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AGGIORNAMENTO AL 28.07.2010 |
ã |
SINDACATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Rinviato al 31.12.2011 il termine per la
cessione o la messa in liquidazione delle
società pubbliche (CGIL-FP di Bergamo,
nota 26.07.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Maxiemendamento, cosa cambia nel trattamento
economico complessivo 2011-2013 dei
dipendenti (CGIL-FP di Bergamo,
nota 24.07.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
La manovra sulle pensioni (INCA-CGIL di
Bergamo,
nota 22.07.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Circolare n. 8 del 19.07.2010 DFP - Assenze
dal servizio per malattia dei pubblici
dipendenti (CISL-FPS di Bergamo,
nota 22.07.2010). |
ENTI LOCALI:
Verso la definitiva conversione in legge -
il decreto sulla manovra estiva (CGIL-FP di
Bergamo,
nota 19.07.2010). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI - VARI:
Oggi 28.07.2010 la Camera dei Deputati voterà, con la
fiducia posta dal Governo, la "Conversione
in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 31.05.2010, n. 78, recante
misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica"
(AC
n. 3638).
Praticamente, è il medesimo testo approvato
dal Senato lo scorso 15.07.2010 con il
famoso maxiemendamento del Ministro
Tremonti. |
NOTE,
CIRCOLARI & COMUNICATI |
URBANISTICA:
Indicazioni operative sulla verifica
della componente geologica del P.G.T. da
parte delle Province (Regione Lombardia,
Direzione Generale Territorio e Urbanistica,
nota 27.04.2009 n. 8483 di prot.). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
I. Boccuzzi,
Il recepimento della direttiva ricorsi: il
decreto legislativo 53/2010 (link
a www.amministrazioneincammino.luiss.it). |
APPALTI:
G. Bartoli,
L’introduzione delle clausole sociali negli
appalti riservati (link a
www.amministrazioneincammino.luiss.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
C. Puzzo,
Il certificato medico elettronico nel
pubblico impiego: a pochi giorni dalla
scadenza del mese di collaudo il punto della
situazione (link a
www.diritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
E. Soraci,
Pensione di vecchiaia: nuovi limiti di età
per le donne del pubblico impiego
(link a www.diritto.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI:
M. Greco,
Il mancato giuramento di un consigliere
comunale e gli effetti sul quorum
dell’organo consiliare (link a
www.diritto.it). |
APPALTI:
F. Lo Gerfo,
Il mistero della quarta busta: effetti del
correttivo 2009 sulla disciplina delle
offerte anomale nel codice dei contratti
pubblici. questioni aperte di diritto
transitorio (link a
www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
A. Leone,
Sulla natura del termine annuale di cui
all’art. 2, comma 8, della l. 241/1990 in
ipotesi di silenzio dell’amministrazione
(link a www.diritto.it). |
CORTE DEI
CONTI |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Varese (Va)
in merito alla corretta applicazione
dell'art. 1, comma 208, della L. 23.12.2005,
n. 266 (sulla legittimità dell'inclusione
dell'IRAP tra gli oneri riflessi)
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
15.12.2008 n. 101. |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Parere su richiesta del Sindaco del Comune
di Vigevano (PV),
in relazione alla possibilità di
comprendere, all'interno della quota
percentuale da ripartire tra i dipendenti
per la progettazione interna ai sensi
dell'art. 18, comma 1 della L. 109/1994,
anche la quota a carico del Comune relativa
all'IRAP
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
11.02.2008 n. 4). |
NEWS |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Il tecnico comunale deve pagarsi
l'Irap.
Avvocati e tecnici comunali dovranno pagarsi
l'Irap sui compensi per l'attività svolta.
Le sezioni riunite di controllo della Corte
dei Conti (deliberazione
07.06.2010 n. 33/2010) accolgono
così la tesi della sezione lombarda fino a
ieri isolata (parere
11.02.2008 n. 4 ed il
parere 15.12.2008 n. 101).
La questione riguarda lo scorporo dell'Irap
sui compensi per l'avvocatura e la
progettazione, oggetto anche di norme di
interpretazione autentica ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 26.07.2010 -
link a www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Trasporti, rifiuti, acqua: cosa cambia con
la riforma dei servizi pubblici locali.
Con il regolamento approvato in via
definitiva dal Consiglio dei ministri del
22.07.2010 viene completata la riforma dei
servizi pubblici locali di rilevanza
economica tra i quali rientra la raccolta
dei rifiuti, il trasporto pubblico locale e
la gestione delle risorse idriche.
Il regolamento fissa regole chiare per lo
svolgimento delle gare, affinché queste
consentano in modo trasparente di
selezionare il gestore più efficiente in
grado di offrire tariffe più basse. Perché
le gare e i rapporti tra ente affidante e
soggetto gestore siano chiari e trasparenti,
il regolamento introduce motivi di
incompatibilità per chi ricopre o ha
ricoperto funzioni di amministratore
nell'ente affidante vietando a costoro di
occuparsi della gestione del servizio.
Il regolamento mira ad impedire
l’acquisizione di posizioni di vantaggio nel
settore dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, con la finalità di
favorire la più ampia diffusione dei
principi di concorrenza, di libertà e di
libera prestazione dei servizi per tutti gli
operatori economici interessati, nonché di
garantire il diritto di tutti gli utenti
all’universalità ed accessibilità dei
servizi pubblici locali ed ai livelli
essenziali delle prestazioni.
Prevista inoltre entro l'anno l'istituzione
di una autorità "terza" per la
regolazione delle tariffe. Una riforma
importante che riguarda l’attuazione della
liberalizzazione dei servizi pubblici
locali, uno dei punti di criticità
nell’ambito della gestione delle autonomie
locali. Non sarà più possibile gestire in
house questi servizi ma la gestione sarà
soggetta a gara.
Sul provvedimento sono stati acquisiti i
pareri della Conferenza unificata, del
Consiglio di Stato e delle Commissioni
parlamentari. Restano esclusi i servizi
sull'energia elettrica e il gas in quanto
già regolamentati da specifiche norme (link
a www.governo.it). |
GIURISPRUDENZA |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Il proprietario del sito a cui
non sia imputabile la contaminazione dello
stesso, non è tenuto ad ottemperare
all'ordinanza comunale che ne imponga la
bonifica.
E ciò anche se l'ordinanza gli sia stata
notificata. L'interessante sentenza affronta
l'interpretazione delle norme del decreto cd
Ronchi in tema di responsabilità per
inquinamento. La responsabilità dell'autore
dell'inquinamento, ai sensi dell'art. 17,
comma 2, del D.Lgs. 22/1997, costituisce una
vera e propria forma di responsabilità
oggettiva per gli obblighi di bonifica,
messa in sicurezza e ripristino ambientale
conseguenti alla contaminazione delle aree
inquinate.
La natura oggettiva della responsabilità in
questione è desumibile dall'obbligo di
effettuare gli interventi di legge che
sorge, in base all'art. 17, comma 2, del
D.Lgs. 22/1997, in connessione con una
condotta "anche accidentale", ossia a
prescindere dall'esistenza di qualsiasi
elemento soggettivo doloso o colposo in capo
all'autore dell'inquinamento.
Ai fini di tale responsabilità è comunque
pur sempre necessario il rapporto di
causalità tra l'azione (o l'omissione)
dell'autore dell'inquinamento ed il
superamento -o pericolo concreto ed attuale
di superamento- dei limiti di
contaminazione, in coerenza col principio
comunitario "chi inquina paga",
principio che risulta espressamente
richiamato dall'art. 15 della direttiva n.
91/156, di cui il D.Lgs. del 1997
costituisce recepimento.
Ai sensi del comma 10 dell'art. 17, che
dispone che gli interventi di messa in
sicurezza, bonifica e ripristino ambientale
costituiscono onere reale sulle aree
inquinate e del comma 11 del medesimo
articolo che dispone poi altresì che le
spese sostenute per la messa in sicurezza,
la bonifica e il ripristino ambientale sono
assistite da privilegio speciale immobiliare
sulle aree medesime, esercitabile anche in
pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi
sull'immobile, chi subentra nella proprietà
o possesso del bene subentra anche negli
obblighi connessi all'onere reale,
indipendentemente dal fatto che ne abbia
avuto preventiva conoscenza.
Quella posta in capo al proprietario
dall'art. 17, commi 10 e 11, è pertanto una
responsabilità "da posizione", non
solo svincolata dai profili soggettivi del
dolo o della colpa, ma che non richiede
neppure l'apporto causale del proprietario
responsabile al superamento o pericolo di
superamento dei valori limite di
contaminazione.
Il proprietario del sito a cui non sia
imputabile, neppure in parte, la
contaminazione dello stesso, non è pertanto
tenuto né ad attivare di propria iniziativa
il procedimento previsto dall'art. 17 comma
2, né ad ottemperare all'ordinanza comunale
che imponga la bonifica del sito
notificatagli solo in ragione dell'esistenza
dell'onere reale (C.d.S. n.4525/2005)
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 15.07.2010 n. 4561 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le valutazioni in ordine alla
gravità delle condanne riportate dai
concorrenti ad una gara ad evidenza pubblica
ed alla loro incidenza sulla moralità
professionale spettano esclusivamente alla
stazione appaltante.
Secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, dal quale il Consiglio di
Stato ritiene di non discostarsi, le
valutazioni in ordine alla gravità delle
condanne riportate dai concorrenti ad una
gara ad evidenza pubblica ed alla loro
incidenza sulla moralità professionale
spettano esclusivamente alla stazione
appaltante e non già al concorrente
medesimo.
Questi, spiegano i giudici della Quinta
sezione, è pertanto obbligato a indicare
tutte le condanne riportate, non potendo
operare alcuna selezione delle condanne
eventualmente riportate ed omettendo
pertanto la dichiarazione di alcune di esse
sulla base meri criteri personali (C.d.S.,
sez. IV, 10.02.2009, n. 740; sez. V,
06.12.2007, n. 6221).
In ordine al rispetto della precisa
identificazione del contenuto dell’obbligo
della dichiarazione delle cause di
esclusione di cui all’articolo 38 del
decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, ed
in particolare della esistenza di sentenze
penali di condanna, la giurisprudenza ha
osservato (C.d.S., sez. VI, 04.08.2009, n.
4905) che solo laddove il bando di gara
richieda genericamente una dichiarazione di
insussistenza delle predette cause di
esclusione può essere giustificata una
valutazione da parte dei concorrenti della
gravità delle eventuali condanne riportate
(con conseguente mancanza di falsità della
dichiarazione sul punto reticente o
incompleta), mentre a diversa conclusione
deve giungersi quando il bando abbia
previsto espressamente una puntuale
dichiarazione delle sentenze penali di
condanne riportate (all’evidente fine di
riservare alla stazione appaltante la
valutazione sulla gravità degli eventuali
illeciti), perché in tali casi la causa di
esclusione non è solo quella, sostanziale,
dell’essere stata commessa una grave
violazione, ma anche quella, formale, di
aver omesso la dichiarazione espressamente
prevista.
A ciò deve ancora aggiungersi che le false
dichiarazioni sul possesso dei requisiti,
quali la mancata dichiarazione di sentenze
penali di condanna, si configurano come
causa autonoma di esclusione (sez. V,
12.06.2009, n. 3742; 12.04.2007, n. 1723).
Nel caso in esame, non vi è alcun dubbio
sulla circostanza che effettivamente le
dichiarazioni rese dal legale
rappresentante, amministratore e direttore
tecnico, non contenessero alcuna indicazione
delle sentenze penali di condanna, anche ex
artt. 444 C.P.P., emerse a seguito degli
accertamenti d’ufficio: ciò di per sé
costituisce giusto motivo di esclusione
dalla gara, sia con riguardo alla precisione
disposizione contenuta nell’articolo 38 del
D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, sia con
riferimento alle specifiche richiamate
disposizione della lex specialis di
gara, con conseguente legittimità del
provvedimento impugnato.
Ciò esclude, secondo i giudici del Consiglio
di Stato, qualsiasi rilevanza della
suggestiva prospettazione della società
appellante, secondo cui il provvedimento
impugnato sarebbe illegittimo per la omessa
valutazione da parte dell’amministrazione
appaltante della rilevanza delle accertate
sentenze penali di condanna, non potendo il
solo mero fatto dell’esistenza dei
precedenti penali giustificare l’esclusione
automatica dalla gara (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 13.07.2010 n. 4520 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Reato paesaggistico, varianti
leggere o minori in corso d'opera.
La sentenza, dopo avere declinato le
categorie differenti di varianti al progetto
approvato ed individuato le tipologie di
interventi edilizi ascrivibili alle “varianti
in senso proprio”, “varianti
essenziali” e “varianti leggere o
minori in corso d'opera” -sulla scorta
del dato normativo riveniente dall'art. 22
Testo Unico sull'Edilizia D.P.R. 380/2001,
esclude l'applicabilità della
contravvenzione di cui all'art. 44 lett. a.)
T.U.E. D.P.R. 380/2001 quando, eseguito un
intervento ascrivibile nella categoria delle
“varianti leggere o minori in corso
d'opera” in difformità dall'originario
permesso di costruire, entro la fine dei
lavori, l'interessato abbia ottenuto il
titolo edilizio per detta variante.
Nel caso di specie, tra l'altro
l'autorizzazione postuma aveva riguardato
anche il profilo paesaggistico della vicenda
procedimentale, per cui il Giudice di prime
cure aveva già aveva dichiarato non doversi
procedere per il reato paesaggistico, ai
sensi dell'art. 181 - comma 1-ter e quater
D.Lgs. 42/2004 (c.d. Codice Urbani).
Alla luce di tanto, la Suprema Corte ha
disposto l'annullamento della sentenza di I
grado senza rinvio perché il fatto non
sussiste, limitatamente alla residua
contravvenzione urbanistica (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 24.06.2010 n. 24236 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
La presentazione dell'istanza di
sanatoria successivamente alla impugnazione
dell'ordinanza di demolizione -o alla
notifica del provvedimento di irrogazione
delle altre sanzioni per gli abusi edilizi-
produce l'effetto di rendere inefficace tale
provvedimento e, quindi, improcedibile
l'impugnazione stessa, per sopravvenuta
carenza di interesse, in quanto il riesame
dell'abusività dell'opera, sia pure al fine
di verificarne la eventuale sanabilità,
provocato da detta istanza, comporta la
necessaria formazione di un nuovo
provvedimento, esplicito od implicito (di
accoglimento o di rigetto), che vale
comunque a superare il provvedimento
sanzionatorio oggetto dell'impugnativa.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale
seguito da questa Sezione, la presentazione
dell'istanza di sanatoria successivamente
alla impugnazione dell'ordinanza di
demolizione -o alla notifica del
provvedimento di irrogazione delle altre
sanzioni per gli abusi edilizi- produce
l'effetto di rendere inefficace tale
provvedimento e, quindi, improcedibile
l'impugnazione stessa, per sopravvenuta
carenza di interesse, in quanto il riesame
dell'abusività dell'opera, sia pure al fine
di verificarne la eventuale sanabilità,
provocato da detta istanza, comporta la
necessaria formazione di un nuovo
provvedimento, esplicito od implicito (di
accoglimento o di rigetto), che vale
comunque a superare il provvedimento
sanzionatorio oggetto dell'impugnativa (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 21.04.1997, n. 3563;
sez. IV, 11.12.1997, n. 1377; sez. V,
14.06.2004, n. 3794; C.G.A. 27.05.1997, n.
187; TAR Sicilia, sez. II, 05.10.2001, n.
1392; TAR Liguria, sez. II, 14.12.2000, n.
1310; TAR Toscana, sez. III, 18.12.2001, n.
2024; TAR Puglia, Bari, sez. II, 11.01.2002,
n. 154; TAR Campania, Sez. IV, 02.02.2004,
n. 1239, 18.03.2005, n. 1835, TAR Sez. III,
02.03.2004, n. 2579; TAR Sicilia, sez. I,
22.12.2004, n. 2921, sez. II, 22.03.2005, n.
411).
Il ricorso giurisdizionale avverso un
provvedimento sanzionatorio, proposto
anteriormente all'istanza di concessione in
sanatoria, deve ritenersi improcedibile per
sopravvenuta carenza di interesse, “spostandosi”
l'interesse del responsabile dell'abuso
edilizio dall'annullamento del provvedimento
già adottato, all'eventuale annullamento del
provvedimento (esplicito o implicito) di
rigetto (Cons. Stato, sez. V, 26.06.2007, n.
3659; TAR Sicilia, Catania, Sez. II,
16.03.1991, n. 67, Palermo, Sez. II,
16.03.2004, n. 499; TAR Campania, Sez. IV,
24.09.2002, n. 5559, 22.02.2003, n. 1310;
TAR Lazio, sez. II-ter, 04.11.2005, n.
10412, 09.07.2008, n. 6476)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 24.06.2010 n. 7953 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Natura giuridica dei parcheggi
pertinenziali e incidenza sul carico
urbanistico.
La realizzazione dei parcheggi pertinenziali
è possibile, in deroga agli strumenti
urbanistici vigenti, solo nel sottosuolo,
ovvero nei locali siti al piano terreno dei
fabbricati già esistenti.
Lo ha stabilito il TAR Campania con la cui
sentenza si evidenzia come, al contrario,
per le nuove costruzioni fuori terra,
sebbene destinate a parcheggio, debbano
essere rispettate le disposizioni dettate
dalla strumentazione urbanistica (TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 23.06.2010 n. 15731 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
La validità ovvero l’efficacia
dell’ordine di demolizione non risultano
compromesse dalla presentazione dell’istanza
di accertamento di conformità ex art. 36 del
menzionato d.P.R. 380/2001.
Questa determina piuttosto un arresto
dell’efficacia della misura ripristinatoria,
che rimane soltanto sospesa, determinandosi
uno stato di temporanea quiescenza
dell’atto, all’evidente fine di evitare, in
caso di accoglimento dell’istanza, la
demolizione di un’opera che, pur realizzata
in assenza o difformità dal permesso di
costruire, è conforme alla strumentazione
urbanistica vigente.
In caso di accoglimento della domanda di
sanatoria, l’ordine di demolizione
inevitabilmente decade per il venir meno del
suo presupposto, vale a dire del carattere
abusivo dell’opera realizzata, in ragione
dell’accertata conformità dell’intervento
alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione
dello stesso sia al momento della
presentazione della domanda.
In caso di rigetto, invece, il provvedimento
sanzionatorio a suo tempo adottato
riacquista la sua efficacia, che non era
definitivamente cessata, ma solo sospesa in
attesa della conclusione del nuovo iter
procedimentale, con la sola specificazione
che il termine concesso per l’esecuzione
spontanea della demolizione decorre dal
momento in cui il diniego perviene a
conoscenza dell’interessato, che non può
rimanere pregiudicato dall’avere esercitato
una facoltà di legge e deve, pertanto, poter
usufruire dell’intero termine a lui
assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando
così le conseguenze negative connesse alla
mancata esecuzione dello stesso.
Pur non ignorando l’esistenza di un
indirizzo ermeneutico di segno contrario, la
Sezione condivide, infatti, l’orientamento
giurisprudenziale già espresso in analoghe
fattispecie (cfr. Tar Campania Sez. II, n.
1173/2008, n. 9757/2007, n. 8345/2007),
secondo cui la validità ovvero l’efficacia
dell’ordine di demolizione non risultano
compromesse dalla presentazione dell’istanza
di accertamento di conformità ex art. 36 del
menzionato d.P.R. 380/2001.
Invero, questa determina piuttosto un
arresto dell’efficacia della misura
ripristinatoria, che rimane soltanto
sospesa, determinandosi uno stato di
temporanea quiescenza dell’atto,
all’evidente fine di evitare, in caso di
accoglimento dell’istanza, la demolizione di
un’opera che, pur realizzata in assenza o
difformità dal permesso di costruire, è
conforme alla strumentazione urbanistica
vigente (cfr., ex multis, TAR
Campania, II Sezione, 04.02.2005, n. 816 e
13.07.2004, n. 10128).
Ne consegue che, in caso di accoglimento
della domanda di sanatoria, l’ordine di
demolizione inevitabilmente decade per il
venir meno del suo presupposto, vale a dire
del carattere abusivo dell’opera realizzata,
in ragione dell’accertata conformità
dell’intervento alla disciplina urbanistica
ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso sia al momento
della presentazione della domanda.
In caso di rigetto, invece, il provvedimento
sanzionatorio a suo tempo adottato
riacquista la sua efficacia, che non era
definitivamente cessata, ma solo sospesa in
attesa della conclusione del nuovo iter
procedimentale, con la sola specificazione
che il termine concesso per l’esecuzione
spontanea della demolizione decorre dal
momento in cui il diniego perviene a
conoscenza dell’interessato, che non può
rimanere pregiudicato dall’avere esercitato
una facoltà di legge e deve, pertanto, poter
usufruire dell’intero termine a lui
assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando
così le conseguenze negative connesse alla
mancata esecuzione dello stesso.
In definitiva, considerato che il
procedimento di verifica della compatibilità
urbanistica dell’opera avviato ad istanza di
parte è un procedimento del tutto autonomo e
differente dal precedente procedimento
sanzionatorio avviato d’ufficio e conclusosi
con l’ordinanza di demolizione dell’opera
eseguita in assenza o difformità del titolo
abilitativo, il Collegio ritiene che non
sussista motivo per imporre
all’amministrazione comunale il riesercizio
del potere sanzionatorio a seguito
dell’esito negativo del procedimento di
accertamento di conformità urbanistica,
atteso che il provvedimento di demolizione
costituisce un atto vincolato a suo tempo
adottato in esito ad un procedimento
amministrativo sul quale non interferisce
l’eventuale conclusione negativa del
procedimento ad istanza di parte ex art. 36
del d.P.R. 380/2001.
Un nuovo procedimento sanzionatorio,
infatti, si rivelerebbe, in assenza di
un’espressa previsione legislativa,
un’inutile ed antieconomica duplicazione
dell’azione amministrativa (cfr. anche Tar
Campania, Sezione III, n. 10369/2006)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 23.06.2010 n. 15729 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI: La
redazione di un piano di lottizzazione
concerne indubbiamente la realizzazione di
un complesso di opere che richiede una
visione di insieme e pone problemi di
carattere programmatorio che indubbiamente
postulano valutazioni complessive che non
rientrano nella competenza professionale del
Geometra, così come definita dall'art. 16
del r.d. 11.02.1929 n. 274.
Ha statuito Cass. civ. sez. II 14.04.2005 n.
7778 che, benché non sia ex se
preclusa ai geometri la predisposizione di
piani di lottizzazione nel concreto “in
considerazione delle attività che l'art. 16
del R.D. 274 del 1929 riserva ai geometri (e
cioè la progettazione, direzione e vigilanza
di modeste costruzioni civili, con uso del
cemento armato solo per piccole costruzioni
di edifici rurali o per uso di industrie
agricole di limitata importanza) e nel
rispetto della ratio della norma, volta ad
assicurare che determinate attività siano
svolte da professionisti che, per la loro
capacità professionale siano in grado di
consentire la costruzione di opere non
pericolose per la pubblica incolumità, la
redazione di un piano di lottizzazione che
comprenda la progettazione di due complessi
residenziali, ciascuno di tre piani fuori
terra, oltre cantine e boxes, opere che
impongono la soluzione di problemi tecnici
non solo in ordine ai calcoli del cemento
armato, ma anche in relazione alle opere di
urbanizzazione primaria da realizzare, non
possa rientrare fra quelle attività che, con
riferimento alla modestia delle opere
consentite per legge al geometra, siano tali
da escludere un pericolo per la pubblica
incolumità e possano, conseguentemente,
essere consentite allo stesso”; ancora
secondo TAR Brescia 29.10.2008 n. 1466, pur
nell’ambito di un orientamento non
preclusivo della competenza in questione,
elemento discretivo che consente di
attribuire il piano di lottizzazione alla
competenza dei geometri sarebbe dato dalla
mancanza nel medesimo di elementi di
raccordo delle opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, elementi come visto
presenti nel piano presentato. Infine
secondo Cons. St. sez. IV n. 4620 del 2001,
ancor più restrittiva: “Le disposizioni
contenute nel R.D. 11.02.1929 n. 274
stabiliscono che tale figura professionale
ha, per quanto concerne la progettazione,
direzione e vigilanza in materia edilizia,
competenza per "costruzioni rurali e di
edifici di uso d'industrie agricole, di
limitata importanza, di struttura ordinaria,
comprese piccole costruzioni accessorie in
cemento armato che non richiedono
particolari operazioni di calcolo...",
nonché per "modeste costruzioni civili".
La giurisprudenza ha precisato, in
proposito, che le indicate attività
professionali non possono che restare
limitate alle specifiche previsioni
normative, che non implicano alcuna
possibilità di estensione, anche in
considerazione di motivi di ordine pubblico
e di tutela della sicurezza collettiva.
È stato affermato, più in particolare, che
resta preclusa al Geometra la realizzazione
di un complesso di opere che richieda una
visione di insieme, che ponga problemi di
carattere organizzatorio (Cons. St., Sez. V,
n. 25 del 13.01.1999; n. 3 del 03.01.1992).
È facile osservare come nelle disposizioni
su citate non sia ravvisabile alcuna
indicazione che faccia riferimento a
strumenti di programmazione urbanistica,
mentre è pacifico che la redazione di un
piano di lottizzazione costituisce attività
che chiaramente richiede una competenza
programmatoria in tale settore, anche se si
limita l'attività a opere di modesta entità,
e nonostante che la stessa sia posta in
attuazione delle previsioni dello strumento
urbanistico generale.
In effetti, come già affermato da questa
Sezione, la redazione di un tale strumento
concerne indubbiamente la realizzazione di
un complesso di opere che richiede una
visione di insieme e pone problemi di
carattere programmatorio che indubbiamente
postulano valutazioni complessive che non
rientrano nella competenza professionale del
Geometra, così come definita dall'art. 16
del r.d. 11.02.1929 n. 274 (Cons. St., Sez.
IV, n. 765 del 09.11.1989)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 15.06.2010 n. 2839 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Danni da randagismo: anche il
Comune è tenuto al risarcimento?
La violazione delle norme di legge sul
randagismo, che impongono ai Comuni di
assumere provvedimenti per evitare che gli
animali randagi arrechino disturbo alle
persone, nelle vie cittadine è fonte
dell’obbligo dei Comuni di risarcire i danni
che tali animali abbiano causato agli utenti
delle strade (Corte di Cassazione, Sez. III
civile,
sentenza 16.03.2010 n. 10190 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Definizione di aree boscate ai
fini dell’applicazione dei divieti ex l. n.
353/2000.
La definizione di “incendio boschivo”
di cui all’art. 2 si riferisce ad aree (boscate,
cespugliate o arborate) più ampie di quelle
richiamate nel comma 1 dell’art. 10 che
limita, invece, l’applicazione dei divieti,
prescrizioni e sanzioni soltanto a “zone
boscate e pascoli i cui soprassuoli”
sono stati percorsi dal fuoco, cioè un
insieme di aree naturali e vegetali più
delimitato rispetto a quello di cui sopra.
Ne deriva che l’ambito oggettivo di
applicazione della norma speciale è più
limitato e riguarda le sole zone boscate e
pascoli (e non le zone arborate).
A ciò va aggiunto che nella definizione di “bosco”
il legislatore sia nazionale che regionale
ha previsto una equiparazione dello stesso
alla foresta e alla selva (art. 2, comma 1,
D.Lgs. 18.05.2001, n. 227; art. 3, comma 3,
L.R. 28.10.2002, n. 39) ed ha individuato
alcune fattispecie assimilate a bosco (art.
2, comma 3, D.Lgs. n. 227 del 2001), inoltre
ha distinto la vegetazione forestale da
quella arbustiva (art. 3, commi 3 e 4, L.R.
n. 39 del 2002), definendo così una
disciplina unitaria e coordinata per i
boschi e le aree boscate (TAR Lazio-Roma,
Sez. II-bis,
sentenza 17.11.2009 n. 11242 -
link a www.altalex.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Ordinanza di rimozione rifiuti in
caso di costruzioni e riutilizzo di inerti
edili.
Il potere di ordinanza previsto dall'art.
192 del D.Lgs. n. 152/2006 (ed in precedenza
dall'art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997) ha un
diverso fondamento rispetto alle ordinanze
disciplinate dall'art. 54 del T.U.E.L. e
prefigura un'ordinanza di sgombero a
carattere sanzionatorio, di cui è riprova il
fatto che, per la sua applicazione a carico
dei soggetti obbligati in solido, è
necessaria l'imputazione agli stessi a
titolo di dolo o colpa del comportamento
tenuto in violazione dei divieti di legge.
Va ricordato che il riutilizzo del materiale
proveniente dall'attività di costruzione non
può prescindere dalla preventiva attività di
separazione richiesta dal D.M. 05.02.1998,
posto che i materiali residuanti dalla
attività di demolizione edilizia conservano
la natura di rifiuti sino al completamento
delle attività di separazione e cernita, in
quanto la disciplina in materia di gestione
dei rifiuti si applica sino al completamento
delle operazioni di recupero, tra le quali
il citato art. 183 lett. h) indica la
cernita o la selezione.
In ogni caso, inoltre, il riutilizzo nelle
opere di riempimento deve avvenire, come
ribadito dall’art. 186 del citato D.Lgs.
senza recare pregiudizio all'ambiente (TAR
Veneto, Sez. III,
sentenza 29.09.2009 n. 2454 -
link a www.altalex.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Rapporti fra pianificazione
urbanistica e pianificazione acustica.
In sede di adozione del Piano di
classificazione acustica non si deve tenere
conto del singolo insediamento produttivo,
ma della destinazione della zona, altrimenti
si rischia di confondere due ambiti distinti
(che pure debbono in qualche modo trovare un
punto di contatto), ossia quello
urbanistico-edilizio e quello inerente la
classificazione acustica.
Si vuol dire cioè che se ad una certa
porzione del territorio è stata
legittimamente impressa la destinazione
urbanistica di zona “D”, in quella zona sono
allocabili insediamenti produttivi e la
stessa deve essere, ai fini acustici,
classificata in classe V o VI a seconda dei
casi (TAR Marche,
sentenza 29.09.2009 n. 930 - link
a www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 26.07.2010 |
ã |
EDILIZIA PRIVATA:
Chi
controlla la competenza progettuale nel
rilasciare il permesso di costruire ovvero
nell'istruire la DIA??
Con l'AGGIORNAMENTO AL
04.07.2010
abbiamo pubblicato l'interessante
sentenza 28.06.2010 n. 9772 del
TAR Campania-Salerno, Sez. II, con la quale
sono stati annullati:
- il permesso di costruire rilasciato dal
Comune per la realizzazione di una
sopraelevazione al primo piano di un
fabbricato;
- il permesso in variante rilasciato per la
realizzazione di un sottotetto sovrastante
la sopraelevazione assentita;
- il permesso in variante per l’ampliamento
del sottotetto assentito in variante.
E ciò si è verificato poiché il progetto
assentito contemplava la previsione di
pilastrature in cemento armato a firma di un
geometra, in spregio all’art. 16 e segg.
R.D. 11.02.1929 n. 274, che abilita tale
categoria professionale solo a modeste
costruzioni civili.
Invero, la sentenza de qua non è
affatto una novità in materia per gli "addetti
ai lavori"; tuttavia, ha il pregio di
ricordare (semmai ce ne fosse bisogno ...)
al responsabile del procedimento
amministrativo, ai membri della Commissione
Edilizia ed al Responsabile dell'Ufficio
Tecnico che non solo bisogna vagliare
attentamente il progetto presentato da un
mero punto di vista edilizio-urbanistico ma
anche dal punto di vista della competenza
progettuale del professionista che
sottoscrive il progetto.
Ci
voleva anche questa ... ho già poco da
fare!!
... state per caso sbuffando??
Forse, è bene tralasciare momentaneamente
altre cose e prestare maggiore attenzione a
questo dettaglio di non poco conto ... e
già, perché se il confinante si mette a "rognare"
e ad indagare sul cantiere in itinere
e, guarda caso, emerge (per esempio) che il
progettista è un geometra che ha firmato i
disegni per la costruzione di villette a
schiera piuttosto che una palazzina di tre
piani piuttosto che l'ampliamento di un
capannone e, conseguentemente, impugna il
provvedimento abilitativo dinanzi al TAR,
chi paga i danni per il "sicuro"
annullamento del provvedimento testé
citato??
Il
responsabile del procedimento amministrativo
che ha istruito la pratica?? I membri della
Commissione Edilizia che hanno avallato il
progetto?? Il Responsabile dell'Ufficio
Tecnico che ha firmato il permesso di
costruire??
La risposta è facile a trovarsi ... tuttavia
ci preme rappresentare, al riguardo, alcune
considerazioni.
L'Ufficio Tecnico comunale, nelle persone
del responsabile del procedimento
amministrativo istruttorio e del
Responsabile dell'Ufficio stesso che firma
il permesso di costruire, probabilmente già
oberato da innumerevoli incombenze non ha
molto tempo per valutare -di volta in volta-
anche il profilo dell'eventuale incompetenza
professionale dei vari progetti edilizi
presentati. Oppure, chi glielo fa fare di
sollevare un ulteriore "problema" per
il quale scontrarsi -poi- con
l'Amministrazione Comunale che già lo addìta
di essere troppo "burocrate" e,
conseguentemente, di ingessare la peraltro
precaria attività edilizia in forza della
sfavorevole congiuntura economica degli
ultimi tempi ... (in altre parole, detto
alla "parla come mangi", non entra in
cassa il contributo di costruzione e,
quindi, non si riescono a realizzare le
opere pubbliche!!).
Tuttavia, è bene non sottovalutare tale
evenienza nefasta, foriera di risarcimento
del danno, poiché la negligenza del proprio
operato istruttorio non troverà copertura
assicurativa alcuna.
E non ultimo, diciamocela tutta ..., in
Commissione Edilizia perché non si solleva e
verbalizza l'eventuale competenza
progettuale?? Forse, perché "cane non
mangia cane" e tenuto conto che, bene o
male, siede un rappresentante di ogni ordine
professionale (ingegneri, architetti,
geometri) non vale la pena scannarsi a
vicenda ...
In realtà, la cosa che fa sorridere è che,
di tanto in tanto, i vari ordini
professionali inviano a destra e manca
proprie circolari (tanto per esemplificare
leggere qui) per far risaltare
questa o quella sentenza che porta acqua al
proprio mulino, defraudando gli altri ordini
professionali in merito alla competenza
progettuale di una certa fattispecie
edilizia. Nulla quaestio in merito
... ma sarebbe altrettanto auspicabile,
opportuno e condivisibile che i vari ordini
emanassero ai propri iscritti -che sono
anche membri della Commissione Comunale per
l'Edilizia- una nota/circolare per ricordare
loro il potere/dovere di eccepire e
verbalizzare l'eventuale incompetenza
progettuale, con relativa e successiva
segnalazione all'ordine di appartenenza
dell'incauto professionista:
ognuno
faccia la sua parte con diligenza,
professionalità e correttezza
istituzionale!!
Ad onor del vero, a noi risulta un unico
precedente in tal senso (del 09.03.2007) e
cioè quello dell'Ordine degli Architetti di
Udine che si può
leggere qui ... stiamo a vedere,
adesso, se anche gli altri ordini saranno
altrettanto bravi ad emulare una siffatta
lodevole iniziativa e, comunque, di darne
ampia eco e pubblicità ai soggetti
interessati al fine di migliorare la serietà
e qualità progettuale nel solco, sempre,
della correttezza professionale di ogni
soggetto (privato e pubblico) che ruota
attorno ad ogni pratica edilizia.
26.07.2010 - LA SEGRETERIA PTPL |
NOVITA' NEL
SITO |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel bottone
MODULISTICA è stato
modificato/integrato il
fac-simile (modificabile a piacimento) di
comunicazione esecuzione interventi edilizi
liberi ex art. 6 DPR n. 380/2001. |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel bottone
MODULISTICA è stata sostituita e
completata la modulistica fac-simile
(modificabile a piacimento) relativamente
all'autorizzazione paesaggistica.
Ciò detto dopo aver ricevuto i chiarimenti
regionali in ordine alla corretta
classificazione degli interventi edilizi di
installazione dei pannelli solari e/o
fotovoltaici ed in relazione alla recente
modificazione dell'art. 6 del DPR 380/2001
circa gli interventi di manutenzione
straordinaria non soggetti ad alcun titolo
abilitativo. |
NOTE,
CIRCOLARI & COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Legge 22.05.2010 n. 73 di conversione del
Decreto legge n. 40/2010 - modifica
dell'art. 6 "Attività edilizia libera"
del D.P.R. n. 380/2001 - Prime indicazioni
operative (Comune di Milano,
nota 09.07.2010 n.
552694/2010 di prot.). |
URBANISTICA: Ancora
sulla V.A.S. del P.G.T..
Ulteriori chiarimenti della Regione
Lombardia sulla corretta individuazione dei
soggetti quale Autorità procedente ed
Autorità competente per la VAS.
La Regione Lombardia, in risposta ad un
quesito del Sindaco di un comune con più di
5.000 abitanti, ha evidenziato alcune
osservazioni -di interesse per tutti i
Comuni lombardi- che si riportano di
seguito:
"... In merito a quanto riportato nella
Sua lettera si osserva quanto segue:
1.
dall'analisi della documentazione pubblicata
sul sito web del Comune e nella scheda del
sito regionale SIVAS
(www.cartografia.regione.lombardia.it/sivas),
si riscontrano alcune irregolarità
nell'individuazione delle Autorità in quanto
l'individuazione del Sindaco quale autorità
procedente non è in ogni caso corretta,
essendo data tale possibilità solo ai Comuni
con meno di 5.000 abitanti (come previsto
dal comma 23 dell'art. 53 della legge
23.12.2000, n. 388 modificato dal comma 4
dell'art. 29 della legge 28.12.2001, n. 448,
previa assunzione delle disposizioni
regolamentari ed organizzative): dovrebbe
invece essere individuata all'interno
dell'ente tra coloro che hanno
responsabilità nel procedimento di PGT (ad
es. il Responsabile Unico del Procedimento);
2.
inoltre, l'Autorità competente per la VAS
deve possedere i requisiti richiamati nel
punto 3.2 dell'allegato 1a (ndr: della
DGR 30.12.2009 n. 10971) e il dirigente
del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata
del Comune di ..., nominato Autorità
competente per la VAS, sembra avere
competenze in materia di pianificazione
e urbanistica piuttosto che in materia di
tutela, protezione e valorizzazione
ambientale e di sviluppo sostenibile;
3.
si suggerisce, pertanto, di individuare
all'interno dell'Ente le due Autorità con
nuova deliberazione di Giunta Comunale, ai
sensi della DGR n. 10971 del 30.12.2009;
tali Autorità dovranno accompagnare il loro
primo pronunciamento con un'esplicita
determinazione di convalida delle attività
precedentemente svolte nell'ambito della
procedura di VAS e potranno proseguire nella
stessa. ..."
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Territorio e Urbanistica, Programmazione e
Pianificazione Territoriale, Strumenti per
il Governo del Territorio,
nota
01.07.2010 n. 15812 di prot.). |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA: Dal
28.07.2010 cambia l’attestato di conformità
degli impianti.
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 161 del
13/07/2010 è stato pubblicato il D.M.
19/05/2010 "Modifica degli allegati al
D.M. 22.01.2008, n. 37".
Il Decreto provvede ad aggiornare la
modulistica per la dichiarazione di
conformità degli impianti alla regola d’arte
(Allegati I e II al D.M. 22/01/2008, n. 37).
Dal 28 luglio prossimo, data di entrata in
vigore del D.M. 19/05/2010, le dichiarazioni
di conformità degli impianti da parte delle
imprese installatrici e uffici tecnici
interni di imprese non installatrici
dovranno essere rilasciate utilizzando la
nuova modulistica ...
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO: La
movimentazione manuale dei carichi: una
guida dallo Spresal dell’ASL Roma H.
La valutazione del rischio per i lavoratori
legato alla Movimentazione Manuale dei
Carichi (MMC) è prevista dal Titolo VI e
dall'All. XXXIII del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.
(Testo Unico della Sicurezza).
In particolare occorre effettuare la
valutazione del rischio per le diverse
azioni:
- sollevamento e Trasporto
- spinta e Traino
- azioni Ripetitive degli arti superiori ...
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
conferenza Unificata approva Conto Energia
2011 e Linee Guida per le fonti rinnovabili
(dimenticandosi della Legge Comunitaria
2009?).
La Conferenza Unificata dell’08.07.2010 ha
approvato le Linee Guida amministrative per
le fonti rinnovabili, predisposte dal dal
Ministero dello Sviluppo Economico di
concerto con il Ministero dell'Ambiente e
con il Ministro per i Beni e le Attività
Culturali.
Le Linee Guida, che riguardano
l'Autorizzazione Unica per la realizzazione
di impianti di produzione di energia da
fonti rinnovabili, hanno l'obiettivo di
definire modalità e criteri unitari sul
territorio nazionale per assicurare uno
sviluppo ordinato delle infrastrutture
energetiche.
Le Linee Guida dovrebbero quindi consentire
a tecnici e professionisti di avere un
indicazione chiara delle tipologie
d'impianto, fonte per fonte, che possono
accedere a DIA e ad attività di edilizia
libera.
Secondo le indiscrezioni trapelate con la
pubblicazione del testo approvato sarà
sufficiente la DIA (denuncia di inizio
attività) per realizzare: ...
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Detrazione
55%, è operativa la rettifica on-line delle
schede inviate all’ENEA.
Con la Circolare n. 21/E del 23.04.2010,
l'Agenzia delle Entrate ha introdotto la
possibilità di correggere, esclusivamente
per via telematica, la scheda informativa da
trasmettere all’Enea per usufruire della
detrazione del 55% per gli interventi di
riqualificazione energetica.
La correzione può avvenire anche oltre il
termine di 90 giorni dalla data di
ultimazione dei lavori, ma non oltre quello
di presentazione della dichiarazione dei
redditi nella quale la spesa può essere
portata in detrazione ...
(link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G.U. 20.07.2010 n. 167 "Testo
del decreto legge 20.05.2010, n. 72
coordinato con la legge 19.07.2010, n. 111
recante: «Misure urgenti per il differimento
di termini in materia ambientale e di
autotrasporto, nonché per l’assegnazione di
quote di emissione di anidride carbonica»". |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 29 del
20.07.2010, "Testo coordinato della l.r.
11.12.2006, n. 24 «Norme per la prevenzione
e la riduzione delle emissioni in atmosfera
a tutela della salute e dell’ambiente»"
(Testo
coordinato della l.r. 11.12.2006 n. 24
- link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Requisiti acustici passivi: la bozza del
regolamento che sostituirà il DPCM
05/12/1997.
In attesa dell’emanazione delle nuove
disposizioni in materia di inquinamento
acustico (vedi BibLus-net n. 197), con la
Legge Comunitaria 2009, il Parlamento ha
confermato la sospensione del D.P.C.M.
05/12/1997, “Determinazione dei requisiti
acustici passivi degli edifici”.
Il Ministero dell’Ambiente sta ultimando lo
studio del D.Lgs. da emanare, sempre secondo
la Comunitaria, entro il 29.07.2010 ...
(link a www.acca.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Bozza
testo delle norme di interesse dei Comuni
contenute nel
D.L. 78/2010 coordinato con le modifiche
apportate dalla Commissione Bilancio del
Senato e dal maxiemendamento del Governo
- 15.07.2010. |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
PUBBLICO IMPIEGO:
C. Rapicavoli,
Applicazione del Decreto Brunetta - Norme di
immediata applicazione e norme ad
applicazione differita - Circolare del
dipartimento della Funzione Pubblica n.
7/2010 - Effetti della manovra finanziaria
(link a www.ambientediritto.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
S. Bigolaro,
L'incarico conferito da un ente pubblico a
un avvocato di difenderlo in giudizio è una
collaborazione autonoma o un appalto di
servizi? E' un affidamento in economia?
(link a
http://venetoius.myblog.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
S. Foà, L’azione
di annullamento nel Codice del processo
amministrativo
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO IMPIEGO: Malati,
stipendi pieni. Circolare di Brunetta. Salvi
i premi dei dirigenti. Nessun taglio per
infortuni e ricoveri.
Nessun taglio della retribuzione per i
dipendenti pubblici che si assentano dal
servizio per malattia dovuta a infortuni sul
lavoro, ricoveri ospedalieri o per patologie
gravi o per terapie salvavita. In questi
casi, si applicano anche le disposizioni che
prevedono l'esenzione dall'obbligo di
reperibilità dalla visita del medico
fiscale, fermo restando che
l'amministrazione di appartenenza dovrà
essere in possesso della necessaria
documentazione sanitaria. È salva la
retribuzione di risultato dei dirigenti
pubblici in malattia. La natura di tale
emolumento, infatti, non può essere
assimilata a un'indennità giornaliera e,
pertanto, non è soggetta a decurtazione in
caso di assenza dal servizio per malattia.
È quanto ha precisato la
circolare 19.07.2010
n. 8/2010 emanata dal dipartimento della
funzione pubblica, con la quale si precisano
alcuni aspetti relativi alle assenze dal
servizio per malattia da parte dei
dipendenti pubblici, in particolare il
rapporto tra le assenze stesse e gli
eventuali riflessi sulla retribuzione del
dipendente.
Il documento di palazzo Vidoni, infatti,
rileva che dall'avvento del ministro
Brunetta alla guida del dipartimento, grazie
alle norme contenute nel decreto legge n.
112/2008, le assenze dei dipendenti pubblici
hanno subìto un calo vertiginoso, pari al
38%.
È questo, scrive il ministro, uno degli
obiettivi perseguiti e ancora perseguibili
per tutto il mandato legislativo, vale a
dire quello di introdurre norme che siano
finalizzate ad evidenziare «buone e
cattive prassi» persistenti nel pubblico
impiego.
Nessun taglio per le
malattie gravi.
L'articolo 71, comma 1 del dl n. 112/2008,
prevede che «nei primi dieci giorni di
assenza è corrisposto il trattamento
economico fondamentale con esclusione di
ogni indennità o emolumento, comunque
denominati, aventi carattere fisso e
continuativo, nonché di ogni altro
trattamento economico accessorio». Ma
aggiunge anche che «resta fermo il
trattamento economico più favorevole
eventualmente previsto dai contratti
collettivi o dalle normative di settore,
soprattutto i ricoveri, le terapie salvavita
o gli infortuni sul lavoro». Quindi,
rileva la circolare, la volontà del
legislatore è quella di salvaguardare «situazioni
particolari e delicate».
In generale, si evince l'esclusione delle
assenze riconducibili a queste cause dalla
decurtazione del trattamento e dal computo
dei giorni dal periodo di comporto. I
lavoratori interessati saranno anche
esentati dall'obbligo di reperibilità dalla
visita del medico fiscale (adesso
9.00-13.00, 15.00-19.00 per effetto del dm
18/12/2009), fermo restando che
l'amministrazione deve possedere la
necessaria documentazione medica a supporto.
Risultato in salvo.
La retribuzione di risultato dei dirigenti
non subisce la tagliola della decurtazione
in caso di assenza per malattia. La
circolare di Brunetta, infatti, rispondendo
a numerosi quesiti posti dalle pubbliche
amministrazioni a tal fine, precisa che la
natura di tale emolumento è quella di
remunerare il raggiungimento degli obiettivi
da parte del dirigente, essendo corrisposta
a consuntivo, al termine del procedimento di
valutazione.
Come si vede, una voce retributiva che non
può essere assimilata a un'indennità legata
alla presenza in servizio, in quanto
corrisposta «solo se e nella misura in
cui gli obiettivi assegnati al dirigente,
risultino conseguiti». Lo stesso
ragionamento, poi, va esteso a quello voci
corrispondenti previste per le altre
categorie di personale, anche quello
pubblicistico, che hanno la stessa natura
(articolo
ItaliaOggi del 21.07.2010 - link a www.corteconti.it). |
QUESITI &
PARERI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Possibilità di instaurare un
rapporto di servizio a scavalco con
dipendente part-time a tempo indeterminato
di altro Comune avente in corso un rapporto
di lavoro a tempo determinato in altro
Comune.
Il Comune di (omissis) chiede se sia
legittimo instaurare un rapporto di servizio
a scavalco ai sensi art 1, comma 557 della
legge 311/2004 con un dipendente part-time a
tempo indeterminato di altro Comune (18 ore
settimanali) il quale ha, sempre in
attuazione della legge 311/2004 sopra
richiamata, in corso un rapporto di lavoro a
tempo determinato fino alla fine del 2010
per complessive h. 7,12 (pari al 20%
dell’orario complessivo) con un altro
Comune.
L’ulteriore servizio presso l’Ente
richiedente verrebbe stabilito per un orario
settimanale di h 10,48 (pari al 30%
dell’orario complessivo) ai sensi di quanto
previsto dall’art. 1, comma 557 della Legge
30.12.2004 n. 311, per un totale di servizio
complessivo nei tre Enti di 36 ore
settimanali.
L’Ente precisa, altresì, che l’istituzione
del rapporto avrebbe carattere temporaneo,
dato che sta già percorrendo la soluzione
del convenzionamento fra Enti in modo da
legittimare l’attività lavorativa ordinaria
del dipendente, con l’attivazione di un
unico rapporto di lavoro per il dipendente
interessato (Regione Piemonte,
parere n.
70/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Possibilità per il Comune di
ottenere il rimborso dei danni per le spese
sostenute per la sostituzione del dipendente
infortunato.
Il Comune di (omissis), premesso che un
proprio dipendente è stato investito da un
auto mentre percorreva una strada in
bicicletta da corsa e che l’investitore si è
assunto la responsabilità del sinistro,
chiede se il Comune ha titolo al rimborso
dei danni per le spese connesse alla
sostituzione del dipendente nei giorni di
assenza per infortunio (Regione Piemonte,
parere n.
68/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
NEWS |
APPALTI: Tributi
e contributi, se in regola ok
all'aggiudicazione dell'appalto.
È la conclusione a cui è pervenuta la Corte
di Giustizia con la sentenza che vede
coinvolte tre diverse società.
La normativa di riferimento in ambito
comunitario è costituita dalla direttiva
93/37, come medio tempore sostituita dalla
direttiva del 31.03.2004, 2004/18/CE di cui
interessano, in particolare, gli articoli
che vanno dal 24 al 29.
L'articolo 24 fissa le cause di esclusione
di un imprenditore nella partecipazione a
gare di appalto. In particolare le lettere
e) ed f) di dette clausole di esclusione
riguardano il corretto versamento non
soltanto dei contributi previdenziali ma
anche di tasse e imposte compresa l'Iva.
Inoltre, all'ultimo comma si stabilisce che
gli Stati membri hanno il compito di
designare autorità e organismi competenti
per il rilascio della documentazione
necessaria che attesti il possesso dei
requisiti da parte degli imprenditori
interessati alla partecipazione all'appalto
...
(link a
www.nuovofiscooggi.it). |
APPALTI SERVIZI:
Liberalizzazione nei servizi
locali. Il Consiglio dei ministri ha
approvato il regolamento. Fitto: finita
un'attesa di venti anni. Netta separazione
fra la gestione delle reti e la loro
proprietà.
Al via la
liberalizzazione della gestione dei servizi
pubblici locali a rilevanza economica, con
norme a tutela della gestione pubblica delle
risorse idriche, che a certe condizioni
potrà rimanere pubblica, e con la netta
separazione fra gestione delle reti e
proprietà delle stesse; previste norme
trasparenti e a garanzia della concorrenza
per lo svolgimento delle gare, da
aggiudicare con riguardo soprattutto agli
elementi qualitativi e al corrispettivo del
servizio; entro un anno gli enti locali
dovranno scegliere, motivando con apposite
analisi di mercato, se affidare ai privati
le gestioni o se mantenerle pubbliche.
È quanto prevede il
regolamento sull'affidamento della gestione
dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica, approvato ieri dal
Consiglio dei ministri.
«Si compie così l'atto finale della
riforma dei servizi pubblici locali
realizzata in tempi brevi dal governo»,
ha commentato il ministro per gli affari
regionali Raffaele Fitto, «intendo
esprimere il mio apprezzamento e il
riconoscimento per i contributi che il
Consiglio di stato e le Commissioni di
camera e senato hanno inteso fornire
nell'espressione dei rispettivi pareri
previsti dalla legge. Siamo orgogliosi di
essere riusciti nella difficile opera di
realizzare una riforma auspicata da quasi 20
anni da larghissimi settori della politica,
dell'economia e della società, ma sempre
immancabilmente rinviata».
Per il servizio idrico integrato il
regolamento afferma i principi generali
della «autonomia gestionale del soggetto
gestore», della «piena ed esclusiva
proprietà pubblica delle risorse idriche»
e quello della «spettanza esclusiva alle
istituzioni pubbliche del governo delle
risorse stesse»; inoltre, per
giustificare il mantenimento di una gestione
pubblica in house in questo settore, si
potrà fare riferimento alle «specifiche
condizioni di efficienza che rendono la
gestione non distorsiva della concorrenza o
comunque comparativamente non svantaggiosa
per i cittadini rispetto a una modalità
alternativa di gestione dei servizi pubblici
locali».
Il regolamento prevede che ciò potrà
avvenire se i bilanci risultano in utile, se
sono reinvestiti più dell'80% degli utili,
se viene applicata una tariffa media
inferiore alla media di settore e se i costi
medi operativi annui prevedono una incidenza
sulla tariffa al di sotto della media di
settore. Il provvedimento non si applicherà
al servizio di distribuzione di gas naturale
e di energia elettrica, al servizio di
trasporto ferroviario regionale, alla
gestione delle farmacie comunali e ai
servizi strumentali all'attività o al
funzionamento degli enti locali che abbiano
affidato servizi a società pubbliche o
miste.
Il principio generale è quello per cui gli
enti locali devono preventivamente
verificare se si possa realizzare una
gestione concorrenziale dei servizi e per
fare ciò devono procedere ad una analisi del
mercato: se il mercato privato non risulta
idoneo a «garantire un servizio
rispondente ai bisogni della comunità»
si potrà mantenere una gestione pubblica
attribuendo diritti di esclusiva; viceversa
si dovrà liberalizzare le attività
economiche, «compatibilmente con le
caratteristiche di universalità ed
accessibilità del servizio».
Se non sarà possibile liberalizzare i
servizi, ciò dovrà risultare da una delibera
quadro che dia conto dell'istruttoria
compiuta, dei «fallimenti del sistema
concorrenziale», nonché degli elementi
positivi che concorrono al mantenimento di
un regime di esclusiva (pubblica) del
servizio. Queste verifiche dovranno essere
compiute entro un anno dall'entrata in
vigore del regolamento approvato ieri.
Il regolamento prescrive le modalità per
l'affidamento in gara delle gestioni,
chiarendo una serie di importanti aspetti
quali l'irrilevanza della disponibilità
delle reti (dal momento che possono
partecipare alle gare anche le società
interamente partecipate da soggetti
pubblici), la necessità di definire
requisiti per la partecipazione alle gare
proporzionati alla natura dell'affidamento e
di stabilire una durata della gestione
congrua con la consistenza degli
investimenti a carico del soggetto gestore.
Sempre il bando di gara o la lettera di
invito dovranno anche prevedere l'adozione
di carte dei servizi al fine di garantire
trasparenza informativa e qualità del
servizio. Previsto anche il divieto di
partecipazioni in raggruppamento di soggetti
che potrebbero ben partecipare
singolarmente. Nell'aggiudicazione dovrà
prevalere la valutazione dei profili
qualitativi e del corrispettivo del
servizio, rispetto al valore delle quote
societarie.
Gli affidatari «in house» di servizi
pubblici locali saranno tenuti
all'osservanza del Patto di stabilità e,
unitamente alle società miste affidatarie
dei servizi saranno tenute all'applicazione
del Codice dei contratti pubblici per gli
affidamenti a terzi di appalti (ma al socio
privato saranno affidabili direttamente le
attività di competenza laddove sia stato
scelto in gara, così da vietare la
cosiddetta «doppia gara») (articolo
ItaliaOggi del 23.07.2010 - link
a www.corteconti.it).
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Completata la riforma dei servizi pubblici
con l'approvazione del regolamento.
Ieri il Consiglio dei ministri ha dato il
via libera al regolamento attuativo della
riforma dei servizi pubblici locali, che
darà piena attuazione al decreto legge che
porta la firma del ministro Andrea Ronchi, e
che riguarda i servizi idrici, i rifiuti e
il trasporto pubblico locale.
La riforma delle gestioni dei servizi
pubblici avverrà a tappe a seconda di come
era avvenuto l'affidamento.
Decadranno alla fine di quest'anno le
gestioni affidate direttamente senza gara ed
entro il 2011, invece, le gestioni in house
e quelle delle spa miste qualora non abbiano
ceduto almeno il 40% delle loro quote ad un
socio privato che dovrà assolvere anche a
compiti gestionali.
Potranno andare, invece a scadenza naturale
del contratto, tutti gli affidamenti che già
hanno proceduto a cedere una loro quota di
almeno il 40% a soci privati ... (link a
www.greenreport.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Strutture mobili - Art. 3, c. 9,
L. n. 99/2009 - Strutture turistico
ricettive all’aperto - Installazione di
mezzi mobili di pernottamento - Esclusione
della rilevanza urbanistico-edilizia -
Esclusione della necessità di conseguire
apposito titolo abilitativo - Illegittimità
costituzionale.
La realizzazione di strutture mobili è
espressamente disciplinata dal legislatore
statale, che, all’art. 3 (L) del d.P.R. n.
380 del 2001, qualificando come «interventi
di nuova costruzione» gli interventi di
trasformazione edilizia e urbanistica del
territorio, specifica, al punto e.5), che
comunque devono considerarsi tali «l’installazione
di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere, quali
roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, e che non
siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee».
La realizzazione di tali interventi è
subordinata al conseguimento di specifico
titolo abilitativo costituito dal permesso
di costruire (salve le ipotesi in cui è
prevista la denuncia inizio attività;
confronta artt. 10 e 22). In sostanza, la
normativa statale sancisce il principio per
cui ogni trasformazione permanente del
territorio necessita di titolo abilitativo e
ciò anche ove si tratti di strutture mobili
allorché esse non abbiano carattere
precario.
Il discrimine tra necessità o meno di titolo
abilitativo è data dal duplice elemento:
precarietà oggettiva dell’intervento, in
base alle tipologie dei materiali
utilizzati, e precarietà funzionale, in
quanto caratterizzata dalla temporaneità
dello stesso. Tale principio è stato
ribadito da molti legislatori regionali (in
particolare si vedano, in tal senso, la
legge della Regione Toscana 03.01.2005, n.
1, recante «Norme per il governo del
territorio», art. 78 e la legge della
Regione Lombardia 11.03.2005, n. 12 recante
«Legge per il governo del territorio», art.
27, comma 1, lettera e5).
Il comma 9 dell’art. 3 della L. n. 99/2009
detta una disciplina concernente un ambito
specifico, in quanto si riferisce
esclusivamente alle «strutture
turistico-ricettive all’aperto» (campeggi,
villaggi turistici -secondo la
individuazione fatta dalle varie leggi
regionali). Inoltre, tale disposizione ha ad
oggetto unicamente la installazione di mezzi
mobili di pernottamento e dei relativi
rimessaggi (il riferimento è a campers,
roulottes, case mobili, ecc.).
In queste ipotesi la disposizione impugnata
esclude la rilevanza di tali attività a fini
urbanistici ed edilizi (oltre che
paesaggistici), e, conseguentemente, la
necessità di conseguire apposito titolo
abilitativo per la loro realizzazione, sulla
base del mero dato oggettivo, cioè della
precarietà del manufatto, dovendo trattarsi
di «mezzi mobili» secondo quanto
stabilito dagli ordinamenti regionali. Tale
elemento strutturale è considerato a priori
di per sé sufficiente, ed anzi è
espressamente esclusa la rilevanza del dato
temporale e funzionale dell’opera, in quanto
si prevede esplicitamente che possa
trattarsi anche di opere permanenti, sia
pure connesse all’esercizio dell’attività
turistico-ricettiva.
Risulta pertanto evidente che l’intervento
del legislatore statale presenta carattere
di norma di dettaglio, in quanto ha ad
oggetto una disciplina limitata a specifiche
tipologie di interventi edilizi realizzati
in contesti ben definiti e circoscritti.
Se, come più volte chiarito da questa Corte,
alla normativa di principio spetta di
prescrivere criteri e obiettivi, mentre alla
normativa di dettaglio è riservata
l’individuazione degli strumenti concreti da
utilizzare per raggiungere tali obiettivi (ex
plurimis: sentenze n. 16 del 2010, n.
340 del 2009 e n. 401 del 2007), l’art. 3,
comma 9, introduce una disciplina che si
risolve in una normativa dettagliata e
specifica che non lascia alcuno spazio al
legislatore regionale. Essa, pertanto,
oltrepassa i confini delle competenze che,
ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
spettano al legislatore statale in materia
di governo del territorio.
In conclusione, l’art. 3, comma 9, della
legge n. 99 del 2009 deve essere dichiarato
illegittimo per violazione dell’art. 117,
terzo comma, Cost. (Corte Costituzionale,
sentenza 22.07.2010 n. 278 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'edificazione di un parcheggio
interrato realizzato con vincolo di
pertinenzialità da perfezionare in un
momento successivo alla costruzione deve
essere assentita mediante permesso di
costruire.
E’ bene premettere che l’opera di cui si
tratta, contrariamente a quanto sostenuto
dal privato appellante, deve essere
assentita mediante permesso di costruire.
Si tratta, infatti, di un parcheggio
interrato (in realtà l’appellato contesta
tale connotazione, ma la questione è
irrilevante, per le considerazioni di
seguito svolte), realizzato con vincolo di
pertinenzialità da perfezionare in un
momento successivo alla costruzione.
Trovano quindi applicazione l’art. 3, primo
comma lett. e) del D.P.R. 06.06.2001, n.
380, ai sensi del quale costituiscono
interventi di nuova costruzione, tra gli
altri:
- (e.1) la costruzione di manufatti edilizi
fuori terra o interrati, ovvero
l'ampliamento di quelli esistenti
all'esterno della sagoma esistente, fermo
restando, per gli interventi pertinenziali,
quanto previsto alla lettera e.6);
- (e.2) gli interventi di urbanizzazione
primaria e secondaria realizzati da soggetti
diversi dal comune;
- (e.3) la realizzazione di infrastrutture e
di impianti, anche per pubblici servizi, che
comporti la trasformazione in via permanente
di suolo inedificato, in combinato disposto
con il successivo art. 10, il quale
assoggetta a permesso di costruire tutti gli
interventi di nuova costruzione; inoltre,
l’art. 6 della legge regionale 2001, n. 19,
esenta dal’obbligo di ottenere tale
premesso, ammettendo la semplice
dichiarazione d’inizio di attività, la sola
realizzazione di parcheggi da destinare a
pertinenze di unità immobiliari e da
realizzare nel sottosuolo del lotto su cui
insistono gli edifici, mentre richiede
permesso di costruire, sebbene non oneroso,
per la realizzazione di parcheggi in aree
libere, anche non di pertinenza del lotto
dove insistono gli edifici, come nel caso
che ora occupa.
La realizzazione del progetto di cui ora si
tratta presuppone quindi il rilascio di
permesso di costruire; il rilascio di
quest’ultimo, di conseguenza non è affatto
superfluo, e la realizzazione del manufatto
è subordinata al rispetto della normativa
prevista per le opere da assentire
esplicitamente (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.07.2010 n. 4801 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Istanza di accesso ai documenti -
Disposizione regolamentare interna -
Richiesta di allegazione di copia del
documento di identità - Interpretazione
formalistica - Preclusione dell’accoglimento
- Illegittimità.
Nessuna norma impone al privato di
presentare l’istanza di accesso agli atti
amministrativi corredata da copia del
documento d’identità; peraltro eventuali
disposizioni regolamentari ed interne di
questo tipo non potrebbero in ogni caso
essere formalisticamente interpretate
siccome preclusive dell’accoglimento
dell’istanza, poiché il rapporto tra privato
cittadino e Pubblica Amministrazione deve
essere improntato alle regole di leale
collaborazione, partecipazione e buona fede,
sicché graverebbe comunque
sull’Amministrazione l’onere di invitare il
privato a regolarizzare la propria istanza
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 19.07.2010 n. 8689 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono di rifiuti -
Proprietario del fondo ordine di rimozione
dei rifiuti in ragione della sua sola
qualità - Illegittimità - Rimozione dei
rifiuti e bonifica dei siti inquinati -
Differenza - Corresponsabilità solidale del
proprietario o dei titolari di diritti
personali o reali di godimento sull'area -
Presupposti e limiti - C.d. responsabilità
omissiva - Art. 14 d.lgs. n. 22/1997, (oggi
D. L.vo n. 156/2006 e s.m.).
Ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. 05.02.1997
n. 22, (oggi D. L.vo n. 156/2006 e s.m.)
sono illegittimi gli ordini di smaltimento
di rifiuti abbandonati in un fondo che siano
indiscriminatamente rivolti al proprietario
del fondo stesso in ragione della sua sola
qualità, in mancanza di adeguata
dimostrazione da parte dell'amministrazione
procedente, sulla base di un'istruttoria
completa e di un'esauriente motivazione
(quand'anche fondata su ragionevoli
presunzioni o su condivisibili massime
d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva
della condotta (Cons. Stato, V, n.
1612/2009; C.d.S. n. 807/2008; C.d.S., VI,
n. 4525/2005; C.d.S., V, n. 136/2005; C.d.S.
n. 323/2005).
Peraltro, a differenza di quanto previsto
per la bonifica dei siti inquinati, per la
rimozione dei rifiuti non è stato previsto
dal legislatore alcun onere reale a carico
del proprietario, che possa giustificare
l’emanazione dell’ordinanza anche nei suoi
confronti.
Inoltre, sebbene l'art. 14, comma 3, d.lgs.
05.02.1997 n. 22 (applicabile "ratione
temporis") preveda la corresponsabilità
solidale del proprietario o dei titolari di
diritti personali o reali di godimento
sull'area ove sono stati abusivamente
abbandonati o depositati rifiuti, solo in
quanto la violazione sia agli stessi
imputabile a titolo di dolo o colpa, tale
riferimento va inteso, per le sottese
esigenze di tutela ambientale, in senso
lato, comprendendo, quindi, qualunque
soggetto che si trovi con l'area interessata
in un rapporto, anche di mero fatto, tale da
consentirgli -e per ciò stesso imporgli- di
esercitare una funzione di protezione e
custodia finalizzata ad evitare che l'area
medesima possa essere adibita a discarica
abusiva di rifiuti nocivi per la
salvaguardia dell'ambiente; per altro verso,
il requisito della colpa postulato da tale
norma può ben consistere nell'omissione
delle cautele e degli accorgimenti che
l'ordinaria diligenza suggerisce ai fini di
un'efficace custodia (Cassazione civile ,
sez. un., 25/02/2009, n. 4472, in
fattispecie relativa ad ordinanza nei
confronti di un consorzio di bonifica per
provvedere alla rimozione, all'avvio al
recupero, allo smaltimento ed alla messa in
sicurezza dei rifiuti depositati lungo un
fiume).
Tuttavia, la responsabilità omissiva non può
farsi derivare, dall’assenza di atti idonei
a rimuovere i rifiuti, in quanto la condotta
della rimozione dei rifiuti si pone come
conseguenza dell’accertamento della
responsabilità, e la sua assenza non può
costituire un antecedente logico di tale
accertamento.
Con riguardo all’omessa vigilanza va
rilevato che risulta, in specie, che siano
stati gli stessi proprietari a presentare
formale denuncia all’autorità giudiziaria
nei confronti del responsabile dello
stoccaggio. Per cui, la presentazione della
menzionata denuncia costituisce ulteriore
indice della buona fede dei proprietari e
dell’assenza di addebitabilità dello
stoccaggio dei rifiuti (conferma, sentenza
del TAR Liguria: Sez. I n. 1232/2000)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.07.2010 sentenza n. 4614
- link a www.ambientediritto.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Dichiarazione di pubblica
utilità, nonché di urgenza ed
indifferibilità - Decreto di occupazione
scaduto - Decreto prefettizio di proroga
dell’occupazione - Piano particellare
espropriativo - Verbale di consistenza degli
immobili - Necessità - Operazioni di
immissione in possesso - Casi di
illegittimità sopravvenuta del procedimento
- Giurisprudenza - Fattispecie - Art. 20 L.
n. 865/1971 - Art. 3 L.n. 1/1978.
In tema di espropriazione, nei procedimenti
non governati, ratione temporis,
dalle norme sostanziali del T.U. n. 327 del
2001, la dichiarazione di pubblica utilità è
l'atto autoritativo che fa emergere il
potere pubblicistico in rapporto al bene
privato e costituisce, al tempo stesso,
origine funzionale della successiva
attività. (C.d.S. in Adunanza plenaria
decisioni nn. 9 e 12 del 2007).
Inoltre, rispetto ai casi di illegittimità
sopravvenuta del procedimento si ravvisano “evidenti
punti di contatto“ con quelle che si
determinano a seguito dell'annullamento in
s.g. della dichiarazione di pubblica
utilità, in quanto in entrambi i casi gli
effetti retroattivi naturalmente conseguenti
alla pronuncia demolitoria o quelli
derivanti dalla mancata conclusione del
procedimento non sembrano poter travolgere a
posteriori il nesso funzionale che ha
comunque legato l'attività
dell'Amministrazione alla realizzazione del
fine di interesse collettivo individuato
all'origine (Cons. Stato, IV Sez., n. 7744
del 10/12/2009).
Sicché, le vicende patologiche del
procedimento, quali la mancata adozione del
provvedimento espropriativo entro il termine
fissato a monte dalla predetta dichiarazione
(ovvero, la protrazione dell’occupazione
oltre il termine biennale di efficacia
previsto dall’art. 73 della legge n. 2359
del 1865) non sembra poter dequalificare la
valenza giuridica di un'attività appunto
espletata nel corso e in virtù di un
procedimento, che la dichiarazione ha ab
origine funzionalizzato a scopi
specifici e concreti di pubblica utilità.
Nella specie, l'appellante avrebbe comunque
dovuto impugnare il cd. atto di proroga. Non
avendolo fatto, l’atto conserva la sua
legittimità e i suoi effetti conseguenti
mantengono la loro efficacia.
Infine, è ininfluente la censura riguardante
la mancata redazione del verbale di
immissione in possesso, non avendo
l'appellante dimostrato che l’attività di
occupazione, svolta in base ad un titolo
giuridico esecutivo, non impugnato, avesse
comportato mutamento dello stato dei luoghi
oggetto di esproprio, rimanendo con ciò
confermato lo stato dei luoghi
precedentemente accertato (conferma sentenza
del TAR Basilicata n. 994/2003) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.07.2010 sentenza n. 4599
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI -
DIRITTO URBANISTICO - BOSCO - Costruzione
abusiva in area boscata - Richiesta di
rilascio di concessione sanatoria -
Nulla-osta dell’organismo preposto alla
tutela del vincolo - Necessità - Demolizione
del manufatto e ripristino dello stato dei
luoghi.
In materia edilizia, una costruzione che
insiste in area inclusa in zona di PRG
classificata a bosco è sottoposta a vincolo
di tutela ambientale e per ciò stesso, ogni
richiesta di rilascio di concessione
sanatoria deve necessariamente conseguire il
nulla-osta dell’organismo preposto alla
tutela del vincolo, (che nella specie, per
quanto attiene alla Provincia di Trento, è
da identificare nella Commissione
provinciale per la tutela
paesaggistico-ambientale (CTP) rivelandosi,
l’acquisizione del relativo parere, una fase
procedimentale del tutto insostituibile)
(Cons. Stato Sez. VI 03/05/2007 n. 1944).
Pertanto, il carattere abusivo delle opere,
la non compatibilità ambientale delle stesse
costituisce legittima giustificazione delle
determinazioni di rigetto della chiesta
sanatoria e di irrogazione della sanzione
della completa demolizione del manufatto e
ripristino dello stato dei luoghi. (conferma
sentenza del TRGA - DELLA PROVINCIA DI
TRENTO n. 170/2002).
BENI CULTURALI ED
AMBIENTALI - DIRITTO URBANISTICO - Domande
di sanatoria - Autorità preposta alla tutela
del vincolo - Obbligatorietà del parere -
Fattispecie.
Sussiste, l'obbligatorietà del parere
dell’Autorità preposta alla tutela del
vincolo gravante sul bene anche in relazione
a domande di sanatoria (Cons. Stato, Sez. VI,
14/02/2007, n. 607), costituisce jus
receptum il principio per cui i pareri e
nulla osta resi in materia ambientale
espressi dagli organi deputati alla tutela
in questione costituiscono una valutazione
di natura tecnico-discrezionale, resa cioè
in virtù di nozioni ed esperienze di natura
tecnico-scientifica applicate alla
fattispecie e volta appunto a verificare la
compatibilità o meno dell’opera alle
esigenze di rispetto delle caratteristiche
paesaggistico-ambientali che connotano lo
stato dei luoghi oggetto del vincolo (Cons.
Stato, Sez IV, 09/04/1999, n. 601; idem Sez.
VI, 11/4/2006, n. 2001) (fattispecie:
richiesta di rilascio di concessione
sanatoria ed investitura e ruolo della
Commissione provinciale per la tutela paesaggistico-ambientale (CTP) - Provincia
di Trento) (conferma sentenza del TRGA -
DELLA PROVINCIA DI TRENTO n. 170/2002)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.07.2010 n. 4591 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di una tettoia di
copertura di un terrazzo - Intervento di
manutenzione straordinaria - Esclusione -
Permesso di costruire - Necessità - Reato di
cui all’art. 44, D.P.R. 380/2001.
La realizzazione di una tettoia di copertura
di un terrazzo di una abitazione non può
qualificarsi quale intervento di
manutenzione straordinaria, né configurarsi
come pertinenza, atteso che, costituendo
parte integrante dell'edificio ne
costituisce ampliamento, con conseguente
integrabilità, in difetto del preventivo
rilascio del permesso di costruire, del
reato di cui all'art. 44, d.P.R. 380/2001
(Cass. n. 40843/2005; Cass. n. 15561/2007)
(annulla senza rinvio, sentenza, resa dalla
Corte di Appello di Roma in data 4/5/09)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.07.2010 n. 27264 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cubatura - Alienazione o cessione
- Autonoma patrimonialità rispetto al
terreno - Lotto di terreno ricevente -
Superamento del volume ordinariamente
consentito - Sistema edificatorio di zona -
Volume complessivo - Integrità.
La cubatura che un terreno esprime o
possiede può essere alienata o ceduta
indipendentemente dalla alienazione o dalla
cessione del terreno medesimo: ciò perché la
cubatura, pur se intrinsecamente collegata
al terreno che la esprime, costituisce una
utilità separata da questo, autonomamente
valutabile e con una propria commerciabilità
e patrimonalità.
La cubatura espressa dal terreno può,
dunque, essere oggetto di un contratto di
trasferimento con il quale il proprietario
di un’area trasferisce a titolo oneroso
parte delle sue possibilità edificatorie ad
altro soggetto allo scopo di consentire a
quest’ultimo di realizzare nell’area di sua
proprietà, una costruzione di maggior
volume, nel rispetto dell’indice di densità
fondiaria.
Il lotto di terreno “ricevente” è
sempre destinato a superare il volume
ordinariamente in esso consentito (anche se
in deroga rispetto agli indici ordinari),
proprio per effetto dell’acquisto di
cubatura da altro lotto, che, poi, non potrà
più essere oggetto di edificazione. Sicché
il sistema edificatorio di zona, sotto il
profilo del volume complessivo, rimane
integro.
Cessione di cubatura -
Lotto acquirente - Limite di espansione -
Indici di copertura e di altezza.
In tema di cessione di cubatura, il lotto
acquirente, destinato a superare il volume
ordinariamente in esso consentito, incontra
il limite di espansione determinato
dall’incremento di cubatura possibile in
relazione agli altri indici limitativi,
quali quelli di copertura e di altezza, che,
relazionati tra loro, conferiscono il
massimo assentibile.
Detta soluzione consente di stabilizzare,
concentrandolo in un unico lotto, quanto
costruibile nei lotti vicini, sempre, però,
con il rispetto della cubatura limitata non
più dagli indici di zona riferiti al lotto
(superabili proprio per effetto della
cessione di volumetria), ma dagli altri
indici (di copertura ed altezza), invece,
non modificabili quale effetto dell’acquisto
di cubatura.
Cessione di cubatura -
Lotto intercluso - Limiti.
Non è configurabile la cessione dell’area
derivante da un lotto intercluso rispetto ad
un’area ordinaria, perché verrebbe ad essere
trasferita in una zona caratterizzata dai
normali indici stabiliti dal P.R.G. una
volumetria maggiore “caratteristica”
di una specifica tipologia di lotto (quello
intercluso).
In altri termini, verrebbe immotivatamente
consentito il trasferimento in un lotto
ordinario di un migliore parametro “straordinario”
caratteristico di zona, in violazione del
criterio di omogeneità che giustifica la
cessione di cubatura e consentendo, di
fatto, la “trasformazione” di una
zona ordinaria in speciale, in assenza dei
necessari requisiti urbanistici.
In questo caso, non si impedisce la cessione
di cubatura in quanto tale, ma il
trasferimento relazionato alla tipologia (ed
agli indici più favorevoli) del lotto
intercluso verso l’ordinaria (e con indici
più bassi) tipologia fondiaria (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 14.07.2010 n. 3034 -
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EDILIZIA PRIVATA:
STAZIONI RADIO-BASE E RUOLO DEL
COMUNE.
1. Telecomunicazioni -
Telefonia mobile - Stazione radio base -
Regolamenti comunali - Misure di
minimizzazione - Limiti contemplabili.
2. Telecomunicazioni - Telefonia mobile -
Stazione radio base - Limiti compatibilità -
Determinazione - Competenza statale -
Sussistenza - Ragioni.
3. Telecomunicazioni - Telefonia mobile -
Stazione radio base - Regolamenti comunali -
Illegittimità - Casi - Ragioni.
4. Giurisdizione
amministrativa - Poteri del G.A. - Profili.
5. Giudizio amministrativo - Procedura -
Termini - Per impugnare - Atto applicativo -
Disciplina.
1. Ai sensi dell'art. 8, co. 6, L.
22.02.2001 n. 36, i comuni possono adottare
un regolamento per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti e minimizzare l'esposizione
della popolazione ai campi elettromagnetici.
Le misure di minimizzazione suddette non
possono tuttavia, in alcun modo, prevedere
limiti generalizzati di esposizione diversi
da quelli previsti dallo Stato, né possono
di fatto costituire una deroga
generalizzata, o quasi, a tali limiti,
essendo invece consentita l'individuazione
di specifiche e diverse misure, la cui
idoneità al fine della minimizzazione emerga
dallo svolgimento di compiuti e approfonditi
rilievi istruttori sulla base di risultanze
di carattere scientifico (Cons. Stato, sez.
VI, n. 5258/2009).
2. I criteri di localizzazione degli
impianti non possono trasformarsi in
limitazioni alla localizzazione, così da
configurarsi incompatibili con la
possibilità di realizzare una rete completa
d'infrastrutture per la telecomunicazione e
la determinazione a regime di limiti di
localizzazione degli impianti -atteso il
suo carattere generalizzato ed il
riferimento al dato oggettivo dell'esistenza
di insediamenti abitativi- non può tradursi
in una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l'art. 4, L. n. 36/2000 riserva allo
Stato attraverso l'individuazione di
puntuali limiti di esposizione, valori di
attenzione ed obiettivi di qualità.
Né va
dimenticato come la scelta dei criteri
d'insediamento degli impianti deve tenere
conto della nozione di rete di
telecomunicazione, la quale richiede una
diffusione capillare sul territorio.
D'altronde l'assimilazione in via normativa
delle infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
medesime non siano avulse dall'insediamento
abitativo, ma debbano porsi al servizio
dello stesso (Corte Costituzionale n.
307/2003; Corte Costituzionale n. 331/2003;
Cons. Stato, sez. VI, n. 5258/2009; Cons.
Stato, sez. VI, 17-07-2008 n. 3594; cfr.
anche Cons. Stato, sez. VI, 28-03-2007 n.
1431).
3. Il potere comunale non può spingersi fino
al punto di ritenere che al comune sia
consentito di introdurre limiti
generalizzati d'esposizione ai campi
magnetici diversi da quelli previsti dallo
Stato, ovvero di costituire deroghe
pressoché generalizzate rispetto a tali
limiti statali per il tramite di
generalizzate interdizioni localizzative,
essendo al più consentita l'individuazione
di specifiche e diverse misure
precauzionali, la cui idoneità al fine della
minimizzazione emerga dallo svolgimento di
compiuti ed approfonditi rilievi istruttori
sulla base di risultanze di carattere
scientifico, sicché deve ritenersi esulare
dalle competenze comunali l'imposizione, in
sede di pianificazione urbanistica, di
generalizzati divieti di installazione degli
impianti di telefonia mobile, e ciò sia per
la inammissibile finalità indirettamente
sanitaria della misura, sia per l'avvenuta
assimilazione normativa di tali impianti
alle opere di urbanizzazione primaria,
compatibili come tali con ogni destinazione
di zona (Cons. Stato, sez. VI, 10-05-2007 n.
2241; Cons. Stato, sez. VI, 03-09-2007 n.
5098; Cons. Stato, sez. VI, 27-07-2007 n.
4162; Cons. Stato, sez. VI, 16-12-2009 n.
8103, che conferma TAR Veneto, sez. II, n.
149/2004).
4. Al Giudice Amministrativo è consentito
disapplicare la norma secondaria di
regolamento, qualora essa contrasti con la
norma di legge, ai fini della decisione
sulla legittimità del provvedimento
amministrativo (Cons. Stato, sez. VI,
29-05-2008 n. 2536; Cons. Stato, sez. VI,
03-10-2007 n. 5098; TAR Lombardia Milano,
sez. II, 19-02-2009 n. 1322).
5. Allorché la lesione consegua
all'emanazione del provvedimento applicativo
di quello generale, il termine per
impugnare, contestando le prescrizioni
generali in concreto applicate, decorre
dalla conoscenza del provvedimento che ne fa
applicazione; quest'ultimo, infatti, è
quello che comporta l'attualità e la
concretezza della lesione della situazione
soggettiva protetta (Cons. Stato, sez. VI,
08-09-2009 n. 5258) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 14.07.2010 n. 2949 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Risarcimento del danno derivante da
ordinanze contingibili e urgenti.
Va affermata la legittimazione passiva
dell’amministrazione comunale in ordine a
domande di risarcimento di danni derivanti
da ordinanze contingibili e urgenti, in
quanto, pur agendo il sindaco in veste di
organo dello Stato (ufficiale del governo) e
quindi di organo a servizio di più enti,
egli opera nel quadro del complesso
organizzatorio comunale quale elemento di
tale complesso con la conseguente
responsabilità del comune, e non dello
Stato, degli atti posti in essere dal
sindaco nella suddetta qualità (seppur
con un diverso percorso argomentativo alle
stesse conclusioni è giunto Consiglio di
Stato, sez. V, 13.08.2007, n. 4448, con cui
è stata affermata la legittimazione passiva
del solo comune per l’azione di annullamento
degli atti posti in essere dal sindaco quale
ufficiale del governo sulla base di
considerazioni estese anche alla domanda di
risarcimento, pur non escludendo, a priori,
una responsabilità dello Stato per i danni
cagionati dall'esercizio del potere di
ordinanza sindacale, basata su un titolo
diverso da quello dell'imputazione
soggettiva dell'atto) (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 13.07.2010 n. 4529 -
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EDILIZIA PRIVATA: Secondo il Consiglio di Stato è corretta la
decisione del Giudice che esclude che il
ricorrente possa usufruire dell'esenzione
dal pagamento degli oneri concessori, in
ordine alla realizzazione di un edificio da
adibire a ristorante, self-service, bar e
pizzeria, atteso che tale attività, non
rientrando nelle attività industriali o
artigianali, non può beneficiare di tale
esenzione.
L’art. 10 della legge 28.01.1977 n. 10 (c.d.
legge Bucalossi) distingue, ai fini della
determinazione del contributo di
costruzione, gli edifici o impianti
destinati ad attività industriale e
artigianale dirette alla trasformazione dei
beni e alla prestazione di servizi, dalle
costruzioni od impianti destinati ad
attività turistiche, commerciali o
direzionali, prevedendo per i primi
manufatti le agevolazioni contributive ed
escludendole per i secondi.
Ora, parte interessata rivendica
l’applicazione della norma di favore di cui
al primo comma del citato art. 10, asserendo
come l’attività svolta nell’immobile oggetto
della concessione edilizia sarebbe di tipo
industriale o artigianale; ma al riguardo il
Collegio deve rilevare che nella specie non
sussiste il presupposto di fatto e di
diritto per farsi luogo al riconoscimento
della chiesta esenzione dall’onere
contributivo in discussione.
Invero, come pacificamente risulta dalle
risultanze documentali, la concessione
edilizia per cui è causa è stata rilasciata
per la realizzazione di un edificio
destinato ad ospitare un’attività di
ristorante, self-service, bar e pizzeria; ed
è dunque con esclusivo riferimento a tali
tipologie di attività che occorre indagare
in ordine alla natura dell’impresa che in
tale fabbricato si va ad esercitare, ai fini
della sussistenza o meno in capo alla
Società ricorrente del diritto all’esenzione
qui rivendicato.
Ora, se si vuole dare consistenza al
contenuto delle attività sopra descritte,
quanto all’accezione logica e naturale del
concetto di commercio, deve convenirsi come
è correlata ad un’attività di ristorante,
self-service, bar e pizzeria l’effettuazione
di operazioni di scambio di beni o prodotti
e non v’è dubbio che un’attività di vendita
di tal genere è certamente prevalente
rispetto al confezionamento dei prodotti
oggetto di scambio.
Un riscontro di tale differenziazione tra
attività di tipo industriale e attività di
tipo commerciale è ravvisabile, poi, come
peraltro già messo in luce dal primo
giudice, nelle definizioni recate dall’art.
2195 codice civile, lì dove si distingue
un’attività industriale diretta alla
produzione di beni o di servizi ed
un’attività intermediaria nella circolazione
dei beni, qual è, appunto, quella
commerciale.
L’appellante, a sostegno della sua pretesa
all’esenzione in questione, adduce la
circostanza per cui nella specie l’impresa
di ristorazione non si limita alla vendita
dei prodotti, ma si occupa della
elaborazione delle vivande e in ciò stesso
si dovrebbe ravvisare un’attività
(artigianale o industriale) qualificabile
come produttiva di un servizio.
La tesi, per quanto suggestiva, non appare
condivisibile, venendo, in particolare,
smentita dal fatto che la preparazione dei
prodotti attiene ad una fase del tutto
eventuale e meramente propedeutica e che
viene comunque assorbita dall’attività di
distribuzione dei prodotti, che è e rimane
la connotazione naturale e prevalente
dell’attività di ristorazione ed in
relazione alla quale il soggetto gestore
dell’attività imprenditoriale in questione
consegue il suo utile economico.
Se così è, dunque, deve convenirsi che nella
specie non appare sussistente in capo
all’appellante la condicio juris
della presenza di un’attività industriale o
artigianale, indispensabile per farsi luogo
all’esenzione dal contributo concessorio ai
sensi del più volte citato art. 10 della
legge n. 10/1977, di talché devono
condividersi le conclusioni cui è pervenuto
il Tar (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza
12.07.2010 n. 4488 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche per l’annullamento dell’autorizzazione
paesaggistica è indispensabile la preventiva
comunicazione di avvio del procedimento.
Possono ormai
considerarsi superati, infatti, i diversi
orientamenti giurisprudenziali e
legislativi, emersi in ordine alla
applicabilità, o meno, del predetto istituto
al sub-procedimento di controllo, rimesso
all’Autorità statale in ordine alle
autorizzazioni paesaggistiche rilasciate
dall’ente territoriale delegato. In assenza
di specificazioni normative, la
giurisprudenza si era in prevalenza
orientata nel senso di ritenere sussistente
l’obbligo di comunicazione di avvio in
rapporto alla procedura in questione, quale
nuova modalità dialettica di esercizio della
funzione amministrativa, in una dimensione
di massima trasparenza nei rapporti tra
cittadini e Autorità pubbliche (cfr. in tal
senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI,
03.02.2004, n. 342, 25.03.2004, n. 1626,
14.01.2003, n. 119, 02.09.2003, n. 4866).
Tale orientamento, tuttavia, era stato
superato dalla espressa abrogazione
normativa dell’obbligo di cui si discute, in
base al rinvio operato dall’art. 4 del D.M.
13.06.1994, n. 495 e s. m. (regolamento
contenente disposizioni attuative della
legge n. 241/1990, comma 1-bis, aggiunto dal
D.M. 19.06.2002, n. 165) all’art. 151 del
D.Lgs. 29.10.1999, n. 490 (cfr. anche Cons.
St., sez. VI, 01.07.2003, n. 2835, TAR
Lazio, Roma, sez. II, 20.01.2004, n. 497).
La norma introdotta dall’art. 2 del citato
D.M. n. 165/2002 (divenuta art. 1-bis del
regolamento attuativo degli articoli 2 e 4
della legge n. 241/1990, emanato con D.M. n.
495/1994) disponeva infatti –deve ritenersi,
dalla data di entrata in vigore della norma
stessa– che la comunicazione di avvio del
procedimento non fosse dovuta, da parte del
relativo funzionario responsabile, “per i
procedimenti avviati ad istanza di parte e,
in particolare, per quelli disciplinati
dagli articoli 21, 22, 23, 24, 25, 26, 35,
41, 43, 50, 51, 53, 55, 56, 59, 66, 68, 69,
72, 86, 102, 107, 108, 109, 113, 114, 151,
154 e 147 del decreto legislativo
29.10.1999, n. 490”, ovvero del Testo
Unico delle disposizioni legislative in
materia di beni culturali e ambientali, che
appunto nell’art. 151 disciplinava l’invio
delle autorizzazioni paesaggistiche alla
competente Soprintendenza, con facoltà di
annullamento delle medesime autorizzazioni,
da parte del Ministero, entro 60 giorni.
Dall’entrata in vigore del nuovo Codice dei
beni culturali (D.Lgs. n. 42 del 22.01.2004)
–e fino alle modifiche al medesimo apportate
(ma non specificamente sul punto che qui
interessa), dall’art. 2, comma 1, punto “hh”
del D.Lgs. 26.03.2008, n. 63– veniva invece
previsto che, nell’ambito del regime
transitorio in materia di autorizzazione
paesaggistica, contenuto nell’art. 159 del
medesimo D.Lgs. n. 42/2004,
l’Amministrazione competente al rilascio
dell’autorizzazione stessa desse immediata
comunicazione alla Soprintendenza delle
autorizzazioni rilasciate, con contestuale
invio di tale comunicazione agli
interessati, quale “avviso di inizio del
procedimento, ai sensi e per gli effetti
della legge 07.08.1990, n. 241”.
In base alla predetta disposizione non può
che ritenersi superata –per l’effetto
abrogativo proprio della norma sopravvenuta
di rango superiore– la soppressione del
momento partecipativo introdotto con la
comunicazione di avvio del procedimento, ai
sensi del ricordato art. 4, comma 1-bis, del
D.M. 13.06.1994, n. 495, come modificato dal
D.M. 19.06.2002, n. 165 (cfr. in tal senso
Cons. St., sez. VI, 07.01.2008, n. 30;
13.02.2009, n. 771, 21.03.2006, n. 1506).
Alla data di emanazione (06.12.2007)
dell’atto di annullamento di cui si discute,
pertanto, il privato richiedente
l’autorizzazione doveva ricevere
comunicazione dell’avvio del
sub-procedimento di controllo, attivato con
l’invio dell’autorizzazione paesaggistica
comunale alla Soprintendenza.
La censura a tale riguardo prospettata
(nell’unica forma possibile per
l’interessato, consapevole solo di non avere
avuto alcuna conoscenza della fase
procedurale, conclusasi con l’annullamento)
implicava l’onere per l’Amministrazione
comunale competente di comprovare, ove
sussistente, l’avvenuta comunicazione di cui
al più volte citato art. 159 D.Lgs. n.
42/2004.
Non appare condivisibile, pertanto,
l’argomentazione contenuta nella sentenza
appellata, secondo la quale la censura in
esame sarebbe stata introdotta solo con
memoria difensiva: la parte interessata,
infatti, aveva formalmente contestato con
l’atto introduttivo del giudizio l’omessa
comunicazione di avvio del procedimento e
solo precisato in memoria che –dovendo
consistere tale comunicazione nella notizia,
da parte del Comune, dell’invio
dell’autorizzazione alla Soprintendenza–
tale comunicazione era di fatto mancata,
senza puntuali controdeduzioni al riguardo
da parte dell’Amministrazione comunale.
La censura deve quindi ritenersi fondata,
con conseguente accoglimento dell’appello
sotto tale profilo, mentre appaiono
meritevoli di conferma i capi della
decisione riferiti all’insussistenza
dell’obbligo, di cui all’art. 10-bis della
legge n. 241/1990 (preavviso di rigetto,
previsto in via esclusiva per i procedimenti
avviati su istanza di parte), nonché a
violazione dello stesso art. 159 del D.Lgs.
n. 42/2004 sotto altro profilo, per avere la
Soprintendenza annullato l’autorizzazione
paesaggistica per ragioni di merito e non di
mera legittimità.
Per quanto riguarda il preavviso di rigetto,
infatti, non è possibile individuarne i
presupposti nell’ambito di una procedura di
controllo attivata ex lege, i cui
soggetti di riferimento sono il Comune
(emanante l’atto controllato) e la
Soprintendenza (quale autorità statale
controllante).
Il riscontro da effettuare, inoltre, non
poteva certamente implicare una
sovrapposizione delle valutazioni di merito
della stessa Soprintendenza, rispetto a
quelle dell’autorità delegata, ma doveva
essere effettuato per qualsiasi vizio di
legittimità, ivi compreso l’eccesso di
potere in ogni figura sintomatica
(sviamento, insufficiente motivazione,
difetto di istruttoria, illogicità
manifesta: cfr. in tal senso Cons. St., Ad.
Plen. 14.12.2001, n. 9).
Proprio la suddetta dimensione del controllo
giustificava, d’altra parte, la prevista
possibilità di partecipazione al
procedimento del soggetto direttamente
interessato, in grado di fornire un apporto
conoscitivo su quelli, che debbono ritenersi
i parametri –valutabili in via di riscontro
di legittimità– dell’attività discrezionale
dell’Amministrazione. Sicuramente
riconducibile a tali parametri era, come
rilevato nel caso di specie, la non esatta
rappresentazione dello stato dei luoghi e la
conseguente inadeguatezza dell’apprezzamento
espresso dal Comune, in violazione del
vincolo paesaggistico gravante sull’area.
Quanto sopra, ovviamente, secondo le ragioni
esposte nell’atto di annullamento e
condivise nella sentenza appellata.
Tali ragioni –benché condivisibili in
astratto (poiché rientranti nei poteri di
accertamento della Soprintendenza)– potevano
tuttavia essere contestate in concreto, a
seguito di un’istruttoria che consentisse la
partecipazione del soggetto interessato.
La preclusione di detto apporto
partecipativo è sufficiente, dunque, perché
si debba giungere all’accoglimento
dell’appello e, in riforma della sentenza
gravata, all’annullamento dell’atto
impugnato in primo grado di giudizio, con
conseguente nuovo avvio della procedura di
controllo non legittimamente espletata,
sulla base di una più ampia cognizione dei
presupposti di fatto nella fattispecie
rilevanti (esistenza, o meno, di una fascia
di macchia mediterranea da preservare, e
limiti di compatibilità dell’intervento
edilizio –da effettuare secondo le modalità
risultanti dal relativo progetto– rispetto
ai valori paesaggistici del sito)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 17.06.2010 n. 3846
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Ai sensi dell'art. 23-bis, comma 9,
del D.L. 112/2008, una società a capitale
prevalente pubblico, affidataria in house di
servizi pubblici, non può partecipare a gare
d' appalto per la gestione di servizi
pubblici locali. Non rileva neppure il fatto
di essere controllata da altra società
pubblica quotata in borsa. La deroga ,
eccezionale, per le società quotate si
applica solo ad esse
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.06.2010 n. 1845 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI: Documenti sottratti all'accesso
in caso di indagine penale.
Con la sentenza annotata la I sezione del
TAR Lombardia nega l'accesso di consiglieri
comunali a documentazione di cui la Procura
della Repubblica ha chiesto copia per
indagini di carattere penale. Trattasi di
decisione discutibile, poiché la semplice
sussistenza di indagini da parte della
magistratura inquirente non sembra
situazione in grado di giustificare la
sottrazione all'accesso di documenti in
possesso della P.A. (né tale situazione
appare contemplata dalle norme vigenti).
In via di
principio, i consiglieri comunali hanno
l'incondizionato diritto di accesso a tutti
gli atti che possano essere d'utilità
all'espletamento del loro mandato,
prerogativa prevista dalla legge anche al
fine di permettere loro di valutare -con
piena cognizione- la correttezza e
l'efficacia dell'operato
dell'amministrazione, nonché per promuovere,
anche nell'ambito del consiglio comunale, le
iniziative che spettano ai singoli
rappresentanti del corpo elettorale locale,
avendo il diritto di accesso riconosciuto a
questi ultimi dall'art. 43 del d.lgs.
18.08.2000, n. 267 una ratio diversa
da quella che contraddistingue il generale
diritto di accesso ai documenti
amministrativi, riconosciuto a chi sia
portatore di un "interesse diretto,
concreto e attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto
l'accesso" ai sensi degli artt. 22 e ss.
della legge 07.08.1990, n. 241, non
incontrando alcuna limitazione derivante
dalla natura eventualmente riservata del
documento, atteso che il consigliere è
vincolato all'osservanza del segreto.
Il riconoscimento di tale diritto, in quanto
utile allo svolgimento del mandato
rappresentativo, incontra il limite
funzionale per cui tale strumento non deve
essere piegato a strategie ostruzionistiche
o di paralisi dell'attività amministrativa,
con istanze ripetute che, a causa del loro
numero, possano tradursi in un aggravio se
non nella paralisi del lavoro negli uffici
ai quali sono rivolte, o per determinare un
sindacato generale sull'attività
dell'amministrazione, vietato dall'art. 24,
comma 3, della legge n. 241 del 1990;
Il diniego di accesso può essere opposto
dall'amministrazione con provvedimento
motivato in relazione alla salvaguardia
degli interessi di cui all'art. 24 della
legge 07.08.1990 n. 241, come per gli atti
sottoposti ad indagini preliminari nel
procedimento penale, ove vengono in rilievo
poteri istruttori ed investigativi che
rientrano nel segreto regolato dall'art. 329
c.p.p. e rispetto ai quali non può
esercitarsi l'accesso, sottoposto
legittimamente a differimento fino alla
conclusione del procedimento penale.
Nella fattispecie in questione, i documenti
dei quali è stato richiesto l’accesso sono
stati acquisiti dalla Procura della
Repubblica di Monza a seguito di esposto
presentato dal comune intimato, come risulta
dalla documentazione versata in atti e che,
di conseguenza, l’amministrazione resistente
legittimamente ha disposto il differimento
dell’accesso a tale documentazione almeno
fino alla conclusione delle indagini
istruttorie del procedimento penale
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 20.05.2010 n. 1578 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Enti
locali, gli atti sotto giudizio. Un parere
del Consiglio di stato chiarisce che l'art.
138 del Tuel deve essere considerato
vigente. Il governo può sempre annullare i
provvedimenti illegittimi.
Vigente e operativo il potere del governo
centrale di annullare gli atti degli enti
locali viziati da illegittimità, previsto
dall'articolo 138 del dlgs 267/2000.
La riforma della Costituzione operata con la
legge costituzionale 3/2001 non ha, quindi,
inciso sul potere governativo di intervenire
a garanzia della legittimità degli atti
degli enti locali, prevedendo, semmai, più
rigorosi strumenti partecipativi a garanzia
dell'autonomia locale.
Il Consiglio di Stato, Sez. I, col
parere 20.10.2004 n.
9771 interviene, sia pure
indirettamente, in maniera decisiva per
chiarire uno tra gli aspetti interpretativi
più controversi della riforma della
Costituzione ...
(articolo ItaliaOggi
del 10.12.2004, pag. 70). |
AGGIORNAMENTO AL 19.07.2010 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel bottone
MODULISTICA è stato inserito il
fac-simile (modificabile a piacimento) di
comunicazione esecuzione interventi edilizi
liberi ex art. 6 DPR n. 380/2001. |
UTILITA' |
AMBIENTE-ECOLOGIA - VARI: Difendersi
da zanzare tigre e zecche.
Regione Lombardia ha realizzato una scheda
informativa su un tema che è di stretta
attualità nei mesi estivi: le punture delle
zanzare tigre e delle zecche come possibili
cause di trasmissione di alcune malattie.
La scheda allegata contiene sintetiche
descrizioni dei due insetti e semplici
consigli per proteggersi dalle loro punture
(link a www.sanita.regione.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dalla Protezione civile le "Linee guida
per la riparazione e il rafforzamento di
elementi strutturali, tamponature e
partizioni".
Il Dipartimento della Protezione Civile ha
predisposto un aggiornamento delle "Linee
guida per la riparazione e il rafforzamento
di elementi strutturali, tamponature e
partizioni" rilasciate (in bozza)
nell’agosto 2009.
Ricordiamo che tali linee guida sono state
redatte con l'obiettivo di fornire un
supporto alla progettazione degli interventi
sulle strutture colpite dal sisma
dell’Abruzzo del 06.04.2009, in particolare
per quelle classificate, secondo le
procedure stabilite dal Dipartimento della
Protezione Civile, con esito di agibilità B
o C.
Questi sono alcuni degli interventi
illustrati nel documento: ...
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Alle
demolizioni e ricostruzioni con ampliamento
non spetta la detrazione del 55%.
L’Agenzia delle Entrate ha emanato la
circolare 01.07.2010 n. 39/E con la quale
precisa che la demolizione e la
ricostruzione con ampliamento va considerata
alla pari dell’attività di “nuova
costruzione” e quindi non può usufruire
della detrazione del 55%.
Il beneficio è, invece, fruibile quando un
edificio esistente viene ristrutturato e
ampliato senza demolizione; in tal caso
l’agevolazione è ammissibile solo per le
spese riferibili alla parte esistente.
In quest’ultimo caso, comunque,
l’agevolazione non può riguardare gli
interventi di riqualificazione energetica
globale dell’edificio, previsti dall’art. 1,
c. 344, della Legge n. 296 del 2006 in
quanto per tali interventi occorre
individuare il fabbisogno di energia
primaria annua riferita all’intero edificio,
comprensivo, pertanto, anche
dell’ampliamento.
Sono, invece, agevolabili gli interventi
previsti dai commi 345 (pareti, coperture,
finestre), 346 (pannelli solari termici) e
347 (sostituzione del generatore) dell’art.
1 della citata L. 296 del 2006, per i quali
la detrazione è subordinata alle
caratteristiche tecniche dei singoli
elementi costruttivi (pareti, infissi ecc.)
o dei singoli impianti (pannelli solari,
caldaie ecc).
Con la circolare del 31.05.2007, n. 36/E,
l’Agenzia aveva già precisato che nel caso
di ristrutturazioni con demolizione e
ricostruzione si può accedere all’incentivo
esclusivamente nell’ipotesi di fedele
ricostruzione, ravvisando nelle altre
fattispecie il concetto di “nuova
costruzione”.
La Circolare dell’Agenzia delle Entrate
01.07.2010 n. 39/E fornisce chiarimenti
anche sulle spese relative all’acquisto
dell’abitazione principale:
- detrazione d’imposta dei compensi pagati
per l’intermediazione immobiliare
dell’acquisto dell’unità immobiliare da
adibire ad abitazione principale (art. 15,
comma 1, lettera b-bis), del TUIR);
- interessi passivi pagati per l’acquisto
dell’abitazione principale.
- acquisto di un immobile da ristrutturare
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO: Gli
atti del convegno "La valutazione del
rischio stress lavoro correlato e la
promozione del benessere organizzativo”.
Il prossimo 1° agosto scadono i termini per
effettuare la valutazione dei rischi da
stress lavoro correlato ai sensi dell'art.
28 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. (T.U.S).
Con l'approssimarsi della scadenza le ASL
del Veneto hanno organizzato un convegno sul
tema al fine di evidenziare e discutere le
problematiche legate al nuovo adempimento,
anche in considerazione del fatto che le
indicazioni della Commissione consultiva
permanente per la salute e sicurezza sul
lavoro previste dal TUS, come riferimento
necessario alla valutazione, non sono ancora
state emanate.
A Verona il 07.07.2010 si quindi è tenuto il
convegno "La valutazione del rischio
stress lavoro correlato e la promozione del
benessere organizzativo”.
Gli atti del convegno che ha visto la
partecipazione di docenti ed esperti sono
disponibili on line: ...
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Dall'ENEA
il rapporto "Le fonti rinnovabili 2010”.
L'ENEA ha pubblicato il rapporto "Le
fonti rinnovabili 2010”.
Il documento analizza la diffusione e la
crescita della produzione di energia da
fonte rinnovabile in Italia, in Europa e nel
mondo, ipotizzando gli scenari futuri e le
possibilità di ulteriore crescita.
Il rapporto, dopo aver illustrato la
situazione delle rinnovabili a livello
internazionale e a livello nazionale,
esamina la situazione a livello locale
(regioni, comuni).
L'ENEA effettua un'attenta disamina delle
incentivazioni e del mercato delle
rinnovabili in Italia analizzando il costo
degli incentivi alle rinnovabili e
l'efficacia delle politiche e sviluppo della
rete.
In appendice sono riportate schede
tecnologiche che illustrano le possibilità
di sviluppo delle diverse fonti rinnovabili:
...
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO: Il
manuale dell’INAIL "Il lavoro al
videoterminale".
L’utilizzo del
videoterminale, soprattutto se prolungato,
può provocare qualche disturbo,
essenzialmente per l’apparato
muscolo-scheletrico e per la vista, o
problemi di affaticamento mentale. I
disturbi che i lavoratori addetti ai
videoterminali possono accusare sono:
- disturbi alla vista e agli occhi;
- problemi legati alla postura;
- affaticamento fisico e mentale.
Mal di testa, rigidità alla nuca, bruciore
agli occhi, lacrimazione, dolori in
corrispondenza di spalle, braccia e mani
sono i disturbi che più frequentemente
interessano gli addetti ai videoterminali.
Negli ultimi anni questi disturbi sembrano
essere più frequenti e ciò può essere
spiegato da un lato con la maggiore
diffusione del videoterminale, dall’altro
con i ritmi di lavoro più stressanti.
Tuttavia, osservando alcune norme di buona
pratica è possibile prevenirli.
L'Inail ha reso disponibile l'edizione 2010
della pubblicazione "Il lavoro al
videoterminale", aggiornata secondo le
indicazioni del D.Lgs. 81/2008 e del D.Lgs.
106/2009.
Il documento può essere utilizzato dai
datori di lavoro per informare correttamente
sui rischi a cui sono esposti i lavoratori
che utilizzano abitualmente il
videoterminale e per spiegare loro come
sistemare la postazione di lavoro e usare le
apparecchiature in modo corretto,
supportandoli nella esecuzioni degli
adempimenti previsti dal D.Lgs. 81/2008.
La pubblicazione è articolata nei seguenti
capitoli:
1. Come evitare i disturbi associati
all’uso del videoterminale;
2. Videoterminale, tastiera e mouse;
3. Condizioni ambientali;
4. Il corretto posizionamento del
videoterminale;
5. Piano di lavoro, sedia, poggiapiedi;
6. La postazione di lavoro;
7. Uso dei computer portatili;
8. I disturbi alla vista;
9. Affaticamento mentale;
10. Fare prevenzione: esercizi di
rilassamento e altre raccomandazioni;
11. Lista di controllo.
In appendice è riportato il testo della
normativa di riferimento:
- Titolo VII e Allegato XXXIV del D.Lgs.
81/2008;
- D.M. 02/10/2000 - Linee guida d’uso dei
videoterminali;
- Circolare 20/04/2001 n. 5/2001
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Da SUVA la check-list per la sicurezza nei
cantieri all'aperto nei giorni di canicola.
Durante i periodi di caldo intenso
l’organismo è fortemente sollecitato,
soprattutto se l’umidità atmosferica è molto
elevata. Le persone più colpite sono quelle
che svolgono lavori fisici all’aperto. A
soffrirne maggiormente è l’apparato
circolatorio. Le temperature molto elevate
possono causare crampi, esaurimento fisico
o, nella peggiore delle ipotesi, un colpo di
calore.
I raggi ultravioletti (UV) raggiungono in
estate i valori massimi giornalieri tra le
11:00 e le 15:00; essi, per intensità
elevate, possono provocare tumori della
pelle e lesioni oculari.
Quando l’irraggiamento solare è molto
intenso, soprattutto in estate, inoltre, si
forma l’ozono (con valori massimi
all’incirca tra le 16:00 e le 18:00).
L’ozono che si forma in prossimità del suolo
(ozono troposferico) ha l’effetto di un gas
irritante: una prolungata esposizione ad
elevate concentrazioni di ozono può
provocare bruciore agli occhi, irritazioni
della gola e della faringe, insufficienza
respiratoria e mal di testa.
L'intenso irraggiamento solare quindi può
rendere più pericoloso il lavoro nei
cantieri all'aperto.
Per poter valutare e gestire meglio le
situazioni di pericolo derivanti
dall’esposizione all’intenso irraggiamento
solare Suva ha realizzato una specifica
check-list, che costituisce un utile
supporto per responsabili della sicurezza,
coordinatori della sicurezza e datori di
lavoro
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO: Associazioni
sportive e sociali e D.Lgs. 81/2008.
La Regione Veneto, con il parere del
22.06.2010, ha fornito alcuni chiarimenti
sulle modalità di applicazione delle
normative in tema di prevenzione della
salute e sicurezza (D.Lgs. 81/2008) per le
associazioni sportive e le associazioni di
promozione sociale.
Coloro che collaborano con tali associazioni
a titolo gratuito o ricevono semplici
rimborsi spese sono equiparati, secondo la
Regione Veneto, ai volontari.
Tali soggetti dovranno:
a) utilizzare attrezzature di lavoro in
conformità alle disposizioni di cui al
titolo III;
b) munirsi di dispositivi di protezione
individuale ed utilizzarli conformemente
alle disposizioni di cui al titolo III;
e) ove svolgano la propria attività
nell'ambito del l'organizzazione di un
datore di lavoro, questi è tenuto ad
adottare le misure utili ad eliminare e, ove
ciò non sia possibile, ridurre al minimo i
rischi da interferenze tra la prestazione
del volontario e le altre attività svolte,
nell'ambito della medesima organizzazione,
dal personale dipendente;
d) Inoltre, il titolare dell'organizzazione
(Presidente dell'Associazione) è tenuto a
fornire loro dettagliate informazioni sui
rischi specifici esistenti negli ambienti in
cui il volontario è chiamato ad operare e
sulle misure di prevenzione e di emergenza
adottate in relazione alla propria attività
...
(link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
13.07.2010 n. 161 " Modifiche ed
integrazioni al decreto 17.12.2009, recante
l’istituzione del sistema di controllo della
tracciabilità dei rifiuti, ai sensi
dell’articolo 189 del decreto legislativo n.
152 del 2006 e dell’articolo 14 -bis del
decreto-legge n. 78 del 2009, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 102 del
2009"
(D.M. 09.07.2010). |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
13.07.2010 n. 161 "Modifica degli
allegati al decreto 22.01.2008, n. 37,
concernente il regolamento in materia di
attività di installazione degli impianti
all’interno degli edifici"
(D.M. 19.05.2010). |
ATTI AMMINISTRATIVI: G.U.
07.07.2010 n. 156, suppl. ord. n. 148/L, "Attuazione
dell’articolo 44 della legge 18.06.2009, n.
69, recante delega al governo per il
riordino del processo amministrativo" (D.Lgs.
02.07.2010 n. 104).
La suddetta norma è scaricabile
anche qui (link a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria 05.07.2010 n. 27,
"Modalità di finanziamento agli Enti
locali per lo sviluppo del Database
Topografico, a supporto del SIT integrato
per l’anno 2010" (deliberazione
G.R. 23.06.2010 n. 160 - link a www.infopoint.it). |
QUESITI |
EDILIZIA PRIVATA:
Soggetto deputato ad irrogare la sanzione
amministrativa ex art. 167 D.Lgs. n. 42/2004
(compatibilità paesaggistica)
(risposta e-mail del
13.07.2010 della Regione Lombardia). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Quesiti relativi al servizio di
trasporto rifiuti gestito da Consorzio.
Vengono posti alcuni quesiti in relazione al
servizio di trasporto dei rifiuti
(Regione Piemonte,
parere n.
65/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di impianto
fotovoltaico nuovo su area in classe IIIb3.
Compatibilità e legittimità geologica
dell’impianto.
Il Comune (omissis) chiede parere del
Servizio scrivente in ordine alla
possibilità di realizzare su una area che
ricade in classe IIIb3 un nuovo impianto
fotovoltaico, finalizzato alla produzione e
cessione di energia elettrica alla rete
nazionale.
Il progetto consisterebbe nella posa di
pannelli fotovoltaici su una platea di
cemento armato già presente sul lotto ed il
recupero di un fabbricato esistente per
trasformarlo in cabina di trasformazione.
Il Comune suddetto chiede se l’intervento
sopra descritto –ad avviso dello stesso
compatibile dal punto di vista urbanistico-
sia legittimo e compatibile dal punto di
vista geologico, considerando altresì che il
carico antropico dovrebbe risultare quasi
nullo perché l’impianto avrebbe bisogno di
poca manutenzione
(Regione Piemonte,
parere n.
64/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
URBANISTICA:
Modifica del P.R.G. vigente
tramite Variante parziale. Possibilità.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente
in ordine alla tipologia di Variante al
Piano regolatore da utilizzare nel caso in
cui si voglia apportare una determinata
modifica ad un articolo della N.T.A. del
P.R.G.C. vigente.
Nello specifico il Comune si interroga sulla
legittimità di ricondurre tale modifica ad
una Variante parziale, e non ad una Variante
strutturale, alla luce del fatto che la
norma in questione riguarda l’approvazione
di un Piano Cave Comunale per la disciplina
delle attività estrattive nell’ambito del
Parco agrofluviale del fiume Orco
(Regione Piemonte,
parere n.
60/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Procedura amministrativa da
seguire per installazione impianto
biotecnologico fotovoltaico.
La Comunità Montana (omissis), chiede parere
del Servizio scrivente in ordine alla
procedura amministrativa da seguire per
l’installazione di un impianto
bio-tecnologico fotovoltaico tramite la
costruzione di serre con copertura in
pannelli fotovoltaici (Regione Piemonte,
parere n.
59/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
URBANISTICA:
Corretta procedura da seguire per
l’adozione di atti di natura urbanistica,
con assoggettamento alla valutazione
ambientale strategica
(Regione Piemonte,
parere n.
49/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Inquinamento acustico. Quesito in merito
alla competenza in capo alle Amministrazioni
ai sensi della legge 447/1995 e della l.r.
13/2001
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Qualità dell'Ambiente,
nota 23.02.2005 n. 4244 di prot.). |
SINDACATI |
ENTI LOCALI:
Il DDL Codice Autonomie: Individuazione
delle funzioni fondamentali di Province e
Comuni, semplificazione dell’ordinamento
regionale e degli enti locali, nonché delega
al Governo in materia di trasferimento di
funzioni amministrative, Carta delle
autonomie locali. Riordino di enti ed
organismi decentrati:
-
file 1 -
file 2 (CISL-FPS
di Bergamo - note 09.07.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Gli assegni al nucleo
famigliare - Le tabelle aggiornale al 2010
(CGIL di Bergamo - nota luglio 2010). |
PUBBLICO IMPIEGO: Pensioni,
le ultima novità
(CGIL di Bergamo - nota luglio 2010). |
NOTE,
CIRCOLARI & COMUNICATI |
SICUREZZA LAVORO: Distribuzione
gratuita di 15.000 lettori della Carta
Regionale dei Servizi (CRS) per la
trasmissione informatizzata della notifica
preliminare di avvio lavori nei cantieri
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Sanità,
nota
12.07.2010 n. 24366 di prot.). |
APPALTI: Comunicazione
dati dei contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture ai sensi degli artt. 6 e
7 del D.Lgs. 163/2006 "Codice dei Contratti
Pubblici"
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Infrastrutture e Mobilità, Infrastrutture
Viarie e Aeroportuali, Opere Pubbliche,
nota 23.06.2010 n.
43217 di prot.). |
URBANISTICA: Indicazioni
operative sulla verifica della componente
geologica dei P.G.T. da parte delle Province
(regione Lombardia, Direzione Generale
Territorio e Urbanistica,
nota 03.08.2009 n.
15628 di prot.). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: W.
Fumagalli,
Le nuove
modifiche della 44 Legge Regionale 12/2005 (AL
n. 5/2010). |
APPALTI: F.
Barchielli,
LE GARANZIE FIDEIUSSORIE NEGLI APPALTI
PUBBLICI E PRIVATI - Fideiussioni bancarie,
assicurative, degli intermediari finanziarie
e dei Confidi
(link a www.urbanisticaitaliana.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: P.
Russo e M. I. Bruno,
La disciplina della revoca degli incarichi
dirigenziali negli enti locali tra riforma
brunetta e manovra anticrisi
(link a www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: G.
Musso Piantelli,
Quali motivi di mancata partecipazione a
riunioni di organi collegiali possano dirsi
“giustificati” così da impedire la
decadenza dall’ufficio
(link a www.diritto.it). |
APPALTI: R.
De Nictolis,
Il recepimento della direttiva ricorsi nel
codice appalti e nel nuovo codice del
processo amministrativo
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Uguali offerte: La sorte decide una volta
sola (link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI SERVIZI:
M. F. Panaro,
Il divieto di partecipazione alle gare per i
soggetti che gestiscono servizi pubblici in
affidamento diretto (link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
M. Alesio,
IL RECEPIMENTO DELLA “DIRETTIVA RICORSI”
E LE CONNESSE MODIFICAZIONI AL CODICE DEI
CONTRATTI PUBBLICI (giugno 2010 -
link a
www.centrostudimarangoni.it). |
APPALTI:
M. Faviere,
La verifica dei requisiti di gara
(determinazione n. 1/2010 AVLP)
(aprile 2010 - link a
www.centrostudimarangoni.it). |
APPALTI SERVIZI:
M. Alesio,
I servizi pubblici locali dopo il D.L.
135/2009 - I SERVIZI PUBBLICI LOCALI
NELL’ULTIMO AMBIZIOSO TENTATIVO DI
MICRORIFORMA (novembre 2009 -
link a
www.centrostudimarangoni.it). |
APPALTI:
M. Faviere,
Appalti pubblici: le novità legislative
(ottobre 2009 - link a
www.centrostudimarangoni.it). |
APPALTI:
M. Alesio,
LE PROCEDURE NEGOZIATE ALLA LUCE DELLE
ULTIME NOVITA’ (luglio 2009 -
link a
www.centrostudimarangoni.it). |
NEWS |
PUBBLICO IMPIEGO:
COLLEGAMENTO IN RETE DEI MEDICI E RICETTA
ELETTRONICA - Avvio a regime per la Regione
Lombardia.
Il Ragioniere Generale dello Stato ha
firmato il decreto che fissa all'01.10.2010
la data di avvio a regime nella regione
Lombardia della operatività della ricetta
elettronica, mediante il collegamento
telematico in rete dei medici prescrittori.
Trattasi di una significativa evoluzione del
progetto Tessera Sanitaria, di cui all'art.
50 della L. 326/2003, gestito dal
MEF-Ragioneria Generale dello Stato,
unitamente al Ministero della salute.
Infatti, l'attuale Sistema rende già
disponibili, entro 20 giorni dalla fine di
ogni mese, alle singole regioni gli
strumenti informatizzati finalizzati al
monitoraggio puntuale, standardizzato e
tempestivo delle prescrizioni mediche,
consentendo, in particolare, con riferimento
alla spesa farmaceutica:
- la verifica dell'appropriatezza
prescrittiva e dell'efficienza finanziaria
nell'utilizzo delle risorse;
- il confronto fra le regioni su indicatori
condivisi con l'AIFA inerenti le soglie di
appropriatezza prescrittiva, basate sul
comportamento prescrittivo registrato nelle
regioni con il miglior risultato.
Il progetto evolutivo riguardante la Regione
Lombardia consente la disponibilità
quotidiana on-line dei dati delle ricette
elettroniche di farmaceutica e specialistica
compilate dal medico, con il conseguente
potenziamento per la regione degli strumenti
di monitoraggio della spesa sanitaria.
E' in corso la verifica dell'evoluzione per
l'avvio a regime anche presso altre regioni.
Parallelamente, è in fase avanzata la messa
a disposizione per tutte le regioni dei dati
necessari per il controllo del diritto
all'esenzione per reddito dalla
compartecipazione del cittadino alla spesa
sanitaria per le prestazioni di
specialistica
(link a www.rgs.mef.gov.it). |
VARI: Dati
catastali e compravendita: sono conformi
tutte le planimetrie se le modifiche non
incidono sulla rendita.
Il D.L. 78/2010 impone ai venditori in sede
di rogito di dichiarare la perfetta
rispondenza allo stato di fatto della
planimetria catastale.
L'Agenzia del Territorio, con la circolare
09.07.2010 n. 2/2010, fornisce chiarimenti
(ritenuti necessari da più parti) sugli
obblighi introdotti dal comma 14, dell'art.
19 del D.L. 78/2010.
L'Agenzia ha precisato che in presenza di
difformità di scarsa rilevanza tra lo stato
di fatto di un immobile e la sua
configurazione catastale (spostamenti di
porte, tramezzi ecc.) non è obbligatorio
presentare la dichiarazione di variazione in
catasto poiché tali interventi non
modificano la rendita: la planimetria
catastale, quindi, è da considerarsi
conforme anche in presenza di piccole
variazioni che non incidono sulla rendita e
il rogito può essere stipulato.
In presenza, invece, di una planimetria
catastale che non riproduca la situazione di
fatto (reale) dell’immobile al di là delle
lievi modifiche di cui si è detto, il
proprietario deve presentare una denuncia di
variazione, allegando la planimetria
aggiornata.
In tali casi trova applicazioni il comma 14
dell'art. 19 del D.L. 78/2010 che prevede la
non commerciabilità degli immobili che
presentino irregolarità catastali: il
riallineamento richiesto può avvenire
informaticamente con la presentazione del
modello Unico.
Le disposizioni richiamate riguardano i
fabbricati già esistenti (ovvero già
iscritti nel catasto urbano o per i quali
sussiste l’obbligo di dichiarazione) mentre
sono esclusi: ...
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Dia lascerà il posto alla Scia?
È arrivato il momento di dire addio alla
DIA?
A sostituirla potrebbe essere la cosiddetta
"Scia" (segnalazione certificata di
inizio attività) che il governo ha inserito
nella manovra correttiva (disegno di legge
di conversione del D.L. 78/2010).
La "Scia” sostituirebbe la
dichiarazione d'inizio attività in tutte le
procedure che la prevedono.
In sostanza, chiunque intenda richiedere una
concessione, una licenza, un'autorizzazione
o un nulla osta non dovrà presentare la
domanda e attendere la risposta
dell'Amministrazione Pubblica (o i 30 giorni
richiesti per scattare il silenzio-assenso)
per cominciare l'attività ma, con la "Scia"
(se fosse approvata in via definitiva) ci si
potrà limitare ad avanzare l'istanza
accompagnata dai certificati e dalle
attestazioni richieste dalla legge e avviare
già da quel momento i suoi propositi.
Nei 30 giorni seguenti toccherà
eventualmente all'amministrazione bloccarlo
e, se del caso, perseguirlo penalmente.
Eventuali deroghe temporali per i controlli
sono consentite solamente per grave e
irreparabile danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l'ambiente, per
la salute e per la sicurezza pubblica.
Per valutare il reale "peso" della "Scia"
sull'attività edilizia, comunque, occorrerà
attendere il testo definitivo e,
eventualmente, i regolamenti attuativi
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Pubblicata
la Legge Comunitaria 2009: le novità per
l'acustica in edilizia, fonti rinnovabili e
sicurezza.
È stata pubblicata sul Supplemento ordinario
n. 138 alla Gazzetta Ufficiale n. 146 del
25.06.2010, la Legge n. 96 del 04.06.2010
recante “disposizioni per l'adempimento
di obblighi derivanti dall`appartenenza
dell'Italia alle Comunità europee - Legge
Comunitaria 2009”.
La Legge 96/2010, in vigore dal prossimo
10.07.2010, contiene alcune novità di
rilievo per i tecnici dell’edilizia.
Requisiti acustici
passivi degli edifici.
L’art. 15 della Legge modifica l’art. 11
della Comunitaria 2008.
In base alle modifiche approvate il Governo
deve adottare, entro il 29/07/2010, decreti
legislativi per il riassetto e la riforma
delle disposizioni vigenti in materia di
inquinamento acustico.
In tale ambito assumono particolare rilievo
la riforma dei requisiti acustici passivi
degli edifici, attualmente regolati dal
D.P.C.M. 05/12/1997, e la definizione dei
criteri per la progettazione esecuzione e
ristrutturazione degli edifici.
Tali decreti devono essere adottati su
proposta del Ministro dell'Ambiente, di
concerto con il Ministro del Lavoro e di
quello delle Infrastrutture.
È opportuno ribadire che il D.P.C.M.
05/12/1997 è tuttora vigente e, pur non
trovando applicazione nei rapporti tra
privati, continua ad avere effetto nei
confronti della Pubblica Amministrazione,
che può quindi chiederne la verifica.
Fonti Rinnovabili.
Per realizzare impianti alimentati da fonti
di energia rinnovabile di potenza fino a 1
MW sarà sufficiente la DIA (denuncia di
inizio attività).
L'articolo 17 della L. 96/2010, al comma 1
lettera d), stabilisce "l'assoggettamento
alla disciplina della DIA di cui agli
articoli 22 e 23 del decreto del Presidente
della Repubblica 06.06.2001, n. 380, per gli
impianti per la produzione di energia
elettrica con capacità di generazione non
superiore ad un MW elettrico di cui
all'articolo 2, lettera e), del decreto
legislativo 29.12.2003, n. 387, alimentate
dalle fonti di cui alla lettera a)".
Le nuove disposizioni superano gli attuali
limiti previsti dalla normativa nazionale (D.Lgs.
387/2003) differenziati per tipologia di
fonte.
Il D.Lgs. 387/2003 prevede attualmente la
realizzazione con semplice DIA degli
impianti alimentati da fonti rinnovabili nei
seguenti casi:
• Eolica 60 kW;
• Solare fotovoltaica 20 kW;
• Idraulica 100 kW;
• Biomasse 200 kW;
• Biogas 250 kW.
Affinché tali disposizioni siano pienamente
operative sarà necessario attendere
l’emanazione dei provvedimenti attuativi
previsti dall’art. 17 (decreto legislativo
di attuazione della direttiva 2009/28/CE).
Differita al 30/04/2012 l’applicazione delle
misure di protezione per l’esposizione a
Campi Elettromagnetici previste dal Testo
Unico Sicurezza
L’art. 11 ha differito al 30/04/2012
l’entrata in vigore delle disposizioni per
la “Protezione dei lavoratori dai rischi
di esposizione a campi elettromagnetici”
di cui al titolo VIII, capo IV del D.Lgs.
81/2008
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: RITENUTA
D'ACCONTO SUI BONIFICI EFFETTUATI A FAVORE
DELLE IMPRESE CHE ESEGUONO LAVORI DI
RECUPERO AGEVOLATI CON LA DETRAZIONE DEL 36%
E DEL 55%.
Per contrastare il fenomeno dell'evasione
fiscale, a decorrere dall'01.07.2010, il
Decreto Legge n. 78/2010 ha stabilito che le
Banche e le Poste italiane s.p.a devono
operare una ritenuta del 10% a titolo di
acconto delle imposte sul reddito dovute dai
beneficiari, con l’obbligo di rivalsa,
all’atto dell’accredito dei pagamenti
relativi ai bonifici disposti dai
contribuenti per beneficiare di oneri
deducibili o per i quali spetta la
detrazione d’imposta.
Tale obbligo opera, di conseguenza, anche
con riferimento ai pagamenti effettuati con
bonifico relativi a spese per le quali sono
riconosciute la detrazione IRPEF del 36% per
interventi di ristrutturazione di immobili
residenziali e la detrazione del 55% per
interventi di riqualificazione energetica
degli edifici esistenti.
In altri termini, viene introdotto
l’obbligo, per le banche e le Poste italiane
s.p.a., destinatarie dei bonifici di
pagamento delle spese, di operare una
ritenuta del 10% a titolo d’acconto delle
imposte dovute dall’impresa destinataria del
pagamento.
Con
provvedimento del Direttore dell’Agenzia
delle Entrate del 30.06.2010 prot. n.
94288/2010 sono state individuate
nel dettaglio le tipologie di pagamenti
nonché le modalità di esecuzione degli
adempimenti relativi alla certificazione e
alla dichiarazione delle ritenute operate.
Con la
risoluzione 30.06.2010 n. 65/E è
stato istituito il codice tributo 1039, che
gli operatori finanziari dovranno utilizzare
per versare la ritenuta.
Gli stessi operatori dovranno, inoltre,
certificare la ritenuta al beneficiario del
bonifico entro il 28 febbraio dell’anno
successivo e riportarla nella dichiarazione
dei sostituti d’imposta.
Tale misura suscita perplessità, anche
tenuto conto dell’elevata aliquota, in
quanto colpisce anche le imprese regolari
sotto il profilo fiscale.
Per queste ultime, infatti, la ritenuta del
10% si traduce unicamente in una minor
disponibilità monetaria, che andrebbe ad
aggiungersi alle già ingenti problematiche
finanziarie legate all’attuale congiuntura
economica negativa ed alla conseguente
“stretta creditizia” che sta vivendo il
settore
(link a www.ancebrescia.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Certificati on-line rinviati sine
die. Inattive le sanzioni per i medici.
Niente sanzioni per il mancato invio dei
certificati medici on-line dal 19 luglio.
Almeno fino a quando non si concluderà la
procedura di collaudo, che il ministero per
la pubblica amministrazione e l'innovazione
e la Fnomceo (Federazione nazionale degli
ordini dei medici chirurghi e degli
odontoiatri) hanno deciso di proseguire per
risolvere le criticità emerse nella
predisposizione dei sistemi di
certificazione telematica.
Le verifiche quindi non potranno terminare
entro il 19 luglio e proseguendo l'attività
di collaudo, rimarrà inattivo anche il
sistema sanzionatorio. Nel frattempo,
comunque, ministero e Federazione invitano i
medici, «nell'ambito delle concrete
possibilità tecniche, ad attuare la modalità
di certificazione telematica».
«Nei fatti una proroga indeterminata»,
denuncia la Cgil medici. «La trasmissione
telematica per i certificati di malattia dei
pubblici dipendenti», ricorda una nota
del sindacato, «era indicata dal dlgs
150/2009, entrato in vigore il 15.11.2009,
ma sul sito della Funzione Pubblica si
annunciava la sua operatività dal
15.12.2009, con una fase di sperimentazione
di due mesi. La circolare 11.03.2010 n. 1
della funzione pubblica indicava ulteriori
mesi di transizione, e infine un ultimo mese
di collaudo, con scadenza 19 luglio. Dal 20
luglio la trasmissione si sarebbe dovuta
effettuare esclusivamente per via
telematica. E invece siamo alla nuova
proroga mascherata da proseguimento delle
procedure di collaudo» (articolo
ItaliaOggi del 17.07.2010, pag. 27). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Le spese
legali a rimborso. Una rassegna della
giurisprudenza, tra Cds, Corte conti e
tribunale. Ha titolo l'ex sindaco accusato e
poi assolto.
Quesito: Sono
rimborsabili le spese legali in favore di un
ex sindaco in un procedimento penale per
reato di concussione conclusosi con
l'assoluzione, ai sensi dell'art. 530 co. 2
cpp, perché il fatto non sussiste?
Non esiste una disposizione che obblighi il
comune a tenere indenni gli amministratori
dalle spese processuali sostenute in giudizi
penali concernenti imputazioni
oggettivamente connesse all'espletamento
dell'incarico, espressamente prevista,
invece, per i dipendenti comunali.
La norma di cui all'art. 28 del ccnl dei
dipendenti Ee.Ll. del 14/09/2000 è stata
considerata dalla giurisprudenza «applicabile
in via retroattiva e anche in via estensiva
agli amministratori e non solo ai dipendenti
pubblici, in considerazione del loro status
di funzionari, ma si è ritenuta limitata ai
procedimenti giurisdizionali, senza che ciò
escluda la rimborsabilità delle spese
sopportate in sede di indagine penale,
potendosi fare ricorso alla azione di
ingiustificato arricchimento» (cfr.
Cons. di stato, sez. VI, sent. n.
5367/2004).
Pertanto «hanno titolo al rimborso delle
spese legali il dipendente e
l'amministratore locale, sottoposti a
giudizio penale per fatti o atti
direttamente connessi all'espletamento del
servizio e all'adempimento dei compiti
d'ufficio, sempreché il giudizio non si sia
concluso con una sentenza di condanna e non
vi sia conflitto di interessi con
l'amministrazione di appartenenza» (cfr.
Cons. di stato, sez. V, sent. n. 3946/2001).
Altra parte della giurisprudenza (cfr. Cons.
di stato, sez. V n. 2242/2000) ha, invece,
applicato l'analogia iuris tramite il
richiamo all'art. 1720,comma 2, c.c.- in
base al quale «...il mandante deve
inoltre risarcire i danni che il mandatario
ha subito a causa dell'incarico», pur
evidenziando la sostanziale eccezionalità
del rimborso delle spese legali e ribadendo,
con richiamo alla giurisprudenza ordinaria,
che ai fini del rimborso è necessario
accertare che le spese siano state sostenute
a causa e non semplicemente in occasione
dell'incarico e sempre entro il limite
costituito dal positivo e definitivo
accertamento della mancanza di
responsabilità penale degli amministratori
che hanno sostenuto le spese legali.
Il giudice ordinario ha precisato che il
rimborso previsto dall'art. 1720 c.c. «concerne
solo le spese sostenute dal mandatario in
stretta dipendenza dall'adempimento dei
propri obblighi», effettuate per
espletamento di attività che il mandante ha
il potere di esigere e che, per loro natura,
rappresentano il rischio inerente
all'esecuzione dell'incarico.
L'ipotesi non si verifica quando tale
attività abbia dato luogo a un'azione penale
contro il mandatario, e questi abbia dovuto
effettuare spese di difesa delle quali
intenda chiedere il rimborso ex art. 1720,
come nel caso in cui il procedimento penale
si concluda con la condanna del mandatario,
giacché la commissione di reato non può
rientrare nei limiti di un mandato
validamente conferito (art. 1343 e 1418
c.c.). Il rimborso non è possibile neppure
quando il mandatario venga prosciolto,
giacché in tal caso la necessità di
effettuare le spese di difesa non si pone in
nesso di causalità diretta con l'esecuzione
del mandato (cfr. Cass., sez. I civ., del
20/12/2007, n. 10052).
Inoltre deve coesistere l'ulteriore
condizione della mancanza di conflitto di
interessi con l'ente (cfr. C. Conti, Sez.
Giur. Reg. Liguria, sent n. 580 del
13/10/2008), che lo stesso dovrà valutare
ex post, a conclusione del procedimento
(Cass., sez. I, sent. n. 15724 del
13/12/2000 e n. 54 del 02/01/2002), che va
escluso quando l'amministratore abbia
adottato atti d'ufficio conformando il
proprio comportamento al principio cardine
di cui all'art. 97 Cost., nell'esclusivo
interesse dell'amministrazione, che non può
essere valutato in astratto ed ex ante,
ma in concreto, a conclusione del processo;
sussiste, invece, tutte le volte in cui
l'ente ha assunto, in atti amministrativi o
in sede giurisdizionale, una linea a tutela
dei propri interessi totalmente o
parzialmente diversa da quella
dell'amministratore, o quando la condotta
dell'amministratore, pur risultando
irrilevante in sede penale, abbia esposto
l'ente ad una condizione pregiudizievole o
comunque sfavorevole, ovvero non possa
ritenersi coerente con i doveri imputabili
allo stesso (C. Conti, sez. riunite,
18.06.1986, n. 501; Tar Lombardia, sez. II,
01/01/1993, n. 14; Tar Piemonte, sez. II,
28/02/1995, n. 138; Cons. di stato, sez. VI,
13/01/1994, n. 20).
Secondo la disciplina civilistica il
conflitto di interesse, che costituisce
elemento ostativo al rimborso, è da
ritenersi sussistente quando il
comportamento dell'amministratore non
risulti compatibile con l'osservanza di
quella ordinaria diligenza (la diligenza del
buon padre di famiglia) che l'art. 1710 c.c.
impone al mandatario; pertanto il giudizio
di insussistenza del fatto come reato non
esclude che le irregolarità riscontrate,
riferibili alla condotta
dell'amministratore, per quanto inidonee ad
integrare la fattispecie delittuosa,
determinino l'insorgere del conflitto di
interesse, sotto il profilo della violazione
dell'interesse dell'ente ad una gestione
condotta nel rispetto delle norme (articolo
ItaliaOggi del 16.07.2010, pag. 40). |
LAVORI PUBBLICI:
Rotatorie creative al bando.
Divieto assoluto di posizionare cartelli,
insegne di esercizio ed altri mezzi
pubblicitari sulle rotonde stradali. Si
tratta infatti di intersezioni a raso dove
secondo il codice stradale è vietato
posizionare qualsiasi distrazione per
l'utente motorizzato.
Lo ha chiarito il ministero dei trasporti
con il parere 19.04.2010 n. 34023.
La provincia di Milano ha richiesto
chiarimenti circa la diffusa realizzazione
di rotatorie stradali sponsorizzate da
soggetti privati con marchi, insegne ed
informazioni pubblicitarie.
Questa pratica è vietata, ha spiegato il
ministero, in quanto le rotatorie, anche se
non vengono citate dal codice della strada,
sono tecnicamente definibili come delle
intersezioni a raso su cui si applica il
conseguente divieto di posizionamento di
impianti pubblicitari previsto dall'art. 51
del regolamento stradale.
In buona sostanza sono fuori legge tutte le
iniziative locali che hanno ricercato
sponsor posizionando le pubblicità
dell'azienda privata nel bel mezzo della
rotonda (articolo ItaliaOggi del 16.07.2010,
pag. 39). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Segretari comunali esclusi da
organismi di valutazione.
Il segretario comunale
in quanto soggetto alla valutazione da parte
dell'Organismo indipendente di valutazione,
non può anche farne parte. Si tratterebbe di
una sovrapposizione, non ammissibile, tra
valutatore e valutato.
Il principio è stato affermato dalla Civit
-Commissione indipendente per la
valutazione, la trasparenza e l'integrità
delle amministrazioni pubbliche- nel
parere
dell'01.07.2010 in risposta a un
quesito posto dal comune di Pastrengo.
L'articolo 14 del dlgs n. 150/2009 dispone
che le amministrazioni pubbliche si dotino
di un Oiv. È stato chiarito che quelle
soggette alla nomina, entro il 30 aprile
scorso, sono le aziende e le amministrazioni
dello stato, anche a ordinamento autonomo,
le Agenzie e gli altri enti pubblici
nazionali.
Le regioni e gli enti locali, ai sensi
dell'articolo 16, debbono applicare le
disposizioni in materia di trasparenza e
sono tenuti, entro il 31.12.2010, ad
adeguare i propri ordinamenti ai principi
indicati nel comma 2 del citato articolo 16.
Dalla lettura delle norme si ricava che i
nuclei di valutazione in carica negli enti
locali continueranno ad operare fino alla
fine dell'anno, mentre dal 2011 si dovrà
provvedere a nominare gli Oiv.
Il comune, nel quesito in oggetto, ha
richiesto se la proposta di valutazione del
segretario comunale rientrasse nelle
competenze dell'Oiv e se tale soggetto
potesse far parte di quest'organismo. La
Civit, confermando l'orientamento prima
indicato, ritiene che gli enti locali sono
tenuti all'attuazione della novella
legislativa, anche se sulla base di uno
speciale regime, e sono pertanto applicabili
i criteri di valutazione previsti nelle
altre amministrazioni.
Questi criteri si fondando sul principio
dell'indipendenza del valutatore dal
soggetto da valutare: i dirigenti generali
valutano l'attività dei dirigenti; questi a
loro volta controllano l'attività degli
uffici che da loro dipendono.
Pertanto in caso di figure di vertice, come
il segretario generale o il direttore
generale, la valutazione va effettuata
dall'organo di indirizzo politico, dal quale
il valutato dipende direttamente, su
proposta dell'Oiv. Negli enti locali il
segretario dipende funzionalmente dal
sindaco, ai sensi dell'articolo 99 Tuel, e
pertanto la sua valutazione deve essere
effettuata direttamente dal sindaco, su
proposta dell'organismo di valutazione.
Per il Civit, poi, da tutto ciò deriva
l'impossibilità che il segretario comunale
faccia parte dell'Oiv e contemporaneamente
continui a svolgere il proprio ruolo
istituzionale nell'ente locale, in quanto si
tratterebbe, infatti, di una inammissibile
sovrapposizione tra valutatore e valutato.
È opinione della stessa Commissione, che è
intervenuta con la
delibera 16.02.2010 n. 4/2010,
che l'Oiv debba essere composto da membri
che siano in grado di garantire autonomia e
imparzialità di giudizio e assicurare
l'effettività e l'autorevolezza
istituzionale dell'esercizio delle funzioni.
Necessaria è, pertanto, la totale
indipendenza dall'organo di indirizzo
politico-amministrativo, di conseguenza tale
principio sarebbe seriamente compromesso
qualora fosse consentita la partecipazione
del segretario comunale all'organismo di
valutazione (articolo ItaliaOggi del
16.07.2010, pag. 38). |
PUBBLICO IMPIEGO: Straordinari
con badge (ma con eccezioni).
In via generale, stante il disposto
normativo dell'articolo 3, comma 83, della
legge finanziaria 2008, è possibile
effettuare prestazioni di lavoro
straordinario, solo se nella struttura è
presente il rilevatore automatico delle
presenze. Tuttavia, nei casi particolari di
personale che, per la peculiarità del
proprio servizio, non possono attestare la
presenza in ufficio (si pensi, ad esempio,
al personale della Polizia di Stato o a
quello del corpo dei Vigili del Fuoco),
l'amministrazione di appartenenza valuterà
la possibilità che sia il responsabile
dell'ufficio a certificare le prestazioni di
lavoro straordinario rese dal personale,
evidenziando anche l'esigenza che ha
comportato la protrazione dell'orario di
servizio.
È quanto ha chiarito il Consiglio di Stato,
nel testo del parere n. 2555/2010, con il
quale ha fornito un'interessante
interpretazione delle disposizioni contenute
all'articolo 3, comma 83 della legge
finanziaria 2008.
Come si ricorderà, tale norma prevede che le
pubbliche amministrazioni possono erogare
compensi per lavoro straordinario soltanto «previa
attivazione dei sistemi di rilevazione
automatica delle presenze». Quindi, se
nella struttura pubblica non è previsto il
cosiddetto badge, al personale è precluso lo
svolgimento di qualsiasi tipologia di lavoro
eccedente il normale orario di servizio.
Su questo punto, il ministero dell'Interno,
che ha intenzione di emanare una direttiva
agli uffici, si è trovato in difficoltà a
causa delle particolari componenti del
personale amministrato.
Il Viminale,
chiamando in causa Palazzo Spada per un
necessario chiarimento, ha infatti ravvisato
la principale difficoltà in sede di
regolamentazione nella circostanza che al
suo interno, sono presenti tre distinte
categorie di personale (appartenenti
rispettivamente ai ruoli
dell'Amministrazione civile dell'interno,
della Polizia di Stato e del Corpo nazionale
dei Vigili del fuoco), ciascuna delle quali
si caratterizza per una propria particolare
disciplina dello stato giuridico ed
economico.
In via ordinaria, ha risposto il Consiglio,
non ci sono esenzioni al meccanismo previsto
dall'art. 3, comma 83, della legge
finanziaria 2008, che possano derivare dalla
peculiarità dello status del dipendente in
relazione al corpo di appartenenza,
diversamente da quanto ritenuto dalla
Funzione pubblica con una nota risalente
all'aprile 2008. È pur vero, però, che
queste conclusioni «non possono essere
portate fino alle estreme conseguenze»,
nel senso che si deve richiedere la
rilevazione automatica anche se la modalità
del servizio espletato escluda la
possibilità di rilevare la presenza del
personale mediante strumenti automatici.
Pertanto, ammette Palazzo Spada, rientrerà
nella valutazione dell'amministrazione
l'individuazione dei casi specifici in cui
queste evenienze potranno verificarsi. In
questo caso, il responsabile del servizio
dovrà provvedere alla certificazione delle
prestazioni di lavoro straordinario rese dal
personale, evidenziando anche l'esigenza che
ha comportato la protrazione dell'orario del
personale (articolo ItaliaOggi del
14.07.2010, pag. 25). |
CORTE DEI
CONTI |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
No all'Irap sugli incentivi. La
Corte dei conti ha risolto una diatriba che
si protrae da molto tempo. Esenti compensi
delle p.a. a progettisti e legali.
L'Irap non può gravare sui compensi
incentivanti che le amministrazioni
pubbliche erogano ai professionisti,
progettisti ed avvocati.
Le Sezioni Riunite della Corte dei conti,
nell'esercizio della funzione nomofilattica
loro attribuita dall'articolo 17, comma 31,
del dl 78/2009, convertito in legge
102/2009, risolvono definitivamente con la
deliberazione 07.06.2010 n. 33/2010
una diatriba che si protraeva da molto
tempo.
A fronteggiarsi due tesi contrapposte. La
prima, restrittiva, considerava l'Irap tra i
cosiddetti «oneri riflessi», ovvero
quell'insieme di elementi finanziari di
natura previdenziale e impositiva che
riducono il compenso netto spettante al
lavoratore. Tale tesi, pur ad un primo esame
da considerare non condivisibile, ha trovato
largo spazio negli approfondimenti delle
sezioni regionali di controllo. Infatti,
considerando che la normativa in tema di
spese di personale vi include l'Irap, si è
ritenuto che tale imposta dovesse far parte
del lordo dei compensi a progettisti ed
avvocati e, dunque, rientrare tra gli oneri
riflessi, che abbassano il netto loro
assegnato. Ciò, allo scopo di evitare in
capo alle amministrazioni quali datori di
lavoro un doppio esborso.
Le Sezioni Riunite, invece, condividono la
teoria ampliativa, secondo la quale l'Irap
va esclusa dal plafond degli oneri riflessi.
L'Irap, spiegano le Sezioni, non può che
gravare esclusivamente sulle
amministrazioni, in quanto soggetto passivo
dell'imposta è il datore di lavoro. Il
dipendente professionista non produce
reddito da impresa nello svolgimento delle
attività oggetto degli incentivi per
progettazione o patrocinio legale e, quindi,
non può subire una riduzione del compenso
incentivante come compartecipazione al
gettito di un'imposta che non grava nei suoi
confronti.
Ciò non di meno, poiché l'Irap fa parte del
complesso delle spese di personale, le
amministrazioni debbono necessariamente
appostare in bilancio gli oneri conseguenti,
come avviene per tutti i pagamenti delle
retribuzioni.
Sicché, al momento della costituzione dei
fondi per l'incentivo dei dipendenti
interessati, l'Irap va calcolata applicando
l'aliquota anche sugli incentivi
specificamente previsti per i progettisti e
gli avvocati, perché solo in questo modo si
garantisce la capienza delle risorse
necessarie per il pagamento dell'imposta.
Ai dipendenti professionisti, tuttavia, i
compensi incentivanti spetteranno al netto,
cioè, diminuiti tutti gli oneri fiscali e
previdenziali, ma non dell'Irap (articolo ItaliaOggi del 17.07.2010, pag. 23). |
ENTI LOCALI:
Direttori generali soppressi a
360 gradi.
La soppressione della
figura del direttore generale, nei comuni
con popolazione inferiore a centomila
abitanti, prevista dalla legge finanziaria
2010, concerne non solo l'ipotesi del
direttore esterno, ma anche quella del
segretario comunale cui è impedito di
rivestire il doppio incarico. Ne consegue
l'amministrazione locale non può
corrispondergli alcun compenso aggiuntivo,
in quanto incompatibile con la disposizione
normativa che è diretta esclusivamente al
contenimento della spesa pubblica.
È quanto ha chiarito la sezione regionale
lombarda di controllo della Corte dei Conti,
nel testo del
parere 07.05.2010 n. 593/2010, con
il quale ha fatto luce sulla portata delle
disposizioni in materia di soppressione
della figura del direttore generale negli
enti locali, previste dalla legge
finanziaria per il 2010, da ultimo
modificate dal decreto legge 25.01.2010, n.
2, nella parte in cui limitano detta
soppressione ai soli enti locali con
popolazione pari o inferiore a centomila
abitanti.
Rispondendo a una richiesta del comune di
Cenate Sotto (Bg), la magistratura contabile
lombarda ha pertanto verificato la
legittimità della circostanza se la
soppressione della figura istituzionale del
direttore generale concerna solo il
direttore esterno, ovvero anche il doppio
incarico conferito al segretario comunale in
assenza di posizione direttoriale, così come
prevede l'articolo 108, comma 4 del Tuel.
Sulla questione, ha rilevato la Corte, si
potrebbe supporre la possibilità di
conferire al segretario generale anche le
funzioni di direzione. Tesi, questa, che fa
leva sull'interpretazione letterale della
norma, valorizzando il rilievo che la norma
finanziaria ha sì espunto la figura, ma non
le funzioni del segretario generale in
sostituzione della figura del direttore
generale. Senza dimenticare che c'è
l'esigenza di colmare un vuoto di competenze
comunque da attribuire a una figura
professionale nei comuni con meno di
centomila abitanti, in relazione a funzioni
imprescindibili per la gestione dell'ente
locale, a meno di non voler pregiudicare
l'efficienza dell'azione amministrativa.
Ma il collegio non è stato di questo avviso.
La disposizione contenuta nella legge
finanziaria 2010, infatti, ripone la sua
giustificazione nella »superficialità«
di tale profilo professionale per i comuni
con meno di centomila abitanti e nel
conseguente risparmio di spesa.
Ciò posto, sarebbe del tutto «illogico»
ritenere che se da un lato è stata soppressa
la facoltà di nominare un direttore generale
esterno, la stessa norma possa essere
aggirata attribuendo le sue funzioni al
segretario comunale già collaboratore
dell'amministrazione comunale. Né,
ovviamente, questi potrà ottenere una
retribuzione o un emolumento aggiuntivo per
tali funzioni, in quanto il divieto
normativo sulla maggiore spesa «deriva da
una disposizione finanziaria di
coordinamento della finanza pubblica che si
sostituisce automaticamente alle previsioni
della contrattazione collettiva relativa ai
segretari».
Inoltre, nessuna doglianza può essere
eccepita in relazione al buon andamento
dell'amministrazione comunale che verrebbe
«sconvolto» da tale divieto. Infatti, le
funzioni, soprattutto nei comuni più
piccoli, possono essere ricondotte ai
compiti «istituzionalmente attribuiti al
segretario comunale ai sensi dell'art. 97,
comma 4 del Tuel, laddove è previsto che
egli sovraintenda allo svolgimento dei
dirigenti e ne coordini le attività».
In conclusione, scrive il collegio, la
soppressione della figura del direttore
generale, tranne che per i comuni con
popolazione superiore a 100 mila abitanti,
concerne non solo l'ipotesi del direttore
esterno, ma anche quella del segretario
comunale cui è impedito di rivestire il
doppio incarico (articolo
ItaliaOggi del 16.07.2010 - link
a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
La decorrenza delle progressioni
economiche all‘interno della categoria non
può essere antecedente al momento in cui si
determina la disponibilità delle risorse
finanziarie e quindi al momento in cui le
parti determinano di attivare l’istituto
stesso delle progressioni orizzontali
(Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo Lombardia,
parere 07.05.2010 n. 589). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Posti unici dell'organico, no a
concorsi con riserva. L'orientamento delle
sezioni della Corte conti si è consolidato.
Niente concorsi pubblici con riserva per
posti unici della dotazione organica. Si è
ormai consolidato l'orientamento delle
sezioni regionali di controllo della Corte
dei conti, che ritiene, condivisibilmente,
abolite le progressioni verticali.
La
deliberazione 29.04.2010 n. 10/2010
della Sezione autonomie della Corte dei
Conti ha dato il deciso avvio verso la presa
d'atto dell'eliminazione delle progressioni
verticali, contraddicendo l'avviso
inizialmente espresso dalla Sezione
Lombardia col
parere 18.03.2010 n. 375, poi
modificato dal successivo
parere 28.04.2010
n. 517.
Successivamente, la Sezione Piemonte ha
ribadito l'eliminazione delle progressioni
verticali col
parere 20.05.2010 n. 41/2010.
Anche la Sezione Emilia Romagna, col
parere 18.05.2010 n.
136 ha in modo tranciante rilevato
l'impossibilità per gli enti locali di
continuare ad applicare l'istituto delle
progressioni verticali, sottolineando
l'impossibilità di considerare ancora
vigenti regolamenti di organizzazione e una
norma come l'articolo 91, comma 3, del dlgs
267/2000 (per altro disapplicata
dall'articolo 9 del Ccnl 05.10.2010, in
quanto contrastanti con l'articolo 62 del
dlgs 150/2009, qualificato come norma di
diretta attuazione della Costituzione.
La Sezione ha evidenziato puntualmente
l'impossibilità per norme di legge e
soprattutto regolamentari di derogare alla
Costituzione, negando la sussistenza di
peculiari condizioni dell'ordinamento
locale, tali da giustificare il permanere
delle progressioni verticali nel 2010.
Infatti, per giustificare una diversa
decorrenza dell'eliminazione delle
progressioni occorrerebbe ipotizzare che
l'esigenza di buon andamento
dell'amministrazione, astrattamente idonea a
giustificare una deroga al principio del
concorso pubblico sussisterebbe solo per gli
enti locali: ma così si creerebbe, secondo
la Sezione «un irrazionale
disallineamento del sistema».
Né l'articolo 1, comma 4, del dlgs 267/2000
potrebbe proteggere l'articolo 91, comma 3,
dagli effetti della riforma Brunetta: la
Sezione Emilia Romagna spiega bene che è
tale articolo 1, comma 4, a rivelarsi
difforme dalle regole generali sul rapporto
tra le norme, in quanto «contrastante con
principi fondamentali delle fonti
dell'ordinamento, secondo cui tra fonti
dello stesso grado gerarchico, promulgate in
tempi successivi e regolanti la medesima
materia «lex posterior derogat priori» (art.
15 delle preleggi)».
Sempre la Sezione Emilia Romagna, col
parere 18.05.2010 n.
136 precisa l'impossibilità di «stirare»
l'interpretazione della norma che
sostituisce le progressioni verticali con il
concorso pubblico con riserva di posti non
superiore al 50%, in modo da ritenere che
per gli enti locali di piccole dimensioni
sia comunque possibile un concorso
interamente riservato per posti unici in
dotazione organica. La Sezione rammenta che
l'orientamento della giurisprudenza sul
punto è nel senso di escludere la
possibilità di applicare la riserva, perché
va salvaguardato l'interesse pubblico alla
scelta dei candidati più capaci e meritevoli
prevale su quello alla copertura dei posti
con candidati appartenenti a particolari
categorie di cittadini.
D'altra parte, il testo novellato
dell'articolo 52, comma 1-bis, del dlgs
165/2001 è molto chiaro nel vietare la
riserva per concorsi ad un solo posto,
poiché prescrive che essa risulti «comunque
non superiore al 50% di quelli messi a
concorso».
Dunque, ferma restando, come affermato dalla
Sezione Emilia Romagna, l'impossibilità del
concorso interamente riservato per posti
unici in dotazione organica, comunque non è
consentito prevedere riserve se il bando non
riguardi l'assunzione per almeno due posti,
ovviamente relativi a medesima categoria e
profilo (articolo
ItaliaOggi del 16.07.2010 - link
a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Obblighi di
bonifica - Art. 17 d.lgs. n. 22/1997 -
Responsabilità dell’autore dell’inquinamento
- Natura - Responsabilità oggettiva -
Rapporto di causalità tra l’azione o
l’omissione e l’inquinamento -
Responsabilità del proprietario - Natura -
Responsabilità da posizione - Onere reale.
La responsabilità dell'autore
dell'inquinamento, ai sensi dell'art. 17,
comma 2, del D.Lgs. 22/1997, costituisce una
forma di responsabilità oggettiva per gli
obblighi di bonifica, messa in sicurezza e
ripristino ambientale conseguenti alla
contaminazione delle aree.
La natura oggettiva della responsabilità in
questione è desumibile dalla circostanza che
l'obbligo di effettuare gli interventi di
legge sorge, in base all'art. 17 citato, in
connessione con una condotta "anche
accidentale", ossia a prescindere
dall'esistenza di qualsiasi elemento
soggettivo doloso o colposo in capo
all'autore dell'inquinamento.
Ai fini della responsabilità in questione è
comunque pur sempre necessario il rapporto
di causalità tra l'azione (o l'omissione)
dell'autore dell'inquinamento ed il
superamento -o pericolo concreto ed attuale
di superamento- dei limiti di
contaminazione, in coerenza col principio
comunitario "chi inquina paga”.
Sensibilmente diversa si presenta invece la
posizione del proprietario del sito, per la
responsabilità del quale occorre fare
riferimento ai cc. 10 e 11 dell’art. 17: chi
subentra nella proprietà o possesso del bene
subentra anche negli obblighi connessi
all'onere reale ivi previsto,
indipendentemente dal fatto che ne abbia
avuto preventiva conoscenza.
Quella posta in capo al proprietario è
pertanto una responsabilità "da posizione",
non solo svincolata dai profili soggettivi
del dolo o della colpa, ma che non richiede
neppure l'apporto causale del proprietario
responsabile al superamento o pericolo di
superamento dei valori limite di
contaminazione.
È quindi evidente che il proprietario del
suolo -che non abbia apportato alcun
contributo causale, neppure incolpevole,
all'inquinamento- non si trova in alcun modo
in una posizione analoga od assimilabile a
quella dell'inquinatore, essendo tenuto a
sostenere i costi connessi agli interventi
di bonifica esclusivamente in ragione
dell'esistenza dell'onere reale sul sito
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.07.2010 n. 4561 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO –
Stazioni radio base per telefonia mobile –
Prescrizioni urbanistiche-edilizie
preesistenti – Applicabilità – Esclusione –
Specifica disciplina conformativa.
In assenza di specifiche prescrizioni, la
realizzazione delle stazioni radio base per
la telefonia mobile non è soggetta a
prescrizioni urbanistiche-edilizie
preesistenti, dettate con riferimento ad
altre tipologie di opere (nella specie:
previsione di altezze massime quali le
costruzioni), elaborate
nell'inconsapevolezza del fenomeno della
telefonia e dell'inquinamento
elettromagnetico in generale; il titolo
concessorio non può quindi essere negato se
non con riguardo ad una specifica disciplina
conformativa che prenda in considerazione le
reti infrastrutturali tecnologiche
necessarie per il funzionamento del servizio
pubblico, dovendosi rilevare, peraltro, che
gli impianti tecnologici non sviluppano di
norma volumetria o cubatura se non
limitatamente ai basamenti o alle cabine
accessorie.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Impianti di comunicazione
elettronica – Permesso di costruire –
Necessità – Esclusione – Normativa speciale
di cui al d.lgs. n. 259/2003 – Titoli
abilitativi ivi previsti – Autonomia e
sufficienza.
Per l’installazione degli impianti di
comunicazione elettronica non è necessario
il permesso di costruire, essendo
l’installazione subordinata soltanto
all’autorizzazione prevista dall’art. 87 del
T.U. 01.10.2003, n. 259 (c.d. codice delle
comunicazioni) e non occorrendo al riguardo
il permesso di costruire ai sensi dell’art.
3, lett. e), del T.U. 06.06.2001 n. 380
(cfr., tra le tante Cons. St., Sez. VI
21.01.2005 n. 100).
La disciplina dettata dal D.Lgs. 259/2003
costituisce, infatti, normativa speciale e
compiuta, per cui prevale sulla disciplina
generale dettata dal T.u. dell'edilizia
approvato nel 2001, che, per gli interventi
in questione, richiedeva il permesso di
costruire.
I titoli abilitativi previsti dal d.lgs. n.
259/2003 (autorizzazione e denuncia di
inizio attività), dunque, malgrado la
identità del nomen con gli istituti
previsti dal T.U dell'edilizia sono
provvedimenti del tutto autonomi che
assolvono integralmente le esigenze proprie
delle telecomunicazioni e le esigenze
territoriali alla cura degli enti locali.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Reti pubbliche di
comunicazioni – Art. 86, c. 3 d.lgs. n.
259/2003 – Assimilabilità alle opere di
urbanizzazione primaria – Compatibilità con
qualsiasi destinazione urbanistica.
L'art. 86 comma 3, del D.Lgs. 259/2003,
disponendo espressamente l’assimilabilità
delle reti pubbliche di comunicazione alle
opere di urbanizzazione privata, rende per
l'effetto le stesse compatibili a qualsiasi
destinazione urbanistica di tutte le zone
dei territori comunali.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Stazioni radio base –
Utilizzo formale degli strumenti di natura
edilizio-urbanistica – Deroga ai limiti di
esposizione fissati dallo Stato –
Illegittimità.
Il formale utilizzo degli strumenti di
natura edilizio–urbanistica (con la
necessaria osservanza delle relative
procedure di approvazione) e il dichiarato
intento di esercitare le proprie competenze
in materia di governo del territorio, non
possono giustificare l’adozione di misure
che nella sostanza costituiscono
indirettamente una deroga ai limiti di
esposizione fissati dallo Stato; quali, ad
esempio, il generalizzato divieto di
installazione delle stazioni radio base per
la telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione
residenziale, che ha lo stesso effetto di
sovrapporre una determinazione cautelativa,
ispirata al principio di precauzione, alla
normativa statale che ha fissato i limiti di
radiofrequenza, di fatto eludendo tale
normativa.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Stazioni radio base –
Adozione di misure di minimizzazione (art.
8, c. 6, L. n. 36/2001) – Limiti
generalizzati di esposizione diversi da
quelli stati – Illegittimità.
Le misure di minimizzazione (distinte
dall’art. 8, c. 6, L. n. 36/2001 da quelle
urbanistico-edilizie) non possono quindi in
alcun modo prevedere limiti generalizzati di
esposizione diversi da quelli previsti dallo
Stato, né possono di fatto costituire una
deroga generalizzata, o quasi, a tali
limiti, essendo invece consentita
l’individuazione di specifiche e diverse
misure, la cui idoneità al fine della “minimizzazione”
emerga dallo svolgimento di compiuti e
approfonditi rilievi istruttori sulla base
di risultanze di carattere scientifico
(decisione n. 3098/2002).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Determinazione di limiti
di localizzazione degli impianti – Misura
surrettizia di tutela della popolazione da
immissioni elettromagnetiche – Illegittimità
- Competenza esclusiva statale.
La determinazione a regime di limiti di
localizzazione degli impianti –atteso il suo
carattere generalizzato e il riferimento al
dato oggettivo dell’esistenza di
insediamenti abitativi– non può tradursi in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva
allo Stato attraverso l’individuazione di
puntuali limiti di esposizione, valori di
attenzione ed obiettivi di qualità, da
introdursi con D.P.C.M., su proposta del
Ministro dell’Ambiente di concerto con il
Ministro della Salute (cfr., n. 7274/2002;
n. 4159/2005).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Art. 8, c. 6, L. n.
36/2001 – Impianti di telecomunicazione -
Ente locale – Potestà di disciplinare il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale – Limiti.
La potestà attribuita all’ente locale
dall’art. 8, comma 6, della L. n. 36/2001 di
disciplinare “il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione della popolazione
a campi elettromagnetici” deve tradursi
in regole ragionevoli, motivate e certe,
poste a presidio di interessi di rilievo
pubblico (in relazione, ad esempio, al
particolare valore paesaggistico/ambientale
o storico/artistico di individuate porzioni
del territorio, ovvero alla presenza di siti
che per la loro destinazione d’uso possano
essere qualificati particolarmente sensibili
alle immissioni elettromagnetiche), ma non
può introdurre un generalizzato divieto di
installazione in zone urbanistiche
identificate; mentre, dall’altra, tale
previsione viene a costituire una misura di
carattere generale, sostanzialmente
cautelativa rispetto alle emissioni
derivanti dagli impianti di telefonia
mobile, riservando, tuttavia, l’art. 4 della
L.n. 36/2001, alla competenza dello Stato,
la determinazione, con criteri unitari, dei
limiti di esposizione, dei valori di
attenzione e degli obiettivi di qualità, in
base a parametri da applicarsi uniformemente
su tutto il territorio dello Stato
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.07.2010 n. 4557 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Concessione edilizia – Istanza –
Soggetto legittimato – Soggetti diversi dal
proprietario – Titolari di diritti reali o
personali.
Ai sensi dell'art. 4 L. 28.01.1977 n. 10, la
domanda volta al rilascio della concessione
edilizia può essere presentata anche da
persona diversa dal proprietario, purché il
richiedente abbia titolo a disporre del
suolo; la materiale disponibilità dell'area
da parte dell'istante, anche se persona
diversa dal proprietario, costituisce titolo
idoneo al rilascio della concessione
edilizia, per cui può ritenersi che, in
definitiva, sono legittimati a richiedere la
concessione edilizia, non solo il
proprietario, ma anche i soggetti che si
trovano rispetto al bene immobile da
edificare in relazione qualificata, come
appunto i titolari di un diritto reale,
ovvero i titolari di un diritto personale,
quali, ad esempio, il conduttore (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.07.2010 n. 4557 -
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URBANISTICA:
Strumenti urbanistici - Principio
di tipicità e nominatività - Numerus clausus
- Amministrazione comunale - Varianti e
modifiche nella disciplina di dettaglio -
Limiti - Deviazione dal modello legale
rispetto alla causa o al contenuto.
In forza del principio di tipicità e
nominatività degli strumenti urbanistici,
che discende dal più generale principio di
legalità e di tipicità degli atti
amministrativi, l’Amministrazione non può
dotarsi di piani urbanistici i quali, per “nome,
causa e contenuto”, si discostino dal
numerus clausus previsto dalla legge
(cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez.
II, 10.12.2003, parere nr. 454; Cons. Stato,
sez. IV, 07.11.2001, nr. 5721).
L’Amministrazione comunale può pertanto
introdurre varianti e modifiche nella
disciplina di dettaglio degli strumenti
urbanistici, a condizione che ciò non
comporti una deviazione di essi dal modello
legale rispetto alla “causa” (ossia
alla loro funzione tipica quale individuata
dal legislatore) ovvero al “contenuto”
(ossia a quello che dovrebbe essere
l’oggetto dell’attività di pianificazione,
sempre alla stregua del dato normativo di
riferimento); tale facoltà trova il proprio
fondamento, a livello costituzionale,
nell’ultimo comma dell’art. 117 Cost.,
laddove ai Comuni è attribuita la potestà
regolamentare nelle materie di loro
competenza.
Pianificazione del
territorio - Potere conformativo
dell’amministrazione - Imposizione di
condizioni e limiti al potere di godimento
di categorie e tipologie di immobili in
conseguenza della loro specifica
destinazione - Qualificazione in termini di
vincolo espropriativo - Esclusione - Vincoli
conformativi - Asservimento ad obiettivi di
interesse generale - Carattere ablatorio -
Esclusione.
Il potere conformativo spettante
all’amministrazione nella propria attività
di pianificazione del territorio, è stato
individuato dalla giurisprudenza della Corte
Costituzionale come espressione della
potestà amministrativa di governo del
territorio, alla quale è connaturata la
facoltà di porre condizioni e limiti al
godimento del diritto di proprietà non di
singoli individui, ma di intere categorie e
tipologie di immobili identificati in
termini generali e astratti; non possono
quindi qualificarsi in termini di vincolo
espropriativo tutte le condizioni e i limiti
che possono essere imposti ai suoli in
conseguenza della loro specifica
destinazione (ivi compresi i limiti di
cubatura connessi agli indici di
fabbricabilità previsti dal P.R.G. per le
varie categorie di zone in cui il territorio
viene suddiviso), e -a maggior ragione- non
hanno carattere ablatorio a quei vincoli
(c.d. “conformativi”) attraverso i
quali, seppure la proprietà viene asservita
al perseguimento di obiettivi di interesse
generale quali la realizzazione di opere
pubbliche o infrastrutture, non è escluso
che la realizzazione di tali interventi
possa avvenire ad iniziativa privata o mista
pubblico-privata, e comunque la concreta
disciplina impressa al suolo non comporti il
totale svuotamento di ogni sua vocazione
edificatoria (cfr., fra le tante, la sent.
Corte Cost. nr. 179 del 20.05.1999)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.07.2010 n. 4545 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Art. 11 L. n. 241/1990 - Strumenti
consensuali - Novella del 2005 - Assoluta
fungibilità con gli strumenti autoritativi -
Principio di tipicità dei provvedimenti -
Permanenza.
Con la “novella” del 2005 il
legislatore ha optato per una piena e
assoluta fungibilità dello strumento
consensuale rispetto a quello autoritativo,
sul presupposto della maggiore idoneità del
primo al perseguimento degli obiettivi di
pubblico interesse: essendo venuta meno la
previgente riserva alla legge dei casi in
cui alle amministrazioni è consentito
ricorrere ad accordi in sostituzione di
provvedimenti autoritativi, tale possibilità
deve ritenersi sempre e comunque sussistente
(salvi i casi di espresso divieto
normativo); col che, secondo l’opinione
preferibile, non è stato affatto introdotto
il principio della atipicità degli strumenti
consensuali in contrapposizione a quello di
tipicità e nominatività dei provvedimenti,
atteso che lo strumento convenzionale dovrà
pur sempre prendere il posto di un
provvedimento autoritativo individuato fra
quelli “tipici” disciplinati dalla
legge: a garanzia del rispetto di tale
limite, lo stesso art. 11 L. n. 241/1990
prevede l’obbligo di una previa
determinazione amministrativa che anticipi e
legittimi il ricorso allo strumento
dell’accordo (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.07.2010 n. 4545 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'inapplicabilità alle
concessioni di servizi delle disposizioni
del codice dei contratti pubblici (d.lvo
12.04.2006, n. 163).
Per esplicita previsione legislativa (art.
30 del d.lvo 12.04.2006, n. 163) alle
concessioni di servizi non si applicano le
disposizioni del codice dei contratti
pubblici, salvo quanto disposto nel medesimo
art. 30.
Ne consegue che, nel caso di specie,
riguardante la concessione del servizio di
accertamento, liquidazione e riscossione
dell'imposta comunale sulla pubblicità e dei
diritti sulle pubbliche affissioni per la
quale un Comune ha bandito una procedura
selettiva, è erronea, l'applicazione
analogica della disciplina dettata dagli
artt. 70 e 75 del Codice dei contratti
pubblici in materia di gare per
l'affidamento di appalti pubblici alla
diversa materia delle concessioni di
servizi, in palese violazione della
previsione racchiusa nell'art. 30, c. 1, del
medesimo Codice dei contratti pubblici.
Diversamente opinando, l'intero corpus del
citato codice sarebbe di fatto applicabile
alle concessioni di servizi, rendendo del
tutto superflui i precetti dettati nel
citato art. 30.
Nel caso di specie, peraltro, il bando della
gara informale nulla disponeva in proposito
perciò, nessun onere di prestazione di
garanzia fideiussoria poteva insorgere nei
partecipanti alla procedura né tanto meno
poteva imporsi il principio di etero
integrazione che vale evidentemente per le
fattispecie (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.07.2010 n. 4510 -
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APPALTI:
L'impresa che abbia usufruito di
un condono fiscale o abbia ottenuto una
rateizzazione del debito tributario deve
essere considerata in regola ai fini della
presentazione della domanda di
partecipazione ad una gara di appalto.
L'impresa che abbia usufruito di un condono
fiscale o abbia ottenuto una rateizzazione
del debito tributario deve essere
considerata in regola ai fini della
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara, stante il valore
novativo che tali atti assumono.
Tuttavia, perché l'impresa possa
considerarsi fiscalmente in regola, gli
eventi sopra richiamati devono essersi
verificati entro la scadenza del termine di
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara. Il che significa,
nel caso di specie, che l'impresa deve aver
ottenuto entro tale data la concessione
della rateizzazione del debito (in tal
senso, esplicitamente, la determinazione
dell'Autorità di Vigilanza n. 1 del 2010).
Nella specie è pacifico, invece, che
l'assentimento alla rateizzazione sia
intervenuto dopo la presentazione della
domanda di partecipazione alla gara e dopo
la scadenza del termine di presentazione
delle domande di partecipazione alla gara.
Ne consegue che, non può dirsi in posizione
di regolarità fiscale, alla luce del
disposto dell'art. 38, c. 1, lett. g), del
d.lgs. n. 163 del 2006, l'impresa che al
momento della presentazione della domanda di
partecipazione ad una procedura di gara
abbia presentato istanza di pagamento
rateizzato in relazione ad una propria
inadempienza fiscale ma non ancora ottenuto
l'assentimento al pagamento dilazionato
stesso, il quale ultimo interverrà solo
successivamente alla scadenza del termine di
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara (TAR Toscana, Sez.
I,
sentenza 13.07.2010 n. 2529 -
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ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Titoli edilizi rilasciati –
Diritto di accesso – Art. 5 d.P.R. n.
380/2001 – Estensione.
In materia di accesso ai titoli edilizi
rilasciati ed ai relativi progetti, l’art. 5
del D.P.R. n. 380/2001, nello stabilire le
competenze dello sportello unico per
l’edilizia, pone l’obiettivo di consentire,
a chiunque vi abbia interesse, l’accesso
gratuito all’elenco delle domande presentate
ed a tutte le informazioni utili
disponibili.
Coerentemente, secondo il consolidato
orientamento giurisprudenziale, qualsiasi
soggetto abitante in zona vicina a quella
interessata dal permesso di costruire
(ancorché non proprietario dell’area in cui
ricade l’intervento edilizio) ha diritto di
accedere ai titoli abilitativi rilasciati ed
ai relativi atti progettuali, rilevando la
sussistenza di un interesse personale e
concreto per la tutela di posizioni
giuridicamente rilevanti (Cons. Stato, V,
23/05/1997, n. 549; idem, 07/05/2008, n.
2086; idem, IV, 14/04/2010, n. 2092; TAR
Puglia, Lecce, II, 17/09/2009, n. 2121) (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 12.07.2010 n. 2450 -
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EDILIZIA PRIVATA:
BOSCHI E FORESTE - Misure
normative a tutela dei boschi - Estensione -
Limitazione alle sole ipotesi riconducibili
ad alberi di alto fusto - Esclusione -
Lettura sistematica della normativa - Artt.
2 e 3 L. n. 353/2000 - Art. 2, c. 1 d.lgs.
n. 227/2001 - Alberi di olivo - D.lt.
475/1945 - Divieto di abbattimento.
Da una lettura sistematica della normativa
in materia di boschi e dalle specifiche
finalità di salvaguardia del territorio
perseguite dalla legge, emerge con chiarezza
che nell'ambito delle misure protettive dei
boschi sono indubbiamente ricomprese
numerose ipotesi di vegetazione non soltanto
riconducibile a quella degli alberi di alto
fusto, includendosi anche la vegetazione
qualificabile come macchia, oltreché
coltivazioni da frutto di vario genere (cfr.
artt. 2 e 10 L. n. 353/2000, art. 2, c. 1
d.lgs. n. 227/2001): con specifico
riferimento agli alberi di olivo, che come è
noto possono raggiungere volumi ed altezze
considerevoli e che, sotto tale profilo,
possono già di per sé accomunarsi agli
alberi di alto fusto, è tuttora vigente la
disciplina dettata dal decreto
luogotenenziale 27.07.1945, n. 475, recante
il divieto di abbattimento di tali alberi se
non in numero limitato e con specifica
autorizzazione delle autorità competenti.
BOSCHI E FORESTE -
INCENDI - Aree percorse dal fuoco - Divieto
di modificazione della destinazione
urbanistica - Uliveto - Zona arborata -
Inapplicabilità del divieto di cui all’art.
10, c. 1 L. n. 353/2000 - Inconfigurabilità
- Ragioni.
Le finalità di salvaguardia del territorio e
delle sue entità naturalistiche
indispensabili alla vita (fattispecie
relativa al divieto di modificazione della
destinazione urbanistica, ai sensi dell’art.
10, c. 1 della L. n. 353/2000, di area
coltivata ad uliveto percorsa dal fuoco) non
possono essere ristrette a limitate ipotesi
di particolari tipi di bosco e di pascoli,
ponendosi una simile conclusione non solo in
stridente contrasto, nella specie, con la
normativa riguardante la speciale
salvaguardia degli uliveti, ma pure in
evidente contraddizione con la vigente
disciplina generale in materia forestale,
che ammette l'estensione della tutela
addirittura alla sola sterpaglia, come ben
messo in evidenza anche dalla giurisprudenza
del giudice penale (cfr. Cass. Sez. I.
penale, 04.03.2008, n. 14209) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 09.07.2010 n. 4457 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
poteri di cui dispone l'amministrazione
preposta alla tutela del vincolo
paesaggistico, ai fini del rilascio del
condono edilizio,vanno esercitati seguendo
una linea "tollerante" per consentire, se
possibile, il salvataggio del bene.
Argomento della pronuncia in commento era
l’annullamento del decreto con cui il
Soprintendente per i beni architettonici per
il paesaggio aveva annullato il
provvedimento con cui il Comune in causa
aveva espresso parere favorevole ai sensi
dell’articolo 32 della legge n. 47/1985 e
dell’articolo 39 della legge n. 724/1994 in
relazione alla richiesta di concessione in
sanatoria dell’ampliamento di un edificio
preesistente, avente destinazione
artigianale e residenziale realizzato in un
fondo di loro proprietà in una zona con
destinazione agricola.
Il Tribunale amministrativo di Roma ha
ritenuto fondato il ricorso sviluppando tali
argomentazioni: certamente il potere
ministeriale di annullamento
dell'autorizzazione paesaggistica può essere
esercitato per qualunque profilo di
illegittimità, ivi compreso –come è avvenuto
nel caso in commento– per un ritenuto vizio
di carenza di motivazione del nulla osta
paesaggistico emesso dal Comune delegato.
L'autorizzazione paesaggistica rilasciata
dal Comune deve infatti recare sempre,
ricordano i giudici capitolini, una precisa
motivazione che consenta una compiuta
valutazione di legittimità, anche sotto il
profilo della completezza dell'istruttoria e
del ponderato bilanciamento degli interessi
tutelati (cfr. Consiglio Stato, sez. VI,
24.04.2009, n. 2559).
In tali ipotesi -in base al regime in vigore
all’epoca dell’adozione dell’atto impugnato-
il provvedimento ministeriale di
annullamento non può, e non deve, costituire
una differente ed autonoma valutazione
tecnico-discrezionale, ma deve comunque
risolversi in una complessiva e compiuta
analisi di tutte le circostanze di fatto e
di tutti gli elementi specifici (da esporre
nella motivazione), che o non siano stati
esaminati dall'autorità comunale che ha
emanato l'autorizzazione ovvero siano stati
da essa irrazionalmente considerati in
contrasto con i fondamentali principi sulla
legittimità dell'azione amministrativa.
Deve perciò condividersi l’indirizzo per
cui,in linea di massima, i poteri di cui
dispone l'amministrazione preposta alla
tutela del vincolo paesaggistico, ai fini
del rilascio del condono edilizio,vanno
esercitati seguendo una linea "tollerante"
in vista di consentire, se possibile, il
salvataggio del bene (cfr. TAR Lombardia
Brescia, sez. I, 12.02.2010, n. 731).
In sostanza il parere negativo
dell'Amministrazione competente deve essere
supportato dalla considerazione, e dalla
dimostrazione dei relativi elementi fattuali
a sostegno, per cui la sanatoria dell'opera
vincolata comprometterebbe
irrimediabilmente, ed in rilevante misura,
gli interessi che il vincolo mira a tutelare
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza
08.07.2010 n.
23769 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La pronuncia può rovesciare l’esito della
gara solo quando riguardi voci che, per la
loro rilevanza ed incidenza complessiva,
rendano l'intera operazione economica implausibile.
la possibilità del sindacato giurisdizionale, seppure non esclusa, deve
normalmente limitarsi al mero controllo di
legittimità dell’atto adottato
dall’amministrazione all’esito del
procedimento di valutazione delle
giustificazioni, e che il relativo giudizio
può essere censurato in sede di legittimità
solo ove se ne possa desumere in maniera
indubitabile la illogicità , l’incoerenza o
l’erroneità (V. Cons. Stato, sez. V,
07.10.2008, n. 4847, 11.07.2008, n. 3481;
sez. VI, 25.09.2007, n. 4933; sez. IV,
22.03.2005, n. 1231 e 30.10.2009 n. 5708).
Nella verifica dell'anomalia, pertanto,
l'esito della gara può essere travolto dalla
pronuncia del giudice amministrativo solo
allorquando il giudizio negativo sul piano
dell'attendibilità riguardi voci che, per la
loro rilevanza ed incidenza complessiva,
rendano l'intera operazione economica
implausibile e, per l'effetto, non
suscettibile di accettazione da parte della
stazione appaltante, e ciò a causa della
presenza di dubbi circa l'idoneità
dell'offerta minata da spie strutturali di
inaffidabilità, a garantire l'efficace
perseguimento dell'interesse pubblico (Cons.
Stato, Sez. VI, 03.05.2002, n. 2334) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 08.07.2010 n. 4434 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione in assenza di DIA si sanziona
pecuniariamente e non con la riduzione in
pristino.
Nel caso trattato dai giudici del capoluogo
marino abruzzese, fa ingresso la nuova
disciplina dell’attività edilizia libera
introdotta dal d.l. 40/2010 convertito in
legge 73/2010 la cui interpretazione non
ancora consolidata ha portato i giudici alla
compensazione delle spese.
Il caso è quello della costruzione, senza
aver ottenuto e richiesto alcun titolo
edilizio, di una struttura di legno composta
da pilastrini e travi su un balcone. Secondo
l’amministrazione comunale ciò basta per
intervenire ordinando la demolizione del
manufatto.
La parte privata resiste: l’intervento
avrebbe potuto legittimamente essere
realizzato senza chiedere alcun titolo
edilizio, in quanto l’opera costituisce un
mero arredo di natura precaria, per altro
verso che in ogni caso, ove l’opera fosse in
realtà soggetta a d.i.a., avrebbe dovuto
applicarsi una sanzione pecuniaria e non
ordinarsi la demolizione.
I giudici non ritengono di dover affrontare
la prima questione, essendo convinti dalla
fondatezza del secondo motivo.
Nell’ordinanza il Comune ha ritenuto di
ricondurre l’opera in questione non
nell’ambito degli interventi che l’art. 10,
I comma, del D.P.R. n. 380/2001, sottopone a
preventivo permesso di costruire, ma a
quelli sottoposti a preventiva denuncia
d’inizio attività ai sensi del successivo
art. 22, I comma.
E’ sulla base di questo assunto che risulta
illegittima la sanzione applicata. Infatti,
l’art. 37 DPR 380/2001 stabilisce che: “La
realizzazione di interventi edilizi di cui
all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza
della o in difformità dalla denuncia di
inizio attività comporta la sanzione
pecuniaria pari al doppio dell'aumento del
valore venale dell'immobile conseguente alla
realizzazione degli interventi stessi e
comunque in misura non inferiore a 516 euro”.
E solo nel caso in cui le opere realizzate
in assenza di denuncia d’inizio attività
consistono in interventi di restauro e di
risanamento conservativo, eseguiti su
immobili comunque vincolati in base a leggi
statali e regionali l'autorità competente a
vigilare sull'osservanza del vincolo, salva
l'applicazione di altre misure e sanzioni
previste da norme vigenti, può ordinare la
restituzione in pristino a cura e spese del
responsabile.
Nel caso di specie non sussistevano vincoli.
Pertanto la sanzione applicata risulta
illegittima. Il fatto che entri in gioco
anche l’applicazione delle nuove
disposizioni dell’art. 6 del d.l. 40/2010
sulle quali non si è ancora consolidato un
orientamento giurisprudenziale condiviso
suggerisce ai giudici la misura della
compensazione delle spese
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza
08.07.2010 n. 779 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Negli
edifici ricadenti in zona territoriale
diversa dalla A è prescritta, in tutti i
casi, la distanza minima assoluta di metri
10 tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti.
Negli edifici ricadenti in zona territoriale
diversa dalla A è prescritta, in tutti i
casi, la distanza minima assoluta di metri
10 tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti. Ciò, a tenore della normativa di
cui all’art. 41-quinquies della legge
17.08.1942 n. 1150, nonché all’art. 9, comma
primo, n. 2), del d.m. 02.04.1968 n. 1444.
Quest’ultima norma regolamentare trae dalla
predetta norma di legge la capacità di
integrare con efficacia precettiva il regime
delle distanze nelle costruzioni (cfr.:
Cons. Stato IV, 12.03.2009 n. 1491).
E’ plausibile ritenere che tale orientamento
ermeneutico della giurisprudenza sopravviva
persino alla riforma del testo unico
dell’edilizia (cfr.: TAR Molise 08.07.2009
n. 599)
(TAR Molise,
sentenza 08.07.2010 n. 267 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sussiste
in capo all'Amministrazione Comunale
l'obbligo di attivazione procedimentale, di
cui agli artt. 7 e ss., della Legge n. 241
del 1990, in relazione al riesame o
revisione di determinazioni già prese di
assentibilità di progettati interventi
edilizi.
Viene impugnata, nella pronuncia in
commento, l'ordinanza con la quale è stata
disposta la sospensione dei lavori di
costruzione del fabbricato oggetto di un
permesso di costruire già assentito alla
Società in causa.
I ricorrenti lamentano nello specifico
l’illegittimità del provvedimento impugnato
per violazione delle norme basilari
procedimentali di mancata comunicazione
dell’avvio del procedimento.
Il cuore della censura risiede tutto nella
violazione delle generali regole
procedimentali e, in particolare, in materia
di procedimento di riesame, che richiede
idonea istruttoria e adeguata motivazione
riguardo le determinazioni assunte
dall’Amministrazione nonché l’indicazione
delle ragioni di interesse pubblico
giustificative dell’atto di annullamento.
Rileva, invero, il Tribunale Ammnistrativo
di Roma che in via generale sussiste in capo
all'Amministrazione Comunale l'obbligo di
attivazione procedimentale, di cui agli
artt. 7 e ss., della Legge n. 241 del 1990,
in relazione al riesame o revisione di
determinazioni già prese di assentibilità di
progettati interventi edilizi, atteso che in
tal caso necessita anche per il Comune
l’adempimento di fornire apposita
motivazione in ordine alle esigenze di
tutela di uno specifico interesse pubblico
prevalente rispetto agli interessi della
parte ricorrente, allorquando sono
rilevabili situazioni di affidamento
sussistenti in concreto qualora sia stato
rilasciato il permesso di costruire (cfr.
TAR Toscana, sez. III, 26.02.2010, n. 535).
Del resto, non può ignorarsi la
giurisprudenza consolidata in materia,
secondo cui il provvedimento di annullamento
di una concessione edilizia, quale atto
discrezionale, deve essere adeguatamente
motivato in ordine all’esistenza
dell’interesse pubblico, specifico e
concreto, che giustifica il ricorso
all’autotutela anche in ordine alla
prevalenza del predetto interesse pubblico
su quello antagonista del privato (cfr.
ex multis, Cons. Stato, sez. IV,
16.04.2010, n. 2178; Tar Calabria,
Catanzaro, sez. II, 24.04.2006, n. 422; Tar
Lombardia, Milano, sez. III, 12.11.2009, n.
5021; Tar Campania, Napoli, sez. VIII,
07.12.2009, n. 8597; Tar Trentino Alto
Adige, Trento, sez. I, 16.12.2009, n. 305;
Tar Campania, Napoli, sez. IV, 09.04.2010,
n. 1885).
Anche nell’ipotesi di annullamento di un
permesso di costruire va riconosciuta piena
operatività ai principi generali che
condizionano il legittimo esercizio del
potere di autotutela. Detto potere è
espressione della discrezionalità della p.a.
e costituisce un adempimento indefettibile
l’adozione di un provvedimento espresso che
richiede la valutazione di elementi
ulteriori rispetto alla mera illegittimità
dell’atto da eliminare.
In ossequio all’orientamento tradizionale
che trova il suo fondamento nei valori di
rango costituzionale di buon andamento e
dell’imparzialità dell’azione
amministrativa, è, infatti, doveroso
rimettere la verifica di legittimità
dell’atto di autotutela ad un apprezzamento
concreto, condotto sulla base dell’effettiva
e specifica situazione creatasi a seguito
del rilascio dell’atto permissivo e alla
situazione creatasi a seguito dello stesso.
Detto orientamento ha trovato, tra l’altro,
conferma nelle recenti disposizioni della
Legge n. 15 del 2005, che ha introdotto
l’art. 21-nonies alla Legge n. 241 del 1990:
in tale norma viene confermata in relazione
ad ogni procedimento di riesame la natura
tipicamente discrezionale dell’atto di
ritiro, che deve essere espressione di un a
congrua valutazione comparativa degli
interessi in conflitto, di cui si deve dare
atto nel proprio corredo motivazionale (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, cit, n. 2178 del 2010;
Tar Campania, Napoli, sez. IV, 09.04.2010,
n. 1885).
Traslando i superiori principi alla
fattispecie in esame, ne discende
l’illegittimità dei provvedimenti impugnati
laddove risulta omessa l’enunciazione
dell’interesse pubblico specifico, diverso
da quello generico al ripristino della
legalità, che imponeva il ritiro del titolo
concessorio e quali siano le ragioni della
prevalenza di tale interesse su quello del
privato, il quale, nella specie, sulla base
delle legittime aspettative derivanti dal
titolo, al momento del ritiro, aveva già
avviato l’attività di costruzione
dell’immobile (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza
07.07.2010 n. 23285 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: ORDINANZA
CONTINGIBILE ED URGENTE ... E PROVVISORIA?
1. Sindaco - Ordinanze
contingibili e urgenti - Connotati
essenziali - Conseguenza.
2. Sindaco - Ordinanze contingibili e
urgenti - Giurisdizione amministrativa -
Sussistenza - Disciplina.
1.
Le ordinanze contingibili e urgenti adottate
dal Sindaco non debbono necessariamente
avere sempre il carattere della
provvisorietà, dato che il loro connotato
essenziale è la necessaria idoneità delle
misure, da esse imposte, ad eliminare la
situazione di pericolo che costituisce il
presupposto della loro adozione: pertanto,
dette misure possono essere provvisorie o
definitive a seconda del tipo di rischio che
intendono fronteggiare.
Occorre, cioè, avere riguardo alle
specifiche circostanze di fatto del caso
concreto, e allo scopo pratico perseguito
attraverso il provvedimento del Sindaco
(Cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1128/1998).
2.
In relazione alle ordinanze contingibili e
urgenti emesse dal Sindaco a tutela
dell'incolumità pubblica, quale ufficiale di
Governo, sussiste la giurisdizione di merito
del Giudice Amministrativo, in virtù del
combinato disposto dell'art. 7, L.
06.12.1971 n. 1034 e dell'art. 1, T.U.
26.06.1924 n. 1058: pertanto, tali ordinanze
possono essere pienamente sindacate dal G.A.
con riferimento non solo a tutti gli aspetti
concernenti la legittimità, ma anche ai
profili relativi alla sufficienza e
all'attendibilità dell'attività istruttoria
ovvero alla convenienza, opportunità ed
equità delle determinazioni adottate
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 07.07.2010 n. 2887 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non è necessaria la comunicazione di avvio
del procedimento per le misure sanzionatorie
in materia edilizia.
In materia di misure sanzionatorie per abusi
edilizi, vi è costante giurisprudenza, cui
questo collegio ritiene di aderire, che
ritiene non necessario l'avviso di avvio del
procedimento poiché il soggetto che ha
commesso l’abuso edilizio è consapevole
dell'illecito e può quindi ragionevolmente
presumere di divenire oggetto di attenzione
sanzionatoria da parte del Comune (TAR
Lazio-Latina,
sentenza 07.07.2010 n. 1131 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: STAZIONE
ELETTRICA A SERVIZIO DI IMPIANTO EOLICO.
1. Giudizio
amministrativo - Procedura - Termini - Per
impugnare - Emersione del fatto lesivo -
Decorrenza.
2. Energia - Elettrica - Stazione di
trasformazione dell'energia prodotta da un
parco eolico - Attività - Natura - Non è
industriale - Strumentale rispetto alla
produzione di energia elettrica -
Compatibilità con area destinata a servizi -
Sussiste - Fattispecie.
3. Energia - Elettrica - Fonti rinnovabili -
Realizzazione degli impianti - Opere di
pubblica utilità, indifferibili ed urgenti -
Conseguenze - Localizzazione - Destinazione
industriale - Necessità - Non sussiste -
Zone agricole - Compatibilità.
1.
Il termine decadenziale per l'impugnazione
non decorre dalla data dell'atto bensì dalla
data in cui la parte interessata ha
acquisito piena consapevolezza del carattere
lesivo del provvedimento.
Ne deriva che nel caso di realizzazione di
una stazione elettrica di notevole impatto
ambientale, la conoscenza del fatto lesivo è
riconducibile al momento in cui il
ricorrente scopre che sta per realizzarsi
una stazione elettrica di notevole impatto
territoriale in un'area vicina a quella
della sua attività.
Il termine decadenziale decorre, dunque,
dall'emersione del fatto lesivo, non già
dall'effettiva conoscenza acquisita della
concessione (TAR Sicilia Catania, sez. I,
28-01-2009 n. 192; TAR Puglia Bari, sez. II,
11-08-2008 n. 1931).
2.
Le attività previste in una stazione
elettrica (nella specie, a media tensione,
estesa su una superficie di 1500 mq., la cui
funzione è quella di trasformare e
trasferire sulla rete elettrica tutta
l'energia prodotta da un parco eolico) non
hanno natura industriale, ma sono attività
meramente strumentali rispetto alla
produzione di energia elettrica e, pertanto
compatibili -almeno in astratto- con un'area
di insediamenti destinata a servizi.
Qualora non sia provato che le attività
svolte dall'impianto assentito siano
rumorose, o pericolose, ovvero incompatibili
con le attività artigianali e commerciali
della zona, e neppure sia fornita una prova
(o un principio di prova) del fatto che il
progetto sia in contrasto con i limiti e gli
standards della pianificazione di area,
(deducendosi al contrario dalla relazione
tecnico-descrittiva della stazione
elettrica, che si tratta di un piccolo
edificio, poco ingombrante, con
trasformatori, i sistemi di protezione e di
controllo ed impianti occupanti una
superficie di 1500 metri quadrati, di cui
alcuni interrati, altri con altezza modesta,
che li rende poco visibili dall'esterno e di
scarso impatto sul paesaggio, con campi
elettromagnetici periferici con valori
bassi, il che esige che sia provata la
pericolosità delle emissioni) si deve
ritenere che l'intervento sia compatibile
con la destinazione dell'area, e ciò a
maggior ragione nel caso in cui le
previsioni di un Piano degli insediamenti
produttivi consentano la realizzazione di
centrali termiche a servizio delle attività
produttive in tutte le aree del P.i.p..
3.
L'articolo 12 del D.Lgs. n. 387/2003
qualifica le opere per la realizzazione di
impianti alimentati da fonti rinnovabili
come di pubblica utilità, indifferibili e
urgenti, disponendo che esse siano soggette
ad autorizzazione unica regionale,
rilasciata dalla Regione nel rispetto della
normativa di tutela dell'ambiente, del
paesaggio, del patrimonio storico e
artistico.
La localizzazione di un impianto eolico non
richiede pertanto la destinazione
industriale dell'area e non incontra
preclusioni nelle destinazioni urbanistiche,
salvo che non si tratti di impianti ad alto
impatto ambientale o paesaggistico.
Gli impianti eolici possono essere
realizzati, invero, persino in zone
caratterizzate da indici plano-volumetrici
molto bassi, quali sono le zone agricole
(nella fattispecie il Tribunale, valutando i
pareri e gli atti di assenso forniti dalle
diverse autorità competenti e confluiti
nella conferenza di servizi regionale, ha
ritenuto che l'impianto in questione non
presentasse alcuna controindicazione né che
fosse in contrasto con la normativa di cui
all'art. 12 co. 4, D.Lgs. n. 387/2003, in
quanto detta normativa -concernente il
ripristino dello stato dei luoghi, a seguito
dell'eventuale dismissione dell'impianto
eolico ed espressamente riferita alle torri
eoliche- sarebbe comunque applicabile, anche
quando gli atti di assenso non la
contemplassero espressamente) (Cfr. Cons.
Stato, sez. V, 11-12-2007 n. 6388)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Molise,
sentenza 07.07.2010 n. 261 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di una piscina -
Permesso di costruire - Necessità -
Fondamento.
Anche per la realizzazione di una piscina
occorre il permesso di costruire, e ciò
perché costituiscono lavori edilizi che
richiedono il preventivo rilascio del
permesso di costruire non solo quelle opere
che si elevano al di sopra del suolo, ma
anche quelle in tutto o in parte interrate,
che trasformano in modo durevole l'area
impegnata dai lavori stessi, senza
discrimine sulla entità del manufatto
realizzato (come nel caso della
realizzazione di una piscina) (Cass.
29/04/2003, Agresti; Cass. 27/09/2000,
Cimaglia) (conferma sentenza Corte di
Appello di Lecce del 24/09/2009) (Corte di
cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.07.2010 n. 25631 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere abusive - Ordine di
demolizione - Impartito dal giudice - Atto
dovuto - Impartito dalla P.A. - Rapporto -
Differenza - Principi di tutela del
territorio - Art. 44, lett. c), d.P.R. n.
380/2001 - Art. 31, c. 9, d.P.R. n. 380/2001
- D. Lgs. n. 301/2002.
L'ordine di demolizione colpisce il
manufatto illecitamente realizzato, ai sensi
dell'art. 31, penultimo comma, d.P.R.
380/2001, attribuisce al giudice penale che
pronunzi condanna per la esecuzione di opere
edilizie in assenza di titolo abilitativo,
ovvero in totale difformità o con variazioni
essenziali rispetto al permesso rilasciato,
il potere di ordinare la demolizione delle
opere stesse, se ancora non sia stata
altrimenti eseguita.
L'ordine de quo costituisce atto dovuto e
non si pone in rapporto alternativo con
l'ordine di demolizione eventualmente già
impartito dalla P.A. (Cass. 11/05/005,
Morelli; Cass. 29/09/2005, Gambino) e va
qualificato come sanzione amministrativa e
non come pena accessoria e colpisce il
l'opera abusivamente realizzata, in quanto
tale, non rilevando l'appartenenza di essa
al soggetto contro il quale si procede o a
terzi estranei al processo. (conferma
sentenza Corte di Appello di Lecce del
24/09/2009) (Corte di cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 06.07.2010 n. 25631 - link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI:
La mancata esecuzione di una sentenza di
condanna al pagamento di somme di denaro non
può ritenersi legittimamente motivata in
relazione ad eventuali difficoltà di
carattere finanziario e/o a carenza di fondi
di bilancio.
La mancata esecuzione di una sentenza di
condanna al pagamento di somme di denaro
–divenuta irrevocabile- non può ritenersi
legittimamente motivata in relazione ad
eventuali difficoltà di carattere
finanziario e/o a carenza di fondi di
bilancio, dovendo, comunque,
l’Amministrazione porre in essere tutte le
iniziative necessarie per procedere al
tempestivo pagamento di quanto dovuto
(Consiglio di Stato, sez. V, 13.06.2008, n.
2973; C.G.A.R.S. 02.10.1998, n. 356) (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 06.07.2010 n. 8274 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Anche l'institore deve dichiarare
l'assenza delle cause di esclusione di cui
all'art. 75 del d.P.R. n. 554/1999.
L'institore è titolare di una posizione
corrispondente a quella di un vero e proprio
amministratore, munito di poteri di
rappresentanza, di conseguenza deve anche
essere annoverato fra i soggetti tenuti alla
dichiarazione di assenza delle cause di
esclusione di cui all'art. 75 del d.P.R. n.
554 del 1999.
Inoltre, non è solo il rapporto che, in
concreto, i singoli rappresentati avranno
con la p.a. a determinare l'obbligo di
dimostrare il possesso dei requisiti di
moralità ma tale obbligo sorge dalla
necessità di dovere dimostrare
l'affidabilità dell'intera impresa che
entrerà in rapporto con l'amministrazione.
Diversamente, non avrebbe alcun senso
l'obbligo imposto ai soggetti cessati dalla
carica di dimostrare i requisiti di moralità
atteso che gli stessi non hanno più modo di
entrare in contatto con la stazione
appaltante.
Peraltro, conta la titolarità del potere e
non anche il suo concreto esercizio tanto
più quando lo stesso statuto abilita il
soggetto a sostituire in qualsiasi momento e
per qualsiasi atto il titolare principale
della rappresentanza senza intermediazione o
investitura ulteriore e, sostanzialmente,
senza controllo sulla effettività
dell'impedimento e della assenza (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 06.07.2010 n. 8268 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Sulla motivazione degli
atti amministrativi.
Il tema della motivazione dell’atto
amministrativo è oramai improntato, a
livello giurisprudenziale e dottrinale, ad
una valutazione funzionale degli obblighi
spettanti alla pubblica amministrazione.
Superando le impostazioni delle teorie
formali, la giurisprudenza afferma che la
motivazione del provvedimento amministrativo
è finalizzata a consentire al cittadino la
ricostruzione dell'iter logico e giuridico
attraverso cui l'amministrazione si è
determinata ad adottare un dato
provvedimento, controllando, quindi, il
corretto esercizio del potere ad esso
conferito dalla legge e facendo valere,
eventualmente nelle opportune sedi, le
proprie ragioni.
Pertanto, la garanzia di adeguata tutela
delle ragioni del privato non viene meno per
il fatto che nel provvedimento
amministrativo finale non risultino
chiaramente e compiutamente rese
comprensibili le ragioni sottese alla scelta
fatta dalla pubblica amministrazione,
allorché le stesse possano essere
agevolmente colte dalla lettura degli atti
afferenti alle varie fasi in cui si articola
il procedimento, e ciò in omaggio ad una
visione non meramente formale dell'obbligo
di motivazione, ma coerente con i principi
di trasparenza e di lealtà desumibili
dall'art. 97 cost. (da ultimo Consiglio di
Stato IV, 30.05.2005, n. 2770; conformemente
id., 14.02.2005, n. 435; id. V, 20.10.2004,
n. 6814).
Ove quindi la decisione amministrativa
risulti motivata, nel senso giuridico e
nella decisione tecnica, dalla lettura non
del solo provvedimento, ma degli atti del
procedimento comunque noti o conoscibili dal
privato, le doglianze sul difetto di
motivazione dell’atto conclusivo non possono
essere accolte.
La valutazione della sopravvenuta importanza
dell’intero iter procedimentale rispetto
alla motivazione come fatto interno
dell’atto appare quindi del tutto consona
con le più aggiornate letture dell’agire
amministrativo, dove il reale momento
decisionale non sempre coincide con il
provvedimento finale, quando questo si
limita unicamente ad esternare l’esito della
decisione. Le norme sul procedimento in
concreto, imponendo l’acquisizione di
determinati fatti o di interesse, le
modalità di ponderazione degli interessi, i
criteri di giudizio, ecc., svolgono quindi
una funzione che non è di mera regolazione
del modus operandi, ma incidono nel
contenuto stesso del provvedimento finale,
che è connotato e denotato dalle scelte
operate nelle fasi precedenti.
Pertanto, la motivazione è obbligo che viene
rispettato non solo quando è l’atto finale
ad essere compiutamente giustificato ma,
soprattutto nei casi in cui la normativa non
impone modi di esternazione delle ragioni
particolarmente analitici o quando si viene
a collidere con la discrezionalità tecnica
dell’amministrazione, quando le regole
procedimentali vengano accuratamente
seguite, in modo tale che si possa
ragionevolmente ritenere che gli organi
pubblici abbiano agito sotto un velo di
ignoranza sull’esito finale del loro
operato, così escludendo parzialità ed
inefficienze
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.07.2010 n. 4331 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Questioni varie
attinenti il pubblico concorso.
In assenza di una normazione ad hoc, è del
tutto sufficiente la motivazione contenuta
in un punteggio numerico.
Il punteggio numerico è considerato di per
sé idoneo a sorreggere l'obbligo di
motivazione richiesto dall'art. 3 l.
07.08.1990 n. 241 anche qualora non siano
rinvenibili sull’elaborato segni grafici o
glosse di commento a margine dell'elaborato.
La predeterminazione dei criteri di
valutazione delle prove è connotata da
un’ampia discrezionalità, per cui i criteri
adottati sfuggono al sindacato
giurisdizionale, salvi i casi di manifesta
illogicità e irrazionalità.
In tema di valutazioni dei tempi medi di
correzione, la giurisprudenza ha sostenuto,
da un lato, l’infondatezza della censura in
quanto si tratta di vicenda normalmente
sottratta al controllo di legittimità.
Non è prescritta la verbalizzazione della
votazione assegnata da ciascun commissario
come elemento di legittimità della
valutazione delle prove in un pubblico
concorso, salvo che risulti il dissenso da
parte di taluno dei commissari, ai quali
solo spetta di invalidare per tale motivo la
verbalizzazione della seduta.
A seguito di
una considerevole elaborazione, la
giurisprudenza è oramai ferma nel
considerare, in assenza di una normazione ad
hoc, del tutto sufficiente la motivazione
contenuta in un punteggio numerico. In tal
caso, si tratta di motivazione sintetica, ma
comunque significativa ed idonea a rendere
palese la valutazione compiuta dalla
commissione, con la conseguenza che, se per
un verso, non occorre integrare il punteggio
numerico con un'apposita motivazione, un
obbligo di motivazione integrativa si pone
solo nel caso in cui vi sia un contrasto
talmente rilevante fra i punteggi attribuiti
dai componenti della commissione da
configurare un'eventuale contraddittorietà
intrinseca del giudizio complessivo (da
ultimo Consiglio di Stato, sez. IV,
14.04.2006, n. 2127, anche in tema di
concorso notarile; nonché id. sez. VI,
26.05.2006 n. 3147; id., 14.01.2005, n. 110;
id., IV 05.08.2005, n. 4165). Il punteggio
numerico è considerato di per sé idoneo a
sorreggere l'obbligo di motivazione
richiesto dall'art. 3 l. 07.08.1990 n. 241
anche qualora non siano rinvenibili
sull’elaborato segni grafici o glosse di
commento a margine dell'elaborato (da ultimo
TAR Sardegna, sez. I, 24.12.2004, n. 1933);
La predeterminazione dei criteri di
valutazione delle prove è connotata da
un’ampia discrezionalità, per cui i criteri
adottati sfuggono al sindacato
giurisdizionale, salvi i casi di manifesta
illogicità e irrazionalità (Consiglio di
Stato sez. IV, 06.05.2004, n. 2798; id. IV,
08.02.2000 n. 679). Pertanto, in assenza di
un rilevante scostamento dai detti canoni di
coerenza, le scelte operate dalla
commissione appaiono del tutto immuni dalle
censure operate;
In tema di valutazioni dei tempi medi di
correzione, la giurisprudenza ha sostenuto,
da un lato, l’infondatezza della censura in
quanto si tratta di vicenda normalmente
sottratta al controllo di legittimità
(Consiglio di Stato VI, 27.05.1998 n. 829);
dall’altro, e con affermazioni ancora più
radicali, la inammissibilità della censura
stessa, in quanto prospettata non in
relazione ad un dato assoluto (tempo
effettivamente occorso), ma ad un dato
relativo (tempi medi di correzione), facendo
risaltare l’assenza di alcuna prova o
indizio dell'asserita incongruità del tempo
occorso alla correzione delle prove della
parte ricorrente, risultando dai verbali
solo l'indicazione del tempo occorso alla
correzione degli elaborati svolti da un
certo numero di candidati (Consiglio di
Stato, sez. IV, 05.08.2005, n. 4165);
Non è prescritta la verbalizzazione della
votazione assegnata da ciascun commissario
come elemento di legittimità della
valutazione delle prove in un pubblico
concorso, salvo che risulti il dissenso da
parte di taluno dei commissari, ai quali
solo spetta di invalidare per tale motivo la
verbalizzazione della seduta (Consiglio di
Stato, sez. VI, 20.07.1995 n. 764), in
quanto, in un’ottica di maggiore rilievo e
salve diverse disposizioni del bando o dei
criteri fissati dalla commissione
esaminatrice, l'onere di verbalizzazione
delle operazioni di concorso (di cui
all'art. 14 d.p.r. 09.05.1994 n. 487) è
sufficientemente garantito dall'indicazione
del giudizio finale della commissione (TAR
Calabria, 03.04.1998, n. 252)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.07.2010 n. 4331 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Bonifica - Siti di
interesse nazionale - Competenze - Art. 252
d.lgs. n. 152/2006 - Competenze del Ministro
dell’Ambiente - Competenze dirigenziali -
Individuazione dei siti di interesse
nazionale - Decreto di recepimento della
conferenza di servizi - Procedimenti di
bonifica - Interventi di messa in sicurezza
d’emergenza.
L’art. 252 del d.lgs. n. 152/2006 distingue
tra atti ed attività di competenza del
Ministro dell’Ambiente ed atti e attività
facenti capo al Ministero. Rientra ad es.
tra i primi l’individuazione, ai fini della
bonifica, dei siti di interesse nazionale,
attinente all’indirizzo
politico-amministrativo in materia.
Si deve invece reputare che il decreto di
recepimento della Conferenza di Servizi
costituisca un mero atto di gestione, di
competenza dirigenziale, atteso che esso
certamente non concerne le scelte di fondo
che la P.A. è chiamata a compiere nel
settore in esame.
Del resto, l’art. 252, comma 4, del d.lgs.
n. 152 cit. attribuisce la competenza per i
procedimenti di bonifica di cui al
precedente art. 242, qualora abbiano ad
oggetto i siti di interesse nazionale, “alla
competenza del Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio”.
E se l’attribuzione delle relative
competenze al “Ministero” (e non al
Ministro, salve le tassative eccezioni)
sussiste per gli atti del procedimento di
bonifica, a fortiori essa deve sussistere
anche per gli interventi di messa in
sicurezza d’emergenza, i quali investono una
fase prodromica rispetto alla bonifica e non
sono in grado di determinare il definitivo
riassetto del sito (v. art. 240, comma 1,
lett. m), del d.lgs. n. 152 cit.) (cfr. TAR
Lombardia, Brescia, n. 1738/2009, secondo
cui, in base al generale principio di
distinzione tra attività di governo ed
attività di gestione, gli atti del
procedimento di bonifica dei siti di
interesse nazionale, compresi quelli
conclusivi, rientrano nella competenza
tecnico-gestionale degli organi esecutivi,
in quanto non contengono elementi di
indirizzo politico-amministrativo che
possano attrarre detta competenza nella
sfera riservata agli organi di governo).
INQUINAMENTO - Bonifica
- Procedimento - Concerto con il Ministero
dello Sviluppo Economico - Necessità -
Esclusione - Ragioni - Art. 252 c. 4 d.lgs.
n. 152/2006 - Differenza con il procedimento
di individuazione dei siti di interesse
nazionale - Intesa con le Regioni - Art.
252, c. 1.
L’art. 252, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006,
non richiede, nell’ambito della procedura di
bonifica,il concerto con il Ministero dello
Sviluppo Economico. A tal proposito è
significativa la differenza rispetto al
precedente comma 1, che richiede invece
l’intesa con le Regioni per il distinto
procedimento di individuazione dei siti di
interesse nazionale.
D’altro canto, l’intesa ed il concerto
sarebbero incompatibili con la natura di
atto gestionale propria del decreto di
recepimento delle conclusioni della
conferenza di servizi, ed anzi, il fatto che
non siano richiesti ne conferma la natura di
atto di mera gestione e non di indirizzo
politico-amministrativo.
L’esercizio di poteri che sfociano in
decreti emanati di concerto tra due
ministri, infatti, non può essere ricondotto
ad un’attività meramente gestionale, ma
rientra nell’ambito dell’indirizzo
politico-amministrativo, rappresentando
espressione di valutazioni anche politiche
proprie dei poteri governativi (cfr. TAR
Veneto, n. 350/2002).
Sotto questo aspetto vi è dunque assoluta
coerenza tra la necessità dell’intesa nel
procedimento di cui al comma 1 dell’art. 252
e l’assenza di una tale intesa o concerto
nella disciplina di cui al successivo comma
4: nel primo caso si tratta di un
procedimento che attiene all’indirizzo
politico-amministrativo, mentre negli altri
casi si tratta di procedimenti preordinati
all’adozione di atti di gestione, che
proprio per tale ragione non necessitano del
preventivo concerto a livello di vertice
politico dei rispettivi apparati.
INQUINAMENTO - Bonifica
- Conferenza di servizi - Pareri, intese e
concerti - Art. 252 d.lgs. n. 152/2006 -
Acquisizione all’interno della conferenza.
Nel modulo procedimentale della Conferenza
di Servizi, i pareri, le intese ed i
concerti di cui all’art. 252 cit. ed
all’art. 15, comma 4, del d.m. n. 471/1999
possono ben essere acquisiti all’interno
della Conferenza stessa, senza che poi, in
sede di emanazione del provvedimento finale,
si debba provvedere ad una nuova
acquisizione (TAR Lombardia, Brescia, Sez.
I, nn. 319/2009, cit. e 1738/2009, cit.).
INQUINAMENTO - Bonifica
- Destinatari delle prescrizioni -
Partecipazione al procedimento.
Nei procedimenti in materia di bonifica
ambientale, è necessario che la P.A.
consenta ai destinatari delle prescrizioni
stabilite dalla stessa P.A. di partecipare
al relativo procedimento, articolato in una
o più Conferenze di Servizi istruttorie e
decisorie.
Ciò, quantomeno, con riferimento alle fasi
procedimentali in cui emerge l’esistenza di
una contaminazione dell’area interessata e
che poi sfociano nelle determinazioni
assunte dalla Conferenza di Servizi
decisoria (cfr. TAR Toscana, Sez. II,
06.05.2009, n. 762; cfr. altresì TAR
Lombardia, Milano, Sez. I, 19.04.2007, n.
1913 e TAR Friuli Venezia Giulia,
27.07.2001, n. 488 per l’affermazione
secondo cui l’attività istruttoria del
procedimento di bonifica deve prevedere la
partecipazione del soggetto interessato).
INQUINAMENTO - Bonifica
- Attività istruttoria - Contraddittorio
procedimentale - Accertamenti analitici -
Principi di trasparenza e pubblicità - Art.
223 disp. att. c.p.p..
Nell’attività istruttoria del procedimento
di bonifica, il contraddittorio
procedimentale si appalesa necessario in
particolare per gli accertamenti analitici
(v. TAR Lombardia, Sez. I, n. 1913/2007):
ciò, atteso che l’onere di effettuare gli
accertamenti in contraddittorio con le parti
interessate risponde ad evidenti ragioni di
trasparenza e pubblicità, principi del
diritto vivente cui la P.A. si deve
uniformare in ogni momento della propria
azione, oltre che all’interesse pubblico
all’imparzialità dell’azione amministrativa.
Va poi rilevato che, ad avviso di altra
giurisprudenza, in materia sarebbe
applicabile l’art. 223 disp. att. c.p.p.,
secondo cui, qualora, nel corso di attività
ispettive o di vigilanza previste da leggi o
decreti, si debbano eseguire analisi di
campioni per le quali non è prevista la
revisione, l’organo procedente deve, anche
oralmente, dare avviso all’interessato
dell’ora e del luogo di effettuazione delle
analisi, in funzione del diritto dello
stesso di presenziare a queste, di persona o
tramite persona di fiducia da lui designata,
eventualmente con l’assistenza di un
consulente tecnico (cfr. TAR, Lombardia,
Sez. I, 11.11.2003, n. 4982).
INQUINAMENTO - Bonifica
- Imposizione della misura della barriera
fisica - Accertamenti tecnici - Necessità,
efficacia e realizzabilità.
L’imposizione della misura della cd.
barriera fisica deve essere supportata da
adeguati accertamenti tecnici che la
indichino come l’unico od il miglior sistema
per evitare la diffusione dell’inquinamento.
A prescindere dalla valutazione di altre
misure, di minore complessità ed onerosità,
la P.A. è tenuta a valutare ed accertare non
solo l’inefficacia di misure meno invasive
della barriera fisica, ma anche l’effettiva
necessità, efficacia e realizzabilità del
sistema di contenimento fisico (TAR Puglia,
Lecce Sez. I, 11.06.2007, n. 2247; TAR
Toscana, Sez. II, 14.10.2009, n. 1540; id.,
18.12.2009, n. 3973).
INQUINAMENTO - Bonifica
- Barriera fisica - Sottoposizione a VIA -
Obbligo.
L’opera di contenimento dell’inquinamento a
mezzo di barriera fisica è soggetta a
procedura obbligatoria di valutazione di
impatto ambientale, ai sensi sia del d.lgs.
n. 152/2006, sia del precedente art. 1,
comma 1, lett. l), del d.p.c.m. n. 377/1988
(cfr. TAR Sicilia, Catania, Sez. I,
20.07.2007, n. 1254).
INQUINAMENTO - Obbligo
di adottare le misure idonee a fronteggiare
lo stato di inquinamento - Soggetto
responsabile - Principio del “chi inquina
paga” - Obbligo di bonifica o messa in
sicurezza - Proprietario incolpevole
dell’area inquinata - Svolgimento delle
attività di risanamento - Imposizione -
Possibilità - Esclusione - Misure
d’emergenza - Artt. 240 e ss. d.lgs. n.
152/2006.
Tanto la disciplina di cui al d.lgs. n.
22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma
2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n.
152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e
segg.), si ispirano al principio secondo cui
l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti
che definitive, idonee a fronteggiare la
situazione di inquinamento, è a carico
unicamente di colui che di tale situazione
sia responsabile, per avervi dato causa a
titolo di dolo o colpa: l’obbligo di
bonifica o di messa in sicurezza non può
essere invece addossato al proprietario
incolpevole, ove manchi ogni sua
responsabilità (cfr., ex multis, TAR
Toscana, Sez. II, 17.04.2009, n. 665; id.,
06.05.2009, n. 762; nello stesso senso, TAR
Sicilia, Catania, Sez. I, 26.07.2007, n.
1254).
L’Amministrazione non può, perciò, imporre
ai privati che non abbiano alcuna
responsabilità diretta sull’origine del
fenomeno contestato, ma che vengano
individuati solo quali proprietari del bene,
lo svolgimento delle attività di recupero e
di risanamento.
L’enunciato è conforme al principio “chi
inquina, paga”, cui si ispira la
normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex
art. 130/R, del Trattato CE), la quale
impone al soggetto che fa correre un rischio
di inquinamento di sostenere i costi della
prevenzione o della riparazione.
Va precisato, in argomento, che il principio
“chi inquina, paga” vale, altresì, per le
misure di messa in sicurezza d’emergenza.
Infatti, anche l’adozione delle misure di
messa in sicurezza d’emergenza è addossata
dalla normativa in discorso al soggetto
responsabile dell’inquinamento (cfr. art.
242 del d.lgs. n. 152 cit.).
INQUINAMENTO -
Proprietario dell’are inquinata non
responsabile - Esecuzione d’ufficio delle
opere di recupero ambientale - Garanzie
gravanti sul terreno oggetto degli
interventi - Artt. 244, 250 e 253 d.lgs. n.
152/2006.
A carico del proprietario dell’area
inquinata, che non sia altresì qualificabile
come responsabile dell’inquinamento, non
incombe alcun obbligo di porre in essere gli
interventi in parola, ma solo la facoltà di
eseguirli per mantenere l’area interessata
libera da pesi.
Dal combinato disposto degli artt. 244, 250
e 253 del Codice ambiente si ricava infatti
che, nell’ipotesi di mancata esecuzione
degli interventi ambientali in esame da
parte del responsabile dell’inquinamento,
ovvero di mancata individuazione dello
stesso -e sempreché non provvedano né il
proprietario del sito, né altri soggetti
interessati- le opere di recupero ambientale
sono eseguite dalla P.A. competente, che
potrà rivalersi sul soggetto responsabile
nei limiti del valore dell’area bonificata,
anche esercitando, ove la rivalsa non vada a
buon fine, le garanzie gravanti sul terreno
oggetti dei medesimi interventi (TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 10.07.2007, n.
5355; TAR Toscana, Sez. II, 17.09.2009, n.
1448) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 06.07.2010 n. 2316 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opera abusivamente realizzata -
Permesso di costruire in sanatoria ex art.
36 DPR n. 380/2001 - Compiti del giudice
penale - Art. 101 Cost. - Cd. "doppia
conformità".
La disciplina contenuta nell’art. 36 DPR n.
380/2001 prevede, espressamente, che il
responsabile dell'abuso o il proprietario
possano ottenere il permesso in sanatoria se
l'intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente
sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione
della domanda (cd."doppia conformità").
In tali casi, il giudice penale, nel
valutare la sussistenza o meno della liceità
di un intervento edilizio, deve verificarne
la conformità a tutti i parametri di
legalità fissati dalla legge, dai
regolamenti edilizi, dagli strumenti
urbanistici e dalla concessione
edificatoria. Il giudice, quindi, non deve
limitarsi a verificare l'esistenza
ontologica del provvedimento amministrativo
autorizzatorio, ma deve verificare
l'integrazione o meno della fattispecie
penale "in vista dell'interesse
sostanziale che tale fattispecie assume a
tutela" (nella specie tutela del
territorio), (Cass. sez. unite 21.12.1993,
ric. Borgia).
E' la stessa descrizione normativa del reato
che impone al giudice un riscontro diretto
di tutti gli elementi che concorrono a
determinare la condotta criminosa, ivi
compreso l'atto amministrativo (Cass. pen.
sez. 3 - 21.01.1997- Volpe ed altri).
Non sarebbe infatti soggetto soltanto alla
legge (art. 101 Cost.) un giudice penale che
arrestasse il proprio esame all'aspetto
esistenziale e formale di un atto
sostanzialmente contrastante con i
presupposti legali (Cass. pen. sez. 3 -
02.05.1996 n. 4421 - Oberto ed altri).
Tutti tali principi sono stati ribaditi da
Cass. sez. 3 - n. 11716 del 29.01.2001
(annulla sentenza del 27.10.2009 del
Tribunale di Tivoli, sez. dist. di
Palestrina e rinvia alla Corte di Appello di
Roma).
Permesso in sanatoria -
Automatica estinzione del reato - Esclusione
- Reati aventi oggettività giuridica - Art.
36 DPR n. 380/2001.
Il rilascio del permesso in sanatoria, ex
art. 36 DPR n. 380/2001, non determina
automaticamente l’estinzione del reato,
dovendo il giudice, comunque, accertare la
legittimità sostanziale del titolo sotto il
profilo della sua conformità alla legge
(Cass. pen. sez. 3 n. 144 del 30.01.2003-PM
in proc. Ciaravella).
Sicché, l'effetto estintivo non opera nei
confronti dei reati aventi oggettività
giuridica diversa, come quelli relativi a
violazioni di disposizioni dettate dalle
leggi in materia di costruzioni in zona
sismica, di opere in conglomerato cementizio
o di vincoli ambientali e paesaggistici.
Tali disposizioni, infatti, pur riguardando
l'attività edificatoria sono "diverse"
sotto il profilo della ratio e degli
obiettivi perseguiti, da quelle in materia
urbanistica (Cass. sez. 3 - 02.07.1994 n.
7541; Cass. sez. 3 - 26.06.1997 n. 6225;
Cass. sez. 3 - n. 11511 del 15.02.2002;
Cass. sez. 3 - 22.05.2006 n. 17591) (annulla
sentenza del 27.10.2009 del Tribunale di
Tivoli, sez. dist. di Palestrina e rinvia
alla Corte di Appello di Roma) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 05.07.2010 n. 25387 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Provvedimento di concessione
edilizia - Soggetti legittimati
all’impugnazione - Soggetti titolati a
ricevere l’avviso di avvio del procedimento
- Identità - Esclusione.
Non vi è identità tra le posizioni di coloro
che siano legittimati ad impugnare il
provvedimento finale di concessione edilizia
e coloro che possono intervenire o hanno
titolo a ricevere l'avviso di avvio del
procedimento; ove sia stata proposta una
domanda di concessione edilizia e/o di
autorizzazione paesistica, il vicino del
richiedente può intervenire nel procedimento
ed impugnare il provvedimento che accoglie
l'istanza, ma non ha titolo a ricevere
l'avviso di avvio predetto (Cons. di St., VI,
10.02.2006, n. 547; TAR Liguria, I,
15.11.2005, n. 1461) (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 05.07.2010 n. 5570 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Accertamento di conformità ex
artt. 36 e 37 d.P.R. n. 380/2001 - Opere
“formalmente” abusive - Doppia conformità -
Opere realizzate in difformità alle norme
urbanistiche - Diverso regime - Sanzione ex
art. 27 d.P.R. n. 380/2001.
L'accertamento di conformità previsto dagli
artt. 36 (per le opere eseguite in assenza
di permesso di costruire) e 37 comma 4 (per
le opere eseguite in assenza di D.I.A.) del
D.P.R. n. 380 del 2001 è diretto a sanare -a
regime- le opere solo “formalmente”
abusive, in quanto eseguite senza titolo
edilizio (rispettivamente, permesso di
costruire o D.I.A.), ma conformi nella
sostanza alla disciplina urbanistica
applicabile per l'area su cui sorgono,
vigente sia al momento della loro
realizzazione che al momento della
presentazione dell'istanza di sanatoria
(c.d. doppia conformità).
Non è invece applicabile nei riguardi delle
opere che siano state eseguite non solo
senza titolo, ma anche in difformità dalle
norme urbanistiche: in tal caso, infatti,
scatta il diverso regime sanzionatorio di
cui all'art. 27 comma 2 del D.P.R. n. 380
del 2001 (demolizione e ripristino dello
stato dei luoghi), che, ampliando l'ambito
di applicazione del precedente articolo 4,
comma 2 della legge n. 47/1985, concerne,
per sua stessa previsione, non soltanto le
ipotesi di opere eseguite senza titolo su
aree assoggettate a vincolo di
inedificabilità, ma anche tutte le altre
ipotesi di violazione della normativa
urbanistica sostanziale (TAR Campania, IV,
04.02.2010, n. 566; id., 21.03.2008, n.
1460) (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 05.07.2010 n. 5570 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo stradale - Finalità -
Sicurezza della circolazione - Impianto di
cantieri e deposito di materiali - Opere
realizzate a livello della sede stradale,
non emergenti dal suolo - Rispetto delle
distanze - Obbligo.
Il divieto di costruire ad una certa
distanza dalla sede stradale non deve essere
inteso restrittivamente, e cioè come
previsto al solo scopo di prevenire
l'esistenza di ostacoli materiali emergenti
dal suolo e suscettibili di costituire, per
la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla sua incolumità delle persone, ma è
connesso alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all'occorrenza, dal
concessionario, per l'esecuzione dei lavori,
per l'impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni,
sicché le distanze previste dalla normativa
vanno rispettate anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede
stradale (Cass., II, 01.06.1995, n. 6118;
Cons. di St., IV, 18.10.2002, n. 5716; id.,
25.09.2002, n. 4927; TAR Campania-Salerno,
II, 09.04.2009, n. 1383) (TAR Liguria, Sez.
I,
sentenza 05.07.2010 n. 5565 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo idrogeologico - Mancata
iscrizione del corso d’acqua nell’elenco
delle acque pubbliche - Irrilevanza -
Fattispecie: fossato di convogliamento delle
acque piovane - D.P.R. n. 238/1999.
Ai fini del vincolo idrogeologico è
irrilevante sia la mancata iscrizione del
corso d’acqua negli appositi elenchi delle
acque pubbliche, stante il carattere
dichiarativo e non costitutivo di detti
elenchi (cfr. l’art. 1 della legge
05.01.1994, n. 36 e l’art. 1 comma 4 del
D.P.R. n. 238/1999), sia la circostanza che
manchi una sorgente a monte e che, pertanto,
abitualmente non vi scorra acqua: anche a
voler prescindere dal chiaro disposto
dell’art. 93 R.D. 25.07.1904, n. 523, è
infatti evidente che anche un fossato
creatosi naturalmente tra due rilievi
collinari, convogliando le acque meteoriche,
può determinare il dilavamento dei terreni,
mettendone in pericolo la stabilità e
turbando il regime delle acque superficiali
(art. 1 R.D. 30.12.1923, n. 3267).
In tal senso è assai significativo che
l’art. 1 comma 2 del D.P.R. 18.02.1999, n.
238 definisca pubbliche anche le acque
piovane, non appena convogliate in un corso
d’acqua (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 05.07.2010 n. 5564 -
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EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Tutela preventiva
dell’ambiente - Discrezionalità
amministrativa - Natura sostanzialmente
insindacabile delle scelte effettuate.
L’istituto della VIA, in quanto finalizzato
alla tutela preventiva dell’ambiente, è
caratterizzato da un’ampia discrezionalità
amministrativa: le scelte effettuate hanno
natura sostanzialmente insindacabile, alla
luce del valore primario ed assoluto
riconosciuto dalla Costituzione al paesaggio
e all’ambiente (cfr. da ultimo Cons. St.,
sez. V, 12.06.2009, n. 3770; Corte cost.,
07.11.2007, n. 367).
VIA - Tutela del
paesaggio - Preminenza costituzionale -
Ponderazione dell’interesse privato -
Limiti.
La ponderazione degli interessi privati,
unitamente ed in coerenza con gli interessi
pubblici connessi con la tutela
paesaggistica ed ambientale, non deve essere
giustificata neppure allo scopo di
dimostrare che il sacrificio imposto al
privato (per altro di natura essenzialmente
procedimentale nel caso di ammissione a
v.i.a. all’esito della verifica di
assoggettabilità perché il bene della vita
finale non è pregiudicato), sia stato
contenuto nel minimo possibile, perché tale
giudizio si colloca all’interno della
disciplina costituzionale del paesaggio
(art. 9 Cost.) che erige il valore
estetico-culturale a valore primario
dell’ordinamento.
VIA - Disciplina -
Finalità - Diritto fondamentali di
derivazione comunitaria - Direttiva
85/337/CEE - Rifiuto di sottoporre un
progetto a via all’esito di verifica
preliminare - Giustificazione delle ragioni.
La disciplina sulla v.i.a. è preordinata
alla salvaguardia dell’habitat nel quale
l’uomo vive che assurge a valore primario ed
assoluto in quanto espressivo della
personalità umana (cfr. Cons. St., sez. VI,
18.03.2008, n. 1109), attribuendo ad ogni
singolo un autentico diritto fondamentale,
di derivazione comunitaria (direttiva
85/337), che obbliga l’amministrazione a
giustificare, quantomeno ex post ed a
richiesta dell’interessato, le ragioni del
rifiuto di sottoporre un progetto a v.i.a.
all’esito di verifica preliminare (cfr.
Corte giust. 30.04.2009, c-75/08, Mellor).
VIA - Discrezionalità
tecnica - Direttiva 85/337/CEE - Progetto -
Profili di ubicazione e dimensione - Natura
sostanziale.
Nel rendere il giudizio di valutazione di
impatto ambientale (ed a maggior ragione
nell’effettuare la verifica preliminare),
l’amministrazione esercita una amplissima
discrezionalità tecnica sebbene censurabile
sia per macroscopici vizi logici, sia per
errore di fatto, sia per travisamento dei
presupposti (cfr. Trib. Sup. acque
pubbliche, 11.03.2009, n. 35; Cons. St.,
sez. VI, 19.02.2008, n. 561; sez. VI,
30.01.2004, n. 316); essa non deve
limitarsi, a mente della direttiva
85/337/CEE, ad apprezzare solo i profili di
ubicazione e dimensione del progetto, ma ha
l’obbligo di accertarne la natura
sostanziale (cfr. da ultimo Corte giust., 25
luglio 2008, c-142/07).
VIA - Analisi comparata
tra il sacrificio ambientale e l’utilità
economica - Opzione zero - Sviluppo
sostenibile - Art. 3-quater d.lgs. n.
152/2006 - Proporzionalità tra consumazione
delle risorse naturali e benefici per la
collettività.
Alla stregua della disciplina comunitaria e
nazionale (ed eventualmente regionale), la
v.i.a. non può essere intesa come limitata
alla verifica della astratta compatibilità
ambientale dell’opera ma si sostanzia in una
analisi comparata tesa a valutare il
sacrificio ambientale imposto rispetto
all’utilità socio economica, tenuto conto
delle alternative praticabili e dei riflessi
della stessa “opzione zero”; la
natura schiettamente discrezionale della
decisione finale (e della preliminare
verifica di assoggettabilità), sul versante
tecnico ed anche amministrativo, rende
allora fisiologico che si pervenga ad una
soluzione negativa ove l’intervento proposto
cagioni un sacrificio ambientale superiore a
quello necessario per il soddisfacimento
dell’interesse diverso sotteso
all’iniziativa; da qui la possibilità di
bocciare progetti che arrechino vulnus
non giustificato da esigenze produttive, ma
suscettibile di venir meno, per il tramite
di soluzioni meno impattanti in conformità
al criterio dello sviluppo sostenibile (ora
codificato dall’art. 3-quater, d.leg.
152/2006) e alla logica della
proporzionalità tra consumazione delle
risorse naturali e benefici per la
collettività che deve governare il
bilanciamento di istanze antagoniste (cfr.
Cons. St., sez. VI, 22.02.2007, n. 933).
VIA - Direttiva
85/337/CEE - Politica comunitaria
dell’ambiente - Tutela preventiva da
inquinamenti e altre perturbazioni.
La giurisprudenza comunitaria conferisce un
ruolo strategico alla procedura di v.i.a.,
nel quadro dei mezzi e modelli positivi
preordinati alla tutela dell’ambiente,
valorizzando le disposizioni della direttiva
85/337/CEE. che evidenziano come la politica
comunitaria dell’ambiente consista, ante
omnia, nell’evitare fin dall’inizio
inquinamenti ed altre perturbazioni, anziché
combatterne successivamente gli effetti:
conformemente ai principi “costituzionali”
dei trattati, scopo dell’U.E. è la tutela
preventiva dell’ambiente (cfr. Corte giust.,
sez. V, 21.09.1999, c-392/96; sez. VI,
16.09.1999, c-435/97).
VIA - Nozione di centro
abitato - Riferimento alla disciplina di cui
al codice della strada - Eccentricità -
Diversa connotazione giuridica dell’analogo
concetto urbanistico.
E’ eccentrico, rispetto al quadro delle
norme e dei principi in materia di VIA,
valorizzare la nozione di “centro abitato”
contemplata dal codice della strada (artt. 3
e 4).
La giurisprudenza è univoca nel segnalarne
la diversa connotazione giuridica rispetto
all’analogo concetto previsto dalla
disciplina urbanistica (art. 41-quinquies,
l. n. 1150 del 1942); a fortiori queste
conclusioni valgono per la procedura di
v.i.a. atteso che scopo essenziale della
normativa stradale è quello di assicurare la
sicurezza della circolazione mediante
prescrizioni tecniche e norme di
comportamento (cfr. da ultimo Cons. St.,
sez. II, 11.03.2009; sez. IV, 05.04.2005, n.
1560).
VIA - Art. 10, c. 2,
d.P.R. 12.04.1996 - Meccanismo del silenzio
assenso - Disapplicazione - Contrasto con la
direttiva 85/337/CEE.
La disposizione sancita dall’art. 10, co. 2,
d.P.R. del 12.04.1996 nella parte in cui fa
discendere l’esenzione dalla v.i.a. dal
silenzio dell’amministrazione protratto per
oltre sessanta giorni dall’inoltro della
richiesta di verifica, va disapplicata (cfr.
Cons. St., 28.09.2001, n. 5169), per
contrasto con lo spirito della direttiva
85/337/CEE (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.07.2010 n. 4246 -
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EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Paesaggio - Tutela - Prescrizioni
urbanistiche - Natura e finalità differenti.
La tutela del paesaggio non è riducibile a
quella dell’urbanistica, né può essere
considerato vizio della funzione preposta
alla tutela del paesaggio il mancato
accertamento dell’esistenza, nel territorio
oggetto dell’intervento paesaggistico, di
eventuali prescrizioni urbanistiche che,
rispondendo ad esigenze diverse, in ogni
caso non si inquadrano in una considerazione
globale del territorio sotto il profilo
dell’attuazione del primario valore
paesaggistico.
BENI CULTURALI E
AMBIENTALI - Vincolo paesaggistico-
Condizioni di degrado dell’area interessata
- Ostacolo all’imposizione del vincolo -
Esclusione.
L’avvenuta edificazione di un’area
immobiliare o le sue condizioni di degrado
non costituiscono ragione sufficiente per
recedere dall’intento di proteggere i valori
estetici o culturali ad essa legati, poiché
l’imposizione del vincolo costituisce il
presupposto per l’imposizione al
proprietario delle cautele e delle opere
necessarie alla conservazione del bene e per
la cessazione degli usi incompatibili con la
conservazione dell’integrità dello stesso.
DIRITTO AMBIENTALE -
Rilevanza della nozione di ambiente -
Paesaggio - Assetto del territorio - Aspetti
scientifico-naturalistici.
L’ambiente rileva non solo come paesaggio ma
anche come assetto del territorio,
comprensivo financo degli aspetti
scientifico-naturalistici (come quelli
relativi alla protezione di una particolare
flora e fauna), pur non afferenti
specificamente ai profili estetici della
zona (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.07.2010 n. 4246 -
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APPALTI:
Sull'illegittimità del
provvedimento di esclusione dalla gara di un
concorrente, adottato sul presupposto che
non risultava regolarmente ceralaccato uno
dei lembi della busta contenente l'offerta.
La previsione di un bando di gara relativa
all'impiego della ceralacca non può essere
intesa quale formalità fine a se stessa, ma
risponde concretamente all'esigenza di
impedire abusive manomissioni delle buste
con eventuali indebite sostituzioni del loro
contenuto originario.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo
il provvedimento di esclusione dalla
procedura di gara di un concorrente adottato
sul presupposto delle imperfette modalità di
chiusura del plico contenente l'offerta, in
quanto la circostanza per cui uno dei
sigilli di ceralacca apposti sui lembi della
busta contenente l'offerta non ne scavalchi
(per una distanza, si ribadisce, veramente
irrisoria) i lembi laterali, non configura
un inadempimento essenziale rispetto alla
previsione del bando, dal momento che la
presenza sulla busta di altri sigilli
debitamente impressi e, soprattutto, la
regolare apposizione della controfirma sugli
stessi lembi rendevano sostanzialmente
indiscussa la perfetta integrità del plico.
La presenza della controfirma (nonché del
timbro ad inchiostro spontaneamente apposto
dalla concorrente sullo stesso lembo della
busta) costituiva, infatti, di per sé
cautela atta ad impedire ogni tentativo di
apertura del plico, se non a prezzo di
renderne evidente la manomissione.
Nel caso concreto, quindi, l'amministrazione
ha dato luogo ad una applicazione
restrittiva o formalistica della
prescrizione della lex specialis
inerente la duplice modalità di chiusura dei
lembi della busta che non corrispondeva
all'interesse pubblico di garantire la
massima partecipazione alla procedura
selettiva né a criteri di tutela della
parità tra i concorrenti (TAR Piemonte, Sez.
I,
sentenza 05.07.2010 n. 2985 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Offerta - Busta - Sigilli di
ceralacca - Sigillo non perfettamente
apposto - Presenza di altri sigilli
debitamente impressi - Sufficienza -
Integrità del plico.
La previsione del bando relativa all’impiego
della ceralacca non può essere intesa quale
formalità fine a se stessa, ma risponde
concretamente all’esigenza di impedire
abusive manomissioni delle buste con
eventuali indebite sostituzioni del loro
contenuto originario.
In tale contesto, la circostanza per cui uno
dei sigilli di ceralacca apposti sui lembi
della busta contenente l’offerta non ne
scavalchi (per una distanza irrisoria) i
lembi laterali, non configura un
inadempimento essenziale rispetto alla
previsione del bando, dal momento che la
presenza sulla busta di altri sigilli
debitamente impressi e la regolare
apposizione della controfirma sugli stessi
lembi rendono sostanzialmente indiscussa la
perfetta integrità del plico (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 05.07.2010 n. 2985 -
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URBANISTICA:
Se una variante urbanistica viene denominata
dall’autorità emanante “correzione di errore
materiale”, non può considerarsi un vizio
che siano state seguite le procedure
ordinarie anziché quelle semplificate, in
ipotesi esperibili.
Le regole procedimentali della
pianificazione urbanistica non prevedono,
almeno in modo diretto ed esplicito, un iter
agevolato per la correzione degli errori
materiali. Ma anche volendo ammettere che
attraverso una interpretazione sistematica
si possa ricostruire una procedura
semplificata per la correzione, nulla
obbliga l’autorità emanante ad avvalersene,
qualora possa raggiungere lo stesso
risultato procedendo ad una variante secondo
le forme ordinarie.
Ne consegue che se una variante urbanistica
–posta in essere seguendo correttamente le
procedure ordinarie– viene denominata
dall’autorità emanante “correzione di
errore materiale”, non può considerarsi
un vizio che siano state seguite le
procedure ordinarie anziché quelle
semplificate, in ipotesi esperibili; e
d’altra parte non può considerarsi un vizio
il fatto che sia stato invocato un
(supposto) errore materiale mentre in realtà
non vi era un errore da correggere. Si
porrà, semmai, il problema di verificare se
il non pertinente richiamo alla figura
dell’errore materiale non si risolva in un
caso di eccesso di potere per incongruità
della motivazione; ma questa è altra
questione che riguarda, appunto, la
motivazione, non la legittimità del
procedimento.
Sul piano generale, ai sensi
dell’art. 13 della legge n. 241 del 1990,
l’approvazione di una variante al piano
regolatore (come pure al piano di
fabbricazione), in quanto provvedimento di
pianificazione, non deve essere
necessariamente preceduta dalla
comunicazione di avvio del procedimento nei
confronti dei soggetti interessati;
l’esigenza del contraddittorio nei
procedimenti di formazione degli strumenti
urbanistici è salvaguardata dalla specifica
disciplina, che prevede la pubblicazione, la
presentazione di osservazioni, ed infine
l’approvazione (in termini Cons. Stato, Sez,
IV, 22.03.2005, n. 1236).
Inoltre, sul piano più specifico, come si è
precedentemente evidenziato, la disposta
modifica dell’art. 95 delle N.T.A.,
costituendo rettifica di un errore
materiale, non ha natura discrezionale, con
conseguente applicabilità anche dell’art.
21-octies, comma 2, della legge n. 241 del
1990, alla stregua del quale, in caso di
provvedimento vincolato, la comunicazione di
avvio del procedimento può essere omessa, in
quanto la determinazione da assumere non
potrebbe essere modificata in base alle
osservazioni dell’interessato (Cons. Stato,
Sez. V, 29.04.2009, n. 2737)
(TAR Umbria,
sentenza 05.07.2010 n.
401 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Mentre il provvedimento
di annullamento d’ufficio richiede, qualora
incida su situazioni consolidate,
l’esternazione di uno specifico motivo di
pubblico interesse che giustifichi perché
l’Amministrazione abbia ritenuto che il
contrasto tra l’interesse privato a non
modificare la situazione preesistente e
l’opposto interesse pubblico ad operare in
modo legittimo, debba essere risolto dando
la prevalenza al secondo, al contrario
siffatta valutazione non è necessaria quando
l’Amministrazione intenda procedere soltanto
alla rettifica dell’atto dopo avere
riscontrato la presenza di errori materiali.
Come noto, l’errore materiale nella
redazione di un provvedimento amministrativo
si concretizza quando il pensiero del
decisore sia stato tradito ed alterato al
momento della sua traduzione in forma
scritta, a causa di un fattore deviante che
abbia operato esclusivamente nella fase
della sua esternazione, sempreché tale
divario emerga direttamente dall’esame del
contesto stesso in cui l’errore si trova (in
termini Cons. Stato, Sez. IV, 21.10.2008, n.
5154; TAR Sicilia, Catania, Sez. III,
14.07.2009, n. 1311).
L’errore materiale, per essere tale, deve
emergere con evidenza, e non richiedere
un’approfondita interpretazione
dell’attività amministrativa (Cons. Stato,
Sez. IV, 23.12.1998, n. 1907).
E’ la rettifica il provvedimento mediante il
quale viene, per regola, eliminato l’errore
materiale in cui è incorsa l’Autorità
emanante nella determinazione del contenuto
del provvedimento (tra le tante, TAR
Sicilia, Palermo, Sez. II, 09.05.2005, n.
729).
La rettifica, concernendo un errore
materiale, non richiede una motivazione
rigorosa come l’annullamento (in termini, da
ultimo, TAR Trentino Alto Adige, Bolzano,
Sez. I, 16.07.2009, n. 271), e non può
ritenersi sottoposta alle condizioni
prescritte dall’art. 21-nonies, comma 1,
della legge generale sul procedimento
amministrativo per l’annullamento d’ufficio.
Il potere di correzione dell’errore
materiale non richiede neppure di valutare
comparativamente l’interesse pubblico e
l’interesse privato coinvolti, essendo
finalizzato a rendere il contenuto del
provvedimento conforme alla reale volontà di
chi lo ha adottato (Cons. Stato, Sez. VI,
17.07.2008, n. 3597), senza dunque esprimere
alcuna effettiva potestà discrezionale.
La
giurisprudenza è consolidata nel ritenere
che, mentre il provvedimento di annullamento
d’ufficio richiede, qualora incida su
situazioni consolidate, l’esternazione di
uno specifico motivo di pubblico interesse
che giustifichi perché l’Amministrazione
abbia ritenuto che il contrasto tra
l’interesse privato a non modificare la
situazione preesistente e l’opposto
interesse pubblico ad operare in modo
legittimo, debba essere risolto dando la
prevalenza al secondo, al contrario siffatta
valutazione non è necessaria quando
l’Amministrazione intenda procedere soltanto
alla rettifica dell’atto dopo avere
riscontrato la presenza di errori materiali
(C.G.A., 02.06.1987, n. 147)
(TAR Umbria,
sentenza 05.07.2010 n.
401 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI:
Il componente dell'organo
collegiale che non sia assente dalla seduta,
deve manifestare il proprio dissenso alla
delibera e fare verbalizzare il proprio
dissenso, decadendo altrimenti dalla stessa
possibilità di impugnazione.
Il componente dell'organo collegiale che non
sia assente dalla seduta, deve manifestare
il proprio dissenso alla delibera e fare
verbalizzare il proprio dissenso, decadendo
altrimenti dalla stessa possibilità di
impugnazione.
Un diverso comportamento, quale la
partecipazione attiva alla seduta e alla
votazione favorevole alla approvazione della
delibera, comporta la imputabilità del
deliberato anche al componente presente non
dissenziente, ovvero acquiescenza al
provvedimento (Consiglio Stato, sez. V,
07.11.2007, n. 5759) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 02.07.2010 n. 4237 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI:
Sui principi generali in materia
di impugnazione degli atti di organi
collegiali da parte dei componenti
dell'organo che hanno partecipato all'atto
deliberativo.
Il componente dell'organo collegiale che non
sia assente dalla seduta, deve manifestare
il proprio dissenso alla delibera e fare
verbalizzare il proprio dissenso, decadendo
altrimenti dalla stessa possibilità di
impugnazione. Un diverso comportamento,
quale la partecipazione attiva alla seduta e
alla votazione favorevole alla approvazione
della delibera, comporta la imputabilità del
deliberato anche al componente presente non
dissenziente, ovvero acquiescenza al
provvedimento.
Pertanto, nel caso di specie, se è vero che
non può disconoscersi la astratta
legittimazione del Comune a impugnare la
delibera dell'ATO che ha fissato la misura
del ristoro ambientale per il servizio di
smaltimento rifiuti solidi urbani, svolto
attraverso l'impianto pubblico, in quanto
lesiva delle posizioni giuridiche facenti
capo alla collettività comunale, in ogni
caso la ammissibilità della impugnazione non
può prescindere dai principi generali in
materia di impugnazione degli atti di organi
collegiali da parte dei componenti
dell'organo che hanno partecipato all'atto
deliberativo.
Ne consegue che, la sentenza di primo grado
deve essere riformata, il ricorso di primo
grado dichiarato irricevibile e sotto altro
profilo inammissibile, in quanto come emerge
dalla deliberazione dell'ATO, il Comune
risultava presente con un proprio
rappresentante all'assemblea che ha adottato
l'atto impugnato (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 02.07.2010 n. 4237 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Lo svolgimento di mansioni
superiori, salvo diversa disposizione di
legge, è irrilevante ai fini della
quantificazione del trattamento economico.
Il rapporto di pubblico impiego non è
assimilabile al rapporto di diritto privato,
perché gli interessi coinvolti non sono
disponibili e anche perché l’attribuzione
delle mansioni e del relativo trattamento
economico devono avere il loro presupposto
indefettibile nel provvedimento di nomina o
d’inquadramento, non potendo tali elementi
costituire oggetto di libere determinazioni
dei funzionari amministrativi (Ap., n.
22/1999; Cons. St., V Sez., n. 545/2007).
Sulla base di questa prima considerazione, i
giudici di Palazzo Spada affermano che le
mansioni superiori svolte dal dipendente
rispetto a quelle dovute sulla base del
provvedimento di nomina o di inquadramento,
sono del tutto irrilevanti sia ai fini sia
economici, sia di progressione di carriera,
salvo che la legge non disponga altrimenti.
In effetti, il richiamo all'art. 2126 del
codice civile(prestazione di fatto con
violazione di legge) non attiene al caso
delle mansioni superiori svolte dal pubblico
dipendente: oramai la giurisprudenza ha
chiarito che si tratta di un richiamo
incongruente in quanto tale articolo, oltre
a non dare rilievo alle mansioni svolte in
difformità dal titolo invalido, riguarda il
fenomeno del tutto diverso (lo svolgimento
di attività lavorativa da parte di chi non è
qualificabile pubblico dipendente) ed
afferma il principio della retribuibilità
del lavoro prestato sulla base di un atto
nullo o annullato.
Esso, pertanto, non incide in alcun modo sui
principi concernenti la portata dei
provvedimenti che individuano il trattamento
giuridico ed economico dei dipendenti
pubblici e non consente di disapplicare gli
atti di nomina o di inquadramento emanati in
conformità di leggi e di regolamenti.
Inoltre, è da tempo pacifico, nella
giurisprudenza amministrativa, il carattere
supplementare ed integrativo dell’art. 2103
c.c., come sostituito dall’art. 13 L.
20.05.1970 n. 300 ("Nel caso di
assegnazione a mansioni superiori il
prestatore ha diritto al trattamento
corrispondente all'attività svolta, e
l'assegnazione stessa diviene definitiva,
ove la medesima non abbia avuto luogo per
sostituzione di lavoratore assente con
diritto alla conservazione del posto, dopo
un periodo fissato dai contratti collettivi,
e comunque non superiore a tre mesi"),
per quanto riguarda l’obbligo di adeguare il
trattamento economico alle mansioni
esercitate (V Sez., n. 274/1989), sicché
tale norma può essere applicata soltanto nei
limiti previsti da norme speciali (IV Sez,
n. 113/2006).
E’ stato anche rilevato che la pretesa al
riconoscimento di mansioni superiori non può
trovare diretto fondamento nell’art. 36
Cost., che sancisce il principio di
corrispondenza della retribuzione alla
qualità e alla quantità del lavoro prestato,
non potendo la norma trovare incondizionata
applicazione nel rapporto di pubblico
impiego, concorrendo in detto ambito altri
principi di pari rilevanza costituzionale
(cfr. Ap. n. 22 cit.; V Sez., n. 1722/2007).
In conclusione, nell’ambito del pubblico
impiego, non sono le mansioni ma la
qualifica il parametro al quale la
retribuzione va inderogabilmente riferita,
considerate anche le esigenze di carattere
organizzatorio regolate secondo il paradigma
dell’art. 97 Cost. (IV Sez., n. 587/2006).
Ciò comporta che l’Amministrazione è tenuta
ad erogare la retribuzione corrispondente
alle mansioni superiori solo se una norma
speciale consenta tale maggiorazione
retributiva (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 02.07.2010 n. 4236
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: SPECIALE
REGIME DI GRATUITA' DELLA CONCESSIONE
EDILIZIA.
1. Concessione - Regime
di gratuità - Casi - Presupposti necessari.
2. Opere di urbanizzazione - Contributo -
Esenzione - Disciplina - Applicazione della
specifica normativa - Conseguenze.
1.
Lo speciale regime di gratuità della
concessione edilizia deriva dal requisito di
carattere oggettivo, attinente al carattere
pubblico o comunque di interesse generale
delle opere da realizzare e da un requisito
di carattere soggettivo, nel senso che le
opere debbono essere eseguite da un ente
istituzionalmente competente, ovvero da
soggetti anche privati che non agiscano per
scopo di lucro ovvero abbiano un legame
istituzionale con l'azione
dell'Amministrazione volta alla cura di
interessi pubblici (Cons. Stato, sez. IV,
29-05-2009 n. 3359).
2.
Non ricade nell'esenzione dal contributo per
le opere di urbanizzazione, eseguite anche
da privati, in attuazione di strumenti
urbanistici, di cui all'art. 88 co. 1, L.R.
n. 61/1985, l'opera costruita da privati per
l'esercizio della propria attività
(lucrativa o non) d'impresa, e ciò
indipendentemente dalla rilevanza sociale
dell'attività stessa; si tratta infatti di
norma di stretta interpretazione, in quanto
introduce ipotesi di deroga alla regola
generale, la quale assoggetta a contributo
tutte le opere che comportino trasformazione
del territorio, in relazione agli oneri che
la collettività, in dipendenza di esse, è
chiamata a sopportare (Cons. Stato, sez. V,
12-07-2005 n. 3774)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 01.07.2010 n. 2779 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
ASSOCIAZIONI E COMITATI -
Associazioni di protezione ambientale -
Artt. 13 e 18, c. 5, L. n. 349/1986 -
Legittimazione attiva - Limitazione alla
sola tutela paesistica - Esclusione.
Non essendo espressamente specificato nelle
disposizioni di cui agli artt. 13 e 18, c.
5, della L. n. 349/1986 quali siano gli atti
illegittimi contro cui le associazioni di
protezione ambientale possono ricorrere,
essi devono essere ricavati
interpretativamente dall’art. 1, co. 2,
stessa legge, che individua come finalità
ambientali del Ministero dell’Ambiente “la
promozione, la conservazione ed il recupero
delle condizioni ambientali conformi agli
interessi fondamentali della collettività ed
alla qualità della vita, nonché la
conservazione e la valorizzazione del
patrimonio naturale nazionale e la difesa
delle risorse naturali dall'inquinamento”.
Le norme degli artt. 13 e 18 l. 349/1986,
infatti, attribuendo alle associazioni di
protezione ambientale legittimazione attiva
nei giudizi dinanzi al giudice ordinario ed
a quello amministrativo per tutelare
finalità (di protezione dell’ambiente) che
sono proprie dell’amministrazione dello
Stato, costituiscono applicazione del
principio di sussidiarietà orizzontale poi
recepito dall’art. 118, ultimo comma, Cost..
Non può pertanto condividersi una lettura
riduttiva della norma che limiti la
legittimazione delle associazioni di
protezione ambientale soltanto alla tutela
paesistica, la quale è soltanto una delle
tante species della protezione
ambientale.
ASSOCIAZIONI E COMITATI
- Comitati spontanei di cittadini -
Legittimazione ad impugnare provvedimenti
lesivi di interessi comuni - Presupposti -
Collegamento stabile con il territorio -
Attività protratta nel tempo.
Un comitato spontaneo di cittadini può
essere legittimato ad impugnare
provvedimenti ritenuti lesivi di interessi
comuni solo se dimostra di avere un
collegamento stabile con il territorio ove
svolge l’attività di tutela degli interessi
stessi, se la sua attività si è protratta
nel tempo e se, quindi, il comitato non
nasce in funzione della impugnazione di
singoli atti e provvedimenti (CdS, IV,
1001/2010) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 01.07.2010 n. 2411 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Tutela paesaggistica - Sviluppo
dell’ordinamento giuridico - Istituti
finalizzati alla tutela del paesaggio -
Vincolo di tutela ex artt. 146 e ss. d.lgs.
n. 42/2004.
Nell’attuale sviluppo dell’ordinamento
giuridico l’ambito di applicazione della
tutela paesaggistica non riguarda ormai
soltanto le aree oggetto di vincolo di
tutela, in quanto il vincolo di tutela ex
artt. 146 e ss. d.lgs. 42/2004 è soltanto
uno degli strumenti attraverso cui
l’ordinamento persegue l’obiettivo della
tutela del paesaggio (nella specie, la
perimetrazione come ambito di elevata
naturalità sottoposto a regime di
conservazione è stato ritenuta istituto
finalizzato alla tutela del paesaggio) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 01.07.2010 n. 2411 -
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URBANISTICA:
Approvazione di variante per
insediamenti produttivi - Procedimento
semplificato - Principi di pianificazione -
Ricognizione del fabbisogno di nuovi
impianti - Insufficienza delle aree
destinate ad impianti produttivi - Artt. 5 e
2 d.P.R. n. 447/1998.
Il combinato disposto degli artt. 5, c. 1 e
2, c. 1, del d.P.R. n. 447/1998 consente di
desumere che il procedimento di approvazione
della variante per insediamenti produttivi
non è sottratto ai tradizionali presupposti
che reggono gli strumenti di piano ed alle
esigenze cui sono funzionalizzati gli
stessi, in quanto il d.p.r. 447/1998 si
limita a semplificarne l’approvazione, ma
non stravolge i principi che regolano la
elaborazione della pianificazione comunale.
Ne consegue che -come tutti gli strumenti di
piano sono approvati a seguito di
ricognizione del fabbisogno della comunità
locale- anche la variante per insediamenti
produttivi può essere approvata solo a
seguito di una ricognizione da parte del
fabbisogno di nuovi impianti produttivi ed
alla valutazione del Comune che
effettivamente ritenga che per l’ordinato
sviluppo della comunità locale occorrano
nuovi impianti produttivi la cui
localizzazione non sia possibile nel
contesto del piano vigente per insufficienza
delle aree a ciò destinate (CdS 7338/2006;
Tar Sardegna 164/2009; Tar Sicilia, Catania,
II, 1080/2007) (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza 01.07.2010 n. 2411 -
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APPALTI SERVIZI:
E' illegittima la deliberazione
della giunta comunale con cui ha affidato la
gestione di un centro sportivo comunale ad
una associazione, in quanto la competenza
spetta al consiglio comunale.
L'art. 42 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267
attribuisce in modo tassativo al consiglio
comunale, quale organo di indirizzo e di
controllo politico-amministrativo dell'ente,
le competenze tra cui figurano gli "acquisti
e alienazioni immobiliari, relative permute,
appalti e concessioni che non siano
espressamente previsti in atti fondamentali
del consiglio e che, comunque, non rientrino
nella ordinaria amministrazione di funzioni
e servizi di competenza della giunta, del
segretario o di altri funzionari".
L'organo elettivo è chiamato ad esprimere
gli indirizzi politici ed amministrativi di
rilievo generale, che si traducono in atti
fondamentali di natura programmatoria o
aventi elevato contenuto di indirizzo
politico, tassativamente elencati, per cui
deve affermarsi la competenza consiliare in
materia di servizi pubblici, in ordine
all'organizzazione dei servizi stessi ed
agli atti espressione della funzione di
governo, con esclusione di quelli
gestionali.
In caso di dubbio circa la ripartizione
delle competenze, prevale la competenza
dell'organo sovraordinato fornito di
competenza generale nella materia e, cioè,
il consiglio comunale. Ne consegue che, nel
caso di specie, è illegittima la
deliberazione della giunta comunale con cui
ha affidato la gestione di un centro
sportivo comunale ad una associazione, in
quanto la competenza a provvedere è
attribuita al consiglio comunale.
La suddetta fattispecie è, inoltre,
inquadrabile nella "concessione di
pubblico servizio", posto che, sul piano
oggettivo, per pubblico servizio deve
intendersi un'attività economica esercitata
per erogare prestazioni volte a soddisfare
bisogni collettivi ritenuti indispensabili
in un determinato contesto sociale, come si
può desumere anche dallo stesso All.2 al
D.L.vo 17.03.1995 n. 157, che, in materia di
appalti pubblici di servizi, espressamente
contempla, tra gli altri, "i servizi
ricreativi, culturali e sportivi".
Ammettendo, altresì, che l'elencazione dei
pubblici servizi, che i comuni possono
assumere in gestione diretta, salvo poi il
potere di affidarli in concessione,
contenuta nell'art. 1 R.D. 15.10.1925 n.
2578, non sia tassativa, per la concessione
alla "industria privata" di detti
servizi, i comuni, di regola, si devono
avvalere dell'asta pubblica, ai sensi
dell'art. 267 del R.D. 14.09.1931 n. 1176
nonché dell'art. 3 R.D. 18.11.1923 n. 2440 e
dell'art. 37 del R.D. 23.05.1924 n. 827 (che
prevedono la regola generale dei pubblici
incanti per i contratti delle
amministrazioni statali) (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 01.07.2010 n. 1419 -
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VARI: L’insulto
fatto via e-mail non costituisce reato.
L’invio di un messaggio di posta elettronica
contenente insulti non costituisce, secondo
i giudici della Suprema Corte, una “molestia”
sanzionabile ai sensi dell’art. 660 del
codice penale, come invece avviene per
l’insulto via sms o con il citofono.
Il fatto non è previsto dalla legge come
reato, è quanto sancito nella sentenza della
Cassazione e la motivazione risiederebbe nel
fatto che l’invio di un messaggio di posta
elettronica non presuppone un’interazione
diretta tra mittente e destinatario, né
comporterebbe un’intrusione diretta del
primo nella sfera del secondo; al contrario
di quanto avviene invece con gli sms, le
telefonate e le citofonate inopportune che,
in quanto più aggressive, costituiscono
molestie e sono per l’appunto sanzionabili
(Corte di Cassazione, Sez. I penale,
sentenza 30.06.2010 n. 24510 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Le norme degli strumenti
urbanistici locali sulle distanze tra
fabbricati sono inderogabili.
Secondo consolidato orientamento
giurisprudenziale di legittimità le norme
degli strumenti urbanistici locali, che
impongono di mantenere le distanze fra
fabbricati o di questi dai confini –a
differenza dalle norme sulle distanze di cui
all’art. 873 c.c., dettate a tutela di
reciproci diritti soggettivi dei singoli e
miranti unicamente ad evitare la creazione
di intercapedini antigieniche e pericolose,
come tali suscettibili di deroga mediante
convenzione tra privati–, non sono
derogabili, perché dirette, più che alla
tutela di interessi privati, a quella di
interessi generali e pubblici in materia
urbanistica (v. in tal senso, ex plurimis,
Cass. Civ., Sez. II, 31.05.2006, n. 12966) (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 30.06.2010 n. 4181 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Se l’amministrazione preposta
alla tutela del vincolo non si esprime, non
si forma il silenzio assenso sul condono.
Quando nell’ambito di una richiesta di
sanatoria, l’amministrazione preposta alla
tutela del vincolo non esprima il parere che
le è stato richiesto e tale silenzio non sia
stato impugnato, non si può ritenere che si
sia consolidato un silenzio assenso sul
silenzio dell’amministrazione che governa il
procedimento.
Così se l’amministrazione ferroviaria non si
esprime su una richiesta di sanatoria
avanzata ad un comune, non può dirsi che nei
confronti del comune si sia consolidato un
silenzio significativo. L'ente locale non
può sostituirsi alle autorità specialmente
competenti in relazione alle varietà di
vincoli di inedificabilità.
Le iniziative per il rilascio del parere
preventivo di conformità dell’intervento
edilizio sono affidate dalla norma
all’interessato, cui viene riconosciuto un
potere di reazione alla relativa inerzia, il
mancato rilascio del parere favorevole da
parte dell'autorità preposta alla tutela del
vincolo, impedisce il formarsi del silenzio
- assenso sulla domanda di condono edilizio
ai sensi dell'art. 32 della citata legge n.
47 del 1985 (Cons. Stato, sez. IV,
31.03.2009, n. 2024).
L’obbligo della P. A. di pronunciarsi con
provvedimento esplicito riguarda il
sub-procedimento inerente il parere relativo
al vincolo, nella specie ferroviario (Cons.
Stato, sez. VI, 20.10.2004, n. 6904);
quell’obbligo va fatto valere dunque con
l’apposita impugnativa del silenzio–rifiuto.
L’articolo 32 della L. 28-02-1985, n. 47,
recante il c.d. primo condono degli abusi
edilizi, dispone, testualmente che “Fatte
salve le fattispecie previste dall'articolo
33 (opere non suscettibili di sanatoria per
contrasto con gli specifici vincoli ivi
elencati, n.d.r.), il rilascio del titolo
abilitativo edilizio in sanatoria per opere
eseguite su immobili sottoposti a vincolo è
subordinato al parere favorevole delle
amministrazioni preposte alla tutela del
vincolo stesso. Qualora tale parere non
venga formulato dalle suddette
amministrazioni entro centottanta giorni
dalla data di ricevimento della richiesta di
parere, il richiedente può impugnare il
silenzio-rifiuto”.
Nella versione anteriore alla novella
arrecata con il D.L. 12-01-1988 n. 2,
convertito con la legge n. 68/1988, l’ultimo
periodo era formulato nel modo seguente: “si
intende reso in senso negativo”. La
norma da ultimo citata prevede, al comma 17
(già comma dodici prima dell’aggiunta
apportata con il citato d.l. n. 2/1988) come
noto, che “Fermo il disposto del primo
comma dell'articolo 40 e con l'esclusione
dei casi di cui all'articolo 33, decorso il
termine perentorio di ventiquattro mesi
dalla presentazione della domanda,
quest'ultima si intende accolta ove
l'interessato provveda al pagamento di tutte
le somme eventualmente dovute a conguaglio
ed alla presentazione all'ufficio tecnico
erariale della documentazione necessaria
all'accatastamento. Trascorsi trentasei mesi
si prescrive l'eventuale diritto al
conguaglio o al rimborso spettanti “.
La norma dispone altresì che “Nelle
ipotesi previste nell'articolo 32 il termine
di cui al dodicesimo (ora diciassettesimo)
comma del presente articolo decorre
dall'emissione del parere previsto dal primo
comma dello stesso articolo 32“. Quindi,
il termine per la formazione del
silenzio–assenso nelle ipotesi di immobili
sottoposti ai vincoli dell’art. 32 decorre
dal parere favorevole dell’autorità preposta
alla tutela del vincolo, nella specie quello
di rispetto delle fasce ferroviarie. Ove la
predetta autorità “speciale“ non
provveda il silenzio favorevole previsto
dalla norma generale non opera.
Il mero decorso del termine legale per la
formazione del silenzio positivamente
significativo dalla presentazione della
domanda di condono non è sufficiente per
integrare l'ipotesi normativa di silenzio -
assenso, occorrendo, altresì, la sussistenza
degli ulteriori presupposti indicati dalla
legge medesima (Consiglio Stato, sez. V,
12.07.2004, n. 5039) (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 30.06.2010 n. 4174
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Aree asservite - Inedificabilità
- Opponibilità ai terzi acquirenti -
Irrilevanza delle vicende inerenti la
proprietà dei terreni.
L’inedificabilità di un’area asservita o
accorpata o comunque utilizzata a fini
edificatori costituisce una qualità
obiettiva del fondo che, pur non vigendo
l’obbligo di trascrizione del vincolo nei
registri immobiliari (cfr. Cons. Stato V,
28.06.2000 n. 3637), è opponibile a terzi
acquirenti, ed ha l’effetto di impedirne
l’ulteriore edificazione oltre i limiti
previsti, a nulla rilevando che la proprietà
dell’area sia stata trasferita, che manchino
specifici negozi giuridici privati volti
all’asservimento o che l’edificio sia
collocato in una parte del lotto
catastalmente divisa (Cons. Stato V,
09.10.07 n. 5232).
In altri termini, un’area edificabile, già
interamente considerata in occasione del
rilascio di una concessione edilizia, non
può essere considerata libera neppure
parzialmente, agli effetti della volumetria
realizzabile, in sede di rilascio di una
seconda concessione, nella perdurante
esistenza del primo edificio, restando
irrilevanti le vicende inerenti alla
proprietà dei terreni (Cons. Stato IV,
06.09.1999 n. 1402) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 29.06.2010 n. 2668 -
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URBANISTICA:
Vas - Scopo - Scelte strategiche
dello strumento urbanistico - Valutazione
della sostenibilità ambientale.
Scopo della VAS è quello di valutare la
sostenibilità ambientale delle scelte
strategiche implicite nello strumento
urbanistico, tenuto conto, in particolare,
del consumo di territorio che esse
comportano (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.06.2010 n. 2668 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Impianto tecnologico - Nozione.
Il concetto di “impianto tecnologico”,
posto al servizio di un fabbricato
esistente, presuppone in primo luogo
l'esiguità quantitativa del manufatto -nel
senso che il medesimo deve essere di entità
tale da non alterare in modo rilevante
l'assetto del territorio- ed inoltre,
l'esistenza di un collegamento funzionale
tra tale manufatto e la cosa principale, con
conseguente impossibilità per il primo di
essere utilizzato separatamente ed
autonomamente (cfr. TAR Abruzzo, L'Aquila,
25.11.2005, n. 1186) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 28.06.2010 n. 2662 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Accesso - Atti rientranti nell’ambito
oggettivo della disciplina dell’accesso -
Atti estranei - Discrimen - Individuazione -
Fattispecie: atti di gestione del rapporto
di lavoro privatizzato.
Il discrimen tra gli atti che devono
considerarsi rientranti nell’ambito
oggettivo della disciplina dell’accesso e
quelli destinati a rimanerne fuori, non va
identificato nella distinzione tra attività
posta in essere nell’esercizio di potestà
pubbliche e attività condotta secondo moduli
privatistici, bensì, nella sottoposizione o
meno del soggetto preposto al suo
espletamento al dovere di imparzialità (cfr.
in tal senso Consiglio di Stato, Ad. Plen.,
decisioni nn. 4 e 5 del 1999; nonché, Cons.
St. Sez., VI^, 05.03.2002 n. 1303).
Tale è il caso degli atti di gestione del
rapporto di lavoro privatizzato, che hanno
natura giuridica privata, ma che sono
funzionali all’interesse pubblico curato dal
datore di lavoro che rimane, così, vincolato
dai parametri costituzionali di cui all’art.
97 Cost. (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 28.06.2010 n. 2647 -
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URBANISTICA:
Sulla giurisdizione del g.a. in
materia di edilizia residenziale pubblica.
L'art. 35 della l. 22.10.1971 n. 865,
dispone che la concessione delle aree
comprese nei piani di edilizia economica e
popolare, disposta dal comune a favore dei
soggetti che s'impegnano a costruire le
case, è accompagnata da una convenzione, il
cui contenuto è determinato dal Consiglio
comunale, il quale prevede, tra l'altro, le
sanzioni a carico del concessionario per
l'inosservanza degli obblighi stabiliti
dalla convenzione medesima e i casi nei
quali l'inosservanza degli obblighi da essa
previsti comporta la risoluzione dell'atto
di cessione previa pronuncia di decadenza
dall'assegnazione della concessione.
Tali aree, destinate ai piani di edilizia
economica e popolare , sono previamente
acquisite dal comune, che non ne sia già
proprietario, mediante espropriazione. I
cessionari delle aree si trovano, perciò,
nella posizione di concessionari di beni
pubblici, soggetti ai poteri del comune fino
a quando non sia realizzata la finalità
pubblicistica cui la cessione dei terreni
(da tenere distinta dall'assegnazione degli
alloggi) è diretta. Ne consegue che, le
controversie relative agli atti con i quali
il comune accerti violazioni della
convenzione appartengono alla giurisdizione
esclusiva del g.a. stabilita dall'art. 5
della l. 06.12.1971 n. 1034 sulla
istituzione dei tribunali amministrativi
regionali.
La presenza di un momento negoziale
costituito dalla convenzione non muta la
sostanza del rapporto pubblicistico -
preordinato alla realizzazione
dell'interesse generale di rilevanza
costituzionale alla fornitura, a carico
della collettività, di abitazioni per i ceti
sociali economicamente svantaggiati - tra
amministrazione e concessionario del suolo.
L'atto di attribuzione di un diritto reale
limitato su di un lotto di edilizia
residenziale pubblica e la relativa
convenzione attuativa compongono entrambe la
fattispecie complessa della concessione
amministrativa, preordinata al perseguimento
dell'interesse pubblico a soddisfare il
diritto all'abitazione da parte delle fasce
sociali meno abbienti ed istituiscono, tra
concedente e concessionario, un rapporto
unitario, nel quale il momento convenzionale
è servente e strumentale al momento
pubblicistico, di tal che il venir meno del
primo dei due atti di cui la fattispecie si
compone comporta la caducazione anche
dell'altro atto (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.06.2010 n. 4093 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Il segretario comunale può
partecipare ai lavori della commissione di
gara in qualità di componente.
Il fatto che il segretario comunale abbia
partecipato ai lavori della commissione di
gara in qualità di componente, esperto nello
specifico settore cui si riferisce l’oggetto
del contratto (art. 84, comma 2, della legge
n. 163/2006), non sembra nella specie
assumere un rilievo invalidante.
Posto che la commissione aggiudicatrice è
tenuta ad affrontare e risolvere problemi di
varia natura, anche giuridici e
amministrativi, ne consegue, quindi, che,
una volta assicurata la prevalenza tecnica
in seno alla commissione, la stessa può
ritenersi legittimamente composta anche ove
nel suo ambito sia prevista la presenza di
un esperto anzitutto in procedure
amministrative, qual è il segretario
comunale, non estraneo però alle
problematiche tecniche connesse
all’esercizio di funzioni comunali
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.06.2010 n. 3967 -
link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI: La
commissione aggiudicatrice è tenuta ad
affrontare e risolvere problemi di varia
natura, anche giuridici e amministrativi. Ne
consegue, quindi, che, una volta assicurata
la prevalenza tecnica in seno alla
commissione la stessa può ritenersi
legittimamente composta anche ove nel suo
ambito sia prevista la presenza di un
esperto anzitutto in procedure
amministrative, qual è il segretario
comunale, non estraneo però alle
problematiche tecniche connesse
all’esercizio di funzioni comunali.
Il fatto che il segretario comunale abbia
partecipato ai lavori della commissione di
gara in qualità di componente, esperto
nello specifico settore cui si riferisce
l’oggetto del contratto (art. 84, comma 2,
della legge n. 163/2006), non sembra nella
specie assumere un rilievo invalidante.
Va in proposito considerato il comma 8 dello
stesso articolo, a norma del quale (nel
testo vigente pro tempore) i commissari
diversi dal presidente sono anzitutto
selezionati tra i funzionari delle stazioni
appaltanti.
Ora non sembra dubbio che il segretario
comunale, ancorché dipendente dall'Agenzia
autonoma per la gestione dell'albo dei
segretari comunali e provinciali (quanto al
rapporto di impiego), relativamente al
rapporto di servizio svolga funzioni presso
il Comune, di cui è quindi funzionario (cfr.
art. 97 legge n. 267/2000).
Deve poi ritenersi che tra tali funzioni sia
configurabile anche quella di componente di
una commissione di gara, stante la
previsione dell’art. 97, comma 4, lett. d)
citato, in forza del quale il segretario
comunale esercita ogni altra funzione
attribuitagli dallo statuto o dai
regolamenti, o comunque conferitagli dal
sindaco .
Quanto alla sua competenza di settore,
analoga a quella delle altre categorie
citate all’art. 84, comma 8, del d.lgs.
n. 163/2006, essa non impone l’appartenenza
ad una delle categorie professionali citate
nella seconda alinea di tale comma, ma
demanda alla autorità che procede alla
nomina di valutare la sussistenza del
requisito di cui trattasi.
A tale fine occorre tenere presente che la
commissione aggiudicatrice è tenuta ad
affrontare e risolvere problemi di varia
natura, anche giuridici e amministrativi. Ne
consegue, quindi, che, una volta assicurata
(come nella specie non contestato) la
prevalenza tecnica in seno alla commissione
la stessa può ritenersi legittimamente
composta anche ove nel suo ambito sia
prevista la presenza di un esperto anzitutto
in procedure amministrative, qual è il
segretario comunale, non estraneo però alle
problematiche tecniche connesse
all’esercizio di funzioni comunali (cfr.
art. 97 comma 4 del d.lgs. n. 267, a norma del
quale il segretario sovrintende allo
svolgimento delle funzioni dei dirigenti e
ne coordina l'attività,) La valutazione
tecnica-professionale, sottostante alla
nomina, comprende poi anche le esperienze
comunque acquisite dall’interessato e allo
stato degli atti non appare incongrua
rispetto al curriculum del segretario
comunale
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.06.2010 n. 3967 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
valutazione dei progetti sulla base del solo
punteggio numerico non è altro che la
sintesi plastica e rappresentativa di una
attenta valutazione delle singole componenti
dei vari progetti (secondo i parametri
qualitativi indicati nel bando) e, in
mancanza di una patente illogicità, deve
considerarsi metodo correttamente posto in
essere.
Infondato è
anche il motivo relativo alla mancanza nel
bando di criteri di specificazione in ordine
all’attribuzione dei punteggi.
Vengono in rilievo i commi 1, 2 e 4
dell’art. 83 del d.lgs. n. 163/2006 secondo
cui:
1. Quando il contratto è affidato con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, il bando di gara stabilisce i
criteri di valutazione dell’offerta,
pertinenti alla natura, all’oggetto e alle
caratteristiche del contratto, quali, a
titolo esemplificativo ...
2. Il bando di gara ovvero, in caso di
dialogo competitivo, il bando o il documento
descrittivo, elencano i criteri di
valutazione e precisano la ponderazione
relativa attribuita a ciascuno di essi, …
4. Il bando per ciascun criterio di
valutazione prescelto prevede, ove
necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i
sub-punteggi……. [La commissione
giudicatrice, prima dell’apertura delle
buste contenenti le offerte, fissa in via
generale i criteri motivazionali cui si
atterrà per attribuire a ciascun criterio e
subcriterio di valutazione il punteggio tra
il minimo e il massimo prestabiliti dal
bando] (periodo ora soppresso dalla lettera
u del comma 1 dell’art. 1, D.Lgs.
11.09.2008, n. 152 ).
In proposito va osservato che negli atti
recanti la disciplina di gara, venivano
chiaramente individuati e descritti nei loro
contenuti cinque elementi di valutazione
della qualità del progetto, per un totale di
75 punti e con precisazione per ciascuno di
essi del punteggio massimo attribuibile.
Il che appare sufficiente ad indirizzare la
valutazione della Commissione di gara,
tenuto conto che alla stregua dell’art. 83,
comma 2, d.lgs. n. 163/2006 la fissazione nel
bando di sub criteri, sub pesi e sub
punteggi nel bando è discrezionale e che il
metodo di confronto a coppie consentiva
l’attribuzione di un punteggio numerico per
ognuno dei cinque elementi indicati nel
bando.
Infondato dunque è, come affermato dalla
giurisprudenza amministrativa (cfr. C.S., VI,
n. 7578/2006), anche il motivo che censura
la valutazione dei progetti sulla base del
solo punteggio numerico; nella specie
questo, infatti, non è altro che la sintesi
plastica e rappresentativa di una attenta
valutazione delle singole componenti dei
vari progetti (secondo i parametri
qualitativi indicati nel bando) e, in
mancanza di una patente illogicità, deve
considerarsi metodo correttamente posto in
essere.
Per il resto, il metodo del confronto a
coppie e la valutazione riservata alle varie
componenti del punteggio rappresenta una
manifestazione della discrezionalità di
scelta dell’Amministrazione e anche esso, se
non illogico, non è soggetto a censure
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.06.2010 n. 3967 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Obbligo di
rimozione e smaltimento - Proprietario
dell’area - Presupposto - Abbandono in
concorrenza omissiva.
Ai fini dell’imposizione, al proprietario
dell’area interessata, dell’obbligo di
rimozione e smaltimento di rifiuti
abbandonati, è necessario che l’autorità
comunale dimostri, in odo non equivoco, che
i rifiuti siano stati ivi abbandonati almeno
in concorrenza omissiva da parte del
proprietario ed ivi continuino ad insistere
per disponibilità del medesimo (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 23.06.2010 n. 2368 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sull'interpretazione dell'art.
38, c. 1, lett. f), del d.lgs. n. 163/2006
(Codice dei contratti pubblici) e sulle
differenze con l'art. 1453 c.c..
L'art. 38, c. 1, lett. f), del d.lgs. n.
163/2006 (Codice dei contratti pubblici),
prevede che: "sono esclusi dalla
partecipazione alle procedure di affidamento
delle concessioni e degli appalti di lavori,
forniture e servizi, né possono essere
affidatari di subappalti, e non possono
stipulare i relativi contratti i soggetti
che, secondo motivata valutazione della
stazione appaltante, hanno commesso grave
negligenza o malafede nell'esecuzione delle
prestazioni affidate dalla stazione
appaltante che bandisce la gara; o che hanno
commesso un errore grave nell'esercizio
della loro attività professionale, accertato
con qualsiasi mezzo di prova da parte della
stazione appaltante".
Tale disposizione da un lato, preclude la
partecipazione alle gare d'appalto agli
operatori economici che si sono resi
responsabili di gravi inadempienze
nell'esecuzione di precedenti contratti, con
ciò denotando quindi un'inidoneità "tecnico-morale"
a contrarre con la P.A., dall'altro, fissa
il duplice principio secondo cui la
sussistenza di tali situazioni ostative può
essere desunta da qualsiasi mezzo di prova,
mentre il provvedimento di esclusione deve
essere motivato congruamente.
In sostanza, a differenza di altre ipotesi
di esclusione previste dallo stesso art. 38,
c. 1, che richiedono espressamente il
definitivo accertamento (lett. g) o il
passaggio in giudicato della sentenza (lett.
c), nella fattispecie prevista nella lett.
f), di cui al citato art. 38, è necessario
che vi sia un'adeguata prova
dell'inadempimento e che lo stesso rilevi
sul piano della menomazione
dell'affidabilità dell'impresa privata nei
confronti della medesima amministrazione.
La particolarità, che vale a distinguere
l'ipotesi di grave negligenza di cui
all'art. 38, c. 1, lett. f), del Codice dei
contratti pubblici, da quella di cui
all'art. 1453 c.c., è che in quest'ultimo
caso la gravità dell'inadempimento deve
essere valutata in relazione all'interesse
all'esecuzione dedotto nel contratto (in
ultima analisi, in relazione alla
realizzazione della specifica e concreta
causa di esso).
Nel suddetto art. 38, invece, la gravità ha
una rilevanza, per così dire, esterna, nel
senso che deve essere idonea ad influire
sull'interesse (pubblico)
dell'amministrazione a stipulare un nuovo
contratto con l'impresa privata; non a
liberarsi dal precedente rapporto, come nel
caso della risoluzione.
Ne consegue che, la gravità della generica
negligenza o dell'inadempimento a specifiche
obbligazioni contrattuali non va commisurata
all'idoneità della medesima a pregiudicare
la realizzazione dello specifico interesse
dedotto nella causa del contratto
irregolarmente eseguito; ma va commisurata
al pregiudizio arrecato alla fiducia,
all'affidamento che la stazione appaltante
deve poter riporre, ex ante,
nell'impresa cui decide di affidare
l'esecuzione di un nuovo rapporto
contrattuale.
Pertanto, la valutazione assume un aspetto
più soggettivo (di affidabilità) che
oggettivo (il pregiudizio al concreto
interesse all'esecuzione della specifica
prestazione inadempiuta) (TAR Molise,
sentenza 23.06.2010 n. 236 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ENTI LOCALI:
Il creditore dell'ente locale non
ha interesse qualificato in merito alla
procedura di riconoscimento del debito fuori
bilancio.
Il caso affrontato dai Giudici siciliani,
offre un interessante spunto di riflessione
sui rapporti tra i cittadini e la pubblica
amministrazione. Avendo ottenuto il
riconoscimento di un proprio credito verso
l'amministrazione con sentenza esecutiva, la
ricorrente chiedeva al comune di reperire le
relative somme mediante l'attivazione della
procedura di riconoscimento di debito fuori
bilancio di cui all'art. 194 D.Lgs.
267/2000.
Il Comune non forniva risposta alla
richiesta né si attivava nel senso indicato
dalla ricorrente. In ragione di tale
comportamento, la signora attivava la
procedura giurisdizionale sul silenzio. La
scelta del rimedio giurisdizionale attivato
si è però rivelata inadeguata: innanzitutto
-sostengono i Giudici- la pretesa creditoria
ha natura civilistica e quindi in
quell'ambito doveva essere individuato il
rimedio.
Il ricorso avverso il silenzio della
pubblica amministrazione ha senso solo in
riferimento a questioni sostanziali sui
quali sussiste giurisdizione amministrativa.
Con specifico riguardo all’obbligo di
provvedere, va precisato che a incardinare
il dovere di rispondere alle istanze dei
privati non è sufficiente il solo disposto
dell'art. 2 della L. n. 241/1990, il quale
pone il generale obbligo per le
amministrazioni di concludere il
procedimento amministrativo, ma è, altresì,
necessaria la compresenza di un interesse
specifico al procedimento attivato,
normativamente qualificato come tale.
Ed infine, la procedura di riconoscimento
dei debiti fuori bilancio, da parte degli
enti locali, di cui agli artt. 193 e 194 del
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 risponde,
esclusivamente all'interesse pubblico alla
regolarità della gestione finanziaria
dell'ente e non è posta alla tutela diretta
di situazioni giuridiche dei privati.
Di conseguenza, in riferimento a tale
procedura non si può rinvenire il carattere
della differenziazione dell'interesse in
modo da identificare un dovere qualificato
ex lege dell'Amministrazione comunale
di pronunciarsi sulla domanda della
ricorrente così come formulata (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it -
TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 22.06.2010 n. 7859 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: Nell’ambito
degli enti locali non sussiste un rigido
divieto di partecipazione dei dirigenti alle
commissioni di gara. Infatti, il
rafforzamento del modello della
responsabilità dirigenziale innescato dal
processo di privatizzazione del pubblico
impiego, sottolinea l’opposta esigenza che
il dirigente segua direttamente le procedure
del cui risultato è tenuto a rispondere. In
questa logica va annoverato il disposto
dell’art. 107 del D. L.vo n. 267/2000, che
prevede tra le attribuzioni di competenza
dirigenziale il potere di presiedere le
commissioni di gara e di stipulare i
contratti in correlazione con la
responsabilità per l’esito delle gare
medesime.
Così come non vi è incompatibilità tra le
funzioni di presidente della commissione di
gara e quella di responsabile del
procedimento, analogamente deve ritenersi
nel caso in cui al dirigente di un ente
locale che ha svolto le funzioni di
presidente del seggio e di responsabile del
procedimento sia stato anche attribuito il
compito di approvare gli atti della
commissione di gara, atteso che detta
approvazione non può essere ricompresa nella
nozione di controllo in senso stretto, ma si
risolve in una revisione interna della
correttezza del procedimento connessa alla
responsabilità unitaria del procedimento
spettante alla figura dirigenziale.
Priva di pregio è innanzitutto la censura di
illegittima composizione della Commissione
giudicatrice per essere presieduta dallo
stesso soggetto che poi ha approvato gli
atti di gara.
E’ stato chiarito che nell’ambito degli enti
locali non sussiste un rigido divieto di
partecipazione dei dirigenti alle
commissioni di gara. Infatti, il
rafforzamento del modello della
responsabilità dirigenziale innescato dal
processo di privatizzazione del pubblico
impiego, sottolinea l’opposta esigenza che
il dirigente segua direttamente le procedure
del cui risultato è tenuto a rispondere. In
questa logica va annoverato il disposto
dell’art. 107 del D. L.vo n. 267/2000, che
prevede tra le attribuzioni di competenza
dirigenziale il potere di presiedere le
commissioni di gara e di stipulare i
contratti in correlazione con la
responsabilità per l’esito delle gare
medesime.
Così come non vi è incompatibilità tra le
funzioni di presidente della commissione di
gara e quella di responsabile del
procedimento, analogamente deve ritenersi
nel caso in cui al dirigente di un ente
locale che ha svolto le funzioni di
presidente del seggio e di responsabile del
procedimento sia stato anche attribuito il
compito di approvare gli atti della
commissione di gara, atteso che detta
approvazione non può essere ricompresa nella
nozione di controllo in senso stretto, ma si
risolve in una revisione interna della
correttezza del procedimento connessa alla
responsabilità unitaria del procedimento
spettante alla figura dirigenziale (V. la
decisione della Sezione 12.06.2009 n. 3716)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.06.2010 n. 3890 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
giudizio di verifica della congruità di
un'offerta anomala ha natura globale e
sintetica sulla serietà o meno dell'offerta
nel suo insieme e costituisce espressione di
un potere tecnico-discrezionale
dell'amministrazione di per sé insindacabile
in sede di legittimità, salva l'ipotesi in
cui le valutazioni siano manifestamente
illogiche o fondate su insufficiente
motivazione o affette da errori di fatto.
Non può
poi accogliersi la censura di
incompatibilità ex art. 84 D.L.vo
n. 163/2006 dell’ing. Marfurt, quale
componente esterno della Commissione, in
quanto in precedenza incaricato di
predisporre la documentazione di gara.
La norma invocata stabilisce che “i
commissari diversi dal presidente non devono
aver svolto né possono svolgere alcuna altra
funzione o incarico tecnico o amministrativo
relativamente al contratto del cui
affidamento si tratta”, mentre nel caso in
esame vi è stata solo attività di consulenza
sulla documentazione di gara e non sul
contratto da stipulare.
Neppure vale sostenere che la
competenza sul giudizio di anomalia spetta
alla Stazione appaltante e non alla
commissione di gara, che nella specie invece
l’aveva svolto direttamente.
E’ pur vero che l’art. 88 D.L.vo n.
163/2006, richiamato dal bando di gara,
nello stabilire che “la Stazione appaltante,
se del caso mediante specifica commissione,
esamina gli elementi costitutivi
del’offerta, tenendo conto delle
giustificazioni fornite..”, attribuisce alla
Stazione appaltante il potere di verificare
ed escludere le offerte anormalmente basse ,
ma dalla menzionata disposizione non è dato
desumere una competenza esclusiva al
riguardo, dovendosi tener conto anche
dell’art. 84 dello stesso decreto in base al
quale “quando la scelta della migliore
offerta avviene con il criterio del’offerta
economicamente più vantaggiosa, la
valutazione è demandata ad una commissione
giudicatrice…”. Per cui in tra i poteri
spettanti alla commissione di gara può
ritenersi implicitamente compresa, in
mancanza nel caso in esame di contraria
disciplina di gara, anche la valutazione
delle offerte sospettate di anomalia al fine
di poter determinare la migliore tra le
offerte.
D’altra parte, nella specie, le valutazioni
effettuate dalla Commissione di gara, che è
pur sempre un organo straordinario
dell’Amministrazione, sono state poi fatte
proprie dalla Stazione appaltante mediante
l’approvazione degli atti di gara con
determinazione dirigenziale del 14.08.2008.
Prive
di pregio sono infine le doglianze della
seconda classificata con riferimento al
giudizio sulla non anomalia dell’offerta
dell’aggiudicataria espresso dalla
commissione di gara e convalidato dal
responsabile del procedimento.
Invero, tenuto presente l’indirizzo
giurisprudenziale (che il Collegio
condivide) secondo il quale il giudizio di
verifica della congruità di un'offerta
anomala ha natura globale e sintetica sulla
serietà o meno dell'offerta nel suo insieme
e costituisce espressione di un potere
tecnico-discrezionale dell'amministrazione
di per sé insindacabile in sede di
legittimità, salva l'ipotesi in cui le
valutazioni siano manifestamente illogiche o
fondate su insufficiente motivazione o
affette da errori di fatto (C.d.S., IV, 20.05.2008, n. 2348; Sez. V 18.09.2009 e Sez. VI, 25.09.2007, n. 4933)
il giudizio di attendibilità sull’offerta
presentata da Gritti GAS (e relative
giustificazioni) appare sufficientemente
motivato da parte della commissione di gara,
la quale ha evidenziato tra l’altro i
seguenti aspetti, che non appaiono
irragionevoli al Collegio e precisamente:
- il valore del canone di affidamento a
favore del Comune è allineato con quello
offerto da altri gestori della zona;
- l’impresa ha già personale disponibile in
zona per il servizio di pronto intervento e
per l’attività di manutenzione ordinaria;
- l’attività di manutenzione straordinaria è
alquanto limitata tenuto conto del buono
stato in cui si trova la rete distributiva;
- la quota di margine di profitto spettante
al gestore anche se non elevata (circa euro
132.000 annui) non è del tutto evanescente
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.06.2010 n. 3890 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' illegittima la clausola con la
quale viene richiesta, alle ditte
partecipanti, la disponibilità di un centro
di cottura nel territorio comunale, in
quanto ritenuta in contrasto con i principi
della libera concorrenza, massima
partecipazione alla gara ed economicità
dell'azione amministrativa.
La clausola con la quale viene richiesta,
alle ditte partecipanti, la disponibilità di
un centro di cottura nel territorio
comunale, si ritiene in contrasto con i
principi della libera concorrenza, massima
partecipazione alla gara ed economicità
dell'azione amministrativa, dovendo
considerarsi sufficiente, per le specifiche
finalità dell’amministrazione, la clausola
che stabilisce i tempi massimi di trasporto
dei pasti e la possibilità, da parte
dell'amministrazione, di verificare il loro
rispetto.
Pertanto, deve considerarsi infondata la
censura con cui si sostiene la possibilità
di poter ottenere, in via contrattuale, la
disponibilità di un centro di cottura nel
territorio del comune in quanto, a
prescindere dalla effettiva sussistenza di
tale possibilità in relazione alla
necessaria osservanza di specifiche norme
sanitarie che disciplinano la materia, va
considerato che tale rapporto obbligatorio,
in quanto aggiuntivo rispetto alle capacità
organizzative dell'azienda, potrebbe
comunque costituire, per la sua onerosità,
un elemento di distorsione dei costi
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.06.2010 n. 3887 -
link a
www.mediagraphic.it). |
LAVORI PUBBLICI:
La falsità in ordine alle
dichiarazioni effettuate o alla
documentazione prodotta per ottenere la
attestazione SOA non può essere esposta a
margini di incertezza o ad accertamenti
relativi alla responsabilità soggettiva.
Il sistema di qualificazione dei lavori
pubblici è basato sulla attività di verifica
e controllo svolta dalle Società Organismi
di attestazione, sottoposte alla vigilanza
della Autorità per i contratti pubblici. Con
il rilascio della attestazione per
determinate categorie, l’impresa può
partecipare alle gare che prevedono il
possesso della qualificazione per quelle
categorie senza dimostrare ulteriori
requisiti. La verifica circa il possesso dei
requisiti è attribuita alle Soa al momento
del rilascio della attestazione.
Perché tale sistema garantisca la
correttezza e la professionalità di tutti
coloro che partecipano alle gare di lavori
pubblici, è necessaria una penetrante
verifica da parte delle Soa e da parte della
Autorità di Vigilanza sia sugli operatori
economici che sulle Soa.
Il sistema di qualificazione proprio per gli
effetti che produce circa la partecipazione
alle gare, deve essere incentrato al massimo
rigore e alla massima certezza per
l’ordinamento. Poiché il rilascio
dell’attestazione costituisce il momento
determinante di verifica dei requisiti, che
si impone alle stazioni appaltanti, la
falsità in ordine alle dichiarazioni
effettuate o alla documentazione prodotta
per ottenere la attestazione non può essere
esposta a margini di incertezza o ad
accertamenti relativi alla responsabilità
soggettiva, che peraltro rimarrà oggetto di
accertamenti nell’eventuale sede penale (TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 21.06.2010 n. 19443 -
link a
www.mediagraphic.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Dalle
circolari effetti a cascata. Il Consiglio di
stato fornisce un'interpretazione operativa
della classica espressione della prassi. Il
documento non si impugna: si contesta l'atto
derivante.
Le circolari amministrative sono atti
diretti agli organi periferici o
sottordinati e non hanno, di per sé, né
valore normativo o provvedimentale né
vincolante, per i soggetti estranei
all'amministrazione.
I destinatari di atti applicativi non hanno
l'onere di impugnare le circolari, ma
possono contestarne la legittimità,
sostenendo che l'atto è illegittimo in
quanto scaturisce da una circolare
illegittima che doveva essere disapplicata.
Questo il principio contenuto nella
sentenza 21.06.2010 n. 3877 del
Consiglio di Stato, Sez. IV.
Per il giudice amministrativo, che segue un
orientamento prevalente, le circolari non
sono atti normativi e, per tale motivo, non
possono innovare l'ordinamento giuridico, ma
contengono comunicazioni, direttive o
istruzioni, circa una modalità di
comportamento che i destinatari devono
adottare o l'interpretazione che l'organo
emanante rende, di una norma di legge.
Il potere posto a fondamento dell'emanazione
delle circolari è il cosiddetto potere
gerarchico o di indirizzo che alcuni organi
possono esercitare nei confronti di
strutture, usualmente sotto ordinate o
interne e, pertanto, la circolare avrà i
suoi effetti solo nei confronti di tali
soggetti e uffici.
Nonostante il potere vincolante sul piano
interno, le circolari possono essere
disattese quando appaiono in contrasto
palese con le norme di legge, così come
previsto dallo statuto degli impiegati
civili dello stato.
Escludendo tale caso, che va comunque
motivato da parte di colui che avrebbe
dovuto attenersi alle indicazioni impartite
dall'organo sovraordinato, la mancata
applicazione delle circolari ha effetto solo
sul piano interno e non sulla legittimità
dell'atto adottato. Pertanto, in questo
caso, si avranno conseguenze sotto il
profilo disciplinare, con applicazione delle
relative sanzioni per il funzionario che ha
disatteso la circolare.
Il ragionamento è condivisibile nella parte
in cui i giudici indicano che ammettere
nelle circolari opinioni interpretative
dell'amministrazione con vincoli equivale a
riconoscere alla stessa un potere normativo
in conflitto con la Costituzione che assegna
tale potere al parlamento.
Per il Consiglio di stato, nell'ipotesi che
l'ufficio disattenda il contenuto della
circolare, il contribuente non può far
valere l'illegittimità dell'atto impugnato,
acclarato che tale illegittimità può
derivare solo dal contrasto tra l'atto e le
norme di legge, effettivamente unico
parametro di valutazione della legittimità
dell'atto.
I destinatari degli atti applicativi di
circolari non hanno alcun onere di
impugnativa, ma possono limitarsi a
contestarne la legittimità al solo scopo di
sostenere che gli atti applicativi sono
illegittimi perché scaturiscono da una
circolare illegittima che avrebbe dovuto
essere, invece, disapplicata. Così come
affermato anche in altri interventi
giurisprudenziali, una circolare contra
legem può essere disapplicata anche
d'ufficio dal giudice investito
dell'impugnazione dell'atto applicativo
della stessa circolare.
Eccezione a tale applicazione interna è il
principio contenuto nell'articolo 10 dello
statuto dei diritti del contribuente, che
assegna alla circolare un effetto esterno,
quale atto che fonda l'affidamento del
contribuente e costituisce causa di
esclusione per l'applicazione delle sanzioni
e degli interessi; di conseguenza se il
contribuente si è adeguato alle indicazioni
contenute in un atto dell'amministrazione,
non gli potranno essere né irrogate sanzioni
né richiesti interessi. In questo caso il
principio della tutela dell'affidamento
prevale sul carattere interno delle
circolari
(articolo ItaliaOggi del 16.07.2010, pag.
38). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Abbandono - Obbligo di rimozione
e smaltimento - Proprietario - Assenza di
prove in ordine alla cooperazione
nell’abbandono - Illegittimità.
L’obbligo di rimozione e smaltimento non può
essere accollato in modo automatico al
proprietario, a carico del quale non vi
siano prove dell’avvenuta cooperazione
nell’illecita attività di abbandono (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 18.06.2010 n. 5506 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L'ordinanza di rimozione rifiuti
compete al Sindaco.
In ordine alla
competenza ad emanare l’ordinanza di
rimozione rifiuti ai sensi e per gli effetti
di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006
(TUA) si sono sviluppati, in giurisprudenza,
due orientamenti.
Da un lato, un orientamento minoritario
ritiene che il previgente art. 14, comma 3,
d.lgs. 05.02.1997 n. 22 (cd. decreto Ronchi)
sebbene affidasse già al Sindaco il potere
di ordinare la rimozione dei rifiuti
abbandonati, tuttavia -in virtù del
principio sulla separazione tra funzioni di
indirizzo politico e funzioni gestionali di
cui all’art. 107 del T. U. delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali- la norma
va ora letta alla luce del nuovo principio
per il quale spetta ai dirigenti tutta
l’attività di gestione, tra cui è ricompresa
quella sulla rimozione dei rifiuti
abbandonati. La soluzione non cambia neppure
dopo l’adozione del d.lgs. 03.04.2006, n.
152, il cui articolo 192, comma 3, ultima
parte, riproduce, con identica formulazione,
la disposizione di cui al citato art. 14,
comma 3, ultimo periodo
[1].
Tuttavia, secondo un altro più condivisibile
e seducente indirizzo giurisprudenziale,
largamente condiviso e recepito dalla
pronuncia in esame, la competenza ad emanare
le ordinanze di rimozione rifiuti spetta a
Sindaco per espressa disposizione dell’art.
192, comma 3, TUA.
Invero, pur essendo l’ordinanza di rimozione
rifiuti ex art. 192 cit. astrattamente
suscettibile di poter rientrare nella sfera
di competenza del responsabile dell’area
tecnica, ai sensi dell’art. 107, comma 5,
TUEL, a mente del quale l’adozione di atti
di gestione e di atti o provvedimenti
amministrativi si intendono nel senso che la
relativa competenza spetta ai dirigenti,
essa viene attribuita al Sindaco
dall’insuperabile dato testuale sancito dal
citato art. 192, comma 3, secondo periodo,
in coerente applicazione del canone
ermeneutico lex posterior specialis
derogat anteriori generali, nonché ai
sensi dello stesso art. 107, comma 4, TUEL,
il quale consente che “Le attribuzioni
dei dirigenti, in applicazione del principio
di cui all’art. 1, comma 4°, possono essere
derogate soltanto espressamente e ad opera
di specifiche disposizioni legislative”
[2].
Altrimenti detto, l’art. 192, comma 3, del
d.lgs. 03.04.2006 n. 152 (TUA) -che è norma
speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107,
comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL)-
attribuisce espressamente al Sindaco la
competenza a disporre con ordinanza le
operazioni necessarie alla rimozione ed allo
smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2
e, in base agli ordinari criteri preposti
alla soluzione delle antinomie normative
(criterio della specialità e criterio
cronologico), prevale sul disposto dell'art.
107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000
[3]
_______________
[1]
Così, TAR Sardegna, Cagliari, Sez. II,
04.11.2009, n. 1598, in Giurisprudenza di
merito, fasc. n. 1 del 2010.
Si veda, altresì, TAR Campania, Napoli, Sez.
V, 09.06.2009, n. 3159, in
www.ambientediritto.it, secondo cui: “Ai
sensi dell’art. 107 comma 5 T.U.E.L.
18.08.2000, n. 267, rientra nella competenza
del dirigente, e non del Sindaco, l’adozione
dell’ordinanza di rimozione di rifiuti
rivolta al proprietario di un’area sulla
quale gli stessi sono stati abbandonati”.
Nello stesso senso, TAR Basilicata,
23.05.2007, n. 457, in
www.giustizia-amministrativa.it.
[2]
Cfr., a tal proposito, TAR Calabria,
Catanzaro, sez. I, 20.10.2009, n. 1118, in
www.giustizia-amministrativa.it e in corso
di pubblicazione su Giurisprudenza di merito
con nota di A. Mezzotero.
[3]
Cfr., oltre alla pronuncia in rassegna,
Cons. St., Sez. V, 25.08.2008, n. 4061, in
www.lexitalia.it.
Nello stesso senso, TAR Veneto, Sez. III,
24.11.2009, n. 2968, in
www.ambientediritto.it, secondo cui: “L’art.
192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 è norma
speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107,
comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed
attribuisce espressamente al Sindaco la
competenza a disporre con ordinanza le
operazioni necessarie alla rimozione ed allo
smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il
criterio della specialità e per quello
cronologico sul disposto dell’art. 107,
comma 5, del D.lgs. n. 267/2000”; Id.,
20.10.2009, n. 2623, ivi; Id., 29.09.2009,
n. 2454, ivi; TAR Lombardia, Milano, sez. IV,
02.09.2009, n. 4598, in
www.giustizia-amministrativa.it; TAR Veneto,
sez. III, 14.01.2009, n. 40, ivi
(TAR Lombardia-Milano, Sez. VI,
sentenza 09.06.2010 n. 1764 -
link a www.altalex.com). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: ORGANIZZAZIONE
DEGLI UFFICI COMUNALI.
1. Comune e provincia -
Programmazione - Atti programmatori - Pianta
organica - Natura e Funzione - Conseguenze.
2. Comune e provincia - Personale - Degli
uffici comunali - Selezione - Profili.
3. Comune e provincia - Organizzazione -
Strutture apicali - Sussistenza -
Condizioni.
1.
Essendo la pianta organica finalizzata
all'astratta configurazione delle esigenze
organizzative dell'ente locale, con la
funzione di determinare, categoria per
categoria, il numero di lavoratori
necessario per il perseguimento dei fini
istituzionali, le eventuali trasformazioni,
anche di un unico posto, incidono
esclusivamente sulla pianta organica stessa,
a prescindere dal soggetto che in concreto
occupa il posto.
La trasformazione di un posto di organico in
uno superiore, quindi, non legittima di per
sé alcuna pretesa alla copertura del posto
trasformato, in deroga all'obbligo del
previo concorso e al possesso del prescritto
titolo, attesa altresì la discrezionalità
dell'amministrazione di prevedere
l'inquadramento nella nuova qualifica del
titolare del posto trasformato ove
l'interessato sia in possesso dei requisiti
richiesti per l'accesso alla nuova funzione.
Al fine di evitare che si concretizzi una
violazione delle disposizioni che prevedono
il concorso come la regola per la
progressione in carriera, infatti, gli
ampliamenti e le eventuali trasformazioni
della pianta organica devono prescindere dal
soggetto che in concreto occupa il posto,
sussistendo anzi l'obbligo per
l'Amministrazione di procedere al
contestuale trasferimento del dipendente o
al suo licenziamento (Cfr. ex multis,
TAR Calabria Reggio Calabria 16-03-2002 n.
161; Cons. Stato, sez. V, 24-10-2001 n.
5598; TAR Lombardia Milano 04-07-1996 n.
934).
2.
La pianta organica e le norme
sull'organizzazione degli uffici di un ente
ben possono prevedere che, a capo dei vari
uffici equiordinati ed aventi la medesima
denominazione nei quali l'ente si articola
(nella specie, i "Settori" di un
Comune), siano preposti funzionari di
diverso livello.
Infatti la "dimensione dell'ufficio",
per gli effetti di cui all'art. 40, D.P.R.
n. 347/1983, non discende puramente dalla
denominazione, bensì da fattori come
l'ampiezza della materia di competenza, il
numero degli addetti, la difficoltà delle
questioni trattate ordinariamente (Cons.
Stato, sez. V, 21-01-1992 n. 71).
3.
Non qualsiasi struttura di un Comune che
dipenda direttamente dal Sindaco o dal
Segretario comunale può ritenersi apicale;
vanno ritenute invece apicali solo le ampie
strutture di complessità tale da comportare
di necessità una collocazione ai vertici (C.G.A.
26-02-1993 n. 69)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 21.05.2010 n. 2128 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Affidamento
diretto del servizio e necessari
presupposti.
Il giudice amministrativo esclude che
sussistano i presupposti per dichiarare
l’inefficacia del contratto a seguito
dell’annullamento dell’aggiudicazione,
pronunciandosi così, in sede di primissima
applicazione del d.lgs. n. 53 del 2010, sui
presupposti che attivano il potere
discrezionale del giudice di decidere sulle
sorti del contratto.
Per giungere a questa conclusione il giudice
considera preliminarmente che le
disposizioni dell’art. 245-bis del novellato
d.lgs. n. 163 del 2006, trovano applicazione
anche per gli appalti di servizi di cui
all’allegato II B e verifica che nessuna
disposizione di legge statale o regionale
prevede l’obbligo di pubblicare i bandi di
gara per gli appalti di servizi in questione
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 06.05.2010 n. 6406 -
link a www.altalex.com). |
APPALTI:
LEGITTIMA REVOCA E POSSIBILE
RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE.
Il Tar Lazio conferma, anche attraverso
nuove e convincenti argomentazioni, il
recente indirizzo, secondo il quale è
possibile la configurazione di una
responsabilità precontrattuale della
stazione appaltante, pur in presenza di una
legittima revoca della gara: “La
responsabilità per la revoca della gara, non
ancora conclusa da parte
dell'Amministrazione, seppure formalmente
legittima, può ritenersi tuttavia
configurabile quando il fine pubblico è
stato attuato attraverso un comportamento
obiettivamente lesivo dei doveri di lealtà.
Dunque, anche la revoca legittima degli atti
della procedura di gara può infatti
integrare una responsabilità della pubblica
amministrazione, seppure precontrattuale,
nel caso di affidamenti suscitati
nell’impresa dagli atti della procedura di
evidenza pubblica, poi rimossi. In altri
termini, si è in presenza di una scissione
fra la legittima determinazione di revocare
l'aggiudicazione della gara ed il
complessivo tenore del comportamento, tenuto
dalla medesima Amministrazione nella sua
veste di controparte negoziale, non
informato alle generali regole di
correttezza e buona fede, che devono essere
osservate dall'Amministrazione anche nella
fase precontrattuale”.
Nella concreta vicenda, il Ministero aveva
presentato a sostegno della propria
decisione di revoca, una pluralità di
ragioni, fra cui la dimostrata inidoneità
della procedura di gara precedentemente
indetta e la parimenti dimostrata economia
di spese, ottenibile attraverso una diversa
e nuova procedura di selezione.
Avverso tale condotta, l’impresa
partecipante avanzò una serie di precise
censure:
a) mancato avvio del procedimento, con
connessa carente istruttoria;
b) mancata previsione dell’obbligo di
indennizzo;
c) mancata dimostrazione di valide ragioni
di revoca;
d) illegittimo richiamo, da parte della
stazione appaltante, ad una più che dubbia
clausola del bando, prevedente “l’insindacabile
potere di non aggiudicare la gara, di
annullarla o di revocarla”;
e) violazione dell’obbligo di comportarsi
secondo buona fede nella fase antecedente
l’aggiudicazione, con conseguente
configurazione della responsabilità
precontrattuale.
Il Tar procede all’esame della vicenda e
delle avanzate censure, ponendosi un chiaro
quesito: qual è la posizione dell’impresa
partecipante alla gara?
Al riguardo, i giudici laziali assumono una
posizione inequivoca, ritenendo che
l’operatore economico, concorrente ad una
gara, è “titolare di un interesse a che
l’attività amministrativa avvenga secondo i
canoni dell’imparzialità e del buon
andamento”. Infatti, si fa osservare che
il provvedimento, diretto ad interrompere,
per ragioni di opportunità, lo svolgimento
della procedura di gara avviata, seppure non
ancora giunta neanche all’aggiudicazione
provvisoria, non può qualificarsi come un
mero ritiro, in quanto priva il concorrente
anche solo della possibilità di conseguire
l’aggiudicazione.
Dunque, si è in presenza di una posizione,
in capo al partecipante, di “aspettativa
qualificata”, che determina una diretta
ed immediata valenza lesiva della posizione
soggettiva di potenziale aggiudicatario, “che
è comunque giuridicamente tutelata
dall’ordinamento, almeno sotto il profilo
della perdita di chance o del ristoro del
danno per l’impegno economico profuso ai
fini della partecipazione”.
Siffatta riflessione assume maggiore rilievo
allorquando la stazione appaltante non si
limita, come nella concreta fattispecie, a
richiedere un prezzo, ma pone in essere
procedure particolarmente onerose per i
concorrenti. Infatti, è stato posto a carico
dei concorrenti l’integrale onere della
progettazione esecutiva e ciò comporta,
senza alcun dubbio, l’insorgere di spese non
certo modeste. Pertanto, la conclusione è
chiara: l’impresa ricorrente, in qualità
anche di sola partecipante alla gara è “titolare
di una posizione soggettiva che la legittima
a proporre ricorso”.
Chiarita tale importante questione, il Tar
Lazio procede ad esaminare le illustrate
censure.
Per quanto concerne il mancato avvio del
procedimento (“a”), i giudici laziali
assumono una posizione negativa, affermando
che “non può essere condivisa
l’affermazione, per cui il procedimento di
revoca imponga, in ogni caso, l'obbligo di
comunicarne l'avvio, in special modo laddove
si tratti di revoca di una gara d'appalto
ancora in corso di svolgimento”. Ciò,
perché, proprio in questo caso, nessuno dei
partecipanti ha acquisito, in relazione allo
stato della procedura, una posizione di
vantaggio concreta e, comunque, tale da far
sorgere “un interesse qualificato e
differenziato e quindi meritevole di tutela
attraverso detta comunicazione”.
Ancòra, il Tar ritiene che tale assunto sia
valido anche perché la revoca, come nella
concreta vicenda, è stata determinata da
valutazioni tutte interne a distinte
amministrazioni, alcune delle quali
subentrate nell’apportare esigenze pubbliche
di coordinamento di interventi complessi,
implicanti valutazioni e “bilanciamenti
tra interessi che travalicano quello posto a
base della gara in corso”.
Sia consentito di dissentire solo su questo
punto, che poi costituisce l’unico elemento
di non condivisione della corretta analisi,
posta in essere dal Tar. Infatti, oltre a
ricordare che, sempre il Tar Lazio, sez. II,
nella pregressa sentenza n. 5540/2006, aveva
affermato il contrario, occorre tener conto
del fatto che, in caso di revoca, l’avvio di
un procedimento amministrativo si impone per
due precise ragioni.
In primo luogo, in quanto tutti i
provvedimenti di autotutela, alla cui
categoria appartiene la revoca, in quanto
atti di secondo grado, debbono essere
emanati al termine di un apposito
procedimento amministrativo di valutazione.
In tal senso, la giurisprudenza (Tar Lazio,
sez. Latina, n. 146/2002) ha, addirittura,
affermato che, pur se il provvedimento di
revoca, è collegato ad una specifica
clausola inserita nell’atto revocato, la Pa
non è, per questo, esonerata dall’obbligo di
dare avviso dell’inizio del relativo
procedimento, non essendo l’esercizio del
potere di avvalersi della clausola
inconciliabile con la comunicazione di
avvio. In altri termini, la puntuale
previsione di una clausola di revoca non
elimina l’obbligo dell’apertura del
procedimento.
In secondo luogo, il procedimento si impone
in vista del necessario esame di tutti gli
interessi (pubblici, privati, collettivi,
etc.) in gioco, che devono essere apprezzati
e comparati proprio all’interno della
struttura procedimentale, consentendo,
dunque, l’espletamento di una congrua
istruttoria. A ben vedere, appare evidente
che la motivazione della revoca deve dar
conto dell’intera attività istruttoria
effettuata e, primariamente, della
valutazione di tutti gli interessi
coinvolti. In altri termini, la motivazione
deve delineare fedelmente anche lo
svolgimento del procedimento di valutazione,
che non può, ovviamente, mancare.
Per quanto concerne la censura sub “b”, il
Tar Lazio fa correttamente osservare che la
mancata previsione dell’obbligo di
indennizzo, nel caso di revoca, come poi
concretamente avvenuto, non può costituire
vizio di legittimità, in quanto l’indennizzo
può sussistere, in ogni caso, se ricorrono i
doverosi presupposti.
In merito alle ragioni di revoca (censura
“c”), il tribunale laziale non condivide le
doglianze avanzate, in quanto le
argomentazioni contenute nel provvedimento
di revoca sono valide ed esaustivamente
espresse. In particolare, appare ben
ragionevole l’argomentazione afferente la
non idoneità dell’indetta procedura a
perseguire correttamente il fine pubblica in
esame, costituito dalla piena utilizzabilità
del complesso monumentale, attraverso una
gestione comune da parte dei degli enti
pubblici coinvolti.
Parimenti, non appare convincente la censura
(“d”) dell’illegittimo richiamo alla
clausola, prevedente “l’insindacabile
potere di non aggiudicare la gara, di
annullarla o di revocarla”. Infatti. Il
Tar fa, persuasivamente, osservare che la
prescrizione, pur dubbia e vessatoria, non
può inficiare il legittimo provvedimento di
revoca posto in essere.
Viceversa, la censura “e” di violazione
dell’obbligo di comportarsi secondo buona
fede nella fase antecedente
l’aggiudicazione, con conseguente
configurazione della responsabilità
precontrattuale, viene integralmente
accolta.
Il Tar fa osservare, in merito, che il
Ministero si è reso colpevole di “condotte
scorrette”, quali:
1) la colpevole e coeva adozione di scelte
oggettivamente contraddittorie, che si sono
sostanziate in intese operative, in spregio
dei più elementari oneri di programmazione
annuale e pluriennale dell’Amministrazione;
2) gli ingiustificati ritardi di conduzione
del procedimento stesso;
3) la considerazione che la revoca è stata
adottata e comunicata ben molto oltre il
termine dei 180 giorni, che era previsto
dalla lex specialis di gara;
4) l’evidente mancanza del necessario ed
indispensabile flusso di comunicazione tra i
diversi enti pubblici coinvolti;
5) la mancata comunicazione agli interessati
della possibilità, in via di maturazione, di
una diversa realizzazione di interessi
pubblici in parte interferenti con l’oggetto
della gara, anche solo al fine di consentire
loro di riadeguare le proprie strategie
aziendali al possibile esito infruttuoso del
procedimento.
Al riguardo, va osservato che proprio tale
condivisibile riflessione del Tar getta una
luce di implausibilità e, fors’anche di
contraddizione, con la precedente asserzione
di non necessari età della comunicazione di
avvio.
Ad ogni modo, tutti i predetti elementi
integrano un chiaro comportamento colposo
dell’Amministrazione e fanno concludere che
la pur legittima revoca della procedura di
gara, è stata attuata in un quadro d’azione,
i cui dati oggettivi inducono alla doverosa
configurazione di una responsabilità
precontrattuale
(commento
tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it -
TAR
Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 02.04.2010 n. 5621
- link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
SOTTOSCRIZIONE DOCUMENTI GARA.
Il Consiglio di Stato ribadisce un preciso
indirizzo giurisprudenziale, in tema di
sottoscrizione dei documenti in sede di
gara: “E' legittimo il provvedimento di
esclusione, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un'impresa, per
la mancata sottoscrizione della domanda di
partecipazione ad una gara d'appalto, e ciò
anche nel caso in cui la suddetta domanda
rechi il timbro della società dichiarante.
Ciò, in quanto la mancata sottoscrizione di
un atto, che costituisce uno dei documenti
integranti la domanda di partecipazione alla
gara, da parte di un concorrente, non
integra una irregolarità formale, sanabile
in corso di esecuzione, giacché fa venir
meno la certezza della paternità e della
piena assunzione di responsabilità circa i
contenuti della dichiarazione medesima,
creando perplessità in ordine alla volontà
concreta del concorrente. Nella concreta
fattispecie, la sottoscrizione era stata
espressamente prevista a pena di esclusione,
a garanzia della completezza e veridicità
delle dichiarazioni, dal bando di gara”.
Come noto, le offerte, unitamente alla
documentazione richiesta ai fini della gara,
devono essere sottoscritte dal
rappresentante legale dell’impresa
concorrente. A tal riguardo, l’articolo 74,
comma 1°, del Codice dei contratti pubblici
(D.Lgs n. 163/2006) stabilisce che “le
offerte sono sottoscritte con firma manuale
o digitale”. Purtroppo, non costituisce
caso infrequente la mancata sottoscrizione
dei documenti di gara. Tale fattispecie
determina l’insorgere di delicate
problematiche, che conducono ad indagare in
merito al ruolo ed alle funzioni della
sottoscrizione.
In primo luogo, occorre osservare che la
sottoscrizione di un documento costituisce
lo strumento, mediante il quale l’autore fa
propria la dichiarazione contenuta nel
documento medesimo. Da un punto di vista
sostanziale, la sottoscrizione, comunemente
intesa come scrittura manuale del proprio
nome e cognome in calce ad un documento,
consente di risalire alla paternità
dell’atto e di ricondurre al suo autore
tutti gli effetti, che l’ordinamento
indirizza verso la sfera giuridica dello
stesso.
In secondo luogo, occorre osservare che la
certa e sicura riconducibilità di tutti gli
elementi costitutivi l’offerta, anche di
quelli che possano apparire prima facie
non essenziali o puramente formali, al
soggetto autore, garantisce la serietà e
l’affidabilità dell’offerta medesima, intesa
quale dichiarazione del partecipante alla
gara, finalizzata alla costituzione di un
rapporto contrattuale. Infine, la
sottoscrizione esplica una funzione di
chiusura e di immodificabilità del
documento, in modo tale da non consentire
riaperture di ulteriori trattative
negoziali.
Il Consiglio di Stato è perfettamente
consapevole degli orientamenti ora
illustrati e principia la sua analisi
evidenziando e ricordando che il bando di
gara risulta essere ben chiaro al riguardo,
in quanto contiene una chiara prescrizione
di obbligatorietà della sottoscrizione. Il
punto III. 2.1. richiede, espressamente, la
presentazione di una dichiarazione,
sottoscritta dal legale rappresentante
dell’impresa, con cui doveva essere
attestato il possesso dei requisiti
soggettivi per la partecipazione alla gara.
Orbene, nella concreta vicenda, la specifica
dichiarazione, presentata dall’impresa
esclusa, è composta di cinque pagine, di cui
le prime quattro sono sottoscritte
dall’Amministratore Unico, mentre la quinta,
ed ultima, è priva di sottoscrizione e reca
solo il timbro della Società dichiarante.
A solo scopo conoscitivo e di completezza, i
giudici di appello fanno rilevare
l’importanza delle dichiarazioni, contenute
nell’ultima pagina non sottoscritta:
- due riferimenti espliciti a certificazioni
già prodotte;
- l’indicazione dei requisiti di natura “penale”,
ai sensi dell’articolo 38, 1° comma, lettera
“c”, del Codice;
- la precisazione del possesso della
qualificazione necessaria per le sole
attività di costruzione, con
l’individuazione dei soggetti, di cui la
società intendeva avvalersi per la
progettazione;
- la manifestazione di volontà di eseguire i
lavori nel limite del 20%.
A fronte di tale situazione, il CdS ricorda,
conformemente agli illustrati indirizzi, che
la mancata sottoscrizione di un atto, che
costituisce uno dei documenti integranti la
domanda di partecipazione alla gara, non può
essere considerata una’irregolarità formale,
sanabile nel corso del procedimento, perché
fa venire meno la certezza della provenienza
e della piena assunzione di responsabilità
in ordine ai contenuti della dichiarazione
nel suo complesso.
Pertanto, in punto di fatto, non può non
rilevarsi che la sottoscrizione della
dichiarazione sul possesso dei requisiti,
costituente un documento unitario, manca e
non può essere sostituita dalla
sottoscrizione solo parziale delle pagine
precedenti quella conclusiva della
dichiarazione medesima.
La sottoscrizione in calce alla lunga
dichiarazione non è intervenuta e non si è
realizzata la condizione prevista dal bando
di gara, come necessaria per il legittimo
accesso alla gara
(commento
tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.03.2010 n. 1832
- link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI:
Canoni di depurazione e
fognatura: natura e termine decadenziale.
Fino alla data
del 03.10.2000 e prima della declaratoria di
incostituzionalità di cui alla sentenza 10.10.2008, n. 335 il canone fognario e di
depurazione aveva natura tributaria.
Di conseguenza, durante il periodo di
vigenza del cd. doppio canone fognario, il
potere di accertamento del Comune era
soggetto al termine triennale di cui
all’art. 290, R.D. n. 1175 del 1931, avente
natura di termine di decadenza.
Se la parte, ritenendo applicabile al
rapporto relativo al canone fognario la
disciplina civilistica, opponga alla
richiesta di pagamento di detto canone
fognario l’eccezione di prescrizione,
qualora in corso di giudizio muti il quadro
normativo di riferimento, qualificando il
giudice il rapporto come avente natura
tributaria, per il principio di
conservazione della domanda e della
eccezione, la volontà espressa dalla parte
privata muta anch’essa di qualificazione
giuridica, potendo quindi essere inquadrata
nel corrispondente istituto di diritto
tributario concernente la decadenza
(Corte di Cassazione, Sez. tributaria,
sentenza 10.02.2010 n. 2943 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono edilizio: su chi grava il
contributo concessorio?
La corretta
interpretazione dell’art. 37, comma 1, L.
47/1985 porta ad affermare che l’obbligo del
pagamento del contributo concessorio, se non
soddisfatto dal richiedente la sanatoria,
grava comunque sugli altri soggetti indicati
dall’art. 31, comma 1 e 3, tra i quali è
incluso anche l’avente causa dal richiedente
la sanatoria.
La responsabilità per gli illeciti
amministrativi é personale, così come quella
penale: ciò significa che il comportamento
integrante illecito amministrativo deve
essere ascritto personalmente a colui al
quale la sanzione amministrativa viene
contestata, il quale deve altresì avere
posto in essere tale comportamento con dolo
o colpa (art. 3, L. 689/1981), dovendosi
pertanto escludere forme di responsabilità
oggettiva –non assistite, cioè, da un
coefficiente psicologico
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 06.10.2009 n. 2364 -
link a www.altalex.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Sulla dichiarazione sostitutiva
dell'atto di notorietà.
Qualora le dichiarazioni di cui agli
articoli 46 e 47 presentino delle
irregolarità o delle omissioni rilevabili di
ufficio, non costituenti falsità, il
funzionario competente a ricevere la
documentazione dà notizia all’interessato di
tale irregolarità. Questi è tenuto alla
regolarizzazione o al completamento della
dichiarazione; in mancanza il procedimento
non ha seguito.
La irregolarità
di cui trattasi, che di certo non
costituisce falsità e può essere agevolmente
sanata o con la produzione di altro
documento ovvero con una versione aggiornata
di quello scaduto, doveva essere oggetto del
procedimento di rettifica indicato dall’art.
71 del DPR 445/2000.
Solo nelle ipotesi dell’art. 45 del DPR
445/2000 è espressamente richiesta la
efficacia attuale del documento di identità
e non invece nelle ipotesi dell’art. 38 del
medesimo decreto presidenziale.
Nel caso che la domanda o la
dichiarazione presentata alla Pubblica
Amministrazione non sia sottoscritta innanzi
al dipendente addetto a riceverla, può
essere sottoscritta ed accompagnata da “copia
fotostatica non autenticata di un documento
di identità del sottoscrittore” la cui
validità potrà quindi anche essere
accertata nel corso del procedimento.
Anche nelle ipotesi dell’art. 45 del DPR
445/2000 nel caso che il documento di
identità prodotto sia scaduto è consentito,
con una semplice dichiarazione
dell’interessato circa la mancata variazione
dei dati risultanti dal documento
irregolare, siano comprovati ugualmente gli
stati e le qualità personali in esso
contenuti.
La dichiarazione del privato va valutata nei
suoi contenuti sostanziali che prevalgono,
in quanto dichiarati nelle forme previste,
sulle risultanze eventualmente divergenti
dei documenti ed atti formali irregolari o
incompleti, documenti, quindi, che possono
essere rettificati
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.11.2004 n.
7339). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
lo svolgimento di attività edilizia
all'interno dei cimiteri anche da parte dei
privati non occorre il rilascio di alcuna
concessione edilizia, essendo sufficiente il
giudizio da parte del Sindaco di conformità
del progetto alle prescrizioni edilizie
contenute nel piano regolatore cimiteriale e
non dalle norme comuni in tema di edilizia
ed urbanistica.
L’attività edilizia all’interno dei cimiteri
è regolata, in via primaria, non dalla
normazione urbanistica, ma dalle norme del
regolamento di polizia mortuaria (D.P.R.
10.09.1990 n. 285 e successive
modificazioni), e, in via secondaria, non
dagli strumenti urbanistici generali, ma dal
piano regolatore cimiteriale che. ogni
Comune è tenuto ad adottare (cfr. ex
multis Cass. Sez. III 02.06.1983 n. 451,
TAR Sicilia-Catania 18.02.1981 n. 86, TAR
Abruzzo-Pescara 04.12.1989 n. 534, TAR
Toscana 03.05.1994 n. 176, TAR
Calabria-Reggio Calabria 06.04.2000 n. 304).
Pertanto, per lo svolgimento di attività
edilizia all'interno dei cimiteri anche da
parte dei privati non occorre il rilascio di
alcuna concessione edilizia, essendo
sufficiente il giudizio da parte del Sindaco
di conformità del progetto alle prescrizioni
edilizie contenute nel piano regolatore
cimiteriale e non dalle norme comuni in tema
di edilizia ed urbanistica
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.06.2004 n. 9187 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 04.07.2010
(ci prendiamo qualche giorno di riposo ...
pertanto, arrivederci al 19.07.2010 e Buone Ferie a tutti) |
ã |
A V V I S O |
ALLA CORTESE ATTENZIONE DELL'UFFICIO TECNICO
Con
riferimento alla
precedente news del 21.06.2010 e quella
del 14.06.2010 ed alle numerose attestazioni di
gradimento pervenute da parte dei Tecnici
Pubblici, facciamo propria una proposta pervenutaci che di
seguito andiamo ad esplicitare.
Vorremo pubblicare sul sito, prossimamente, l'elenco dei
Parlamentari (Camera e Senato) che sono Tecnici Comunali
dipendenti -in aspettativa o meno- ai quali rivolgere -in
seguito- chiarimenti, proposte, ecc. ... ovvero, da
ultimo, un caloroso invito a farsi da parte e lasciare
spazio ad altri più capaci e, se non altro, più
volenterosi e sensibili alle problematiche del Tecnico
Pubblico ... ma sicuramente l'invito resterà lettera morta
e, allora, vediamo di ricordarci di loro nel segreto
dell'urna alla prossima tornata elettorale !!
E' di fondamentale importanza che l'elenco, che andremo a
redigere grazie alla Vs. collaborazione, sia il più
completo possibile al fine di non tralasciare alcun
Parlamentare, a prescindere dal "colore" politico
di appartenenza.
Pertanto, chiediamo la Vs. collaborazione affinché ci
mandiate una mail all'indirizzo
info.ptpl@tiscali.it, il più presto
possibile e -comunque- entro sabato 24.07.2010, comunicandoci
le seguenti informazioni relative ai Parlamentari, di Vs.
conoscenza, che siano Tecnici Comunali:
-
cognome e nome:
-
-
Comune dove hanno lasciato
la scrivania di Tecnico Comunale + provincia e regione
di appartenenza.
Comunque, è bene chiarire da subito che la nostra non è
una iniziativa di "casta" (che tanto va di moda,
ultimamente ...) per miseri interessi di bottega ma vuol
essere una battaglia di legalità, rispetto e
riconoscimento della professionalità del Tecnico Pubblico.
E' vero che la "mela marcia" c'è in ogni
migliore famiglia, guai ad essere autoreferenziali ... ma
non si può sottacere che il cuore pulsante dell'Ente
Locale sta all'Ufficio Tecnico ... adocchiato, spiato,
pressato da 1000 interessi e da 1000 rogne quotidiane ove,
oggi, poter lavorare con serenità e conseguente profitto
per la Collettività tutta è pressoché un'illusione.
Vorremmo ricordare a noi stessi, prima ancora che al
mondo intero, che il Tecnico Pubblico, come tutti i
dipendenti pubblici, prima di prendere servizio ha
prestato il seguente giuramento: "Giuro
di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente
la Costituzione e le leggi dello Stato, di adempiere ai
doveri del mio ufficio nell'interesse dell'Amministrazione
per il pubblico bene" (cfr. art. 11 del D.P.R.
10.01.1957 n. 3) e non al Sindaco o assessore pro-tempore
!!
Il Tecnico Pubblico, ahimè, è divenuto suo malgrado
-da un po' di anni a questa parte- anche il garante della legittimità e dell'imparzialità
dell'azione amministrativa, soprattutto laddove gli
interessi economici sono più appetibili ... e ciò con
grande nostalgia -dapprima- del "CO.RE.CO."
(Comitato Regionale di Controllo) che era garanzia
super partes di
uniformità di comportamento amministrativo a vantaggio
della "cosa pubblica" e -poi- del "parere di
legittimità" dei Segretari Comunali ... bei tempi !!
Ora, ci rimane soltanto la Corte dei Conti ... forza e
avanti tutta !!
Un monito: non ci resta che sperare -prossimamente- in un tempo di
rinnovamento ad ogni livello ... etico, morale, sociale.
Grazie per la Vs. preziosa collaborazione.
LA SEGRETERIA PTPL
|
NOVITA' NEL
SITO |
Sono stati creati due nuovi dossier
ovverosia:
- il nuovo
dossier Autorità Vigilanza Contratti
Pubblici (A.V.C.P.);
- il nuovo
dossier Competenze professionali/progettuali. |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
APPALTI: Comunicazione
dati dei contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture ai sensi degli artt. 6 e
7 del D.Lgs. 163/2006 "Codice dei Contratti
Pubblici" (Regione Lombardia, Direzione
Generale Infrastrutture e Mobilità,
nota 23.06.2010 n.
43217 di prot.). |
UTILITA' |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
On line "Il mercato degli appalti",
il primo volume della
Guida pratica per i contratti pubblici di
servizi e forniture nei settori ordinari,
che recepisce le più recenti disposizioni
normative e i principali orientamenti
giurisprudenziali in materia di contratti
pubblici.
Elaborata da un gruppo di docenti ed esperti
con il coordinamento del Dipartimento per le
politiche di gestione e sviluppo delle
risorse umane e dell’Ufficio bilancio e
ragioneria, la guida costituisce il primo
manuale operativo emanato ai sensi dell’art.
2, comma 2 del DPCM 09.12.2002
sull’autonomia finanziaria e contabile della
Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La stesura del volume è precedente
all’approvazione del Regolamento di
attuazione del Codice dei contratti da parte
del Consiglio dei Ministri il 18.06.2010. Il
testo pertanto sarà aggiornato a cura degli
autori nelle parti interessate dalle
disposizioni di dettaglio contenute nel
Regolamento (link a www.governo.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dall’Agenzia delle Entrate nuovi
chiarimenti sul 55% per la sostituzione
degli infissi e sul concetto di impianto
fotovoltaico.
Con la
circolare 23.06.2010 n. 38/E
l'Agenzia delle Entrate, relativamente al
beneficio di dertrazione del 55%, fornisce
nuovi chiarimenti nel caso di sostituzione
degli infissi e in merito al concetto di
impianto fotovoltaico.
La circolare, oltre alle specifiche relative
al bonus del 55%, fornisce profili
interpretativi degli impianti fotovoltaici
come unità immobiliari oppure beni mobili, e
chiarisce se tali impianti possano
beneficiare dell'agevolazione nota come “Tremonti-ter”
... (link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Le Risposte dello SPISAL agli ingegneri
sull’applicazione del Testo Unico della
Sicurezza nei cantieri e nei luoghi di
lavoro.
Lo scorso 26 maggio si è tenuto a Vicenza un
incontro tra la Commissione Sicurezza
dell'Ordine degli Ingegneri provinciale e lo
Spisal (Servizio Prevenzione e Sicurezza su
Lavoro) dell'ASL.
L'incontro ha costituito l'occasione per
affrontare numerose problematiche connesse
alla sicurezza nei cantieri e sui luoghi di
lavoro in generale.
L'Ordine degli Ingegneri di Vicenza ha reso
disponibile on line la documentazione
prodotta sulla base delle tematiche
affrontate nel corso della discussione.
Si tratta di quattro diversi documenti: ...
(link a www.acca.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
CONSIGLIERI COMUNALI: M.
Pinzuti,
Il diritto di
accesso del consigliere comunale nell'ente
locale
(L'Unione dei Segretari, n. 1/2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
A. Recchia,
Privacy ed invio cedolini paghe tramite
posta elettronica
(link a www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: A.
M. Basso,
I
poteri di ordinanza del sindaco in materia
di incolumità pubblica e sicurezza urbana:
presupposti, ragioni e responsabilità
(link a www.diritto.it). |
NEWS |
VARI:
Dal 1° luglio è obbligatoria l’indicazione
dei dati catastali per compravendite e
locazioni. La modulistica dell’Agenzia delle
Entrate.
In base all’art. 19 del D.L. 78/2010 (c.d.
manovra economica), a decorrere dal 1°
luglio 2010, in tutti gli atti pubblici e
nelle scritture private autenticate,
riguardanti gli immobili urbani, devono
essere riportati obbligatoriamente:
- i dati catastali dell'immobile;
- il riferimento alle planimetrie depositate
in catasto;
- la dichiarazione degli intestatari sulla
conformità dei dati catastali e delle
planimetrie allo stato di fatto.
In caso di irregolarità il notaio rogante
non potrà procedere alla stipula dell'atto
... (link a www.acca.it). |
ENTI LOCALI: CARTA
AUTONOMIE/ Cosa prevede il disegno di legge
varato dalla Camera e ora al Senato. Lavori
fino a un milione affidati con selezione
informale. Gare semplificate nei piccoli
enti.
Nei comuni con meno di 5
mila abitanti ammesso l'affidamento di
lavori fino a un milione di euro, tramite
selezione informale con invito di almeno tre
concorrenti; le funzioni di responsabile del
procedimento attribuite al responsabile
dell'ufficio tecnico o al responsabile del
servizio competente per il lavoro da
eseguire.
È quanto previsto nell'articolo 26 del
disegno di legge collegato alla manovra di
finanza pubblica (AC 3118) e
recante l'individuazione delle funzioni
fondamentali di province e comuni, la
semplificazione dell'ordinamento regionale e
degli enti locali, approvato dalla Camera e
ora all'esame del Senato.
Le norme che prevedono delle modifiche al
Codice dei contratti pubblici, sono
destinate ad una nozione ben determinata di
stazione appaltante. Infatti l'articolo 26,
così come il 25 e il 27, riguardano i
cosiddetti «piccoli comuni» (con
popolazione residente pari o inferiore a 5
mila abitanti) a favore dei quali sono
previste alcune misure agevolative, peraltro
parzialmente analoghe a quelle contenute nel
disegno di legge n. 54 (recante misure di
sostegno e la valorizzazione dei comuni con
popolazione pari o inferiore a 5 mila
abitanti, nonché dei comuni compresi nelle
aree naturali protette), attualmente
all'esame in sede referente delle
Commissioni bilancio e ambiente.
La norma modificativa del Codice dei
contratti pubblici è stata approvata martedì
ed è contenuta in un emendamento presentato
dai deputati Karl Zeller e Siegfried Brugger
(della SVP), riformulato a seguito di alcune
osservazioni del relatore Donato Bruno, con
il parere favorevole del Governo, espresso
dal ministro Roberto Calderoli.
L'emendamento inserisce un nuovo comma
nell'articolo 122 del Codice dei contratti,
a seguire il comma 7-bis che stabilisce, in
via generale, la possibilità per tutte le
stazioni appaltanti di affidare lavori di
importo compreso fra 100 mila e 500 mila
euro con la procedura di cui all'articolo
57, comma 6 (procedura negoziata senza gara)
cui devono essere invitato almeno cinque
operatori economici.
Il comma 7-ter approvato martedì consente,
quando i lavori sono affidati dai «piccoli
comuni», di utilizzare la procedura
negoziata senza bando di gara per interventi
fino a un milione di euro. Rispetto alla
norma valida per tutte le stazioni
appaltanti, con la nuova disposizione viene
quindi superato sia il tetto minimo dei 100
mila euro, sia quello massimo di 500 mila
euro e sarà possibile appaltare,
sostanzialmente in maniera quasi fiduciaria,
lavori da 0 a un milione di euro.
Come ha recentemente osservato l'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici
nella Relazione presentata al Parlamento il
22 giugno, si tratta della fetta più
rilevante, dal punto di vista numerico, dei
12.196 appalti censiti nel 2009 e affidati
da tutte le stazioni appaltanti, circa il
70% di tutti gli appalti di lavori, per un
importo totale pari a circa dieci miliardi
di euro.
Va rilevato che la norma che integra
l'articolo 122 non fa riferimento, come il
comma 7-bis, alla necessità di invitare alla
procedura negoziata, almeno cinque imprese,
ma rimanda direttamente e semplicemente
all'articolo 57, comma 6 del Codice che, a
sua volta, prevede l'invito di almeno tre
soggetti «se sussistono in tale numero
soggetti idonei»; c'è quindi anche il
caso che l'amministrazione possa ritenere
che non vi siano tre soggetti idonei ma
soltanto uno.
In ogni caso, prima dell'affidamento,
occorrerà verificare il possesso dei
requisiti di qualificazione del soggetto
affidatario (certificati Soa che, come è
noto, valgono al di sopra dei 150 mila
euro).
Approvata, senza modificazioni, anche la
norma del disegno di legge sulle competenze
del responsabile del procedimento in appalti
affidati da «piccoli comuni»,
prevedendosi che tali funzioni siano
attribuite al responsabile dell'ufficio
tecnico o della struttura corrispondente.
Soltanto se ciò non sia possibile secondo
quanto disposto dal regolamento comunale le
competenze sono attribuite al responsabile
del servizio al quale compete il lavoro da
realizzare , ma deve essere il regolamento
comunale a prevederlo).
---------------
Verso
un'intensificazione dei controlli interni.
Le altre misure.
La razionalizzazione della condizione
attualmente esistente in cui gli elementi
innovativi sono assai modesti, tanto più
dopo che il riordino delle circoscrizioni
provinciali è stato stralciato; il
compimento di un passo in avanti nella
direzione della concreta attuazione del
federalismo e l'intensificazione dei
controlli interni: possono essere così
sintetizzati i tratti essenziali della carta
delle autonomie che la Camera ha approvato
mercoledì 30 giugno in prima lettura. Adesso
la proposta passa all'esame del Senato e,
negli intendimenti del Governo, essa
dovrebbe diventare legge entro l'anno.
Occorre ricordare che le parti
immediatamente operative sono ridotte,
mentre buona parte della concreta
applicazione è rimessa ad una o più deleghe
che il Governo è abilitato ad esercitare
entro nove mesi per le funzioni
amministrative degli enti locali ed entro 18
mesi per l'adozione della carta delle
autonomie locali.
I commenti sono stati positivi da parte del
ministro Calderoli, che della proposta è
sostanzialmente il padre, e della
maggioranza, mentre per le opposizioni il
giudizio è assai negativo. Anche l'Anci, per
bocca del vice presidente e sindaco di
Cosenza, Salvatore Perugini, si è espressa
in modo assai critico.
Occorre ricordare che il Parlamento, da ben
tre legislature, sta esaminando questo tema.
Infatti la riforma del titolo V della
Costituzione richieda la revisione della
legislazione sulle autonomie locali e la
definizione delle competenze dei comuni e
delle province. La legge n. 131/2003 ha
assegnato una specifica delega che però non
si è tradotta nella approvazione di un
decreto attuativo. Nella scorsa legislatura
una proposta di legge delega era stata
presentata dai ministri Amato e Lanzillotta,
ma non si è tradotta in una norma di legge.
Si è arrivati al testo sulla base della
proposta presentata dal governo e delle
numerose iniziative parlamentari. Una parte
importante delle iniziative in esso
contenute, in particolare in materia di
contrazione dei costi della politica, sono
state trasfuse nei decreti legge n. 2 e n.
78 del 2010.
I primi articoli individuano le funzioni
fondamentali dei comuni, delle province e
delle città metropolitane, che le singole
amministrazioni locali devono esercitare
valorizzando il principio della
sussidiarietà orizzontale, cioè l'iniziativa
dei cittadini, singoli ed associati. Siamo
in presenza di una esplicitazione e
dell'arricchimento dei compiti che già la
legge n. 42/2009, cd federalismo fiscale,
individua come compiti essenziali degli enti
locali. L'elemento di maggiore novità è
costituito dalla possibilità, offerta alle
regioni che devono comunque procedere
d'intesa con la autonomie locali, di
modificare la ripartizione delle competenze
tra i comuni e le province nel rispetto dei
principi di sussidiarietà, adeguatezza e
differenziazione, nonché del soddisfacimento
ottimale dei bisogni della comunità. Da
evidenziare che la concreta decorrenza
dell'inizio delle funzioni trasferite è
subordinata all'effettivo trasferimento
delle necessarie risorse umane, finanziarie
e strumentali. Da sottolineare inoltre che
tali funzioni non possono, in alcun modo,
essere né attribuite né esercitate da parte
di agenzie regionali, statali o di enti
locali diversi da quelli che ne sono
destinatari.
Viene previsto l'obbligo della gestione
associata di buona parte delle funzioni
fondamentali da parte dei comuni con
popolazione inferiore a 5.000 abitanti,
tranne i casi di quelli che non confinano
con altri enti che hanno la stessa ridotta
dimensione, fermo restando che le regioni
sono chiamate a definire l'ambito ottimale.
Tale disposizione, che risolve un dibattito
aperto da oltre 20 anni sulla necessità di
pervenire a forme di gestione associata e
superare la dimensione troppo frammentata
della gran parte dei piccoli comuni, si
sovrappone a quella, per molti versi,
analoga contenuta nel dl n. 78/2010. Le
forme di gestione associata utilizzabili
sono solamente la convenzione e l'unione dei
comuni. Per le unioni si impone un rapporto
più stretto con i comuni, anche in termini
di requisiti dei componenti dei suoi
organismi di gestione, il cui numero viene
peraltro ridotto.
Entro i nove mesi successivi alla entrata in
vigore della legge il Governo dovrà emanare
un decreto legislativo con cui individuare
le funzioni amministrative che sono
assegnate ai comuni e alle province, nonché
di quelle che rimangono allo Stato. Tale
decreto dovrà essere emanato previa intesa
con la Conferenza Unificata e sentito il
Parlamento. Anche in questo caso si devono
utilizzare i principi della sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza, nonché
della incentivazione della gestione
associata e che l'effettivo avvio
dell'esercizio decorra dal trasferimento
delle risorse nel caso in cui cambia il
soggetto individuato come nuovo responsabile
della gestione, con corrispondente taglio in
capo alla amministrazione che prima ha
gestito tali compiti.
Con la carta delle autonomie locali sarà
riscritto l'attuale testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali. A questo
fine viene concessa una delega al Governo
per l'adozione del provvedimento, delega che
deve essere esercitata entro 18 mesi e che,
nell'anno successivo, potrà portare alla
adozione di provvedimenti correttivi.
Il provvedimento prevede che le regioni
possano abrogare le comunità montane. Viene
limitato il numero dei componenti degli
organi delle circoscrizioni comunali. Sono
inoltre soppressi i consorzi tra gli enti
locali a decorrere dall'anno 2011, salvo
quelli che gestiscono funzioni associative
tra gli enti locali. I compiti ed il
personale dei consorzi soppresso viene
trasferito ai comuni. Per i consorzi a cui
partecipano anche altri soggetti, le scelte
saranno assunte dalle singole regioni.
Sono rafforzati i compiti dei consigli
comunali e provinciali: essi sono chiamati a
svolgere, in luogo delle giunte, importanti
attribuzioni in materia di gestione e di
controllo delle risorse umane, nonché di
programmazione delle scelte dell'ente.
Nei piccoli comuni, intendendo come tali
quelli con popolazione inferiore a 5.000
abitanti, sono rafforzati i compiti dei
dirigenti degli uffici tecnici e sono
significativamente ridotte le incombenze di
natura contabile, in particolare con
l'adozione di documenti semplificati.
Sono ampliati i controlli
interni.
In primo luogo si obbligano le
amministrazioni che non si conformano ai
pareri dei responsabili a motivare
adeguatamente le loro scelte. Ed ancora si
introduce il controllo di adeguatezza dei
programmi, in termini di congruenza tra
obiettivi e risultati.
La giunta è impegnata con cadenza
trimestrale ad effettuare il costante
controllo degli equilibri finanziari della
gestione di competenza, della gestione dei
residui e della gestione di cassa
(articolo ItaliaOggi del 02.07.2010, pag.
34). |
ENTI LOCALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Segretari, non direttori. È la
soluzione offerta da una lettura sistematica
della normativa. Stop nei comuni sotto i 100
mila abitanti.
È possibile conferire le funzioni di
direttore generale al segretario comunale,
ai sensi dell'art. 108 del dlgs. n.
267/2000, alla luce della norma di cui
all'art. 2, comma 186, lett. d), della L. n.
191/2009, come integrata dalla L. n.
42/2010, che ne prevede la soppressione nei
comuni con popolazione inferiore ai 100 mila
abitanti?
L'art. 2, comma 186, lett. d), della L. n.
191/2009 (legge finanziaria 2010), tra le
misure di contenimento della spesa pubblica,
prevede, alla lett. d), la soppressione del
direttore generale, tranne che nei comuni
con popolazione superiore ai 100 mila
abitanti.
Nella formulazione originaria, la
soppressione di tale figura riguardava tutti
i comuni e solo con le modifiche apportate
al citato comma 186 dal dl. 2571/2010, n. 2,
convertito dalla legge finanziaria
26.03.2010, n. 42, questa è stata
reintrodotta per gli enti con popolazione
superiore ai 100 mila abitanti.
Una lettura sistematica della norma,
coerente con la finalità perseguita dal
legislatore e con l'orientamento espresso in
materia dal dipartimento della funzione
pubblica, fa ritenere venuta meno anche la
facoltà, prevista dal comma 4 dell'art. 108
del dlgs. n. 267/2000, di conferire la
funzioni del direttore generale al
segretario comunale, nelle particolari
fattispecie elencate nel comma stesso,
tenuto conto che, in ogni caso, la normativa
contrattuale disciplinante il rapporto di
lavoro dei segretari comunali e provinciali
prevede la corresponsione di un compenso per
l'espletamento di dette funzioni.
Per le stesse considerazioni, non è più
consentita la facoltà prevista dal comma 3,
del medesimo art. 108, di stipulare
convenzioni tra comuni con popolazione
inferiore a quella attualmente richiesta per
il conferimento di tale incarico. Resta
ferma, in ogni caso, la previsione contenuta
nell'art. 97, comma 4, del più volte citato
dlgs. n. 267/2000, che assegna tra i compiti
ordinari del segretario, quella di
sovrintendere e coordinare l'attività dei
dirigenti
(articolo ItaliaOggi del 02.07.2010, pag. 35). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Incandidabilità dei consiglieri.
Quesito. Sussiste l'ipotesi di
incandidabilità nei confronti di un
consigliere comunale, condannato per il
delitto di falso per induzione ai sensi
degli artt. 110, 479 e 48 del Codice penale,
se dalla lettura della sentenza di condanna
emerge che l'interessato, all'epoca dei
fatti, non rivestiva un incarico pubblico
bensì ha agito nel quadro di un'attività di
natura privatistica?
La giurisprudenza della Corte suprema ha
costantemente affermato che la norma di cui
all'art. 58, comma 1, lett. c), del dlgs. n.
267/2000, secondo cui non possono essere
candidati alle elezioni coloro che sono
stati condannati per un delitto commesso con
abuso di poteri o con violazioni dei doveri
inerenti a una pubblica funzione o a un
pubblico servizio, non restringe la causa di
decadenza ai soli soggetti che esercitano la
pubblica funzione o il pubblico servizio, ma
pone come condizione di ineleggibilità o di
decadenza dalla carica elettiva soltanto la
condanna per detti reati, indipendentemente
dal fatto che il condannato sia esercente la
pubblica funzione o il pubblico servizio,
ovvero altro soggetto, che abbia agito in
situazione di concorso col primo (cfr. cass.
Civ. Sez. I, sent. n. 11140 del 27-07-2002,
Cass. Civ., l Sez. I, sent. n. 7593 del
21-04-2004).
La giurisprudenza ha, inoltre, precisato che
il citato art. 58, comma 1, lett. c) nel
prevedere, tra le cause ostative alla
candidatura alle elezioni, la condanna con
sentenza definitiva alla pena della
reclusione complessivamente superiore a sei
mesi per uno o più delitti commessi con
abuso di poteri o con violazione dei doveri
inerenti ad una pubblica funzione o ad un
pubblico servizio (e diversi da quelli
indicati nella lett. b) dello stesso comma
1, che costituiscono le figure criminose
specifiche e singolarmente individuate),
contiene una norma di chiusura volta a
impedire l'esclusione dall'area della norma
inabilitante di comportamenti non
specificamente previsti ma ugualmente lesivi
dell'interesse protetto, con la conseguenza
che la predetta causa ostativa opera anche
in ipotesi di condanna alla pena suindicata
dell'autore mediato che, per ottenere dal
pubblico ufficiale una falsa certificazione
(conforme agli interessi del «decipiens»)
fornisca false dichiarazioni o sottoponga
documenti falsi o alterati idonei alla
formazione, da parte del «deceptus»,
dell'atto pubblico (cfr. Cass. Civ. Sez. I,
sent. n. 2896 del 14-02-2004).
Finalità della norma è, appunto, quella di
impedire l'assunzione di pubblici uffici,
ancorché elettivi, da parte di soggetti che
a qualunque titolo siano rimasti implicati,
al punto di riportarne condanna alla pena
della reclusione, nella commissione di
illeciti penali commessi con abuso dei
poteri o con violazione dei doveri inerenti
a una pubblica funzione (cfr. Cass. Civ.,
Sez. I, sent, n. 11140/2002).
Nella fattispecie è, pertanto, sussistente
la sopravvenuta causa ostativa alla
permanenza in carica del consigliere e
necessaria la comunicazione di cui al comma
4 del citato art. 58 T.O.U.E.L. per
l'adozione dei provvedimenti conseguenti
(articolo ItaliaOggi del 02.07.2010, pag. 35). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI: Il
divieto di assunzioni non si può aggirare.
Sentenza della corte dei conti del Lazio.
Il divieto ad assumere personale con
qualsiasi tipologia di contratto, imposto
dal legislatore agli enti locali che non
rispettano il Patto di stabilità, non si
aggira. Infatti, se il sindaco, incurante di
tale sanzione, provvede lo stesso a
sottoscrivere contratti di collaborazione, è
responsabile del relativo danno patrimoniale
che ha arrecato alle casse
dell'amministrazione che egli dirige.
Lo ha sancito la sezione giurisdizionale
della Corte dei Conti per il Lazio, nel
testo della
sentenza 30.04.2010 n. 976, con
la quale ha evidenziato la responsabilità, a
titolo di colpa grave, di un amministratore
che non ha osservato le conseguenze
derivanti dal mancato rispetto del patto di
stabilità interno.
All'ex sindaco di Aprilia, Calogero
Santangelo, la procura contabile contestava
di aver sottoscritto contratti di consulenza
per oltre 180 milioni di euro, nonostante il
parere sfavorevole espresso dal responsabile
del servizio finanziario del comune per il
mancato rispetto del patto di stabilità.
Sul bilancio dell'ente, infatti, pendevano
nel 2007 le limitazioni previste dal comma
33 della legge finanziaria 2005, vale a dire
il divieto di procedere all'assunzione di
personale «a qualsiasi titolo» per
non aver rispettato il patto nel 2006. Non
vi è dubbio, si legge nella sentenza, che il
divieto imposto dalla finanziaria 2005 per
gli enti che non avevano rispettato il
patto, si applichi anche, come nel caso in
esame, agli incarichi conferiti ai sensi
dell'articolo 110 del Tuel inerenti al
conferimento di incarichi dirigenziali e di
collaborazioni esterne ad alto contenuto di
professionalità.
Infatti, il carattere generale della
disposizione e la perentorietà della
terminologia usata (assunzioni a qualsiasi
titolo) inducono a ritenere che ricada nel
divieto qualsiasi situazione che, a
prescindere dal «nomen juris», dalla
esistenza o meno di procedure di evidenza
pubblica per la scelta, dalla natura
pubblica o privata dell'incarico, sia intesa
a dar vita ad un nuovo rapporto di lavoro
subordinato.
Quindi, è esclusa la possibilità di
procedere al conferimento o proroga di
incarichi dirigenziali e di collaborazioni
esterne ad alto contenuto di professionalità
previsti dall'art. 110 Tuel, in quanto,
sostanzialmente, si configurano come
contratti di lavoro a tempo determinato. A
riprova del potenziale impatto finanziario
di detti incarichi va osservato che lo
stesso Tuel a fronte di situazioni di
particolare squilibrio di bilancio, ne
prevede addirittura la risoluzione di
diritto (art. 110, comma 4).
Da queste considerazioni, ha proseguito il
collegio, se ne deduce che gli incarichi
conferiti dal sindaco sono «violativi»
del divieto imposto dalla legge finanziaria
2005 e le spese per essi sostenute, da
considerare danno erariale.
Al riguardo, il collegio ha ritenuto che «dall'insieme
della vicenda», emerga una condotta
connotata da colpa grave, ravvisabile nella
«radicale inosservanza» di una norma
di settore a fronte di un quadro
interpretativo omogeneo
(articolo ItaliaOggi del 02.07.2010, pag.
31
- link a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Sull'incompatibilità con i
principi di parità di trattamento e di non
discriminazione ogni modifica dei criteri di
aggiudicazione che avvenga nel corso di una
procedura di aggiudicazione di un appalto
pubblico.
Il diritto dell'Unione europea, come
interpretato dalla Corte di giustizia,
considera incompatibile con i principi di
parità di trattamento e di non
discriminazione ogni modifica dei criteri di
aggiudicazione che avvenga nel corso di una
procedura di aggiudicazione di un appalto
pubblico.
Pertanto, l'Irlanda modificando il peso
attribuito ai criteri per l'aggiudicazione
di un appalto di servizi di traduzione -per
i quali la direttiva 2004/18/CE prevede
soltanto l'obbligo di precisare le
specifiche tecniche del servizio e quello di
pubblicare un avviso di avvenuta
aggiudicazione, successivamente ad un primo
esame delle offerte presentate- è venuta
meno agli obblighi ad essa incombenti ai
sensi dei principi di parità di trattamento,
di non discriminazione e di trasparenza
(Avvocato Generale Paolo Mengozzi,
29.06.2010 n. C-226/09 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI: L’Autorità
comunale, prima del rilascio del titolo
abilitativo, deve sempre accertare se la
progettazione sia stata affidata ad un
professionista competente in relazione alla
natura ed importanza della costruzione.
E’ illegittimo il titolo a costruire
assentito sul progetto, redatto da un
geometra, che preveda strutture in cemento
armato, se non siano specificate, con
motivazione adeguata, le ragioni per cui le
caratteristiche dell’opera e le sue modalità
costruttive rientrano nella sfera di
competenza professionale del progettista.
Se, a fronte di una progettazione che
prevede la realizzazione di strutture in
cemento armato, l'atto autorizzativo nulla
espone circa le ragioni per le quali l’opera
ricade nella competenza professionale del
geometra, lo stesso deve essere annullato.
Prima del rilascio di un titolo edilizio,
l’Autorità comunale deve sempre accertare se
la progettazione sia stata affidata ad un
professionista competente in relazione alla
natura ed importanza della costruzione, in
quanto le norme che regolano l’esercizio ed
i limiti di applicazione delle professioni
di geometra, architetto ed ingegnere sono
dettate per assicurare che la compilazione
dei progetti e la direzione dei lavori siano
assegnati a chi abbia la preparazione
adeguata all’importanza delle opere, a
salvaguardia sia dell’economia pubblica e
privata, sia dell’incolumità delle persone
(cfr. Cons. Stato, Sez. II, 13.12.2006 n.
3441).
E’ dunque illegittimo il titolo a costruire
assentito sul progetto, redatto da un
geometra, che preveda strutture in cemento
armato, se non siano specificate, con
motivazione adeguata, le ragioni per cui le
caratteristiche dell’opera e le sue modalità
costruttive rientrano nella sfera di
competenza professionale del progettista
(cfr. TAR Sicilia-Catania 13.10.1995 n.
2327; TAR Toscana, Sez. II, 17.04.1989 n.
144), spettando al giudice amministrativo il
sindacato sulla valutazione circa l’entità
quantitativa e qualitativa della
costruzione, al fine di stabilire se la
stessa, ancorché prevista con struttura in
cemento armato, rientri o meno nella nozione
di “modesta costruzione civile”, alla
cui progettazione è limitata la competenza
professionale del geometra, ai sensi degli
artt. 16 e segg. R.D. 11.02.1929 n. 274
(cfr. TAR Abruzzo 28.09.1999 n. 547).
Poiché, pur a fronte di una progettazione
che prevede la realizzazione di strutture in
cemento armato, gli atti autorizzativi nulla
espongono circa le ragioni per le quali
l’opera ricade nella competenza
professionale del geometra, ne consegue che
questi ultimi devono essere annullati
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 28.06.2010 n. 9772 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Installazione di una stazione radio base -
Strutture edilizie - Assoggettamento ai
principi urbanistici di carattere generale -
Limiti di altezza e cubatura -
Assoggettabilità - Esclusione - Normativa
antisismica - Procedimento unitario - d.lgs.
n. 259/2003.
L’installazione di una stazione radio base
non può che restare soggetta, sotto il
profilo urbanistico, ai principi di
carattere generale, che vedono tralicci ed
antenne di rilevanti dimensioni, da una
parte, valutabili come strutture edilizie
soggette a permesso di costruire (ora, ai
sensi del d.lgs. n. 259/2003, ad assenso
autorizzativo, assorbente rispetto a tale
permesso), pur dovendosi d’altra parte
considerare tali manufatti -in quanto parte
di una rete di infrastrutture, qualificate
come opere di urbanizzazione primaria,
nonché in quanto impianti tecnologici e
volumi tecnici- compatibili con qualsiasi
destinazione di P.R.G. delle aree
interessate e non soggetti in linea di
massima ai limiti di altezza e cubatura
delle costruzioni circostanti (cfr. Cons.
St., sez. VI, 29.05.2006, n. 3243 e
07.06.2006, n. 3425).
Non preclude, dunque, l’assentibilità
dell’intervento l’assenza di una disciplina
specifica, volta ad individuare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti di cui trattasi ed a
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici (nei limiti di
ragionevolezza e rispetto delle norme
statali, in cui tale localizzazione è
ritenuta possibile dalla giurisprudenza,
ormai consolidata sul punto: cfr., fra le
tante, Cons. St., sez. VI, 13.06. 2007, n.
3162, 03.03.2007, n. 1017, 28.03.2007, n.
1431 e 25.9.2006, n. 5593), così come può
trovare considerazione -all’interno del
procedimento unitario previsto- ogni altra
esigenza di tutela di interessi pubblici
rilevanti, come quelli connessi al rispetto
della normativa antisismica (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 28.06.2010 n. 4135 -
link a www.ambientediritto.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Diritto di accesso - Art. 43 T.U.
n. 267/2000 - Estensione - Ratio.
Il diritto di accesso del consigliere
comunale disciplinato dall’art. 43 del T. U.
n. 267/2000, dal cui contenuto emerge
chiaramente l’estensione a tutti gli atti
che possano essere d'utilità
all'espletamento del mandato, ciò anche al
fine dì permettere di valutare con piena
cognizione di causa la correttezza e
l'efficacia dell'operato
dell'Amministrazione, nonché per esprimere
un voto consapevole sulle questioni di
competenza del Consiglio, e per promuovere,
anche nell'ambito del Consiglio stesso, le
iniziative che spettano ai singoli
rappresentanti del corpo elettorale locale.
Diritto di accesso -
Art. 43 T.U. n. 267/2000 - Diritto di
accesso ex L.n. 241/1990 - Differenza.
Il diritto di accesso codificato dall’art.
43 del T. U. n. 267/2000 è direttamente
funzionale non tanto ad un interesse
personale del consigliere comunale o
provinciale, quanto alla cura di un
interesse pubblico connesso al mandato
conferito e, quindi, alla funzione di
rappresentanza della collettività.
Il diritto ha una ratio diversa,
quindi, da quella che contraddistingue
l'ulteriore diritto di accesso ai documenti
amministrativi che è riconosciuto, non solo
ai consiglieri comunali o provinciali, ma a
tutti i cittadini in riferimento ai
documenti amministrativi detenuti dalle
amministrazioni (art. 22 legge 07.08.1990,
n. 241; art. 2 d.PR. 27.06.1992, n. 352).
Invero, la finalizzazione dell'accesso
all'espletamento del mandato costituisce, al
tempo stesso, il presupposto legittimante
l'accesso ed il fattore che ne delimita la
portata. Le disposizioni richiamate,
infatti, collegano l'accesso a tutto ciò che
può essere effettivamente funzionale allo
svolgimento dei compiti del singolo
consigliere comunale e provinciale e alla
sua partecipazione alla vita
politico-amministrativa dell' ente.
Diritto di accesso -
Art. 43 T.U. n. 267/2000 - Limite delle
competenze attribuite al consiglio comunale
- Esclusione.
Il diritto di accesso del consigliere
comunale non riguarda soltanto le competenze
attribuite al consiglio comunale ma, essendo
riferito all'espletamento del mandato,
investe l'esercizio del munus in
tutte le sue potenziali implicazioni per
consentire la valutazione della correttezza
ed efficacia dell'operato
dell'amministrazione comunale (cfr.: Cons.
Stato, V Sez. 21.02.1994 n. 119, Cons.
Stato, V Sez. 26.09.2000 n. 5109, Cons.
Stato, V Sez. 02.04.2001 n. 1893).
Diritto di accesso -
Art. 43 T.U. n. 267/2000 - Motivazione della
richiesta - Necessità - Esclusione.
A differenza dei soggetti privati, il
consigliere non è tenuto a motivare la
richiesta né l'ente ha titolo per sindacare
il rapporto tra la richiesta di accesso e
l'esercizio del mandato, altrimenti gli
organi dell'amministrazione sarebbero
arbitri di stabilire essi stessi l'ambito
del controllo sul proprio operato (Cons.
Stato, V Sez. 07.05.1996 n. 528, Cons.
Stato, V Sez. 22.02.2000 n. 940, Cons.
Stato, V Sez. 26.09.2000 n. 5109; Cons.
Stato, V Sez. 04.05.2004).
Diritto di accesso -
Art. 43 T.U. n. 267/2000 - Limite della
riservatezza delle informazioni -
Opponibilità - Esclusione.
Il diritto di avere dall'ente tutte le
informazioni che siano utili
all'espletamento del mandato non incontra
alcuna limitazione derivante dalla loro
natura riservata, in quanto il consigliere è
vincolato all'osservanza del segreto (Cons.
Stato, V Sez. 20.02.2000 n. 940 e la già
citata Consiglio di Stato, Sezione V,
04.05.2004, n. 2716) (TAR CAMPANIA-Salerno,
Sez. II,
sentenza 25.06.2010 n. 9584 -
link a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Sulla legittimità, in materia di
project financing, dell'esclusione del
progetto presentato da una società
promotrice sulla base della valutazione
negativa anche di uno solo dei parametri
indicati dal bando di gara.
In materia di project financing è
legittima la esclusione del progetto
presentato da una società promotrice sulla
base della valutazione negativa anche di uno
solo dei parametri indicati.
Ed infatti una valutazione comparativa delle
varie proposte, con applicazione di principi
che reggono le procedure concorsuali nel
caso che si presentino più proposte, non
esclude che l'amministrazione debba valutare
ogni singola proposta ed eventualmente
scartarla se essa, singolarmente
considerata, non sia rispondente ai
parametri di valutazione indicati dal bando
essendo compito dell'amministrazione di
valutare se il progetto proposto abbia i
contenuti necessari a soddisfare l'interesse
pubblico in funzione del quale il programma
dei lavori possa avere attuazione.
Nella procedura di project financing
la commissione di gara deve accertare la
coerenza e sostenibilità economica
dell'offerta procedendo all'esame del piano
economico finanziario sotto il profilo dei
ricavi attesi e del relativi flussi di cassa
in rapporto ai costi di produzione e
gestione. Il piano economico finanziario,
infatti, rappresenta il nucleo centrale
degli interventi di project financing
e della sostenibilità della proposta di
iniziativa privata di intervento nella
realizzazione e gestione di infrastrutture
di rete (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.06.2010 n. 4084 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ESPROPRIAZIONE: OCCUPAZIONE
ILLEGITTIMA: I COMPORTAMENTI POSSIBILI
DELL'AMMINISTRAZIONE.
1.- Giurisdizione amministrativa - Esclusiva
- Risarcimento danni - Occupazione sine
tituolo - Sussiste.
2.-
Occupazione senza titolo - Art. 43, T.U. n.
327/2001 - Presupposti.
1.- legittimo dipendente dall'illegittimità
di un provvedimento dell'Autorità (ipotesi
in cui, la pregiudiziale di annullamento
potrebbe ostare alla sola domanda
risarcitoria), bensì il danno al diritto di
proprietà inferto da un comportamento (non
già "mero", bensì "amministrativo")
dell'Autorità che, pur avendo avviato un
complesso procedimento ablatorio volto alla
realizzazione di un'opera pubblica, e pur
avendo tale opera realizzata, ha poi omesso
di completare la serie procedimentale
lasciando decorrere il termine di
legittimità della disposta occupazione d'urgenza.
Non
si contesti la legittimità illo tempore
della disposta occupazione, ma se ne
contesti la sopravvenuta abusività, secondo
il noto meccanismo della cd. "occupazione appropriativa".
2.- dell'Amministrazione che utilizza il
fondo altrui, in assenza del decreto di
esproprio, anche se è stata realizzata
l'opera pubblica. Il testo e la ratio
dell'art. 43 non consentono neppure di
ritenere sussistente un termine
quinquennale, decorrente dalla
trasformazione irreversibile dell'area o
dalla realizzazione dell'opera, decorso il
quale si verificherebbe la prescrizione
della pretesa risarcitoria.
Al contrario,
l'art. 43 ribadisce il principio per il
quale, nel caso di occupazione sine titulo,
vi è un illecito il cui autore ha l'obbligo
di restituire il bene immobile e di
risarcire il danno cagionato, salvo il
potere dell'Amministrazione di fare venire
meno l'obbligo di restituzione ab extra, con
l'atto di acquisizione del bene al proprio
patrimonio.
In altri termini, a parte
l'applicabilità della disciplina civile
sull'usucapione (per la quale il possesso
ultraventennale fa acquistare
all'Amministrazione il diritto di proprietà
pur in assenza dell'atto di natura ablatoria),
l'art. 43 testualmente preclude che
l'Amministrazione diventi proprietaria di un
bene in assenza di un titolo previsto dalla
legge
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 24.06.2010 n. 16019
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: PRINCIPIO
DEL PUBBLICO CONCORSO.
1.- Comune e provincia - Competenze - Art.
89, D.Lgs. n. 267/2000 - Accesso al lavoro -
Sussiste - Art. 36, D.Lgs. n. 29/1993 -
Principi.
2.- Comune e provincia - Artt. 35 e 36,
D.Lgs. n. 165/2001 - Applicabilità -
Sussiste.
3.- Comune e provincia - Personale -
Reclutamento - Principio della pubblica
selezione - Applicazione.
1.- L'articolo 89 del D.Lgs. n. 267/2000
stabilisce che la potestà regolamentare
degli enti locali si esercita, fra l'altro,
in materia di "procedimenti di selezione per
l'accesso al lavoro e di avviamento al
lavoro" (co. 2, lett. d) e che i relativi
regolamenti fanno riferimento, nella
definizione delle procedure per le
assunzioni, ai "princìpi" fissati dall'art.
36, D.Lgs. n. 29/1993 (comma 3), dovendosi
intendere tale richiamo ora effettuato alle
corrispondenti disposizioni del D.Lgs. n.
165/2001.
In particolare il principio
sancito dal citato art. 35, co. 1, D.Lgs. n.
165/2001 secondo il quale per la
costituzione del rapporto di pubblico
impiego devono superarsi procedure
selettive, è applicabile, in via generale,
anche con riferimento all'attribuzione al
dipendente di una qualifica superiore (in
base alle disposizioni contenute nei
contratti collettivi cui rinvia l'art. 40, co.
1, dello stesso Decreto Legislativo), dato
che, a norma del successivo art. 52, co. 1,
la qualifica superiore viene acquisita dal
lavoratore «per effetto dello sviluppo
professionale o di procedure concorsuali o
selettive»; pertanto si deve ritenere
che le procedure che consentono il passaggio
da un'area inferiore a quella superiore
integrano un vero e proprio concorso,
qualunque sia l'oggetto delle prove che i
candidati sono chiamati a sostenere, ciò
perché in materia di pubblico impiego il
concorso costituisce (di norma) la regola
generale anche per l'accesso ad una fascia
funzionale superiore, essendo lo stesso il
mezzo maggiormente idoneo ed imparziale per
garantire la scelta dei soggetti più capaci
ed idonei ad assicurare il buon andamento
della p.A..
2.- Il contesto vincolistico che, in nome
del contenimento della spesa pubblica,
attraverso la riduzione delle dotazioni
organiche la cui determinazione assume
sempre più strategicamente il ruolo di
presupposto necessario ed ineludibile per
pianificare la politica del personale e
quindi le procedure di reclutamento ex artt.
35 e 36, D.Lgs. n. 165/2001, è sicuramente
valevole anche per le Regioni e le autonomie
locali che devono attenersi ai criteri e
limiti fissati al riguardo.
3.-
La normativa di settore, che tuttora impone
per l'assegnazione di pubblici uffici il
ricorso a procedure concorsuali che
salvaguardino l'accesso dall'esterno ai
sensi degli artt. 36 e 36-bis, D.Lgs. n.
29/1993 i cui principi, oggi trasfusi nel
citato art. 35, D.Lgs. n. 165/2001 per
effetto dell'espresso rinvio contemplato
dall'art. 88, D.Lgs. n. 267/2000, sono
applicabili anche agli Enti Locali,
prevedendosi che l'assunzione nelle
amministrazioni pubbliche avviene tramite
procedure selettive, volte all'accertamento
della professionalità richiesta, che
garantiscano in misura adeguata l'accesso
dall'esterno; d'altro canto i regolamenti
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi
-che gli Enti locali nell'esercizio della
loro autonomia sono chiamati ad adottare-
devono disciplinare le dotazioni organiche,
le modalità di assunzione agli impieghi, i
requisiti di accesso e le procedure
concorsuali, nel rispetto dei principi
fissati dai commi precedenti e, dunque,
anche in modo da garantire l'accesso
dall'esterno.
Vero è che il richiamato Testo Unico n.
267/2000, all'art. 91, espressamente
consente agli Enti Locali, che non versino
nelle situazioni strutturalmente
deficitarie, di prevedere concorsi
interamente riservati al personale
dipendente, ma ciò solo in relazione a
particolari profili o figure caratterizzati
da una professionalità acquisita
esclusivamente all'interno dell'Ente, tant'è
che lo stesso art. 4 del C.C.N.L. per il
personale del comparto delle
Regioni-Autonomie Locali ha disciplinato
l'area operativa dell'istituto della
progressione verticale nel rispetto dei
suindicati principi, peraltro espressamente
richiamati, limitandola ai posti che non
siano stati destinati all'accesso
dall'esterno ovvero, con riferimento agli
Enti che non versino nelle condizioni
strutturalmente deficitarie, ai posti
vacanti dei profili caratterizzati da una
professionalità acquisibile esclusivamente
dall'interno degli stessi Enti
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 24.06.2010 n. 16016
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE: APPOSIZIONE
DEL VINCOLO ESPROPRIATIVO: COME E QUANDO.
1-
Procedimento - D.P.R. n. 327/2000 - Vincolo
preordinato all'esproprio - Costituisce
presupposto della dichiarazione di pubblica
utilità - Art. 12 co. 3, T.U. Espropriazioni
- Inversione procedimentale - Costituisce
una eccezione - Casi in cui si applica -
Ratio - Conseguenze.
2-
Procedimento - D.P.R. n. 327/2000 - Onere
informativo da parte dell'Amministrazione -
Necessità - Sussiste - Ratio - Fattispecie.
1- Il vincolo preordinato all'esproprio,
nell'ambito del procedimento unico delineato
dal D.P.R. n. 327/2000 -applicabile ratione
temporis ex art. 57 del medesimo D.P.R.-
costituisce la fase iniziale del
procedimento espropriativo (Consiglio di
Stato Adunanza Generale, parere 29.03.2001 n. 4) per evidenti ragioni di raccordo
con la pianificazione urbanistica, ed è
presupposto di legittimità della
dichiarazione di pubblica utilità, la quale
deve intervenire in corso di efficacia del
vincolo (art. 13, co. 1, D.P.R. n. 327/2001).
Coerentemente, qualora la dichiarazione di
pubblica utilità derivi in via implicita
dall'approvazione del progetto definitivo,
l'art. 17, co. 1, D.P.R. n. 327/2000 ne
richiede "l'indicazione degli estremi da cui
è sorto il vincolo".
Il comma 3
dell'articolo 12 del T.U. Espropriazioni
introduce invero una ulteriore opzione
procedimentale, contemplando il differimento
dell'efficacia della dichiarazione di
pubblica utilità al momento dell'apposizione
del vincolo, ove il vincolo stesso non
preceda ma segua la dichiarazione di
pubblica utilità.
Tale inversione
procedimentale, pur tramutando la forza del
vincolo da atto presupposto di legittimità a
condizione di efficacia della dichiarazione
di pubblica utilità (1) costituisce comunque
conferma che l'esistenza di un valido ed
efficace vincolo preordinato all'esproprio
condiziona la possibilità per l'autorità
espropriante di dar legittimo corso al
procedimento ablatorio, e dovendo in tal
caso la dichiarazione di pubblica utilità
farsi carico di indicare che il vincolo
sorgerà successivamente e con quali
procedure tra quelle previste dagli artt. 9
e 10 del T.U. (3).
Al di fuori quindi di
tale particolare ipotesi, è' pertanto
pacificamente illegittima la dichiarazione
di pubblica utilità e in via derivata
l'attività provvedimentale successiva
assunta in mancanza di valido ed efficace
vincolo ablatorio (2).
---------------
(1) TAR Sicilia Catania, sez I, 20-06-2006
n. 1045 o secondo altra tesi a fattispecie
sanante Cons. Stato, sez. IV, 10-12-2009 n.
7755.
(2) Cons. Stato, sez. IV, 12-08-2005 n. 4308;
TAR Veneto, sez. I, 09-12-2004 n. 4280.
2- In materia espropriativa il vigente T.U.
approvato con D.P.R. n. 327/2000 impone un
preventivo duplice onere informativo (3) in
riferimento al vincolo (art. 11) e alla
dichiarazione di pubblica utilità (art. 16)
in considerazione del grave sacrificio
imposto al privato e della stessa intrinseca
utilità del contraddittorio istruttorio, al
fine di ottimizzare la scelta discrezionale
di localizzazione e di evitare inutili e
sproporzionati sacrifici del diritto di
proprietà, oltre che maggiori esborsi di
denaro pubblico.
Mette conto evidenziare che
parte ricorrente poi, a supporto della
fondatezza della censura, ha indicato con il
ricorso in epigrafe le argomentazioni che
avrebbe potuto presentare in sede
partecipativa al fine di una diversa e più
razionale localizzazione, secondo la tesi
giurisprudenziale, peraltro non pacifica,
che onera parte ricorrente di tale prova per
i vizi "formali" di violazione delle norme
sulla partecipazione anche in seno al
procedimento espropriativo (4).
---------------
(3) TAR Calabria Catanzaro, sez I,
05-10-2009 n. 1016.
(4) TAR Lazio Roma, sez I, 14-04-2009 n.
3789
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 24.06.2010 n. 2665 - -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità di una
prescrizione contenuta in un bando di gara
per l'affidamento del servizio di
distribuzione di gas naturale di imporre
l'ammortamento accelerato in 12 anni.
Sulla discrezionalità della p.a. nel
determinare il valore ponderale da
attribuire all'elemento qualità ed
all'elemento prezzo delle offerte per
l'affidamento del servizio di distribuzione
del gas. Sulla legittimità del bando di gara
nella parte in cui ha inserito, tra gli
elementi di valutazione dell'offerta
l'apertura di uno sportello utenti.
E' legittima l'imposizione contenuta nel
bando di gara per l'affidamento del servizio
di distribuzione di gas naturale nell'ambito
del territorio comunale, con cui si
prevedono piani di ammortamento degli
investimenti sulla rete di distribuzione
tali da concentrare l'ammortamento stesso
nel breve periodo di 12 anni di affidamento
del servizio, in quanto l'art. 14, c. 7, del
decreto legislativo n. 164/2000 non vieta
all'ente locale di introdurre prescrizioni
sui contenuti dell'offerta relativi
all'ammortamento e consente agli offerenti
di modulare l'ammortamento degli
investimenti secondo le proprie strategie
tecnico-economiche. Tale essendo la corretta
esegesi del dato normativo, la scelta
adottata, in seno al combinato disposto del
bando di gara e della lettera di invito, di
imporre l'ammortamento accelerato in 12
anni, non incorre in un giudizio negativo
sul piano della ragionevolezza e della
congruità avuto riguardo, alle circostanze
specifiche che connotano la procedura in
parola. Se ne desume che non risulta neanche
sotto questo aspetto censurabile la
decisione dell'amministrazione di prevedere
un limite temporale agli ammortamenti
ammissibili che non è assoluto e,
soprattutto, non irragionevole alla luce
delle condizioni dell'impianto e della
possibilità di incentivare la
partecipazione, con offerte competitive,
alla procedura selettiva.
Il legislatore non ha predeterminato il
valore ponderale da attribuire,
rispettivamente, all'elemento qualità ed
all'elemento prezzo delle offerte per
l'affidamento del servizio di distribuzione
del gas naturale, lasciando spazio alla
discrezionalità della pubblica
amministrazione da esplicare alla luce degli
interessi da perseguire e delle circostanze
specifiche della singola procedura in
relazione alle condizioni della rete.
E' legittimo il bando di gara per
l'affidamento del servizio di distribuzione
di gas naturale nella parte in cui ha
inserito, tra gli elementi di valutazione
dell'offerta l'apertura di uno sportello
utenti in quanto l'apertura di uno sportello
utenti può ritenersi un elemento qualitativo
dell'erogazione del servizio i cui oneri
possono farsi rientrare fra quelli del
canone annuo che il singolo concorrente
intende offrire (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.06.2010 n. 3975 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ingiunzione di demolizione -
Descrizione delle opere abusivamente
realizzate - Sufficienza - Indicazioni
ulteriori - Descrizione delle superfici
occupate e dell’area di sedime da confiscare
in caso di mancata esecuzione - Necessità -
Esclusione.
Per giustificare l'ingiunzione di
demolizione è necessaria e sufficiente
l'analitica descrizione delle opere
abusivamente realizzate, in modo da
consentire al destinatario della sanzione di
rimuoverle spontaneamente, ogni altra
indicazione esulando dal contenuto tipico
del provvedimento, non occorrendo in
particolare, anche la descrizione precisa
della superficie occupata e dell'area di
sedime che dovrebbe essere confiscata in
caso di mancata, spontanea esecuzione;
elementi questi, invece, necessariamente
afferenti la successiva ordinanza di
gratuita acquisizione al patrimonio comunale
(Tar Napoli Sez., III 12-03-2010, n. 1420,
Tar Lazio, Latina, sez. I, 06.08.2009, n.
780; Tar Veneto, sez. II, 10.06.2009, n.
1725; Cons. Stato, sez. IV, 26.09.2008, n.
4659; Tar Umbria, 26.01.2007, n. 44) (TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 23.06.2010 n. 2606 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: AFFIDAMENTO DI SERVIZI CIMITERIALI E REQUISITI DI
IDONEITA' TECNICO-MORALE A CONTRARRE CON LA
P.A..
1. Appalto pubblico (in generale) - Gara -
Esclusione - In caso di pregresse inadempienze
contrattuali - Sussistenza - Ragioni -
Interpretazione dell'art. 38, D.Lgs. n.
163/2006.
2. Appalto pubblico (in generale) - Gara -
Esclusione - Ex art. 38, D.Lgs. n. 163/2006
- Differenze con l'art. 1453, Cod. Civ. -
Conseguenze.
1. L'articolo 38, co. 1, lett. f), D.Lgs. n.
163/2006, vale a dire la contestazione di
negligenza e grave irregolarità
nell'esecuzione di un precedente rapporto
contrattuale, da un lato, preclude la
partecipazione alle gare d'appalto agli
operatori economici che si sono resi
responsabili di gravi inadempienze
nell'esecuzione di precedenti contratti, con
ciò denotando quindi un'inidoneità
"tecnico-morale" a contrarre con la p.A.,
dall'altro, fissa il duplice principio
secondo cui la sussistenza di tali
situazioni ostative può essere desunta da
qualsiasi mezzo di prova, mentre il
provvedimento di esclusione deve essere
motivato congruamente.
In sostanza, a
differenza di altre ipotesi di esclusione
previste dallo stesso articolo 38 primo
comma, che richiedono espressamente il
definitivo accertamento (lett. g) o il
passaggio in giudicato della sentenza (lett.
c), nella fattispecie in questione è
necessario che vi sia un'adeguata prova
dell'inadempimento e che lo stesso rilevi
sul piano della menomazione
dell'affidabilità dell'impresa privata nei
confronti della medesima amministrazione
(Cons. Stato 27-01-2010 n. 296).
2. La particolarità, che vale a distinguere
nettamente l'ipotesi di negligenza grave di
cui all'art. 38 del Codice degli Appalti, da
quella di cui all'art. 1453, Cod. Civ., è
che in quest'ultimo caso la gravità
dell'inadempimento (secondo la prevalente
tesi oggettiva) deve essere valutata in
relazione all'interesse all'esecuzione
dedotto nel contratto (in ultima analisi, in
relazione alla realizzazione della specifica
e concreta causa di esso).
Nell'articolo 38
suddetto, invece, la gravità ha una
rilevanza, per così dire, esterna, nel senso
che deve essere idonea ad influire
sull'interesse (pubblico)
dell'amministrazione a stipulare un nuovo
contratto con l'impresa privata; non a
liberarsi dal precedente rapporto, come nel
caso della risoluzione.
Ne consegue che la
gravità della generica negligenza o
dell'inadempimento a specifiche obbligazioni
contrattuali non va commisurata all'idoneità
della medesima a pregiudicare la
realizzazione dello specifico interesse
dedotto nella causa del contratto
irregolarmente eseguito; ma va commisurata
al pregiudizio arrecato alla fiducia,
all'affidamento che la stazione appaltante
deve poter riporre, ex ante, nell'impresa
cui decide di affidare l'esecuzione di un
nuovo rapporto contrattuale.
Ecco che la
valutazione assume un aspetto più soggettivo
(di affidabilità) che oggettivo (il
pregiudizio al concreto interesse
all'esecuzione della specifica prestazione
inadempiuta) (massima tratta da http://mondolegale.it
-
TAR Molise,
sentenza 23.06.2010 n. 236 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: I
SOLITI SOSPETTI: QUANDO TUTTI INDICANO LA
STESSA IMPRESA SUBAPPALTATRICE.
1.- Subappalto -
Indicazione della medesima impresa
subappaltatrice da parte di più imprese -
Indizio sulla riconducibilità ad unico
centro decisionale - Gravità.
2.- Subappalto - Errore
sulla dichiarazione - Caso in cui il
concorrente sia sfornito della
qualificazione - Esclusione dalla gara -
Legittimità.
3.- Giurisdizione amministrativa - Controversie sulla sussistenza
della condizioni previste dall'art. 118,
D.lgs. 12.04.2006 n. 163 - Sussiste.
1.- E' gravemente indiziante che una stessa
impresa subappaltatrice compaia in un ruolo
"strategico", quale indispensabile
esecutrice delle opere di una selettiva
categoria per più partecipanti, innestando
un ragionevole dubbio sulla messa in opera
di un tentativo di "bloccare" la scelta
della principale impresa subappaltatrice
nella gara de qua, con la teorica
riconducibilità di un certo numero di
offerte ad un unico centro decisionale, con
grave violazione dei princìpi di trasparenza
e di libera concorrenza.
2.- L'incompleta o erronea dichiarazione del
concorrente relativa all'esercizio della
facoltà di subappalto è suscettibile di
comportare l'esclusione dello stesso dalla
gara nel caso in cui questi risulti sfornito
in proprio della qualificazione per le
lavorazioni che ha dichiarato di voler
subappaltare.
3.- Rientrano nella giurisdizione generale
di legittimità del giudice amministrativo le
controversie aventi ad oggetto la
sussistenza della condizioni previste
dall'art. 118, D.lgs. 12.04.2006 n. 163
per il ricorso al subappalto da parte
dell'aggiudicatario della gara pubblica,
atteso che dette condizioni non sono intese
unicamente a tutelare l'interesse
dell'Amministrazione committente
all'immutabilità dell'affidatario, ma
tendono essenzialmente ad evitare che nella
fase esecutiva del contratto si pervenga,
con modifiche sostanziali dell'assetto
d'interessi scaturito dalla gara pubblica, a
vanificare proprio quell'interesse pubblico
che ha imposto lo svolgimento di una
procedura selettiva e legittimato
l'individuazione di una determinata offerta
come la più idonea a soddisfare le esigenze
della collettività cui l'appalto è
preordinato
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 22.06.2010 n. 15567
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti produttivi - Procedure
semplificate di cui al DPR 447/1998 -
Conferenza di servizi - Autocertificazioni -
Progetti in variante al PRG - Procedura
differenziata - Esclusione.
La realizzazione di un impianto produttivo
deve essere preceduta da una delle due
procedure semplificate di cui al DPR
447/1998: poiché l’art. 5 del D.P.R.
447/1998 non esplicita alcuna deroga a tale
principio per i casi di progetti in variante
al P.R.G., si deve concludere che, in tali
casi, ottenuta la variante urbanistica
l’interessato deve farsi carico di
compulsare l’ulteriore frazione di
procedimento finalizzata al rilascio del
titolo edilizio, chiedendo procedersi
mediante conferenza di servizi o mediante
autocertificazioni: in ogni caso, solo il
verbale conclusivo della conferenza di
servizi indetta ai sensi dell’art. 4 del
D.P.R. 447/1998 “tiene luogo degli atti
istruttori e dei pareri tecnici comunque
denominati previsti dalle norme vigenti”
(art. 4 comma 5) (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 18.06.2010 n. 2473 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
La decisione di affidare la
gestione di servizi pubblici locali a
società in house, in quanto atto di natura
programmatoria incluso nell'elenco tassativo
di cui all'art. 42 TUEL rientra nella
competenza del Consiglio comunale.
Sul divieto previsto dal c. 9 dell'art.
23-bis, d.l. n. 112 del 2008.
La decisione di affidare la gestione di
servizi pubblici locali a società in
house, in quanto atto di natura
programmatoria incluso nell'elenco tassativo
di cui all'art. 42 TUEL -che postula la
verifica, in concreto ed attualizzata al
momento dell'effettivo trasferimento, della
sussistenza delle condizioni soggettive ed
oggettive di legge per avvalersi di siffatto
modulo gestionale- rientra nella competenza
del Consiglio comunale residuando, in capo
alla Giunta, la susseguente competenza
generale esecutiva da attuarsi sulla base
delle scelte e degli indirizzi forniti
dall'organo consiliare. Ne consegue che, nel
caso di specie, l'affidamento dei servizi
cimiteriali ad una società a totale
partecipazione pubblica è stato attuato da
organo incompetente e con atto inidoneo
atteso che, la delibera giuntale di
approvazione del contratto di servizio può
essere intesa soltanto come atto di
esecuzione di apposita delibera consiliare
di trasferimento dei servizi in discorso,
che nel caso di specie è mancata.
Il c. 9 dell'art. 23-bis, d.l. n. 112 del
2008, vieta l'acquisibilità, da parte di
società che, in Italia o all'estero,
gestiscono servizi pubblici locali in virtù
di affidamento diretto, di servizi ulteriori
ovvero in ambiti territoriali diversi, così
come lo svolgimento di servizi o attività
per altri enti pubblici o privati, anche
partecipando a gare. Tale disciplina è
applicabile al caso di specie dal momento
che la società a totale partecipazione
pubblica è già affidataria diretta di
servizi pubblici locali per averli
conseguiti in forza della delibera consilare
per cui, per tutta la durata degli
affidamenti in corso, non potrebbe
conseguire la gestione di servizi ulteriori
né con affidamento diretto, anche laddove in
ipotesi astrattamente rispondente ai
requisiti per l'in house providing,
né partecipando a gare (TAR Lombardia-Milano,
Sez. I,
sentenza 16.06.2010 n. 1882 -
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APPALTI:
Sulla necessità che i consorzi
concorrenti in una gara d'appalto dimostrino
il possesso dei requisiti di partecipazione
in capo alle imprese ad essi consorziate.
Nei contratti c.d. esclusi può non esigersi
il medesimo rigore formale di cui all'art.
38 d.lgs. n. 163/2006 e gli stessi vincoli
procedurali, ma resta inderogabile la
sostanza, ossia il principio che i soggetti
devono avere i requisiti morali, e che il
possesso di tali requisiti va verificato.
Tutti i consorzi, a prescindere dalla loro
natura devono dimostrare il possesso dei
requisiti di tutti i consorziati che vengono
individuati come esecutori delle prestazioni
scaturenti dal contratto. In termini più
generali, tutti i soggetti che a qualunque
titolo concorrono all'esecuzione di pubblici
appalti, vuoi in veste di affidatari, vuoi
in veste di subaffidatari, vuoi in veste di
prestatori di requisiti nell'ambito del c.d.
avvalimento, devono essere in possesso dei
requisiti morali di cui all'art. 38, d.lgs.
n. 163/2006. Il che risponde ad elementari
ragioni di trasparenza e di tutela effettiva
degli interessi sottesi alle cause di
esclusione di cui all'art. 38, d.lgs. n.
163/2006. Occorre, infatti, che tutti gli
operatori economici che, a qualunque titolo,
eseguono prestazioni di lavori, servizi e
forniture abbiano i requisiti morali di cui
all'art. 38 citato.
La disciplina dei consorzi, e dunque l'onere
di indicare in gara i consorziati per cui
concorrono, e per l'effetto di dichiarare i
requisiti generali anche per i consorziati
individuati come esecutori delle
prestazioni, è dettata dal d.lgs. n.
163/2006 (codice dei contratti pubblici) con
specifico riferimento agli appalti
sottoposti al suo ambito applicativo. Nel
caso di specie, si discorre, invece, di un
appalto di servizi di cui all'allegato II-B,
soggetto ad un limitato numero di regole del
codice, tra cui non rientrano quelle sui
requisiti di partecipazione. La succitata
disciplina non è pertanto direttamente
applicabile. Tuttavia, l'art. 27, d.lgs. n.
163/2006, dispone che nei contratti esclusi,
in tutto o in parte, dall'applicazione del
codice, devono comunque osservarsi i
principi di tutela della concorrenza, tra
cui vengono qui in rilievo quello di
imparzialità, efficacia, par condicio.
La regola su enunciata secondo cui tutti
coloro che prendono parte all'esecuzione di
pubblici appalti devono essere in possesso
dei requisiti morali indicati nell'art. 38,
può essere considerato un principio di
tutela della par condicio, dell'imparzialità
e efficacia dell'azione amministrativa, per
cui deve trovare applicazione anche nei
contratti esclusi in tutto o in parte
dall'applicazione del codice, quali i
servizi dell'allegato II-B. Nei contratti
c.d. esclusi può non esigersi il medesimo
rigore formale di cui all'art. 38 citato e
gli stessi vincoli procedurali, ma resta
inderogabile la sostanza, ossia il principio
che i soggetti devono avere i requisiti
morali, e che il possesso di tali requisiti
va verificato (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.06.2010 n. 3759 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: PROROGA
DELLA CAUZIONE PROVVISORIA: NATURA
RICOGNITIVA O NOVAZIONE DELL'ATTO?
1. Cauzione - Di
partecipazione - Appendice della polizza -
Rilasciata oltre il termine di presentazione
delle offerte - Natura - Novazione oggettiva
del contratto - Esclusione.
2. Cauzione - Di
partecipazione - Durata di 180 giorni -
Interpretazione.
1. Ove una stazione appaltante, a fronte di
una polizza fideiussoria recante la cauzione
provvisoria che si presti a qualche dubbio
in ordine alla sua durata, richieda un
chiarimento e il concorrente fornisca
un'appendice di polizza che venga rilasciata
dal garante in una data successiva al
termine ultimo di presentazione delle
offerte ma con l'inequivoca precisazione che
egli si impegna a rinnovare la garanzia per
ulteriori 90 giorni a richiesta della
stazione appaltante ove al momento della sua
scadenza non sia ancora intervenuta
l'aggiudicazione definitiva, siffatto atto
del fideiussore ha natura meramente
ricognitiva o dichiarativa e non costituisce
novazione oggettiva del contratto di
garanzia precedentemente stipulato con il
contraente e da questi prodotto in gara, a
nulla valendo che l'appendice precisi che la
sua decorrenza parte dalle ore 24 del giorno
del suo rilascio, trattandosi di espressioni
gergali ordinariamente in uso nella pratica
assicurativa e originanti dal dato empirico
che le appendici de quibus sono
materialmente confezionate in una data
successiva alla scadenza del termine di
presentazione delle offerte.
2. Le clausole delle polizze fideiussorie
recanti la cauzione provvisoria, che
solitamente si esprimono nei termini secondo
cui la garanzia ha validità di almeno 180
giorni, vanno interpretate nel senso che la
durata delle polizze stesse non è affatto
limitata a 180 giorni, che costituiscono
invece solo la durata minima, ma si estende
temporalmente fino all'integrale svolgimento
delle operazioni di aggiudicazione della
gara
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 15.06.2010 n. 2856
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: LUMI
SULL'OPERATIVITA' DEL MECCANISMO DI
REVISIONE DEL PREZZO.
1. Giurisdizione amministrativa - Esclusiva
- Appalti pubblici - Revisione del prezzo -
Diritto soggettivo - Applicabilità dei
termini decadenziali di impugnazione -
Esclusione.
2. Contratti della p.A. - Concessione di
costruzione e gestione - Clausola di
revisione del prezzo - Natura imperativa -
Previsioni contrattuali difformi - Nullità.
3. Appalto pubblico (in generale) - Criteri
e principi - Stipulazione di una clausola
contrattuale nulla - Violazione del canone
di buona fede da parte dell'appaltatore - In
caso di natura non escludente della clausola
- Non sussiste.
4. Contratti della p.A. - Concessione di
costruzione e gestione - Clausola di
revisione del prezzo - Sostituzione
automatica della clausola nulla contenuta
nel bando - Lesione della concorrenza -
Insussistenza - Ragioni.
5. Contratti della p.A. - Concessione di
costruzione e gestione - Clausola di
revisione del prezzo - In mancanza delle
rilevazioni Istat sui prezzi di mercato dei
principali beni e servizi acquisiti dalle
pubbliche amministrazioni - Si applica
l'indice sull'aumento medio dei prezzi -
Interessi legali - Calcolo.
1. Le controversie concernenti
l'individuazione del termine dal quale deve
trovare applicazione l'istituto della
revisione dei prezzi contrattuali
nell'ambito di un appalto di servizi,
riguardano il criterio di quantificazione di
un compenso dovuto ex lege e attengono
pertanto a diritti soggettivi dell'impresa,
la cui cognizione è rimessa alla
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ai sensi dell'articolo 244
decreto legislativo n. 163/2006.
Ne
consegue che la relativa azione
giurisdizionale, avente ad oggetto
l'accertamento di un rapporto di credito,
non è soggetta alla regola dell'impugnazione
nei termini di decadenza degli atti
amministrativi illegittimi.
2. L'articolo 115 del Codice dei Contratti
ha natura imperativa, tutelando l'interesse
pubblico a che, nei contratti ad esecuzione
periodica o continuativa, le prestazioni
degli appaltatori delle amministrazioni
pubbliche non subiscano nel tempo una
diminuzione qualitativa a causa degli
aumenti dei prezzi dei fattori della
produzione i quali, incidendo sulla
percentuale di utile considerata in sede di
formulazione dell'offerta, comportino
l'incapacità dell'appaltatore di far fronte
compiutamente alle prestazioni a suo carico.
Ne discende la nullità delle clausole
contrattuali in contrasto con essa e
l'automatica sostituzione di dette clausole
ai sensi dell'articolo 1339, Codice Civile
(cfr. Cons. Stato, sezione V, 02-11-2009
numero 6709).
Pertanto deve escludersi
l'ammissibilità di qualsivoglia previsione pattizia che escluda l'applicabilità della
revisione prezzi sia per le variazioni
inferiori ad una determinata misura
percentuale o per le variazioni intervenute
nel primo periodo di attuazione del
rapporto, con la conseguente declaratoria di
nullità.
3. Deve escludersi che l'appaltatore,
stipulando consapevolmente una clausola
contrattuale ritenuta nulla, abbia violato
il canone di buona fede precontrattuale allorché la natura non escludente di detta
clausola la rendeva insuscettibile di
immediata impugnazione e la
predeterminazione unilaterale delle
condizioni del contratto non lasciava
opzioni alternative all'impresa interessata
a contrattare con la pubblica
amministrazione (nella fattispecie, la
clausola sottoscritta nulla escludeva
l'operatività dell'istituto della revisione
del prezzo nei primi cinque anni di
esecuzione del contratto).
4. L'inserimento automatico di una clausola
di revisione prezzi diversa per contenuto da
quella posta in gara e recepita nel
contratto non è lesiva delle regole della
concorrenza per attribuire al contraente un
diritto aggiuntivo rispetto a quelli
prospettati dall'amministrazione a tutti i
concorrenti atteso che la sostituzione
automatica della clausola fissata
dall'amministrazione deriva
dall'applicazione di una norma imperativa di
legge che, in quanto tale, è conoscibile da
tutti i concorrenti e suscettibile di
interessare la posizione di ogni potenziale contraente.
Il meccanismo della revisione
prezzi disegnato dal legislatore interno non
limita in alcun modo, d'altronde, il
dispiegarsi del confronto concorrenziale, ma
al contrario, essendo ancorato a criteri
oggettivi che consentono di conservare
l'equilibrio del sinallagma contrattuale,
può rafforzare la par condicio dei
concorrenti e favorire la partecipazione di
imprese meno capaci di sopportare
l'alterazione degli oneri che dovesse
intervenire nel corso dell'esecuzione di un
rapporto di lunga durata.
5. In mancanza delle rilevazioni da parte
dell'Istat dei prezzi del mercato dei
principali beni e servizi acquisiti dalle
pubbliche amministrazioni, dovrà farsi
inevitabilmente riferimento al più generale
indice sull'aumento medio dei prezzi (indice
Istat F.O.I.) che costituisce strumento atto
a rilevare gli incrementi del tasso generale
di inflazione e, quindi, idoneo parametro di
valutazione dell'incremento di prezzo (cfr.
Consiglio di Stato, sezione V, 14-12-2006
n. 7461).
Sulle somme così risultanti
dovranno essere applicati gli interessi con
le modalità e secondo i saggi previsti dagli
artt. 4 e 5, D.Lgs. 09.10.2002,
contenenti norme imperative, applicabili
anche alle pubbliche amministrazioni, che
non presuppongono la sussistenza di un
colpevole ritardo nel pagamento del
corrispettivo e possono essere derogate solo
per effetto di un accordo liberamente
sottoscritto dalle parti (cfr. Consiglio di
Stato, sezione V, 01-04-2010 n. 1885)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 15.06.2010 n. 2849 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
VIA - RIFIUTI - Discarica -
Impatto sul territorio - Intera area
funzionale all’esercizio - Coinvolgimento di
comune diverso da quello nel cui territorio
è prevista la localizzazione.
L’impatto sul territorio, idoneo a
giustificare il coinvolgimento, nella
procedura di VIA, di un comune diverso da
quello nel cui territorio è prevista la
localizzazione dell’impianto, non può
ritenersi circoscritto all’area destinata
alla escavazione, ove si valuta di
realizzare la discarica, ma deve essere
esteso fino a ricomprendere l’intera area
funzionale all’esercizio della discarica
medesima.
VIA - Giudizio di
compatibilità ambientale - Tutela preventiva
- Discrezionalità mista - Ambito del
sindacato giurisdizionale.
Il giudizio di compatibilità ambientale, in
quanto implica una valutazione anticipata,
finalizzata alla tutela preventiva
dell’interesse pubblico, non si risolve in
un puro e semplice giudizio tecnico, ma
presenta comunque profili elevati di
discrezionalità amministrativa.
A questo proposito si parla, anche in
giurisprudenza, di discrezionalità mista.
L’ampiezza della discrezionalità restringe
l’ambito del sindacato giurisdizionale ai
casi di illogicità manifesta, di errore di
fatto e di difetto di istruttoria e di
motivazione (conf., “ex multis”, in
tema di VIA, Cons, St. nn. 5910/2007,
1462/2005 -che conf. Tar Veneto, n.
3098/2001- e 1/2004).
VIA - RIFIUTI -
Realizzazione ed esercizio di discarica su
area di cava in atto - Condizioni.
La realizzazione e l’esercizio di una
discarica possono essere consentiti
sull’area di una cava, in atto, una volta
esaurita l’attività estrattiva anche solo su
una porzione della cava medesima, sempre che
vi siano le condizioni per organizzare e
svolgere in modo differenziato l’attività di
discarica e quella di cava , al fine di
consentire il regolare svolgimento
dell’attività di trasporto connessa con la
cava e la discarica (cfr. DGRV n. 924/1998 -
direttiva sull’applicazione delle ll. reg.
nn. 44/1982 e 33/1985).
VIA - DPCM 27.09.1988 -
Provvedimento finale - Osservazioni prodotte
nel procedimento - Analitica indicazione
delle ragioni che hanno condotto a
disattenderle - Necessità - Esclusione.
In tema di VIA, la normativa (DPCM
27.09.1988) non impone alla P. A. autrice
del provvedimenti finale di manifestare le
ragioni che l’hanno indotta a disattendere
le osservazioni prodotte nel procedimento,
prescrivendo soltanto che di tali
osservazioni si tenga conto nella fase di
maturazione della scelta finale la quale, a
sua volta, assorbe e riassume tutte le
valutazioni compiute nell’istruttoria (CdS,
VI, n. 129/2006) (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 14.06.2010 n. 2512 -
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EDILIZIA PRIVATA: TUTELA
DEL PAESAGGIO E SANZIONI AMMINISTRATIVE.
1. Abusi - Sanzione pecuniaria -
Zona soggetta a vincolo paesaggistico -
Indennità ex art. 15, L. 1939/1947 - Natura
- Effetti.
2. Sanzioni amministrative - Indennità ex
art. 15, L. n. 1497/1939 - Natura
sanzionatoria - Conseguenze.
3. Sanzioni amministrative - Presunzione di
colpa - Sussiste - Buona fede - Esimente -
Casi e ragioni.
1. Le misure sanzionatorie previste
dall'art. 15, L. n. 1497/1939 prescindono
dalla sussistenza di un danno ambientale;
tale articolo, infatti, deve essere
interpretato nel senso che l'indennità ivi
prevista per abusi edilizi in zone soggette
a vincolo paesaggistico non costituisce
un'ipotesi di risarcimento del danno
ambientale, ma rappresenta una sanzione
amministrativa applicabile sia nel caso di
illeciti sostanziali (cioè nel caso di
compromissione dell'integrità paesaggistica)
sia in ipotesi di illeciti formali, come
deve ritenersi nel caso della violazione
dell'obbligo di conseguire l'autorizzazione
preventiva a fronte di un intervento
compatibile con il contesto paesaggistico
oggetto della protezione (Cons. Stato, sez. IV, 12-03-2009 n. 1464; Cass., SS.UU.,
10-03-2005 n. 5214; Cons. Stato, sez. VI,
13-05-2002 n. 2559; TAR Marche Ancona,
sez. I, 13-03-2008 n. 197; TAR Piemonte,
sez. I, 05-10-2002 n. 1575).
2. La natura sanzionatoria e non
risarcitoria dell'indennità prevista
dall'art. 15, L. n. 1497/1939 assume rilievo
anche ai fini della prescrizione che, ai
sensi della l. n. 698 del 1981, è
quinquennale, come per ogni altra sanzione
amministrativa, con la specificazione che,
trattandosi di illecito permanente, il
termine inizia a decorrere dalla cessazione
della permanenza e, cioè, dal conseguimento
dell'autorizzazione (Cons. Stato, sez. V,
13-07-2006 n. 4420; TAR Lazio Roma, sez. II, 27-02-2007 n. 1689).
3. Per le violazioni colpite da sanzione
amministrativa è necessaria e al tempo
stesso sufficiente la coscienza e volontà
della condotta attiva o omissiva, senza che
occorra la concreta dimostrazione del dolo o
della colpa , giacché la norma pone una
presunzione di colpa in ordine al fatto
vietato a carico di colui che lo abbia
commesso, riservando poi a questi l'onere di
provare di aver agito senza colpa.
Ne
deriva che l'esimente della buona fede,
applicabile anche all'illecito
amministrativo disciplinato dalla L. n.
689/1981, rileva come causa di esclusione
della responsabilità amministrativa -al
pari di quanto avviene per la responsabilità
penale, in materia di contravvenzioni- solo
quando sussistano elementi positivi idonei a
ingenerare nell'autore della violazione il
convincimento della liceità della sua
condotta e risulti che il trasgressore abbia
fatto tutto quanto possibile per conformarsi
al precetto di legge, onde nessun rimprovero
possa essergli mosso.
In particolare, nella
valutazione concernente la sussistenza
dell'esimente, il parametro di riferimento è
costituito dall'uso della normale diligenza,
salvo che non sussistano circostanze
particolari riferite alle competenze,
livello di istruzione, professionalità
specifiche degli autori della violazione,
tali da rendere pretendibile un livello di
diligenza superiore (cfr. ex multis, Cass.
Civ., sez. I, 28-04-2006 n. 9862; TAR
Lazio Roma, sez. I, 24-06-2009 n. 6126;
TAR Lazio Roma, sez. III, 02-02-2009 n.
938; Cass. Civ, sez. II, 06-11-2006 n. 23621;
Cass. Civ, sez. I, 08-06-2006 n. 13416; Cass.
Civ., sez. Trib., 04-07-2003 n. 10607; TAR
Lazio Roma, sez. I, 03-03-2009 n. 2192)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 04.06.2010 n. 2394 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: COMUNE
VERSUS CIRCOLO PRIVATO.
1. Destinazione uso - Mutamento -
Da civile abitazione ad uso commerciale -
Insussistenza - Casi - Ragioni.
L'allocazione di un circolo privato in un
fabbricato di civile abitazione non può, ove
puntualmente comunicata alla competente
autorità, valere a modificarne la specifica
destinazione da uso abitativo privato ad uso
commerciale. E infatti, una tale allocazione
è volta all'utilizzo dell'immobile per
l'esercizio di un'attività culturale e
ricreativa che viene consentita ad un numero
ristretto di persone.
E' ben vero che per il
soggiorno di queste persone nell'edificio
durante il lasso di tempo in cui si svolge
la detta attività vengono allestiti di
solito, e funzionano, servizi di bar e di
ristorazione, ma tali servizi sono di
ridotte dimensioni -in quanto riservati ai
soci- e la loro esplicazione non vale ad
imprimere all'edificio una destinazione di
tipo commerciale quale quella a sede di bar
e di ristorante. Una destinazione di questo
secondo tipo, invero, presuppone che
l'edificio abbia una particolare struttura e
consistenza, sia dotato di particolari
servizi e in esso si eserciti un'attività di
tipo commerciale che si caratterizza per il
fatto di rivolgersi alla collettività e
comporta un regolato e pressoché continuo
accesso all'edificio da parte di un pubblico
indifferenziato (TAR Lombardia, Milano, II, 25-10-2002 n. 4200)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 03.06.2010 n. 2380 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Immobili costruiti abusivamente -
Espropriazione per pubblica utilità -
Concessione in sanatoria - Indennizzo -
Disciplina applicabile - Limiti - Prova
della legittimità della costruzione -
Giurisprudenza.
In tema di espropriazione per pubblica
utilità, gli immobili costruiti abusivamente
non sono suscettibili di indennizzo, a meno
che alla data dell'evento ablativo non
risulti già rilasciata la concessione in
sanatoria, - per cui non si applica nella
liquidazione il criterio del valere venale
complessivo dell'edificio e del suolo su cui
il medesimo insiste, ma si valuta la sola
area, si da evitare che l'abusività degli
insediamenti possa concorrere anche
indirettamente ad accrescere il valore del
fondo (Cass., sez. 1^, 14/12/2007, n.
26260).
Per questa ragione si è precisato che, nel
quadro della disciplina delle espropriazioni
per la realizzazione del programma
straordinario per le zone terremotate, la
subordinazione dell'indennizzo per i
manufatti sorgenti sui terreni espropriati,
alla prova della legittimità della
costruzione, stabilita dall'ordinanza del
Commissario straordinario di governo per le
zone terremotate, non contravviene alla
legge, dalla quale, viceversa, è desumibile
il principio per cui è necessario che
l'immobile per il quale si reclama
l'indennizzo in caso di esproprio, deve
esser stato legittimamente realizzato, onde
impedire che il proprietario possa trarre
beneficio dalla sua illecita attività
(Cass., sez. 1^, 9/04/2002, n. 5046, Cass.,
sez. 1^, 30/11/2006, n. 25523) (riforma
sentenza n. 30/2008 della Giunta speciale
per le espropriazioni presso la Corte
d'appello di Napoli, depositata il
12/06/2003).
Procedura espropriativa
- Risultanze dei registri catastali -
Soggetto in contrasto con tali risultanze -
Onere di dimostrare di essere l'effettivo
proprietario.
La procedura espropriativa si svolge
relativamente alle aree, e nei confronti dei
soggetti che risultano proprietari, secondo
le risultanze dei registri catastali, ma
potendo la titolarità e la consistenza dei
beni subire modifiche nel corso del tempo,
il soggetto che, in contrasto con tali
risultanze, chieda la determinazione
dell'indennità, ha l'onere di dimostrare di
essere l'effettivo proprietario (Cass., sez.
1^, 22/03/2007, n. 6980) (riforma sentenza
n. 30/2008 della Giunta speciale per le
espropriazioni presso la Corte d'appello di
Napoli, depositata il 12/06/2003) (Corte di
Cassazione, Sezz. unite civili,
sentenza 14.05.2010 n. 11730 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: SENTENZA
"VADEMECUM" PER L'ACCESSO AGLI ATTI: CHI,
COME, QUANDO...
1. Giudizio amministrativo - Art. 25, L. n.
241/1990 - Impugnazione del diniego,
espresso o tacito - Necessità - Sussiste.
2. Giudizio amministrativo - Art. 25, L. n.
241/1990 - Silenzio-rigetto - Ricorso -
Inammissibilità - Casi e ragioni.
3. Atto amministrativo - Accesso ai
documenti - Atto regolamentare -
Dimostrazione di un oggettivo interesse -
Necessità - Non sussiste.
1. Il procedimento disciplinato dall'art.
25, L. n. 241/1990, volto ad ottenere che il
giudice ordini l'esibizione dei documenti
alla p.A. che li ha formati o li detiene
stabilmente, presuppone che l'interessato
abbia presentato all'amministrazione una
formale e motivata richiesta di accesso, e
che questa sia rimasta inevasa nei termini
previsti dalla legge o dal regolamento
adottato dall'amministrazione in materia.
Tanto è vero, che anche in caso di
silenzio-rifiuto la giurisprudenza ritiene
che il termine per ricorrere al TAR
(30 giorni) decorra dalla data in cui si
è formato il silenzio-rifiuto, e che si
tratti di termine perentorio.
Ciò comprova
che l'azione giurisdizionale dev'essere
ineludibilmente preceduta dal diniego,
espresso o tacito, opposto alla domanda
formalmente presentata in via amministrativa
(Cons. Stato, sez. V, 28-12-2007 n. 6782;
TAR Umbria Perugia, sez. I, 28-07-2008 n.
432).
2. In materia di accesso agli atti
amministrativi, l'istanza ostensiva, ai
sensi dell'art. 24, co. 3, L. n. 241/1990,
non deve essere uno strumento surrettizio di
sindacato generalizzato sull'azione
amministrativa ed i documenti oggetto
dell'istanza devono essere già formati ed in
possesso dell'Amministrazione.
Conseguentemente deve ritenersi
inammissibile un ricorso avverso il
silenzio-rigetto della p.A. in merito ad
un'istanza di accesso agli atti nel caso in
cui la domanda di accesso:
a) abbia un
oggetto generico e indeterminato;
b) sia
finalizzata ad un controllo generalizzato
sull'operato dei destinatari dell'istanza;
c) per taluni profili non riguardi documenti
esistenti, ma postuli una attività di
elaborazione di dati;
d) ove si tratti di
domanda di accesso presentata da una
associazione di tutela dei consumatori, per
buona parte del suo oggetto non evidenzi uno
specifico interesse in relazione a reali o
probabili lesioni degli interessi dei
consumatori, ma miri, in una logica di
sospetto, a ottenere dati per verificare la
possibilità di violazioni; e) miri ad un
controllo di tipo investigativo-preventivo
(Cons. Stato, sez. VI, 02-04-2010 n. 1900;
Cons. Stato, sez. VI, 10-02-2006 n. 555).
3.
Nell'ipotesi di semplice domanda di
produzione di un atto regolamentare, essendo
esso fatto oggetto di idonea pubblicazione,
lo stesso deve essere prodotto a chiunque ne
faccia richiesta senza che, a tal fine,
possa assumere alcun rilievo la disciplina
relativa all'accesso e, quindi, anche alla
dimostrazione di un oggettivo interesse alla
produzione dell'atto, che deve essere
consegnato in copia a chiunque e comunque ne
faccia richiesta, salvo il versamento dei
relativi oneri (Cons. Stato, sez. V,
05-09-2006 n. 5116)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Molise,
sentenza 13.05.2010 n. 210 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Usucapione
della servitù avente ad oggetto il diritto
di mantenere l'edificio a distanza inferiore
a quella legale.
In materia di violazione delle distanze
legali tra proprietà confinanti, deve
ritenersi ammissibile l'acquisto per
usucapione di una servitù avente ad oggetto
il mantenimento di una costruzione a
distanza inferiore a quella fissata dalle
norme del codice civile o da quelle dei
regolamenti e degli strumenti urbanistici
locali
(massima tratta da www.lavatellilatorraca.it
- Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 22.02.2010 n. 4240). |
EDILIZIA PRIVATA: Nozione
di costruzione.
Ai fini dell'osservanza delle norme in
materia di distanze legali stabilite
dall'art. 873 c.c. o da norme regolamentari
integrative, la nozione di «costruzione»
comprende qualsiasi opera non completamente
interrata avente i caratteri della solidità
ed immobilizzazione rispetto al suolo (nella
specie, si è ritenuto che integrasse la
nozione di «costruzione», ai predetti
fini, una baracca di zinco costituita solo
da pilastri sorreggenti lamiere, priva di
mura perimetrali ma dotata di copertura)
(massima tratta da www.lavatellilatorraca.it
- Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 19.10.2009 n. 22127). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il termine perentorio di 60 gg.
-a disposizione della Soprintendenza per
l'annullamento- decorre dalla ricezione
dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata
e della documentazione
tecnico–amministrativa, sulla cui base il
provvedimento è stato adottato; in caso di
omessa o incompleta trasmissione di detta
documentazione, il termine non decorre e la
Soprintendenza legittimamente richiede gli
atti mancanti.
La giurisprudenza (cfr., ex multis
Cons. St. Sez. VI n. 4182 del 12.08.2002),
muovendo dal pacifico orientamento del
carattere perentorio del termine di 60
giorni, previsto per l’esercizio del potere
di annullamento, ha ritenuto che tale
termine decorra dalla ricezione da parte
della Soprintendenza dell’autorizzazione
rilasciata e della documentazione
tecnico–amministrativa, sulla cui base il
provvedimento è stato adottato; in caso di
omessa o incompleta trasmissione di detta
documentazione, il termine non decorre e la
Soprintendenza legittimamente richiede gli
atti mancanti.
Tale richiesta istruttoria può, quindi,
essere effettuata nel solo caso di mancata
trasmissione della documentazione, sulla cui
base l’autorizzazione è stata rilasciata, e
non di altra documentazione ritenuta utile
dalla Soprintendenza.
Una volta che la documentazione acquisita
nel procedimento conclusosi con il nulla
osta regionale sia stata trasmessa in modo
completo, unitamente ovviamente
all’autorizzazione stessa, si deve ritenere
che decorra il termine di 60 giorni per
l’esercizio del potere di annullamento senza
che lo stesso possa essere interrotto da
richieste istruttorie, che risultano idonee
ad interrompere il termine solo in caso di
incompleta trasmissione della documentazione
su cui l’ente regionale (o sub-delegato) si
sia pronunciato.
Del resto, tale impostazione appare conforme
alla natura di riesame di sola legittimità,
e non di merito (confermato dalla Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza
n. 9 del 14/12/2001), di cui al predetto
potere di annullamento: se la Soprintendenza
ritiene che l’autorizzazione è stata
rilasciata in assenza della documentazione
necessaria, potrà annullare l’atto,
rilevando il vizio di eccesso di potere per
difetto di istruttoria, come evidenziato
anche dal Tar.
Comunque, qualora l’autorità preposta al
controllo ritenga di dover acquisire
elementi ulteriori rispetto quelli posti
alla base dell’autorizzazione, potrà
acquisirli direttamente tramite un
sopralluogo, o delegare tale acquisizione,
tenendo però conto che tale richiesta non è
idonea ad interrompere il termine perentorio
di 60 giorni per la conclusione del
procedimento, in quanto relativa a documenti
diversi ed ulteriori, rispetto quelli
acquisiti nel procedimento conclusosi con
l’autorizzazione.
Ogni diversa interpretazione attribuirebbe
alla suddetta autorità un potere, che
potrebbe agevolmente essere sospeso
indefinitamente con richieste di elementi
integrativi, che condurrebbero al concreto
risultato dell’elusione del termine
perentorio.
Una siffatta elusione del termine perentorio
finirebbe per porsi in contrasto con i
principi affermati dalla Corte
Costituzionale in materia di distribuzione
legislativa, tra Stato e Regioni, dei poteri
autorizzatori in ambito paesaggistico,
alterando, attraverso un potere di
annullamento in pratica esercitabile senza
termine certo, quel principio di giusto
equilibrio tra i poteri di varie autorità,
valorizzato dal giudice delle leggi (cfr.,
Corte Cost., n. 359/1985, n. 153/1986, n.
302/1988 e n. 1112/1988)
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 17.04.2009 n. 861 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Integrazione
dell'art. 873 C.C. da parte delle norme
degli strumenti urbanistici sulle distanze.
Le prescrizioni dei piani regolatori
generali e degli annessi regolamenti
comunali edilizi, che disciplinano le
distanze nelle costruzioni anche con
riguardo ai confini, sono integrative del
codice civile, sicché il giudice, in
applicazione del principio iura novit
curia, deve acquisirne diretta
conoscenza d'ufficio, quando la violazione
di queste sia dedotta dalla parte
(massima tratta da www.lavatellilatorraca.it
- Corte di Cassazione, Sez. II civile,
02.02.2009, n. 2563). |
EDILIZIA PRIVATA: Applicazione
dell'art. 9 D.M. 1444/1968.
L'art. 9, comma 1 n. 2, d.m. 02.04.1968 n.
1444 -emanato in forza dell'art.
41-quinquies l. 17.08.1942 n. 1150, aggiunto
dall'art. 17 l. 06.08.1967 n. 765- in base
al quale la distanza tra pareti finestrate
di edifici frontisti non deve essere
inferiore a dieci metri, si riferisce alle
sole nuove edificazioni consentite in zone
diverse dal centro storico (zona A), posto
che in questo ultimo, dove vige il generale
divieto di costruzioni "ex novo", la
norma si limita a prescrivere che la
distanza non sia inferiore a quella
intercorrente tra i volumi edificati
preesistenti
(massima tratta da www.lavatellilatorraca.it
- Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 20.05.2008 n. 12767). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004
non distingue tra violazioni sostanziali
–ossia produttive di un concreto danno
ambientale per l’effettivo contrasto
dell’intervento con i valori paesistici
della zona– ed illeciti meramente formali,
consistenti cioè nella mera inosservanza di
obblighi come l’omessa acquisizione del
prescritto nulla osta, e quindi non prevede
come presupposto per l’irrogazione delle
sanzioni l’esistenza di un vulnus materiale
al paesaggio.
Il rilascio “ex post” dell’attestazione di
compatibilità paesaggistica dei lavori con
il contesto vincolato non estingue il potere
di imporre il pagamento –a sanzione della
violazione degli obblighi che gravano sul
proprietario o detentore dei beni in zona di
dichiarato interesse paesaggistico e
ambientale– di una somma equivalente al
maggior importo fra il danno arrecato ed il
profitto conseguito mediante la
trasgressione.
Per “profitto conseguito” -in merito alla
quantificazione della sanzione ex art. 167
d.lgs 42/2004- deve intendersi il vantaggio
economico che il trasgressore ritrae
dall’opera, a prescindere dal momento in cui
interviene la scoperta o l’auto-denuncia
ovvero dalla data di ultimazione, in quanto
l’art. 167 ha funzione deterrente e
punitiva, reagendo al semplice fatto formale
dell’accertata inottemperanza all’obbligo
previsto dalla legge, che impone di chiedere
ed ottenere l’autorizzazione prima di
eseguire le opere.
Il Collegio ha già statuito (sentenza
10/03/2005 n. 144) che la norma in commento
-art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004- non
distingue tra violazioni sostanziali –ossia
produttive di un concreto danno ambientale
per l’effettivo contrasto dell’intervento
con i valori paesistici della zona– ed
illeciti meramente formali, consistenti cioè
nella mera inosservanza di obblighi come
l’omessa acquisizione del prescritto nulla
osta, e quindi non prevede come presupposto
per l’irrogazione delle sanzioni l’esistenza
di un vulnus materiale al paesaggio
(TAR Campania Napoli, sez. IV – 11/11/2004
n. 16752; TAR Liguria, sez. I – 20/02/2004
n. 181): il fatto che le misure siano
comminate indistintamente per qualsiasi tipo
di trasgressione, anche formale, avvalora
poi la linea interpretativa che assegna ad
esse una funzione non solo ripristinatoria,
ma anche deterrente.
Infatti, se l’ordinamento appresta un
diverso e specifico strumento per il
risarcimento del danno ambientale, ossia
l’azione riparatoria di cui all’art. 18
della L. 08/07/1986 n. 349, da ciò si può
desumere che la tutela del paesaggio, nel
nostro sistema giuridico, è assicurata da
misure prettamente ripristinatorie e
riparatorie –quali appunto il risarcimento
del danno ex art. 18 della L. 349/1986– e da
misure prettamente sanzionatorie che hanno
in via principale funzione deterrente, come
le sanzioni di cui all’art. 167 del D. Lgs.
42/2004, le quali, per la loro diversa
funzione e finalità, ben possono concorrere
tra loro (Consiglio di Stato, sez. VI –
02/06/2000 n. 3184).
Dunque la sanzione amministrativa è
applicabile anche nelle ipotesi di illeciti
formali, come nel caso di violazione
dell’obbligo di conseguire l’autorizzazione
preventiva a fronte di un intervento
riconosciuto compatibile col contesto
paesistico oggetto di protezione (cfr. di
recente, Consiglio di Stato, sez. VI –
28/7/2006 n. 4690).
In definitiva è pacifico in giurisprudenza
che il rilascio “ex post”
dell’attestazione di compatibilità dei
lavori con il contesto vincolato non
estingue il potere di imporre il pagamento
–a sanzione della violazione degli obblighi
che gravano sul proprietario o detentore dei
beni in zona di dichiarato interesse
paesaggistico e ambientale– di una somma
equivalente al maggior importo fra il danno
arrecato ed il profitto conseguito mediante
la trasgressione (cfr. da ultimo Consiglio
di Stato, sez. VI – 06/04/2007 n. 1565).
Peraltro l’art. 83 della L.r. 12/2005
–rubricato “sanzioni amministrative a
tutela del paesaggio”– dispone al comma
1 che “L'applicazione della sanzione
pecuniaria, prevista dall'articolo 167 del
D.Lgs. n. 42/2004, in alternativa alla
rimessione in pristino, è obbligatoria anche
nell'ipotesi di assenza di danno ambientale
e, in tal caso, deve essere quantificata in
relazione al profitto conseguito e,
comunque, in misura non inferiore a
cinquecento euro”.
--------------
Pare anzitutto evidente che un manufatto
interrato (box) di 1.300 mq. –compiuto in
zona sottoposta a vincolo paesaggistico– non
deve essere apprezzato soltanto come opera
in sé, isolata dall’ambiente in cui è
inserita, ma in relazione all’uso cui è
destinata: un parcheggio di pertinenza di un
ampio complesso immobiliare è idoneo ad
incidere sensibilmente sull’assetto
circostante, a causa del movimento dei
numerosi veicoli che vi accedono. Il
notevole flusso di mezzi in ingresso e in
uscita non può ritenersi privo di impatto
sull’ambiente e sui suoi connotati, per cui
si rivela incongruo il tentativo di
segmentare un intervento edilizio unitario
nella parte visibile e in quella non
visibile, dal momento che le norme di tutela
del paesaggio perseguono la finalità di
salvaguardare i valori paesaggistici da ogni
alterazione o trasformazione rilevante
suscettibile di provocare loro un
pregiudizio.
Del resto non è possibile invertire l’ordine
logico imposto dal legislatore e fondare
ex post sulla certificazione di assenza
di danno ambientale l’esonero dall’obbligo
di una preventiva valutazione paesaggistica.
Il Comune ha calcolato la differenza tra il
valore venale dell’opera conclusa ed il
costo per la sua realizzazione, stimando un
profitto di 55 € al mq., di poco inferiore
al 10% del valore venale del parcheggio.
Il criterio adottato risulta attendibile, in
quanto prende in considerazione l’operazione
compiuta e valorizza i ricavi procurati e i
costi sostenuti per determinare il dato
economico previsto dal legislatore. Osserva
il Collegio che la congruità delle cifre
stimate dall’amministrazione non è stata in
alcun modo contestata dalla Società
ricorrente, che ha solo genericamente
dedotto un difetto di istruttoria.
Fuorviante appare la pretesa della
ricorrente di applicare un metodo che
delimita il profitto degno di apprezzamento
al periodo compreso tra il compimento della
trasgressione e l’ottenimento del titolo in
sanatoria. Va ribadito anzitutto che
l’autorizzazione in sanatoria non
costituisce un “equipollente perfetto”
dell’autorizzazione preventiva, poiché la
commissione dell’illecito abilita
l’amministrazione a valutare la consistenza
del pregiudizio ambientale e se sia il caso
di disporre la demolizione dell’opera
abusiva, ovvero di comminare la sanzione
equivalente alla maggiore somma tra il danno
arrecato e il profitto conseguito mediante
la trasgressione (Consiglio di Stato, sez.
VI – 22/09/2006 n. 5574).
In secondo luogo la ricostruzione proposta
darebbe luogo ad irragionevoli disparità di
trattamento, dato che gli interventi più
complessi e di maggiore impatto –che
richiedono tempi di realizzazione più ampi–
ove venisse rilasciata la certificazione di
assenza di danno ambientale difficilmente
verrebbero sanzionati in quanto non ancora
ultimati in quel momento; viceversa
risulterebbero unicamente colpiti gli
interventi più modesti, che si concludono in
breve tempo e permettono di ottenere
celermente dall’opera le proprie utilità.
Addirittura si offrirebbe ai trasgressori la
possibilità di raggiungere lo stadio
immediatamente antecedente alla conclusione
dell’intervento, nella certezza
dell’immunità dalla sanzione pecuniaria.
E’ evidente dunque che per “profitto
conseguito” deve intendersi il vantaggio
economico che il trasgressore ritrae
dall’opera, a prescindere dal momento in cui
interviene la scoperta o l’auto-denuncia
ovvero dalla data di ultimazione, in quanto
l’art. 167 del D.Lgs. 42/2004 ha funzione
deterrente e punitiva, reagendo al semplice
fatto formale dell’accertata inottemperanza
all’obbligo previsto dalla legge, che impone
di chiedere ed ottenere l’autorizzazione
prima di eseguire le opere (cfr. Corte di
Cassazione, sez. unite civili – 10/08/1996
n. 7403; 18/05/1995 n. 5473; TAR Sicilia
Catania, sez. I – 8/32004 n. 542).
Il calcolo effettuato dal Comune appare
corretto anche alla luce del D.M. 26/09/1997
–emanato dal Ministro per i beni culturali e
ambientali, di concerto con il Ministro dei
lavori pubblici in materia di condono nelle
zone sottoposte a vincolo– ove si qualifica
quale “profitto” la differenza tra il
valore dell’opera realizzata ed i costi
sostenuti per l’esecuzione della stessa,
alla data di effettuazione delle perizia
(art. 2)
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 18.04.2008 n. 388 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Distanza
dalle strade.
(...) detto divieto di edificazione non
preclude, di norma, il recupero di edifici
esistenti entro le fasce in oggetto; in
difetto di specifici divieti stabiliti dalla
disciplina edificatoria comunale (PRG o
Regolamento edilizio), il recupero può
considerarsi quindi ammissibile, anche
eventualmente spinto ai limiti estremi della
ristrutturazione integrale da cui deriva un
edificio completamente diverso, purché venga
accertato, in sede istruttoria, che il nuovo
edificio non rechi, rispetto alla situazione
preesistente, pregiudizi maggiori alle
esigenze di tutela sopra indicate
(massima tratta da www.lavatellilatorraca.it
-
TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 07.04.2008 n. 357 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
l’articolo 167, comma 5, del decreto
legislativo n. 42/2004, qualora venga
accertata la compatibilità paesaggistica
delle opere realizzate in assenza della
prescritta autorizzazione, il trasgressore è
tenuto al pagamento di una somma equivalente
al maggiore importo tra il danno arrecato e
il profitto conseguito mediante la
trasgressione, il cui importo è determinato
previa perizia di stima, e che il pagamento
di tale somma costituisce una sanzione
amministrativa pecuniaria che prescinde
dalla sussistenza effettiva di un danno
ambientale, al pari della indennità
risarcitoria prevista dalla previgente
disposizione dell’articolo 15 della legge n.
1497/1939.
La
valutazione del danno ambientale non può
essere oggetto di una analitica
dimostrazione, trattandosi di un danno che
sfugge ad un’indagine dettagliata e minuta,
sicché tale valutazione può essere censurata
solo per manifesta illogicità.
Si deve rammentare che, secondo l’articolo
167, comma 5, del decreto legislativo n.
42/2004, qualora venga accertata la
compatibilità paesaggistica delle opere
realizzate in assenza della prescritta
autorizzazione, il trasgressore è tenuto al
pagamento di una somma equivalente al
maggiore importo tra il danno arrecato e il
profitto conseguito mediante la
trasgressione, il cui importo è determinato
previa perizia di stima, e che il pagamento
di tale somma - secondo la giurisprudenza -(ex
multis, TAR Campania Napoli, Sez. IV,
11.11.2004, n. 16752)- costituisce una
sanzione amministrativa pecuniaria che
prescinde dalla sussistenza effettiva di un
danno ambientale, al pari della indennità
risarcitoria prevista dalla previgente
disposizione dell’articolo 15 della legge n.
1497/1939 (ex multis, Cons. Stato,
Sez. VI, 02.06.2000, n. 3184).
Inoltre occorre rammentare che, secondo una
consolidata giurisprudenza (ex multis,
TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 27.02.2007, n.
1751; TAR Veneto Venezia, Sez. II,
29.11.2006, n. 3925), la sanzione pecuniaria
de qua deve essere applicata anche in caso
di condono edilizio di opere abusive
realizzate in zone vincolate per le quali
l’Autorità preposta alla tutela del vincolo
abbia espresso parere favorevole alla
sanatoria, ai sensi dell’articolo 32 della
legge n. 47/1985.
Del resto tale assunto
trova conferma nella disposizione
dell’articolo 2, comma 46, della legge n.
662/1996 -secondo il quale per le opere
eseguite in aree sottoposte a vincoli
paesistici il versamento dell’oblazione non
esime dall’applicazione dell’indennità
risarcitoria prevista dall’articolo 15 della
legge n. 1497/1939- anche se non si registra
unanimità di vedute in merito alla natura
innovativa o meramente interpretativa di
tale disposizione.
Infatti, secondo la giurisprudenza invocata
dal ricorrente (Cons. Stato, Sez. IV,
30.06.2003, n. 3931) solo con la
disposizione dell’articolo 2, comma 46,
della legge n. 662/1996 è stato affermato
che l’inapplicabilità, a seguito di condono
edilizio, delle sanzioni amministrative
(inapplicabilità sancita in termini generali
dall’articolo 38 della legge n. 47/1985) non
si estende alle sanzioni in materia
paesistica, sicché per le fattispecie
realizzatesi prima dell’entrata in vigore di
tale disposizione deve, al contrario,
ritenersi che il rilascio della concessione
in sanatoria comporti la piena
regolarizzazione dell’abuso.
Invece secondo l’orientamento che risulta
maggioritario (ex multis, Cons.
Stato, Sez. IV, 04.02.2004, n. 395;
06.10.2003, n. 5875; 05.08.2003, n. 4481),
invocato dal Comune di Vico Equense, dal
tenore letterale della disposizione in esame
si desume che essa ha natura meramente
interpretativa dell’articolo 38 della legge
n. 47/1985 e, quindi, si applica anche alle
fattispecie realizzatesi prima della sua
entrata in vigore.
Ulteriori contrasti interpretativi sono poi
sorti con riferimento all’individuazione del
termine dal quale inizia a decorrere il
termine di prescrizione quinquennale
previsto dall’articolo 28 della legge n.
689/1981 (secondo il quale “il diritto a
riscuotere le somme dovute per le violazioni
indicate dalla presente legge si prescrive
nel termine di cinque anni dal giorno in cui
è stata commessa la violazione”),
generalmente ritenuto applicabile anche alla
sanzione amministrativa di cui all’articolo
167, comma 5, del decreto legislativo n.
42/2004.
Secondo parte della giurisprudenza tale
termine inizia a decorrere dal momento in
cui cessa la permanenza dell’illecito, che
da taluno (TAR Basilicata Potenza,
19.09.2003, n. 888) è stato individuato nel
momento in cui l’Autorità preposta alla
tutela del vincolo esprime parere favorevole
al mantenimento dell’opera abusiva, mentre
secondo altri (TAR Toscana Firenze, Sez. III,
11.08.2005, n. 4017) coincide con
l’accertamento dell’illecito, accertamento
che può avvenire d’ufficio ovvero in esito
al procedimento di sanatoria edilizia, anche
perché ragionando diversamente si
perverrebbe ad affermare che anche dopo il
rilascio della concessione in sanatoria
l’immobile possa essere demolito in quanto
non compatibile con gli interessi
ambientali, e ciò si porrebbe in
contraddizione logica con il rilascio del
titolo a sanatoria che a sua volta
presuppone la compatibilità ambientale
dell’opera.
A fronte di tali orientamenti, la prevalente
giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV,
11.04.2007, n. 1585; 15.11.2004, n. 7405;
04.02.2004, n. 395) afferma invece che, ai
fini di una corretta ricostruzione dei
rapporti tra la fattispecie dell’articolo 28
della legge n. 689/1981 e quella
dell’articolo 167, comma 5, del decreto
legislativo n. 42/2004, si deve partire dal
presupposto che il potere sanzionatorio
previsto da quest’ultima disposizione ha
natura autoritativa e, quindi, non può
estinguersi per prescrizione.
Infatti solo un’espressa previsione
normativa potrebbe fissare un termine di
decadenza, ad esempio decorrente dalla data
di accertamento dell’illecito ambientale, ma
una norma di tal genere attualmente non
esiste.
Inoltre, secondo questo
orientamento, il credito
dell’Amministrazione non sorge al momento
della realizzazione dell’opera abusiva in
zona sottoposta a vincolo, ma solo al
momento del perfezionamento di una
fattispecie complessa costituita
dall’accertamento dell’illecito ambientale e
dalla conclusione dello specifico subprocedimento di quantificazione della
sanzione da irrogare per tale illecito.
Pertanto prima della conclusione di tale
subprocedimento non sono configurabili né
l’inadempimento del trasgressore, né
l’inerzia dell’Amministrazione, non potendo
essere versata o riscossa una somma per la
cui quantificazione non si è ancora concluso
l’apposito procedimento previsto dalla
legge.
Secondo la prevalente giurisprudenza (ex
multis, Cons. Stato, Sez. IV, n.
1585/2007 cit.), non è quindi corretto
affermare che la prescrizione inizia a
decorrere dalla data del rilascio del parere
favorevole al condono di cui all’articolo 32
della legge n. 47/1985, sul presupposto che
in tale momento venga a cessare la
permanenza dell’illecito ambientale.
Infatti, se è vero che tale illecito ha
natura permanente, è altrettanto vero che lo
stesso è caratterizzato dall’omissione
dell’obbligo, perdurante nel tempo, di
ripristinare lo stato dei luoghi e, quindi,
il provvedimento repressivo di tale illecito
(di demolizione ovvero di irrogazione della
sanzione pecuniaria) non può comunque
intendersi emanato a distanza di tempo dalla
commissione dell’abuso, perché è volto a
sanzionare una situazione antigiuridica
ancora persistente.
Inoltre quanto precede trova conferma nella
già citata disposizione dell’articolo 2,
comma 46, della legge n. 662/1996, secondo
la quale il pagamento dell’oblazione
prevista dalle leggi sul condono edilizio
non fa venir meno il potere sanzionatorio
previsto dall’articolo 167, comma 5, del
decreto legislativo n. 42/2004, perché tale
disposizione chiarisce che le sanzioni in
materia edilizia e quelle in materia
ambientale hanno finalità diverse.
Tali considerazioni rivelano inoltre
l’insostenibilità della tesi secondo la
quale la prescrizione inizia a decorrere dal
momento del rilascio della concessione in
sanatoria. Del resto la giurisprudenza,
affrontando il tema dei rapporti tra la
sanzione di cui all’articolo 15 della legge
n. 1497/1939 ed il condono edilizio (TAR
Lazio, Roma, Sez. II-bis, 27.02.2007, n.
1751), ha ribadito che l’applicazione di
tale sanzione, prescindendo dalla
sussistenza di un danno ambientale, non è
preclusa dalla sanatoria dell’abuso
realizzato in zona vincolata ed ha precisato
che tale affermazione non è affatto
contraddittoria. Infatti se è vero che il
condono edilizio consente la sanatoria di
abusi edilizi relativi a immobili sottoposti
a vincolo, è anche vero che la sanatoria
riguarda soltanto gli abusi edilizi e non si
estende agli illeciti paesistici.
Infine, quanto al procedimento mediante il
quale deve essere determinato l’importo
della sanzione da irrogare ai sensi
dell’articolo 167, comma 5, del decreto
legislativo n. 42/2004, si deve rammentare
che, in materia di condono edilizio,
l’articolo 2, comma 46, della legge n.
662/1996 (come modificato, dall’articolo 10,
comma 5-ter, del decreto legge n. 669/1996,
convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 30/1997) ha previsto l’emanazione di un
apposito decreto interministeriale per la
determinazione dei parametri e delle
modalità per la quantificazione della
indennità risarcitoria prevista dall’art. 15
della legge n. 1497 del 1939, con
riferimento alle singole tipologie di abuso
ed alle zone territoriali oggetto del
vincolo.
Sulla base di tale previsione è stato quindi
emanato dal Ministro per i beni culturali e
ambientali, di concerto con il Ministro dei
lavori pubblici, il D.M. 26.09.1997, il cui
articolo 2 dispone che l’indennità
risarcitoria in questione sia “determinata
previa apposita perizia di valutazione del
danno causato dall’intervento abusivo in
rapporto alle caratteristiche del territorio
vincolato ed alla normativa di tutela
vigente sull’area interessata, nonché
mediante la stima del profitto conseguito
dalla esecuzione delle opere abusive”,
fermo restando che “in via generale è
qualificato quale profitto la differenza tra
il valore dell’opera realizzata ed i costi
sostenuti per la esecuzione della stessa,
alla data di effettuazione delle perizia”
e che ulteriori e più specifici criteri per
la determinazione del profitto conseguito
sono individuati dal successivo articolo 3.
Ciò posto, la giurisprudenza (TAR Campania
Napoli, Sez. IV, n. 16752/2004 cit.) ha
comunque ribadito che la valutazione del
danno ambientale non può essere oggetto di
una analitica dimostrazione, trattandosi di
un danno che sfugge ad un’indagine
dettagliata e minuta, sicché tale
valutazione può essere censurata solo per
manifesta illogicità
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 04.04.2008 n. 1881 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
diniego di nulla-osta ambientale deve essere
assistito da un apparato motivazionale che,
sia pure in forma sintetica, dia conto di
quelle esigenze ed esplichi in concreto i
motivi per i quali la costruzione, per le
sue caratteristiche architettoniche ed
estetiche, viene giudicata pregiudizievole
dell’integrità del contesto ambientale in
cui si inserisce e, con essa, degli
specifici interessi pubblici alla cui tutela
il vincolo è inteso.
Com’è noto, il parere dell’autorità preposta
alla tutela del vincolo, previsto dall’art.
32 della legge n. 47/1985, costituisce
manifestazione di discrezionalità tecnica
che, in quanto tale, deve recare
l’indicazione delle ragioni assunte a
fondamento della ritenuta compatibilità o
incompatibilità di un dato intervento
edilizio con le esigenze di tutela
paesistica sottese all’imposizione del
vincolo stesso.
Ne discende che il diniego di nulla osta
deve essere assistito da un apparato
motivazionale che, sia pure in forma
sintetica, dia conto di quelle esigenze ed
esplichi in concreto i motivi per i quali la
costruzione, per le sue caratteristiche
architettoniche ed estetiche, viene
giudicata pregiudizievole dell’integrità del
contesto ambientale in cui si inserisce e,
con essa, degli specifici interessi pubblici
alla cui tutela il vincolo è inteso
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 14.03.2008 n. 295 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
valutazione di tutela paesaggistica ai fini
di un diniego edificatorio costituisce un
giudizio, connotato da ampia discrezionalità
tecnica da parte dell’organo amministrativo
competente alla tutela del paesaggio, che,
se non viziata da irragionevolezza o
arbitrarietà, errori o travisamento di
fatto, si sottrae al sindacato del Giudice
amministrativo.
Il giudizio demandato dalla legge alla
Commissione per la tutela del paesaggio
implica una tipica valutazione di merito,
intesa, in senso tecnico, come valutazione
fondata su determinate scelte di valore,
essendo detto organo tecnico chiamato ad
individuare in una situazione concreta una
certa misura di valore, non ad effettuare
apprezzamenti discrezionali, al fine di
scegliere, tra contrapposti interessi
pubblici e privati, quello che debba
ritenersi prevalente secondo un ordine di
priorità già stabilito dall'ordinamento.
La valutazione di tutela paesaggistica ai
fini di un diniego edificatorio costituisce
un giudizio, connotato da ampia
discrezionalità tecnica da parte dell’organo
amministrativo competente alla tutela del
paesaggio, che, se non viziata da
irragionevolezza o arbitrarietà, errori o
travisamento di fatto, si sottrae al
sindacato del Giudice amministrativo.
Questo Tribunale condivide, infatti,
quell'indirizzo giurisprudenziale, secondo
il quale "la tutela del paesaggio é
interesse prevalente su qualunque altro
interesse pubblico e privato, che non
richiede alcuna comparazione con l'interesse
del privato che abbia già dato avvio ad una
costruzione in zona che l'amministrazione
intende sottoporre a vincolo paesaggistico”
(Cons. St. sez. VI 27.10.1988, n. 1179; cfr
anche: sez. VI 29.03.1983 n. 162, per la
quale non é contestabile in sede di
legittimità la valutazione discrezionale
dell'amministrazione in ordine all'incidenza
della costruzione abusiva sul paesaggio).
Appare, invero, opportuno ribadire che,
secondo un orientamento giurisprudenziale da
tempo consolidato, il giudizio demandato
dalla legge alla Commissione per la tutela
del paesaggio, implica una tipica
valutazione di merito, intesa, in senso
tecnico, come valutazione fondata su
determinate scelte di valore, essendo detto
organo tecnico chiamato ad individuare in
una situazione concreta una certa misura di
valore, non ad effettuare apprezzamenti
discrezionali, al fine di scegliere, tra
contrapposti interessi pubblici e privati,
quello che debba ritenersi prevalente
secondo un ordine di priorità già stabilito
dall'ordinamento (TRGA Bolzano, n. 155/1996
del 06.05.1996.
Il richiamo, nel diniego contestato, alle
notevoli dimensioni dei progettatati
edifici, nonché alla costruzione ex novo
di una strada in ambiente paesaggisticamente
pregevole, configura una motivazione
sufficiente, non viziata da irragionevolezza
o arbitrarietà e, quindi, con riferimento
alla giurisprudenza citata, non sindacabile
da questo Giudice
(TRGA Trentino Alto Adige-Bolzano,
sentenza 21.12.2007 n. 394 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nozione
di parete finestrata e distanza tra
fabbricati.
In tema di distanze tra le costruzioni,
l'art. 9 n. 2 d.m. 02.04.1968 n. 1444
prescrive, con disposizione tassativa ed
inderogabile, la distanza minima assoluta di
10 metri tra i fabbricati anche nel caso in
cui solo una delle pareti antistanti risulti
finestrata e non entrambe (massima tratta da
www.lavatellilatorraca.it - Corte di
Cassazione, Sez. II civile, 26.10.2007 n.
22495). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
costituisce volume un fabbricato che non
presenta una muratura perimetrale che ne
contenga la superficie, risultando chiuso
solo su due lati.
Non costituisce volume un fabbricato che non
presenta una muratura perimetrale che ne
contenga la superficie, risultando chiuso
solo su due lati, onde in nessun caso
ricorre l’ipotesi di un volume recuperabile,
attraverso la sostituzione dell’originario
volume agricolo con un volume residenziale,
come assentito nel permesso impugnato
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.09.2007 n. 4652 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI: Sussiste
l’incompetenza professionale di un geometra
quale titolare del progetto assentito che
vede la realizzazione di un’opera in cemento
armato di non modeste dimensioni, prevedendo
la realizzazione complessiva di un volume
pari a circa 2.000 mc..
La finalità dell’art. 16 r.d. 11.02.1929 n.
274 (che prevede la competenza dei geometri
solo per i progetti riguardanti modeste
costruzioni) è quella di evitare il pericolo
per l’incolumità delle persone.
Non possono rientrare nella competenza dei
geometri opere di cemento armato che non
siano piccole costruzioni accessorie e ciò
anche quando il calcolo del cemento armato
sia stato affidato ad un ingegnare o ad un
architetto.
Al riguardo, la
Sezione non ritiene di doversi distaccare
dall’orientamento anche recente assunto in
materia dalla Cassazione la quale, ribadendo
che la finalità dell’art. 16 r.d. 11.02.1929
n. 274 è quella di evitare il pericolo per
l’incolumità delle persone, ha escluso che
possano rientrare nella competenza dei
geometri opere di cemento armato che non
siano piccole costruzioni accessorie (Sez.
II n. 27441 del 21/12/2006; n. 17028 del
26/07/2006) e ciò anche quando il calcolo
del cemento armato sia stato affidato ad un
ingegnare o ad un architetto.
Pertanto, sussiste l’incompetenza
professionale di un geometra quale titolare
del progetto assentito che vede la
realizzazione di un’opera in cemento armato
di non modeste dimensioni, prevedendo la
realizzazione complessiva di un volume pari
a circa 2.000 mc.
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.09.2007 n. 4652 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Successione
degli strumenti urbanistici.
In caso di successione nel tempo di norme
edilizie, la nuova disciplina, se meno
restrittiva, è applicabile anche alle
costruzioni realizzate prima della sua
entrata in vigore, con l'unico limite
dell'eventuale giudicato formatosi nella
controversia sulla legittimità della
costruzione stessa, onde la illegittimità
dell'eventuale ordine di demolizione degli
edifici originariamente illeciti alla
stregua delle precedenti norme, nei limiti
in cui siano consentiti dalla normativa
sopravvenuta
(massima tratta da www.lavatellilatorraca.it
- Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza
02.03.2007 n. 4980). |
COMPETENZE PROGETTUALI: La
linea di demarcazione tra la competenza dei
geometri e le attribuzioni riservate alla
professione di ingegnere è costituita dalla
modesta o tenuità dell’opera, essendo
preclusa al geometra la realizzazione di un
complesso di lavori che richiede una visione
d’insieme e di carattere programmatorio
complessivo.
Sono legittimi i lavori comunali affidati ad
un geometra che consistono nella
manutenzione e risistemazione delle
pavimentazioni di alcuni tratti del piazzale
e del piccolo edificio interno della
struttura mercatale
Questo TAR ha già osservato (sentenza della
prima sezione n. 777 del 2004) che la linea
di demarcazione tra la competenza dei
geometri e le attribuzioni riservate alla
professione di ingegnere è costituita, ove
non sia prevista un’esclusiva a favore di
questi ultimi professionisti, dalla modesta
o tenuità dell’opera, essendo preclusa al
geometra la realizzazione di un complesso di
lavori che richiede una visione d’insieme e
di carattere programmatorio complessivo.
Sono legittimi i lavori comunali affidati ad
un geometra che consistono nella
manutenzione e risistemazione delle
pavimentazioni di alcuni tratti del piazzale
e del piccolo edificio interno della
struttura mercatale, poiché non è dato
ravvisare quella complessità e difficoltà di
programmazione e realizzazione che
presuppone, con la necessità di affrontare
difficoltà non facilmente superabili, la
professionalità dell’ingegnere
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 28.02.2007 n. 852 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nozione
di costruzione.
Ai fini dell'individuazione della tipologia
di un intervento edilizio, il concetto di
sopraelevazione si differenzia da quello di
mero innalzamento, dovendosi considerare che
quest'ultimo, specie se modesto ed inidoneo
a determinare un incremento volumetrico, può
risultare compatibile con la nozione di
ristrutturazione, mentre non altrettanto può
affermarsi nel caso di una sopraelevazione
che sia inscindibilmente connessa
all'incremento volumetrico in ragione di un
rapporto di causa ed effetto e che sia
quindi diretta all'accrescimento della
cubatura di un fabbricato
(massima tratta da www.lavatellilatorraca.it
-
TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 19.12.2006 n. 1711
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nozione
di costruzione e distanze legali tra
fabbricati.
In tema di distanze tra costruzioni su fondi
finitimi, ai sensi dell'art. 873 c.c., con
riferimento alla determinazione del relativo
calcolo, poiché il balcone, estendendo in
superficie il volume edificatorio,
costituisce corpo di fabbrica, e poiché
l'art. 9 d.m. 02.04.1968 -applicabile alla
fattispecie, disciplinata dalla legge
urbanistica 17.08.1942 n. 1150, come
modificata dalla l. 06.08.1967 n. 765-
stabilisce la distanza minima di mt. 10 tra
pareti finestrate e pareti antistanti, un
regolamento edilizio che stabilisca un
criterio di misurazione della distanza tra
edifici che non tenga conto dell'estensione
del balcone, è contra legem in
quanto, sottraendo dal calcolo della
distanza l'estensione del balcone, viene a
determinare una distanza tra fabbricati
inferiore a mt. 10, violando il distacco
voluto dalla cd. legge ponte (l. 06.08.1967
n. 765, che, con l'art. 17, ha aggiunto alla
legge urbanistica 17.08.1942 n. 1150 l'art.
41-quinquies, il cui comma non fa rinvio al
d.m. 02.047.1968, che all'art. 9, numero 2,
ha prescritto il predetto limite di mt. 10)
(massima tratta da www.lavatellilatorraca.it
- Corte di Cassazione, Sez II civile,
sentenza 27.07.2006 n. 17089). |
EDILIZIA PRIVATA: Sostituzione
automatica delle norme degli strumenti
urbanistici difformi dall'art. 9 D.M.
1444/1968.
Poiché l'art. 136 t.u. 06.06.2001 n. 380,
nell'abrogare (con effetto ex nunc)
l'art. 17, comma 1, lett. c, delle legge n.
765 del 1967, ha lasciato in vigore i commi
6, 8, 9, dell'art. 41-quinquies della legge
n. 1150 del 1942, gli strumenti urbanistici
locali devono osservare la prescrizione di
cui all'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968,
che prevede la distanza minima inderogabile
di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti; pertanto, nel caso di
norme contrastanti, il giudice è tenuto ad
applicare la disposizione di cui al citato
art. 9, in quanto automaticamente inserita
nello strumento urbanistico in sostituzione
della norma illegittima
(massima tratta da www.lavatellilatorraca.it
- Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 29.05.2006 n. 12741). |
EDILIZIA PRIVATA: Nozione
di costruzione e distanze legali.
In tema di distanze legali, il muro di
contenimento di una scarpata o di un
terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione"
agli effetti della disciplina di cui
all'art. 873 c.c. per la parte che adempie
alla sua specifica funzione, e, quindi,
dalle fondamenta al livello del fondo
superiore, qualunque sia l'altezza della
parete naturale o della scarpata o del
terrapieno cui aderisce, impedendone lo
smottamento; la parte del muro che si
innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della
funzione di conservazione dello stato dei
luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica
propria delle sue oggettive caratteristiche
di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi
soggetti, perché costruzioni nel senso sopra
specificato, il terrapieno ed il relativo
muro di contenimento elevati ad opera
dell'uomo per creare un dislivello
artificiale o per accentuare il naturale
dislivello esistente (massima tratta da
www.lavatellilatorraca.it - Corte di
Cassazione, Sez. II civile, sentenza
10.01.2006 n. 145). |
EDILIZIA PRIVATA: Distanza
dalle strade.
Le fasce di rispetto stradale previste dalle
norme poste dal c. strad. non costituiscono
vincoli urbanistici, ma misure poste a
tutela della sicurezza stradale che,
tuttavia, comportano l'inedificabilità delle
aree interessate (massima tratta da
www.lavatellilatorraca.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 20.10.2000 n. 5620 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Distanza
dai corsi d'acqua.
Il divieto di cui all'art. 96, lett. g),
r.d. 25.07.1904, n. 523 (t.u. delle leggi
sulle opere idrauliche) appare riferito ad
opere e atti che investono gli alvei delle
acque pubbliche, le sponde e difese, e cioè
lo spazio soggiacente alle piene ordinarie,
le sponde e le ripe interne, formanti con
l'alveo del corso d'acqua una unità
inscindibile per il contenimento e
l'economia di scorrimento delle acque, o,
comunque, le opere e i fatti che incidano
sull'economia e sul regime dell'alveo del
corso d'acqua, come sopra definito.
Ciò è confermato dalle disposizioni degli
artt. 57 e 58 stesso t.u., le quali -mentre
assoggettano al controllo della pubblica
amministrazione "i progetti per
modificazioni di argini e per costruzioni e
modificazioni di altre opere di qualsiasi
genere che possono direttamente o
indirettamente influire sul regime dei corsi
d'acqua, ecc." (art. 57)- consentono una
eccezione per "le opere eseguite dai
privati per semplice difesa, aderente alle
sponde dei loro beni, che non alterino in
alcun modo il regime dell'alveo" (art.
58) (nella specie, relativa ad
annullamento senza rinvio di sentenza di
condanna perché il fatto non è previsto
dalla legge come reato, l'imputato, per
riparare le vasche di decantazione
dell'acqua proveniente dal lavaggio degli
inerti (ghiaia e sabbia), aveva rialzato
l'argine del fiume (operando peraltro sulla
sua proprietà), e ciò non solo non aveva
cagionato alcun pregiudizio all'ambiente e
al paesaggio, ma aveva rinforzato l'argine
del fiume, senza incidere sul regime
dell'alveo e sul suo assetto)
(massima tratta da www.lavatellilatorraca.it
- Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.03.1994). |
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