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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di AGOSTO 2010

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aggiornamento al 21.08.2010

aggiornamento al 16.08.2010

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AGGIORNAMENTO AL 21.08.2010
(ci prendiamo qualche giorno di riposo ... pertanto, arrivederci a lunedì 06.09.2010)

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NOVITA' NEL SITO

EDILIZIA PRIVATA: Nel bottone MODULISTICA è stato inserito il fac-simile (modificabile a piacimento) di S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di Inizio Attività).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

APPALTI: G.U. 18.08.2010 n. 192, suppl. ord. n. 196:
- "Linee guida per l’affidamento dei servizi attinenti all’architettura ed all’ingegneria" (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture, determinazione 27.07.2010 n. 5);
- "Modelli di segnalazione all’Autorità per le comunicazioni ai fini dell’inserimento di notizie nel casellario informatico riferite a Operatori Economici nei cui confronti sussistono cause di esclusione ex art. 38 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, ovvero per l’inserimento di notizie utili nonché per l’applicazione di sanzioni ex art. 48 del decreto legislativo n. 163/2006" (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture, comunicato del Presidente 29.07.2010).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 18.08.2010 n. 192 "Testo del decreto-legge 08.07.2010, n. 105, coordinato con la legge di conversione 13.08.2010, n. 129, recante misure urgenti in materia di energia. Proroga di termine per l’esercizio di delega legislativa in materia di riordino del sistema degli incentivi".

NEWS

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIl blocco stipendi non è un dogma. Esclusi i compensi da eventi straordinari. Ma urgono chiarimenti. Molti gli aspetti problematici della manovra 2010. Dubbi sulle assunzioni nei mini-enti.
È in vigore da poco più di 20 giorni eppure la manovra correttiva dei conti pubblici (legge 122/2010) sta già creando più di un grattacapo agli operatori delle pubbliche amministrazioni e degli enti locali, alle prese in questi giorni d'estate con i primi tentativi di decifrare alcune disposizioni particolarmente criptiche.
Soprattutto in materia di personale. Occorrono chiarimenti su quale debba essere il tetto del trattamento economico individuale dei dipendenti pubblici per i prossimi 3 anni. Su come operare la riduzione del fondo per la contrattazione decentrata in caso di diminuzione del numero dei dipendenti. Su quale sia il numero massimo di assunzioni a tempo indeterminato che i comuni al di sotto dei 5 mila abitanti possono effettuare a partire dallo 1° gennaio 2011. E ancora, sull'applicazione anche alle unioni dei comuni delle deroghe per le assunzioni negli enti di nuova istituzione; sulla estensione del blocco della contrattazione collettiva per il triennio 2010/2012 anche ai contratti decentrati. Su cosa si debba intendere per taglio delle spese destinate esclusivamente alla formazione. Vediamoli nel dettaglio.
L'articolo 9 stabilisce che i compensi «ordinariamente spettanti» per l'anno 2010 costituiscono il tetto di quelli erogabili ai dipendenti pubblici nel triennio 2011/2013 e che in tale tetto non sono compresi i compensi «derivanti da eventi straordinari della dinamica retributiva», quali gli arretrati, le assenze, le malattie, la maternità, il «conseguimento di funzioni diverse».
Rispetto al testo iniziale del decreto sono state inserite queste eccezioni ed è stata sostituita la base di riferimento, che non è più quella di cassa, cioè il trattamento in godimento, ma quella di competenza, cioè il trattamento spettante in via ordinaria. Sulla base del nuovo testo è evidente che lo svolgimento di compiti diversi, ad esempio avere attribuita per la prima volta una posizione organizzativa o averne una di peso maggiore, non rientra nel blocco. Così come nuove modalità di svolgimento della prestazione, ad esempio il turno, la reperibilità o lo svolgimento nelle giornate festive sembrano escluse dal blocco. Ed ancora si deve escludere lo svolgimento, ad esempio per ragioni elettorali o per eventi eccezionali, di ore aggiuntive di lavoro straordinario.
Mentre l'ottenimento di una posizione di progressione economica determina necessariamente che il dipendente debba ricevere una quantità minore di risorse legate al trattamento accessorio per non superare il tetto, in quanto siamo in presenza di un miglioramento che ha carattere continuativo: di fatto siamo in presenza di un blocco sostanziale di questo istituto.
Rimane da chiarire se il conseguimento di premi in ragione di valutazioni positive e della applicazione del dlgs n. 150/2009, cosiddetta legge Brunetta, rientri o meno in questo ambito: a parere di chi scrive la volontà del legislatore va in senso contrario e nel trattamento economico «ordinariamente spettante» vanno compresi solo quello fondamentale e le altre voci che hanno un carattere sostanzialmente analogo, cioè stabile, con esclusione invece di quelle legate allo svolgimento delle proprie prestazioni.
Un secondo dubbio riguarda il modo con cui ridurre il fondo a seguito della diminuzione del numero di dipendenti: la norma si limita a dirci che essa deve avvenire automaticamente ed in misura proporzionale, mentre manca ogni riferimento alla base di calcolo. In particolare non viene chiarito se il taglio debba avvenire esclusivamente sulla parte stabile o anche su quella variabile e come determinare la proporzione.
Ad avviso di chi scrive, stante la sua natura, la proporzione va calcolata in rapporto al numero dei dipendenti in servizio: per cui si deve ridurre il fondo della quantità di risorse attribuita come media ad ogni dipendente, a prescindere dai residui e dalle parti non utilizzate. Questa appare come la lettura più appropriata del carattere proporzionale del fondo, per cui non si deve fare riferimento al trattamento economico accessorio in effettivo godimento da parte del dipendente cessato.
Ed ancora il taglio non sembra comprendere la parte variabile, che è oggetto di una determinazione autonoma dell'ente, ma solo la parte stabile. Occorre ricordare che a questo taglio del fondo se ne può aggiungere un altro a seguito della necessità di restare dentro il tetto della spesa del personale.
Per tutti gli enti locali viene fissato il tetto delle assunzioni nel 20% della spesa sostenuta per il personale cessato dal servizio nell'anno precedente: la norma non opera distinzioni tra enti soggetti o meno al patto. Ma la norma non abroga il comma 562 della legge finanziaria 2007 che fissa per gli enti non soggetti al patto il tetto nel numero dei dipendenti cessati nell'anno precedente. Ad avviso dell'Anci questa disposizione continua ad essere in vigore, per cui nelle amministrazioni più piccole non si applica il nuovo ed assai più rigido vincolo.
Tale interpretazione, che va nella direzione di addolcire in misura assai rilevante questa asprezza della cd manovra estiva, si basa su una carenza della disposizione, ma ha bisogno di conferme istituzionali in quanto sembra contrastare con una precisa volontà legislativa, determinando una condizione di favore per gli enti di più ridotte dimensioni.
Gli enti di nuova istituzione possono, nei cinque anni successivi, assumere personale entro il tetto del 50% delle entrate correnti certe e continuative e del 60% della propria dotazione organica. Tale deroga sembra applicabile anche alle unioni di comuni, che ovviamente non sono sottoposte alla necessità di una preventiva autorizzazione da parte di ministeri.
Viene disposto il blocco dei contratti collettivi per il triennio 2010/2012. La formulazione assai ampia utilizzata dal legislatore sembra comprendere non solo i contratti nazionali, ma anche quelli decentrati integrativi. Il che produce effetti assai dirompenti sulla concreta applicazione del dlgs n. 150/2009, cd legge Brunetta, che impone la revisione dei contratti decentrati integrativi entro l'anno per le amministrazioni dello stato ed entro il 2012 per gli enti locali. Al di fuori di tale vincolo si pone unicamente la contrattazione per la ripartizione del fondo per il trattamento economico accessorio.
Con una disposizione di dubbia legittimità, e sulla cui opportunità non si possono che avere ancora più dubbi, sono state tagliate del 50% rispetto al 2009 le spese per la formazione. Il testo finale ci dice che il vincolo riguarda le spese destinate esclusivamente ad attività di formazione. In tal modo si è evidentemente cercato di restringere l'ambito di applicazione e si sono volute escludere le attività in cui la formazione è una componente, che si aggiunge alla erogazione di servizi o di prestazioni professionali (articolo ItaliaOggi del 20.08.2010, pag. 30 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOSalario accessorio da ridurre. Le risorse variabili del fondo devono decrescere ogni anno. La manovra 2010 introduce l'ennesimo vincolo all'aumento della spesa per il personale.
Le risorse variabili del fondo contrattuale per il salario accessorio debbono decrescere annualmente. L'articolo 9, comma 2-bis, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010 introduce di fatto un nuovo ed ennesimo vincolo alla crescita della spesa di personale nelle amministrazioni pubbliche e, in particolare, negli enti locali.
La disposizione, pur consentendo di distribuire tra i dipendenti la retribuzione legata al risultato senza congelare la remunerazione del singolo dipendente a quanto percepito (sempre solo a titolo di salario accessorio) nel 2010, stabilisce che «a decorrere dall'01.01.2011 e sino al 31.12.2013 l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo dell'anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio».
Si introduce, come è evidente, un vincolo alla spesa complessiva connessa al salario accessorio, prendendo come riferimento quella sostenuta nel 2010. Non solo: poiché dal 2011 sarà consentito sostituire solo il 20% del personale cessato, l'ammontare delle risorse destinate al salario accessorio deve necessariamente scendere, anche se di poco, rispetto all'anno precedente.
Per gli enti locali il vincolo appare particolarmente stringente e destinato a rimanere operante anche successivamente al 31/12/2013. Occorre, allo scopo, combinare la disposizione vista prima col testo dell'articolo 1, comma 557, della legge 296/2006, come novellato sempre dalla manovra economica estiva, ai sensi del quale comuni e province debbono rispettare il principio del «contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa, tenuto anche conto delle corrispondenti disposizioni dettate per le amministrazioni statali».
La formulazione della norma null'altro è se non un giro di parole, per affermare che gli enti locali allo scopo di contenere il costo della spesa di personale non solo possono, ma in assenza di altre soluzioni, debbono ridurre quanto destinato al finanziamento dei fondi contrattuali.
Salta, allora, sia pure in parte, uno dei capisaldi dell'autonomia degli enti locali in tema di contrattazione: la possibilità di incrementare le risorse variabili in modo autonomo, anche se condizionato dall'attivazione di servizi di maggiore qualità, richiedenti una superiore produttività. Tale facoltà è concessa dall'articolo 15, comma 5, del Ccnl 01/04/1999.
È inevitabile applicare adesso la norma contrattuale alla luce delle limitazioni poste dalla manovra. Da un lato, sicuramente fino al 31/12/2013 l'incremento facoltativo delle risorse variabili non potrà essere del tutto discrezionale, poiché complessivamente l'ammontare del salario accessorio non potrà superare quello del 2010, al netto delle riduzioni proporzionali alle fuoriuscite di personale. Dall'altro, enti che denuncino situazioni di eccesso di spesa di personale tali da portarli vicino o oltre la soglia del 40% dell'incidenza di tale spesa sul totale di quella corrente, saranno tenuti ad agire primariamente sugli oneri della contrattazione, per invertire la tendenza e diminuire la spesa di personale, sia in termini assoluti, sia in termini percentuali.
Non manca tra gli interpreti qualche voce secondo la quale addirittura le disposizioni della legge 122/2010 in esame avrebbero di fatto abolito implicitamente l'articolo 15, comma 2, del citato Ccnl 01/04/1999, che consente agli enti locali di incrementare le risorse variabili, previo rispetto di alcuni parametri di virtuosità.
Tale tesi appare tuttavia eccessivamente restrittiva. Dovendo portarla alle estreme conseguenze, essa dovrebbe indurre a considerare abolito, allora, anche il comma 5 dell'articolo 15 del Ccnl 01/04/1999 e ogni altra disposizione contrattuale che consenta incrementi facoltativi alle risorse variabili.
Le cose, però, non stanno così. Gli enti locali mantengono la possibilità di incrementare le risorse variabili, in applicazione dell'espressa facoltà loro concessa dall'articolo 40, comma 3-quinquies, del dlgs 165/2001. Ma, la manovra 2010 restringe i margini di discrezionalità, fino ad annullarli per gli enti non virtuosi e, comunque, a contenerli entro gli obblighi di progressiva riduzione, derivanti dalle cessazioni dal servizio del personale.
Resta, tuttavia, irrisolto il problema di come quantificare la riduzione delle risorse variabili in funzione delle cessazioni dei dipendenti, poiché il salario connesso al risultato non è per sua natura quantificabile in modo fisso e certo (articolo ItaliaOggi del 20.08.2010, pag. 29).

INCARICHI PROGETTUALIProgettazioni Tariffe chiare e meno ribassi.
Maggiore dettaglio nella definizione dei corrispettivi a base di gara per la progettazioni; riferimento alle tariffe professionali; accurata verifica delle offerte anomale, riduzione dell'incidenza dei ribassi offerti dai progettisti; maggiore qualità nelle offerte.
Sono questi gli obiettivi perseguiti dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con la determinazione 27.07.2010 n. 5 sui servizi di ingegneria e architettura (si veda ItaliaOggi del 29/7/2010), che fa seguito ai lavori condotti da un apposito tavolo tecnico, cui hanno partecipato rappresentanti degli ordini professionali, delle associazioni di categoria interessate e del ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
La determinazione è stata pubblicata sul supplemento ordinario n. 196 alla Gazzetta Ufficiale n. 192 del 18.08.2010.
Il provvedimento (corredato da dieci tabelle) fornisce indicazioni e chiarimenti sulle disposizioni vigenti relative alle modalità di affidamento, alla determinazione dell'importo a base di gara, all'individuazione dei requisiti di partecipazione e dei criteri di aggiudicazione dell'offerta, prestando particolare attenzione al procedimento di verifica della congruità delle offerte (articolo ItaliaOggi del 20.08.2010, pag. 24).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATATroppo part-time blocca il Durc. Dal 1° ottobre niente documento a chi supera i limiti del ccnl. Le indicazioni della commissione nazionale delle casse edili dopo l'accordo del 19 aprile.
Niente Durc se in cantiere lavorano troppi operai a tempo parziale. Ed è troppo, per esempio, la presenza di due operai a part-time in un'impresa che ha in forza 65 operai a tempo indeterminato. A partire dal prossimo 1° ottobre, le casse edili considereranno elemento di irregolarità contrattuale e contributiva, ai fini del rilascio del Documento unico di regolarità contributiva (il Durc), l'eventuale superamento da parte dell'impresa delle percentuali massime di utilizzo di contratti part-time fissate dai contratti collettivi del settore edile.
Lo rende noto la Cnce, la commissione nazionale paritetica delle casse edili, nella delibera n. 433/2010, in attuazione dell'accordo 19.04.2010 di rinnovo del ccnl edilizia.
Part-time vincolati. Il vincolo all'utilizzo dei rapporti di lavoro a tempo parziale nel settore edile, vincoli di natura non normativa ma contrattuale, è stato introdotto dall'accordo 18.06.2008 di rinnovo del ccnl 20.05.2004.
Tale accordo, in particolare, disciplina il lavoro a tempo parziale prevedendo che il relativo rapporto può essere di tipo:
a) orizzontale, con riduzione della prestazione rispetto all'orario normale giornaliero;
b) verticale, con attività lavorativa svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno;
c) misto, con combinazione delle due precedenti modalità (orizzontale e verticale).
Altresì, ha previsto la forma scritta per l'instaurazione del rapporto con indicazione dell'orario di lavoro con riferimento al giorno, alla settimana, al mese o all'anno; che la retribuzione, diretta e indiretta, nonché tutti gli istituti contrattuali devono essere riconosciuti in proporzione all'orario di lavoro concordato; che le parti (lavoratore e datore di lavoro) possono stabilire condizioni per la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale o viceversa.
La novità, tuttavia, è stata l'introduzione di un vincolo all'instaurazione di tali rapporti. Per le assunzioni effettuate dal 1° agosto 2008, infatti, le imprese possono assumere «operai» a tempo parziale nella misura percentuale del 3% del totale degli assunti a tempo indeterminato, fermo restando la possibilità di assumere almeno un operaio a tempo parziale se non si eccede il 30% degli operai a tempo pieno dipendenti dell'impresa (per due part-time occorrono 66 dipendenti a tempo pieno); nonché la possibilità, per le imprese fino a tre dipendenti, di assumere operai a tempo parziale per un periodo massimo temporale pari al 30% del monte ore annuale degli addetti occupati nell'impresa.
L'accordo 19.04.2010. La novità del vincolo ai part-time riguarda solamente il personale con qualifica di operaio. Sono invece esclusi i contratti a tempo parziale stipulati per gli impiegati, per gli operai non adibiti alla produzione, esclusi gli autisti, per gli operai di 4° livello, per gli operai occupati in lavori di restauro e archeologici, per gli operai che fruiscano di trattamento pensionistico nonché per le trasformazioni di rapporti da full-time a part-time motivate dal gravi problemi di salute del richiedente, ovvero da necessità di assistenza del coniuge o parenti che richiedano assistenza continua.
Il vincolo ha avuto finora riflessi solamente contrattuali (assunzioni) e contributivi (versamenti contributivi). L'accordo di rinnovo sottoscritto il 19 aprile scorso, però, ha aggiunto un'ulteriore conseguenza al vincolo: la regolarità contributiva.
Stop al Durc. In sostanza, la nuova disciplina (del ccnl) stabilisce che la presenza di contratti a tempo parziale in misura eccedente le percentuali previste dal ccnl impedisce il rilascio del Durc. Per l'entrata in vigore della nuova disposizione è stato affidato il compito alla Cnce di recepire con propria delibera il nuovo criterio di «regolarità contributiva».
Ciò è avvenuto con la delibera n. 433/2010, la quale ha fissato l'operatività della nuova disposizione dal prossimo 1° ottobre. Entro questa data, dunque, le imprese hanno tempo per regolarizzare eventuali surplus di rapporti a tempo parziale. Solo in tal modo potranno evitare il diniego del rilascio del Durc che, inevitabilmente, scatterà dal 1° ottobre (articolo ItaliaOggi del 19.08.2010, pag. 26).

EDILIZIA PRIVATAS.C.I.A., due mesi per fare i controlli. Tempi stretti per verificare che le nuove attività siano in regola. Lo Sviluppo economico interviene sul passaggio da Dia a segnalazione certificata d'inizio attività.
Dalla Dia si passa alla Scia. Con qualche novità per la prassi: per effettuare i controlli ci saranno solo due mesi di tempo. Scaduto il termine la pubblica amministrazione avrà limitatissime possibilità per intervenire. Non solo. In sostituzione di pareri prescritti dalla norma ci potranno essere attestazioni redatte dal tecnico di fiducia. Quindi, sarà possibile conciliare la Scia con le differenti tipologie di Dia previste in origine.
Il ministero dello sviluppo economico ha fatto il punto della situazione chiarendo cosa (e come) cambia dopo la legge 122/2010. A meno di due mesi di distanza dall'entrata in vigore delle rilevanti modifiche all'art. 19 della legge 241/1990 a seguito del dlgs 59/2010 di recepimento della direttiva Bolkestein, le carte sono state nuovamente rimescolate.
Così il dicastero riscrive le regole del gioco. E lo fa con la circolare 10.08.2010 n. 3637/C; un atto attraverso cui il dipartimento impresa e internazionalizzazione, direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, cerca di chiarire la situazione dopo che la dichiarazione d'inizio attività, la Dia per intenderci, è stata sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attività, la Scia. Così, sono molte le novità contenute nel novellato articolo 19, a seguito della legge 122, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 luglio scorso. Legge di conversione della manovra economica d'estate, ovvero del decreto legge 78/2010. Così, l'intento del ministero è fornire alcune prime indicazioni, pur dando atto della necessità di riservare a un futuro momento, più complete e meditate istruzioni.
Quattro le sezioni in cui la circolare è articolata:
1) le considerazioni generali;
2) un'analisi dell'impatto della Scia sulla normativa per l'installazione di impianti, autoriparazione, pulizie e facchinaggio;
3) uno specifico esame dell'impatto sulla disciplina per l'attività di intermediazione, per l'agente ed il rappresentante di commercio, il mediatore marittimo e lo spedizioniere;
4) infine, una specifica sezione è dedicata alle attività di vendita e somministrazione che, più di ogni altra, sono state profondamente innovate dal dlgs 59/2010 e che, quindi, ora sono nuovamente rivoluzionate.
Per quanto riguarda gli aspetti generali, il direttore Gianfrancesco Vecchio, rileva che una delle novità contenute nel nuovo art. 19 riguarda la possibilità di corredare la Scia con le attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati che sostituiscono anche eventuali pareri di organi o enti appositi. Inoltre, la p.a. ha 60 giorni di tempo per esperire i controlli, dopodiché può intervenire soltanto in rigide ipotesi, tra le quali la mendacità delle dichiarazioni fornite nella Scia o per pericolo di danno al patrimonio artistico e culturale, o per l'ambiente, la salute, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale.
Per quanto riguarda le attività di stretta competenza delle camere di commercio anche per ciò che riguarda la verifica dei requisiti previsti, il Mise evidenzia che il nuovo sistema semplifica le procedure perché la Scia potrà essere contestuale a ComUnica.
Va rilevato, peraltro, chiosa la circolare, che qualora una camera di commercio dovesse adottare provvedimenti di inibizione dell'attività, questi determineranno l'iscrizione d'ufficio della cessazione dell'attività illegittimamente svolta nella posizione Rea dell'impresa. Più articolata la sezione dedicata a commercio e somministrazione, in forza del fatto che la formulazione dell'articolo 19 della legge 241/1990 antecedente all'introduzione della Scia, prevedeva per quest'ultimo distinte ipotesi di Dia ad efficacia immediata o differita.
La circolare prende in esame le singole fattispecie per pervenire alla conclusione che laddove era prevista la Dia andrà ora la Scia, a condizione che l'ente competente non si sia dotato di uno strumento di programmazione; nel qual caso il procedimento dovrà essere sottoposto a autorizzazione.
Tra le fattispecie soggette a autorizzazione la circolare elenca l'apertura di nuovi esercizi pubblici; il trasferimento di sede degli stessi nell'ipotesi di zona tutelata dal comune attraverso lo strumento di programmazione; l'avvio dell'attività di vendita nelle medie o grandi strutture di vendita compresi i centri commerciali e, infine, il commercio su area pubblica sia se esercitato in forma fissa sia itinerante (articolo ItaliaOggi del 18.08.2010, pag. 24).

PUBBLICO IMPIEGOControlli in chiaro sulle e-mail. Vanno definite le procedure per le verifiche contro l'uso personale. Per il datore di lavoro opportuno codificare le regole sull'utilizzo di posta elettronica ed internet.
E' difficile immaginare lo svolgimento di mansioni d'ufficio senza l'accesso a internet e alla posta elettronica; il loro uso ha cambiato radicalmente non soltanto il modo di svolgere la prestazione lavorativa, ma anche le abitudini di vita ... (articolo Il Sole 24 Ore del 18.08.2010, pag. 23 - link a www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALICosti di bonifica fuori dalle spese correnti.
La bonifica di un'area è operazione neutrale sotto il profilo finanziario e la relativa spesa è connotata da caratteri di assoluta eccezionalità; tali oneri possono essere esclusi dal computo delle spese correnti.

La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, è intervenuta –con il parere 26.07.2010 n. 822– sulla base della richiesta del comune di Cassolnovo (Pv).
Nel 2009 l'ente non ha rispettato il patto di stabilità e il bilancio corrente è stato redatto con l'applicazione delle sanzioni previste dalla normativa. Si è, però, verificato uno versamento di olio esausto in terreni agricoli, da parte di ignoti, e pertanto l'ente ha dovuto bonificare l'area. La spesa comporterà il mancato rispetto del patto per il 2010 e l'impossibilità di rispettare la sanzione della spesa corrente minima degli ultimi tre esercizi. Si chiede, dunque, se tale spesa possa essere esclusa dal saldo finanziario e dalle sanzioni 2009.
La Corte effettua un esaustivo esame della normativa sul settore rifiuti, osservando che il risarcimento del danno per la bonifica del sito grava, in linea generale, sull'autore della condotta o comunque sul proprietario dell'area, a certe condizioni e di conseguenza, l'operazione è neutra sotto il profilo finanziario.
In relazione alla possibilità di escludere la spesa in oggetto dal computo del patto, il Collegio ritiene che non si possano introdurre eccezioni alla norma, che inizialmente prevedeva la possibilità di escludere le spese sostenute dai comuni per la bonifica di siti inquinati.
Tale possibilità è stata poi abrogata. Nel caso in cui sia ravvisabile in capo al proprietario dell'area dolo o colpa, l'ente locale può accertare la relativa entrata, computandola di fini del patto di stabilità, nei confronti dello stesso, anche se l'attività di sversamento è opera di ignoti. Nel caso in cui il proprietario non possa rispondere della spesa la normativa giuscontabile non permette l'accertamento dell'entrata e pertanto la relativa spesa grava sul saldo finanziario.
La spesa sostenuta diventa, invece, rilevante, in quanto impedisce nel 2010 la riduzione della spesa corrente nella misura minima degli ultimi tre esercizi. In tal caso, l'intervento non trova compensazione in una voce di entrata, considerato che la sanzione per la violazione del patto 2009, non riguarda un saldo, bensì un tetto di spesa.
Per la Corte, la sanzione è un meccanismo rigido che opera sulla spesa corrente e il rispetto non viene meno se durante l'esercizio sorge la necessità di sostenere spese non previste all'inizio dell'anno; in tal caso l'ente dovrà effettuare la riduzione di altre spese, liberando le risorse necessarie.
Il principio è però applicabile nel caso di spese impreviste, mentre la spesa oggetto del parere è connotata da caratteri di eccezionalità (articolo ItaliaOggi del 20.08.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIIncarichi, niente affidamenti diretti. Necessaria la procedura comparativa anche per importi minimi. Per la Corte dei conti i regolamenti comunali che prescrivono il contrario sono illegittimi.
Illegittimi i regolamenti degli enti locali che consentono l'affidamento diretto di incarichi di collaborazione esterni, al di sotto di determinate soglie dell'importo contrattuale.
La Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Trentino-Alto Adige, con il parere 10.06.2010 n. 18/2010 torna sulla delicata questione dei criteri di affidamento, censurando il regolamento di organizzazione di un comune, che aveva inserito nel regolamento la possibilità di affidare gli incarichi professionali in via diretta, senza cioè alcuna procedura comparativa, a condizione che fossero di valore inferiore ai 20 mila euro.
Dopo un primo rilievo della sezione, il regolamento ha portato la soglia per gli affidamenti diretti a 10 mila euro. Ma la magistratura contabile ha censurato anche la riduzione della soglia.
La deliberazione della sezione Trentino-Alto Adige non si ferma, però, solo alla stigmatizzazione dell'illegittimità del regolamento e va oltre, fornendo preziose indicazioni in merito ai presupposti al ricorrere dei quali per le amministrazioni risulterebbe possibile assegnare gli incarichi senza procedere ad una selezione preventiva.
In premessa, la deliberazione sottolinea che in ogni caso l'ipotesi dell'affidamento diretto deve costituire sempre un'eccezione, da motivare, di volta in volta, nella singola determinazione d'incarico con riferimento all'ipotesi in concreto realizzatasi. Ovviamente, la previsione di una soglia di valore del contratto, specie se particolarmente alta, consentirebbe di trasformare l'affidamento diretto da evento eccezionale a sistema normale.
Tra le motivazioni che possono giustificare l'assegnazione senza procedura comparativa, la magistratura contabile ritiene possa farsi riferimento al requisito della «particolare urgenza» connessa alla realizzazione dell'attività discendente dall'incarico. In altre parole, non deve risultare urgente conferire l'incarico, ma svolgere l'attività.
 In aggiunta alle considerazioni della delibera, ovviamente anche nel caso di urgenza le amministrazioni debbono aver prima dell'incarico verificato che sussistano tutti gli altri presupposti di legittimità, tra i quali, in particolare, il controllo sull'inesistenza della professionalità all'interno dell'ente, la pertinenza dell'attività con le competenze istituzionali e la previsione nell'ambito del programma degli incarichi, approvato dal consiglio comunale.
Ancora, l'incarico diretto potrebbe risultare ammissibile, a condizione che l'amministrazione dimostri che le prestazioni professionali di cui abbisogni siano tali da non consentire forme di comparazione. In questo caso, occorre avere riguardo alla natura dell'incarico, all'oggetto della prestazione oppure alle abilità/conoscenze/qualificazioni dell'incaricato. Insomma, per prestazioni professionali infungibili, come quelle caratterizzate da elevata funzione intellettuale, è possibile non procedere alla verifica comparativa, richiesta dall'articolo 7, commi 6 e seguenti, del dlgs 165/2001.
Ulteriore ipotesi di incarico diretto, potrebbe essere una procedura selettiva andata deserta, senza che ad essa abbia partecipato alcun interessato.
In ogni caso, secondo la magistratura contabile l'eccezionalità diretto è da considerare di stretta interpretazione e non consente deroghe, anche se discendenti dall'esiguità del compenso pattuito per la prestazione affidata al professionista (articolo ItaliaOggi del 20.08.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

ATTI AMMINISTRATIVIAlla convalida degli atti viziati di incompetenza può provvedersi anche in pendenza di gravame in sede amministrativa e giurisdizionale. E’ fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
L’art. 6, legge 18.03.1968 n. 249, prevede che, “Alla convalida degli atti viziati di incompetenza può provvedersi anche in pendenza di gravame in sede amministrativa e giurisdizionale.”; l’art. 21-nonies, legge n. 241/1990, al comma 2, sancisce che, “E’ fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.”.
Tali disposizioni legittimano interventi tesi ad emendare l’atto difforme dallo schema legale tipico e definito dall’art. 21-octies, legge 241/1990, per il quale “1. E’ annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.”.
L’ambito di operatività dell’istituto (utilizzabile quanto meno per il vizio di incompetenza ex art. 6, legge n. 249/1968, anche ove siano stati attivati i meccanismi di reazione giurisdizionale o giustiziale) coincide, quindi, con la nozione di provvedimento annullabile e la funzione che gli è propria, cioè emendare e conservare, implica uno stretto collegamento tra atto convalidato ed atto convalidante (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.08.2010 n. 5636 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIL’assegnazione alla competenza consiliare dell’organizzazione e dell’affidamento dei servizi pubblici locali è costantemente giustificata dal fatto che le scelte ad esse sottese si connettono all’esercizio dei poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, caratterizzante entrambi i momenti in cui si articola la scelta ricadente, appunto, sul modulo e sulle modalità di assegnazione del servizio.
L’assegnazione alla competenza consiliare (cfr. C.S., sezione V, dec. 9301/2003) dell’organizzazione e dell’affidamento dei servizi pubblici locali è costantemente giustificata dal fatto che le scelte ad esse sottese si connettono all’esercizio dei poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, caratterizzante entrambi i momenti in cui si articola la scelta ricadente, appunto, sul modulo e sulle modalità di assegnazione del servizio.
Gli elementi che devono poi confluire nell’opzione sono stati, in materia di servizi pubblici locali, fissati dall’art. 113, commi 5, 7 e 11, relativo ai soggetti ai quali conferire il servizio, agli elementi sull’espletamento delle gare ad evidenza pubblica ed ai parametri di controllo, costituenti oggetto del contratto di servizio, quale fonte di disciplina dei rapporti tra enti locali e società di erogazione del servizio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.08.2010 n. 5636 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI - VARIAumento della Tarsu solo se collegato ai costi dei servizi. Il Cds boccia la delibera non adeguatamente documentata.
È illegittima la delibera con la quale un comune ha aumentato le tariffe della tassa per lo smaltimento rifiuti solidi urbani, non supportata da adeguata istruttoria volta a dimostrare uno scostamento tra entrate e costo del servizio.
Lo ha sancito il Consiglio di stato, Sez. V, con la sentenza 11.08.2010 n. 5616.
Nel caso in esame il Tar Lazio-Sezione staccata di Latina, aveva accolto il ricorso proposto dalla Confcommercio Ascom, contro la deliberazione della giunta comunale di Terracina, con la quale era stato determinato l'incremento nella misura del 20% delle tariffe per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani per il 2008.
In particolare, il tribunale regionale aveva riconosciuto la mancanza di una motivazione dal momento che l'amministrazione non aveva indicato le ragioni per cui, a fronte della necessità di assicurare la copertura totale della spese e in assenza di dati certi in ordine alla spesa e alle entrate, aveva ritenuto di poter stabilire in una determinata entità l'importo dell'aumento.
Contro questa sentenza aveva proposto appello il comune di Terracina, lamentando di aver avuto necessità di incrementare complessivamente la tariffa Tarsu per avvicinarsi al rispetto degli obblighi di pareggio tra costi e ricavi previsto dalla normativa di settore con riferimento all'imminente applicazione della Tariffa igiene ambientale (Tia) già a partire dal 2009 e ricordando come la relativa normativa aveva previsto un periodo transitorio durante il quale le amministrazioni comunali avevano la facoltà di anticipare l'applicazione delle disposizioni Tia dal 2009.
Aveva eccepito, infine, che la delibera di incremento delle tariffe della Tarsu, in quanto atto generale, era sottratto all'obbligo di motivazione ai sensi dell'art. 3, comma 3, legge n. 241/1990 e successive modificazioni.
Il Consiglio di stato conferma la sentenza di primo grado. Come osserva il collegio, sebbene gli artt. 61 e 69, comma 2, dlgs 15.11.1993 n. 507 e 49 del dlgs n. 22 del 1997 consentano in sede di determinazione della Tarsu la copertura integrale del costo del servizio con la garanzia di una percentuale minima del 50% e diano anche la facoltà ai comuni di introdurre nella vigenza del periodo transitorio, in via sperimentale e graduale, il nuovo sistema di tariffazione Tia, nel contempo è previsto anche un reticolo di garanzie a favore degli utenti.
Le disposizioni normative, infatti, prescrivono un'adeguata istruttoria sulla base di dati ufficiali che poi si deve tradurre in una ragionevole giustificazione dell'incremento del prelievo nelle relative delibere comunali e, comunque, nei limiti del costo complessivo del servizio.
Nel caso in oggetto la delibera comunale impugnata è venuta sostanzialmente a modificare la già vigente copertura minima del servizio (che è un presupposto indispensabile delle tariffe antecedenti) e di conseguenza «doveva specificamente esternare sulla base di dati ufficiali le ragioni che avevano determinato l'aumento per la copertura minima obbligatoria del costo del servizio sulla base dello stesso art. 69, 2° comma, dlgs. n. 507/1993 in connessione con le altre disposizioni del medesimo decreto che lo integrano».
L'amministrazione comunale, invece, ha voluto applicare un incremento sostanzioso del 20% delle precedenti tariffe senza avere dati certi in ordine allo scostamento tra entrate e costo del servizio, invocando genericamente la necessità di assicurare la tendenziale copertura totale della spesa, che non viene in alcun modo indicata, neppure per relationem.
Alla luce di queste considerazioni la delibera non può che ritenersi illegittima (articolo ItaliaOggi del 17.08.2010, pag. 20).

EDILIZIA PRIVATALa funzione dell’autorizzazione paesaggistica è quella di verifica della compatibilità dell’opera edilizia che si intende realizzare con l’esigenza di conservazione dei valori paesistici protetti dal vincolo. Quest’ultimo contiene un accertamento circa l’esistenza di valori paesistici oggettivamente non derogabile e che è compito dell’autorizzazione accertare in concreto la compatibilità dell’intervento con il mantenimento e l’integrità dei richiamati valori.
Difatti, il paesaggio è un valore costituzionale primario e, pertanto, l’autorità amministrativa non deve svolgere una ponderazione comparativa tra un interesse primario ed un interesse secondario, ma unicamente operare un giudizio in concreto circa il rispetto da parte dell’intervento progettato delle esigenze connesse alla tutela del paesaggio stesso.
La determinazione dell’ente locale deve, dunque, essere motivata anche quando abbia contenuto positivo, favorevole al richiedente. Tale principio trova oggi espresso fondamento normativo nell’articolo 3 della legge n. 241/1990, secondo il quale ogni provvedimento amministrativo, di contenuto sia negativo che positivo, deve essere motivato, recando l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione in relazione alle risultanze dell’istruttoria.

L’articolo 82 del DPR n. 616/1977 (di poi la normativa di cui all’art. 151 del D.Lgs. n. 490/1999 ed oggi quella contenuta nel D.Lgs. n. 42/2004) configura un sistema complesso di tutela del paesaggio, implicante l’intervento sia della Regione che dello Stato, in cui la concorrenza dei poteri è disciplinata dal principio di leale cooperazione ( Corte Cost., sent. n. 359/1995, n. 151/1986, n. 302/1988).
Con specifico riferimento ai poteri della Regione (o dell’ente subdelegato), va rilevato che la funzione dell’autorizzazione paesaggistica è quella di verifica della compatibilità dell’opera edilizia che si intende realizzare con l’esigenza di conservazione dei valori paesistici protetti dal vincolo.
E’ stato, infatti, evidenziato (cfr. Cons. Stato, VI, 14-11-1991, n.828; VI, 25-09-1995, n. 963) che quest’ultimo contiene un accertamento circa l’esistenza di valori paesistici oggettivamente non derogabile e che è compito dell’autorizzazione accertare in concreto la compatibilità dell’intervento con il mantenimento e l’integrità dei richiamati valori.
Difatti, il paesaggio è un valore costituzionale primario e, pertanto, l’autorità amministrativa non deve svolgere una ponderazione comparativa tra un interesse primario ed un interesse secondario, ma unicamente operare un giudizio in concreto circa il rispetto da parte dell’intervento progettato delle esigenze connesse alla tutela del paesaggio stesso.
La determinazione dell’ente locale deve, dunque, essere motivata anche quando abbia contenuto positivo, favorevole al richiedente.
Tale principio, già consolidato in giurisprudenza in relazione alla peculiare natura dell’atto ed alla rilevanza degli interessi coinvolti (cfr. Cons. Stato, VI, 15-12-1981, n.751; 19-05-1981, n. 221; IV, 18-11-1980, n. 1104), trova oggi espresso fondamento normativo nell’articolo 3 della legge n. 241/1990, secondo il quale ogni provvedimento amministrativo, di contenuto sia negativo che positivo, deve essere motivato, recando l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione in relazione alle risultanze dell’istruttoria.
Quanto, poi, al contenuto di tale motivazione, la giurisprudenza è ferma nel ritenere, ai fini della congruità e sufficienza della stessa, che debba esservi l’indicazione della ricostruzione dell’iter logico seguito, in ordine alle ragioni di compatibilità effettive che – in riferimento agli specifici valori paesistici dei luoghi - possano consentire tutti i progettati lavori, considerati nella loro globalità e non esclusivamente in semplici episodi di dettaglio (cfr. Cons. Stato, VI, 05-07-1990, n. 692; 14-11-1991, n. 828; 25-09-1993, n. 963; 20-06-1995, n. 952).
Le considerazioni sopra svolte valgono anche per il procedimento di condono edilizio di opere realizzate su aree sottoposte a vincolo, per il quale l’articolo 32 della legge n. 47/1985 dispone che “il rilascio della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria … è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso”.
Invero, la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, VI, 28-01-1998, n. 114) ha avuto modo di chiarire che il suddetto parere ha natura e funzioni identiche alla autorizzazione paesaggistica, in quanto entrambi gli atti costituiscono il presupposto per l’assentimento del titolo che legittima la trasformazione urbanistico edilizia della zona protetta; con la conseguenza che anche in tale caso è applicabile il potere ministeriale di annullamento del provvedimento (TAR Campania-Basilicata, Sez. II, sentenza 07.08.2010 n. 10168 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

VARIContributi di bonifica, ora l'onere della prova cade sul contribuente. Sentenza della Cassazione: cartelle esattoriali? Tocca al cittadino smentire eventuali vantaggi.
In caso di cartelle esattoriali è il contribuente che deve dimostrare di non trarre vantaggi dalle opere di bonifica. Quando gli oneri relativi a contributi di bonifica siano determinati sulla base di un piano di classifica definitivo, a carico del consorzio non è prevista la dimostrazione di un vantaggio diretto e specifico agli immobili ricompresi nel piano di classifica stesso; non viene tuttavia meno il diritto del contribuente di fornire la prova contraria nel giudizio tributario, e questo anche se il piano di classifica non sia stato impugnato di fronte al giudice amministrativo.
Sono queste le interessanti conclusioni che si ricavano dalla sentenza 21.07.2010 n. 17066 emessa dalla Sez. tributaria della Corte di Cassazione.
La bonifica è una faccenda che riguarda l'agricoltura; tuttavia, recentemente e in maniera sempre più consistente, questi contributi vedono come destinatario finale, e sempre più spesso, i proprietari urbani.
I piani di classifica in effetti, vengono predisposti sulla base di un piano-tipo, circoscrivono e individuano anche immobili che non traggono alcun beneficio dalla bonifica; questi piani di classifica si protraggono per molto tempo, mentre dovrebbero essere valutati anno per anno sulla base dei reali incrementi di valore recati agli immobili sottoposti al contributo; contro queste pretese, quando illegittime, è possibile ricorrere rivolgendosi alla Commissione tributaria provinciale; questa può accogliere il ricorso e disapplicare il «piano di classifica» anche se questo stesso piano di classifica non sia stato impugnato dinanzi al giudice amministrativo.
Dinanzi al giudice tributario il contribuente dovrà dimostrare di non trarre alcun vantaggio diretto e specifico dalle opere di bonifica e potrà far questo, predisponendo specifiche perizie tecniche che attestino la mancanza di benefici diretti. È il caso di un contribuente che, quale erede universale della madre, proponeva ricorso contro il silenzio rifiuto concernente il rimborso richiesto per contributi versati per un complesso immobiliare esistente nell'ambito del comprensorio di bonifica; il contribuente in relazione agli immobili, ricorreva sul rilievo della inesistenza di un qualsiasi vantaggio dalle opere di bonifica.
La Commissione provinciale di Bergamo, a cui, si era rivolto lo stesso contribuente ricorrendo, respingeva il ricorso. La decisione veniva confermata dalla Commissione regionale della Lombardia che riteneva che la prova di un idoneo beneficio si ricavasse dall'esistenza del piano di classifica, tra l'altro definitivo, poiché non impugnato dinanzi al giudice amministrativo. La Cassazione tributaria ha ribaltato completamente quanto stabilito dai giudici dei due gradi di merito e disposto il rinvio alla Commissione regionale della Lombardia che dovrà valutare le prove offerte dal contribuente.
I giudici di Piazza Cavour hanno tratto il loro convincimento dal principio enunciato nella sentenza n. 26009/2008 della cassazione resa a Sezioni Unite; in questo giudicato la Corte stabilisce che quando la cartella esattoriale sia motivata con riferimento ad un piano di classifica approvato dalla regione, è onere del contribuente provare di non trarre alcun vantaggio diretto e specifico dalle opere di bonifica.
In presenza di un piano di classifica, infatti, nessuno specifico onere probatorio grava sul consorzio; tale inversione dell'onere probatorio quindi, realizza una presunzione «iuris tantum» e non «iuris de iure» (che può derivare solo dalla legge) che consente al contribuente la prova contraria. Il fatto di non aver impugnato il piano di classifica, proseguono gli ermellini, non pregiudica la contestazione in sede tributaria.
Secondo il collegio, il contribuente è ammesso a provare in giudizio la insussistenza del beneficio, sia sotto il profilo della inesistenza dello stesso, sia in ordine ai criteri con cui il consorzio ha messo in esecuzione le direttive per la determinazione del contributo (articolo ItaliaOggi del 19.08.2010, pag. 25).

EDILIZIA PRIVATAIl rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) impone all'amministrazione comunale una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di esercitare lo ius aedificandi, onde l'accertamento del possesso del titolo a costruire costituisce una condizione la cui mancanza impedisce all'ente comunale di procedere oltre nell'esame dell'istanza, anche se va escluso l'obbligo di effettuare complesse indagini dirette a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile, quali l'inesistenza di servitù o di altri vincoli reali idonei a limitare l'attività edificatoria.
Deve ritenersi illegittima la concessione edilizia rilasciata in base alla richiesta di un solo comproprietario, dovendo l'amministrazione verificare la sussistenza, in capo al richiedente stesso, di un titolo idoneo di godimento sull'immobile ed accertare altresì la legittimazione soggettiva di quest'ultimo, la quale presuppone il consenso, anche tacito, dell'altro proprietario in regime di comunione.

La giurisprudenza amministrativa ha affermato che: ”Il rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) impone all'amministrazione comunale una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di esercitare lo ius aedificandi, in tal senso inducendo la prescrizione di cui all'art. 4 comma 1, l. n. 10 del 1977 («la concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla [...]»), e successivamente quella di cui all'art. 11 comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 («il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo»), onde l'accertamento del possesso del titolo a costruire (da riconoscere a chiunque abbia, in virtù di un diritto reale o di obbligazione sull'immobile, la facoltà di eseguire i lavori in progetto) costituisce una condizione la cui mancanza impedisce all'ente comunale di procedere oltre nell'esame dell'istanza, anche se va escluso l'obbligo di effettuare complesse indagini dirette a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile, quali l'inesistenza di servitù o di altri vincoli reali idonei a limitare l'attività edificatoria” (TAR Emilia Romagna-Parma, 21.02.2007, n. 53).
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, proprio in considerazione della trasformazione del territorio conseguente ad opere di ben minore entità, ha affermato che “l'attività edilizia soggetta a concessione, determinando una apprezzabile trasformazione dell'area interessata, sia pure finalizzata al miglioramento oggettivo della cosa, determina, di regola, un'incidenza significativa sul diritto di ciascuno dei comproprietari, deve ritenersi illegittima la concessione edilizia rilasciata in base alla richiesta di un solo comproprietario, dovendo l'amministrazione verificare la sussistenza, in capo al richiedente stesso, di un titolo idoneo di godimento sull'immobile ed accertare altresì la legittimazione soggettiva di quest'ultimo, la quale presuppone il consenso, anche tacito, dell'altro proprietario in regime di comunione" (fattispecie relative alla richiesta di realizzazione dell'asfaltatura di una strada privata per la quale un altro comproprietario aveva manifestato espressamente il suo dissenso) Consiglio Stato, sez. V, 15.03.2001, n. 1507 (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 13.07.2010 n. 5677 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori, della concessione ddilizia, ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio.
In tema di efficacia della concessione edilizia, il termine di tre anni stabilito dall'art. 4, comma 4, l. 28.01.1977, n. 10, per l'ultimazione dei lavori di costruzione è perentorio e, come tale, non tollera interruzioni o sospensioni.

La giurisprudenza ha affermato che “i fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio” (Cons. di St., IV, 10.08.2007, n. 4423).
Nello stesso senso è del resto anche la giurisprudenza penale: “in tema di efficacia della concessione edilizia, il termine di tre anni stabilito dall'art. 4, comma 4, l. 28.01.1977, n. 10, per l'ultimazione dei lavori di costruzione è perentorio e, come tale, non tollera interruzioni o sospensioni. In relazione all'insorgenza di fatti estranei alla volontà del concessionario e non imputabili a sua colpa, la legge, invero, consente di poter fruire di un più lungo periodo, ma soltanto a condizione che ci si avvalga delle procedure a tale scopo predisposte dai commi 4 e 5 del succitato art. 4 (che prevedono la richiesta di un provvedimento di proroga della concessione edilizia, ovvero di una nuova concessione per la parte non ultimata)” (Cass. Pen., 25.03.1993) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 5569 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa decadenza della concessione edilizia opera “di diritto”, cioè si verifica automaticamente, ope legis.
Per quanto concerne la mancanza di un formale provvedimento di decadenza della concessione edilizia, si osserva che, nel vigore della precedente normativa (art. 4 L. 28.01.1977 n. 10), la giurisprudenza discuteva circa la natura costitutiva o dichiarativa della pronuncia di decadenza (in quest’ultimo senso cfr. Cons. di St., V, 27.03.2000, n. 1755).
Orbene, il testo unico in materia edilizia D.P.R. n. 380/2001 ha inteso per l’appunto porre fine a tale diatriba, chiarendo che la decadenza opera “di diritto”, cioè si verifica automaticamente, ope legis (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 5569 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede stradale non deve essere inteso restrittivamente, e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla sua incolumità delle persone, ma è connesso alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni, sicché le distanze previste dalla normativa vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale.
Giova richiamare l’art. 1 del D.Lgs. 16.12.1992, n. 495 (recante il regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada), a mente del quale “le distanze dal confine stradale all'interno dei centri abitati, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni integrali e conseguenti ricostruzioni o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a: a) 30 m per le strade di tipo A […]”.
Contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, il termine “fronteggianti” non si riferisce affatto ai soli manufatti “in elevazione” rispetto al livello della strada, bensì a tutte le costruzioni che si trovino, in proiezione orizzontale, di fronte al confine stradale, e siano dunque finitime ad esso.
Per costante giurisprudenza, infatti, il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede stradale non deve essere inteso restrittivamente, e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla sua incolumità delle persone, ma è connesso alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni, sicché le distanze previste dalla normativa vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (Cass., II, 01.06.1995, n. 6118; Cons. di St., IV, 18.10.2002, n. 5716; id., 25.09.2002, n. 4927; TAR Campania-Salerno, II, 09.04.2009, n. 1383).
Del resto, già la normativa precedente (art. 4 del D.M. 01.04.1968) -rispetto alla quale quella di cui all’art. 1 del D. Lgs. 16.12.1992, n. 495 si pone in linea di coerente continuità– stabiliva che alle distanze da osservarsi nella edificazione a partire dal ciglio della strada e da misurarsi in proiezione orizzontale, “va aggiunta la larghezza dovuta alla proiezione di eventuali scarpate”, con ciò confermando che, al fine di escludere l’applicazione della fascia di rispetto stradale, non rileva che l’autostrada corra (come nel caso di specie) su di un rilevato posto ad una quota superiore rispetto a quella del terreno oggetto della progettata edificazione.
Per il resto, l’art. 9 della legge 24.03.1989, n. 122, nella parte in cui consente di derogare agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, costituisce norma eccezionale, non applicabile –ex art. 14 disp. prel. c.c.– oltre i casi in essa specificamente considerati (i divieti contenuti negli strumenti urbanistici e nei regolamenti edilizi) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 5565 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIGare: in caso di illegittima aggiudicazione va riconosciuta la perdita di chance. Il danno è anche curriculare. Risarcimento in percentuale variabile fra l'1 e il 5%.
Il risarcimento del danno da illegittima aggiudicazione di una gara di appalto va rapportato non soltanto all'utile di impresa, ma anche al danno curriculare derivante dalla mancata acquisizione dell'appalto e alla conseguente diminuzione di peso imprenditoriale in termini di ridotto radicamento sul mercato; tale danno va riferito a una percentuale variabile fra l'1 e il 5% dell'appalto.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 27.04.2010 n. 2384 in merito a una fattispecie di risarcimento del danno da riconoscere a una società classificatasi al secondo posto in una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico.
L'amministrazione aveva infatti proceduto a una illegittima aggiudicazione a favore di un concorrente che aveva omesso di presentare la fotocopia del documento di identità a corredo dell'autocertificazione sulla regolarità contributiva e sull'insussistenza di cause di esclusione.
Il Consiglio di stato, dopo avere verificato la non scusabilità dell'errore dell'amministrazione (che non aveva tenuto presente quanto previsto nella disciplina sulle autocertificazioni di cui al dpr 445) e quindi la sussistenza dei presupposti per procedere al risarcimento della lesione dell'interesse legittimo, entra nel merito della quantificazione del danno da risarcire al ricorrente che, senza l'aggiudicazione illegittima, sarebbe risultato aggiudicatario. A tale riguardo i giudici in primo luogo richiamano la necessità di rapportare il quantum del risarcimento all'utile che l'impresa avrebbe conseguito a seguito dell'aggiudicazione illegittimamente negata.
La sentenza, in particolare, richiama la giurisprudenza che, facendo leva sull'articolo 122 del regolamento della legge Merloni (dpr 554/1999) e sull'articolo 37-septies, comma 1, lettera c, della citata Merloni, determina il risarcimento nella misura del 10% dell'importo dell'appalto.
I giudici però precisano che, anche in presenza di queste norme e della giurisprudenza che si sviluppò negli anni rispetto all'analoga disposizione della legge fondamentale sui lavori pubblici, il giudice deve giungere alla determinazione del valore dopo una «concreta determinazione, nei casi in cui sussistano diversi rapporti fra costi e ricavi, in termini documentabili dalla parte interessata».
La sentenza chiarisce quindi in primo luogo che non rientrano nel risarcimento del danno tutti i costi che il concorrente ha affrontato per presentare l'offerta (salvo il caso, difficilmente, se non mai, riscontrabile, in cui lo preveda la stazione appaltante). Tali costi devono essere infatti ricondotti a un investimento riferibile al «rischio dell'impresa, funzionale alla previsione di guadagno in astratto quantificata».
In secondo luogo la sentenza richiama il principio per cui il risarcimento del danno per illegittima aggiudicazione deve essere ricondotto alla cosiddetta «perdita di chance», ovvero al guadagno che l'impresa avrebbe potuto ottenere, in base a una ragionevole valutazione di probabilità e alle regole del mercato.
Inoltre i giudici aggiungono un passaggio di particolare interesse relativo alla specificazione di un ulteriore profilo che dettaglia il principio generale della perdita di chance. In particolare la sentenza precisa che «appare poi ragionevole» che nella definizione del risarcimento sia compreso quello che viene definito «danno curriculare» che si sostanzia nella riduzione («deminutio») di peso imprenditoriale della società causato dal non avere potuto aggiudicarsi la commessa che, invece, se non ci fosse stata l'illegittima aggiudicazione, sarebbe spettata.
Il Consiglio di Stato chiarisce che questa riduzione di peso imprenditoriale «può essere rapportata a un inferiore radicamento nel mercato, anche come possibile concausa di crisi economica o imprenditoriale, in termini di difficile determinazione, ma in linea di massima rapportabili a valori percentuali compresi fra l'1 e il 5% dell'importo globale del servizio da aggiudicare» (articolo ItaliaOggi del 18.08.2010, pag. 30 - link a www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Ordinanza di rimozione rifiuti in caso di costruzioni e riutilizzo di inerti edili.
Il potere di ordinanza previsto dall'art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 (ed in precedenza dall'art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997) ha un diverso fondamento rispetto alle ordinanze disciplinate dall'art. 54 del T.U.E.L. e prefigura un'ordinanza di sgombero a carattere sanzionatorio, di cui è riprova il fatto che, per la sua applicazione a carico dei soggetti obbligati in solido, è necessaria l'imputazione agli stessi a titolo di dolo o colpa del comportamento tenuto in violazione dei divieti di legge.
Va ricordato che il riutilizzo del materiale proveniente dall'attività di costruzione non può prescindere dalla preventiva attività di separazione richiesta dal D.M. 05.02.1998, posto che i materiali residuanti dalla attività di demolizione edilizia conservano la natura di rifiuti sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali il citato art. 183, lett. h) indica la cernita o la selezione.
In ogni caso, inoltre, il riutilizzo nelle opere di riempimento deve avvenire, come ribadito dall’art. 186 del citato D.Lgs. senza recare pregiudizio all'ambiente (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 29.09.2009 n. 2454 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI terzi, lesi dal rilascio di un permesso di costruire, conservano una c.d. “doppia tutela”: oltre ad esperire davanti al giudice ordinario l’azione civile per la demolizione in caso di violazione delle disposizioni sulle distanze, possono impugnare davanti al giudice amministrativo il titolo abilitativo illegittimo.
Per quanto concerne la tutela dei terzi, lesi dal rilascio di un permesso di costruire, questi conservano una c.d. “doppia tutela”: oltre ad esperire davanti al giudice ordinario l’azione civile per la demolizione in caso di violazione delle disposizioni sulle distanze, possono impugnare davanti al giudice amministrativo il titolo abilitativo illegittimo.
Certamente è necessario che siano titolari di interessi differenziati, come nel caso, che qui ricorre, di collegamento non occasionale all'insediamento abitativo nel cui ambito si colloca la costruzione assentita; collegamento derivante dalla proprietà di immobili in zona (in questo caso confinanti; cfr. Cons. Stato, sez. V, 30.01.2003, n. 469; V, 07.04.2004, n. 1968; IV, 11.12.1998, n. 1627).
E’ evidente che la riconosciuta legittimazione non può dipendere, soprattutto quando si discute delle distanze, dall’entità dell’intervento contestato
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.06.2008 n. 2954- link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn tema di distanze legali, solo il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina delle distanze per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente.
I requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma dell'art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle distanze legali, sono costituiti dall'isolamento delle facce, l'altezza non superiore a metri 3, la sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà; mentre quando non si è in presenza di un dislivello naturale, ma si tratta di un dislivello di origine artificiale deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall'opera dell'uomo.

L’intervento assentito con l’impugnato permesso di costruire consiste nella realizzazione di un terrapieno artificiale con mura di tamponamento, necessario per portare “a livello” della strada il terreno adiacente all’immobile degli appellanti e consentire così la creazione di un parcheggio scoperto e di un muretto che lo delimita.
Tale intervento costituisce una “nuova costruzione” e non può essere qualificato come manutenzione straordinaria (semplice sistemazione di spazi aperti comportante modifica alle quote dei terreni), come affermato dagli appellanti e ritenuto dal Comune (cfr., Cons. Stato, V, n. 1835/1999).
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che in tema di distanze legali, solo il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina delle distanze per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (Cass. civ, II, n. 145/2006; n. 243/1992; n. 12763/1991; Cons. Stato, n. 5213/2007).
E’ stato anche precisato che i requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma dell'art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle distanze legali, sono costituiti dall'isolamento delle facce, l'altezza non superiore a metri 3, la sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà; mentre quando non si è in presenza di un dislivello naturale, ma si tratta di un dislivello di origine artificiale deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall'opera dell'uomo (Cass. civ., II, n. 8144/2001)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.06.2008 n. 2954- link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le verifiche di compatibilità edilizia ed urbanistica delle infrastrutture di comunicazioni elettroniche devono essere svolte nell'ambito del procedimento disciplinato dall'art. 87 d.lg. n. 259 del 2003.
Come è stato ritenuto dal Consiglio di Stato con sentenza sez. VI, 28.02.2006, n. 889, le verifiche di compatibilità edilizia ed urbanistica delle infrastrutture di comunicazioni elettroniche devono essere svolte nell'ambito del procedimento disciplinato dall'art. 87 d.lg. n. 259 del 2003.
Infatti, la "ratio" della riforma è stata quella di semplificare il procedimento e di concentrare al suo interno tutte le relative valutazioni di carattere urbanistico-edilizio e igienico-sanitarie, le quali sono state unificate sul piano procedimentale. 
Il potere del Comune, dopo la formazione del silenzio-assenso dei 90 gg. previsto dall'art. 87 del D.Lgs. 259/2003, si limita alla eventuale autotutela annullatoria, alla presenza dei presupposti tralaticiamente affermati dalla giurisprudenza: sussistenza di un’illegittimità, pur non sufficiente per sé sola a sostenere l’annullamento, esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell'atto, adeguata motivazione (C.G.A.R.S., sentenza 11.06.2008 n. 514 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’applicazione della sanzione demolitoria rispetto ad un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo costituisce atto dovuto, per il quale è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla sua rimozione.
La validità ovvero l’efficacia dell’ordine di demolizione non risultano pregiudicate, con la pretesa automaticità, dalla successiva presentazione di un’istanza ex art. 36 del d.p.r. 380/2001.

Nello schema giuridico delineato dall’art. 7 della legge n. 47/1985 (oggi art. 31 del d.p.r. 380/2001) non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’applicazione della sanzione demolitoria rispetto ad un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo costituisce atto dovuto, per il quale è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla sua rimozione (cfr. TAR Campania, Sez. IV, 24.09.2002, n. 5556; 04.07.2001, n. 3071; Consiglio Stato, sez. IV, 27.04.2004, n. 2529).
Una volta accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione non costituisce, dunque, onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività edilizia (TAR Campania, Sez. IV, 24.09.2002, n. 5556; TAR Lazio, sez. II-ter, 21.06.1999, n. 1540).
In definitiva, l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria.
La Sezione condivide l’orientamento giurisprudenziale –già ripetutamente applicato (cfr. Tar Campania Sez. II n. 9757 del 19.10.2007, n. 8345/2007, n. 10128/2004, n. 816/2005)– secondo cui la validità ovvero l’efficacia dell’ordine di demolizione non risultano pregiudicate, con la pretesa automaticità, dalla successiva presentazione di un’istanza ex art. 36 del d.p.r. 380/2001.
Sul punto, mette conto evidenziare che nel sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa desumersi un tale effetto, sicché, se, da un lato, la presentazione dell’istanza ex art. 36 D.P.R. 380/2001 determina inevitabilmente un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, all’evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente, dall’altro, occorre ritenere che l’efficacia dell’atto sanzionatorio sia soltanto sospesa, cioè che l’atto sia posto in uno stato di temporanea quiescenza.
All’esito del procedimento di sanatoria, in caso di accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione rimarrà privo di effetti in ragione dell’accertata conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda, con conseguente venir meno dell’originario carattere abusivo dell’opera realizzata.
Di contro, in caso di rigetto dell’istanza, l’ordine di demolizione a suo tempo adottato riacquista la sua efficacia, che non era definitivamente cessata, bensì era rimasta solo sospesa in attesa della conclusione del nuovo iter procedimentale, con la sola precisazione che il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell’interessato, che non può rimanere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di chiedere l’accertamento di conformità urbanistica, e deve pertanto poter fruire dell’intero termine a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso.
In sostanza, considerato che il procedimento di verifica della compatibilità urbanistica dell’opera avviato ad istanza di parte è un procedimento del tutto autonomo e differente dal precedente procedimento sanzionatorio avviato d’ufficio e conclusosi con l’ordinanza di demolizione dell’opera eseguita in assenza o difformità del titolo abilitativo, il Collegio ritiene che non sussista motivo per imporre all’amministrazione comunale il riesercizio del potere sanzionatorio a seguito dell’esito negativo del procedimento di accertamento di conformità urbanistica, atteso che il provvedimento di demolizione costituisce un atto vincolato a suo tempo adottato in esito ad un procedimento amministrativo sul quale non interferisce l’eventuale conclusione negativa del procedimento ad istanza di parte ex art. 36 D.P.R. 380/2001.
Un nuovo procedimento sanzionatorio, infatti, si rivelerebbe, in assenza di un’espressa previsione legislativa, un’inutile ed antieconomica duplicazione dell’agere amministrativo (cfr. anche Tar Campania, Sezione III, n. 10369/2006)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 10.06.2008 n. 5818 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl potere di annullamento degli atti amministrativi può essere sempre esercitato parzialmente, nel senso che possono essere annullati solo alcuni atti del procedimento, mantenendosi validi ed efficaci gli atti anteriori, qualora, rispetto a questi, non sussistano ragioni demolitorie.
Nel caso di invalidità di una gara per l'aggiudicazione di un contratto della p.a. per la illegittima esclusione di alcune ditte offerenti non occorre disporre la rinnovazione integrale della procedura (con la riapertura cioè, della stessa fase di presentazione delle offerte) ma può legittimamente mantenersi fermo il subprocedimento di presentazione delle offerte e disporre la rinnovazione solo della fase dell'esame comparativo delle offerte già pervenute.

Secondo principi generali del diritto amministrativo, il potere di annullamento degli atti amministrativi può essere sempre esercitato parzialmente, nel senso che possono essere annullati solo alcuni atti del procedimento, mantenendosi validi ed efficaci gli atti anteriori, qualora, rispetto a questi, non sussistano ragioni demolitorie.
Nel caso di invalidità di una gara per l'aggiudicazione di un contratto della p.a. per la illegittima esclusione di alcune ditte offerenti non occorre disporre la rinnovazione integrale della procedura (con la riapertura cioè, della stessa fase di presentazione delle offerte) ma può legittimamente mantenersi fermo il subprocedimento di presentazione delle offerte e disporre la rinnovazione solo della fase dell'esame comparativo delle offerte già pervenute.
Ma ciò nelle sole procedure di aggiudicazione "automatiche" nelle quali l'accertamento dei vizi concernenti l'ammissione o l'esclusione dei concorrenti non comporta la necessità di rinnovare la procedura sin dal momento della presentazione delle offerte, perché il criterio oggettivo e vincolato dell'aggiudicazione priva di qualsiasi rilevanza l'intervenuta conoscenza, da parte della commissione giudicatrice dei contenuti delle altre offerte già ammesse.
Solo quando si debbano effettuare apprezzamenti di discrezionalità tecnica o amministrativa, con attribuzione di punteggi legati a valutazioni di ordine tecnico (licitazione privata col metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, appalto concorso), l'illegittima esclusione di un concorrente, se accertata dopo l’esame delle offerte, rende necessario il rinnovo dell'intero procedimento a partire dalla stessa fase di presentazione delle offerte.
La riammissione delle concorrenti originariamente escluse, infatti, impedirebbe di effettuare una valutazione delle loro offerte rispettando i principi della "par condicio" tra i concorrenti e della necessaria contestualità del giudizio comparativo, perché la seconda valutazione risulterebbe oggettivamente condizionata dall'intervenuta conoscenza delle precedenti offerte e dall'attribuzione del punteggio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.06.2008 n. 2843- link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: L’approvazione del piano di lottizzazione non è atto dovuto, anche se conforme al piano regolatore generale, ma costituisce sempre espressione di potere discrezionale dell’autorità chiamata a valutare l’opportunità di dare attuazione alle previsioni dello strumento urbanistico generale, essendovi fra quest’ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità, ma non di formale coincidenza.
La giurisprudenza amministrativa, con indirizzo che può considerarsi pacifico, afferma che l’approvazione del piano di lottizzazione non è atto dovuto, anche se conforme al piano regolatore generale, ma costituisce sempre espressione di potere discrezionale dell’autorità chiamata a valutare l’opportunità di dare attuazione alle previsioni dello strumento urbanistico generale, essendovi fra quest’ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità, ma non di formale coincidenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 02.03.2004 n. 957; id., 29.01.2008 n. 248).
Tale affermazione giurisprudenziale si coordina con quanto in precedenza rilevato circa il fatto che la conformità urbanistica del piano di lottizzazione non esclude la possibilità di una piena valutazione dei contenuti di quest’ultimo, senza che ciò implichi incisione delle previsioni dello strumento superiore, almeno tutte le volte in cui non vi sia un rapporto di necessaria consequenzialità tra i contenuti dell’uno e quelli dell’altro.
La mancata approvazione del piano di lottizzazione non pone, quindi, in discussione l’attualità delle previsioni del Piano regolatore generale, né, tanto meno, la conformità di esso alle linee guida regionali.
Ciò in quanto, si ripete, la conformità allo strumento di livello superiore non comporta necessariamente la condivisione delle scelte operate dallo strumento attuativo.
Alla luce di quanto evidenziato, va affermato che al Consiglio Comunale va riconosciuto ampio potere discrezionale nella valutazione delle soluzioni proposte, giacché esso esercita pur sempre poteri di pianificazione del territorio comunale e non di semplice riscontro della conformità del piano allo strumento generale.
L’assenza di discrezionalità caratterizza il rilascio del titolo edilizio, non certo l’approvazione dello strumento attuativo, la cui previsione da parte delle norme tecniche d’attuazione risponde proprio all’esigenza di consentire una valutazione discrezionale in ordine al concreto assetto che si intende imprimere la territorio.
Certamente l’esercizio di potere discrezionale deve essere accompagnato da congrua motivazione, ma, se non si vuole ridurre la questione della completezza della motivazione a mero esercizio teorico o, addirittura, a petizione di principio, ciò che occorre verificare è se le ragioni esposte a fondamento del diniego possano, in concreto, supportare le determinazioni assunte (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 06.06.2008 n. 624 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl degrado di un immobile non è di ostacolo all’imposizione del vincolo di cui alla l. 1089/1939, essendo il relativo provvedimento volto in definitiva ad impedire l’ulteriore degrado del bene e a garantire quanto meno la conservazione del valore residuo; in particolare, lo stato di cattiva manutenzione o di parziale distruzione di un bene non ne impedisce l'assoggettamento al vincolo, restando rimessa alla valutazione discrezionale dell'amministrazione l’accertamento dell'idoneità di quanto rimane dell'opera ad esprimere il valore artistico e storico che si vuole tutelare; valutazione sindacabile in sede di legittimità solo sotto i profili della manifesta illogicità e del travisamento dei fatti.
La dichiarazione del valore storico artistico di un bene con il giudizio relativo circa l’interesse particolarmente importante ai sensi della legge 01.06.1939 n. 1089 presuppone un giudizio di discrezionalità tecnica, non sindacabile in sede di giudizio di legittimità se non per vizi di eccesso di potere per errore nei presupposti e per manifesta illogicità e che la normativa di riferimento, stabilisce, negli artt. 1 e 2 della legge 01.06.1939, n. 1089, che sono sottoposti a vincolo, tra l’altro, “le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico”, sempre che il loro interesse sia particolarmente importante, secondo quanto dispone il successivo art. 3, e che il vincolo può essere apposto anche alle “cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, siano state riconosciute di interesse particolarmente importante e come tali abbiano formato oggetto di notificazione, in forma amministrativa, del Ministero per la educazione nazionale”.
In proposito deve premettersi, altresì, che, mentre gli artt. 1 e 3 della citata legge assoggettano a vincolo “le ville, i parchi e i giardini” di valore storico- artistico intrinseco particolarmente importante, l’art. 2 della legge stessa consente di sottoporre a vincolo, con apposito provvedimento, ulteriori immobili, che, pur non avendo in sé valore storico-artistico, siano ciò nondimeno di interesse particolarmente importante quale “testimonianza storica”, per il loro riferimento alla storia politica, alla storia militare, alla storia della letteratura, dell’arte, e della cultura in genere, e, dunque, ad un’epoca e alle manifestazioni storiche e culturali di quell’epoca e che il procedimento che dà luogo all'emanazione del decreto di vincolo dei beni indicati nell'art. 2 citato deve accertare il collegamento dei beni e della loro utilizzazione con gli accadimenti della storia e della cultura, individuando l'interesse “particolarmente importante” del bene che può dipendere o dalla qualità dell'accadimento che col bene appare collegato o dalla particolare rilevanza che il bene ha rivestito per la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura; dell'esistenza di tali elementi occorre dare conto nella motivazione dei provvedimenti di vincolo i quali, tuttavia, nella parte in cui esprimono il giudizio di rilevanza del particolare interesse del bene, costituiscono il frutto di un apprezzamento tecnico-discrezionale che, secondo i principi generali, è sindacabile sotto il profilo della congruità e della logicità della motivazione.
Il degrado di un immobile non è di ostacolo all’imposizione del vincolo di cui trattasi, essendo il relativo provvedimento volto in definitiva ad impedire l’ulteriore degrado del bene e a garantire quanto meno la conservazione del valore residuo; in particolare, lo stato di cattiva manutenzione o di parziale distruzione di un bene non ne impedisce l'assoggettamento al vincolo, restando rimessa alla valutazione discrezionale dell'amministrazione l’accertamento dell'idoneità di quanto rimane dell'opera ad esprimere il valore artistico e storico che si vuole tutelare; valutazione sindacabile in sede di legittimità solo sotto i profili della manifesta illogicità e del travisamento dei fatti (in tal senso, cfr. sez. VI, 23.11.1993, n. 927; 30.11.1995, n. 1362; 28.12.2000, n. 7034). (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.05.2008 n. 2430- link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIn materia d’accesso ai documenti amministrativi, per controinteressati s’intendono «… tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza…».
Il diritto d'accesso recede qualora si tratti di dati personali (dati c.d. «sensibili»), cioè di quegli atti idonei a rivelare l'origine razziale o etnica, le convenzioni religiose o politiche, lo stato di salute o la vita sessuale dei terzi, nel qual caso l'art. 60 del Dlgs 196/2003 consente l'accesso solo a condizione che la posizione giuridica soggettiva, che il richiedente deve far valere o difendere, sia di rango almeno pari a quello della persona cui si riferiscono tali dati.
L'accesso prevale anche sul diritto alla riservatezza qualora sia strumentale alla cura o alla difesa degli interessi giuridici del soggetto richiedente, salvo che vengano in considerazione (ma non è questo il caso) appunto quei dati sensibili o sensibilissimi, idonei cioè a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, per il cui trattamento dispone l’art. 60 del Dlgs 196/2003.

In materia d’accesso ai documenti amministrativi, per controinteressati s’intendono «… tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza…». Non è chi non veda come la norma primaria riconosca la posizione di controinteresse in capo soltanto a coloro, tra tutti quelli nominati o coinvolti nel documento oggetto dell'istanza ostensiva, che per effetto dell'accesso vedrebbero pregiudicato il loro diritto alla riservatezza.
Ebbene, non sottovaluta certo il Collegio l'ampliamento e la progressiva importanza assunta dal diritto alla riservatezza, ma quest’ultimo concerne solo quelle vicende collegate in modo apprezzabile alla sfera privata del soggetto (cfr. così Cons. St., VI, 25.06.2007 n. 3601), secondo quanto al riguardo prevedono, in generale (compresi i dati sensibili e giudiziari), l’art. 59 e, per i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, l’art. 60 del D.lgS. 30.06.2003 n. 196.
Sul punto, già la Sezione (cfr. TAR Lazio, II, 19.10.2006 n. 10620) ebbe modo di precisare, con statuizione da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, che, nel bilanciamento di interessi che connota la disciplina del diritto d'accesso, questo prevale sull'esigenza di riservatezza dei terzi ogniqualvolta esso serva per la cura o la difesa di interessi giuridici del richiedente, come nella specie, dove il Condominio controinteressato ha acceduto agli atti del ricorrente per verificare se ed in qual misura i lavori edili da lui effettuati implichino pro-blemi alla statica del fabbricato.
La Sezione ha altresì chiarito che il diritto d'accesso recede qualora si tratti di dati personali (dati c.d. «sensibili»), cioè di quegli atti idonei a rivelare l'origine razziale o etnica, le convenzioni religiose o politiche, lo stato di salute o la vita sessuale dei terzi, nel qual caso l'art. 60 del Dlgs 196/2003 consente l'accesso solo a condizione che la posizione giuridica soggettiva, che il richiedente deve far valere o difendere, sia di rango almeno pari a quello della persona cui si riferiscono tali dati (cfr. pure Cons. St., VI, 27.10.2006 n. 6440).
Fuori da questa ipotesi, che non sussiste in materia urbanistico-edilizia —nel qual campo il ricorrente ed il Condominio controinteressato in pratica controvertono—, resta fermo il jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 23.10.2007 n. 5569) per cui l'accesso prevale anche sul diritto alla riservatezza qualora sia strumentale (e nella specie, certamente lo è) alla cura o alla difesa degli interessi giuridici del soggetto richiedente, salvo che vengano in considerazione (ma non è questo il caso) appunto quei dati sensibili o sensibilissimi, idonei cioè a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, per il cui trattamento dispone l’art. 60 del Dlgs 196/2003.
Sicché, ai fini dell’operatività dell’istituto partecipativo ex art. 3, c. 2, del DPR 184/2006, non basta predicare d’aver un generico interesse alla riservatezza dei dati cui un terzo intende accedere, a pena di formulare una pretesa meramente formalista, se non emulativa. Occorre, infatti, fornire un serio principio di prova, atto a dimostrare in concreto, soprattutto quando non si versi in alcuno dei casi ex artt. 59 e 60 del Dlgs 196/2003, la natura comunque riservata delle informazioni contenute in atti e documenti altrimenti accessibili.
In altre parole, pure l’accesso ai documenti amministrativi è procedimentalizzato secondo le regole di cui all’art. 25 della l. 241/1990 ed agli artt. 2 e ss. del DPR 184/2006, sia pur con formula assai semplice e priva di solennità, atta a garantire la trasparenza e la conoscibilità dell’agire amministrativo. Resta perciò fermo anche per l’accesso il principio del raggiungimento dello scopo di cui all’art. 21-octies della l. 241/1990, onde le norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo non possono esser applicate meccanicamente e formalisticamente (arg. ex Cons. St., V, 09.10.2007 n. 5251).
Tanto nella considerazione che l’omessa comunicazione ex art. 3, c. 1 del DPR 184/2006 implica sì un vizio procedimentale che si riverbera sull’ ammissione del controinteressato ad accedere alle D.I.A. de quibus, ma, poiché quest’ultima non avrebbe potuto avere in concreto altro risultato, è considerato dalla legge non annullabile perché la circostanza che il suo contenuto sia, malgrado i vizi, quello corretto priva il ricorrente dell'interesse a coltivare un giudizio annullatorio, da cui non potrebbe ricavare alcuna concreta utilità (arg. ex Cons. St., VI, 21.09.2006 n. 5547; id., IV, 12.09.2007 n. 4828, per la violazione dell’art. 10-bis della l. 241/1990; id., V, n. 5251/2007, cit.).
Invero, non l’astratto scostamento dal modello normativo determina l’illegittimità dell’atto, ma solo la difformità che danneggia in concreto la parte che lo denuncia, stante lo stretto legame, proprio del contenzioso amministrativo delineato dapprima dalla giurisprudenza e, quindi, dalla novella del 2005 alla l. 241/1990 tra tutela dell’interesse azionato e vizio dell’atto.
Non nega il Collegio che, tanto nel procedimento, quanto nel processo innanzi a questo Giudice, le forme rappresentino il ragionevole punto d’equilibrio tra le opposte esigenze e dimostrino la presumibile conformità a diritto d’una statuizione che non può pretendere, di per sé sola, di legittimarsi per forza propria.
Tuttavia ed in disparte il ripudio dell’ordinamento di tutele strumentali per fini solo o ictu oculi emulativi o in abuso di diritti, l'omessa allegazione, come nella specie, d’ un sia pur minimo principio di prova sull’utilitas ritraibile (ossia, di un’effettiva riservatezza rispetto ad esigenze di giustizia altrui) implica che il ricorrente vanta solo un interesse diseconomico, non coerente, cioè, con i principi ex art. 1 della l. 241/1990, che la P.A. procedente deve parimenti realizzare (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 21.05.2008 n. 4790 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAll’interno della procedura di gara i partecipanti accettano il rischio di far conoscere ai concorrenti la propria offerta tecnica avendo come contropartita la possibilità di esercitare un identico diritto di accesso per conseguire o difendere l’aggiudicazione. Nei confronti dei soggetti rimasti estranei alla gara i concorrenti riacquistano però un diritto pieno alla riservatezza.
Per superare tale diritto è necessario che sia dimostrato come attraverso la tutela della riservatezza sia in realtà garantita una situazione di abuso. In altri termini la richiesta di accesso non può essere fondata semplicemente sull’esigenza esplorativa di verificare se vi sia stata violazione della proprietà intellettuale ma di tale violazione devono essere forniti indizi significativi.

Mentre per i concorrenti che si confrontano nella procedura di gara vale il principio di reciproca trasparenza ora codificato dall’art. 13, comma 6, del Dlgs. 12.04.2006 n. 163, in base al quale le offerte tecniche sono sempre conoscibili in tutti gli aspetti rilevanti ai fini dell’aggiudicazione, per i soggetti che come il ricorrente non hanno partecipato alla gara il diritto di difesa non può beneficiare di una tutela altrettanto vasta.
In effetti, all’interno della procedura di gara i partecipanti accettano il rischio di far conoscere ai concorrenti la propria offerta tecnica avendo come contropartita la possibilità di esercitare un identico diritto di accesso per conseguire o difendere l’aggiudicazione. Nei confronti dei soggetti rimasti estranei alla gara i concorrenti riacquistano però un diritto pieno alla riservatezza.
Per superare tale diritto è necessario che sia dimostrato come attraverso la tutela della riservatezza sia in realtà garantita una situazione di abuso. In altri termini la richiesta di accesso non può essere fondata semplicemente sull’esigenza esplorativa di verificare se vi sia stata violazione della proprietà intellettuale ma di tale violazione devono essere forniti indizi significativi.
Sulla base di queste considerazioni deve essere esclusa la possibilità per il ricorrente di accedere direttamente all’offerta tecnica della controinteressata mentre gli deve essere consentito di ricercare eventuali indizi di abuso presenti nei restanti atti della procedura. Sono quindi accessibili non soltanto le lettere di invito e i provvedimenti di aggiudicazione ma anche i verbali delle commissioni giudicatrici. Questi ultimi normalmente contengono riferimenti descrittivi dell’offerta tecnica senza tuttavia esporre nel dettaglio l’intero progetto di gestione.
Da questi riferimenti un soggetto che opera nello stesso settore, e quindi dotato di adeguata professionalità, può desumere se vi siano elementi che corrispondono alla propria metodologia. L’accesso ai verbali (senza allegati documentali) può quindi essere considerato un ragionevole equilibrio tra le esigenze di accesso e quelle di riservatezza (anche ai sensi dell’art. 13 comma 7 del Dlgs. 163/2006 per quanto riguarda i contratti nei settori speciali).
Se da questa forma parziale di accesso emergessero elementi ulteriori a sostegno del sospetto di utilizzazione abusiva della proprietà intellettuale potrebbe poi essere formulata una nuova e motivata istanza all’ente aggiudicatore (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 20.05.2008 n. 521 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’assenza nel bando di gara di una previsione volta a consentire l’avvalimento non può essere certo intesa nel senso di escludere l’utilizzo di questo istituto, ma, al contrario, in quello di ammetterlo nella portata più ampia.
Al fine di dimostrare il possesso dei requisiti necessari per la partecipazione ad una gara d'appalto non è ammissibile un “doppio avvalimento”.

L’assenza nel bando di gara di una previsione volta a consentire l’avvalimento non può essere certo intesa nel senso di escludere l’utilizzo di questo istituto, ma, al contrario, in quello di ammetterlo nella portata più ampia (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22.04.2008, n. 1856), non ravvisandosi del resto alcuna ragione, di ordine giuridico o fattuale, atta a sostenere la tesi dell’amministrazione secondo cui l’avvalimento sarebbe incompatibile con il contratto di “concessione di lavori” .
Al fine di dimostrare il possesso dei requisiti necessari per la partecipazione ad una gara d'appalto non è ammissibile un “doppio avvalimento” (cfr. art. 49, comma 6, d.lgs. n. 163/2006: “il concorrente può avvalersi di una sola impresa ausiliaria per ciascun requisito o categoria”) (TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 12.05.2008 n. 3875 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILe disposizioni di dettaglio contenute nell’art. 21 della legge nr. 109 del 1994, in materia di nomina e composizione delle Commissioni di gara negli appalti di lavori, non sono automaticamente applicabili a quelli di servizi e forniture.
Non è sempre e comunque necessario che la Commissione di gara operi in composizione plenaria, ben potendo ciò non avvenire allorché la Commissione svolga una attività meramente preparatorie o istruttorie, ferma restando la necessità del plenum tutte le volte che debba procedersi a valutazioni o comunque ad attività decisorie.

Il Collegio non ravvisa ragioni che autorizzino a discostarsi dal consolidato orientamento secondo cui le disposizioni di dettaglio contenute nell’art. 21 della legge nr. 109 del 1994, in materia di nomina e composizione delle Commissioni di gara negli appalti di lavori, non sono automaticamente applicabili a quelli di servizi e forniture (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 19.06.2006, nr. 3579; sez. VI, 22.11.2005, nr. 6519; id. 12.11.2003, nr. 7251; sez. V, 10.06.2002, nr. 3207; sez. VI, 03.12.1998, nr. 1648).
Ciò discende, secondo l’avviso di gran lunga prevalente, dal carattere eccezionale delle disposizioni in oggetto (sia quelle relative al numero e alle modalità di scelta dei componenti la Commissione, sia quella che impone che detta nomina avvenga dopo la presentazione delle offerte da parte dei concorrenti): e, difatti, anche laddove il citato art. 21 è stato considerato espressione di un principio generale, ciò si è fatto limitatamente alla disposizione secondo cui i membri della Commissione devono essere in maggioranza esperti del settore cui afferisce l’oggetto di gara, e non certo anche in riferimento alle ulteriori disposizioni di dettaglio contenute nella medesima norma.
Occorre richiamare il consolidato insegnamento secondo cui non è sempre e comunque necessario che la Commissione di gara operi in composizione plenaria, ben potendo ciò non avvenire allorché la Commissione svolga una attività meramente preparatorie o istruttorie, ferma restando la necessità del plenum tutte le volte che debba procedersi a valutazioni o comunque ad attività decisorie (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 06.06.2006, nr. 3386; id. 27.12.2000, nr. 6875; sez. IV, 07.07.2000, nr. 3819) (cfr. ad esempio Cons. Stato, sez. V, 18.04.2004, nr. 1408) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.05.2008 n. 2188 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl collegamento fra le imprese che osta alla loro partecipazione alle gare non è solo quello previsto dall'art. 2359 richiamato dall'art. 10 comma 1-bis della legge n. 109/1994, atteso che la previsione della norma civilistica si basa su una presunzione che non può escludere la sussistenza di altre ipotesi di collegamento o controllo societario atte ad alterare le gare di appalto.
Al di fuori dei casi di cui all’art. 2359 c.c. nei quali il controllo sussiste per definizione, il collegamento tra imprese deve essere accertato attraverso la valutazione di specifici indizi gravi, precisi e concordanti, trattandosi di una prova presuntiva disciplinata dall’art. 2729 cod. civ..

E' ius receptum nella giurisprudenza del Consiglio di Stato che il collegamento fra le imprese che osta alla loro partecipazione alle gare non è solo quello previsto dall'art. 2359 richiamato dall'art. 10, comma 1-bis, della legge n. 109/1994, atteso che la previsione della norma civilistica si basa su una presunzione che non può escludere la sussistenza di altre ipotesi di collegamento o controllo societario atte ad alterare le gare di appalto (ex plurimis CdS V 22.04.2004 n. 2317; CdS IV n. 5792 del 2004).
Non v'è alcun dubbio sulla rilevanza del collegamento c.d. "sostanziale" ai fini dell'escludibilità delle imprese, anche al di là della testuale previsione dell'art. 2359 cod. civ. per l'esigenza di garantire il costante rispetto in sede di gara della segretezza e della par condicio (così C.d.S., VI, 14.06.2006, n. 3500).
Il Collegio –nel ribadire che, al di fuori dei casi di cui all’art. 2359 c.c. nei quali il controllo sussiste per definizione, il collegamento tra imprese deve essere accertato attraverso la valutazione di specifici indizi gravi, precisi e concordanti, trattandosi di una prova presuntiva disciplinata dall’art. 2729 cod. civ.– ritiene tuttavia di concordare con la valutazione di sussistenza, nel caso di specie, di sufficienti indici di collegamento sostanziale tra le altre due cooperative sociali presenti in gara, che è stata operata dal primo giudice (C.G.A.R.S., sentenza 06.05.2008 n. 412 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di aperture in un fabbricato non rientra nel novero degli interventi assentibili con il permesso di costruire, giacché è priva dei connotati di nuova costruzione ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, non integrando alcuna trasformazione innovativa, in termini plano-volumetrici, dell’assetto edilizio esistente.
Il Collegio osserva che la realizzazione di aperture in un fabbricato non rientra nel novero degli interventi assentibili con il permesso di costruire, giacché è priva dei connotati di nuova costruzione ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, non integrando alcuna trasformazione innovativa, in termini plano-volumetrici, dell’assetto edilizio esistente.
Al caso di specie dovrebbe, infatti, essere applicato il diverso regime della denuncia di inizio attività, assistito da altra tipologia di corredo sanzionatorio (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 09.02.2006 n. 8303).
Ne deriva che la situazione abusiva riscontrata dall’amministrazione comunale non può essere riguardata dal quadro sanzionatorio contemplato dall’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, poiché non si tratta di intervento eseguito in assenza del prescritto permesso di costruire.
La demolizione irrogata si presenta, quindi, inappropriata e violativa della legge.
La circostanza che le aperture de quibus permettono al fabbricato della ricorrente l’affaccio su area di proprietà comunale (adibita a cortile di scuola elementare), non cambia i termini della questione, non comportando alcun mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio e della disciplina ad esso riferibile. Semmai, il fatto che le dette aperture possano consentire, secondo l’amministrazione comunale, l’indebito accesso di privati cittadini su suolo pubblico, potrà rilevare dal punto di vista civilistico in relazione alla normativa in tema di distanze e di servitù di passaggio.
In conclusione, ribadite le suesposte considerazioni, il provvedimento impugnato si presenta illegittimo e deve essere annullato (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 23.04.2008 n. 417 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa regola secondo la quale va esclusa dalla gara di appalto l’impresa che si sia resa responsabile di errore professionale grave nella esecuzione di un contratto pubblico, non può ritenersi abbia introdotto nell’ordinamento una sorta di incapacità a contrattare con le Pubbliche Amministrazioni, ma deve essere intesa nel senso che essa vale unicamente se il grave errore sia stato commesso nei rapporti intercorsi con la stessa Amministrazione aggiudicatrice.
La valutazione in sede amministrativa delle gravi precedenti inadempienze contrattuali cui collegare l’esclusione delle imprese concorrenti a gare pubbliche, deve essere sempre motivata, essendo la stessa connessa a nozioni ampie e generiche quali quelle della grave negligenza e malafede che richiedono una adeguata indagine sulle fattispecie concrete dalle quali viene desunto il giudizio di scarsa affidabilità del soggetto partecipante, di cui bisogna dare conto con la esternazione delle ragioni che hanno giustificato un eventuale giudizio negativo sulla professionalità dell’impresa esclusa.

La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la regola secondo la quale va esclusa dalla gara di appalto l’impresa che si sia resa responsabile di errore professionale grave nella esecuzione di un contratto pubblico, non può ritenersi abbia introdotto nell’ordinamento una sorta di incapacità a contrattare con le Pubbliche Amministrazioni, ma deve essere intesa nel senso che essa vale unicamente se il grave errore sia stato commesso nei rapporti intercorsi con la stessa Amministrazione aggiudicatrice (Cons. St., Sez. V, 22.08.2003, n. 4570; 19.06.2006, n. 3591).
Ciò comporta quindi che, stante la previsione della norma sopra richiamata come interpretata dalla giurisprudenza, l’esclusione dalle gare pubbliche per inaffidabilità delle imprese concorrenti per grave negligenza e malafede commessa nel corso di esecuzione di precedenti contratti pubblici, può essere pronunciata in termini di automaticità soltanto quando il comportamento di deplorevole trascuratezza e slealtà sia stato posto in essere in occasione di un pregresso rapporto negoziale intercorso con la stessa stazione appaltante che indice la gara.
Qualora, invece, il giudizio di inaffidabilità professionale su un’impresa partecipante ad una gara pubblica venga desunto da gravi errori professionali e tecnici commessi dall’impresa nella sua pregressa attività imprenditoriale, la norma di legge richiamata (art 38, comma 1, lett. f) del D.lgs. n. 163 del 2006) per come formulata, consente di valorizzare i precedenti professionali delle imprese concorrenti nel loro complesso, con la possibilità quindi di valorizzare e tenere conto anche di rapporti contrattuali intercorsi con amministrazioni appaltanti diverse da quella che indice la gara, in esecuzione dei quali da parte degli organi competenti sia stato acclarato una incapacità tecnico-professionale alla esecuzione dei lavori pubblici oggetto di precedenti affidamenti.
La valutazione in sede amministrativa delle gravi precedenti inadempienze contrattuali cui collegare l’esclusione delle imprese concorrenti a gare pubbliche, deve essere sempre motivata, essendo la stessa connessa a nozioni ampie e generiche quali quelle della grave negligenza e malafede che richiedono una adeguata indagine sulle fattispecie concrete dalle quali viene desunto il giudizio di scarsa affidabilità del soggetto partecipante, di cui bisogna dare conto con la esternazione delle ragioni che hanno giustificato un eventuale giudizio negativo sulla professionalità dell’impresa esclusa (Cons. St., Sez. VI, 11.04.2006, n. 2001; Sez. IV, 30.06.2006, n. 4231; TAR Friuli, 10.05.2007, n. 330) (TAR Marche, sentenza 21.04.2008 n. 244 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl privato titolare di interesse pretensivo ha titolo al risarcimento del danno ove, sussistendo tutti i requisiti dell’illecito (colpa, nesso di causalità, ...), riesca a dimostrare che la propria aspirazione al provvedimento era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole, con la conseguenza che la protezione risarcitoria dell’interesse pretensivo può esser accordata, quindi, soltanto in presenza di un giudizio prognostico sulla spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse che, tuttavia, nella vicenda di cui è causa, allo stato, non risulta in alcun modo comprovato, determinando pertanto la inammissibilità della domanda risarcitoria avanzata dalla parte ricorrente che potrà essere proposta soltanto all’esito del nuovo esercizio del potere da parte dell’Amministrazione.
Ritiene il Collegio, in adesione al prevalente orientamento della giurisprudenza, che il privato titolare di interesse pretensivo ha titolo al risarcimento del danno ove, sussistendo tutti i requisiti dell’illecito (colpa, nesso di causalità, ...), riesca a dimostrare che la propria aspirazione al provvedimento era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole, con la conseguenza che la protezione risarcitoria dell’interesse pretensivo può esser accordata, quindi, soltanto in presenza di un giudizio prognostico sulla spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse che, tuttavia, nella vicenda di cui è causa, allo stato, non risulta in alcun modo comprovato, determinando pertanto la inammissibilità della domanda risarcitoria avanzata dalla parte ricorrente che potrà essere proposta soltanto all’esito del nuovo esercizio del potere da parte dell’Amministrazione (Cons. St., Sez. VI, 11.04.2006, n. 2001; Sez. IV, 30.06.2006, n. 4231; TAR Friuli, 10.05.2007, n. 330) (TAR Marche, sentenza 21.04.2008 n. 244 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Comune, ancorché mantenga intatte intatte le proprie competenze in materia di governo del territorio, queste tuttavia, per espressa valutazione legislativa, non possono interferire con quelle relative alla installazione delle reti di telecomunicazione e, in particolare, non possono determinare vincoli e limiti così stringenti da concretizzarsi in un divieto di carattere pressoché generalizzato (e senza prevedere alcuna possibile localizzazione alternativa), in contrasto con le esigenze tecniche necessarie a consentire la realizzazione effettiva della rete di telefonia cellulare che assicuri la copertura del servizio nell’intero territorio comunale.
Il Collegio ritiene di dover confermare l’orientamento espresso di recente da questa stessa Sezione, in fattispecie analoghe alla presente, con le sentenze 17.01.2006 n. 70, 09.05.2006 n. 1010, 21.07.2006 n. 1743, 19.02.2007, n. 566, 20.02.2007, n. 583, 11.04.2007, n. 1106, 10.05.2007, n. 1320, in conformità, peraltro, a un condiviso indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 11.01. 2005, n. 100; 09.06.2005, n. 3040; 26.07.2005, n. 4000; 04.09.2006, n. 5096).
Va, quindi, ribadito che il Comune, ancorché mantenga intatte intatte le proprie competenze in materia di governo del territorio, queste tuttavia, per espressa valutazione legislativa, non possono interferire con quelle relative alla installazione delle reti di telecomunicazione e, in particolare, non possono determinare vincoli e limiti così stringenti da concretizzarsi in un divieto di carattere pressoché generalizzato (e senza prevedere alcuna possibile localizzazione alternativa), in contrasto con le esigenze tecniche necessarie a consentire la realizzazione effettiva della rete di telefonia cellulare che assicuri la copertura del servizio nell’intero territorio comunale.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 331/2003, ha, infatti, chiarito che nell’esercizio dei suoi poteri, il Comune non può rendere di fatto impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformando i criteri di individuazione, che pure il Comune può fissare, in limitazioni alla localizzazione con prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla legge quadro n. 36 del 2001. Devono, pertanto, ritenersi illegittimi per incompetenza e per eccesso di potere gli atti del Comune che intenda regolamentare la materia in argomento per profili estranei all’urbanistica ed alla pianificazione del territorio.
In particolare, il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino (cfr. anche, in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 29.11.2006, n. 6994).
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV, 03.06.2002, n. 3095, 20.12.2002, n. 7274, 10.02.2003, n. 673, 14.02.2005, n. 450, 05.08.2005, n. 4159; sez. VI, 01.04.2003, n. 1226, 30.05.2003, n. 2997, 30.07.2003, n. 4391; 26.08.2003, n. 4841, 15.06.2006, n. 3534) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 12.03.2008 n. 340 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La classificazione delle strade comunali ha valore solo dichiarativo, con la conseguenza che i provvedimenti di autotutela possessoria delle strade stesse non presuppongono necessariamente che la strada tutelata sia iscritta nei registri del Comune, sicché ove manchi l'iscrizione, o essa sia stata annullata per illegittimità, l'esercizio del relativo potere da parte del sindaco è solamente condizionato al preventivo e rigoroso accertamento dell'uso pubblico della strada.
La preesistenza -di fatto- dell'uso pubblico di una strada, anche se questa sia del tutto privata, è uno dei presupposti che legittimano l'esercizio dei poteri di autotutela possessoria delle strade vicinali, attribuito al Sindaco dall'art. 15 D.L. Lgt. n. 1446 cit. (C.g.a. 18.06.2003, n. 244; Cons. St., Sez. V, 12.08.1998, n. 1250; 07.04.1995, n. 522; 23.01.1991, n. 64; TAR Lazio, Latina, 15.05.2004, n. 332; TAR Lazio, Roma, 29.03.2004, n. 2922; TAR Calabria, Catanzaro, 15.01.2002, n. 17; TAR Calabria Catanzaro, 02.03.1999, n. 255; TAR Sicilia, Catania, 29.09.1994, n. 2147).
La stessa classificazione delle strade comunali ha valore solo dichiarativo, con la conseguenza che i provvedimenti di autotutela possessoria delle strade stesse non presuppongono necessariamente che la strada tutelata sia iscritta nei registri del Comune, sicché ove manchi l'iscrizione, o essa sia stata annullata per illegittimità, l'esercizio del relativo potere da parte del sindaco è solamente condizionato al preventivo e rigoroso accertamento dell'uso pubblico della strada (cfr. TAR Piemonte, Torino con sentenza n. 22 del 13.01.2000).
Nello stesso senso è stato osservato in giurisprudenza che il potere di ordinanza in materia di polizia demaniale si configura come una forma di autotutela di carattere possessorio da parte della P.A. per la conservazione dello stato di fatto dei beni demaniale o dei beni soggetti a servitù pubbliche e tale potere si pone su di un piano di parallelismo con le azioni possessorie, di guisa che il potere ex art. 15 D.L. Lgt. 1446/1918 deve intendersi finalizzato al ripristino dello stato di fatto preesistente in ordine all'uso pubblico della strada, indipendentemente dalla natura e spettanza dei diritti reali sulla strada medesima (cfr. TAR Umbria, Perugia, 22.09.1994, n. 562) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 311 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'installazione dell'antenna di una stazione radioelettrica non costituisce trasformazione del territorio comunale agli effetti delle leggi urbanistiche e, pertanto, non necessita ex art. 397 cit. di concessione o autorizzazione edilizia più di quanto ne necessitino le antenne televisive poste sui tetti delle case. Ma la realizzazione di simili manufatti va vista anche in concreto ed in relazione alla obiettiva consistenza degli impianti, richiedendosi, in caso di installazione di tralicci o antenne di notevoli dimensioni e situati in prossimità di edifici la concessione edilizia.
E' pur vero, in astratto, che l'installazione dell'antenna di una stazione radioelettrica non costituisce trasformazione del territorio comunale agli effetti delle leggi urbanistiche e, pertanto, non necessita ex art. 397 cit. di concessione o autorizzazione edilizia più di quanto ne necessitino le antenne televisive poste sui tetti delle case (Cons. St., Sez. V, 20.10.1988, n. 594). Ma la realizzazione di simili manufatti va vista anche in concreto ed in relazione alla obiettiva consistenza degli impianti, richiedendosi, in caso di installazione di tralicci o antenne di notevoli dimensioni e situati in prossimità di edifici la concessione edilizia (cfr. TAR Lazio 26.11.1988, n. 1503).
In giurisprudenza è stato osservato che:
- l'installazione di un'antenna per radioamatore è priva di rilevanza edilizia (in quanto non comporta attività di trasformazione del territorio) e pertanto non deve formare oggetto di concessione di costruzione, salvo che non si componga di opere eccedenti quelle necessarie per la semplice posa in opera delle attrezzature tecniche costituenti l'impianto (cfr. TAR Piemonte, Torino, 21.12.2002, n. 2157; 16.04.1993, n. 163);
- se di non rilevanti dimensioni l'installazione di antenne ricetrasmittenti non necessita di concessione edilizia, essendo sufficiente la denuncia inizio attività (TAR Campania, Napoli, 05.06.2003, n. 7295);
- l'installazione di un'antenna saldamente ancorata al suolo e visibile dai luoghi circostanti comporta alterazione del territorio avente rilievo ambientale ed estetico, sicché necessita del rilascio della concessione edilizia ai sensi dell'art. 1 L. 28.01.1977 n. 10 (Cons. St., Sez. VI, 10.06.2003, n. 3265; Sez. VI, 26.09.2003, n. 5502);
- l'installazione di un'antenna saldamente ancorata al suolo e visibile dai luoghi circostanti (nella specie un'antenna alta circa 8 metri per stazione radio), comporta alterazione del territorio avente rilievo ambientale ed estetico, sicché necessita del rilascio della concessione edilizia (Cons. St., Sez. V, 06.04.1998, n. 415).
Ed in tali arresti giurisprudenziali ben si vede che la consistenza degli impianti di ricetrasmissione non può ritenersi del tutto irrilevante al fine di stabilire se occorra o meno un titolo abilitativo di natura edilizia (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 310 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa salvaguardia dell'area di rispetto cimiteriale di 200 metri prevista dall'art. 338 T.U. 27.07.1934 n. 1265 si pone alla stregua di un vincolo assoluto di inedificabilità che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all'inumazione e alla sepoltura, nel mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale.
Il vincolo di rispetto cimiteriale, riguarda non solo i centri abitati, ma anche i fabbricati sparsi.

Occorre premettere, quanto al vincolo cimiteriale, che la salvaguardia dell'area di rispetto cimiteriale di 200 metri prevista dall'art. 338 T.U. 27.07.1934 n. 1265 si pone alla stregua di un vincolo assoluto di inedificabilità che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all'inumazione e alla sepoltura, nel mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale (giurisprudenza pacifica: cfr., da ultimo, CdS, V, 03.05.2007 n. 1933; IV, 12.03.2007 n. 1185).
Si consideri ancora che il vincolo di rispetto cimiteriale, riguarda non solo i centri abitati, ma anche i fabbricati sparsi (cfr. TAR Milano, II, 06.10.1993 n. 551).
Infine, che lo stesso vincolo preclude il rilascio della concessione, anche in sanatoria (ai sensi dell'art. 33 L. 28.02.1985 n. 47), senza necessità di compiere valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell'opera con i valori tutelati dal vincolo (cfr. Cons. Stato, V, 03.05.2007 n. 1934).
In relazione all’asserita inapplicabilità del disposto contenuto nell’art. 57, III comma del DPR n. 285/1990, va osservato come tale norma -peraltro abrogata dall’art. 28, II comma della legge n. 166/2002– sia invece applicabile al caso di specie in quanto vigente al momento della decisione della domanda di sanatoria: in ogni caso, sia la disciplina vigente all’epoca dei realizzati abusi, sia quella attualmente vigente, consente di realizzare, all’interno della fascia di 200 metri dal perimetro cimiteriale, solo interventi di recupero, di manutenzione, di restauro e risanamento conservativo dell’edificato esistente, ovvero interventi di ampliamento funzionali all’utilizzo dell’edificio nei limiti del 10% dell’esistente (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 07.02.2008 n. 325 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAE' illegittima un'ordinanza di rimozione rifiuti abbandonati, ex art. 14 D.Lgs. n. 22/1997, non preceduta da avviso di avvio del procedimento di cui agli artt. 7 e segg. L. n. 241 del 1990.
Risulta in atti che il gravato provvedimento non sia stato preceduto da avviso di avvio del procedimento di cui agli artt. 7 e segg. L. n. 241 del 1990 e che lo stesso nemmeno indichi delle specifiche ragioni d’urgenza a giustificazione di tale omissione.
Ritiene il Collegio che l’ordinanza di rimozione di rifiuti abbandonati ex art. 14 D.Lgs. n. 22 del 1997 debba essere preceduta dalla suddetta comunicazione ai soggetti interessati, stante la rilevanza dell’eventuale apporto procedimentale che tali soggetti possono fornire, quanto meno in riferimento all’accertamento delle effettive responsabilità per l’abusivo deposito di rifiuti.
Occorre inoltre osservare che, in tali casi, l’esigenza di un effettivo contraddittorio tra amministrazione procedente e tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nel fatto, è espressamente prevista dall’art. 192, comma 3, del D. Lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente), laddove si prescrive che i controlli svolti dall’amministrazione riguardo all’abbandono di rifiuti sul terreno debbano essere effettuati in contraddittorio con i privati interessati (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 31.01.2008 n. 64 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione.
Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 12.07.2004 n. 5039).
A nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (id., 28.02.2001 n. 1074).
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile “non rileva la circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più manufatti sul fondo dell’originario unico proprietario” (cfr. id., sez. V, 26.11.1994 n. 1382).
Allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari,….., la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16.02.1987 n. 91) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.01.2008 n. 255 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa perdita di efficacia della concessione di costruzione per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell’Amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio col privato circa l’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che possano legittimare la determinazione.
Che la perdita di efficacia della concessione di costruzione per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti debba essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell’Amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio col privato circa l’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che possano legittimare la determinazione, costituisce iur receptum nella giurisprudenza di questo Consesso (cfr., da ultimo, fra le tante, Sez. VI, 17.02.2006 n. 671; Sez. V, 20.10.2004, n. 6831) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.01.2008 n. 249 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’autorità che esamina una domanda di autorizzazione paesistica: - deve manifestare la piena consapevolezza delle conseguenze derivanti dalla realizzazione delle opere nonché della visibilità dell’intervento progettato nel più vasto contesto ambientale e non può fondarsi su affermazioni apodittiche, da cui non si evincano le specifiche caratteristiche dei luoghi e del progetto; - deve verificare se la realizzazione del progetto comporti una compromissione dell’area protetta, accertando in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità dei valori dei luoghi.
Deve escludersi che il Ministero possa annullare l’autorizzazione paesaggistica sulle base delle proprie considerazioni tecnico-discrezionali, contrarie a quelle effettuate dalla Regione o dall’ente subdelegato, rispettose dei principi sopra esposti; inoltre, il provvedimento statale di annullamento dell’autorizzazione paesistica non può basarsi su una propria valutazione tecnico discrezionale sugli interessi in conflitto e sul valore che in concreto deve prevalere, né può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma deve basarsi sull’esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione) che non siano stati esaminati dall’Autorità che ha emanato l’autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in contrasto con la regola–cardine della leale cooperazione o con altri principi sulla legittimità dell’azione amministrativa.
Per giurisprudenza costante (anche della stessa Ad. Plen. n. 9/2001), il provvedimento di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica deve essere motivato.

Come ha chiarito la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. per tutte Ad. Plen., 14.12.2001, n. 9), l’autorità che esamina una domanda di autorizzazione paesistica:
- deve manifestare la piena consapevolezza delle conseguenze derivanti dalla realizzazione delle opere nonché della visibilità dell’intervento progettato nel più vasto contesto ambientale e non può fondarsi su affermazioni apodittiche, da cui non si evincano le specifiche caratteristiche dei luoghi e del progetto;
- deve verificare se la realizzazione del progetto comporti una compromissione dell’area protetta, accertando in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità dei valori dei luoghi.
In applicazione della medesima giurisprudenza:
- deve escludersi che il Ministero possa annullare l’autorizzazione paesaggistica sulle base delle proprie considerazioni tecnico-discrezionali, contrarie a quelle effettuate dalla Regione o dall’ente subdelegato, rispettose dei principi sopra esposti;
- il provvedimento statale di annullamento dell’autorizzazione paesistica non può basarsi su una propria valutazione tecnico discrezionale sugli interessi in conflitto e sul valore che in concreto deve prevalere, né può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma deve basarsi sull’esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione) che non siano stati esaminati dall’Autorità che ha emanato l’autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in contrasto con la regola–cardine della leale cooperazione o con altri principi sulla legittimità dell’azione amministrativa.
Nell’architettura strutturale della motivazione che sorregge il provvedimento impugnato, esso risulta soltanto individuato, nella sua fisica consistenza, ma non risultano esplicitate né “le circostanze di fatto o gli elementi specifici (da esporre nella motivazione) che non siano stati esaminati dall’autorità che ha emanato l’autorizzazione ovvero che siano state da essa irrazionalmente valutati”: rispetto al “deposito contiguo al piano terra del medesimo immobile”, dunque, non risultano esplicitate le ragioni che, per la resistente Amministrazione, militano in ordine alla incompatibilità dell’opera con il mantenimento e l’integrità dei valori dei luoghi (Cons. St. Sez. VI 14.11.1991 n. 828), non risultando utile, a tal fine, per quanto sopra detto, la generica ed apodittica affermazione del pregiudizio arrecato dall’opera ai valori paesistici ed ambientali.
Poiché, per giurisprudenza costante (anche della stessa Ad. Plen. n. 9/2001), il provvedimento di annullamento dell’autorizzazione deve essere motivato, la rilevata carenza di motivazione in ordine all’opera in questione, ridonda a vizio di legittimità dell’atto impugnato
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 24.01.2008 n. 65 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: La legittimazione processuale sia passiva che attiva del Comune spetta al Sindaco e non al Dirigente comunale, il quale ai sensi dell’art. 107, comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000 ha solo la rappresentanza legale sostanziale (e non quella processuale) del Comune.
Il mandato al difensore va sempre rilasciato dal Sindaco ed il ricorso contro il Comune va sempre notificato al Comune in persona del Sindaco p.t., in quanto l’unico organo comunale al quale spetta la legittimazione processuale attiva o passiva del Comune.

La legittimazione processuale sia passiva che attiva del Comune spetta al Sindaco e non al Dirigente comunale (che ha emanato l’atto impugnato con il ricorso giurisdizionale), il quale ai sensi dell’art. 107, comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000 ha solo la rappresentanza legale sostanziale (e non quella processuale) del Comune e con apposita norma statutaria (cfr. art. 6, comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000, ai sensi del quale spetta allo Statuto stabilire, tra l’altro, “i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’Ente, anche in giudizio”) può essere stabilito che la decisione di promuovere o resistere ad una lite giudiziaria può essere attribuita (anziché alla Giunta Comunale) ai competenti Dirigenti comunali, come già previsto per i Dirigenti statali dall’art. 16, comma 1, lett. f), D.Lg.vo n. 29/1993 (vedi ora l’art. 16, comma 1, lett. f), D.Lg.vo n. 165/2001), ma il mandato al difensore va sempre rilasciato dal Sindaco ed il ricorso contro il Comune va sempre notificato al Comune in persona del Sindaco p.t., in quanto l’unico organo comunale al quale spetta la legittimazione processuale attiva o passiva del Comune (TAR Basilicata, sentenza 12.06.2007 n. 471 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASalvo che non vi siano esplicite disposizioni in contrario, in tanto i volumi costruiti al di sotto dell’originario piano di campagna non incidono sulla volumetria consentita in quanto il piano di campagna non venga definitivamente alterato dalla costruzione.
E' principio generale vigente in materia urbanistica quello secondo cui, salvo che non vi siano esplicite disposizioni in contrario, in tanto i volumi costruiti al di sotto dell’originario piano di campagna non incidono sulla volumetria consentita in quanto il piano di campagna non venga definitivamente alterato dalla costruzione (V. le decisioni di questa Sezione n. 390 del 04.08.1986 e n. 481 del 01.10.1986) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 01.07.2002 n. 3589 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 16.08.2010

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NOVITA' NEL SITO

EDILIZIA PRIVATA: Nel bottone MODULISTICA è stato modificato/integrato il fac-simile (modificabile a piacimento) di comunicazione esecuzione interventi edilizi liberi ex art. 6 DPR n. 380/2001.
Ciò a seguito della interessante ed utile circolare 02.08.2010 n. 196035 di prot.. emanata da parte della Regione Emilia Romagna, la quale è in gran parte attuale anche in Regione Lombardia, nonostante le diverse discipline regionali in materia edilizio-urbanistica.

GURI - GUEE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 32 del 12.08.2010 (link a www.infopoint.it):
- "Atto di indirizzo per l’aggiornamento del Database topografico e l’interscambio con le banche dati catastali (art. 3, l.r. 12/2005)" (deliberazione G.R. 28.07.2010 n. 338);
- "Approvazione del bando di finanziamento 2010 per lo «Sviluppo del Database topografico ai sensi della l.r. 12/2005»" (decreto D.S. 29.07.2010 n. 7571).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 11.08.2010 n. 186, suppl. ord. n. 184/L, "Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, a norma dell’articolo 12 della legge 18.06.2009, n. 69" (D.Lgs. 29.06.2010 n. 128).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

URBANISTICA: Chiarimenti ai Comuni sull'applicazione della VAS a seguito della sentenza del TAR Lombardia (Regione Lombardia, nota 28.07.2010 - link a www.territorio.regione.lombardia.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 - Titolo V, parte quarta. Bonifica siti contaminati (Regione Lombardia, Direzione Generale Qualità dell'Ambiente, nota 02.03.2010 n. 3753 di prot.).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

URBANISTICA: P. Brambilla, V.A.S. E COMPETENZE - Il Consiglio di Stato non sospende la scure del Tar Milano abbattutasi sulla V.A.S. della Regione Lombardia (link a www.greenlex.it).

COMPETENZE PROFESSIONALI - EDILIZIA PRIVATALa nomina del collaudatore quando il costruttore esegue in proprio (art. 67, comma 4, D.P.R. n. 380/2001) - Verifica e denuncia dell'eventuale incompetenza del progettista (Centro Studi Consiglio Nazionale Ingegneri, luglio 2010).
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Il documento del Centro Studi del CNI illustra la procedura di nomina e le attività connesse del collaudatore quando il costruttore esegue in proprio. Il documento aggiorna la procedura ai sensi delle NTC (DM 14.01.2008) e fornisce indicazioni utili in tutti i casi di collaudo di strutture anche in zone sismiche.
Da notare il sottotitolo "
Verifica e denuncia dell'eventuale incompetenza del progettista". Nel testo dello studio si legge che "l'ordine professionale è titolare di una funzione che deve esercitare, sempre e comunque, a richiesta del privato ed alla quale non può ostare nessuna condizione, nemmeno l'eventuale riscontrata incompetenza del progettista" (dei C.A.), e che pertanto "l'attività di controllo sul rispetto delle competenze professionali del progettista compete agli Uffici Tecnici dell'Amministrazione", che ormai - seguito delle note deleghe in materia di denunce C.A. concesse dalla Regione con L.R. n. 1/2000- sappiamo essere gli Uffici Tecnici comunali.

NEWS

ATTI AMMINISTRATIVILe p.a. litigano? Decide il governo. Se non si raggiunge l'accordo in conferenza dei servizi. La manovra 2010 ha modificato la legge 241/1990 per semplificare le procedure pubbliche.
Al governo l'ultima parola quando non si raggiunge l'accordo in conferenza dei servizi. Lo prevede l'articolo 49 della manovra (legge 122/2010) che ha modificato la legge 241/1990 sul procedimento amministrativo. L'obiettivo è di semplificare la procedura e accelerare i tempi per l'adozione del provvedimento finale.
Le modifiche nello specifico attribuiscono all'esecutivo la decisione finale in caso di motivato dissenso da parte delle amministrazioni preposte alla tutela del paesaggio, salute ed ambiente. In particolare le novità riguardano l'attivazione della conferenza di servizi e la disciplina del dissenso. Sul primo punto la novella prevede che l'amministrazione procedente ha la facoltà e non l'obbligo di indire la conferenza di servizi istruttoria, cui si ricorre qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo. La precedente formulazione poteva essere interpretata nel senso della obbligatorietà di tale tipo di conferenza.
La conferenza di servizi decisoria resta, invece, obbligatoria, tranne i casi in cui la legge consente all'amministrazione procedente di sostituirsi alle altre amministrazioni chiamate a pronunciarsi.
Le nuove norme prevedono il coordinamento con le norme in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, stabilendo un calendario, almeno trimestrale, delle riunioni delle conferenze di servizi che coinvolgano atti di assenso o consultivi comunque denominati di competenza del ministero per i beni e le attività culturali.
Inoltre, le soprintendenze devono esprimersi in maniera definitiva in sede di conferenza di servizi, in ordine a tutti i provvedimenti di loro competenza, ai sensi del dlgs 42/2004 (Codice dei beni culturali), nei casi di opera o attività sottoposta anche ad autorizzazione paesaggistica: il soprintendente, quindi, si dovrà esprimere un'unica volta e in via definitiva nella conferenza di servizi, sulla base di un calendario almeno trimestrale delle riunioni delle conferenze concordato con lo sportello unico o con il comune.
Vengono riscritte le disposizioni relative agli effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi. Innanzi tutto diventa obbligatorio manifestare il dissenso nella conferenza di servizi anche per le amministrazioni preposte alla tutela ambientale (salvo l'esercizio del potere sostitutivo da parte del Consiglio dei ministri), paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità.
Il dissenso deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve dare specifiche indicazioni per le modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso.
Nel dettaglio della procedura della disciplina del dissenso, il regime precedente prevedeva che, se il dissenso era espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la decisione veniva rimessa dall'amministrazione procedente, entro 10 giorni: al Consiglio dei ministri, in caso di dissenso tra amministrazioni statali; alla Conferenza stato-regioni, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; alla Conferenza unificata, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali.
Se il dissenso era espresso da una regione in una delle materie di propria competenza, la determinazione sostitutiva era rimessa dall'amministrazione procedente, entro 10 giorni: alla Conferenza stato-regioni, per i dissensi tra un'amministrazione statale e una regionale o tra amministrazioni regionali; alla Conferenza unificata, per i dissensi tra una regione o provincia autonoma e un ente locale.
Se la Conferenza non provvedeva entro i termini, la decisione era rimessa al Consiglio dei ministri. In caso di dissenso tra amministrazioni regionali, la procedura non si applicava se le regioni interessate avevano ratificato, con propria legge, intese per la composizione del dissenso. Le nuove regole attribuiscono, invece, al consiglio dei ministri la decisione finale nella maggior parte dei casi di «motivato dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità».
Vi sono alcune eccezioni: intese raggiunte tra le regioni; specifici procedimenti previsti dalla legge obiettivo, o dalle disposizioni in tema di localizzazione di opere statali.
Analogamente, se il motivato dissenso è espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, la competenza è attribuita al consiglio dei ministri, che delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione delle regioni o delle province autonome interessate (articolo ItaliaOggi del 13.08.2010, pag. 32 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATALa S.C.I.A. rischia di essere un'arma spuntata. I professionisti sono chiamati a districarsi in un groviglio di norme.
La segnalazione certificata di inizio attività (cosiddetta Scia) in edilizia rischia di essere un'arma spuntata.
Infatti nel ginepraio di norme statali, regionali, civilistiche, dei regolamenti edilizi, di igiene, di sicurezza ecc. il professionista è chiamato ad assumere il ruolo di un acrobata che si esibisce senza rete di protezione.
Il nuovo istituto, introdotto dall'articolo 49 della legge n. 122 del 30/07/2010, si applica agli interventi già soggetti a dichiarazione di inizio attività, previsti nella normativa statale e regionale, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.
Per tali interventi dovrà richiedersi il permesso a costruire, posto che la nuova disciplina cancella la Dia dall'ordinamento giuridico lasciando quali titoli abilitativi soltanto la Scia ed il permesso a costruire.
Infatti il comma 4-ter dell'articolo 49, prevede che la Scia sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale.
Con la segnalazione certificata di inizio attività o «Scia», i lavori inizieranno subito (e non più dopo il termine dilatorio previsto dalla Dia) sulla base di un'asseverazione di un tecnico abilitato che attesterà sotto la propria responsabilità, che il progetto è conforme alle norme vigenti. Il termine «asseverare» ha il significato di «affermare con solennità», e cioè di porre in essere una dichiarazione di particolare rilevanza formale e di particolare valore nei confronti dei terzi quanto a verità-affidabilità del contenuto. L'art. 29, comma 3, dpr n. 380/2001 dispone poi che «Per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt. 359 e 481 c.p.» (Corte di cassazione penale, sez. III, 16/07/2010, sentenza n. 27699).
La prudenza è d'obbligo posto che in caso di dichiarazione falsa o mendace oltre alla segnalazione all'ordine professionale, è previsto un aumento della sanzione penale da uno a tre anni oltre all'eventuale interdizione dalla professione (articolo 49 commi 3 e 6). L'amministrazione competente nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, in caso di accertata non conformità a legge della stessa , ove ciò sia possibile, consente all'interessato di provvedere a conformare alla normativa vigente l'attività ed i suoi effetti entro un termine, in ogni caso non inferiore a 30 giorni (una sorta di accertamento di conformità cui non segue un permesso in sanatoria) e soltanto ove ciò non sia possibile, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa , fatto salvo il potere di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della Legge n. 241/1990.
In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci, l'amministrazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni penali di cui sopra, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti in via di autotutela del titolo abilitativo tacito (così era qualificata la Dia, da Consiglio di stato sez. VI n. 6910/2004 e più di recente, da Tar Piemonte n. 1885/2006, da Tar Lombardia n. 4066/2010) in questo caso invece ci si troverebbe di fronte ad un titolo abilitativo, efficace dal momento del ricevimento della certificazione, ma condizionato dal decorso dei sessanta giorni senza che sia stato esercitato il potere inibitorio dell'amministrazione.
Se l'autotutela, come sembra, debba esercitarsi entro e non oltre i 60 giorni, posto che soltanto in caso di dichiarazioni false o mendaci ne è prevista l'adozione sempre e in ogni tempo, è questione sulla quale probabilmente si discuterà; è certo invece, che come la prassi vuole, i professionisti prima di inoltrare la Scia, per non correre rischi, consulteranno gli uffici comunali così come facevano per la Dia con buona pace della riduzione dei tempi.
Nelle regioni poi, la cui normativa prevede l'alternatività tra il Permesso a costruire e la Dia, ora Scia, la prudenza nell'utilizzo di tale istituto sarà ancora maggiore. Insomma nulla di veramente nuovo e capace di invertire la tendenza e ridurre i tempi.
Per velocizzare concretamente l'attività amministrativa connessa al rilascio o controllo dei titoli abilitativi di carattere edilizio, necessita pertanto che si crei uno vero sportello unico dell'edilizia affidando ai comuni (sotto una certa soglia in maniera associata) non soltanto la cura dei rapporti con gli altri enti interessati al procedimento (Asl, Vigili del fuoco ecc.) ma le loro attribuzioni anche attraverso il distacco del personale addetto (articolo ItaliaOggi del 13.08.2010, pag. 32).

PUBBLICO IMPIEGOLa manovra ha eliminato l'indennità chilometrica per le missioni di servizio. Ma non il principio. Rimborsi spese senza più regole. Rifusione dei costi da parametrare ai prezzi dei mezzi pubblici.
La disapplicazione dell'indennità chilometrica per i dipendenti pubblici che utilizzino il proprio mezzo per le missioni di servizio non ha abolito il diritto al rimborso delle spese incontrate. È un vero guazzabuglio giuridico quello causato dall'articolo 6, comma 12, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2006.
L'ultimo periodo di tale disposizione stabilisce che «gli articoli 15 della legge 18.12.1973, n. 836 e 8 della legge 26.07.1978, n. 417 e relative disposizioni di attuazione, non si applicano al personale contrattualizzato di cui al dlgs 165 del 2001 e cessano di avere effetto eventuali analoghe disposizioni contenute nei contratti collettivi». Le norme disapplicate consentivano il rimborso delle spese per missioni autorizzate con auto del dipendente, nel limite di un quinto del costo del carburante.
La norma, occorre sottolinearlo senza giri di parole, merita un immediato intervento correttivo o abrogativo. Nell'intento, infatti, di conseguire risparmi per la spesa pubblica, si è confusa la necessità di limitare le auto blu, con le spese per trasferte. Le due cose non hanno nulla a che vedere tra loro. I dipendenti pubblici sono spesso stati autorizzati in passato ad utilizzare le proprie vetture per le trasferte, essenzialmente per due motivi: in primo luogo perché il parco delle auto pubbliche, per quanto ampio e diffuso, non consente di assicurare l'impiego dell'auto di servizio ai dipendenti pubblici impegnati in attività esterne.
E di dipendenti che svolgono servizi esterni ve n'è tantissimi in tutte le pubbliche amministrazioni; basti pensare non solo a chi svolge servizi ispettivi nelle direzioni provinciali del lavoro o nelle agenzie fiscali, ma ai dipendenti delle dogane, ai docenti delle scuole impegnati su più sedi, ai dipendenti delle aziende regionali per l'ambiente, a coloro che svolgono i servizi tecnico-manutentivi in reperibilità. Insomma, la norma forse crea risparmi finanziari, ma causa caos organizzativi o pesanti limitazioni nel conseguimento degli obiettivi gestionali degli enti.
Il secondo motivo del ricorso alle auto private dei dipendenti deriva dall'inevitabile assenza in alcune zone di mezzi di trasporto utili o dall'inconciliabilità degli orari; paradossalmente, un dipendente, per effetto dell'articolo 6, comma 12, della manovra finanziaria, dovendo utilizzare un mezzo di trasporto pubblico esistente, a causa degli orari, potrebbe essere costretto al pernottamento in un albergo. Il che non aiuta sicuramente a ridurre i costi delle trasferte.
In ogni caso, l'articolo 6, comma 12, disapplica l'articolo 15 della legge 813/1973, ma non il suo articolo 12, ai sensi del quale «per i percorsi o per le frazioni di percorso non serviti da ferrovia o da altri servizi di linea è corrisposta, a titolo di rimborso spesa, un'indennità di lire 43 a chilometro aumentabile, per i percorsi effettuati a piedi in zone prive di strade, a lire 62 a chilometro».
La norma, non attuabile per quanto concerne l'entità (per altro irrisoria) del rimborso spesa, anch'essa per questa parte travolta dalla manovra 2010, è rilevante perché pone un principio generale ovvio: se il pubblico dipendente è comandato a svolgere missioni e non sia possibile utilizzare mezzi pubblici, ha diritto a un rimborso delle spese incontrate per svolgere comunque la missione nonostante l'impossibilità di utilizzare i trasporti pubblici.
Dunque, la manovra 2010 ha inopportunamente reso inoperante le norme poste a determinare l'ammontare del rimborso, senza abolire il principio del rimborso delle spese. Appare evidente il cortocircuito giuridico (oltre che organizzativo) causato dalla frettolosa disposizione della legge 122/2010: da un lato, la norma elimina l'indennità chilometrica per il personale in missione che faccia uso dell'auto propria, ma dall'altro lascia fermo il principio del rimborso delle spese, facendo mancare un parametro per comprendere quale possa essere l'entità di tale rimborso.
Una soluzione pratica, allora, può essere immaginata. E cioè adottare atti organizzativi interni, norme da inserire nel regolamento di organizzazione di ciascun ente, che facendo leva sull'articolo 12 della legge 836/1973 fissino il rimborso delle spese del personale autorizzato all'uso dell'auto propria in misura pari a quelle che avrebbero incontrato se la missione fosse stata condotta utilizzando un mezzo pubblico di trasporto, in quanto comune, ai sensi del comma 1 dell'articolo 12 da ultimo citato, tale spesa dovrebbe essere rimborsata.
La soluzione migliore, in ogni caso, resta l'auspicabile e celere eliminazione dell'articolo 6, comma 12, ultimo periodo della legge 122/2010 (articolo ItaliaOggi del 11.08.2010, pag. 24).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOLa Manovra estiva/ Retroattivo il calmiere sugli stipendi. Da giugno inefficaci le clausole contrattuali per il 2008/2009 con adeguamenti superiori al 3,2%.
Ai dipendenti pubblici lo sforzo per il risanamento del bilancio pubblico costerà, fra tagli e blocchi degli stipendi, alcuni miliardi di euro ... (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.08.2010, pag. 13 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Con la «S.C.I.A.» l'attività parte in un giorno. Per iniziare è sufficiente la segnalazione. L'amministrazione ha 60 giorni di tempo per le verifiche.
La dichiarazione di inizio attività (Dia) -prevista e disciplinata dall'art. 19 della legge 241/1990- è sostituita dalla Segnalazione certificata di inizio attività (Scia) ... (articolo Il Sole 24 Ore del 06.08.2010, pag. 23 - link a www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

PUBBLICO IMPIEGODisco rosso ai dirigenti tuttofare. Niente incarichi libero-professionali per i manager a tempo. Per la Corte conti dell'Emilia-Romagna i compensi extra costituiscono danno erariale.
Il dirigente o responsabile assunto a tempo determinato sulla base delle previsioni dell'articolo 110 del d.lgs. n. 267/2000 non può ricevere dallo stesso ente incarichi professionali né per la redazione di progetti di opere pubbliche né per la direzione dei lavori. Lo svolgimento di tali attività deve essere remunerato esclusivamente, come per i dipendenti ed i dirigenti assunti a tempo indeterminato, tramite i compensi previsti prima dall'articolo 18 della legge n. 109/1994 ed ora dal codice degli appalti per la incentivazione del personale dell'ufficio tecnico in caso di realizzazione di opere pubbliche. Tutto ciò che viene percepito in aggiunta a tali somme determina danno erariale.

Possono essere così riassunti i principi dettati dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti dell'Emilia-Romagna nella sentenza 07.07.2010 n. 1222.
Siamo in presenza di una sentenza che per la prima volta fissa con molta chiarezza il divieto di conferire incarichi ai dipendenti e dirigenti assunti a tempo determinato e che sostanzialmente li parifica a quelli a tempo indeterminato.
La sentenza evidenzia in premessa che, dopo la cd privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, «è proprio nella disciplina del conferimento degli incarichi dirigenziali che si manifesta, con la massima intensità, la connessione tra pubblicità delle funzioni dell'amministrazione e carattere privatistico del rapporto individuale di lavoro».
Ed ancora, «il rapporto di lavoro che lega gli esterni alla amministrazione pubblica è ontologicamente omogeneo a quello del personale di ruolo, dato che, in base alla disciplina negoziale collettiva che costituisce la fonte regolatrice del rapporto di impiego, anche questi soggetti, non diversamente da quelli di ruolo, sono tenuti a effettuare una prestazione lavorativa connotata dai caratteri della professionalità, continuatività ed esclusività, con predeterminazione dell'orario di lavoro, a fronte di una retribuzione determinata e onnicomprensiva».
Su questa base si deve sottolineare che «contrasta con la vigente normativa e con i principi di razionale organizzazione di una pubblica amministrazione, che deve essere informata ai canoni dell'economicità e della buona gestione del pubblico denaro, incaricare un intraneus per lo svolgimento di un incarico esterno».
Da qui la conclusione che «la retribuzione da corrispondere per la progettazione e direzione dei lavori della riqualificazione del centro storico affidategli con deliberazione della giunta comunale (progettazione definitiva ed esecutiva) non poteva essere remunerata a tariffa professionale bensì in base all'art. 18 della legge n. 109/1994. La ratio del divieto di conferire incarichi libero-professionali ai dipendenti pubblici, al di fuori delle ipotesi espressamente previste, discende sia dal più volte citato principio di onnicomprensività della retribuzione sia da quello di esclusività che li lega all'ente datore di lavoro, e consiste nell'evitare commistioni di qualsiasi tipo tra interessi pubblici e privati che potrebbero minare il principio costituzionale di imparzialità dell'azione amministrativa, con incompatibilità logica, prima che giuridica, tra lo svolgimento della libera professione e il rapporto di impiego con una pubblica amministrazione».
Da qui la conclusione che il funzionario non aveva alcun diritto a percepire un distinto compenso di posizione per ognuno dei servizi assegnati, dato che la retribuzione prevista dal comma 3 dello stesso art. 110 del d.lgs. n. 267/2000 è connotata dal principio della onnicomprensività.
Da evidenziare infine che ai fini del calcolo della prescrizione «il dies a quo decorre dopo che l'appalto di servizi abbia formato oggetto della positiva valutazione da parte della stazione appaltante, condizione alla quale è subordinato il legittimo pagamento della parcella con il che è, comunque, da escludere che il momento della maturazione dei cosiddetti anticipi sul corrispettivo pattuito spettante all'appaltatore possano segnare il dies a quo da cui comincia a decorrere la prescrizione dell'azione di danno a titolo di responsabilità amministrativa».
Infine l'ente ha riconosciuto come produttiva di danno erariale anche l'avere richiesto, dopo il conferimento dell'incarico, un parere legale sulla materia e ciò perché «il parere stesso era privo di utilità con riferimento all'atto gestorio posto in essere dai convenuti» (articolo ItaliaOggi del 13.08.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it).

INCENTIVO PROGETTAZIONEParcelle, l'Irap la paga il comune. L'imposta su progettazioni e spese legali grava sull'ente. Per le sezioni unite della Corte dei conti il balzello non può essere sostenuto dal lavoratore.
L'Irap, applicabile sui compensi per la progettazione tecnica e per le avvocature interne, grava sull'ente locale e non può essere sostenuta dal lavoratore pubblico in quanto il presupposto impositivo si realizza in capo all'ente. I fondi incentivanti vanno corrisposti al netto degli oneri assicurativi e previdenziali e degli oneri riflessi, senza comprendere l'Irap.
Il principio è stato affermato dalle sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei Conti con la deliberazione 07.06.2010 n. 33.
Sia la sezione regionale di controllo per il Veneto che quella per il Piemonte, in considerazione degli orientamenti difformi di alcune sezioni regionali, hanno interessato l'ufficio di Coordinamento per avviare il deferimento della questione alle sezioni riunite.
L'Imposta regionale sulle attività produttive colpisce, con carattere di realità, un fatto economico differente dal reddito il quale è, invece, espressione della capacità contributiva in capo a chi organizza un'attività ed è autore delle scelte dalle quali deriva la suddivisione della ricchezza tra i diversi soggetti che in varia natura concorrono alla sua creazione.
I compensi incentivanti, oggetto del presente intervento, pur differenti nelle fonti normative, presentano un elemento comune dovuto alla necessità di chiarire se questi debbano essere corrisposti al netto o al lordo dell'Irap e pertanto se tale imposta debba gravare sul lavoratore o sull'amministrazione.
L'articolo 1, comma 208, della legge finanziaria per il 2006 ha previsto che le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali dovuti al personale dell'avvocatura interna delle pubbliche amministrazioni sono comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro.
Per quanto riguarda il personale tecnico l'articolo 9 del codice degli appalti prevede che una somma non superiore al due per cento di quella a base d'asta, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell'amministrazione, è ripartita tra i vari tecnici interni.
Una prima tesi sostenuta da una parte delle sezioni regionali esclude che nell'ambito degli oneri riflessi possa essere ricompresa l'Irap, in quanto tale imposta è un onere diretto dell'amministrazione che, a differenza degli oneri riflessi, resta totalmente a carico del datore di lavoro, quale soggetto passivo dell'imposta. Diversamente per effetto del gravare sul dipendente pubblico si trasformerebbe in un'imposta sul reddito.
L'interpretazione trova supporto nella lettera della norma che non fa riferimento esplicito all'Irap ma soltanto agli oneri riflessi e poi è la stessa legge finanziaria, che in altre disposizioni, fa riferimento anche all'Irap.
La tesi opposta, sulla base della quale dal compenso incentivante va trattenuta la quota a titolo di Irap, si fonda sulla considerazione che diversamente l'ente locale si troverebbe a corrispondere ai dipendenti un importo superiore, con il conseguente aggravio di oneri di imposta a titolo Irap.
Per le sezioni riunite l'espressione oneri riflessi utilizzata dal legislatore ricomprende anche gli oneri previdenziali e assistenziali. Il problema è se la locuzione oneri riflessi comprenda tutti gli oneri, compresi quelli fiscali e pertanto anche l'Irap. Fondamentale, per la Corte, è il criterio letterale per propendere sul fatto che l'Irap gravi, nei casi in esame, sull'amministrazione pubblica. Nella stessa legge finanziaria al comma 181 si parla di oneri contributivi e dell'Irap, al comma 198 -al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'Irap- mentre come visto il comma 208 fa riferimento esclusivamente agli oneri riflessi.
Anche l'interpretazione sistematica delle norme in questione conferma, per la Corte dei conti, la tesi secondo la quale debba escludersi l'Irap dall'ambito degli oneri riflessi. Lo stesso Consiglio di stato -con la sentenza n. 32/1994- ha ritenuto che i compensi professionali da corrispondere all'avvocatura interna e al personale tecnico costituiscono parte della retribuzione e pertanto per questi soggetti non si realizzano i presupposti per l'applicazione dell'Irap, in quanto privi di autonoma organizzazione.
Il presupposto impositivo dell'Irap si realizza in capo all'ente che eroga il compenso, il quale è il soggetto passivo dell'imposta cioè colui che, in quanto titolare di un'organizzazione, è tenuto a concorrere alle spese pubbliche, così come precisato anche dall'Agenzia delle entrate con la risoluzione 02.04.2008 n. 123/E (articolo ItaliaOggi del 13.08.2010, pag. 33 - link a www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Autorizzazione paesaggistica - Autonomia dei due titoli abilitativi - Ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica - Affidamento del privato circa il rilascio del permesso di costruire - Inconfigurabilità.
Il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica sono titoli che assolvono funzioni differenti in quanto tutelano valori differenti e sono emessi sulla base di valutazioni di tipo diverso (l’una di conformità urbanistica, l’altra di compatibilità paesaggistica).
Pretendere che dall’emanazione dell’una possa discendere un affidamento all’emanazione anche dell’altro significa negare l’autonomia dei due titoli abilitativi e pretendere, alla fin fine, di poter fare a meno di uno di essi, avendo ottenuto l’altro (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 06.08.2010 n. 2654 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione paesaggistica - Annullamento - Art. 159, c. 3, d.lgs. n. 42/2004 - Termine di 60 gg. - Emissione del provvedimento - Notifica in data successiva - Irrilevanza.
L’art. 159, co. 3, d.lgs. 42/2004 stabilisce infatti che il Ministero può annullare l’autorizzazione entro i 60 gg. successivi alla ricezione dell’autorizzazione, così indicando in modo evidente che nel termine di legge deve essere emesso -non notificato- il provvedimento (in senso conforme cfr. da ultimo Tar Salerno, II, 1391/2010).
Autorizzazione paesaggistica - Difetto di motivazione o di istruttoria - Elementi di illegittimità valutabili dall’amministrazione statale dei beni culturali.
Il difetto di motivazione ed il difetto di istruttoria dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata in primo grado costituiscono elementi di illegittimità della stessa valutabili dall’amministrazione statale dei beni culturali (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 06.08.2010 n. 2652 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto all’accesso ai documenti - Presupposti e limiti - Situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento - Domanda sproporzionata - Fattispecie - Artt. 3, 23, 24 e 25, L. n. 241/1990, e s.m.i. - D.lgs. n. 196/2003 (codice in materia di protezione dei dati personali).
Ai sensi del capo V, legge n. 241/1990, il diritto (rectius: interesse legittimo) di accesso ai documenti amministrativi è consentito ai soggetti privati che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale sia chiesto l’accesso.
La richiesta dev’essere motivata ed il richiedente, nella domanda, deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta, ovvero, gli elementi che ne consentano l’individuazione, e comprovare l’interesse connesso all’oggetto della richiesta.
La domanda di accesso non può essere palesemente sproporzionata rispetto all’effettivo interesse conoscitivo del soggetto, che deve specificare il puntuale riferimento che lega il documento richiesto alla propria posizione soggettiva, ritenuta meritevole di tutela.
Sicché, la richiesta di accesso ai documenti deve indicare i presupposti di fatto e rendere percettibile l’interesse specifico, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento de quo.
Nella specie, la richiesta di accesso non conteneva alcuno degli elementi sopra indicati, avendo l’attuale appellante tentato di usare l’istituto dell’accesso forse per non pagare quanto dovuto, dal momento che, quanto agli atti richiesti, (incontestatamente) avrebbe dovuto richiedere il registro al gestore degli impianti e la deliberazione di determinazione del canone alla Segreteria comunale, mentre, quanto alla richiesta di conoscere i contributi corrisposti dagli altri utenti, effettivamente nessun interesse specifico e concreto sussisteva, in capo alla ricorrente, a prenderne visione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.08.2010 n. 5226 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Bandi di gare d'appalto pubblico - Requisiti minimi o più rigorosi di partecipazione - Presupposti e limiti - Sindacato del giudice amministrativo - Limiti - Fattispecie: Aggiudicazione gara per gestione piscina comunale - Risarcimento danni.
I bandi di gare d'appalto pubblico possono prevedere requisiti di partecipazione più rigorosi di quelli indicati dalla legge purché non discriminanti ed abnormi rispetto alle regole proprie del settore e che possano pertanto pretendere l'attestazione di requisiti di capacità diversi ed ulteriori dalla semplice iscrizione in albi o elenchi.
Le previsioni recate nelle relative disposizioni normative di settore sono volte a stabilire una semplice presunzione di possesso dei requisiti minimi per la partecipazione alla gara, che pertanto ben possono essere derogati (o meglio incrementati, sotto l'aspetto qualitativo e quantitativo) dall'amministrazione in relazione alle peculiari caratteristiche del servizio da appaltare (Cons. St., sez. V, 06/04/2009, n. 2138; C.d.S. 19/11/2009 n. 7247; C.d.S. sez. IV, 12/06/2007, n. 3103; C.d.S. sez. VI, 10/01/2007, n. 37).
Le scelte così operate, ampiamente discrezionali, impingono nel merito dell'azione amministrativa e si sottraggono, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie o sproporzionate, specie avuto riguardo alla specificità dell'oggetto ed all'esigenza di non restringere, oltre lo stretto indispensabile, la platea dei potenziali concorrenti e di non precostituire situazioni di privilegio.
Fattispecie: impugnazione dell’aggiudicazione della gara per la gestione di una piscina comunale e richiesta di risarcimento danni.
Disciplina di gara - Diritto alla partecipazione - Disposizione e lesività dell’atto - Impugnazione immediata senza attenderne l’esito - Necessità.
In materia di appalti pubblici, quando si ritiene che le disposizione della disciplina di gara limitano illegittimamente il proprio diritto alla partecipazione, l’interessato deve impugnare immediatamente la disciplina di gara e non attenderne l’esito, essendo la lesività di un atto aspetto oggettivo e indipendente dai requisiti posseduti dagli altri partecipanti alla gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.08.2010 n. 5201 - link a www.ambientediritto.it).

ESPROPRIAZIONE: Progetto di pubblica utilità - Ordinanza di occupazione - Motivazione che rilevi l’urgenza - “Legge obiettivo” n.443/2001 - Occupazione anticipata finalizzata all'esproprio di terreni - Art. 22-bis, testo unico sugli espropri n. 327/2001 - Fattispecie.
A seguito dell’entrata in vigore dell‘art. 22-bis, testo unico sugli espropri n. 327 del 2001, deve ritenersi sufficiente la motivazione dell’ordinanza di occupazione che rilevi l’urgenza di consentire la realizzazione previste dal progetto di pubblica utilità.
Nella specie, l’immissione in possesso riguardava la realizzazione di lavori aventi una specifica qualificazione legale di urgenza, in quanto volti al raddoppio della strada statale Aurelia bis, rientrante nell’ambito di applicazione della “legge obiettivo” n.443/2001 (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5174 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Reato di lottizzazione abusiva - Configurabilità - Mutamento di destinazione d’uso - Art. 18, L. n. 47/1985, trasfuso senza modificazioni nell’art. 30, DPR n. 380/2001.
Il reato di lottizzazione abusiva, secondo la definizione contenuta nella L. n. 47 del 1985, art. 18, trasfuso senza modificazioni nel DPR n. 380 del 2001, art. 30, può essere realizzato mediante attività materiale costituita dalla esecuzione di opere che determinano una trasformazione edilizia o urbanistica del territorio, in violazione degli strumenti urbanistici vigenti o adottati o comunque di leggi statali e regionali, ovvero il compimento di attività negoziale che, attraverso il frazionamento dei terreni, ne modifichi inequivocabilmente la destinazione d’uso a scopo edificatorio (Cass. Pen. N. 10889/2005).
Particolare rilevanza assume, quindi, la destinazione del territorio stabilita dagli strumenti urbanistici, in quanto la lottizzazione abusiva viene ad incidere direttamente sul potere di programmazione dell’uso del territorio da parte dell’ente locale o sull’assetto del territorio già stabilito.
E’ stata identificata la lottizzazione abusiva nel caso in cui le singole unità abitative perdano la originaria destinazione d’uso per acquistare quella residenziale, posto che tale modifica si pone in contrasto con lo strumento urbanistico (Cass. Pen., III Sez., n. 6990 del 2006). Oppure, per effetto del mutamento di destinazione d’uso di un complesso immobiliare la cui originaria destinazione assentita dalla P.A era quella di manufatti in zona artigianale con destinazione laboratorio-alloggio del custode (Cass. Pen., III sez., n. 42471/2008).
Lottizzazione abusiva - Mutamento di destinazione d’uso - Fattispecie.
In tema di lottizzazione abusiva, il mutamento di destinazione d’uso incide sulla pianificazione del territorio effettuata dalla P.A., sicché a nulla rileva l’eventuale rispetto degli standards edificatori in relazione al rapporto superficie/volume previsti dal PRG per l’edilizia residenziale.
Nella specie, manufatti originariamente assentiti a scopo artigianale sono stati trasformati in unità residenziali.
Convenzioni di lottizzazione - Opere di urbanizzazione primaria e secondaria - Termine per l’esecuzione - 10 anni dalla sottoscrizione dell’atto negoziale - Permesso di costruire - Potere regionale di annullamento Termine - Art. 39, DPR n. 380/2001.
In materia di convenzioni di lottizzazione, il termine per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione è fissato in 10 anni dalla sottoscrizione dell’atto negoziale e conseguentemente si considera esigibile il correlativo diritto dell’Amministrazione alla scadenza di tale arco temporale.
Così come l’art. 39 del DPR n. 380 del 2001, fissa il termine massimo in dieci anni dalla adozione il potere regionale di annullamento del permesso di costruire (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.08.2010 n. 5170 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIn ospedale vince la trasparenza. L'interessato può ottenere la documentazione sanitaria. Il Tar Lombardia impone di consegnare i registri infermieristici e medici relativi a un paziente.
Più trasparenza in corsia. L'interessato ha diritto di avere copia della documentazione relativa al registro delle consegne infermieristiche, alla turnazione dei medici, agli ordini di servizio del personale medico e infermieristico.

Così ha deciso il TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 02.08.2010 n. 3322, accogliendo il ricorso del vedovo di una signora deceduta durante la degenza.
Il vedovo solo con quella documentazione ha la possibilità di valutare se sono state rispettate indicazioni impartite dai medici. E non si può opporre, per bloccare la richiesta di accesso, una pretesa riservatezza del personale sanitario.
Nel caso specifico, dopo la morte della moglie ricoverata nel reparto ginecologia di un ospedale, l'interessato ha chiesto il rilascio di copia: 1) del registro delle consegne infermieristiche e/o il diario infermieristico e/o della cartella infermieristica, 2) della turnazione dei medici del pronto soccorso e del reparto di ginecologia, 3) degli ordini di servizio del personale medico ed infermieristico, 4) di ogni altra documentazione medico sanitaria eventualmente creata sia su supporto cartaceo che digitale.
L'interessato ha motivato la sua richiesta con l'esigenza di acquisire documentazione necessaria a sostegno della domanda di risarcimento dei danni subiti in conseguenza del decesso della coniuge.
L'ospedale si è limitato a consegnare la cartella clinica, e nulla più. Il vedovo non ha desistito e ha di nuovo rivolto la richiesta di copia dei documenti, anche sulla base dell'articolo 39-quater del codice di procedura penale (investigazioni difensive).
Alla conseguente seconda istanza di copia dei documenti, l'ospedale dichiarava di non ravvisare la necessità di fornire copia degli ordini di servizio e dell'elenco del personale in servizio, precisando che tale documentazione sarebbe stata consegnata solo in esecuzione di un ordine specifico dell'Autorità giudiziaria.
Da qui il ricorso al Tribunale amministrativo regionale.
Il Tar ha dato ragione al vedovo, sgomberando la strada da una eccezione di inammissibilità per avere l'interessato rivolto la richiesta ai sensi della normativa sulle indagini difensive. In questo caso il codice di procedura penale prevede che le forme di tutela contro il diniego dell'ente pubblico siano quelle previste dallo steso codice e quindi richiesta di intervento del pubblico ministero.
Il Tar, sul punto, ha affermato che il mero riferimento, contenuto nella seconda domanda, all'eventuale instaurazione di un procedimento penale e alla necessità di svolgere in tale sede le migliori difese anche ai sensi della legge n. 397/2000 (investigazioni difensive) integra un elemento del tutto generico, inidoneo di per sé a ricondurre l'istanza a quelle previste dal citato articolo 391-quater.
Nel merito il Tar ha stabilito che per supportate la domanda di risarcimento dei danni non basta la cartella clinica: la tutela completa delle ragioni dei parenti della defunta richiede la compiuta conoscenza non solo degli interventi praticati sulla degente, secondo quanto emerge dalla cartella clinica, ma anche la possibilità di comprendere se gli interventi effettuati dal personale medico ed infermieristico siano coerenti con gli ordini di servizio e con le consegne lasciate dal personale concretamente intervenuto.
In sostanza la conoscenza degli interventi praticati diviene utile ai fini della tutela degli interessi del ricorrente solo se confrontabile con le regole di condotta cui doveva attenersi il personale intervenuto. A tale scopo, si legge nella sentenza, è del tutto coerente la richiesta di conoscenza sia degli ordini di servizio, sia della concreta turnazione del personale medico ed infermieristico intervenuto, sia delle consegne infermieristiche.
Tuttavia bisogna comunque fissare alcuni paletti: la richiesta deve essere accolta solo in relazione agli ordini di servizio, alla turnazione dei medici e degli infermieri e al registro delle consegne infermieristiche riferibili al reparto di pronto soccorso e al reparto durante il tempo di ricovero della coniuge defunta e nei limiti degli interventi praticati nei suoi confronti.
La sentenza ha dato anche alcuni riferimenti per poter inquadrare la richiesta di accesso come una richiesta ai sensi della normativa sulle indagini difensive, qualora l'attività di investigazione difensiva sia svolta in via preventiva, e cioè prima dell'instaurazione di un procedimento penale: è necessario che il difensore abbia ricevuto un apposito mandato per l'eventualità che si instauri un procedimento penale e che il mandato sia rilasciato con sottoscrizione autenticata e contenga la nomina del difensore, nonché l'indicazione dei fatti ai quali si riferisce (articolo 391-nonies codice di procedura penale).
Solo in presenza di questi elementi si applicano le disposizione del codice di procedura penale, che individuano una modalità di accesso diversa e ulteriore rispetto a quella prevista dalla legge sulla trasparenza amministrativa (legge 241 del 1990) (articolo ItaliaOggi del 12.08.2010, pag. 20).

APPALTI SERVIZI: Impianti di illuminazione - Comuni - R.D. 15.10.1925 e D.L. n. 902/1986 - Riscatto - Implicita abrogazione ex T.U. n. 267/2000 - Inconfigurabilità.
La normativa in materia di riscatto degli impianti di cui al R.D. 15.10.1925, n. 1568 ed al D.L. n. 902/1986 non risulta implicitamente abrogata per effetto della sopravvenuta disciplina poi recepita dal T.U. n. 267/2000 nella misura in cui mira all’assicurazione in capo agli enti locali, della proprietà degli impianti costituente presupposto indefettibile per l’indizione della procedura per l’affidamento del servizio pubblico ovvero per la relativa assunzione in house (ordinanza Consiglio di Stato, V, n. 6639/2008 del 12.12.2009).
Ne discende che deve ritenersi sussistere, in capo agli enti locali, l’astratta possibilità di riscattare la proprietà degli impianti di illuminazione pubblica realizzati da Enel, quale concessionario di servizio (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 02.08.2010 n. 2612 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGOIl comune non può decidere da solo sui fondi premiali.
Ulteriore stop alla riforma Brunetta. Questa volta a porre un freno all'applicazione del decreto legislativo 150/2009 agli enti locali è il Tribunale di Salerno: con la sentenza 19.07.2010 viene condannato per condotta antisindacale un comune che aveva deciso in via unilaterale la destinazione delle somme ricomprese nel fondo per le risorse decentrate.
Il caso esaminato dall'organo giurisdizionale prende il via dalla mancata sottoscrizione definitiva dell'accordo decentrato per il 2009.
Dopo aver firmato l'ipotesi di accordo in periodo ante Dlgs 150/2009, la giunta comunale rileva che nella stessa ipotesi è presente una serie di vizi di legittimità e quindi non ne autorizza la sottoscrizione definitiva. Ne seguono una serie di incontri fra la delegazione di parte pubblica e le organizzazioni sindacali, dove, tra l'altro, viene posta in rilievo anche la non corretta costituzione del fondo per la contrattazione decentrata.
Si arriva, così, nel periodo di vigenza della riforma Brunetta e l'amministrazione comunale decide di dare attuazione all'articolo 54, comma 3-ter, del decreto 150, nel quale si prevede la facoltà del datore di lavoro di provvedere in via unilaterale e provvisoria nelle materie per le quali non è stato raggiunto l'accordo in sede decentrata.
Osserva, però, il collegio giudicante come il comune possa procedere in via unilaterale solo nel momento in cui i contratti decentrati in essere alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 150/2009 (15.11.2009) perdano la loro efficacia. Con l'articolo 65 di questo decreto, poi, per gli enti locali vengono individuati il 31.12.2011 quale termine per l'adeguamento dei contratti decentrati alla riforma Brunetta e il 31.12.2012 quale data dalla quale, in caso di mancato adeguamento, non si possono più applicare i vecchi Ccdi.
Quindi, fino a queste date, l'amministrazione deve rispettare quanto disposto dal Ccnl, in particolare l'articolo 4 del contratto del 22.01.2004 che prevede la contrattazione per la destinazione delle risorse per la contrattazione decentrata.
Richiamando, poi, i presupposti individuati dalla corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 5422/1998, per l'individuazione della condotta antisindacale -vale a dire l'obiettività, l'attualità e la concretezza- e riconoscendone l'esistenza nel comportamento tenuto dal comune, il tribunale accoglie il ricorso proposto in base all'articolo 28 della legge 300/1970.
Il comportamento del datore di lavoro pubblico, non rispettando il diritto all'informazione e alla consultazione delle organizzazioni sindacali, ha inciso negativamente sulla sfera patrimoniale delle stesse, intesa nell'accezione più ampia e che ricomprende il diritto all'immagine e al rispetto della sue funzioni (articolo Il Sole 24 Ore del 13.08.2010, pag. 24).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICIPf, l'ok spetta ai dirigenti. La giunta decide l'inserimento in programmazione. Il Cds: negli enti pubblici la valutazione delle proposte è di competenza dirigenziale.
Nel project financing l'unica fase di natura «politica», rimessa al consiglio comunale, è quella attinente all'inserimento in programmazione degli interventi; la successiva fase di valutazione delle proposte è di competenza dirigenziale e non della giunta trattandosi di valutazioni tecniche e di attività gestionale.
Lo afferma il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 01.09.2009 n. 5136 che riforma una pronuncia del Tar Toscana; in primo grado era stato accolto un ricorso contro il provvedimento dirigenziale di non accoglimento di una proposta di «project financing», con la motivazione che il provvedimento era stato emanato da un dirigente comunale e non dalla giunta municipale.
I giudici di palazzo Spada bocciano la decisione del Tar affermando che «la valutazione in ordine alla congruità del progetto presentato era (e non poteva che essere) del dirigente preposto all'apposito settore».
La sentenza giunge a questa conclusione esaminando i passaggi della procedura delineata dalle normativa sulla finanza di progetto nel Codice dei contratti pubblici, anche con riferimento alle modifiche del terzo decreto correttivo del settembre 2008.
Dalla lettura di queste norme il Consiglio di stato ricava che la scelta di natura «politica» avviene nella fase in cui l'ente pubblico individua, nell'ambito del programma triennale dei lavori, di competenza del consiglio comunale, gli interventi da finanziare mediante l'apporto dei privati.
A questa fase «politica» segue poi una fase procedimentale caratterizzata da più momenti: presentazione di un progetto completo, sua valutazione, inserimento a base d'asta, selezione successiva e infine aggiudicazione della concessione e di esercizio al promotore finanziario prescelto.
Questa seconda fase (articolata ma ritenuta in altre pronunce dello stesso Consiglio di stato comunque «unitaria») viene considerata dai giudici come «attività di gestione, vale a dire attività di valutazione tecnica consequenziale a quella scelta che, coerentemente e necessariamente, ai sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000, è nella esclusiva competenza dei dirigenti».
In questa seconda fase la competenza, tranne eccezioni contenute negli statuti comunali o in norme specifiche, è quindi del dirigente e non della giunta che, invece, ha una competenza residuale: è titolare di tutte quelle attività che non sono attribuite alla competenza di altri organi, tra cui i dirigenti (articolo ItaliaOggi del 11.08.2010, pag. 28 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATAUn sottotetto termico non abitabile, di rilevante superficie ed altezza media oggettivamente suscettibile di suo abitativo, non può rientrare, con tutta evidenza, nel concetto di volume tecnico, che comprende esclusivamente le porzioni di fabbricato destinate ad ospitare impianti, legati da un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzazione dello stesso.
Il Collegio ritiene che l’intervento progettato, impropriamente definito sottotetto termico non abitabile, non può rientrare, con tutta evidenza, nella destinazione dichiarata né è sussumibile nel concetto di volume tecnico, che comprende esclusivamente le porzioni di fabbricato destinate ad ospitare impianti, legati da un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzazione dello stesso.
In realtà, tenuto conto delle caratteristiche costruttive, della rilevante superficie ed altezza media, esso si sostanzia piuttosto in un piano di copertura oggettivamente suscettibile di uso abitativo (cfr. Consiglio di Stato, V Sezione, 21.10.1992 n. 1025 e 13.05.1997 n. 483; TAR Campania, IV Sezione, 12.01.2000 n. 30; II Sezione, 03.02.2006 n. 1506).
Invero, come chiarito dalla citata giurisprudenza, ai fini della qualificazione di una costruzione, rilevano le caratteristiche oggettive della stessa, prescindendosi dall’intento dichiarato dal privato di voler destinare l’opera ad utilizzazioni più ristrette di quelle alle quali il manufatto potenzialmente si presta.
Il consistente aumento dell’altezza e del volume del fabbricato, con il conseguente mutamento della sagoma, comportano poi che non possa farsi ricorso alle categorie degli interventi di manutenzione straordinaria o di ristrutturazione edilizia, secondo le definizioni contenute nell’art. 3, comma 1, lett. b) e d), del d.P.R. 06.06.2001 n. 380 –che ha riprodotto le previsioni già contenute nell’art. 31, della legge 05.08.1978 n. 457– venendo in rilievo un quid novum, ossia un organismo del tutto diverso nella sua consistenza rispetto a quello preesistente ed autonomamente utilizzabile, che si configura indubbiamente come una nuova costruzione (TAR Campania-Napoli, Sez. II sentenza 09.04.2008 n. 2063 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASe per effetto delle disposizioni contenute nell'art. 3 d.P.R. 06.06.2001 n. 380 la nozione di ristrutturazione è stata ulteriormente estesa, non per questo possono considerarsi venuti meno i limiti che ne condizionano le caratteristiche e consentono di distinguerla dall'ipotesi di nuova costruzione, vale a dire la necessità che la ricostruzione sia identica per sagoma, volumetria e superficie, al fabbricato demolito.
Secondo un consolidato insegnamento giurisprudenziale del giudice amministrativo, se per effetto delle disposizioni contenute nell'art. 3 d.P.R. 06.06.2001 n. 380 la nozione di ristrutturazione è stata ulteriormente estesa, non per questo possono considerarsi venuti meno i limiti che ne condizionano le caratteristiche e consentono di distinguerla dall'ipotesi di nuova costruzione, vale a dire, la necessità che la ricostruzione sia identica, per sagoma, volumetria e superficie, al fabbricato demolito (C. Stato, sez. IV, 28.07.2005 n. 4011) e che costituiscono ristrutturazione urbanistica sia la trasformazione degli organismi edilizi con un insieme sistematico di opere che possono portare anche ad un organismo in tutto od in parte diverso dal precedente, sempre che detti interventi riguardino solo alcuni elementi dell'edificio (ripristino o sostituzione di alcuni elementi costituitivi dell'edificio; eliminazione, modifica e inserimento di nuovi elementi o nuovi impianti), sia la demolizione e ricostruzione, sempre che ciò avvenga con la stessa volumetria e sagoma (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 09.04.2008 n. 531 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della legittimazione al ricorso contro i titoli edilizi occorre utilizzare il criterio dello stabile collegamento tra il ricorrente e la zona interessata all’attività edilizia assentita, non essendo, peraltro, sufficiente la mera prossimità con l’area oggetto di intervento, ma essendo necessaria l’immediatezza della vicinanza della proprietà con l’area edificanda.
Secondo un costante e consolidato orientamento degli organi di giustizia amministrativa, ai fini della legittimazione al ricorso contro i titoli edilizi occorre utilizzare il criterio dello stabile collegamento tra il ricorrente e la zona interessata all’attività edilizia assentita, non essendo, peraltro, sufficiente la mera prossimità con l’area oggetto di intervento, ma essendo necessaria l’immediatezza della vicinanza della proprietà con l’area edificanda (cfr. per tutti, Cons. St., sez. V, 28.06.2004, n. 4790); in aggiunta, va però anche ulteriormente precisato, che la predetta condizione dell’azione rappresentata dalla “vicinitas”, ossia dallo stabile collegamento tra il ricorrente e la zona interessata dall’intervento assentito, va valutata alla stregua di un giudizio che tenga necessariamente conto della natura e delle dimensioni dell’opera realizzata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla “qualità della vita” di coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera (Cons. St., sez. IV, 31.05.2007, n. 2849) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 09.04.2008 n. 387 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASul significato della "superficie di vendita" in base al D.Lgs. n. 114/1998.
In base all'art. 4 del D. L.vo 31.03.1998, n. 114, per “superficie di vendita” si intende “l’area destinata alla vendita, compresa quella occupata dai banchi, scaffalature e simili”, mentre non costituisce superficie di vendita, per espressa disposizione contenuta in tale norma, esclusivamente l’area “destinata a magazzini, depositi, locali di lavorazione, uffici e servizi”.
Ora, interpretando tale normativa la giurisprudenza ha già chiarito che per superficie di vendita di un esercizio commerciale si deve intendere quella su cui sostano e si spostano, oltre al personale addetto al servizio, i consumatori per esaminare gli oggetti posti in vendita collocati negli appositi spazi e per concludere le operazioni di vendita, sicché “la zona di esposizione dei prodotti commercializzati dall’esercizio va inclusa nella superficie di vendita” (cfr. TAR Veneto, sez. III, 02.11.2004, n. 3825) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 09.04.2008 n. 387 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE PROGETTUALILa progettazione delle opere viarie, idrauliche ed igieniche, che non siano strettamente connesse con i singoli fabbricati, è di pertinenza degli ingegneri.
Parte ricorrente deduce che, nella specie, la competenza per la redazione del progetto per la realizzazione di opere per il recupero, risanamento e potenziamento della rete di distribuzione idrica sarebbe attribuita ex lege esclusivamente alla figura professionale dell’ingegnere.
Il capo IV del Regolamento per le Professioni d'Ingegnere e di Architetto, approvato con Regio Decreto 23.10.1925 n. 2537, di esecuzione della legge 24.06.1923 n. 1395 disciplina l'oggetto ed i limiti delle competenze spettanti alle due figure professionali.
L'art. 51 del R.D. 23.10.1925 n. 2537 determina la competenza degli ingegneri nella progettazione e conduzione dei lavori per "estrarre ed utilizzare i materiali direttamente od indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine ed agli impianti industriali, nonché, in generale, alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo".
In tale formulazione ampia e comprensiva sono ricomprese le costruzioni stradali, le opere igienico-sanitarie (acquedotti, fognature ed impianti di depurazione), gli impianti elettrici, le opere idrauliche e, di certo, anche le opere di edilizia civile (nella espressione "costruzioni di ogni specie").
L'art. 52 del medesimo Regio Decreto dispone che rientrano nella competenza comune di ingegneri ed architetti le "opere di edilizia civile" ed il raccordo con la norma che precede indica che questa categoria è stata individuata nell'ambito della più ampia e generale competenza degli ingegneri "per costruzioni di ogni specie".
Il medesimo art. 52, comma II, riserva alla competenza degli architetti le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico e di restauro ed il ripristino degli edifici di interesse storico-artistico.
Tuttavia la parte residua (e quindi i calcoli, i rilievi geometrici, le tecniche di intervento strutturale, la parte ricostruttiva) rientra in altra ipotesi di competenza comune.
Orbene, non vi è dubbio che nella nozione di "opere di edilizia civile" siano da comprendere tutte le opere anche connesse ed accessorie, purché, ovviamente, si tratti di pertinenze al servizio di singoli fabbricati o complessi edilizi.
Peraltro (e l'argomento assume un rilievo decisivo ai fini della verifica dei contenuti dispositivi degli artt. 51 e 52 del R.D. n. 2537 del 1925), l'art. 54, ultimo comma, del R.D. 23.10.1925 n. 2537 contempla un allargamento della competenza degli architetti, per i soli professionisti appartenenti a questa categoria che abbiano conseguito il diploma di architetto civile, in questi termini: "sono autorizzati a compiere le attività di cui all'art. 51" (vale a dire quelle riservata agli ingegneri) "ad eccezione però di quanto riguarda le applicazioni industriali e della fisica, nonché i lavori relativi alle vie, ai mezzi di comunicazione e di trasporto ed alle opere idrauliche".
Ne consegue, su tali basi normative, che la regola da valere, salvo eccezione espressamente individuata, non può affatto essere quella della equivalenza delle competenze professionali di ingegneri ed architetti.
E' infatti pacifico che la progettazione delle opere viarie, idrauliche ed igieniche, che non siano strettamente connesse con i singoli fabbricati, sia di pertinenza degli ingegneri (cfr.: Cons. Stato, Sez. V, 06.04.1998, n. 416; Sez. IV, 19.02.1990, n. 92; Sez. III, 11.12.1984, n. 1538) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 09.04.2008 n. 354 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’azione di repressione degli abusi edilizi costituisce attività dovuta e vincolata.
L'obbligo di motivazione -inteso nella sua essenzialità, senza cioè inutili formalismi- è infatti assolto con la mera indicazione, anche "per relationem", dei presupposti di fatto.

Costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa il fatto che l’azione di repressione degli abusi edilizi costituisce attività dovuta e vincolata.
L'obbligo di motivazione -inteso nella sua essenzialità, senza cioè inutili formalismi- è infatti assolto con la mera indicazione, anche "per relationem", dei presupposti di fatto (ad es.: verbali di contravvenzione, individuazione dettagliata delle opere abusive) utili per ricostruire l'iter logico seguito dall'amministrazione competente (cfr., tra le tante, TAR Campania, sez. IV, 22.03.2007, n. 2725 e TAR Puglia, sez. II, 23.12.2002, n. 5843).
Lo stesso vale con riferimento alla indicazione della normativa applicabile alla specifica fattispecie di abuso contestato dall’amministrazione comunale nel senso che, al fine di assolvere all’obbligo di motivazione, è sufficiente il richiamo alla disposizione precettiva quando essa non lasci margini di discrezionalità all’interprete ovvero contenga concetti giuridici indeterminati che l’amministrazione è obbligata a “riempire” di contenuto
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 07.04.2008 n. 2904 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna tettoia avente carattere di stabilità ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia (ora permesso di costruire).
Il Collegio ritiene di poter confermare quell’indirizzo giurisprudenziale (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 08.06.2005, n. 4655 e TAR Lombardia, sez. II, 23.11.2006, n. 2834 e 04.12.2007 n. 6544) secondo cui una tettoia avente carattere di stabilità ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia (ora permesso di costruire).
Va, invero, osservato che le descritte caratteristiche del manufatto depongono per ritenere che si tratti di opere nuove che attuano una trasformazione permanente del territorio, ciò sia per il materiale utilizzato per la loro realizzazione (che, comunque, non consente un’agevole rimovibilità) che per la funzione a cui risultano adibite (deposito prodotti).
Ulteriore elemento che depone a favore della necessità del previo rilascio della concessione edilizia è possibile rinvenire nella definizione di “nuova costruzione” contenuta ora nell’art. 3 del DPR n. 380/2001, che, sebbene non applicabile ratione temporis al caso di specie, fornisce elementi utili dal punto di vista interpretativo.
Ed invero, l’art. 3, comma 1, lett. e.5) del DPR n. 380/2001 annovera tra gli interventi di nuova costruzione “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 07.04.2008 n. 2904 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl concetto di pertinenza previsto dal diritto civile (art. 817 ss. c.c.) va distinto da quello inteso in senso urbanistico (vd. art. 7 comma 2, lett. a) d.l. 23.01.1982 n. 9 convertito nella l. 25.03.1982 n. 94), per cui non assumono carattere di pertinenza quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa civilistica, sono suscettibili di svolgere una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa, come nel caso di specie, essere successivamente utilizzato in modo autonomo e separato.
La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile (art. 817 ss. c.c.) va distinto da quello inteso in senso urbanistico (vd. art. 7 comma 2, lett. a) d.l. 23.01.1982 n. 9 convertito nella l. 25.03.1982 n. 94), per cui non assumono carattere di pertinenza quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa civilistica, sono suscettibili di svolgere una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa, come nel caso di specie, essere successivamente utilizzato in modo autonomo e separato (per tutte, TAR Toscana, sez. III, 27.11.2006, n. 6052 e Cons. St., sez. V, 13.06.2006, n. 3490) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 07.04.2008 n. 2904 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICASulla corretta interpretazione ed individuazione delle aree a standard da destinare a verde pubblico ed a parcheggio pubblico.
Il D.M. 02.04.1968, n. 1444, nel determinare e nell’individuare gli spazi pubblici riservati a verde pubblico ed a parcheggi, prevede espressamente all’art. 3, che tali spazi debbano essere “effettivamente utilizzabili”, “con esclusione di fasce verdi lungo le strade”.
In altri termini, gli spazi pubblici in questione debbono essere localizzati in modo tale da consentire una loro piena utilizzazione da parte della generalità degli utenti: cioè, per un verso, le aree destinate a verde pubblico attrezzato debbono avere una dimensione tale da poter essere proficuamente utilizzate dalla generalità degli utenti per il gioco e per lo sport e non debbono risolversi in “spazi di risulta” esclusivamente posti a servizio dei fabbricati, per altro verso le aree destinate a parcheggio pubblico debbono essere localizzate in modo tale da consentire alla generalità dei cittadini di accedervi (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 07.04.2008 n. 378 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIPer effetto della riforma delle autonomie locali vi è stata una generale devoluzione delle competenze del sindaco ai dirigenti del Comune, atteso che la nuova organizzazione complessiva dell'ente locale pone una “summa divisio” tra organi di governo (elettivi), preposti agli atti di indirizzo e di controllo, ed i dirigenti, preposti agli atti di gestione ordinaria di tutte le altre funzioni amministrative, nei quali ultimi rientra senz'altro l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo, in quanto atto di vigilanza sul territorio.
Per effetto della riforma delle autonomie locali ai sensi degli artt. 4 e 51 della l. 08.06.1990 n. 142 e del d.lgs. n. 29/1993, sfociato nella legge n. 127 del 15.05.1997 (successivamente recepito, per quanto riguarda gli enti locali, nel testo unico approvato con d.lgs. 18.08.2000, n. 267) vi è stata una generale devoluzione delle competenze del sindaco ai dirigenti del Comune, atteso che la nuova organizzazione complessiva dell'ente locale pone una “summa divisio” tra organi di governo (elettivi), preposti agli atti di indirizzo e di controllo, ed i dirigenti, preposti agli atti di gestione ordinaria di tutte le altre funzioni amministrative, nei quali ultimi rientra senz'altro l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo, in quanto atto di vigilanza sul territorio.
Trattandosi di atto sanzionatorio a carattere vincolato, esso è ed era, pertanto, da ritenersi di competenza del dirigente del settore (Consiglio Stato, sez. V, 06.03.2000, n. 1149; TAR Lazio, sez. II, 19.09.1994, n. 1052), anche prima che l'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191, espressamente attribuisse al dirigente il potere di ordinare la demolizione d'ufficio in caso di inosservanza dell'ordine di rimozione rivolto all'autore dell'abuso (cfr. TAR Campania Napoli, sez. II, 19.10.2006, n. 8683; TAR Lombardia Brescia, 04.07.2000, n. 610)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 04.04.2008 n. 1911 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl presupposto per l’adozione dell'ordine di demolizione di opere edilizie abusive è soltanto la constatata esecuzione dell'opera in totale difformità dalla concessione od in assenza della medesima, con la conseguenza che tale provvedimento, ove ricorrono i predetti requisiti, è atto dovuto ed è sufficientemente motivato con la affermazione della accertata abusività dell'opera, essendo “in re ipsa” l'interesse pubblico alla sua rimozione.
Per giurisprudenza pacifica di questo Tribunale, in materia urbanistica, il presupposto per l’adozione dell'ordine di demolizione di opere edilizie abusive è soltanto la constatata esecuzione dell'opera in totale difformità dalla concessione od in assenza della medesima, con la conseguenza che tale provvedimento, ove ricorrono i predetti requisiti, è atto dovuto ed è sufficientemente motivato con la affermazione della accertata abusività dell'opera, essendo “in re ipsa” l'interesse pubblico alla sua rimozione.
In sostanza, la motivazione dell'ordinanza di demolizione non deve essere sorretta da alcuna specifica motivazione in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico a disporre la sanzione, poiché l'abuso, anche se risalente nel tempo, non può giustificare alcun legittimo affidamento del contravventore a veder conservata una situazione di fatto che il semplice trascorrere del tempo non può legittimare.
Il presupposto per l'adozione dell'ordine di demolizione di opere edilizie abusive è soltanto la constatata esecuzione dell'opera in totale difformità, dalla concessione o in assenza della medesima, con la conseguenza che tale provvedimento -ove ricorrano i predetti requisiti- è atto dovuto ed è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera. L'ordinanza di demolizione, quindi, in quanto atto vincolato, non richiede in alcun caso una specifica motivazione su puntuali ragioni di interesse pubblico o sulla comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 04.04.2008 n. 1911 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa precarietà di un manufatto edilizio che ne giustifica il non assoggettamento a concessione edilizia dipende non già dai materiali utilizzati o dal sistema del suo ancoraggio al suolo bensì dall'uso cui esso è destinato, per cui tale precarietà deve essere esclusa ogni qual volta l'opera sia destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, ancorché a termine in relazione all'obiettiva ed intrinseca destinazione naturale del manufatto.
La precarietà di un manufatto edilizio che ne giustifica il non assoggettamento a concessione edilizia dipende non già dai materiali utilizzati o dal sistema del suo ancoraggio al suolo bensì dall'uso cui esso è destinato, per cui tale precarietà deve essere esclusa ogni qual volta l'opera sia destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, ancorché a termine in relazione all'obiettiva ed intrinseca destinazione naturale del manufatto (cfr. Tar Lombardia, Sez staccata di Brescia 15.07.1993, n. 619).
Nel caso di specie, come risulta dall’ordinanza di demolizione, il container in questione era adibito a ufficio (e tale elemento non è stato contraddetto dalla ricorrente), di conseguenza deve ritenersi che tale manufatto, non essendo destinato a soddisfare esigenze temporanee ed incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio, sia assoggettabile a permesso di costruzione con conseguente applicabilità del regime demolitorio di cui all'art. 7 l. 28.02.1985 n. 47
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 04.04.2008 n. 1911 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La destinazione di zona agricola è compatibile con la realizzazione di impianti a rete di urbanizzazione primaria (quali cavidotti, condutture del gas, elettrodotti, impianti di telefonia, anche mobile, reti fognarie, etc.).
Per giurisprudenza pacifica la destinazione di zona agricola è compatibile con la realizzazione di impianti a rete di urbanizzazione primaria (quali cavidotti, condutture del gas, elettrodotti, impianti di telefonia, anche mobile, reti fognarie, etc.).
Altrimenti opinando, e guardando al caso di specie in esame, l’allacciamento della rete fognaria cittadina con gli impianti di depurazione, che sono normalmente ubicati fuori dal centro abitato, sarebbe praticamente impossibile.
Il generico richiamo a pretese norme tecniche di attuazione del p.r.g. –non indicate, né precisate in ricorso– al di là della genericità della prospettazione, risulta comunque superabile in base a un’interpretazione logico-sistematica della disciplina urbanistica che, comunque, non può condurre ad esiti aberranti, quali l’impossibilità di collegare la rete fognaria a quella di collettamento e depurazione (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 04.04.2008 n. 1858 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAllorché nel corso del procedimento di rilascio del titolo si verifichi un intervento -di terzi- che contesta la legittimazione del richiedente a conseguire l’assenso ai lavori in progetto, l’amministrazione è tenuta a dar corso ad accertamenti istruttori.
Il collegio conosce e considera in linea di principio condivisibile l’orientamento della giurisprudenza che ritiene che al comune non competa necessariamente un’indagine approfondita sulla corrispondenza tra le dichiarazioni del richiedente il titolo legittimante la domanda di permesso e la realtà dei diritti reali interessati.
Tuttavia, allorché nel corso del procedimento di rilascio del titolo si verifichi un intervento (raccomandata 16.04.2007) che contesta la legittimazione del richiedente a conseguire l’assenso ai lavori in progetto, l’amministrazione è tenuta a dar corso ad accertamenti istruttori, che non possono essere compendiati nella tautologica proposizione utilizzata dall’amministrazione (“… ritenuto che l’entità delle opere previste a progetto nelle parti comuni rientri nei limiti fissati dall’art. 1102 del Codice Civile…”), che non permette di comprendere perché sia stato ritenuto osservato il disposto dell’art. 1102 c.c. (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 04.04.2008 n. 462 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPresupposto per l'emanazione dell'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è soltanto la constatata esecuzione di queste ultime in assenza o in totale difformità del titolo concessorio, con la conseguenza che, essendo l'ordinanza atto dovuto, essa è sufficientemente motivata con l'accertamento dell'abuso, essendo "in re ipsa" l'interesse pubblico alla sua rimozione e sussistendo l'eventuale obbligo di motivazione al riguardo solo se l'ordinanza stessa intervenga a distanza di tempo dall'ultimazione dell'opera avendo l'inerzia dell'amministrazione creato un qualche affidamento nel privato.
Costituisce jus receptum che in caso di abuso edilizio “l'ordinanza di demolizione non richiede, in linea generale, una specifica motivazione; l'abusività costituisce di per sé motivazione sufficiente per l'adozione della misura repressiva in argomento. Ne consegue che, in presenza di un'opera abusiva, l'autorità amministrativa è tenuta ad intervenire affinché sia ripristinato lo stato dei luoghi, non sussistendo alcuna discrezionalità dell'amministrazione in relazione al provvedere” (TAR Lazio Roma, sez. I, 19.07.2006, n. 6021); infatti “l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione ulteriore rispetto all'indicazione dei presupposti di fatto e all'individuazione e qualificazione degli abusi edilizi” (TAR Marche Ancona, sez. I, 12.10.2006, n. 824) ed, ancora, “presupposto per l'emanazione dell'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è soltanto la constatata esecuzione di queste ultime in assenza o in totale difformità del titolo concessorio, con la conseguenza che, essendo l'ordinanza atto dovuto, essa è sufficientemente motivata con l'accertamento dell'abuso, essendo "in re ipsa" l'interesse pubblico alla sua rimozione e sussistendo l'eventuale obbligo di motivazione al riguardo solo se l'ordinanza stessa intervenga a distanza di tempo dall'ultimazione dell'opera avendo l'inerzia dell'amministrazione creato un qualche affidamento nel privato” (Consiglio di Stato, sez. V, 29.05.2006 n. 3270) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 03.04.2008 n. 1831 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon è affatto pacifico in giurisprudenza che la tettoia possa essere qualificato come un intervento realizzabile senza il permesso a costruire (per la asserita natura di bene precario) ovvero essere ricondotto sic et simpliciter ad un intervento manutentivo straordinario.
Il Collegio evidenzia –come peraltro già ampiamente illustrato in precedenti pronunce della Sezione (cfr. TAR Napoli, sezione VI, n. 961/2007)– che non è affatto pacifico in giurisprudenza che la tettoia possa essere qualificato come un intervento realizzabile senza il permesso a costruire (per la asserita natura di bene precario) ovvero essere ricondotto sic et simpliciter ad un intervento manutentivo straordinario.
Numerose pronunce, infatti, evidenziano in linea generale che la realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia ai sensi dell'art. 1 L. 28.01.1977 n. 10 in quanto essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui essa accede, incide sull'assetto edilizio preesistente; ovvero che la costruzione di una tettoia non rientra nel concetto di manutenzione straordinaria, atteso che quest'ultima si fonda sul duplice presupposto che i lavori progettati siano preordinati alla mera rinnovazione o sostituzione di parti dell'edificio o alla realizzazione di impianti igienico sanitari e che i volumi e le superfici preesistenti non vengano alterati o non siano destinati ad altro uso (cfr., TAR Campania–Napoli nr. 12962 - 20.10.2003; TAR Puglia–Bari, 3573 nr. 25.09.2003; TAR Sicilia–Catania nr. 1061 - 01.07.2003; TAR Campania–Napoli nr. 897 - 18.02.2003)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 03.04.2008 n. 1831 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE PROGETTUALINon rientra nella competenza professionale del geometra la progettazione e la realizzazione di opere in cemento armato che eccedano i limiti posti dagli art. 16 ss. r.d. 11.02.1929 n. 274, ossia le piccole costruzioni accessorie di edifici rurali e per uso di industrie agricole, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e non costituiscano comunque pericolo per l'incolumità delle persone (nella specie, e' illegittimo il progetto firmato da un geometra per la realizzazione di un grande capannone industriale, poggiante su una fondazione di pali e pilastri in cemento armato e con solai in laterocemento e, comunque, di natura e dimensioni tali da non poter esser definito come una modesta costruzione civile).
La Sezione ha ripetutamente chiarito che per gli edifici destinati a civile abitazione, la competenza dei geometri e' limitata alle sole costruzioni di modeste dimensioni, con divieto di progettare opere per cui vi sia impiego di cemento armato, tale da implicare, in relazione alla destinazione dell'opera, un pericolo per l'incolumità della persone in caso di difetto strutturale, stante l'evidente favore che le varie norme pongono per la competenza esclusiva dei tecnici laureati, nonché l'obbligo della p.a., in sede di rilascio della concessione edilizia, di motivare congruamente in ordine alla sufficienza della redazione di un progetto da parte di un geometra (Consiglio Stato sez. V, 13.01.1999, n. 25).
La competenza dei geometri per la realizzazione in cemento armato di piccole costruzioni accessorie di edifici rurali deve essere estesa, ai sensi dell'art. 16 r.d. 11.02.1929 n. 274, anche alle opere accessorie alle costruzioni civili, fermo restando che deve trattarsi di costruzioni di dimensioni esigue e tali da non presentare particolari problemi strutturali (Consiglio Stato sez. V, 08.06.1998, n. 779).
Secondo tale pronuncia, non rientra nella competenza professionale del geometra la progettazione e la realizzazione di opere in cemento armato che eccedano i limiti posti dagli art. 16 ss. r.d. 11.02.1929 n. 274, ossia le piccole costruzioni accessorie di edifici rurali e per uso di industrie agricole, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e non costituiscano comunque pericolo per l'incolumità delle persone (nella specie, e' illegittimo il progetto firmato da un geometra per la realizzazione di un grande capannone industriale, poggiante su una fondazione di pali e pilastri in cemento armato e con solai in laterocemento e, comunque, di natura e dimensioni tali da non poter esser definito come una modesta costruzione civile).
Questo rigoroso orientamento è solo in parte contrastato da altre pronunce, secondo le quali, dal complesso normativo risultante dal r.d. 16.11.1939 n. 2229 e dalle l. 05.11.1971 n. 1086, 02.02.1974 n. 64 e 02.03.1949 n. 144 si deve trarre la conclusione che ai tecnici diplomati non è preclusa in assoluto la progettazione di strutture in cemento armato: anzi la stessa e' specificamente prevista e consentita sempre che si mantenga nei limiti della competenza come determinata nella rispettiva disciplina professionale: ne consegue che la competenza dei geometri alla progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili non trova alcuna limitazione o preclusione nella relativa struttura in cemento armato e dovendo anzi tenersi conto della specifica cultura di tali professionisti accresciuta dall'evoluzione delle relative conoscenze tecniche (Consiglio Stato sez. IV, 09.08.1997, n. 784).
Infatti, anche tale decisione circoscrive il proprio campo di azione alle opere di dimensioni minori, senza generalizzare la competenza progettuale dei geometri: poiché l'art. 16 lett. m) r.d. 11.02.1929 n. 274, concernente l'ordinamento professionale dei geometri, consente l'attività di progettazione, direzione e vigilanza di "modeste costruzioni civili" senza ulteriori specificazioni, rientra nella competenza dei geometri anche la progettazione di costruzioni in cemento armato, purché tali costruzioni, sotto il profilo tecnico-qualitativo, rientrino, per i problemi tecnici che implicano, nella loro preparazione professionale.
6. Va rilevato, poi, che un indirizzo più restrittivo è sostenuto dalla Cassazione civile, secondo la quale il r.d. 16.11.1939 n. 2229 esclude dalla competenza dei geometri -essendo di competenza di architetti ed ingegneri- i progetti di lavori comportanti l'impiego di cemento armato. Tale disciplina non e' mutata dopo le leggi 05.11.1971 n. 1086 sulle opere in conglomerato cementizio e 02.02.1974 n. 64 sulle costruzioni in zone sismiche (Cassazione civile sez. II, 30.03.1999, n. 3046).
In tale prospettiva, si afferma che a norma dell'art. 16 lett. m) r.d. 11.02.1929 n. 274, la competenza dei geometri e' limitata alla progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili, con esclusione di quelle che comportino l'adozione anche parziale di strutture in cemento armato, mentre in via di eccezione, si estende anche a queste strutture, a norma della lett. l) del medesimo articolo, solo con riguardo alle piccole costruzioni accessorie nell'ambito degli edifici rurali o destinati alle industrie agricole che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per le persone, restando quindi comunque esclusa la suddetta competenza nel campo delle costruzioni civili ove si adottino strutture in cemento armato, la cui progettazione e direzione qualunque ne sia l'importanza e' pertanto riservata solo agli ingegneri e architetti iscritti nei relativi albi professionali (Cassazione civile sez. II, 02.04.1997, n. 2861).
Tanto la progettazione quanto l'esecuzione di opere in conglomerato cementizio, semplice ed armato, riservata per legge agli ingegneri ed agli architetti, esulano dalla competenza professionale dei geometri, cui è riconosciuta esclusivamente la facoltà (ex art. 16 lettera L del regolamento di cui al r.d. n. 274 del 1929) di progettare lavori comportanti l'impiego di cemento armato -limitatamente a piccole costruzioni accessorie di edifici rurali ovvero adibiti ad uso di industrie agricole- di limitata importanza, di struttura ordinaria e che non richiedano, comunque, particolari operazioni di calcolo, tali, in definitiva, da non poter comportare, per loro destinazione, pericolo alcuno per l'incolumità delle persone (Cassazione civile sez. II, 22.10.1997, n. 10365).
La giurisprudenza penale, poi, afferma che l'art. 2 della legge 05.11.1971 n. 1086, nell'indicare i professionisti abilitati alla progettazione ed alla costruzione delle opere in conglomerato cementizio armato, normale e precompresso, fa espressamente salvi i limiti delle singole competenze professionali.
Per quanto riguarda i geometri, occorre fare riferimento alle lettere l) e m) dell'art. 16 del r.d. 11.02.1929 n. 274, che segnano i limiti della competenza del geometra in materia di costruzioni rurali e civili, e da cui può desumersi che, relativamente alle costruzioni in cemento armato, il geometra e' abilitato alla progettazione e direzione di lavori afferenti a esse solo quando si tratti di modeste costruzioni -intendendosi con tale termine la limitata entità dell'opera nel suo complesso e non la sola semplicità di essa- che non richiedano complessi calcoli delle strutture e non comportino problemi di stabilità e pericolo per la incolumità pubblica (fattispecie in cui e' stata ritenuta corretta la valutazione dei giudici di merito che avevano escluso l'abilitazione del geometra trattandosi di opere, realizzate in difformità totale dalla concessione edilizia e comportanti aumenti planovolumetrici e di superficie, ritenute non di modesta entità con riferimento all'edificio complessivamente considerato) (Cassazione penale sez. III, 16.10.1996, n. 10125).
Nello stesso senso, si è chiarito che risponde del reato di esercizio abusivo della professione il geometra che procede alla progettazione ed alla direzione dei lavori di un edificio con strutture di cemento armato che non sia di modeste dimensioni anche se il progetto e' controfirmato o vistato da un professionista abilitato o se i calcoli del cemento armato sono stati fatti eseguire da un ingegnere.
Al fine di valutare la entità dell'opera il giudice dovrà tenere conto sia delle dimensioni che della complessità oltre che dell'importo economico. Non necessariamente dovrà trattarsi di un'unica unità abitativa, ma non potrà certo rientrare tra le competenze del geometra la progettazione di cubature utili ad edifici con una pluralità di appartamenti.
Il testo fondamentale che fissa i limiti della competenza dei geometri è ancora l'art. 16 del r.d. 11.02.1929 n. 247, poiché' anche le norme successive che hanno consentito la progettazione di struttura di cemento armato, fanno riferimento ai limiti posti da tale legge (Cassazione penale sez. VI, 10.10.1995, n. 1147; Cassazione penale sez. VI, 02.02.1993).
Dunque, per valutare la idoneità del geometra a firmare il progetto di un’opera edilizia che comporta l’uso di cemento armato, occorre considerare le concrete caratteristiche dell’intervento.
A tal fine, non possono essere prefissati criteri rigidi e fissi, ma è necessario considerare tutte le particolarità della concreta vicenda, anche alla luce dell’evoluzione tecnica ed economica del settore edilizio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 31.01.2001 n. 348 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 10.08.2010

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NOVITA' NEL SITO

Inserito il nuovo dossier "Incarichi Professionali e progettuali".

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: B.U.L. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del 09.08.2010, "Certificazione energetica degli edifici pubblici – Aggiornamento del termine finale" (deliberazione G.R. 28.07.2010 n. 335 - link a www.infopoint.it)

NEWS

ATTI AMMINISTRATIVIL'atto illegittimo può costare caro. C'è il risarcimento in caso di mancato esercizio di autotutela. Per attivare l'azione sono necessari un provvedimento non conforme e la colpevolezza del Fisco.
Riconosciuto al contribuente il diritto al risarcimento in seguito al mancato o ritardato annullamento di un atto illegittimo mediante l'istituto dell'autotutela da parte dell'amministrazione finanziaria qualora, tale comportamento omissivo, abbia arrecato un danno al soggetto.

Se l'ufficio finanziario, in altri termini, non sia tempestivamente intervenuto ad annullare un atto emesso illegittimamente e ciò abbia provocato un ingiusto danno al contribuente (si pensi al sostenimento di spese legali per proporre ricorso e ottenere per altra via l'annullamento dell'atto), ciò genererà responsabilità extracontrattuale.
In pillole, quanto emerso da una pronuncia della terza sezione civile della Suprema Corte con la sentenza n. 698 del 2010 che ha confermato l'ormai salda presa di posizione della giurisprudenza a riguardo in tema di risarcimento del danno da mancato esercizio del potere di autotutela.
A riguardo, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha emanato, lo scorso luglio, la circolare 20/IR in commento alla suddetta pronuncia.
La struttura dell'illecito. Affinché il contribuente possa esperire un'azione di risarcimento del danno nei confronti dell'amministrazione finanziaria, è bene ricordarlo, è necessario che siano presenti i seguenti elementi costitutivi dell'illecito vale a dire la condotta, l'evento, il danno ingiusto e il relativo nesso. Sarà dunque una condotta umana che si concretizzerà in un particolare evento a dover far scaturire un fatto illecito in quanto lesivo di una situazione soggettiva tutelata dall'ordinamento.
Con riferimento allo specifico caso dell'illecito posto in essere dall'amministrazione finanziaria, dovrà dunque essere presente non solo l'atto illegittimo in quanto difforme alla disciplina legale dunque l'elemento oggettivo, ma anche quello soggettivo. Vale a dire, dovrà essere accertata la colpevolezza nel modo in cui l'amministrazione ha agito dunque, l'evidenza di una condotta perlomeno colposa.
Il primo punto da definire, spiega chiaramente la circolare, risiede nel fatto che l'attività istituzionale dell'amministrazione viene posta in essere da una persona fisica dunque, a tal fine, occorre che tra amministrazione e autore vi sia un rapporto di immedesimazione oltre che l'atto lesivo abbia fondamentalmente uno scopo istituzionale: in caso contrario infatti, si correrebbe il rischio di non poter riferire all'amministrazione quell'illecito.
Ciò premesso, l'elemento soggettivo dell'illecito va ricercato proprio nell'evidente contrasto tra i principi fondamentali e istituzionali che muovono l'operato dell'amministrazione finanziaria come per esempio l'imparzialità e la correttezza ex art. 97 della Costituzione e l'atto illegittimo posto in essere dalla stessa. In altri termini, la colpa tende ad assumere un connotato oggettivo in quanto, intesa come violazione delle norme che regolano l'attività amministrativa.
Quanto appena detto porta a delle ovvie quanto pragmatiche conclusioni: l'elemento soggettivo della colpa non sarà presente qualora la disciplina sottostante la fattispecie di riferimento sia poco chiara o contraddittoria o ancora, se siano poco chiari gli orientamenti della giurisprudenza. Viceversa, l'elemento soggettivo dovrà considerarsi come presente quando non si tenga conto della prassi, degli indirizzi, delle pronunce sull'argomento ma, la ricostruzione della fattispecie sia la conseguenza di una mera interpretazione personale del funzionario in questione.
Elementi dunque, quelli appena enunciati, da dover considerare da entrambe le parti in causa per poter comprendere innanzitutto se vi siano gli estremi per poter parlare di illegittimità dell'atto con tutte le conseguenze che potrebbero derivare da tale convinzione (articolo ItaliaOggi del 09.08.2010, pag. 13 - link a www.corteconti.it).
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Il varco è stato aperto da una sentenza della Cassazione.
La terza sezione civile della suprema corte ha condannato, con la sentenza n. 698 del 2010, l'amministrazione finanziaria al risarcimento del danno per atto illegittimo e mancato esercizio dei poteri di autotutela.
Nel caso di specie, l'amministrazione ricorrente, contestava la violazione della norma primaria per difetto sia nell'elemento dell'ingiustizia del danno, considerando che l'annullamento in autotutela non costituisce obbligo dell'amministrazione, sia per quello soggettivo della colpa sulla base del fatto che la legge non prevede, esplicitamente, alcun termine per procedere all'annullamento dell'atto.
La Corte ha ritenuto entrambe le motivazioni non fondate procedendo a un esame in astratto senza scendere a valutazioni di fatto.
Con riferimento all'ingiustizia del danno consistente nelle spese legali sostenute, la stessa ha affermato che l'amministrazione non è affatto esclusa dalla circostanza che le stesse si riferiscono a un «procedimento amministrativo» e non a un contenzioso e dunque non a vere e proprie spese processuali. Con riferimento invece alla mancanza dell'elemento della colpa, la Corte promuove il mancato o ritardato annullamento a elemento costitutivo di responsabilità in quanto, unico modo per poter rimuovere gli effetti pregiudizievoli scaturenti dall'atto illegittimo.
Quanto appena detto non può che mettere in estrema guardia gli uffici amministrativi che, ogniqualvolta siano destinatari di un'istanza di riesame dovranno (a questo punto quasi obbligatoriamente per non incappare in spiacevoli situazioni) ricontrollare il loro operato sia negli elementi di fatto che di diritto magari mal considerati oltre che considerarne di nuovi qualora il contribuente istante li abbia presentati.
La stessa amministrazione, una volta condannata al risarcimento del danno, potrà comunque rivalersi nei confronti del funzionario agente attivando un giudizio di responsabilità amministrativa davanti la Corte dei Conti (articolo ItaliaOggi del 09.08.2010, pag. 13 - link a www.corteconti.it).
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La colpa dell'amministrazione deve essere evidente.
Non è sufficiente l'illegittimità dell'atto, affinché si configuri responsabilità da parte dell'amministrazione, ma, occorre anche che siano state violate le regole di correttezza e buona amministrazione alla base dell'azione amministrativa e dunque che sia ravvisabile una colpa.
La circolare 22.07.2010 n. 20/IR del Cndcec, dà una carrellata delle principali fonti giurisprudenziali con riferimento alle richieste di risarcimento per responsabilità aquiliana dell'amministrazione finanziaria: analisi quest'ultima fondamentale per comprendere quali fattispecie siano potenzialmente annoverabili tra quelle per cui valga la pena poter esperire ricorso contro l'amministrazione finanziaria.
In due importanti pronunce, quelle del giudice di pace di Mestre del 18.09.2000 n. 653 e quella del giudice di pace di Patti del 13.04.2005 n. 157 il ritardo nell'emissione del provvedimento di annullamento non è stato per nulla preso in considerazione in quanto si è ravvisata un'evidente colpa dell'ufficio nell'applicazione della norma al momento dell'emissione dell'avviso di accertamento. Le norme da dover applicare in entrambe i casi erano infatti chiare e senza interpretazioni ambigue dunque, il tutto sarebbe stato evitabile usando la normale negligenza.
Veniamo invece alle pronunce rese in tema da parte della Corte di Cassazione: in particolar modo, la n. 1191 del 27.01.2003 tratta dell'iscrizione a ruolo di determinati tributi ed è stata qualificata dalla Corte come fonte di responsabilità dell'amministrazione per la mancata osservanza di regole di buona amministrazione oltre che dell'obbligo di conformarsi al giudicato penale. Ancora, in un'ulteriore pronuncia del 2004 (23 luglio, sentenza n. 13801), la Cassazione ha affermato chiaramente che il danno causato al contribuente dall'amministrazione dovrà essere non solo quello relativo alle spese legali sostenute per instaurare un procedimento contenzioso ma, anche qualora le stesse facciano riferimento a un procedimento amministrativo conclusosi con l'annullamento in autotutela di un provvedimento illegittimo.
A conferma di tale indirizzo, due recenti sentenze del 2007 (Cass. Ss.Uu, 04.01.2007, n. 15 e Cass. sez. V, 21.02.2007, n. 4055) in cui la Suprema corte ha confermato la possibilità di condannare l'amministrazione al risarcimento del danno anche nel caso in cui vi sia stato l'annullamento dell'atto non venendo meno, in questo caso, né l'elemento della colpa né quello del danno.
Anzi, a maggior ragione, il fatto che l'amministrazione abbia posto in essere l'annullamento con ritardo è la cartina di tornasole di un'ammissione delle proprie colpe e dunque, va da sé la necessaria quantificazione del danno così come chiarito da autorevole giurisprudenza (articolo ItaliaOggi del 09.08.2010, pag. 13).

EDILIZIA PRIVATALA MANOVRA CORRETTIVA/ Pro e contro della Segnalazione certificata di inizio attività. Scia, progettisti responsabilizzati. I professionisti dovranno assumersi i rischi delle opere edili.
Scia edilizia nelle mani dei professionisti. L'articolo 49 della manovra (decreto 78/2010), ora definitivamente approvata, manda in soffitta la Denuncia di inizio attività (Dia) prevista dal Testo Unico per l'edilizia e dalle leggi regionali e responsabilizza sempre di più i professionisti esterni.
In effetti la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) si basa su uno scambio: puoi aprire subito, oggi stesso, il cantiere, ma devi assumerti la responsabilità per intero dell'istruttoria e ti esponi ai controlli successivi degli uffici tecnici comunali. Da qui il primo rischio, e cioè che il progettista non sempre ritenga di assumere su di sé l'onere e la responsabilità dell'asseverazione dell'opera alla disciplina urbanistica.
C'è anche un secondo rischio sul piano dell'effettività dei controlli: se si impianta il cantiere il giorno stesso della presentazione della Scia al comune, può essere che gli uffici dell'amministrazione non possano verificare lo stato iniziale del manufatto, modificabile fin da subito. E ciò potrebbe essere lo stratagemma per coprire abusi: basterebbe presentare la Scia e mutare immediatamente lo stato dei luoghi.
In sostanza i parametri del successo o dell'insuccesso della Scia in edilizia dipendono dalla accettazione di rischi professionali da parte del progettista e dal regime dei controlli della pubblica amministrazione. Potrebbe aggiungersi che un parametro del successo potrebbe essere la velocità della procedura.
Tuttavia questo potrebbe non essere completamente vero se l'istruttoria svolta dal professionista (che deve preoccuparsi di vagliare in anticipo ogni possibile aspetto) si prolunga e, quindi, il tempo guadagnato per assenza di istruttoria a cura degli uffici comunali, in realtà, si perde prima nell'istruttoria del progettista privato. Altro elemento che potrà, nell'immediatezza, mettere in stand by la Scia è l'estensione agli interventi di nuova costruzione, cioè a quegli interventi per cui attualmente è previsto il permesso di costruire o la Super Dia.
Tra l'altro, l'articolo 49 citato prevede che le espressioni «segnalazione certificata di inizio attività» e «Scia» sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio attività» e «Dia», ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia», e la disciplina «sostituisce direttamente, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale».
Peraltro vi è un connotato di estrema importanza relativo alla efficacia della Scia: somiglia (molto di più di quanto lo si potesse dire per la Dia) a un silenzio-assenso. Questo perché si restringono e di molto le possibilità di intervento sanzionatorio ex post (si può agire solo se c'è pericolo di un danno non riparabile per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale).
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I casi di non ammissibilità della nuova segnalazione. Il titolo edilizio non va del tutto in soffitta.
Il titolo edilizio (con un dubbio per il permesso di costruire e la super Dia) viene sostituito da una segnalazione certificata. Non sempre però. Questo potrà avvenire quando il rilascio del titolo «dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli stessi».
Si tratta di un requisito che esclude la Scia ogni volta che vi sia un apprezzamento discrezionale, riservato alla p.a., da formulare in strumenti di programmazione, anch'essi riservati alla pubblica amministrazione.
Tali limiti potranno assumere valenza specifica in ambito edilizio, anche se non si può dire che ciò comporti tassativamente l'esclusione della Scia per tutte le opere per le quali è previsto il permesso di costruire. A prescindere dalla questione del titolo la Scia in edilizia non è ammessa nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati.
Appurata l'ammissibilità si passa ai riscontri procedurali. La nuova disposizione pretende che la segnalazione sia corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell'Agenzia delle imprese (articolo 38, comma 4, del decreto-legge 112/2008), relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti; inoltre tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione.
L'istruttoria, che avrebbe dovuto fare il comune a seguito della richiesta del titolo, è anticipata a prima della presentazione della Segnalazione. Certo la norma consente una semplificazione. Nei casi in cui la legge prevede l'acquisizione di pareri di organi o enti appositi, o l'esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni: ma questo significa una sovraesposizione del progettista privato, che si assume tutte le responsabilità di asseverazioni e certificazioni.
La nuova disposizione precisa che chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiari o attesti falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti è punito con la reclusione da uno a tre anni. A prescindere dai risvolti penali sono salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti: se c'è qualcosa che non va, la p.a. controlla a posteriori e ha più tempo per farlo.
Una volta presentata la Segnalazione, l'attività oggetto della stessa può essere iniziata subito e cioè dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente. In edilizia non si deve aspettare il termine dilatorio iniziale di trenta giorni, previsto dal Testo unico per l'edilizia, utilizzabile dagli uffici tecnici per controllare le Dia (almeno a campione) per eventualmente ordinare di non iniziare i lavori.
A questo punto la palla passa agli uffici tecnici: l'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, può adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa.
Si noti che l'amministrazione può intervenire a lavori già iniziati oppure a lavori da iniziare: in sostanza l'inizio dei lavori è fatto a proprio rischio e pericolo. Se poi tutto viene bloccato il danno può essere considerevole. Non a caso si può prevedere che chi non ha propensione al rischio preferirà attendere il decorso dei sessanta giorni. Ma allora i tempi che sembravano azzerati, addirittura si allungano. Se oggi dopo la presentazione della Dia bisogna aspettare trenta giorni, con la Scia potrà essere prudente aspettarne il doppio (sessanta). Anche per evitare di dover bloccare un cantiere, dopo avere effettuato spese per i materiali, ponteggi, anticipi a ditte esecutrici, ecc..
Va sottolineato che la disposizione subordina il divieto di prosecuzione dell'attività e il ripristino alla possibilità che l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività e i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni: questo si realizzerà non senza pregiudizio, in quanto si tratta di modificare il progetto in corsa, con inevitabili strascichi di carattere economico (spese per doppia progettazione e varianti).
L'amministrazione indipendentemente dal decorso dei sessanta giorni potrà intervenire con provvedimenti di revoca e di annullamento e in caso di dichiarazioni sostitutive false o mendaci, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di blocco cantiere e ordine di ripristino.
Il problema qui è come provare il falso: si pensi a una descrizione della consistenza iniziale del manufatto, non conforma allo stato di fatto, a fronte di una modifica intervenuta con l'apertura immediata del cantiere. Peraltro, salvo il caso della (prova di) dichiarazione inveritiera, decorso i sessanta giorni all'amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente.
Questa limitazione del potere di intervento si applica anche all'edilizia e limita quindi il potere di revoca e annullamento a questi casi: ecco perché la Scia è un mini-silenzio assenso. Infine, il vicino di casa che vuole contestare la Scia edilizia del condomino dovrà ricorrere al giudice amministrativo (articolo ItaliaOggi del 09.08.2010, pag. 9).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Avvocati pubblici (e tecnici comunali) e Irap.
Relativamente all'articolo pubblicato il 26.07.2010 relativo all'Irap sui compensi ai tecnici e agli avvocati dipendenti pubblici, l'Unione Nazione Avvocati Enti Pubblici precisa quanto segue ... (articolo Il Sole 24 Ore 09.08.2010, pag. 8).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGOIncarichi anche senza laurea. Soprattutto nei piccoli enti.
Non sempre è essenziale il possesso della laurea per l'attribuzione di un incarico ai sensi dell'art. 110 del Tuel.
L'indicazione arriva dalla sezione regionale della Corte dei Conti della Lombardia con la deliberazione n. 702/2010.
L'attribuzione di tali incarichi nelle amministrazioni prive di dirigenza deve essere temperata sia in relazione alle peculiari dimensioni organizzative dell'ente sia alla necessità che i servizi e le funzioni fondamentali vengano svolte regolarmente ... (articolo Il Sole 24 Ore del 09.08.2010, pag. 8 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Mobilità, Sì "condizionato" all'interscambio.
La deliberazione n. 49/2010 della Corte dei Conti sezione regionale di controllo per il Veneto riaccende la questione sulla natura della mobilità con particolare riferimento alle possibilità di assunzione per gli enti che non hanno rispettato il patto di stabilità ... (articolo Il Sole 24 Ore del 09.08.2010, pag. 8 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOPersonale. Anche dopo la conversione delta manovra resta il congelamento delle retribuzioni per il prossimo triennio. Fasce di merito ancora in bilico. Possibile un rinvio al 2014 per i premi alle performance dei dipendenti.
Rimane in bilico l'applicazione delle fasce di merito introdotte dalla riforma Brunetta anche dopo le modifiche apportate in sede di conversione del Dl 78/2010.
La premialità della performance si basa sulla possibilità di differenziare di anno in anno in modo significativo il trattamento accessorio collegato al merito. Il congelamento della retribuzione dei singoli dipendenti per il triennio 2011-2013 fa evidentemente traballare questo principio, prospettandone un possibile rinvio al 2014 ... (articolo Il Sole 24 Ore del 09.08.2010, pag. 8 - link a www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIATracciabilità rifiuti da manuale. Dalle chiavi Usb al software: spiegati gli obblighi del Sistri. Pubblicate on-line le istruzioni sul sistema telematico indirizzate agli operatori di settore.
Utilizzo dei dispositivi di tracciamento telematico dei rifiuti, pianificazione delle operazione di gestione dei beni a fine vita da parte dei diversi attori della filiera, impiego del software per colloquiare con il cervellone centrale.
Con la diffusione ufficiale avvenuta in questi giorni attraverso il sito web istituzionale dell'atteso «manuale utente Sistri» sono finalmente a disposizione degli operatori le istruzioni per poter adempiere ai nuovi obblighi imposti dal debuttante sistema di tracciamento telematico dei rifiuti in vigore dal prossimo 1° ottobre 2010.
Il manuale Sistri. Le istruzioni, scaricabili dall'indirizzo web www.sistri.it nella forma di un file «pdf» ipertestuale, sono state elaborate dal comitato tecnico/scientifico del Sistri in ossequio al dm MinAmbiente 17.12.2009, il regolamento istitutivo (in attuazione del dlgs 152/2006, cd. «Codice dell'ambiente») del sistema destinato a sostituire i registri di carico/scarico, formulario di trasporto e «Mud», che dal prossimo autunno obbligherà i gestori di rifiuti speciali a utilizzare dispositivi elettronici (chiavi Usb, Black box, impianti di videosorveglianza) per comunicare a un sistema informatico telematico pubblico tutti i dati relativi ai rifiuti posseduti e a monitorarne ogni spostamento con controllo satellitare.
Le istruzioni operative. Il manuale, avverte lo stesso Comitato Sistri, non è però nella sua versione definitiva, prevista solo dopo l'acquisizione e il vaglio da parte dello stesso organo delle problematiche, delle proposte di modifica o di integrazione che saranno segnalate da parte dell'utenza interessata. Tre le sezioni che compongono le linee guida: «Dispositivi» illustra l'utilizzo dei dispositivi Usb da interfacciare con i propri computer, della Black box da installare sui veicoli che effettuano il trasporto dei rifiuti, dei dispositivi di videosorveglianza che devono monitorare ingressi e uscite di rifiuti da discariche e altri luoghi di trattamento dei beni a fine vita; «Procedure» è dedicata alla sequenza delle nuove operazioni che devono effettuare produttori, intermediari, trasportatori e gestori finali di rifiuti (con delucidazioni anche in merito alla movimentazione di rifiuti durante attività di manutenzione, lavori nei cantieri, micro raccolta, trasporto transfrontaliero); «Guide» descrive l'uso del software che produttori e detentori di rifiuti, trasportatori e gestori di impianti di trattamento devono utilizzare per comunicare al cervellone Sistri i dati relativi a quantità e qualità dei rifiuti mossi.
Il «test Sistri». Parallelamente alla predisposizione e diffusione del manuale, il governo ha avviato lo scorso 26.07.2010 un test di verifica della funzionalità del nuovo sistema attraverso il coinvolgimento di un insieme rappresentativo delle diverse classi di utenti, dunque dei citati gestori di rifiuti speciali.
Sarà proprio da tale insieme di soggetti che arriverà il feedback necessario per mettere a punto il sistema informatico in procinto di partire e dare versione definitiva al relativo e descritto manuale d'uso per gli utenti.
La partenza del Sistri. La data del 1° ottobre 2010 quale termine iniziale per gli adempimenti operativi del Sistri (ossia, tracciamento satellitare trasporti, comunicazione telematica dei dati e videosorveglianza impianti di trattamento) è stata stabilita dal dm MinAmbiente 09.07.2010, terzo «correttivo» al citato dm MinAmbiente 17.12.2009.
La partenza del nuovo sistema sarà meno traumatica per i piccoli gestori di rifiuti grazie proprio al citato dm 09.07.2010, che ha concesso ai microraccoglitori più tempo per la comunicazione telematica della movimentazione dei rifiuti e allargato ai produttori che non eccedono le 4 tonnellate di rifiuti pericolosi annui o le 20 di rifiuti non pericolosi la possibilità di delegare a organizzazioni di categoria rappresentative la comunicazione stessa.
Dopo la diffusione del descritto e atteso «manuale utenti» (che segue a breve distanza la pubblicazione del dm 17.06.2010, recante istruzioni su importi e pagamento dovuti per i diritti di segreteria per il rilascio dei dispositivi Usb) l'ultimo mancante tassello al «puzzle Sistri» è ora costituito dalle sanzioni per la violazione dei relativi obblighi, sanzioni che appare verosimile arriveranno tramite il decreto legislativo di recepimento della nuova direttiva 2008/98/Ce sui rifiuti dallo scorso aprile al vaglio del consiglio dei ministri.
Il decreto legislativo in parola introdurrà direttamente nel dlgs 152/2006 (il citato «Codice dell'ambiente»), il sistema sanzionatorio per la violazione delle norme ex dm MinAmbiente 17.12.2009 (articolo ItaliaOggi del 09.08.2010, pag. 21).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICALe convenzioni urbanistiche in vigore debbono sempre considerarsi valide rebus sic stantibus, per cui legittimamente l’Amministrazione, in presenza di un interesse pubblico sopravvenuto, ha la facoltà di introdurre nuove previsioni, con il solo onere di motivare le esigenze che le determinano.
Le convenzioni urbanistiche in vigore debbono sempre considerarsi valide rebus sic stantibus, per cui legittimamente l’Amministrazione, in presenza di un interesse pubblico sopravvenuto, ha la facoltà di introdurre nuove previsioni, con il solo onere di motivare le esigenze che le determinano; infatti l’evolversi delle situazioni e a dinamicità degli interessi incidono in modo particolare sull’assetto urbanistico e ne legittimano l’adeguamento, atteso che lo ius variandi, relativo alle prescrizioni di piano regolatore generale, include anche un ius poenitendi, relativo ai vincoli assunti dal Comune con la convenzione di lottizzazione” (Cfr., ex pluribus, Cons. St., IV, 13.07.1993, n. 711; TAR Lombardia, Brescia, 10.04.2006, n. 374).
In questa ottica si è deciso che: “La variante di un piano regolatore che conferisce nuova destinazione ad aree già urbanisticamente classificate necessita di apposita motivazione solo quando le classificazioni preesistenti siano assistite da specifiche aspettative in capo ai rispettivi titolari fondate su atti di contenuto concreto, nel senso che deve trattarsi di scelte che incidano su specifiche aspettative, come quelle derivanti da un piano di lottizzazione approvato o da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia, o dalla reiterazione di un vincolo scaduto, o dai criteri tecnico urbanistici stabiliti per la formazione del piano regolatore" (Cfr. Cons. St., Sez., IV 25.11.2003, n. 7771, 03.07.2000, n. 3646 e 05.08.2005, n. 4166) (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 15.07.2010 n. 516 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICANell'ambito di un Piano di Lottizzazione in zona paesaggisticamente vincolata, la Soprintendenza può formulare considerazioni critiche esprimendosi in via preventiva sul progetto complessivo del piano di lottizzazione (se sufficientemente dettagliato) ma nell’esame dei singoli permessi di costruire non può rimettere in discussione le scelte urbanistiche comunali e deve di volta in volta limitarsi a denunciare gli inconvenienti prodotti dall’ultimo edificio della serie.
Come si è rilevato in un altro caso di lottizzazione in zona vincolata (v. TAR Brescia Sez. I 09.04.2010 n. 1531) la Soprintendenza può formulare considerazioni critiche esprimendosi in via preventiva sul progetto complessivo del piano di lottizzazione (se sufficientemente dettagliato) ma nell’esame dei singoli permessi di costruire non può rimettere in discussione le scelte urbanistiche comunali e deve di volta in volta limitarsi a denunciare gli inconvenienti prodotti dall’ultimo edificio della serie.
Dunque, l’effetto di conurbazione può essere opposto come causa ostativa solo se si dimostra contestualmente che il singolo edificio, aggiungendosi a quelli esistenti, determina un andamento iperbolico nella trasformazione del territorio e altera in modo intollerabile le caratteristiche naturali o tradizionali dei luoghi.
Una simile dimostrazione non è però fornita dalla Soprintendenza, che sul punto rappresenta una “probabile” dissoluzione degli spazi agricoli senza ulteriori precisazioni riferite all’intervento in questione (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 12.07.2010 n. 2483 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAl fine di verificare se una determinata opera abbia carattere precario occorre verificare l’oggettiva funzione di esse ed cioè l'interesse finale al cui soddisfacimento l'opera stessa è destinata.
Solo le opere agevolmente rimuovibili e funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea (es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione…) possono ritenersi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti la concessione edilizia.

Al fine di verificare se una determinata opera abbia carattere precario (condizione per l'accertamento della non necessarietà del rilascio della relativa concessione edilizia), occorre verificare l’oggettiva funzione di esse ed cioè l'interesse finale al cui soddisfacimento l'opera stessa è destinata.
Solo le opere agevolmente rimuovibili e funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea (es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione…) possono ritenersi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti la concessione edilizia (cfr. TAR Sardegna, Sez. II, 12.02.2010 n. 158).
I manufatti realizzati dal ricorrente non possono essere considerati come opere funzionali al soddisfacimento delle esigenze di cantiere in considerazione delle loro notevoli dimensioni (nella fattispecie si tratta di due manufatti in legno delle dimensioni di mt. 4,90 x 5,90 e di mt. 3,10 x 5,90, con veranda di mt. 4,90 x 5,90 e con altezze variabili da mt. 2,60 a mt. 4,00) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 25.06.2010 n. 1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il ricorso allo scomputo, in conseguenza dell'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione, costituisce una facoltà rimessa alla parte richiedente che, ove lo ritenga opportuno, può obbligarsi verso l'Amministrazione ad eseguire opere di urbanizzazione; spetta, comunque, all'Amministrazione, in base all'obbligazione unilateralmente assunta dalla parte, accettare o meno la proposta e subordinarla a condizioni o prescrizioni specifiche.
Secondo un precedente pronunciamento del Consiglio di Stato (sentenza 1209/1999) “il ricorso allo scomputo, in conseguenza dell'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione, costituisce, peraltro, una facoltà rimessa alla parte richiedente, che, ove lo ritenga opportuno, può obbligarsi verso l'Amministrazione ad eseguire opere di urbanizzazione; spetta, comunque, all'Amministrazione, in base all'obbligazione unilateralmente assunta dalla parte, accettare o meno la proposta e subordinarla a condizioni o prescrizioni specifiche; solo una volta intervenuta tale approvazione diviene, poi, pienamente efficace l'atto d'obbligo; con la conseguenza che non può poi, la parte promittente, unilateralmente, in un momento successivo, mutare le condizioni sulle quali è intervenuto il consenso comunale, altrimenti venendosi ad alterare ingiustificatamente, mediante l'iniziativa unilaterale del medesimo obbligato principale, le basi stesse del consenso … l'art. 11 della legge n. 10/1977 non esclude affatto che tra le parti possa, per valutazioni di convenienza -connesse alla piena disponibilità, in capo al beneficiano, della facoltà accordata dal legislatore- di regolare il rapporto anche in termini diversi, limitando, se questo è l'interesse della parte, lo scomputo in termini parziali e non totali; si verte, infatti, in tema di diritti disponibili e il legislatore non ha affatto inteso escludere che la parte promittente possa liberamente assumere impegni patrimoniali più onerosi rispetto a quelli astrattamente previsti dalla legge" (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 22.06.2010 n. 2125 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALe osservazioni dei privati sui progetti sono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano.
E’ principio di diritto ormai consolidato in giurisprudenza che “le osservazioni dei privati sui progetti sono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano” (Cons. Stato, sez. IV, 07.07.2008, n. 3358; in senso conforme Tar Puglia, Bari, 22.10.2008, n. 2357; Tar Piemonte, sez. I, 29.09.2008, n. 2080; Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 30.07.2008, n. 9582) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.06.2010 n. 2329 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICANon è necessaria l’acquisizione del parere per la procedura di approvazione del piano di recupero.
Il piano di recupero, in quanto strumento attuativo, è suscettibile di perseguire sia finalità di recupero del patrimonio edilizio esistente in misura più complessa degli interventi di manutenzione ordinaria e di ristrutturazione edilizia, sia finalità di recupero urbanistico, e può quindi prevedere interventi rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.
I piani di recupero possono avere ad oggetto non solo un semplice recupero edilizio, ma anche un recupero urbanistico vero e proprio, che può essere attuato anche mediante la demolizione di edifici preesistenti; in tal caso, il piano di recupero di presenta come strumento del tutto autonomo, ed alternativo, rispetto al piano particolareggiato.

A giudizio della giurisprudenza amministrativa, non è necessaria l’acquisizione del parere per la procedura di approvazione del piano di recupero (cfr. Tar Venezia, I, 443/1998: il piano di recupero di iniziativa privata deve chiudersi con un provvedimento espresso da parte del consiglio comunale. Non è obbligatorio richiedere il parere della commissione edilizia; ma nel caso in cui tale parere venga richiesto, esso non può sostituire il necessariamente espresso e formale provvedimento terminale del procedimento che solo il consiglio comunale è deputato ad emettere).
Non è fondato neanche il terzo motivo del ricorso principale in cui si deduce che la delibera approvata sarebbe illegittima per violazione della l. 457/1978 in quanto i piani di recupero dovrebbero agevolare il recupero del patrimonio edilizio esistente, laddove il progetto presentato dalla controinteressata prevede che gli edifici siano demoliti (in realtà, che siano demoliti solo in parte).
La norma attributiva del potere esercitato in concreto dall’amministrazione nel caso in esame è l’art. 27 l. 457/1978 che dispone nel suo primo periodo che “i comuni individuano, nell'ambito degli strumenti urbanistici generali, le zone ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso”.
Le espressioni usata dalla norma attributiva di potere sono, pertanto, “conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione” del patrimonio. Non si parla espressamente di demolizione, ma si usano termini come “ricostruzione” che lasciano sottendere la possibilità di disporre demolizione nell’approvazione di un piano di recupero.
Questa interpretazione è stata confermata dalla giurisprudenza amministrativa che si è espressa più volte sulla compatibilità tra piano di recupero e demolizione degli edifici da recuperare ed ha sempre ammesso la possibilità di ricorrere ad esse.
Sul punto, ad esempio, CdS, IV, 4759/2009, secondo cui “il piano di recupero, in quanto strumento attuativo, è suscettibile di perseguire sia finalità di recupero del patrimonio edilizio esistente in misura più complessa degli interventi di manutenzione ordinaria e di ristrutturazione edilizia, sia finalità di recupero urbanistico, e può quindi prevedere interventi rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale”.
In termini più espliciti Tar Toscana, I, 2831/2003, secondo cui “il piano di recupero è per sua natura finalizzato ad organizzare razionalmente ed esteticamente il patrimonio edilizio esistente, eliminando situazioni di degrado e di disarmonia: pertanto può tradursi in interventi edilizi diretti, di volta in volta, alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione o comunque ad una migliore utilizzazione di un preesistente immobile e può consistere in sole opere di manutenzione ordinaria e straordinaria o di restauro, in opere di ristrutturazione più o meno ampia, sino a giungere ad un recupero cosiddetto pesante, costituito dalla demolizione e ricostruzione di un edificio: ne consegue che dette opere di ristrutturazione possono legittimamente tradursi, ancorché entro certi limiti, in un organismo che per consistenza e caratteristiche tipologiche rechi persino connotazioni di novità rispetto all'edificio preesistente”.
Nello stesso senso d’altronde si era già espresso in passato CdS, IV, 96/1996, secondo cui “i piani di recupero possono avere ad oggetto non solo un semplice recupero edilizio, ma anche un recupero urbanistico vero e proprio, che può essere attuato anche mediante la demolizione di edifici preesistenti; in tal caso, il piano di recupero di presenta come strumento del tutto autonomo, ed alternativo, rispetto al piano particolareggiato
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.06.2010 n. 2329 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'installazione di un cancello su una strada privata soggetta a uso pubblico è assimilabile alla costruzione su aree di proprietà del Comune ai sensi dell'art. 32, commi 5 e 6, L. 28.02.1985 n. 47.
Conseguentemente, l'amministrazione comunale, nel corso dell'istruttoria, come avviene per il rilascio della concessione edilizia, anche se l’atto autorizzativo è rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi, deve verificare che esista il titolo per intervenire sulla proprietà su cui si chiede di realizzare il manufatto.
Tuttavia deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, con particolare riferimento all'inesistenza di servitù o di altri diritti reali da parte di terzi che potrebbero essere limitati dal manufatto a realizzarsi.

L'installazione di un cancello su una strada privata soggetta a uso pubblico è assimilabile alla costruzione su aree di proprietà del Comune ai sensi dell'art. 32, commi 5 e 6, L. 28.02.1985 n. 47 (TAR Lombardia Brescia, 13.09.2005, n. 833).
Ne consegue che l'amministrazione comunale, nel corso dell'istruttoria, come avviene per il rilascio della concessione edilizia, anche se l’atto autorizzativo è rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi, deve verificare che esista il titolo per intervenire sulla proprietà su cui si chiede di realizzare il manufatto.
Tuttavia deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, con particolare riferimento all'inesistenza di servitù o di altri diritti reali da parte di terzi che potrebbero essere limitati dal manufatto a realizzarsi, atteso che il provvedimento autorizzativo in discorso è un atto amministrativo che rende legittima l'attività autorizzata nell'ordinamento pubblicistico e regola il rapporto che, in relazione a quell'attività, si genera tra l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso.
Ne discende che, non essendo tale atto amministrativo suscettibile di attribuire al beneficiario diritti soggettivi in conseguenza all'attività stessa, eventuali situazioni di contitolarità del diritto, ovvero di diritti tra loro configgenti, devono essere fatte valere alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune dovendosi escludere, in tal senso, un’attività ulteriore dell’amministrazione che ad essa non compete (arg. ex Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223; anche TAR Lombardia Milano, sez. II, 06.02.2009, n. 1157).
Appartengono, infatti, alla giurisdizione ordinaria le controversie in tema di proprietà, pubblica o privata, delle strade, nonché circa l'esistenza di diritti di uso pubblico ovvero di servitù in favore di fondi privati su strade private, in quanto tali questioni hanno ad oggetto l'accertamento dell'esistenza e dell'ampiezza di diritti soggettivi, sia dei privati che della P.A. (cfr. TAR Emilia Romagna Parma, 12.07.2005, n. 383)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1863 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAffinché una strada privata possa essere considerata ad uso pubblico non basta che essa possa servire da collegamento con una via pubblica e sia adibita al transito di persone diverse dal proprietario, ma è anche necessario che la strada sia posta al servizio di una collettività indeterminata di cittadini portatori di un interesse generale.
In mancanza di espressa classificazione di una strada privata nell'elenco delle strade vicinali, per considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all'attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici).

Affinché una strada privata possa essere considerata ad uso pubblico non basta che essa possa servire da collegamento con una via pubblica e sia adibita al transito di persone diverse dal proprietario, ma è anche necessario che la strada sia posta al servizio di una collettività indeterminata di cittadini portatori di un interesse generale.
Non è, quindi, da considerare ad uso pubblico una strada che:
1) è utilizzata prevalentemente dagli abitanti dei comparti edilizi che su essa prospettano;
2) è priva di marciapiedi e, pertanto, non si presenta destinata alla circolazione dei pedoni come richiede, invece, l'art. 2 del codice della strada allorché definisce il concetto di strada;
3) è a vicolo cieco e, dunque, per essa non può valere il principio della presunzione di uso pubblico che opera solo qualora il tratto di strada colleghi due strade pubbliche (TAR Veneto Venezia, sez. II, 24.01.2008, n. 169).
Peraltro, costituisce jus receptum che, in mancanza di espressa classificazione di una strada privata nell'elenco delle strade vicinali, per considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all'attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici).
Deve quindi essere verificato:
a) il requisito del passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale;
b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse;
c) un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile (cfr. TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 10.06.2008, n. 643)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1863 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'installazione nell'abitato (o in prossimità di questo) di una industria insalubre non è di per sé vietato in assoluto, dal momento che lo stesso art. 216 del T.U.L.S. n. 1265 del 1934, lo consente in determinate circostanze ed in particolari condizioni, se accompagnato dall'introduzione di particolari metodi produttivi o cautele in grado di escludere qualsiasi rischio di compromissione della salute del vicinato.
La valutazione dell'attività produttiva sotto il profilo sanitario non può essere compiuta aprioristicamente vietando in modo generalizzato determinati insediamenti produttivi nel centro abitato o ad una prestabilita distanza dallo stesso, in quanto tale valutazione deve essere compiuta sul caso specifico da parte dell'autorità sanitaria, che deve accertare la presenza delle condizioni indispensabili affinché essa si svolga senza pregiudizio per la salute pubblica.

Risulta, quindi, del tutto apodittico escludere la possibilità della continuazione dell’esercizio della attività sulla scorta della sola considerazione di una pretesa incompatibilità urbanistica, che non trova fondamento nella normativa di riferimento che, al contrario, impone una valutazione in concreto della sussistenza delle condizioni prescritte per il permanere dell’attività stessa in zona residenziale.
Né si ritiene che tali conclusioni possano porsi in contrasto con il precedente di questo Tribunale, rappresentato dalla sentenza del 12.04.2005, n. 311. Diversamente da quanto riportato negli scritti di parte ricorrente, in tale pronuncia si legge: “che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l'installazione nell'abitato (o in prossimità di questo) di una industria insalubre non è di per sé vietato in assoluto, dal momento che lo stesso art. 216 del T.U.L.S. n. 1265 del 1934, lo consente in determinate circostanze ed in particolari condizioni, se accompagnato dall'introduzione di particolari metodi produttivi o cautele in grado di escludere qualsiasi rischio di compromissione della salute del vicinato (C.G.A., 28.11.1996, n. 450; Cons. Stato, Sez. IV, 31.07.2000, n. 4214; TAR Lombardia, Brescia, 27.04.2000, n. 366; TAR Emilia Romagna, Parma, 09.02.2001, n. 60; TAR Marche, 23.11.2001 n. 1201; TAR Lombardia, Brescia, 16.07.2003, n. 1095)”.
A ben vedere, quindi, la sentenza richiamata afferma proprio il principio più sopra riportato e a cui il Collegio ha ritenuto di conformarsi, secondo cui “la valutazione dell'attività produttiva sotto il profilo sanitario non può essere compiuta aprioristicamente vietando in modo generalizzato determinati insediamenti produttivi nel centro abitato o ad una prestabilita distanza dallo stesso, in quanto tale valutazione deve essere compiuta sul caso specifico da parte dell'autorità sanitaria, che deve accertare la presenza delle condizioni indispensabili affinché essa si svolga senza pregiudizio per la salute pubblica (Cfr. anche TAR Lombardia Milano, Sez. III, 29.09.1990, n. 4)”.
Ne discende l’illegittimità dell’aprioristico diniego del nullaosta in ragione della mera valutazione della destinazione dell’area in cui si trova l’immobile in cui è esercitata l’attività artigianale in questione (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 27.05.2010 n. 2152 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIL’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo è un atto discrezionale da assumere entro un termine ragionevole e solo dopo un attento bilanciamento degli interessi pubblici e privati coinvolti.
L’art. 21-nonies della legge 241/1990 considera l’annullamento d’ufficio un atto discrezionale da assumere entro un termine ragionevole e solo dopo un attento bilanciamento degli interessi pubblici e privati coinvolti. La giurisprudenza ha però individuato dei casi in cui la discrezionalità si azzera vanificando sia l’interesse del destinatario sia il tempo trascorso.
Possono essere considerate in particolare due fattispecie:
(a) quando il destinatario abbia ottenuto il provvedimento inducendo in errore l’amministrazione attraverso una falsa rappresentazione della realtà, non necessariamente operando con dolo (v. CS Sez. IV 12.03.2007 n. 1189, giudizio riguardante un annullamento d’ufficio intervenuto a 10 anni di distanza);
(b) quando la conservazione del provvedimento illegittimo sia “semplicemente insopportabile” per l’evidente insufficienza dell’affidamento del destinatario rispetto al danno subito dall’amministrazione o da altri soggetti (v. TRGA Trento 16.12.2009 n. 305, giudizio che si pone specificamente nella prospettiva della tutela del terzo).
L’annullamento parziale del titolo edilizio non soltanto è ammissibile ma è doveroso, per il principio di proporzionalità, essendo necessario calibrare esattamente la misura repressiva sull’entità dell’infrazione. L’art. 38 del DPR 06.06.2001 n. 380, che prevede la remissione in pristino per gli edifici il cui titolo edilizio sia stato annullato, deve essere interpretato simmetricamente al precedente art. 34 sugli interventi parzialmente difformi dal titolo edilizio.
Come può esservi una parziale difformità originaria per violazione del titolo edilizio così può esservi una parziale difformità sopravvenuta per annullamento del titolo stesso. È poi una distinta questione (non coinvolta nel presente giudizio) quella riguardante il contenuto specifico di un eventuale ordine di demolizione riferito alla porzione di edificio rimasta priva di titolo
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 14.05.2010 n. 1733 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl diritto di ottenere la riduzione in pristino di un immobile costruito senza il rispetto delle distanze legali non si estingue per il decorso del tempo ma subisce gli effetti dell'usucapione, in quanto quest’ultimo istituto può dar luogo all'acquisto di un contrario (e prevalente) diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale.
La giurisprudenza equipara l'azione per il rispetto delle distanze legali a una negatoria servitutis (v. Cass. civ. Sez. II 21.10.2009 n. 22348) e precisa che il diritto di ottenere la riduzione in pristino di un immobile costruito senza il rispetto delle distanze legali non si estingue per il decorso del tempo ma subisce gli effetti dell'usucapione, in quanto quest’ultimo istituto può dar luogo all'acquisto di un contrario (e prevalente) diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale (v. Cass. civ. Sez. II 07.09.2009 n. 19289).
Dunque da una parte non vi è un affidamento tutelabile dei destinatari della concessione, che hanno fuorviato il Comune, ma dall’altra non vi è più un affidamento tutelabile del terzo.
A questo punto solo un autonomo e attuale interesse pubblico potrebbe sostenere l’annullamento d’ufficio, ma tale interesse evidentemente non può essere costituito dal mero ripristino delle distanze minime dal confine, dove vengono in rilievo norme integrative del codice civile (v. Cass. civ. Sez. II 10.01.2006 n. 145) che tutelano primariamente la proprietà confinante. Quando i rapporti tra i privati a proposito dei confini hanno stabilmente assunto una diversa sistemazione è preclusa all’amministrazione la possibilità di intervenire per il ripristino della legalità.
Sarebbero necessari altri interessi pubblici (ad esempio di natura igienico-sanitaria o collegati alla sicurezza collettiva) ma di questi non è fornita alcuna puntuale dimostrazione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 14.05.2010 n. 1733 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 09.08.2010

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DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: L. Cirese, SCIA al posto della DIA … e del PdC!
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In questi primi giorni di entrata in vigore della L. 30.07.2010 n. 122, di conversione del D.L. 31.05.2010 n. 78, si sono avuti i primi orientamenti contrastanti in merito all'applicabilità -o meno- della S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di Inizio Lavori) in materia edilizia laddove dovrebbe aver sostituito la D.I.A. di cui al DPR n. 380/2001 e L.R. n. 12/2005.
Nell'attesa della tanto auspicata circolare ministeriale che dirima, urgentemente, tale incertezza interpretativa, un contributo potrebbe pervenire dalla lettura del dossier a cura del "Servizio studi del Senato" approntato quali schede di lettura del "Disegno di legge A.S. n. 2228 - “Conversione in legge del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” Le modifiche della Commissione".
Le pagine di interesse, dalla n. 137 alla n. 142, sono esplicite nell'evidenziare  che la S.C.I.A. ha sostituito, ad ogni effetto, la D.I.A..
Comunque, aspettiamo di leggere -quanto prima- la circolare ministeriale anche al fine di capire come si esprimerà, ufficialmente, la Regione Lombardia in merito, appunto, alla D.I.A. regionale.
Invero, sul punto, la Direzione Generale Territorio e Urbanistica si è già espressa informalmente con e-mail del 06.08.2010, a seguito di richiesta di chiarimenti urgenti da parte di un Comune, come di seguito riportato:
"La nuova disciplina in materia di semplificazione, introdotta dal Parlamento in sede di esame della manovra economica varata dal Governo con il D.L. n. 78, pone non pochi dubbi e problemi.
Appare chiaro l'intento del legislatore di assicurare l'immediata applicabilità della disciplina della SCIA come istituto di carattere generale, avendola dichiarata espressamente attinente alla "tutela della concorrenza" e qualificata "livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali", così riconducendola alla competenza esclusiva statale (norma peraltro di dubbia costituzionalità).
Non altrettanto chiara e scontata è invece l'applicazione della nuova disciplina anche all'edilizia, mancando qualsivoglia richiamo al Testo unico dell'edilizia (D.P.R. n. 380/2001), ove peraltro si parla di Denuncia (non Dichiarazione) di inizio attività.
Un chiaro indirizzo sul punto, come pure circa l'esatto ambito di applicazione della nuova disciplina, se cioè la SCIA può sostituire anche il permesso di costruire ovvero solo la DIA, solo la DIA statale o anche la DIA regionale, non può che venire -si spera a breve- dal Governo (Ministero della Semplificazione), ispiratore della novità legislativa.
In ogni caso, anche al fine di valutare l'impatto della nuova disciplina sull'ordinamento regionale, la D.G. Territorio ha già avviato una riflessione congiunta con la Presidenza.
Distinti saluti.
Arch. Gian Angelo Bravo - Direttore vicario D.G. Territorio e urbanistica
".

LA SEGRETERIA PTPL - 09.08.2010

URBANISTICA: M. Luraghi e V. Latorraca, La V.A.S. secondo il TAR Milano (link a www.lavatellilatorraca.it).

APPALTI: B. Colombo e V. Latorraca  Le modifiche introdotte ai ricorsi giurisdizionali in materia di contratti pubblici dal D.Lgs. n. 53/2010 (link a www.lavatellilatorraca.it).

APPALTI: L. Bellagamba, La questione della pubblicità della seduta di gara a procedura ristretta, nella sub-fase della prequalificazione, in rapporto all’art. 13, comma 2, lett. b), del codice dei contratti - I paradigmi normativi della procedura ristretta semplificata nei lavori e della c.d. forcella nei servizi di progettazione (link a www.linibellagamba.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI: C. Rapicavoli, Legge 30.07.2010 n. 122 – Indicazioni applicative per gli Enti Locali. Modifiche alla Legge 241/1990 in materia di conferenza di servizi - Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) (link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: C. Rapicavoli, Legge 30.07.2010 n. 122. Modifiche alla Legge 241/1990 in materia di Conferenza di Servizi - Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) (link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: C. Rapicavoli, L’affidamento dei servizi pubblici locali - Il regolamento attuativo (link a www.ambientediritto.it).

COMPETENZE PROGETTUALI: COMPETENZE PROFESSIONALI DEI GEOMETRI - Il prof. Avv. Salvatore Alberto Romano, su richiesta del C.N.G., esprime un suo parere sulla Sentenza della Corte di Cassazione n. 19292/2009 (Il Triangolo n. 1/2010).

QUESITI & PARERI

SEGRETARI COMUNALIAttestazione orario di lavoro segretari comunali.
A seguito di continue assenze dal posto di lavoro del segretario comunale, alcuni concittadini hanno richiesto al sottoscritto, agente di polizia municipale in servizio c/o il Comune di A., se il segretario comunale ha l'obbligo di timbrare il cartellino e di rispettare l'orario di lavoro così come tutti i dipendenti pubblici.
Si premette che, il Comune di A. conta circa 6.500 abitanti, con circa 20 dipendenti in organico, attualmente, suddivisi su due settori, con due responsabili categoria D di cui: uno Finanziario/Amministrativo/Anagrafe Stato Civile e l'altro Tecnico/Sviluppo e servizi al territorio/Polizia Municipale.
Tanto premesso, si gradirebbe conoscere, ai sensi delle vigenti normative, gli obblighi a cui deve attenersi anche il Segretario comunale (Risorse Umane nella pubblica amministrazione n. 3/2010).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Richiesta contribuzione tributaria o commerciale utenti del servizio comunale (frazione verde). Rifiuti solidi urbani. Riconoscimento tributario.
Il Comune di (omissis) ha proposto un quesito in merito alla possibile richiesta di contribuzione, tributaria o commerciale, a carico degli utenti del servizio di conferimento della frazione verde dei rifiuti solidi urbani soggetta a raccolta differenziata (Regione Piemonte, parere n. 71/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nomina responsabile procedimento autorizzazioni paesaggistiche.
Il presidente della forma associativa Comunità Collinare (omissis) pone il seguente quesito:
Questa Unione ha effettuato una selezione per titoli per individuare il migliore aspirante all’incarico di “responsabile del procedimento di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche”; l’incarico risulta essere per le amministrazioni pubbliche obbligatorio, dovendo assicurare la separazione fra gli addetti all’urbanistica e detta figura.
Effettuata la selezione, il migliore candidato e’ stato nominato dal presidente ai sensi dell’art. 110 del D.L.vo n. 267/2000, per la durata di un triennio.
L’incarico si svolge da parte dell’architetto incaricato con ampia autonomia, ferma restando la necessità di assolvere una certa presenza presso la sede dell’Unione e di sottoscrivere le istruttorie sulle istanze degli utenti; l’atto finale e’ invece firmato dal responsabile urbanistico del Comune relativo alla pratica; l’attività’ prestata rientra certamente nelle “alte specializzazioni”.
Il regolamento che disciplina il nuovo servizio prevede che detto responsabile riceva un compenso pari al 75 % dei diritti percepiti su ciascuna pratica evasa, senza determinare alcun minimo ne’ scadenze determinate.
Precisiamo ancora che:
- la figura concorrente doveva necessariamente essere iscritta all’Albo Professionale;
- l’incaricato ha una sua partita IVA ma versa attualmente in regime di IVA agevolata;
- ha una propria copertura previdenziale (Cassa Architetti).
Ciò premesso, chiediamo di conoscere come debba essere qualificato il rapporto di lavoro fra questo Ente e il professionista indicato, quindi quale regime fiscale e previdenziale l’Unione quale datore di lavoro o committente deve assicurare alla figura sopra descritta
” (Regione Piemonte, parere n. 43/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Sul limite del 3,2% degli incrementi contrattuali del biennio economico 2008-2009 (CGIL-FP di Bergamo, nota 02.08.2010).

NOTE, CIRCOLARI & COMUNICATI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOVisite fiscali - Oneri a carico del datore di lavoro (ASL di Bergamo, nota 28.07.2010 n. 102382 di prot.).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Visite fiscali disposte dal datore di lavoro pubblico - Sentenza della Corte Costituzionale n. 207 del 07.06.2010 (Regione Lombardia, nota 22.06.2010 n. 22282 di prot.).

URBANISTICA: Procedimenti di Valutazione Ambientale Strategica. Coinvolgimento Soprintendenze di settore (Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia, nota 18.03.2008 n. 3787 di prot.).

URBANISTICARaccordo verifica Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e Valutazione di Incidenza (VIC) sugli atti di pianificazione (Regione Lombardia, Direzione Generale Qualità dell'Ambiente, nota 15.01.2008 n. 1383 di prot.).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA e DIGITALIZZAZIONE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA

PUBBLICO IMPIEGOEx sindacalisti, vita dura nella p.a.. Dirigenti e componenti di Rsu non possono dirigere il personale. Circolare di Brunetta sul dlgs 150/2009. Ma la semplice iscrizione non fa scattare l'incompatibilità.
Dirigenti pubblici senza conflitti di interesse. I manager che si occupano di risorse umane in una amministrazione dello stato dovranno rinunciare all'incarico se sono dirigenti sindacali, o lo sono stati negli ultimi due anni, oppure hanno fatto parte di una Rsu, o, ancora, ricoprono o hanno ricoperto posizioni direttive in un partito.
E non potranno far nulla per rimuovere la causa di incompatibilità che resterà tale anche se dovessero dimettersi dal sindacato o dal partito. Perché solo il passare del tempo (due anni) renderà possibile il conferimento dell'incarico nella p.a.

Lo ha precisato il ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta, che ieri ha firmato la circolare 06.08.2010 n. 11/2010 interpretativa di una delle disposizioni più controverse della riforma che porta il suo nome. Si tratta dell'art. 53, comma 1-bis, del T.u. sul pubblico impiego (dlgs 165/2001) nel testo introdotto dalla riforma Brunetta (dlgs 150/2009).
Viste le numerose richieste di chiarimenti pervenute a palazzo Vidoni, il ministro è intervenuto a delimitare l'ambito di intervento della norma. Che si applicherà agli incarichi conferiti a partire dal 15.11.2009 (data di entrata in vigore del dlgs 150), ma solo nelle amministrazioni dello stato. Per tutte le altre p.a., enti locali compresi, la norma costituirà una disposizione di principio.
Ma vediamo innanzitutto a chi si applicherà il giro di vite.
La semplice iscrizione a un sindacato o a un partito politico non basterà a far sorgere la causa di incompatibilità. Per far scattare il conflitto di interessi, precisa il ministro, «sono richiesti la partecipazione alle scelte dell'organizzazione e lo svolgimento di compiti di reale impulso all'attività».
L'identikit tracciato da Brunetta porta allora ad escludere dalle responsabilità direttive in materia di personale i dirigenti sindacali e coloro che hanno il potere di agire in nome e per conto del sindacato in qualità di funzionari delegati.
Incompatibilità anche per i componenti delle Rsu perché queste sono elette sulla base di liste presentate dalle organizzazioni sindacali. Per i partiti valgono gli stessi princìpi. La semplice iscrizione a un movimento politico sarà irrilevante ai fini dell'applicazione della norma, perché, spiega Brunetta, «è necessario utilizzare criteri rispettosi e non eccedenti la finalità della legge».
Dunque, solo chi ha ricoperto posizioni direttive in un partito dovrà dire addio al ruolo di manager pubblico. Non, chi in quel partito si è candidato ed è risultato eletto. Infatti, precisa la circolare, «da un lato le cariche in partiti politici possono essere attribuite anche a soggetti che non sono risultati eletti, dall'altro dal fatto di essere stato eletto non consegue automaticamente l'attribuzione di una carica».
In pratica, la nota della funzione pubblica distingue tra il concetto di carica politica, «che comporta un'investitura formale nell'organizzazione dell'associazione» e quello di carica pubblica. Solo la prima fa scattare il conflitto di interesse.
Collaborazioni. La legge Brunetta mette sullo stesso piano chi ricopra un ruolo direttivo in un sindacato o in un partito e chi abbia rapporti continuativi, di collaborazione o consulenza, con simili organizzazioni.
La circolare si è posta il problema di chiarire quali siano le collaborazioni idonee a configurare il divieto e la risposta è stata che tali possono definirsi solo i rapporti di lavoro (autonomo o subordinato) per i quali sia stato pattuito un compenso. Pertanto, non saranno rilevanti eventuali collaborazioni a titolo gratuito.
Sanzioni. Nel caso in cui dovesse emergere la situazione di incompatibilità, ferme restando le eventuali sanzioni per falsa dichiarazione (art. 76 del dpr 445/2000), l'amministrazione dovrà avviare il procedimento disciplinare che potrà concludersi con il licenziamento senza preavviso quando c'è stato un falso documentale.
La responsabilità potrà estendersi anche al soggetto che ha conferito l'incarico il quale avrebbe dovuto essere a conoscenza della situazione ostativa, svolgendo i relativi accertamenti (articolo ItaliaOggi del 07.08.2010, pag. 26).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Programmazione della formazione delle amministrazioni pubbliche (direttiva 30.07.2010 n. 10/2010).

PUBBLICO IMPIEGO: Impugnazione sanzioni disciplinari - applicabilità art. 7, commi 6 e 7, l. 300 del 1970 alle controversie relative al pubblico impiego (parere UPPA 22.07.2010 n. 34439 di prot.).

NEWS

EDILIZIA PRIVATALa liberalizzazione edilizia batte le normative locali.
La liberalizzazione edilizia introdotta con il dl n. 40/2010 trova immediata applicazione locale e prevale sulla legislazione regionale previgente incompatibile.
Lo ha ribadito la regione Emilia Romagna con la circolare 02.08.2010 n. 196035 di prot..
La legge 73/2010, in vigore dal 26 maggio scorso (e che ha convertito con modifiche il dl 40/2010), ha introdotto ovvero rafforzato il concetto di attività edilizia libera. Questa innovazione, incidendo sull'art. 6 del dpr 380/2001, ha immediatamente sollevato perplessità specialmente circa l'applicabilità o meno della riforma in ambito locale, laddove le regioni hanno già legiferato nel dettaglio l'attività edilizia.
A parere della regione emiliana la nuova stesura dell'art. 6 contiene una disciplina statale di dettaglio avente l'obiettivo della «semplificazione normativa e procedurale dell'attività edilizia, cioè in una materia, il governo del territorio, a legislazione concorrente» ai sensi della Carta costituzionale.
In buona sostanza la riforma governativa apporta una nuova formulazione delle regole burocratiche su una quota significativa di interventi edilizi che «prevale anche sulla legislazione regionale previgente con essa incompatibile, ma che è destinata ad operare fino all'entrata in vigore di una nuova normativa regionale di recepimento dei principi fondamentali in essa contenuti».
Restano sul tappeto delicate questioni interpretative con particolare riferimento ai nuovi regimi giuridici degli interventi edilizi. Per questo motivo la regione Emilia Romagna ha divulgato indicazioni operative per consentire l'applicazione uniforme e armonizzata della nuova semplificazione statale.
In pratica le istruzioni regionali si concentrano nell'individuazione degli ambiti immediatamente semplificati e nella ricostruzione dei tre distinti regimi giuridici introdotti dalla riforma.
Nella corposa circolare si evidenziano quindi gli interventi edilizi liberalizzati ed al loro rapporto con le variazioni in corso d'opera. Si prende poi in considerazione la nuova burocrazia per l'aggiornamento catastale esaminando pure il nuovo impianto sanzionatorio.
A corredo della nota l'assessorato regionale allega anche i nuovi modelli di comunicazione di inizio dei lavori e di asseverazione da parte del tecnico abilitato che potranno essere personalizzati in conformità ai diversi regolamenti comunali (articolo ItaliaOggi del 07.08.2010, pag. 22).

ENTI LOCALIPartecipate, slittano le dismissioni. Ci sarà tempo fino al 31/12/2011. Divieto di nuove costituzioni.  Le novità introdotte dalla manovra (legge 122/2010) per le società e gli organi collegiali.
Il dl 78/2010 «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» è stato recentemente convertito nella legge 30.07.2010, n. 122 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 176 del 30/07/2010).
Nonostante in sede di conversione siano state eliminate alcune imprecisioni rispetto al testo originario del decreto legge, l'applicazione concreta delle nuove disposizioni si presenta assai complessa e tale da far auspicare solerti interventi interpretativi da parte delle Autorità competenti.
Vediamo le principali novità.
Incarichi negli organi collegiali degli enti che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche. In sede di conversione è stato confermato che dal 31/05/2010 la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, nonché la titolarità di organi dei predetti enti è onorifica; essa può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; qualora siano già stati previsti dei gettoni di presenza, questi non possono superare l'importo di 30 euro a seduta giornaliera.
Il termine enti è estremamente generico e aveva lasciato inizialmente pensare che la disposizione dovesse applicarsi anche alle società; fortunatamente, in sede di conversione in legge, queste ultime sono state espressamente aggiunte ai soggetti esclusi, salvando in tal modo i membri dei loro organi amministrativi e dei collegi sindacali dall'obbligo di assumersi responsabilità, spesso anche gravose, senza avere la possibilità di ricevere in cambio alcun compenso. Se la questione può dirsi risolta anche per le società consortili, il problema resta invece tuttora aperto per i consorzi.
Adeguamento degli statuti. In sede di conversione è stato confermato che tutti gli enti pubblici, anche economici, e gli organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato, sono tenuti ad adeguare i rispettivi statuti al fine di assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo al 31/05/2010, gli organi di amministrazione e quelli di controllo, ove non già costituiti in forma monocratica, nonché il collegio dei revisori, siano costituiti da un numero non superiore, rispettivamente, a cinque e a tre componenti.
La previsione in commento ripropone il tema relativo alla necessità di stabilire i casi in cui un organismo con personalità giuridica di diritto privato debba essere considerato pubblico; a tale riguardo, può essere fatto riferimento al principio secondo il quale tutti coloro che operano prevalentemente con risorse pubbliche devono essere considerati organismi pubblici a prescindere dalla forma giuridica che assumono.
Pertanto, a titolo di esempio, la disposizione in commento troverà applicazione a una società consortile partecipata da un ente locale, qualora quest'ultimo eroghi alla stessa la maggior parte dei contributi finalizzati alla copertura dei costi d'esercizio.
Riduzione dei compensi degli amministratori e dei membri del collegio sindacale. I compensi previsti per i componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale sono ridotti del 10%:
- nelle società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione (l'elenco delle amministrazioni pubbliche inserite in tale conto è stato recentemente pubblicato dall'Istat sulla G.U. n. 171 del 24/07/2010)
- nelle società possedute, direttamente o indirettamente, in misura totalitaria alla data del 31/05/2010 dalle amministrazioni pubbliche.
In base alla ridefinizione dell'ambito di applicazione della disposizione avvenuta in sede di conversione del decreto, sono ora tenute ad applicare la riduzione del 10% dei compensi anche le società partecipate indirettamente dalle amministrazioni pubbliche, purché tale partecipazione possa comunque configurarsi come totalitaria.
Tuttavia, tale obbligo, sia per le partecipazioni dirette che per quelle indirette, non scatta immediatamente, ma sorge a partire dalla prima scadenza del consiglio o del collegio successiva al 31/05/2010. La disposizione non si applica alle società quotate e alle loro controllate.
Il divieto di costituire società per i comuni con meno di 30 mila abitanti. Rispetto al testo originario del decreto legge 78/2010, in sede di conversione gli effetti della disposizione in commento sono stati posticipati di un anno. Il comma 32 dell'art. 14 prevede che, fermo quanto previsto dall'art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge 244/2007 (legge Finanziaria 2008), i comuni con popolazione inferiore a 30 mila abitanti non possono costituire società.
Entro il 31/12/2011 i comuni mettono in liquidazione le società già costituite al 31/05/2010, ovvero, ne cedono le partecipazioni. Gli effetti del richiamo alla legge Finanziaria 2008 non sono ancora chiari: secondo un'interpretazione prudenziale, ciò presupporrebbe una doppia verifica, nel senso che per mantenere una partecipazione societaria il comune dovrebbe prima verificare che la stessa sia strettamente necessaria al perseguimento delle proprie finalità istituzionali e, successivamente, verificare se sia soddisfatta la condizione relativa al parametro dimensionale.
Il divieto comunque non si applica nel caso di società con partecipazione paritaria e nel caso di società con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, qualora siano costituite da più comuni la cui popolazione complessiva superi i 30 mila abitanti. Invece, i comuni con popolazione compresa tra 30 mila e 50 mila abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società; entro il 31/12/2011 i predetti comuni mettono in liquidazione le altre società già costituite.
In sede di conversione in legge del decreto è stata inoltre prevista l'emanazione entro il 28/10/2010 di un decreto ministeriale con cui dovranno essere determinate le modalità attuative del comma 32, nonché ulteriori ipotesi di esclusione (articolo ItaliaOggi del 06.08.2010, pag. 34).

APPALTILe novità di immediata applicazione del ddl antimafia approvato in via definitiva dal senato. Appalti, in gara con conti ai raggi X. Tracciabilità dei flussi finanziari. Stretta sulla turbativa d'asta.
Tracciabilità dei flussi finanziari per tutti i partecipanti a gare di appalto e per i beneficiari di finanziamenti pubblici; introduzione della stazione unica appaltante a livello regionale; inasprimento del reato di turbativa d'asta (con reclusione da sei mesi a cinque anni) e introduzione di una nuova fattispecie penale con riguardo alla turbativa del procedimento di scelta del contraente; maggiori controlli sul cantiere; deleghe per riformare la normativa e la documentazione antimafia.
È quanto stabilisce il disegno di legge recante il «piano straordinario contro le mafie, nonché la delega al governo in materia di normativa antimafia» approvato in via definitiva dal senato martedì ... (articolo ItaliaOggi del 06.08.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it).

APPALTIAppalti, stop a segnalazioni di violazioni non definitive.
Stop alla segnalazione delle violazioni fiscali non ancora definitive: nelle certificazioni rilasciate all'ente appaltante ai fini della partecipazione delle imprese agli appalti pubblici, gli uffici dell'agenzia delle entrate dovranno indicare soltanto le infrazioni degli obblighi di pagamento definitivamente accertate.

E' quanto stabilisce la circolare 03.08.2010 n. 41/E dell'Agenzia delle Entrate, concernente l'attestazione dei requisiti fiscali richiesti per la partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti e subappalti di lavori, forniture e servizi di cui al dlgs 163/2006 (c.d. codice dei contratti pubblici).
L'art. 38, comma 1, lettera g) del codice esclude dalla partecipazione i soggetti che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, degli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello stato in cui sono stabiliti. Il comma successivo prevede che il possesso dei requisiti richiesti possa essere attestato mediante dichiarazione sostitutiva ai sensi del dpr 445/2000, fatto salvo il potere di controllo delle amministrazioni procedenti.
In merito ai requisiti fiscali, con la circolare 25.05.2007 n. 34/E l'Agenzia delle Entrate ha fornito istruzioni sui compiti degli uffici, chiarendo che, qualora la stazione appaltante richieda il controllo dell'autocertificazione, gli uffici devono utilizzare il modello approvato con provvedimento del 25.06.2001, segnalando anche le eventuali violazioni non definitivamente accertate, in modo da fornire al richiedente ogni elemento utile a valutare la sussistenza del requisito della regolarità fiscale.
Nella nuova circolare, tuttavia, viene osservato che, in base al citato art. 38, l'irregolarità fiscale può dirsi integrata qualora sia stata definitivamente accertata una qualunque violazione relativa agli obblighi di pagamento di imposte e tasse, e deve considerarsi venuta meno nel caso in cui, alla data di richiesta della certificazione, il contribuente abbia integralmente soddisfatto la pretesa del fisco, anche mediante definizione agevolata.
Tanto premesso, modificando le precedenti indicazioni in senso più aderente alla norma, anche al fine di non pregiudicare le imprese nazionali rispetto a quelle estere, l'agenzia ha ora stabilito che gli uffici devono indicare nella certificazione esclusivamente le violazioni di pagamento definitivamente accertate, circostanza che si realizza con l'inutile decorso dei termini di impugnativa o a seguito di sentenza definitiva (articolo ItaliaOggi del 04.08.2010, pag. 20 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIPa, sì agli incarichi a legali esterni. Legittimo l'affidamento diretto e senza svolgere la gara. Il principio è stato affermato di recente da una decisione del Consiglio di Stato sugli enti locali.
È illegittimo l'affidamento diretto e senza gara, a favore di un avvocato, di un incarico professionale di consulenza legale, a supporto dello svolgimento delle ordinarie attività amministrative dell'ente.
Nel caso in esame un Consorzio di Bonifica toscano aveva deciso di affidare direttamente ad un avvocato l'incarico di consulenza legale per la durata di un anno, in considerazione della sua comprovata professionalità e della specifica competenza amministrativa già sperimentata nel corso di una collaborazione da lui prestata nell'anno precedente.
Un altro professionista, però, consultando il sito internet del Consorzio e riscontrando l'avvenuta assegnazione diretta del sopra citato incarico di consulenza di tipo normativo - legale, aveva deciso di impugnare la determina di affidamento, chiedendone l'annullamento, al fine di tutelare il proprio interesse allo svolgimento di una procedura selettiva pubblica alla quale avrebbe potuto partecipare, in quanto cultore di diritto amministrativo e specialista nel settore degli appalti e dei contratti pubblici ... (articolo ItaliaOggi del 02.08.2010 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: In data 03.08.2010 è stato definitivamente sottoscritto il contratto collettivo nazionale di lavoro dell’Area II della Dirigenza Regioni ed Autonomie Locali relativo al biennio economico 2008-2009 (comunicato stampa 04.08.2010 - link a www.aranagenzia.it).

VARI: È legge il nuovo codice della strada.
I destinatari delle nuove regole sono soprattutto i giovani. Le novità maggiori previste dalla riforma del codice della strada riguardano l'alcol: divieto assoluto di bere per i neopatentati, i giovani fino a ventuno anni; divieto di vendita e somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche nelle stazioni di servizio autostradali a partire dalle dieci di sera; nei locali notturni è vietato vendere e somministrare bevande alcoliche di qualsiasi tipo dalle ore 3 alle ore 6.
Obbligatorio esporre anche le tabelle illustrative sugli effetti dannosi dell’alcol e un test volontario per rilevare il proprio tasso alcolemico. Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale è disposto il fermo amministrativo del veicolo e qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/1), la patente di guida è revocata.
E quando gli accertamenti forniscono esito positivo o quando si ha ragionevole motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi sotto l'effetto conseguente all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, i conducenti, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l'integrità fisica, possono essere sottoposti ad accertamenti clinico-tossicologici e strumentali su campioni di mucosa del cavo orale prelevati a cura di personale sanitario ausiliario delle forze di polizia. Inasprimento delle sanzioni per chi trucca le minicar sulle quali si prevede ora l'obbligo delle cinture di sicurezza; divieto per coloro ai quali venga revocata la patente di guidare ciclomotori o minicar.
Di grande rilievo anche la previsione della sicurezza stradale come materia obbligatoria in tutte le scuole di ogni ordine e grado.
La Legge che ha avuto il via libera dal Senato è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 29.07. 2010 (link a www.governo.it).
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Si legga anche questo articolo (link a www.altalex.com).

CORTE DEI CONTI

PUBBLICO IMPIEGO: Nella p.a. incarichi prevalentemente a tempo indeterminato. La riforma Brunetta ha abrogato la disciplina sui contratti ai dirigenti del Testo unico degli enti locali. Chiarimento della corte dei conti puglia.
La disciplina degli incarichi dirigenziali a tempo determinato contenuta nel testo unico degli enti locali è da considerare implicitamente abolita dalla riforma-Brunetta.
È la Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo della Puglia ad esprimere, per prima, un chiaro avviso sulle sorti dell'articolo 110, commi 1 e 2, del dlgs 267/2000 a seguito della riforma dell'articolo 19, commi da 6 a 6-ter, del dlgs 165/2001, da parte del dlgs 150/2009.
E il destino delle regole particolari degli incarichi a contratto negli enti locali non poteva che essere quello delineato dalla magistratura contabile: l'abolizione implicita, cui consegue l'obbligo di applicare le sole regole contenute nell'articolo 19, commi 6-6-ter.
Il parere 17.06.2010 n. 44 della Sezione Puglia contraddice efficacemente tutte le ragioni addotte dall'opposta teoria della permanente vigenza dell'articolo 110 del Tuel. A partire dal principio di speciali, secondo il quale la norma del dlgs 267/2000, in quanto «speciale», non potrebbe essere derogata da una legge generale, ancorché successiva cronologicamente.
Le cose, mette in rilievo la magistratura contabile, in questo caso non stanno così. La questione degli incarichi dirigenziali a contratto, infatti, il legislatore ha manifestato espressamente la volontà, col comma 6-ter dell'articolo 19 del dlgs 165/2001, di estendere le nuove regole sugli incarichi dirigenziali a contratto non solo nell'ambito dello Stato, ma anche di tutte le altre amministrazioni pubbliche. Il conduce all'inefficacia delle relative norme speciali previgenti, dovendosi ricondurre a unità e coerenza l'ordinamento giuridico.
Del resto, osserva la Sezione Puglia, la lettura costituzionalmente orientata della riforma alla disciplina della dirigenza a contratto non può giustificare l'ulteriore vigenza dell'articolo 110, commi 1 e 2 del dlgs 267/2000, come dimostrano le recenti ed ormai consolidate pronunce della Corte costituzionale (103/2007, 104/2007, 161/2008, 9/2010), tutte intese ad evidenziare la stretta correlazione tra la struttura del rapporto di lavoro della dirigenza e l'effettività della distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo degli organi di governo e quelli di gestione di competenza della dirigenza.
La legge, dunque, deve creare un assetto della dirigenza pubblica prevalentemente fondato su un rapporto di lavoro a tempo indeterminato al quale si acceda per concorso pubblico, con conseguente restrizione degli spazi a contratti a tempo determinato, soprattutto se basati su elementi di fiduciarietà.
La volontà di comprimere per tutte le amministrazioni pubbliche, ivi comprese quelle locali, la possibilità di assumere dirigenti a contratto, d'altra parte, è dimostrata dall'articolo 6, comma 2, lettera h), della legge 15/2009, che ha demandato al legislatore delegato, cioè al d.lgs 150/2009 la ridefinizione della disciplina relativa al conferimento degli incarichi ai soggetti estranei alla pubblica amministrazione e ai dirigenti non appartenenti ai ruoli, «prevedendo comunque la riduzione, rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente, delle quote percentuali di dotazione organica entro cui e' possibile il conferimento degli incarichi medesimi».
Coerentemente con tale criterio di delega, il dlgs 150/2009 modificando il testo unico del pubblico impiego ha esteso l'ambito di applicazione delle norme sulla dirigenza pubblica, tendenti a restringere lo spoil system e gli incarichi a contratto, alle altre amministrazioni.
Né, ulteriore rilevante conclusione del parere 44/2010, vale ad escludere la piena applicabilità dell'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001, nell'ordinamento locale «l'esistenza dell'autonomia regolamentare in materia di organizzazione e di svolgimento delle funzioni riconosciuta agli enti locali dall'art. 117, 6° comma, della Costituzione, in quanto la materia dell'accesso al pubblico impiego è oggetto di riserva di legge (art. 97, comma 3, Cost.)».
Il parere mette, finalmente, bene in evidenza la differenza che esiste tra la funzione di organizzazione ed il reclutamento. Gli enti sono autonomi nello stabilire l'architettura organizzativa, ovvero quante strutture di vertice esistano, di quali servizi siano composte, con quali interrelazioni sono connesse e, di conseguenza, quanti e quali siano le posizioni dirigenziali preposte. Ma, tutto ciò non ha nulla a che vedere col sistema di reclutamento, non rimesso all'autonomia regolamentare, bensì disciplinato dalla legge.
La Sezione Puglia, concordemente con la Sezione Autonomie e le Sezioni Piemonte ed Emilia Romagna, priva di pregio anche l'osservazione secondo la quale l'abolizione dell'articolo 110, commi 1 e 2, avrebbe dovuto essere frutto di una norma espressa, in applicazione dell'articolo 1, comma 4, del Tuel, ribadendo che tale ultima norma «di rafforzamento» altro non essendo se non una fonte di pari rango legislativo al d.lgs 150/23009, rimane comunque soggetta al criterio cronologico, traducendosi in buona sostanza in un'esortazione ovviamente non vincolante per il legislatore futuro. Se così non fosse, sarebbe, infatti, l'articolo 1, comma 4, una norma incostituzionale.
Infine, il parere si esprime anche sulla percentuale di dirigenti a contratto acquisibili dagli enti locali, osservando che essa non possa che coincidere col tetto dell'8%, riferito ai dirigenti non generali, non potendosi applicare la percentuale del 10%, che riguarda i dirigenti di prima fascia, assenti nell'ordinamento locale (articolo ItaliaOggi del 06.08.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOL'osservanza dell'orario di lavoro costituisce un obbligo del dipendente pubblico, anche del personale con qualifica dirigenziale, quale elemento essenziale della prestazione retribuita dalla Amministrazione Pubblica e l'orario di lavoro, comunque articolato, deve essere documentato ed accertato mediante controlli di tipo automatici ed obiettivi, come disposto dalle vigenti normative in materia.
L'osservanza dell'orario di lavoro costituisce un obbligo del dipendente pubblico, anche del personale con qualifica dirigenziale, quale elemento essenziale della prestazione retribuita dalla Amministrazione Pubblica e l'orario di lavoro, comunque articolato, deve essere documentato ed accertato mediante controlli di tipo automatici ed obiettivi, come disposto dalle vigenti normative in materia.
I sistemi automatizzati di rilevazione dell'orario di lavoro devono essere utilizzati per determinare direttamente la retribuzione principale e quella accessoria, da corrispondere a ciascun dipendente, per cui ciò comporta che ad ogni eventuale assenza, totale o parziale dal posto di lavoro (che non sia giustificata dalla vigente normativa in materia) consegue -oltre alla proporzionale automatica riduzione della retribuzione- anche l'attivazione, da parte dei Dirigenti responsabili, delle procedure disciplinari previste dalla normativa vigente.
Anche “i permessi brevi fruiti dai dipendenti pubblici per esigenze personali” (tra i quali rientrano certamente anche le consumazioni al bar fuori dell'edificio presso il quale i dipendenti pubblici sono in servizio) devono essere autorizzati e recuperati successivamente secondo modalità definite dal Dirigente, ed “i Dirigenti sono responsabili dell'osservanza dell'orario di lavoro da parte del personale dipendente”; eventuali violazioni dei dirigenti responsabili e del personale dipendente, conseguenti a dolo o colpa grave, che comportano una mancata prestazione, con relativo danno erariale, concretano una violazione penale, oltre che responsabilità disciplinare e contabile.
In presenza di accertata dolosa o colposa inadempienza nella dovuta prestazione lavorativa da parte dei pubblici dipendenti, è pacifica e consolidata la giurisprudenza della Corte dei Conti nel riconoscere la responsabilità amministrativa contabile dei predetti dipendenti pubblici, ritenendo che il danno è, in questi casi, quanto meno pari alla spesa sostenuta dall'Amministrazione Pubblica datrice di lavoro per la retribuzione complessivamente erogata a favore dei dipendenti pubblici in questione nel periodo in cui essi non hanno reso la dovuta prestazione lavorativa, fatti salvi comunque gli ulteriori danni che possono essere stati causati a motivo della assenza arbitraria nella gestione dei servizi ai quali i predetti dipendenti pubblici erano addetti o preposti (cfr., fra le tante, Sez. Giurisd. Reg. Molise, Sent. n. 226 del 22.11.1996; Sez. Giurisd. Reg. Toscana, Sent. n. 275 del 20.05.1996; Sez. Giurisd. Reg. Veneto, Sent. n. 238 del 29.11.2000; Sez. Giurisd. Reg. Marche, Sent. n. 807 del 28.10.2003; Sez. Giurisd. Reg. Sicilia, Sent. n. 2375 del 23.08.2004; Sez. Giurisd. Reg. Liguria, Sent. n. 704 del 19.05.2005; e di questa Sezione Giurisdizionale Regionale dell'Umbria, tra le varie, Sent. n. 50/E.L./96 del 17.01.1996; Sent. n. 152/R/96 dell'11.03.1996; Sent. n. 290/E.L./97 del 21.07.1997; Sent. n. 831/R/98 del 02.10.1998; Sent. n. 52/R/99 dell'08.02.1999; Sent. n. 379/E.L./99 dell'01.07.1999; Sent. n. 424/R/2000 del 31.07.2000; Sent. n. 2/E.L./2004 del 09.01.2004, ecc.).
Facendo applicazione al caso di specie del richiamato e condiviso indirizzo giurisprudenziale, si deve convenire con la Procura Regionale sulla irregolare ed eticamente riprovevole condotta tenuta, nella circostanza, dalla Sig.ra ...,  la quale -quantomeno il 24.04.2003 (data del controllo formale)- si è assentata dal suo ufficio durante l'orario di servizio, senza autorizzazione, senza timbratura del cartellino magnetico e senza alcuna giustificazione, per essersi recata a fare colazione al bar al di fuori dell'edificio comunale.
In sostanza, nella fattispecie che ci occupa, la convenuta è venuta meno, con colpa grave, ai suoi precisi obblighi di servizio, allorché -senza la prescritta autorizzazione, senza timbratura del cartellino magnetico e senza alcuna giustificazione- si è assentata dal suo ufficio per i motivi innanzi detti, sottraendo un certo periodo di tempo all'orario di lavoro ed al tempo di lavoro contrattualmente definito.
Nella vicenda in esame il danno patrimoniale sussiste ed è chiaramente da imputare alla violazione del sinallagma prestazione/retribuzione contrattualmente definito, non essendo stato recuperato da parte della convenuta il tempo di lavoro arbitrariamente e colposamente sottratto all'Amministrazione Pubblica datore di lavoro, pur in presenza di regolare percezione della intera retribuzione
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Umbria, sentenza 23.08.2005 n. 313 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIl “danno all'immagine ed al prestigio della P.A.” rientra nella connotazione del “danno patrimoniale in senso ampio” ex art. 2043 c.c., in collegamento con l'art. 2 Cost., e “non si correla necessariamente ad un comportamento causativo di reato penale”, non rientrando nell'ambito di applicabilità dell'art. 2059 c.c. ma può ben discendere anche “da un comportamento gravemente illegittimo ovvero gravemente illecito extrapenale”.
Il “danno all'immagine ed al prestigio della P.A.” compiuto da parte di un soggetto legato alla P.A. da un rapporto di lavoro, di impiego o di servizio (anche di fatto) viene in rilievo unitamente ad altri fondamentali e necessari concomitanti elementi, quali il necessario “clamor” e la risonanza e l'amplificazione della notizia da parte dei vari mezzi di informazione, che “non integrano (però) la lesione, ma ne indicano la dimensione”, stando ad evidenziare gli “indici di dimensione via via maggiori che il medesimo evento lesivo può assumere a seconda delle circostanze”.

Per quanto attiene il “danno all'immagine ed al prestigio della P.A.” è ben nota, ormai, la posizione e la impostazione concettuale assunta in merito a tale forma di danno erariale da questa Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria (si citano, tra le tante, Sent. n. 501/E.L./1998; Sent. n. 1087/R/1998; Sent. n. 147/R/1999; Sent. n. 582/E.L./1999; Sent. n. 622/E.L./1999; Sent. n. 505/R/2000; Sent. n. 557/R/2000; Sent. n. 620/E.L./2000; Sent. n. 98/E.L./2001; Sent. n. 511/R/2001; Sent. n. 275/E.L./2004; Sent. n. 278/E.L./2004; Sent. n. 49/E.L./2005; ecc.; tutte perfettamente in linea con la giurisprudenza prevalente e maggioritaria in materia, come definita anche in sede di Appello -vedasi al riguardo, in particolare, Sez. Centr. Giurisd. d'Appello, Sent. n. 78/2003/A e Sent. n. 340/2003/A- e dalle Sezioni Riunite in sede Giurisd. della Corte dei Conti con la Sentenza n. 10/Q.M./2003).
In questa sede si ritiene, peraltro, di dover ribadire che il “danno all'immagine ed al prestigio della P.A.” -contrariamente a quanto fatto presente dalla difesa della convenuta- rientra nella connotazione del “danno patrimoniale in senso ampio” ex art. 2043 c.c., in collegamento con l'art. 2 Cost., e “non si correla necessariamente ad un comportamento causativo di reato penale”, non rientrando nell'ambito di applicabilità dell'art. 2059 c.c. (fermo restando, in ogni caso, il principio della separatezza del giudizio per responsabilità amministrativa contabile rispetto a quello penale, come rilevabile dal novellato art. 3 c.p.p.), ma può ben discendere anche “da un comportamento gravemente illegittimo ovvero gravemente illecito extrapenale”.
A quest'ultimo riguardo, è stato, inoltre, precisato che -ove non si tratti di fattispecie derivante da reati penali- “non tutti gli atti o comportamenti genericamente illegittimi o illeciti compiuti da un amministratore, da un dipendente (anche di fatto), o da un agente pubblico (che pure non giovano certamente al prestigio ed all'immagine della P.A.) sono causalmente idonei a determinare una menomazione di detta immagine e di detto prestigio”, venendo in rilievo -a questi fini (e, perciò, rilevanti nel giudizio di responsabilità amministrativa contabile)- “solo i comportamenti gravemente illegittimi ovvero gravemente illeciti (anche di carattere extrapenale)”, purché “idonei - nella loro consistenza fenomenica” - a produrre quella “grave perdita di prestigio e della immagine” e quel “grave detrimento della personalità pubblica”.
Va, inoltre, fatto rilevare che il “danno all'immagine ed al prestigio della P.A.” compiuto da parte di un soggetto legato alla P.A. da un rapporto di lavoro, di impiego o di servizio (anche di fatto) viene in rilievo unitamente ad altri fondamentali e necessari concomitanti elementi, quali il necessario “clamor” e la risonanza e l'amplificazione della notizia da parte dei vari mezzi di informazione, che “non integrano (però) la lesione, ma ne indicano la dimensione”, stando ad evidenziare gli “indici di dimensione via via maggiori che il medesimo evento lesivo può assumere a seconda delle circostanze”.
Come indicato anche nelle precedenti citate Sentenze della Corte dei Conti, tale forma di danno erariale va inquadrato:
a) nell'ambito della categoria del “danno patrimoniale ingiusto per violazione di un diritto fondamentale della persona giuridica pubblica”, rapportandolo, quindi, -come già evidenziato- al “danno patrimoniale in senso ampio” ex art. 2043 c.c. in collegamento con l'art. 2 Cost.;
b) nell'ambito della fattispecie del “danno esistenziale”, inteso quale “tutela della propria identità, del proprio nome, della propria reputazione e credibilità”;
c) nell'ambito della categoria del “danno/evento” (e non del “danno/conseguenza”), considerato che, poiché l'“oggetto del risarcimento non può che essere una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva e la liquidazione del danno non può riferirsi se non a perdite, a questi limiti soggiace anche la tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali causati dalla lesione di diritti od interessi costituzionalmente protetti, quali il diritto all'immagine, con la peculiarità che essa deve essere ammessa, per precetto costituzionale, indipendentemente dalla dimostrazione di perdite patrimoniali, oggetto del risarcimento, senza la diminuzione o la privazione di valori inerenti al bene protetto”;
d) nell'ambito delle fattispecie per le quali -non essendo richiesta la prova delle spese necessarie al recupero del bene giuridico leso- si può fare affidamento -per la concreta determinazione dell'ammontare del danno erariale- sulla “valutazione equitativa del Giudice”, ai sensi dell'art. 1226 c.c., sulla base dei “parametri di tipo oggettivo, soggettivo e sociale” come definiti dalla giurisprudenza maggioritaria e prevalente della Corte dei Conti di cui si è detto ed, in particolare, da diverse Sentenze della Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria;
e) nell'ambito delle fattispecie per le quali sussiste in ogni caso “l'onere per l'attore di indicare le presunzioni, gli indizi e gli altri parametri che intende utilizzare sul piano probatorio” (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Umbria, sentenza 23.08.2005 n. 313 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI SERVIZI: Trasmissione dei dati relativi ad affidamenti a Cooperative sociali ex art. 5 della Legge n. 381/1991 (comunicato 21.07.2010 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Trasmissione dei dati relativi a soggetti che eseguono opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione (comunicato 21.07.2010 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Quesiti giuridici.
Il Presidente ad interim dell’Autorità, Giuseppe Brienza, ha emanato un comunicato per chiarire chi è legittimato a presentare richiesta di parere giuridico, in base ai requisiti di ammissibilità previsti dall’articolo 2 del Regolamento sulla istruttoria dei quesiti giuridici.
Per i Ministeri possono presentare richiesta il Ministro, il Segretario Generale, i Direttori Generali.
Per gli Enti Territoriali, il Presidente della Giunta Regionale o Provinciale e gli Assessori, il Sindaco e gli Assessori, il Segretario Provinciale e Comunale, il Segretario Generale, i Direttori Generali.
Per le Università e altri istituti, il Rettore, il Preside, il Direttore Amministrativo. Per le altre Autorità indipendenti e Agenzie, il Presidente ed il Segretario Generale.
Per i soggetti privati, il Presidente e l’Amministratore Delegato (comunicato 21.07.2010 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Fenomeni di inquinamento in atto - Avviso di avvio del procedimento - Omissione - Legittimità - Esigenze di celerità - Art. 7 L. n. 241/1990.
In presenza di fenomeni di inquinamento della falda freatica con possibile inquinamento batteriologico può legittimamente omettersi la comunicazione di avvio del procedimento, in quanto fondata ragione di impedimento derivante da particolari esigenze di celerità (art. 7 l. 241/1990) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 06.08.2010 n. 2656 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Istruttoria - Forma libera - Dichiarazioni di persone a conoscenza dei fatti - Utilizzabilità - Fondamento - Art. 6, c. 1 L. n. 241/1990.
Secondo la norma generale dell’art. 6, co. 1, lett. b), della L. n. 241/1990, l’istruttoria nel procedimento amministrativo in generale si svolge in forma libera, e non conosce prove legali predeterminate, talché possono essere senz’altro usate dall’amministrazione prove costituite da dichiarazioni di persone a conoscenza dei fatti e documentazione prodotta dagli stessi (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 06.08.2010 n. 2656 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: L'affidamento ad una società mista con gara ad evidenza pubblica per la selezione del socio, non costituisce affidamento diretto.
La sussistenza di un interesse di una società mista alla partecipazione ad una gara in ambito extra territoriale non può che essere valutata dall'ente esponenziale della comunità di riferimento, ossia il Comune che ha costituito la società.

L'affidamento di un servizio pubblico ad una società mista appositamente costituita con un socio privato operativo, scelto mediante procedura ad evidenza pubblica, è da equiparare all'affidamento mediante gara. Tale procedura garantisce, infatti, il rispetto dei principi comunitari in tema di libero mercato, in quanto non si realizza un affidamento diretto alla società, ma piuttosto un affidamento con procedura di evidenza pubblica dell'attività operativa della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta all'individuazione di quest'ultimo.
Il modello, in altre parole, trae la propria peculiarità dalla circostanza che la gara ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato abbia ad oggetto, al tempo stesso, l'attribuzione dei compiti operativi e quella della qualità di socio (nella specie, è stato ritenuto legittimo, sulla base di dette considerazioni, l'affidamento del servizio relativo alla gestione della farmacia comunale ad una società mista, in cui il socio privato di minoranza è stata effettuata mediante procedura ad evidenza pubblica).
La sussistenza di un interesse della società mista alla partecipazione ad una gara in ambito extra territoriale non può che essere valutata dall'ente esponenziale della comunità di riferimento, ossia il Comune che ha costituito la società. Ne deriva che, ove il Comune, che detiene la quota maggioritaria del capitale sociale, autorizzi una modificazione statutaria finalizzata a consentire la partecipazione alla gara in questione, non sembra si possa dubitare che abbia ritenuto la gestione di una nuova farmacia come rispondente all'interesse della comunità di riferimento (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.08.2010 n. 5214 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: L’art. 5, co. 1, della legge 381/1991 non consente di utilizzare le convenzioni ivi previste per l’affidamento di servizi pubblici locali quale il servizio di scuolabus.
L’art. 5, co. 1, della legge 08.11.1991 n. 381, in materia di cooperative sociali, consente agli enti pubblici ed alle società di capitali a partecipazione pubblica di stipulare “anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione” apposite convenzioni con le cooperative sociali come definite dal precedente art. 1, ovvero con i corrispondenti organismi operanti negli altri Stati membri della Comunità europea, per la fornitura di “beni o servizi” diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato sia inferiore alla c.d. soglia comunitaria e purché tali convenzioni siano finalizzate alla creazione di opportunità di lavoro per le persone svantaggiate.
La norma non consente, perciò, di utilizzare le convenzioni ivi previste per l’affidamento di servizi pubblici locali, quale deve considerarsi il servizio di scuolabus di cui qui si discute.
Non v’è dubbio infatti, a tal riguardo, che il detto servizio si inquadri perfettamente nel concetto di servizio pubblico locale come qualificato dall’art. 112 del t.u.e.l. di cui al d.lgs. 18.08.2000 n. 267, ai sensi del quale “gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”.
Tanto sul piano sia soggettivo, essendo il ripetuto servizio riconducibile alla competenza comunale, che oggettivo, attese le finalità sociali a favore della collettività dell’attività svolta, le quali caratterizzano e distinguono appunto il servizio pubblico rispetto alla fornitura di servizi, diretta a soddisfare esigenze dell’amministrazione pubblica e che questa ha facoltà, a termine del cit. art. 5, co. 1, della legge n. 381 del 1991, di procurarsi tramite convenzione diretta, in deroga alle norme in materia di contratti dell’amministrazione pubblica, con le cooperative sociali ove tale convenzione sia volta allo scopo di creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate (cfr., in fattispecie analoga riguardante il servizio pubblico di raccolta e trasporto di rifiuti urbani, la decisione sull’appello reg. gen. n. 5394/2009 assunta alla camera di consiglio del 09.02.2010, in corso di pubblicazione).
Il detto art. 5, co. 3, prevede una mera facoltà di deroga all’evidenza pubblica da parte dell’ente pubblico o società di capitali a partecipazione pubblica, ossia una mera volontà della stazione appaltante, sicché la scelta di procedere mediante gara e, conseguentemente, di negare il convenzionamento non solo è insindacabile, ma pure, come affermato dal TAR, non necessita di alcuna specifica motivazione (ben altrimenti che nel caso di adesione alla proposta di deroga) se non, come fatto nella specie, la semplice enunciazione dell’aver seguito la regola e senza che l’intento di procedervi debba essere preannunciato prima della relativa determinazione.
In ciò non diversamente, in tema di concorsi a posti alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, dalla nomina degli idonei in posti vacanti che, com’è noto, costituisce una facoltà e non un obbligo, trattandosi di potere che rientra nella discrezionalità dell’ente, fatte salve situazioni particolari in cui il legislatore abbia espressamente disposto l’obbligo per le amministrazioni di procedere allo scorrimento delle graduatorie ancora valide (cfr., in materia, Cons. St., sez. V, 18.12.2009 n. 8369) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.08.2010 n. 5100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il principio di omnicomprensività della retribuzione impedisce di attribuire compensi aggiuntivi per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici.
Secondo la recente giurisprudenza della Sezione (cfr. Cons. St., Sez. V, 12.02.2008, n. 493), alla quale il Collegio ritiene di dover prestare adesione, non ravvisando validi motivi per discostarsene, il principio di omnicomprensività della retribuzione impedisce di attribuire compensi aggiuntivi per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici.
In tale ambito si colloca anche l’attività di notificazione svolta dai messi comunali nell’interesse dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni dello Stato, tenendo conto della evoluzione dell’ordinamento.
Il Collegio è consapevole della decisione della Sezione, 20.10.1994, n. 1183, la quale ha affermato la sussistenza del diritto dei dipendenti comunali messi notificatori ad ottenere un compenso aggiuntivo per l’espletamento del servizio delle notificazioni, qualificato come aggiuntivo e autonomamente disciplinato, quanto all’aspetto retributivo.
Detta pronuncia, tuttavia, si riferisce ad un contesto ordinamentale e temporale, nel quale il principio della onnicomprensività retributiva e della contrattualizzazione della disciplina dei compensi spettanti al personale non era ancora completamente attuato.
In ogni caso, poi, occorre considerare con attenzione anche il quadro mansionario concretamente attribuito, di volta in volta, ai dipendenti addetti al servizio di notificazione. In tale prospettiva, non può essere trascurato che le attività assegnate all’attuale appellante consistono proprio “nella funzione di notificazione degli atti di pertinenza del comune e nelle altre incombenze spettanti per legge e per regolamento al messo comunale”.
Anche la notificazione degli atti nell’interesse dell’amministrazione finanziaria o di altra amministrazione dello Stato si svolge nel normale orario di ufficio e mediante l’utilizzo degli strumenti organizzativi messi a disposizione dall’amministrazione.
Numerose disposizioni succedutesi nel tempo, poi, hanno evidenziato la sussistenza del dovere istituzionale dei messi comunali di effettuare le prescritte attività di notifica anche in relazione agli atti di competenza dell’amministrazione finanziaria (fra le tante: art. 32 del D.P.R. n. 636/1972; art. 60 del D.P.R. n. 600/1973.
Solo il quadro normativo preesistente al 1979 permetteva il riconoscimento, in favore dei messi comunali, di un compenso aggiuntivo per ogni atto dell'Amministrazione finanziaria notificato. Vi erano, infatti, almeno tre disposizioni che portavano a tale conclusione:
- l’art. 1 della legge 27.02.1955 n. 83, che riconosceva ai messi comunali un compenso di lire 25 per ogni atto notificato ad istanza dell'Amministrazione finanziaria;
- l’art. 1 della legge 24.02.1971 n. 114, che elevava a lire 50 o a lire 100 il compenso per le dette notifiche);
- l’art. 1 della legge 10.05.1976 n. 249, che fissava il compenso in una misura variabile da lire 500 a lire 750, a seconda della classe demografica del comune.
Successivamente, le tre disposizioni richiamate sono state superate, per abrogazione implicita o esplicita.
In particolare, l’art. 19, comma 4, del D.P.R. 01.06.1979 n. 191 ha espressamente stabilito che “al personale dipendente degli Enti locali di cui all’art. 1 compete esclusivamente la retribuzione annua lorda derivante dal trattamento economico di livello e dalla progressione economica orizzontale, inglobante qualsiasi retribuzione per prestazioni a carattere sia continuativo che occasionale ad eccezione del compenso per lavoro straordinario, dell’indennità di missione e trasferimento, dell’indennità per la funzione di coordinamento di cui all’art. 24, del compenso per servizio ordinario notturno e festivo nonché delle indennità per maneggio valori, per radiazioni ionizzanti e per profilassi antitubercolare da determinare con le modalità di cui al regolamento di attuazione della legge n. 734 del 1973, approvato con D.P.R. n. 146 del 1975, e successive modificazioni, nonché con le modalità previste dalla legge n. 310 del 1953”.
Mediante tale norma è stata cristallizzato esplicitamente il principio di onnicomprensività del trattamento economico del personale degli enti locali, con la conseguente abrogazione di tutte le disposizioni, anche di valore legislativo, prevedenti componenti retributive non rientranti nell'elencazione prevista dall'art. 19, comma 4.
Alla modifica del 1979 sono poi seguiti altri due interventi normativi di rilievo. L'art. 4, comma 2, della legge 12.07.1991 n. 202 ha abrogato l'art. 4, comma 1, della legge n. 249 del 1976. L'art. 34 della legge 18.02.1999 n. 28 ha previsto una nuova disciplina, ad efficacia retroattiva, dei compensi di notifica, affermando che “a decorrere dal 27.07.1991 e fino all'entrata in vigore della disciplina concernente il riordino dei compensi spettanti ai Comuni per la notificazione degli atti a mezzo dei messi comunali su richiesta di uffici della Pubblica amministrazione, al Comune spetta, ove non corrisposta, la somma di lire tremila per ogni singolo atto dell'Amministrazione finanziaria notificato”.
In base a tale norma, il compenso per le notificazioni va corrisposto alle amministrazioni comunali e non già ai dipendenti.
Una ulteriore conferma della correttezza di questa interpretazione, deriva dal tenore dell'art. 10 della legge 03.08.1999 n. 265, secondo il quale “le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 del decreto legislativo 03.02.1993 n. 29, e successive modificazioni, possono avvalersi, per le notificazioni dei propri atti, dei messi comunali, qualora non sia possibile eseguire utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle altre forme di notificazione previste dalla legge. Al Comune che vi provvede spetta da parte dell'Amministrazione richiedente, per ogni singolo atto notificato, oltre alle spese di spedizione a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento, una somma determinata con decreto dei Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dell’interno e delle finanze”.
In tale solco si è inserita la interpretazione giurisprudenziale successiva, che sottolinea il rapporto di immedesimazione organica diretta tra Amministrazione finanziaria o statale in genere e singolo messo notificatore.
In particolare, nella giurisprudenza del giudice di primo grado si è chiarito che:
- il diritto dei messi notificatori al compenso per gli atti notificati a richiesta dell'Amministrazione finanziaria, previsto da specifiche norme di legge, è stato soppresso dall'art. 19 del D.P.R. 01.06.1979 n. 191; peraltro, la disposizione dell'art. 34 della legge 18.02.1999 n. 28 -concernente il riordino dei compensi spettanti ai Comuni per la notificazione degli atti a mezzo dei messi comunali su richiesta di uffici della Pubblica amministrazione- prevede come unica destinataria l'Amministrazione comunale, con la conseguenza che deve essere esclusa, almeno a livello implicito, qualsiasi volontà legislativa di attribuire un particolare compenso per ogni atto notificato al singolo messo comunale (cfr. TAR Basilicata, 13.07.2004 n. 725 e TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 20.09.2001 n. 5415 e 10.05.2000 n. 2343).
In senso analogo, la giurisprudenza ha affermato che, in virtù del principio di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti degli Enti locali, fissato dall'art. 19 D.P.R. 01.06.1979 n. 191, ai dipendenti comunali con la qualifica di messo non spetta alcun compenso aggiuntivo per l’attività di notificazione di atti richiesta al Comune dall'Amministrazione finanziaria, rientrando tali funzioni tra gli ordinari compiti d' ufficio spettanti ai detti dipendenti (cfr. TAR Piemonte, Sez. II, 25.01.2003 n. 117 e 15.04.2000 n. 421).
Ancora, si è stabilito che, in tema di notifica degli avvisi di accertamento tributario, qualora l'Amministrazione finanziaria, avvalendosi della facoltà di cui all'art. 600 del D.P.R. 29.09.1973 n. 600, richieda al Comune di provvedere all'incombente a mezzo di messi comunali, si instaura, tra Amministrazione statale ed Ente locale, un rapporto di preposizione gestoria che deve essere qualificato come mandato ex lege, la cui violazione costituisce, se del caso, fonte di responsabilità esclusiva a carico del Comune, non essendo ravvisabile l'instaurazione di un rapporto di servizio diretto tra Amministrazione finanziaria e messi comunali, che operano alle esclusive dipendenze dell' Ente territoriale (cfr. TAR Veneto, 22.08.2002 n. 4508).
Infatti, deve escludersi che tra i messi comunali e l’Amministrazione richiedente la notifica corra un rapporto diretto (Cass., SS.UU., 06.06.1997 n. 5069, Cass., 16.06.1998 n. 5987 e TAR Toscana, Sez. I, 14.11.1997 n. 527).
Da ultimo, appare significativa la circostanza che sia intervenuto, in epoca successiva, un nuovo assetto della materia, costituito dall’art. 54 del C.C.N.L. del 14.09.2000, secondo il quale i messi notificatori sono stati destinatari del compenso pari al 35% degli introiti per le notifiche.
Tale evenienza conferma come sia indispensabile, per il riconoscimento della pretesa indennità in favore del personale dipendente, una norma specifica che lo consenta.
È appena il caso di osservare che le recenti decisioni della IV Sezione (19.02.2007, n. 850 e 14.02.2006, n. 604), non alterano la conclusione raggiunta, perché esse si limitano ad affermare la persistente vigenza dell’obbligo dell’amministrazione finanziaria di corrispondere ai comuni un compenso per l’effettuazione delle notifiche, senza prendere alcuna esplicita posizione sulla fondatezza della pretesa economica fatta valere dai dipendenti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.08.2010 n. 5099 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: SUL C.D. "SOCCORSO ISTRUTTORIO".
1. Appalto pubblico (in generale) - Documentazione - Errore materiale - Rettifica - Obblighi della stazione appaltante.
2. Procedimento amministrativo - Responsabile del procedimento - Istruttoria - Doveri - Profili.

1. In caso di errore materiale di una cooperativa, la quale ha nei termini previsti prodotto la documentazione richiesta dal bando di gara, è obbligo del responsabile del procedimento richiedere la rettifica di istanze erronee o incomplete nella esplicazione di quel principio di regolarizzazione degli atti che si affianca a quello acquisitivo proprio dell'iniziativa di ufficio della fase istruttoria, sicché ne deriva che a fronte di documentazione ritenuta inidonea è onere dell'amministrazione completare l'istruttoria richiedendo all'interessato quanto necessario a tal fine, e il principio secondo il quale il responsabile del procedimento amministrativo è tenuto a indicare o rettificare eventuali irregolarità formali è applicabile anche al procedimento di gara pubblica, a condizione che non sia turbata la par condicio dei concorrenti e non vi sia una modificazione del contenuto della documentazione presentata (confronta fra le tante Cons. Stato, sez. V, 03-09-2001 n. 4586).
2. E' obbligo preciso del responsabile dell'istruttoria svolgere ogni tipo di attività volta all'accertamento dei fatti oggetto del procedimento, e se per tale necessità sono opportune più istanze istruttorie, non è violato il principio di non aggravamento del procedimento, quante volte tali istanze siano giustificate dall'esigenza di procedere (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 30.07.2010 n. 3305 - link a
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URBANISTICAE' legittimo che l'Amministrazione comunale non sottoscriva una convenzione urbanistica già approvata e, in via di autotutela, provveda successivamente ad autodeterminarsi in merito alla quantificazione della monetizzazione della ree a standard.
E' corretta la lettura dell'art. 46 l.r. Lombardia n. 12/2005 circa l’espressione “somma commisurata all’utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione” nel senso che l’utilità da corrispondere deve essere pari al valore di mercato delle aree edificabili che, grazie alla monetizzazione, restano nella disponibilità del lottizzante.
L’espressione “commisurata” non può che essere intesa come sinonimo di “pari a” in quanto, il legislatore regionale, ove avesse voluto attribuire all’espressione il diverso significato di “proporzionata” (e dunque avesse inteso l’utilità come pari ad una quota o percentuale del valore di mercato), avrebbe indicato il criterio per la determinazione della somma (e, dunque, la misura della quota o della percentuale da applicare al valore di mercato).

Non costituisce motivo di illegittimità della deliberazione impugnata la mancata conclusione del procedimento con la stipula della convenzione nella versione precedente alle modifiche apportate con la deliberazione impugnata: con quest’ultimo atto l’amministrazione ha, difatti, escluso di volere addivenire alla stipula della convenzione nel testo previsto dalla delibera del Consiglio Comunale n. 43 del 23.04.2007. La p.a. ha, dunque, esercitato il potere di autotutela per annullare e modificare lo schema di convenzione nella parte relativa alla quantificazione dell’importo dovuto dalla lottizzante per la monetizzazione delle aree a standard non cedute in sito, facendo così venire meno l’obbligo di addivenire alla stipula della convenzione nel testo originariamente previsto.
L’amministrazione con la deliberazione impugnata ha esercitato il potere di autotutela annullando e modificando la previsione dello schema di convenzione relativa all’importo dovuto per la monetizzazione delle aree a standard non cedute in sito, in conseguenza di un approfondimento della questione sollevata dalla associazione Astrov e dell’accoglimento di una interpretazione dell’art. 46, l. Regione Lombardia n. 12/2005 differente rispetto a quella precedentemente seguita: l’avere mutato il proprio convincimento non concreta affatto un vizio dell’atto impugnato essendo, al contrario, il presupposto per l’esercizio del potere di autotutela; non rileva, dunque, il contrasto tra quanto asserito nell’atto di autotutela e in precedenti provvedimenti.
Ai sensi dell’art. 46, c. 1, lett. a, l. Regione Lombardia n. 12/2005 “la convenzione, alla cui stipulazione è subordinato il rilascio dei permessi di costruire ovvero la presentazione delle denunce di inizio attività relativamente agli interventi contemplati dai piani attuativi, oltre a quanto stabilito ai numeri 3) e 4) dell'articolo 8 della legge 06.08.1967, n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150), deve prevedere: a) la cessione gratuita, entro termini prestabiliti, delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, nonché la cessione gratuita delle aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale previste dal piano dei servizi; qualora l'acquisizione di tali aree non risulti possibile o non sia ritenuta opportuna dal comune in relazione alla loro estensione, conformazione o localizzazione, ovvero in relazione ai programmi comunali di intervento, la convenzione può prevedere, in alternativa totale o parziale della cessione, che all'atto della stipulazione i soggetti obbligati corrispondano al comune una somma commisurata all'utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione e comunque non inferiore al costo dell'acquisizione di altre aree. I proventi delle monetizzazioni per la mancata cessione di aree sono utilizzati per la realizzazione degli interventi previsti nel piano dei servizi, ivi compresa l'acquisizione di altre aree a destinazione pubblica”.
La decisione dell’amministrazione di interpretare l’espressione “somma commisurata all’utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione” nel senso che l’utilità da corrispondere deve essere pari al valore di mercato delle aree edificabili che, grazie alla monetizzazione, restano nella disponibilità del lottizzante, è frutto di una corretta lettura dell’art. 46, l. Regione Lombardia n. 12/2005.
A favore di tale soluzione depone, in primo luogo, il tenore letterale della disposizione: l’espressione “commisurata” non può che essere intesa come sinonimo di “pari a” in quanto, il legislatore regionale, ove avesse voluto attribuire all’espressione il diverso significato di “proporzionata” (e dunque avesse inteso l’utilità come pari ad una quota o percentuale del valore di mercato), avrebbe indicato il criterio per la determinazione della somma (e, dunque, la misura della quota o della percentuale da applicare al valore di mercato).
L’interpretazione accolta dall’amministrazione è, inoltre, rispettosa della ratio dell’art. 46, l. Regione Lombardia n. 12/2005, che è quella prevedere il pagamento di una somma di denaro che sia di importo tale da realizzare l’equivalenza delle due soluzioni (cessione delle aree e monetizzazione) sia per l’amministrazione comunale che per il privato (il quale, in mancanza di tale obbligo, conseguirebbe un indebito vantaggio ricorrendo alla monetizzazione).
Né l’art. 46, l. Regione Lombardia n. 12/2005 così interpretato integra, come invece paventa la ricorrente, una riserva alla mano pubblica di quote di edificabilità privata senza che siano previsti i ristori e le garanzie di cui all’art. 42 Cost.: la norma, oltre ad attribuire al privato una facoltà e non un obbligo, mira, difatti, unicamente a compensare la maggiore utilità economica che al privato deriva dal ricorso alla monetizzazione anziché alla cessione delle aree
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.07.2010 n. 3280 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - L. n. 447/1995 - Applicabilità ai rapporti tra privati - Esclusione - Art. 844 c.c. - Immissioni superiori alla normale tollerabilità - Rumore differenziale - Limite dei 3 Db.
La L. 447/1995 non si applica nei rapporti tra i privati: ai fini dell’art. 844 c.c., le immissioni si presumono superiori alla normale tollerabilità , ai fini dell’art. 844 c.c., quando il c.d. “differenziale” tra il rumore causato dalle fonti rumorose ed il “rumore di fondo” superi il limite di 3 Db (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 30.07.2010 n. 3274 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Concorrente ad una gara pubblica - Dichiarazioni - Falso innocuo - Nozione.
Il falso dichiarato da un concorrente ad una gara pubblica può ritenersi innocuo, e, quindi, non idoneo a giustificare un provvedimento di esclusione dalla gara, quando non è in grado di influenzare lo svolgimento e l’esito della gara stessa.
Pertanto, non rientrano nella categoria penalistica del “falso innocuo” quelle omissioni e difformità, attuate dai concorrenti, in grado di incidere direttamente sui requisiti e sulle condizioni di partecipazione alla gara e sulla possibilità di addivenire più agevolmente all’aggiudicazione della stessa, anche sotto il profilo inerente la valutazione morale della concorrente (Cons. Stato, V, 13.02.2009, n. 829; cfr. Cass. penale, V, 02.10.2008, n. 39432; 07.11.2007, n. 3564).
Dichiarazione di non essersi avvalsi dei piani di emersione del lavoro irregolare - Sanzione dell’esclusione - Espressa previsione del bando - Necessità - Obbligo di fornire la dichiarazione - Discrezionalità dell’amministrazione.
Per poter determinare l’esclusione dalla gara, la dichiarazione di non essersi avvalsi dei piani di emersione del lavoro irregolare, di cui alla L. 383/2001, deve essere espressamente richiesta dal bando, ed a pena di esclusione. Se così non è, essa viene a costituire solo un’eteronoma ragione impeditiva dell’aggiudicazione, che la P.A. dovrà valutare successivamente alla conclusione della gara stessa.
Né può ritenersi illegittimo il bando, nella parte in cui non prevede debba essere resa dai concorrenti la dichiarazione di non essersi avvalsi dei piani di emersione, dato che appartiene alla discrezionalità dell’Amministrazione imporre ex ante agli stessi l’obbligo di fornire la dichiarazione, ovvero valutare ex post la situazione di fatto. (TAR Friuli Venezia Giulia, I, 08.02.2008, n. 112).
Fatti costituenti reato - Incidenza sulla moralità professionale - Artt. 75 D.P.R. n. 554/1999 e 38 D.lgs. n. 163/2006 - Valutazione della natura ostativa - Stazione appaltante - Esclusione o ammissione - Adeguata motivazione - Necessità.
Nell’ambito dei reati che, a norma dell’art. 75, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 554/1999 e dell’art. 38 del D.lgs. n. 163/2006, possono incidere sull’affidabilità morale dei partecipanti alle gare sono certamente da includere quelli in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro; la valutazione della natura ostativa, o no, di fatti costituenti reato è tuttavia rimessa esclusivamente alla stazione appaltante la quale, di volta in volta, in considerazione di tutte le circostanze concretamente rilevanti nei singoli casi, è chiamata a verificare l’effettiva incidenza delle condanne sul vincolo fiduciario destinato a instaurarsi con l’impresa aggiudicataria (C.G.A. 01.06.2010, n. 806; Cons. Stato, V, 02.02.2010, n. 428; 31.01.2006, n. 349; 28.04.2003, n. 2129).
Di siffatta valutazione l’Amministrazione appaltante deve dare contezza attraverso un’esaustiva motivazione pure nell’ipotesi in cui, in luogo dell’esclusione, ci sia una determinazione di ammissione alla gara e si sia alla presenza di fattispecie delittuose (C.G.A. 04.02.2010, n. 101).
In questo caso, infatti, si radica l’interesse degli altri concorrenti (in particolare, del secondo classificato) a conoscere le ragioni della disposta ammissione, sicché l’amministrazione appaltante è tenuta, in ossequio al generale obbligo di motivazione, almeno a dar conto dell’avvenuta presa in considerazione dei precedenti penali dichiarati dal concorrente, appunto al fine di escluderne, se del caso, l’incidenza sulla moralità professionale (cfr. TAR Lazio, Roma, III, 11.11.2009, n. 11084).
Contratto concluso a seguito di illegittima aggiudicazione - Domanda di annullamento Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - Direttiva 2007/66/CE - D.lgs. n. 53/2010.
La domanda di annullamento del contratto non presuppone l’impugnazione dello stesso in senso proprio, dato che questo non ha natura di provvedimento amministrativo, bensì di quelli unilateralmente posti dalla PA nella formazione della sua volontà di addivenirne alla conclusione mediante l’individuazione del miglior contraente; prima ancora dell’entrata in vigore del decreto legislativo 20.03.2010, n. 53, è stato affermato dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione (ordinanza 10.02.2010, n. 2906) che per effetto della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'11.12.2007, n. 66, secondo una interpretazione costituzionalmente e comunitariamente (art. 117 Cost.) orientata delle norme in materia, per le gare bandite sin dalla data di entrata in vigore di essa, è necessario l'esame congiunto della domanda di invalidità dell'aggiudicazione e di privazione degli effetti del contratto concluso, prima o dopo la decisione del giudice adito, in ragione dei principi di concentrazione, effettività e ragionevole durata del giusto processo disegnato nella Carta costituzionale.
Per effetto della Direttiva in questione, pertanto, anche prima del termine indicato per la sua trasposizione nel diritto interno, si configura la giurisdizione (esclusiva) del giudice amministrativo estesa agli effetti ed alla sorte del contratto concluso a seguito di illegittima aggiudicazione (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 29.07.2010 n. 9057 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Piano di recupero - Piano attuativo delle scelte urbanistiche - Piano particolareggiato - Equivalenza - Finalità - Conservazione, ricostruzione e riutilizzazione del patrimonio edilizio esistente.
Il piano di recupero è, sotto il profilo giuridico, uno strumento urbanistico sostanzialmente attuativo delle scelte urbanistiche primarie contenute nel piano regolatore generale ed è, quindi, equivalente al piano particolareggiato (P.P.).
In particolare, secondo la definizione che la giurisprudenza ha dato dell’istituto, questo “è per sua natura finalizzato ad organizzare razionalmente ed esteticamente il patrimonio edilizio preesistente, avendo come connotazione tipica - che ne individua anche i limiti oggettivi - quella di disciplinare la conservazione, ricostruzione e riutilizzazione del patrimonio preesistente” (Cons. Stato, IV, 05.03.2008, n. 922).
Pianificazione attuativa o piano di lottizzazione - Omissione - Possibilità - Condizioni necessarie.
Può prescindersi dalla pianificazione attuativa prescritta dalle norme tecniche di P.R.G., o dal sostitutivo piano di lottizzazione, ai fini del rilascio della concessione edilizia, solo ove nella zona territoriale omogenea, entro la quale ricade il terreno che si vorrebbe edificare, sia dimostrata la sussistenza di una situazione di fatto corrispondente a quella derivante dal piano attuativo medesimo (o dal sostitutivo piano di lottizzazione), ovvero vi sia la presenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti (cfr. Consiglio di Stato, V, 03.03.2004, n. 1013; TAR Sicilia, Palermo, III, 07.05.2010, n. 6469) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 29.07.2010 n. 9052 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: IMPUGNAZIONE DEGLI STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE URBANISTICA.
Piani urbanistici - Regolatore generale - Prescrizioni - Natura - Differenze - Conseguenze in tema di impugnazione giurisdizionale - Termini - Disciplina - Ragioni.
In tema di disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa statale e regionale, deve distinguersi fra le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione; di destinazione di aree a soddisfare gli "standard" urbanistici; di localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) dalle altre regole che più in dettaglio disciplinano l'esercizio dell'attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano (N.T.A.) o nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze; sull'osservanza di canoni estetici; sull'assolvimento di oneri procedimentali e documentali).
Per le disposizioni appartenenti alla prima categoria, in relazione all'immediato effetto conformativo dello "jus aedificandi" dei proprietari dei suoli interessati che ne deriva, ove se ne intenda contestare il contenuto, si impone un onere di immediata impugnativa, in osservanza del termine decadenziale a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio. Altrimenti le regole di zonizzazione e di localizzazione verserebbero in condizione di inoppugnabilità ed esplicherebbero efficacia cogente per ogni avente causa, che subentrasse nel diritto dominicale con tutti i suoi limiti, sia di natura privatistica che pubblicistica.
A diversa conclusione deve pervenirsi con riguardo alle prescrizioni di dettaglio contenute nelle N.T.A. che, per la loro natura regolamentare, sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano un effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo e possono, quindi, formare oggetto di censura in occasione della sua impugnazione (cfr. in termini Cons. Stato, sez. VI, 05-08-2005 n. 4159) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 29.07.2010 n. 3286 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: 1. Abusi - Demolizione - Presupposti necessari - Conseguenza - Obbligo di motivazione dell'ingiunzione di demolizione - Insussistenza - Deroghe - Casi.
2. Abusi - Repressione - Obbligo di motivazione congrua - Sussistenza - Ipotesi - Ragioni - Conseguenze.
1.
Presupposto per l'adozione dell'ordine di demolizione di opere edilizie abusive resta essenzialmente la constatata realizzazione dell'opera in assenza del titolo abilitativo (o in totale difformità da esso), con la conseguenza che nella ricorrenza del predetto requisito l'ingiunzione demolitoria costituisce praticamente un atto dovuto.
Quanto al profilo della valutazione degli interessi urbanistici e ambientali, i provvedimenti che irrogano sanzioni previste dalla legge in materia edilizia non necessitano in generale di alcuna specifica motivazione in ordine all'interesse pubblico a disporre il ripristino della situazione conforme a legge, con la sola eccezione in cui tra l'illecito e la sanzione demolitoria sia decorso un notevole lasso di tempo (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 3443/2002; cfr. TAR Veneto, sez. II, 13-03-2008 n. 605; TAR Veneto, sez. II, 26-02-2008 n. 454; TAR Lombardia Milano, sez. II, 08-11-2007 n. 6200).
2. La repressione dell'abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull'interesse pubblico al ripristino dei luoghi. In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l'esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all'entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 883/2008; Cons. Stato, sez. V, n. 3270/2006) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 29.07.2010 n. 3286 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Manutenzione - Ordinaria - Sussistenza - Condizioni - Conseguenza.
Tra gli interventi di manutenzione ordinaria possono farsi rientrare solo quelli di modesta entità, che hanno per oggetto le finiture degli edifici e non quelli che hanno a oggetto anche parti, porzioni o elementi strutturali di un edificio o di un manufatto. Infatti, laddove è accertata la realizzazione di nuova volumetria è sempre necessario il rilascio di concessione edilizia (o di permesso di costruire) e non è possibile riscontrare ordinaria o straordinaria manutenzione a fronte di suddetto aumento di volumetria (cfr. TAR Trentino Alto Adige-Trento 28-02-2008 n. 57; TAR Lazio, sez. II, 18-05-2005 n. 3915; TAR Lazio, sez. II, 06-10-2001 n. 8160; Cons. Stato, sez. V, 12-10-1999 n. 1431; Cons. Stato, sez. V, 13-07-1992 n. 646) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 29.07.2010 n. 3286 - link a
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AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Verbale di accertamento - Percezione del rumore o della musica all’esterno di un locale - Natura - Valutazione o giudizio - Esclusione.
Il verbale di accertamento redatto dal pubblico ufficiale fa prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, oppure da lui compiuti, nonché riguardo alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale e alle dichiarazioni delle parti; in tale categoria rientra anche la percezione del rumore o della musica all’esterno di un locale, trattandosi non di una valutazione o di un giudizio ma di una percezione di quanto avvenuto in presenza dell’agente (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 22.07.2010 n. 3202 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGOConcorsi pubblici, stop al sindacato. Consiglio stato: non c'è legittimazione.
Off limits per le sigle sindacali presentare ricorsi sui concorsi indetti dal ministero. Non è riconosciuta loro la legittimazione ad agire in giudizio per tutelare gli iscritti da un concorso che leda carriera e aspettative economiche.
È questa la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. IV, che con la sentenza 16.07.2010 n. 4600 ha accolto il ricorso del ministero delle finanze, capovolgendo la decisione del tribunale amministrativo che, al contrario aveva accolto il ricorso di Dirstat finanze.
La decisione. I giudici di Palazzo Spada fanno leva su un consolidato orientamento giurisprudenziale per cui le associazioni di categoria sono legittimate ad agire in giudizio allorché facciano valere interessi propri della categoria che rappresentano. Per il consiglio di stato invece non è ravvisabile una legittimazione a ricorrere da parte di un'associazione per la salvaguardia di interessi propri di una parte sola degli iscritti dove non ci sia una omogeneità di posizioni soggettive.
Per i giudici non si comprende l'interesse collettivo generale di cui l'organizzazione si intende fare portatrice potendo sussistere per lo stesso consiglio di stato, contrasti anche potenziali tra gli associati.
«La posizione di Dirpubblica», scrivono dunque i giudici, «non è idonea a superare il dato oggettivo costituito dalla impossibilità di riferire l'interesse dedotto in giudizio alla totalità dei suoi iscritti e ciò non può non incidere negativamente sulla legittimazione processuale del sindacato».
La vicenda. Il Tar Lazio–Roma n. 3403/2006 con sentenza 340/2006 aveva accolto il ricorso proposto dalla Federazione Dirpubblica per l'annullamento del decreto del ministro dell'economia e delle finanze 03.08.2005 e del decreto del rettore della Scuola superiore dell'economia e delle finanze del 14.09.2005 nonché degli atti successivi dello speciale corso-concorso pubblico per il reclutamento di dirigenti (i primi 10 classificati) e funzionari (gli ulteriori 25 dell'unica graduatoria).
Il Consiglio di stato ha dunque depositato il 16/07/2010 la sentenza già emessa in camera di consiglio lo stesso giorno del 12/05/2010 con la quale è stato accolto il ricorso di parte pubblica e degli altri controinteressati condannando Dirpubblica al pagamento complessivo di 6 mila euro di spese processuali.
Il Tar in primo grado aveva invece condannato il ministero dell'economia alle spese per 4 mila euro (articolo ItaliaOggi del 04.08.2010, pag. 23 - link a www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVISulla legittimazione delle associazioni di protezione ambientale ovvero di comitati ad impugnare gli atti illegittimi della P.A..
Italia Nostra è legittimata ex art. 13 e 18, co. 5, l. 349/1986 a “ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi”.
E' pacifico l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui un comitato spontaneo di cittadini può essere legittimato ad impugnare provvedimenti ritenuti lesivi di interessi comuni solo se dimostra di avere un collegamento stabile con il territorio ove svolge l’attività di tutela degli interessi stessi, se la sua attività si è protratta nel tempo e se, quindi, il comitato non nasce in funzione della impugnazione di singoli atti e provvedimenti.

Italia Nostra è legittimata ex art. 13 e 18, co. 5, l. 349/1986 a “ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi”.
Non essendo espressamente specificato nella norma quali siano gli atti illegittimi contro cui le associazioni di protezione ambientale possono ricorrere, essi devono essere ricavati interpretativamente dall’art. 1, co. 2, stessa legge che individua come finalità ambientali del Ministero dell’Ambiente “la promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall'inquinamento”.
Le norme degli artt. 13 e 18 l. 349/1986, infatti, attribuendo alle associazioni di protezione ambientale legittimazione attiva nei giudizi dinanzi al giudice ordinario ed a quello amministrativo per tutelare finalità (di protezione dell’ambiente) che sono proprie dell’amministrazione dello Stato, costituiscono applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale poi recepito dall’art. 118, ultimo comma, Cost..
La lettura riduttiva che propone la controinteressata che vorrebbe limitare la legittimazione delle associazioni di protezione ambientale soltanto alla tutela paesistica, che è soltanto una delle tante species della protezione ambientale, non può pertanto essere condivisa.
Occorre anche aggiungere, pur essendo ultroneo per le ragioni appena precisate, che in ogni caso il sito in cui verrebbe ad essere realizzata l’area produttiva non è privo di rilievo paesistico, in quanto classificato dal piano territoriale paesistico regionale come “area di elevata naturalità” ed assoggettata al regime di conservazione degli elementi di naturalità che caratterizza queste ultime.
La tutela paesaggistica, infatti, ormai si è evoluta rispetto al momento in cui venne introdotta con il d.l. 312/1985, e non si realizza più soltanto attraverso le forme del binomio vincolo paesaggistico/autorizzazione paesaggistica previsto dagli artt. 146 e ss. d.lgs. 42/2004, ma anche attraverso ulteriori strumenti giuridici che prevedono strumenti di tutela diversi dalla necessità di uno specifico titolo abilitativo ulteriore rispetto a quello edilizio.
Si pensi, ad esempio, alle previsioni dell’art. 25, co. 1, n.t.a. del Piano territoriale paesistico regionale lombardo che stabilisce che: "in tutto il territorio regionale i progetti che incidono sull’esteriore aspetto dei luoghi e degli edifici sono soggetti a esame sotto il profilo del loro inserimento nel contesto", e dell’art. 25, co. 3, che assegna al progettista privato il compito di effettuare quest'esame perché stabilisce che: "ai fini dell’esame di cui al comma 1, il progettista, in fase di elaborazione del progetto, considera preliminarmente la sensibilità paesistica del sito e il grado di incidenza del progetto", seguito dal successivo art. 29, co. 1, che precisa che è lo stesso progettista privato che, effettuato l'esame paesistico, classifica l'intervento in quanto prevede che: "ferma restando la facoltà di verifica da parte dell’amministrazione competente, il progettista, sulla base dei criteri di cui agli articoli 26 e 27, determina l’entità dell’impatto paesistico di cui all’articolo 28. L’impatto potrà risultare inferiore o superiore ad una soglia di rilevanza".
Questo sistema -in cui la classificazione effettuata dal progettista privato è decisiva per alleggerire o aggravare il prosieguo della procedura amministrativa (in quanto l’art. 29, co. 2, stabilisce che: "i progetti il cui impatto non superi la soglia di rilevanza si intendono automaticamente accettabili sotto il profilo paesistico e, quindi, possono essere presentati all’amministrazione competente per i necessari atti di assenso o per la denuncia di inizio attività senza obbligo di presentazione della relazione paesistica"; mentre correlativamente per i progetti che superino la soglia di rilevanza, l’art. 29, co. 3, invece, prevede che: "i progetti il cui impatto superi la soglia di rilevanza sono soggetti a giudizio di impatto paesistico e pertanto le istanze di autorizzazione o concessione edilizia ovvero della dichiarazione di inizio attività devono essere corredate dalla relazione paesistica di cui all’articolo 25, comma 6; la presentazione di tale relazione costituisce condizione necessaria per il rilascio dei successivi atti di assenso o per l’inizio dei lavori in caso di dichiarazione di inizio attività")– null’altro prevede se non una tutela paesistica che si svolge in forme diverse dalla necessità di apposita autorizzazione paesaggistica (prevista per le sole aree sottoposte a vincolo).
Deve, pertanto, affermarsi che nell’attuale sviluppo dell’ordinamento giuridico l’ambito di applicazione della tutela paesaggistica non riguarda ormai soltanto le aree oggetto di vincolo di tutela, in quanto il vincolo di tutela ex artt. 146 e ss. d.lgs. 42/2004 è soltanto uno degli strumenti attraverso cui l’ordinamento persegue l’obiettivo della tutela del paesaggio. Tra tali altri istituti finalizzati alla tutela del paesaggio vi sono anche la relazione sull’impatto paesistico di cui all’art. 29 delle n.t.a. del P.T.P.R. o, come nel caso in esame, la perimetrazione come ambito di elevata naturalità sottoposto a regime di conservazione.
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Non è fondata neanche la eccezione di inammissibilità relativa al Comitato dell’Isola, che -a giudizio della controinteressata- non avrebbe legittimazione attiva in quanto priva di personalità giuridica.
In punto di legittimazione ad impugnare dei comitati l’orientamento della giurisprudenza amministrativa è nel senso che “quel che concerne, invece, il Comitato è pacifico l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui un comitato spontaneo di cittadini può essere legittimato ad impugnare provvedimenti ritenuti lesivi di interessi comuni solo se dimostra di avere un collegamento stabile con il territorio ove svolge l’attività di tutela degli interessi stessi, se la sua attività si è protratta nel tempo e se, quindi, il comitato non nasce in funzione della impugnazione di singoli atti e provvedimenti” (CdS, IV, 1001/2010). Pertanto, secondo la giurisprudenza si tratta di valutare caso per caso se l’attività del comitato si è protratta nel tempo o è frutto di una costituzione estemporanea finalizzata al ricorso.
Nel caso in esame siamo di fronte ad un soggetto giuridico nato con statuto del 06.11.1998 che recava già nell’oggetto la “promozione e valorizzazione della natura e dell’ambiente nei confronti di una selvaggia industrializzazione ed occupazione del territorio dell’Isola bergamasca”, e che è senz’altro radicato in loco, in quanto agisce solo nell’area dell’Isola bergamasca, in cui rientra il progetto di creazione del nuovo polo produttivo, talché si può riconoscere al Comitato dell’Isola lo stabile collegamento con l’area oggetto del provvedimento impugnato che lo legittima all’impugnazione in sede processuale
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 01.07.2010 n. 2411 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICACome tutti gli strumenti di piano sono approvati a seguito di ricognizione del fabbisogno della comunità locale, anche la variante urbanistica per insediamenti produttivi (di cui allo sportello unico attività produttive - SUAP) può essere approvata solo a seguito di una ricognizione da parte del fabbisogno di nuovi impianti produttivi ed alla valutazione del Comune che effettivamente ritenga che, per l’ordinato sviluppo della comunità locale, occorrano nuovi impianti produttivi la cui localizzazione non sia possibile nel contesto del piano vigente per insufficienza delle aree a ciò destinate.
La giurisprudenza amministrativa ha ribadito più volte il proprio diritto ad esercitare un sindacato sulle scelte di piano proprio in base alla coerenza della scelta effettuata (a valle) dal Comune con la ricognizione (a monte) delle esigenze di sviluppo della comunità locale che le scelte di piano puntano a soddisfare, ed ha affermato l’illegittimità di scelte che amplino o diminuiscano parametri urbanistici sulla base di incongrua o insufficiente ricognizione del relativo fabbisogno.
Una variante per insediamenti produttivi col S.U.A.P. è sottoposta a procedure semplificate di approvazione che, però, non stravolgono le regole dell’urbanistica e che, anzi, proprio per essere approvata con modalità semplificate richiede oneri motivazionali ancora più penetranti laddove, per esempio, "le ragioni di pubblico interesse specifico che spingono l'amministrazione ad adottare un P.I.P. devono essere adeguatamente specificate con particolare riferimento alla tipologia di attività che si intendono insediare con tale strumento, alle finalità di promozione dell'attività d'impresa perseguite, ai benefici economici e sociali particolari che l'amministrazione si prefigge da tale strumento. Né tali ragioni ed interessi pubblici possono ridursi alla semplice localizzazione di attività economiche ed all'urbanizzazione primaria e secondaria che sono finalità perseguibili con gli ordinari strumenti urbanistici e nell'ambito di una dialettica ordinaria con i proprietari delle aree".

E' fondato il primo motivo di ricorso, in cui si deduce che la delibera impugnata sarebbe illegittima per violazione dell’art. 5 d.p.r. 447/1988 in quanto non sarebbe stata rispettata nel caso in esame la sequenza procedimentale necessaria per autorizzare la localizzazione di impianti produttivi in variante al p.r.g. che doveva passare attraverso un provvedimento ricognitivo del fabbisogno, una relazione del responsabile del procedimento attestante la insufficienza delle aree produttive, una relazione geologica.
Le associazioni ricorrenti sostengono, in definitiva, che la variante per impianti produttivi in deroga allo strumento di piano possa essere consentita soltanto previa ricognizione del fabbisogno di aree industriali, e quindi soltanto all’esito della valutazione da parte del Comune della necessità -per lo sviluppo ordinato della comunità- di individuare nuove aree destinate ad attività produttive vista l’insufficienza di quelle previste in piano.
Il Comune di Palazzago ha seguito una procedura meno articolata, perché si è limitata a constatare che nel piano regolatore non esistessero aree disponibili per nuove attività produttive ed ha conseguentemente assentito la variante di piano con cui si trasformava un’area agricola in zona industriale, senza porsi il problema del se vi fosse o meno il fabbisogno delle nuove attività industriali che si andranno ad insediare nell’area oggetto della variante.
La prospettazione delle associazioni ricorrenti è corretta.
La norma attributiva del potere esercitato in concreto dall’amministrazione nel caso in esame è l’art. 5 d.p.r. 447/1998 il cui co. 1 dispone che “qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua variazione, il responsabile del procedimento rigetta l'istanza. Tuttavia, allorché il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro ma lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il responsabile del procedimento può, motivatamente, convocare una conferenza di servizi, disciplinata dall'articolo 14 l. 241/1990, come modificato dall'articolo 17 l. 127/1997, per le conseguenti decisioni, dandone contestualmente pubblico avviso. Alla conferenza può intervenire qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dalla realizzazione del progetto dell'impianto industriale”.
L’art. 2, co. 1, stessa legge aveva già previsto che “la individuazione delle aree da destinare all'insediamento di impianti produttivi, in conformità alle tipologie generali e ai criteri determinati dalle regioni, anche ai sensi dell'articolo 26 d.lgs. 112/1998, è effettuata dai comuni, salvaguardando le eventuali prescrizioni dei piani territoriali sovracomunali (ne consegue che le aree in esame devono essere individuate “scegliendole prioritariamente tra le aree, zone o nuclei già esistenti, anche se totalmente o parzialmente dimessi”).
Il combinato di queste due norme consente di desumere che il procedimento di approvazione della variante per insediamenti produttivi non è sottratto ai tradizionali presupposti che reggono gli strumenti di piano ed alle esigenze cui sono funzionalizzati gli stessi, in quanto il d.p.r. 447/1998 si limita a semplificarne l’approvazione, ma non stravolge i principi che regolano la elaborazione della pianificazione comunale.
Da quanto appena esposto consegue che -come tutti gli strumenti di piano sono approvati a seguito di ricognizione del fabbisogno della comunità locale (fabbisogno di nuovi alloggi, che porta all’individuazione di nuove aree destinate a residenza o all’ampliamento degli indici di edificabilità di quelle già individuate come tali; fabbisogno di nuovi servizi pubblici per effetto dell’incremento della popolazione locale, che porta all’ampliamento delle aree destinate ad attrezzature; fabbisogno di nuove aree a verde per garantire il rispetto degli standard a fronte dell’aumento di altri parametri urbanistici)- anche la variante per insediamenti produttivi può essere approvata solo a seguito di una ricognizione da parte del fabbisogno di nuovi impianti produttivi ed alla valutazione del Comune che effettivamente ritenga che per l’ordinato sviluppo della comunità locale occorrano nuovi impianti produttivi la cui localizzazione non sia possibile nel contesto del piano vigente per insufficienza delle aree a ciò destinate.
La giurisprudenza amministrativa ha ribadito, infatti, più volte il proprio diritto ad esercitare un sindacato sulle scelte di piano proprio in base alla coerenza della scelta effettuata (a valle) dal Comune con la ricognizione (a monte) delle esigenze di sviluppo della comunità locale che le scelte di piano puntano a soddisfare, ed ha affermato l’illegittimità di scelte che amplino o diminuiscano parametri urbanistici sulla base di incongrua o insufficiente ricognizione del relativo fabbisogno (sul punto v. CdS 7338/2006: In sede di controversia riguardante la legittimità del dimensionamento di un piano urbanistico il sindacato giurisdizionale non è limitato alla valutazione nella sua dimensione globale della stima del fabbisogno abitativo fatta dal comune, ma la razionalità e l'esattezza della previsione può essere verificata sia con il controllo dell'istruttoria eseguita e dei dati raccolti, sia con l'analisi della logica della loro elaborazione successiva ai fini della fissazione di detto fabbisogno; TAR Sardegna 164/2009: Nella determinazione del fabbisogno abitativo, ai fini del dimensionamento del piano regolatore generale, il Comune non è tenuto a considerare esclusivamente l'andamento demografico che si è avuto nell'ultimo periodo, potendo invece valutare anche fenomeni sociali, o economici che di fatto incidono sulla prevedibile domanda di alloggi e quindi sull'aumento del traffico veicolare nella zona; TAR Sicilia, Catania, II, 1080/2007: Il limite massimo del 70%, previsto dall'art. 3, l. n. 167 del 1962 di estensione delle zone da includere nei piani di edilizia economica e popolare, si applica anche al dimensionamento dei programmi costruttivi in questione e tale dimensionamento, secondo quanto disposto dalla giurisprudenza, incontra il duplice limite della proporzione fra fabbisogno complessivo calcolato e quota di alloggi riservata all'intervento pubblico e quello relativo alla proporzione tra alloggi progettati e superficie a tal fine vincolata).
Il principio in esame è stato espresso anche da questo Tribunale nella pronuncia 85/2005 in cui si è ritenuta l’illegittimità di una decisione del pianificatore comunale sul rilievo che “il potere dell'amministrazione di modificare le scelte contenute nel precedente PRG deve essere esercitato con ragionevolezza e coerenza, per cui nella fattispecie era indispensabile dare congruamente conto delle ragioni che inducevano a prevedere due nuove aree di espansione non soltanto attraverso un generale raffronto tra la zona prescelta dallo strumento urbanistico e le altre zone potenzialmente utilizzabili ricomprese nel territorio comunale, ma anche alla luce dei risultati dell'indagine sul fabbisogno che non hanno evidenziato un deficit di nuovi alloggi per uso abitativo”.
Questi principi di diritto, dettati per la pianificazione comunale che segue le vie ordinarie, valgono a maggior ragione per la variante per insediamenti produttivi, che –si è detto– è sottoposta a procedure semplificate di approvazione, che però non stravolgono le regole dell’urbanistica, e che anzi proprio per essere approvata come modalità semplificate richiede oneri motivazionali ancora più penetranti, come rilevato da TAR Lombardia, Milano, II, sentenza n. 4046 del 10/09/2008, secondo cui “le ragioni di pubblico interesse specifico che spingono l'amministrazione ad adottare un P.I.P. devono essere adeguatamente specificate con particolare riferimento alla tipologia di attività che si intendono insediare con tale strumento, alle finalità di promozione dell'attività d'impresa perseguite, ai benefici economici e sociali particolari che l'amministrazione si prefigge da tale strumento. Né tali ragioni ed interessi pubblici possono ridursi alla semplice localizzazione di attività economiche ed all'urbanizzazione primaria e secondaria che sono finalità perseguibili con gli ordinari strumenti urbanistici e nell'ambito di una dialettica ordinaria con i proprietari delle aree”.
Nel caso in esame, pertanto, il Comune di Palazzago –ricevuta la richiesta del Consorzio San Sosimo- non doveva limitarsi a verificare soltanto se vi fossero aree disponibili nel territorio comunale per realizzare l’insediamento industriale richiesto, ma doveva anzitutto verificare se questo insediamento fosse o meno proporzionato per le esigenze di sviluppo della comunità locale (verifica affatto formale, posto che ben 9 ditte su 10 costituenti il Consorzio non avevano sede a Palazzago).
Le parti resistenti contestano tenacemente che questa verifica dovesse essere effettuata con riferimento alle sole esigenze della comunità locale, ma questa opinione non può essere avallata. Come si è evidenziato sopra, l’ambito di riferimento della variante P.I.P. ex d.p.r. 447/1998 è quello comunale, perché gli artt. 2 e 5 del decreto citato individuano nei Comuni i soggetti cui è affidata la procedura di variante.
E’ vero, invece, -ed in questo si viene incontro alle argomentazioni delle parti resistenti, pur non aderendovi appieno- che le esigenze di sviluppo della comunità locale non sono individuate soltanto sulla base della sede della società richiedente l’insediamento (perché possono essere verificate –a mero titolo di esempio– anche le prospettive occupazionali determinate dall’insediamento di nuovi impianti nel territorio comunale per diminuire il tasso di disoccupazione, con la conseguenza che un eventuale pieno impiego della popolazione residente già acquisito non legittimerebbe –sotto questo profilo- ulteriori aumenti del carico industriale, laddove una situazione di inoccupazione di manodopera specializzata in un certo settore industriale potrebbe essere richiamata a supporto della decisione di favorire l’insediamento in loco di aziende provenienti da fuori territorio e specializzate nello stesso settore).
Ma –comunque si ricostruisca il sistema- nel caso in esame queste prospettazioni restano meramente astratte, perché in realtà il Comune di Palazzago non ha effettuato proprio nessuna valutazione sul fabbisogno, talché non si rende necessario scendere nel dettaglio ad individuare i criteri che avrebbero potuto in astratto reggere tale valutazione.
Ne consegue che, in conformità con l’ordinanza cautelare già resa in corso di causa, deve essere rilevata la illegittimità del provvedimento impugnato, che deve pertanto essere annullato
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 01.07.2010 n. 2411 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: CONTRATTO DI LOCAZIONE INTERCORRENTE TRA P.A. E PRIVATO.
Contratti della p.A. - Principi generali - Contratto di locazione - Rinnovo tacito - Inammissibilità - Ragioni.
Nei confronti della p.A. non è configurabile il rinnovo tacito del contratto di locazione, né rileva per la formazione del contratto un mero comportamento concludente, anche protrattosi per anni.
Ed infatti, la normativa speciale dettata in tema di contratti della p.A. prevale sulla diversa disciplina dei rapporti tra privati, quale quella dettata in tema di stipula di locazioni ultranovennali e in tema di rinnovo tacito del contratto di locazione ex art. 1597, Cod. Civ. (cfr. Cass. Civ., sez. III, 08-01-2005 n. 258; Cass. Civ., sez. III, 03-08-2002 n. 11649) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 30.06.2010 n. 2746 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: L’annullamento ministeriale del nulla-osta paesaggistico non deve essere preceduto da preavviso di rigetto ex art. 10-bis della legge 07.08.1990, n. 241. Il relativo procedimento, infatti, non può esser qualificato come procedimento a istanza di parte, trattandosi di procedimento attivato d’ufficio dalla stessa autorità (nella fattispecie il comune) che ha emesso l’atto soggetto a controllo; al relativo procedimento quindi si applica la normale disciplina sull’avviso di procedimento e in particolare l’art. 159 del d.lgs. 24.01.2004, n. 42, nel testo vigente all’epoca del rilascio del nulla-osta.  
L’annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico non deve esser preceduto da preavviso di rigetto ex articolo 10-bis della legge 07.08.1990, n. 241; il relativo procedimento infatti non può esser qualificato come procedimento a istanza di parte, trattandosi di procedimento attivato d’ufficio dalla stessa autorità (nella fattispecie il comune di Formia) che ha emesso l’atto soggetto a controllo; al relativo procedimento quindi si applica la normale disciplina sull’avviso di procedimento e in particolare l’articolo 159 del d.lgs. 24.01.2004, n. 42, che, nel testo vigente all’epoca del rilascio del nulla osta (e peraltro non diversamente da quanto è stabilito dal testo attuale) prevedeva l’invio del nulla osta alla competente soprintendenza e agli interessati, per i quali la relativa comunicazione valeva e vale quale avviso di procedimento ex articolo 7 della legge n. 241 (TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 17.06.2010 n. 1054 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Denuncia di inizio attività edilizia – Natura giuridica della dia – autorizzazione implicita di natura provvedimentale – tutela dei terzi – modalità. 
Secondo il recente orientamento del Consiglio di Stato, dal quale il Collegio non ravvisa valide ragioni per discostarsi, il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite D.I.A. è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di D.I.A., il cui possesso è essenziale, non potendosi da esso prescindere, non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata.
Si è quindi in presenza, decorsi i 30 giorni (art. 23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del 2001), di una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l'ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della D.I.A., o dall'avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all'intervento oggetto di D.I.A..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di D.I.A. ha ad oggetto, quindi, non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell'amministrazione, ma direttamente l'assentibilità, o meno, dell'intervento edilizio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 05.04.2007 n. 1550; TAR Sicilia, Catania, II, 15.07.2009, n. 1328) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 14.06.2010 n. 2544 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVINiente risarcimento alle lumache. Il Tar Piemonte anticipa la riforma del processo amministrativo sui danni provocati dalle p.a.. Al palo chi non ha impugnato in tempo il provvedimento.
Niente risarcimento dalla p.a. se il danneggiato non ha impugnato in tempo il provvedimento amministrativo. In questo caso l'azione autonoma di risarcimento è sì ammissibile, ma la domanda di ristoro è infondata.
Il TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 11.06.2010 n. 2753, anticipa il codice del processo amministrativo, affronta il nodo della pregiudiziale dell'annullamento dell'atto rispetto alla azione risarcitoria (e lo esclude), ma poi ritiene che nel merito non spetta il risarcimento a chi non ha impugnato l'atto.
La materia andrà rivista alla luce della futura entrata in vigore del codice del processo amministrativo (dal 16.09.2010), che attribuisce alla mancata azione per l'annullamento dell'atto l'effetto o di diminuire o di azzerare il risarcimento. Insomma con il codice del processo amministrativo bisognerà valutare in concreto, caso per caso, se la mancata impugnazione porterà all'esclusione del risarcimento o se, invece, ci sarà spazio per un risarcimento seppure abbattuto nell'importo.
Ma vediamo di analizzare la sentenza del Tar Piemonte.
Nel caso specifico una signora ha chiesto il risarcimento dei danni causati dall'esclusione del terreno di sua proprietà della superficie da un piano urbanistico, da cui sarebbe scaturita la possibilità di edificarlo, con relativo aumento del valore venale.
Questo senza avere chiesto l'annullamento degli atti deliberativi di approvazione del piano urbanistico stesso.
Il Tar si è, innanzi tutto, posto il problema della ammissibilità della domanda autonoma di risarcimento e lo ha risolto positivamente.
Dopo la sentenza delle sezioni unite della Cassazione del 23/12/2008, si legge nella pronuncia del Tar, l'azione di annullamento del provvedimento non costituisce più un presupposto processuale dell'azione di risarcimento dei danni causati del provvedimento illegittimo e l'interessato può limitarsi alla domanda di accertamento del suo diritto al risarcimento del danno, e relativa condanna, senza necessariamente dover impugnare il provvedimento a monte.
Tuttavia la mancata impugnazione dell'atto determina un esito negativo nel merito dell'azione di risarcimento.
Il principio formulato dalla sentenza in esame mette in evidenza che la domanda di risarcimento del danno derivante da provvedimento non impugnato o tardivamente impugnato o superato da un nuovo provvedimento sostitutivo del precedente non impugnato è ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la mancata definizione in termini di annullamento dell'atto fonte del danno impedisce che lo stesso possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta conseguente dell'Amministrazione che ne ha curato l'esecuzione.
Insomma ci sarebbe una sorta di automatismo tra richiesta di impugnativa dell'atto e richiesta di risarcimento del danno: senza la prima l'azione autonoma per ottenere il ristoro sarebbe persa in partenza.
Qualche chance in più dovrebbe arrivare dal nuovo codice del processo amministrativo.
Quest'ultimo prevede che l'azione di risarcimento per lesione di interessi legittimi dovrà essere proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni; ma soprattutto prescrive che il giudice esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'impugnazione, nel termine di decadenza, degli atti lesivi illegittimi.
Come spiega la relazione al codice in relazione alla questione della pregiudiziale amministrativa, si è optato per l'autonoma esperibilità della tutela risarcitoria per la lesione delle posizioni di interesse legittimo, prevedendo per l'esercizio di tale azione un termine di decadenza di quattro mesi e affermando l'applicazione di principi analoghi a quelli espressi dall'articolo 1227 codice civile per quanto riguarda i danni che avrebbero potuto essere evitati mediante il tempestivo esperimento dell'azione di annullamento.
Ciò significa una valutazione in ogni singolo processo dei danni che si potevano evitare con l'impugnativa dell'atto, residuando, quindi, in concreto la possibilità di risarcimento del danno anche a fronte di mancante iniziative contro i provvedimenti della p.a. (articolo ItaliaOggi del 08.07.2010, pag. 42).

ENTI LOCALI - I.C.I.La Cassazione sulla decadenza dello strumento urbanistico. Ici, imponibilità a maglie larghe.
Agli effetti dell'Ici va considerato edificabile anche il terreno concretamente inedificabile a causa dell'intervenuta decadenza dello strumento urbanistico.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. tributaria, con la sentenza 28.05.2010 n. 13135.
Impostazione del problema. La nozione di terreno edificabile è da tempo oggetto di contrastanti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, come vedremo solo in parte composti dall'intervento del legislatore.
Il problema nasce dal fatto che le diverse norme tributarie vigenti ne danno una nozione sempre differente, ora di tipo «statico», or'altra «dinamica» cioè che tiene conto della futura vocazione del bene immobile che si assume edificabile.
La questione si pone anche ai fini Ici, imposta nella quale il presupposto si verifica in modo diverso a seconda che un'area sia o meno da considerarsi «edificabile», intendendosi per tale quella utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi.
Un quadro normativo così complesso ha indotto il legislatore a comporre il dibattito con l'art. 11, comma quaterdecies, del decreto legge n. 203/2005, introdotto dalla legge di conversione n. 248/2005, secondo cui un'area è da considerare comunque fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall'adozione di strumenti urbanistici alternativi del medesimo.
Anche tale disposizione non è però stata sufficiente, occorrendo precisare quale fosse la data in cui lo strumento urbanistico generale producesse i suoi effetti: la problematica è stata così risolta dall'art. 36, comma 2, del decreto legge n. 223/2006 (convertito con la legge 248/2006) per il quale lo strumento urbanistico generale produce gli effetti di cui sopra fin dal momento della sua adozione da parte del Comune, e dunque anche prima dell'approvazione da parte della regione.
Alla luce di tale quadro normativo la Corte di cassazione, con la sentenza n. 25506/2009 resa a sezioni unite, ha ribadito tali principi rilevando che ai fini della edificabilità non solo è irrilevante l'approvazione da parte della regione ma è altresì irrilevante l'adozione di strumenti attuativi del medesimo.
La stessa sentenza ha però precisato che il valore venale di comune commercio sul quale va quantificata l'Ici, va determinato «tenendo anche conto di quanto sia effettiva e prossima la utilizzabilità a scopo edificatorio del suolo e di quanto possano incidere gli ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione».
Ancora la Corte di cassazione ha ritenuto che ai fini della qualificazione di area fabbricabile è sufficiente la mera potenzialità edificatoria mentre non rileva la presenza di «vincoli capaci di condizionare in concreto la possibilità di costruire, perché tali limiti non fanno venir meno ed, anzi, presuppongono la vocazione edificatoria del terreno, incidendo soltanto sul suo valore venale».
Il caso di specie. Sulla base di tali principi, la Corte di cassazione censura la tesi della Commissione tributaria regionale che aveva ritenuto inedificabile un terreno pur incluso dal programma di fabbricazione in zona omogenea D/2 a motivo dell'intervenuta decadenza dello strumento urbanistico alternativo, circostanza che, secondo la difesa, avrebbe comportato la concreta inedificabilità dei suoli.
Naturalmente, tale principio non può essere spinto fino al punto di non tener conto di quali siano le concrete possibilità edificatorie.
In questo senso, la stessa Corte di cassazione, con la sentenza 09/03/2010 n. 5735 ha escluso l'edificabilità di un'area compresa in una zona destinata dal Piano regolatore generale a verde pubblico attrezzato, in quanto tale vincolo preclude ai privati tutte quelle trasformazioni del suolo che sono riconducibili alla normativa tecnica di edificabilità (articolo ItaliaOggi del 02.08.2010, pag. 23).

SEGRETARI COMUNALIAnche il segretario comunale, come tutti i dipendenti, è tenuto all’osservanza dell’obbligo dell’orario di ufficio e alla conseguente timbratura del cartellino marcatempo attestante la presenza in ufficio.
La sezione ritiene che anche il segretario comunale, come tutti i dipendenti, sia tenuto all’osservanza dell’obbligo dell’orario di ufficio e alla conseguente timbratura del cartellino marcatempo attestante la presenza in ufficio.
In tal senso si vedano pure le note del Ministero dell’interno n. 9400207/17200.16455 in data 21.03.1994 e n. 9406529/17200/16455 in data 30.08.1994, entrambe indirizzate alla Prefettura di Caserta (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.04.2007 n. 1763 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' legittimo costruire un canile in zona agricola tenuto conto che la destinazione a zona agricola di un'area non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali.
La circostanza che la realizzazione del canile municipale sia inserita in zona agricola non è di per sé idonea a rendere illegittimo l’operato dell’Amministrazione, atteso che la destinazione a zona agricola di un'area, e fatta salva la previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici, non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; la stessa, pertanto, non costituisce ostacolo alla installazione di opere, come quella di cui trattasi, che non riguardino l'edilizia residenziale e che, per contro, si rivelino, per ovvi motivi, incompatibili con zone abitate e quindi necessariamente da realizzare in aperta campagna (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.01.2005 n. 253 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACon l’entrata in vigore della L. 349/1993, ogni attività rientrante nella generale categoria della attività cinotecnica deve ritenersi compatibile con la destinazione agricola di una determinata zona; come pure deve ritenersi pacifico che nell’ambito della categoria della attività cinotecnica debbono farsi rientrare tutte quelle attività, nessuna esclusa, potenzialmente rientranti in tipologie analoghe.
Nel caso di specie occorre fare riferimento alla L. 349 del 23.08.1993 la quale, all’articolo 1, precisa che “per attività cinotecnica si intende l’attività volta all’allevamento, alla selezione e addestramento delle razze canine”.
La stessa legge, peraltro, all’articolo 2, precisa che “l’attività cinotecnica è considerata a tutti gli effetti attività imprenditoriale agricola quando i redditi che ne derivano sono prevalenti rispetto a quelli di altre attività economiche non agricole svolte dallo stesso soggetto”.
Lo stesso articolo, al comma 2, aggiunge che “i soggetti, persone fisiche o giuridiche, singoli o associati, che esercitano attività cinotecnica di cui al comma 1 sono imprenditori agricoli, ai sensi dell’articolo 2135 del C.C.”.
Tenendo dunque presente i testé riportati principi normativi non può non ritenersi condivisibile l’assunto di parte ricorrente secondo il quale, con l’entrata in vigore della L. 349/1993, ogni attività rientrante nella generale categoria della attività cinotecnica debba ritenersi compatibile con la destinazione agricola di una determinata zona; come pure deve ritenersi pacifico che nell’ambito della categoria della attività cinotecnica debbono farsi rientrare tutte quelle attività, nessuna esclusa, potenzialmente rientranti in tipologie analoghe.
Alle considerazione che precedono deve senz’altro aggiungersi quella della sussistenza di un pubblico interesse allo svolgimento della attività di che trattasi (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 04.06.2004 n. 745 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 02.08.2010

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

APPALTI SERVIZI: G.U. 31.07.2010 n. 177 "Trasmissione dei dati relativi ad affidamenti a Cooperative sociali, ex articolo 5 della legge n. 381/1991" (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavoro, Servizi e Forniture, comunicato).
IL PRESIDENTE
- Visto l’art. 7, comma 8, del decreto legislativo n. 163/2006 che prevede che le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori sono tenuti a comunicare all’Osservatorio per contratti di importo superiore alla soglia dei 150.000 euro dati informativi sui contratti pubblici;
- Visto il Comunicato del Presidente del 04.04.2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 94 del 21.04.2008 con il quale si definiscono le modalità telematiche per la trasmissione dei dati dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di importo superiore alla soglia dei 150.000 euro;
- Viste le istruzioni relative alle contribuzioni dovute, ai sensi dell’art. 1, comma 67, della legge 23.12.2005, n. 266, di soggetti pubblici e privati in vigore dall'01.05.2010;
- Visto l’art. 5 della legge n. 381/91 che prevede la possibilità per i soggetti aggiudicatori di stipulare convenzioni con le cooperative sociali di cui all’art. 1, comma 1, lett. b (cooperative che svolgono attività agricole, industriali, commerciali o di servizi diverse dalla gestione di servizi socio-sanitari ed educativi e finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate) anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione;
Considerato che le disposizioni sulle comunicazioni di dati all’Osservatorio sono preordinate al rispetto dei principi fondamentali di matrice comunitaria in materia di contratti pubblici tra i quali quelli di trasparenza, correttezza, parità di trattamento e non discriminazione;
- Ritenuto che la deroga prevista dall’art. 5, legge n. 381/1991, deve considerarsi riferita alle procedure di affidamento, ma non ai suddetti principi comunitari;
COMUNICA
- Che le stazioni appaltanti che procedono ad affidamenti ai sensi dell’art 5, della legge n. 381/1991, sono tenute ad effettuare le comunicazioni all’Osservatorio dei contratti pubblici, con le seguenti modalità:
* convenzioni di importo superiore alla soglia dei 150.000 euro: secondo quanto specificato nel Comunicato del Presidente del 04.04.2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 94 del 21.04.2008;
* convenzioni di importo inferiore alla soglia dei 150.000 euro: limitatamente alla sola acquisizione del codice CIG, fino a quando non verranno rese note con ulteriori comunicazioni le relative modalità di trasmissione dei dati.
- Che non possono essere stipulate convenzioni ai sensi dell’art. 5, comma 1, legge n. 381/1991 per la fornitura di servizi socio-sanitari ed educativi (art. 1, comma 1, lett. a).

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 31.07.2010 n. 177 "Trasmissione dei dati relativi a soggetti che eseguono opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione" (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavoro, Servizi e Forniture, comunicato).
IL PRESIDENTE
- Visti l’art. 32, comma 1, lett. g) e l’art. 122, comma 8 del decreto legislativo n. 163/2006, come modificati dal decreto legislativo n. 152/2008;
- Vista la Determinazione dell’Autorità n. 7 del 16.07.2009, avente ad oggetto problematiche applicative delle disposizioni in materia di opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione dopo il terzo decreto correttivo del Codice dei contratti;
- Considerata la necessità di monitorare gli appalti eseguiti da privati che assumono in via diretta l’esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo previsto per il rilascio del permesso di costruire;
COMUNICA
- Che le amministrazioni che concedono il permesso di costruire sono tenute a trasmettere all’Autorità i dati identificativi dei soggetti titolari di tale permesso, nel caso in cui allo stesso acceda una convenzione, o altro accordo, sulla realizzazione di opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione.

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 30.07.2010, suppl. ord. n. 174/L:
- "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica" (Legge 30.07.2010 n. 122);
- "Testo del decreto-legge 31.05.2010, n. 78 coordinato con la legge di conversione 30.07.2010, n. 122 recante: «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica»".

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 30.07.2010 n. 176 "Comunicazione dell’avvio a regime del sistema regionale della regione Lombardia, per la trasmissione telematica dei dati delle ricette a carico del Servizio sanitario nazionale da parte dei medici prescrittori regionali" (Ragioneria Generale dello Stato, decreto 14.07.2010).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 29.07.2010, suppl. ord. n. 171/L, "Disposizioni in materia di sicurezza stradale" (L. 29.07.2010 n. 120).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA - VARI: CONFORMITA’ CATASTALE IN CASO DI COMPRAVENDITA (Confedilizia, nota 23.07.2010 n. 14233 di prot.).

QUESITI & PARERI

EDILIZIA PRIVATA: Applicabilità del contributo di costruzione previsto all’art. 16 D.P.R. 380/2001 a caso specifico.
E’ chiesto parere in merito all’applicabilità del contributo di costruzione previsto all’art. 16 D.P.R. 380/2001 al caso specifico del rilascio di permesso di costruire richiesto da un coltivatore diretto e finalizzato al recupero, per l’esercizio di attività agrituristica, di una porzione dell’unico fabbricato rurale facente parte dell’azienda agricola, localizzato in centro abitato, zona RR totalmente o parzialmente edificata a prevalente tipologia rurale (Regione Piemonte, parere n. 72/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 10 - Quanto al fatto che l'eliminazione di una parte della parete esterna dell'immobile e la realizzazione di una vetrata esclude la riconducibilità dell'intervento medesimo nell'ambito della manutenzione straordinaria, configurandosi, invece, come ristrutturazione edilizia (Geometra Orobico n. 3/2010).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA Quesito 9 - Quanto alla fascia di rispetto cimiteriale ed al potere attribuito al Consiglio Comunale dall'art. 338 del R.D. 27.07.1934 n. 1265, così come modificato dall'art. 28 della legge 01.08.2002 n. 166, se non vi ostino ragioni igienico-sanitarie accertate dalla competente Azienda USL, di ridurre la zona di rispetto cimiteriale, tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell'area (Geometra Orobico n. 3/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 8 - Quanto alla realizzazione di opere sul lastrico solare ed alla modifica di destinazione d'uso del medesimo (Geometra Orobico n. 3/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 7 - Quanto alla presentazione dell'istanza di accertamento di conformità successivamente alla presentazione del ricorso giurisdizionale avverso ordinanza di demolizione ed alla improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (Geometra Orobico n. 3/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 6 - Quanto al fatto che la demolizione dei manufatti abusivi non equivale al ripristino dello stato dei luoghi (Geometra Orobico n. 3/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 5 - Quanto al titolo abilitativo necessario per la costruzione di una tettoia (Geometra Orobico n. 3/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 4 - Quanto alla nozione di pertinenza urbanistica (Geometra Orobico n. 3/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 3 - Quanto al carattere permanente dell'illecito (abuso edilizio) (Geometra Orobico n. 3/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 2 - Quanto alla qualificazione del silenzio serbato dal Comune sulla domanda di sanatoria ed alla relativa motivazione (Geometra Orobico n. 3/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 1 - Quanto agli effetti sull'ordine di demolizione a seguito della presentazione di istanza di sanatoria ed art. 36 D.P.R. n. 380/2001 (Geometra Orobico n. 3/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 10 - Quanto all'esclusione della necessità del rilascio di alcuna autorizzazione in presenza della precarietà e temporaneità dell'opera (Geometra Orobico n. 2/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 9 - Quanto alla sottrazione, per l'armadietto di alluminio situato sul balcone, alle sanzioni di cui all'art. 33 del D.P.R. n. 380/2001 (Geometra Orobico n. 2/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 8 - Quanto all'inapplicabilità della procedura di accertamento di conformità di cui all'art. 36 D.P.R. n. 380/2001, al caso di opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali) (Geometra Orobico n. 2/2010).

URBANISTICA Quesito 7 - Quanto alla motivazione delle scelte urbanistiche che incidono sulle aspettative particolarmente qualificate dei privati (Geometra Orobico n. 2/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 6 - Quanto all'irrogazione di sanzione pecuniaria per la riscontrata realizzazione di opere edili senza la preventiva denuncia di inizio attività  (Geometra Orobico n. 2/2010).

LAVORI PUBBLICI Quesito 5 - Quanto alla competenza della Giunta e del Consiglio Comunale in tema di programmazione delle opere pubbliche (Geometra Orobico n. 2/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 4 - Quanto alla derogabilità del principio generale secondo cui il computo del limite di altezza, entro il quale è consentita l'edificazione, va effettuato considerato l'originale piano di campagna, ovvero il livello naturale del terreno di sedime e non la quota di terreno sistemato (Geometra Orobico n. 2/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 3 - Quanto alla previsione di cui all'art. 3.2, seconda parte, del D.M. 236 del 14.06.1989 secondo la quale, negli edifici residenziali con non più di tre livelli fuori terra, è consentita la deroga all'installazione di meccanismi per l'accesso ai piani superiori, ivi compresi i servoscala, purché ne sia assicurata la possibilità della relativa installazione in un tempo successivo (Geometra Orobico n. 2/2010).

EDILIZIA PRIVATA - VARI Quesito 2 - Quanto alla possibilità per l'autorità amministrativa di costituire una servitù di contenuto non specificatamente previsto nell'ordinamento ma indicato nel provvedimento amministrativo, costituente la servitù al di fuori delle fattispecie tipiche previste dal codice civile o da leggi speciali (nel caso specifico, costituzione coattiva di servitù di sorvolo di fondo altrui a mezzo delle pale di due aerogeneratori, appunto non contemplata tra quelle astrattamente descritte dalla legge) (Geometra Orobico n. 2/2010).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 1 - Quanto alla determinazione degli oneri di urbanizzazione in sede di rilascio di concessione edilizia (Geometra Orobico n. 2/2010).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: M. Fracanzani, Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto nel nuovo processo amministrativo: dall’onere di impugnazione alla pronuncia di inefficacia (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: G. Guzzo, GIUSTIFICAZIONE PREVENTIVA ED ANOMALIA DELLE OFFERTE: EVOLUZIONE LEGISLATIVA E PROFILI GIURISPRUDENZIALI (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La proposizione successiva del ricorso non inficia l’efficacia preclusiva del D.U.R.C. negativo (link a www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Corso di specializzazione sull'applicazione della L.R. n. 12/2005: 4^ lezione (parte A) - Edificazione nelle zone agricole (Geometra Orobico n. 3/2010).

APPALTI: D. Chitò, BASTA IL “NUDO” PUNTEGGIO NUMERICO PER AGGIUDICARE UN APPALTO PUBBLICO? (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 4543 del 31.08.2007) (link a www.iussit.eu).

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Il rafforzamento locale di edifici in muratura con tiranti.
Il consorzio Reluis ha aggiornato (luglio 2010) la pubblicazione dal titolo: ”Esempio di calcolo su rafforzamento locale di edifici in muratura con tiranti”.
L’intervento illustrato nella pubblicazione prevede il rafforzamento locale di un edificio in muratura, mediante introduzione di tiranti, nel caso in cui si attivi il meccanismo di ribaltamento fuori piano.
Il caso esaminato, in particolare, riguarda gli ultimi due livelli di una parete di un edificio sito in centro storico ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Dall’INAIL un manuale innovativo per l’informazione sui rischi in cantiere.
In edilizia è sempre più forte la presenza di lavoratori stranieri che molto spesso, non conoscendo bene la lingua, si trovano in una situazione di svantaggio nella comprensione delle più elementari norme di sicurezza. L'Inail si propone di ovviare a tale difficoltà con la realizzazione di pubblicazioni "visuali" in modo che il contenuto sia facilmente comprensibile per i lavoratori di ogni lingua.
Questi "spot" risultano essere dei mezzi informativi universalmente validi, a prescindere dalla nazionalità e dalla cultura del singolo lavoratore.
La pubblicazione "Audio-visivi per l'informazione nel cantiere multietnico" curata dall'INAIL contiene vignette che illustrano l'esatto comportamento da adottare in condizione di rischio.
Le situazioni di rischio illustrate nella pubblicazione sono: ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pubblicata la norma UNI per l'acustica in edilizia: dal 2012 obbligatoria la Certificazione Acustica degli edifici?
Dal 2012 chi vorrà vendere o affittare un alloggio dovrà dotarlo, oltre che della certificazione energetica, anche della certificazione acustica.
L´obbligo verrà quasi certamente introdotto dal provvedimento atteso in autunno, che recepirà la norma Uni 11367 “Acustica in edilizia - Classificazione acustica delle unità immobiliari - Procedura di valutazione e verifica in opera”, pubblicata il 22.07.2010.
La classificazione acustica di una unità immobiliare ha lo scopo di informare gli interessati sulle caratteristiche acustiche della stessa e di tutelare i vari soggetti che intervengono nel processo edilizio (progettisti, produttori di materiali da costruzione, costruttori, venditori, ecc.) da possibili contestazioni successive ... (link a www.acca.it).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA e DIGITALIZZAZIONE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Certificati di malattia on-line - Descrizione dei servizi (nota 25.06.2010).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Quesito in merito alle assunzioni di personale diversamente abile ai fini del completamento della quota di riserva prevista dall'art. 3 della legge 12.03.1999 n. 68 (parere UPPA 16.06.2010 n. 28398 di prot.).

PUBBLICO IMPIEGO:  Brunetta, sindacati nell'angolo. Circolare della funzione pubblica spiega gli effetti della legge 150 sulla contrattazione integrativa. Organizzazione interna senza concertazione. Basta l'informativa.
Applicazione graduale delle nuove disposizioni in materia di relazione sindacale, immediata applicabilità della restrizione di materie oggetto di contrattazione collettiva, applicazione dei nuovi limiti ai contratti decentrati sottoscritti dopo l'entrata in vigore del dlgs n. 150/2009, limitazione delle materie oggetto di concertazione e rinvio della applicazione del bonus delle eccellenze e del premio per l'innovazione alla stipula dei nuovi contratti nazionali.
Possono essere così riassunte le principali indicazioni contenute nella circolare 13.05.2010 n. 7 del ministro della funzione pubblica «Contrattazione integrativa. Indirizzi applicativi del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150».
Le relazioni sindacali. La legge cd Brunetta ha, come è noto, rivoluzionato le regole esistenti in materia di relazioni sindacali. Attraverso una serie coordinata di interventi essa ha voluto ridefinire in modo completamente diverso il ruolo delle organizzazioni sindacali. In particolare si vuole impedire che continuino ad essere concretamente praticati comportamenti di cogestione, cioè di coinvolgimento diretto dei soggetti sindacali nella adozione delle scelte gestionali.
In primo luogo, è stato stabilito che le disposizioni di legge prevalgono comunque sulle clausole contrattuali, salvo che la legge consenta ai contratti di derogare alle sue prescrizioni. Ed ancora è stato previsto che le leggi abbiano carattere imperativo. Ed inoltre sugli atti di gestione compiuti dai dirigenti con i poteri e le capacità del privato datore di lavoro l'unica forma di relazione sindacale consentita è l'informazione.
Altresì, le forme di partecipazione sindacale non devono essere svolte su tutte le scelte che hanno ricadute sulla organizzazione. E infine la contrattazione viene limitata, oltre che al trattamento economico, alle relazioni sindacali ed ai diritti ed obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro.
 Essa viene inoltre vietata nelle seguenti materie: organizzazione degli uffici, oggetto di partecipazione sindacale (ai sensi dell'articolo 9 del dlgs n. 165 del 2001, nuovo testo), afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17 del dlgs n. 165 del 2001, nuovo testo), conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23.10.1992 n. 421.
La contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche.
Sulla base di queste disposizioni la circolare del ministro Brunetta ci dice che vanno sottoposte a revisione le materie oggetto di concertazione. Anche se espressamente previste dai contratti nazionali esse infatti non possono sforare i nuovi e più rigidi limiti dettati dalla novella legislativa. Per cui su tutte le scelte che si riferiscono alla organizzazione interna la concertazione regredisce automaticamente alla semplice informazione, che peraltro non deve necessariamente essere preventiva.
I contratti decentrati. Le nuove disposizioni sulla limitazione delle materie oggetto di contrattazione collettiva, come più in generale quelle sulle relazioni sindacali, sono in linea generale immediatamente applicabili o, meglio, sono entrate in vigore insieme al dlgs n. 150/2009, cioè lo scorso 15 novembre. Quindi i nuovi contratti decentrati integrativi, quelli sottoscritti dopo tale data, devono uniformarsi a questi principi.
La circolare sottolinea espressamente che questo effetto si produce sugli istituti che hanno una maggior rilievo innovativo.
Al riguardo sono menzionate in modo diretto le progressioni economiche o orizzontali. E viene ricordato che dobbiamo applicare necessariamente procedure selettive, che dobbiamo erogare questo beneficio solo ad una quantità limitata di personale, che si deve tenere conto degli esiti delle valutazioni e che si deve privilegiare lo sviluppo delle competenze professionali.
Da evidenziare che, contrariamente a quanto sostenuto dal sindacato, l'applicazione di queste nuove regole non è rinviata all'adeguamento dei regolamenti e al 31.12.2010, ma interessa direttamente i contratti stipulati dalla metà dello scorso novembre. Altra utile precisazione è quella per cui questi vincoli si applicano a prescindere dall'anno a cui la contrattazione si riferisce: ciò che conta è la data di sottoscrizione.
Per i contratti decentrati integrativi che a quella data erano già in vigore l'obbligo di adeguamento deve essere soddisfatto entro il prossimo 31 dicembre per le amministrazioni dello stato, mentre regioni, enti locali e sanità hanno tempo fino al 31.12.2011 per effettuare tale adeguamento, ma le clausole in contrasto con i vincoli legislativi cesseranno di produrre i propri effetti solo dal 31.12.2012, quindi una proroga di fatto per un altro anno.
Occorre, infine su questo punto, sottolineare invece che le nuove regole sulla valutazione delle prestazioni dei dirigenti e dei dipendenti devono essere adottate entro il 31.12.2010 ed entrare in vigore dal prossimo 01.01.2011. Il mancato adeguamento delle metodologie esistente determina la irrogazione di una sanzione: il divieto di corrispondere ogni forma di trattamento economico accessorio collegato alle performance.
Le novità non immediatamente applicabili. Il decreto rinvia la immediata applicazione di una parte rilevante di disposizioni alla stipula dei nuovi contratti collettivi nazionali di lavoro. In questo ambito sono compresi, in primo luogo, il bonus per l'eccellenza ed il premio per l'innovazione.
Tale conseguenza si può ritenere scontata perché il decreto Brunetta espressamente rimette alla contrattazione collettiva la determinazione della misura di questi premi. Altrettanto scontato è il rinvio dell'aumento fino al 30% del totale del trattamento economico dell'ammontare della retribuzione di risultato dei dirigenti.
Un carattere innovativo ha invece l'indicazione di subordinare al nuovo contratto, il che concretamente vuol dire che se ne parlerà non prima del 2013, anche il vincolo a destinare la quota prevalente del trattamento economico accessorio comunque denominato alla incentivazione delle performance: tale scelta viene motivata con l'esigenza di ristrutturazione complessiva della struttura del trattamento economico (articolo ItaliaOggi del 23.07.2010, pag. 34 - link a www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

SICUREZZA LAVOROSicurezza, risponde il dirigente Negli enti pubblici la responsabilità erariale è personale.
In una pubblica amministrazione, la violazione di una disposizione in materia di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro, prevista dal dlgs n. 626/1994, deve essere estinta personalmente dal dirigente generale dell'ente e non certo con i fondi della collettività.
Infatti, la natura delle responsabilità per le omissioni sanzionate da detta normativa, assistite da sanzioni penali, hanno carattere del tutto personale, così come il pagamento dell'ammenda in misura ridotta, atto, questo, teso ad evitare la sanzione penale prevista dalla norma.

È quanto ha chiarito la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la regione siciliana, nel testo della sentenza 12.07.2010 n. 1574/2010, con la quale ha condannato il direttore generale del Comune di Palermo (in solido con altro funzionario), a rifondere le casse comunali della somma (poco più di ottomila euro) che queste hanno subìto per effetto del pagamento dell'ammenda prevista dal decreto sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, riscontrate dalla competente azienda sanitaria nei locali del comando della polizia municipale del capoluogo siciliano.
Secondo il collegio della magistratura contabile siciliana, la responsabilità per le omissioni sanzionate dal dlgs n. 626/1994, assistite da sanzioni penali, hanno carattere del tutto personale.
Infatti, l'art. 21 della norma prevede che, entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione a regolarizzare l'irregolarità riscontrata, l'organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata. In caso positivo, si ammette a pagare in sede amministrativa una somma pari a un quarto del massimo dell'ammenda stabilita, comunicando al pubblico ministero l'adempimento nonché l'eventuale pagamento della somma ovvero il mancato adempimento alla prescrizione. Quindi, sanando l'irregolarità e pagando la sanzione, la contravvenzione si estingue e il pubblico ministero chiede l'archiviazione.
Nel caso sotteso, pertanto, sussiste un danno alle casse del comune di Palermo, in quanto l'ammenda è stata posta a carico del bilancio dell'ente e non con fondi personali del soggetto responsabile della violazione. Il direttore generale, diretto destinatario della contravvenzione e, di conseguenza, individuato come datore di lavoro responsabile delle violazioni delle disposizioni in materia di sicurezza riscontrate dall'azienda sanitaria locale, è incorso «in un errore inescusabile» per aver disposto il pagamento della sanzione di cui era diretto destinatario, ponendola a carico del bilancio comunale.
Né può ritenersi, aggiunge il collegio, che manchi il requisito della colpa grave, in quanto si tratta di un soggetto non rivestito di professionalità specifica, considerato che il ruolo di direttore generale dallo stesso ricoperto nell'organizzazione comunale «evidentemente presuppone il possesso di una professionalità adeguata».
Ma il danno è stato altresì addebitato (in misura molto ridotta) anche al funzionario responsabile del procedimento del pagamento dell'oblazione. Infatti, il dirigente preposto alla salute e la sicurezza dei lavoratori, quando ha accertato che la sanzione veniva pagata con i fondi comunali, «aveva l'obbligo di farne rimostranza al diretto superiore e di darvi esecuzione solo laddove l'ordine fosse stato nuovamente confermato per iscritto» (articolo ItaliaOggi del 28.07.2010 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGONiente deroghe sulle spese. Nel 2011 i costi del personale non devono crescere. Per la Corte conti della Puglia non sono più possibili eccezioni ai vincoli.
Le modifiche introdotte dall'articolo 14 del dl n. 78/2010 escludono la permanenza in vigore delle deroghe alla riduzione della spesa del personale previste sia per gli enti sottoposti al patto di stabilità, che per quelli esclusi. La disposizione è di immediata applicazione, già nel 2010.
Lo ha precisato la sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per la Puglia con il parere 08.07.2010 n. 55.
Il comune di Grumo Appula ha richiesto un parere circa le spese di personale da sostenere per l'istituzione dell'ufficio di piano quale organo per gestire le risorse del piano sociale di zona. Si chiede, tra l'altro, se il citato articolo 14 abbia abrogato le deroghe previste dai commi 557 e 562 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 e, nell'ipotesi che tale eliminazione abbia avuto effetto immediato, se esiste ancora la possibilità di effettuare le assunzioni già programmate, considerando che le stesse potrebbero incidere in maniera superiore nel 2011.
Il comma 7 dell'articolo 14 della manovra 2010 modifica il comma 557 della legge finanziaria 2007, che disciplina i vincoli in materia di assunzione di personale per gli enti locali sottoposti al patto di stabilità. La nuova versione del comma 557 stabilisce che gli enti assicurano la riduzione delle spese di personale, al lordo degli oneri riflessi e dell'Irap, con esclusione dei costi relativi ai rinnovi contrattuali e questo attraverso azioni lasciate alla propria autonomia.
Il legislatore ha introdotto, poi, nel comma 557, la definizione di spesa di personale contenuta nell'articolo 76 comma 1 del dl n. 112/2008, che per tale motivo è stato abrogato. Nel caso di violazione di queste norme l'ente non potrà assumere personale a qualsiasi titolo e non potrà stipulare contratti di servizio elusivi del divieto.
La soppressione del comma 562 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 -che permetteva agli enti non soggetti al patto di derogare alla disciplina della spesa di personale- e la contestuale abrogazione del comma 2 dell'articolo 76 del dl n. 112/2008 -divieto di utilizzare tale deroga- hanno determinato l'impossibilità per tali enti di avvalersi di deroghe in materia di contenimento della spesa del personale, spesa che non deve superare l'ammontare dell'anno 2004 e le assunzioni possono avvenire nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno.
La Corte dei conti ritiene che con l'introduzione della normativa prevista dall'articolo 14, è venuta meno la possibilità per tutti gli enti di fruire di deroghe ai vincoli in materia di spesa del personale. La disciplina è, per la sezione, di immediata applicazione e gli enti debbono attuare ogni iniziativa che sia in grado di garantire l'osservanza dei vincoli in materia di spesa del personale, evitando che le assunzioni programmate precedentemente al 31 maggio producano un incremento di spesa nel 2011.
Orientamento analogo è stato seguito dalla sezione regionale di controllo per il Piemonte, che con la deliberazione n. 46 del 29 giugno scorso ha evidenziato che soltanto il comma 9 dell'articolo 14 (che ha novellato l'articolo 76, comma 7, del dl n. 112 del 2008) prevede, espressamente, che l'applicazione decorrerà dall'01.01.2011, mentre non essendo nulla previsto per le altre disposizioni, le misure debbono ritenersi di applicazione immediata.
Il comune istante, ente non soggetto al patto, sarà tenuto all'obbligo di contenimento della spesa entro l'ammontare dell'anno 2004, senza possibilità di deroga (articolo ItaliaOggi del 30.07.2010, pag. 33 - link a www.corteconti.it).

NEWS

EDILIZIA PRIVATA: Bonifici per 36 e 55 per cento: istruzioni per l'uso della ritenuta.
Nessuna sanzione per violazioni commesse in sede di prima applicazione della norma introduttiva.
Chiarimenti in arrivo per banche e Poste italiane Spa sulle regole per effettuare la ritenuta del 10% sui bonifici relativi al pagamento di lavori di ristrutturazione e di risparmio energetico.
A fornirli è la circolare 28.07.2010 n. 40/E nella quale i tecnici dell'Agenzia delle Entrate spiegano che il calcolo va effettuato sul totale del bonifico da cui deve essere scorporata l'Iva ... (link a www.nuovofiscooggi.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Gruppi, decide lo statuto. Sul distacco la competenza è del regolamento. La materia attiene al funzionamento dei consigli su cui gli enti hanno mani libere.
È ammissibile la costituzione di un gruppo consiliare originato dal distacco di due consiglieri provinciali dal gruppo di appartenenza originario, configurandosi quale formazione politica di carattere autonomo, non presente nel consiglio a seguito delle ultime consultazioni elettorali?
La materia dei gruppi consiliari afferisce al funzionamento dei consigli disciplinato, come prevede espressamente l'art. 38, comma 2 del Tuel n. 267/2000, dall'apposito regolamento comunale nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto, essendo riconosciuta ai consigli piena autonomia funzionale e organizzativa (v. comma 3 stesso articolo 38).
Ne deriva che le problematiche relative alla costituzione e al funzionamento dei gruppi consiliari devono essere valutate alla stregua delle specifiche norme statutarie e regolamentari di cui l'ente locale si è dotato. Pertanto l'ipotesi del distacco dal gruppo di appartenenza originario deve essere attuata esclusivamente in conformità alle surriferite disposizioni (articolo ItaliaOggi del 30.07.2010, pag. 35).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Conflitti di interesse.
Qual è la portata interpretativa dell'art. 78 del T.u. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali?
La statuizione recata dal T.u. ha inteso disciplinare l'attività professionale privata dei titolari di uffici pubblici nell'ambito del territorio da essi amministrato, in special modo in quei settori potenzialmente conflittuali con l'ente territoriale, ma in caso di inosservanza non ha inteso far decadere gli amministratori della carica ricoperta.
Essa si prefigge la garanzia dell'imparzialità dell'azione amministrativa in un quadro comunque di attenzione alle concrete condizioni di operatività degli enti locali, soprattutto di quelli minori, e si rivolge a coloro che svolgono in proprio un'attività libero-professionale nello stesso delicato settore nel quale come pubblici amministratori sono chiamati a tutelare interessi della collettività locale.
La Corte di appello di Salerno, nella sentenza n. 270/2000, ha chiarito che tale disposizione non costituisce una ulteriore causa di incompatibilità rispetto alla vigente disciplina.
Destinatari della norma sono i componenti della giunta comunale che, nei campi dell'edilizia, dei lavori pubblici e dell'urbanistica forniscono prestazioni di carattere prevalentemente intellettuale che richiedono il possesso di specifici requisiti di formazione culturale e tecnica (titoli di studio e iscrizione ai relativi albi, ordini e collegi professionali).
L'attività professionale, per la quale la norma prescrive l'obbligo di astensione, è in generale quella in «materia di edilizia privata e pubblica», nel territorio amministrato.
La norma, quindi, non circoscrive l'obbligo di astensione ai soli incarichi conferiti da parte di pubbliche amministrazioni (anche perché, qualora il rapporto si costituisse con l'Ente di appartenenza dell'amministratore potrebbe configurarsi la causa di incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1, n. 2, del dlgs 267/200), ma lo estende anche a quelli svolti nell'interesse di privati (articolo ItaliaOggi del 30.07.2010, pag. 35).

PUBBLICO IMPIEGOOSSERVATORIO VIMINALE/ Spese legali.
Un comune è tenuto anche alla refusione delle spese peritali sostenute da un dirigente ed un funzionario per la difesa, in un procedimento penale conclusosi con sentenza di assoluzione, nel caso in cui le stesse esorbitino dal massimale di polizza assicurativo previsto per gli oneri di assistenza legale ai sensi dell'art. 43, comma 1, del Ccnl 14/9/2000 per i dipendenti e dell'art. 7 del Ccnl 27.02.1997 per i dirigenti, e utilizzato per il rimborso delle spese legali sostenute dai medesimi dipendenti?

La normativa disciplinante il patrocinio legale di cui all'art. 28, comma 3, del Ccnl 14/9/2000 per il dipendenti, e quella di cui all'art. 12, comma 3 del Ccnl 2000/2001 per il personale dirigenziale prevedono espressamente che la disciplina ivi contenuta non trova applicazione per i dipendenti assicurati ai sensi dei suddetti artt. 43 e 7.
Conseguentemente non è possibile accedere alla richiesta del predetto personale di refusione delle spese peritali tenuto conto che le stesse dovrebbero essere oggetto della copertura assicurativa al pari delle spese legali (articolo ItaliaOggi del 30.07.2010, pag. 35).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Ordine del giorno.
L'inversione della trattazione degli argomenti posti all'ordine del giorno, può costituire irregolarità nello svolgimento dei lavori assembleari?

L'art. 38, comma 2, del Tuel n. 267/2000, demanda all'apposito regolamento comunale la disciplina sul funzionamento del Consiglio, cui si riconosce, ai sensi del successivo comma 3, autonomia funzionale e organizzativa.
Per la trattazione degli atti di sindacato ispettivo, vale quanto prescritto dall'art. 43,comma 3, del Tuel che prevede un termine di 30 giorni per rispondere alle interrogazioni e ad ogni altra istanza di sindacato ispettivo (articolo ItaliaOggi del 30.07.2010, pag. 35).

PUBBLICO IMPIEGOLe progressioni orizzontali finiscono per essere congelate. La legge 122/2010 incide notevolmente sull'impiego delle risorse decentrate.
La manovra economica 2010 rende molto difficoltose le progressioni orizzontali, ovvero il sistema selettivo finalizzato agli incrementi economici del trattamento dei dipendenti pubblici, da ultimo regolato dall'articolo 23 del dlgs 150/2009.
Il maxiemendamento al dl 78/2010 incide notevolmente sull'impiego delle risorse contrattuali decentrate delle pubbliche amministrazioni, poiché stabilisce che per il triennio 2011-2013 l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale pubblico, anche di livello dirigenziale, non può superare il corrispondente importo dell'anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio.
L'ultima disposizione, in particolare, modifica radicalmente il sistema delle relazioni sindacali, in quanto ha introdotto un automatismo sottratto a qualsiasi rapporto di contrattazione o concertazione tra le parti, per effetto del quale al ridursi del personale in servizio, per qualsiasi causa, deve necessariamente ridursi in proporzione proprio la parte delle risorse decentrate posta a finanziare il salario accessorio.
La progressione orizzontale, pur non essendo qualificabile come salario accessorio perché stabilmente acquisita al trattamento economico fondamentale del dipendente che l'abbia acquisita, viene indirettamente colpita da questa misura, nonostante essa sia posta sostanzialmente a ridurre la spesa complessiva che ciascun'amministrazione sostiene per finanziare gli elementi non fissi e continuativi della paga dei propri dipendenti.
Infatti, le risorse decentrate sono destinate a finanziare due macro voci di spesa: una prima, riguarda il trattamento fisso e continuativo (tra cui la progressione orizzontale e l'indennità di comparto per gli enti locali), nonché le indennità come turno, reperibilità, maneggio valori, rischio, connesse a prestazioni rese dai singoli dipendenti per assicurare una razionale organizzazione delle attività; una seconda, invece, concerne proprio il trattamento accessorio vero e proprio, e in particolare la retribuzione connessa al raggiungimento dei risultati, collettivi e individuali.
La progressione orizzontale, proprio perché rimane saldamente connessa alla posizione retributiva del dipendente che la acquisisce, diminuisce le disponibilità dell'insieme complessivo delle risorse decentrate: più aumenta l'ammontare delle risorse destinate alle progressioni, più, simmetricamente, si riduce il fondo per il salario accessorio.
In conseguenza di ciò, posto che per legge il salario accessorio è destinato a diminuire automaticamente in proporzione alla riduzione del personale in servizio, la progressione orizzontale nella sostanza finisce per essere congelata, ed utilizzabile solo reinvestendo la posizione economica acquisita dal personale che cessa dal servizio, destinata a rifinanziare la parte stabile del fondo.
Non sarebbe agevole, invece, una politica di espansione delle progressioni orizzontali che dia luogo ad una spesa superiore a quella consentita dal rifinanziamento derivante dalle cessazioni dal servizio, perché si darebbe luogo ad una riduzione delle risorse disponibili per il salario accessorio tale da diminuire eccessivamente le disponibilità per il trattamento economico accessorio.
Il tutto, per altro, in un quadro nel quale risulta vigente, anche se non operante, il principio secondo il quale il finanziamento del trattamento economico legato alla performance individuale, e dunque, al risultato dovrebbe risultare prevalente, nell'ambito delle risorse decentrate (articolo ItaliaOggi del 30.07.2010, pag. 30 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOMANOVRA 2010/ Gli enti si attrezzano per rispettare il tetto del 3,2% ai rinnovi contrattuali. Risorse aggiuntive da restituire. I comuni virtuosi devono recuperare le somme extra corrisposte.
Il recupero delle risorse aggiuntive inserite nel fondo 2009 da parte degli enti virtuosi e il taglio della indennità pari a 1/5 del costo di un litro di benzina per km percorso con la propria automobile per ragioni di servizio e previa apposita autorizzazione: sono questi i principali aspetti su cui in molti enti locali ci si sta concretamente arrovellando per cercare di evitare l’effetto che sembra essere voluto dalla manovra (legge n.122/2010) ... (articolo ItaliaOggi del 30.07.2010, pag. 30 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: MANOVRA 2010/ Le misure per enti locali e p.a. del dl 78 definitivamente convertito dalla camera. Ora ai tagli non c’è più scampo. Blocco del turnover, congelamento dei contratti e degli stipendi.
La manovra correttiva dei conti pubblici è legge. Con 321 sì, 270 no e 4 astenuti
l’aula della camera ha definitivamente convertito in legge il dl 78/2010 che vale 24 miliardi di euro per il 2011-2012. Il testo, su cui il governo ha incassato la fiducia, è identico a quello approvato dal senato e profondamente modificato per effetto del maxiemendamento.
Ecco tutte le novità per p.a. ed enti locali della legge di conversione (n. 122/2010 che sarà pubblicata sul supplemento ordinario n. 174/L alla G.U. di oggi n. 176/2010) ... (articolo ItaliaOggi del 30.07.2010, pag. 29 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - VARICarte d'identità a rischio. Proroga della scadenza rifiutata in molti paesi. Una circolare del Viminale invita chi va all'estero a rifare.
Vacanze all'estero a rischio per numerosi italiani a causa della proroga sulla carta d'identità. Infatti, molti Paesi stranieri non riconoscono i documenti che attestano la proroga della carta d'identità, non consentendo così l'ingresso sul loro territorio.
Per ovviare a questo inconveniente, pertanto, è preferibile che i cittadini in possesso di carta d'identità, la cui scadenza quinquennale è stata prorogata ed intendano recarsi all'estero, chiedano agli uffici anagrafe del comune di residenza il rilascio un nuovo documento d'identità, sopportando i costi della carta stessa e dei diritti di segreteria.
E' quanto ha messo nero su bianco il Dipartimento degli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno, nel testo della circolare 28.07.2010 n. 23, indirizzata a tutti i Prefetti e, tra gli altri, all'Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) e all'Associazione Nazionale degli Ufficiali di Stato Civile e d'Anagrafe (Anusca).
Come si ricorderà, per effetto dell'articolo 31 del decreto legge 25.06.2008, n. 112 (convertito nella legge n. 133/2008), la durata della carta d'identità è stata fissata da cinque a dieci anni, prevedendo altresì l'estensione di tale durata anche alle carte d'identità in corso di validità alla data di entrata in vigore del decreto legge.
Per effetto di queste disposizioni, il Viminale aveva prontamente diffuso (si vedano le circolari Mininterno n. 8 e 12 del 2008) istruzioni ai comuni sulle modalità di proroga della validità dei documenti di identità. Con due differenti modalità. La prima, in caso di documento cartaceo, mediante apostilla di proroga da apporre sul retro del documento stesso. La seconda, qualora il cittadino fosse in possesso di una carta d'identità elettronica, attraverso la consegna di un documento attestante la nuova scadenza stabilita per effetto della citata legge n. 133/2008.
Tuttavia, queste modalità di attestazione della validità della carta d'identità hanno trovato, quasi immediatamente, alcune difficoltà. Infatti, come cita la stessa circolare in esame, sono stati segnalati “disagi”, provocati dal mancato riconoscimento, da parte delle Autorità di frontiera “di un significativo” numero di Paesi esteri, del documento di identità prorogato secondo le modalità sopra riportate.
Pertanto, in relazione alla circostanza che, in questi casi, il documento di identità prorogato secondo le previsioni del Dl n. 112/2008, diventa “inutilizzabile” per l'espatrio, il Viminale ammette che è meglio eliminare il problema alla radice. Infatti, si ritiene che si possa procedere alla sostituzione della carta d'identità da prorogare o già prorogata, seppure valida per il territorio italiano, con una nuova carta d'identità la cui validità decennale decorrerà dalla data di rilascio. In pratica, con le stesse previsioni in caso di deterioramento, smarrimento o furto del documento di riconoscimento.
Ma il fatto che il documento, seppur valido in Italia, non viene accettato da un “significativo” numero di Paesi esteri, non mette al riparo il cittadino dai relativi costi. Infatti, a chi intende recarsi all'estero, il nuovo documento d'identità, previo il ritiro di quello in possesso, potrà essere rilasciato dietro il pagamento del corrispettivo del costo della carta e dei diritti di segreteria (articolo ItaliaOggi del 30.07.2010, pag. 23 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - VARIIn G.U. la legge n. 120/2010 di riforma del Codice della strada. Termini ridotti a 90 giorni. Notifiche sprint, preavvisi in soffitta. Le multe sul parabrezza rischiano di far perdere tempo agli enti.
Drastica riduzione dei tempi di notifica dei verbali che segnerà il destino dei tradizionali preavvisi di accertamento per divieto di sosta. Diversa ripartizione dei proventi dell'autovelox con nuove regole per l'uso dei misuratori. Limiti all'ingerenza dei privati negli accertamenti strumentali delle infrazioni e via libera a nuove telecamere per accertare gli accessi alle aree pedonali e altre importanti violazioni.
Sono queste alcune delle importanti novità di diretto impatto sugli enti locali introdotte dalla legge di riforma del codice della strada (legge n.120/2010 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 29 luglio 2010).
Notificazione dei verbali e preavvisi di sosta. Viene ridotto da 150 a 90 giorni il periodo concesso agli organi accertatori per la notificazione postale delle multe stradali (in caso di mancata contestazione immediata della violazione). Qualora invece l'infrazione sia stata contestata immediatamente al trasgressore, diventa obbligatorio notificare il verbale anche al proprietario del veicolo o ai responsabili in solido entro cento giorni dall'accertamento.
Queste nuove regole, che peraltro saranno valide solo per le violazioni commesse dopo l'entrata in vigore della riforma, metteranno in forte discussione l'utilizzo da parte dei comandi di polizia municipale dei cosiddetti preavvisi di accertamento che tradizionalmente vengono lasciati sul parabrezza dei veicoli in divieto di sosta.
Tali preavvisi, non disciplinati dal codice della strada né dal relativo regolamento di esecuzione e attuazione, sono utilizzati per semplificare il procedimento sanzionatorio, agevolando il pagamento in misura ridotta (che generalmente può essere effettuato entro 10-20 giorni) e, conseguentemente, evitando l'attività e le spese relative alla notificazione.
Con la drastica riduzione del periodo utile per notificare i verbali di contestazione diventa certamente più difficile includere nell'iter temporalmente ristretto anche i preavvisi. Infatti, questi atti di accertamento delle infrazioni stradali costringono l'organo accertatore ad attendere molti giorni prima di poter conoscere se il trasgressore ha effettuato il pagamento in misura ridotta. Un'attesa che, ora, con le nuove regole, mette a forte rischio il rispetto dei tempi più ridotti per la notificazione dei verbali.
Proventi autovelox e nuove regole. Per le violazioni dei limiti di velocità accertate dalla polizia municipale mediante l'impiego di apparecchi o di sistemi di rilevamento oppure con l'utilizzo di dispositivi o di mezzi tecnici di controllo a distanza delle violazioni ai sensi dell'art. 4 del decreto legge n. 121 del 20.06.2002, i relativi proventi dovranno essere ripartiti in misura uguale fra il comune e l'ente proprietario della strada o gli enti che esercitano le relative funzioni ai sensi dell'art. 39 del decreto del presidente della repubblica n. 381 del 22.03.1974, restando escluse le strade in concessione.
Questa importante novità, tuttavia, non entrerà in vigore subito, ma soltanto dal primo esercizio finanziario successivo all'approvazione di un decreto ministeriale, con il quale dovranno essere definite le modalità di trasmissione in via informatica di una relazione sui proventi delle infrazioni accertate con l'autovelox.
Tale relazione, che dovrà essere inviata ogni anno entro il 31 maggio al ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al ministero dell'interno, dovrà indicare, con riferimento all'anno precedente, l'ammontare complessivo dei proventi di spettanza del comune, come risultante da rendiconto approvato nel medesimo anno, e gli interventi realizzati sfruttando queste risorse, specificando gli oneri sostenuti per ciascun intervento.
Le somme derivanti dall'attribuzione delle quote dei proventi ripartiti devono essere destinate alla manutenzione e messa in sicurezza della segnaletica, delle barriere e delle altre infrastrutture stradali e al potenziamento delle attività di controllo e accertamento delle infrazioni stradali con le connesse spese relative al personale di polizia municipale. Peraltro, queste spese del personale finanziate con la quota dei proventi ripartiti non potranno superare i limiti e i vincoli imposti dalla norme sul patto di stabilità interno e sul contenimento delle spese in materia di pubblico impiego.
La percentuale dei proventi oggetto della ripartizione e spettanti al comune sarà ridotta del 30% annuo se l'ente li utilizzerà in modo non conforme o se non trasmetterà la prescritta relazione.
Con lo stesso decreto che determinerà le regole relative ai proventi ripartiti, verranno definite anche le modalità di posizionamento e utilizzo di autovelox e telelaser, che fuori dei centri abitati non potranno essere installati, fin da subito, ad una distanza inferiore a un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità.
Ingerenza dei privati. Gli enti locali potranno accertare strumentalmente le violazioni del Codice della strada soltanto con apparecchiature di loro proprietà o acquisite con contratto di locazione finanziaria o di noleggio a canone fisso.
Tali apparecchiature, inoltre, dovranno essere utilizzate esclusivamente con l'impiego del personale di polizia locale, fatto salvo quanto previsto dall'art. 5 del dpr 250 del 22.06.1999, recante le norme per l'autorizzazione all'installazione e all'esercizio di impianti per la rilevazione degli accessi di veicoli ai centri storici e alle zone a traffico limitato a norma dell'art. 7, comma 133-bis, della legge n. 127 del 15.05.1997.
Nuove telecamere e strumenti tecnologici. L'uso delle telecamere viene esteso anche al controllo degli accessi non autorizzati ad aree pedonali e centri storici e della circolazione sulle strade riservate.
Inoltre, mediante apparecchiature o dispositivi omologati potranno essere rilevate anche le violazioni relative alla velocità pericolosa, alla guida contromano, all'uso del casco protettivo, al trasporto sui mezzi a due ruote e alla circolazione con veicoli sottoposti a fermo o sequestro amministrativo. Gli strumenti, però, fuori dal centro abitato, potranno essere installati solo su tratti di strada espressamente individuati dai prefetti.
Verranno legalizzate alcune tecnologie applicate ai semafori. Infatti, con un apposito decreto ministeriale saranno definite le caratteristiche per l'omologazione e l'installazione degli impianti per regolare la velocità, degli impianti che si attivano al rilevamento della velocità dei veicoli in arrivo e dei dispositivi finalizzati a visualizzare il tempo residuo di accensione delle luci dei nuovi impianti semaforici.
Via libera anche all'utilizzo dei tabelloni luminosi frequentemente installati ai margini delle strade per evidenziare la velocità degli utenti: con la riforma questi display vengono inclusi fra i segnali luminosi elencati dall'art. 41 del Codice stradale.
Impianti pubblicitari. All'interno dei centri abitati, su qualunque tipo di strada e non più soltanto limitatamente alle strade urbane di quartiere e locali, i comuni potranno concedere deroghe alle norme relative alle distanze minime per il posizionamento dei cartelli e degli altri mezzi pubblicitari, nel rispetto delle esigenze di sicurezza della circolazione stradale e nel rispetto dei divieti previsti dall'art. 23, comma 1, del Codice della strada; viene meno anche la condizione delle «ragioni di interesse generale o di ordine tecnico».
Novità importanti per la rimozione dei cartelli pubblicitari abusivi. In presenza di mezzi pubblicitari non regolamentari o installati senza autorizzazione, decorso inutilmente il termine della diffida, gli organi di vigilanza stradale possono accedere sul fondo privato per effettuare la rimozione.
Inoltre, se sono decorsi sessanta giorni dalla rimozione (per gli impianti su area pubblica) o dalla diffida (per gli impianti su area privata) senza che l'autore della violazione, il proprietario o il possessore del terreno abbiano richiesto la restituzione dei mezzi pubblicitari rimossi, l'ente proprietario può disporne liberamente (articolo ItaliaOggi del 30.07.2010, pag. 32).

PUBBLICO IMPIEGO:  La falsa malattia è truffa. Il dipendente non può stare a casa senza motivo.
La notizia è la seguente: un'azienda pugliese ha alle proprie dipendenze un lavoratore con il quale non tutto funziona serenamente, tanto da esserci una vertenza in corso tra le parti. Il lavoratore tuttavia è assente per malattia da due settimane, con regolare certificato medico che –a tutela della privacy– non riporta la patologia di cui è affetto.
Il datore di lavoro non si attiva personalmente per smascherare il dipendente infedele né si affida ad un investigatore privato: si rivolge alla Guardia di Finanza. Le Fiamme Gialle scoprono il dipendente a lavorare rigorosamente al nero presso altro datore di lavoro, con conseguente denuncia di truffa ai danni dell'Inps e truffa ai danni dell'azienda. Sarebbe infatti stata circa di 800 euro la cifra che l'Inps avrebbe dovuto rimborsare al datore per il periodo di infermità.
La questione stimola la riflessione perlomeno su tre distinti aspetti: la rilevanza che ha il comportamento commissivo del lavoratore ai fini della attivazione delle forze dell'ordine, la rilevanza penale della finta malattia e la violazione dei principi di fedeltà e buona fede tipici del rapporto di lavoro subordinato.
Sul primo: rileva, a riguardo, il reato di truffa disciplinato dall'art. 640-bis del codice penale, che nel caso specifico, si realizza nei confronti dell'ente pubblico in funzione di ente erogatore di prestazioni sociali nell'ambito delle prestazioni sostitutive della retribuzione. La truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.) è stata introdotta con l'art. 22 legge n. 55/1990, recante disposizioni per la prevenzione della delinquenza mafiosa. Secondo il c. 2 n. 1 della norma in esame, la truffa è aggravata se il fatto è commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico: in tal caso, alla normale lesione patrimoniale si aggiunge quella agli interessi della p.a. interessata.
Lo stesso art. 640-bis punisce le stesse condotte del reato di truffa (realizzata attraverso artifizi e raggiri), aggiungendo la specialità dell' oggetto del reato quali «contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o dalla Comunità europea».
Da tale breve illustrazione della norma, riviene evidente non solo la competenza della Guardia di finanza ad intervenire in un similare caso, ma anche l'obbligatorietà dell'intervento, stante la rilevanza pubblica del bene leso. Finta malattia, quindi, che realizza una sua precisa collocazione tra i comportamenti del lavoratore penalmente rilevanti e suscettibile di aggravante, pur compiuta nell'ambito di un rapporto di natura privata.
I due ulteriori aspetti sono intimamente collegati tra loro, pur di diversa connotazione penale e civilistica. Se infatti dal punto di vista penale, l'assenza falsamente giustificata realizza la truffa «ordinaria» nei confronti del datore di lavoro che non riceve la prestazione lavorativa cui ha interesse, si è in presenza –dal punto di vista civilistico– della violazione dei consolidati principi di buona fede, caratterizzanti il rapporto di lavoro subordinato.
Infatti, «l'obbligo di fedeltà vieta qualsiasi condotta in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura dell'impresa e che sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto. L'obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato va collegato ai principi generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 e per tanto impone al lavoratore di tenere un comportamento leale nei confronti del proprio datore di lavoro, astenendosi da qualsiasi atto idoneo a nuocergli anche potenzialmente per cui, ai fini della violazione dell'obbligo di fedeltà incombente sul lavoratore ex art. 2105 c.c., è sufficiente la preordinazione di un'attività contraria agli interessi del datore di lavoro anche solo potenzialmente produttiva di danno» (Cass. 26.08.2003 n. 12489).
Sono queste iniziali riflessioni sull'episodio narrato, che non mancherà di motivare ulteriori opinioni e commenti. Ma soprattutto, se il ricorso all'ausilio della Guardia di finanza da parte dei datori di lavoro che verranno a trovarsi in analoghe situazioni, non sarà più un'eccezione. Dipendenti avvisati (articolo ItaliaOggi del 30.07.2010, pag. 27).

VARIImmobili sotto stretto controllo. Il ruolo del notaio si arricchisce di ulteriori incombenze. Le novità nell'ambito delle operazioni di compravendita, rogiti notarili ed erogazione dei mutui.
Le ultime modifiche legislative hanno apportato importanti novità nell'ambito delle operazioni di compravendita immobiliare, rogiti notarili e connesse operazioni di erogazione dei mutui ipotecari. Lo scopo che la nuova manovra nell'art. 19, comma 14, dl 78/2010 intende perseguire, è ostacolare il continuo proliferare degli immobili non aventi le caratteristiche necessarie per la loro compravendita; immobili fiscalmente inesistenti in quanto la loro costruzione non è stata mai autorizzata e mai denunciata al catasto o in altri casi di immobili che pur regolarmente iscritti sono stati successivamente oggetto di variazioni e modifiche non denunciate oppure di immobili che pur forniti delle autorizzazioni locali per la loro costruzione non sono poi stati inseriti nei registri catastali.
La nuova norma prevede che per l'esecuzione degli atti pubblici e delle scritture private autenticate tra vivi relative al trasferimento o alla costituzione di diritti reali su immobili contengano, a pena di nullità:
- l'identificazione catastale;
- il riferimento alle planimetrie depositate in catasto;
- la dichiarazione resa in atto notarile dagli intestatari della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie.
Lo scopo del legislatore è quello di indurre i soggetti coinvolti ad allegare al rogito notarile le planimetrie specificando in atto che le medesime trovano corrispondenza con i dati catastali inseriti nell'atto stesso. In catasto, ciascuna unità immobiliare, possiede una identificazione planimetrica e una numerica, per cui la prima è necessaria per rappresentare in scala la consistenza fisica dell'immobile e la seconda serve a codificare la sua destinazione attribuendole un reddito solo figurato; in merito al terzo punto , gli intestatari sono coloro che intervengono al rogito come disponenti dei diritti oggetto del rogito e non come intestatari degli immobili così come dai dati catastali.
Il ruolo del notaio si arricchisce così di un'ulteriore incombenza posto che gli è affidato il compito di identificare gli intestatari catastali e verificare la conformità con le risultanze dei registri immobiliari.
Il legislatore identifica gli atti oggetto delle nuove disposizioni negli atti pubblici e nelle scritture private autenticate tra vivi che abbiano per oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, intesi come unità immobiliari urbane:
- atti relativi al trasferimento di diritti reali (anche per quota parte) con riferimento ai contratti di compravendita, permuta, transazione, rendita, donazione, conferimento in società, assegnazione ai soci per recesso o riduzione del capitale della società o liquidazione;
- atti relativi alla costituzione e/o rinuncia di diritti reali con riferimento agli atti che costituiscono il diritto di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e servitù;
- atti relativi allo scioglimento di comunione di diritti reali acquisiti in comune da più soggetti;
- atti relativi alla concessione/iscrizione di ipoteca esistenti nel contratto di mutuo ipotecario proposti dalla banca in sede di stipula notarile.
Gli atti esclusi sono:
- atti posti in essere non tra vivi (testamento);
- atti che non trasferiscono diritti reali (i fondi patrimoniali, gli atti preliminari di compravendita, gli atti di fusione, scissione, trasformazione di società).
Appare evidente che la ratio della nuova norma viene attuata da una parte attribuendo alla fase di stipula una maggiore azione di controllo nell'individuare gli intestatari catastali verificando la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari e dall'altra «istituzionalizzando» la responsabilità degli stessi intestatari attraverso anche una loro dichiarazione con cui attestano che lo stato di fatto dell'immobile è conforme ai dati catastali e alle planimetrie.
Con riferimento invece alla tipologia degli immobili oggetto delle nuove disposizioni, si evidenzia che la norma parla di «edifici già esistenti»; non si è stabilito quali gli effetti in caso di dichiarazione di conformità resa dal venditore diversa (per dolo o per colpa) da quella reale (articolo ItaliaOggi del 29.07.2010, pag. 28).

EDILIZIA PRIVATALa Scia mette il turbo alle nuove iniziative.
Norma antiburocrazia nella manovra correttiva. Con l'introduzione della Scia (segnalazione certificata inizio attività) sarà più facile iniziare un'attività d'impresa o edilizia.
La Scia sostituirà infatti la Dia, e le amministrazioni avranno 60 giorni (e non più 30), per esercitare i controlli ed eventualmente richiedere (se si accerta carenza dei requisiti necessari) la rimozione degli effetti dannosi, a cui l'impresa dovrà provvedere entro 30 giorni.
La Scia quindi consiste in un'autocertificazione che, tuttavia, non potrà essere utilizzata nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali o nell'ambito di quei procedimenti in cui siano necessari atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze (compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivanti dal gioco, nonché quelli imposti dalla normativa comunitaria).
L'attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente, senza attendere 30 giorni, come accadeva prima della riforma con la Dia.
Il legislatore ha inteso rispondere all'esigenza di liberalizzazione dell'attività d'impresa, istituendo una «segnalazione certificata di inizio attività» che sostituisce «ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale».
Dal punto di vista normativo, infatti, il maxi-emendamento governativo ha introdotto all'articolo 49 il comma 4-bis, il quale ha sostituito integralmente l'art. 19 della legge n. 241/90 (originariamente rubricato «Dichiarazione di inizio attività»).
Correderanno la segnalazione (per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali ecc.) le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà, le attestazioni e le asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero le dichiarazioni di conformità da parte delle agenzie delle imprese (di cui all'art. 38, comma 4, dl n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008), relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale.
Le autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni sostituiranno anche l'acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive.
Vincoli. L'applicazione della nuova disciplina è subordinata alle seguenti condizioni:
- che il rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o di atti amministrativi a contenuto generale;
- che non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione:
a) dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali;
b) per quei procedimenti in cui siano necessari atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli imposti dalla normativa comunitaria;
- che gli atti richiesti non riguardino le attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico bancario.
Divieti. Il testo della manovra prevede anche l'adozione di motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti. Il termine è fissato in 60 giorni dal ricevimento della segnalazione e può contenere l'ordine di rimozione degli eventuali effetti dannosi.
L'amministrazione può però anche fissare un termine (in ogni caso non inferiore a 30 giorni) entro cui l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti.
In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci, l'amministrazione, ferma restando la responsabilità penale, potrà sempre e in ogni tempo adottare i suddetti provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi.
Deroghe. Decorso il predetto termine di 60 giorni, l'amministrazione potrà intervenire solo in presenza del pericolo di un danno grave e irreparabile per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente.
Dia. Le nuove disposizioni stabiliscono che la disciplina sulla Scia sostituirà direttamente, dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, quella della Dia (statale e regionale). La disciplina sulla Scia che è stata introdotta, infatti, è ricondotta alla tutela della concorrenza ai sensi dell'art. 17, comma 2, lett. e), della Costituzione (materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato), e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma 2.
Ciò ha consentito di risolvere il problema del rapporto con la disciplina della dichiarazione di inizio di attività recata da ogni normativa regionale. Inoltre, le espressioni «segnalazione certificata di inizio di attività» e «Scia» sostituiranno, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio di attività» e «Dia».
Semplificazioni. In materia di semplificazione è stata introdotta una normativa a cascata che tende a ridurre gli adempimenti amministrativi gravanti sulle Pmi, al fine di promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la competitività delle imprese. In particolare, il governo sarà autorizzato ad adottare uno o più regolamenti di delegificazione, volti a semplificare e ridurre gli adempimenti amministrativi a carico delle pmi, in base ai seguenti principi e criteri:
a) proporzionalità degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell'impresa e al settore di attività, nonché alle esigenza di tutela degli interessi pubblici coinvolti;
b) eliminazione di autorizzazioni, licenze, permessi, ovvero di dichiarazioni, attestazioni, certificazioni, comunque denominati, nonché degli adempimenti amministrativi e delle procedure non necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici in relazione alla dimensione dell'impresa ovvero alle attività esercitate;
c) estensione dell'utilizzo dell'autocertificazione, delle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati nonché delle dichiarazioni di conformità da parte delle agenzie delle imprese (art. 38, comma 4, dl n. 112/2008);
d) informatizzazione degli adempimenti e delle procedure amministrative, secondo la disciplina del dlgs 82/2005 (codice dell'amministrazione digitale);
e) soppressione delle autorizzazioni e dei controlli per le imprese in possesso di certificazione Iso o equivalente, per le attività oggetto di tale certificazione;
f) coordinamento delle attività di controllo al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni, assicurando la proporzionalità degli stessi in relazione alla tutela degli interessi pubblici coinvolti.
Entrata in vigore. I regolamenti in materia di Scia dovranno essere emanati entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del dl 78/2010, ed entreranno in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione (articolo ItaliaOggi del 26.07.2010, pag. 10).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Permessi da documentare. I dipendenti hanno diritto di assentarsi dal lavoro per partecipare ai consigli. Se la seduta non si apre basta la convocazione.
Un lavoratore dipendente, consigliere circoscrizionale, può usufruire dei permessi di cui all'art. 79 del decreto legislativo n. 267/2000 quando la seduta non viene dichiarata aperta a causa dell'assenza del presidente e del vicepresidente della commissione?
L'articolo 79, al comma 3, prevede per i lavoratori dipendenti il diritto di assentarsi per tutta la durata delle riunioni degli organi di cui fanno parte per la loro effettiva durata, compreso il tempo per raggiungere il luogo della riunione e di rientrare al posto di lavoro. Ulteriori permessi non retribuiti, sino ad un massimo di 24 ore lavorative mensili, sono previsti, qualora sia necessario, al successivo comma 5, a prescindere dall'effettiva partecipazione dell'amministratore alle sedute, considerato che eventuali assenze possono rivestire significato politico. Il lavoratore dipendente dovrà comunque documentare, come prescritto dal comma 6 del citato art. 79, mediante attestazione dell'ente, sia i permessi retribuiti che quelli non retribuiti e, in caso di non partecipazione alle sedute sarà sufficiente la sola convocazione del consiglio comunale (articolo ItaliaOggi del 23.07.2010, pag. 35).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità del Sindaco.
Sussiste una causa di incompatibilità, ai sensi dell'art. 63, comma 1, n. 4 del dlgs n. 267/2000, nei confronti del sindaco che ha taciuto l'esistenza di presunte cause ostative all'assunzione ed all'espletamento del mandato elettivo?
La Corte di cassazione ha più volte ribadito che l'espressione «essere parte di un procedimento» va inteso in senso tecnico, per cui la pendenza di una lite va accertata con riferimento alla qualità di parte in senso processuale; quindi, agli effetti della sussistenza della causa di incompatibilità della lite pendente con il comune, non sono sindacabili i motivi del giudizio pendente, dovendo unicamente rilevarsi il dato formale ed obiettivo di tale pendenza, che esaurisce ex se il presupposto dell'incompatibilità (cfr. Cass. civ., sez. I, 16.02.1991, n. 1666).
Secondo un orientamento giurisprudenziale più recente è stato ritenuto che ad integrare gli estremi della causa di incompatibilità di cui al comma 1, n. 4 del citato articolo 63, «non basta la pura e semplice constatazione di un procedimento civile o amministrativo nel quale risultino coinvolti, attivamente o passivamente, l'eletto o l'ente, ma occorre che a tale dato formale corrisponda una concreta contrapposizione di parti, ossia una reale situazione di conflitto: solo in tal caso sussiste l'esigenza di evitare che il conflitto di interessi nella lite medesima possa orientare le scelte dell'eletto in pregiudizio dell'ente amministrativo, o comunque possa ingenerare all'esterno sospetti al riguardo» (cfr. Cass. civ., sez. I, 28.07.2001, n. 10335).
Resta, comunque, fermo che chiunque sia in possesso di una potenziale notizia di reato può direttamente investire la competente autorità giudiziaria (articolo ItaliaOggi del 23.07.2010, pag. 35).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Versamento dei contributi.
L'ente locale è tenuto al versamento dei contributi obbligatori, del Tfr, dei contributi per il fondo integrativo pensioni, per il fondo di solidarietà, e per il fondo di previdenza complementare a favore di un assessore provinciale che ha optato per l'aspettativa non retribuita, presso il proprio datore di lavoro?
L'art. 86 del dlgs 267/2000 attribuisce all'ente locale l'onere di effettuare, per gli amministratori che svolgono l'attività lavorativa, i versamenti degli oneri previdenziali, assistenziali e assicurativi ai rispettivi istituti, dandone comunicazione tempestiva al datore di lavoro, secondo le diverse modalità prescritte dai commi 1 e 2 del citato art. 86.
Il predetto adempimento è previsto al comma 1, per i lavoratori dipendenti collocato in aspettativa non retribuita, e al comma 2 per i lavoratori non dipendenti, intendendo per tali i cosiddetti lavoratori autonomi.
Pertanto, nel caso di specie, l'amministrazione locale è tenuta, per i suoi amministratori, esclusivamente ai suddetti versamenti in quanto ritenuti obbligatori per legge a carico del datore di lavoro (articolo ItaliaOggi del 23.07.2010, pag. 35).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Surroga.
La surroga, da parte del consiglio comunale, di un consigliere decaduto dalla carica è un atto necessario?
La reintegrazione del plenum del consiglio con la surroga del consigliere decaduto rappresenta adempimento prioritario ed ineludibile. Il consolidato orientamento della giurisprudenza e della dottrina ritiene che la delibera di surroga costituisca atto necessario e dovuto, sottratto a qualsiasi relazione con la discrezionalità amministrativa e con l'indirizzo politico della maggioranza espressi dall'assemblea consiliare (articolo ItaliaOggi del 23.07.2010, pag. 35).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATACONSIGLIO DEI MINISTRI/Il preconsiglio ha esaminato un dlgs sull'inquinamento sonoro. I limiti acustici li detta lo Stato. Multe tra 500 e 20 mila euro. Un catasto per le fonti del rumore.
Istituzione del Catasto nazionale delle sorgenti di rumore, definizione delle competenze in materia fra stato e regioni cui spetterà dettare le norme sulle autorizzazioni comunali per le manifestazioni all'aperto; adeguamento delle sanzioni da un minimo di 500 a un massimo di 20 mila euro; novità sulle modalità di accesso e consultazione da parte del pubblico relativamente ai piani di classificazione acustica.
Sono questi i principali contenuti di uno schema di decreto legislativo, andato in settimana al vaglio del preconsiglio dei ministri e presto all'esame di uno dei prossimi Cdm.
La bozza di dlgs attua la delega contenuta nell'articolo 11 della legge 88/2009 e coordina la normativa nazionale con la direttiva comunitaria 49/2002. Il decreto, fra le altre cose, prevede la competenza dello stato nella determinazione dei requisiti acustici da assicurare all'interno dei mezzi di trasporto pubblici collettivi, dei criteri per la predisposizione di impatto acustico e delle valutazioni di clima acustico e dei requisiti acustici da assicurare all'interno dei locali pubblici di ristorazione.
Spetterà invece alle regioni la definizione delle modalità di rilascio delle autorizzazioni comunali per lo svolgimento di attività temporanee e di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, qualora esso comporti l'impiego di macchinari o di impianti rumorosi.
Vengono previsti anche i contenuti dei «piani di risanamento» e dei «piani di contenimento e abbattimento del rumore» in ipotesi particolari di impatto paesaggistico ambientale, che potranno prevedere, in accordo con le autorità competenti alla approvazione e alla autorizzazione per la realizzazione degli interventi, un raggiungimento graduale nel tempo dei limiti.
Il decreto stabilisce nuove norme per l'accesso alle informazioni inerenti il piano di classificazione acustica comunale, il piano comunale di risanamento acustico e le modalità di consultazione degli stessi (anche informatiche); viene introdotto anche l'obbligo di comunicazione, mediante avviso pubblico, delle modalità di consultazione dei piani.
Il decreto stabilisce anche le modalità di presentazione del piano di risanamento degli impianti industriali, prevedendo un termine, non superiore a un periodo di 30 mesi, entro il quale le imprese prevedono di adeguarsi ai limiti previsti dalle norme della Legge Quadro sull'inquinamento acustico e un termine di sei mesi entro il quale la Regione, sentite le Autorità competenti, ha facoltà di apportare eventuali modifiche ed integrazioni al piano di risanamento acustico.
Viene istituito presso l'Ispra il «Catasto nazionale delle Sorgenti di rumore», per le cui modalità organizzative si rinvia a un successivo decreto del ministro dell'ambiente, di concerto con il ministro delle infrastrutture e con il ministro dello sviluppo economico, da emanare entro i 18 mesi.
Vengono anche aggiornate in euro le sanzioni amministrative per chi supera i valori limite e si prevede l'attribuzione al ministero dell'ambiente, della facoltà di comminare le sanzioni, nei casi di ritardo nella presentazione dei piani di contenimento ed abbattimento e dei progetti di attuazione, nonché nei casi di ritardo nella realizzazione degli interventi previsti dai progetti esecutivi approvati. Sono infine previsti diversi decreti ministeriali di attuazione per la verifica delle mappe acustiche di cui alla legge 194/2005 e per le campagne di monitoraggio.
Nel frattempo ieri è stata anche pubblicata la norma UNI 11367 «Acustica in edilizia - Classificazione acustica delle unità immobiliari - Procedura di valutazione e verifica in opera», norma volontaria che prevede quattro differenti classi di efficienza acustica: si va dalla classe 1, che identifica il livello più alto (più silenzioso), alla classe 4 che è la più bassa (più rumoroso), applicabile per ogni singola unità immobiliare.
Secondo Piero Torretta, presidente UNI «Come tutte le norme tecniche di prodotto/servizio, la norma UNI 11367 ha posto al centro della sua attenzione il consumatore, le sue esigenze, la sua tutela nel rapporto con il mondo della produzione, che -a sua volta- è impegnato a dare informazioni sul tipo di prodotto che realizza e immette sul mercato: in particolare su quali sono le caratteristiche e le prestazioni rispetto allo standard definito dalla norma tecnica di riferimento» (articolo ItaliaOggi del 23.07.2010, pag. 22).

EDILIZIA PRIVATANuovi edifici, d'obbligo la classificazione acustica. Schema di decreto delegato a breve in consiglio dei ministri.
Per i nuovi edifici sarà previsto l'obbligo di indicare la classificazione acustica all'atto di acquisto dell'immobile, obbligatoria anche per le ristrutturazioni; per gli edifici esistenti la classificazione sarà volontaria; la dimostrazione del rispetto degli standard minimi dovrà essere effettuata solo ed esclusivamente attraverso verifiche acustiche al termine della realizzazione dell'opera.
È quanto prevede, per tutte le nuove costruzioni, ad eccezione degli edifici con destinazione d'uso agricolo, industriale e artigianale, lo schema di decreto legislativo che dovrà a breve essere portato all'attenzione del consiglio dei ministri in vista della scadenza della delega prevista dalla legge comunitaria per il 2009 (attualmente in attesa di pubblicazione), fissata al 29 luglio.
Il provvedimento, messo a punto dai tecnici del ministero dell'ambiente, ha lo scopo di fissare criteri e metodologie per il contenimento dell'inquinamento acustico da rumore all'interno degli ambienti abitativi (in particolare con riguardo alle sorgenti sonore interne) e di definire gli obiettivi di miglioramento progressivo della qualità acustica degli edifici. Il tutto per perseguire lo scopo della limitazione del rischio di disturbo da rumore agli utenti, all'interno degli edifici e nelle condizioni di utilizzo dell'ambiente abitativo.
Il provvedimento abrogherà il Dpcm del 05.12.1997 sulla determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici e interverrà su tutte le fasi della filiera realizzativa dei nuovi edifici.
Si prevede infatti che gli edifici debbano essere progettati, costruiti e ristrutturati in modo che gli elementi tecnici che compongono gli ambienti abitativi abbiano caratteristiche acustiche adeguate per ridurre la trasmissione del rumore aereo, del rumore impattivo e del rumore degli impianti dell'edificio.
La novità principale consiste nell'introduzione della classificazione acustica delle unità immobiliari che sarà obbligatoria per i nuovi edifici, e dovrà essere riportata nell'atto di compravendita, e volontaria per gli edifici esistenti. I parametri di riferimento dovranno essere determinati dai provvedimenti attuativi della legge 447/1995, anche se per la progettazione acustica degli edifici risultano applicabili le norme tecniche della serie UNI EN 12354 della norma UNI TR 11175.
La dimostrazione della rispondenza ai requisiti minimi stabiliti da decreto legislativo dovrà essere fornita in fase di progetto e certificata solo ed esclusivamente tramite verifiche acustiche effettuate al termine della realizzazione dell'opera. Dall'applicazione delle nuove norme saranno esclusi i locali pubblici destinati a spettacoli (auditorium, sale musicali, teatri, cinema ecc.), in relazione al trattamento acustico della sala e alla rumorosità degli impianti, profili che fanno riferimento ad altre specifiche tecniche.
Per gli interventi di modifica, sostituzione e trasformazione dovranno essere adottate soluzioni che non peggiorino i requisiti acustici preesistenti; in caso di interventi che comportino forti ripercussioni acustiche sarà necessaria una attestazione di un tecnico competente in acustica ambientale.
I valori di isolamento acustico previsti dal decreto si applicheranno alle facciate e agli ambienti interni; i comuni, se non hanno una classificazione acustica del territorio dovranno effettuare con tecnici competenti misurazioni e valutazioni acustiche per stabilire una ipotesi di classificazione acustica per aree.
I comuni dovranno, per le nuove costruzioni, chiedere al progettista/costruttore di inserire il riferimento al decreto legislativo che, all'allegato A prevede come dovrà essere effettuata la classificazione acustica delle unità immobiliari (ospedali, scuole e edifici assimilabili, alberghi e unità immobiliari) (articolo ItaliaOggi del 22.07.2010, pag. 20).

PUBBLICO IMPIEGOInpdap trasparente. Parte la sperimentazione. Servizio a regime nel 2011. In arrivo l'estratto conto online.
Arriva l'estratto conto online dell'Inpdap. Anche i dipendenti della pubblica amministrazione, così come quelli del settore privato, potranno consultare direttamente da casa la propria posizione assicurativa semplicemente collegandosi al sito dell'Inpdap.

Il servizio sarà attivato gradualmente, dopo la fase di sperimentazione già partita in otto enti locali dell'Umbria (i comuni di Gualdo Tadino, Castiglione del Lago, Marsciano, Amelia, Montecastrilli, Guardea e Collazzone e l'Azienda Speciale Farmacie Municipali di Terni).
Sarà poi la volta dei dipendenti di due amministrazioni pubbliche per ogni regione, mentre nel corso del 2011 la platea degli iscritti che potrà fruire del servizio estratto conto on-line aumenterà fino a raggiungere tutti i pubblici dipendenti.
A regime ogni cittadino iscritto all'Istituto guidato da Paolo Crescimbeni potrà, da casa, visualizzare e stampare la propria posizione assicurativa, così come risulta dalla banca dati dell'Istituto (estratto conto informativo). A questo punto, se necessario, potrà richiedere, tramite internet, alla sede Inpdap di competenza le eventuali modifiche o integrazioni dell'estratto conto (variazioni anagrafiche, dei periodi di servizio, delle retribuzioni, dei periodi riconosciuti).
L'iscritto avrà anche la possibilità di visualizzare una simulazione di quello che sarà il tasso di sostituzione tra l'ultimo stipendio e la prima pensione futura. Restano comunque invariati i canali tradizionali attualmente vigenti per la consultazione della propria posizione assicurativa e l'eventuale inoltro di richieste di variazione. L'iscritto, infatti, per ottenere tali servizi può, previo conferimento di mandato, rivolgersi agli istituti di patronato o recarsi presso la sede Inpdap.
L'iscritto Inpdap, dipendente di uno degli enti pubblici che saranno via via abilitati, può accedere al servizio attraverso un codice personale di accesso (Pin) per garantire la necessaria riservatezza nella fruizione dei servizi in linea.
Per ottenere il Pin è sufficiente entrare, dalla home-page di www.inpdap.gov.it, in Servizi in linea, Iscritti, Autoregistrazione e seguire le indicazioni del sistema.
Una prima metà del codice viene rilasciata automaticamente, l'altra metà viene inviata per posta all'indirizzo di residenza dell'iscritto. Lo stesso Pin, in futuro, consentirà l'accesso anche ad altri «servizi al cittadino»: l'estratto conto on-line è il primo di questi a essere attivato (articolo ItaliaOggi del 20.07.2010, pag. 32).

PUBBLICO IMPIEGORischio-stress per i dipendenti, ancora cinque mesi per adeguarsi.
Altri cinque mesi per adeguare le misure di sicurezza contro lo stress sul lavoro. L'entrata in vigore delle disposizioni del T.u. prevista per il prossimo 1° agosto slitta al 31 dicembre. Sia per le p.a., (già previsto dal dl n. 78/2010) che per le aziende.
La gestione del rischio stress da lavoro-correlato ha fatto esordio nel T.u. (dlgs n. 81/2008), che lo esplicita con riferimento ai principi dell'accordo europeo 08.10.2004.
Le modifiche del dlgs n. 106/2009 hanno stabilito che la valutazione del relativo rischio deve essere effettuata nel rispetto di specifiche indicazioni da elaborarsi a cura della Commissione consultiva permanente e che il nuovo obbligo di valutazione del rischio stress, per aziende e p.a., decorre dall'01.08.2010, termine che, con l'approvazione della manovra correttiva, slitterà al 31/12/2010.
La manovra dà poi altri 12 mesi di tempo per «l'individuazione delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative», che devono essere individuate con appositi decreti interministeriali.
La norma interessa le forze armate e di polizia, i vigili del fuoco, i servizi di protezione civile, le strutture giudiziarie penitenziarie, le università, gli istituti di istruzione, l'arma dei carabinieri, le forze di polizia. Il termine prorogato (di un anno) era stabilito il 24 mesi dall'entrata in vigore del T.u. (15.05.2008) (articolo ItaliaOggi del 19.07.2010, pag. 3).

ENTI LOCALI: Nei piccoli comuni unioni obbligate da subito. Al via da settembre la gestione associata delle funzioni generali.
Entro settembre i comuni con meno di 5mila abitanti dovranno gestire in forma associata, tramite unioni o convenzioni, la gran parte delle proprie funzioni ... (articolo Il Sole 24 Ore del 19.07.2010, pag. 12).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ I circondari in soffitta. Il dl 2/2010 lega le mani alle province. Prioritari i conti pubblici. No alle previsioni statutarie in contrasto.
La norma di cui all'art. 1, comma 1-ter, del decreto legge 25/1/2010 n. 2, come convertito dalla legge n. 42 del 26 marzo, è applicabile anche ad una provincia, il cui territorio è attualmente suddiviso in circondari, che sostiene che tale organizzazione non incide sui costi dei servizi?

La disposizione richiamata, inserendo il comma 185-bis dell'art. 2 della legge finanziaria 2010 (legge 191/2009), ha stabilito la soppressione dei «circondari provinciali esistenti» e l'abrogazione dei commi 1 e 2 dell'art. 21 del Touel, che prevedevano la possibilità di suddividere il territorio provinciale in circondari, di istituire l'assemblea dei sindaci e di nominare un presidente.
La particolare valenza della nuova disciplina deriva dalle finalità perseguite dal legislatore di tutela di interessi generali in materia di politiche di bilancio statali, trattandosi di disposizioni volte al contenimento della spesa pubblica.
Pertanto, le previsioni statutarie contrastanti con tali norme non sono consentite, indipendentemente dalla esiguità o meno delle spese sostenute da ciascuna Provincia per i costi dei servizi e per gli eventuali emolumenti spettanti ai consiglieri di circondario.
In proposito la Corte costituzionale (sent. n. 64/2005) ha ritenuto non contestabile il potere statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse agli obiettivi nazionali ed agli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio pur se questi si traducono inevitabilmente, per i riflessi di natura organizzativa, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti (articolo ItaliaOggi del 09.07.2010, pag. 38).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Vicesindaco in consiglio.
Il vicesindaco, in funzione vicaria del sindaco deceduto, può partecipare, con diritto di voto, alle sedute del consiglio, in un comune con popolazione superiore ai 15 mila abitanti?

Il Consiglio di stato, con parere n. 94/1996 del 21/02/1996, da ritenersi tuttora attuale non essendo intervenuta alcuna innovazione legislativa, ha ritenuto che nei comuni con popolazione superiore a 15 mila abitanti, in cui vige la regola dell'incompatibilità tra la carica di assessore e quella di consigliere, il vicesindaco non può far parte del consiglio, con diritto di voto. Ciò in quanto non pare concepibile che tali funzioni «vengano esercitate di volta in volta dal sindaco o da chi ne fa occasionalmente le veci, in pratica da un delegato. Nel nostro ordinamento, infatti, non è ammessa delega o sostituzione nelle funzioni di componente delle assemblee elettive».
Il Supremo consesso è intervenuto nuovamente sulla tematica concernente i poteri del vicesindaco (sez. I, parere n. 501 del 14/6/2001) e, pur non soffermandosi sulla specifica questione, non ha contraddetto la precedente pronuncia.
Trova, pertanto, conferma l'orientamento secondo il quale il vicesindaco, in caso di decesso del sindaco, non può esercitare le funzioni di componente, con diritto di voto, del consiglio comunale (articolo ItaliaOggi del 09.07.2010, pag. 38).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Ineleggibilità consiglieri.
Può considerarsi ineleggibile un consigliere di un ente che voglia candidarsi sindaco presso un altro comune ?

L'art. 60, comma 1, n. 12 del decreto legislativo 267/2000 prevede l'ineleggibilità alla carica di sindaco, di presidente della provincia, di consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale, per chi riveste le stesse cariche, rispettivamente in altro comune, provincia o circoscrizione.
La norma sembrerebbe stabilire, con il termine «rispettivamente», una correlazione tra la tipologia di cariche, sancendo l'ineleggibilità alla carica di sindaco per chi è sindaco in altro comune, e l'ineleggibilità alla carica di consigliere comunale per chi riveste la medesima carica in altro comune e non anche per chi ricopre le altre cariche indicate nella norma.
Tuttavia la I Sezione della Corte di cassazione, in data 20/05/2006, con sentenza n. 11894, si è pronunciata a favore dell'ipotesi di ineleggibilità alla carica di sindaco per chi ricopre la carica di consigliere in altro comune. In senso conforme all'indirizzo enunciato dalla Corte di cassazione, si è recentemente espressa l'Avvocatura generale dello Stato.
Pertanto, alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale, nella fattispecie ricorre l'ipotesi di ineleggibilità di cui al citato art. 60, comma 1, n. 12 del decreto legislativo n. 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 09.07.2010, pag. 38).

PUBBLICO IMPIEGOIl codice disciplinare è ok anche fuori bacheca. Il recente orientamento della Corte di Cassazione, che conferma e anzi supera Brunetta. Pubblicazione non necessaria per contestare una violazione.
Il ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta, integrando la vigente legislazione sul rapporto di lavoro di lavoro dei dipendenti statali, ha previsto che non occorre che il codice disciplinare sia pubblicato in un luogo accessibile a tutti i lavoratori, basta che sia conoscibile attraverso il sito web dell'istituzione di appartenenza (art. 55, secondo comma, d.l. 165/2001, come sostituito dall'art. 68 del d decreto legislativo 150/2009).
Tale previsione ha carattere imperativo e non può essere derogata dai contratti di lavoro. Per la validità di una sanzione disciplinare, a parte il rispetto degli altri requisiti di merito e di diritto, d'ora in poi non occorre più verificare che vi sia stata e continui a esserci la pubblicazione del codice in un determinato ambiente fisico.
La Cassazione è andata oltre, e senza bisogno di modificare legislazione e norme contrattuali. Con una sentenza da poco depositata in cancelleria, la n. 11250/2010, la sezione lavoro dell'alta corte ha stabilito che l'affissione del codice disciplinare non costituisce requisito essenziale per l'applicazione della sanzione disciplinare, quando l'infrazione riguarda «doveri previsti dalla legge o comunque appartenenti al patrimonio deontologico di qualsiasi persona onesta». Detto in altre parole, quando «l'illiceità della violazione, per l'evidente contrasto con la coscienza comune e con le regole fondamentali del vivere civile, [può] essere conosciuta e apprezzata dal lavoratore senza bisogno di previo avviso».
La sentenza è stata emessa nei confronti di un lavoratore del settore privato ma il principio enunciato è estensibile anche al pubblico impiego, al quale, dopo la sua privatizzazione, si applicano le stesse regole.
In particolare l'art. 7 dello statuto dei lavoratori, che rappresenta la fonte da cui derivano le diverse prescrizioni contrattuali aventi lo stesso contenuto o contenuto analogo: «Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti» (legge n. 300/1970).
A suo tempo, una sanzione disciplinare, comminata nel rispetto del contraddittorio e motivata nel merito, poteva essere revocata dal giudice del lavoro, se accertava la mancata, preventiva pubblicazione del codice.
E ciò è accaduto spesso nei quindici anni dal primo contratto scuola nei confronti del personale Ata della scuola (il codice disciplinare dei docenti non è stato ancora contrattualizzato), per il quale la norma relativa, l'ultimo comma dell'art. 95 del vigente contratto di lavoro, stabilisce addirittura che nessun'altra forma di pubblicità può sostituire l'affissione.
Adesso, disposizioni imperative di legge e pronunce giurisprudenziali convergono in un unico punto, quello di ridurre le formalità preliminari all'instaurazione di un procedimento disciplinare. Il caso, preso in considerazione dalla Cassazione, riguarda un maître d'albergo, licenziato perché da oltre un mese non si presentava sul posto di lavoro per assumere servizio.
Il licenziamento era fondato nel merito e lo era anche sotto il profilo del rispetto delle formalità richieste, ha sentenziato la Cassazione. I fatti sono stati regolarmente contestati, è stato accertato che effettivamente il lavoratore si era immotivatamente assentato né aveva dato accettabili giustificazioni.
Se non ci si presenta sul posto di lavoro per un prolungato lasso di tempo e non si dà conto del proprio comportamento, si deve sapere che esso è sanzionabile, a prescindere da considerazioni su pubblicazione o meno del codice disciplinare (articolo ItaliaOggi del 06.07.2010, pag. 38).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

INCARICHI PROGETTUALIProgettisti in gara, senza trucchi. Riferimento alle tariffe e un argine alla pratica dei ribassi. Una determinazione dell'Authority lavori pubblici sui servizi di ingegneria e architettura.
Maggiore dettaglio nella definizione dei corrispettivi a base di gara per la progettazioni; riferimento alle tariffe professionali; accurata verifica delle offerte anomale, riduzione dell'incidenza dei ribassi offerti dai progettisti; maggiore qualità nelle offerte.
Sono questi alcuni degli obiettivi che intende perseguire l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con la determinazione 27.07.2010 n. 5 sui servizi di ingegneria e architettura, che fa seguito ai lavori condotti da un apposito tavolo tecnico, coordinato dal consigliere Giuseppe Borgia, cui hanno partecipato rappresentanti degli ordini professionali, delle associazioni di categoria interessate e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Il provvedimento (corredato da dieci tabelle) fornisce indicazioni e chiarimenti sulle disposizioni vigenti relative alle modalità di affidamento, alla determinazione dell'importo a base di gara, all'individuazione dei requisiti di partecipazione e dei criteri di aggiudicazione dell'offerta, prestando particolare attenzione al procedimento di verifica della congruità delle offerte.
Il presupposto di questo articolato e accurato lavoro è la rilevata disomogeneità delle procedure utilizzate dalle stazioni appaltanti e il frequente ricorso ai ribassi sproporzionati da parte degli operatori economici.
Per fare fronte a questi profili critici l'organismo di vigilanza presieduto da Giuseppe Brienza ha preso in considerazione, fra i tanti, il tema, delicatissimo, della definizione dell'importo a base di gara ribadendo, nella sostanza, l'opportunità di fare riferimento al d.m. 04.04.2001, le cui tariffe devono essere ritenute «motivatamente adeguate» proprio in quanto approvate con legge.
Ciò detto, le linee guida chiedono alle stazioni appaltanti di applicare il decreto del 2001 in maniera chiara ed analitica, affinché il corrispettivo sia «congruo in rapporto alla natura e complessità dei servizi da affidare e alla qualità delle prestazioni attese».
A tale fine le stazioni appaltanti dovranno prevedere nei documenti di gara una descrizione analitica delle prestazioni professionali e dei loro costi, seguendo le indicazioni contenute nelle tabelle allegate alle linee guida, ove è indicata per ogni prestazione progettuale la suddivisione della corrispondente aliquota parziale prevista dal decreto ministeriale.
In sostanza l'Autorità chiede alle amministrazioni di allegare al bando l'elenco degli elaborati richiesti con i relativi costi Se quindi la stazione appaltante dovrà suddividere ogni prestazione definendone anche la percentuale di costo, in sede di predisposizione delle offerte da parte dei progettisti e di verifica delle stesse sarà possibile effettuare in maniera più accurata l'analisi delle eventuali anomalie di ribasso.
Quindi, al dettaglio dei documenti posti a base di gara dalla stazione appaltante dovrà corrispondere una più adeguata verifica delle offerte anomale (ad oggi le gare di servizi di ingegneria e architettura registrano il 37% di ribasso medio, con punte anche del 70/75 %).
Tutto ciò dovrebbe essere evitato anche perché le linee guida suggeriscono di applicare, anticipando il nuovo regolamento del Codice, una formula di attribuzione dei punteggi (allegato M dello schema di regolamento) che dovrebbe disincentivare il fenomeno dei ribassi eccessivi.
Una particolare attenzione viene posta anche al contenuto delle relazioni metodologiche, nonché alla valutazione dei servizi analoghi (per i quali una tabella, la n. 1, stabilisce quali prestazioni devono ritenersi assimilabili in base all'articolo 14 della legge 143/1949).
Sono anche previste alcune indicazioni dedicate ai concorsi di idee e di progettazione, per i quali si richiama la necessità di indicare nel bando di concorso l'eventuale affidamento degli sviluppi progettuali al vincitore del concorso, previa anche indicazione dei requisiti richiesti per lo svolgimento dei servizi successivi; in ogni caso è precisato che nel concorso non può essere valutata l'offerta economica ma solo la qualità dell'elaborato presentato.
Diverse le precisazioni sui requisiti di partecipazione alle gare, per i quali sono applicabili l'articolo 63 del dpr 554/1999 e l'articolo 66 dello stesso dpr, nell'ottica di garantire la par condicio ed evitare restrizioni della concorrenza attraverso requisiti limitativi incongrui (articolo ItaliaOggi del 29.07.2010 - link a www.corteconti.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIDisciplina dei pagamenti nei contratti pubblici di forniture e servizi (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - Serie Generale - del 28.07.2010 n. 174) (determinazione 07.07.2010 n. 4 - link a www.autoritalavoripubblici.it).
Il Consiglio Ritiene che:
• le stazioni appaltanti devono attenersi nella redazione dei documenti di gara, nonché dei documenti contrattuali, alle disposizioni previste dal decreto legislativo 09.10.2002, n. 231 con riguardo ai termini di pagamento, alla decorrenza degli interessi moratori ed al saggio di interessi applicabile in caso di ritardo.
• le stazioni appaltanti non possono subordinare la partecipazione alle procedure di gara o la sottoscrizione del contratto all’accettazione di termini di pagamento, di decorrenza degli interessi moratori e misura degli interessi di mora difformi da quelli previsti dal decreto legislativo 09.10.2002, n. 231, né prevedere tale accettazione come elemento di favorevole valutazione delle offerte tecniche nell’ambito del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

LAVORI PUBBLICIProcedimento per il rilascio del nulla osta a nuova attestazione di qualificazione SOA su istanza dell’impresa cui sia stata dichiarata decaduta l’attestazione a seguito di accertamento di false dichiarazioni; indicazioni interpretative dell’articolo 17, comma 1, lett. m), del d.P.R. 25.01.2000, n. 34 (determinazione 03.06.2010 n. 3 - link a www.autoritalavoripubblici.it).
Il Consiglio Ritiene che:
1.
decorso il termine di un anno dall’inserimento nel casellario della notizia della decadenza o del diniego dell’attestazione per false dichiarazioni o per la presentazione di falsa documentazione, l’impresa interessata può attestarsi al ricorrere dei presupposti previsti per il rilascio dell’attestazione di qualificazione;
2. l’Autorità, in quanto organo terzo ed imparziale, è il soggetto deputato a ricevere e valutare l’istanza dell’impresa cui sia stata dichiarata decaduta o negata l’attestazione di qualificazione SOA per aver prodotto falsa documentazione o reso dichiarazioni mendaci, volta al rilascio del nulla osta al fine di ottenere una nuova attestazione;
3. l’accertamento in merito alla non riferibilità all’impresa del falso tiene conto della nozione civilistica di imputabilità, assumendo rilievo la commissione del fatto con violazione degli ordinari parametri di diligenza; in tal senso, l’impresa è responsabile degli atti posti in essere da soggetti rappresentativi della stessa o da suoi dipendenti o da soggetti terzi formalmente qualificati ad agire per conto e nell’interesse dell’impresa, come specificato nella presente determinazione;
4. in caso di trasferimento di azienda o di un ramo di essa, la verifica è volta ad accertare la non imputabilità al soggetto cessionario della falsa documentazione riconducibile al soggetto cedente o la buona fede dell’impresa cessionaria nell’utilizzo dei requisiti dell’impresa cedente;
5. si conferma il divieto stabilito con la determinazione n. 5/2003 per effetto del quale non e' ammissibile la qualificazione di un'impresa che utilizzi i requisiti di altra impresa cui sia stata dichiarata decaduta l'attestazione SOA, durante l'anno di interdizione dalla partecipazione alle gare e dalla stipula di un nuovo contratto di attestazione, fatto salvo l’avvenuto accertamento della non imputabilità in capo all’impresa cessionaria;
6. gli organismi di attestazione, al fine di verificare l’operatività del divieto di cui al precedente punto 5, oltre a consultare il Casellario per riscontrare la presenza a carico della cedente di eventuali annotazioni di decadenza dell’attestato per falsa documentazione, dovranno accertare, con l’utilizzo dei supporti informatici o presso la SOA della cedente, che non sia stato avviato il procedimento ex art. 40, comma 9-ter del Codice.
Tale verifica deve risultare agli atti del fascicolo contenente tutta la documentazione relativa all’attestazione dell’impresa.

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZI: Sulla conformità alla normativa comunitaria della proroga del periodo transitorio per la cessazione anticipata di una concessione di distribuzione del gas naturale.
La normativa comunitaria, secondo la Corte di Giustizia, non osta a che la normativa nazionale preveda il prolungamento della durata del periodo transitorio per la cessazione anticipata di una concessione di distribuzione del gas naturale purché tale proroga possa essere considerata necessaria (tale è la prospettiva sottostante alla previsione legislativa di un periodo transitorio) a permettere di sciogliere i rapporti contrattuali a condizioni accettabili sia dal punto di vista delle esigenze del servizio pubblico, sia dal punto di vista economico (cfr. Corte giustizia CE, sez. II, 17.07.2008, n. 347).
La pronunzia della Corte di Giustizia ha risolto quindi il dubbio sulla compatibilità della normativa comunitaria con la normativa nazionale e la previsione in questa ultima di un periodo transitorio riconoscendo ai vari soggetti interessati un periodo di tempo adeguato per ammortizzare gli effetti negativi derivanti dalla risoluzione dei rapporti concessori in essere e per predisporre gli atti di gare ad evidenza pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.07.2010 n. 4873 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Indagine preliminare sulla contaminazione - Superamento delle CSC - Obbligo di presentare il piano di caratterizzazione - Riesame o verifica supplementare - Diritto del responsabile dell’inquinamento - Esclusione.
Se la legge (art. 242 d.lgs. n. 152/2006) prevede che l’indagine preliminare sulla contaminazione venga effettuata entro certi termini, e se i risultati (correttamente ottenuti, secondo quanto previsto dall’allegato II della Parte IV del Titolo V, del d.lgs. 152/2006) di detta indagine attestano l’esistenza dei presupposti per l’obbligo di presentare il piano di caratterizzazione del sito inquinato, non è necessario procedere ad un riesame, concedendo al responsabile dell’evento inquinante una sorta di seconda chance, che si tradurrebbe in una disapplicazione del principio comunitario del “Chi inquina paga”, e della disciplina nazionale che ne ha stabilito tempi e modalità attuative, e comporterebbe un aggravamento del rischio di danno per l’ambiente.
Anche nella prospettiva del giudizio di ragionevolezza di una disciplina legislativa che prevede termini e passaggi procedimentali cogenti (escludendo, quindi, un diritto del responsabile a riesami o verifiche supplementari), va considerato che l’effettuazione di un piano di caratterizzazione ha un costo (nel caso in esame, di qualche migliaio di euro) evidentemente sostenibile, a fronte del rischio e del possibile danno che deriverebbe da un ritardo nell’avanzamento del procedimento finalizzato alla (eventuale) bonifica del sito contaminato TAR Umbria, Sez. I, sentenza 24.07.2010 n. 416 - link a www
.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fascia di rispetto stradale e autostradale - Artt. 16, 17 e 18 C.d.S. e Artt. 26-28 Regolamento di attuazione - Limiti all’edificazione - Finalità - Parcheggi pertinenziali - Disciplina ex art. 6 L.r. Campania n. 19/2001 - Applicabilità - Esclusione.
L'esistenza di limiti all'edificazione da rispettare con riferimento al nastro di autostrade e strade, tanto fuori del centro abitato che nell'ambito di quest'ultimo, deriva direttamente dalla normativa del Codice della Strada (artt. 16, 17, e 18 Decr. Leg.vo 285/1992) e del suo Regolamento di attuazione (artt. 26, 27, e 28 D.P.R. 495/1992).
Il limite in questione è finalizzato a mantenere una fascia di rispetto utilizzabile per l'esecuzione di lavori, l'impianto di cantieri, l'eventuale allargamento della sede stradale, e per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (cfr. Cons. di Stato sez. IV, n. 7275 del 23.12.2002; Cons. di Stato sez. IV, n. 5716 del 18.10.2002; TAR Campania-Napoli n. 5226 del 05.12.2001).
Sulla base di tali premesse deve allora escludersi che possa trovare applicazione la speciale disciplina prevista dall'art. 6 L. Reg. Campania 19/2001 in tema di parcheggi pertinenziali: il comma 8 assicura la prevalenza di essa rispetto alle sole disposizioni dei Regolamenti edilizi comunali, ma non può superare previsioni che promanano da norme primarie anch'esse speciali.
Fascia di rispetto autostradale - Tutela dell’incolumità pubblica - Applicabilità dell’istituto del silenzio-assenso - Esclusione. - Art. 19, c. 4, L. n. 241/1990.
La fascia di rispetto autostradale, disciplinata dall’art. 18 del codice della strada e dall’art. 28, comma 1, del relativo regolamento, che ne hanno fissato l'ampiezza in metri 30, è prevista al fine di evitare possibili pregiudizi alla percorribilità delle strade e per assicurare l’incolumità non solo dei conducenti dei veicoli, ma anche della popolazione che risiede vicino alle autostrade.
Trattandosi, quindi, di un divieto che ha la funzione di assicurare l'incolumità pubblica, non può trovare applicazione il meccanismo del silenzio assenso, in virtù dell’espressa esclusione sancita dall'articolo 19, comma 4, della legge 241/1990 (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 23.07.2010 n. 16967 - link a www
.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Parcheggio interrato - Permesso di costruire Necessità - Vincolo di pertinenzialità - Vincoli gravante sull’area - Contrasto del vincolo - Illegittimità del permesso di costruire - Artt. 10 e 3, 1° c., lett. e), D.P.R. n. 380/2001.
Deve essere assentito mediante permesso di costruire, un parcheggio interrato anche se realizzato con vincolo di pertinenzialità da perfezionare in un momento successivo alla costruzione.
Inoltre, il rilascio del permesso di costruire è subordinato al rispetto della normativa vincolistica gravante sull’area. Sicché, è illegittimo il permesso di costruire, rilasciato in contrasto del vincolo gravante sull’area.
Piano dei parcheggi - Funzione - Localizzazioni e dimensionamenti - Priorità di intervento e tempi di attuazione - Art. 3 L. n. 122/1989.
Il piano dei parcheggi ha una funzione del tutto differente da quella del piano particolareggiato. Il piano particolareggiato, attua le previsioni di massima dello strumento urbanistico generale collocandole nella realtà di una specifica porzione del territorio comunale.
Ed anche il piano dei parcheggi costituisce strumento attuativo del piano generale, ma nel diverso senso del soddisfacimento coordinato di quella necessità pubblica nell’ambito di tutto il territorio comunale. Pertanto, ai sensi dell’art. 3 della legge 24.03.1989, n. 122, il piano dei parcheggi deve tra l'altro indicare le localizzazioni ed i dimensionamenti, le priorità di intervento ed i tempi di attuazione, privilegiando le realizzazioni volte a favorire il decongestionamento dei centri urbani mediante la creazione di parcheggi finalizzati all'interscambio con sistemi di trasporto collettivo e dotati anche di aree attrezzate per veicoli a due ruote, nonché le disposizioni necessarie per la regolamentazione della circolazione e dello stazionamento dei veicoli nelle aree urbane (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.07.2010 n. 4801 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Stazione radio base - Nota comunale con cui si prospetta la necessità di sottoposizione a VIA del progetto - Decorso dei quindici giorni di cui all’art. 87, c. 5, del codice delle comunicazioni - Idoneità ad interrompere il decorso del termine per la formazione del silenzio assenso - Esclusione - Provvedimento sospensivo - Illegittimità.
La nota comunale con cui, successivamente al decorso dei quindici giorni dalla presentazione dell’istanza per la realizzazione di una stazione radio base, viene prospettata la sussistenza della necessità di assoggettare a procedura di VIA il progetto prodotto a corredo della domanda, senza tuttavia richiedere, come previsto dalla legge, alcuna integrazione di atti o documenti, non è idonea ad interrompere la formazione del provvedimento assentivo per silentium di cui all’art. 87, nono comma, del codice delle comunicazioni elettroniche.
Pertanto, una volta intervenuto detto provvedimento di assenso, deve ritenersi l’illegittimità del provvedimento di sospensione, di per sé inidoneo a provocare effetti inibitori su una fattispecie legale ormai integrata da tutti i suoi elementi costitutivi (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.07.2010 n. 4785 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - M.I.S.E. - Presupposti - D.lgs. n. 22/1997 (oggi d.lgs. n. 152/2006) - Situazione improvvisa di inquinamento - Misure immediate di rimozione o di contenimento della diffusione degli inquinanti - Diffida - Omessa motivazione in ordine ai rischi da fronteggiare - Illegittimità.
Ai sensi del D.Lgs. n. 22/1997 e del D.M. n. 471/1999, l’imposizione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza si giustifica unicamente ove occorra porre riparo a situazioni improvvise di inquinamento, tali da richiedere misure immediate di rimozione e comunque contenimento della diffusione degli inquinanti, in attesa della bonifica o della messa in sicurezza permanente (fra le altre, cfr. TAR Toscana, sez. II, 06.05.2009, n. 762, in tema di m.i.s.e. ordinata ai sensi delle analoghe disposizioni ora contenute D.Lgs. n. 152/2006).
La totale assenza di motivazione in ordine alla configurabilità di rischi da fronteggiare in via d’urgenza vizia dunque la diffida ad eseguire le opere di M.I.S.E. (TAR Toscana, Sez. II, sentenza  21.07.2010 n. 3140 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIn merito all'accesso agli atti, nessuna norma impone al privato, a pena di rigetto dell’istanza di accesso, di corredarla di copia del documento d’identità e di presentarla all’Ufficio relazioni con il pubblico.
Nessuna norma impone al privato, a pena di rigetto dell’istanza di accesso, di corredarla di copia del documento d’identità e di presentarla all’Ufficio relazioni con il pubblico; peraltro eventuali disposizioni regolamentari ed interne di questo tipo non potrebbero in ogni caso essere formalisticamente interpretate siccome preclusive dell’accoglimento dell’istanza, poiché il rapporto tra privato cittadino e Pubblica Amministrazione deve essere improntato alle regole di leale collaborazione, partecipazione e buona fede, sicché graverebbe comunque sull’Amministrazione l’onere di invitare il privato a regolarizzare la propria istanza (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 19.07.2010 n. 8689 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE - URBANISTICASono indennizzabili soltanto i vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione o di carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà; mentre non lo sono i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento (ad. es. parcheggi, impianti sportivi, mercati e strutture commerciali, edifici sanitari, zone artigianali, industriali o residenziali).
Secondo la giurisprudenza -costituzionale e di legittimità- in materia, sono indennizzabili soltanto i vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione o di carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà; mentre non lo sono i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento (ad. es. parcheggi, impianti sportivi, mercati e strutture commerciali, edifici sanitari, zone artigianali, industriali o residenziali) (cfr. Corte cost. 20.05.1999 n. 179; Cons. Stato IV, 29.08.2002 n. 4340, 30.06.2005 n. 3524) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 19.07.2010 n. 3123 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - AIA - Durata del’autorizzazione - 5 anni - Autorizzazioni rimaste inutilizzate per un tempo corrispondente - Decadenza - Formazione di diritti quesiti in capo ai soggetti precedentemente autorizzati - Esclusione.
L’AIA ha (nella maggior parte dei casi) una durata limitata a 5 anni, che può essere ulteriormente ridotta qualora siano nel frattempo intervenute variazioni sostanziali nelle migliori tecniche disponibili (art. 9 del D.lgs. 59/2005).
Se dunque una volta trascorsi 5 anni il valore dell’autorizzazione decade e il soggetto che ha realizzato l’impianto deve subire una verifica sulla base della nuova normativa tecnica, la stessa regola deve essere applicata nel caso in cui l’autorizzazione non sia stata utilizzata per un corrispondente periodo di tempo.
Considerata la natura degli interessi pubblici coinvolti (salute dei cittadini, integrità dell’ambiente) non vi sono ragioni per garantire un migliore trattamento alle autorizzazioni rimaste inutilizzate, indipendentemente dalla causa all’origine dell’inattività.
Dunque fa ormai parte dei principi dell’ordinamento la regola secondo cui le autorizzazioni di attività che hanno come esternalità la produzione di inquinanti devono avere durata limitata nel tempo e carattere recessivo rispetto ai miglioramenti tecnici in grado di limitare l’inquinamento.
Sotto questi profili non possono formarsi diritti quesiti in capo ai privati precedentemente autorizzati (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 19.07.2010 n. 2484 - link a www
.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: CONCESSIONE EDILIZIA: AVVIO E FINE DEI LAVORI.
Concessione - Decadenza - Mancata prova dell'avvio dei lavori entro un anno dal rilascio - Legittimità - Richiesta di proroga - Conseguenze.
Le opere di sbancamento, di sottofondazione e di perimetrazione non sono considerate sufficienti ad integrare il requisito dell'avvio dei lavori, che deve comunque avvenire entro un anno dal rilascio della concessione edilizia, mentre i medesimi lavori devono terminare, a pena di decadenza della concessione, entro tre anni (1).
La comunicazione dell'inizio dei lavori e, dopo tre anni, la richiesta di proroga della concessione edilizia, senza tuttavia fornire la prova dell'avvio effettivo dei lavori entro il prescritto anno dal rilascio della concessione, consente all'amministrazione di disporre legittimamente la decadenza ai termini di legge della concessione edilizia.
La domanda di proroga non può legittimamente essere interpretata dall'amministrazione comunale come richiesta di proroga della concessione rilasciata, ed oramai scaduta, ma solo ed esclusivamente come richiesta di nuova concessione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 ultimo comma, L. n. 10/1977.
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(1) Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V, 16-11-1998 n. 1615 (massima tratta da http://mondolegale.it/ - TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 19.07.2010 n. 1170 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: RAGGRUPPAMENTI TEMPORANEI E VERIFICA DEI REQUISITI DI PARTECIPAZIONE ALLA GARA D'APPALTO.
1. Associazione temporanea - Requisiti associati - Requisiti soggettivi e requisiti oggettivi - Cumulo.
2. Associazione temporanea - Ratio - Limiti.
3. Appalto pubblico (in generale) - Criteri e principi - Massima partecipazione - In relazione al servizio richiesto.
4. Associazione temporanea - Requisiti associati - A.T.I. orizzontale - Affidamento del servizio di vigilanza - Aggiudicazione - Disciplina.
5. Pubblica sicurezza - Istituti vigilanza - Tariffe - Prefettizie - Carattere vincolante - Non sussiste - Ragioni.

1. I raggruppamenti temporanei di imprese non costituiscono autonomi centri di imputazione giuridica ma mere aggregazioni finalizzate ad agevolare (grazie alla sommatoria dei requisiti degli aderenti) il dispiegarsi del gioco della concorrenza. In altri termini, non danno luogo ad un soggetto autonomo e distinto dalle imprese che li compongono, né ad un loro rigido collegamento strutturale.
Da ciò consegue che i requisiti prescritti nel bando devono essere posseduti dalle imprese raggruppate -le quali conservano intatte le rispettive autonomie formali e sostanziali- secondo le regole che governano la materia, tendenti a distinguere tra requisiti soggettivi di capacità tecnica ed economica e requisiti oggettivi, per i quali è consentito il "cumulo" (Cfr., tra le altre, Cons. Stato., sez. V, 21-11-2007 n. 5906; Cons. Stato, sez. V, 15-05-2001 n. 2713; cfr. Cons. Stato, sez. V, 18-10-2001 n. 5517).
2. I raggruppamenti temporanei di imprese -i quali costituiscono un istituto di matrice comunitaria- tendono ad estendere la partecipazione alle gare anche ad imprese che, singolarmente, non sarebbero in grado di sostenere l'onere dell'appalto e, dunque, ad ampliare la dinamica concorrenziale, consentendo la coalizione di imprese di minori dimensioni per favorirne la crescita e l'ingresso su mercati più estesi.
Nel contempo, consentono di realizzare lo scopo di assicurare, attraverso il concorso degli apporti di più imprese, il buon andamento del risultato finale dei lavori o dei servizi appaltati, i quali, altrimenti, potrebbero essere compromessi dalla inadeguatezza dei mezzi tecnici e finanziari propri di ciascuna singola impresa.
L'unico limite nell'utilizzo di tale forma di aggregazione va riscontrato nell'esigenza di non trasformare la riunione di imprese in uno strumento elusivo delle regole impositive di un livello minimo di capacità per la partecipazione agli appalti, il quale -di regola- deve essere fissato nel bando (Cfr. tra le altre, TAR Campania Napoli, sez. I, 07-10-2008 n. 13437; TAR Puglia Lecce, sez. I, 06-03-2007 n. 800; Cfr. TAR Piemonte, sez. II, 02-05-2000 n. 573).
3. I bandi di gara devono assicurare la massima partecipazione, al fine di perseguire l'interesse pubblico a che la scelta dell'impresa affidataria avvenga nel più ampio ventaglio possibile di offerte sulla base di criteri che debbono essere redatti esclusivamente in funzione delle caratteristiche economiche e tecniche del bene o del servizio richiesto.
4. Nell'eventualità si sia in presenza di un'A.T.I. c.d. orizzontale è consentito che i requisiti soggettivi di capacità tecnica ed economica siano posseduti da ciascuna impresa quanto meno in una misura minima giuridicamente apprezzabile.
Si può, pertanto, affermare che, in presenza di un raggruppamento di imprese partecipante ad una gara per l'affidamento di un servizio di vigilanza, non è imposto -in capo ad ognuna delle imprese- il possesso dell'autorizzazione per tutti i siti da vigilare, bensì è sufficiente l'autorizzazione anche solo per alcuni di quest'ultimi, sempre che la disamina delle autorizzazioni di tutte le imprese aderenti all'ATI e, dunque, l'esame del contributo che ognuna di esse è in grado ad offrire conduca a rilevare la sussistenza delle condizioni necessarie per il completo e corretto espletamento del servizio (Cfr., tra le altre, TAR Lombardia Milano, sez. I, 07-04-2009 n. 3227; TAR Calabria Reggio Calabria 06-03-2007 n. 206).
5. Le tariffe fissate dal Prefetto per i servizi di vigilanza -specie ove considerate sotto il profilo dei c.d. "minimi"- non sono né inderogabili né vincolanti.
In particolare -in linea con le precisazioni rese dalla Corte di Giustizia CE (sent. 13.09.2007, nella causa C465/05, Commissione Italia)- l'attribuzione di un carattere vincolante a dette tariffe, realizzando una ingiustificata restrizione della libera prestazione dei servizi e, dunque, ponendosi in contrasto con il principio comunitario dell'art. 49, Trattato CE, non può trovare spazio nel nostro ordinamento (Cfr., tra le altre, Cons. Stato, sez. V, 29-12-2009 n. 8867; TAR Sardegna Cagliari, sez. I, 23-06-2008 n. 1253; TAR Campania Napoli, sez. I, 17-06-2008 n. 5966; C.G.E. 13-09-2007 nella causa C465/05, Commissione Italia) (massima tratta da http://mondolegale.it/ - TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter, sentenza 16.07.2010 n. 26337 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla natura dei raggruppamenti temporanei di imprese (fattispecie relativa ad una gara di appalto per l'affidamento del servizio di vigilanza).
Le tariffe fissate dal Prefetto per i servizi di vigilanza - specie ove considerate sotto il profilo dei c.d. "minimi" - non sono né inderogabili né vincolanti.

I raggruppamenti temporanei di imprese non costituiscono autonomi centri di imputazione giuridica ma mere aggregazioni finalizzate ad agevolare (grazie alla sommatoria dei requisiti degli aderenti) il dispiegarsi del gioco della concorrenza. In altri termini, non danno luogo ad un soggetto autonomo e distinto dalle imprese che li compongono, né ad un loro rigido collegamento strutturale.
Da ciò consegue che i requisiti prescritti nel bando devono essere posseduti dalle imprese raggruppate -le quali conservano intatte le rispettive autonomie formali e sostanziali- secondo le regole che governano la materia (tendenti a distinguere tra requisiti soggettivi di capacità tecnica ed economica e requisiti oggettivi, per i quali è consentito il "cumulo").
E', dunque, evidente, nel caso di specie, riguardante una gara di appalto per l'affidamento del servizio di vigilanza, che la pretesa del possesso dell'autorizzazione prefettizia in capo al raggruppamento temporaneo è priva di pregio giuridico.
I raggruppamenti temporanei di imprese -i quali costituiscono un istituto di matrice comunitaria- tendono ad estendere la partecipazione alle gare anche ad imprese che, singolarmente, non sarebbero in grado di sostenere l'onere dell'appalto e, dunque, ad ampliare la dinamica concorrenziale, consentendo la coalizione di imprese di minori dimensioni per favorirne la crescita e l'ingresso su mercati più estesi. Nel contempo, consentono di realizzare lo scopo di assicurare, attraverso il concorso degli apporti di più imprese, il buon andamento del risultato finale dei lavori o dei servizi appaltati, i quali, altrimenti, potrebbero essere compromessi dalla inadeguatezza dei mezzi tecnici e finanziari propri di ciascuna singola impresa.
L'unico limite nell'utilizzo di tale forma di aggregazione va riscontrato nell'esigenza di non trasformare la riunione di imprese in uno strumento elusivo delle regole impositive di un livello minimo di capacità per la partecipazione agli appalti, il quale -di regola- deve essere fissato nel bando. Appare, pertanto, ragionevole affermare che si tratta di un istituto che, oltre ad essere espressamente riconosciuto ed ammesso da prescrizioni di legge, è considerato con favore dall'ordinamento, in quanto -fondamentalmente- opera a salvaguardia della parità di trattamento e del principio di buon andamento.
Nell'eventualità si sia in presenza di un'A.T.I. c.d. orizzontale, come nel caso di specie, è consentito che i requisiti soggettivi di capacità tecnica ed economica siano posseduti da ciascuna impresa quanto meno in una misura minima giuridicamente apprezzabile.
Si può, pertanto, affermare che, in presenza di un raggruppamento di imprese partecipante ad una gara per l'affidamento di un servizio di vigilanza, non è imposto -in capo ad ognuna delle imprese- il possesso dell'autorizzazione per tutti i siti da vigilare, bensì è sufficiente l'autorizzazione anche solo per alcuni di quest'ultimi, sempre che la disamina delle autorizzazioni di tutte le imprese aderenti all'ATI e, dunque, l'esame del contributo che ognuna di esse è in grado ad offrire conduca a rilevare la sussistenza delle condizioni necessarie per il completo e corretto espletamento del servizio.
Le tariffe fissate dal Prefetto per i servizi di vigilanza -specie ove considerate sotto il profilo dei c.d. "minimi"- non sono né inderogabili né vincolanti. In particolare -in linea con le precisazioni rese dalla Corte di Giustizia CE (sent. 13.09.2007, nella causa C465/05, Commissione Italia)- l'attribuzione di un carattere vincolante a dette tariffe, realizzando una ingiustificata restrizione della libera prestazione dei servizi e, dunque, ponendosi in contrasto con il principio comunitario dell'art. 49, Trattato CE, non può trovare spazio nel nostro ordinamento (TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter, sentenza 16.07.2010 n. 26337 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: ASSOCIAZIONI E COMITATI - Associazione non riconosciuta - Legittimazione a ricorrere - Elementi qualificanti.
Ai fini della legittimazione a ricorrere di una associazione non riconosciuta o figura soggettiva equivalente, non rientrante nell’elencazione di cui all’art. 13 della legge 08.07.1986, n. 349 (sistema di accreditamento confermato dall’art. 17, comma 46, della legge 15.05.1997, n. 127), non è sufficiente allegare che la figura soggettiva abbia fra i suoi scopi statutari la tutela ambientale ed operi nella Provincia in cui è posta l’area su cui incide il provvedimento amministrativo contestato o sia stata costituita appositamente per la tutela dell’area medesima, ma richiede l’esistenza di elementi qualificanti in concreto la differenziazione della posizione del soggetto ricorrente, quali, necessariamente, il collegamento stabile con il territorio interessato, cioè consolidatosi obiettivamente in un periodo di tempo significativo, nonché un’azione associativa dotata di adeguata consistenza nonché rappresentatività degli interessi che si intendono tutelare, anche con riferimento al numero ed alla qualità degli associati, sì da illustrare l’effettività e riferibilità, ad un interesse specificamente delineato, del pregiudizio allegato (Consiglio di Stato, VI, 25.06.2008, n. 3234; altresì, TAR Toscana, II, 03.03.2010, n. 591) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 15.07.2010 n. 2995 - link a www
.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Impianto di trattamento - Definizione del procedimento di approvazione - Termine - Art. 27 d.lgs. n. 22/97 - Natura ordinatoria.
Il termine indicato dalla norma ex art. 27 d.lgs. n. 22 del 1997 per la definizione del procedimento di approvazione di impianto di trattamento rifiuti è meramente ordinatorio, atteso che alla sua scadenza la norma stessa non ricollega alcuna sanzione e tanto meno la decadenza dell'esercizio della relativa funzione (TAR Liguria Genova, sez. I, 15.03.2006 , n. 204).
RIFIUTI - Art. 27 d.gls. n. 22/1997 - Conferenza di servizi - Natura istruttoria.
La conferenza dei servizi prevista dall’art. 27 del d.lgs. n. 22/1997 ha natura istruttoria (Consiglio Stato, sez. V, 11.07.2002, n. 3917): si deve pertanto escludere che ad essa si applichino le disposizioni dell’art. 14-ter della L. 241/1990 relative alla conferenza decisoria che siano incompatibili con la natura della conferenza istruttoria, quali quelle che regolano gli effetti della mancata partecipazione alla conferenza (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 15.07.2010 n. 2992 - link a www
.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione paesistica - Parere del Parco - Provvedimenti distinti - Beni giuridici tutelati - Diversità.
L’autorizzazione paesistica non può superare il parere del Parco. Infatti, i due atti sono forme di gestione di beni diversi. La prima ha lo scopo di valutare la conformità dell’attività con il paesaggio, la cui tutela è prevista dall’art. 9 della Costituzione.
Si tratta di un valore “primario” (Corte Cost. 151/1986; 182/2006 e 183/2006), ed anche “assoluto”, se si tiene presente che il paesaggio indica essenzialmente l’ambiente ( Corte Cost. 641/1987).
L’oggetto tutelato non è il concetto astratto delle “bellezze naturali”, ma l’insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano valore paesaggistico.
Il parere del Parco, invece, costituisce atto di gestione delle aree protette, ed ha come oggetto di tutela specifica la difesa degli ecosistemi, che costituisce un bene giuridico distinto dal paesaggio (Corte Costituzionale 23.01.2009 n. 12) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 15.07.2010 n. 2992 - link a www
.ambientediritto.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L’indicazione delle quote di partecipazione è necessaria anche con riferimento agli appalti di servizi.
Punto di imprescindibile partenza è il disposto normativo di cui all’art. 37, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006 a mente del quale “nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati” (cui si correla il successivo comma 13 dello stesso art. 37 nel senso che “i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento”). Si tratta di disposto normativo chiaro ed esplicito, che non sembra lasciar dubbi alla conseguente necessità che costituisce causa di esclusione dalla gara il mancato adempimento dell’obbligo di dichiarare le quote di partecipazione all’interno della compagine (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.02.2010, n. 1038).
Non può avere alcun rilievo il fatto che il disposto dell’art. 37, comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006 non sia stato richiamato nel bando di gara. Infatti si tratta di norma di rilievo pubblicistico di chiara natura imperativa che è volta a porre la stazione appaltante nelle migliori condizioni per verificare i requisiti di tutti i soggetti partecipanti alle procedure di evidenza pubblica, con la naturale conclusione che la sua cogenza è piena a prescindere da un necessario richiamo negli atti di gara.
Né sembra cogliere nel segno il rilievo secondo cui la regola invocata dalla ricorrente incidentale varrebbe solo per gli appalti di lavori. Può ben essere che la previsione di esatta indicazione delle quote di partecipazione assuma ancor maggiore pregnanza con riferimento agli appalti di lavori, stante il particolare regime di qualificazione che li caratterizza, ma ciò non toglie che regola del tutto analoga vale anche con riferimento agli appalti di servizi, come testimonia il chiaro tenore letterale dell’art. 37, comma 4, cit..
D’altra parte la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare esplicitamente la necessità di indicazione delle quote di partecipazione con riferimento agli appalti di servizi (TAR Genova, sez. II, 03.02.2010, n. 237; TAR Palermo, sez. III, 14.12.2009, n. 1910; TAR Torino, sez. II, 08.04.2008, n. 603).
Il disposto letterale dell’art. 37, comma 4, cit. non consente neppure di ritenere la regola da esso posta valida solo per un certo tipo di RTI, cioè per quelli verticali e non per quelli orizzontali, interpretazione che non sembra trovare nel disposto letterale della norma alcun aggancio e che è stata esclusa dalla giurisprudenza (TAR Genova, sez. II; 03.02.2010, n. 237).
Infine ritiene il Collegio che “è sicuramente compatibile con la specificità dell’appalto di progettazione la previsione di cui all’art. 37 commi 2 e 4 d.lgs. n. 137 del 2006, dettata per gli appalti di servizi, in tema di raggruppamenti di concorrenti e di specificazione delle parti di servizio o di fornitura eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati” (TAR Genova, sez. II, 29.05.2008, n. 1150) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 15.07.2010 n. 2807 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: L'Amministrazione è tenuta a ripubblicare lo strumento urbanistico generale quando, rispetto alla versione adottata, vengano introdotte modificazioni di portata e rilievo tali da determinare una rielaborazione complessiva dello strumento medesimo.
La giurisprudenza amministrativa è orientata a ritenere che l'Amministrazione è tenuta a ripubblicare lo strumento urbanistico generale quando rispetto alla versione adottata vengano introdotte modificazioni di portata e rilievo tali da determinare una rielaborazione complessiva dello strumento medesimo, ovvero un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e/o dei criteri che presiedono alla sua stessa impostazione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 12.03.2009 n. 1477 e 19.06.2007 n. 3300; TAR Bologna, Sez. I, 02.07.2008 n. 3209) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 15.07.2010 n. 2802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: La motivazione sottesa all'urgenza di entrare in possesso del bene oggetto di (futura) espropriazione può essere desunta per relationem dagli atti pregressi del procedimento.
Ad evidenziare l’infondatezza dell’ultima censura, proposta avverso il decreto di occupazione d’urgenza con la quale si assume che non sarebbe stata indicata alcuna ragione d’urgenza idonea a giustificare l'immediata occupazione dell'immobile, vale il richiamo alla più recente giurisprudenza amministrativa, per la quale in tema di occupazione d'urgenza preordinata all'espropriazione ai sensi dell'art. 22-bis, d.P.R. 08.06.2001 n. 327, la motivazione sottesa all'urgenza di entrare in possesso del bene oggetto di (futura) espropriazione non deve necessariamente essere contenuta nel decreto di occupazione, ma può essere desunta per relationem dagli atti pregressi del procedimento, dai quali ben può evincersi l'urgenza ed indifferibilità della immediata apprensione del bene del privato (cfr. TAR L’Aquila, 24.03.2010 n. 289).
Ebbene, nella specie il decreto di occupazione n. 1/2009 richiama espressamente la delibera della G.C. n. 90/2009 dalla quale si ricava l’urgenza dell’avvio dei lavori da eseguirsi con ogni possibile sollecitudine per non perdere la provvista finanziaria (fondi POR 2000/2006 Mis. 2.3) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 15.07.2010 n. 1898 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: È illegittima la lex specialis che preveda l’assegnazione di una quota rilevante di punteggio per l’elemento costituito dalla qualità organizzativa.
Il Collegio ricorda che la formulazione dei giudizi e la determinazione dei punteggi, affidati alla discrezionalità tecnica della Commissione di gara, non sono censurabili nel merito e sono immuni da vizi sul piano della legittimità, ove siano sorrette da valutazioni che non si rivelino manifestamente irragionevoli o sproporzionate (ex multis TAR Campania-Napoli, sez. I, 18.03.2008, n. 1377).
Costituisce erronea applicazione dell'articolo 83 del d.lgs. 163 del 2006 la commistione fra requisiti soggettivi di partecipazione ed elementi oggettivi di valutazione dell'offerta che si verifica quando elementi di valutazione specificati nel disciplinare riguardano caratteristiche organizzative e soggettive della concorrente, che afferiscono all'esperienza pregressa maturata dalla concorrente ed al suo livello dì capacità tecnica e specializzazione professionale, ovvero ad aspetti che, in quanto tali, possono legittimamente rilevare solo in sede di qualificazione alla gara, e quindi solo quali criteri di ammissione alla stessa e non di valutazione dell'offerta (TAR Sicilia Catania, sez. III, 05.05.2008 , n. 735).
Va ricordato che la questione della distinzione tra requisiti di idoneità degli offerenti ad eseguire l’appalto ed elementi qualitativi dell’offerta è stata affrontata anche dalla giurisprudenza comunitaria che ha ricondotto l’indeterminatezza dei criteri di aggiudicazione a comportamenti dei soggetti aggiudicatari difformi dagli obblighi di adeguata pubblicità e di parità di condizioni fra tutte le imprese concorrenti. La Corte ha affermato che “la Direttiva del Consiglio 14.06.1993 93/36/CEE…osta a che, nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di forniture, l’Amministrazione aggiudicatrice tenga conto delle diverse referenze relative ai prodotti proposti dagli offerenti ad altri clienti non già come criterio di verifica dell’idoneità dei primi ad eseguire l’appalto di cui si tratta, bensì come criterio di aggiudicazione dell’appalto stesso” (Corte di Giustizia 19.06.2003 causa C 315/01).
In definitiva, deve considerarsi illegittima la lex specialis di una gara da aggiudicarsi con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa che preveda l’assegnazione di una quota rilevante di punteggio per l’elemento costituito dalla qualità organizzativa, quindi per un aspetto che non concerne concrete modalità di svolgimento del servizio ma, invece, un requisito di capacità tecnica del soggetto partecipante.
Tale principio è stato peraltro già affermato da questa Sezione che con sentenza n. 1674 del 20.07.2007 ha statuito che “il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa di cui all'art. 83, d.lgs. 12.04.2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici) mira a premiare il merito tecnico dell'offerta oggettivamente considerata, per cui la sua corretta applicazione richiede che gli elementi di valutazione prescelti siano tali da evidenziare un maggior pregio della proposta contrattuale presentata in sede di partecipazione alla gara; contraddice, quindi, tale logica ed è, pertanto, illegittima la previsione della lex specialis che attribuisca un rilevante punteggio ad elementi estranei al merito tecnico dell'offerta ed attinenti, invece, all'esperienza professionale acquisita dal concorrente” (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 14.07.2010 n. 1887 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’impresa il cui debito tributario sia stato rateizzato o oggetto di condono fiscale deve essere considerata in regola ai fini della presentazione della domanda di partecipazione alla gara.
Condizione necessaria affinché l’impresa possa considerarsi fiscalmente in regola, pur in presenza di inadempienze fiscali in essere, è quella secondo cui gli eventi sopra richiamati che pongono nuovamente l’impresa stessa in condizione di regolarità devono essersi verificati entro la scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione alla gara.
Il che significa, per ciò che nella presente causa più rileva, che l’impresa deve aver ottenuto entro tale data la concessione della rateizzazione del debito (in tal senso, esplicitamente, la determinazione dell’Autorità di Vigilanza n. 1 del 2010 sopra richiamata) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 13.07.2010 n. 2529 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

VARIIl silenzio sul nome del guidatore non fa perdere i punti della patente. Sezioni unite della Cassazione: resta ferma la sanzione per omessa comunicazione.
Non può essere «irrogata» la sanzione della decurtazione dei punti della patente nel caso di mancata comunicazione, da parte del proprietario dell'auto, del nome di chi si trovava alla guida al momento dell'infrazione. Resta ferma, però, la sanzione pecuniaria per mancata comunicazione delle generalità del «conducente trasgressore».
Lo hanno sancito le Sezioni unite civili della Corte di cassazione che, con la sentenza 12.07.2010 n. 16276, hanno dato piena applicazione a una decisione della Corte costituzionale, la n. 27 del 2005, con la quale era stata dichiarata l'illegittimità delle norme del codice della strada che obbligano il proprietario dell'auto a rivelare chi era il conducente.
In particolare il Massimo consesso di Piazza Cavour ha accolto il ricorso di un romano che si era visto decurtare i punti della patente pur non avendo mai comunicato chi era alla guida al momento dell'infrazione. L'uomo era stato multato perché era passato con il rosso ma non aveva comunicato, entro i 30 giorni previsti dalla legge, le generalità del trasgressore. Le autorità gli avevano comunque decurtato i punti della patente. Contro questa sanzione accessoria lui si era opposto al giudice di pace di Roma ma senza successo. Così ha fatto ricorso in Cassazione e ha vinto. Il Collegio esteso ha annullato il verbale, decidendo la causa nel merito, limitatamente alla decurtazione dei punti.
Nel dispositivo si legge infatti che «la Corte cassa senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla conferma della decurtazione del punteggio e annulla il verbale opposto».
In poche parole quella sanzione non era irrogabile fin dall'inizio. Questo perché già tre anni fa i giudici di Palazzo della consulta avevano dichiarato l'illegittimità, per contrarietà al principio della ragionevolezza, «dell'applicazione dell'art. 126-bis co. 2 Dlgs. 285/1992, nella parte in cui dispone che in caso di mancata identificazione del conducente autore della trasgressione e di mancata successiva comunicazione dei relativi dati personali e di abilitazione guida, entro il termine di gg. 30 dalla notifica, da parte del proprietario del veicolo, cui il verbale di accertamento della violazione fosse stato notificato, quest'ultimo avrebbe subito la sanzione della decurtazione del punteggio della patente, dovendo invece trovare applicazione in siffatti casi soltanto l'ulteriore sanzione pecuniaria di cui all'art. 180, co. 8, C.d.S».
Nelle stesse motivazioni i giudici hanno inoltre ribadito che in caso di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, l'opposizione giurisdizionale «ha natura di rimedio generale esperibile, salvo espressa previsione contraria, contro tutti i provvedimenti sanzionatori, ivi compresi quelli di sospensione della validità della patente di guida e quelli prodromici a tale sospensione» (articolo ItaliaOggi del 13.07.2010, pag. 21).

APPALTI: A fronte dell'inesattezza contributiva causata dalla scarsa chiarezza della formulazione degli atti di gara, l'amministrazione, in ossequio ai principi di buona fede e di tutela del legittimo affidamento, avrebbe dovuto consentire l'integrazione dell'importo entro un termine perentorio, senza adottare, omisso medio, la sanzione dell'immediata esclusione.
Le disposizioni con le quali siano prescritti particolari adempimenti per l’ammissione alla gara, ed in particolar modo le clausole di esclusione dalla gara vanno interpretate nel senso più favorevole all’ammissione degli aspiranti, corrispondendo all’interesse pubblico l’esigenza di assicurare un ambito più vasto di valutazioni e, quindi, un’aggiudicazione alle condizioni migliori possibili.
Pertanto, a fronte dell’inesattezza contributiva causata dalla scarsa chiarezza della formulazione degli atti di gara, l’amministrazione, in ossequio ai principi di buona fede e di tutela del legittimo affidamento, avrebbe dovuto consentire l’integrazione dell’importo entro un termine perentorio, senza adottare, omisso medio, la sanzione dell’immediata esclusione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.07.2010 n. 4478 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità della scelta di un sindaco di assicurare la continuità del servizio di igiene nel territorio comunale, mediante un provvedimento extra ordinem, a fronte del diniego del gestore del servizio.
E' legittima la scelta di un sindaco di assicurare la continuità del servizio di igiene nel territorio comunale, mediante un provvedimento extra ordinem, a fronte della nuova posizione assunta dal gestore del servizio, non più disponibile alla prosecuzione del servizio in regime di ulteriore proroga.
Sebbene, siano legittime le ragioni esternate dal gestore del servizio che ha denegato la propria disponibilità alla proroga, onde non ricadere nella fattispecie prevista dall'art. 23-bis del D.L. n. 112/2008, che, sul presupposto elaborato dalla giurisprudenza in sede interpretativa dell'assimilazione del regime di proroga all'affidamento diretto, impedisce agli affidatari diretti la partecipazione alle gare per l'acquisizione di nuovi servizi, è indubitabile che il servizio de quo sia di carattere essenziale e come tale non possa subire interruzioni.
Pertanto, in considerazione dell'importanza ed essenzialità del servizio da rendere alla collettività, sussistono le condizioni e i presupposti per legittimare l'ordinanza sindacale contingibile ed urgente, onde assicurare comunque, senza il ricorso ad una nuova ed ulteriore proroga, la continuità del servizio nelle more della predisposizione degli atti necessari per il nuovo affidamento.
Tuttavia, l'avvenuto affidamento, per il semestre considerato, del servizio alla ricorrente per effetto di un provvedimento extra ordinem, assunto sulla base di presupposti di diritto del tutto diversi da quelli in base ai quali in via ordinaria si procede mediante proroga dell'affidamento in corso, non è assimilabile a tale ultima ipotesi e quindi non può costituire per la società istante impedimento per l'eventuale partecipazione ad altre gare (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 09.07.2010 n. 2906 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Distanza tra costruzioni - Art. 9 D.M. 1444/1968 - Pareti finestrate di edifici antistanti - Distanza di 10 metri - Finalità della norma - Interesse del frontista alla riservatezza - Esclusione - Profilo igienico sanitario - Carattere cogente - Corpi di un medesimo edificio - Irrilevanza.
L'art. 9 del D.M. n. 1444/1968, laddove prescrive la distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile in funzione della natura giuridica dell'intercapedine.
Pertanto, le distanze tra costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi.
Invero, essendo la norma finalizzata a stabilire un'idonea intercapedine tra edifici nell'interesse pubblico, e non a salvaguardare l'interesse privato del frontista alla riservatezza (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 26.01.2001 n. 1108), non può dispiegare alcun effetto distintivo la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio ovvero di edifici distinti (cfr. ex multis Cons. St., Sez. IV, 05.12.2005 n. 6909) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.07.2010 n. 2461 - link a www
.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Poiché è possibile, per “chiunque” si trovi in stabile collegamento con la zona, impugnare il rilascio della concessione edilizia: è riconosciuto il diritto d’accesso ai titoli abilitativi edilizi reclamato da soggetti residenti nello stesso Comune.
Nel caso di specie, il soggetto richiedente l’accesso è sicuramente qualificabile come “interessato”, ai sensi dell’art. 22, 1° comma, lett. b), della L. n. 241/1990, posto che, in relazione all’attività commerciale svolta, non può che riconoscersi titolare di un interesse concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridica collegata ai documenti per i quali ha motivatamente chiesto l’accesso.
D’altro canto questa Sezione, stante la possibilità, per “chiunque” si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona, di impugnare il rilascio della concessione edilizia, ha più volte riconosciuto il diritto d’accesso ai titoli abilitativi edilizi, reclamato da soggetti residenti nello stesso Comune (TAR Puglia–Lecce II sez. 17/09/2009 n. 2121; 30/12/2009 n. 3351).
Né limitazioni al diritto d’accesso potrebbero derivare, nella fattispecie, da esigenze relative alla tutela della riservatezza di terzi o dalla oggettiva tipologia dei documenti richiesti (il controinteressato, ritualmente coinvolto nel procedimento dall’Amministrazione, si è opposto senza addurre alcuna motivazione), trattandosi di atti non sottraibili all’accesso per essere, in ragione della loro natura, destinati comunque ad una concreta esternazione.
Ricorrendovi pertanto tutti i presupposti formali e sostanziali voluti dalla norma, va dichiarata l’illegittimità del diniego sostanzialmente opposto dal comune di Laterza e conseguentemente ordinato allo stesso Ente di esibire i documenti oggetto della istanza ostensiva, con facoltà del ricorrente di estrarne copia (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 07.07.2010 n. 1689 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: I limiti di esposizione, per gli impianti di telefonia, stabiliti con disciplina statale non sono derogabili dagli enti locali.
Il Decreto ministeriale 10.09.1998 n. 381 ha fissato all’articolo 3 i limiti massimi di esposizione della popolazione differenziandoli in base alla frequenza degli impianti e all’articolo 4 ha previsto che debba essere rispettato un principio di minimizzazione dell’esposizione nella progettazione e realizzazione di quelli esistenti. In particolare negli edifici adibiti a residenza per periodi di tempo non inferiori a quattro ore deve essere rispettato il ben più restrittivo valore di 6 V/m.
La disciplina statale ha, quindi, recato dei limiti particolarmente restrittivi e cautelativi a tutela della salute umana, che non sono suscettibili di essere ulteriormente ampliati da parte delle Regioni e degli Enti locali.
La pianificazione comunale impugnata è pertanto illegittima per avere vietato la localizzazione di qualsiasi impianto di telefonia mobile a una distanza inferiore ai 300 metri dai centri abitati in contrasto con l’articolo 9 della legge regionale n. 30/2000 (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 06.07.2010 n. 369 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La lex specialis di gara può prevedere che le giustificazioni debbano essere inserite in una busta chiusa, che dovrà essere aperta solo per le offerte sospette di anomalia.
La presentazione preventiva di giustificazioni a corredo e garanzia dell’offerta, lungi dal poter essere interpretata nel senso che la stazione appaltante deve verificare ex ante e per tutte le offerte, se le giustificazioni sono state presentate –con conseguente esclusione del concorrente che non le ha presentate– deve essere letta nel senso che la verifica della sussistenza delle giustificazioni va fatta solo per le offerte che risultino sospette di anomalia.
Infatti, la mancata presentazione delle giustificazioni non può assurgere a generale causa di esclusione anche ove le offerte si collochino al di sotto della soglia di anomalia.
Pertanto, nel caso di specie, contrariamente rispetto a quanto argomentato nel primo motivo di ricorso, la presentazione di giustificazioni a corredo dell’offerta “a pena di esclusione” va interpretata nel senso che l’esclusione è comminata solo nei riguardi delle offerte sospette di anomalia, prive di giustificazioni preventive.
E’ quindi legittimo che la lex specialis di gara abbia previsto che le giustificazioni devono essere inserite in una busta chiusa , che dovrà essere aperta solo per le offerte sospette di anomalia. Ciò è conforme al diritto comunitario per il quale un onere di giustificazione si impone solo per le offerte sospette (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 06.07.2010 n. 348 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALo scopo del vincolo idrogeologico, in particolare, è quello di assoggettare determinati terreni all'obbligo della coltura boschiva, limitandone l'utilizzazione, onde evitare il denudamento che può cagionare la perdita di stabilità o il turbamento del regime delle acque.
La conformità di un’opera alle previsioni dello strumento urbanistico generale vigente e ai vincoli paesaggistici non comporta la conformità al vincolo idrogeologico, considerato che gli interessi pubblici tutelati dalla legislazione in materia urbanistico-edilizia, da quella in tema di beni paesaggistici e dalla normativa sul vincolo idrogeologico e forestale, di cui all'art. 1, RD 30.11.1923 n. 3267, sono nettamente distinti ed autonomi.
Lo scopo del vincolo idrogeologico, in particolare, è quello di assoggettare determinati terreni all'obbligo della coltura boschiva, limitandone l'utilizzazione, onde evitare il denudamento che può cagionare la perdita di stabilità o il turbamento del regime delle acque (TAR Lecce 06.02.2007 n. 321). Quindi sussiste l’interdipendenza tra il vincolo idrogeologico e le zone boscate, senza escludere che il vincolo possa interessare anche le aree prive di vegetazione (CdS Sez. V 10.09.2009 n. 5424) (TAR Marche, sentenza 30.06.2010 n. 2821 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’inedificabilità di un’area asservita o accorpata o comunque utilizzata a fini edificatori costituisce una qualità obiettiva del fondo che, pur non vigendo l’obbligo di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari è opponibile a terzi acquirenti, ed ha l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione oltre i limiti previsti, a nulla rilevando che la proprietà dell’area sia stata trasferita, che manchino specifici negozi giuridici privati volti all’asservimento o che l’edificio sia collocato in una parte del lotto catastalmente divisa.
Per consolidata giurisprudenza, l’inedificabilità di un’area asservita o accorpata o comunque utilizzata a fini edificatori costituisce una qualità obiettiva del fondo che, pur non vigendo l’obbligo di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari (cfr. Cons. Stato V, 28.06.2000 n. 3637), è opponibile a terzi acquirenti, ed ha l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione oltre i limiti previsti, a nulla rilevando che la proprietà dell’area sia stata trasferita, che manchino specifici negozi giuridici privati volti all’asservimento o che l’edificio sia collocato in una parte del lotto catastalmente divisa (Cons. Stato V, 09.10.2007 n. 5232).
In altri termini, un’area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, non può essere considerata libera neppure parzialmente, agli effetti della volumetria realizzabile, in sede di rilascio di una seconda concessione, nella perdurante esistenza del primo edificio, restando irrilevanti le vicende inerenti alla proprietà dei terreni (Cons. Stato IV, 06.09.1999 n. 1402) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 2668 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIServizi locali, società miste in gara. Il Tar Calabria interpreta a maglie larghe una delle norme più controverse della riforma delle utility. Se il privato è stato scelto con procedura a doppio oggetto.
Le società miste in cui il socio privato sia stato selezionato con gara «a doppio oggetto» possono ampliare il proprio giro d'affari, acquisendo la gestione di ulteriori servizi pubblici locali anche in ambiti territoriali diversi. Il divieto previsto dall'art. 23-bis, comma 9 del dl 112/2008 così come modificato dalla riforma Fitto (dl 135/2009 convertito nella legge 166/2009) non può essere esteso a questa particolare tipologia di società miste. E se lo fosse sarebbe «irragionevole e immotivato anche alla luce dei principi dettati dall'Unione europea in materia di partenariato pubblico-privato».
Ad affermarlo è il TAR Calabria-Reggio Calabria che con la sentenza 16.06.2010 n. 561 ha fornito la prima interpretazione chiarificatrice di una delle più controverse disposizioni del dl 135. Confermando sul punto tutti i dubbi sollevati dall'Anci all'indomani dell'approvazione della legge.
La riforma messa a punto dal ministro per gli affari regionali allo scopo di aprire alla concorrenza e al mercato il settore delle utility ha affermato il principio generale dell'obbligatorietà delle gare per gli affidamenti.
Un principio il cui necessario corollario porta a vietare alle società che gestiscono servizi locali in virtù di affidamenti diretti o procedure non ad evidenza pubblica la possibilità di acquisire ulteriori concessioni o ampliare il proprio giro d'affari in ambiti territoriali diversi (per esempio al di fuori del comune di appartenenza).
Secondo una prima interpretazione del decreto, tale divieto dovrebbe essere esteso anche alle società miste (a partecipazione pubblica e privata) in cui la scelta del socio privato sia avvenuta attraverso una particolare tipologia di gara, anch'essa introdotta dal dl, definita «a doppio oggetto» perché oltre alla qualità di socio al privato vengono attribuiti specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio. Oltre a una partecipazione al capitale sociale che non può essere inferiore al 40%.
Il Tar Calabria ammette che tale interpretazione è consentita dalla lettera del dl 135, ma non la condivide. «L'affidamento a società mista costituita con le modalità indicate dal comma 2, lettera b) dell'art. 23-bis (gara a doppio oggetto ndr)», scrivono i giudici amministrativi calabresi, «si appalesa, ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, del tutto equivalente a quello mediante pubblica gara, sicché risulterebbe irragionevole e immotivata, anche alla luce dei principi dettati dall'Unione europea in materia di partenariato pubblico-privato, l'applicazione del divieto di partecipazione alle gare bandite per l'affidamento di servizi diversi da quelli in esecuzione».
Il Tar propende invece per un'interpretazione più morbida «pure consentita dalla lettera» della legge, che porta ad applicare il divieto di partecipazione alle gare solo alle società che già gestiscono servizi pubblici locali sulla base di un affidamento diretto o, comunque, a seguito di procedura non a evidenza pubblica.
Via libera dunque alle società miste costituite con gara a doppio oggetto perché questa rientra a pieno titolo tra le procedure a evidenza pubblica. Tali società potranno quindi partecipare alle gare perché non ledono i principi di libera concorrenza.
Il Tar Calabria ha dunque sposato in toto le tesi dell'Anci che più volte si è espressa a favore dell'esclusione delle società miste dal divieto.
Ora non resta che attendere che l'interpretazione del Tar si consolidi nella giurisprudenza (articolo ItaliaOggi del 20.07.2010, pag. 30 - link a www.corteconti.it).

COMPETENZE PROGETTUALIPERITI INDUSTRIALI/ Il tecnico diplomato non è subordinato al laureato.
Respinto al mittente il principio di subordinazione del tecnico diplomato sul laureato. E rinvedicata, nello stesso tempo, la competenza del perito industriale alla progettazione di impianti di illuminazione pubblica.
Dopo circa otto anni da una pronuncia del TAR della Sardegna che aveva messo in discussione la competenza di questi professionisti in materia, ci pensa ora la nuova sentenza 28.05.2010 n. 1361 sempre del tribunale della regione, a fare chiarezza tra quelle stesse competenze professionali, spesso stravolte dalla stessa magistratura.
La vicenda prende il via da un ricorso presentato da due società che avevano perso una gara di appalto pubblico per i servizi di illuminazione pubblica per un piccolo comune della regione Sardegna. Una sconfitta ingiustificata per le due imprese che, tra gli altri motivi, avevano evidenziato la assoluta mancanza di competenza professionale alla progettazione del perito industriale.
Ed è proprio qui che interviene la magistratura che, accogliendo le argomentazioni del Cnpi intervenuto ad opponendum, sottolinea con forza un principio: in materia di progettazione di impianti di illuminazione pubblica la competenza professionale del perito industriale è «propria».
Ma non solo competenze, perché con la sentenza la Prima Sezione del Tar Sardegna, ha affermato un'altra importante regola: non esiste subordinazione del tecnico diplomato sul laureato.
In pratica «a prescindere dalla competenza professionale propria del perito industriale in materia di progettazione di impianti di illuminazione pubblica, si evidenzia che, nel caso di specie, il progetto definitivo ed esecutivo, è stato redatto da un gruppo di lavoro “misto” a capo del quale vi è il progettista responsabile, perito industriale, ma all'interno di esso figurano specifiche figure professionali». Inoltre, dal progetto esecutivo risulta che le relazioni di calcolo dei basamenti dei pali per illuminazione pubblica è stato specificamente redatto da un ingegnere.
Non ha alcun fondamento, quindi, la censura proposta che parla di sconfinamento delle competenze dei periti industriali perché, nel caso in esame, il contributo delle diverse professionalità nel gruppo di lavoro misto non può esser messa in discussione.
Nel caso specifico, dicono i magistrati del tribunale regionale, la progettazione esecutiva dell'impianto di illuminazione è stata eseguita dal perito industriale, progettista responsabile del gruppo misto di professionisti, all'interno del quale figurano specifiche figure professionali specialistiche (due ingegneri e tre periti industriali, oltre cinque collaboratori).
E questo porta con sé un altro principio fondamentale: è legittimo e incontroverso che il perito industriale sia responsabile di un gruppo di lavoro misto, costituito da progettisti ingegneri, professionisti con titolo di studio di livello superiore, in quanto ognuno specificamente abilitato all'attività di progetto da esso eseguita in ordine all'affidamento pubblico delle opere da realizzare.
Di conseguenza, è affermata la possibilità che l'attività di progettazione definitiva ed esecutiva possa essere svolta previa la collaborazione «in subordinazione» di un professionista ingegnere, in un gruppo misto di figure professionali specifiche, rispetto al progettista responsabile, che sia perito industriale (articolo ItaliaOggi del 09.07.2010, pag. 32).

ATTI AMMINISTRATIVIL’obbligo di esame delle memorie e dei documenti difensivi ex art. 10 e 10-bis della legge n. 241 del 1990 non impone una analitica confutazione di ogni argomento utilizzato dalle parti, essendo sufficiente un iter motivazionale che renda nella sostanza percepibile la ragione del mancato adeguamento dell’azione della p.a. alle deduzioni difensive del privato.
Va ricordato in linea di principio che, contrariamente a quanto opina l’istante, l’obbligo di esame delle memorie e dei documenti difensivi ex art. 10 e 10-bis della legge n. 241 del 1990 non impone una analitica confutazione di ogni argomento utilizzato dalle parti, essendo sufficiente un iter motivazionale che renda nella sostanza percepibile la ragione del mancato adeguamento dell’azione della p.a. alle deduzioni difensive del privato (Cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 11.04.2006, n. 1999, 16.03.2006, n. 1397 e 23.04.2002; TAR Puglia, Bari, sez. II, 07.02.2007, n. 340; TAR Lazio, sez. I, 08.05.2007, n. 4123) (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 26.03.2010 n. 174 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa Corte di Cassazione ha in epoca più recente confermato il suo orientamento che porta ad escludere che dal concetto di costruzione, rilevante ai fini dell’assoggettamento al regime delle distanze, rientrino opere non creative di volumetria, affermando che integra costruzione un manufatto che, quantunque privo di pareti, realizzi una determinata volumetria. E una scala posta all’esterno dell’edificio non dà luogo affatto ad una volumetria.
Una scala in ferro per l’accesso ad un terrazzo è proprio una pertinenza e, come tale, soggetta ad autorizzazione.
La recinzione di un edificio, non essendo suscettibile di valutazione autonoma, costituisce pertinenza del medesimo e, come tale, è soggetta a autorizzazione e non già a concessione edilizia.

La concessione edilizia (oggi, permesso di costruire) legittima l’attività edilizia nell’ordinamento pubblicistico, disciplinando i rapporti tra Comune e concessionario, “ma non attribuisce a quest’ultimo diritti soggettivi verso i terzi, i quali possono agire innanzi al giudice ordinario per ottenere la rimozione o modificazione dell’opera lesiva di diritti scaturenti da rapporti privatistici” (Consiglio di Stato, sez. V, 20.12.1993 n. 1341; Cass. Civ., 21.02.1983 n. 1311).
Non può certo equipararsi un costruendo edificio complessivamente considerato e comprensivo anche della sporgenza–scala ad una mera scala che venga collocata su un preesistente edificio per arrivare a sostenere che la scala uti singula, per sé sola, debba essere posta a distanza di metri tre dal confine, come se detta scala sostanziasse un edificio in muratura.
La statuizione della Corte inerisce, invero, all’ “edificio” (dal latino aedes, casa) comprensivo della scala e stabilisce che la di esso distanza va misurata partendo dalla scala che non costituisca una sporgenza meramente decorativa ma strutturale. Ma una scala da sola, realizzata dopo la costruzione dell’edificio preesistente e semplicemente appoggiata ad esso, è ictu oculi elemento ontologicamente diverso da un edifico da realizzare ex novo e comprensivo di una scala. Ed è elemento, la scala, da sola, di consistenza e aggravio urbanistico enormemente inferiore rispetto ad un edificio, cui acceda anche una scala/sporgenza.
Irragionevolmente, dunque, il ricorrente equipara ed assimila un “edificio”, cioè una casa, più una scala, ad una semplice scala. Trattasi, intuitivamente, di insiemi diversi, non di diversi elementi di un unico insieme.
In tale ottica appare condivisibile l’osservazione di cui alla memoria del controinteressato, circa le caratteristiche dalla scala de qua, come struttura estremamente leggera e non in muratura.
Suffraga la tesi espressa dal Collegio, la giurisprudenza civile di legittimità che intravede la ratio dell’art. 873 nello scongiurare la formazione di intercapedini dannose alla sicurezza e alla salubrità dei fondi, esentando dal relativo regime delle distanza minime, opere inidonee, per struttura e consistenza, a formare intercapedini nocive inglobando aria luce (Cass. Civ., II, 08.09.1986, n. 5467).
La Cassazione ha quindi correttamente ritenuto soggetta all’obbligo di rispetto della distanza minima di cui all’art. 873 c.c. ogni opera edilizia fuori terra avente un’apprezzabile consistenza, escludendo da siffatto regime un scala esterna scoperta.
Va segnalato che la Corte di Cassazione ha in epoca più recente confermato il suo orientamento che porta ad escludere che dal concetto di costruzione, rilevante ai fini dell’assoggettamento al regime delle distanze, rientrino opere non creative di volumetria, affermando che integra costruzione un manufatto che, quantunque privo di pareti, realizzi una determinata volumetria: Cass. Civ.Sez. II, 21.12.1999, n. 14379. E una scala posta all’esterno dell’edificio non dà luogo affatto ad una volumetria.
Del resto, come correttamente osserva la difesa del controinteressato nella memoria in data 08.02.2008, le stesse NTA del Comune di Valperga includono nei manufatti soggetti alla disciplina sulle distanze, i bow-windows, le verande, gli spazi porticati e i “vani semiaperti di scale” (art. 7, punto 4, lett. b) Piano Regolatore Generale del Comune di Valperga, Norme Tecniche di Attuazione, doc. 6 produz. controint.) conseguendone che una scala che non presenti al suo interno una superficie vuota, un vano, non può essere ragionevolmente assoggettata al rispetto delle distanze tra costruzioni, non costituendo, per le ragioni già dette, una costruzione.
Non è poi così pacifico in giurisprudenza l’assunto che una scala sia assoggettata a concessione e non ad autorizzazione. In contrario basti segnalare, proprio con riguardo ad una scala collegante un giardino e un terrazzo, TAR Campania–Napoli, sez. III, 05.10.1988, n. 240, ad avviso del quale detta scala in ferro costituisce “se non pertinenza, un’opera di manutenzione straordinaria soggetta ad autorizzazione e non a concessione edilizia”. Ancor più netta è TAR Campania–Napoli, sez. I, 25.07.1990, n. 467, secondo la quale una scala in ferro per l’accesso ad un terrazzo è proprio una pertinenza, come tale soggetta ad autorizzazione.
Il Tribunale partenopeo recentissimamente ha ribadito il proprio orientamento, affermando che una ringhiera protettiva e “una scala in ferro per l’accesso ad un terrazzo si configurano come pertinenze di un immobile, sicché la loro installazione non è soggetta al preventivo rilascio della concessione edilizia, bensì al regime autorizzatorio” (TAR Campania–Napoli, Sez. VII, 20.11.2007, n. 14443) ex art. 4 della L. n. 94/1982 (c.d. Legge Nicolazzi, pure invocata dalla decisione del Consiglio di Stato su cui infra).
Ritiene il Collegio di dover aderire al rassegnato indirizzo, sante il ridotto aggravio edilizio di una scala, quale quella per cui è causa, costituita da “piccola carpenteria metallica” com’è incontroverso e non comportante affatto una impattante alterazione urbanistica.
Relativamente, poi, alla recinzione, la conclusione medesima, cui il Collegio opina di dover pervenire nel caso che ne occupa, è suffragata da maggiori supporti giurisprudenziali e, prima ancora, legislativi. Con ciò, senza, peraltro, rinnegare i propri precedenti invocati dal ricorrente, di cui alle sentenze 09.06.1994, n. 293, 212/1997 e 236/1997, le quali appaiono, all’evidenza, non propriamente calzanti nella soluzione del caso di specie.
Orbene, già il Consiglio di Stato, in materia di recinzioni, ha chiaramente statuito che “la recinzione di un edificio, non essendo suscettibile di valutazione autonoma, costituisce pertinenza del medesimo e, come tale, è soggetta a autorizzazione e non già a concessione edilizia” (Consiglio di Stato, Sez. II, 13.11.1991, n. 358/1991 – Ministero dei Lavori Pubblici, in Il Cons. di Stato, 1993, I, 145). Massima già espressa con Cons. di Stato, Sez. II, 13.06.1990, n. 566/1990 – Comune di Gallarate, in Il Cons. di Stato, 1990, I, 1162, che ha affermato che “la recinzione in muratura di un fabbricato non costituisce opera edilizia soggetta a concessione, essendo per essa richiesta una semplice autorizzazione, ai sensi dell’art. 7 D.L. 23.1.1982 n. 9 convertito dalla L 25.03.1982, n. 94”. Addirittura secondo il Giudice Amministrativo d’appello è soggetta a mera autorizzazione una recinzione interamente in muratura e interessante un intero fabbricato.
Non va sottaciuto, sul punto, come meglio si dirà appresso, che la recinzione di cui è controversia è una modestissima opera, lunga appena m. 3,90 e poggiante su n muretto di soli 50 cm.
Vale la pena ora confrontarsi con i precedenti di questo TAR, invocati dal ricorrente,e in particolare con TAR Piemonte, n. 293/1994, secondo cui la realizzazione di una recinzione relativa d un’area di notevole ampiezza, costituita da un basamento in muratura di m. 0,50 con sovrastante rete metallica alta m. 1,50 importa una modificazione tale dell’assetto del territorio da rendere necessaria una concessione edilizia.
Ebbene, il Collegio reputa doveroso calare siffatta affermazione di principio, nella fattispecie di causa, che si connota per la peculiarità rappresentata dalla modestia della recinzione contestata, la quale è lunga solo m. 3,90 e quindi non può ad essa estendersi quanto questo Tribunale ha sancito con la pronuncia citata, che aveva ad oggetto “una recinzione relativa ad un’aera di notevole ampiezza”. In quel caso l’opera recintava, appunto, un terreno notevolmente ampio, in rapporto al quale certamente costituisce modificazione dell’assetto del territorio un intervento costituente un muro anche non alto (di soli m. 0,50) sormontato da una rete metallica alta m. 1,50. Tale muro con sovrastante recinzione, se riguardato in una prospettiva di insieme, rapportata a un’area notevolmente ampia con lo stesso recintata, chiaramente fa emergere una considerevole modificazione del territorio, la quale non può non richiedere la concessione edilizia.
All’evidenza, il caso che ci occupa si differenza non poco da quello appena delineato, stante l’assoluta modestia della recinzione in questione, lunga solo m. 3,90.
Non è luogo quindi a farsi questione di applicazione alla fattispecie di cui è causa, di una decisione resa a proposito di un’opera notevolmente impattante, siccome estesa a tutta l’area, notevolmente ampia, che veniva in quel caso recintata.
Né vale invocare, come fa il ricorrente, nel motivo in analisi, il presunto contrasto con l’art. 56 della L.Reg. Piemonte n. 56/1977, posto che tale norma, alla lettera g), assoggetta ad autorizzazione e non a concessione “le opere costituenti pertinenze”. E non v’ha dubbio che una recinzione ed anche una scala metallica posta chiaramente a servizio dell’immobile abitativo, integrino una pertinenza, come pure evidenziato nelle citate decisioni del TAR Campania.
Ma ad avviso del Collegio milita a favore della tesi della non necessità della concessione in sanatoria e della sufficienza della mera autorizzazione, un dirimente dato normativo.
Traendo spunto da quanto adombra il controinteressato nella memoria di costituzione, secondo la quale la recinzione sarebbe stata sottoposta ex D.L. 154/1996 alla mera autorizzazione “comunale soggetta al regime del silenzio–assenso in attuazione dell’art. 19 della l.n. 241/1990” (pag. 5 memoria 02.11.1999) (in realtà più correttamente avrebbe dovuto parlare di D.I.A. in attuazione dell’art. 19 l.cit.) ricorda il Collegio che all’epoca dei fatti di causa e del rilascio dell’impugnato titolo concessorio in sanatoria era vigente l’art. 4 della L. 04.12.1993, n. 493, di conversione del D.L. 05.10.1993, n. 398, articolo poi sostituito dall’art. 2, comma 60, della L. 23.12.1996, n. 662 (Legge finanziaria per il 1997), norma recate la nuova disciplina delle procedure per il rilascio della concessione edilizia e partorita con il conclamato intento di semplificare dette procedure apprestando altresì significativi di strumenti di tutela del privato a fronte dell’inerzia della P.A.
Orbene, il comma 7 dell’art. 4 della l. n. 493/1993 assoggettava a mera denuncia di inizio di attività una serie di interventi edilizi minori, annoverando alla lettera c), proprio “recinzioni, muri di cinta e cancellate”. Ora va anche soggiunto che siffatta riconduzione delle opere de quibus al regime semplificato, rectius liberalizzato della D.I.A., metteva capo ad una facoltà del privato, posto che i successivi commi 8 e 10 della norma espressamente subordinavano ad una serie di condizioni “la facoltà di denuncia di attività ai sensi del comma 7”. Il che vuol dire che il privato poteva sempre optare per il tradizionale istituto dell’autorizzazione, in luogo di quello semplificato della D.I.A..
Ne consegue che il controinteressato, avendo presentato istanza tesa ad ottenere il titolo edilizio in sanatoria, benché impropriamente richiesto sub specie di concessione, ha evidentemente inteso non avvalersi della procedura semplificata. Ma è chiaro che in tale ipotesi l’intervento consistente nella recinzione non poteva essere ricondotto e assoggettato alla concessione edilizia, atteso che il legislatore lo aveva derubricato, includendolo tra quelli per i quali il privato aveva facoltà di presentare una semplice D.I.A., con il risultato che, ove, come nel la specie, il privato non optasse per la D.I.A., i relativi interventi dovevano ritenersi assoggettati a mera autorizzazione e non più a concessione.
Tale conclusione, che ad avviso del Collegio si impone con caratteri di evidenza, è inoltre supportata dal disposto del comma 13 della norma in analisi, in forza del quale “l’esecuzione di opere in assenza della o in difformità della denuncia di cui al comma 7 comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione delle opere stesse”, conseguenza che è la spia che il legislatore escludeva gli interventi in questione dal regime della concessione edilizia, sanzionandone l’esecuzione in assenza del titolo tacito, con la sanzione prevista per le opere eseguite in assenza di autorizzazione e non con quella apprestata dall’ordinamento per le opere eseguite in assenza di concessione edilizia, che è la sanzione reale demolitoria
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 25.03.2010 n. 505 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIOE' lecita l'apposizione di insegne nei muri perimetrali di edifici in condominio, anche nelle parti del muro che non corrispondono alle proprietà esclusive dei singoli condomini.
In assenza di specifiche previsioni contenute nei regolamenti comunali, di cui non è stata puntualmente allegata l’esistenza da ambo le parti, occorre richiamare l’ormai consolidato orientamento della giurisdizione civile secondo cui è lecita l'apposizione di insegne nei muri perimetrali di edifici in condominio, anche nelle parti del muro che non corrispondono alle proprietà esclusive dei singoli condomini (tra le tante, Cass. Civile, Sez. II, 03.02.1998, n. 1046; Cass. 24.10.1986 n. 6229; Cass. 17.04.1981 n. 2331; Cass. 13.07.1973 n. 202) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 25.03.2010 n. 341 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANella decisione sull’istanza di sanatoria edilizia ex art. 32, legge 28.02.1985, n. 47, devono essere tenuti in considerazione anche i vincoli sorti successivamente all’esecuzione dell’opera abusiva, poiché l’eccezionalità della normativa sul condono edilizio giustifica la deroga al principio tempus regit actum.
Questo Collegio concorda con la decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 20/1999, secondo la quale nella decisione sull’istanza di sanatoria edilizia ex art. 32, legge 28.02.1985, n. 47, devono essere tenuti in considerazione anche i vincoli sorti successivamente all’esecuzione dell’opera abusiva, poiché l’eccezionalità della normativa sul condono edilizio giustifica la deroga al principio tempus regit actum.
Si aggiunga che tale deroga appare giustificata anche alla luce del superiore interesse alla tutela dell’ambiente e del paesaggio, a fronte dell’interesse privato alla legalizzazione di un fatto illecito (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 28.03.2008 n. 469 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Sindaco, in sede di esame della domanda di concessione edilizia, pur non dovendo compiere approfondite indagini sui rapporti di diritto privato intercorrenti tra gli interessati, è tenuto a verificare la posizione di avente diritto e, quindi, la legittimazione del richiedente.
Nel procedimento di rilascio della concessione edilizia, anche in sanatoria, l’Amministrazione ha il potere e il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile o sulla parte di esso interessato dal progetto di trasformazione urbanistica.
Secondo un consolidato orientamento di questo Tribunale, il Sindaco, in sede di esame della domanda di concessione edilizia, pur non dovendo compiere approfondite indagini sui rapporti di diritto privato intercorrenti tra gli interessati, è tenuto a verificare la posizione di avente diritto e, quindi, la legittimazione del richiedente (cfr. TRGA Bolzano, 28.05.1997, n. 213, 30.07.1997, n. 306, 30.09.2004, n. 433 e 27.02.2006, n. 81)
(T.R.G.A. Trentino Alto Adige-Bolzano, sentenza 27.03.2008 n. 101 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIOSulla differenza tra balcone "incassato" e balcone "aggettante".
Secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale, occorre distinguere se i balconi siano “incassati”, in tutto o in parte, nel corpo dell’edificio (assolvendo, quindi, una funzione sia di copertura, sia di sostegno), ovvero “aggettanti” (in cui può riconoscersi alla soletta del balcone funzione di copertura rispetto al balcone sottostante, disgiunta, però, dalla funzione di sostegno e, quindi, non indispensabile per l’esistenza stessa dei piani sovrapposti).
Con riferimento ai balconi “incassati” nel corpo dell’edificio, la giurisprudenza ritiene operante una presunzione di comunione, mentre con riferimento ai balconi “aggettanti”, la giurisprudenza afferma che, “…costituendo un ‘prolungamento’ della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa…Pertanto, nelle ipotesi di strutture completamente aggettanti –in cui può riconoscersi alla soletta del balcone funzione di copertura rispetto al balcone sottostante e, trattandosi di sostegno non indispensabile per l’esistenza dei piani sovrastanti– non può parlarsi di elemento a servizio di entrambi gli immobili posti su piani sovrastanti, né, quindi, di presunzione di proprietà comune del balcone aggettante riferita ai proprietari dei singoli piani” (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 30.07.2004, n. 14576; nello stesso senso anche Cass. Civ., Sez. II, 30.07.2004, n. 14590)
(T.R.G.A. Trentino Alto Adige-Bolzano, sentenza 27.03.2008 n. 101 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARientrano nella nozione di "ristrutturazione edilizia" gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportino altresì l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, che non possono pertanto configurarsi né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo.
Con riferimento alla nozione di "ristrutturazione edilizia", la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che rientrano in tale nozione gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportino altresì l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, che non possono pertanto configurarsi né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo (Cons. St., sez. V, 17.12.1996, n. 1551).
In altre parole, affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi dell'edificio, ovvero l'ordine in cui risultavano disposte le diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d'uso esistente, poiché anche in questi casi sussistono un rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio ed un'alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie (T.R.G.A. Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 27.03.2008 n. 78 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASussiste a carico del proprietario dell'immobile una presunzione di responsabilità per gli abusi edilizi accertati, sicché l'interessato può sottrarsi a tale responsabilità solo dimostrando positivamente la sua estraneità all'abuso.
L'ingiunzione di demolizione di opere edilizie abusive non deve recare l’indicare la superficie dell'area di sedime da acquisire in caso d'inottemperanza, in quanto tale dato deve essere contenuto nell'atto d'acquisizione, a pena d'illegittimità di quest'ultimo, che costituisce titolo per l'immissione in possesso dell'opera e per la trascrizione nei registri immobiliari.

A norma degli artt. 6 e 7 L. 28.02.1985, n. 47, sussiste a carico del proprietario dell'immobile una presunzione di responsabilità per gli abusi edilizi accertati, sicché l'interessato può sottrarsi a tale responsabilità solo dimostrando positivamente la sua estraneità all'abuso (Cons. St., V, 28.01.1993, n. 178; C.G.A., 03.09.1997, n. 331).
L'individuazione dell'area di pertinenza della "res abusiva" non deve necessariamente compiersi al momento dell'emanazione dell'ingiunzione di demolizione, bensì nel provvedimento successivo con il quale viene accertata l'inottemperanza e si procede all'acquisizione gratuita del bene al patrimonio del comune ai sensi dell'art. 7 l. 28.02.1985 n. 47.
L'ingiunzione di demolizione di opere edilizie abusive non deve, dunque, recare l’indicare la superficie dell'area di sedime da acquisire in caso d'inottemperanza, in quanto tale dato deve essere contenuto nell'atto d'acquisizione, a pena d'illegittimità di quest'ultimo, che costituisce titolo per l'immissione in possesso dell'opera e per la trascrizione nei registri immobiliari (cfr. ex multis TAR Campania Napoli, sez. IV, 21.09.2002, n. 5429; Cons. Stato, sez. V, 06.09.1999, n. 1015)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 26.03.2008 n. 1552 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Laddove si tratti di localizzare un nuovo impianto di distribuzione carburanti nel medesimo territorio comunale, gli interventi proposti non comportano una procedura di variante al P.R.G., essendo sufficiente un mero adeguamento dello strumento urbanistico, posto che la norma, richiede sì una specificazione deliberazione da parte del Comune, ma non anche uno specifico piano attuativo.
La compatibilità degli impianti di distribuzione carburanti deve essere puntualmente verificata con le singole destinazioni d'uso previste dal codice della strada e non con altre destinazioni previste dagli strumenti urbanistici.

La giurisprudenza amministrativa (cfr. ex multis TAR Abruzzo L'Aquila, 19.06.2003, n. 449; TAR Puglia Bari sez. II 04.11.2002 n. 4723; TAR Puglia Lecce, Sez. II, 14.11.2005, n. 5037) ha già avuto modo di osservare che col passaggio dal regime concessorio a quello autorizzatorio -per quanto concerne il sistema di distribuzione dei carburanti- l'art. 2 del d.lgs. 11.02.1998, n. 32 (come modificato dal d.lgs. 08.09.1999 n. 346), ha demandato ai Comuni di individuare i criteri per l'insediamento di detti impianti, aggiungendo che la individuazione delle aree di localizzazione degli stessi comporta non una procedura di variante bensì un mero adeguamento del P.R.G. in tutte le zone non sottoposte a “particolari vincoli paesaggistici”, ambientale o monumentale e non comprese nelle zone territoriali omogenee "A".
Pertanto, laddove si tratti di localizzare un nuovo impianto di distribuzione carburanti nel medesimo territorio comunale, gli interventi proposti non comportano una procedura di variante al P.R.G., essendo sufficiente un mero adeguamento dello strumento urbanistico, posto che la norma, richiede sì una specificazione deliberazione da parte del Comune, ma non anche uno specifico piano attuativo.
A conferma di quanto testé osservato, il comma 3 del citato art. 2, stabilisce che “il Comune... individua le destinazioni d'uso compatibili con l'installazione degli impianti all'interno delle zone comprese nelle fasce di rispetto di cui agli articoli 16, 17 e 18 del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285, recante il nuovo codice della strada”; dunque, la compatibilità deve essere puntualmente verificata con le singole destinazioni d'uso previste dal codice della strada e non con altre destinazioni previste dagli strumenti urbanistici (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 26.03.2008 n. 1535 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARUMORE: La previsione di limiti di immissione entro le fasce di pertinenza delle infrastrutture ferroviarie, non comporta l'inderogabile necessità di procedere ad una nuova zonizzazione di tutte le aree ad esse adiacenti, in quanto, in base alla citata normativa statale, all'interno delle fasce di pertinenza si verifica una deroga ai limiti di livello sonoro propri della zona.
In linea generale, non è necessario che tutte le aree in prossimità di linee ferroviarie siano poste esclusivamente in classe IV, dovendo essere valutata l'intensità e il tipo di traffico, le caratteristiche specifiche di utilizzo della linea e quelle insediative delle aree ad essa più prossime, con la conseguenza che può essere adottata la classe lll e quindi non necessariamente la IV, nel caso si tratti di linee con un piccolo numero di transiti in periodo diurno e quasi in assenza di traffico ferroviario in periodo notturno.

Contrariamente a quanto affermato dal Comune, la previsione di limiti di immissione entro le fasce di pertinenza delle infrastrutture ferroviarie, non comporta l'inderogabile necessità di procedere ad una nuova zonizzazione di tutte le aree ad esse adiacenti, in quanto, in base alla citata normativa statale, all'interno delle fasce di pertinenza si verifica una deroga ai limiti di livello sonoro propri della zona (cfr. per un'analoga fattispecie, anche se relativa alle fasce di pertinenza della viabilità stradale, Tar Trentino Alto Adige, Trento, 20.12.2004, n. 419).
Ciò risulta evidente anche dall’esame della normativa regionale successivamente intervenuta che, senza effetto innovativo, ha riconfermato espressamente tale principio.
In particolare l'art. 2, comma 3, della legge regionale 10.08.2001, n. 13, recante "Norme in materia di inquinamento acustico", nel demandare alla Giunta regionale il compito di definire, con proprio provvedimento, i criteri tecnici di dettaglio per la redazione della classificazione acustica del territorio comunale, alla lett. e), stabilisce che non possono essere comprese in classe inferiore alla IV, per le distanze inferiori a cento metri, le aree che si trovino all’interno delle fasce di pertinenza delle infrastrutture ferroviarie, con la specificazione tuttavia che tale prescrizione vale solo per le linee ferroviarie di grande comunicazione.
Inoltre la deliberazione della Giunta regionale 12.07.2002, n. 7/9776, recante l'approvazione del documento «Criteri tecnici di dettaglio per la redazione della classificazione acustica del territorio comunale», pubblicata nel Bollettino Ufficiale del 15.07.2002, n. 29, ha espressamente riprodotto, dando quindi atto dell’insussistenza di una portata innovativa della normativa statale sopravvenuta, le indicazioni già contenute nella deliberazione della Giunta regionale del 25.06.1993, n. 5/37724. La tesi del Comune secondo cui il DPR 18.11.1998, n. 459 avrebbe comportato, sul punto specifico, la caducazione della deliberazione della Giunta regionale 25.06.1993, n. 5/37724, risulta pertanto priva di fondamento.
Il paragrafo 2.2, chiarisce infatti che l'allegato A del DPCM 14.11.1997, indica la classe IV per le aree poste in prossimità di linee ferroviarie, ma che tuttavia ciò non esclude che, in prossimità delle suddette infrastrutture, possano essere assegnate le classi V e VI, qualora esistano o siano previsti insediamenti industriali o centri commerciali, oppure, come nel caso di linee ferroviarie locali, possa, invece, essere attribuita la classe III se le caratteristiche delle aree vicine all’infrastruttura ferroviaria e quelle del traffico che si svolge sulla stessa lo rendono possibile; fermo restando che per le sole linee ferroviarie di grande comunicazione, per le quali si ha presenza di traffico ferroviario anche in periodo notturno, non può essere determinata una classe inferiore alla IV nella fascia di territorio distante meno di cento metri dalla linea ferroviaria.
Con indicazione ancor più di dettaglio, viene inoltre precisato che, in linea generale, non è necessario che tutte le aree in prossimità di linee ferroviarie siano poste esclusivamente in classe IV, dovendo essere valutata l'intensità e il tipo di traffico, le caratteristiche specifiche di utilizzo della linea e quelle insediative delle aree ad essa più prossime, con la conseguenza che può essere adottata la classe lll e quindi non necessariamente la IV, nel caso si tratti di linee con un piccolo numero di transiti in periodo diurno e quasi in assenza di traffico ferroviario in periodo notturno (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 25.03.2008 n. 340 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATANessuna norma di legge attribuisce ai comuni il potere di vietare l’esercizio di determinate attività economiche in relazione al possibile pericolo di inquinamento acustico.
Il D.P.C.M. 14.11.1997 e l’art. 6 della legge n. 447 del 1995 non attribuiscono ai comuni il potere di vietare l’esercizio di determinate attività economiche in relazione al possibile pericolo di inquinamento acustico.
Le attività artigianale sono naturalmente destinate ad essere svolte in zona artigianale ed un divieto di esercizio di tali attività in zona artigianale assume di fatto la natura di un divieto generalizzato su tutto il territorio comunale (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 21.03.2008 n. 746 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASul venir meno della concessione (d'uso) in precario di terreno comunale e sul dovere di rimozione delle costruzioni realizzate.
Il ricorrente risulta bensì proprietario del chiosco (cfr. sentenza della sezione n. 57/2007), il quale tuttavia insiste su terreno comunale di cui era concessionario in precario, sicché una volta scaduta la concessione, e non rinnovata, il medesimo perde ogni possibilità di utilizzo del bene, dovendo difatti, ai sensi della concessione, rimuovere a sue spese la costruzione provvedendo a rimettere il terreno in pristino stato (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 21.03.2008 n. 744 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIn merito alla revoca unilaterale di una convenzione urbanistica.
Dopo la stipulazione della convenzione l'eventuale incisione sulla posizione giuridica del privato (costituitasi con l'avallo e la collaborazione dell'amministrazione) assume nella sostanza le fattezze della revoca unilaterale della pregressa convenzione ed abbisogna, per conseguenza, di una circostanziata motivazione sulle particolari ragioni di pubblico interesse, arricchita da una congrua comparazione tra gli interessi in conflitto (cfr. ancora Cons. Stato, Sez. IV, 10.08.2004, n. 5510; 14.01.2002 n. 173; 23.04.1998, n. 670; 06.03.1998, n. 382; 04.12.1998, n. 1732) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.03.2008 n. 321 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASul diniego motivato dell'autorità preposta alla tutela del vincolo nel caso di condono edilizio.
Com’è noto, il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, previsto dall’art. 32 della legge n. 47/1985, costituisce manifestazione di discrezionalità tecnica che, in quanto tale, deve recare l’indicazione delle ragioni assunte a fondamento della ritenuta compatibilità o incompatibilità di un dato intervento edilizio con le esigenze di tutela paesistica sottese all’imposizione del vincolo stesso.
Ne discende che il diniego di nulla osta deve essere assistito da un apparato motivazionale che, sia pure in forma sintetica, dia conto di quelle esigenze ed esplichi in concreto i motivi per i quali la costruzione, per le sue caratteristiche architettoniche ed estetiche, viene giudicata pregiudizievole dell’integrità del contesto ambientale in cui si inserisce e, con essa, degli specifici interessi pubblici alla cui tutela il vincolo è inteso (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 14.03.2008 n. 296 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl venir meno della titolarità della concessione e quindi del diritto di edificazione in capo all'originario concessionario con il trasferimento dei relativi diritti in testa al subentrante, destinatario della volturazione e titolare quindi dello ius aedificandi, di norma e salva diversa ed esplicita pattuizione tra cedente e cessionario, comportano anche il trasferimento a carico ed a favore di quest'ultimo, dal momento della volturazione, di tutti indistintamente i diritti e gli obblighi connessi e/o derivanti dalla concessione stessa.
Se è vero che, una volta intervenuta la volturazione della concessione edilizia, legittimato passivo rispetto alle misure repressive di lavori eventualmente condotti in difformità dalla concessione è soltanto il terzo subentrante e non l'originario titolare della concessione edilizia, lo stesso principio non può non affermarsi anche rispetto alle obbligazioni pecuniarie connesse alla concessione edilizia volturata dopo il suo rilascio e derivanti dall’avvenuto, o meno, concreto utilizzo della concessione stessa.
Nel caso della voltura della concessione edilizia, non essendo la prestazione oggetto dell'obbligazione contributiva caratterizzata in senso personale, si ha in realtà una modificazione dell'oggetto del rapporto, con l'effetto della liberazione da ogni diritto ed obbligo del primitivo concessionario in concomitanza con la perdita del diritto ed edificare.

Il Collegio ricorda che, a norma dell'art. 4, comma 6°, della legge 10/1977 (ora art. 11 D.L.vo 380/2001), la concessione edilizia è trasferibile ai successori o aventi causa.
In tal modo le norme riconoscono esplicitamente la natura <reale> del titolo edilizio, che viene, pertanto, rilasciato in ragione della titolarità di una situazione giuridica soggettiva ontologicamente ricollegata ad un determinato bene immobile.
Come già notato, non è poi lecito dubitare che (Cons. St, sez. V 22.02.1988, n. 105) le somme pagate a titolo di contributi per oneri di urbanizzazione relativamente ad una concessione edilizia sono ripetibili se la concessione non sia stata utilizzata (TAR Abruzzo Pescara 15.12.2006 n. 890).
Ne consegue inevitabilmente il principio secondo cui sussiste una intrinseca connessione tra l'abilitazione all’esercizio dell'attività di edificazione ed il rapporto obbligatorio relativo ai contributi di urbanizzazione e di costruzione (cfr. Cons. Stato Sez. V 12.06.1995, n. 894).
Ciò significa che il venir meno della titolarità della concessione e quindi del diritto di edificazione in capo all'originario concessionario con il trasferimento dei relativi diritti in testa al subentrante, destinatario della volturazione e titolare quindi dello ius aedificandi, di norma e salva diversa ed esplicita pattuizione tra cedente e cessionario, comportano anche il trasferimento a carico ed a favore di quest'ultimo, dal momento della volturazione, di tutti indistintamente i diritti e gli obblighi connessi e/o derivanti dalla concessione stessa.
Insomma, se, come detto, esiste una connessione innegabile tra ius aedificandi e diritti ed obblighi relativi agli oneri concessori, tali diritti e tali obblighi, salva esplicita deroga, non possono perpetuarsi in capo al soggetto originario concessionario che ha alienato il terreno interessato dalla trasformazione dopo il rilascio della concessione, quest’ultima volturata ad un nuovo soggetto, che è proprio quello e solo quello che poi in concreto può esercitare lo ius aedificandi.
D’altra parte, se è vero che, una volta intervenuta la volturazione della concessione edilizia, legittimato passivo rispetto alle misure repressive di lavori eventualmente condotti in difformità dalla concessione è soltanto il terzo subentrante e non l'originario titolare della concessione edilizia (TAR Lombardia, Milano, sez. II 18.02.1984 n. 66), lo stesso principio non può non affermarsi anche rispetto alle obbligazioni pecuniarie connesse alla concessione edilizia volturata dopo il suo rilascio e derivanti dall’avvenuto, o meno, concreto utilizzo della concessione stessa.
Né può pervenirsi a conclusione diversa solo perché la giurisprudenza ha ritenuto che la voltura della concessione comporta una <novazione soggettiva> della stessa.
Tale affermazione non incide, infatti, sul dato incontestabile che la concessione edilizia non ha natura <personale>, ma <reale>, nel senso che suo presupposto è comunque una situazione soggettiva attiva del richiedente in relazione ad un bene determinato e che da tale natura discende la possibilità di trasferimento della stessa insieme con l'area, subordinato ad un provvedimento di voltura che rappresenta un mero accertamento del fatto del subingresso di un nuovo soggetto nel rapporto giuridico originario.
Nella suindicata prospettiva, se è vero che l'atto di volturazione non comporta la corresponsione di ulteriori contributi concessori che restano quelli fissati in occasione del rilascio del titolo originario (cfr. Cons. Stato sez. V. n. 616/1988 citata), è altrettanto vero che tali oneri, sia per la parte adempiuta che per quella non ancora adempiuta, salva diversa pattuizione recepita dall’Amministrazione, si trasferiscono automaticamente al subentrante, sia perché non rilevano sotto il profilo dell'intuitus personae, inerendo ad un atto che non ha carattere personale, sia perché connessi alla capacità di disporre del diritto di edificazione, nella specie in concreto non esercitato dal subentrante.
Tutto quanto sopra induce il Collegio a ritenere che, nel caso della voltura della concessione edilizia, non essendo la prestazione oggetto dell'obbligazione contributiva caratterizzata in senso personale, si ha in realtà una modificazione dell'oggetto del rapporto, con l'effetto della liberazione da ogni diritto ed obbligo del primitivo concessionario in concomitanza con la perdita del diritto ed edificare (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 12.03.2008 n. 1220 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: L’omessa impugnazione del provvedimento di approvazione di un P.R.G. non determina alcuna preclusione all’ammissibilità del ricorso proposto contro la delibera di adozione dello strumento urbanistico: l’annullamento di quest’ultima, comportando il venir meno di uno degli elementi necessari di un atto complesso che si perfeziona solo con l’approvazione finale, esplica effetti automaticamente caducanti e non meramente vizianti sul successivo provvedimento, nella parte in cui lo stesso si limita a confermare le previsioni già contenute nel piano adottato e fatto oggetto di impugnativa.
E'  ammissibile l’impugnazione della deliberazione comunale di adozione della variante generale al P.R.G non seguita da gravame avverso la successiva delibera regionale di approvazione con modifiche della stessa, atteso che l'eventuale annullamento della prima avrebbe avuto effetto direttamente caducante nei confronti della seconda, dato che nella specie la Regione aveva introdotto solo sistemi procedimentali diversi per l’approvazione degli strumenti urbanistici attuativi, senza modificare né l’azzonamento né le norme edificatorie ad esso connesse.

Per consolidata giurisprudenza, l’omessa impugnazione del provvedimento di approvazione di un P.R.G. non determina alcuna preclusione all’ammissibilità –e non comporta l’improcedibilità– del ricorso proposto contro la delibera di adozione dello strumento urbanistico: l’annullamento di quest’ultima, comportando il venir meno di uno degli elementi necessari di un atto complesso che si perfeziona solo con l’approvazione finale, esplica effetti automaticamente caducanti e non meramente vizianti sul successivo provvedimento, nella parte in cui lo stesso si limita a confermare le previsioni già contenute nel piano adottato e fatto oggetto di impugnativa (cfr. TAR Marche Ancona – 17/03/2006, n. 76; Consiglio di Stato, sez. IV – 13/04/2005 n. 1743; sez. IV – 15/09/1998 n. 1155; sez. IV – 29/11/1991 n. 995).
Il P.R.G. è in effetti composto da atti distinti, ossia la delibera di adozione –con i suoi effetti autonomi ed immediati– ed il provvedimento di approvazione, formalmente e sostanzialmente nuovo rispetto al piano adottato: di conseguenza i due atti possono essere censurati autonomamente e distintamente, e l’omessa impugnazione del primo non comporta preclusione o decadenza del diritto a dolersi del piano approvato, mentre la mancata impugnazione del secondo non comporta sopravvenuta carenza di interesse al ricorso già presentato contro il primo, salvo che l’atto di approvazione contempli modifiche delle previsioni dapprima ritualmente contestate (Consiglio di Stato, sez. IV – 06/05/2003 n. 2386).
Anche la Sezione è intervenuta sul punto, ritenendo ammissibile l’impugnazione della deliberazione comunale di adozione della variante generale al P.R.G non seguita da gravame avverso la successiva delibera regionale di approvazione con modifiche della stessa, atteso che l'eventuale annullamento della prima avrebbe avuto effetto direttamente caducante nei confronti della seconda, dato che nella specie la Regione aveva introdotto solo sistemi procedimentali diversi per l’approvazione degli strumenti urbanistici attuativi, senza modificare né l’azzonamento né le norme edificatorie ad esso connesse (cfr. sentenza 05/11/1997 n. 974).
Il Collegio conosce l’orientamento giurisprudenziale ad avviso del quale quando l’amministrazione interviene nuovamente in materia di pianificazione urbanistica deve verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle aree più diverse del territorio comunale rispetto ai principi informatori della nuova disciplina e alle mutate esigenze di pubblico interesse.
Per pacifico principio le scelte urbanistiche di carattere generale costituiscono apprezzamenti di merito e sono sottratte al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto, da illogicità ovvero irragionevolezza: è stato, di conseguenza, ritenuto che esse non necessitino neppure di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione del P.R.G., salva l'esistenza di legittime aspettative o di affidamenti ingenerati nei cittadini, meritevoli di specifiche considerazioni (cfr. per tutte Consiglio di Stato, sez. IV – 11/10/2007 n. 5357) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 12.03.2008 n. 279 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione urbanistica di pertinenza non coincide con quella più ampia fornita dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere perimetrata in modo compatibile con i principi della materia e riferita, quindi, alle sole opere edilizie minori, che abbiano scarso o nullo peso dal punto di vista dell’ingombro e del carico edilizio ed urbanistico.
Come chiarito dalla giurisprudenza (cfr., Consiglio di Stato, Sezione V, 23.03.2000 n. 1600 ; TAR Lazio, II-ter, 06.09.2000 n. 6900; TAR Campania, Sezione IV, 03.01.2002 n. 50; TAR Lazio, Latina, 04.07.2006 n. 428; TAR Toscana, Sezione III, 27.11.2006, n. 6052; TAR Emilia Romagna, Sezione II, 11.10.2007 n. 2286), la nozione urbanistica di pertinenza non coincide con quella più ampia fornita dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere perimetrata in modo compatibile con i principi della materia e riferita, quindi, alle sole opere edilizie minori, che abbiano scarso o nullo peso dal punto di vista dell’ingombro e del carico edilizio ed urbanistico
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 1172 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’istituto della concessione edilizia ovvero del permesso di costruire in deroga alle previsioni di piano può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati, ma non può essere utilizzato per travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite, nel senso che non possono costituire oggetto di deroga "le destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici".
Non può in alcun modo ritenersi che il rilascio dei permessi in deroga, in assenza dell’approvazione di una specifica variante al P.R.G., comporti l’automatica trasformazione del regime edificatorio delle aree interessate.

Come ha sottolineato la giurisprudenza, l’istituto della concessione edilizia ovvero del permesso di costruire in deroga alle previsioni di piano –ai sensi dell’art. 41-quater della legge 17.08.1942 n.1150, introdotto dall’art. 16 della legge 06.08.1965 n. 765, poi confluito nell’art. 14 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380– può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati, ma non può essere utilizzato per travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite, nel senso che non possono costituire oggetto di deroga "le destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici" (TAR Lombardia Milano, sez. II, 20.12.2004, n. 6486).
A maggior ragione, nel caso di specie, non può in alcun modo fondatamente ritenersi che il rilascio dei permessi in deroga, in assenza dell’approvazione di una specifica variante al P.R.G., abbia comportato l’automatica trasformazione del regime edificatorio delle aree interessate dal complesso ricettivo in questione. Al riguardo, è comunque dirimente il rilievo per cui il fondo interessato dall’intervento oggetto della presente controversia (particella n. 2385) non è neppure compreso tra quelli ove insistono le opere sanate con i due menzionati permessi in deroga
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 1172 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa destinazione a zona E agricola non è imposta necessariamente ai fini della salvaguardia di interessi agricoli, ma come mezzo di disciplina urbanistica del territorio allo scopo di evitare addensamenti edilizi ed espansioni pregiudizievoli ad un corretto insediamento urbano del territorio, anche a fini di tutela ambientale.
Per il rilascio di un permesso di costruire in zona agricola, occorre accertare la compatibilità di un intervento con le specifiche previsioni urbanistiche vigenti in quel territorio, per cui, ove il P.R.G. consenta soltanto le costruzioni necessarie per la conduzione agricola, va verificata in concreto la sussistenza di un’effettiva ed obiettiva connessione funzionale dell’opera da realizzare, tenendo conto da una parte delle caratteristiche dell’edificio e dall’altra delle esigenze agricole da soddisfare.
La realizzazione di un parco-giochi non può ontologicamente rientrare nella categoria delle costruzioni necessarie per la conduzione agricola dei terreni né può comunque considerarsi complementare all’attività agricola, ma, anzi, con la stessa in potenziale conflitto.

Non ignora il Collegio che, di regola, in sede di pianificazione urbanistica, la destinazione a zona E agricola non è imposta necessariamente ai fini della salvaguardia di interessi agricoli, ma come mezzo di disciplina urbanistica del territorio allo scopo di evitare addensamenti edilizi ed espansioni pregiudizievoli ad un corretto insediamento urbano del territorio, anche a fini di tutela ambientale (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, Sezione V, 23.01.2007, n. 192; Sezione IV, 14.10.2005, n. 5713 e 25.05.1998, n. 869).
Tuttavia, è stato anche precisato che, per il rilascio di un permesso di costruire in zona agricola, occorre accertare la compatibilità di un intervento con le specifiche previsioni urbanistiche vigenti in quel territorio, per cui, ove il P.R.G. consenta soltanto le costruzioni necessarie per la conduzione agricola, va verificata in concreto la sussistenza di un’effettiva ed obiettiva connessione funzionale dell’opera da realizzare, tenendo conto da una parte delle caratteristiche dell’edificio e dall’altra delle esigenze agricole da soddisfare (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 15.01.2003, n. 156; 20.12.2001, n. 6327).
La realizzazione di un parco-giochi non può ontologicamente rientrare nella categoria delle costruzioni necessarie per la conduzione agricola dei terreni né può comunque considerarsi complementare all’attività agricola, ma, anzi, con la stessa in potenziale conflitto. La rilevante struttura realizzata, per qualità, quantità ed estensione è tale, infatti, da alterare l’assetto agricolo della zona, anche di riflesso, per il conseguente rilevante carico di traffico veicolare, in grado di incidere significativamente sulla stessa conduzione dell’attività agricola dei fondi gravitanti nella zona oggetto di intervento
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 1172 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’impugnativa della dia è configurabile, essendo superato l’orientamento giurisprudenziale che ne escludeva la natura provvedimentale.
L’impugnativa della dia è configurabile, essendo superato l’orientamento giurisprudenziale che ne escludeva la natura provvedimentale; secondo il più recente orientamento, che il Collegio condivide, la d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell’attività privata, bensì una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un termine dalla presentazione della denuncia.
Col decorso del termine dalla presentazione della denuncia di inizio attività si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza, decorrente dalla comunicazione del perfezionamento della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del consenso implicito all’intervento oggetto di d.i.a.
A sostegno di tale configurazione vale osservare che la legge 80/2005 ha espressamente previsto in relazione alla d.i.a. il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies: se è ammesso l’annullamento d’ufficio, a maggior ragione deve essere consentita l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo; la natura provvedimentale della d.i.a., ancor prima delle modifiche legislative del 2005, poteva desumersi, altresì, dalle norme contenute nel testo unico sull’edilizia), le quali estendono agli interventi assoggettati a d.i.a. le conseguenze legate all’annullamento del permesso di costruire; anche la previsione dell’ultimo comma dell’art. 19 legge 241/1990 circa la giurisdizione esclusiva del G.A. nelle controversie in materia di d.i.a. è sintomatica della volontà legislativa di sottoporre tale atto alla piena sindacabilità giurisdizionale; la tutela del terzo controinteressato rispetto ad una d.i.a. non può essere costretta negli angusti limiti dell’eventuale esercizio del potere di autotutela da parte della P.A. Secondo l’opposta tesi che nega natura provvedimentale alla d.i.a., infatti, al terzo danneggiato non resterebbe altra via di tutela che sollecitare l’amministrazione a esercitare i poteri inibitori o l’autotutela.
Queste osservazioni, valide in via generale per ogni denuncia di inizio attività, ancor di più sono riferibili alla d.i.a. edilizia, dal momento che il T.U. edilizia D.p.R. 38072001 (in particolare l’art. 22) tratta il permesso di costruire e la denuncia di inizio attività come titoli abilitativi di natura analoga, diversi solo per il procedimento da seguire: sarebbe irragionevole e lesivo dell’effettività della tutela giurisdizionale ritenere che il terzo controinteressato incontri limiti diversi a seconda del tipo di titolo abilitativo, peraltro rimesso alla scelta della parte o ad una diversa normativa regionale (cfr. CdS sez. VI 05.04.2007 n. 1550) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 1167 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI provvedimenti sanzionatori in materia edilizia non necessitano di alcuna motivazione in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico, anche nel caso in cui l’abuso sia stato commesso in epoca risalente nel tempo, e ciò non solo perché non sussiste alcun legittimo affidamento in capo al contravventore che giustifichi la conservazione di una situazione di fatto contra ius, ma anche perché la repressione degli abusi edilizi costituisce un preciso obbligo dell’Amministrazione, la quale non gode di alcuna discrezionalità al riguardo.
I provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, invero, non necessitano di alcuna motivazione in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico, anche nel caso in cui l’abuso sia stato commesso in epoca risalente nel tempo, e ciò non solo perché non sussiste alcun legittimo affidamento in capo al contravventore che giustifichi la conservazione di una situazione di fatto contra ius, ma anche perché la repressione degli abusi edilizi costituisce un preciso obbligo dell’Amministrazione, la quale non gode di alcuna discrezionalità al riguardo (cfr., da ultimo, CdS, IV, 01.10.2007 n. 5049).
In tema di sanzioni edilizie trova applicazione, in considerazione della natura permanente dell’illecito edilizio, la legge in vigore al momento della repressione dell’abuso (cfr., ex pluribus, TAR Veneto, 02.02.2006 n. 276) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 569 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, salva l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione d’affidamento nel privato, ipotesi questa in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.
Per la giurisprudenza: “L’ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, salva l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione d’affidamento nel privato, ipotesi questa in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato” (Consiglio Stato, sez. IV, 14.05.2007, n. 2441).
Del resto, s’è sostenuto, con specifico riguardo all’esercizio del potere d’annullamento, in autotutela, di un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato, che: “Nel caso di annullamento d’ufficio di una concessione edilizia consequenziale ad una falsa o comunque erronea rappre-sentazione dello stato di fatto, preesistente al rilascio della concessione me-desima, l’interesse pubblico all’esercizio della potestà di autotutela sussiste “in re ipsa” e non necessita pertanto di alcuna motivazione ulteriore” (TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 10.06.2002, n. 854).
Come può notarsi, l’onere motivazionale è certamente semplificato dove, come nella specie, ci si trovi in presenza di un’illegittimità del titolo ad aedificandum, perché rilasciato in base ad un presupposto di fatto errato (il rispetto della distanza di metri dieci dal vallone Cupazzo); né, del resto, si ravvisano, nella specie, gli ulteriori presupposti, perché occorra una penetrante motivazione circa la sussistenza di un pubblico interesse, diverso da quello al mero ripristino della legalità violata, presupposti costituiti, nel caso degli illeciti edilizi, dal lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e dal protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione, ché, anzi, nella specie la situazione dell’erigendo fabbricato è stata oggetto di costante attenzione da parte del Comune, che ha esercitato i propri poteri repressivi in tempi da ritenersi adeguati, se si tiene conto dell’opportunità d’attendere l’orientamento del competente Genio Civile circa la richiesta di concessione idraulica “in sanatoria”, presentata dall’interessato
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 267 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl divieto di costruzione di manufatti ad una certa distanza dagli argini dei corsi d’acqua, contenuto nell’art. 96, lett. f), del R.D. 25.07.1904 n. 523, ha carattere inderogabile e si riferisce sia all’ipotesi in cui esistano veri e propri manufatti sia a quella in cui i corsi d’acqua siano provvisti di argini naturali.
Il divieto di costruzione di manufatti ad una certa distanza dagli argini dei corsi d’acqua, contenuto nell’art. 96, lett. f), del R.D. 25.07.1904 n. 523 (testo unico sulle opere idrauliche), ha carattere inderogabile e si riferisce sia all’ipotesi in cui esistano veri e propri manufatti sia a quella in cui i corsi d’acqua siano provvisti di argini naturali (Consiglio di Stato, Sez. I, sent. n. 200 del 10.06.1988) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 267 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAllorché l’atto di annullamento d’ufficio di una concessione edilizia sia sorretto unicamente da valutazioni logico-giuridiche e non anche e solo da valutazioni d’ordine tecnico edilizio, non è viziante la mancata esibizione del parere della Commissione edilizia, in quanto il parere predetto è necessario unicamente nel caso si sia in presenza di difformità da valutare sotto il profilo tecnico-edilizio, ben potendo essere omesso allorquando le valutazioni che hanno condotto all’annullamento d’ufficio rivestono carattere di valutazioni giuridico–normative.
Riguardo, poi, al profilo di censura, secondo cui illegittimamente non sarebbe stato seguito, per l’annullamento del p. di c., lo stesso procedimento, adottato per il rilascio del medesimo, rileva il Tribunale come essa non possa condurre, nella specie, all’accoglimento del ricorso; tanto, in aderenza all’orientamento giurisprudenziale consolidato, espresso ex multis nella seguente massima: “Allorché l’atto di annullamento d’ufficio di una concessione edilizia sia sorretto unicamente da valutazioni logico-giuridiche (nella fattispecie collegate all’assenza o alla falsità di un presupposto di legge) e non anche e solo da valutazioni d’ordine tecnico edilizio, non è viziante la mancata esibizione del parere della Commissione edilizia, in quanto il parere predetto è necessario unicamente nel caso si sia in presenza di difformità da valutare sotto il profilo tecnico-edilizio, ben potendo essere omesso allorquando le valutazioni che hanno condotto all’annullamento d’ufficio rivestono carattere di valutazioni giuridico–normative” (TAR Sicilia Catania, sez. I, 18.04.2005, n. 672): nel caso in esame, l’assenza di un presupposto indefettibile (distanza di legge dagli argini del vallone Cupazzo) ha reso l’adozione del provvedimento vincolata, con conseguente superfluità del parere dell’organo consultivo (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 267 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’attività istruttoria dell’ente locale in materia di rilascio di permesso di costruire, se pure radicata in primis alla valutazione degli aspetti urbanistico-edilizi del progetto da assentire, non può ritenersi esente dalla valutazione degli aspetti civilistici della domanda di concessione (anche in sanatoria), qualora nel fascio degli interessi coinvolti nel procedimento, questi ultimi vengano tempestivamente e adeguatamente introdotti dai soggetti aventi diritto.
Se normalmente l’Amministrazione non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza della richiesta edificatoria prodotta da un comproprietario, al contrario, qualora uno o più comproprietari si attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edificatorio, il Comune deve verificare se, dietro l’istanza di concessione sia riconoscibile l’effettiva sussistenza della disponibilità del bene oggetto del previsto intervento edificatorio.

Come già ha avuto modo di precisare questo Tribunale con una recente pronuncia dalla quale non ha ragione per discostarsi (TAR Salerno n. 2080 del 05.10.2007), l’attività istruttoria dell’ente locale in materia di rilascio di permesso di costruire, se pure radicata in primis alla valutazione degli aspetti urbanistico-edilizi del progetto da assentire, non può ritenersi esente dalla valutazione degli aspetti civilistici della domanda di concessione (anche in sanatoria), qualora nel fascio degli interessi coinvolti nel procedimento, questi ultimi vengano tempestivamente e adeguatamente introdotti dai soggetti aventi diritto.
Alle citate conclusioni il Tribunale è addivenuto richiamando sul punto, a conforto di quanto rappresentato, l’evoluzione giurisprudenziale in materia, ricostruendo con l’ausilio di Cons. St. Sez. V 21.10.2003 n. 6529, il percorso giurisprudenziale individuato:
…in passato… la giurisprudenza era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell’attività amministrativa in materia edilizia è quello dell’accertamento della conformità dell’opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi e senza che la mancata considerazione di tali diritti possa in qualche modo incidere sulla legittimità dell’atto, più recentemente (cfr Cons. St. Sez. V 15.03.2001 n. 1507) ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili.
In proposito, ha, pertanto, chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l’Amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di un’attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati (nel caso in esame con-cernenti la legittimità –o non– della esecuzione, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ. delle opere edilizie che interessano porzioni comuni) ma che risulta finalizzata, più semplicemen-te, ad accertare il requisito della legittimazione del richieden-te.
Ha, pertanto, concluso che, conformemente a quanto previsto dal cit. art. 4 della legge n. 10 del 1977, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato, la scelta dell’Amministrazione di assentire,comunque, le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento (cfr. in termini anche Cons. Stato V Sez. 20.09.2001 n. 4972; TAR Toscana 23.11.2001 n. 1651; TAR Emilia Romagna, Parma, 21.03.2002 n. 183).

Allo stato attuale dell’evoluzione giurisprudenziale, dunque, può dirsi che se normalmente l’Amministrazione non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza della richiesta edificatoria prodotta da un comproprietario, al contrario, qualora uno o più comproprietari si attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edificatorio, il Comune deve verificare se, dietro l’istanza di concessione sia riconoscibile l’effettiva sussistenza della disponibilità del bene oggetto del previsto intervento edificatorio (Cons. St. Sez. V 20.09.2001 n. 4972).
Non sfugge al Collegio che altra parte della giurisprudenza non è di detto avviso (vedi Cons. St. n. 6297/2004), ancorché anche queste pronunce non escludono, in linea di principio, la necessità della previa valutazione della legittimazione del soggetto che richiede il titolo edilizio in applicazione dell’art. 4 l. n. 10/1977.
Il Collegio, tuttavia, reputa ormai consolidata e maggio-ritaria la giurisprudenza favorevole alla valutazione degli a-spetti civilistici della questione, così come provato anche dalla recente pronuncia di Cons. St. Sez. V 11.04.2007 n. 1654, laddove si afferma che:
Altrettanto correttamente, poi, il TAR ha ritenuto che, dovendo i lavori edilizi de quibus eseguirsi (anche) su parti comuni del fabbricato e trattandosi di opere non connesse all’uso normale della cosa comune, essi abbisognassero del previo assenso dei comproprietari anche in relazione agli aspetti pubblicistici dell’attività edificatoria, con particolare riguardo alle norme (art. 4 della legge n. 10 del 1977 e art. 11, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2000), che prevedono la verifica dell'esistenza, in capo al richiedente, di titolo un attributivo dello jus aedificandi sull'immobile oggetto di trasformazione edilizia.
E’ pacifico, invero, che le parti private qui presenti in giudizio hanno in comune la proprietà di tutte le parti dell’edificio, interessato al contestato intervento edilizio, necessarie all’uso comune e, in particolare, del tetto e dei muri maestri, entrambi oggetto dell’intervento stesso …
Così stando le cose, il Comune avrebbe dovuto chiedere il consenso di tutti i proprietari ai fini del rilascio della concessione per la realizzazione delle opere interessanti la cosa comune e la lamentata mancata richiesta configura grave di-fetto istruttorio e motivazionale, perché, secondo la giurisprudenza di questo Consesso, “non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento ..." (così Consiglio di Stato, Sez. V, 21.10.2003, n. 6529, ma cfr. anche Sez. V, 15.03.2001, n. 1507 e Sez. V, 20.09.2001, n. 4972).
”.
Pertanto, nell'ambito dell'accertamento della legittimazione di colui che richiede la concessione … l'Amministrazione aveva, nel caso specifico, il potere-dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un titolo idoneo di godimento dell’intero bene interessato dal progetto e di subordinare il rilascio della concessione al consenso di tutti i proprietari per la parte di intervento che interessa le parti comuni, avendo questi, nei confronti dell'atto concessorio, non la posizione di terzo, ma quella di contitolare di un diritto, che, per la parte idealmente spettante, non può, invito domino, essere modificata o compressa dall'Amministrazione (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 263 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIL’illeggibilità della firma apposta in calce ad un atto amministrativo non ne comporta l’invalidità per impossibilità di individuarne l’autore quando dal suo contenuto risultano elementi sufficienti ad indicare inequivocabilmente l’autorità emanante.
Per giurisprudenza consolidata (Cons. St., sez. V, 16.11.2005 n. 6400) l’illeggibilità della firma apposta in calce ad un atto amministrativo non ne comporta l’invalidità per impossibilità di individuarne l’autore quando dal suo contenuto risultano elementi sufficienti ad indicare inequivocabilmente l’autorità emanante; mentre l’atto non può che essere invalido solo allorché non rechi alcuna sottoscrizione, in quanto solo in tale ipotesi vi è l’assoluta impossibilità di individuare, con assoluta precisione, l’autorità emanante (Cons. St., sez. V, 19.04.2005 n. 1792) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 07.03.2008 n. 146 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' materia non soggetta al potere di pianificazione urbanistica i mutamenti di destinazione d'uso meramente funzionali, in quanto manifestazioni del diritto di proprietà e di impresa; conseguentemente, le attività in questione sono state ritenute non assoggettate né a concessione né ad autorizzazione edilizia.
La giurisprudenza amministrativa si è decisamente orientata nel senso di ritenere materia non soggetta al potere di pianificazione urbanistica i mutamenti di destinazione d'uso meramente funzionali, in quanto manifestazioni del diritto di proprietà e di impresa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28.07.1982, n. 525; id. 13.06.1987, n. 365); conseguentemente, le attività in questione sono state ritenute non assoggettate né a concessione né ad autorizzazione edilizia (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23.11.1985, n. 551; id., 16.05.1986, n. 341; id., 01.10.1993, n. 818).
Tale principio è stato sostanzialmente confermato dalla legge 28.02.1985, n. 47, che, in sede di emanazione di una nuova disciplina dell'attività edilizia, ha considerato rilevanti i mutamenti di destinazione d'uso ove realizzati mediante l'esecuzione di opere (cfr., in particolare, art. 8, primo comma, lett. a), in tema di variazioni essenziali al progetto approvato e art. 26, primo comma, in materia di opere interne). Peraltro, l'art. 25, ultimo comma, di detta L. n. 47 del 1985 ha introdotto una importante novità, prevedendo per le Regioni la possibilità di fissare con legge criteri e modalità per l'eventuale regolamentazione da parte dei Comuni, in ambiti determinati del territorio, delle destinazioni d'uso degli immobili e per la eventuale sottoposizione delle loro variazioni ad autorizzazione del sindaco.
Tale norma stabiliva, quindi, una riserva di legge regionale finalizzata ad una eventuale disciplina comunale dei mutamenti di destinazione d'uso e alla loro sottoposizione a controllo, ancorché realizzati senza l'esecuzione di opere edilizie.
La Corte costituzionale ha, al riguardo, precisato che "la modifica funzionale della destinazione, non connessa all'esecuzione di interventi edilizi, può essere assoggettata soltanto al regime dell'autorizzazione, e solo dopo che i criteri, dettati dall'apposita legge regionale prevista dall'art. 25 citato, siano filtrati ed attuati in sede di pianificazione urbanistica comunale" (sent. 11.02.1991, n. 73).
In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa, la quale ha più volte affermato che la rilevanza di variazioni di destinazioni d'uso meramente funzionali è subordinata alla previa fissazione con legge regionale di criteri e modalità per l'eventuale esercizio del potere di regolamentazione comunale in ambiti territoriali determinati (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 18.01.1988, n. 8; id., 20.02.1990, n. 163), restando altrimenti attività libera (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30.06.1998, n. 998; Sez. V, 10.03.1999, n. 231; id., 23.02.2000, n. 949).
Sulla materia è nuovamente intervenuto il legislatore con l'art. 2, comma 60, della legge 23.12.1996, n. 662, applicabile "ratione temporis" al caso in esame, che ha sostituito l'ultimo comma del predetto art. 25 con la seguente disposizione: "Le leggi regionali stabiliscono quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti subordinare a concessione, e quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti siano subordinati ad autorizzazione".
Dalla nuova formulazione della norma emerge, da un lato, l'equiparabilità, in sede di normazione regionale, dei mutamenti di destinazione d'uso strutturali a quelli meramente funzionali, che possono essere assoggettati a concessione edilizia ovvero ad autorizzazione; dall'altro, che la disciplina della materia è riservata alla esclusiva competenza delle Regioni, essendo stato eliminato ogni riferimento alla regolamentazione urbanistica comunale, con la conseguenza che, in mancanza di una diversa disciplina regionale, il mutamento di destinazione d'uso senza opere costituisce tuttora attività edilizia libera (cfr. Cons. Stato, sez. II; par. 05.11.2003, n. 2199/2002).
Tanto premesso va osservato in conclusione che il mutamento di destinazione d'uso, che consiste nel mutare l'uso per il quale l'immobile è urbanisticamente destinato, se realizzato con opere è, quindi, soggetto a previa licenza o concessione ovvero a semplice autorizzazione, mentre, se realizzato senza opere, può essere liberamente posto in essere, se non diversamente disposto dalla Regione (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 03.03.2008 n. 1973 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per l’emanazione del provvedimento di annullamento o revoca di una concessione edilizia devono essere seguite le stesse forme e la medesima procedura adottate per l’atto da annullare; pertanto, poiché è obbligatorio il parere della Commissione edilizia comunale in sede di rilascio della concessione di costruzione (…) è altrettanto necessaria la preventiva acquisizione del parere della detta Commissione anche in sede di annullamento o revoca, salvo il caso in cui l’Amministrazione non debba compiere alcuna valutazione di ordine tecnico.
L’interesse pubblico alla rimozione di un provvedimento amministrativo dev’essere ravvisato non già nel mero ripristino della legalità, ma nella specifica esigenza di eliminare un pregiudizio attuale ad un pubblico bene, tenuto conto anche degli interessi privati. Sicché è illegittimo l’annullamento di una concessione edilizia fondato sull’asserito contrasto con le prescrizioni del P.R.G. in difetto di un’approfondita ed effettiva valutazione dell’interesse pubblico specifico; interesse da compararsi, attraverso un’adeguata ponderazione di tutti gli interessi implicati, con quello del privato che sull’intervenuta concessione ha programmato e dimensionato i propri sforzi economici.
Il provvedimento di annullamento di una concessione edilizia deve contenere una puntuale congrua motivazione in ordine alle ragioni di specifico interesse pubblico (da valutarsi comparativamente con l’interesse del privato inciso) giustificanti l’intervento in via di autotutela durante la realizzazione delle opere già assentite.

La giurisprudenza afferma costantemente, al riguardo, che “in base al principio del contrarius actus, per l’emanazione del provvedimento di annullamento o revoca di una concessione edilizia devono essere seguite le stesse forme e la medesima procedura adottate per l’atto da annullare; pertanto, poiché è obbligatorio il parere della Commissione edilizia comunale in sede di rilascio della concessione di costruzione (…) è altrettanto necessaria la preventiva acquisizione del parere della detta Commissione anche in sede di annullamento o revoca, salvo il caso in cui l’Amministrazione non debba compiere alcuna valutazione di ordine tecnico” (TAR Lazio, II-bis, 10.05.2004 n. 41100; TAR Reggio Calabria, I, 28.05.2007 n. 484).
Secondo un pacifico principio giurisprudenziale, prima di procedere all’annullamento d’ufficio di un provvedimento “accrescitivo” della sfera giuridica soggettiva, l’Amministrazione deve valutare se esistano specifiche ed autonome ragioni di interesse pubblico che giustifichino il sacrificio che si intende imporre al privato.
E ciò a maggior ragione, evidentemente, se la nuova valutazione trovi causa e giustificazione in errori e carenze istruttorie ascrivibili alla stressa Amministrazione, e sopraggiunga allorquando il privato abbia già impiegato (o attivato l’impiego di) mezzi e risorse economiche, strumentali all’esercizio dei diritti o dei poteri scaturenti dal provvedimento concessorio ormai perfezionatosi, avendovi fatto affidamento; casi, questi, nei quali -invero- il sacrificio del privato appare, ictu oculi, ingiusto ed ingiustificabile.
Ove, poi, l’annullamento d’ufficio determini danni patrimoniali in relazione ai quali si possano profilare anche eventuali responsabilità a carico della stessa Amministrazione, la comparazione fra l’interesse pubblico al ripristino della situazione pregressa e l’interesse del privato al mantenimento della posizione di vantaggio ormai acquisita, dev’essere ancor più approfondita, per evitare che l’autotutela si risolva in un gravoso ed ingiustificato pregiudizio economico per la Pubblica Amministrazione al quale non si accompagni alcun reale beneficio per la collettività, né un’effettiva soddisfazione per il soggetto “inciso”.
Al riguardo la giurisprudenza afferma:
- che l’interesse pubblico alla rimozione di un provvedimento amministrativo dev’essere ravvisato non già nel mero ripristino della legalità, ma “nella specifica esigenza di eliminare un pregiudizio attuale ad un pubblico bene, tenuto conto anche degli interessi privati. Sicché è illegittimo l’annullamento di una concessione edilizia fondato sull’asserito contrasto con le prescrizioni del P.R.G. in difetto di un’approfondita ed effettiva valutazione dell’interesse pubblico specifico; interesse da compararsi, attraverso un’adeguata ponderazione di tutti gli interessi implicati, con quello del privato che sull’intervenuta concessione ha programmato e dimensionato i propri sforzi economici” (C.S., V, 08.10.1992 n. 977; Id., 20.01.1992 n. 78; Id., 18.04.1996 n. 466);
- che “il provvedimento di annullamento di una concessione edilizia deve contenere una puntuale congrua motivazione in ordine alle ragioni di specifico interesse pubblico (da valutarsi comparativamente con l’interesse del privato inciso) giustificanti l’intervento in via di autotutela durante la realizzazione delle opere già assentite” (C.S., V, 01.02.1990 n. 50; Id., 13.02.1993 n. 25; C.G.A., 27.10.1997 n. 485; TAR Puglia, Bari, III, 14.02.2007 n. 443)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 03.03.2008 n. 1956 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAQuando la demolizione sia già avvenuta per rovina (anche se dipesa dal proprietario) o per eventi naturali con la conseguente inefficacia del relativo titolo rilasciato, la ricostruzione su ruderi può avvenire solo dopo una nuova concessione e nel rispetto della disciplina urbanistica vigente.
È incontestabile che nella definizione di “interventi di ristrutturazione edilizia” rientri la fattispecie della “demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente”, visto che questa è parte della nozione che ne dà il D.P.R. 06.06.2001 n. 380 all’art. 3, lett. d).
Tuttavia, l’intervenuta e non contestuale demolizione del fabbricato rende di fatto carente di oggetto la successiva richiesta di demolizione e ricostruzione. Come afferma la giurisprudenza “se ha luogo la demolizione del fabbricato -oggetto di una istanza di demolizione e di ricostruzione- l'istanza stessa è inaccoglibile, per la sopravvenuta carenza del suo elemento oggettivo.
Infatti, l'Amministrazione deve valutare le circostanze esistenti alla data di conclusione del procedimento e non può che constatare come -per l'avvenuta demolizione dell'edificio- sia diversa l'attività oggetto dell'istanza, rispetto a quella che sarebbe assentita nel caso di suo accoglimento (Sez. V, 4719 - 04.11.2003; Sez. VI, 05.10.2001, n. 5253; 05.10.2001 n. 5253; Sez. IV, 05.07.2000, n. 3735; Sez. V, 23.03.2000, n. 1610; Sez. V, 23.03.2000, n. 1610; Sez. V, 03.07.1996, n. 819; Sez. V, 26.03.1996, n. 302).
Analogamente, quando sia chiesta una concessione di ristrutturazione (con la prevista demolizione del fabbricato e la sua ricostruzione), l'avvenuta demolizione del fabbricato comporta l'inaccoglibilità della domanda, per il mutamento della situazione di fatto e dalla inesistenza dell'edificio: il proprietario, ove intenda far definire positivamente la sua istanza, deve lasciare la res adhuc integra e -se nel frattempo demolisce l'edificio- ha l'onere di presentare una nuova istanza per la costruzione, con l'attivazione di un diverso procedimento
” (così testualmente Consiglio di Stato IV, 19.02.2007, n. 867).
Secondo la più comune nozione, “la ratio del principio della ragionevole prossimità del tempo della ricostruzione a quello della demolizione (peraltro privo di alcun riscontro positivo) va, infatti, individuata nell'esigenza di assicurare un rapporto di necessaria strumentalità dell'abbattimento alla successiva ricostruzione e di evitare, quindi, che tale vincolo venga interrotto dal decorso di un lasso di tempo eccessivo, rispetto alle esigenze ricostruttive, tra le due fasi dell'intervento” (così Consiglio di Stato IV, 07.09.2004, n. 5791, in una fattispecie in cui la demolizione era intervenuta sulla scorta di provvedimenti giurisdizionale, ma che non aveva attinto l’interezza del manufatto; vedi anche Consiglio di Stato V, 08.08.2003 n. 4593).
Queste ragioni spingono la giurisprudenza a ritenere che, quando la demolizione sia già avvenuta per rovina (anche se dipesa dal proprietario) o per eventi naturali con la conseguente inefficacia del relativo titolo rilasciato, la ricostruzione su ruderi può avvenire solo dopo una nuova concessione e nel rispetto della disciplina urbanistica vigente (Consiglio di Stato V, 23.03.2000 n. 1610; vedi anche Consiglio di Stato V, 28.05.2004 n. 3452)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 06.12.2007 n. 15801 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo di edificazione di cui all'art. 3 l. 28.01.1977 n. 10, è strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di edificare, per cui non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo della concessione.
Il ricalcolo dei contributi di concessione è precluso unicamente nei casi di proroga del termini per l’inizio e la ultimazione dei lavori di costruzione, mentre il rinnovo e l’emissione di nuova concessione edilizia comporta un nuovo calcolo dei contributi di concessione nella percentuale dovuta al momento del rilascio della concessione e riferita al costo di costruzione vigente in quella data.
E' alla data del rilascio della concessione edilizia che occorre far riferimento per la determinazione del contributo

Le controversie sulla debenza o meno del contributo per il rilascio di una concessione edilizia e sul suo ammontare, devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall'art. 16 della l. 28.01.1977 n. 10 (cfr. anche art. 4 legge 205/2000), riguardando diritti soggettivi, non sottostanno ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori e possono essere attivate nei normali termini di prescrizione. Per cui, il Comune, può attivarsi per richiedere, a seguito di nuovi calcoli, eventuali contributi integrativi a copertura degli importi dovuti per contributi al costo di costruzione o per oneri di urbanizzazione previsti da prescrizioni normative, da regolamenti comunali o da clausole contrattuali.
Inoltre, è già stato sottolineato da questo Collegio che il rilascio di una concessione edilizia è subordinato all’esistenza delle opere di urbanizzazione o all’impegno dell’attuazione delle stesse. Il rilascio della concessione edilizia presuppone, pertanto, l’esistenza di tali opere rispettivamente obbliga il richiedente la concessione edilizia a corrispondere al Comune tutti i contributi previsti appunto da prescrizioni normative, regolamentari o contrattuali.
Qualsiasi indicazione inerente l’avvenuto adempimento di tali pagamenti contenuta nella concessione edilizia rispettivamente nella licenza d’uso (che di regola non sono che clausole di rito) non libera il debitore (cioè non sono da considerarsi quietanze liberatorie di un obbligo, che soggiace comunque unicamente ai termini prescrizionali e non di decadenza). Resta, pertanto, la facoltà del Comune di richiedere entro i termini di prescrizione, cioè, entro il periodo di dieci anni dal rilascio della concessione edilizia, ulteriori contributi di concessione ancora dovuti dal concessionario.
Il contributo di edificazione di cui all'art. 3 l. 28.01.1977 n. 10, è strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di edificare, per cui non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo della concessione (Consiglio Stato, sez. V, 12.06.1995, n. 894).
Il ricalcolo dei contributi di concessione è precluso unicamente nei casi di proroga del termini per l’inizio e la ultimazione dei lavori di costruzione, mentre il rinnovo e l’emissione di nuova concessione edilizia comporta un nuovo calcolo dei contributi di concessione nella percentuale dovuta al momento del rilascio della concessione e riferita al costo di costruzione vigente in quella data (Il rinnovo della concessione edilizia è atto radicalmente diverso dalla proroga del termine di scadenza della concessione stessa; infatti, mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia (TAR Lazio-Roma, sez. II, 06.11.2006, n. 11809).
Costituisce giurisprudenza pacifica che il fatto costitutivo dell'obbligo giuridico del titolare di una concessione edilizia di corrispondere i relativi contributi è rappresentato dal rilascio della concessione, con la conseguenza che è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione del contributo (cfr. C.d.S., Sez. V, 25.10.1993, n. 1071 e 06.12.1999, n. 2056, C.d.S. Sez. VI, 18.03.2004 n. 1435).
Il contributo di urbanizzazione, da pagare all'atto del rilascio della concessione di costruzione, ha natura contributiva, rappresentando un corrispettivo delle spese per la collettività si addossa per il conferimento al privato della facoltà di edificazione e dei vantaggi che il concessionario ottiene per effetto della trasformazione, mentre la quota del contributo commisurata al costo di costruzione ha natura tipicamente tributaria e si configura come una vera e propria imposta (TAR Campania Salerno, 25.02.1993, n. 102).
Il contributo introdotto in materia edilizia dalla legge n. 10 del 1977 ha natura di entrata di diritto pubblico e quindi di tributo e si classifica nella categoria dei tributi speciali “contributi” (Consiglio Stato, sez. V, 17.12.1984, n. 920)
(T.R.G.A. Trentino Alto Adige-Bolzano, sentenza 04.12.2007 n. 351 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIPur dovendosi la progettazione articolare in tre distinti livelli, ciascuno con una sua precipua finalità, la norma non esclude in via di principio che le fasi progettuali o alcune di esse siano elaborate in un unico contesto quando i lavori abbiano carattere di urgenza e indifferibilità e a condizione che la concentrazione delle fasi non si risolva in lacune o imprecisioni.
E’ stato chiarito in giurisprudenza che, pur dovendosi la progettazione articolare in tre distinti livelli, ciascuno con una sua precipua finalità, la norma non esclude in via di principio che le fasi progettuali o alcune di esse siano elaborate in un unico contesto quando i lavori abbiano carattere di urgenza e indifferibilità e a condizione che la concentrazione delle fasi non si risolva in lacune o imprecisioni (C.S., sez. IV, 27.03.2002, n. 1742).
E’ stato anche affermato che l’accorpamento delle fasi può risolversi in una mera irregolarità che non ridonda in un profilo di illegittimità dell’atto, salvo che nel ricorso non siano dedotte le finalità, oggetto di tutela, che siano state effettivamente messe a repentaglio a seguito dell’unificazione di qualcuna delle fasi (TAR Lombardia, MI, sez. II, 28.01.2005, n. 164) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 24.11.2007 n. 901 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa normativa dettata dall’art. 9 DM 1444/1968, essendo diretta ad evitare intercapedini nocive tra i fabbricati e a garantire condizioni di igiene, luminosità ed aria, è norma tassativa e inderogabile, con l’unica eccezione, prevista dall’ultimo comma, di edifici ricompresi in un piano particolareggiato o di lottizzazione convenzionata con previsioni planivolumetriche.
La giurisprudenza ha chiarito che l’eventuale adozione da parte degli enti locali di strumenti urbanistici contrastanti con l’art. 9 del DM 1444/1968, che è norma primaria, ricevendo forza dall’art. 17 della L. n. 765/1967 (introduttiva dell’art. 41-quinquies della L.U. 1150/1942), comporta l’obbligo da parte del giudice di merito non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la disposizione del ricordato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata (Cass. Civ., sez. II, 19.11.2004, n. 21899; 24.01.2006, n. 1282; C.S., sez. IV, 05.12.2005, n. 6909).
La normativa dettata dall’art. 9, essendo diretta ad evitare intercapedini nocive tra i fabbricati e a garantire condizioni di igiene, luminosità ed aria, è norma tassativa e inderogabile, con l’unica eccezione, prevista dall’ultimo comma, di edifici ricompresi in un piano particolareggiato o di lottizzazione convenzionata con previsioni planivolumetriche (TAR Liguria, GE, sez. I, 12.02.2004, n. 145; 14.01.2005, n. 38) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 24.11.2007 n. 900 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' necessaria la concessione edilizia allorché lo spargimento di ghiaia su un’area che ne era priva appaia preordinato alla modifica della precedente destinazione d’uso del territorio.
È ben vero che, in passato, il Consiglio di Stato aveva ritenuto che non integra l’ipotesi di trasformazione urbanisticamente rilevante del territorio, soggetta a concessione ex art. 1 della legge n. 10/1977, l’intervento materialmente consistente nella mera ripulitura di un terreno parzialmente erboso, con ripristino di una recinzione preesistente e spargimento di ghiaia (CdS, IV, 08.03.1983 n. 103): ma è altresì vero che, sul presupposto interpretativo che l’art. 1 della legge n. 10/1977 impone di munirsi di concessione edilizia per tutte quelle attività consistenti in una modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica (CdS, V, 31.01.2001 n. 343; 20.12.1999 n. 2125; etc.: indirizzo, questo, condiviso anche dalla giurisprudenza penale: cfr. Cass. pen., III, 24.10.1997 n. 10709; IV, 24.07.1997 n. 8520), tale orientamento è stato successivamente rivisto affermandosi la necessità del titolo concessorio allorché lo spargimento di ghiaia su un’area che ne era priva appaia preordinato alla modifica della precedente destinazione d’uso del territorio (cfr., da ultimo, CdS, V, 22.12.2005 n. 7324).
Tesi, questa, che, condivisa dal collegio, trova oggi un riscontro testuale nel DPR n. 380/2001 –alla stregua di cui deve trovare soluzione il caso in esame-, ove l’art. 3, in materia di definizione degli interventi edilizi, assoggetta a permesso di costruire, ascrivendole al genus delle nuove costruzioni, “la realizzazione di infrastrutture e di nuovi impianti…che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato” (lett. e.3) e “la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato” (lett. e.7) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15.11.2007 n. 3644 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'art. 9 della legge 24.03.1989 n. 122, nel consentire, nel sottosuolo degli immobili o nei locali siti al piano terreno ed anche in deroga alla vigente disciplina urbanistica, parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, si applica solo all'ipotesi di fabbricati già esistenti e non può riguardare le concessioni edilizie rilasciate per realizzare edifici nuovi.
L'art. 9 della legge 24.03.1989 n. 122 (c.d. "legge Tognoli"), nel consentire, nel sottosuolo degli immobili o nei locali siti al piano terreno ed anche in deroga alla vigente disciplina urbanistica, parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, si applica solo all'ipotesi di fabbricati già esistenti e non può riguardare le concessioni edilizie rilasciate per realizzare edifici nuovi, per i quali provvede, invece, il precedente art. 2, comma 2, che –nel sostituire l’art. 41-sexies della L.U. n. 1150/1942- stabilisce l'obbligo di riservare appositi spazi per parcheggi di misura non inferiore a 1 mq. per ogni 10 mc. di costruzione (CDS, Sez. V, 03.06.1996, n. 621) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 22.10.2007 n. 3336 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non sono assoggettabili al contributo commisurato al costo di costruzione i parcheggi obbligatori ai sensi dell'art. 18 della legge 06.08.1967 n. 765.
In sede di rilascio della concessione edilizia, non sono assoggettabili al contributo commisurato al costo di costruzione i parcheggi obbligatori ai sensi dell'art. 18 della legge 06.08.1967 n. 765 (Sez. V, sent. n. 987 del 14-10-1992, Comune di Milano c. Soc. Naver Immobiliare) che ha aggiunto l’art .41-sexies poi sostituito dall’art. 2 citato: ”Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 22.10.2007 n. 3336 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per la configurabilità dell'intervento di restauro e risanamento conservativo non possono essere mutati la qualificazione tipologica del manufatto preesistente, ovvero i caratteri architettonici e funzionali che ne consentono la qualificazione in base a tipologie edilizie, gli elementi formali che configurano l’immagine caratteristica dello stesso e gli elementi strutturali, che materialmente compongono la struttura dell’organismo edilizio.
La suddetta tipologia di intervento non ammette incrementi volumetrici ovvero modifiche di forma (sagoma), volume e altezza.

Sulla base della definizione normativa (contenuta nell’art. 31 l. n. 457/1978 ed oggi nell’art. 3 del DPR n. 380/2001) il restauro e risanamento conservativo consiste in “interventi edilizi volti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurare la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio”.
L’interpretazione giurisprudenziale della norma ha in primo luogo chiarito che per la configurabilità di detto intervento non possono essere mutati la qualificazione tipologica del manufatto preesistente, ovvero i caratteri architettonici e funzionali che ne consentono la qualificazione in base a tipologie edilizie, gli elementi formali che configurano l’immagine caratteristica dello stesso e gli elementi strutturali, che materialmente compongono la struttura dell’organismo edilizio (cfr. Cass. pen., III, 21-04-2006, n. 16048).
Non deve, dunque, esserci alterazione degli elementi tipologici, formali e strutturali degli immobili (cfr. Cons. Stato, V, 28-06-2004, n. 4794, che ha ritenuto non consentito l’inserimento di volumi modificativi dello sviluppo verticale dell’edificio preesistente), né trasformazione degli elementi costitutivi, essendo consentito unicamente il ripristino ed il rinnovo degli stessi (cfr. TAR Veneto, II, 30-05-1997, n. 920; Cons. Stato, V, 23-07-1994, n. 807).
E’ stato, di poi, chiarito che la suddetta tipologia di intervento non ammette incrementi volumetrici ovvero modifiche di forma (sagoma), volume e altezza (cfr. TAR Lombardia, Milano, II, 24-03-2005, n. 654) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 26.09.2007 n. 1916 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sono qualificabili volumi tecnici i locali che non possono essere ubicati all’interno della parte abitativa, e non invece i locali complementari all’abitazione quali soffitte, stenditoi chiusi o di sgombero e sottotetti.
Per costante giurisprudenza sono qualificabili volumi tecnici i locali che, esclusivamente adibiti alla sistemazione di impianti aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzazione della costruzione, non possono essere ubicati all’interno della parte abitativa, e non invece i locali complementari all’abitazione quali soffitte, stenditoi chiusi o di sgombero e sottotetti (cfr. C.d.S. Sez. V 13.05.1997 n. 483) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 15.09.2007 n. 7578 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa disciplina delle distanze tra costruzioni su fondi finitimi è applicabile anche alle sopraelevazioni di edifici preesistenti.
In materia edilizia, la disciplina delle distanze tra costruzioni su fondi finitimi è applicabile anche alle sopraelevazioni di edifici preesistenti, le quali rappresentano a tutti gli effetti delle nuove costruzioni, considerato che ogni intervento destinato a creare nuovi volumi deve essere ricondotto al concetto di “nuovo edificio” (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.09.2007 n. 4826 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn merito alla distanza di 10 mt. tra pareti finestrate di fabbricati, appare più coerente con il sistema una interpretazione della dizione “parete finestrata” nel senso di parete munita di "vedute" e non anche parete su cui si aprono finestre lucifere, così come ritenuto anche dalla giurisprudenza della Cassazione.
La questione giuridica da risolvere è se per “parete finestrata”, ai sensi dell’art. 9 del D.M. del 02.04.1968 debba intendersi una parete sulla quale si aprano delle semplici luci, o solo delle vedute.
Come è noto la giurisprudenza della Cassazione definisce veduta o prospetto una finestra che consente non soltanto una comoda inspectio sul fondo vicino senza l'impiego di mezzi artificiali, ma anche una comoda prospectio e cioè la possibilità di affacciarsi con lo sporgere il capo. In particolare, la Cassazione ha chiarito che la possibilità di prospicere, in astratto, può anche non essere impedita dall'esistenza di un'inferriata, purché, in relazione all'ampiezza delle maglie di questa, possa essere in concreto stabilita la possibilità di affaccio con la possibilità di protendere il capo (Cassazione civile, sez. II, 17.01.2002, n. 480).
Di contro la nozione di luce si trae in negativo dall’art. 902 c.c., secondo il quale “L'apertura che non ha i caratteri di veduta o di prospetto è considerata come luce, anche se non sono state osservate le prescrizioni indicate dall'articolo 901”.
Chiarito ciò, occorre stabilire se la presenza di luci comporti o meno l’applicazione della distanza minima di 10 m.
Ritiene il collegio che la questione debba essere risolta alla luce del complessivo sistema delineato dal codice civile che, nell'ambito della disciplina legale dei rapporti di vicinato, impone di osservare nelle costruzioni determinate distanze solo dalle vedute (art. 907) e non anche dalle luci.
L'art. 907 C.C., in particolare, nel disporre che rispetto alle vedute dirette verso il fondo vicino il proprietario di questo non possa fabbricare a distanza inferiore a tre metri, non menziona le aperture lucifere (la cui realizzazione rappresenta di norma l'esercizio di una mera facoltà del diritto di proprietà art. 901 C.C.), così manifestando di tutelare le vedute, attesa la loro funzione economico-sociale nel campo edilizio, in modo più netto e deciso rispetto alle luci, in relazione alle quali è consentito al proprietario confinante di costruire in appoggio o in aderenza al muro perimetrale che le contiene con conseguente liceità della chiusura delle stesse ricorrendone, ai sensi dell'art. 904 C.C., i presupposti di legge.
In questo quadro, appare dunque più coerente con il sistema una interpretazione della dizione “parete finestrata” nel senso di parete munita di "vedute" e non anche parete su cui si aprono finestre lucifere, così come ritenuto anche dalla giurisprudenza della Cassazione (Cassazione civile, Sezione II, 22.02.1996, n. 1362) (TAR Campania-Napoli, Sez. III,  sentenza 27.01.2006 n. 1131 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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