare la
classificazione acustica all'atto di
acquisto dell'immobile, obbligatoria anche
per le ristrutturazioni; per gli edifici
esistenti la classificazione sarà
volontaria; la dimostrazione del rispetto
degli standard minimi dovrà essere
effettuata solo ed esclusivamente attraverso
verifiche acustiche al termine della
realizzazione dell'opera.
È quanto prevede, per tutte le nuove
costruzioni, ad eccezione degli edifici con
destinazione d'uso agricolo, industriale e
artigianale, lo schema di decreto
legislativo che dovrà a breve essere portato
all'attenzione del consiglio dei ministri in
vista della scadenza della delega prevista
dalla legge comunitaria per il 2009
(attualmente in attesa di pubblicazione),
fissata al 29 luglio.
Il provvedimento, messo a punto dai tecnici
del ministero dell'ambiente, ha lo scopo di
fissare criteri e metodologie per il
contenimento dell'inquinamento acustico da
rumore all'interno degli ambienti abitativi
(in particolare con riguardo alle sorgenti
sonore interne) e di definire gli obiettivi
di miglioramento progressivo della qualità
acustica degli edifici. Il tutto per
perseguire lo scopo della limitazione del
rischio di disturbo da rumore agli utenti,
all'interno degli edifici e nelle condizioni
di utilizzo dell'ambiente abitativo.
Il provvedimento abrogherà il Dpcm del
05.12.1997 sulla determinazione dei
requisiti acustici passivi degli edifici e
interverrà su tutte le fasi della filiera
realizzativa dei nuovi edifici.
Si prevede infatti che gli edifici debbano
essere progettati, costruiti e ristrutturati
in modo che gli elementi tecnici che
compongono gli ambienti abitativi abbiano
caratteristiche acustiche adeguate per
ridurre la trasmissione del rumore aereo,
del rumore impattivo e del rumore degli
impianti dell'edificio.
La novità principale consiste
nell'introduzione della classificazione
acustica delle unità immobiliari che sarà
obbligatoria per i nuovi edifici, e dovrà
essere riportata nell'atto di compravendita,
e volontaria per gli edifici esistenti. I
parametri di riferimento dovranno essere
determinati dai provvedimenti attuativi
della legge 447/1995, anche se per la
progettazione acustica degli edifici
risultano applicabili le norme tecniche
della serie UNI EN 12354 della norma UNI TR
11175.
La dimostrazione della rispondenza ai
requisiti minimi stabiliti da decreto
legislativo dovrà essere fornita in fase di
progetto e certificata solo ed
esclusivamente tramite verifiche acustiche
effettuate al termine della realizzazione
dell'opera. Dall'applicazione delle nuove
norme saranno esclusi i locali pubblici
destinati a spettacoli (auditorium, sale
musicali, teatri, cinema ecc.), in relazione
al trattamento acustico della sala e alla
rumorosità degli impianti, profili che fanno
riferimento ad altre specifiche tecniche.
Per gli interventi di modifica, sostituzione
e trasformazione dovranno essere adottate
soluzioni che non peggiorino i requisiti
acustici preesistenti; in caso di interventi
che comportino forti ripercussioni acustiche
sarà necessaria una attestazione di un
tecnico competente in acustica ambientale.
I valori di isolamento acustico previsti dal
decreto si applicheranno alle facciate e
agli ambienti interni; i comuni, se non
hanno una classificazione acustica del
territorio dovranno effettuare con tecnici
competenti misurazioni e valutazioni
acustiche per stabilire una ipotesi di
classificazione acustica per aree.
I comuni dovranno, per le nuove costruzioni,
chiedere al progettista/costruttore di
inserire il riferimento al decreto
legislativo che, all'allegato A prevede come
dovrà essere effettuata la classificazione
acustica delle unità immobiliari (ospedali,
scuole e edifici assimilabili, alberghi e
unità immobiliari)
(articolo ItaliaOggi
del 22.07.2010, pag. 20). |
PUBBLICO IMPIEGO: Inpdap
trasparente. Parte la sperimentazione.
Servizio a regime nel 2011. In arrivo
l'estratto conto online.
Arriva l'estratto conto online dell'Inpdap.
Anche i dipendenti della pubblica
amministrazione, così come quelli del
settore privato, potranno consultare
direttamente da casa la propria posizione
assicurativa semplicemente collegandosi al
sito dell'Inpdap.
Il servizio sarà attivato gradualmente, dopo
la fase di sperimentazione già partita in
otto enti locali dell'Umbria (i comuni di
Gualdo Tadino, Castiglione del Lago,
Marsciano, Amelia, Montecastrilli, Guardea e
Collazzone e l'Azienda Speciale Farmacie
Municipali di Terni).
Sarà poi la volta dei dipendenti di due
amministrazioni pubbliche per ogni regione,
mentre nel corso del 2011 la platea degli
iscritti che potrà fruire del servizio
estratto conto on-line aumenterà fino a
raggiungere tutti i pubblici dipendenti.
A regime ogni cittadino iscritto
all'Istituto guidato da Paolo Crescimbeni
potrà, da casa, visualizzare e stampare la
propria posizione assicurativa, così come
risulta dalla banca dati dell'Istituto
(estratto conto informativo). A questo
punto, se necessario, potrà richiedere,
tramite internet, alla sede Inpdap di
competenza le eventuali modifiche o
integrazioni dell'estratto conto (variazioni
anagrafiche, dei periodi di servizio, delle
retribuzioni, dei periodi riconosciuti).
L'iscritto avrà anche la possibilità di
visualizzare una simulazione di quello che
sarà il tasso di sostituzione tra l'ultimo
stipendio e la prima pensione futura.
Restano comunque invariati i canali
tradizionali attualmente vigenti per la
consultazione della propria posizione
assicurativa e l'eventuale inoltro di
richieste di variazione. L'iscritto,
infatti, per ottenere tali servizi può,
previo conferimento di mandato, rivolgersi
agli istituti di patronato o recarsi presso
la sede Inpdap.
L'iscritto Inpdap, dipendente di uno degli
enti pubblici che saranno via via abilitati,
può accedere al servizio attraverso un
codice personale di accesso (Pin) per
garantire la necessaria riservatezza nella
fruizione dei servizi in linea.
Per ottenere il Pin è sufficiente entrare,
dalla home-page di
www.inpdap.gov.it, in Servizi in linea,
Iscritti, Autoregistrazione e seguire le
indicazioni del sistema.
Una prima metà del codice viene rilasciata
automaticamente, l'altra metà viene inviata
per posta all'indirizzo di residenza
dell'iscritto. Lo stesso Pin, in futuro,
consentirà l'accesso anche ad altri «servizi
al cittadino»: l'estratto conto on-line
è il primo di questi a essere attivato
(articolo ItaliaOggi
del 20.07.2010, pag. 32). |
PUBBLICO IMPIEGO: Rischio-stress
per i dipendenti, ancora cinque mesi per
adeguarsi.
Altri cinque mesi per
adeguare le misure di sicurezza contro lo
stress sul lavoro. L'entrata in vigore delle
disposizioni del T.u. prevista per il
prossimo 1° agosto slitta al 31 dicembre.
Sia per le p.a., (già previsto dal dl n.
78/2010) che per le aziende.
La gestione del rischio stress da
lavoro-correlato ha fatto esordio nel T.u. (dlgs
n. 81/2008), che lo esplicita con
riferimento ai principi dell'accordo europeo
08.10.2004.
Le modifiche del dlgs n. 106/2009 hanno
stabilito che la valutazione del relativo
rischio deve essere effettuata nel rispetto
di specifiche indicazioni da elaborarsi a
cura della Commissione consultiva permanente
e che il nuovo obbligo di valutazione del
rischio stress, per aziende e p.a., decorre
dall'01.08.2010, termine che, con
l'approvazione della manovra correttiva,
slitterà al 31/12/2010.
La manovra dà poi altri 12 mesi di tempo per
«l'individuazione delle effettive
particolari esigenze connesse al servizio
espletato o alle peculiarità organizzative»,
che devono essere individuate con appositi
decreti interministeriali.
La norma interessa le forze armate e di
polizia, i vigili del fuoco, i servizi di
protezione civile, le strutture giudiziarie
penitenziarie, le università, gli istituti
di istruzione, l'arma dei carabinieri, le
forze di polizia. Il termine prorogato (di
un anno) era stabilito il 24 mesi
dall'entrata in vigore del T.u. (15.05.2008)
(articolo ItaliaOggi
del 19.07.2010, pag. 3). |
ENTI LOCALI:
Nei piccoli comuni unioni
obbligate da subito. Al via da settembre la
gestione associata delle funzioni generali.
Entro settembre i comuni con meno di 5mila
abitanti dovranno gestire in forma
associata, tramite unioni o convenzioni, la
gran parte delle proprie funzioni ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 19.07.2010, pag. 12). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ I circondari in soffitta. Il dl
2/2010 lega le mani alle province.
Prioritari i conti pubblici. No alle
previsioni statutarie in contrasto.
La norma di cui all'art. 1, comma 1-ter, del
decreto legge 25/1/2010 n. 2, come
convertito dalla legge n. 42 del 26 marzo, è
applicabile anche ad una provincia, il cui
territorio è attualmente suddiviso in
circondari, che sostiene che tale
organizzazione non incide sui costi dei
servizi?
La disposizione richiamata, inserendo il
comma 185-bis dell'art. 2 della legge
finanziaria 2010 (legge 191/2009), ha
stabilito la soppressione dei «circondari
provinciali esistenti» e l'abrogazione
dei commi 1 e 2 dell'art. 21 del Touel, che
prevedevano la possibilità di suddividere il
territorio provinciale in circondari, di
istituire l'assemblea dei sindaci e di
nominare un presidente.
La particolare valenza della nuova
disciplina deriva dalle finalità perseguite
dal legislatore di tutela di interessi
generali in materia di politiche di bilancio
statali, trattandosi di disposizioni volte
al contenimento della spesa pubblica.
Pertanto, le previsioni statutarie
contrastanti con tali norme non sono
consentite, indipendentemente dalla esiguità
o meno delle spese sostenute da ciascuna
Provincia per i costi dei servizi e per gli
eventuali emolumenti spettanti ai
consiglieri di circondario.
In proposito la Corte costituzionale (sent.
n. 64/2005) ha ritenuto non contestabile il
potere statale di imporre agli enti
autonomi, per ragioni di coordinamento
finanziario connesse agli obiettivi
nazionali ed agli obblighi comunitari,
vincoli alle politiche di bilancio pur se
questi si traducono inevitabilmente, per i
riflessi di natura organizzativa, in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa
degli enti
(articolo ItaliaOggi
del 09.07.2010, pag. 38). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Vicesindaco in consiglio.
Il vicesindaco, in funzione vicaria del
sindaco deceduto, può partecipare, con
diritto di voto, alle sedute del consiglio,
in un comune con popolazione superiore ai 15
mila abitanti?
Il Consiglio di stato, con parere n. 94/1996
del 21/02/1996, da ritenersi tuttora attuale
non essendo intervenuta alcuna innovazione
legislativa, ha ritenuto che nei comuni con
popolazione superiore a 15 mila abitanti, in
cui vige la regola dell'incompatibilità tra
la carica di assessore e quella di
consigliere, il vicesindaco non può far
parte del consiglio, con diritto di voto.
Ciò in quanto non pare concepibile che tali
funzioni «vengano esercitate di volta in
volta dal sindaco o da chi ne fa
occasionalmente le veci, in pratica da un
delegato. Nel nostro ordinamento, infatti,
non è ammessa delega o sostituzione nelle
funzioni di componente delle assemblee
elettive».
Il Supremo consesso è intervenuto nuovamente
sulla tematica concernente i poteri del
vicesindaco (sez. I, parere n. 501 del
14/6/2001) e, pur non soffermandosi sulla
specifica questione, non ha contraddetto la
precedente pronuncia.
Trova, pertanto, conferma l'orientamento
secondo il quale il vicesindaco, in caso di
decesso del sindaco, non può esercitare le
funzioni di componente, con diritto di voto,
del consiglio comunale
(articolo ItaliaOggi
del 09.07.2010, pag. 38). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Ineleggibilità consiglieri.
Può considerarsi ineleggibile un consigliere
di un ente che voglia candidarsi sindaco
presso un altro comune ?
L'art. 60, comma 1, n. 12 del decreto
legislativo 267/2000 prevede
l'ineleggibilità alla carica di sindaco, di
presidente della provincia, di consigliere
comunale, provinciale e circoscrizionale,
per chi riveste le stesse cariche,
rispettivamente in altro comune, provincia o
circoscrizione.
La norma sembrerebbe stabilire, con il
termine «rispettivamente», una
correlazione tra la tipologia di cariche,
sancendo l'ineleggibilità alla carica di
sindaco per chi è sindaco in altro comune, e
l'ineleggibilità alla carica di consigliere
comunale per chi riveste la medesima carica
in altro comune e non anche per chi ricopre
le altre cariche indicate nella norma.
Tuttavia la I Sezione della Corte di
cassazione, in data 20/05/2006, con sentenza
n. 11894, si è pronunciata a favore
dell'ipotesi di ineleggibilità alla carica
di sindaco per chi ricopre la carica di
consigliere in altro comune. In senso
conforme all'indirizzo enunciato dalla Corte
di cassazione, si è recentemente espressa
l'Avvocatura generale dello Stato.
Pertanto, alla luce del nuovo orientamento
giurisprudenziale, nella fattispecie ricorre
l'ipotesi di ineleggibilità di cui al citato
art. 60, comma 1, n. 12 del decreto
legislativo n. 267/2000
(articolo ItaliaOggi
del 09.07.2010, pag. 38). |
PUBBLICO IMPIEGO: Il
codice disciplinare è ok anche fuori
bacheca. Il recente orientamento della Corte
di Cassazione, che conferma e anzi supera
Brunetta. Pubblicazione non necessaria per
contestare una violazione.
Il ministro della funzione pubblica, Renato
Brunetta, integrando la vigente legislazione
sul rapporto di lavoro di lavoro dei
dipendenti statali, ha previsto che non
occorre che il codice disciplinare sia
pubblicato in un luogo accessibile a tutti i
lavoratori, basta che sia conoscibile
attraverso il sito web dell'istituzione di
appartenenza (art. 55, secondo comma, d.l.
165/2001, come sostituito dall'art. 68 del d
decreto legislativo 150/2009).
Tale previsione ha carattere imperativo e
non può essere derogata dai contratti di
lavoro. Per la validità di una sanzione
disciplinare, a parte il rispetto degli
altri requisiti di merito e di diritto,
d'ora in poi non occorre più verificare che
vi sia stata e continui a esserci la
pubblicazione del codice in un determinato
ambiente fisico.
La Cassazione è andata oltre, e senza
bisogno di modificare legislazione e norme
contrattuali. Con una sentenza da poco
depositata in cancelleria, la n. 11250/2010,
la sezione lavoro dell'alta corte ha
stabilito che l'affissione del codice
disciplinare non costituisce requisito
essenziale per l'applicazione della sanzione
disciplinare, quando l'infrazione riguarda «doveri
previsti dalla legge o comunque appartenenti
al patrimonio deontologico di qualsiasi
persona onesta». Detto in altre parole,
quando «l'illiceità della violazione, per
l'evidente contrasto con la coscienza comune
e con le regole fondamentali del vivere
civile, [può] essere conosciuta e apprezzata
dal lavoratore senza bisogno di previo
avviso».
La sentenza è stata emessa nei confronti di
un lavoratore del settore privato ma il
principio enunciato è estensibile anche al
pubblico impiego, al quale, dopo la sua
privatizzazione, si applicano le stesse
regole.
In particolare l'art. 7 dello statuto dei
lavoratori, che rappresenta la fonte da cui
derivano le diverse prescrizioni
contrattuali aventi lo stesso contenuto o
contenuto analogo: «Le norme disciplinari
relative alle sanzioni, alle infrazioni in
relazione alle quali ciascuna di esse può
essere applicata ed alle procedure di
contestazione delle stesse, devono essere
portate a conoscenza dei lavoratori mediante
affissione in luogo accessibile a tutti»
(legge n. 300/1970).
A suo tempo, una sanzione disciplinare,
comminata nel rispetto del contraddittorio e
motivata nel merito, poteva essere revocata
dal giudice del lavoro, se accertava la
mancata, preventiva pubblicazione del
codice.
E ciò è accaduto spesso nei quindici anni
dal primo contratto scuola nei confronti del
personale Ata della scuola (il codice
disciplinare dei docenti non è stato ancora
contrattualizzato), per il quale la norma
relativa, l'ultimo comma dell'art. 95 del
vigente contratto di lavoro, stabilisce
addirittura che nessun'altra forma di
pubblicità può sostituire l'affissione.
Adesso, disposizioni imperative di legge e
pronunce giurisprudenziali convergono in un
unico punto, quello di ridurre le formalità
preliminari all'instaurazione di un
procedimento disciplinare. Il caso, preso in
considerazione dalla Cassazione, riguarda un
maître d'albergo, licenziato perché da oltre
un mese non si presentava sul posto di
lavoro per assumere servizio.
Il licenziamento era fondato nel merito e lo
era anche sotto il profilo del rispetto
delle formalità richieste, ha sentenziato la
Cassazione. I fatti sono stati regolarmente
contestati, è stato accertato che
effettivamente il lavoratore si era
immotivatamente assentato né aveva dato
accettabili giustificazioni.
Se non ci si presenta sul posto di lavoro
per un prolungato lasso di tempo e non si dà
conto del proprio comportamento, si deve
sapere che esso è sanzionabile, a
prescindere da considerazioni su
pubblicazione o meno del codice disciplinare
(articolo ItaliaOggi
del 06.07.2010, pag. 38). |
AUTORITA'
CONTRATTI PUBBLICI |
INCARICHI PROGETTUALI: Progettisti
in gara, senza trucchi. Riferimento alle
tariffe e un argine alla pratica dei
ribassi. Una determinazione dell'Authority
lavori pubblici sui servizi di ingegneria e
architettura.
Maggiore dettaglio nella
definizione dei corrispettivi a base di gara
per la progettazioni; riferimento alle
tariffe professionali; accurata verifica
delle offerte anomale, riduzione
dell'incidenza dei ribassi offerti dai
progettisti; maggiore qualità nelle offerte.
Sono questi alcuni degli obiettivi che
intende perseguire l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici con la
determinazione
27.07.2010 n. 5 sui servizi di
ingegneria e architettura, che fa seguito ai
lavori condotti da un apposito tavolo
tecnico, coordinato dal consigliere Giuseppe
Borgia, cui hanno partecipato rappresentanti
degli ordini professionali, delle
associazioni di categoria interessate e del
Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti.
Il provvedimento (corredato da dieci
tabelle) fornisce indicazioni e chiarimenti
sulle disposizioni vigenti relative alle
modalità di affidamento, alla determinazione
dell'importo a base di gara,
all'individuazione dei requisiti di
partecipazione e dei criteri di
aggiudicazione dell'offerta, prestando
particolare attenzione al procedimento di
verifica della congruità delle offerte.
Il presupposto di questo articolato e
accurato lavoro è la rilevata disomogeneità
delle procedure utilizzate dalle stazioni
appaltanti e il frequente ricorso ai ribassi
sproporzionati da parte degli operatori
economici.
Per fare fronte a questi profili
critici l'organismo di vigilanza presieduto
da Giuseppe Brienza ha preso in
considerazione, fra i tanti, il tema,
delicatissimo, della definizione
dell'importo a base di gara ribadendo, nella
sostanza, l'opportunità di fare riferimento
al d.m. 04.04.2001, le cui tariffe devono
essere ritenute «motivatamente adeguate»
proprio in quanto approvate con legge.
Ciò detto, le linee guida chiedono alle
stazioni appaltanti di applicare il decreto
del 2001 in maniera chiara ed analitica,
affinché il corrispettivo sia «congruo in
rapporto alla natura e complessità dei
servizi da affidare e alla qualità delle
prestazioni attese».
A tale fine le stazioni appaltanti dovranno
prevedere nei documenti di gara una
descrizione analitica delle prestazioni
professionali e dei loro costi, seguendo le
indicazioni contenute nelle tabelle allegate
alle linee guida, ove è indicata per ogni
prestazione progettuale la suddivisione
della corrispondente aliquota parziale
prevista dal decreto ministeriale.
In sostanza l'Autorità chiede alle
amministrazioni di allegare al bando
l'elenco degli elaborati richiesti con i
relativi costi Se quindi la stazione
appaltante dovrà suddividere ogni
prestazione definendone anche la percentuale
di costo, in sede di predisposizione delle
offerte da parte dei progettisti e di
verifica delle stesse sarà possibile
effettuare in maniera più accurata l'analisi
delle eventuali anomalie di ribasso.
Quindi, al dettaglio dei documenti posti a
base di gara dalla stazione appaltante dovrà
corrispondere una più adeguata verifica
delle offerte anomale (ad oggi le gare di
servizi di ingegneria e architettura
registrano il 37% di ribasso medio, con
punte anche del 70/75 %).
Tutto ciò dovrebbe essere evitato anche
perché le linee guida suggeriscono di
applicare, anticipando il nuovo regolamento
del Codice, una formula di attribuzione dei
punteggi (allegato M dello schema di
regolamento) che dovrebbe disincentivare il
fenomeno dei ribassi eccessivi.
Una particolare attenzione viene posta anche
al contenuto delle relazioni metodologiche,
nonché alla valutazione dei servizi analoghi
(per i quali una tabella, la n. 1,
stabilisce quali prestazioni devono
ritenersi assimilabili in base all'articolo
14 della legge 143/1949).
Sono anche previste alcune indicazioni
dedicate ai concorsi di idee e di
progettazione, per i quali si richiama la
necessità di indicare nel bando di concorso
l'eventuale affidamento degli sviluppi
progettuali al vincitore del concorso,
previa anche indicazione dei requisiti
richiesti per lo svolgimento dei servizi
successivi; in ogni caso è precisato che nel
concorso non può essere valutata l'offerta
economica ma solo la qualità dell'elaborato
presentato.
Diverse le precisazioni sui requisiti di
partecipazione alle gare, per i quali sono
applicabili l'articolo 63 del dpr 554/1999 e
l'articolo 66 dello stesso dpr, nell'ottica
di garantire la par condicio ed evitare
restrizioni della concorrenza attraverso
requisiti limitativi incongrui
(articolo
ItaliaOggi del 29.07.2010 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Disciplina
dei pagamenti nei contratti pubblici di
forniture e servizi (pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale - Serie Generale - del
28.07.2010 n. 174)
(determinazione
07.07.2010 n. 4 - link a
www.autoritalavoripubblici.it).
Il Consiglio Ritiene che:
•
le stazioni appaltanti devono attenersi
nella redazione dei documenti di gara,
nonché dei documenti contrattuali, alle
disposizioni previste dal decreto
legislativo 09.10.2002, n. 231 con riguardo
ai termini di pagamento, alla decorrenza
degli interessi moratori ed al saggio di
interessi applicabile in caso di ritardo.
• le stazioni appaltanti non possono
subordinare la partecipazione alle procedure
di gara o la sottoscrizione del contratto
all’accettazione di termini di pagamento, di
decorrenza degli interessi moratori e misura
degli interessi di mora difformi da quelli
previsti dal decreto legislativo 09.10.2002,
n. 231, né prevedere tale accettazione come
elemento di favorevole valutazione delle
offerte tecniche nell’ambito del criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa. |
LAVORI PUBBLICI: Procedimento
per il rilascio del nulla osta a nuova
attestazione di qualificazione SOA su
istanza dell’impresa cui sia stata
dichiarata decaduta l’attestazione a seguito
di accertamento di false dichiarazioni;
indicazioni interpretative dell’articolo 17,
comma 1, lett. m), del d.P.R. 25.01.2000, n.
34
(determinazione
03.06.2010 n. 3 - link a
www.autoritalavoripubblici.it).
Il Consiglio Ritiene che:
1.
decorso il termine di un anno
dall’inserimento nel casellario della
notizia della decadenza o del diniego
dell’attestazione per false dichiarazioni o
per la presentazione di falsa
documentazione, l’impresa interessata può
attestarsi al ricorrere dei presupposti
previsti per il rilascio dell’attestazione
di qualificazione;
2.
l’Autorità, in quanto organo terzo ed
imparziale, è il soggetto deputato a
ricevere e valutare l’istanza dell’impresa
cui sia stata dichiarata decaduta o negata
l’attestazione di qualificazione SOA per
aver prodotto falsa documentazione o reso
dichiarazioni mendaci, volta al rilascio del
nulla osta al fine di ottenere una nuova
attestazione;
3.
l’accertamento in merito alla non
riferibilità all’impresa del falso tiene
conto della nozione civilistica di
imputabilità, assumendo rilievo la
commissione del fatto con violazione degli
ordinari parametri di diligenza; in tal
senso, l’impresa è responsabile degli atti
posti in essere da soggetti rappresentativi
della stessa o da suoi dipendenti o da
soggetti terzi formalmente qualificati ad
agire per conto e nell’interesse
dell’impresa, come specificato nella
presente determinazione;
4.
in caso di trasferimento di azienda o di un
ramo di essa, la verifica è volta ad
accertare la non imputabilità al soggetto
cessionario della falsa documentazione
riconducibile al soggetto cedente o la buona
fede dell’impresa cessionaria nell’utilizzo
dei requisiti dell’impresa cedente;
5.
si conferma il divieto stabilito con la
determinazione n. 5/2003 per effetto del
quale non e' ammissibile la qualificazione
di un'impresa che utilizzi i requisiti di
altra impresa cui sia stata dichiarata
decaduta l'attestazione SOA, durante l'anno
di interdizione dalla partecipazione alle
gare e dalla stipula di un nuovo contratto
di attestazione, fatto salvo l’avvenuto
accertamento della non imputabilità in capo
all’impresa cessionaria;
6.
gli organismi di attestazione, al fine di
verificare l’operatività del divieto di cui
al precedente punto 5, oltre a consultare il
Casellario per riscontrare la presenza a
carico della cedente di eventuali
annotazioni di decadenza dell’attestato per
falsa documentazione, dovranno accertare,
con l’utilizzo dei supporti informatici o
presso la SOA della cedente, che non sia
stato avviato il procedimento ex art. 40,
comma 9-ter del Codice.
Tale verifica deve risultare agli atti del
fascicolo contenente tutta la documentazione
relativa all’attestazione dell’impresa. |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI:
Sulla conformità alla normativa
comunitaria della proroga del periodo
transitorio per la cessazione anticipata di
una concessione di distribuzione del gas
naturale.
La normativa comunitaria, secondo la Corte
di Giustizia, non osta a che la normativa
nazionale preveda il prolungamento della
durata del periodo transitorio per la
cessazione anticipata di una concessione di
distribuzione del gas naturale purché tale
proroga possa essere considerata necessaria
(tale è la prospettiva sottostante alla
previsione legislativa di un periodo
transitorio) a permettere di sciogliere i
rapporti contrattuali a condizioni
accettabili sia dal punto di vista delle
esigenze del servizio pubblico, sia dal
punto di vista economico (cfr. Corte
giustizia CE, sez. II, 17.07.2008, n. 347).
La pronunzia della Corte di Giustizia ha
risolto quindi il dubbio sulla compatibilità
della normativa comunitaria con la normativa
nazionale e la previsione in questa ultima
di un periodo transitorio riconoscendo ai
vari soggetti interessati un periodo di
tempo adeguato per ammortizzare gli effetti
negativi derivanti dalla risoluzione dei
rapporti concessori in essere e per
predisporre gli atti di gare ad evidenza
pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.07.2010 n. 4873 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Indagine
preliminare sulla contaminazione -
Superamento delle CSC - Obbligo di
presentare il piano di caratterizzazione -
Riesame o verifica supplementare - Diritto
del responsabile dell’inquinamento -
Esclusione.
Se la legge (art. 242 d.lgs. n. 152/2006)
prevede che l’indagine preliminare sulla
contaminazione venga effettuata entro certi
termini, e se i risultati (correttamente
ottenuti, secondo quanto previsto
dall’allegato II della Parte IV del Titolo
V, del d.lgs. 152/2006) di detta indagine
attestano l’esistenza dei presupposti per
l’obbligo di presentare il piano di
caratterizzazione del sito inquinato, non è
necessario procedere ad un riesame,
concedendo al responsabile dell’evento
inquinante una sorta di seconda chance, che
si tradurrebbe in una disapplicazione del
principio comunitario del “Chi inquina
paga”, e della disciplina nazionale che
ne ha stabilito tempi e modalità attuative,
e comporterebbe un aggravamento del rischio
di danno per l’ambiente.
Anche nella prospettiva del giudizio di
ragionevolezza di una disciplina legislativa
che prevede termini e passaggi
procedimentali cogenti (escludendo, quindi,
un diritto del responsabile a riesami o
verifiche supplementari), va considerato che
l’effettuazione di un piano di
caratterizzazione ha un costo (nel caso in
esame, di qualche migliaio di euro)
evidentemente sostenibile, a fronte del
rischio e del possibile danno che
deriverebbe da un ritardo nell’avanzamento
del procedimento finalizzato alla
(eventuale) bonifica del sito contaminato
TAR Umbria, Sez. I,
sentenza 24.07.2010 n. 416 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fascia di rispetto stradale e
autostradale - Artt. 16, 17 e 18 C.d.S. e
Artt. 26-28 Regolamento di attuazione -
Limiti all’edificazione - Finalità -
Parcheggi pertinenziali - Disciplina ex art.
6 L.r. Campania n. 19/2001 - Applicabilità -
Esclusione.
L'esistenza di limiti all'edificazione da
rispettare con riferimento al nastro di
autostrade e strade, tanto fuori del centro
abitato che nell'ambito di quest'ultimo,
deriva direttamente dalla normativa del
Codice della Strada (artt. 16, 17, e 18
Decr. Leg.vo 285/1992) e del suo Regolamento
di attuazione (artt. 26, 27, e 28 D.P.R.
495/1992).
Il limite in questione è finalizzato a
mantenere una fascia di rispetto
utilizzabile per l'esecuzione di lavori,
l'impianto di cantieri, l'eventuale
allargamento della sede stradale, e per
evitare possibili pregiudizi alla
percorribilità della via di comunicazione;
per cui le relative distanze vanno
rispettate anche con riferimento ad opere
che non superino il livello della sede
stradale (cfr. Cons. di Stato sez. IV, n.
7275 del 23.12.2002; Cons. di Stato sez. IV,
n. 5716 del 18.10.2002; TAR Campania-Napoli
n. 5226 del 05.12.2001).
Sulla base di tali premesse deve allora
escludersi che possa trovare applicazione la
speciale disciplina prevista dall'art. 6 L.
Reg. Campania 19/2001 in tema di parcheggi
pertinenziali: il comma 8 assicura la
prevalenza di essa rispetto alle sole
disposizioni dei Regolamenti edilizi
comunali, ma non può superare previsioni che
promanano da norme primarie anch'esse
speciali.
Fascia di rispetto
autostradale - Tutela dell’incolumità
pubblica - Applicabilità dell’istituto del
silenzio-assenso - Esclusione. - Art. 19, c.
4, L. n. 241/1990.
La fascia di rispetto autostradale,
disciplinata dall’art. 18 del codice della
strada e dall’art. 28, comma 1, del relativo
regolamento, che ne hanno fissato l'ampiezza
in metri 30, è prevista al fine di evitare
possibili pregiudizi alla percorribilità
delle strade e per assicurare l’incolumità
non solo dei conducenti dei veicoli, ma
anche della popolazione che risiede vicino
alle autostrade.
Trattandosi, quindi, di un divieto che ha la
funzione di assicurare l'incolumità
pubblica, non può trovare applicazione il
meccanismo del silenzio assenso, in virtù
dell’espressa esclusione sancita
dall'articolo 19, comma 4, della legge
241/1990 (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 23.07.2010 n. 16967 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Parcheggio interrato - Permesso
di costruire Necessità - Vincolo di
pertinenzialità - Vincoli gravante sull’area
- Contrasto del vincolo - Illegittimità del
permesso di costruire - Artt. 10 e 3, 1° c.,
lett. e), D.P.R. n. 380/2001.
Deve essere assentito mediante permesso di
costruire, un parcheggio interrato anche se
realizzato con vincolo di pertinenzialità da
perfezionare in un momento successivo alla
costruzione.
Inoltre, il rilascio del permesso di
costruire è subordinato al rispetto della
normativa vincolistica gravante sull’area.
Sicché, è illegittimo il permesso di
costruire, rilasciato in contrasto del
vincolo gravante sull’area.
Piano dei parcheggi -
Funzione - Localizzazioni e dimensionamenti
- Priorità di intervento e tempi di
attuazione - Art. 3 L. n. 122/1989.
Il piano dei parcheggi ha una funzione del
tutto differente da quella del piano
particolareggiato. Il piano
particolareggiato, attua le previsioni di
massima dello strumento urbanistico generale
collocandole nella realtà di una specifica
porzione del territorio comunale.
Ed anche il piano dei parcheggi costituisce
strumento attuativo del piano generale, ma
nel diverso senso del soddisfacimento
coordinato di quella necessità pubblica
nell’ambito di tutto il territorio comunale.
Pertanto, ai sensi dell’art. 3 della legge
24.03.1989, n. 122, il piano dei parcheggi
deve tra l'altro indicare le localizzazioni
ed i dimensionamenti, le priorità di
intervento ed i tempi di attuazione,
privilegiando le realizzazioni volte a
favorire il decongestionamento dei centri
urbani mediante la creazione di parcheggi
finalizzati all'interscambio con sistemi di
trasporto collettivo e dotati anche di aree
attrezzate per veicoli a due ruote, nonché
le disposizioni necessarie per la
regolamentazione della circolazione e dello
stazionamento dei veicoli nelle aree urbane
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.07.2010 n. 4801 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Stazione radio base - Nota comunale con cui
si prospetta la necessità di sottoposizione
a VIA del progetto - Decorso dei quindici
giorni di cui all’art. 87, c. 5, del codice
delle comunicazioni - Idoneità ad
interrompere il decorso del termine per la
formazione del silenzio assenso - Esclusione
- Provvedimento sospensivo - Illegittimità.
La nota comunale con cui, successivamente al
decorso dei quindici giorni dalla
presentazione dell’istanza per la
realizzazione di una stazione radio base,
viene prospettata la sussistenza della
necessità di assoggettare a procedura di VIA
il progetto prodotto a corredo della
domanda, senza tuttavia richiedere, come
previsto dalla legge, alcuna integrazione di
atti o documenti, non è idonea ad
interrompere la formazione del provvedimento
assentivo per silentium di cui
all’art. 87, nono comma, del codice delle
comunicazioni elettroniche.
Pertanto, una volta intervenuto detto
provvedimento di assenso, deve ritenersi
l’illegittimità del provvedimento di
sospensione, di per sé inidoneo a provocare
effetti inibitori su una fattispecie legale
ormai integrata da tutti i suoi elementi
costitutivi (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.07.2010 n. 4785 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - M.I.S.E. -
Presupposti - D.lgs. n. 22/1997 (oggi d.lgs.
n. 152/2006) - Situazione improvvisa di
inquinamento - Misure immediate di rimozione
o di contenimento della diffusione degli
inquinanti - Diffida - Omessa motivazione in
ordine ai rischi da fronteggiare -
Illegittimità.
Ai sensi del D.Lgs. n. 22/1997 e del D.M. n.
471/1999, l’imposizione degli interventi di
messa in sicurezza di emergenza si
giustifica unicamente ove occorra porre
riparo a situazioni improvvise di
inquinamento, tali da richiedere misure
immediate di rimozione e comunque
contenimento della diffusione degli
inquinanti, in attesa della bonifica o della
messa in sicurezza permanente (fra le altre,
cfr. TAR Toscana, sez. II, 06.05.2009, n.
762, in tema di m.i.s.e. ordinata ai sensi
delle analoghe disposizioni ora contenute
D.Lgs. n. 152/2006).
La totale assenza di motivazione in ordine
alla configurabilità di rischi da
fronteggiare in via d’urgenza vizia dunque
la diffida ad eseguire le opere di M.I.S.E.
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 21.07.2010 n. 3140
- link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: In
merito all'accesso agli atti, nessuna norma
impone al privato, a pena di rigetto
dell’istanza di accesso, di corredarla di
copia del documento d’identità e di
presentarla all’Ufficio relazioni con il
pubblico.
Nessuna norma impone al privato, a pena di
rigetto dell’istanza di accesso, di
corredarla di copia del documento d’identità
e di presentarla all’Ufficio relazioni con
il pubblico; peraltro eventuali disposizioni
regolamentari ed interne di questo tipo non
potrebbero in ogni caso essere
formalisticamente interpretate siccome
preclusive dell’accoglimento dell’istanza,
poiché il rapporto tra privato cittadino e
Pubblica Amministrazione deve essere
improntato alle regole di leale
collaborazione, partecipazione e buona fede,
sicché graverebbe comunque
sull’Amministrazione l’onere di invitare il
privato a regolarizzare la propria istanza
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 19.07.2010 n. 8689 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE - URBANISTICA: Sono
indennizzabili soltanto i vincoli
urbanistici preordinati all'espropriazione o
di carattere sostanzialmente espropriativo,
in quanto implicanti uno svuotamento
incisivo della proprietà; mentre non lo sono
i vincoli di destinazione imposti dal piano
regolatore per attrezzature e servizi
realizzabili anche ad iniziativa privata o
promiscua, in regime di economia di mercato,
anche se accompagnati da strumenti di
convenzionamento (ad. es. parcheggi,
impianti sportivi, mercati e strutture
commerciali, edifici sanitari, zone
artigianali, industriali o residenziali).
Secondo la giurisprudenza -costituzionale e
di legittimità- in materia, sono
indennizzabili soltanto i vincoli
urbanistici preordinati all'espropriazione o
di carattere sostanzialmente espropriativo,
in quanto implicanti uno svuotamento
incisivo della proprietà; mentre non lo sono
i vincoli di destinazione imposti dal piano
regolatore per attrezzature e servizi
realizzabili anche ad iniziativa privata o
promiscua, in regime di economia di mercato,
anche se accompagnati da strumenti di
convenzionamento (ad. es. parcheggi,
impianti sportivi, mercati e strutture
commerciali, edifici sanitari, zone
artigianali, industriali o residenziali)
(cfr. Corte cost. 20.05.1999 n. 179; Cons.
Stato IV, 29.08.2002 n. 4340, 30.06.2005 n.
3524)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 19.07.2010 n. 3123 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - AIA - Durata
del’autorizzazione - 5 anni - Autorizzazioni
rimaste inutilizzate per un tempo
corrispondente - Decadenza - Formazione di
diritti quesiti in capo ai soggetti
precedentemente autorizzati - Esclusione.
L’AIA ha (nella maggior parte dei casi) una
durata limitata a 5 anni, che può essere
ulteriormente ridotta qualora siano nel
frattempo intervenute variazioni sostanziali
nelle migliori tecniche disponibili (art. 9
del D.lgs. 59/2005).
Se dunque una volta trascorsi 5 anni il
valore dell’autorizzazione decade e il
soggetto che ha realizzato l’impianto deve
subire una verifica sulla base della nuova
normativa tecnica, la stessa regola deve
essere applicata nel caso in cui
l’autorizzazione non sia stata utilizzata
per un corrispondente periodo di tempo.
Considerata la natura degli interessi
pubblici coinvolti (salute dei cittadini,
integrità dell’ambiente) non vi sono ragioni
per garantire un migliore trattamento alle
autorizzazioni rimaste inutilizzate,
indipendentemente dalla causa all’origine
dell’inattività.
Dunque fa ormai parte dei principi
dell’ordinamento la regola secondo cui le
autorizzazioni di attività che hanno come
esternalità la produzione di inquinanti
devono avere durata limitata nel tempo e
carattere recessivo rispetto ai
miglioramenti tecnici in grado di limitare
l’inquinamento.
Sotto questi profili non possono formarsi
diritti quesiti in capo ai privati
precedentemente autorizzati (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 19.07.2010 n. 2484 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
CONCESSIONE EDILIZIA: AVVIO E FINE DEI
LAVORI.
Concessione - Decadenza
- Mancata prova dell'avvio dei lavori entro
un anno dal rilascio - Legittimità -
Richiesta di proroga - Conseguenze.
Le opere di sbancamento, di sottofondazione
e di perimetrazione non sono considerate
sufficienti ad integrare il requisito
dell'avvio dei lavori, che deve comunque
avvenire entro un anno dal rilascio della
concessione edilizia, mentre i medesimi
lavori devono terminare, a pena di decadenza
della concessione, entro tre anni (1).
La comunicazione dell'inizio dei lavori e,
dopo tre anni, la richiesta di proroga della
concessione edilizia, senza tuttavia fornire
la prova dell'avvio effettivo dei lavori
entro il prescritto anno dal rilascio della
concessione, consente all'amministrazione di
disporre legittimamente la decadenza ai
termini di legge della concessione edilizia.
La domanda di proroga non può legittimamente
essere interpretata dall'amministrazione
comunale come richiesta di proroga della
concessione rilasciata, ed oramai scaduta,
ma solo ed esclusivamente come richiesta di
nuova concessione, ai sensi e per gli
effetti dell'art. 4 ultimo comma, L. n.
10/1977.
---------------
(1) Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V,
16-11-1998 n. 1615 (massima tratta da
http://mondolegale.it/ -
TAR Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 19.07.2010 n. 1170 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
RAGGRUPPAMENTI TEMPORANEI E VERIFICA DEI
REQUISITI DI PARTECIPAZIONE ALLA GARA
D'APPALTO.
1.
Associazione temporanea - Requisiti
associati - Requisiti soggettivi e requisiti
oggettivi - Cumulo.
2. Associazione
temporanea - Ratio - Limiti.
3. Appalto pubblico (in generale) - Criteri
e principi - Massima partecipazione - In
relazione al servizio richiesto.
4. Associazione
temporanea - Requisiti associati - A.T.I.
orizzontale - Affidamento del servizio di
vigilanza - Aggiudicazione - Disciplina.
5. Pubblica sicurezza - Istituti vigilanza -
Tariffe - Prefettizie - Carattere vincolante
- Non sussiste - Ragioni.
1. I raggruppamenti temporanei di imprese
non costituiscono autonomi centri di
imputazione giuridica ma mere aggregazioni
finalizzate ad agevolare (grazie alla
sommatoria dei requisiti degli aderenti) il
dispiegarsi del gioco della concorrenza. In
altri termini, non danno luogo ad un
soggetto autonomo e distinto dalle imprese
che li compongono, né ad un loro rigido
collegamento strutturale.
Da ciò consegue
che i requisiti prescritti nel bando devono
essere posseduti dalle imprese raggruppate -le quali conservano intatte le rispettive
autonomie formali e sostanziali- secondo le
regole che governano la materia, tendenti a
distinguere tra requisiti soggettivi di
capacità tecnica ed economica e requisiti
oggettivi, per i quali è consentito il
"cumulo" (Cfr., tra le altre, Cons. Stato.,
sez. V, 21-11-2007 n. 5906; Cons. Stato,
sez. V, 15-05-2001 n. 2713; cfr. Cons.
Stato, sez. V, 18-10-2001 n. 5517).
2. I raggruppamenti temporanei di imprese -i quali costituiscono un istituto di matrice
comunitaria- tendono ad estendere la
partecipazione alle gare anche ad imprese
che, singolarmente, non sarebbero in grado
di sostenere l'onere dell'appalto e, dunque,
ad ampliare la dinamica concorrenziale,
consentendo la coalizione di imprese di
minori dimensioni per favorirne la crescita
e l'ingresso su mercati più estesi.
Nel
contempo, consentono di realizzare lo scopo
di assicurare, attraverso il concorso degli
apporti di più imprese, il buon andamento
del risultato finale dei lavori o dei
servizi appaltati, i quali, altrimenti,
potrebbero essere compromessi dalla
inadeguatezza dei mezzi tecnici e finanziari
propri di ciascuna singola impresa.
L'unico
limite nell'utilizzo di tale forma di
aggregazione va riscontrato nell'esigenza di
non trasformare la riunione di imprese in
uno strumento elusivo delle regole
impositive di un livello minimo di capacità
per la partecipazione agli appalti, il quale
-di regola- deve essere fissato nel bando
(Cfr. tra le altre, TAR Campania Napoli,
sez. I, 07-10-2008 n. 13437; TAR Puglia
Lecce, sez. I, 06-03-2007 n. 800; Cfr. TAR
Piemonte, sez. II, 02-05-2000 n. 573).
3. I bandi di gara devono assicurare la
massima partecipazione, al fine di
perseguire l'interesse pubblico a che la
scelta dell'impresa affidataria avvenga nel
più ampio ventaglio possibile di offerte
sulla base di criteri che debbono essere
redatti esclusivamente in funzione delle
caratteristiche economiche e tecniche del
bene o del servizio richiesto.
4. Nell'eventualità si sia in presenza di
un'A.T.I. c.d. orizzontale è consentito che
i requisiti soggettivi di capacità tecnica
ed economica siano posseduti da ciascuna
impresa quanto meno in una misura minima
giuridicamente apprezzabile.
Si può,
pertanto, affermare che, in presenza di un
raggruppamento di imprese partecipante ad
una gara per l'affidamento di un servizio di
vigilanza, non è imposto -in capo ad ognuna
delle imprese- il possesso
dell'autorizzazione per tutti i siti da
vigilare, bensì è sufficiente
l'autorizzazione anche solo per alcuni di
quest'ultimi, sempre che la disamina delle
autorizzazioni di tutte le imprese aderenti
all'ATI e, dunque, l'esame del contributo
che ognuna di esse è in grado ad offrire
conduca a rilevare la sussistenza delle
condizioni necessarie per il completo e
corretto espletamento del servizio (Cfr.,
tra le altre, TAR Lombardia Milano, sez.
I, 07-04-2009 n. 3227; TAR Calabria Reggio
Calabria 06-03-2007 n. 206).
5. Le tariffe fissate dal Prefetto per i
servizi di vigilanza -specie ove
considerate sotto il profilo dei c.d.
"minimi"- non sono né inderogabili né
vincolanti.
In particolare -in linea con le
precisazioni rese dalla Corte di Giustizia
CE (sent. 13.09.2007, nella causa
C465/05, Commissione Italia)-
l'attribuzione di un carattere vincolante a
dette tariffe, realizzando una
ingiustificata restrizione della libera
prestazione dei servizi e, dunque, ponendosi
in contrasto con il principio comunitario
dell'art. 49, Trattato CE, non può trovare
spazio nel nostro ordinamento (Cfr., tra le
altre, Cons. Stato, sez. V, 29-12-2009 n.
8867; TAR Sardegna Cagliari, sez. I,
23-06-2008 n. 1253; TAR Campania Napoli,
sez. I, 17-06-2008 n. 5966; C.G.E. 13-09-2007
nella causa C465/05, Commissione Italia) (massima tratta da http://mondolegale.it/
-
TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter,
sentenza 16.07.2010 n. 26337 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla natura dei raggruppamenti
temporanei di imprese (fattispecie relativa
ad una gara di appalto per l'affidamento del
servizio di vigilanza).
Le tariffe fissate dal Prefetto per i
servizi di vigilanza - specie ove
considerate sotto il profilo dei c.d.
"minimi" - non sono né inderogabili né
vincolanti.
I raggruppamenti temporanei di imprese non
costituiscono autonomi centri di imputazione
giuridica ma mere aggregazioni finalizzate
ad agevolare (grazie alla sommatoria dei
requisiti degli aderenti) il dispiegarsi del
gioco della concorrenza. In altri termini,
non danno luogo ad un soggetto autonomo e
distinto dalle imprese che li compongono, né
ad un loro rigido collegamento strutturale.
Da ciò consegue che i requisiti prescritti
nel bando devono essere posseduti dalle
imprese raggruppate -le quali conservano
intatte le rispettive autonomie formali e
sostanziali- secondo le regole che governano
la materia (tendenti a distinguere tra
requisiti soggettivi di capacità tecnica ed
economica e requisiti oggettivi, per i quali
è consentito il "cumulo").
E', dunque, evidente, nel caso di specie,
riguardante una gara di appalto per
l'affidamento del servizio di vigilanza, che
la pretesa del possesso dell'autorizzazione
prefettizia in capo al raggruppamento
temporaneo è priva di pregio giuridico.
I raggruppamenti temporanei di imprese -i
quali costituiscono un istituto di matrice
comunitaria- tendono ad estendere la
partecipazione alle gare anche ad imprese
che, singolarmente, non sarebbero in grado
di sostenere l'onere dell'appalto e, dunque,
ad ampliare la dinamica concorrenziale,
consentendo la coalizione di imprese di
minori dimensioni per favorirne la crescita
e l'ingresso su mercati più estesi. Nel
contempo, consentono di realizzare lo scopo
di assicurare, attraverso il concorso degli
apporti di più imprese, il buon andamento
del risultato finale dei lavori o dei
servizi appaltati, i quali, altrimenti,
potrebbero essere compromessi dalla
inadeguatezza dei mezzi tecnici e finanziari
propri di ciascuna singola impresa.
L'unico limite nell'utilizzo di tale forma
di aggregazione va riscontrato nell'esigenza
di non trasformare la riunione di imprese in
uno strumento elusivo delle regole
impositive di un livello minimo di capacità
per la partecipazione agli appalti, il quale
-di regola- deve essere fissato nel bando.
Appare, pertanto, ragionevole affermare che
si tratta di un istituto che, oltre ad
essere espressamente riconosciuto ed ammesso
da prescrizioni di legge, è considerato con
favore dall'ordinamento, in quanto
-fondamentalmente- opera a salvaguardia
della parità di trattamento e del principio
di buon andamento.
Nell'eventualità si sia in presenza di
un'A.T.I. c.d. orizzontale, come nel caso di
specie, è consentito che i requisiti
soggettivi di capacità tecnica ed economica
siano posseduti da ciascuna impresa quanto
meno in una misura minima giuridicamente
apprezzabile.
Si può, pertanto, affermare che, in presenza
di un raggruppamento di imprese partecipante
ad una gara per l'affidamento di un servizio
di vigilanza, non è imposto -in capo ad
ognuna delle imprese- il possesso
dell'autorizzazione per tutti i siti da
vigilare, bensì è sufficiente
l'autorizzazione anche solo per alcuni di
quest'ultimi, sempre che la disamina delle
autorizzazioni di tutte le imprese aderenti
all'ATI e, dunque, l'esame del contributo
che ognuna di esse è in grado ad offrire
conduca a rilevare la sussistenza delle
condizioni necessarie per il completo e
corretto espletamento del servizio.
Le tariffe fissate dal Prefetto per i
servizi di vigilanza -specie ove considerate
sotto il profilo dei c.d. "minimi"-
non sono né inderogabili né vincolanti. In
particolare -in linea con le precisazioni
rese dalla Corte di Giustizia CE (sent.
13.09.2007, nella causa C465/05, Commissione
Italia)- l'attribuzione di un carattere
vincolante a dette tariffe, realizzando una
ingiustificata restrizione della libera
prestazione dei servizi e, dunque, ponendosi
in contrasto con il principio comunitario
dell'art. 49, Trattato CE, non può trovare
spazio nel nostro ordinamento (TAR
Lazio-Roma, Sez. I-ter,
sentenza 16.07.2010 n. 26337 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
ASSOCIAZIONI E COMITATI -
Associazione non riconosciuta -
Legittimazione a ricorrere - Elementi
qualificanti.
Ai fini della legittimazione a ricorrere di
una associazione non riconosciuta o figura
soggettiva equivalente, non rientrante
nell’elencazione di cui all’art. 13 della
legge 08.07.1986, n. 349 (sistema di
accreditamento confermato dall’art. 17,
comma 46, della legge 15.05.1997, n. 127),
non è sufficiente allegare che la figura
soggettiva abbia fra i suoi scopi statutari
la tutela ambientale ed operi nella
Provincia in cui è posta l’area su cui
incide il provvedimento amministrativo
contestato o sia stata costituita
appositamente per la tutela dell’area
medesima, ma richiede l’esistenza di
elementi qualificanti in concreto la
differenziazione della posizione del
soggetto ricorrente, quali, necessariamente,
il collegamento stabile con il territorio
interessato, cioè consolidatosi
obiettivamente in un periodo di tempo
significativo, nonché un’azione associativa
dotata di adeguata consistenza nonché
rappresentatività degli interessi che si
intendono tutelare, anche con riferimento al
numero ed alla qualità degli associati, sì
da illustrare l’effettività e riferibilità,
ad un interesse specificamente delineato,
del pregiudizio allegato (Consiglio di
Stato, VI, 25.06.2008, n. 3234; altresì, TAR
Toscana, II, 03.03.2010, n. 591) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 15.07.2010 n. 2995 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Impianto di trattamento
- Definizione del procedimento di
approvazione - Termine - Art. 27 d.lgs. n.
22/97 - Natura ordinatoria.
Il termine indicato dalla norma ex art. 27
d.lgs. n. 22 del 1997 per la definizione del
procedimento di approvazione di impianto di
trattamento rifiuti è meramente ordinatorio,
atteso che alla sua scadenza la norma stessa
non ricollega alcuna sanzione e tanto meno
la decadenza dell'esercizio della relativa
funzione (TAR Liguria Genova, sez. I,
15.03.2006 , n. 204).
RIFIUTI - Art. 27 d.gls.
n. 22/1997 - Conferenza di servizi - Natura
istruttoria.
La conferenza dei servizi prevista dall’art.
27 del d.lgs. n. 22/1997 ha natura
istruttoria (Consiglio Stato, sez. V,
11.07.2002, n. 3917): si deve pertanto
escludere che ad essa si applichino le
disposizioni dell’art. 14-ter della L.
241/1990 relative alla conferenza decisoria
che siano incompatibili con la natura della
conferenza istruttoria, quali quelle che
regolano gli effetti della mancata
partecipazione alla conferenza (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 15.07.2010 n. 2992 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione paesistica -
Parere del Parco - Provvedimenti distinti -
Beni giuridici tutelati - Diversità.
L’autorizzazione paesistica non può superare
il parere del Parco. Infatti, i due atti
sono forme di gestione di beni diversi. La
prima ha lo scopo di valutare la conformità
dell’attività con il paesaggio, la cui
tutela è prevista dall’art. 9 della
Costituzione.
Si tratta di un valore “primario”
(Corte Cost. 151/1986; 182/2006 e 183/2006),
ed anche “assoluto”, se si tiene
presente che il paesaggio indica
essenzialmente l’ambiente ( Corte Cost.
641/1987).
L’oggetto tutelato non è il concetto
astratto delle “bellezze naturali”,
ma l’insieme delle cose, beni materiali, o
le loro composizioni, che presentano valore
paesaggistico.
Il parere del Parco, invece, costituisce
atto di gestione delle aree protette, ed ha
come oggetto di tutela specifica la difesa
degli ecosistemi, che costituisce un bene
giuridico distinto dal paesaggio (Corte
Costituzionale 23.01.2009 n. 12) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 15.07.2010 n. 2992 -
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APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
L’indicazione delle quote di partecipazione
è necessaria anche con riferimento agli
appalti di servizi.
Punto di imprescindibile partenza è il
disposto normativo di cui all’art. 37, comma
4, del d.lgs. n. 163 del 2006 a mente del
quale “nel caso di forniture o servizi
nell’offerta devono essere specificate le
parti del servizio o della fornitura che
saranno eseguite dai singoli operatori
economici riuniti o consorziati” (cui si
correla il successivo comma 13 dello stesso
art. 37 nel senso che “i concorrenti
riuniti in raggruppamento temporaneo devono
eseguire le prestazioni nella percentuale
corrispondente alla quota di partecipazione
al raggruppamento”). Si tratta di
disposto normativo chiaro ed esplicito, che
non sembra lasciar dubbi alla conseguente
necessità che costituisce causa di
esclusione dalla gara il mancato adempimento
dell’obbligo di dichiarare le quote di
partecipazione all’interno della compagine
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.02.2010, n.
1038).
Non può avere alcun rilievo il fatto che il
disposto dell’art. 37, comma 4, d.lgs. n.
163 del 2006 non sia stato richiamato nel
bando di gara. Infatti si tratta di norma di
rilievo pubblicistico di chiara natura
imperativa che è volta a porre la stazione
appaltante nelle migliori condizioni per
verificare i requisiti di tutti i soggetti
partecipanti alle procedure di evidenza
pubblica, con la naturale conclusione che la
sua cogenza è piena a prescindere da un
necessario richiamo negli atti di gara.
Né sembra cogliere nel segno il rilievo
secondo cui la regola invocata dalla
ricorrente incidentale varrebbe solo per gli
appalti di lavori. Può ben essere che la
previsione di esatta indicazione delle quote
di partecipazione assuma ancor maggiore
pregnanza con riferimento agli appalti di
lavori, stante il particolare regime di
qualificazione che li caratterizza, ma ciò
non toglie che regola del tutto analoga vale
anche con riferimento agli appalti di
servizi, come testimonia il chiaro tenore
letterale dell’art. 37, comma 4, cit..
D’altra parte la giurisprudenza ha già avuto
modo di affermare esplicitamente la
necessità di indicazione delle quote di
partecipazione con riferimento agli appalti
di servizi (TAR Genova, sez. II, 03.02.2010,
n. 237; TAR Palermo, sez. III, 14.12.2009,
n. 1910; TAR Torino, sez. II, 08.04.2008, n.
603).
Il disposto letterale dell’art. 37, comma 4,
cit. non consente neppure di ritenere la
regola da esso posta valida solo per un
certo tipo di RTI, cioè per quelli verticali
e non per quelli orizzontali,
interpretazione che non sembra trovare nel
disposto letterale della norma alcun
aggancio e che è stata esclusa dalla
giurisprudenza (TAR Genova, sez. II;
03.02.2010, n. 237).
Infine ritiene il Collegio che “è
sicuramente compatibile con la specificità
dell’appalto di progettazione la previsione
di cui all’art. 37 commi 2 e 4 d.lgs. n. 137
del 2006, dettata per gli appalti di
servizi, in tema di raggruppamenti di
concorrenti e di specificazione delle parti
di servizio o di fornitura eseguite dai
singoli operatori economici riuniti o
consorziati” (TAR Genova, sez. II,
29.05.2008, n. 1150) (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 15.07.2010 n.
2807 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
L'Amministrazione è tenuta a ripubblicare lo
strumento urbanistico generale quando,
rispetto alla versione adottata, vengano
introdotte modificazioni di portata e
rilievo tali da determinare una
rielaborazione complessiva dello strumento
medesimo.
La giurisprudenza amministrativa è orientata
a ritenere che l'Amministrazione è tenuta a
ripubblicare lo strumento urbanistico
generale quando rispetto alla versione
adottata vengano introdotte modificazioni di
portata e rilievo tali da determinare una
rielaborazione complessiva dello strumento
medesimo, ovvero un mutamento delle sue
caratteristiche essenziali e/o dei criteri
che presiedono alla sua stessa impostazione
(cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV,
12.03.2009 n. 1477 e 19.06.2007 n. 3300; TAR
Bologna, Sez. I, 02.07.2008 n. 3209) (TAR Toscana,
Sez. I,
sentenza 15.07.2010 n. 2802 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
La motivazione sottesa all'urgenza di
entrare in possesso del bene oggetto di
(futura) espropriazione può essere desunta
per relationem dagli atti pregressi del
procedimento.
Ad evidenziare l’infondatezza dell’ultima
censura, proposta avverso il decreto di
occupazione d’urgenza con la quale si assume
che non sarebbe stata indicata alcuna
ragione d’urgenza idonea a giustificare
l'immediata occupazione dell'immobile, vale
il richiamo alla più recente giurisprudenza
amministrativa, per la quale in tema di
occupazione d'urgenza preordinata
all'espropriazione ai sensi dell'art.
22-bis, d.P.R. 08.06.2001 n. 327, la
motivazione sottesa all'urgenza di entrare
in possesso del bene oggetto di (futura)
espropriazione non deve necessariamente
essere contenuta nel decreto di occupazione,
ma può essere desunta per relationem
dagli atti pregressi del procedimento, dai
quali ben può evincersi l'urgenza ed
indifferibilità della immediata apprensione
del bene del privato (cfr. TAR L’Aquila,
24.03.2010 n. 289).
Ebbene, nella specie il decreto di
occupazione n. 1/2009 richiama espressamente
la delibera della G.C. n. 90/2009 dalla
quale si ricava l’urgenza dell’avvio dei
lavori da eseguirsi con ogni possibile
sollecitudine per non perdere la provvista
finanziaria (fondi POR 2000/2006 Mis. 2.3) (TAR Sardegna,
Sez. II,
sentenza 15.07.2010 n. 1898 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
È illegittima la lex specialis che preveda
l’assegnazione di una quota rilevante di
punteggio per l’elemento costituito dalla
qualità organizzativa.
Il Collegio ricorda che la formulazione dei
giudizi e la determinazione dei punteggi,
affidati alla discrezionalità tecnica della
Commissione di gara, non sono censurabili
nel merito e sono immuni da vizi sul piano
della legittimità, ove siano sorrette da
valutazioni che non si rivelino
manifestamente irragionevoli o
sproporzionate (ex multis TAR
Campania-Napoli, sez. I, 18.03.2008, n.
1377).
Costituisce erronea applicazione
dell'articolo 83 del d.lgs. 163 del 2006 la
commistione fra requisiti soggettivi di
partecipazione ed elementi oggettivi di
valutazione dell'offerta che si verifica
quando elementi di valutazione specificati
nel disciplinare riguardano caratteristiche
organizzative e soggettive della
concorrente, che afferiscono all'esperienza
pregressa maturata dalla concorrente ed al
suo livello dì capacità tecnica e
specializzazione professionale, ovvero ad
aspetti che, in quanto tali, possono
legittimamente rilevare solo in sede di
qualificazione alla gara, e quindi solo
quali criteri di ammissione alla stessa e
non di valutazione dell'offerta (TAR Sicilia
Catania, sez. III, 05.05.2008 , n. 735).
Va ricordato che la questione della
distinzione tra requisiti di idoneità degli
offerenti ad eseguire l’appalto ed elementi
qualitativi dell’offerta è stata affrontata
anche dalla giurisprudenza comunitaria che
ha ricondotto l’indeterminatezza dei criteri
di aggiudicazione a comportamenti dei
soggetti aggiudicatari difformi dagli
obblighi di adeguata pubblicità e di parità
di condizioni fra tutte le imprese
concorrenti. La Corte ha affermato che “la
Direttiva del Consiglio 14.06.1993
93/36/CEE…osta a che, nell’ambito di una
procedura di aggiudicazione di un appalto
pubblico di forniture, l’Amministrazione
aggiudicatrice tenga conto delle diverse
referenze relative ai prodotti proposti
dagli offerenti ad altri clienti non già
come criterio di verifica dell’idoneità dei
primi ad eseguire l’appalto di cui si
tratta, bensì come criterio di
aggiudicazione dell’appalto stesso”
(Corte di Giustizia 19.06.2003 causa C
315/01).
In definitiva, deve considerarsi illegittima
la lex specialis di una gara da
aggiudicarsi con il sistema dell’offerta
economicamente più vantaggiosa che preveda
l’assegnazione di una quota rilevante di
punteggio per l’elemento costituito dalla
qualità organizzativa, quindi per un aspetto
che non concerne concrete modalità di
svolgimento del servizio ma, invece, un
requisito di capacità tecnica del soggetto
partecipante.
Tale principio è stato peraltro già
affermato da questa Sezione che con sentenza
n. 1674 del 20.07.2007 ha statuito che “il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa di cui all'art. 83, d.lgs.
12.04.2006 n. 163 (Codice dei contratti
pubblici) mira a premiare il merito tecnico
dell'offerta oggettivamente considerata, per
cui la sua corretta applicazione richiede
che gli elementi di valutazione prescelti
siano tali da evidenziare un maggior pregio
della proposta contrattuale presentata in
sede di partecipazione alla gara;
contraddice, quindi, tale logica ed è,
pertanto, illegittima la previsione della
lex specialis che attribuisca un rilevante
punteggio ad elementi estranei al merito
tecnico dell'offerta ed attinenti, invece,
all'esperienza professionale acquisita dal
concorrente” (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 14.07.2010 n.
1887 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’impresa il cui debito tributario sia stato
rateizzato o oggetto di condono fiscale deve
essere considerata in regola ai fini della
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara.
Condizione necessaria affinché l’impresa
possa considerarsi fiscalmente in regola,
pur in presenza di inadempienze fiscali in
essere, è quella secondo cui gli eventi
sopra richiamati che pongono nuovamente
l’impresa stessa in condizione di regolarità
devono essersi verificati entro la scadenza
del termine di presentazione della domanda
di partecipazione alla gara.
Il che significa, per ciò che nella presente
causa più rileva, che l’impresa deve aver
ottenuto entro tale data la concessione
della rateizzazione del debito (in tal
senso, esplicitamente, la determinazione
dell’Autorità di Vigilanza n. 1 del 2010
sopra richiamata) (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 13.07.2010 n. 2529 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI: Il
silenzio sul nome del guidatore non fa
perdere i punti della patente. Sezioni unite
della Cassazione: resta ferma la sanzione
per omessa comunicazione.
Non può essere
«irrogata» la sanzione della decurtazione
dei punti della patente nel caso di mancata
comunicazione, da parte del proprietario
dell'auto, del nome di chi si trovava alla
guida al momento dell'infrazione. Resta
ferma, però, la sanzione pecuniaria per
mancata comunicazione delle generalità del
«conducente trasgressore».
Lo hanno sancito le Sezioni unite civili
della Corte di cassazione che, con la
sentenza 12.07.2010 n.
16276, hanno dato piena applicazione
a una decisione della Corte costituzionale,
la n. 27 del 2005, con la quale era stata
dichiarata l'illegittimità delle norme del
codice della strada che obbligano il
proprietario dell'auto a rivelare chi era il
conducente.
In particolare il Massimo consesso di Piazza
Cavour ha accolto il ricorso di un romano
che si era visto decurtare i punti della
patente pur non avendo mai comunicato chi
era alla guida al momento dell'infrazione.
L'uomo era stato multato perché era passato
con il rosso ma non aveva comunicato, entro
i 30 giorni previsti dalla legge, le
generalità del trasgressore. Le autorità gli
avevano comunque decurtato i punti della
patente. Contro questa sanzione accessoria
lui si era opposto al giudice di pace di
Roma ma senza successo. Così ha fatto
ricorso in Cassazione e ha vinto. Il
Collegio esteso ha annullato il verbale,
decidendo la causa nel merito, limitatamente
alla decurtazione dei punti.
Nel dispositivo si legge infatti che «la
Corte cassa senza rinvio la sentenza
impugnata limitatamente alla conferma della
decurtazione del punteggio e annulla il
verbale opposto».
In poche parole quella sanzione non era
irrogabile fin dall'inizio. Questo perché
già tre anni fa i giudici di Palazzo della
consulta avevano dichiarato l'illegittimità,
per contrarietà al principio della
ragionevolezza, «dell'applicazione
dell'art. 126-bis co. 2 Dlgs. 285/1992,
nella parte in cui dispone che in caso di
mancata identificazione del conducente
autore della trasgressione e di mancata
successiva comunicazione dei relativi dati
personali e di abilitazione guida, entro il
termine di gg. 30 dalla notifica, da parte
del proprietario del veicolo, cui il verbale
di accertamento della violazione fosse stato
notificato, quest'ultimo avrebbe subito la
sanzione della decurtazione del punteggio
della patente, dovendo invece trovare
applicazione in siffatti casi soltanto
l'ulteriore sanzione pecuniaria di cui
all'art. 180, co. 8, C.d.S».
Nelle stesse motivazioni i giudici hanno
inoltre ribadito che in caso di sanzioni
amministrative per violazioni del codice
della strada, l'opposizione giurisdizionale
«ha natura di rimedio generale
esperibile, salvo espressa previsione
contraria, contro tutti i provvedimenti
sanzionatori, ivi compresi quelli di
sospensione della validità della patente di
guida e quelli prodromici a tale sospensione»
(articolo ItaliaOggi
del 13.07.2010, pag. 21). |
APPALTI:
A fronte dell'inesattezza
contributiva causata dalla scarsa chiarezza
della formulazione degli atti di gara,
l'amministrazione, in ossequio ai principi
di buona fede e di tutela del legittimo
affidamento, avrebbe dovuto consentire
l'integrazione dell'importo entro un termine
perentorio, senza adottare, omisso medio, la
sanzione dell'immediata esclusione.
Le disposizioni con le quali siano
prescritti particolari adempimenti per
l’ammissione alla gara, ed in particolar
modo le clausole di esclusione dalla gara
vanno interpretate nel senso più favorevole
all’ammissione degli aspiranti,
corrispondendo all’interesse pubblico
l’esigenza di assicurare un ambito più vasto
di valutazioni e, quindi, un’aggiudicazione
alle condizioni migliori possibili.
Pertanto, a fronte dell’inesattezza
contributiva causata dalla scarsa chiarezza
della formulazione degli atti di gara,
l’amministrazione, in ossequio ai principi
di buona fede e di tutela del legittimo
affidamento, avrebbe dovuto consentire
l’integrazione dell’importo entro un termine
perentorio, senza adottare, omisso medio,
la sanzione dell’immediata esclusione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.07.2010 n. 4478 - link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità della scelta di
un sindaco di assicurare la continuità del
servizio di igiene nel territorio comunale,
mediante un provvedimento extra ordinem, a
fronte del diniego del gestore del servizio.
E' legittima la scelta di un sindaco di
assicurare la continuità del servizio di
igiene nel territorio comunale, mediante un
provvedimento extra ordinem, a fronte
della nuova posizione assunta dal gestore
del servizio, non più disponibile alla
prosecuzione del servizio in regime di
ulteriore proroga.
Sebbene, siano legittime le ragioni
esternate dal gestore del servizio che ha
denegato la propria disponibilità alla
proroga, onde non ricadere nella fattispecie
prevista dall'art. 23-bis del D.L. n.
112/2008, che, sul presupposto elaborato
dalla giurisprudenza in sede interpretativa
dell'assimilazione del regime di proroga
all'affidamento diretto, impedisce agli
affidatari diretti la partecipazione alle
gare per l'acquisizione di nuovi servizi, è
indubitabile che il servizio de quo sia di
carattere essenziale e come tale non possa
subire interruzioni.
Pertanto, in considerazione dell'importanza
ed essenzialità del servizio da rendere alla
collettività, sussistono le condizioni e i
presupposti per legittimare l'ordinanza
sindacale contingibile ed urgente, onde
assicurare comunque, senza il ricorso ad una
nuova ed ulteriore proroga, la continuità
del servizio nelle more della
predisposizione degli atti necessari per il
nuovo affidamento.
Tuttavia, l'avvenuto affidamento, per il
semestre considerato, del servizio alla
ricorrente per effetto di un provvedimento
extra ordinem, assunto sulla base di
presupposti di diritto del tutto diversi da
quelli in base ai quali in via ordinaria si
procede mediante proroga dell'affidamento in
corso, non è assimilabile a tale ultima
ipotesi e quindi non può costituire per la
società istante impedimento per l'eventuale
partecipazione ad altre gare (TAR Veneto,
Sez. I,
sentenza 09.07.2010 n. 2906 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Distanza tra costruzioni - Art. 9
D.M. 1444/1968 - Pareti finestrate di
edifici antistanti - Distanza di 10 metri -
Finalità della norma - Interesse del
frontista alla riservatezza - Esclusione -
Profilo igienico sanitario - Carattere
cogente - Corpi di un medesimo edificio -
Irrilevanza.
L'art. 9 del D.M. n. 1444/1968, laddove
prescrive la distanza di 10 metri tra pareti
finestrate di edifici antistanti, va
rispettata in tutti i casi, trattandosi di
norma volta ad impedire la formazione di
intercapedini nocive sotto il profilo
igienico-sanitario, e pertanto non è
eludibile in funzione della natura giuridica
dell'intercapedine.
Pertanto, le distanze tra costruzioni sono
predeterminate con carattere cogente in via
generale ed astratta, in considerazione
delle esigenze collettive connesse ai
bisogni di igiene e di sicurezza, di modo
che al giudice non è lasciato alcun margine
di discrezionalità nell'applicazione della
disciplina in materia di equo
contemperamento degli opposti interessi.
Invero, essendo la norma finalizzata a
stabilire un'idonea intercapedine tra
edifici nell'interesse pubblico, e non a
salvaguardare l'interesse privato del
frontista alla riservatezza (cfr. Cass.
Civ., Sez. II, 26.01.2001 n. 1108), non può
dispiegare alcun effetto distintivo la
circostanza che si tratti di corpi di uno
stesso edificio ovvero di edifici distinti
(cfr. ex multis Cons. St., Sez. IV,
05.12.2005 n. 6909) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 08.07.2010 n. 2461 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Poiché è possibile, per “chiunque” si trovi
in stabile collegamento con la zona,
impugnare il rilascio della concessione
edilizia: è riconosciuto il diritto
d’accesso ai titoli abilitativi edilizi
reclamato da soggetti residenti nello stesso
Comune.
Nel caso di specie, il soggetto richiedente
l’accesso è sicuramente qualificabile come “interessato”,
ai sensi dell’art. 22, 1° comma, lett. b),
della L. n. 241/1990, posto che, in
relazione all’attività commerciale svolta,
non può che riconoscersi titolare di un
interesse concreto ed attuale,
corrispondente ad una situazione giuridica
collegata ai documenti per i quali ha
motivatamente chiesto l’accesso.
D’altro canto questa Sezione, stante la
possibilità, per “chiunque” si trovi
in una situazione di stabile collegamento
con la zona, di impugnare il rilascio della
concessione edilizia, ha più volte
riconosciuto il diritto d’accesso ai titoli
abilitativi edilizi, reclamato da soggetti
residenti nello stesso Comune (TAR
Puglia–Lecce II sez. 17/09/2009 n. 2121;
30/12/2009 n. 3351).
Né limitazioni al diritto d’accesso
potrebbero derivare, nella fattispecie, da
esigenze relative alla tutela della
riservatezza di terzi o dalla oggettiva
tipologia dei documenti richiesti (il
controinteressato, ritualmente coinvolto nel
procedimento dall’Amministrazione, si è
opposto senza addurre alcuna motivazione),
trattandosi di atti non sottraibili
all’accesso per essere, in ragione della
loro natura, destinati comunque ad una
concreta esternazione.
Ricorrendovi pertanto tutti i presupposti
formali e sostanziali voluti dalla norma, va
dichiarata l’illegittimità del diniego
sostanzialmente opposto dal comune di
Laterza e conseguentemente ordinato allo
stesso Ente di esibire i documenti oggetto
della istanza ostensiva, con facoltà del
ricorrente di estrarne copia (TAR Puglia-Lecce,
Sez. II,
sentenza 07.07.2010 n. 1689 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
I limiti di esposizione, per gli impianti di
telefonia, stabiliti con disciplina statale
non sono derogabili dagli enti locali.
Il Decreto ministeriale 10.09.1998 n. 381 ha
fissato all’articolo 3 i limiti massimi di
esposizione della popolazione
differenziandoli in base alla frequenza
degli impianti e all’articolo 4 ha previsto
che debba essere rispettato un principio di
minimizzazione dell’esposizione nella
progettazione e realizzazione di quelli
esistenti. In particolare negli edifici
adibiti a residenza per periodi di tempo non
inferiori a quattro ore deve essere
rispettato il ben più restrittivo valore di
6 V/m.
La disciplina statale ha, quindi, recato
dei limiti particolarmente restrittivi e
cautelativi a tutela della salute umana, che
non sono suscettibili di essere
ulteriormente ampliati da parte delle
Regioni e degli Enti locali.
La pianificazione comunale impugnata è
pertanto illegittima per avere vietato la
localizzazione di qualsiasi impianto di
telefonia mobile a una distanza inferiore ai
300 metri dai centri abitati in contrasto
con l’articolo 9 della legge regionale n.
30/2000 (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 06.07.2010 n. 369 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La lex specialis di gara può prevedere che
le giustificazioni debbano essere inserite
in una busta chiusa, che dovrà essere aperta
solo per le offerte sospette di anomalia.
La presentazione preventiva di
giustificazioni a corredo e garanzia
dell’offerta, lungi dal poter essere
interpretata nel senso che la stazione
appaltante deve verificare ex ante e
per tutte le offerte, se le giustificazioni
sono state presentate –con conseguente
esclusione del concorrente che non le ha
presentate– deve essere letta nel senso che
la verifica della sussistenza delle
giustificazioni va fatta solo per le offerte
che risultino sospette di anomalia.
Infatti, la mancata presentazione delle
giustificazioni non può assurgere a generale
causa di esclusione anche ove le offerte si
collochino al di sotto della soglia di
anomalia.
Pertanto, nel caso di specie, contrariamente
rispetto a quanto argomentato nel primo
motivo di ricorso, la presentazione di
giustificazioni a corredo dell’offerta “a
pena di esclusione” va interpretata nel
senso che l’esclusione è comminata solo nei
riguardi delle offerte sospette di anomalia,
prive di giustificazioni preventive.
E’ quindi legittimo che la lex specialis
di gara abbia previsto che le
giustificazioni devono essere inserite in
una busta chiusa , che dovrà essere aperta
solo per le offerte sospette di anomalia.
Ciò è conforme al diritto comunitario per il
quale un onere di giustificazione si impone
solo per le offerte sospette (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 06.07.2010 n.
348 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lo
scopo del vincolo idrogeologico, in
particolare, è quello di assoggettare
determinati terreni all'obbligo della
coltura boschiva, limitandone
l'utilizzazione, onde evitare il denudamento
che può cagionare la perdita di stabilità o
il turbamento del regime delle acque.
La conformità di un’opera alle previsioni
dello strumento urbanistico generale vigente
e ai vincoli paesaggistici non comporta la
conformità al vincolo idrogeologico,
considerato che gli interessi pubblici
tutelati dalla legislazione in materia
urbanistico-edilizia, da quella in tema di
beni paesaggistici e dalla normativa sul
vincolo idrogeologico e forestale, di cui
all'art. 1, RD 30.11.1923 n. 3267, sono
nettamente distinti ed autonomi.
Lo scopo del vincolo idrogeologico, in
particolare, è quello di assoggettare
determinati terreni all'obbligo della
coltura boschiva, limitandone
l'utilizzazione, onde evitare il denudamento
che può cagionare la perdita di stabilità o
il turbamento del regime delle acque (TAR
Lecce 06.02.2007 n. 321). Quindi sussiste
l’interdipendenza tra il vincolo
idrogeologico e le zone boscate, senza
escludere che il vincolo possa interessare
anche le aree prive di vegetazione (CdS Sez.
V 10.09.2009 n. 5424)
(TAR Marche,
sentenza
30.06.2010 n. 2821 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’inedificabilità
di un’area asservita o accorpata o comunque
utilizzata a fini edificatori costituisce
una qualità obiettiva del fondo che, pur non
vigendo l’obbligo di trascrizione del
vincolo nei registri immobiliari è
opponibile a terzi acquirenti, ed ha
l’effetto di impedirne l’ulteriore
edificazione oltre i limiti previsti, a
nulla rilevando che la proprietà dell’area
sia stata trasferita, che manchino specifici
negozi giuridici privati volti
all’asservimento o che l’edificio sia
collocato in una parte del lotto
catastalmente divisa.
Per consolidata giurisprudenza, l’inedificabilità
di un’area asservita o accorpata o comunque
utilizzata a fini edificatori costituisce
una qualità obiettiva del fondo che, pur non
vigendo l’obbligo di trascrizione del
vincolo nei registri immobiliari (cfr. Cons.
Stato V, 28.06.2000 n. 3637), è opponibile a
terzi acquirenti, ed ha l’effetto di
impedirne l’ulteriore edificazione oltre i
limiti previsti, a nulla rilevando che la
proprietà dell’area sia stata trasferita,
che manchino specifici negozi giuridici
privati volti all’asservimento o che
l’edificio sia collocato in una parte del
lotto catastalmente divisa (Cons. Stato V,
09.10.2007 n. 5232).
In altri termini, un’area edificabile, già
interamente considerata in occasione del
rilascio di una concessione edilizia, non
può essere considerata libera neppure
parzialmente, agli effetti della volumetria
realizzabile, in sede di rilascio di una
seconda concessione, nella perdurante
esistenza del primo edificio, restando
irrilevanti le vicende inerenti alla
proprietà dei terreni (Cons. Stato IV,
06.09.1999 n. 1402)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.06.2010 n. 2668 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
locali, società miste in gara. Il Tar
Calabria interpreta a maglie larghe una
delle norme più controverse della riforma
delle utility. Se il privato è stato scelto
con procedura a doppio oggetto.
Le società miste in cui
il socio privato sia stato selezionato con
gara «a doppio oggetto» possono ampliare il
proprio giro d'affari, acquisendo la
gestione di ulteriori servizi pubblici
locali anche in ambiti territoriali diversi.
Il divieto previsto dall'art. 23-bis, comma
9 del dl 112/2008 così come modificato dalla
riforma Fitto (dl 135/2009 convertito nella
legge 166/2009) non può essere esteso a
questa particolare tipologia di società
miste. E se lo fosse sarebbe «irragionevole
e immotivato anche alla luce dei principi
dettati dall'Unione europea in materia di
partenariato pubblico-privato».
Ad affermarlo è il TAR Calabria-Reggio
Calabria che con la
sentenza 16.06.2010 n. 561 ha
fornito la prima interpretazione
chiarificatrice di una delle più controverse
disposizioni del dl 135. Confermando sul
punto tutti i dubbi sollevati dall'Anci
all'indomani dell'approvazione della legge.
La riforma messa a punto dal ministro per
gli affari regionali allo scopo di aprire
alla concorrenza e al mercato il settore
delle utility ha affermato il principio
generale dell'obbligatorietà delle gare per
gli affidamenti.
Un principio il cui necessario corollario
porta a vietare alle società che gestiscono
servizi locali in virtù di affidamenti
diretti o procedure non ad evidenza pubblica
la possibilità di acquisire ulteriori
concessioni o ampliare il proprio giro
d'affari in ambiti territoriali diversi (per
esempio al di fuori del comune di
appartenenza).
Secondo una prima interpretazione del
decreto, tale divieto dovrebbe essere esteso
anche alle società miste (a partecipazione
pubblica e privata) in cui la scelta del
socio privato sia avvenuta attraverso una
particolare tipologia di gara, anch'essa
introdotta dal dl, definita «a doppio
oggetto» perché oltre alla qualità di
socio al privato vengono attribuiti
specifici compiti operativi connessi alla
gestione del servizio. Oltre a una
partecipazione al capitale sociale che non
può essere inferiore al 40%.
Il Tar Calabria ammette che tale
interpretazione è consentita dalla lettera
del dl 135, ma non la condivide. «L'affidamento
a società mista costituita con le modalità
indicate dal comma 2, lettera b) dell'art.
23-bis (gara a doppio oggetto ndr)»,
scrivono i giudici amministrativi calabresi,
«si appalesa, ai fini della tutela della
concorrenza e del mercato, del tutto
equivalente a quello mediante pubblica gara,
sicché risulterebbe irragionevole e
immotivata, anche alla luce dei principi
dettati dall'Unione europea in materia di
partenariato pubblico-privato,
l'applicazione del divieto di partecipazione
alle gare bandite per l'affidamento di
servizi diversi da quelli in esecuzione».
Il Tar propende invece per
un'interpretazione più morbida «pure
consentita dalla lettera» della legge,
che porta ad applicare il divieto di
partecipazione alle gare solo alle società
che già gestiscono servizi pubblici locali
sulla base di un affidamento diretto o,
comunque, a seguito di procedura non a
evidenza pubblica.
Via libera dunque alle società miste
costituite con gara a doppio oggetto perché
questa rientra a pieno titolo tra le
procedure a evidenza pubblica. Tali società
potranno quindi partecipare alle gare perché
non ledono i principi di libera concorrenza.
Il Tar Calabria ha dunque sposato in toto le
tesi dell'Anci che più volte si è espressa a
favore dell'esclusione delle società miste
dal divieto.
Ora non resta che attendere che
l'interpretazione del Tar si consolidi nella
giurisprudenza
(articolo ItaliaOggi
del 20.07.2010, pag. 30 - link a www.corteconti.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI: PERITI
INDUSTRIALI/ Il tecnico diplomato non è
subordinato al laureato.
Respinto al mittente il
principio di subordinazione del tecnico
diplomato sul laureato. E rinvedicata, nello
stesso tempo, la competenza del perito
industriale alla progettazione di impianti
di illuminazione pubblica.
Dopo circa otto anni da una pronuncia del
TAR della Sardegna che aveva messo in
discussione la competenza di questi
professionisti in materia, ci pensa ora la
nuova
sentenza 28.05.2010 n. 1361
sempre del tribunale della regione, a fare
chiarezza tra quelle stesse competenze
professionali, spesso stravolte dalla stessa
magistratura.
La vicenda prende il via da un ricorso
presentato da due società che avevano perso
una gara di appalto pubblico per i servizi
di illuminazione pubblica per un piccolo
comune della regione Sardegna. Una sconfitta
ingiustificata per le due imprese che, tra
gli altri motivi, avevano evidenziato la
assoluta mancanza di competenza
professionale alla progettazione del perito
industriale.
Ed è proprio qui che interviene la
magistratura che, accogliendo le
argomentazioni del Cnpi intervenuto ad
opponendum, sottolinea con forza un
principio: in materia di progettazione di
impianti di illuminazione pubblica la
competenza professionale del perito
industriale è «propria».
Ma non solo competenze, perché con la
sentenza la Prima Sezione del Tar Sardegna,
ha affermato un'altra importante regola: non
esiste subordinazione del tecnico diplomato
sul laureato.
In pratica «a prescindere dalla
competenza professionale propria del perito
industriale in materia di progettazione di
impianti di illuminazione pubblica, si
evidenzia che, nel caso di specie, il
progetto definitivo ed esecutivo, è stato
redatto da un gruppo di lavoro “misto” a
capo del quale vi è il progettista
responsabile, perito industriale, ma
all'interno di esso figurano specifiche
figure professionali». Inoltre, dal
progetto esecutivo risulta che le relazioni
di calcolo dei basamenti dei pali per
illuminazione pubblica è stato
specificamente redatto da un ingegnere.
Non ha alcun fondamento, quindi, la censura
proposta che parla di sconfinamento delle
competenze dei periti industriali perché,
nel caso in esame, il contributo delle
diverse professionalità nel gruppo di lavoro
misto non può esser messa in discussione.
Nel caso specifico, dicono i magistrati del
tribunale regionale, la progettazione
esecutiva dell'impianto di illuminazione è
stata eseguita dal perito industriale,
progettista responsabile del gruppo misto di
professionisti, all'interno del quale
figurano specifiche figure professionali
specialistiche (due ingegneri e tre periti
industriali, oltre cinque collaboratori).
E questo porta con sé un altro principio
fondamentale: è legittimo e incontroverso
che il perito industriale sia responsabile
di un gruppo di lavoro misto, costituito da
progettisti ingegneri, professionisti con
titolo di studio di livello superiore, in
quanto ognuno specificamente abilitato
all'attività di progetto da esso eseguita in
ordine all'affidamento pubblico delle opere
da realizzare.
Di conseguenza, è affermata la possibilità
che l'attività di progettazione definitiva
ed esecutiva possa essere svolta previa la
collaborazione «in subordinazione» di un
professionista ingegnere, in un gruppo misto
di figure professionali specifiche, rispetto
al progettista responsabile, che sia perito
industriale (articolo ItaliaOggi
del 09.07.2010, pag. 32). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L’obbligo
di esame delle memorie e dei documenti
difensivi ex art. 10 e 10-bis della legge n.
241 del 1990 non impone una analitica
confutazione di ogni argomento utilizzato
dalle parti, essendo sufficiente un iter
motivazionale che renda nella sostanza
percepibile la ragione del mancato
adeguamento dell’azione della p.a. alle
deduzioni difensive del privato.
Va ricordato in linea di principio che,
contrariamente a quanto opina l’istante,
l’obbligo di esame delle memorie e dei
documenti difensivi ex art. 10 e 10-bis
della legge n. 241 del 1990 non impone una
analitica confutazione di ogni argomento
utilizzato dalle parti, essendo sufficiente
un iter motivazionale che renda nella
sostanza percepibile la ragione del mancato
adeguamento dell’azione della p.a. alle
deduzioni difensive del privato (Cfr., per
tutte, Cons. Stato, sez. VI, 11.04.2006, n.
1999, 16.03.2006, n. 1397 e 23.04.2002; TAR
Puglia, Bari, sez. II, 07.02.2007, n. 340;
TAR Lazio, sez. I, 08.05.2007, n. 4123)
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 26.03.2010 n. 174 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Corte di Cassazione ha in epoca più recente
confermato il suo orientamento che porta ad
escludere che dal concetto di costruzione,
rilevante ai fini dell’assoggettamento al
regime delle distanze, rientrino opere non
creative di volumetria, affermando che
integra costruzione un manufatto che,
quantunque privo di pareti, realizzi una
determinata volumetria. E una scala posta all’esterno
dell’edificio non dà luogo affatto ad una
volumetria.
Una scala in ferro per l’accesso ad un
terrazzo è proprio una pertinenza e, come
tale, soggetta ad autorizzazione.
La recinzione di un edificio, non essendo
suscettibile di valutazione autonoma,
costituisce pertinenza del medesimo e, come
tale, è soggetta a autorizzazione e non già
a concessione edilizia.
La concessione edilizia (oggi, permesso di
costruire) legittima l’attività edilizia
nell’ordinamento pubblicistico,
disciplinando i rapporti tra Comune e
concessionario, “ma non attribuisce a
quest’ultimo diritti soggettivi verso i
terzi, i quali possono agire innanzi al
giudice ordinario per ottenere la rimozione
o modificazione dell’opera lesiva di diritti
scaturenti da rapporti privatistici”
(Consiglio di Stato, sez. V, 20.12.1993 n.
1341; Cass. Civ., 21.02.1983 n. 1311).
Non può certo
equipararsi un costruendo edificio
complessivamente considerato e comprensivo
anche della sporgenza–scala ad una mera
scala che venga collocata su un preesistente
edificio per arrivare a sostenere che la
scala uti singula, per sé sola, debba
essere posta a distanza di metri tre dal
confine, come se detta scala sostanziasse un
edificio in muratura.
La statuizione della Corte inerisce,
invero, all’ “edificio” (dal latino
aedes, casa) comprensivo della scala
e stabilisce che la di esso distanza va
misurata partendo dalla scala che non
costituisca una sporgenza meramente
decorativa ma strutturale. Ma una scala da
sola, realizzata dopo la costruzione
dell’edificio preesistente e semplicemente
appoggiata ad esso, è ictu oculi
elemento ontologicamente diverso da un
edifico da realizzare ex novo e
comprensivo di una scala. Ed è elemento, la
scala, da sola, di consistenza e aggravio
urbanistico enormemente inferiore rispetto
ad un edificio, cui acceda anche una
scala/sporgenza.
Irragionevolmente, dunque, il ricorrente
equipara ed assimila un “edificio”,
cioè una casa, più una scala, ad una
semplice scala. Trattasi, intuitivamente, di
insiemi diversi, non di diversi elementi di
un unico insieme.
In tale ottica appare condivisibile
l’osservazione di cui alla memoria del
controinteressato, circa le caratteristiche
dalla scala de qua, come struttura
estremamente leggera e non in muratura.
Suffraga la tesi espressa dal Collegio, la
giurisprudenza civile di legittimità che
intravede la ratio dell’art. 873
nello scongiurare la formazione di
intercapedini dannose alla sicurezza e alla
salubrità dei fondi, esentando dal relativo
regime delle distanza minime, opere
inidonee, per struttura e consistenza, a
formare intercapedini nocive inglobando aria
luce (Cass. Civ., II, 08.09.1986, n. 5467).
La Cassazione ha quindi correttamente
ritenuto soggetta all’obbligo di rispetto
della distanza minima di cui all’art. 873
c.c. ogni opera edilizia fuori terra avente
un’apprezzabile consistenza, escludendo da
siffatto regime un scala esterna scoperta.
Va segnalato che la Corte di Cassazione ha
in epoca più recente confermato il suo
orientamento che porta ad escludere che dal
concetto di costruzione, rilevante ai fini
dell’assoggettamento al regime delle
distanze, rientrino opere non creative di
volumetria, affermando che integra
costruzione un manufatto che, quantunque
privo di pareti, realizzi una determinata
volumetria: Cass. Civ.Sez. II, 21.12.1999,
n. 14379. E una scala posta all’esterno
dell’edificio non dà luogo affatto ad una
volumetria.
Del resto, come correttamente osserva la
difesa del controinteressato nella memoria
in data 08.02.2008, le stesse NTA del Comune
di Valperga includono nei manufatti soggetti
alla disciplina sulle distanze, i
bow-windows, le verande, gli spazi porticati
e i “vani semiaperti di scale” (art.
7, punto 4, lett. b) Piano Regolatore
Generale del Comune di Valperga, Norme
Tecniche di Attuazione, doc. 6 produz.
controint.) conseguendone che una scala che
non presenti al suo interno una superficie
vuota, un vano, non può essere
ragionevolmente assoggettata al rispetto
delle distanze tra costruzioni, non
costituendo, per le ragioni già dette, una
costruzione.
Non è poi così pacifico in giurisprudenza
l’assunto che una scala sia assoggettata a
concessione e non ad autorizzazione. In
contrario basti segnalare, proprio con
riguardo ad una scala collegante un giardino
e un terrazzo, TAR Campania–Napoli, sez. III,
05.10.1988, n. 240, ad avviso del quale
detta scala in ferro costituisce “se non
pertinenza, un’opera di manutenzione
straordinaria soggetta ad autorizzazione e
non a concessione edilizia”. Ancor più
netta è TAR Campania–Napoli, sez. I,
25.07.1990, n. 467, secondo la quale una
scala in ferro per l’accesso ad un terrazzo
è proprio una pertinenza, come tale soggetta
ad autorizzazione.
Il Tribunale partenopeo recentissimamente ha
ribadito il proprio orientamento, affermando
che una ringhiera protettiva e “una scala
in ferro per l’accesso ad un terrazzo si
configurano come pertinenze di un immobile,
sicché la loro installazione non è soggetta
al preventivo rilascio della concessione
edilizia, bensì al regime autorizzatorio”
(TAR Campania–Napoli, Sez. VII, 20.11.2007,
n. 14443) ex art. 4 della L. n. 94/1982
(c.d. Legge Nicolazzi, pure invocata dalla
decisione del Consiglio di Stato su cui
infra).
Ritiene il Collegio di dover aderire al
rassegnato indirizzo, sante il ridotto
aggravio edilizio di una scala, quale quella
per cui è causa, costituita da “piccola
carpenteria metallica” com’è
incontroverso e non comportante affatto una
impattante alterazione urbanistica.
Relativamente, poi, alla recinzione, la
conclusione medesima, cui il Collegio opina
di dover pervenire nel caso che ne occupa, è
suffragata da maggiori supporti
giurisprudenziali e, prima ancora,
legislativi. Con ciò, senza, peraltro,
rinnegare i propri precedenti invocati dal
ricorrente, di cui alle sentenze 09.06.1994,
n. 293, 212/1997 e 236/1997, le quali
appaiono, all’evidenza, non propriamente
calzanti nella soluzione del caso di specie.
Orbene, già il Consiglio di Stato, in
materia di recinzioni, ha chiaramente
statuito che “la recinzione di un edificio,
non essendo suscettibile di valutazione
autonoma, costituisce pertinenza del
medesimo e, come tale, è soggetta a
autorizzazione e non già a concessione
edilizia” (Consiglio di Stato, Sez. II,
13.11.1991, n. 358/1991 – Ministero dei
Lavori Pubblici, in Il Cons. di Stato, 1993,
I, 145). Massima già espressa con Cons. di
Stato, Sez. II, 13.06.1990, n. 566/1990 –
Comune di Gallarate, in Il Cons. di Stato,
1990, I, 1162, che ha affermato che “la
recinzione in muratura di un fabbricato non
costituisce opera edilizia soggetta a
concessione, essendo per essa richiesta una
semplice autorizzazione, ai sensi dell’art.
7 D.L. 23.1.1982 n. 9 convertito dalla L
25.03.1982, n. 94”. Addirittura secondo
il Giudice Amministrativo d’appello è
soggetta a mera autorizzazione una
recinzione interamente in muratura e
interessante un intero fabbricato.
Non va sottaciuto, sul punto, come meglio si
dirà appresso, che la recinzione di cui è
controversia è una modestissima opera, lunga
appena m. 3,90 e poggiante su n muretto di
soli 50 cm.
Vale la pena ora confrontarsi con i
precedenti di questo TAR, invocati dal
ricorrente,e in particolare con TAR
Piemonte, n. 293/1994, secondo cui la
realizzazione di una recinzione relativa d
un’area di notevole ampiezza, costituita da
un basamento in muratura di m. 0,50 con
sovrastante rete metallica alta m. 1,50
importa una modificazione tale dell’assetto
del territorio da rendere necessaria una
concessione edilizia.
Ebbene, il Collegio reputa doveroso calare
siffatta affermazione di principio, nella
fattispecie di causa, che si connota per la
peculiarità rappresentata dalla modestia
della recinzione contestata, la quale è
lunga solo m. 3,90 e quindi non può ad essa
estendersi quanto questo Tribunale ha
sancito con la pronuncia citata, che aveva
ad oggetto “una recinzione relativa ad
un’aera di notevole ampiezza”. In quel
caso l’opera recintava, appunto, un terreno
notevolmente ampio, in rapporto al quale
certamente costituisce modificazione
dell’assetto del territorio un intervento
costituente un muro anche non alto (di soli
m. 0,50) sormontato da una rete metallica
alta m. 1,50. Tale muro con sovrastante
recinzione, se riguardato in una prospettiva
di insieme, rapportata a un’area
notevolmente ampia con lo stesso recintata,
chiaramente fa emergere una considerevole
modificazione del territorio, la quale non
può non richiedere la concessione edilizia.
All’evidenza, il caso che ci occupa si
differenza non poco da quello appena
delineato, stante l’assoluta modestia della
recinzione in questione, lunga solo m. 3,90.
Non è luogo quindi a farsi questione di
applicazione alla fattispecie di cui è
causa, di una decisione resa a proposito di
un’opera notevolmente impattante, siccome
estesa a tutta l’area, notevolmente ampia,
che veniva in quel caso recintata.
Né vale invocare, come fa il ricorrente, nel
motivo in analisi, il presunto contrasto con
l’art. 56 della L.Reg. Piemonte n. 56/1977,
posto che tale norma, alla lettera g),
assoggetta ad autorizzazione e non a
concessione “le opere costituenti
pertinenze”. E non v’ha dubbio che una
recinzione ed anche una scala metallica
posta chiaramente a servizio dell’immobile
abitativo, integrino una pertinenza, come
pure evidenziato nelle citate decisioni del
TAR Campania.
Ma ad avviso del Collegio milita a favore
della tesi della non necessità della
concessione in sanatoria e della sufficienza
della mera autorizzazione, un dirimente dato
normativo.
Traendo spunto da quanto adombra il
controinteressato nella memoria di
costituzione, secondo la quale la recinzione
sarebbe stata sottoposta ex D.L. 154/1996
alla mera autorizzazione “comunale soggetta
al regime del silenzio–assenso in
attuazione dell’art. 19 della l.n. 241/1990”
(pag. 5 memoria 02.11.1999) (in realtà più
correttamente avrebbe dovuto parlare di
D.I.A. in attuazione dell’art. 19 l.cit.)
ricorda il Collegio che all’epoca dei fatti
di causa e del rilascio dell’impugnato
titolo concessorio in sanatoria era vigente
l’art. 4 della L. 04.12.1993, n. 493, di
conversione del D.L. 05.10.1993, n. 398,
articolo poi sostituito dall’art. 2, comma
60, della L. 23.12.1996, n. 662 (Legge
finanziaria per il 1997), norma recate la
nuova disciplina delle procedure per il
rilascio della concessione edilizia e
partorita con il conclamato intento di
semplificare dette procedure apprestando
altresì significativi di strumenti di tutela
del privato a fronte dell’inerzia della P.A.
Orbene, il comma 7 dell’art. 4 della l. n.
493/1993 assoggettava a mera denuncia di
inizio di attività una serie di interventi
edilizi minori, annoverando alla lettera c),
proprio “recinzioni, muri di cinta e
cancellate”. Ora va anche soggiunto che
siffatta riconduzione delle opere de
quibus al regime semplificato,
rectius liberalizzato della D.I.A.,
metteva capo ad una facoltà del privato,
posto che i successivi commi 8 e 10 della
norma espressamente subordinavano ad una
serie di condizioni “la facoltà di denuncia
di attività ai sensi del comma 7”. Il che
vuol dire che il privato poteva sempre
optare per il tradizionale istituto
dell’autorizzazione, in luogo di quello
semplificato della D.I.A..
Ne consegue che il controinteressato, avendo
presentato istanza tesa ad ottenere il
titolo edilizio in sanatoria, benché
impropriamente richiesto sub specie di
concessione, ha evidentemente inteso non
avvalersi della procedura semplificata. Ma è
chiaro che in tale ipotesi l’intervento
consistente nella recinzione non poteva
essere ricondotto e assoggettato alla
concessione edilizia, atteso che il
legislatore lo aveva derubricato,
includendolo tra quelli per i quali il
privato aveva facoltà di presentare una
semplice D.I.A., con il risultato che, ove,
come nel la specie, il privato non optasse
per la D.I.A., i relativi interventi
dovevano ritenersi assoggettati a mera
autorizzazione e non più a concessione.
Tale conclusione, che ad avviso del Collegio
si impone con caratteri di evidenza, è
inoltre supportata dal disposto del comma 13
della norma in analisi, in forza del quale “l’esecuzione
di opere in assenza della o in difformità
della denuncia di cui al comma 7 comporta la
sanzione pecuniaria pari al doppio
dell’aumento del valore venale dell’immobile
conseguente alla realizzazione delle opere
stesse”, conseguenza che è la spia che
il legislatore escludeva gli interventi in
questione dal regime della concessione
edilizia, sanzionandone l’esecuzione in
assenza del titolo tacito, con la sanzione
prevista per le opere eseguite in assenza di
autorizzazione e non con quella apprestata
dall’ordinamento per le opere eseguite in
assenza di concessione edilizia, che è la
sanzione reale demolitoria
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 25.03.2010 n. 505 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO: E'
lecita l'apposizione di insegne nei muri
perimetrali di edifici in condominio, anche
nelle parti del muro che non corrispondono
alle proprietà esclusive dei singoli
condomini.
In assenza di specifiche previsioni
contenute nei regolamenti comunali, di cui
non è stata puntualmente allegata
l’esistenza da ambo le parti, occorre
richiamare l’ormai consolidato orientamento
della giurisdizione civile secondo cui è
lecita l'apposizione di insegne nei muri
perimetrali di edifici in condominio, anche
nelle parti del muro che non corrispondono
alle proprietà esclusive dei singoli
condomini (tra le tante, Cass. Civile, Sez.
II, 03.02.1998, n. 1046; Cass. 24.10.1986 n.
6229; Cass. 17.04.1981 n. 2331; Cass.
13.07.1973 n. 202)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 25.03.2010 n. 341 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nella
decisione sull’istanza di sanatoria edilizia
ex art. 32, legge 28.02.1985, n. 47, devono
essere tenuti in considerazione anche i
vincoli sorti successivamente all’esecuzione
dell’opera abusiva, poiché l’eccezionalità
della normativa sul condono edilizio
giustifica la deroga al principio tempus
regit actum.
Questo Collegio concorda con la decisione
dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato n. 20/1999, secondo la quale nella
decisione sull’istanza di sanatoria edilizia
ex art. 32, legge 28.02.1985, n. 47, devono
essere tenuti in considerazione anche i
vincoli sorti successivamente all’esecuzione
dell’opera abusiva, poiché l’eccezionalità
della normativa sul condono edilizio
giustifica la deroga al principio tempus
regit actum.
Si aggiunga che tale deroga appare
giustificata anche alla luce del superiore
interesse alla tutela dell’ambiente e del
paesaggio, a fronte dell’interesse privato
alla legalizzazione di un fatto illecito
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 28.03.2008 n. 469 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Sindaco, in sede di esame della domanda di
concessione edilizia, pur non dovendo
compiere approfondite indagini sui rapporti
di diritto privato intercorrenti tra gli
interessati, è tenuto a verificare la
posizione di avente diritto e, quindi, la
legittimazione del richiedente.
Nel procedimento di rilascio della
concessione edilizia, anche in sanatoria,
l’Amministrazione ha il potere e il dovere
di verificare l’esistenza, in capo al
richiedente, di un idoneo titolo di
godimento sull’immobile o sulla parte di
esso interessato dal progetto di
trasformazione urbanistica.
Secondo un consolidato orientamento di
questo Tribunale, il Sindaco, in sede di
esame della domanda di concessione edilizia,
pur non dovendo compiere approfondite
indagini sui rapporti di diritto privato
intercorrenti tra gli interessati, è tenuto
a verificare la posizione di avente diritto
e, quindi, la legittimazione del richiedente
(cfr. TRGA Bolzano, 28.05.1997, n. 213,
30.07.1997, n. 306, 30.09.2004, n. 433 e
27.02.2006, n. 81)
(T.R.G.A. Trentino Alto Adige-Bolzano,
sentenza 27.03.2008 n. 101 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO: Sulla
differenza tra balcone "incassato" e balcone
"aggettante".
Secondo il più
recente indirizzo giurisprudenziale, occorre
distinguere se i balconi siano “incassati”,
in tutto o in parte, nel corpo dell’edificio
(assolvendo, quindi, una funzione sia di
copertura, sia di sostegno), ovvero “aggettanti”
(in cui può riconoscersi alla soletta del
balcone funzione di copertura rispetto al
balcone sottostante, disgiunta, però, dalla
funzione di sostegno e, quindi, non
indispensabile per l’esistenza stessa dei
piani sovrapposti).
Con riferimento ai balconi “incassati”
nel corpo dell’edificio, la giurisprudenza
ritiene operante una presunzione di
comunione, mentre con riferimento ai balconi
“aggettanti”, la giurisprudenza
afferma che, “…costituendo un
‘prolungamento’ della corrispondente unità
immobiliare, appartengono in via esclusiva
al proprietario di questa…Pertanto, nelle
ipotesi di strutture completamente
aggettanti –in cui può riconoscersi alla
soletta del balcone funzione di copertura
rispetto al balcone sottostante e,
trattandosi di sostegno non indispensabile
per l’esistenza dei piani sovrastanti– non
può parlarsi di elemento a servizio di
entrambi gli immobili posti su piani
sovrastanti, né, quindi, di presunzione di
proprietà comune del balcone aggettante
riferita ai proprietari dei singoli piani”
(cfr. Cass. Civ., Sez. II, 30.07.2004, n.
14576; nello stesso senso anche Cass. Civ.,
Sez. II, 30.07.2004, n. 14590)
(T.R.G.A. Trentino Alto Adige-Bolzano,
sentenza 27.03.2008 n. 101 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Rientrano
nella nozione di "ristrutturazione edilizia"
gli interventi edilizi che alterino, anche
sotto il profilo della distribuzione
interna, l'originaria consistenza fisica di
un immobile e comportino altresì
l'inserimento di nuovi impianti e la
modifica e ridistribuzione dei volumi, che
non possono pertanto configurarsi né come
manutenzione straordinaria, né come restauro
o risanamento conservativo.
Con riferimento alla nozione di "ristrutturazione
edilizia", la giurisprudenza ha avuto
modo di affermare che rientrano in tale
nozione gli interventi edilizi che alterino,
anche sotto il profilo della distribuzione
interna, l'originaria consistenza fisica di
un immobile e comportino altresì
l'inserimento di nuovi impianti e la
modifica e ridistribuzione dei volumi, che
non possono pertanto configurarsi né come
manutenzione straordinaria, né come restauro
o risanamento conservativo (Cons. St., sez.
V, 17.12.1996, n. 1551).
In altre parole, affinché sia ravvisabile un
intervento di ristrutturazione edilizia è
sufficiente che risultino modificati la
distribuzione della superficie interna e dei
volumi dell'edificio, ovvero l'ordine in cui
risultavano disposte le diverse porzioni
dell'edificio, per il solo fine di rendere
più agevole la destinazione d'uso esistente,
poiché anche in questi casi sussistono un
rinnovo degli elementi costitutivi
dell'edificio ed un'alterazione
dell'originaria fisionomia e consistenza
fisica dell'immobile, incompatibili con i
concetti di manutenzione straordinaria e di
risanamento conservativo, che presuppongono
la realizzazione di opere che lascino
inalterata la struttura dell'edificio e la
distribuzione interna della sua superficie (T.R.G.A.
Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 27.03.2008 n. 78 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sussiste
a carico del proprietario dell'immobile una
presunzione di responsabilità per gli abusi
edilizi accertati, sicché l'interessato può
sottrarsi a tale responsabilità solo
dimostrando positivamente la sua estraneità
all'abuso.
L'ingiunzione di demolizione di opere
edilizie abusive non deve recare l’indicare
la superficie dell'area di sedime da
acquisire in caso d'inottemperanza, in
quanto tale dato deve essere contenuto
nell'atto d'acquisizione, a pena
d'illegittimità di quest'ultimo, che
costituisce titolo per l'immissione in
possesso dell'opera e per la trascrizione
nei registri immobiliari.
A norma degli artt. 6 e 7 L. 28.02.1985, n.
47, sussiste a carico del proprietario
dell'immobile una presunzione di
responsabilità per gli abusi edilizi
accertati, sicché l'interessato può
sottrarsi a tale responsabilità solo
dimostrando positivamente la sua estraneità
all'abuso (Cons. St., V, 28.01.1993, n. 178;
C.G.A., 03.09.1997, n. 331).
L'individuazione dell'area di pertinenza
della "res abusiva" non deve
necessariamente compiersi al momento
dell'emanazione dell'ingiunzione di
demolizione, bensì nel provvedimento
successivo con il quale viene accertata
l'inottemperanza e si procede
all'acquisizione gratuita del bene al
patrimonio del comune ai sensi dell'art. 7
l. 28.02.1985 n. 47.
L'ingiunzione di demolizione di opere
edilizie abusive non deve, dunque, recare
l’indicare la superficie dell'area di sedime
da acquisire in caso d'inottemperanza, in
quanto tale dato deve essere contenuto
nell'atto d'acquisizione, a pena
d'illegittimità di quest'ultimo, che
costituisce titolo per l'immissione in
possesso dell'opera e per la trascrizione
nei registri immobiliari (cfr. ex multis
TAR Campania Napoli, sez. IV, 21.09.2002, n.
5429; Cons. Stato, sez. V, 06.09.1999, n.
1015)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.03.2008 n. 1552 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Laddove si tratti di localizzare
un nuovo impianto di distribuzione
carburanti nel medesimo territorio comunale,
gli interventi proposti non comportano una
procedura di variante al P.R.G., essendo
sufficiente un mero adeguamento dello
strumento urbanistico, posto che la norma,
richiede sì una specificazione deliberazione
da parte del Comune, ma non anche uno
specifico piano attuativo.
La compatibilità degli impianti di
distribuzione carburanti deve essere
puntualmente verificata con le singole
destinazioni d'uso previste dal codice della
strada e non con altre destinazioni previste
dagli strumenti urbanistici.
La giurisprudenza amministrativa (cfr. ex
multis TAR Abruzzo L'Aquila,
19.06.2003, n. 449; TAR Puglia Bari sez. II
04.11.2002 n. 4723; TAR Puglia Lecce, Sez.
II, 14.11.2005, n. 5037) ha già avuto modo
di osservare che col passaggio dal regime
concessorio a quello autorizzatorio -per
quanto concerne il sistema di distribuzione
dei carburanti- l'art. 2 del d.lgs.
11.02.1998, n. 32 (come modificato dal
d.lgs. 08.09.1999 n. 346), ha demandato ai
Comuni di individuare i criteri per
l'insediamento di detti impianti,
aggiungendo che la individuazione delle aree
di localizzazione degli stessi comporta non
una procedura di variante bensì un mero
adeguamento del P.R.G. in tutte le zone non
sottoposte a “particolari vincoli
paesaggistici”, ambientale o monumentale
e non comprese nelle zone territoriali
omogenee "A".
Pertanto, laddove si tratti di localizzare
un nuovo impianto di distribuzione
carburanti nel medesimo territorio comunale,
gli interventi proposti non comportano una
procedura di variante al P.R.G., essendo
sufficiente un mero adeguamento dello
strumento urbanistico, posto che la norma,
richiede sì una specificazione deliberazione
da parte del Comune, ma non anche uno
specifico piano attuativo.
A conferma di quanto testé osservato, il
comma 3 del citato art. 2, stabilisce che “il
Comune... individua le destinazioni d'uso
compatibili con l'installazione degli
impianti all'interno delle zone comprese
nelle fasce di rispetto di cui agli articoli
16, 17 e 18 del decreto legislativo
30.04.1992, n. 285, recante il nuovo codice
della strada”; dunque, la compatibilità
deve essere puntualmente verificata con le
singole destinazioni d'uso previste dal
codice della strada e non con altre
destinazioni previste dagli strumenti
urbanistici
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.03.2008 n. 1535 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: RUMORE:
La previsione di limiti di immissione entro
le fasce di pertinenza delle infrastrutture
ferroviarie, non comporta l'inderogabile
necessità di procedere ad una nuova
zonizzazione di tutte le aree ad esse
adiacenti, in quanto, in base alla citata
normativa statale, all'interno delle fasce
di pertinenza si verifica una deroga ai
limiti di livello sonoro propri della zona.
In linea generale, non è necessario che
tutte le aree in prossimità di linee
ferroviarie siano poste esclusivamente in
classe IV, dovendo essere valutata
l'intensità e il tipo di traffico, le
caratteristiche specifiche di utilizzo della
linea e quelle insediative delle aree ad
essa più prossime, con la conseguenza che
può essere adottata la classe lll e quindi
non necessariamente la IV, nel caso si
tratti di linee con un piccolo numero di
transiti in periodo diurno e quasi in
assenza di traffico ferroviario in periodo
notturno.
Contrariamente a quanto affermato dal
Comune, la previsione di limiti di
immissione entro le fasce di pertinenza
delle infrastrutture ferroviarie, non
comporta l'inderogabile necessità di
procedere ad una nuova zonizzazione di tutte
le aree ad esse adiacenti, in quanto, in
base alla citata normativa statale,
all'interno delle fasce di pertinenza si
verifica una deroga ai limiti di livello
sonoro propri della zona (cfr. per
un'analoga fattispecie, anche se relativa
alle fasce di pertinenza della viabilità
stradale, Tar Trentino Alto Adige, Trento,
20.12.2004, n. 419).
Ciò risulta evidente anche dall’esame della
normativa regionale successivamente
intervenuta che, senza effetto innovativo,
ha riconfermato espressamente tale
principio.
In particolare l'art. 2, comma 3, della
legge regionale 10.08.2001, n. 13, recante "Norme
in materia di inquinamento acustico",
nel demandare alla Giunta regionale il
compito di definire, con proprio
provvedimento, i criteri tecnici di
dettaglio per la redazione della
classificazione acustica del territorio
comunale, alla lett. e), stabilisce che non
possono essere comprese in classe inferiore
alla IV, per le distanze inferiori a cento
metri, le aree che si trovino all’interno
delle fasce di pertinenza delle
infrastrutture ferroviarie, con la
specificazione tuttavia che tale
prescrizione vale solo per le linee
ferroviarie di grande comunicazione.
Inoltre la deliberazione della Giunta
regionale 12.07.2002, n. 7/9776, recante
l'approvazione del documento «Criteri
tecnici di dettaglio per la redazione della
classificazione acustica del territorio
comunale», pubblicata nel Bollettino
Ufficiale del 15.07.2002, n. 29, ha
espressamente riprodotto, dando quindi atto
dell’insussistenza di una portata innovativa
della normativa statale sopravvenuta, le
indicazioni già contenute nella
deliberazione della Giunta regionale del
25.06.1993, n. 5/37724. La tesi del Comune
secondo cui il DPR 18.11.1998, n. 459
avrebbe comportato, sul punto specifico, la
caducazione della deliberazione della Giunta
regionale 25.06.1993, n. 5/37724, risulta
pertanto priva di fondamento.
Il paragrafo 2.2, chiarisce infatti che
l'allegato A del DPCM 14.11.1997, indica la
classe IV per le aree poste in prossimità di
linee ferroviarie, ma che tuttavia ciò non
esclude che, in prossimità delle suddette
infrastrutture, possano essere assegnate le
classi V e VI, qualora esistano o siano
previsti insediamenti industriali o centri
commerciali, oppure, come nel caso di linee
ferroviarie locali, possa, invece, essere
attribuita la classe III se le
caratteristiche delle aree vicine
all’infrastruttura ferroviaria e quelle del
traffico che si svolge sulla stessa lo
rendono possibile; fermo restando che per le
sole linee ferroviarie di grande
comunicazione, per le quali si ha presenza
di traffico ferroviario anche in periodo
notturno, non può essere determinata una
classe inferiore alla IV nella fascia di
territorio distante meno di cento metri
dalla linea ferroviaria.
Con indicazione ancor più di dettaglio,
viene inoltre precisato che, in linea
generale, non è necessario che tutte le aree
in prossimità di linee ferroviarie siano
poste esclusivamente in classe IV, dovendo
essere valutata l'intensità e il tipo di
traffico, le caratteristiche specifiche di
utilizzo della linea e quelle insediative
delle aree ad essa più prossime, con la
conseguenza che può essere adottata la
classe lll e quindi non necessariamente la
IV, nel caso si tratti di linee con un
piccolo numero di transiti in periodo diurno
e quasi in assenza di traffico ferroviario
in periodo notturno
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 25.03.2008 n. 340 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Nessuna
norma di legge attribuisce ai comuni il
potere di vietare l’esercizio di determinate
attività economiche in relazione al
possibile pericolo di inquinamento acustico.
Il D.P.C.M. 14.11.1997 e l’art. 6 della
legge n. 447 del 1995 non attribuiscono ai
comuni il potere di vietare l’esercizio di
determinate attività economiche in relazione
al possibile pericolo di inquinamento
acustico.
Le attività artigianale sono naturalmente
destinate ad essere svolte in zona
artigianale ed un divieto di esercizio di
tali attività in zona artigianale assume di
fatto la natura di un divieto generalizzato
su tutto il territorio comunale
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 21.03.2008 n. 746 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
venir meno della concessione (d'uso) in
precario di terreno comunale e sul dovere di
rimozione delle costruzioni realizzate.
Il ricorrente risulta bensì proprietario del
chiosco (cfr. sentenza della sezione n.
57/2007), il quale tuttavia insiste su
terreno comunale di cui era concessionario
in precario, sicché una volta scaduta la
concessione, e non rinnovata, il medesimo
perde ogni possibilità di utilizzo del bene,
dovendo difatti, ai sensi della concessione,
rimuovere a sue spese la costruzione
provvedendo a rimettere il terreno in
pristino stato
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 21.03.2008 n. 744 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: In
merito alla revoca unilaterale di una
convenzione urbanistica.
Dopo la stipulazione della convenzione
l'eventuale incisione sulla posizione
giuridica del privato (costituitasi con
l'avallo e la collaborazione
dell'amministrazione) assume nella sostanza
le fattezze della revoca unilaterale della
pregressa convenzione ed abbisogna, per
conseguenza, di una circostanziata
motivazione sulle particolari ragioni di
pubblico interesse, arricchita da una
congrua comparazione tra gli interessi in
conflitto (cfr. ancora Cons. Stato, Sez. IV,
10.08.2004, n. 5510; 14.01.2002 n. 173;
23.04.1998, n. 670; 06.03.1998, n. 382;
04.12.1998, n. 1732)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 21.03.2008 n. 321 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
diniego motivato dell'autorità preposta alla
tutela del vincolo nel caso di condono
edilizio.
Com’è noto, il parere dell’autorità preposta
alla tutela del vincolo, previsto dall’art.
32 della legge n. 47/1985, costituisce
manifestazione di discrezionalità tecnica
che, in quanto tale, deve recare
l’indicazione delle ragioni assunte a
fondamento della ritenuta compatibilità o
incompatibilità di un dato intervento
edilizio con le esigenze di tutela
paesistica sottese all’imposizione del
vincolo stesso.
Ne discende che il diniego di nulla osta
deve essere assistito da un apparato
motivazionale che, sia pure in forma
sintetica, dia conto di quelle esigenze ed
esplichi in concreto i motivi per i quali la
costruzione, per le sue caratteristiche
architettoniche ed estetiche, viene
giudicata pregiudizievole dell’integrità del
contesto ambientale in cui si inserisce e,
con essa, degli specifici interessi pubblici
alla cui tutela il vincolo è inteso
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 14.03.2008 n. 296 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
venir meno della titolarità della
concessione e quindi del diritto di
edificazione in capo all'originario
concessionario con il trasferimento dei
relativi diritti in testa al subentrante,
destinatario della volturazione e titolare
quindi dello ius aedificandi, di norma e
salva diversa ed esplicita pattuizione tra
cedente e cessionario, comportano anche il
trasferimento a carico ed a favore di
quest'ultimo, dal momento della volturazione,
di tutti indistintamente i diritti e gli
obblighi connessi e/o derivanti dalla
concessione stessa.
Se è vero che, una volta intervenuta la
volturazione della concessione edilizia,
legittimato passivo rispetto alle misure
repressive di lavori eventualmente condotti
in difformità dalla concessione è soltanto
il terzo subentrante e non l'originario
titolare della concessione edilizia, lo
stesso principio non può non affermarsi
anche rispetto alle obbligazioni pecuniarie
connesse alla concessione edilizia volturata
dopo il suo rilascio e derivanti
dall’avvenuto, o meno, concreto utilizzo
della concessione stessa.
Nel caso della voltura della concessione
edilizia, non essendo la prestazione oggetto
dell'obbligazione contributiva
caratterizzata in senso personale, si ha in
realtà una modificazione dell'oggetto del
rapporto, con l'effetto della liberazione da
ogni diritto ed obbligo del primitivo
concessionario in concomitanza con la
perdita del diritto ed edificare.
Il Collegio ricorda che, a norma dell'art.
4, comma 6°, della legge 10/1977 (ora art.
11 D.L.vo 380/2001), la concessione edilizia
è trasferibile ai successori o aventi causa.
In tal modo le norme riconoscono
esplicitamente la natura <reale> del titolo
edilizio, che viene, pertanto, rilasciato in
ragione della titolarità di una situazione
giuridica soggettiva ontologicamente
ricollegata ad un determinato bene immobile.
Come già notato, non è poi lecito dubitare
che (Cons. St, sez. V 22.02.1988, n. 105) le
somme pagate a titolo di contributi per
oneri di urbanizzazione relativamente ad una
concessione edilizia sono ripetibili se la
concessione non sia stata utilizzata (TAR
Abruzzo Pescara 15.12.2006 n. 890).
Ne consegue inevitabilmente il principio
secondo cui sussiste una intrinseca
connessione tra l'abilitazione all’esercizio
dell'attività di edificazione ed il rapporto
obbligatorio relativo ai contributi di
urbanizzazione e di costruzione (cfr. Cons.
Stato Sez. V 12.06.1995, n. 894).
Ciò significa che il venir meno della
titolarità della concessione e quindi del
diritto di edificazione in capo
all'originario concessionario con il
trasferimento dei relativi diritti in testa
al subentrante, destinatario della
volturazione e titolare quindi dello ius
aedificandi, di norma e salva diversa ed
esplicita pattuizione tra cedente e
cessionario, comportano anche il
trasferimento a carico ed a favore di
quest'ultimo, dal momento della volturazione,
di tutti indistintamente i diritti e gli
obblighi connessi e/o derivanti dalla
concessione stessa.
Insomma, se, come detto, esiste una
connessione innegabile tra ius
aedificandi e diritti ed obblighi
relativi agli oneri concessori, tali diritti
e tali obblighi, salva esplicita deroga, non
possono perpetuarsi in capo al soggetto
originario concessionario che ha alienato il
terreno interessato dalla trasformazione
dopo il rilascio della concessione,
quest’ultima volturata ad un nuovo soggetto,
che è proprio quello e solo quello che poi
in concreto può esercitare lo ius
aedificandi.
D’altra parte, se è vero che, una volta
intervenuta la volturazione della
concessione edilizia, legittimato passivo
rispetto alle misure repressive di lavori
eventualmente condotti in difformità dalla
concessione è soltanto il terzo subentrante
e non l'originario titolare della
concessione edilizia (TAR Lombardia, Milano,
sez. II 18.02.1984 n. 66), lo stesso
principio non può non affermarsi anche
rispetto alle obbligazioni pecuniarie
connesse alla concessione edilizia volturata
dopo il suo rilascio e derivanti
dall’avvenuto, o meno, concreto utilizzo
della concessione stessa.
Né può pervenirsi a conclusione diversa solo
perché la giurisprudenza ha ritenuto che la
voltura della concessione comporta una
<novazione soggettiva> della stessa.
Tale affermazione non incide, infatti, sul
dato incontestabile che la concessione
edilizia non ha natura <personale>, ma
<reale>, nel senso che suo presupposto è
comunque una situazione soggettiva attiva
del richiedente in relazione ad un bene
determinato e che da tale natura discende la
possibilità di trasferimento della stessa
insieme con l'area, subordinato ad un
provvedimento di voltura che rappresenta un
mero accertamento del fatto del subingresso
di un nuovo soggetto nel rapporto giuridico
originario.
Nella suindicata prospettiva, se è vero che
l'atto di volturazione non comporta la
corresponsione di ulteriori contributi
concessori che restano quelli fissati in
occasione del rilascio del titolo originario
(cfr. Cons. Stato sez. V. n. 616/1988
citata), è altrettanto vero che tali oneri,
sia per la parte adempiuta che per quella
non ancora adempiuta, salva diversa
pattuizione recepita dall’Amministrazione,
si trasferiscono automaticamente al
subentrante, sia perché non rilevano sotto
il profilo dell'intuitus personae,
inerendo ad un atto che non ha carattere
personale, sia perché connessi alla capacità
di disporre del diritto di edificazione,
nella specie in concreto non esercitato dal
subentrante.
Tutto quanto sopra induce il Collegio a
ritenere che, nel caso della voltura della
concessione edilizia, non essendo la
prestazione oggetto dell'obbligazione
contributiva caratterizzata in senso
personale, si ha in realtà una modificazione
dell'oggetto del rapporto, con l'effetto
della liberazione da ogni diritto ed obbligo
del primitivo concessionario in concomitanza
con la perdita del diritto ed edificare
(TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 12.03.2008 n. 1220 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
L’omessa impugnazione del
provvedimento di approvazione di un P.R.G.
non determina alcuna preclusione
all’ammissibilità del ricorso proposto
contro la delibera di adozione dello
strumento urbanistico: l’annullamento di
quest’ultima, comportando il venir meno di
uno degli elementi necessari di un atto
complesso che si perfeziona solo con
l’approvazione finale, esplica effetti
automaticamente caducanti e non meramente
vizianti sul successivo provvedimento, nella
parte in cui lo stesso si limita a
confermare le previsioni già contenute nel
piano adottato e fatto oggetto di
impugnativa.
E' ammissibile l’impugnazione della
deliberazione comunale di adozione della
variante generale al P.R.G non seguita da
gravame avverso la successiva delibera
regionale di approvazione con modifiche
della stessa, atteso che l'eventuale
annullamento della prima avrebbe avuto
effetto direttamente caducante nei confronti
della seconda, dato che nella specie la
Regione aveva introdotto solo sistemi
procedimentali diversi per l’approvazione
degli strumenti urbanistici attuativi, senza
modificare né l’azzonamento né le norme
edificatorie ad esso connesse.
Per consolidata giurisprudenza, l’omessa
impugnazione del provvedimento di
approvazione di un P.R.G. non determina
alcuna preclusione all’ammissibilità –e non
comporta l’improcedibilità– del ricorso
proposto contro la delibera di adozione
dello strumento urbanistico: l’annullamento
di quest’ultima, comportando il venir meno
di uno degli elementi necessari di un atto
complesso che si perfeziona solo con
l’approvazione finale, esplica effetti
automaticamente caducanti e non meramente
vizianti sul successivo provvedimento, nella
parte in cui lo stesso si limita a
confermare le previsioni già contenute nel
piano adottato e fatto oggetto di
impugnativa (cfr. TAR Marche Ancona –
17/03/2006, n. 76; Consiglio di Stato, sez.
IV – 13/04/2005 n. 1743; sez. IV –
15/09/1998 n. 1155; sez. IV – 29/11/1991 n.
995).
Il P.R.G. è in effetti composto da atti
distinti, ossia la delibera di adozione –con
i suoi effetti autonomi ed immediati– ed il
provvedimento di approvazione, formalmente e
sostanzialmente nuovo rispetto al piano
adottato: di conseguenza i due atti possono
essere censurati autonomamente e
distintamente, e l’omessa impugnazione del
primo non comporta preclusione o decadenza
del diritto a dolersi del piano approvato,
mentre la mancata impugnazione del secondo
non comporta sopravvenuta carenza di
interesse al ricorso già presentato contro
il primo, salvo che l’atto di approvazione
contempli modifiche delle previsioni
dapprima ritualmente contestate (Consiglio
di Stato, sez. IV – 06/05/2003 n. 2386).
Anche la Sezione è intervenuta sul punto,
ritenendo ammissibile l’impugnazione della
deliberazione comunale di adozione della
variante generale al P.R.G non seguita da
gravame avverso la successiva delibera
regionale di approvazione con modifiche
della stessa, atteso che l'eventuale
annullamento della prima avrebbe avuto
effetto direttamente caducante nei confronti
della seconda, dato che nella specie la
Regione aveva introdotto solo sistemi
procedimentali diversi per l’approvazione
degli strumenti urbanistici attuativi, senza
modificare né l’azzonamento né le norme
edificatorie ad esso connesse (cfr. sentenza
05/11/1997 n. 974).
Il Collegio conosce l’orientamento
giurisprudenziale ad avviso del quale quando
l’amministrazione interviene nuovamente in
materia di pianificazione urbanistica deve
verificare la persistente compatibilità
delle destinazioni già impresse ad aree
situate nelle aree più diverse del
territorio comunale rispetto ai principi
informatori della nuova disciplina e alle
mutate esigenze di pubblico interesse.
Per pacifico principio le scelte
urbanistiche di carattere generale
costituiscono apprezzamenti di merito e sono
sottratte al sindacato di legittimità, salvo
che non siano inficiate da errori di fatto,
da illogicità ovvero irragionevolezza: è
stato, di conseguenza, ritenuto che esse non
necessitino neppure di apposita motivazione,
oltre quella che si può evincere dai criteri
generali, di ordine tecnico-discrezionale,
seguiti nell'impostazione del piano stesso,
essendo sufficiente l'espresso riferimento
alla relazione di accompagnamento al
progetto di modificazione del P.R.G., salva
l'esistenza di legittime aspettative o di
affidamenti ingenerati nei cittadini,
meritevoli di specifiche considerazioni
(cfr. per tutte Consiglio di Stato, sez. IV
– 11/10/2007 n. 5357)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 12.03.2008 n. 279 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione urbanistica di pertinenza non
coincide con quella più ampia fornita
dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere
perimetrata in modo compatibile con i
principi della materia e riferita, quindi,
alle sole opere edilizie minori, che abbiano
scarso o nullo peso dal punto di vista
dell’ingombro e del carico edilizio ed
urbanistico.
Come chiarito dalla giurisprudenza (cfr.,
Consiglio di Stato, Sezione V, 23.03.2000 n.
1600 ; TAR Lazio, II-ter, 06.09.2000 n.
6900; TAR Campania, Sezione IV, 03.01.2002
n. 50; TAR Lazio, Latina, 04.07.2006 n. 428;
TAR Toscana, Sezione III, 27.11.2006, n.
6052; TAR Emilia Romagna, Sezione II,
11.10.2007 n. 2286), la nozione urbanistica
di pertinenza non coincide con quella più
ampia fornita dall’art. 817 del cod. civ.,
dovendo essere perimetrata in modo
compatibile con i principi della materia e
riferita, quindi, alle sole opere edilizie
minori, che abbiano scarso o nullo peso dal
punto di vista dell’ingombro e del carico
edilizio ed urbanistico
(TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 1172 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’istituto
della concessione edilizia ovvero del
permesso di costruire in deroga alle
previsioni di piano può riguardare
esclusivamente i limiti di densità edilizia,
di altezza e di distanza tra i fabbricati,
ma non può essere utilizzato per travolgere
le esigenze di ordine urbanistico a suo
tempo recepite, nel senso che non possono
costituire oggetto di deroga "le
destinazioni di zona che attengono
all'impostazione stessa del piano regolatore
generale e ne costituiscono le norme
direttrici".
Non può in alcun modo ritenersi che il
rilascio dei permessi in deroga, in assenza
dell’approvazione di una specifica variante
al P.R.G., comporti l’automatica
trasformazione del regime edificatorio delle
aree interessate.
Come
ha sottolineato la giurisprudenza,
l’istituto della concessione edilizia ovvero
del permesso di costruire in deroga alle
previsioni di piano –ai sensi dell’art.
41-quater della legge 17.08.1942 n.1150,
introdotto dall’art. 16 della legge
06.08.1965 n. 765, poi confluito nell’art.
14 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380– può
riguardare esclusivamente i limiti di
densità edilizia, di altezza e di distanza
tra i fabbricati, ma non può essere
utilizzato per travolgere le esigenze di
ordine urbanistico a suo tempo recepite, nel
senso che non possono costituire oggetto di
deroga "le destinazioni di zona che
attengono all'impostazione stessa del piano
regolatore generale e ne costituiscono le
norme direttrici" (TAR Lombardia Milano,
sez. II, 20.12.2004, n. 6486).
A maggior ragione, nel caso di specie, non
può in alcun modo fondatamente ritenersi che
il rilascio dei permessi in deroga, in
assenza dell’approvazione di una specifica
variante al P.R.G., abbia comportato
l’automatica trasformazione del regime
edificatorio delle aree interessate dal
complesso ricettivo in questione. Al
riguardo, è comunque dirimente il rilievo
per cui il fondo interessato dall’intervento
oggetto della presente controversia
(particella n. 2385) non è neppure compreso
tra quelli ove insistono le opere sanate con
i due menzionati permessi in deroga
(TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 1172 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
destinazione a zona E agricola non è imposta
necessariamente ai fini della salvaguardia
di interessi agricoli, ma come mezzo di
disciplina urbanistica del territorio allo
scopo di evitare addensamenti edilizi ed
espansioni pregiudizievoli ad un corretto
insediamento urbano del territorio, anche a
fini di tutela ambientale.
Per il rilascio di un permesso di costruire
in zona agricola, occorre accertare la
compatibilità di un intervento con le
specifiche previsioni urbanistiche vigenti
in quel territorio, per cui, ove il P.R.G.
consenta soltanto le costruzioni necessarie
per la conduzione agricola, va verificata in
concreto la sussistenza di un’effettiva ed
obiettiva connessione funzionale dell’opera
da realizzare, tenendo conto da una parte
delle caratteristiche dell’edificio e
dall’altra delle esigenze agricole da
soddisfare.
La realizzazione di un parco-giochi non può
ontologicamente rientrare nella categoria
delle costruzioni necessarie per la
conduzione agricola dei terreni né può
comunque considerarsi complementare
all’attività agricola, ma, anzi, con la
stessa in potenziale conflitto.
Non ignora il
Collegio che, di regola, in sede di
pianificazione urbanistica, la destinazione
a zona E agricola non è imposta
necessariamente ai fini della salvaguardia
di interessi agricoli, ma come mezzo di
disciplina urbanistica del territorio allo
scopo di evitare addensamenti edilizi ed
espansioni pregiudizievoli ad un corretto
insediamento urbano del territorio, anche a
fini di tutela ambientale (cfr., tra le
tante, Consiglio di Stato, Sezione V,
23.01.2007, n. 192; Sezione IV, 14.10.2005,
n. 5713 e 25.05.1998, n. 869).
Tuttavia, è stato anche precisato che, per
il rilascio di un permesso di costruire in
zona agricola, occorre accertare la
compatibilità di un intervento con le
specifiche previsioni urbanistiche vigenti
in quel territorio, per cui, ove il P.R.G.
consenta soltanto le costruzioni necessarie
per la conduzione agricola, va verificata in
concreto la sussistenza di un’effettiva ed
obiettiva connessione funzionale dell’opera
da realizzare, tenendo conto da una parte
delle caratteristiche dell’edificio e
dall’altra delle esigenze agricole da
soddisfare (cfr. Consiglio di Stato, Sezione
V, 15.01.2003, n. 156; 20.12.2001, n. 6327).
La realizzazione di un parco-giochi non può
ontologicamente rientrare nella categoria
delle costruzioni necessarie per la
conduzione agricola dei terreni né può
comunque considerarsi complementare
all’attività agricola, ma, anzi, con la
stessa in potenziale conflitto. La rilevante
struttura realizzata, per qualità, quantità
ed estensione è tale, infatti, da alterare
l’assetto agricolo della zona, anche di
riflesso, per il conseguente rilevante
carico di traffico veicolare, in grado di
incidere significativamente sulla stessa
conduzione dell’attività agricola dei fondi
gravitanti nella zona oggetto di intervento
(TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 1172 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’impugnativa
della dia è configurabile, essendo superato
l’orientamento giurisprudenziale che ne
escludeva la natura provvedimentale.
L’impugnativa della dia è configurabile,
essendo superato l’orientamento
giurisprudenziale che ne escludeva la natura
provvedimentale; secondo il più recente
orientamento, che il Collegio condivide, la
d.i.a. non è uno strumento di
liberalizzazione dell’attività privata,
bensì una semplificazione procedimentale che
consente al privato di conseguire un titolo
abilitativo a seguito del decorso di un
termine dalla presentazione della denuncia.
Col decorso del termine dalla presentazione
della denuncia di inizio attività si forma
una autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, che può essere contestata
dal terzo entro l’ordinario termine di
decadenza, decorrente dalla comunicazione
del perfezionamento della d.i.a. o
dall’avvenuta conoscenza del consenso
implicito all’intervento oggetto di d.i.a.
A sostegno di tale configurazione vale
osservare che la legge 80/2005 ha
espressamente previsto in relazione alla
d.i.a. il potere dell’amministrazione
competente di assumere determinazioni in via
di autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies: se è ammesso
l’annullamento d’ufficio, a maggior ragione
deve essere consentita l’azione di
annullamento davanti al giudice
amministrativo; la natura provvedimentale
della d.i.a., ancor prima delle modifiche
legislative del 2005, poteva desumersi,
altresì, dalle norme contenute nel testo
unico sull’edilizia), le quali estendono
agli interventi assoggettati a d.i.a. le
conseguenze legate all’annullamento del
permesso di costruire; anche la previsione
dell’ultimo comma dell’art. 19 legge
241/1990 circa la giurisdizione esclusiva
del G.A. nelle controversie in materia di
d.i.a. è sintomatica della volontà
legislativa di sottoporre tale atto alla
piena sindacabilità giurisdizionale; la
tutela del terzo controinteressato rispetto
ad una d.i.a. non può essere costretta negli
angusti limiti dell’eventuale esercizio del
potere di autotutela da parte della P.A.
Secondo l’opposta tesi che nega natura
provvedimentale alla d.i.a., infatti, al
terzo danneggiato non resterebbe altra via
di tutela che sollecitare l’amministrazione
a esercitare i poteri inibitori o
l’autotutela.
Queste osservazioni, valide in via generale
per ogni denuncia di inizio attività, ancor
di più sono riferibili alla d.i.a. edilizia,
dal momento che il T.U. edilizia D.p.R.
38072001 (in particolare l’art. 22) tratta
il permesso di costruire e la denuncia di
inizio attività come titoli abilitativi di
natura analoga, diversi solo per il
procedimento da seguire: sarebbe
irragionevole e lesivo dell’effettività
della tutela giurisdizionale ritenere che il
terzo controinteressato incontri limiti
diversi a seconda del tipo di titolo
abilitativo, peraltro rimesso alla scelta
della parte o ad una diversa normativa
regionale (cfr. CdS sez. VI 05.04.2007 n.
1550)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 1167 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I provvedimenti sanzionatori in materia
edilizia non necessitano di alcuna
motivazione in ordine alla prevalenza
dell’interesse pubblico, anche nel caso in
cui l’abuso sia stato commesso in epoca
risalente nel tempo, e ciò non solo perché
non sussiste alcun legittimo affidamento in
capo al contravventore che giustifichi la
conservazione di una situazione di fatto
contra ius, ma anche perché la repressione
degli abusi edilizi costituisce un preciso
obbligo dell’Amministrazione, la quale non
gode di alcuna discrezionalità al riguardo.
I provvedimenti sanzionatori in materia
edilizia, invero, non necessitano di alcuna
motivazione in ordine alla prevalenza
dell’interesse pubblico, anche nel caso in
cui l’abuso sia stato commesso in epoca
risalente nel tempo, e ciò non solo perché
non sussiste alcun legittimo affidamento in
capo al contravventore che giustifichi la
conservazione di una situazione di fatto
contra ius, ma anche perché la
repressione degli abusi edilizi costituisce
un preciso obbligo dell’Amministrazione, la
quale non gode di alcuna discrezionalità al
riguardo (cfr., da ultimo, CdS, IV,
01.10.2007 n. 5049).
In tema di sanzioni edilizie trova
applicazione, in considerazione della natura
permanente dell’illecito edilizio, la legge
in vigore al momento della repressione
dell’abuso (cfr., ex pluribus, TAR
Veneto, 02.02.2006 n. 276)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 569 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’ordine
di demolizione di opera edilizia abusiva è
sufficientemente motivato con l’affermazione
dell’accertata abusività dell’opera, salva
l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di
tempo trascorso dalla commissione dell’abuso
ed il protrarsi dell’inerzia
dell’amministrazione preposta alla
vigilanza, si sia ingenerata una posizione
d’affidamento nel privato, ipotesi questa in
relazione alla quale si ravvisa un onere di
congrua motivazione che, avuto riguardo
anche all’entità e alla tipologia
dell’abuso, indichi il pubblico interesse,
evidentemente diverso da quello al
ripristino della legalità, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato.
Per la giurisprudenza: “L’ordine di
demolizione di opera edilizia abusiva è
sufficientemente motivato con l’affermazione
dell’accertata abusività dell’opera, salva
l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di
tempo trascorso dalla commissione dell’abuso
ed il protrarsi dell’inerzia
dell’amministrazione preposta alla
vigilanza, si sia ingenerata una posizione
d’affidamento nel privato, ipotesi questa in
relazione alla quale si ravvisa un onere di
congrua motivazione che, avuto riguardo
anche all’entità e alla tipologia
dell’abuso, indichi il pubblico interesse,
evidentemente diverso da quello al
ripristino della legalità, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato” (Consiglio Stato,
sez. IV, 14.05.2007, n. 2441).
Del resto, s’è sostenuto, con specifico
riguardo all’esercizio del potere
d’annullamento, in autotutela, di un
provvedimento ampliativo della sfera
giuridica del privato, che: “Nel caso di
annullamento d’ufficio di una concessione
edilizia consequenziale ad una falsa o
comunque erronea rappre-sentazione dello
stato di fatto, preesistente al rilascio
della concessione me-desima, l’interesse
pubblico all’esercizio della potestà di
autotutela sussiste “in re ipsa” e non
necessita pertanto di alcuna motivazione
ulteriore” (TAR Emilia Romagna Bologna,
sez. II, 10.06.2002, n. 854).
Come può notarsi, l’onere motivazionale è
certamente semplificato dove, come nella
specie, ci si trovi in presenza di
un’illegittimità del titolo ad
aedificandum, perché rilasciato in base
ad un presupposto di fatto errato (il
rispetto della distanza di metri dieci dal
vallone Cupazzo); né, del resto, si
ravvisano, nella specie, gli ulteriori
presupposti, perché occorra una penetrante
motivazione circa la sussistenza di un
pubblico interesse, diverso da quello al
mero ripristino della legalità violata,
presupposti costituiti, nel caso degli
illeciti edilizi, dal lungo lasso di tempo
trascorso dalla commissione dell’abuso e dal
protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione,
ché, anzi, nella specie la situazione
dell’erigendo fabbricato è stata oggetto di
costante attenzione da parte del Comune, che
ha esercitato i propri poteri repressivi in
tempi da ritenersi adeguati, se si tiene
conto dell’opportunità d’attendere
l’orientamento del competente Genio Civile
circa la richiesta di concessione idraulica
“in sanatoria”, presentata
dall’interessato
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 267 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
divieto di costruzione di manufatti ad una
certa distanza dagli argini dei corsi
d’acqua, contenuto nell’art. 96, lett. f),
del R.D. 25.07.1904 n. 523, ha carattere
inderogabile e si riferisce sia all’ipotesi
in cui esistano veri e propri manufatti sia
a quella in cui i corsi d’acqua siano
provvisti di argini naturali.
Il divieto di
costruzione di manufatti ad una certa
distanza dagli argini dei corsi d’acqua,
contenuto nell’art. 96, lett. f), del R.D.
25.07.1904 n. 523 (testo unico sulle opere
idrauliche), ha carattere inderogabile e si
riferisce sia all’ipotesi in cui esistano
veri e propri manufatti sia a quella in cui
i corsi d’acqua siano provvisti di argini
naturali (Consiglio di Stato, Sez. I, sent.
n. 200 del 10.06.1988)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 267 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Allorché
l’atto di annullamento d’ufficio di una
concessione edilizia sia sorretto unicamente
da valutazioni logico-giuridiche e non anche
e solo da valutazioni d’ordine tecnico
edilizio, non è viziante la mancata
esibizione del parere della Commissione
edilizia, in quanto il parere predetto è
necessario unicamente nel caso si sia in
presenza di difformità da valutare sotto il
profilo tecnico-edilizio, ben potendo essere
omesso allorquando le valutazioni che hanno
condotto all’annullamento d’ufficio
rivestono carattere di valutazioni
giuridico–normative.
Riguardo, poi,
al profilo di censura, secondo cui
illegittimamente non sarebbe stato seguito,
per l’annullamento del p. di c., lo stesso
procedimento, adottato per il rilascio del
medesimo, rileva il Tribunale come essa non
possa condurre, nella specie,
all’accoglimento del ricorso; tanto, in
aderenza all’orientamento giurisprudenziale
consolidato, espresso ex multis nella
seguente massima: “Allorché l’atto di
annullamento d’ufficio di una concessione
edilizia sia sorretto unicamente da
valutazioni logico-giuridiche (nella
fattispecie collegate all’assenza o alla
falsità di un presupposto di legge) e non
anche e solo da valutazioni d’ordine tecnico
edilizio, non è viziante la mancata
esibizione del parere della Commissione
edilizia, in quanto il parere predetto è
necessario unicamente nel caso si sia in
presenza di difformità da valutare sotto il
profilo tecnico-edilizio, ben potendo essere
omesso allorquando le valutazioni che hanno
condotto all’annullamento d’ufficio
rivestono carattere di valutazioni
giuridico–normative” (TAR Sicilia
Catania, sez. I, 18.04.2005, n. 672): nel
caso in esame, l’assenza di un presupposto
indefettibile (distanza di legge dagli
argini del vallone Cupazzo) ha reso
l’adozione del provvedimento vincolata, con
conseguente superfluità del parere
dell’organo consultivo
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 267 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’attività
istruttoria dell’ente locale in materia di
rilascio di permesso di costruire, se pure
radicata in primis alla valutazione degli
aspetti urbanistico-edilizi del progetto da
assentire, non può ritenersi esente dalla
valutazione degli aspetti civilistici della
domanda di concessione (anche in sanatoria),
qualora nel fascio degli interessi coinvolti
nel procedimento, questi ultimi vengano
tempestivamente e adeguatamente introdotti
dai soggetti aventi diritto.
Se normalmente l’Amministrazione non è
tenuta a svolgere indagini particolari in
presenza della richiesta edificatoria
prodotta da un comproprietario, al
contrario, qualora uno o più comproprietari
si attivino per denunciare il proprio
dissenso rispetto al rilascio del titolo
edificatorio, il Comune deve verificare se,
dietro l’istanza di concessione sia
riconoscibile l’effettiva sussistenza della
disponibilità del bene oggetto del previsto
intervento edificatorio.
Come già ha avuto modo di precisare questo
Tribunale con una recente pronuncia dalla
quale non ha ragione per discostarsi (TAR
Salerno n. 2080 del 05.10.2007), l’attività
istruttoria dell’ente locale in materia di
rilascio di permesso di costruire, se pure
radicata in primis alla valutazione
degli aspetti urbanistico-edilizi del
progetto da assentire, non può ritenersi
esente dalla valutazione degli aspetti
civilistici della domanda di concessione
(anche in sanatoria), qualora nel fascio
degli interessi coinvolti nel procedimento,
questi ultimi vengano tempestivamente e
adeguatamente introdotti dai soggetti aventi
diritto.
Alle citate conclusioni il Tribunale è
addivenuto richiamando sul punto, a conforto
di quanto rappresentato, l’evoluzione
giurisprudenziale in materia, ricostruendo
con l’ausilio di Cons. St. Sez. V 21.10.2003
n. 6529, il percorso giurisprudenziale
individuato:
“…in passato… la giurisprudenza era
prevalentemente orientata nel senso che il
parametro valutativo dell’attività
amministrativa in materia edilizia è quello
dell’accertamento della conformità
dell’opera alla disciplina pubblicistica che
ne regola la realizzazione, salvi i diritti
dei terzi e senza che la mancata
considerazione di tali diritti possa in
qualche modo incidere sulla legittimità
dell’atto, più recentemente (cfr Cons. St.
Sez. V 15.03.2001 n. 1507) ha avuto
occasione di precisare che la necessaria
distinzione tra gli aspetti civilistici e
quelli pubblicistici dell’attività
edificatoria non impedisce di rilevare la
presenza di significativi punti di contatto
tra i due diversi profili.
In proposito, ha, pertanto, chiarito che non
è seriamente contestabile che nel
procedimento di rilascio della concessione
edilizia l’Amministrazione abbia il potere
ed il dovere di verificare l’esistenza, in
capo al richiedente, di un idoneo titolo di
godimento sull’immobile, interessato dal
progetto di trasformazione urbanistica,
trattandosi di un’attività istruttoria che
non è diretta, in via principale, a
risolvere i conflitti di interesse tra le
parti private in ordine all’assetto
proprietario degli immobili interessati (nel
caso in esame con-cernenti la legittimità –o
non– della esecuzione, ai sensi dell’art.
1102 cod. civ. delle opere edilizie che
interessano porzioni comuni) ma che risulta
finalizzata, più semplicemen-te, ad
accertare il requisito della legittimazione
del richieden-te.
Ha, pertanto, concluso che, conformemente a
quanto previsto dal cit. art. 4 della legge
n. 10 del 1977, in caso di opere che vadano
ad incidere sul diritto di altri
comproprietari, è legittimo esigere il
consenso degli stessi (che può essere
manifestato anche per fatti concludenti) e
che, a maggior ragione, qualora vi sia un
conclamato dissidio fra i comproprietari in
ordine all’intervento progettato, la scelta
dell’Amministrazione di assentire,comunque,
le opere (in base al mero riscontro della
conformità agli strumenti urbanistici)
evidenzia un grave difetto istruttorio e
motivazionale, perché non dà conto della
effettiva corrispondenza tra la richiesta di
concessione e la titolarità del prescritto
diritto di godimento (cfr. in termini anche
Cons. Stato V Sez. 20.09.2001 n. 4972; TAR
Toscana 23.11.2001 n. 1651; TAR Emilia
Romagna, Parma, 21.03.2002 n. 183).”
Allo stato attuale dell’evoluzione
giurisprudenziale, dunque, può dirsi che se
normalmente l’Amministrazione non è tenuta a
svolgere indagini particolari in presenza
della richiesta edificatoria prodotta da un
comproprietario, al contrario, qualora uno o
più comproprietari si attivino per
denunciare il proprio dissenso rispetto al
rilascio del titolo edificatorio, il Comune
deve verificare se, dietro l’istanza di
concessione sia riconoscibile l’effettiva
sussistenza della disponibilità del bene
oggetto del previsto intervento edificatorio
(Cons. St. Sez. V 20.09.2001 n. 4972).
Non sfugge al Collegio che altra parte della
giurisprudenza non è di detto avviso (vedi
Cons. St. n. 6297/2004), ancorché anche
queste pronunce non escludono, in linea di
principio, la necessità della previa
valutazione della legittimazione del
soggetto che richiede il titolo edilizio in
applicazione dell’art. 4 l. n. 10/1977.
Il Collegio, tuttavia, reputa ormai
consolidata e maggio-ritaria la
giurisprudenza favorevole alla valutazione
degli a-spetti civilistici della questione,
così come provato anche dalla recente
pronuncia di Cons. St. Sez. V 11.04.2007 n.
1654, laddove si afferma che:
“Altrettanto correttamente, poi, il TAR
ha ritenuto che, dovendo i lavori edilizi de
quibus eseguirsi (anche) su parti comuni del
fabbricato e trattandosi di opere non
connesse all’uso normale della cosa comune,
essi abbisognassero del previo assenso dei
comproprietari anche in relazione agli
aspetti pubblicistici dell’attività
edificatoria, con particolare riguardo alle
norme (art. 4 della legge n. 10 del 1977 e
art. 11, comma 1, del d.P.R. n. 380 del
2000), che prevedono la verifica
dell'esistenza, in capo al richiedente, di
titolo un attributivo dello jus aedificandi
sull'immobile oggetto di trasformazione
edilizia.
E’ pacifico, invero, che le parti private
qui presenti in giudizio hanno in comune la
proprietà di tutte le parti dell’edificio,
interessato al contestato intervento
edilizio, necessarie all’uso comune e, in
particolare, del tetto e dei muri maestri,
entrambi oggetto dell’intervento stesso …
Così stando le cose, il Comune avrebbe
dovuto chiedere il consenso di tutti i
proprietari ai fini del rilascio della
concessione per la realizzazione delle opere
interessanti la cosa comune e la lamentata
mancata richiesta configura grave di-fetto
istruttorio e motivazionale, perché, secondo
la giurisprudenza di questo Consesso, “non
dà conto della effettiva corrispondenza tra
la richiesta di concessione e la titolarità
del prescritto diritto di godimento ..."
(così Consiglio di Stato, Sez. V,
21.10.2003, n. 6529, ma cfr. anche Sez. V,
15.03.2001, n. 1507 e Sez. V, 20.09.2001, n.
4972).”.
Pertanto, nell'ambito dell'accertamento
della legittimazione di colui che richiede
la concessione … l'Amministrazione aveva,
nel caso specifico, il potere-dovere di
verificare l'esistenza, in capo al
richiedente, di un titolo idoneo di
godimento dell’intero bene interessato dal
progetto e di subordinare il rilascio della
concessione al consenso di tutti i
proprietari per la parte di intervento che
interessa le parti comuni, avendo questi,
nei confronti dell'atto concessorio, non la
posizione di terzo, ma quella di contitolare
di un diritto, che, per la parte idealmente
spettante, non può, invito domino,
essere modificata o compressa
dall'Amministrazione (TAR Campania-Salerno,
Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 263 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L’illeggibilità
della firma apposta in calce ad un atto
amministrativo non ne comporta l’invalidità
per impossibilità di individuarne l’autore
quando dal suo contenuto risultano elementi
sufficienti ad indicare inequivocabilmente
l’autorità emanante.
Per giurisprudenza consolidata (Cons. St.,
sez. V, 16.11.2005 n. 6400) l’illeggibilità
della firma apposta in calce ad un atto
amministrativo non ne comporta l’invalidità
per impossibilità di individuarne l’autore
quando dal suo contenuto risultano elementi
sufficienti ad indicare inequivocabilmente
l’autorità emanante; mentre l’atto non può
che essere invalido solo allorché non rechi
alcuna sottoscrizione, in quanto solo in
tale ipotesi vi è l’assoluta impossibilità
di individuare, con assoluta precisione,
l’autorità emanante (Cons. St., sez. V,
19.04.2005 n. 1792)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 07.03.2008 n. 146 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
materia non soggetta al potere di
pianificazione urbanistica i mutamenti di
destinazione d'uso meramente funzionali, in
quanto manifestazioni del diritto di
proprietà e di impresa; conseguentemente, le
attività in questione sono state ritenute
non assoggettate né a concessione né ad
autorizzazione edilizia.
La giurisprudenza amministrativa si è
decisamente orientata nel senso di ritenere
materia non soggetta al potere di
pianificazione urbanistica i mutamenti di
destinazione d'uso meramente funzionali, in
quanto manifestazioni del diritto di
proprietà e di impresa (cfr. Cons. Stato,
Sez. IV, 28.07.1982, n. 525; id. 13.06.1987,
n. 365); conseguentemente, le attività in
questione sono state ritenute non
assoggettate né a concessione né ad
autorizzazione edilizia (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 23.11.1985, n. 551; id.,
16.05.1986, n. 341; id., 01.10.1993, n.
818).
Tale principio è stato sostanzialmente
confermato dalla legge 28.02.1985, n. 47,
che, in sede di emanazione di una nuova
disciplina dell'attività edilizia, ha
considerato rilevanti i mutamenti di
destinazione d'uso ove realizzati mediante
l'esecuzione di opere (cfr., in particolare,
art. 8, primo comma, lett. a), in tema di
variazioni essenziali al progetto approvato
e art. 26, primo comma, in materia di opere
interne). Peraltro, l'art. 25, ultimo comma,
di detta L. n. 47 del 1985 ha introdotto una
importante novità, prevedendo per le Regioni
la possibilità di fissare con legge criteri
e modalità per l'eventuale regolamentazione
da parte dei Comuni, in ambiti determinati
del territorio, delle destinazioni d'uso
degli immobili e per la eventuale
sottoposizione delle loro variazioni ad
autorizzazione del sindaco.
Tale norma stabiliva, quindi, una riserva di
legge regionale finalizzata ad una eventuale
disciplina comunale dei mutamenti di
destinazione d'uso e alla loro
sottoposizione a controllo, ancorché
realizzati senza l'esecuzione di opere
edilizie.
La Corte costituzionale ha, al riguardo,
precisato che "la modifica funzionale
della destinazione, non connessa
all'esecuzione di interventi edilizi, può
essere assoggettata soltanto al regime
dell'autorizzazione, e solo dopo che i
criteri, dettati dall'apposita legge
regionale prevista dall'art. 25 citato,
siano filtrati ed attuati in sede di
pianificazione urbanistica comunale"
(sent. 11.02.1991, n. 73).
In tal senso si è espressa anche la
giurisprudenza amministrativa, la quale ha
più volte affermato che la rilevanza di
variazioni di destinazioni d'uso meramente
funzionali è subordinata alla previa
fissazione con legge regionale di criteri e
modalità per l'eventuale esercizio del
potere di regolamentazione comunale in
ambiti territoriali determinati (cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 18.01.1988, n. 8; id.,
20.02.1990, n. 163), restando altrimenti
attività libera (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
30.06.1998, n. 998; Sez. V, 10.03.1999, n.
231; id., 23.02.2000, n. 949).
Sulla materia è nuovamente intervenuto il
legislatore con l'art. 2, comma 60, della
legge 23.12.1996, n. 662, applicabile "ratione
temporis" al caso in esame, che ha
sostituito l'ultimo comma del predetto art.
25 con la seguente disposizione: "Le
leggi regionali stabiliscono quali
mutamenti, connessi o non connessi a
trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili
o di loro parti subordinare a concessione, e
quali mutamenti, connessi o non connessi a
trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili
o di loro parti siano subordinati ad
autorizzazione".
Dalla nuova formulazione della norma emerge,
da un lato, l'equiparabilità, in sede di
normazione regionale, dei mutamenti di
destinazione d'uso strutturali a quelli
meramente funzionali, che possono essere
assoggettati a concessione edilizia ovvero
ad autorizzazione; dall'altro, che la
disciplina della materia è riservata alla
esclusiva competenza delle Regioni, essendo
stato eliminato ogni riferimento alla
regolamentazione urbanistica comunale, con
la conseguenza che, in mancanza di una
diversa disciplina regionale, il mutamento
di destinazione d'uso senza opere
costituisce tuttora attività edilizia libera
(cfr. Cons. Stato, sez. II; par. 05.11.2003,
n. 2199/2002).
Tanto premesso va osservato in conclusione
che il mutamento di destinazione d'uso, che
consiste nel mutare l'uso per il quale
l'immobile è urbanisticamente destinato, se
realizzato con opere è, quindi, soggetto a
previa licenza o concessione ovvero a
semplice autorizzazione, mentre, se
realizzato senza opere, può essere
liberamente posto in essere, se non
diversamente disposto dalla Regione
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 03.03.2008 n. 1973 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per l’emanazione del
provvedimento di annullamento o revoca di
una concessione edilizia devono essere
seguite le stesse forme e la medesima
procedura adottate per l’atto da annullare;
pertanto, poiché è obbligatorio il parere
della Commissione edilizia comunale in sede
di rilascio della concessione di costruzione
(…) è altrettanto necessaria la preventiva
acquisizione del parere della detta
Commissione anche in sede di annullamento o
revoca, salvo il caso in cui
l’Amministrazione non debba compiere alcuna
valutazione di ordine tecnico.
L’interesse pubblico alla rimozione di un
provvedimento amministrativo dev’essere
ravvisato non già nel mero ripristino della
legalità, ma nella specifica esigenza di
eliminare un pregiudizio attuale ad un
pubblico bene, tenuto conto anche degli
interessi privati. Sicché è illegittimo
l’annullamento di una concessione edilizia
fondato sull’asserito contrasto con le
prescrizioni del P.R.G. in difetto di
un’approfondita ed effettiva valutazione
dell’interesse pubblico specifico; interesse
da compararsi, attraverso un’adeguata
ponderazione di tutti gli interessi
implicati, con quello del privato che
sull’intervenuta concessione ha programmato
e dimensionato i propri sforzi economici.
Il provvedimento di annullamento di una
concessione edilizia deve contenere una
puntuale congrua motivazione in ordine alle
ragioni di specifico interesse pubblico (da
valutarsi comparativamente con l’interesse
del privato inciso) giustificanti
l’intervento in via di autotutela durante la
realizzazione delle opere già assentite.
La giurisprudenza afferma costantemente, al
riguardo, che “in base al principio del
contrarius actus, per l’emanazione del
provvedimento di annullamento o revoca di
una concessione edilizia devono essere
seguite le stesse forme e la medesima
procedura adottate per l’atto da annullare;
pertanto, poiché è obbligatorio il parere
della Commissione edilizia comunale in sede
di rilascio della concessione di costruzione
(…) è altrettanto necessaria la preventiva
acquisizione del parere della detta
Commissione anche in sede di annullamento o
revoca, salvo il caso in cui
l’Amministrazione non debba compiere alcuna
valutazione di ordine tecnico” (TAR
Lazio, II-bis, 10.05.2004 n. 41100; TAR
Reggio Calabria, I, 28.05.2007 n. 484).
Secondo un
pacifico principio giurisprudenziale, prima
di procedere all’annullamento d’ufficio di
un provvedimento “accrescitivo” della
sfera giuridica soggettiva,
l’Amministrazione deve valutare se esistano
specifiche ed autonome ragioni di interesse
pubblico che giustifichino il sacrificio che
si intende imporre al privato.
E ciò a maggior ragione, evidentemente, se
la nuova valutazione trovi causa e
giustificazione in errori e carenze
istruttorie ascrivibili alla stressa
Amministrazione, e sopraggiunga allorquando
il privato abbia già impiegato (o attivato
l’impiego di) mezzi e risorse economiche,
strumentali all’esercizio dei diritti o dei
poteri scaturenti dal provvedimento
concessorio ormai perfezionatosi, avendovi
fatto affidamento; casi, questi, nei quali
-invero- il sacrificio del privato appare,
ictu oculi, ingiusto ed
ingiustificabile.
Ove, poi, l’annullamento d’ufficio determini
danni patrimoniali in relazione ai quali si
possano profilare anche eventuali
responsabilità a carico della stessa
Amministrazione, la comparazione fra
l’interesse pubblico al ripristino della
situazione pregressa e l’interesse del
privato al mantenimento della posizione di
vantaggio ormai acquisita, dev’essere ancor
più approfondita, per evitare che
l’autotutela si risolva in un gravoso ed
ingiustificato pregiudizio economico per la
Pubblica Amministrazione al quale non si
accompagni alcun reale beneficio per la
collettività, né un’effettiva soddisfazione
per il soggetto “inciso”.
Al riguardo la giurisprudenza afferma:
- che l’interesse pubblico alla rimozione di
un provvedimento amministrativo dev’essere
ravvisato non già nel mero ripristino della
legalità, ma “nella specifica esigenza di
eliminare un pregiudizio attuale ad un
pubblico bene, tenuto conto anche degli
interessi privati. Sicché è illegittimo
l’annullamento di una concessione edilizia
fondato sull’asserito contrasto con le
prescrizioni del P.R.G. in difetto di
un’approfondita ed effettiva valutazione
dell’interesse pubblico specifico; interesse
da compararsi, attraverso un’adeguata
ponderazione di tutti gli interessi
implicati, con quello del privato che
sull’intervenuta concessione ha programmato
e dimensionato i propri sforzi economici”
(C.S., V, 08.10.1992 n. 977; Id., 20.01.1992
n. 78; Id., 18.04.1996 n. 466);
- che “il provvedimento di annullamento
di una concessione edilizia deve contenere
una puntuale congrua motivazione in ordine
alle ragioni di specifico interesse pubblico
(da valutarsi comparativamente con
l’interesse del privato inciso)
giustificanti l’intervento in via di
autotutela durante la realizzazione delle
opere già assentite” (C.S., V,
01.02.1990 n. 50; Id., 13.02.1993 n. 25;
C.G.A., 27.10.1997 n. 485; TAR Puglia, Bari,
III, 14.02.2007 n. 443) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 03.03.2008 n. 1956 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Quando
la demolizione sia già avvenuta per rovina
(anche se dipesa dal proprietario) o per
eventi naturali con la conseguente
inefficacia del relativo titolo rilasciato,
la ricostruzione su ruderi può avvenire solo
dopo una nuova concessione e nel rispetto
della disciplina urbanistica vigente.
È incontestabile che nella definizione di “interventi
di ristrutturazione edilizia” rientri la
fattispecie della “demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente”, visto
che questa è parte della nozione che ne dà
il D.P.R. 06.06.2001 n. 380 all’art. 3,
lett. d).
Tuttavia, l’intervenuta e non contestuale
demolizione del fabbricato rende di fatto
carente di oggetto la successiva richiesta
di demolizione e ricostruzione. Come afferma
la giurisprudenza “se ha luogo la
demolizione del fabbricato -oggetto di una
istanza di demolizione e di ricostruzione-
l'istanza stessa è inaccoglibile, per la
sopravvenuta carenza del suo elemento
oggettivo.
Infatti, l'Amministrazione deve valutare le
circostanze esistenti alla data di
conclusione del procedimento e non può che
constatare come -per l'avvenuta demolizione
dell'edificio- sia diversa l'attività
oggetto dell'istanza, rispetto a quella che
sarebbe assentita nel caso di suo
accoglimento (Sez. V, 4719 - 04.11.2003;
Sez. VI, 05.10.2001, n. 5253; 05.10.2001 n.
5253; Sez. IV, 05.07.2000, n. 3735; Sez. V,
23.03.2000, n. 1610; Sez. V, 23.03.2000, n.
1610; Sez. V, 03.07.1996, n. 819; Sez. V,
26.03.1996, n. 302).
Analogamente, quando sia chiesta una
concessione di ristrutturazione (con la
prevista demolizione del fabbricato e la sua
ricostruzione), l'avvenuta demolizione del
fabbricato comporta l'inaccoglibilità della
domanda, per il mutamento della situazione
di fatto e dalla inesistenza dell'edificio:
il proprietario, ove intenda far definire
positivamente la sua istanza, deve lasciare
la res adhuc integra e -se nel frattempo
demolisce l'edificio- ha l'onere di
presentare una nuova istanza per la
costruzione, con l'attivazione di un diverso
procedimento” (così testualmente
Consiglio di Stato IV, 19.02.2007, n. 867).
Secondo la più
comune nozione, “la ratio del principio
della ragionevole prossimità del tempo della
ricostruzione a quello della demolizione
(peraltro privo di alcun riscontro positivo)
va, infatti, individuata nell'esigenza di
assicurare un rapporto di necessaria
strumentalità dell'abbattimento alla
successiva ricostruzione e di evitare,
quindi, che tale vincolo venga interrotto
dal decorso di un lasso di tempo eccessivo,
rispetto alle esigenze ricostruttive, tra le
due fasi dell'intervento” (così
Consiglio di Stato IV, 07.09.2004, n. 5791,
in una fattispecie in cui la demolizione era
intervenuta sulla scorta di provvedimenti
giurisdizionale, ma che non aveva attinto
l’interezza del manufatto; vedi anche
Consiglio di Stato V, 08.08.2003 n. 4593).
Queste ragioni spingono la giurisprudenza a
ritenere che, quando la demolizione sia già
avvenuta per rovina (anche se dipesa dal
proprietario) o per eventi naturali con la
conseguente inefficacia del relativo titolo
rilasciato, la ricostruzione su ruderi può
avvenire solo dopo una nuova concessione e
nel rispetto della disciplina urbanistica
vigente (Consiglio di Stato V, 23.03.2000 n.
1610; vedi anche Consiglio di Stato V,
28.05.2004 n. 3452)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 06.12.2007 n. 15801 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo di edificazione di cui all'art. 3
l. 28.01.1977 n. 10, è strettamente connesso
al concreto esercizio della facoltà di
edificare, per cui non è dovuto in caso di
rinuncia o di mancato utilizzo della
concessione.
Il ricalcolo dei contributi di concessione è
precluso unicamente nei casi di proroga del
termini per l’inizio e la ultimazione dei
lavori di costruzione, mentre il rinnovo e
l’emissione di nuova concessione edilizia
comporta un nuovo calcolo dei contributi di
concessione nella percentuale dovuta al
momento del rilascio della concessione e
riferita al costo di costruzione vigente in
quella data.
E' alla data del rilascio della concessione
edilizia che occorre far riferimento per la
determinazione del contributo
Le controversie
sulla debenza o meno del contributo per il
rilascio di una concessione edilizia e sul
suo ammontare, devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo
dall'art. 16 della l. 28.01.1977 n. 10 (cfr.
anche art. 4 legge 205/2000), riguardando
diritti soggettivi, non sottostanno ai
termini decadenziali propri dei giudizi
impugnatori e possono essere attivate nei
normali termini di prescrizione. Per cui, il
Comune, può attivarsi per richiedere, a
seguito di nuovi calcoli, eventuali
contributi integrativi a copertura degli
importi dovuti per contributi al costo di
costruzione o per oneri di urbanizzazione
previsti da prescrizioni normative, da
regolamenti comunali o da clausole
contrattuali.
Inoltre, è già stato sottolineato da questo
Collegio che il rilascio di una concessione
edilizia è subordinato all’esistenza delle
opere di urbanizzazione o all’impegno
dell’attuazione delle stesse. Il rilascio
della concessione edilizia presuppone,
pertanto, l’esistenza di tali opere
rispettivamente obbliga il richiedente la
concessione edilizia a corrispondere al
Comune tutti i contributi previsti appunto
da prescrizioni normative, regolamentari o
contrattuali.
Qualsiasi indicazione inerente l’avvenuto
adempimento di tali pagamenti contenuta
nella concessione edilizia rispettivamente
nella licenza d’uso (che di regola non sono
che clausole di rito) non libera il debitore
(cioè non sono da considerarsi quietanze
liberatorie di un obbligo, che soggiace
comunque unicamente ai termini
prescrizionali e non di decadenza). Resta,
pertanto, la facoltà del Comune di
richiedere entro i termini di prescrizione,
cioè, entro il periodo di dieci anni dal
rilascio della concessione edilizia,
ulteriori contributi di concessione ancora
dovuti dal concessionario.
Il contributo
di edificazione di cui all'art. 3 l.
28.01.1977 n. 10, è strettamente connesso al
concreto esercizio della facoltà di
edificare, per cui non è dovuto in caso di
rinuncia o di mancato utilizzo della
concessione (Consiglio Stato, sez. V,
12.06.1995, n. 894).
Il ricalcolo
dei contributi di concessione è precluso
unicamente nei casi di proroga del termini
per l’inizio e la ultimazione dei lavori di
costruzione, mentre il rinnovo e l’emissione
di nuova concessione edilizia comporta un
nuovo calcolo dei contributi di concessione
nella percentuale dovuta al momento del
rilascio della concessione e riferita al
costo di costruzione vigente in quella data
(Il rinnovo della concessione edilizia è
atto radicalmente diverso dalla proroga del
termine di scadenza della concessione
stessa; infatti, mentre il rinnovo della
concessione presuppone la sopravvenuta
inefficacia dell'originario titolo
concessorio e costituisce, a tutti gli
effetti, una nuova concessione, la proroga è
atto sfornito di propria autonomia che
accede all'originaria concessione ed opera
semplicemente uno spostamento in avanti del
suo termine finale di efficacia (TAR
Lazio-Roma, sez. II, 06.11.2006, n. 11809).
Costituisce
giurisprudenza pacifica che il fatto
costitutivo dell'obbligo giuridico del
titolare di una concessione edilizia di
corrispondere i relativi contributi è
rappresentato dal rilascio della
concessione, con la conseguenza che è a tale
momento che occorre aver riguardo per la
determinazione del contributo (cfr. C.d.S.,
Sez. V, 25.10.1993, n. 1071 e 06.12.1999, n.
2056, C.d.S. Sez. VI, 18.03.2004 n. 1435).
Il contributo di urbanizzazione, da pagare
all'atto del rilascio della concessione di
costruzione, ha natura contributiva,
rappresentando un corrispettivo delle spese
per la collettività si addossa per il
conferimento al privato della facoltà di
edificazione e dei vantaggi che il
concessionario ottiene per effetto della
trasformazione, mentre la quota del
contributo commisurata al costo di
costruzione ha natura tipicamente tributaria
e si configura come una vera e propria
imposta (TAR Campania Salerno, 25.02.1993,
n. 102).
Il contributo introdotto in materia edilizia
dalla legge n. 10 del 1977 ha natura di
entrata di diritto pubblico e quindi di
tributo e si classifica nella categoria dei
tributi speciali “contributi”
(Consiglio Stato, sez. V, 17.12.1984, n.
920)
(T.R.G.A. Trentino Alto Adige-Bolzano,
sentenza 04.12.2007 n. 351 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Pur
dovendosi la progettazione articolare in tre
distinti livelli, ciascuno con una sua
precipua finalità, la norma non esclude in
via di principio che le fasi progettuali o
alcune di esse siano elaborate in un unico
contesto quando i lavori abbiano carattere
di urgenza e indifferibilità e a condizione
che la concentrazione delle fasi non si
risolva in lacune o imprecisioni.
E’ stato chiarito in giurisprudenza che, pur
dovendosi la progettazione articolare in tre
distinti livelli, ciascuno con una sua
precipua finalità, la norma non esclude in
via di principio che le fasi progettuali o
alcune di esse siano elaborate in un unico
contesto quando i lavori abbiano carattere
di urgenza e indifferibilità e a condizione
che la concentrazione delle fasi non si
risolva in lacune o imprecisioni (C.S., sez.
IV, 27.03.2002, n. 1742).
E’ stato anche affermato che l’accorpamento
delle fasi può risolversi in una mera
irregolarità che non ridonda in un profilo
di illegittimità dell’atto, salvo che nel
ricorso non siano dedotte le finalità,
oggetto di tutela, che siano state
effettivamente messe a repentaglio a seguito
dell’unificazione di qualcuna delle fasi
(TAR Lombardia, MI, sez. II, 28.01.2005, n.
164)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 24.11.2007 n. 901 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
normativa dettata dall’art. 9 DM 1444/1968,
essendo diretta ad evitare intercapedini
nocive tra i fabbricati e a garantire
condizioni di igiene, luminosità ed aria, è
norma tassativa e inderogabile, con l’unica
eccezione, prevista dall’ultimo comma, di
edifici ricompresi in un piano
particolareggiato o di lottizzazione
convenzionata con previsioni
planivolumetriche.
La giurisprudenza ha chiarito che
l’eventuale adozione da parte degli enti
locali di strumenti urbanistici contrastanti
con l’art. 9 del DM 1444/1968, che è norma
primaria, ricevendo forza dall’art. 17 della
L. n. 765/1967 (introduttiva dell’art.
41-quinquies della L.U. 1150/1942), comporta
l’obbligo da parte del giudice di merito non
solo di disapplicare le disposizioni
illegittime, ma anche di applicare
direttamente la disposizione del ricordato
art. 9, divenuta, per inserzione automatica,
parte integrante dello strumento urbanistico
in sostituzione della norma illegittima
disapplicata (Cass. Civ., sez. II,
19.11.2004, n. 21899; 24.01.2006, n. 1282;
C.S., sez. IV, 05.12.2005, n. 6909).
La normativa dettata dall’art. 9, essendo
diretta ad evitare intercapedini nocive tra
i fabbricati e a garantire condizioni di
igiene, luminosità ed aria, è norma
tassativa e inderogabile, con l’unica
eccezione, prevista dall’ultimo comma, di
edifici ricompresi in un piano
particolareggiato o di lottizzazione
convenzionata con previsioni
planivolumetriche (TAR Liguria, GE, sez. I,
12.02.2004, n. 145; 14.01.2005, n. 38)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 24.11.2007 n. 900 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
necessaria la concessione edilizia allorché
lo spargimento di ghiaia su un’area che ne
era priva appaia preordinato alla modifica
della precedente destinazione d’uso del
territorio.
È ben vero che, in passato, il Consiglio di
Stato aveva ritenuto che non integra
l’ipotesi di trasformazione urbanisticamente
rilevante del territorio, soggetta a
concessione ex art. 1 della legge n.
10/1977, l’intervento materialmente
consistente nella mera ripulitura di un
terreno parzialmente erboso, con ripristino
di una recinzione preesistente e spargimento
di ghiaia (CdS, IV, 08.03.1983 n. 103): ma è
altresì vero che, sul presupposto
interpretativo che l’art. 1 della legge n.
10/1977 impone di munirsi di concessione
edilizia per tutte quelle attività
consistenti in una modificazione dello stato
materiale e della conformazione del suolo
per adattarlo ad un impiego diverso da
quello che gli è proprio in relazione alla
sua condizione naturale ed alla sua
qualificazione giuridica (CdS, V, 31.01.2001
n. 343; 20.12.1999 n. 2125; etc.: indirizzo,
questo, condiviso anche dalla giurisprudenza
penale: cfr. Cass. pen., III, 24.10.1997 n.
10709; IV, 24.07.1997 n. 8520), tale
orientamento è stato successivamente rivisto
affermandosi la necessità del titolo
concessorio allorché lo spargimento di
ghiaia su un’area che ne era priva appaia
preordinato alla modifica della precedente
destinazione d’uso del territorio (cfr., da
ultimo, CdS, V, 22.12.2005 n. 7324).
Tesi, questa, che, condivisa dal collegio,
trova oggi un riscontro testuale nel DPR n.
380/2001 –alla stregua di cui deve trovare
soluzione il caso in esame-, ove l’art. 3,
in materia di definizione degli interventi
edilizi, assoggetta a permesso di costruire,
ascrivendole al genus delle nuove
costruzioni, “la realizzazione di
infrastrutture e di nuovi impianti…che
comporti la trasformazione in via permanente
di suolo inedificato” (lett. e.3) e
“la realizzazione di depositi di merci o di
materiali, la realizzazione di impianti per
attività produttive all’aperto ove
comportino l’esecuzione di lavori cui
consegua la trasformazione permanente del
suolo inedificato” (lett. e.7) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 15.11.2007 n. 3644 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'art. 9 della legge 24.03.1989
n. 122, nel consentire, nel sottosuolo degli
immobili o nei locali siti al piano terreno
ed anche in deroga alla vigente disciplina
urbanistica, parcheggi da destinare a
pertinenza delle singole unità immobiliari,
si applica solo all'ipotesi di fabbricati
già esistenti e non può riguardare le
concessioni edilizie rilasciate per
realizzare edifici nuovi.
L'art. 9 della legge 24.03.1989 n. 122 (c.d.
"legge Tognoli"), nel consentire, nel
sottosuolo degli immobili o nei locali siti
al piano terreno ed anche in deroga alla
vigente disciplina urbanistica, parcheggi da
destinare a pertinenza delle singole unità
immobiliari, si applica solo all'ipotesi di
fabbricati già esistenti e non può
riguardare le concessioni edilizie
rilasciate per realizzare edifici nuovi, per
i quali provvede, invece, il precedente art.
2, comma 2, che –nel sostituire l’art.
41-sexies della L.U. n. 1150/1942-
stabilisce l'obbligo di riservare appositi
spazi per parcheggi di misura non inferiore
a 1 mq. per ogni 10 mc. di costruzione (CDS,
Sez. V, 03.06.1996, n. 621)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 22.10.2007 n. 3336 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non sono assoggettabili al
contributo commisurato al costo di
costruzione i parcheggi obbligatori ai sensi
dell'art. 18 della legge 06.08.1967 n. 765.
In sede di
rilascio della concessione edilizia, non
sono assoggettabili al contributo
commisurato al costo di costruzione i
parcheggi obbligatori ai sensi dell'art. 18
della legge 06.08.1967 n. 765 (Sez. V, sent.
n. 987 del 14-10-1992, Comune di Milano c.
Soc. Naver Immobiliare) che ha aggiunto
l’art .41-sexies poi sostituito dall’art. 2
citato: ”Nelle nuove costruzioni ed anche
nelle aree di pertinenza delle costruzioni
stesse, debbono essere riservati appositi
spazi per parcheggi in misura non inferiore
ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi
di costruzione”
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 22.10.2007 n. 3336 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per la configurabilità
dell'intervento di restauro e risanamento
conservativo non possono essere mutati la
qualificazione tipologica del manufatto
preesistente, ovvero i caratteri
architettonici e funzionali che ne
consentono la qualificazione in base a
tipologie edilizie, gli elementi formali che
configurano l’immagine caratteristica dello
stesso e gli elementi strutturali, che
materialmente compongono la struttura
dell’organismo edilizio.
La suddetta tipologia di intervento non
ammette incrementi volumetrici ovvero
modifiche di forma (sagoma), volume e
altezza.
Sulla base della definizione normativa
(contenuta nell’art. 31 l. n. 457/1978 ed
oggi nell’art. 3 del DPR n. 380/2001) il
restauro e risanamento conservativo consiste
in “interventi edilizi volti a conservare
l’organismo edilizio e ad assicurare la
funzionalità mediante un insieme sistematico
di opere che, nel rispetto degli elementi
tipologici, formali e strutturali
dell’organismo stesso, ne consentano
destinazioni d’uso con essi compatibili.
Tali interventi comprendono il
consolidamento, il ripristino e il rinnovo
degli elementi costitutivi dell’edificio,
l’inserimento degli elementi accessori e
degli impianti richiesti dalle esigenze
dell’uso, l’eliminazione degli elementi
estranei all’organismo edilizio”.
L’interpretazione giurisprudenziale della
norma ha in primo luogo chiarito che per la
configurabilità di detto intervento non
possono essere mutati la qualificazione
tipologica del manufatto preesistente,
ovvero i caratteri architettonici e
funzionali che ne consentono la
qualificazione in base a tipologie edilizie,
gli elementi formali che configurano
l’immagine caratteristica dello stesso e gli
elementi strutturali, che materialmente
compongono la struttura dell’organismo
edilizio (cfr. Cass. pen., III, 21-04-2006,
n. 16048).
Non deve, dunque, esserci alterazione degli
elementi tipologici, formali e strutturali
degli immobili (cfr. Cons. Stato, V,
28-06-2004, n. 4794, che ha ritenuto non
consentito l’inserimento di volumi
modificativi dello sviluppo verticale
dell’edificio preesistente), né
trasformazione degli elementi costitutivi,
essendo consentito unicamente il ripristino
ed il rinnovo degli stessi (cfr. TAR Veneto,
II, 30-05-1997, n. 920; Cons. Stato, V,
23-07-1994, n. 807).
E’ stato, di poi, chiarito che la suddetta
tipologia di intervento non ammette
incrementi volumetrici ovvero modifiche di
forma (sagoma), volume e altezza (cfr. TAR
Lombardia, Milano, II, 24-03-2005, n. 654)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 26.09.2007 n. 1916 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sono qualificabili volumi tecnici
i locali che non possono essere ubicati
all’interno della parte abitativa, e non
invece i locali complementari all’abitazione
quali soffitte, stenditoi chiusi o di
sgombero e sottotetti.
Per costante giurisprudenza sono
qualificabili volumi tecnici i locali che,
esclusivamente adibiti alla sistemazione di
impianti aventi un rapporto di strumentalità
necessaria con l’utilizzazione della
costruzione, non possono essere ubicati
all’interno della parte abitativa, e non
invece i locali complementari all’abitazione
quali soffitte, stenditoi chiusi o di
sgombero e sottotetti (cfr. C.d.S. Sez. V
13.05.1997 n. 483)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 15.09.2007 n. 7578 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
disciplina delle distanze tra costruzioni su
fondi finitimi è applicabile anche alle
sopraelevazioni di edifici preesistenti.
In materia edilizia, la disciplina delle
distanze tra costruzioni su fondi finitimi è
applicabile anche alle sopraelevazioni di
edifici preesistenti, le quali rappresentano
a tutti gli effetti delle nuove costruzioni,
considerato che ogni intervento destinato a
creare nuovi volumi deve essere ricondotto
al concetto di “nuovo edificio”
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.09.2007 n. 4826 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
merito alla distanza di 10 mt. tra pareti
finestrate di fabbricati, appare più
coerente con il sistema una interpretazione
della dizione “parete finestrata” nel senso
di parete munita di "vedute" e non anche
parete su cui si aprono finestre lucifere,
così come ritenuto anche dalla
giurisprudenza della Cassazione.
La questione giuridica da risolvere è se per
“parete finestrata”, ai sensi
dell’art. 9 del D.M. del 02.04.1968 debba
intendersi una parete sulla quale si aprano
delle semplici luci, o solo delle vedute.
Come è noto la giurisprudenza della
Cassazione definisce veduta o prospetto una
finestra che consente non soltanto una
comoda inspectio sul fondo vicino
senza l'impiego di mezzi artificiali, ma
anche una comoda prospectio e cioè la
possibilità di affacciarsi con lo sporgere
il capo. In particolare, la Cassazione ha
chiarito che la possibilità di prospicere,
in astratto, può anche non essere impedita
dall'esistenza di un'inferriata, purché, in
relazione all'ampiezza delle maglie di
questa, possa essere in concreto stabilita
la possibilità di affaccio con la
possibilità di protendere il capo
(Cassazione civile, sez. II, 17.01.2002, n.
480).
Di contro la nozione di luce si trae in
negativo dall’art. 902 c.c., secondo il
quale “L'apertura che non ha i caratteri
di veduta o di prospetto è considerata come
luce, anche se non sono state osservate le
prescrizioni indicate dall'articolo 901”.
Chiarito ciò, occorre stabilire se la
presenza di luci comporti o meno
l’applicazione della distanza minima di 10
m.
Ritiene il collegio che la questione debba
essere risolta alla luce del complessivo
sistema delineato dal codice civile che,
nell'ambito della disciplina legale dei
rapporti di vicinato, impone di osservare
nelle costruzioni determinate distanze solo
dalle vedute (art. 907) e non anche dalle
luci.
L'art. 907 C.C., in particolare, nel
disporre che rispetto alle vedute dirette
verso il fondo vicino il proprietario di
questo non possa fabbricare a distanza
inferiore a tre metri, non menziona le
aperture lucifere (la cui realizzazione
rappresenta di norma l'esercizio di una mera
facoltà del diritto di proprietà art. 901
C.C.), così manifestando di tutelare le
vedute, attesa la loro funzione
economico-sociale nel campo edilizio, in
modo più netto e deciso rispetto alle luci,
in relazione alle quali è consentito al
proprietario confinante di costruire in
appoggio o in aderenza al muro perimetrale
che le contiene con conseguente liceità
della chiusura delle stesse ricorrendone, ai
sensi dell'art. 904 C.C., i presupposti di
legge.
In questo quadro, appare dunque più coerente
con il sistema una interpretazione della
dizione “parete finestrata” nel senso
di parete munita di "vedute" e non
anche parete su cui si aprono finestre
lucifere, così come ritenuto anche dalla
giurisprudenza della Cassazione (Cassazione
civile, Sezione II, 22.02.1996, n. 1362)
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 27.01.2006 n. 1131 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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