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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di LUGLIO 2010

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aggiornamento al 28.07.2010

aggiornamento al 26.07.2010

aggiornamento al 19.07.2010

aggiornamento al 04.07.2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 28.07.2010

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SINDACATI

EDILIZIA PRIVATA: Rinviato al 31.12.2011 il termine per la cessione o la messa in liquidazione delle società pubbliche (CGIL-FP di Bergamo, nota 26.07.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: Maxiemendamento, cosa cambia nel trattamento economico complessivo 2011-2013 dei dipendenti (CGIL-FP di Bergamo, nota 24.07.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: La manovra sulle pensioni (INCA-CGIL di Bergamo, nota 22.07.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: Circolare n. 8 del 19.07.2010 DFP - Assenze dal servizio per malattia dei pubblici dipendenti (CISL-FPS di Bergamo, nota 22.07.2010).

ENTI LOCALI: Verso la definitiva conversione in legge - il decreto sulla manovra estiva (CGIL-FP di Bergamo, nota 19.07.2010).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI - VARI: Oggi 28.07.2010 la Camera dei Deputati voterà, con la fiducia posta dal Governo, la "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica" (AC n. 3638).
Praticamente, è il medesimo testo approvato dal Senato lo scorso 15.07.2010 con il famoso maxiemendamento del Ministro Tremonti.

NOTE, CIRCOLARI & COMUNICATI

URBANISTICA: Indicazioni operative sulla verifica della componente geologica del P.G.T. da parte delle Province (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, nota 27.04.2009 n. 8483 di prot.).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: I. Boccuzzi, Il recepimento della direttiva ricorsi: il decreto legislativo 53/2010 (link a www.amministrazioneincammino.luiss.it).

APPALTI: G. Bartoli, L’introduzione delle clausole sociali negli appalti riservati (link a www.amministrazioneincammino.luiss.it).

PUBBLICO IMPIEGO: C. Puzzo, Il certificato medico elettronico nel pubblico impiego: a pochi giorni dalla scadenza del mese di collaudo il punto della situazione (link a www.diritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: E. Soraci, Pensione di vecchiaia: nuovi limiti di età per le donne del pubblico impiego (link a www.diritto.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: M. Greco, Il mancato giuramento di un consigliere comunale e gli effetti sul quorum dell’organo consiliare (link a www.diritto.it).

APPALTI: F. Lo Gerfo, Il mistero della quarta busta: effetti del correttivo 2009 sulla disciplina delle offerte anomale nel codice dei contratti pubblici. questioni aperte di diritto transitorio (link a www.diritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: A. Leone, Sulla natura del termine annuale di cui all’art. 2, comma 8, della l. 241/1990 in ipotesi di silenzio dell’amministrazione (link a www.diritto.it).

CORTE DEI CONTI

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Varese (Va) in merito alla corretta applicazione dell'art. 1, comma 208, della L. 23.12.2005, n. 266 (sulla legittimità dell'inclusione dell'IRAP tra gli oneri riflessi)  (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 15.12.2008 n. 101.

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Parere su richiesta del Sindaco del Comune di Vigevano (PV), in relazione alla possibilità di comprendere, all'interno della quota percentuale da ripartire tra i dipendenti per la progettazione interna ai sensi dell'art. 18, comma 1 della L. 109/1994, anche la quota a carico del Comune relativa all'IRAP (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 11.02.2008 n. 4).

NEWS

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Il tecnico comunale deve pagarsi l'Irap.
Avvocati e tecnici comunali dovranno pagarsi l'Irap sui compensi per l'attività svolta.
Le sezioni riunite di controllo della Corte dei Conti (deliberazione 07.06.2010 n. 33/2010) accolgono così la tesi della sezione lombarda fino a ieri isolata (parere 11.02.2008 n. 4 ed il parere 15.12.2008 n. 101).
La questione riguarda lo scorporo dell'Irap sui compensi per l'avvocatura e la progettazione, oggetto anche di norme di interpretazione autentica ... (articolo Il Sole 24 Ore del 26.07.2010 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Trasporti, rifiuti, acqua: cosa cambia con la riforma dei servizi pubblici locali.
Con il regolamento approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri del 22.07.2010 viene completata la riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica tra i quali rientra la raccolta dei rifiuti, il trasporto pubblico locale e la gestione delle risorse idriche.
Il regolamento fissa regole chiare per lo svolgimento delle gare, affinché queste consentano in modo trasparente di selezionare il gestore più efficiente in grado di offrire tariffe più basse. Perché le gare e i rapporti tra ente affidante e soggetto gestore siano chiari e trasparenti, il regolamento introduce motivi di incompatibilità per chi ricopre o ha ricoperto funzioni di amministratore nell'ente affidante vietando a costoro di occuparsi della gestione del servizio.
Il regolamento mira ad impedire l’acquisizione di posizioni di vantaggio nel settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, con la finalità di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà e di libera prestazione dei servizi per tutti gli operatori economici interessati, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti all’universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed ai livelli essenziali delle prestazioni.
Prevista inoltre entro l'anno l'istituzione di una autorità "terza" per la regolazione delle tariffe. Una riforma importante che riguarda l’attuazione della liberalizzazione dei servizi pubblici locali, uno dei punti di criticità nell’ambito della gestione delle autonomie locali. Non sarà più possibile gestire in house questi servizi ma la gestione sarà soggetta a gara.
Sul provvedimento sono stati acquisiti i pareri della Conferenza unificata, del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari. Restano esclusi i servizi sull'energia elettrica e il gas in quanto già regolamentati da specifiche norme (link a www.governo.it).

GIURISPRUDENZA

AMBIENTE-ECOLOGIA: Il proprietario del sito a cui non sia imputabile la contaminazione dello stesso, non è tenuto ad ottemperare all'ordinanza comunale che ne imponga la bonifica.
E ciò anche se l'ordinanza gli sia stata notificata. L'interessante sentenza affronta l'interpretazione delle norme del decreto cd Ronchi in tema di responsabilità per inquinamento. La responsabilità dell'autore dell'inquinamento, ai sensi dell'art. 17, comma 2, del D.Lgs. 22/1997, costituisce una vera e propria forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale conseguenti alla contaminazione delle aree inquinate.
La natura oggettiva della responsabilità in questione è desumibile dall'obbligo di effettuare gli interventi di legge che sorge, in base all'art. 17, comma 2, del D.Lgs. 22/1997, in connessione con una condotta "anche accidentale", ossia a prescindere dall'esistenza di qualsiasi elemento soggettivo doloso o colposo in capo all'autore dell'inquinamento.
Ai fini di tale responsabilità è comunque pur sempre necessario il rapporto di causalità tra l'azione (o l'omissione) dell'autore dell'inquinamento ed il superamento -o pericolo concreto ed attuale di superamento- dei limiti di contaminazione, in coerenza col principio comunitario "chi inquina paga", principio che risulta espressamente richiamato dall'art. 15 della direttiva n. 91/156, di cui il D.Lgs. del 1997 costituisce recepimento.
Ai sensi del comma 10 dell'art. 17, che dispone che gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale costituiscono onere reale sulle aree inquinate e del comma 11 del medesimo articolo che dispone poi altresì che le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, esercitabile anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull'immobile, chi subentra nella proprietà o possesso del bene subentra anche negli obblighi connessi all'onere reale, indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza.
Quella posta in capo al proprietario dall'art. 17, commi 10 e 11, è pertanto una responsabilità "da posizione", non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non richiede neppure l'apporto causale del proprietario responsabile al superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione.
Il proprietario del sito a cui non sia imputabile, neppure in parte, la contaminazione dello stesso, non è pertanto tenuto né ad attivare di propria iniziativa il procedimento previsto dall'art. 17 comma 2, né ad ottemperare all'ordinanza comunale che imponga la bonifica del sito notificatagli solo in ragione dell'esistenza dell'onere reale (C.d.S. n.4525/2005) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.07.2010 n. 4561 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ad una gara ad evidenza pubblica ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano esclusivamente alla stazione appaltante.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale il Consiglio di Stato ritiene di non discostarsi, le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ad una gara ad evidenza pubblica ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano esclusivamente alla stazione appaltante e non già al concorrente medesimo.
Questi, spiegano i giudici della Quinta sezione, è pertanto obbligato a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare alcuna selezione delle condanne eventualmente riportate ed omettendo pertanto la dichiarazione di alcune di esse sulla base meri criteri personali (C.d.S., sez. IV, 10.02.2009, n. 740; sez. V, 06.12.2007, n. 6221).
In ordine al rispetto della precisa identificazione del contenuto dell’obbligo della dichiarazione delle cause di esclusione di cui all’articolo 38 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, ed in particolare della esistenza di sentenze penali di condanna, la giurisprudenza ha osservato (C.d.S., sez. VI, 04.08.2009, n. 4905) che solo laddove il bando di gara richieda genericamente una dichiarazione di insussistenza delle predette cause di esclusione può essere giustificata una valutazione da parte dei concorrenti della gravità delle eventuali condanne riportate (con conseguente mancanza di falsità della dichiarazione sul punto reticente o incompleta), mentre a diversa conclusione deve giungersi quando il bando abbia previsto espressamente una puntuale dichiarazione delle sentenze penali di condanne riportate (all’evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione sulla gravità degli eventuali illeciti), perché in tali casi la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell’essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso la dichiarazione espressamente prevista.
A ciò deve ancora aggiungersi che le false dichiarazioni sul possesso dei requisiti, quali la mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna, si configurano come causa autonoma di esclusione (sez. V, 12.06.2009, n. 3742; 12.04.2007, n. 1723).
Nel caso in esame, non vi è alcun dubbio sulla circostanza che effettivamente le dichiarazioni rese dal legale rappresentante, amministratore e direttore tecnico, non contenessero alcuna indicazione delle sentenze penali di condanna, anche ex artt. 444 C.P.P., emerse a seguito degli accertamenti d’ufficio: ciò di per sé costituisce giusto motivo di esclusione dalla gara, sia con riguardo alla precisione disposizione contenuta nell’articolo 38 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, sia con riferimento alle specifiche richiamate disposizione della lex specialis di gara, con conseguente legittimità del provvedimento impugnato.
Ciò esclude, secondo i giudici del Consiglio di Stato, qualsiasi rilevanza della suggestiva prospettazione della società appellante, secondo cui il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per la omessa valutazione da parte dell’amministrazione appaltante della rilevanza delle accertate sentenze penali di condanna, non potendo il solo mero fatto dell’esistenza dei precedenti penali giustificare l’esclusione automatica dalla gara (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.07.2010 n. 4520 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Reato paesaggistico, varianti leggere o minori in corso d'opera.
La sentenza, dopo avere declinato le categorie differenti di varianti al progetto approvato ed individuato le tipologie di interventi edilizi ascrivibili alle “varianti in senso proprio”, “varianti essenziali” e “varianti leggere o minori in corso d'opera” -sulla scorta del dato normativo riveniente dall'art. 22 Testo Unico sull'Edilizia D.P.R. 380/2001, esclude l'applicabilità della contravvenzione di cui all'art. 44 lett. a.) T.U.E. D.P.R. 380/2001 quando, eseguito un intervento ascrivibile nella categoria delle “varianti leggere o minori in corso d'opera” in difformità dall'originario permesso di costruire, entro la fine dei lavori, l'interessato abbia ottenuto il titolo edilizio per detta variante.
Nel caso di specie, tra l'altro l'autorizzazione postuma aveva riguardato anche il profilo paesaggistico della vicenda procedimentale, per cui il Giudice di prime cure aveva già aveva dichiarato non doversi procedere per il reato paesaggistico, ai sensi dell'art. 181 - comma 1-ter e quater D.Lgs. 42/2004 (c.d. Codice Urbani).
Alla luce di tanto, la Suprema Corte ha disposto l'annullamento della sentenza di I grado senza rinvio perché il fatto non sussiste, limitatamente alla residua contravvenzione urbanistica (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.06.2010 n. 24236 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: La presentazione dell'istanza di sanatoria successivamente alla impugnazione dell'ordinanza di demolizione -o alla notifica del provvedimento di irrogazione delle altre sanzioni per gli abusi edilizi- produce l'effetto di rendere inefficace tale provvedimento e, quindi, improcedibile l'impugnazione stessa, per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il riesame dell'abusività dell'opera, sia pure al fine di verificarne la eventuale sanabilità, provocato da detta istanza, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, esplicito od implicito (di accoglimento o di rigetto), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale seguito da questa Sezione, la presentazione dell'istanza di sanatoria successivamente alla impugnazione dell'ordinanza di demolizione -o alla notifica del provvedimento di irrogazione delle altre sanzioni per gli abusi edilizi- produce l'effetto di rendere inefficace tale provvedimento e, quindi, improcedibile l'impugnazione stessa, per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il riesame dell'abusività dell'opera, sia pure al fine di verificarne la eventuale sanabilità, provocato da detta istanza, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, esplicito od implicito (di accoglimento o di rigetto), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21.04.1997, n. 3563; sez. IV, 11.12.1997, n. 1377; sez. V, 14.06.2004, n. 3794; C.G.A. 27.05.1997, n. 187; TAR Sicilia, sez. II, 05.10.2001, n. 1392; TAR Liguria, sez. II, 14.12.2000, n. 1310; TAR Toscana, sez. III, 18.12.2001, n. 2024; TAR Puglia, Bari, sez. II, 11.01.2002, n. 154; TAR Campania, Sez. IV, 02.02.2004, n. 1239, 18.03.2005, n. 1835, TAR Sez. III, 02.03.2004, n. 2579; TAR Sicilia, sez. I, 22.12.2004, n. 2921, sez. II, 22.03.2005, n. 411).
Il ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento sanzionatorio, proposto anteriormente all'istanza di concessione in sanatoria, deve ritenersi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, “spostandosi” l'interesse del responsabile dell'abuso edilizio dall'annullamento del provvedimento già adottato, all'eventuale annullamento del provvedimento (esplicito o implicito) di rigetto (Cons. Stato, sez. V, 26.06.2007, n. 3659; TAR Sicilia, Catania, Sez. II, 16.03.1991, n. 67, Palermo, Sez. II, 16.03.2004, n. 499; TAR Campania, Sez. IV, 24.09.2002, n. 5559, 22.02.2003, n. 1310; TAR Lazio, sez. II-ter, 04.11.2005, n. 10412, 09.07.2008, n. 6476) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 24.06.2010 n. 7953 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Natura giuridica dei parcheggi pertinenziali e incidenza sul carico urbanistico.
La realizzazione dei parcheggi pertinenziali è possibile, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, solo nel sottosuolo, ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati già esistenti.
Lo ha stabilito il TAR Campania con la cui sentenza si evidenzia come, al contrario, per le nuove costruzioni fuori terra, sebbene destinate a parcheggio, debbano essere rispettate le disposizioni dettate dalla strumentazione urbanistica (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 23.06.2010 n. 15731 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA La validità ovvero l’efficacia dell’ordine di demolizione non risultano compromesse dalla presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del menzionato d.P.R. 380/2001.
Questa determina piuttosto un arresto dell’efficacia della misura ripristinatoria, che rimane soltanto sospesa, determinandosi uno stato di temporanea quiescenza dell’atto, all’evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente.
In caso di accoglimento della domanda di sanatoria, l’ordine di demolizione inevitabilmente decade per il venir meno del suo presupposto, vale a dire del carattere abusivo dell’opera realizzata, in ragione dell’accertata conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda.
In caso di rigetto, invece, il provvedimento sanzionatorio a suo tempo adottato riacquista la sua efficacia, che non era definitivamente cessata, ma solo sospesa in attesa della conclusione del nuovo iter procedimentale, con la sola specificazione che il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione decorre dal momento in cui il diniego perviene a conoscenza dell’interessato, che non può rimanere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di legge e deve, pertanto, poter usufruire dell’intero termine a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso.

Pur non ignorando l’esistenza di un indirizzo ermeneutico di segno contrario, la Sezione condivide, infatti, l’orientamento giurisprudenziale già espresso in analoghe fattispecie (cfr. Tar Campania Sez. II, n. 1173/2008, n. 9757/2007, n. 8345/2007), secondo cui la validità ovvero l’efficacia dell’ordine di demolizione non risultano compromesse dalla presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del menzionato d.P.R. 380/2001.
Invero, questa determina piuttosto un arresto dell’efficacia della misura ripristinatoria, che rimane soltanto sospesa, determinandosi uno stato di temporanea quiescenza dell’atto, all’evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente (cfr., ex multis, TAR Campania, II Sezione, 04.02.2005, n. 816 e 13.07.2004, n. 10128).
Ne consegue che, in caso di accoglimento della domanda di sanatoria, l’ordine di demolizione inevitabilmente decade per il venir meno del suo presupposto, vale a dire del carattere abusivo dell’opera realizzata, in ragione dell’accertata conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda.
In caso di rigetto, invece, il provvedimento sanzionatorio a suo tempo adottato riacquista la sua efficacia, che non era definitivamente cessata, ma solo sospesa in attesa della conclusione del nuovo iter procedimentale, con la sola specificazione che il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione decorre dal momento in cui il diniego perviene a conoscenza dell’interessato, che non può rimanere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di legge e deve, pertanto, poter usufruire dell’intero termine a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso.
In definitiva, considerato che il procedimento di verifica della compatibilità urbanistica dell’opera avviato ad istanza di parte è un procedimento del tutto autonomo e differente dal precedente procedimento sanzionatorio avviato d’ufficio e conclusosi con l’ordinanza di demolizione dell’opera eseguita in assenza o difformità del titolo abilitativo, il Collegio ritiene che non sussista motivo per imporre all’amministrazione comunale il riesercizio del potere sanzionatorio a seguito dell’esito negativo del procedimento di accertamento di conformità urbanistica, atteso che il provvedimento di demolizione costituisce un atto vincolato a suo tempo adottato in esito ad un procedimento amministrativo sul quale non interferisce l’eventuale conclusione negativa del procedimento ad istanza di parte ex art. 36 del d.P.R. 380/2001.
Un nuovo procedimento sanzionatorio, infatti, si rivelerebbe, in assenza di un’espressa previsione legislativa, un’inutile ed antieconomica duplicazione dell’azione amministrativa (cfr. anche Tar Campania, Sezione III, n. 10369/2006) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 23.06.2010 n. 15729 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE PROGETTUALILa redazione di un piano di lottizzazione concerne indubbiamente la realizzazione di un complesso di opere che richiede una visione di insieme e pone problemi di carattere programmatorio che indubbiamente postulano valutazioni complessive che non rientrano nella competenza professionale del Geometra, così come definita dall'art. 16 del r.d. 11.02.1929 n. 274.
Ha statuito Cass. civ. sez. II 14.04.2005 n. 7778 che, benché non sia ex se preclusa ai geometri la predisposizione di piani di lottizzazione nel concreto “in considerazione delle attività che l'art. 16 del R.D. 274 del 1929 riserva ai geometri (e cioè la progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili, con uso del cemento armato solo per piccole costruzioni di edifici rurali o per uso di industrie agricole di limitata importanza) e nel rispetto della ratio della norma, volta ad assicurare che determinate attività siano svolte da professionisti che, per la loro capacità professionale siano in grado di consentire la costruzione di opere non pericolose per la pubblica incolumità, la redazione di un piano di lottizzazione che comprenda la progettazione di due complessi residenziali, ciascuno di tre piani fuori terra, oltre cantine e boxes, opere che impongono la soluzione di problemi tecnici non solo in ordine ai calcoli del cemento armato, ma anche in relazione alle opere di urbanizzazione primaria da realizzare, non possa rientrare fra quelle attività che, con riferimento alla modestia delle opere consentite per legge al geometra, siano tali da escludere un pericolo per la pubblica incolumità e possano, conseguentemente, essere consentite allo stesso”; ancora secondo TAR Brescia 29.10.2008 n. 1466, pur nell’ambito di un orientamento non preclusivo della competenza in questione, elemento discretivo che consente di attribuire il piano di lottizzazione alla competenza dei geometri sarebbe dato dalla mancanza nel medesimo di elementi di raccordo delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, elementi come visto presenti nel piano presentato. Infine secondo Cons. St. sez. IV n. 4620 del 2001, ancor più restrittiva: “Le disposizioni contenute nel R.D. 11.02.1929 n. 274 stabiliscono che tale figura professionale ha, per quanto concerne la progettazione, direzione e vigilanza in materia edilizia, competenza per "costruzioni rurali e di edifici di uso d'industrie agricole, di limitata importanza, di struttura ordinaria, comprese piccole costruzioni accessorie in cemento armato che non richiedono particolari operazioni di calcolo...", nonché per "modeste costruzioni civili".
La giurisprudenza ha precisato, in proposito, che le indicate attività professionali non possono che restare limitate alle specifiche previsioni normative, che non implicano alcuna possibilità di estensione, anche in considerazione di motivi di ordine pubblico e di tutela della sicurezza collettiva.
È stato affermato, più in particolare, che resta preclusa al Geometra la realizzazione di un complesso di opere che richieda una visione di insieme, che ponga problemi di carattere organizzatorio (Cons. St., Sez. V, n. 25 del 13.01.1999; n. 3 del 03.01.1992).
È facile osservare come nelle disposizioni su citate non sia ravvisabile alcuna indicazione che faccia riferimento a strumenti di programmazione urbanistica, mentre è pacifico che la redazione di un piano di lottizzazione costituisce attività che chiaramente richiede una competenza programmatoria in tale settore, anche se si limita l'attività a opere di modesta entità, e nonostante che la stessa sia posta in attuazione delle previsioni dello strumento urbanistico generale.
In effetti, come già affermato da questa Sezione, la redazione di un tale strumento concerne indubbiamente la realizzazione di un complesso di opere che richiede una visione di insieme e pone problemi di carattere programmatorio che indubbiamente postulano valutazioni complessive che non rientrano nella competenza professionale del Geometra, così come definita dall'art. 16 del r.d. 11.02.1929 n. 274 (Cons. St., Sez. IV, n. 765 del 09.11.1989) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 15.06.2010 n. 2839 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Danni da randagismo: anche il Comune è tenuto al risarcimento?
La violazione delle norme di legge sul randagismo, che impongono ai Comuni di assumere provvedimenti per evitare che gli animali randagi arrechino disturbo alle persone, nelle vie cittadine è fonte dell’obbligo dei Comuni di risarcire i danni che tali animali abbiano causato agli utenti delle strade (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 16.03.2010 n. 10190 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Definizione di aree boscate ai fini dell’applicazione dei divieti ex l. n. 353/2000.
La definizione di “incendio boschivo” di cui all’art. 2 si riferisce ad aree (boscate, cespugliate o arborate) più ampie di quelle richiamate nel comma 1 dell’art. 10 che limita, invece, l’applicazione dei divieti, prescrizioni e sanzioni soltanto a “zone boscate e pascoli i cui soprassuoli” sono stati percorsi dal fuoco, cioè un insieme di aree naturali e vegetali più delimitato rispetto a quello di cui sopra.
Ne deriva che l’ambito oggettivo di applicazione della norma speciale è più limitato e riguarda le sole zone boscate e pascoli (e non le zone arborate).
A ciò va aggiunto che nella definizione di “bosco” il legislatore sia nazionale che regionale ha previsto una equiparazione dello stesso alla foresta e alla selva (art. 2, comma 1, D.Lgs. 18.05.2001, n. 227; art. 3, comma 3, L.R. 28.10.2002, n. 39) ed ha individuato alcune fattispecie assimilate a bosco (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 227 del 2001), inoltre ha distinto la vegetazione forestale da quella arbustiva (art. 3, commi 3 e 4, L.R. n. 39 del 2002), definendo così una disciplina unitaria e coordinata per i boschi e le aree boscate (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 17.11.2009 n. 11242 - link a www.altalex.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Ordinanza di rimozione rifiuti in caso di costruzioni e riutilizzo di inerti edili.
Il potere di ordinanza previsto dall'art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 (ed in precedenza dall'art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997) ha un diverso fondamento rispetto alle ordinanze disciplinate dall'art. 54 del T.U.E.L. e prefigura un'ordinanza di sgombero a carattere sanzionatorio, di cui è riprova il fatto che, per la sua applicazione a carico dei soggetti obbligati in solido, è necessaria l'imputazione agli stessi a titolo di dolo o colpa del comportamento tenuto in violazione dei divieti di legge.
Va ricordato che il riutilizzo del materiale proveniente dall'attività di costruzione non può prescindere dalla preventiva attività di separazione richiesta dal D.M. 05.02.1998, posto che i materiali residuanti dalla attività di demolizione edilizia conservano la natura di rifiuti sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali il citato art. 183 lett. h) indica la cernita o la selezione.
In ogni caso, inoltre, il riutilizzo nelle opere di riempimento deve avvenire, come ribadito dall’art. 186 del citato D.Lgs. senza recare pregiudizio all'ambiente (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 29.09.2009 n. 2454 - link a www.altalex.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Rapporti fra pianificazione urbanistica e pianificazione acustica.
In sede di adozione del Piano di classificazione acustica non si deve tenere conto del singolo insediamento produttivo, ma della destinazione della zona, altrimenti si rischia di confondere due ambiti distinti (che pure debbono in qualche modo trovare un punto di contatto), ossia quello urbanistico-edilizio e quello inerente la classificazione acustica.
Si vuol dire cioè che se ad una certa porzione del territorio è stata legittimamente impressa la destinazione urbanistica di zona “D”, in quella zona sono allocabili insediamenti produttivi e la stessa deve essere, ai fini acustici, classificata in classe V o VI a seconda dei casi (TAR Marche, sentenza 29.09.2009 n. 930 - link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 26.07.2010

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EDILIZIA PRIVATA: Chi controlla la competenza progettuale nel rilasciare il permesso di costruire ovvero nell'istruire la DIA??
Con l'
AGGIORNAMENTO AL 04.07.2010 abbiamo pubblicato l'interessante sentenza 28.06.2010 n. 9772 del TAR Campania-Salerno, Sez. II, con la quale sono stati annullati:
- il permesso di costruire rilasciato dal Comune per la realizzazione di una sopraelevazione al primo piano di un fabbricato;
- il permesso in variante rilasciato per la realizzazione di un sottotetto sovrastante la sopraelevazione assentita;
- il permesso in variante per l’ampliamento del sottotetto assentito in variante.

E ciò si è verificato poiché il progetto assentito contemplava la previsione di pilastrature in cemento armato a firma di un geometra, in spregio all’art. 16 e segg. R.D. 11.02.1929 n. 274, che abilita tale categoria professionale solo a modeste costruzioni civili.
Invero, la sentenza de qua non è affatto una novità in materia per gli "addetti ai lavori"; tuttavia, ha il pregio di ricordare (semmai ce ne fosse bisogno ...) al responsabile del procedimento amministrativo, ai membri della Commissione Edilizia ed al Responsabile dell'Ufficio Tecnico che non solo bisogna vagliare attentamente il progetto presentato da un mero punto di vista edilizio-urbanistico ma anche dal punto di vista della competenza progettuale del professionista che sottoscrive il progetto.
Ci voleva anche questa ... ho già poco da fare!! ... state per caso sbuffando??
Forse, è bene tralasciare momentaneamente altre cose e prestare maggiore attenzione a questo dettaglio di non poco conto ... e già, perché se il confinante si mette a "rognare" e ad indagare sul cantiere in itinere e, guarda caso, emerge (per esempio) che il progettista è un geometra che ha firmato i disegni per la costruzione di villette a schiera piuttosto che una palazzina di tre piani piuttosto che l'ampliamento di un capannone e, conseguentemente, impugna il provvedimento abilitativo dinanzi al TAR, chi paga i danni per il "sicuro" annullamento del provvedimento testé citato??
Il responsabile del procedimento amministrativo che ha istruito la pratica?? I membri della Commissione Edilizia che hanno avallato il progetto?? Il Responsabile dell'Ufficio Tecnico che ha firmato il permesso di costruire??
La risposta è facile a trovarsi ... tuttavia ci preme rappresentare, al riguardo, alcune considerazioni.
L'Ufficio Tecnico comunale, nelle persone del responsabile del procedimento amministrativo istruttorio e del Responsabile dell'Ufficio stesso che firma il permesso di costruire, probabilmente già oberato da innumerevoli incombenze non ha molto tempo per valutare -di volta in volta- anche il profilo dell'eventuale incompetenza professionale dei vari progetti edilizi presentati. Oppure, chi glielo fa fare di sollevare un ulteriore "problema" per il quale scontrarsi -poi- con l'Amministrazione Comunale che già lo addìta di essere troppo "burocrate" e, conseguentemente, di ingessare la peraltro precaria attività edilizia in forza della sfavorevole congiuntura economica degli ultimi tempi ... (in altre parole, detto alla "parla come mangi", non entra in cassa il contributo di costruzione e, quindi, non si riescono a realizzare le opere pubbliche!!).
Tuttavia, è bene non sottovalutare tale evenienza nefasta, foriera di risarcimento del danno, poiché la negligenza del proprio operato istruttorio non troverà copertura assicurativa alcuna.
E non ultimo, diciamocela tutta ..., in Commissione Edilizia perché non si solleva e verbalizza l'eventuale competenza progettuale?? Forse, perché "cane non mangia cane" e tenuto conto che, bene o male, siede un rappresentante di ogni ordine professionale (ingegneri, architetti, geometri) non vale la pena scannarsi a vicenda ...
In realtà, la cosa che fa sorridere è che, di tanto in tanto, i vari ordini professionali inviano a destra e manca proprie circolari (tanto per esemplificare leggere qui) per far risaltare questa o quella sentenza che porta acqua al proprio mulino, defraudando gli altri ordini professionali in merito alla competenza progettuale di una certa fattispecie edilizia. Nulla quaestio in merito ... ma sarebbe altrettanto auspicabile, opportuno e condivisibile che i vari ordini emanassero ai propri iscritti -che sono anche membri della Commissione Comunale per l'Edilizia- una nota/circolare per ricordare loro il potere/dovere di eccepire e verbalizzare l'eventuale incompetenza progettuale, con relativa e successiva segnalazione all'ordine di appartenenza dell'incauto professionista:
ognuno faccia la sua parte con diligenza, professionalità e correttezza istituzionale!!
Ad onor del vero, a noi risulta un unico precedente in tal senso (del 09.03.2007) e cioè quello dell'Ordine degli Architetti di Udine che si può leggere qui ... stiamo a vedere, adesso, se anche gli altri ordini saranno altrettanto bravi ad emulare una siffatta lodevole iniziativa e, comunque, di darne ampia eco e pubblicità ai soggetti interessati al fine di migliorare la serietà e qualità progettuale nel solco, sempre, della correttezza professionale di ogni soggetto (privato e pubblico) che ruota attorno ad ogni pratica edilizia.
26.07.2010 - LA SEGRETERIA PTPL

NOVITA' NEL SITO

EDILIZIA PRIVATA: Nel bottone MODULISTICA è stato modificato/integrato il fac-simile (modificabile a piacimento) di comunicazione esecuzione interventi edilizi liberi ex art. 6 DPR n. 380/2001.

EDILIZIA PRIVATA: Nel bottone MODULISTICA è stata sostituita e completata la modulistica fac-simile (modificabile a piacimento) relativamente all'autorizzazione paesaggistica.
Ciò detto dopo aver ricevuto i chiarimenti regionali in ordine alla corretta classificazione degli interventi edilizi di installazione dei pannelli solari e/o fotovoltaici ed in relazione alla recente modificazione dell'art. 6 del DPR 380/2001 circa gli interventi di manutenzione straordinaria non soggetti ad alcun titolo abilitativo.

NOTE, CIRCOLARI & COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA: Legge 22.05.2010 n. 73 di conversione del Decreto legge n. 40/2010 - modifica dell'art. 6 "Attività edilizia libera" del D.P.R. n. 380/2001 - Prime indicazioni operative (Comune di Milano, nota 09.07.2010 n. 552694/2010 di prot.).

URBANISTICAAncora sulla V.A.S. del P.G.T..
Ulteriori chiarimenti della Regione Lombardia sulla corretta individuazione dei soggetti quale Autorità procedente ed Autorità competente per la VAS.

La Regione Lombardia, in risposta ad un quesito del Sindaco di un comune con più di 5.000 abitanti, ha evidenziato alcune osservazioni -di interesse per tutti i Comuni lombardi- che si riportano di seguito:
"... In merito a quanto riportato nella Sua lettera si osserva quanto segue:
1. dall'analisi della documentazione pubblicata sul sito web del Comune e nella scheda del sito regionale SIVAS (www.cartografia.regione.lombardia.it/sivas), si riscontrano alcune irregolarità nell'individuazione delle Autorità in quanto l'individuazione del Sindaco quale autorità procedente non è in ogni caso corretta, essendo data tale possibilità solo ai Comuni con meno di 5.000 abitanti (come previsto dal comma 23 dell'art. 53 della legge 23.12.2000, n. 388 modificato dal comma 4 dell'art. 29 della legge 28.12.2001, n. 448, previa assunzione delle disposizioni regolamentari ed organizzative): dovrebbe invece essere individuata all'interno dell'ente tra coloro che hanno responsabilità nel procedimento di PGT (ad es. il Responsabile Unico del Procedimento);
2. inoltre, l'Autorità competente per la VAS deve possedere i requisiti richiamati nel punto 3.2 dell'allegato 1a
(ndr: della DGR 30.12.2009 n. 10971) e il dirigente del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di ..., nominato Autorità competente per la VAS, sembra avere competenze in materia di pianificazione  e urbanistica piuttosto che in materia di tutela, protezione e valorizzazione ambientale e di sviluppo sostenibile;
3. si suggerisce, pertanto, di individuare all'interno dell'Ente le due Autorità con nuova deliberazione di Giunta Comunale, ai sensi della DGR n. 10971 del 30.12.2009; tali Autorità dovranno accompagnare il loro primo pronunciamento con un'esplicita determinazione di convalida delle attività precedentemente svolte nell'ambito della procedura di VAS e potranno proseguire nella stessa. ..." (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, Programmazione e Pianificazione Territoriale, Strumenti per il Governo del Territorio, nota 01.07.2010 n. 15812 di prot.).

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATADal 28.07.2010 cambia l’attestato di conformità degli impianti.
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 161 del 13/07/2010 è stato pubblicato il D.M. 19/05/2010 "Modifica degli allegati al D.M. 22.01.2008, n. 37".
Il Decreto provvede ad aggiornare la modulistica per la dichiarazione di conformità degli impianti alla regola d’arte (Allegati I e II al D.M. 22/01/2008, n. 37).
Dal 28 luglio prossimo, data di entrata in vigore del D.M. 19/05/2010, le dichiarazioni di conformità degli impianti da parte delle imprese installatrici e uffici tecnici interni di imprese non installatrici dovranno essere rilasciate utilizzando la nuova modulistica ... (link a ww
w.acca.it).

SICUREZZA LAVOROLa movimentazione manuale dei carichi: una guida dallo Spresal dell’ASL Roma H.
La valutazione del rischio per i lavoratori legato alla Movimentazione Manuale dei Carichi (MMC) è prevista dal Titolo VI e dall'All. XXXIII del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. (Testo Unico della Sicurezza).
In particolare occorre effettuare la valutazione del rischio per le diverse azioni:
- sollevamento e Trasporto
- spinta e Traino
- azioni Ripetitive degli arti superiori ... (link a ww
w.acca.it).

EDILIZIA PRIVATALa conferenza Unificata approva Conto Energia 2011 e Linee Guida per le fonti rinnovabili (dimenticandosi della Legge Comunitaria 2009?).
La Conferenza Unificata dell’08.07.2010 ha approvato le Linee Guida amministrative per le fonti rinnovabili, predisposte dal dal Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministero dell'Ambiente e con il Ministro per i Beni e le Attività Culturali.
Le Linee Guida, che riguardano l'Autorizzazione Unica per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, hanno l'obiettivo di definire modalità e criteri unitari sul territorio nazionale per assicurare uno sviluppo ordinato delle infrastrutture energetiche.
Le Linee Guida dovrebbero quindi consentire a tecnici e professionisti di avere un indicazione chiara delle tipologie d'impianto, fonte per fonte, che possono accedere a DIA e ad attività di edilizia libera.
Secondo le indiscrezioni trapelate con la pubblicazione del testo approvato sarà sufficiente la DIA (denuncia di inizio attività) per realizzare: ... (link a ww
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EDILIZIA PRIVATADetrazione 55%, è operativa la rettifica on-line delle schede inviate all’ENEA.
Con la Circolare n. 21/E del 23.04.2010, l'Agenzia delle Entrate ha introdotto la possibilità di correggere, esclusivamente per via telematica, la scheda informativa da trasmettere all’Enea per usufruire della detrazione del 55% per gli interventi di riqualificazione energetica.
La correzione può avvenire anche oltre il termine di 90 giorni dalla data di ultimazione dei lavori, ma non oltre quello di presentazione della dichiarazione dei redditi nella quale la spesa può essere portata in detrazione ... (link a ww
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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 20.07.2010 n. 167 "Testo del decreto legge 20.05.2010, n. 72 coordinato con la legge 19.07.2010, n. 111 recante: «Misure urgenti per il differimento di termini in materia ambientale e di autotrasporto, nonché per l’assegnazione di quote di emissione di anidride carbonica»".

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 29 del 20.07.2010, "Testo coordinato della l.r. 11.12.2006, n. 24 «Norme per la prevenzione e la riduzione delle emissioni in atmosfera a tutela della salute e dell’ambiente»" (Testo coordinato della l.r. 11.12.2006 n. 24 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: Requisiti acustici passivi: la bozza del regolamento che sostituirà il DPCM 05/12/1997.
In attesa dell’emanazione delle nuove disposizioni in materia di inquinamento acustico (vedi BibLus-net n. 197), con la Legge Comunitaria 2009, il Parlamento ha confermato la sospensione del D.P.C.M. 05/12/1997, “Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici”.
Il Ministero dell’Ambiente sta ultimando lo studio del D.Lgs. da emanare, sempre secondo la Comunitaria, entro il 29.07.2010 ... (link a ww
w.acca.it).

ENTI LOCALI - VARI: Bozza testo delle norme di interesse dei Comuni contenute nel D.L. 78/2010 coordinato con le modifiche apportate dalla Commissione Bilancio del Senato e dal maxiemendamento del Governo - 15.07.2010.

DOTTRINA E CONTRIBUTI

PUBBLICO IMPIEGO: C. Rapicavoli, Applicazione del Decreto Brunetta - Norme di immediata applicazione e norme ad applicazione differita - Circolare del dipartimento della Funzione Pubblica n. 7/2010 - Effetti della manovra finanziaria (link a www.ambientediritto.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: S. Bigolaro, L'incarico conferito da un ente pubblico a un avvocato di difenderlo in giudizio è una collaborazione autonoma o un appalto di servizi? E' un affidamento in economia? (link a http://venetoius.myblog.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: S. Foà,  L’azione di annullamento nel Codice del processo amministrativo (link a www.giustizia-amministrativa.it).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGOMalati, stipendi pieni. Circolare di Brunetta. Salvi i premi dei dirigenti. Nessun taglio per infortuni e ricoveri.
Nessun taglio della retribuzione per i dipendenti pubblici che si assentano dal servizio per malattia dovuta a infortuni sul lavoro, ricoveri ospedalieri o per patologie gravi o per terapie salvavita. In questi casi, si applicano anche le disposizioni che prevedono l'esenzione dall'obbligo di reperibilità dalla visita del medico fiscale, fermo restando che l'amministrazione di appartenenza dovrà essere in possesso della necessaria documentazione sanitaria. È salva la retribuzione di risultato dei dirigenti pubblici in malattia. La natura di tale emolumento, infatti, non può essere assimilata a un'indennità giornaliera e, pertanto, non è soggetta a decurtazione in caso di assenza dal servizio per malattia.

È quanto ha precisato la circolare 19.07.2010 n. 8/2010 emanata dal dipartimento della funzione pubblica, con la quale si precisano alcuni aspetti relativi alle assenze dal servizio per malattia da parte dei dipendenti pubblici, in particolare il rapporto tra le assenze stesse e gli eventuali riflessi sulla retribuzione del dipendente.
Il documento di palazzo Vidoni, infatti, rileva che dall'avvento del ministro Brunetta alla guida del dipartimento, grazie alle norme contenute nel decreto legge n. 112/2008, le assenze dei dipendenti pubblici hanno subìto un calo vertiginoso, pari al 38%.
È questo, scrive il ministro, uno degli obiettivi perseguiti e ancora perseguibili per tutto il mandato legislativo, vale a dire quello di introdurre norme che siano finalizzate ad evidenziare «buone e cattive prassi» persistenti nel pubblico impiego.
Nessun taglio per le malattie gravi. L'articolo 71, comma 1 del dl n. 112/2008, prevede che «nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento economico accessorio». Ma aggiunge anche che «resta fermo il trattamento economico più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle normative di settore, soprattutto i ricoveri, le terapie salvavita o gli infortuni sul lavoro». Quindi, rileva la circolare, la volontà del legislatore è quella di salvaguardare «situazioni particolari e delicate».
In generale, si evince l'esclusione delle assenze riconducibili a queste cause dalla decurtazione del trattamento e dal computo dei giorni dal periodo di comporto. I lavoratori interessati saranno anche esentati dall'obbligo di reperibilità dalla visita del medico fiscale (adesso 9.00-13.00, 15.00-19.00 per effetto del dm 18/12/2009), fermo restando che l'amministrazione deve possedere la necessaria documentazione medica a supporto.
Risultato in salvo. La retribuzione di risultato dei dirigenti non subisce la tagliola della decurtazione in caso di assenza per malattia. La circolare di Brunetta, infatti, rispondendo a numerosi quesiti posti dalle pubbliche amministrazioni a tal fine, precisa che la natura di tale emolumento è quella di remunerare il raggiungimento degli obiettivi da parte del dirigente, essendo corrisposta a consuntivo, al termine del procedimento di valutazione.
Come si vede, una voce retributiva che non può essere assimilata a un'indennità legata alla presenza in servizio, in quanto corrisposta «solo se e nella misura in cui gli obiettivi assegnati al dirigente, risultino conseguiti». Lo stesso ragionamento, poi, va esteso a quello voci corrispondenti previste per le altre categorie di personale, anche quello pubblicistico, che hanno la stessa natura (articolo ItaliaOggi del 21.07.2010 - link a ww
w.corteconti.it).

QUESITI & PARERI

PUBBLICO IMPIEGO: Possibilità di instaurare un rapporto di servizio a scavalco con dipendente part-time a tempo indeterminato di altro Comune avente in corso un rapporto di lavoro a tempo determinato in altro Comune.
Il Comune di (omissis) chiede se sia legittimo instaurare un rapporto di servizio a scavalco ai sensi art 1, comma 557 della legge 311/2004 con un dipendente part-time a tempo indeterminato di altro Comune (18 ore settimanali) il quale ha, sempre in attuazione della legge 311/2004 sopra richiamata, in corso un rapporto di lavoro a tempo determinato fino alla fine del 2010 per complessive h. 7,12 (pari al 20% dell’orario complessivo) con un altro Comune.
L’ulteriore servizio presso l’Ente richiedente verrebbe stabilito per un orario settimanale di h 10,48 (pari al 30% dell’orario complessivo) ai sensi di quanto previsto dall’art. 1, comma 557 della Legge 30.12.2004 n. 311, per un totale di servizio complessivo nei tre Enti di 36 ore settimanali.
L’Ente precisa, altresì, che l’istituzione del rapporto avrebbe carattere temporaneo, dato che sta già percorrendo la soluzione del convenzionamento fra Enti in modo da legittimare l’attività lavorativa ordinaria del dipendente, con l’attivazione di un unico rapporto di lavoro per il dipendente interessato (Regione Piemonte, parere n. 70/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Possibilità per il Comune di ottenere il rimborso dei danni per le spese sostenute per la sostituzione del dipendente infortunato.
Il Comune di (omissis), premesso che un proprio dipendente è stato investito da un auto mentre percorreva una strada in bicicletta da corsa e che l’investitore si è assunto la responsabilità del sinistro, chiede se il Comune ha titolo al rimborso dei danni per le spese connesse alla sostituzione del dipendente nei giorni di assenza per infortunio (Regione Piemonte, parere n. 68/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

NEWS

APPALTITributi e contributi, se in regola ok all'aggiudicazione dell'appalto.
È la conclusione a cui è pervenuta la Corte di Giustizia con la sentenza che vede coinvolte tre diverse società.

La normativa di riferimento in ambito comunitario è costituita dalla direttiva 93/37, come medio tempore sostituita dalla direttiva del 31.03.2004, 2004/18/CE di cui interessano, in particolare, gli articoli che vanno dal 24 al 29.
L'articolo 24 fissa le cause di esclusione di un imprenditore nella partecipazione a gare di appalto. In particolare le lettere e) ed f) di dette clausole di esclusione riguardano il corretto versamento non soltanto dei contributi previdenziali ma anche di tasse e imposte compresa l'Iva. Inoltre, all'ultimo comma si stabilisce che gli Stati membri hanno il compito di designare autorità e organismi competenti per il rilascio della documentazione necessaria che attesti il possesso dei requisiti da parte degli imprenditori interessati alla partecipazione all'appalto ... (link a
www.nuovofiscooggi.it).

APPALTI SERVIZI: Liberalizzazione nei servizi locali. Il Consiglio dei ministri ha approvato il regolamento. Fitto: finita un'attesa di venti anni. Netta separazione fra la gestione delle reti e la loro proprietà.
Al via la liberalizzazione della gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, con norme a tutela della gestione pubblica delle risorse idriche, che a certe condizioni potrà rimanere pubblica, e con la netta separazione fra gestione delle reti e proprietà delle stesse; previste norme trasparenti e a garanzia della concorrenza per lo svolgimento delle gare, da aggiudicare con riguardo soprattutto agli elementi qualitativi e al corrispettivo del servizio; entro un anno gli enti locali dovranno scegliere, motivando con apposite analisi di mercato, se affidare ai privati le gestioni o se mantenerle pubbliche.
È quanto prevede il regolamento sull'affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, approvato ieri dal Consiglio dei ministri.
«Si compie così l'atto finale della riforma dei servizi pubblici locali realizzata in tempi brevi dal governo», ha commentato il ministro per gli affari regionali Raffaele Fitto, «intendo esprimere il mio apprezzamento e il riconoscimento per i contributi che il Consiglio di stato e le Commissioni di camera e senato hanno inteso fornire nell'espressione dei rispettivi pareri previsti dalla legge. Siamo orgogliosi di essere riusciti nella difficile opera di realizzare una riforma auspicata da quasi 20 anni da larghissimi settori della politica, dell'economia e della società, ma sempre immancabilmente rinviata».
Per il servizio idrico integrato il regolamento afferma i principi generali della «autonomia gestionale del soggetto gestore», della «piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche» e quello della «spettanza esclusiva alle istituzioni pubbliche del governo delle risorse stesse»; inoltre, per giustificare il mantenimento di una gestione pubblica in house in questo settore, si potrà fare riferimento alle «specifiche condizioni di efficienza che rendono la gestione non distorsiva della concorrenza o comunque comparativamente non svantaggiosa per i cittadini rispetto a una modalità alternativa di gestione dei servizi pubblici locali».
Il regolamento prevede che ciò potrà avvenire se i bilanci risultano in utile, se sono reinvestiti più dell'80% degli utili, se viene applicata una tariffa media inferiore alla media di settore e se i costi medi operativi annui prevedono una incidenza sulla tariffa al di sotto della media di settore. Il provvedimento non si applicherà al servizio di distribuzione di gas naturale e di energia elettrica, al servizio di trasporto ferroviario regionale, alla gestione delle farmacie comunali e ai servizi strumentali all'attività o al funzionamento degli enti locali che abbiano affidato servizi a società pubbliche o miste.
Il principio generale è quello per cui gli enti locali devono preventivamente verificare se si possa realizzare una gestione concorrenziale dei servizi e per fare ciò devono procedere ad una analisi del mercato: se il mercato privato non risulta idoneo a «garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità» si potrà mantenere una gestione pubblica attribuendo diritti di esclusiva; viceversa si dovrà liberalizzare le attività economiche, «compatibilmente con le caratteristiche di universalità ed accessibilità del servizio».
Se non sarà possibile liberalizzare i servizi, ciò dovrà risultare da una delibera quadro che dia conto dell'istruttoria compiuta, dei «fallimenti del sistema concorrenziale», nonché degli elementi positivi che concorrono al mantenimento di un regime di esclusiva (pubblica) del servizio. Queste verifiche dovranno essere compiute entro un anno dall'entrata in vigore del regolamento approvato ieri.
Il regolamento prescrive le modalità per l'affidamento in gara delle gestioni, chiarendo una serie di importanti aspetti quali l'irrilevanza della disponibilità delle reti (dal momento che possono partecipare alle gare anche le società interamente partecipate da soggetti pubblici), la necessità di definire requisiti per la partecipazione alle gare proporzionati alla natura dell'affidamento e di stabilire una durata della gestione congrua con la consistenza degli investimenti a carico del soggetto gestore.
Sempre il bando di gara o la lettera di invito dovranno anche prevedere l'adozione di carte dei servizi al fine di garantire trasparenza informativa e qualità del servizio. Previsto anche il divieto di partecipazioni in raggruppamento di soggetti che potrebbero ben partecipare singolarmente. Nell'aggiudicazione dovrà prevalere la valutazione dei profili qualitativi e del corrispettivo del servizio, rispetto al valore delle quote societarie.
Gli affidatari «in house» di servizi pubblici locali saranno tenuti all'osservanza del Patto di stabilità e, unitamente alle società miste affidatarie dei servizi saranno tenute all'applicazione del Codice dei contratti pubblici per gli affidamenti a terzi di appalti (ma al socio privato saranno affidabili direttamente le attività di competenza laddove sia stato scelto in gara, così da vietare la cosiddetta «doppia gara») (articolo ItaliaOggi del 23.07.2010 - link a www.corteconti.it).
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Completata la riforma dei servizi pubblici con l'approvazione del regolamento.
Ieri il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al regolamento attuativo della riforma dei servizi pubblici locali, che darà piena attuazione al decreto legge che porta la firma del ministro Andrea Ronchi, e che riguarda i servizi idrici, i rifiuti e il trasporto pubblico locale.
La riforma delle gestioni dei servizi pubblici avverrà a tappe a seconda di come era avvenuto l'affidamento.
Decadranno alla fine di quest'anno le gestioni affidate direttamente senza gara ed entro il 2011, invece, le gestioni in house e quelle delle spa miste qualora non abbiano ceduto almeno il 40% delle loro quote ad un socio privato che dovrà assolvere anche a compiti gestionali.
Potranno andare, invece a scadenza naturale del contratto, tutti gli affidamenti che già hanno proceduto a cedere una loro quota di almeno il 40% a soci privati ... (link a www.greenreport.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Strutture mobili - Art. 3, c. 9, L. n. 99/2009 - Strutture turistico ricettive all’aperto - Installazione di mezzi mobili di pernottamento - Esclusione della rilevanza urbanistico-edilizia - Esclusione della necessità di conseguire apposito titolo abilitativo - Illegittimità costituzionale.
La realizzazione di strutture mobili è espressamente disciplinata dal legislatore statale, che, all’art. 3 (L) del d.P.R. n. 380 del 2001, qualificando come «interventi di nuova costruzione» gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, specifica, al punto e.5), che comunque devono considerarsi tali «l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee».
La realizzazione di tali interventi è subordinata al conseguimento di specifico titolo abilitativo costituito dal permesso di costruire (salve le ipotesi in cui è prevista la denuncia inizio attività; confronta artt. 10 e 22). In sostanza, la normativa statale sancisce il principio per cui ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e ciò anche ove si tratti di strutture mobili allorché esse non abbiano carattere precario.
Il discrimine tra necessità o meno di titolo abilitativo è data dal duplice elemento: precarietà oggettiva dell’intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarietà funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneità dello stesso. Tale principio è stato ribadito da molti legislatori regionali (in particolare si vedano, in tal senso, la legge della Regione Toscana 03.01.2005, n. 1, recante «Norme per il governo del territorio», art. 78 e la legge della Regione Lombardia 11.03.2005, n. 12 recante «Legge per il governo del territorio», art. 27, comma 1, lettera e5).
Il comma 9 dell’art. 3 della L. n. 99/2009 detta una disciplina concernente un ambito specifico, in quanto si riferisce esclusivamente alle «strutture turistico-ricettive all’aperto» (campeggi, villaggi turistici -secondo la individuazione fatta dalle varie leggi regionali). Inoltre, tale disposizione ha ad oggetto unicamente la installazione di mezzi mobili di pernottamento e dei relativi rimessaggi (il riferimento è a campers, roulottes, case mobili, ecc.).
In queste ipotesi la disposizione impugnata esclude la rilevanza di tali attività a fini urbanistici ed edilizi (oltre che paesaggistici), e, conseguentemente, la necessità di conseguire apposito titolo abilitativo per la loro realizzazione, sulla base del mero dato oggettivo, cioè della precarietà del manufatto, dovendo trattarsi di «mezzi mobili» secondo quanto stabilito dagli ordinamenti regionali. Tale elemento strutturale è considerato a priori di per sé sufficiente, ed anzi è espressamente esclusa la rilevanza del dato temporale e funzionale dell’opera, in quanto si prevede esplicitamente che possa trattarsi anche di opere permanenti, sia pure connesse all’esercizio dell’attività turistico-ricettiva.
Risulta pertanto evidente che l’intervento del legislatore statale presenta carattere di norma di dettaglio, in quanto ha ad oggetto una disciplina limitata a specifiche tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben definiti e circoscritti.
Se, come più volte chiarito da questa Corte, alla normativa di principio spetta di prescrivere criteri e obiettivi, mentre alla normativa di dettaglio è riservata l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi (ex plurimis: sentenze n. 16 del 2010, n. 340 del 2009 e n. 401 del 2007), l’art. 3, comma 9, introduce una disciplina che si risolve in una normativa dettagliata e specifica che non lascia alcuno spazio al legislatore regionale. Essa, pertanto, oltrepassa i confini delle competenze che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. spettano al legislatore statale in materia di governo del territorio.
In conclusione, l’art. 3, comma 9, della legge n. 99 del 2009 deve essere dichiarato illegittimo per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. (Corte Costituzionale, sentenza 22.07.2010 n. 278 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: L'edificazione di un parcheggio interrato realizzato con vincolo di pertinenzialità da perfezionare in un momento successivo alla costruzione deve essere assentita mediante permesso di costruire.
E’ bene premettere che l’opera di cui si tratta, contrariamente a quanto sostenuto dal privato appellante, deve essere assentita mediante permesso di costruire.
Si tratta, infatti, di un parcheggio interrato (in realtà l’appellato contesta tale connotazione, ma la questione è irrilevante, per le considerazioni di seguito svolte), realizzato con vincolo di pertinenzialità da perfezionare in un momento successivo alla costruzione.
Trovano quindi applicazione l’art. 3, primo comma lett. e) del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, ai sensi del quale costituiscono interventi di nuova costruzione, tra gli altri:
- (e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);
- (e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune;
- (e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato, in combinato disposto con il successivo art. 10, il quale assoggetta a permesso di costruire tutti gli interventi di nuova costruzione; inoltre, l’art. 6 della legge regionale 2001, n. 19, esenta dal’obbligo di ottenere tale premesso, ammettendo la semplice dichiarazione d’inizio di attività, la sola realizzazione di parcheggi da destinare a pertinenze di unità immobiliari e da realizzare nel sottosuolo del lotto su cui insistono gli edifici, mentre richiede permesso di costruire, sebbene non oneroso, per la realizzazione di parcheggi in aree libere, anche non di pertinenza del lotto dove insistono gli edifici, come nel caso che ora occupa.
La realizzazione del progetto di cui ora si tratta presuppone quindi il rilascio di permesso di costruire; il rilascio di quest’ultimo, di conseguenza non è affatto superfluo, e la realizzazione del manufatto è subordinata al rispetto della normativa prevista per le opere da assentire esplicitamente (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.07.2010 n. 4801 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Istanza di accesso ai documenti - Disposizione regolamentare interna - Richiesta di allegazione di copia del documento di identità - Interpretazione formalistica - Preclusione dell’accoglimento - Illegittimità.
Nessuna norma impone al privato di presentare l’istanza di accesso agli atti amministrativi corredata da copia del documento d’identità; peraltro eventuali disposizioni regolamentari ed interne di questo tipo non potrebbero in ogni caso essere formalisticamente interpretate siccome preclusive dell’accoglimento dell’istanza, poiché il rapporto tra privato cittadino e Pubblica Amministrazione deve essere improntato alle regole di leale collaborazione, partecipazione e buona fede, sicché graverebbe comunque sull’Amministrazione l’onere di invitare il privato a regolarizzare la propria istanza (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 19.07.2010 n. 8689 - link a ww
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AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono di rifiuti - Proprietario del fondo ordine di rimozione dei rifiuti in ragione della sua sola qualità - Illegittimità - Rimozione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati - Differenza - Corresponsabilità solidale del proprietario o dei titolari di diritti personali o reali di godimento sull'area - Presupposti e limiti - C.d. responsabilità omissiva - Art. 14 d.lgs. n. 22/1997, (oggi D. L.vo n. 156/2006 e s.m.).
Ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. 05.02.1997 n. 22, (oggi D. L.vo n. 156/2006 e s.m.) sono illegittimi gli ordini di smaltimento di rifiuti abbandonati in un fondo che siano indiscriminatamente rivolti al proprietario del fondo stesso in ragione della sua sola qualità, in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della condotta (Cons. Stato, V, n. 1612/2009; C.d.S. n. 807/2008; C.d.S., VI, n. 4525/2005; C.d.S., V, n. 136/2005; C.d.S. n. 323/2005).
Peraltro, a differenza di quanto previsto per la bonifica dei siti inquinati, per la rimozione dei rifiuti non è stato previsto dal legislatore alcun onere reale a carico del proprietario, che possa giustificare l’emanazione dell’ordinanza anche nei suoi confronti.
Inoltre, sebbene l'art. 14, comma 3, d.lgs. 05.02.1997 n. 22 (applicabile "ratione temporis") preveda la corresponsabilità solidale del proprietario o dei titolari di diritti personali o reali di godimento sull'area ove sono stati abusivamente abbandonati o depositati rifiuti, solo in quanto la violazione sia agli stessi imputabile a titolo di dolo o colpa, tale riferimento va inteso, per le sottese esigenze di tutela ambientale, in senso lato, comprendendo, quindi, qualunque soggetto che si trovi con l'area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli -e per ciò stesso imporgli- di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l'area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell'ambiente; per altro verso, il requisito della colpa postulato da tale norma può ben consistere nell'omissione delle cautele e degli accorgimenti che l'ordinaria diligenza suggerisce ai fini di un'efficace custodia (Cassazione civile , sez. un., 25/02/2009, n. 4472, in fattispecie relativa ad ordinanza nei confronti di un consorzio di bonifica per provvedere alla rimozione, all'avvio al recupero, allo smaltimento ed alla messa in sicurezza dei rifiuti depositati lungo un fiume).
Tuttavia, la responsabilità omissiva non può farsi derivare, dall’assenza di atti idonei a rimuovere i rifiuti, in quanto la condotta della rimozione dei rifiuti si pone come conseguenza dell’accertamento della responsabilità, e la sua assenza non può costituire un antecedente logico di tale accertamento.
Con riguardo all’omessa vigilanza va rilevato che risulta, in specie, che siano stati gli stessi proprietari a presentare formale denuncia all’autorità giudiziaria nei confronti del responsabile dello stoccaggio. Per cui, la presentazione della menzionata denuncia costituisce ulteriore indice della buona fede dei proprietari e dell’assenza di addebitabilità dello stoccaggio dei rifiuti (conferma, sentenza del TAR Liguria: Sez. I n. 1232/2000) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.07.2010 sentenza n. 4614 - link a ww
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ESPROPRIAZIONE: Dichiarazione di pubblica utilità, nonché di urgenza ed indifferibilità - Decreto di occupazione scaduto - Decreto prefettizio di proroga dell’occupazione - Piano particellare espropriativo - Verbale di consistenza degli immobili - Necessità - Operazioni di immissione in possesso - Casi di illegittimità sopravvenuta del procedimento - Giurisprudenza - Fattispecie - Art. 20 L. n. 865/1971 - Art. 3 L.n. 1/1978.
In tema di espropriazione, nei procedimenti non governati, ratione temporis, dalle norme sostanziali del T.U. n. 327 del 2001, la dichiarazione di pubblica utilità è l'atto autoritativo che fa emergere il potere pubblicistico in rapporto al bene privato e costituisce, al tempo stesso, origine funzionale della successiva attività. (C.d.S. in Adunanza plenaria decisioni nn. 9 e 12 del 2007).
Inoltre, rispetto ai casi di illegittimità sopravvenuta del procedimento si ravvisano “evidenti punti di contatto“ con quelle che si determinano a seguito dell'annullamento in s.g. della dichiarazione di pubblica utilità, in quanto in entrambi i casi gli effetti retroattivi naturalmente conseguenti alla pronuncia demolitoria o quelli derivanti dalla mancata conclusione del procedimento non sembrano poter travolgere a posteriori il nesso funzionale che ha comunque legato l'attività dell'Amministrazione alla realizzazione del fine di interesse collettivo individuato all'origine (Cons. Stato, IV Sez., n. 7744 del 10/12/2009).
Sicché, le vicende patologiche del procedimento, quali la mancata adozione del provvedimento espropriativo entro il termine fissato a monte dalla predetta dichiarazione (ovvero, la protrazione dell’occupazione oltre il termine biennale di efficacia previsto dall’art. 73 della legge n. 2359 del 1865) non sembra poter dequalificare la valenza giuridica di un'attività appunto espletata nel corso e in virtù di un procedimento, che la dichiarazione ha ab origine funzionalizzato a scopi specifici e concreti di pubblica utilità.
Nella specie, l'appellante avrebbe comunque dovuto impugnare il cd. atto di proroga. Non avendolo fatto, l’atto conserva la sua legittimità e i suoi effetti conseguenti mantengono la loro efficacia.
Infine, è ininfluente la censura riguardante la mancata redazione del verbale di immissione in possesso, non avendo l'appellante dimostrato che l’attività di occupazione, svolta in base ad un titolo giuridico esecutivo, non impugnato, avesse comportato mutamento dello stato dei luoghi oggetto di esproprio, rimanendo con ciò confermato lo stato dei luoghi precedentemente accertato (conferma sentenza del TAR Basilicata n. 994/2003) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.07.2010 sentenza n. 4599 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - DIRITTO URBANISTICO - BOSCO - Costruzione abusiva in area boscata - Richiesta di rilascio di concessione sanatoria - Nulla-osta dell’organismo preposto alla tutela del vincolo - Necessità - Demolizione del manufatto e ripristino dello stato dei luoghi.
In materia edilizia, una costruzione che insiste in area inclusa in zona di PRG classificata a bosco è sottoposta a vincolo di tutela ambientale e per ciò stesso, ogni richiesta di rilascio di concessione sanatoria deve necessariamente conseguire il nulla-osta dell’organismo preposto alla tutela del vincolo, (che nella specie, per quanto attiene alla Provincia di Trento, è da identificare nella Commissione provinciale per la tutela paesaggistico-ambientale (CTP) rivelandosi, l’acquisizione del relativo parere, una fase procedimentale del tutto insostituibile) (Cons. Stato Sez. VI 03/05/2007 n. 1944).
Pertanto, il carattere abusivo delle opere, la non compatibilità ambientale delle stesse costituisce legittima giustificazione delle determinazioni di rigetto della chiesta sanatoria e di irrogazione della sanzione della completa demolizione del manufatto e ripristino dello stato dei luoghi. (conferma sentenza del TRGA - DELLA PROVINCIA DI TRENTO n. 170/2002).
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - DIRITTO URBANISTICO - Domande di sanatoria - Autorità preposta alla tutela del vincolo - Obbligatorietà del parere - Fattispecie.
Sussiste, l'obbligatorietà del parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo gravante sul bene anche in relazione a domande di sanatoria (Cons. Stato, Sez. VI, 14/02/2007, n. 607), costituisce jus receptum il principio per cui i pareri e nulla osta resi in materia ambientale espressi dagli organi deputati alla tutela in questione costituiscono una valutazione di natura tecnico-discrezionale, resa cioè in virtù di nozioni ed esperienze di natura tecnico-scientifica applicate alla fattispecie e volta appunto a verificare la compatibilità o meno dell’opera alle esigenze di rispetto delle caratteristiche paesaggistico-ambientali che connotano lo stato dei luoghi oggetto del vincolo (Cons. Stato, Sez IV, 09/04/1999, n. 601; idem Sez. VI, 11/4/2006, n. 2001) (fattispecie: richiesta di rilascio di concessione sanatoria ed investitura e ruolo della Commissione provinciale per la tutela paesaggistico-ambientale (CTP) - Provincia di Trento) (conferma sentenza del TRGA - DELLA PROVINCIA DI TRENTO n. 170/2002) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.07.2010 n. 4591 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di una tettoia di copertura di un terrazzo - Intervento di manutenzione straordinaria - Esclusione - Permesso di costruire - Necessità - Reato di cui all’art. 44, D.P.R. 380/2001.
La realizzazione di una tettoia di copertura di un terrazzo di una abitazione non può qualificarsi quale intervento di manutenzione straordinaria, né configurarsi come pertinenza, atteso che, costituendo parte integrante dell'edificio ne costituisce ampliamento, con conseguente integrabilità, in difetto del preventivo rilascio del permesso di costruire, del reato di cui all'art. 44, d.P.R. 380/2001 (Cass. n. 40843/2005; Cass. n. 15561/2007) (annulla senza rinvio, sentenza, resa dalla Corte di Appello di Roma in data 4/5/09) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.07.2010 n. 27264 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Cubatura - Alienazione o cessione - Autonoma patrimonialità rispetto al terreno - Lotto di terreno ricevente - Superamento del volume ordinariamente consentito - Sistema edificatorio di zona - Volume complessivo - Integrità.
La cubatura che un terreno esprime o possiede può essere alienata o ceduta indipendentemente dalla alienazione o dalla cessione del terreno medesimo: ciò perché la cubatura, pur se intrinsecamente collegata al terreno che la esprime, costituisce una utilità separata da questo, autonomamente valutabile e con una propria commerciabilità e patrimonalità.
La cubatura espressa dal terreno può, dunque, essere oggetto di un contratto di trasferimento con il quale il proprietario di un’area trasferisce a titolo oneroso parte delle sue possibilità edificatorie ad altro soggetto allo scopo di consentire a quest’ultimo di realizzare nell’area di sua proprietà, una costruzione di maggior volume, nel rispetto dell’indice di densità fondiaria.
Il lotto di terreno “ricevente” è sempre destinato a superare il volume ordinariamente in esso consentito (anche se in deroga rispetto agli indici ordinari), proprio per effetto dell’acquisto di cubatura da altro lotto, che, poi, non potrà più essere oggetto di edificazione. Sicché il sistema edificatorio di zona, sotto il profilo del volume complessivo, rimane integro.
Cessione di cubatura - Lotto acquirente - Limite di espansione - Indici di copertura e di altezza.
In tema di cessione di cubatura, il lotto acquirente, destinato a superare il volume ordinariamente in esso consentito, incontra il limite di espansione determinato dall’incremento di cubatura possibile in relazione agli altri indici limitativi, quali quelli di copertura e di altezza, che, relazionati tra loro, conferiscono il massimo assentibile.
Detta soluzione consente di stabilizzare, concentrandolo in un unico lotto, quanto costruibile nei lotti vicini, sempre, però, con il rispetto della cubatura limitata non più dagli indici di zona riferiti al lotto (superabili proprio per effetto della cessione di volumetria), ma dagli altri indici (di copertura ed altezza), invece, non modificabili quale effetto dell’acquisto di cubatura.
Cessione di cubatura - Lotto intercluso - Limiti.
Non è configurabile la cessione dell’area derivante da un lotto intercluso rispetto ad un’area ordinaria, perché verrebbe ad essere trasferita in una zona caratterizzata dai normali indici stabiliti dal P.R.G. una volumetria maggiore “caratteristica” di una specifica tipologia di lotto (quello intercluso).
In altri termini, verrebbe immotivatamente consentito il trasferimento in un lotto ordinario di un migliore parametro “straordinario” caratteristico di zona, in violazione del criterio di omogeneità che giustifica la cessione di cubatura e consentendo, di fatto, la “trasformazione” di una zona ordinaria in speciale, in assenza dei necessari requisiti urbanistici.
In questo caso, non si impedisce la cessione di cubatura in quanto tale, ma il trasferimento relazionato alla tipologia (ed agli indici più favorevoli) del lotto intercluso verso l’ordinaria (e con indici più bassi) tipologia fondiaria (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 14.07.2010 n. 3034 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: STAZIONI RADIO-BASE E RUOLO DEL COMUNE.
1. Telecomunicazioni - Telefonia mobile - Stazione radio base - Regolamenti comunali - Misure di minimizzazione - Limiti contemplabili.
2. Telecomunicazioni - Telefonia mobile - Stazione radio base - Limiti compatibilità - Determinazione - Competenza statale - Sussistenza - Ragioni.
3. Telecomunicazioni - Telefonia mobile - Stazione radio base - Regolamenti comunali - Illegittimità - Casi - Ragioni.

4. Giurisdizione amministrativa - Poteri del G.A. - Profili.
5. Giudizio amministrativo - Procedura - Termini - Per impugnare - Atto applicativo - Disciplina.

1. Ai sensi dell'art. 8, co. 6, L. 22.02.2001 n. 36, i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici. Le misure di minimizzazione suddette non possono tuttavia, in alcun modo, prevedere limiti generalizzati di esposizione diversi da quelli previsti dallo Stato, né possono di fatto costituire una deroga generalizzata, o quasi, a tali limiti, essendo invece consentita l'individuazione di specifiche e diverse misure, la cui idoneità al fine della minimizzazione emerga dallo svolgimento di compiuti e approfonditi rilievi istruttori sulla base di risultanze di carattere scientifico (Cons. Stato, sez. VI, n. 5258/2009).
2. I criteri di localizzazione degli impianti non possono trasformarsi in limitazioni alla localizzazione, così da configurarsi incompatibili con la possibilità di realizzare una rete completa d'infrastrutture per la telecomunicazione e la determinazione a regime di limiti di localizzazione degli impianti -atteso il suo carattere generalizzato ed il riferimento al dato oggettivo dell'esistenza di insediamenti abitativi- non può tradursi in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l'art. 4, L. n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l'individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità.
Né va dimenticato come la scelta dei criteri d'insediamento degli impianti deve tenere conto della nozione di rete di telecomunicazione, la quale richiede una diffusione capillare sul territorio. D'altronde l'assimilazione in via normativa delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, implica che le medesime non siano avulse dall'insediamento abitativo, ma debbano porsi al servizio dello stesso (Corte Costituzionale n. 307/2003; Corte Costituzionale n. 331/2003; Cons. Stato, sez. VI, n. 5258/2009; Cons. Stato, sez. VI, 17-07-2008 n. 3594; cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, 28-03-2007 n. 1431).
3. Il potere comunale non può spingersi fino al punto di ritenere che al comune sia consentito di introdurre limiti generalizzati d'esposizione ai campi magnetici diversi da quelli previsti dallo Stato, ovvero di costituire deroghe pressoché generalizzate rispetto a tali limiti statali per il tramite di generalizzate interdizioni localizzative, essendo al più consentita l'individuazione di specifiche e diverse misure precauzionali, la cui idoneità al fine della minimizzazione emerga dallo svolgimento di compiuti ed approfonditi rilievi istruttori sulla base di risultanze di carattere scientifico, sicché deve ritenersi esulare dalle competenze comunali l'imposizione, in sede di pianificazione urbanistica, di generalizzati divieti di installazione degli impianti di telefonia mobile, e ciò sia per la inammissibile finalità indirettamente sanitaria della misura, sia per l'avvenuta assimilazione normativa di tali impianti alle opere di urbanizzazione primaria, compatibili come tali con ogni destinazione di zona (Cons. Stato, sez. VI, 10-05-2007 n. 2241; Cons. Stato, sez. VI, 03-09-2007 n. 5098; Cons. Stato, sez. VI, 27-07-2007 n. 4162; Cons. Stato, sez. VI, 16-12-2009 n. 8103, che conferma TAR Veneto, sez. II, n. 149/2004).
4. Al Giudice Amministrativo è consentito disapplicare la norma secondaria di regolamento, qualora essa contrasti con la norma di legge, ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo (Cons. Stato, sez. VI, 29-05-2008 n. 2536; Cons. Stato, sez. VI, 03-10-2007 n. 5098; TAR Lombardia Milano, sez. II, 19-02-2009 n. 1322).
5. Allorché la lesione consegua all'emanazione del provvedimento applicativo di quello generale, il termine per impugnare, contestando le prescrizioni generali in concreto applicate, decorre dalla conoscenza del provvedimento che ne fa applicazione; quest'ultimo, infatti, è quello che comporta l'attualità e la concretezza della lesione della situazione soggettiva protetta (Cons. Stato, sez. VI, 08-09-2009 n. 5258) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 14.07.2010 n. 2949 - link a http://mondolegale.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Risarcimento del danno derivante da ordinanze contingibili e urgenti.
Va affermata la legittimazione passiva dell’amministrazione comunale in ordine a domande di risarcimento di danni derivanti da ordinanze contingibili e urgenti, in quanto, pur agendo il sindaco in veste di organo dello Stato (ufficiale del governo) e quindi di organo a servizio di più enti, egli opera nel quadro del complesso organizzatorio comunale quale elemento di tale complesso con la conseguente responsabilità del comune, e non dello Stato, degli atti posti in essere dal sindaco nella suddetta qualità (seppur con un diverso percorso argomentativo alle stesse conclusioni è giunto Consiglio di Stato, sez. V, 13.08.2007, n. 4448, con cui è stata affermata la legittimazione passiva del solo comune per l’azione di annullamento degli atti posti in essere dal sindaco quale ufficiale del governo sulla base di considerazioni estese anche alla domanda di risarcimento, pur non escludendo, a priori, una responsabilità dello Stato per i danni cagionati dall'esercizio del potere di ordinanza sindacale, basata su un titolo diverso da quello dell'imputazione soggettiva dell'atto) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.07.2010 n. 4529 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATASecondo il Consiglio di Stato è corretta la decisione del Giudice che esclude che il ricorrente possa usufruire dell'esenzione dal pagamento degli oneri concessori, in ordine alla realizzazione di un edificio da adibire a ristorante, self-service, bar e pizzeria, atteso che tale attività, non rientrando nelle attività industriali o artigianali, non può beneficiare di tale esenzione.
L’art. 10 della legge 28.01.1977 n. 10 (c.d. legge Bucalossi) distingue, ai fini della determinazione del contributo di costruzione, gli edifici o impianti destinati ad attività industriale e artigianale dirette alla trasformazione dei beni e alla prestazione di servizi, dalle costruzioni od impianti destinati ad attività turistiche, commerciali o direzionali, prevedendo per i primi manufatti le agevolazioni contributive ed escludendole per i secondi.
Ora, parte interessata rivendica l’applicazione della norma di favore di cui al primo comma del citato art. 10, asserendo come l’attività svolta nell’immobile oggetto della concessione edilizia sarebbe di tipo industriale o artigianale; ma al riguardo il Collegio deve rilevare che nella specie non sussiste il presupposto di fatto e di diritto per farsi luogo al riconoscimento della chiesta esenzione dall’onere contributivo in discussione.
Invero, come pacificamente risulta dalle risultanze documentali, la concessione edilizia per cui è causa è stata rilasciata per la realizzazione di un edificio destinato ad ospitare un’attività di ristorante, self-service, bar e pizzeria; ed è dunque con esclusivo riferimento a tali tipologie di attività che occorre indagare in ordine alla natura dell’impresa che in tale fabbricato si va ad esercitare, ai fini della sussistenza o meno in capo alla Società ricorrente del diritto all’esenzione qui rivendicato.
Ora, se si vuole dare consistenza al contenuto delle attività sopra descritte, quanto all’accezione logica e naturale del concetto di commercio, deve convenirsi come è correlata ad un’attività di ristorante, self-service, bar e pizzeria l’effettuazione di operazioni di scambio di beni o prodotti e non v’è dubbio che un’attività di vendita di tal genere è certamente prevalente rispetto al confezionamento dei prodotti oggetto di scambio.
Un riscontro di tale differenziazione tra attività di tipo industriale e attività di tipo commerciale è ravvisabile, poi, come peraltro già messo in luce dal primo giudice, nelle definizioni recate dall’art. 2195 codice civile, lì dove si distingue un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi ed un’attività intermediaria nella circolazione dei beni, qual è, appunto, quella commerciale.
L’appellante, a sostegno della sua pretesa all’esenzione in questione, adduce la circostanza per cui nella specie l’impresa di ristorazione non si limita alla vendita dei prodotti, ma si occupa della elaborazione delle vivande e in ciò stesso si dovrebbe ravvisare un’attività (artigianale o industriale) qualificabile come produttiva di un servizio.
La tesi, per quanto suggestiva, non appare condivisibile, venendo, in particolare, smentita dal fatto che la preparazione dei prodotti attiene ad una fase del tutto eventuale e meramente propedeutica e che viene comunque assorbita dall’attività di distribuzione dei prodotti, che è e rimane la connotazione naturale e prevalente dell’attività di ristorazione ed in relazione alla quale il soggetto gestore dell’attività imprenditoriale in questione consegue il suo utile economico.
Se così è, dunque, deve convenirsi che nella specie non appare sussistente in capo all’appellante la condicio juris della presenza di un’attività industriale o artigianale, indispensabile per farsi luogo all’esenzione dal contributo concessorio ai sensi del più volte citato art. 10 della legge n. 10/1977, di talché devono condividersi le conclusioni cui è pervenuto il Tar (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.07.2010 n. 4488 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Anche per l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica è indispensabile la preventiva comunicazione di avvio del procedimento.
Possono ormai considerarsi superati, infatti, i diversi orientamenti giurisprudenziali e legislativi, emersi in ordine alla applicabilità, o meno, del predetto istituto al sub-procedimento di controllo, rimesso all’Autorità statale in ordine alle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dall’ente territoriale delegato. In assenza di specificazioni normative, la giurisprudenza si era in prevalenza orientata nel senso di ritenere sussistente l’obbligo di comunicazione di avvio in rapporto alla procedura in questione, quale nuova modalità dialettica di esercizio della funzione amministrativa, in una dimensione di massima trasparenza nei rapporti tra cittadini e Autorità pubbliche (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 03.02.2004, n. 342, 25.03.2004, n. 1626, 14.01.2003, n. 119, 02.09.2003, n. 4866).
Tale orientamento, tuttavia, era stato superato dalla espressa abrogazione normativa dell’obbligo di cui si discute, in base al rinvio operato dall’art. 4 del D.M. 13.06.1994, n. 495 e s. m. (regolamento contenente disposizioni attuative della legge n. 241/1990, comma 1-bis, aggiunto dal D.M. 19.06.2002, n. 165) all’art. 151 del D.Lgs. 29.10.1999, n. 490 (cfr. anche Cons. St., sez. VI, 01.07.2003, n. 2835, TAR Lazio, Roma, sez. II, 20.01.2004, n. 497).
La norma introdotta dall’art. 2 del citato D.M. n. 165/2002 (divenuta art. 1-bis del regolamento attuativo degli articoli 2 e 4 della legge n. 241/1990, emanato con D.M. n. 495/1994) disponeva infatti –deve ritenersi, dalla data di entrata in vigore della norma stessa– che la comunicazione di avvio del procedimento non fosse dovuta, da parte del relativo funzionario responsabile, “per i procedimenti avviati ad istanza di parte e, in particolare, per quelli disciplinati dagli articoli 21, 22, 23, 24, 25, 26, 35, 41, 43, 50, 51, 53, 55, 56, 59, 66, 68, 69, 72, 86, 102, 107, 108, 109, 113, 114, 151, 154 e 147 del decreto legislativo 29.10.1999, n. 490”, ovvero del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, che appunto nell’art. 151 disciplinava l’invio delle autorizzazioni paesaggistiche alla competente Soprintendenza, con facoltà di annullamento delle medesime autorizzazioni, da parte del Ministero, entro 60 giorni.
Dall’entrata in vigore del nuovo Codice dei beni culturali (D.Lgs. n. 42 del 22.01.2004) –e fino alle modifiche al medesimo apportate (ma non specificamente sul punto che qui interessa), dall’art. 2, comma 1, punto “hh” del D.Lgs. 26.03.2008, n. 63– veniva invece previsto che, nell’ambito del regime transitorio in materia di autorizzazione paesaggistica, contenuto nell’art. 159 del medesimo D.Lgs. n. 42/2004, l’Amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione stessa desse immediata comunicazione alla Soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate, con contestuale invio di tale comunicazione agli interessati, quale “avviso di inizio del procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 07.08.1990, n. 241”.
In base alla predetta disposizione non può che ritenersi superata –per l’effetto abrogativo proprio della norma sopravvenuta di rango superiore– la soppressione del momento partecipativo introdotto con la comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi del ricordato art. 4, comma 1-bis, del D.M. 13.06.1994, n. 495, come modificato dal D.M. 19.06.2002, n. 165 (cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 07.01.2008, n. 30; 13.02.2009, n. 771, 21.03.2006, n. 1506).
Alla data di emanazione (06.12.2007) dell’atto di annullamento di cui si discute, pertanto, il privato richiedente l’autorizzazione doveva ricevere comunicazione dell’avvio del sub-procedimento di controllo, attivato con l’invio dell’autorizzazione paesaggistica comunale alla Soprintendenza.
La censura a tale riguardo prospettata (nell’unica forma possibile per l’interessato, consapevole solo di non avere avuto alcuna conoscenza della fase procedurale, conclusasi con l’annullamento) implicava l’onere per l’Amministrazione comunale competente di comprovare, ove sussistente, l’avvenuta comunicazione di cui al più volte citato art. 159 D.Lgs. n. 42/2004.
Non appare condivisibile, pertanto, l’argomentazione contenuta nella sentenza appellata, secondo la quale la censura in esame sarebbe stata introdotta solo con memoria difensiva: la parte interessata, infatti, aveva formalmente contestato con l’atto introduttivo del giudizio l’omessa comunicazione di avvio del procedimento e solo precisato in memoria che –dovendo consistere tale comunicazione nella notizia, da parte del Comune, dell’invio dell’autorizzazione alla Soprintendenza– tale comunicazione era di fatto mancata, senza puntuali controdeduzioni al riguardo da parte dell’Amministrazione comunale.
La censura deve quindi ritenersi fondata, con conseguente accoglimento dell’appello sotto tale profilo, mentre appaiono meritevoli di conferma i capi della decisione riferiti all’insussistenza dell’obbligo, di cui all’art. 10-bis della legge n. 241/1990 (preavviso di rigetto, previsto in via esclusiva per i procedimenti avviati su istanza di parte), nonché a violazione dello stesso art. 159 del D.Lgs. n. 42/2004 sotto altro profilo, per avere la Soprintendenza annullato l’autorizzazione paesaggistica per ragioni di merito e non di mera legittimità.
Per quanto riguarda il preavviso di rigetto, infatti, non è possibile individuarne i presupposti nell’ambito di una procedura di controllo attivata ex lege, i cui soggetti di riferimento sono il Comune (emanante l’atto controllato) e la Soprintendenza (quale autorità statale controllante).
Il riscontro da effettuare, inoltre, non poteva certamente implicare una sovrapposizione delle valutazioni di merito della stessa Soprintendenza, rispetto a quelle dell’autorità delegata, ma doveva essere effettuato per qualsiasi vizio di legittimità, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta: cfr. in tal senso Cons. St., Ad. Plen. 14.12.2001, n. 9).
Proprio la suddetta dimensione del controllo giustificava, d’altra parte, la prevista possibilità di partecipazione al procedimento del soggetto direttamente interessato, in grado di fornire un apporto conoscitivo su quelli, che debbono ritenersi i parametri –valutabili in via di riscontro di legittimità– dell’attività discrezionale dell’Amministrazione. Sicuramente riconducibile a tali parametri era, come rilevato nel caso di specie, la non esatta rappresentazione dello stato dei luoghi e la conseguente inadeguatezza dell’apprezzamento espresso dal Comune, in violazione del vincolo paesaggistico gravante sull’area. Quanto sopra, ovviamente, secondo le ragioni esposte nell’atto di annullamento e condivise nella sentenza appellata.
Tali ragioni –benché condivisibili in astratto (poiché rientranti nei poteri di accertamento della Soprintendenza)– potevano tuttavia essere contestate in concreto, a seguito di un’istruttoria che consentisse la partecipazione del soggetto interessato.
La preclusione di detto apporto partecipativo è sufficiente, dunque, perché si debba giungere all’accoglimento dell’appello e, in riforma della sentenza gravata, all’annullamento dell’atto impugnato in primo grado di giudizio, con conseguente nuovo avvio della procedura di controllo non legittimamente espletata, sulla base di una più ampia cognizione dei presupposti di fatto nella fattispecie rilevanti (esistenza, o meno, di una fascia di macchia mediterranea da preservare, e limiti di compatibilità dell’intervento edilizio –da effettuare secondo le modalità risultanti dal relativo progetto– rispetto ai valori paesaggistici del sito)
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 17.06.2010 n. 3846 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIAi sensi dell'art. 23-bis, comma 9, del D.L. 112/2008, una società a capitale prevalente pubblico, affidataria in house di servizi pubblici, non può partecipare a gare d' appalto per la gestione di servizi pubblici locali. Non rileva neppure il fatto di essere controllata da altra società pubblica quotata in borsa. La deroga , eccezionale, per le società quotate si applica solo ad esse (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1845 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALIDocumenti sottratti all'accesso in caso di indagine penale.
Con la sentenza annotata la I sezione del TAR Lombardia nega l'accesso di consiglieri comunali a documentazione di cui la Procura della Repubblica ha chiesto copia per indagini di carattere penale. Trattasi di decisione discutibile, poiché la semplice sussistenza di indagini da parte della magistratura inquirente non sembra situazione in grado di giustificare la sottrazione all'accesso di documenti in possesso della P.A. (né tale situazione appare contemplata dalle norme vigenti).
In via di principio, i consiglieri comunali hanno l'incondizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento del loro mandato, prerogativa prevista dalla legge anche al fine di permettere loro di valutare -con piena cognizione- la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'amministrazione, nonché per promuovere, anche nell'ambito del consiglio comunale, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale, avendo il diritto di accesso riconosciuto a questi ultimi dall'art. 43 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 una ratio diversa da quella che contraddistingue il generale diritto di accesso ai documenti amministrativi, riconosciuto a chi sia portatore di un "interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso" ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge 07.08.1990, n. 241, non incontrando alcuna limitazione derivante dalla natura eventualmente riservata del documento, atteso che il consigliere è vincolato all'osservanza del segreto.
Il riconoscimento di tale diritto, in quanto utile allo svolgimento del mandato rappresentativo, incontra il limite funzionale per cui tale strumento non deve essere piegato a strategie ostruzionistiche o di paralisi dell'attività amministrativa, con istanze ripetute che, a causa del loro numero, possano tradursi in un aggravio se non nella paralisi del lavoro negli uffici ai quali sono rivolte, o per determinare un sindacato generale sull'attività dell'amministrazione, vietato dall'art. 24, comma 3, della legge n. 241 del 1990;
Il diniego di accesso può essere opposto dall'amministrazione con provvedimento motivato in relazione alla salvaguardia degli interessi di cui all'art. 24 della legge 07.08.1990 n. 241, come per gli atti sottoposti ad indagini preliminari nel procedimento penale, ove vengono in rilievo poteri istruttori ed investigativi che rientrano nel segreto regolato dall'art. 329 c.p.p. e rispetto ai quali non può esercitarsi l'accesso, sottoposto legittimamente a differimento fino alla conclusione del procedimento penale.
Nella fattispecie in questione, i documenti dei quali è stato richiesto l’accesso sono stati acquisiti dalla Procura della Repubblica di Monza a seguito di esposto presentato dal comune intimato, come risulta dalla documentazione versata in atti e che, di conseguenza, l’amministrazione resistente legittimamente ha disposto il differimento dell’accesso a tale documentazione almeno fino alla conclusione delle indagini istruttorie del procedimento penale
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 20.05.2010 n. 1578 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIEnti locali, gli atti sotto giudizio. Un parere del Consiglio di stato chiarisce che l'art. 138 del Tuel deve essere considerato vigente. Il governo può sempre annullare i provvedimenti illegittimi.
Vigente e operativo il potere del governo centrale di annullare gli atti degli enti locali viziati da illegittimità, previsto dall'articolo 138 del dlgs 267/2000.
La riforma della Costituzione operata con la legge costituzionale 3/2001 non ha, quindi, inciso sul potere governativo di intervenire a garanzia della legittimità degli atti degli enti locali, prevedendo, semmai, più rigorosi strumenti partecipativi a garanzia dell'autonomia locale.
Il Consiglio di Stato, Sez. I, col parere 20.10.2004 n. 9771 interviene, sia pure indirettamente, in maniera decisiva per chiarire uno tra gli aspetti interpretativi più controversi della riforma della Costituzione ... (articolo ItaliaOggi del 10.12.2004, pag. 70).

AGGIORNAMENTO AL 19.07.2010

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NOVITA' NEL SITO

EDILIZIA PRIVATA: Nel bottone MODULISTICA è stato inserito il fac-simile (modificabile a piacimento) di comunicazione esecuzione interventi edilizi liberi ex art. 6 DPR n. 380/2001.

UTILITA'

AMBIENTE-ECOLOGIA - VARIDifendersi da zanzare tigre e zecche.
Regione Lombardia ha realizzato una scheda informativa su un tema che è di stretta attualità nei mesi estivi: le punture delle zanzare tigre e delle zecche come possibili cause di trasmissione di alcune malattie.
La scheda allegata contiene sintetiche descrizioni dei due insetti e semplici consigli per proteggersi dalle loro punture (link a ww
w.sanita.regione.lombardia.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dalla Protezione civile le "Linee guida per la riparazione e il rafforzamento di elementi strutturali, tamponature e partizioni".
Il Dipartimento della Protezione Civile ha predisposto un aggiornamento delle "Linee guida per la riparazione e il rafforzamento di elementi strutturali, tamponature e partizioni" rilasciate (in bozza) nell’agosto 2009.
Ricordiamo che tali linee guida sono state redatte con l'obiettivo di fornire un supporto alla progettazione degli interventi sulle strutture colpite dal sisma dell’Abruzzo del 06.04.2009, in particolare per quelle classificate, secondo le procedure stabilite dal Dipartimento della Protezione Civile, con esito di agibilità B o C.
Questi sono alcuni degli interventi illustrati nel documento: ... (link a ww
w.acca.it).

EDILIZIA PRIVATAAlle demolizioni e ricostruzioni con ampliamento non spetta la detrazione del 55%.
L’Agenzia delle Entrate ha emanato la circolare 01.07.2010 n. 39/E con la quale precisa che la demolizione e la ricostruzione con ampliamento va considerata alla pari dell’attività di “nuova costruzione” e quindi non può usufruire della detrazione del 55%.
Il beneficio è, invece, fruibile quando un edificio esistente viene ristrutturato e ampliato senza demolizione; in tal caso l’agevolazione è ammissibile solo per le spese riferibili alla parte esistente.
In quest’ultimo caso, comunque, l’agevolazione non può riguardare gli interventi di riqualificazione energetica globale dell’edificio, previsti dall’art. 1, c. 344, della Legge n. 296 del 2006 in quanto per tali interventi occorre individuare il fabbisogno di energia primaria annua riferita all’intero edificio, comprensivo, pertanto, anche dell’ampliamento.
Sono, invece, agevolabili gli interventi previsti dai commi 345 (pareti, coperture, finestre), 346 (pannelli solari termici) e 347 (sostituzione del generatore) dell’art. 1 della citata L. 296 del 2006, per i quali la detrazione è subordinata alle caratteristiche tecniche dei singoli elementi costruttivi (pareti, infissi ecc.) o dei singoli impianti (pannelli solari, caldaie ecc).
Con la circolare del 31.05.2007, n. 36/E, l’Agenzia aveva già precisato che nel caso di ristrutturazioni con demolizione e ricostruzione si può accedere all’incentivo esclusivamente nell’ipotesi di fedele ricostruzione, ravvisando nelle altre fattispecie il concetto di “nuova costruzione”.
La Circolare dell’Agenzia delle Entrate 01.07.2010 n. 39/E fornisce chiarimenti anche sulle spese relative all’acquisto dell’abitazione principale:
- detrazione d’imposta dei compensi pagati per l’intermediazione immobiliare dell’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale (art. 15, comma 1, lettera b-bis), del TUIR);
- interessi passivi pagati per l’acquisto dell’abitazione principale.
- acquisto di un immobile da ristrutturare (link a ww
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SICUREZZA LAVOROGli atti del convegno "La valutazione del rischio stress lavoro correlato e la promozione del benessere organizzativo.
Il prossimo 1° agosto scadono i termini per effettuare la valutazione dei rischi da stress lavoro correlato ai sensi dell'art. 28 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. (T.U.S).
Con l'approssimarsi della scadenza le ASL del Veneto hanno organizzato un convegno sul tema al fine di evidenziare e discutere le problematiche legate al nuovo adempimento, anche in considerazione del fatto che le indicazioni della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro previste dal TUS, come riferimento necessario alla valutazione, non sono ancora state emanate.
A Verona il 07.07.2010 si quindi è tenuto il convegno "La valutazione del rischio stress lavoro correlato e la promozione del benessere organizzativo”.
Gli atti del convegno che ha visto la partecipazione di docenti ed esperti sono disponibili on line: ... (link a ww
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EDILIZIA PRIVATADall'ENEA il rapporto "Le fonti rinnovabili 2010.
L'ENEA ha pubblicato il rapporto "Le fonti rinnovabili 2010”.
Il documento analizza la diffusione e la crescita della produzione di energia da fonte rinnovabile in Italia, in Europa e nel mondo, ipotizzando gli scenari futuri e le possibilità di ulteriore crescita.
Il rapporto, dopo aver illustrato la situazione delle rinnovabili a livello internazionale e a livello nazionale, esamina la situazione a livello locale (regioni, comuni).
L'ENEA effettua un'attenta disamina delle incentivazioni e del mercato delle rinnovabili in Italia analizzando il costo degli incentivi alle rinnovabili e l'efficacia delle politiche e sviluppo della rete.
In appendice sono riportate schede tecnologiche che illustrano le possibilità di sviluppo delle diverse fonti rinnovabili: ... (link a ww
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SICUREZZA LAVOROIl manuale dell’INAIL "Il lavoro al videoterminale".
L’utilizzo del videoterminale, soprattutto se prolungato, può provocare qualche disturbo, essenzialmente per l’apparato muscolo-scheletrico e per la vista, o problemi di affaticamento mentale. I disturbi che i lavoratori addetti ai videoterminali possono accusare sono:
- disturbi alla vista e agli occhi;
- problemi legati alla postura;
- affaticamento fisico e mentale.

Mal di testa, rigidità alla nuca, bruciore agli occhi, lacrimazione, dolori in corrispondenza di spalle, braccia e mani sono i disturbi che più frequentemente interessano gli addetti ai videoterminali. Negli ultimi anni questi disturbi sembrano essere più frequenti e ciò può essere spiegato da un lato con la maggiore diffusione del videoterminale, dall’altro con i ritmi di lavoro più stressanti. Tuttavia, osservando alcune norme di buona pratica è possibile prevenirli.
L'Inail ha reso disponibile l'edizione 2010 della pubblicazione  "Il lavoro al videoterminale",  aggiornata secondo le indicazioni del D.Lgs. 81/2008 e del D.Lgs. 106/2009.
Il documento può essere utilizzato dai datori di lavoro per informare correttamente sui rischi a cui  sono esposti i lavoratori che utilizzano abitualmente il videoterminale e per spiegare loro come sistemare la postazione di lavoro e usare le apparecchiature in modo corretto, supportandoli nella esecuzioni degli adempimenti previsti dal D.Lgs. 81/2008.
La pubblicazione è articolata nei seguenti capitoli:
1. Come evitare i disturbi associati all’uso del videoterminale;
2. Videoterminale, tastiera e mouse;
3. Condizioni ambientali;
4. Il corretto posizionamento del videoterminale;
5. Piano di lavoro, sedia, poggiapiedi;
6. La postazione di lavoro;
7. Uso dei computer portatili;
8. I disturbi alla vista;
9. Affaticamento mentale;
10. Fare prevenzione: esercizi di rilassamento e altre raccomandazioni;
11. Lista di controllo.

In appendice è riportato il testo della normativa di riferimento:
- Titolo VII e Allegato XXXIV del D.Lgs. 81/2008;
- D.M. 02/10/2000 - Linee guida d’uso dei videoterminali;
- Circolare 20/04/2001 n. 5/2001
(link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Da SUVA la check-list per la sicurezza nei cantieri all'aperto nei giorni di canicola.
Durante i periodi di caldo intenso l’organismo è fortemente sollecitato, soprattutto se l’umidità atmosferica è molto elevata. Le persone più colpite sono quelle che svolgono lavori fisici all’aperto. A soffrirne maggiormente è l’apparato circolatorio. Le temperature molto elevate possono causare crampi, esaurimento fisico o, nella peggiore delle ipotesi, un colpo di calore.
I raggi ultravioletti (UV) raggiungono in estate i valori massimi giornalieri tra le 11:00 e le 15:00; essi, per intensità elevate, possono provocare tumori della pelle e lesioni oculari.
Quando l’irraggiamento solare è molto intenso, soprattutto in estate, inoltre, si forma l’ozono (con valori massimi all’incirca tra le 16:00 e le 18:00). L’ozono che si forma in prossimità del suolo (ozono troposferico) ha l’effetto di un gas irritante: una prolungata esposizione ad elevate concentrazioni di ozono può provocare bruciore agli occhi, irritazioni della gola e della faringe, insufficienza respiratoria e mal di testa.
L'intenso irraggiamento solare quindi può rendere più pericoloso il lavoro nei cantieri all'aperto.
Per poter valutare e gestire meglio le situazioni di pericolo derivanti dall’esposizione all’intenso irraggiamento solare Suva ha realizzato una specifica check-list, che costituisce un utile supporto per responsabili della sicurezza, coordinatori della sicurezza e datori di lavoro (link a ww
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SICUREZZA LAVOROAssociazioni sportive e sociali e D.Lgs. 81/2008.
La Regione Veneto, con il parere del 22.06.2010, ha fornito alcuni chiarimenti sulle modalità di applicazione delle normative in tema di prevenzione della salute e sicurezza (D.Lgs. 81/2008) per le associazioni sportive e le associazioni di promozione sociale.
Coloro che collaborano con tali associazioni a titolo gratuito o ricevono semplici rimborsi spese sono equiparati, secondo la Regione Veneto, ai volontari.
Tali soggetti dovranno:
a) utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al titolo III;
b) munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al titolo III;
e) ove svolgano la propria attività nell'ambito del l'organizzazione di un datore di lavoro, questi è tenuto ad adottare le misure utili ad eliminare e, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze tra la prestazione del volontario e le altre attività svolte, nell'ambito della medesima organizzazione, dal personale dipendente;
d) Inoltre, il titolare dell'organizzazione (Presidente dell'Associazione) è tenuto a fornire loro dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti in cui il volontario è chiamato ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività ... (link a ww
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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 13.07.2010 n. 161 " Modifiche ed integrazioni al decreto 17.12.2009, recante l’istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, ai sensi dell’articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell’articolo 14 -bis del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009" (D.M. 09.07.2010).

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 13.07.2010 n. 161 "Modifica degli allegati al decreto 22.01.2008, n. 37, concernente il regolamento in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli edifici" (D.M. 19.05.2010).

ATTI AMMINISTRATIVI: G.U. 07.07.2010 n. 156, suppl. ord. n. 148/L, "Attuazione dell’articolo 44 della legge 18.06.2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo" (D.Lgs. 02.07.2010 n. 104).
La suddetta norma è scaricabile anche qui (link a http://venetoius.myblog.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria 05.07.2010 n. 27, "Modalità di finanziamento agli Enti locali per lo sviluppo del Database Topografico, a supporto del SIT integrato per l’anno 2010" (deliberazione G.R. 23.06.2010 n. 160 -  link a www.infopoint.it).

QUESITI

EDILIZIA PRIVATA: Soggetto deputato ad irrogare la sanzione amministrativa ex art. 167 D.Lgs. n. 42/2004 (compatibilità paesaggistica) (risposta e-mail del 13.07.2010 della Regione Lombardia).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Quesiti relativi al servizio di trasporto rifiuti gestito da Consorzio.
Vengono posti alcuni quesiti in relazione al servizio di trasporto dei rifiuti (Regione Piemonte, parere n. 65/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di impianto fotovoltaico nuovo su area in classe IIIb3. Compatibilità e legittimità geologica dell’impianto.
Il Comune (omissis) chiede parere del Servizio scrivente in ordine alla possibilità di realizzare su una area che ricade in classe IIIb3 un nuovo impianto fotovoltaico, finalizzato alla produzione e cessione di energia elettrica alla rete nazionale.
Il progetto consisterebbe nella posa di pannelli fotovoltaici su una platea di cemento armato già presente sul lotto ed il recupero di un fabbricato esistente per trasformarlo in cabina di trasformazione.
Il Comune suddetto chiede se l’intervento sopra descritto –ad avviso dello stesso compatibile dal punto di vista urbanistico- sia legittimo e compatibile dal punto di vista geologico, considerando altresì che il carico antropico dovrebbe risultare quasi nullo perché l’impianto avrebbe bisogno di poca manutenzione (Regione Piemonte, parere n. 64/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

URBANISTICA Modifica del P.R.G. vigente tramite Variante parziale. Possibilità.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente in ordine alla tipologia di Variante al Piano regolatore da utilizzare nel caso in cui si voglia apportare una determinata modifica ad un articolo della N.T.A. del P.R.G.C. vigente.
Nello specifico il Comune si interroga sulla legittimità di ricondurre tale modifica ad una Variante parziale, e non ad una Variante strutturale, alla luce del fatto che la norma in questione riguarda l’approvazione di un Piano Cave Comunale per la disciplina delle attività estrattive nell’ambito del Parco agrofluviale del fiume Orco (Regione Piemonte, parere n. 60/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Procedura amministrativa da seguire per installazione impianto biotecnologico fotovoltaico.
La Comunità Montana (omissis), chiede parere del Servizio scrivente in ordine alla procedura amministrativa da seguire per l’installazione di un impianto bio-tecnologico fotovoltaico tramite la costruzione di serre con copertura in pannelli fotovoltaici (Regione Piemonte, parere n. 59/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

URBANISTICA: Corretta procedura da seguire per l’adozione di atti di natura urbanistica, con assoggettamento alla valutazione ambientale strategica (Regione Piemonte, parere n. 49/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Inquinamento acustico. Quesito in merito alla competenza in capo alle Amministrazioni ai sensi della legge 447/1995 e della l.r. 13/2001 (Regione Lombardia, Direzione Generale Qualità dell'Ambiente, nota 23.02.2005 n. 4244 di prot.).

SINDACATI

ENTI LOCALI: Il DDL Codice Autonomie: Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell’ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali. Riordino di enti ed organismi decentrati:
- file 1 - file 2 (CISL-FPS di Bergamo - note 09.07.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: Gli assegni al nucleo famigliare - Le tabelle aggiornale al 2010 (CGIL di Bergamo - nota luglio 2010).

PUBBLICO IMPIEGOPensioni, le ultima novità (CGIL di Bergamo - nota luglio 2010).

NOTE, CIRCOLARI & COMUNICATI

SICUREZZA LAVORODistribuzione gratuita di 15.000 lettori della Carta Regionale dei Servizi (CRS) per la trasmissione informatizzata della notifica preliminare di avvio lavori nei cantieri (Regione Lombardia, Direzione Generale Sanità, nota 12.07.2010 n. 24366 di prot.).

APPALTIComunicazione dati dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ai sensi degli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 163/2006 "Codice dei Contratti Pubblici" (Regione Lombardia, Direzione Generale Infrastrutture e Mobilità, Infrastrutture Viarie e Aeroportuali, Opere Pubbliche, nota 23.06.2010 n. 43217 di prot.).

URBANISTICAIndicazioni operative sulla verifica della componente geologica dei P.G.T. da parte delle Province (regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, nota 03.08.2009 n. 15628 di prot.).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: W. Fumagalli, Le nuove modifiche della 44 Legge Regionale 12/2005 (AL n. 5/2010).

APPALTI: F. Barchielli, LE GARANZIE FIDEIUSSORIE NEGLI APPALTI PUBBLICI E PRIVATI - Fideiussioni bancarie, assicurative, degli intermediari finanziarie e dei Confidi (link a www.urbanisticaitaliana.it).

PUBBLICO IMPIEGO: P. Russo e M. I. Bruno,  La disciplina della revoca degli incarichi dirigenziali negli enti locali tra riforma brunetta e manovra anticrisi (link a www.diritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: G. Musso Piantelli, Quali motivi di mancata partecipazione a riunioni di organi collegiali possano dirsi “giustificati” così da impedire la decadenza dall’ufficio (link a www.diritto.it).

APPALTI: R. De Nictolis, Il recepimento della direttiva ricorsi nel codice appalti e nel nuovo codice del processo amministrativo (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Uguali offerte: La sorte decide una volta sola (link a www.mediagraphic.it).

APPALTI SERVIZI: M. F. Panaro, Il divieto di partecipazione alle gare per i soggetti che gestiscono servizi pubblici in affidamento diretto (link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: M. Alesio, IL RECEPIMENTO DELLA “DIRETTIVA RICORSI” E LE CONNESSE MODIFICAZIONI AL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI (giugno 2010 - link a www.centrostudimarangoni.it).

APPALTI: M. Faviere, La verifica dei requisiti di gara (determinazione n. 1/2010 AVLP) (aprile 2010 - link a www.centrostudimarangoni.it).

APPALTI SERVIZI: M. Alesio, I servizi pubblici locali dopo il D.L. 135/2009 - I SERVIZI PUBBLICI LOCALI NELL’ULTIMO AMBIZIOSO TENTATIVO DI MICRORIFORMA (novembre 2009 - link a www.centrostudimarangoni.it).

APPALTI: M. Faviere, Appalti pubblici: le novità legislative (ottobre 2009 - link a www.centrostudimarangoni.it).

APPALTI: M. Alesio, LE PROCEDURE NEGOZIATE ALLA LUCE DELLE ULTIME NOVITA’ (luglio 2009 - link a www.centrostudimarangoni.it).

NEWS

PUBBLICO IMPIEGO: COLLEGAMENTO IN RETE DEI MEDICI E RICETTA ELETTRONICA - Avvio a regime per la Regione Lombardia.
Il Ragioniere Generale dello Stato ha firmato il decreto che fissa all'01.10.2010 la data di avvio a regime nella regione Lombardia della operatività della ricetta elettronica, mediante il collegamento telematico in rete dei medici prescrittori.
Trattasi di una significativa evoluzione del progetto Tessera Sanitaria, di cui all'art. 50 della L. 326/2003, gestito dal MEF-Ragioneria Generale dello Stato, unitamente al Ministero della salute.
Infatti, l'attuale Sistema rende già disponibili, entro 20 giorni dalla fine di ogni mese, alle singole regioni gli strumenti informatizzati finalizzati al monitoraggio puntuale, standardizzato e tempestivo delle prescrizioni mediche, consentendo, in particolare, con riferimento alla spesa farmaceutica:
- la verifica dell'appropriatezza prescrittiva e dell'efficienza finanziaria nell'utilizzo delle risorse;
- il confronto fra le regioni su indicatori condivisi con l'AIFA inerenti le soglie di appropriatezza prescrittiva, basate sul comportamento prescrittivo registrato nelle regioni con il miglior risultato.
Il progetto evolutivo riguardante la Regione Lombardia consente la disponibilità quotidiana on-line dei dati delle ricette elettroniche di farmaceutica e specialistica compilate dal medico, con il conseguente potenziamento per la regione degli strumenti di monitoraggio della spesa sanitaria.
E' in corso la verifica dell'evoluzione per l'avvio a regime anche presso altre regioni.
Parallelamente, è in fase avanzata la messa a disposizione per tutte le regioni dei dati necessari per il controllo del diritto all'esenzione per reddito dalla compartecipazione del cittadino alla spesa sanitaria per le prestazioni di specialistica (link a ww
w.rgs.mef.gov.it).

VARIDati catastali e compravendita: sono conformi tutte le planimetrie se le modifiche non incidono sulla rendita.
Il D.L. 78/2010 impone ai venditori in sede di rogito di dichiarare la perfetta rispondenza allo stato di fatto della planimetria catastale.
L'Agenzia del Territorio, con la circolare 09.07.2010 n. 2/2010, fornisce chiarimenti (ritenuti necessari da più parti) sugli obblighi introdotti dal comma 14, dell'art. 19 del D.L. 78/2010.
L'Agenzia ha precisato che in presenza di difformità di scarsa rilevanza tra lo stato di fatto di un immobile e la sua configurazione catastale (spostamenti di porte, tramezzi ecc.) non è obbligatorio presentare la dichiarazione di variazione in catasto poiché tali interventi non modificano la rendita: la planimetria catastale, quindi, è da considerarsi conforme anche in presenza di piccole variazioni che non incidono sulla rendita e il rogito può essere stipulato.
In presenza, invece, di una planimetria catastale che non riproduca la situazione di fatto (reale) dell’immobile al di là delle lievi modifiche di cui si è detto, il proprietario deve presentare una denuncia di variazione, allegando la planimetria aggiornata.
In tali casi trova applicazioni il comma 14 dell'art. 19 del D.L. 78/2010 che prevede la non commerciabilità degli immobili che presentino irregolarità catastali: il riallineamento richiesto può avvenire informaticamente con la presentazione del modello Unico.
Le disposizioni richiamate riguardano i fabbricati già esistenti (ovvero già iscritti nel catasto urbano o per i quali sussiste l’obbligo di dichiarazione) mentre sono esclusi: ... (link a ww
w.acca.it).

EDILIZIA PRIVATALa Dia lascerà il posto alla Scia?
È arrivato il momento di dire addio alla DIA?
A sostituirla potrebbe essere la cosiddetta "Scia" (segnalazione certificata di inizio attività) che il governo ha inserito nella manovra correttiva (disegno di legge di conversione del D.L. 78/2010).
La "Scia” sostituirebbe la dichiarazione d'inizio attività in tutte le procedure che la prevedono.
In sostanza, chiunque intenda richiedere una concessione, una licenza, un'autorizzazione o un nulla osta non dovrà presentare la domanda e attendere la risposta dell'Amministrazione Pubblica (o i 30 giorni richiesti per scattare il silenzio-assenso) per cominciare l'attività ma, con la "Scia" (se fosse approvata in via definitiva) ci si potrà limitare ad avanzare l'istanza accompagnata dai certificati e dalle attestazioni richieste dalla legge e avviare già da quel momento i suoi propositi.
Nei 30 giorni seguenti toccherà eventualmente all'amministrazione bloccarlo e, se del caso, perseguirlo penalmente.
Eventuali deroghe temporali per i controlli sono consentite solamente per grave e irreparabile danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute e per la sicurezza pubblica.
Per valutare il reale "peso" della "Scia" sull'attività edilizia, comunque, occorrerà attendere il testo definitivo e, eventualmente, i regolamenti attuativi (link a ww
w.acca.it).

EDILIZIA PRIVATAPubblicata la Legge Comunitaria 2009: le novità per l'acustica in edilizia, fonti rinnovabili e sicurezza.
È stata pubblicata sul Supplemento ordinario n. 138 alla Gazzetta Ufficiale n. 146 del 25.06.2010, la Legge n. 96 del 04.06.2010 recante “disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall`appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge Comunitaria 2009”.
La Legge 96/2010, in vigore dal prossimo 10.07.2010, contiene alcune novità di rilievo per i tecnici dell’edilizia.
Requisiti acustici passivi degli edifici.
L’art. 15 della Legge modifica l’art. 11 della Comunitaria 2008.
In base alle modifiche approvate il Governo deve adottare, entro il 29/07/2010, decreti legislativi per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di inquinamento acustico.
In tale ambito assumono particolare rilievo la riforma dei requisiti acustici passivi degli edifici, attualmente regolati dal D.P.C.M. 05/12/1997, e la definizione dei criteri per la progettazione esecuzione e ristrutturazione degli edifici.
Tali decreti devono essere adottati su proposta del Ministro dell'Ambiente, di concerto con il Ministro del Lavoro e di quello delle Infrastrutture.
È opportuno ribadire che il D.P.C.M. 05/12/1997 è tuttora vigente e, pur non trovando applicazione nei rapporti tra privati, continua ad avere effetto nei confronti della Pubblica Amministrazione, che può quindi chiederne la verifica.
Fonti Rinnovabili.
Per realizzare impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile di potenza fino a 1 MW sarà sufficiente la DIA (denuncia di inizio attività).
L'articolo 17 della L. 96/2010, al comma 1 lettera d), stabilisce "l'assoggettamento alla disciplina della DIA di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, per gli impianti per la produzione di energia elettrica con capacità di generazione non superiore ad un MW elettrico di cui all'articolo 2, lettera e), del decreto legislativo 29.12.2003, n. 387, alimentate dalle fonti di cui alla lettera a)".
Le nuove disposizioni superano gli attuali limiti previsti dalla normativa nazionale (D.Lgs. 387/2003) differenziati per tipologia di fonte.
Il D.Lgs. 387/2003 prevede attualmente la realizzazione con semplice DIA degli impianti alimentati da fonti rinnovabili nei seguenti casi:
• Eolica 60 kW;
• Solare fotovoltaica 20 kW;
• Idraulica 100 kW;
• Biomasse 200 kW;
• Biogas 250 kW.
Affinché tali disposizioni siano pienamente operative sarà necessario attendere l’emanazione dei provvedimenti attuativi previsti dall’art. 17 (decreto legislativo di attuazione della direttiva 2009/28/CE).
Differita al 30/04/2012 l’applicazione delle misure di protezione per l’esposizione a Campi Elettromagnetici previste dal Testo Unico Sicurezza
L’art. 11 ha differito al 30/04/2012 l’entrata in vigore delle disposizioni per la “Protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici” di cui al titolo VIII, capo IV del D.Lgs. 81/2008 (link a ww
w.acca.it).

EDILIZIA PRIVATARITENUTA D'ACCONTO SUI BONIFICI EFFETTUATI A FAVORE DELLE IMPRESE CHE ESEGUONO LAVORI DI RECUPERO AGEVOLATI CON LA DETRAZIONE DEL 36% E DEL 55%.
Per contrastare il fenomeno dell'evasione fiscale, a decorrere dall'01.07.2010, il Decreto Legge n. 78/2010 ha stabilito che le Banche e le Poste italiane s.p.a devono operare una ritenuta del 10% a titolo di acconto delle imposte sul reddito dovute dai beneficiari, con l’obbligo di rivalsa, all’atto dell’accredito dei pagamenti relativi ai bonifici disposti dai contribuenti per beneficiare di oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione d’imposta.
Tale obbligo opera, di conseguenza, anche con riferimento ai pagamenti effettuati con bonifico relativi a spese per le quali sono riconosciute la detrazione IRPEF del 36% per interventi di ristrutturazione di immobili residenziali e la detrazione del 55% per interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti.
In altri termini, viene introdotto l’obbligo, per le banche e le Poste italiane s.p.a., destinatarie dei bonifici di pagamento delle spese, di operare una ritenuta del 10% a titolo d’acconto delle imposte dovute dall’impresa destinataria del pagamento.
Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 30.06.2010 prot. n. 94288/2010 sono state individuate nel dettaglio le tipologie di pagamenti nonché le modalità di esecuzione degli adempimenti relativi alla certificazione e alla dichiarazione delle ritenute operate.
Con la risoluzione 30.06.2010 n. 65/E è stato istituito il codice tributo 1039, che gli operatori finanziari dovranno utilizzare per versare la ritenuta.
Gli stessi operatori dovranno, inoltre, certificare la ritenuta al beneficiario del bonifico entro il 28 febbraio dell’anno successivo e riportarla nella dichiarazione dei sostituti d’imposta.
Tale misura suscita perplessità, anche tenuto conto dell’elevata aliquota, in quanto colpisce anche le imprese regolari sotto il profilo fiscale.
Per queste ultime, infatti, la ritenuta del 10% si traduce unicamente in una minor disponibilità monetaria, che andrebbe ad aggiungersi alle già ingenti problematiche finanziarie legate all’attuale congiuntura economica negativa ed alla conseguente “stretta creditizia” che sta vivendo il settore (link a ww
w.ancebrescia.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Certificati on-line rinviati sine die. Inattive le sanzioni per i medici.
Niente sanzioni per il mancato invio dei certificati medici on-line dal 19 luglio. Almeno fino a quando non si concluderà la procedura di collaudo, che il ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione e la Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri) hanno deciso di proseguire per risolvere le criticità emerse nella predisposizione dei sistemi di certificazione telematica.
Le verifiche quindi non potranno terminare entro il 19 luglio e proseguendo l'attività di collaudo, rimarrà inattivo anche il sistema sanzionatorio. Nel frattempo, comunque, ministero e Federazione invitano i medici, «nell'ambito delle concrete possibilità tecniche, ad attuare la modalità di certificazione telematica».
«Nei fatti una proroga indeterminata», denuncia la Cgil medici. «La trasmissione telematica per i certificati di malattia dei pubblici dipendenti», ricorda una nota del sindacato, «era indicata dal dlgs 150/2009, entrato in vigore il 15.11.2009, ma sul sito della Funzione Pubblica si annunciava la sua operatività dal 15.12.2009, con una fase di sperimentazione di due mesi. La circolare 11.03.2010 n. 1 della funzione pubblica indicava ulteriori mesi di transizione, e infine un ultimo mese di collaudo, con scadenza 19 luglio. Dal 20 luglio la trasmissione si sarebbe dovuta effettuare esclusivamente per via telematica. E invece siamo alla nuova proroga mascherata da proseguimento delle procedure di collaudo» (articolo ItaliaOggi del 17.07.2010, pag. 27).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Le spese legali a rimborso. Una rassegna della giurisprudenza, tra Cds, Corte conti e tribunale. Ha titolo l'ex sindaco accusato e poi assolto.
Quesito: Sono rimborsabili le spese legali in favore di un ex sindaco in un procedimento penale per reato di concussione conclusosi con l'assoluzione, ai sensi dell'art. 530 co. 2 cpp, perché il fatto non sussiste?
Non esiste una disposizione che obblighi il comune a tenere indenni gli amministratori dalle spese processuali sostenute in giudizi penali concernenti imputazioni oggettivamente connesse all'espletamento dell'incarico, espressamente prevista, invece, per i dipendenti comunali.
La norma di cui all'art. 28 del ccnl dei dipendenti Ee.Ll. del 14/09/2000 è stata considerata dalla giurisprudenza «applicabile in via retroattiva e anche in via estensiva agli amministratori e non solo ai dipendenti pubblici, in considerazione del loro status di funzionari, ma si è ritenuta limitata ai procedimenti giurisdizionali, senza che ciò escluda la rimborsabilità delle spese sopportate in sede di indagine penale, potendosi fare ricorso alla azione di ingiustificato arricchimento» (cfr. Cons. di stato, sez. VI, sent. n. 5367/2004).
Pertanto «hanno titolo al rimborso delle spese legali il dipendente e l'amministratore locale, sottoposti a giudizio penale per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio e all'adempimento dei compiti d'ufficio, sempreché il giudizio non si sia concluso con una sentenza di condanna e non vi sia conflitto di interessi con l'amministrazione di appartenenza» (cfr. Cons. di stato, sez. V, sent. n. 3946/2001).
Altra parte della giurisprudenza (cfr. Cons. di stato, sez. V n. 2242/2000) ha, invece, applicato l'analogia iuris tramite il richiamo all'art. 1720,comma 2, c.c.- in base al quale «...il mandante deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell'incarico», pur evidenziando la sostanziale eccezionalità del rimborso delle spese legali e ribadendo, con richiamo alla giurisprudenza ordinaria, che ai fini del rimborso è necessario accertare che le spese siano state sostenute a causa e non semplicemente in occasione dell'incarico e sempre entro il limite costituito dal positivo e definitivo accertamento della mancanza di responsabilità penale degli amministratori che hanno sostenuto le spese legali.
Il giudice ordinario ha precisato che il rimborso previsto dall'art. 1720 c.c. «concerne solo le spese sostenute dal mandatario in stretta dipendenza dall'adempimento dei propri obblighi», effettuate per espletamento di attività che il mandante ha il potere di esigere e che, per loro natura, rappresentano il rischio inerente all'esecuzione dell'incarico.
L'ipotesi non si verifica quando tale attività abbia dato luogo a un'azione penale contro il mandatario, e questi abbia dovuto effettuare spese di difesa delle quali intenda chiedere il rimborso ex art. 1720, come nel caso in cui il procedimento penale si concluda con la condanna del mandatario, giacché la commissione di reato non può rientrare nei limiti di un mandato validamente conferito (art. 1343 e 1418 c.c.). Il rimborso non è possibile neppure quando il mandatario venga prosciolto, giacché in tal caso la necessità di effettuare le spese di difesa non si pone in nesso di causalità diretta con l'esecuzione del mandato (cfr. Cass., sez. I civ., del 20/12/2007, n. 10052).
Inoltre deve coesistere l'ulteriore condizione della mancanza di conflitto di interessi con l'ente (cfr. C. Conti, Sez. Giur. Reg. Liguria, sent n. 580 del 13/10/2008), che lo stesso dovrà valutare ex post, a conclusione del procedimento (Cass., sez. I, sent. n. 15724 del 13/12/2000 e n. 54 del 02/01/2002), che va escluso quando l'amministratore abbia adottato atti d'ufficio conformando il proprio comportamento al principio cardine di cui all'art. 97 Cost., nell'esclusivo interesse dell'amministrazione, che non può essere valutato in astratto ed ex ante, ma in concreto, a conclusione del processo; sussiste, invece, tutte le volte in cui l'ente ha assunto, in atti amministrativi o in sede giurisdizionale, una linea a tutela dei propri interessi totalmente o parzialmente diversa da quella dell'amministratore, o quando la condotta dell'amministratore, pur risultando irrilevante in sede penale, abbia esposto l'ente ad una condizione pregiudizievole o comunque sfavorevole, ovvero non possa ritenersi coerente con i doveri imputabili allo stesso (C. Conti, sez. riunite, 18.06.1986, n. 501; Tar Lombardia, sez. II, 01/01/1993, n. 14; Tar Piemonte, sez. II, 28/02/1995, n. 138; Cons. di stato, sez. VI, 13/01/1994, n. 20).
Secondo la disciplina civilistica il conflitto di interesse, che costituisce elemento ostativo al rimborso, è da ritenersi sussistente quando il comportamento dell'amministratore non risulti compatibile con l'osservanza di quella ordinaria diligenza (la diligenza del buon padre di famiglia) che l'art. 1710 c.c. impone al mandatario; pertanto il giudizio di insussistenza del fatto come reato non esclude che le irregolarità riscontrate, riferibili alla condotta dell'amministratore, per quanto inidonee ad integrare la fattispecie delittuosa, determinino l'insorgere del conflitto di interesse, sotto il profilo della violazione dell'interesse dell'ente ad una gestione condotta nel rispetto delle norme (articolo ItaliaOggi del 16.07.2010, pag. 40).

LAVORI PUBBLICI: Rotatorie creative al bando.
Divieto assoluto di posizionare cartelli, insegne di esercizio ed altri mezzi pubblicitari sulle rotonde stradali. Si tratta infatti di intersezioni a raso dove secondo il codice stradale è vietato posizionare qualsiasi distrazione per l'utente motorizzato.

Lo ha chiarito il ministero dei trasporti con il parere 19.04.2010 n. 34023.
La provincia di Milano ha richiesto chiarimenti circa la diffusa realizzazione di rotatorie stradali sponsorizzate da soggetti privati con marchi, insegne ed informazioni pubblicitarie.
Questa pratica è vietata, ha spiegato il ministero, in quanto le rotatorie, anche se non vengono citate dal codice della strada, sono tecnicamente definibili come delle intersezioni a raso su cui si applica il conseguente divieto di posizionamento di impianti pubblicitari previsto dall'art. 51 del regolamento stradale.
In buona sostanza sono fuori legge tutte le iniziative locali che hanno ricercato sponsor posizionando le pubblicità dell'azienda privata nel bel mezzo della rotonda (articolo ItaliaOggi del 16.07.2010, pag. 39).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Segretari comunali esclusi da organismi di valutazione.
Il segretario comunale in quanto soggetto alla valutazione da parte dell'Organismo indipendente di valutazione, non può anche farne parte. Si tratterebbe di una sovrapposizione, non ammissibile, tra valutatore e valutato.
Il principio è stato affermato dalla Civit -Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche- nel parere dell'01.07.2010 in risposta a un quesito posto dal comune di Pastrengo.
L'articolo 14 del dlgs n. 150/2009 dispone che le amministrazioni pubbliche si dotino di un Oiv. È stato chiarito che quelle soggette alla nomina, entro il 30 aprile scorso, sono le aziende e le amministrazioni dello stato, anche a ordinamento autonomo, le Agenzie e gli altri enti pubblici nazionali.
Le regioni e gli enti locali, ai sensi dell'articolo 16, debbono applicare le disposizioni in materia di trasparenza e sono tenuti, entro il 31.12.2010, ad adeguare i propri ordinamenti ai principi indicati nel comma 2 del citato articolo 16. Dalla lettura delle norme si ricava che i nuclei di valutazione in carica negli enti locali continueranno ad operare fino alla fine dell'anno, mentre dal 2011 si dovrà provvedere a nominare gli Oiv.
Il comune, nel quesito in oggetto, ha richiesto se la proposta di valutazione del segretario comunale rientrasse nelle competenze dell'Oiv e se tale soggetto potesse far parte di quest'organismo. La Civit, confermando l'orientamento prima indicato, ritiene che gli enti locali sono tenuti all'attuazione della novella legislativa, anche se sulla base di uno speciale regime, e sono pertanto applicabili i criteri di valutazione previsti nelle altre amministrazioni.
Questi criteri si fondando sul principio dell'indipendenza del valutatore dal soggetto da valutare: i dirigenti generali valutano l'attività dei dirigenti; questi a loro volta controllano l'attività degli uffici che da loro dipendono.
Pertanto in caso di figure di vertice, come il segretario generale o il direttore generale, la valutazione va effettuata dall'organo di indirizzo politico, dal quale il valutato dipende direttamente, su proposta dell'Oiv. Negli enti locali il segretario dipende funzionalmente dal sindaco, ai sensi dell'articolo 99 Tuel, e pertanto la sua valutazione deve essere effettuata direttamente dal sindaco, su proposta dell'organismo di valutazione.
Per il Civit, poi, da tutto ciò deriva l'impossibilità che il segretario comunale faccia parte dell'Oiv e contemporaneamente continui a svolgere il proprio ruolo istituzionale nell'ente locale, in quanto si tratterebbe, infatti, di una inammissibile sovrapposizione tra valutatore e valutato.
È opinione della stessa Commissione, che è intervenuta con la delibera 16.02.2010 n. 4/2010, che l'Oiv debba essere composto da membri che siano in grado di garantire autonomia e imparzialità di giudizio e assicurare l'effettività e l'autorevolezza istituzionale dell'esercizio delle funzioni. Necessaria è, pertanto, la totale indipendenza dall'organo di indirizzo politico-amministrativo, di conseguenza tale principio sarebbe seriamente compromesso qualora fosse consentita la partecipazione del segretario comunale all'organismo di valutazione (articolo ItaliaOggi del 16.07.2010, pag. 38).

PUBBLICO IMPIEGOStraordinari con badge (ma con eccezioni).
In via generale, stante il disposto normativo dell'articolo 3, comma 83, della legge finanziaria 2008, è possibile effettuare prestazioni di lavoro straordinario, solo se nella struttura è presente il rilevatore automatico delle presenze. Tuttavia, nei casi particolari di personale che, per la peculiarità del proprio servizio, non possono attestare la presenza in ufficio (si pensi, ad esempio, al personale della Polizia di Stato o a quello del corpo dei Vigili del Fuoco), l'amministrazione di appartenenza valuterà la possibilità che sia il responsabile dell'ufficio a certificare le prestazioni di lavoro straordinario rese dal personale, evidenziando anche l'esigenza che ha comportato la protrazione dell'orario di servizio.

È quanto ha chiarito il Consiglio di Stato, nel testo del parere n. 2555/2010, con il quale ha fornito un'interessante interpretazione delle disposizioni contenute all'articolo 3, comma 83 della legge finanziaria 2008.
Come si ricorderà, tale norma prevede che le pubbliche amministrazioni possono erogare compensi per lavoro straordinario soltanto «previa attivazione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze». Quindi, se nella struttura pubblica non è previsto il cosiddetto badge, al personale è precluso lo svolgimento di qualsiasi tipologia di lavoro eccedente il normale orario di servizio.
Su questo punto, il ministero dell'Interno, che ha intenzione di emanare una direttiva agli uffici, si è trovato in difficoltà a causa delle particolari componenti del personale amministrato.
Il Viminale, chiamando in causa Palazzo Spada per un necessario chiarimento, ha infatti ravvisato la principale difficoltà in sede di regolamentazione nella circostanza che al suo interno, sono presenti tre distinte categorie di personale (appartenenti rispettivamente ai ruoli dell'Amministrazione civile dell'interno, della Polizia di Stato e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco), ciascuna delle quali si caratterizza per una propria particolare disciplina dello stato giuridico ed economico.
In via ordinaria, ha risposto il Consiglio, non ci sono esenzioni al meccanismo previsto dall'art. 3, comma 83, della legge finanziaria 2008, che possano derivare dalla peculiarità dello status del dipendente in relazione al corpo di appartenenza, diversamente da quanto ritenuto dalla Funzione pubblica con una nota risalente all'aprile 2008. È pur vero, però, che queste conclusioni «non possono essere portate fino alle estreme conseguenze», nel senso che si deve richiedere la rilevazione automatica anche se la modalità del servizio espletato escluda la possibilità di rilevare la presenza del personale mediante strumenti automatici.
Pertanto, ammette Palazzo Spada, rientrerà nella valutazione dell'amministrazione l'individuazione dei casi specifici in cui queste evenienze potranno verificarsi. In questo caso, il responsabile del servizio dovrà provvedere alla certificazione delle prestazioni di lavoro straordinario rese dal personale, evidenziando anche l'esigenza che ha comportato la protrazione dell'orario del personale (articolo ItaliaOggi del 14.07.2010, pag. 25).

CORTE DEI CONTI

INCENTIVO PROGETTAZIONE: No all'Irap sugli incentivi. La Corte dei conti ha risolto una diatriba che si protrae da molto tempo. Esenti compensi delle p.a. a progettisti e legali.
L'Irap non può gravare sui compensi incentivanti che le amministrazioni pubbliche erogano ai professionisti, progettisti ed avvocati.
Le Sezioni Riunite della Corte dei conti, nell'esercizio della funzione nomofilattica loro attribuita dall'articolo 17, comma 31, del dl 78/2009, convertito in legge 102/2009, risolvono definitivamente con la deliberazione 07.06.2010 n. 33/2010 una diatriba che si protraeva da molto tempo.
A fronteggiarsi due tesi contrapposte. La prima, restrittiva, considerava l'Irap tra i cosiddetti «oneri riflessi», ovvero quell'insieme di elementi finanziari di natura previdenziale e impositiva che riducono il compenso netto spettante al lavoratore. Tale tesi, pur ad un primo esame da considerare non condivisibile, ha trovato largo spazio negli approfondimenti delle sezioni regionali di controllo. Infatti, considerando che la normativa in tema di spese di personale vi include l'Irap, si è ritenuto che tale imposta dovesse far parte del lordo dei compensi a progettisti ed avvocati e, dunque, rientrare tra gli oneri riflessi, che abbassano il netto loro assegnato. Ciò, allo scopo di evitare in capo alle amministrazioni quali datori di lavoro un doppio esborso.
Le Sezioni Riunite, invece, condividono la teoria ampliativa, secondo la quale l'Irap va esclusa dal plafond degli oneri riflessi.
L'Irap, spiegano le Sezioni, non può che gravare esclusivamente sulle amministrazioni, in quanto soggetto passivo dell'imposta è il datore di lavoro. Il dipendente professionista non produce reddito da impresa nello svolgimento delle attività oggetto degli incentivi per progettazione o patrocinio legale e, quindi, non può subire una riduzione del compenso incentivante come compartecipazione al gettito di un'imposta che non grava nei suoi confronti.
Ciò non di meno, poiché l'Irap fa parte del complesso delle spese di personale, le amministrazioni debbono necessariamente appostare in bilancio gli oneri conseguenti, come avviene per tutti i pagamenti delle retribuzioni.
Sicché, al momento della costituzione dei fondi per l'incentivo dei dipendenti interessati, l'Irap va calcolata applicando l'aliquota anche sugli incentivi specificamente previsti per i progettisti e gli avvocati, perché solo in questo modo si garantisce la capienza delle risorse necessarie per il pagamento dell'imposta.
Ai dipendenti professionisti, tuttavia, i compensi incentivanti spetteranno al netto, cioè, diminuiti tutti gli oneri fiscali e previdenziali, ma non dell'Irap (articolo ItaliaOggi del 17.07.2010, pag. 23).

ENTI LOCALI: Direttori generali soppressi a 360 gradi.
La soppressione della figura del direttore generale, nei comuni con popolazione inferiore a centomila abitanti, prevista dalla legge finanziaria 2010, concerne non solo l'ipotesi del direttore esterno, ma anche quella del segretario comunale cui è impedito di rivestire il doppio incarico. Ne consegue l'amministrazione locale non può corrispondergli alcun compenso aggiuntivo, in quanto incompatibile con la disposizione normativa che è diretta esclusivamente al contenimento della spesa pubblica.
È quanto ha chiarito la sezione regionale lombarda di controllo della Corte dei Conti, nel testo del parere 07.05.2010 n. 593/2010, con il quale ha fatto luce sulla portata delle disposizioni in materia di soppressione della figura del direttore generale negli enti locali, previste dalla legge finanziaria per il 2010, da ultimo modificate dal decreto legge 25.01.2010, n. 2, nella parte in cui limitano detta soppressione ai soli enti locali con popolazione pari o inferiore a centomila abitanti.
Rispondendo a una richiesta del comune di Cenate Sotto (Bg), la magistratura contabile lombarda ha pertanto verificato la legittimità della circostanza se la soppressione della figura istituzionale del direttore generale concerna solo il direttore esterno, ovvero anche il doppio incarico conferito al segretario comunale in assenza di posizione direttoriale, così come prevede l'articolo 108, comma 4 del Tuel.
Sulla questione, ha rilevato la Corte, si potrebbe supporre la possibilità di conferire al segretario generale anche le funzioni di direzione. Tesi, questa, che fa leva sull'interpretazione letterale della norma, valorizzando il rilievo che la norma finanziaria ha sì espunto la figura, ma non le funzioni del segretario generale in sostituzione della figura del direttore generale. Senza dimenticare che c'è l'esigenza di colmare un vuoto di competenze comunque da attribuire a una figura professionale nei comuni con meno di centomila abitanti, in relazione a funzioni imprescindibili per la gestione dell'ente locale, a meno di non voler pregiudicare l'efficienza dell'azione amministrativa.
Ma il collegio non è stato di questo avviso. La disposizione contenuta nella legge finanziaria 2010, infatti, ripone la sua giustificazione nella »superficialità« di tale profilo professionale per i comuni con meno di centomila abitanti e nel conseguente risparmio di spesa.
Ciò posto, sarebbe del tutto «illogico» ritenere che se da un lato è stata soppressa la facoltà di nominare un direttore generale esterno, la stessa norma possa essere aggirata attribuendo le sue funzioni al segretario comunale già collaboratore dell'amministrazione comunale. Né, ovviamente, questi potrà ottenere una retribuzione o un emolumento aggiuntivo per tali funzioni, in quanto il divieto normativo sulla maggiore spesa «deriva da una disposizione finanziaria di coordinamento della finanza pubblica che si sostituisce automaticamente alle previsioni della contrattazione collettiva relativa ai segretari».
Inoltre, nessuna doglianza può essere eccepita in relazione al buon andamento dell'amministrazione comunale che verrebbe «sconvolto» da tale divieto. Infatti, le funzioni, soprattutto nei comuni più piccoli, possono essere ricondotte ai compiti «istituzionalmente attribuiti al segretario comunale ai sensi dell'art. 97, comma 4 del Tuel, laddove è previsto che egli sovraintenda allo svolgimento dei dirigenti e ne coordini le attività».
In conclusione, scrive il collegio, la soppressione della figura del direttore generale, tranne che per i comuni con popolazione superiore a 100 mila abitanti, concerne non solo l'ipotesi del direttore esterno, ma anche quella del segretario comunale cui è impedito di rivestire il doppio incarico (articolo ItaliaOggi del 16.07.2010 - link a ww
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PUBBLICO IMPIEGO: La decorrenza delle progressioni economiche all‘interno della categoria non può essere antecedente al momento in cui si determina la disponibilità delle risorse finanziarie e quindi al momento in cui le parti determinano di attivare l’istituto stesso delle progressioni orizzontali (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 07.05.2010 n. 589).

PUBBLICO IMPIEGO: Posti unici dell'organico, no a concorsi con riserva. L'orientamento delle sezioni della Corte conti si è consolidato.
Niente concorsi pubblici con riserva per posti unici della dotazione organica. Si è ormai consolidato l'orientamento delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, che ritiene, condivisibilmente, abolite le progressioni verticali.

La deliberazione 29.04.2010 n. 10/2010 della Sezione autonomie della Corte dei Conti ha dato il deciso avvio verso la presa d'atto dell'eliminazione delle progressioni verticali, contraddicendo l'avviso inizialmente espresso dalla Sezione Lombardia col parere 18.03.2010 n. 375, poi modificato dal successivo parere 28.04.2010 n. 517.
Successivamente, la Sezione Piemonte ha ribadito l'eliminazione delle progressioni verticali col parere 20.05.2010 n. 41/2010.
Anche la Sezione Emilia Romagna, col parere 18.05.2010 n. 136 ha in modo tranciante rilevato l'impossibilità per gli enti locali di continuare ad applicare l'istituto delle progressioni verticali, sottolineando l'impossibilità di considerare ancora vigenti regolamenti di organizzazione e una norma come l'articolo 91, comma 3, del dlgs 267/2000 (per altro disapplicata dall'articolo 9 del Ccnl 05.10.2010, in quanto contrastanti con l'articolo 62 del dlgs 150/2009, qualificato come norma di diretta attuazione della Costituzione.
La Sezione ha evidenziato puntualmente l'impossibilità per norme di legge e soprattutto regolamentari di derogare alla Costituzione, negando la sussistenza di peculiari condizioni dell'ordinamento locale, tali da giustificare il permanere delle progressioni verticali nel 2010. Infatti, per giustificare una diversa decorrenza dell'eliminazione delle progressioni occorrerebbe ipotizzare che l'esigenza di buon andamento dell'amministrazione, astrattamente idonea a giustificare una deroga al principio del concorso pubblico sussisterebbe solo per gli enti locali: ma così si creerebbe, secondo la Sezione «un irrazionale disallineamento del sistema».
Né l'articolo 1, comma 4, del dlgs 267/2000 potrebbe proteggere l'articolo 91, comma 3, dagli effetti della riforma Brunetta: la Sezione Emilia Romagna spiega bene che è tale articolo 1, comma 4, a rivelarsi difforme dalle regole generali sul rapporto tra le norme, in quanto «contrastante con principi fondamentali delle fonti dell'ordinamento, secondo cui tra fonti dello stesso grado gerarchico, promulgate in tempi successivi e regolanti la medesima materia «lex posterior derogat priori» (art. 15 delle preleggi)».
Sempre la Sezione Emilia Romagna, col parere 18.05.2010 n. 136 precisa l'impossibilità di «stirare» l'interpretazione della norma che sostituisce le progressioni verticali con il concorso pubblico con riserva di posti non superiore al 50%, in modo da ritenere che per gli enti locali di piccole dimensioni sia comunque possibile un concorso interamente riservato per posti unici in dotazione organica. La Sezione rammenta che l'orientamento della giurisprudenza sul punto è nel senso di escludere la possibilità di applicare la riserva, perché va salvaguardato l'interesse pubblico alla scelta dei candidati più capaci e meritevoli prevale su quello alla copertura dei posti con candidati appartenenti a particolari categorie di cittadini.
D'altra parte, il testo novellato dell'articolo 52, comma 1-bis, del dlgs 165/2001 è molto chiaro nel vietare la riserva per concorsi ad un solo posto, poiché prescrive che essa risulti «comunque non superiore al 50% di quelli messi a concorso».
Dunque, ferma restando, come affermato dalla Sezione Emilia Romagna, l'impossibilità del concorso interamente riservato per posti unici in dotazione organica, comunque non è consentito prevedere riserve se il bando non riguardi l'assunzione per almeno due posti, ovviamente relativi a medesima categoria e profilo (articolo ItaliaOggi del 16.07.2010 - link a ww
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GIURISPRUDENZA

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Obblighi di bonifica - Art. 17 d.lgs. n. 22/1997 - Responsabilità dell’autore dell’inquinamento - Natura - Responsabilità oggettiva - Rapporto di causalità tra l’azione o l’omissione e l’inquinamento - Responsabilità del proprietario - Natura - Responsabilità da posizione - Onere reale.
La responsabilità dell'autore dell'inquinamento, ai sensi dell'art. 17, comma 2, del D.Lgs. 22/1997, costituisce una forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale conseguenti alla contaminazione delle aree.
La natura oggettiva della responsabilità in questione è desumibile dalla circostanza che l'obbligo di effettuare gli interventi di legge sorge, in base all'art. 17 citato, in connessione con una condotta "anche accidentale", ossia a prescindere dall'esistenza di qualsiasi elemento soggettivo doloso o colposo in capo all'autore dell'inquinamento.
Ai fini della responsabilità in questione è comunque pur sempre necessario il rapporto di causalità tra l'azione (o l'omissione) dell'autore dell'inquinamento ed il superamento -o pericolo concreto ed attuale di superamento- dei limiti di contaminazione, in coerenza col principio comunitario "chi inquina paga”.
Sensibilmente diversa si presenta invece la posizione del proprietario del sito, per la responsabilità del quale occorre fare riferimento ai cc. 10 e 11 dell’art. 17: chi subentra nella proprietà o possesso del bene subentra anche negli obblighi connessi all'onere reale ivi previsto, indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza.
Quella posta in capo al proprietario è pertanto una responsabilità "da posizione", non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non richiede neppure l'apporto causale del proprietario responsabile al superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione.
È quindi evidente che il proprietario del suolo -che non abbia apportato alcun contributo causale, neppure incolpevole, all'inquinamento- non si trova in alcun modo in una posizione analoga od assimilabile a quella dell'inquinatore, essendo tenuto a sostenere i costi connessi agli interventi di bonifica esclusivamente in ragione dell'esistenza dell'onere reale sul sito (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.07.2010 n. 4561 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Stazioni radio base per telefonia mobile – Prescrizioni urbanistiche-edilizie preesistenti – Applicabilità – Esclusione – Specifica disciplina conformativa.
In assenza di specifiche prescrizioni, la realizzazione delle stazioni radio base per la telefonia mobile non è soggetta a prescrizioni urbanistiche-edilizie preesistenti, dettate con riferimento ad altre tipologie di opere (nella specie: previsione di altezze massime quali le costruzioni), elaborate nell'inconsapevolezza del fenomeno della telefonia e dell'inquinamento elettromagnetico in generale; il titolo concessorio non può quindi essere negato se non con riguardo ad una specifica disciplina conformativa che prenda in considerazione le reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il funzionamento del servizio pubblico, dovendosi rilevare, peraltro, che gli impianti tecnologici non sviluppano di norma volumetria o cubatura se non limitatamente ai basamenti o alle cabine accessorie.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Impianti di comunicazione elettronica – Permesso di costruire – Necessità – Esclusione – Normativa speciale di cui al d.lgs. n. 259/2003 – Titoli abilitativi ivi previsti – Autonomia e sufficienza.
Per l’installazione degli impianti di comunicazione elettronica non è necessario il permesso di costruire, essendo l’installazione subordinata soltanto all’autorizzazione prevista dall’art. 87 del T.U. 01.10.2003, n. 259 (c.d. codice delle comunicazioni) e non occorrendo al riguardo il permesso di costruire ai sensi dell’art. 3, lett. e), del T.U. 06.06.2001 n. 380 (cfr., tra le tante Cons. St., Sez. VI 21.01.2005 n. 100).
La disciplina dettata dal D.Lgs. 259/2003 costituisce, infatti, normativa speciale e compiuta, per cui prevale sulla disciplina generale dettata dal T.u. dell'edilizia approvato nel 2001, che, per gli interventi in questione, richiedeva il permesso di costruire.
I titoli abilitativi previsti dal d.lgs. n. 259/2003 (autorizzazione e denuncia di inizio attività), dunque, malgrado la identità del nomen con gli istituti previsti dal T.U dell'edilizia sono provvedimenti del tutto autonomi che assolvono integralmente le esigenze proprie delle telecomunicazioni e le esigenze territoriali alla cura degli enti locali.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Reti pubbliche di comunicazioni – Art. 86, c. 3 d.lgs. n. 259/2003 – Assimilabilità alle opere di urbanizzazione primaria – Compatibilità con qualsiasi destinazione urbanistica.
L'art. 86 comma 3, del D.Lgs. 259/2003, disponendo espressamente l’assimilabilità delle reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione privata, rende per l'effetto le stesse compatibili a qualsiasi destinazione urbanistica di tutte le zone dei territori comunali.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Stazioni radio base – Utilizzo formale degli strumenti di natura edilizio-urbanistica – Deroga ai limiti di esposizione fissati dallo Stato – Illegittimità.
Il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizio–urbanistica (con la necessaria osservanza delle relative procedure di approvazione) e il dichiarato intento di esercitare le proprie competenze in materia di governo del territorio, non possono giustificare l’adozione di misure che nella sostanza costituiscono indirettamente una deroga ai limiti di esposizione fissati dallo Stato; quali, ad esempio, il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio base per la telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale, che ha lo stesso effetto di sovrapporre una determinazione cautelativa, ispirata al principio di precauzione, alla normativa statale che ha fissato i limiti di radiofrequenza, di fatto eludendo tale normativa.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Stazioni radio base – Adozione di misure di minimizzazione (art. 8, c. 6, L. n. 36/2001) – Limiti generalizzati di esposizione diversi da quelli stati – Illegittimità.
Le misure di minimizzazione (distinte dall’art. 8, c. 6, L. n. 36/2001 da quelle urbanistico-edilizie) non possono quindi in alcun modo prevedere limiti generalizzati di esposizione diversi da quelli previsti dallo Stato, né possono di fatto costituire una deroga generalizzata, o quasi, a tali limiti, essendo invece consentita l’individuazione di specifiche e diverse misure, la cui idoneità al fine della “minimizzazione” emerga dallo svolgimento di compiuti e approfonditi rilievi istruttori sulla base di risultanze di carattere scientifico (decisione n. 3098/2002).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Determinazione di limiti di localizzazione degli impianti – Misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni elettromagnetiche – Illegittimità - Competenza esclusiva statale.
La determinazione a regime di limiti di localizzazione degli impianti –atteso il suo carattere generalizzato e il riferimento al dato oggettivo dell’esistenza di insediamenti abitativi– non può tradursi in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (cfr., n. 7274/2002; n. 4159/2005).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Art. 8, c. 6, L. n. 36/2001 – Impianti di telecomunicazione - Ente locale – Potestà di disciplinare il corretto insediamento urbanistico e territoriale – Limiti.
La potestà attribuita all’ente locale dall’art. 8, comma 6, della L. n. 36/2001 di disciplinare “il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione a campi elettromagnetici” deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico (in relazione, ad esempio, al particolare valore paesaggistico/ambientale o storico/artistico di individuate porzioni del territorio, ovvero alla presenza di siti che per la loro destinazione d’uso possano essere qualificati particolarmente sensibili alle immissioni elettromagnetiche), ma non può introdurre un generalizzato divieto di installazione in zone urbanistiche identificate; mentre, dall’altra, tale previsione viene a costituire una misura di carattere generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, riservando, tuttavia, l’art. 4 della L.n. 36/2001, alla competenza dello Stato, la determinazione, con criteri unitari, dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi uniformemente su tutto il territorio dello Stato (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.07.2010 n. 4557 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia – Istanza – Soggetto legittimato – Soggetti diversi dal proprietario – Titolari di diritti reali o personali.
Ai sensi dell'art. 4 L. 28.01.1977 n. 10, la domanda volta al rilascio della concessione edilizia può essere presentata anche da persona diversa dal proprietario, purché il richiedente abbia titolo a disporre del suolo; la materiale disponibilità dell'area da parte dell'istante, anche se persona diversa dal proprietario, costituisce titolo idoneo al rilascio della concessione edilizia, per cui può ritenersi che, in definitiva, sono legittimati a richiedere la concessione edilizia, non solo il proprietario, ma anche i soggetti che si trovano rispetto al bene immobile da edificare in relazione qualificata, come appunto i titolari di un diritto reale, ovvero i titolari di un diritto personale, quali, ad esempio, il conduttore (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.07.2010 n. 4557 - link a ww
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URBANISTICA: Strumenti urbanistici - Principio di tipicità e nominatività - Numerus clausus - Amministrazione comunale - Varianti e modifiche nella disciplina di dettaglio - Limiti - Deviazione dal modello legale rispetto alla causa o al contenuto.
In forza del principio di tipicità e nominatività degli strumenti urbanistici, che discende dal più generale principio di legalità e di tipicità degli atti amministrativi, l’Amministrazione non può dotarsi di piani urbanistici i quali, per “nome, causa e contenuto”, si discostino dal numerus clausus previsto dalla legge (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. II, 10.12.2003, parere nr. 454; Cons. Stato, sez. IV, 07.11.2001, nr. 5721).
L’Amministrazione comunale può pertanto introdurre varianti e modifiche nella disciplina di dettaglio degli strumenti urbanistici, a condizione che ciò non comporti una deviazione di essi dal modello legale rispetto alla “causa” (ossia alla loro funzione tipica quale individuata dal legislatore) ovvero al “contenuto” (ossia a quello che dovrebbe essere l’oggetto dell’attività di pianificazione, sempre alla stregua del dato normativo di riferimento); tale facoltà trova il proprio fondamento, a livello costituzionale, nell’ultimo comma dell’art. 117 Cost., laddove ai Comuni è attribuita la potestà regolamentare nelle materie di loro competenza.
Pianificazione del territorio - Potere conformativo dell’amministrazione - Imposizione di condizioni e limiti al potere di godimento di categorie e tipologie di immobili in conseguenza della loro specifica destinazione - Qualificazione in termini di vincolo espropriativo - Esclusione - Vincoli conformativi - Asservimento ad obiettivi di interesse generale - Carattere ablatorio - Esclusione.
Il potere conformativo spettante all’amministrazione nella propria attività di pianificazione del territorio, è stato individuato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale come espressione della potestà amministrativa di governo del territorio, alla quale è connaturata la facoltà di porre condizioni e limiti al godimento del diritto di proprietà non di singoli individui, ma di intere categorie e tipologie di immobili identificati in termini generali e astratti; non possono quindi qualificarsi in termini di vincolo espropriativo tutte le condizioni e i limiti che possono essere imposti ai suoli in conseguenza della loro specifica destinazione (ivi compresi i limiti di cubatura connessi agli indici di fabbricabilità previsti dal P.R.G. per le varie categorie di zone in cui il territorio viene suddiviso), e -a maggior ragione- non hanno carattere ablatorio a quei vincoli (c.d. “conformativi”) attraverso i quali, seppure la proprietà viene asservita al perseguimento di obiettivi di interesse generale quali la realizzazione di opere pubbliche o infrastrutture, non è escluso che la realizzazione di tali interventi possa avvenire ad iniziativa privata o mista pubblico-privata, e comunque la concreta disciplina impressa al suolo non comporti il totale svuotamento di ogni sua vocazione edificatoria (cfr., fra le tante, la sent. Corte Cost. nr. 179 del 20.05.1999) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.07.2010 n. 4545 - link a ww
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ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Art. 11 L. n. 241/1990 - Strumenti consensuali - Novella del 2005 - Assoluta fungibilità con gli strumenti autoritativi - Principio di tipicità dei provvedimenti - Permanenza.
Con la “novella” del 2005 il legislatore ha optato per una piena e assoluta fungibilità dello strumento consensuale rispetto a quello autoritativo, sul presupposto della maggiore idoneità del primo al perseguimento degli obiettivi di pubblico interesse: essendo venuta meno la previgente riserva alla legge dei casi in cui alle amministrazioni è consentito ricorrere ad accordi in sostituzione di provvedimenti autoritativi, tale possibilità deve ritenersi sempre e comunque sussistente (salvi i casi di espresso divieto normativo); col che, secondo l’opinione preferibile, non è stato affatto introdotto il principio della atipicità degli strumenti consensuali in contrapposizione a quello di tipicità e nominatività dei provvedimenti, atteso che lo strumento convenzionale dovrà pur sempre prendere il posto di un provvedimento autoritativo individuato fra quelli “tipici” disciplinati dalla legge: a garanzia del rispetto di tale limite, lo stesso art. 11 L. n. 241/1990 prevede l’obbligo di una previa determinazione amministrativa che anticipi e legittimi il ricorso allo strumento dell’accordo (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.07.2010 n. 4545 - link a ww
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APPALTI SERVIZI: Sull'inapplicabilità alle concessioni di servizi delle disposizioni del codice dei contratti pubblici (d.lvo 12.04.2006, n. 163).
Per esplicita previsione legislativa (art. 30 del d.lvo 12.04.2006, n. 163) alle concessioni di servizi non si applicano le disposizioni del codice dei contratti pubblici, salvo quanto disposto nel medesimo art. 30.
Ne consegue che, nel caso di specie, riguardante la concessione del servizio di accertamento, liquidazione e riscossione dell'imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni per la quale un Comune ha bandito una procedura selettiva, è erronea, l'applicazione analogica della disciplina dettata dagli artt. 70 e 75 del Codice dei contratti pubblici in materia di gare per l'affidamento di appalti pubblici alla diversa materia delle concessioni di servizi, in palese violazione della previsione racchiusa nell'art. 30, c. 1, del medesimo Codice dei contratti pubblici. Diversamente opinando, l'intero corpus del citato codice sarebbe di fatto applicabile alle concessioni di servizi, rendendo del tutto superflui i precetti dettati nel citato art. 30.
Nel caso di specie, peraltro, il bando della gara informale nulla disponeva in proposito perciò, nessun onere di prestazione di garanzia fideiussoria poteva insorgere nei partecipanti alla procedura né tanto meno poteva imporsi il principio di etero integrazione che vale evidentemente per le fattispecie (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.07.2010 n. 4510 - link a ww
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APPALTI: L'impresa che abbia usufruito di un condono fiscale o abbia ottenuto una rateizzazione del debito tributario deve essere considerata in regola ai fini della presentazione della domanda di partecipazione ad una gara di appalto.
L'impresa che abbia usufruito di un condono fiscale o abbia ottenuto una rateizzazione del debito tributario deve essere considerata in regola ai fini della presentazione della domanda di partecipazione alla gara, stante il valore novativo che tali atti assumono.
Tuttavia, perché l'impresa possa considerarsi fiscalmente in regola, gli eventi sopra richiamati devono essersi verificati entro la scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione alla gara. Il che significa, nel caso di specie, che l'impresa deve aver ottenuto entro tale data la concessione della rateizzazione del debito (in tal senso, esplicitamente, la determinazione dell'Autorità di Vigilanza n. 1 del 2010).
Nella specie è pacifico, invece, che l'assentimento alla rateizzazione sia intervenuto dopo la presentazione della domanda di partecipazione alla gara e dopo la scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione alla gara. Ne consegue che, non può dirsi in posizione di regolarità fiscale, alla luce del disposto dell'art. 38, c. 1, lett. g), del d.lgs. n. 163 del 2006, l'impresa che al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura di gara abbia presentato istanza di pagamento rateizzato in relazione ad una propria inadempienza fiscale ma non ancora ottenuto l'assentimento al pagamento dilazionato stesso, il quale ultimo interverrà solo successivamente alla scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione alla gara (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 13.07.2010 n. 2529 - link a ww
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ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Titoli edilizi rilasciati – Diritto di accesso – Art. 5 d.P.R. n. 380/2001 – Estensione.
In materia di accesso ai titoli edilizi rilasciati ed ai relativi progetti, l’art. 5 del D.P.R. n. 380/2001, nello stabilire le competenze dello sportello unico per l’edilizia, pone l’obiettivo di consentire, a chiunque vi abbia interesse, l’accesso gratuito all’elenco delle domande presentate ed a tutte le informazioni utili disponibili.
Coerentemente, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, qualsiasi soggetto abitante in zona vicina a quella interessata dal permesso di costruire (ancorché non proprietario dell’area in cui ricade l’intervento edilizio) ha diritto di accedere ai titoli abilitativi rilasciati ed ai relativi atti progettuali, rilevando la sussistenza di un interesse personale e concreto per la tutela di posizioni giuridicamente rilevanti (Cons. Stato, V, 23/05/1997, n. 549; idem, 07/05/2008, n. 2086; idem, IV, 14/04/2010, n. 2092; TAR Puglia, Lecce, II, 17/09/2009, n. 2121) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.07.2010 n. 2450 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: BOSCHI E FORESTE - Misure normative a tutela dei boschi - Estensione - Limitazione alle sole ipotesi riconducibili ad alberi di alto fusto - Esclusione - Lettura sistematica della normativa - Artt. 2 e 3 L. n. 353/2000 - Art. 2, c. 1 d.lgs. n. 227/2001 - Alberi di olivo - D.lt. 475/1945 - Divieto di abbattimento.
Da una lettura sistematica della normativa in materia di boschi e dalle specifiche finalità di salvaguardia del territorio perseguite dalla legge, emerge con chiarezza che nell'ambito delle misure protettive dei boschi sono indubbiamente ricomprese numerose ipotesi di vegetazione non soltanto riconducibile a quella degli alberi di alto fusto, includendosi anche la vegetazione qualificabile come macchia, oltreché coltivazioni da frutto di vario genere (cfr. artt. 2 e 10 L. n. 353/2000, art. 2, c. 1 d.lgs. n. 227/2001): con specifico riferimento agli alberi di olivo, che come è noto possono raggiungere volumi ed altezze considerevoli e che, sotto tale profilo, possono già di per sé accomunarsi agli alberi di alto fusto, è tuttora vigente la disciplina dettata dal decreto luogotenenziale 27.07.1945, n. 475, recante il divieto di abbattimento di tali alberi se non in numero limitato e con specifica autorizzazione delle autorità competenti.
BOSCHI E FORESTE - INCENDI - Aree percorse dal fuoco - Divieto di modificazione della destinazione urbanistica - Uliveto - Zona arborata - Inapplicabilità del divieto di cui all’art. 10, c. 1 L. n. 353/2000 - Inconfigurabilità - Ragioni.
Le finalità di salvaguardia del territorio e delle sue entità naturalistiche indispensabili alla vita (fattispecie relativa al divieto di modificazione della destinazione urbanistica, ai sensi dell’art. 10, c. 1 della L. n. 353/2000, di area coltivata ad uliveto percorsa dal fuoco) non possono essere ristrette a limitate ipotesi di particolari tipi di bosco e di pascoli, ponendosi una simile conclusione non solo in stridente contrasto, nella specie, con la normativa riguardante la speciale salvaguardia degli uliveti, ma pure in evidente contraddizione con la vigente disciplina generale in materia forestale, che ammette l'estensione della tutela addirittura alla sola sterpaglia, come ben messo in evidenza anche dalla giurisprudenza del giudice penale (cfr. Cass. Sez. I. penale, 04.03.2008, n. 14209) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.07.2010 n. 4457 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA:  I poteri di cui dispone l'amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, ai fini del rilascio del condono edilizio,vanno esercitati seguendo una linea "tollerante" per consentire, se possibile, il salvataggio del bene.
Argomento della pronuncia in commento era l’annullamento del decreto con cui il Soprintendente per i beni architettonici per il paesaggio aveva annullato il provvedimento con cui il Comune in causa aveva espresso parere favorevole ai sensi dell’articolo 32 della legge n. 47/1985 e dell’articolo 39 della legge n. 724/1994 in relazione alla richiesta di concessione in sanatoria dell’ampliamento di un edificio preesistente, avente destinazione artigianale e residenziale realizzato in un fondo di loro proprietà in una zona con destinazione agricola.
Il Tribunale amministrativo di Roma ha ritenuto fondato il ricorso sviluppando tali argomentazioni: certamente il potere ministeriale di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica può essere esercitato per qualunque profilo di illegittimità, ivi compreso –come è avvenuto nel caso in commento– per un ritenuto vizio di carenza di motivazione del nulla osta paesaggistico emesso dal Comune delegato.
L'autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune deve infatti recare sempre, ricordano i giudici capitolini, una precisa motivazione che consenta una compiuta valutazione di legittimità, anche sotto il profilo della completezza dell'istruttoria e del ponderato bilanciamento degli interessi tutelati (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 24.04.2009, n. 2559).
In tali ipotesi -in base al regime in vigore all’epoca dell’adozione dell’atto impugnato- il provvedimento ministeriale di annullamento non può, e non deve, costituire una differente ed autonoma valutazione tecnico-discrezionale, ma deve comunque risolversi in una complessiva e compiuta analisi di tutte le circostanze di fatto e di tutti gli elementi specifici (da esporre nella motivazione), che o non siano stati esaminati dall'autorità comunale che ha emanato l'autorizzazione ovvero siano stati da essa irrazionalmente considerati in contrasto con i fondamentali principi sulla legittimità dell'azione amministrativa.
Deve perciò condividersi l’indirizzo per cui,in linea di massima, i poteri di cui dispone l'amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, ai fini del rilascio del condono edilizio,vanno esercitati seguendo una linea "tollerante" in vista di consentire, se possibile, il salvataggio del bene (cfr. TAR Lombardia Brescia, sez. I, 12.02.2010, n. 731).
In sostanza il parere negativo dell'Amministrazione competente deve essere supportato dalla considerazione, e dalla dimostrazione dei relativi elementi fattuali a sostegno, per cui la sanatoria dell'opera vincolata comprometterebbe irrimediabilmente, ed in rilevante misura, gli interessi che il vincolo mira a tutelare (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 08.07.2010 n. 23769 - link a ww
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APPALTI: La pronuncia può rovesciare l’esito della gara solo quando riguardi voci che, per la loro rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l'intera operazione economica implausibile.
 la possibilità del sindacato giurisdizionale, seppure non esclusa, deve normalmente limitarsi al mero controllo di legittimità dell’atto adottato dall’amministrazione all’esito del procedimento di valutazione delle giustificazioni, e che il relativo giudizio può essere censurato in sede di legittimità solo ove se ne possa desumere in maniera indubitabile la illogicità , l’incoerenza o l’erroneità (V. Cons. Stato, sez. V, 07.10.2008, n. 4847, 11.07.2008, n. 3481; sez. VI, 25.09.2007, n. 4933; sez. IV, 22.03.2005, n. 1231 e 30.10.2009 n. 5708).
Nella verifica dell'anomalia, pertanto, l'esito della gara può essere travolto dalla pronuncia del giudice amministrativo solo allorquando il giudizio negativo sul piano dell'attendibilità riguardi voci che, per la loro rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l'intera operazione economica implausibile e, per l'effetto, non suscettibile di accettazione da parte della stazione appaltante, e ciò a causa della presenza di dubbi circa l'idoneità dell'offerta minata da spie strutturali di inaffidabilità, a garantire l'efficace perseguimento dell'interesse pubblico (Cons. Stato, Sez. VI, 03.05.2002, n. 2334) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.07.2010 n. 4434 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATALa realizzazione in assenza di DIA si sanziona pecuniariamente e non con la riduzione in pristino.
Nel caso trattato dai giudici del capoluogo marino abruzzese, fa ingresso la nuova disciplina dell’attività edilizia libera introdotta dal d.l. 40/2010 convertito in legge 73/2010 la cui interpretazione non ancora consolidata ha portato i giudici alla compensazione delle spese.
Il caso è quello della costruzione, senza aver ottenuto e richiesto alcun titolo edilizio, di una struttura di legno composta da pilastrini e travi su un balcone. Secondo l’amministrazione comunale ciò basta per intervenire ordinando la demolizione del manufatto.
La parte privata resiste: l’intervento avrebbe potuto legittimamente essere realizzato senza chiedere alcun titolo edilizio, in quanto l’opera costituisce un mero arredo di natura precaria, per altro verso che in ogni caso, ove l’opera fosse in realtà soggetta a d.i.a., avrebbe dovuto applicarsi una sanzione pecuniaria e non ordinarsi la demolizione.
I giudici non ritengono di dover affrontare la prima questione, essendo convinti dalla fondatezza del secondo motivo.
Nell’ordinanza il Comune ha ritenuto di ricondurre l’opera in questione non nell’ambito degli interventi che l’art. 10, I comma, del D.P.R. n. 380/2001, sottopone a preventivo permesso di costruire, ma a quelli sottoposti a preventiva denuncia d’inizio attività ai sensi del successivo art. 22, I comma.
E’ sulla base di questo assunto che risulta illegittima la sanzione applicata. Infatti, l’art. 37 DPR 380/2001 stabilisce che: “La realizzazione di interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla denuncia di inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro”.
E solo nel caso in cui le opere realizzate in assenza di denuncia d’inizio attività consistono in interventi di restauro e di risanamento conservativo, eseguiti su immobili comunque vincolati in base a leggi statali e regionali l'autorità competente a vigilare sull'osservanza del vincolo, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, può ordinare la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile.
Nel caso di specie non sussistevano vincoli. Pertanto la sanzione applicata risulta illegittima. Il fatto che entri in gioco anche l’applicazione delle nuove disposizioni dell’art. 6 del d.l. 40/2010 sulle quali non si è ancora consolidato un orientamento giurisprudenziale condiviso suggerisce ai giudici la misura della compensazione delle spese (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 08.07.2010 n. 779 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATANegli edifici ricadenti in zona territoriale diversa dalla A è prescritta, in tutti i casi, la distanza minima assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
Negli edifici ricadenti in zona territoriale diversa dalla A è prescritta, in tutti i casi, la distanza minima assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Ciò, a tenore della normativa di cui all’art. 41-quinquies della legge 17.08.1942 n. 1150, nonché all’art. 9, comma primo, n. 2), del d.m. 02.04.1968 n. 1444.
Quest’ultima norma regolamentare trae dalla predetta norma di legge la capacità di integrare con efficacia precettiva il regime delle distanze nelle costruzioni (cfr.: Cons. Stato IV, 12.03.2009 n. 1491).
E’ plausibile ritenere che tale orientamento ermeneutico della giurisprudenza sopravviva persino alla riforma del testo unico dell’edilizia (cfr.: TAR Molise 08.07.2009 n. 599) (TAR Molise, sentenza 08.07.2010 n. 267 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATASussiste in capo all'Amministrazione Comunale l'obbligo di attivazione procedimentale, di cui agli artt. 7 e ss., della Legge n. 241 del 1990, in relazione al riesame o revisione di determinazioni già prese di assentibilità di progettati interventi edilizi.
Viene impugnata, nella pronuncia in commento, l'ordinanza con la quale è stata disposta la sospensione dei lavori di costruzione del fabbricato oggetto di un permesso di costruire già assentito alla Società in causa.
I ricorrenti lamentano nello specifico l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione delle norme basilari procedimentali di mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.
Il cuore della censura risiede tutto nella violazione delle generali regole procedimentali e, in particolare, in materia di procedimento di riesame, che richiede idonea istruttoria e adeguata motivazione riguardo le determinazioni assunte dall’Amministrazione nonché l’indicazione delle ragioni di interesse pubblico giustificative dell’atto di annullamento.
Rileva, invero, il Tribunale Ammnistrativo di Roma che in via generale sussiste in capo all'Amministrazione Comunale l'obbligo di attivazione procedimentale, di cui agli artt. 7 e ss., della Legge n. 241 del 1990, in relazione al riesame o revisione di determinazioni già prese di assentibilità di progettati interventi edilizi, atteso che in tal caso necessita anche per il Comune l’adempimento di fornire apposita motivazione in ordine alle esigenze di tutela di uno specifico interesse pubblico prevalente rispetto agli interessi della parte ricorrente, allorquando sono rilevabili situazioni di affidamento sussistenti in concreto qualora sia stato rilasciato il permesso di costruire (cfr. TAR Toscana, sez. III, 26.02.2010, n. 535).
Del resto, non può ignorarsi la giurisprudenza consolidata in materia, secondo cui il provvedimento di annullamento di una concessione edilizia, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 16.04.2010, n. 2178; Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 24.04.2006, n. 422; Tar Lombardia, Milano, sez. III, 12.11.2009, n. 5021; Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 07.12.2009, n. 8597; Tar Trentino Alto Adige, Trento, sez. I, 16.12.2009, n. 305; Tar Campania, Napoli, sez. IV, 09.04.2010, n. 1885).
Anche nell’ipotesi di annullamento di un permesso di costruire va riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela. Detto potere è espressione della discrezionalità della p.a. e costituisce un adempimento indefettibile l’adozione di un provvedimento espresso che richiede la valutazione di elementi ulteriori rispetto alla mera illegittimità dell’atto da eliminare.
In ossequio all’orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto permissivo e alla situazione creatasi a seguito dello stesso.
Detto orientamento ha trovato, tra l’altro, conferma nelle recenti disposizioni della Legge n. 15 del 2005, che ha introdotto l’art. 21-nonies alla Legge n. 241 del 1990: in tale norma viene confermata in relazione ad ogni procedimento di riesame la natura tipicamente discrezionale dell’atto di ritiro, che deve essere espressione di un a congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, di cui si deve dare atto nel proprio corredo motivazionale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, cit, n. 2178 del 2010; Tar Campania, Napoli, sez. IV, 09.04.2010, n. 1885).
Traslando i superiori principi alla fattispecie in esame, ne discende l’illegittimità dei provvedimenti impugnati laddove risulta omessa l’enunciazione dell’interesse pubblico specifico, diverso da quello generico al ripristino della legalità, che imponeva il ritiro del titolo concessorio e quali siano le ragioni della prevalenza di tale interesse su quello del privato, il quale, nella specie, sulla base delle legittime aspettative derivanti dal titolo, al momento del ritiro, aveva già avviato l’attività di costruzione dell’immobile (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 07.07.2010 n. 23285 - link a ww
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ATTI AMMINISTRATIVIORDINANZA CONTINGIBILE ED URGENTE ... E PROVVISORIA?
1. Sindaco - Ordinanze contingibili e urgenti - Connotati essenziali - Conseguenza.
2. Sindaco - Ordinanze contingibili e urgenti - Giurisdizione amministrativa - Sussistenza - Disciplina.

1. Le ordinanze contingibili e urgenti adottate dal Sindaco non debbono necessariamente avere sempre il carattere della provvisorietà, dato che il loro connotato essenziale è la necessaria idoneità delle misure, da esse imposte, ad eliminare la situazione di pericolo che costituisce il presupposto della loro adozione: pertanto, dette misure possono essere provvisorie o definitive a seconda del tipo di rischio che intendono fronteggiare.
Occorre, cioè, avere riguardo alle specifiche circostanze di fatto del caso concreto, e allo scopo pratico perseguito attraverso il provvedimento del Sindaco (Cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1128/1998).
2. In relazione alle ordinanze contingibili e urgenti emesse dal Sindaco a tutela dell'incolumità pubblica, quale ufficiale di Governo, sussiste la giurisdizione di merito del Giudice Amministrativo, in virtù del combinato disposto dell'art. 7, L. 06.12.1971 n. 1034 e dell'art. 1, T.U. 26.06.1924 n. 1058: pertanto, tali ordinanze possono essere pienamente sindacate dal G.A. con riferimento non solo a tutti gli aspetti concernenti la legittimità, ma anche ai profili relativi alla sufficienza e all'attendibilità dell'attività istruttoria ovvero alla convenienza, opportunità ed equità delle determinazioni adottate (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. III, sentenza 07.07.2010 n. 2887 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento per le misure sanzionatorie in materia edilizia.
In materia di misure sanzionatorie per abusi edilizi, vi è costante giurisprudenza, cui questo collegio ritiene di aderire, che ritiene non necessario l'avviso di avvio del procedimento poiché il soggetto che ha commesso l’abuso edilizio è consapevole dell'illecito e può quindi ragionevolmente presumere di divenire oggetto di attenzione sanzionatoria da parte del Comune (TAR Lazio-Latina, sentenza 07.07.2010 n. 1131 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATASTAZIONE ELETTRICA A SERVIZIO DI IMPIANTO EOLICO.
1. Giudizio amministrativo - Procedura - Termini - Per impugnare - Emersione del fatto lesivo - Decorrenza.
2. Energia - Elettrica - Stazione di trasformazione dell'energia prodotta da un parco eolico - Attività - Natura - Non è industriale - Strumentale rispetto alla produzione di energia elettrica - Compatibilità con area destinata a servizi - Sussiste - Fattispecie.
3. Energia - Elettrica - Fonti rinnovabili - Realizzazione degli impianti - Opere di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti - Conseguenze - Localizzazione - Destinazione industriale - Necessità - Non sussiste - Zone agricole - Compatibilità.

1. Il termine decadenziale per l'impugnazione non decorre dalla data dell'atto bensì dalla data in cui la parte interessata ha acquisito piena consapevolezza del carattere lesivo del provvedimento.
Ne deriva che nel caso di realizzazione di una stazione elettrica di notevole impatto ambientale, la conoscenza del fatto lesivo è riconducibile al momento in cui il ricorrente scopre che sta per realizzarsi una stazione elettrica di notevole impatto territoriale in un'area vicina a quella della sua attività.
Il termine decadenziale decorre, dunque, dall'emersione del fatto lesivo, non già dall'effettiva conoscenza acquisita della concessione (TAR Sicilia Catania, sez. I, 28-01-2009 n. 192; TAR Puglia Bari, sez. II, 11-08-2008 n. 1931).
2. Le attività previste in una stazione elettrica (nella specie, a media tensione, estesa su una superficie di 1500 mq., la cui funzione è quella di trasformare e trasferire sulla rete elettrica tutta l'energia prodotta da un parco eolico) non hanno natura industriale, ma sono attività meramente strumentali rispetto alla produzione di energia elettrica e, pertanto compatibili -almeno in astratto- con un'area di insediamenti destinata a servizi.
Qualora non sia provato che le attività svolte dall'impianto assentito siano rumorose, o pericolose, ovvero incompatibili con le attività artigianali e commerciali della zona, e neppure sia fornita una prova (o un principio di prova) del fatto che il progetto sia in contrasto con i limiti e gli standards della pianificazione di area, (deducendosi al contrario dalla relazione tecnico-descrittiva della stazione elettrica, che si tratta di un piccolo edificio, poco ingombrante, con trasformatori, i sistemi di protezione e di controllo ed impianti occupanti una superficie di 1500 metri quadrati, di cui alcuni interrati, altri con altezza modesta, che li rende poco visibili dall'esterno e di scarso impatto sul paesaggio, con campi elettromagnetici periferici con valori bassi, il che esige che sia provata la pericolosità delle emissioni) si deve ritenere che l'intervento sia compatibile con la destinazione dell'area, e ciò a maggior ragione nel caso in cui le previsioni di un Piano degli insediamenti produttivi consentano la realizzazione di centrali termiche a servizio delle attività produttive in tutte le aree del P.i.p..
3. L'articolo 12 del D.Lgs. n. 387/2003 qualifica le opere per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili come di pubblica utilità, indifferibili e urgenti, disponendo che esse siano soggette ad autorizzazione unica regionale, rilasciata dalla Regione nel rispetto della normativa di tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico.
La localizzazione di un impianto eolico non richiede pertanto la destinazione industriale dell'area e non incontra preclusioni nelle destinazioni urbanistiche, salvo che non si tratti di impianti ad alto impatto ambientale o paesaggistico.
Gli impianti eolici possono essere realizzati, invero, persino in zone caratterizzate da indici plano-volumetrici molto bassi, quali sono le zone agricole (nella fattispecie il Tribunale, valutando i pareri e gli atti di assenso forniti dalle diverse autorità competenti e confluiti nella conferenza di servizi regionale, ha ritenuto che l'impianto in questione non presentasse alcuna controindicazione né che fosse in contrasto con la normativa di cui all'art. 12 co. 4, D.Lgs. n. 387/2003, in quanto detta normativa -concernente il ripristino dello stato dei luoghi, a seguito dell'eventuale dismissione dell'impianto eolico ed espressamente riferita alle torri eoliche- sarebbe comunque applicabile, anche quando gli atti di assenso non la contemplassero espressamente) (Cfr. Cons. Stato, sez. V, 11-12-2007 n. 6388) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Molise, sentenza 07.07.2010 n. 261 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di una piscina - Permesso di costruire - Necessità - Fondamento.
Anche per la realizzazione di una piscina occorre il permesso di costruire, e ciò perché costituiscono lavori edilizi che richiedono il preventivo rilascio del permesso di costruire non solo quelle opere che si elevano al di sopra del suolo, ma anche quelle in tutto o in parte interrate, che trasformano in modo durevole l'area impegnata dai lavori stessi, senza discrimine sulla entità del manufatto realizzato (come nel caso della realizzazione di una piscina) (Cass. 29/04/2003, Agresti; Cass. 27/09/2000, Cimaglia) (conferma sentenza Corte di Appello di Lecce del 24/09/2009) (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 06.07.2010 n. 25631 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Opere abusive - Ordine di demolizione - Impartito dal giudice - Atto dovuto - Impartito dalla P.A. - Rapporto - Differenza - Principi di tutela del territorio - Art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380/2001 - Art. 31, c. 9, d.P.R. n. 380/2001 - D. Lgs. n. 301/2002.
L'ordine di demolizione colpisce il manufatto illecitamente realizzato, ai sensi dell'art. 31, penultimo comma, d.P.R. 380/2001, attribuisce al giudice penale che pronunzi condanna per la esecuzione di opere edilizie in assenza di titolo abilitativo, ovvero in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto al permesso rilasciato, il potere di ordinare la demolizione delle opere stesse, se ancora non sia stata altrimenti eseguita.
L'ordine de quo costituisce atto dovuto e non si pone in rapporto alternativo con l'ordine di demolizione eventualmente già impartito dalla P.A. (Cass. 11/05/005, Morelli; Cass. 29/09/2005, Gambino) e va qualificato come sanzione amministrativa e non come pena accessoria e colpisce il l'opera abusivamente realizzata, in quanto tale, non rilevando l'appartenenza di essa al soggetto contro il quale si procede o a terzi estranei al processo. (conferma sentenza Corte di Appello di Lecce del 24/09/2009) (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 06.07.2010 n. 25631 - link a ww
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ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: La mancata esecuzione di una sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro non può ritenersi legittimamente motivata in relazione ad eventuali difficoltà di carattere finanziario e/o a carenza di fondi di bilancio.
La mancata esecuzione di una sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro –divenuta irrevocabile- non può ritenersi legittimamente motivata in relazione ad eventuali difficoltà di carattere finanziario e/o a carenza di fondi di bilancio, dovendo, comunque, l’Amministrazione porre in essere tutte le iniziative necessarie per procedere al tempestivo pagamento di quanto dovuto (Consiglio di Stato, sez. V, 13.06.2008, n. 2973; C.G.A.R.S. 02.10.1998, n. 356) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 06.07.2010 n. 8274 - link a ww
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APPALTI: Anche l'institore deve dichiarare l'assenza delle cause di esclusione di cui all'art. 75 del d.P.R. n. 554/1999.
L'institore è titolare di una posizione corrispondente a quella di un vero e proprio amministratore, munito di poteri di rappresentanza, di conseguenza deve anche essere annoverato fra i soggetti tenuti alla dichiarazione di assenza delle cause di esclusione di cui all'art. 75 del d.P.R. n. 554 del 1999.
Inoltre, non è solo il rapporto che, in concreto, i singoli rappresentati avranno con la p.a. a determinare l'obbligo di dimostrare il possesso dei requisiti di moralità ma tale obbligo sorge dalla necessità di dovere dimostrare l'affidabilità dell'intera impresa che entrerà in rapporto con l'amministrazione.
Diversamente, non avrebbe alcun senso l'obbligo imposto ai soggetti cessati dalla carica di dimostrare i requisiti di moralità atteso che gli stessi non hanno più modo di entrare in contatto con la stazione appaltante.
Peraltro, conta la titolarità del potere e non anche il suo concreto esercizio tanto più quando lo stesso statuto abilita il soggetto a sostituire in qualsiasi momento e per qualsiasi atto il titolare principale della rappresentanza senza intermediazione o investitura ulteriore e, sostanzialmente, senza controllo sulla effettività dell'impedimento e della assenza (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 06.07.2010 n. 8268 - link a ww
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ATTI AMMINISTRATIVI: Sulla motivazione degli atti amministrativi.
Il tema della motivazione dell’atto amministrativo è oramai improntato, a livello giurisprudenziale e dottrinale, ad una valutazione funzionale degli obblighi spettanti alla pubblica amministrazione.
Superando le impostazioni delle teorie formali, la giurisprudenza afferma che la motivazione del provvedimento amministrativo è finalizzata a consentire al cittadino la ricostruzione dell'iter logico e giuridico attraverso cui l'amministrazione si è determinata ad adottare un dato provvedimento, controllando, quindi, il corretto esercizio del potere ad esso conferito dalla legge e facendo valere, eventualmente nelle opportune sedi, le proprie ragioni.
Pertanto, la garanzia di adeguata tutela delle ragioni del privato non viene meno per il fatto che nel provvedimento amministrativo finale non risultino chiaramente e compiutamente rese comprensibili le ragioni sottese alla scelta fatta dalla pubblica amministrazione, allorché le stesse possano essere agevolmente colte dalla lettura degli atti afferenti alle varie fasi in cui si articola il procedimento, e ciò in omaggio ad una visione non meramente formale dell'obbligo di motivazione, ma coerente con i principi di trasparenza e di lealtà desumibili dall'art. 97 cost. (da ultimo Consiglio di Stato IV, 30.05.2005, n. 2770; conformemente id., 14.02.2005, n. 435; id. V, 20.10.2004, n. 6814).
Ove quindi la decisione amministrativa risulti motivata, nel senso giuridico e nella decisione tecnica, dalla lettura non del solo provvedimento, ma degli atti del procedimento comunque noti o conoscibili dal privato, le doglianze sul difetto di motivazione dell’atto conclusivo non possono essere accolte.
La valutazione della sopravvenuta importanza dell’intero iter procedimentale rispetto alla motivazione come fatto interno dell’atto appare quindi del tutto consona con le più aggiornate letture dell’agire amministrativo, dove il reale momento decisionale non sempre coincide con il provvedimento finale, quando questo si limita unicamente ad esternare l’esito della decisione. Le norme sul procedimento in concreto, imponendo l’acquisizione di determinati fatti o di interesse, le modalità di ponderazione degli interessi, i criteri di giudizio, ecc., svolgono quindi una funzione che non è di mera regolazione del modus operandi, ma incidono nel contenuto stesso del provvedimento finale, che è connotato e denotato dalle scelte operate nelle fasi precedenti.
Pertanto, la motivazione è obbligo che viene rispettato non solo quando è l’atto finale ad essere compiutamente giustificato ma, soprattutto nei casi in cui la normativa non impone modi di esternazione delle ragioni particolarmente analitici o quando si viene a collidere con la discrezionalità tecnica dell’amministrazione, quando le regole procedimentali vengano accuratamente seguite, in modo tale che si possa ragionevolmente ritenere che gli organi pubblici abbiano agito sotto un velo di ignoranza sull’esito finale del loro operato, così escludendo parzialità ed inefficienze
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.07.2010 n. 4331 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Questioni varie attinenti il pubblico concorso.
In assenza di una normazione ad hoc, è del tutto sufficiente la motivazione contenuta in un punteggio numerico.
Il punteggio numerico è considerato di per sé idoneo a sorreggere l'obbligo di motivazione richiesto dall'art. 3 l. 07.08.1990 n. 241 anche qualora non siano rinvenibili sull’elaborato segni grafici o glosse di commento a margine dell'elaborato.
La predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove è connotata da un’ampia discrezionalità, per cui i criteri adottati sfuggono al sindacato giurisdizionale, salvi i casi di manifesta illogicità e irrazionalità.
In tema di valutazioni dei tempi medi di correzione, la giurisprudenza ha sostenuto, da un lato, l’infondatezza della censura in quanto si tratta di vicenda normalmente sottratta al controllo di legittimità.
Non è prescritta la verbalizzazione della votazione assegnata da ciascun commissario come elemento di legittimità della valutazione delle prove in un pubblico concorso, salvo che risulti il dissenso da parte di taluno dei commissari, ai quali solo spetta di invalidare per tale motivo la verbalizzazione della seduta.

A seguito di una considerevole elaborazione, la giurisprudenza è oramai ferma nel considerare, in assenza di una normazione ad hoc, del tutto sufficiente la motivazione contenuta in un punteggio numerico. In tal caso, si tratta di motivazione sintetica, ma comunque significativa ed idonea a rendere palese la valutazione compiuta dalla commissione, con la conseguenza che, se per un verso, non occorre integrare il punteggio numerico con un'apposita motivazione, un obbligo di motivazione integrativa si pone solo nel caso in cui vi sia un contrasto talmente rilevante fra i punteggi attribuiti dai componenti della commissione da configurare un'eventuale contraddittorietà intrinseca del giudizio complessivo (da ultimo Consiglio di Stato, sez. IV, 14.04.2006, n. 2127, anche in tema di concorso notarile; nonché id. sez. VI, 26.05.2006 n. 3147; id., 14.01.2005, n. 110; id., IV 05.08.2005, n. 4165). Il punteggio numerico è considerato di per sé idoneo a sorreggere l'obbligo di motivazione richiesto dall'art. 3 l. 07.08.1990 n. 241 anche qualora non siano rinvenibili sull’elaborato segni grafici o glosse di commento a margine dell'elaborato (da ultimo TAR Sardegna, sez. I, 24.12.2004, n. 1933);
La predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove è connotata da un’ampia discrezionalità, per cui i criteri adottati sfuggono al sindacato giurisdizionale, salvi i casi di manifesta illogicità e irrazionalità (Consiglio di Stato sez. IV, 06.05.2004, n. 2798; id. IV, 08.02.2000 n. 679). Pertanto, in assenza di un rilevante scostamento dai detti canoni di coerenza, le scelte operate dalla commissione appaiono del tutto immuni dalle censure operate;
In tema di valutazioni dei tempi medi di correzione, la giurisprudenza ha sostenuto, da un lato, l’infondatezza della censura in quanto si tratta di vicenda normalmente sottratta al controllo di legittimità (Consiglio di Stato VI, 27.05.1998 n. 829); dall’altro, e con affermazioni ancora più radicali, la inammissibilità della censura stessa, in quanto prospettata non in relazione ad un dato assoluto (tempo effettivamente occorso), ma ad un dato relativo (tempi medi di correzione), facendo risaltare l’assenza di alcuna prova o indizio dell'asserita incongruità del tempo occorso alla correzione delle prove della parte ricorrente, risultando dai verbali solo l'indicazione del tempo occorso alla correzione degli elaborati svolti da un certo numero di candidati (Consiglio di Stato, sez. IV, 05.08.2005, n. 4165);
Non è prescritta la verbalizzazione della votazione assegnata da ciascun commissario come elemento di legittimità della valutazione delle prove in un pubblico concorso, salvo che risulti il dissenso da parte di taluno dei commissari, ai quali solo spetta di invalidare per tale motivo la verbalizzazione della seduta (Consiglio di Stato, sez. VI, 20.07.1995 n. 764), in quanto, in un’ottica di maggiore rilievo e salve diverse disposizioni del bando o dei criteri fissati dalla commissione esaminatrice, l'onere di verbalizzazione delle operazioni di concorso (di cui all'art. 14 d.p.r. 09.05.1994 n. 487) è sufficientemente garantito dall'indicazione del giudizio finale della commissione (TAR Calabria, 03.04.1998, n. 252)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.07.2010 n. 4331 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Bonifica - Siti di interesse nazionale - Competenze - Art. 252 d.lgs. n. 152/2006 - Competenze del Ministro dell’Ambiente - Competenze dirigenziali - Individuazione dei siti di interesse nazionale - Decreto di recepimento della conferenza di servizi - Procedimenti di bonifica - Interventi di messa in sicurezza d’emergenza.
L’art. 252 del d.lgs. n. 152/2006 distingue tra atti ed attività di competenza del Ministro dell’Ambiente ed atti e attività facenti capo al Ministero. Rientra ad es. tra i primi l’individuazione, ai fini della bonifica, dei siti di interesse nazionale, attinente all’indirizzo politico-amministrativo in materia.
Si deve invece reputare che il decreto di recepimento della Conferenza di Servizi costituisca un mero atto di gestione, di competenza dirigenziale, atteso che esso certamente non concerne le scelte di fondo che la P.A. è chiamata a compiere nel settore in esame.
Del resto, l’art. 252, comma 4, del d.lgs. n. 152 cit. attribuisce la competenza per i procedimenti di bonifica di cui al precedente art. 242, qualora abbiano ad oggetto i siti di interesse nazionale, “alla competenza del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio”.
E se l’attribuzione delle relative competenze al “Ministero” (e non al Ministro, salve le tassative eccezioni) sussiste per gli atti del procedimento di bonifica, a fortiori essa deve sussistere anche per gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza, i quali investono una fase prodromica rispetto alla bonifica e non sono in grado di determinare il definitivo riassetto del sito (v. art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit.) (cfr. TAR Lombardia, Brescia, n. 1738/2009, secondo cui, in base al generale principio di distinzione tra attività di governo ed attività di gestione, gli atti del procedimento di bonifica dei siti di interesse nazionale, compresi quelli conclusivi, rientrano nella competenza tecnico-gestionale degli organi esecutivi, in quanto non contengono elementi di indirizzo politico-amministrativo che possano attrarre detta competenza nella sfera riservata agli organi di governo).
INQUINAMENTO - Bonifica - Procedimento - Concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico - Necessità - Esclusione - Ragioni - Art. 252 c. 4 d.lgs. n. 152/2006 - Differenza con il procedimento di individuazione dei siti di interesse nazionale - Intesa con le Regioni - Art. 252, c. 1.
L’art. 252, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006, non richiede, nell’ambito della procedura di bonifica,il concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico. A tal proposito è significativa la differenza rispetto al precedente comma 1, che richiede invece l’intesa con le Regioni per il distinto procedimento di individuazione dei siti di interesse nazionale.
D’altro canto, l’intesa ed il concerto sarebbero incompatibili con la natura di atto gestionale propria del decreto di recepimento delle conclusioni della conferenza di servizi, ed anzi, il fatto che non siano richiesti ne conferma la natura di atto di mera gestione e non di indirizzo politico-amministrativo.
L’esercizio di poteri che sfociano in decreti emanati di concerto tra due ministri, infatti, non può essere ricondotto ad un’attività meramente gestionale, ma rientra nell’ambito dell’indirizzo politico-amministrativo, rappresentando espressione di valutazioni anche politiche proprie dei poteri governativi (cfr. TAR Veneto, n. 350/2002).
Sotto questo aspetto vi è dunque assoluta coerenza tra la necessità dell’intesa nel procedimento di cui al comma 1 dell’art. 252 e l’assenza di una tale intesa o concerto nella disciplina di cui al successivo comma 4: nel primo caso si tratta di un procedimento che attiene all’indirizzo politico-amministrativo, mentre negli altri casi si tratta di procedimenti preordinati all’adozione di atti di gestione, che proprio per tale ragione non necessitano del preventivo concerto a livello di vertice politico dei rispettivi apparati.
INQUINAMENTO - Bonifica - Conferenza di servizi - Pareri, intese e concerti - Art. 252 d.lgs. n. 152/2006 - Acquisizione all’interno della conferenza.
Nel modulo procedimentale della Conferenza di Servizi, i pareri, le intese ed i concerti di cui all’art. 252 cit. ed all’art. 15, comma 4, del d.m. n. 471/1999 possono ben essere acquisiti all’interno della Conferenza stessa, senza che poi, in sede di emanazione del provvedimento finale, si debba provvedere ad una nuova acquisizione (TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, nn. 319/2009, cit. e 1738/2009, cit.).
INQUINAMENTO - Bonifica - Destinatari delle prescrizioni - Partecipazione al procedimento.
Nei procedimenti in materia di bonifica ambientale, è necessario che la P.A. consenta ai destinatari delle prescrizioni stabilite dalla stessa P.A. di partecipare al relativo procedimento, articolato in una o più Conferenze di Servizi istruttorie e decisorie.
Ciò, quantomeno, con riferimento alle fasi procedimentali in cui emerge l’esistenza di una contaminazione dell’area interessata e che poi sfociano nelle determinazioni assunte dalla Conferenza di Servizi decisoria (cfr. TAR Toscana, Sez. II, 06.05.2009, n. 762; cfr. altresì TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 19.04.2007, n. 1913 e TAR Friuli Venezia Giulia, 27.07.2001, n. 488 per l’affermazione secondo cui l’attività istruttoria del procedimento di bonifica deve prevedere la partecipazione del soggetto interessato).
INQUINAMENTO - Bonifica - Attività istruttoria - Contraddittorio procedimentale - Accertamenti analitici - Principi di trasparenza e pubblicità - Art. 223 disp. att. c.p.p..
Nell’attività istruttoria del procedimento di bonifica, il contraddittorio procedimentale si appalesa necessario in particolare per gli accertamenti analitici (v. TAR Lombardia, Sez. I, n. 1913/2007): ciò, atteso che l’onere di effettuare gli accertamenti in contraddittorio con le parti interessate risponde ad evidenti ragioni di trasparenza e pubblicità, principi del diritto vivente cui la P.A. si deve uniformare in ogni momento della propria azione, oltre che all’interesse pubblico all’imparzialità dell’azione amministrativa.
Va poi rilevato che, ad avviso di altra giurisprudenza, in materia sarebbe applicabile l’art. 223 disp. att. c.p.p., secondo cui, qualora, nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti, si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione, l’organo procedente deve, anche oralmente, dare avviso all’interessato dell’ora e del luogo di effettuazione delle analisi, in funzione del diritto dello stesso di presenziare a queste, di persona o tramite persona di fiducia da lui designata, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico (cfr. TAR, Lombardia, Sez. I, 11.11.2003, n. 4982).
INQUINAMENTO - Bonifica - Imposizione della misura della barriera fisica - Accertamenti tecnici - Necessità, efficacia e realizzabilità.
L’imposizione della misura della cd. barriera fisica deve essere supportata da adeguati accertamenti tecnici che la indichino come l’unico od il miglior sistema per evitare la diffusione dell’inquinamento.
A prescindere dalla valutazione di altre misure, di minore complessità ed onerosità, la P.A. è tenuta a valutare ed accertare non solo l’inefficacia di misure meno invasive della barriera fisica, ma anche l’effettiva necessità, efficacia e realizzabilità del sistema di contenimento fisico (TAR Puglia, Lecce Sez. I, 11.06.2007, n. 2247; TAR Toscana, Sez. II, 14.10.2009, n. 1540; id., 18.12.2009, n. 3973).
INQUINAMENTO - Bonifica - Barriera fisica - Sottoposizione a VIA - Obbligo.
L’opera di contenimento dell’inquinamento a mezzo di barriera fisica è soggetta a procedura obbligatoria di valutazione di impatto ambientale, ai sensi sia del d.lgs. n. 152/2006, sia del precedente art. 1, comma 1, lett. l), del d.p.c.m. n. 377/1988 (cfr. TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 20.07.2007, n. 1254).
INQUINAMENTO - Obbligo di adottare le misure idonee a fronteggiare lo stato di inquinamento - Soggetto responsabile - Principio del “chi inquina paga” - Obbligo di bonifica o messa in sicurezza - Proprietario incolpevole dell’area inquinata - Svolgimento delle attività di risanamento - Imposizione - Possibilità - Esclusione - Misure d’emergenza - Artt. 240 e ss. d.lgs. n. 152/2006.
Tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità (cfr., ex multis, TAR Toscana, Sez. II, 17.04.2009, n. 665; id., 06.05.2009, n. 762; nello stesso senso, TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 26.07.2007, n. 1254).
L’Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento.
L’enunciato è conforme al principio “chi inquina, paga”, cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.
Va precisato, in argomento, che il principio “chi inquina, paga” vale, altresì, per le misure di messa in sicurezza d’emergenza. Infatti, anche l’adozione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell’inquinamento (cfr. art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.).
INQUINAMENTO - Proprietario dell’are inquinata non responsabile - Esecuzione d’ufficio delle opere di recupero ambientale - Garanzie gravanti sul terreno oggetto degli interventi - Artt. 244, 250 e 253 d.lgs. n. 152/2006.
A carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell’inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area interessata libera da pesi.
Dal combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava infatti che, nell’ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso -e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati- le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetti dei medesimi interventi (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 10.07.2007, n. 5355; TAR Toscana, Sez. II, 17.09.2009, n. 1448) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 06.07.2010 n. 2316 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Opera abusivamente realizzata - Permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 DPR n. 380/2001 - Compiti del giudice penale - Art. 101 Cost. - Cd. "doppia conformità".
La disciplina contenuta nell’art. 36 DPR n. 380/2001 prevede, espressamente, che il responsabile dell'abuso o il proprietario possano ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda (cd."doppia conformità").
In tali casi, il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria. Il giudice, quindi, non deve limitarsi a verificare l'esistenza ontologica del provvedimento amministrativo autorizzatorio, ma deve verificare l'integrazione o meno della fattispecie penale "in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela" (nella specie tutela del territorio), (Cass. sez. unite 21.12.1993, ric. Borgia).
E' la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l'atto amministrativo (Cass. pen. sez. 3 - 21.01.1997- Volpe ed altri).
Non sarebbe infatti soggetto soltanto alla legge (art. 101 Cost.) un giudice penale che arrestasse il proprio esame all'aspetto esistenziale e formale di un atto sostanzialmente contrastante con i presupposti legali (Cass. pen. sez. 3 - 02.05.1996 n. 4421 - Oberto ed altri).
Tutti tali principi sono stati ribaditi da Cass. sez. 3 - n. 11716 del 29.01.2001 (annulla sentenza del 27.10.2009 del Tribunale di Tivoli, sez. dist. di Palestrina e rinvia alla Corte di Appello di Roma).
Permesso in sanatoria - Automatica estinzione del reato - Esclusione - Reati aventi oggettività giuridica - Art. 36 DPR n. 380/2001.
Il rilascio del permesso in sanatoria, ex art. 36 DPR n. 380/2001, non determina automaticamente l’estinzione del reato, dovendo il giudice, comunque, accertare la legittimità sostanziale del titolo sotto il profilo della sua conformità alla legge (Cass. pen. sez. 3 n. 144 del 30.01.2003-PM in proc. Ciaravella).
Sicché, l'effetto estintivo non opera nei confronti dei reati aventi oggettività giuridica diversa, come quelli relativi a violazioni di disposizioni dettate dalle leggi in materia di costruzioni in zona sismica, di opere in conglomerato cementizio o di vincoli ambientali e paesaggistici.
Tali disposizioni, infatti, pur riguardando l'attività edificatoria sono "diverse" sotto il profilo della ratio e degli obiettivi perseguiti, da quelle in materia urbanistica (Cass. sez. 3 - 02.07.1994 n. 7541; Cass. sez. 3 - 26.06.1997 n. 6225; Cass. sez. 3 - n. 11511 del 15.02.2002; Cass. sez. 3 - 22.05.2006 n. 17591) (annulla sentenza del 27.10.2009 del Tribunale di Tivoli, sez. dist. di Palestrina e rinvia alla Corte di Appello di Roma) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 05.07.2010 n. 25387 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Provvedimento di concessione edilizia - Soggetti legittimati all’impugnazione - Soggetti titolati a ricevere l’avviso di avvio del procedimento - Identità - Esclusione.
Non vi è identità tra le posizioni di coloro che siano legittimati ad impugnare il provvedimento finale di concessione edilizia e coloro che possono intervenire o hanno titolo a ricevere l'avviso di avvio del procedimento; ove sia stata proposta una domanda di concessione edilizia e/o di autorizzazione paesistica, il vicino del richiedente può intervenire nel procedimento ed impugnare il provvedimento che accoglie l'istanza, ma non ha titolo a ricevere l'avviso di avvio predetto (Cons. di St., VI, 10.02.2006, n. 547; TAR Liguria, I, 15.11.2005, n. 1461) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 5570 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Accertamento di conformità ex artt. 36 e 37 d.P.R. n. 380/2001 - Opere “formalmente” abusive - Doppia conformità - Opere realizzate in difformità alle norme urbanistiche - Diverso regime - Sanzione ex art. 27 d.P.R. n. 380/2001.
L'accertamento di conformità previsto dagli artt. 36 (per le opere eseguite in assenza di permesso di costruire) e 37 comma 4 (per le opere eseguite in assenza di D.I.A.) del D.P.R. n. 380 del 2001 è diretto a sanare -a regime- le opere solo “formalmente” abusive, in quanto eseguite senza titolo edilizio (rispettivamente, permesso di costruire o D.I.A.), ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria (c.d. doppia conformità).
Non è invece applicabile nei riguardi delle opere che siano state eseguite non solo senza titolo, ma anche in difformità dalle norme urbanistiche: in tal caso, infatti, scatta il diverso regime sanzionatorio di cui all'art. 27 comma 2 del D.P.R. n. 380 del 2001 (demolizione e ripristino dello stato dei luoghi), che, ampliando l'ambito di applicazione del precedente articolo 4, comma 2 della legge n. 47/1985, concerne, per sua stessa previsione, non soltanto le ipotesi di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità, ma anche tutte le altre ipotesi di violazione della normativa urbanistica sostanziale (TAR Campania, IV, 04.02.2010, n. 566; id., 21.03.2008, n. 1460) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 5570 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Vincolo stradale - Finalità - Sicurezza della circolazione - Impianto di cantieri e deposito di materiali - Opere realizzate a livello della sede stradale, non emergenti dal suolo - Rispetto delle distanze - Obbligo.
Il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede stradale non deve essere inteso restrittivamente, e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla sua incolumità delle persone, ma è connesso alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni, sicché le distanze previste dalla normativa vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (Cass., II, 01.06.1995, n. 6118; Cons. di St., IV, 18.10.2002, n. 5716; id., 25.09.2002, n. 4927; TAR Campania-Salerno, II, 09.04.2009, n. 1383) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 5565 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Vincolo idrogeologico - Mancata iscrizione del corso d’acqua nell’elenco delle acque pubbliche - Irrilevanza - Fattispecie: fossato di convogliamento delle acque piovane - D.P.R. n. 238/1999.
Ai fini del vincolo idrogeologico è irrilevante sia la mancata iscrizione del corso d’acqua negli appositi elenchi delle acque pubbliche, stante il carattere dichiarativo e non costitutivo di detti elenchi (cfr. l’art. 1 della legge 05.01.1994, n. 36 e l’art. 1 comma 4 del D.P.R. n. 238/1999), sia la circostanza che manchi una sorgente a monte e che, pertanto, abitualmente non vi scorra acqua: anche a voler prescindere dal chiaro disposto dell’art. 93 R.D. 25.07.1904, n. 523, è infatti evidente che anche un fossato creatosi naturalmente tra due rilievi collinari, convogliando le acque meteoriche, può determinare il dilavamento dei terreni, mettendone in pericolo la stabilità e turbando il regime delle acque superficiali (art. 1 R.D. 30.12.1923, n. 3267).
In tal senso è assai significativo che l’art. 1 comma 2 del D.P.R. 18.02.1999, n. 238 definisca pubbliche anche le acque piovane, non appena convogliate in un corso d’acqua (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 5564 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: VIA - Tutela preventiva dell’ambiente - Discrezionalità amministrativa - Natura sostanzialmente insindacabile delle scelte effettuate.
L’istituto della VIA, in quanto finalizzato alla tutela preventiva dell’ambiente, è caratterizzato da un’ampia discrezionalità amministrativa: le scelte effettuate hanno natura sostanzialmente insindacabile, alla luce del valore primario ed assoluto riconosciuto dalla Costituzione al paesaggio e all’ambiente (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 12.06.2009, n. 3770; Corte cost., 07.11.2007, n. 367).
VIA - Tutela del paesaggio - Preminenza costituzionale - Ponderazione dell’interesse privato - Limiti.
La ponderazione degli interessi privati, unitamente ed in coerenza con gli interessi pubblici connessi con la tutela paesaggistica ed ambientale, non deve essere giustificata neppure allo scopo di dimostrare che il sacrificio imposto al privato (per altro di natura essenzialmente procedimentale nel caso di ammissione a v.i.a. all’esito della verifica di assoggettabilità perché il bene della vita finale non è pregiudicato), sia stato contenuto nel minimo possibile, perché tale giudizio si colloca all’interno della disciplina costituzionale del paesaggio (art. 9 Cost.) che erige il valore estetico-culturale a valore primario dell’ordinamento.
VIA - Disciplina - Finalità - Diritto fondamentali di derivazione comunitaria - Direttiva 85/337/CEE - Rifiuto di sottoporre un progetto a via all’esito di verifica preliminare - Giustificazione delle ragioni.
La disciplina sulla v.i.a. è preordinata alla salvaguardia dell’habitat nel quale l’uomo vive che assurge a valore primario ed assoluto in quanto espressivo della personalità umana (cfr. Cons. St., sez. VI, 18.03.2008, n. 1109), attribuendo ad ogni singolo un autentico diritto fondamentale, di derivazione comunitaria (direttiva 85/337), che obbliga l’amministrazione a giustificare, quantomeno ex post ed a richiesta dell’interessato, le ragioni del rifiuto di sottoporre un progetto a v.i.a. all’esito di verifica preliminare (cfr. Corte giust. 30.04.2009, c-75/08, Mellor).
VIA - Discrezionalità tecnica - Direttiva 85/337/CEE - Progetto - Profili di ubicazione e dimensione - Natura sostanziale.
Nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale (ed a maggior ragione nell’effettuare la verifica preliminare), l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità tecnica sebbene censurabile sia per macroscopici vizi logici, sia per errore di fatto, sia per travisamento dei presupposti (cfr. Trib. Sup. acque pubbliche, 11.03.2009, n. 35; Cons. St., sez. VI, 19.02.2008, n. 561; sez. VI, 30.01.2004, n. 316); essa non deve limitarsi, a mente della direttiva 85/337/CEE, ad apprezzare solo i profili di ubicazione e dimensione del progetto, ma ha l’obbligo di accertarne la natura sostanziale (cfr. da ultimo Corte giust., 25 luglio 2008, c-142/07).
VIA - Analisi comparata tra il sacrificio ambientale e l’utilità economica - Opzione zero - Sviluppo sostenibile - Art. 3-quater d.lgs. n. 152/2006 - Proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività.
Alla stregua della disciplina comunitaria e nazionale (ed eventualmente regionale), la v.i.a. non può essere intesa come limitata alla verifica della astratta compatibilità ambientale dell’opera ma si sostanzia in una analisi comparata tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio economica, tenuto conto delle alternative praticabili e dei riflessi della stessa “opzione zero”; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità), sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico che si pervenga ad una soluzione negativa ove l’intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell’interesse diverso sotteso all’iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile (ora codificato dall’art. 3-quater, d.leg. 152/2006) e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste (cfr. Cons. St., sez. VI, 22.02.2007, n. 933).
VIA - Direttiva 85/337/CEE - Politica comunitaria dell’ambiente - Tutela preventiva da inquinamenti e altre perturbazioni.
La giurisprudenza comunitaria conferisce un ruolo strategico alla procedura di v.i.a., nel quadro dei mezzi e modelli positivi preordinati alla tutela dell’ambiente, valorizzando le disposizioni della direttiva 85/337/CEE. che evidenziano come la politica comunitaria dell’ambiente consista, ante omnia, nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altre perturbazioni, anziché combatterne successivamente gli effetti: conformemente ai principi “costituzionali” dei trattati, scopo dell’U.E. è la tutela preventiva dell’ambiente (cfr. Corte giust., sez. V, 21.09.1999, c-392/96; sez. VI, 16.09.1999, c-435/97).
VIA - Nozione di centro abitato - Riferimento alla disciplina di cui al codice della strada - Eccentricità - Diversa connotazione giuridica dell’analogo concetto urbanistico.
E’ eccentrico, rispetto al quadro delle norme e dei principi in materia di VIA, valorizzare la nozione di “centro abitato” contemplata dal codice della strada (artt. 3 e 4).
La giurisprudenza è univoca nel segnalarne la diversa connotazione giuridica rispetto all’analogo concetto previsto dalla disciplina urbanistica (art. 41-quinquies, l. n. 1150 del 1942); a fortiori queste conclusioni valgono per la procedura di v.i.a. atteso che scopo essenziale della normativa stradale è quello di assicurare la sicurezza della circolazione mediante prescrizioni tecniche e norme di comportamento (cfr. da ultimo Cons. St., sez. II, 11.03.2009; sez. IV, 05.04.2005, n. 1560).
VIA - Art. 10, c. 2, d.P.R. 12.04.1996 - Meccanismo del silenzio assenso - Disapplicazione - Contrasto con la direttiva 85/337/CEE.
La disposizione sancita dall’art. 10, co. 2, d.P.R. del 12.04.1996 nella parte in cui fa discendere l’esenzione dalla v.i.a. dal silenzio dell’amministrazione protratto per oltre sessanta giorni dall’inoltro della richiesta di verifica, va disapplicata (cfr. Cons. St., 28.09.2001, n. 5169), per contrasto con lo spirito della direttiva 85/337/CEE (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 05.07.2010 n. 4246 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Paesaggio - Tutela - Prescrizioni urbanistiche - Natura e finalità differenti.
La tutela del paesaggio non è riducibile a quella dell’urbanistica, né può essere considerato vizio della funzione preposta alla tutela del paesaggio il mancato accertamento dell’esistenza, nel territorio oggetto dell’intervento paesaggistico, di eventuali prescrizioni urbanistiche che, rispondendo ad esigenze diverse, in ogni caso non si inquadrano in una considerazione globale del territorio sotto il profilo dell’attuazione del primario valore paesaggistico.
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vincolo paesaggistico- Condizioni di degrado dell’area interessata - Ostacolo all’imposizione del vincolo - Esclusione.
L’avvenuta edificazione di un’area immobiliare o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici o culturali ad essa legati, poiché l’imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l’imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell’integrità dello stesso.
DIRITTO AMBIENTALE - Rilevanza della nozione di ambiente - Paesaggio - Assetto del territorio - Aspetti scientifico-naturalistici.
L’ambiente rileva non solo come paesaggio ma anche come assetto del territorio, comprensivo financo degli aspetti scientifico-naturalistici (come quelli relativi alla protezione di una particolare flora e fauna), pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 05.07.2010 n. 4246 - link a ww
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APPALTI: Sull'illegittimità del provvedimento di esclusione dalla gara di un concorrente, adottato sul presupposto che non risultava regolarmente ceralaccato uno dei lembi della busta contenente l'offerta.
La previsione di un bando di gara relativa all'impiego della ceralacca non può essere intesa quale formalità fine a se stessa, ma risponde concretamente all'esigenza di impedire abusive manomissioni delle buste con eventuali indebite sostituzioni del loro contenuto originario.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo il provvedimento di esclusione dalla procedura di gara di un concorrente adottato sul presupposto delle imperfette modalità di chiusura del plico contenente l'offerta, in quanto la circostanza per cui uno dei sigilli di ceralacca apposti sui lembi della busta contenente l'offerta non ne scavalchi (per una distanza, si ribadisce, veramente irrisoria) i lembi laterali, non configura un inadempimento essenziale rispetto alla previsione del bando, dal momento che la presenza sulla busta di altri sigilli debitamente impressi e, soprattutto, la regolare apposizione della controfirma sugli stessi lembi rendevano sostanzialmente indiscussa la perfetta integrità del plico.
La presenza della controfirma (nonché del timbro ad inchiostro spontaneamente apposto dalla concorrente sullo stesso lembo della busta) costituiva, infatti, di per sé cautela atta ad impedire ogni tentativo di apertura del plico, se non a prezzo di renderne evidente la manomissione.
Nel caso concreto, quindi, l'amministrazione ha dato luogo ad una applicazione restrittiva o formalistica della prescrizione della lex specialis inerente la duplice modalità di chiusura dei lembi della busta che non corrispondeva all'interesse pubblico di garantire la massima partecipazione alla procedura selettiva né a criteri di tutela della parità tra i concorrenti (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 2985 - link a ww
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APPALTI: Offerta - Busta - Sigilli di ceralacca - Sigillo non perfettamente apposto - Presenza di altri sigilli debitamente impressi - Sufficienza - Integrità del plico.
La previsione del bando relativa all’impiego della ceralacca non può essere intesa quale formalità fine a se stessa, ma risponde concretamente all’esigenza di impedire abusive manomissioni delle buste con eventuali indebite sostituzioni del loro contenuto originario.
In tale contesto, la circostanza per cui uno dei sigilli di ceralacca apposti sui lembi della busta contenente l’offerta non ne scavalchi (per una distanza irrisoria) i lembi laterali, non configura un inadempimento essenziale rispetto alla previsione del bando, dal momento che la presenza sulla busta di altri sigilli debitamente impressi e la regolare apposizione della controfirma sugli stessi lembi rendono sostanzialmente indiscussa la perfetta integrità del plico (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 2985 - link a ww
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URBANISTICA: Se una variante urbanistica viene denominata dall’autorità emanante “correzione di errore materiale”, non può considerarsi un vizio che siano state seguite le procedure ordinarie anziché quelle semplificate, in ipotesi esperibili.
Le regole procedimentali della pianificazione urbanistica non prevedono, almeno in modo diretto ed esplicito, un iter agevolato per la correzione degli errori materiali. Ma anche volendo ammettere che attraverso una interpretazione sistematica si possa ricostruire una procedura semplificata per la correzione, nulla obbliga l’autorità emanante ad avvalersene, qualora possa raggiungere lo stesso risultato procedendo ad una variante secondo le forme ordinarie.
Ne consegue che se una variante urbanistica –posta in essere seguendo correttamente le procedure ordinarie– viene denominata dall’autorità emanante “correzione di errore materiale”, non può considerarsi un vizio che siano state seguite le procedure ordinarie anziché quelle semplificate, in ipotesi esperibili; e d’altra parte non può considerarsi un vizio il fatto che sia stato invocato un (supposto) errore materiale mentre in realtà non vi era un errore da correggere. Si porrà, semmai, il problema di verificare se il non pertinente richiamo alla figura dell’errore materiale non si risolva in un caso di eccesso di potere per incongruità della motivazione; ma questa è altra questione che riguarda, appunto, la motivazione, non la legittimità del procedimento.
Sul piano generale, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 241 del 1990, l’approvazione di una variante al piano regolatore (come pure al piano di fabbricazione), in quanto provvedimento di pianificazione, non deve essere necessariamente preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dei soggetti interessati; l’esigenza del contraddittorio nei procedimenti di formazione degli strumenti urbanistici è salvaguardata dalla specifica disciplina, che prevede la pubblicazione, la presentazione di osservazioni, ed infine l’approvazione (in termini Cons. Stato, Sez, IV, 22.03.2005, n. 1236).
Inoltre, sul piano più specifico, come si è precedentemente evidenziato, la disposta modifica dell’art. 95 delle N.T.A., costituendo rettifica di un errore materiale, non ha natura discrezionale, con conseguente applicabilità anche dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, alla stregua del quale, in caso di provvedimento vincolato, la comunicazione di avvio del procedimento può essere omessa, in quanto la determinazione da assumere non potrebbe essere modificata in base alle osservazioni dell’interessato (Cons. Stato, Sez. V, 29.04.2009, n. 2737)
(TAR Umbria, sentenza 05.07.2010 n. 401 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Mentre il provvedimento di annullamento d’ufficio richiede, qualora incida su situazioni consolidate, l’esternazione di uno specifico motivo di pubblico interesse che giustifichi perché l’Amministrazione abbia ritenuto che il contrasto tra l’interesse privato a non modificare la situazione preesistente e l’opposto interesse pubblico ad operare in modo legittimo, debba essere risolto dando la prevalenza al secondo, al contrario siffatta valutazione non è necessaria quando l’Amministrazione intenda procedere soltanto alla rettifica dell’atto dopo avere riscontrato la presenza di errori materiali.
Come noto, l’errore materiale nella redazione di un provvedimento amministrativo si concretizza quando il pensiero del decisore sia stato tradito ed alterato al momento della sua traduzione in forma scritta, a causa di un fattore deviante che abbia operato esclusivamente nella fase della sua esternazione, sempreché tale divario emerga direttamente dall’esame del contesto stesso in cui l’errore si trova (in termini Cons. Stato, Sez. IV, 21.10.2008, n. 5154; TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 14.07.2009, n. 1311).
L’errore materiale, per essere tale, deve emergere con evidenza, e non richiedere un’approfondita interpretazione dell’attività amministrativa (Cons. Stato, Sez. IV, 23.12.1998, n. 1907).
E’ la rettifica il provvedimento mediante il quale viene, per regola, eliminato l’errore materiale in cui è incorsa l’Autorità emanante nella determinazione del contenuto del provvedimento (tra le tante, TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 09.05.2005, n. 729).
La rettifica, concernendo un errore materiale, non richiede una motivazione rigorosa come l’annullamento (in termini, da ultimo, TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, Sez. I, 16.07.2009, n. 271), e non può ritenersi sottoposta alle condizioni prescritte dall’art. 21-nonies, comma 1, della legge generale sul procedimento amministrativo per l’annullamento d’ufficio.
Il potere di correzione dell’errore materiale non richiede neppure di valutare comparativamente l’interesse pubblico e l’interesse privato coinvolti, essendo finalizzato a rendere il contenuto del provvedimento conforme alla reale volontà di chi lo ha adottato (Cons. Stato, Sez. VI, 17.07.2008, n. 3597), senza dunque esprimere alcuna effettiva potestà discrezionale.
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che, mentre il provvedimento di annullamento d’ufficio richiede, qualora incida su situazioni consolidate, l’esternazione di uno specifico motivo di pubblico interesse che giustifichi perché l’Amministrazione abbia ritenuto che il contrasto tra l’interesse privato a non modificare la situazione preesistente e l’opposto interesse pubblico ad operare in modo legittimo, debba essere risolto dando la prevalenza al secondo, al contrario siffatta valutazione non è necessaria quando l’Amministrazione intenda procedere soltanto alla rettifica dell’atto dopo avere riscontrato la presenza di errori materiali (C.G.A., 02.06.1987, n. 147) (TAR Umbria, sentenza 05.07.2010 n. 401 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI: Il componente dell'organo collegiale che non sia assente dalla seduta, deve manifestare il proprio dissenso alla delibera e fare verbalizzare il proprio dissenso, decadendo altrimenti dalla stessa possibilità di impugnazione.
Il componente dell'organo collegiale che non sia assente dalla seduta, deve manifestare il proprio dissenso alla delibera e fare verbalizzare il proprio dissenso, decadendo altrimenti dalla stessa possibilità di impugnazione.
Un diverso comportamento, quale la partecipazione attiva alla seduta e alla votazione favorevole alla approvazione della delibera, comporta la imputabilità del deliberato anche al componente presente non dissenziente, ovvero acquiescenza al provvedimento (Consiglio Stato, sez. V, 07.11.2007, n. 5759) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.07.2010 n. 4237 - link a ww
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ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI: Sui principi generali in materia di impugnazione degli atti di organi collegiali da parte dei componenti dell'organo che hanno partecipato all'atto deliberativo.
Il componente dell'organo collegiale che non sia assente dalla seduta, deve manifestare il proprio dissenso alla delibera e fare verbalizzare il proprio dissenso, decadendo altrimenti dalla stessa possibilità di impugnazione. Un diverso comportamento, quale la partecipazione attiva alla seduta e alla votazione favorevole alla approvazione della delibera, comporta la imputabilità del deliberato anche al componente presente non dissenziente, ovvero acquiescenza al provvedimento.
Pertanto, nel caso di specie, se è vero che non può disconoscersi la astratta legittimazione del Comune a impugnare la delibera dell'ATO che ha fissato la misura del ristoro ambientale per il servizio di smaltimento rifiuti solidi urbani, svolto attraverso l'impianto pubblico, in quanto lesiva delle posizioni giuridiche facenti capo alla collettività comunale, in ogni caso la ammissibilità della impugnazione non può prescindere dai principi generali in materia di impugnazione degli atti di organi collegiali da parte dei componenti dell'organo che hanno partecipato all'atto deliberativo.
Ne consegue che, la sentenza di primo grado deve essere riformata, il ricorso di primo grado dichiarato irricevibile e sotto altro profilo inammissibile, in quanto come emerge dalla deliberazione dell'ATO, il Comune risultava presente con un proprio rappresentante all'assemblea che ha adottato l'atto impugnato (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.07.2010 n. 4237 - link a ww
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PUBBLICO IMPIEGO: Lo svolgimento di mansioni superiori, salvo diversa disposizione di legge, è irrilevante ai fini della quantificazione del trattamento economico.
Il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di diritto privato, perché gli interessi coinvolti non sono disponibili e anche perché l’attribuzione delle mansioni e del relativo trattamento economico devono avere il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di nomina o d’inquadramento, non potendo tali elementi costituire oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi (Ap., n. 22/1999; Cons. St., V Sez., n. 545/2007).
Sulla base di questa prima considerazione, i giudici di Palazzo Spada affermano che le mansioni superiori svolte dal dipendente rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, sono del tutto irrilevanti sia ai fini sia economici, sia di progressione di carriera, salvo che la legge non disponga altrimenti.
In effetti, il richiamo all'art. 2126 del codice civile(prestazione di fatto con violazione di legge) non attiene al caso delle mansioni superiori svolte dal pubblico dipendente: oramai la giurisprudenza ha chiarito che si tratta di un richiamo incongruente in quanto tale articolo, oltre a non dare rilievo alle mansioni svolte in difformità dal titolo invalido, riguarda il fenomeno del tutto diverso (lo svolgimento di attività lavorativa da parte di chi non è qualificabile pubblico dipendente) ed afferma il principio della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di un atto nullo o annullato.
Esso, pertanto, non incide in alcun modo sui principi concernenti la portata dei provvedimenti che individuano il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici e non consente di disapplicare gli atti di nomina o di inquadramento emanati in conformità di leggi e di regolamenti. Inoltre, è da tempo pacifico, nella giurisprudenza amministrativa, il carattere supplementare ed integrativo dell’art. 2103 c.c., come sostituito dall’art. 13 L. 20.05.1970 n. 300 ("Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi"), per quanto riguarda l’obbligo di adeguare il trattamento economico alle mansioni esercitate (V Sez., n. 274/1989), sicché tale norma può essere applicata soltanto nei limiti previsti da norme speciali (IV Sez, n. 113/2006).
E’ stato anche rilevato che la pretesa al riconoscimento di mansioni superiori non può trovare diretto fondamento nell’art. 36 Cost., che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione alla qualità e alla quantità del lavoro prestato, non potendo la norma trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale (cfr. Ap. n. 22 cit.; V Sez., n. 1722/2007).
In conclusione, nell’ambito del pubblico impiego, non sono le mansioni ma la qualifica il parametro al quale la retribuzione va inderogabilmente riferita, considerate anche le esigenze di carattere organizzatorio regolate secondo il paradigma dell’art. 97 Cost. (IV Sez., n. 587/2006).
Ciò comporta che l’Amministrazione è tenuta ad erogare la retribuzione corrispondente alle mansioni superiori solo se una norma speciale consenta tale maggiorazione retributiva (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza  02.07.2010 n. 4236 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASPECIALE REGIME DI GRATUITA' DELLA CONCESSIONE EDILIZIA.
1. Concessione - Regime di gratuità - Casi - Presupposti necessari.
2. Opere di urbanizzazione - Contributo - Esenzione - Disciplina - Applicazione della specifica normativa - Conseguenze.

1. Lo speciale regime di gratuità della concessione edilizia deriva dal requisito di carattere oggettivo, attinente al carattere pubblico o comunque di interesse generale delle opere da realizzare e da un requisito di carattere soggettivo, nel senso che le opere debbono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente, ovvero da soggetti anche privati che non agiscano per scopo di lucro ovvero abbiano un legame istituzionale con l'azione dell'Amministrazione volta alla cura di interessi pubblici (Cons. Stato, sez. IV, 29-05-2009 n. 3359).
2. Non ricade nell'esenzione dal contributo per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici, di cui all'art. 88 co. 1, L.R. n. 61/1985, l'opera costruita da privati per l'esercizio della propria attività (lucrativa o non) d'impresa, e ciò indipendentemente dalla rilevanza sociale dell'attività stessa; si tratta infatti di norma di stretta interpretazione, in quanto introduce ipotesi di deroga alla regola generale, la quale assoggetta a contributo tutte le opere che comportino trasformazione del territorio, in relazione agli oneri che la collettività, in dipendenza di esse, è chiamata a sopportare (Cons. Stato, sez. V, 12-07-2005 n. 3774) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. II, sentenza 01.07.2010 n. 2779 - link a ww
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ATTI AMMINISTRATIVI: ASSOCIAZIONI E COMITATI - Associazioni di protezione ambientale - Artt. 13 e 18, c. 5, L. n. 349/1986 - Legittimazione attiva - Limitazione alla sola tutela paesistica - Esclusione.
Non essendo espressamente specificato nelle disposizioni di cui agli artt. 13 e 18, c. 5, della L. n. 349/1986 quali siano gli atti illegittimi contro cui le associazioni di protezione ambientale possono ricorrere, essi devono essere ricavati interpretativamente dall’art. 1, co. 2, stessa legge, che individua come finalità ambientali del Ministero dell’Ambiente “la promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall'inquinamento”.
Le norme degli artt. 13 e 18 l. 349/1986, infatti, attribuendo alle associazioni di protezione ambientale legittimazione attiva nei giudizi dinanzi al giudice ordinario ed a quello amministrativo per tutelare finalità (di protezione dell’ambiente) che sono proprie dell’amministrazione dello Stato, costituiscono applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale poi recepito dall’art. 118, ultimo comma, Cost..
Non può pertanto condividersi una lettura riduttiva della norma che limiti la legittimazione delle associazioni di protezione ambientale soltanto alla tutela paesistica, la quale è soltanto una delle tante species della protezione ambientale.
ASSOCIAZIONI E COMITATI - Comitati spontanei di cittadini - Legittimazione ad impugnare provvedimenti lesivi di interessi comuni - Presupposti - Collegamento stabile con il territorio - Attività protratta nel tempo.
Un comitato spontaneo di cittadini può essere legittimato ad impugnare provvedimenti ritenuti lesivi di interessi comuni solo se dimostra di avere un collegamento stabile con il territorio ove svolge l’attività di tutela degli interessi stessi, se la sua attività si è protratta nel tempo e se, quindi, il comitato non nasce in funzione della impugnazione di singoli atti e provvedimenti (CdS, IV, 1001/2010) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 01.07.2010 n. 2411 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Tutela paesaggistica - Sviluppo dell’ordinamento giuridico - Istituti finalizzati alla tutela del paesaggio - Vincolo di tutela ex artt. 146 e ss. d.lgs. n. 42/2004.
Nell’attuale sviluppo dell’ordinamento giuridico l’ambito di applicazione della tutela paesaggistica non riguarda ormai soltanto le aree oggetto di vincolo di tutela, in quanto il vincolo di tutela ex artt. 146 e ss. d.lgs. 42/2004 è soltanto uno degli strumenti attraverso cui l’ordinamento persegue l’obiettivo della tutela del paesaggio (nella specie, la perimetrazione come ambito di elevata naturalità sottoposto a regime di conservazione è stato ritenuta istituto finalizzato alla tutela del paesaggio) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 01.07.2010 n. 2411 - link a ww
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URBANISTICA: Approvazione di variante per insediamenti produttivi - Procedimento semplificato - Principi di pianificazione - Ricognizione del fabbisogno di nuovi impianti - Insufficienza delle aree destinate ad impianti produttivi - Artt. 5 e 2 d.P.R. n. 447/1998.
Il combinato disposto degli artt. 5, c. 1 e 2, c. 1, del d.P.R. n. 447/1998 consente di desumere che il procedimento di approvazione della variante per insediamenti produttivi non è sottratto ai tradizionali presupposti che reggono gli strumenti di piano ed alle esigenze cui sono funzionalizzati gli stessi, in quanto il d.p.r. 447/1998 si limita a semplificarne l’approvazione, ma non stravolge i principi che regolano la elaborazione della pianificazione comunale.
Ne consegue che -come tutti gli strumenti di piano sono approvati a seguito di ricognizione del fabbisogno della comunità locale- anche la variante per insediamenti produttivi può essere approvata solo a seguito di una ricognizione da parte del fabbisogno di nuovi impianti produttivi ed alla valutazione del Comune che effettivamente ritenga che per l’ordinato sviluppo della comunità locale occorrano nuovi impianti produttivi la cui localizzazione non sia possibile nel contesto del piano vigente per insufficienza delle aree a ciò destinate (CdS 7338/2006; Tar Sardegna 164/2009; Tar Sicilia, Catania, II, 1080/2007) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 01.07.2010 n. 2411 - link a ww
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APPALTI SERVIZI: E' illegittima la deliberazione della giunta comunale con cui ha affidato la gestione di un centro sportivo comunale ad una associazione, in quanto la competenza spetta al consiglio comunale.
L'art. 42 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 attribuisce in modo tassativo al consiglio comunale, quale organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo dell'ente, le competenze tra cui figurano gli "acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano espressamente previsti in atti fondamentali del consiglio e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari".
L'organo elettivo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono in atti fondamentali di natura programmatoria o aventi elevato contenuto di indirizzo politico, tassativamente elencati, per cui deve affermarsi la competenza consiliare in materia di servizi pubblici, in ordine all'organizzazione dei servizi stessi ed agli atti espressione della funzione di governo, con esclusione di quelli gestionali.
In caso di dubbio circa la ripartizione delle competenze, prevale la competenza dell'organo sovraordinato fornito di competenza generale nella materia e, cioè, il consiglio comunale. Ne consegue che, nel caso di specie, è illegittima la deliberazione della giunta comunale con cui ha affidato la gestione di un centro sportivo comunale ad una associazione, in quanto la competenza a provvedere è attribuita al consiglio comunale.
La suddetta fattispecie è, inoltre, inquadrabile nella "concessione di pubblico servizio", posto che, sul piano oggettivo, per pubblico servizio deve intendersi un'attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale, come si può desumere anche dallo stesso All.2 al D.L.vo 17.03.1995 n. 157, che, in materia di appalti pubblici di servizi, espressamente contempla, tra gli altri, "i servizi ricreativi, culturali e sportivi".
Ammettendo, altresì, che l'elencazione dei pubblici servizi, che i comuni possono assumere in gestione diretta, salvo poi il potere di affidarli in concessione, contenuta nell'art. 1 R.D. 15.10.1925 n. 2578, non sia tassativa, per la concessione alla "industria privata" di detti servizi, i comuni, di regola, si devono avvalere dell'asta pubblica, ai sensi dell'art. 267 del R.D. 14.09.1931 n. 1176 nonché dell'art. 3 R.D. 18.11.1923 n. 2440 e dell'art. 37 del R.D. 23.05.1924 n. 827 (che prevedono la regola generale dei pubblici incanti per i contratti delle amministrazioni statali) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 01.07.2010 n. 1419 - link a ww
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VARIL’insulto fatto via e-mail non costituisce reato.
L’invio di un messaggio di posta elettronica contenente insulti non costituisce, secondo i giudici della Suprema Corte, una “molestia” sanzionabile ai sensi dell’art. 660 del codice penale, come invece avviene per l’insulto via sms o con il citofono.
Il fatto non è previsto dalla legge come reato, è quanto sancito nella sentenza della Cassazione e la motivazione risiederebbe nel fatto che l’invio di un messaggio di posta elettronica non presuppone un’interazione diretta tra mittente e destinatario, né comporterebbe un’intrusione diretta del primo nella sfera del secondo; al contrario di quanto avviene invece con gli sms, le telefonate e le citofonate inopportune che, in quanto più aggressive, costituiscono molestie e sono per l’appunto sanzionabili (Corte di Cassazione, Sez. I penale, sentenza 30.06.2010 n. 24510 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Le norme degli strumenti urbanistici locali sulle distanze tra fabbricati sono inderogabili.
Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità le norme degli strumenti urbanistici locali, che impongono di mantenere le distanze fra fabbricati o di questi dai confini –a differenza dalle norme sulle distanze di cui all’art. 873 c.c., dettate a tutela di reciproci diritti soggettivi dei singoli e miranti unicamente ad evitare la creazione di intercapedini antigieniche e pericolose, come tali suscettibili di deroga mediante convenzione tra privati–, non sono derogabili, perché dirette, più che alla tutela di interessi privati, a quella di interessi generali e pubblici in materia urbanistica (v. in tal senso, ex plurimis, Cass. Civ., Sez. II, 31.05.2006, n. 12966) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.06.2010 n. 4181 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Se l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo non si esprime, non si forma il silenzio assenso sul condono.
Quando nell’ambito di una richiesta di sanatoria, l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo non esprima il parere che le è stato richiesto e tale silenzio non sia stato impugnato, non si può ritenere che si sia consolidato un silenzio assenso sul silenzio dell’amministrazione che governa il procedimento.
Così se l’amministrazione ferroviaria non si esprime su una richiesta di sanatoria avanzata ad un comune, non può dirsi che nei confronti del comune si sia consolidato un silenzio significativo. L'ente locale non può sostituirsi alle autorità specialmente competenti in relazione alle varietà di vincoli di inedificabilità.
Le iniziative per il rilascio del parere preventivo di conformità dell’intervento edilizio sono affidate dalla norma all’interessato, cui viene riconosciuto un potere di reazione alla relativa inerzia, il mancato rilascio del parere favorevole da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, impedisce il formarsi del silenzio - assenso sulla domanda di condono edilizio ai sensi dell'art. 32 della citata legge n. 47 del 1985 (Cons. Stato, sez. IV, 31.03.2009, n. 2024).
L’obbligo della P. A. di pronunciarsi con provvedimento esplicito riguarda il sub-procedimento inerente il parere relativo al vincolo, nella specie ferroviario (Cons. Stato, sez. VI, 20.10.2004, n. 6904); quell’obbligo va fatto valere dunque con l’apposita impugnativa del silenzio–rifiuto.
L’articolo 32 della L. 28-02-1985, n. 47, recante il c.d. primo condono degli abusi edilizi, dispone, testualmente che “Fatte salve le fattispecie previste dall'articolo 33 (opere non suscettibili di sanatoria per contrasto con gli specifici vincoli ivi elencati, n.d.r.), il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto”.
Nella versione anteriore alla novella arrecata con il D.L. 12-01-1988 n. 2, convertito con la legge n. 68/1988, l’ultimo periodo era formulato nel modo seguente: “si intende reso in senso negativo”. La norma da ultimo citata prevede, al comma 17 (già comma dodici prima dell’aggiunta apportata con il citato d.l. n. 2/1988) come noto, che “Fermo il disposto del primo comma dell'articolo 40 e con l'esclusione dei casi di cui all'articolo 33, decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento. Trascorsi trentasei mesi si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti “.
La norma dispone altresì che “Nelle ipotesi previste nell'articolo 32 il termine di cui al dodicesimo (ora diciassettesimo) comma del presente articolo decorre dall'emissione del parere previsto dal primo comma dello stesso articolo 32“. Quindi, il termine per la formazione del silenzio–assenso nelle ipotesi di immobili sottoposti ai vincoli dell’art. 32 decorre dal parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, nella specie quello di rispetto delle fasce ferroviarie. Ove la predetta autorità “speciale“ non provveda il silenzio favorevole previsto dalla norma generale non opera.
Il mero decorso del termine legale per la formazione del silenzio positivamente significativo dalla presentazione della domanda di condono non è sufficiente per integrare l'ipotesi normativa di silenzio - assenso, occorrendo, altresì, la sussistenza degli ulteriori presupposti indicati dalla legge medesima (Consiglio Stato, sez. V, 12.07.2004, n. 5039) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza  30.06.2010 n. 4174 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Aree asservite - Inedificabilità - Opponibilità ai terzi acquirenti - Irrilevanza delle vicende inerenti la proprietà dei terreni.
L’inedificabilità di un’area asservita o accorpata o comunque utilizzata a fini edificatori costituisce una qualità obiettiva del fondo che, pur non vigendo l’obbligo di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari (cfr. Cons. Stato V, 28.06.2000 n. 3637), è opponibile a terzi acquirenti, ed ha l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione oltre i limiti previsti, a nulla rilevando che la proprietà dell’area sia stata trasferita, che manchino specifici negozi giuridici privati volti all’asservimento o che l’edificio sia collocato in una parte del lotto catastalmente divisa (Cons. Stato V, 09.10.07 n. 5232).
In altri termini, un’area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, non può essere considerata libera neppure parzialmente, agli effetti della volumetria realizzabile, in sede di rilascio di una seconda concessione, nella perdurante esistenza del primo edificio, restando irrilevanti le vicende inerenti alla proprietà dei terreni (Cons. Stato IV, 06.09.1999 n. 1402) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 2668 - link a ww
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URBANISTICA: Vas - Scopo - Scelte strategiche dello strumento urbanistico - Valutazione della sostenibilità ambientale.
Scopo della VAS è quello di valutare la sostenibilità ambientale delle scelte strategiche implicite nello strumento urbanistico, tenuto conto, in particolare, del consumo di territorio che esse comportano (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 2668 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Impianto tecnologico - Nozione.
Il concetto di “impianto tecnologico”, posto al servizio di un fabbricato esistente, presuppone in primo luogo l'esiguità quantitativa del manufatto -nel senso che il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in modo rilevante l'assetto del territorio- ed inoltre, l'esistenza di un collegamento funzionale tra tale manufatto e la cosa principale, con conseguente impossibilità per il primo di essere utilizzato separatamente ed autonomamente (cfr. TAR Abruzzo, L'Aquila, 25.11.2005, n. 1186) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.06.2010 n. 2662 - link a ww
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ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Accesso - Atti rientranti nell’ambito oggettivo della disciplina dell’accesso - Atti estranei - Discrimen - Individuazione - Fattispecie: atti di gestione del rapporto di lavoro privatizzato.
Il discrimen tra gli atti che devono considerarsi rientranti nell’ambito oggettivo della disciplina dell’accesso e quelli destinati a rimanerne fuori, non va identificato nella distinzione tra attività posta in essere nell’esercizio di potestà pubbliche e attività condotta secondo moduli privatistici, bensì, nella sottoposizione o meno del soggetto preposto al suo espletamento al dovere di imparzialità (cfr. in tal senso Consiglio di Stato, Ad. Plen., decisioni nn. 4 e 5 del 1999; nonché, Cons. St. Sez., VI^, 05.03.2002 n. 1303).
Tale è il caso degli atti di gestione del rapporto di lavoro privatizzato, che hanno natura giuridica privata, ma che sono funzionali all’interesse pubblico curato dal datore di lavoro che rimane, così, vincolato dai parametri costituzionali di cui all’art. 97 Cost. (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 28.06.2010 n. 2647 - link a ww
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URBANISTICA: Sulla giurisdizione del g.a. in materia di edilizia residenziale pubblica.
L'art. 35 della l. 22.10.1971 n. 865, dispone che la concessione delle aree comprese nei piani di edilizia economica e popolare, disposta dal comune a favore dei soggetti che s'impegnano a costruire le case, è accompagnata da una convenzione, il cui contenuto è determinato dal Consiglio comunale, il quale prevede, tra l'altro, le sanzioni a carico del concessionario per l'inosservanza degli obblighi stabiliti dalla convenzione medesima e i casi nei quali l'inosservanza degli obblighi da essa previsti comporta la risoluzione dell'atto di cessione previa pronuncia di decadenza dall'assegnazione della concessione.
Tali aree, destinate ai piani di edilizia economica e popolare , sono previamente acquisite dal comune, che non ne sia già proprietario, mediante espropriazione. I cessionari delle aree si trovano, perciò, nella posizione di concessionari di beni pubblici, soggetti ai poteri del comune fino a quando non sia realizzata la finalità pubblicistica cui la cessione dei terreni (da tenere distinta dall'assegnazione degli alloggi) è diretta. Ne consegue che, le controversie relative agli atti con i quali il comune accerti violazioni della convenzione appartengono alla giurisdizione esclusiva del g.a. stabilita dall'art. 5 della l. 06.12.1971 n. 1034 sulla istituzione dei tribunali amministrativi regionali.
La presenza di un momento negoziale costituito dalla convenzione non muta la sostanza del rapporto pubblicistico - preordinato alla realizzazione dell'interesse generale di rilevanza costituzionale alla fornitura, a carico della collettività, di abitazioni per i ceti sociali economicamente svantaggiati - tra amministrazione e concessionario del suolo.
L'atto di attribuzione di un diritto reale limitato su di un lotto di edilizia residenziale pubblica e la relativa convenzione attuativa compongono entrambe la fattispecie complessa della concessione amministrativa, preordinata al perseguimento dell'interesse pubblico a soddisfare il diritto all'abitazione da parte delle fasce sociali meno abbienti ed istituiscono, tra concedente e concessionario, un rapporto unitario, nel quale il momento convenzionale è servente e strumentale al momento pubblicistico, di tal che il venir meno del primo dei due atti di cui la fattispecie si compone comporta la caducazione anche dell'altro atto (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.06.2010 n. 4093 - link a ww
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APPALTI: Il segretario comunale può partecipare ai lavori della commissione di gara in qualità di componente.
Il fatto che il segretario comunale abbia partecipato ai lavori della commissione di gara in qualità di componente, esperto nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto (art. 84, comma 2, della legge n. 163/2006), non sembra nella specie assumere un rilievo invalidante.
Posto che la commissione aggiudicatrice è tenuta ad affrontare e risolvere problemi di varia natura, anche giuridici e amministrativi, ne consegue, quindi, che, una volta assicurata la prevalenza tecnica in seno alla commissione, la stessa può ritenersi legittimamente composta anche ove nel suo ambito sia prevista la presenza di un esperto anzitutto in procedure amministrative, qual è il segretario comunale, non estraneo però alle problematiche tecniche connesse all’esercizio di funzioni comunali (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.06.2010 n. 3967 - link a
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APPALTILa commissione aggiudicatrice è tenuta ad affrontare e risolvere problemi di varia natura, anche giuridici e amministrativi. Ne consegue, quindi, che, una volta assicurata la prevalenza tecnica in seno alla commissione la stessa può ritenersi legittimamente composta anche ove nel suo ambito sia prevista la presenza di un esperto anzitutto in procedure amministrative, qual è il segretario comunale, non estraneo però alle problematiche tecniche connesse all’esercizio di funzioni comunali.
Il fatto che il segretario comunale abbia partecipato ai lavori della commissione di gara in qualità di componente, esperto nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto (art. 84, comma 2, della legge n. 163/2006), non sembra nella specie assumere un rilievo invalidante.
Va in proposito considerato il comma 8 dello stesso articolo, a norma del quale (nel testo vigente pro tempore) i commissari diversi dal presidente sono anzitutto selezionati tra i funzionari delle stazioni appaltanti.
Ora non sembra dubbio che il segretario comunale, ancorché dipendente dall'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali (quanto al rapporto di impiego), relativamente al rapporto di servizio svolga funzioni presso il Comune, di cui è quindi funzionario (cfr. art. 97 legge n. 267/2000).
Deve poi ritenersi che tra tali funzioni sia configurabile anche quella di componente di una commissione di gara, stante la previsione dell’art. 97, comma 4, lett. d) citato, in forza del quale il segretario comunale esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o comunque conferitagli dal sindaco .
Quanto alla sua competenza di settore, analoga a quella delle altre categorie citate all’art. 84, comma 8, del d.lgs. n. 163/2006, essa non impone l’appartenenza ad una delle categorie professionali citate nella seconda alinea di tale comma, ma demanda alla autorità che procede alla nomina di valutare la sussistenza del requisito di cui trattasi.
A tale fine occorre tenere presente che la commissione aggiudicatrice è tenuta ad affrontare e risolvere problemi di varia natura, anche giuridici e amministrativi. Ne consegue, quindi, che, una volta assicurata (come nella specie non contestato) la prevalenza tecnica in seno alla commissione la stessa può ritenersi legittimamente composta anche ove nel suo ambito sia prevista la presenza di un esperto anzitutto in procedure amministrative, qual è il segretario comunale, non estraneo però alle problematiche tecniche connesse all’esercizio di funzioni comunali (cfr. art. 97 comma 4 del d.lgs. n. 267, a norma del quale il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività,) La valutazione tecnica-professionale, sottostante alla nomina, comprende poi anche le esperienze comunque acquisite dall’interessato e allo stato degli atti non appare incongrua rispetto al curriculum del segretario comunale
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.06.2010 n. 3967 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa valutazione dei progetti sulla base del solo punteggio numerico non è altro che la sintesi plastica e rappresentativa di una attenta valutazione delle singole componenti dei vari progetti (secondo i parametri qualitativi indicati nel bando) e, in mancanza di una patente illogicità, deve considerarsi metodo correttamente posto in essere.
Infondato è anche il motivo relativo alla mancanza nel bando di criteri di specificazione in ordine all’attribuzione dei punteggi.
Vengono in rilievo i commi 1, 2 e 4 dell’art. 83 del d.lgs. n. 163/2006 secondo cui:
1. Quando il contratto è affidato con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il bando di gara stabilisce i criteri di valutazione dell’offerta, pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto, quali, a titolo esemplificativo ...
2. Il bando di gara ovvero, in caso di dialogo competitivo, il bando o il documento descrittivo, elencano i criteri di valutazione e precisano la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, …
4. Il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto prevede, ove necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi……. [La commissione giudicatrice, prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte, fissa in via generale i criteri motivazionali cui si atterrà per attribuire a ciascun criterio e subcriterio di valutazione il punteggio tra il minimo e il massimo prestabiliti dal bando] (periodo ora soppresso dalla lettera u del comma 1 dell’art. 1, D.Lgs. 11.09.2008, n. 152 ).
In proposito va osservato che negli atti recanti la disciplina di gara, venivano chiaramente individuati e descritti nei loro contenuti cinque elementi di valutazione della qualità del progetto, per un totale di 75 punti e con precisazione per ciascuno di essi del punteggio massimo attribuibile.
Il che appare sufficiente ad indirizzare la valutazione della Commissione di gara, tenuto conto che alla stregua dell’art. 83, comma 2, d.lgs. n. 163/2006 la fissazione nel bando di sub criteri, sub pesi e sub punteggi nel bando è discrezionale e che il metodo di confronto a coppie consentiva l’attribuzione di un punteggio numerico per ognuno dei cinque elementi indicati nel bando.
Infondato dunque è, come affermato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. C.S., VI, n. 7578/2006), anche il motivo che censura la valutazione dei progetti sulla base del solo punteggio numerico; nella specie questo, infatti, non è altro che la sintesi plastica e rappresentativa di una attenta valutazione delle singole componenti dei vari progetti (secondo i parametri qualitativi indicati nel bando) e, in mancanza di una patente illogicità, deve considerarsi metodo correttamente posto in essere.
Per il resto, il metodo del confronto a coppie e la valutazione riservata alle varie componenti del punteggio rappresenta una manifestazione della discrezionalità di scelta dell’Amministrazione e anche esso, se non illogico, non è soggetto a censure
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.06.2010 n. 3967 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Obbligo di rimozione e smaltimento - Proprietario dell’area - Presupposto - Abbandono in concorrenza omissiva.
Ai fini dell’imposizione, al proprietario dell’area interessata, dell’obbligo di rimozione e smaltimento di rifiuti abbandonati, è necessario che l’autorità comunale dimostri, in odo non equivoco, che i rifiuti siano stati ivi abbandonati almeno in concorrenza omissiva da parte del proprietario ed ivi continuino ad insistere per disponibilità del medesimo (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 23.06.2010 n. 2368 - link a ww
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APPALTI: Sull'interpretazione dell'art. 38, c. 1, lett. f), del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) e sulle differenze con l'art. 1453 c.c..
L'art. 38, c. 1, lett. f), del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), prevede che: "sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante".
Tale disposizione da un lato, preclude la partecipazione alle gare d'appalto agli operatori economici che si sono resi responsabili di gravi inadempienze nell'esecuzione di precedenti contratti, con ciò denotando quindi un'inidoneità "tecnico-morale" a contrarre con la P.A., dall'altro, fissa il duplice principio secondo cui la sussistenza di tali situazioni ostative può essere desunta da qualsiasi mezzo di prova, mentre il provvedimento di esclusione deve essere motivato congruamente.
In sostanza, a differenza di altre ipotesi di esclusione previste dallo stesso art. 38, c. 1, che richiedono espressamente il definitivo accertamento (lett. g) o il passaggio in giudicato della sentenza (lett. c), nella fattispecie prevista nella lett. f), di cui al citato art. 38, è necessario che vi sia un'adeguata prova dell'inadempimento e che lo stesso rilevi sul piano della menomazione dell'affidabilità dell'impresa privata nei confronti della medesima amministrazione.
La particolarità, che vale a distinguere l'ipotesi di grave negligenza di cui all'art. 38, c. 1, lett. f), del Codice dei contratti pubblici, da quella di cui all'art. 1453 c.c., è che in quest'ultimo caso la gravità dell'inadempimento deve essere valutata in relazione all'interesse all'esecuzione dedotto nel contratto (in ultima analisi, in relazione alla realizzazione della specifica e concreta causa di esso).
Nel suddetto art. 38, invece, la gravità ha una rilevanza, per così dire, esterna, nel senso che deve essere idonea ad influire sull'interesse (pubblico) dell'amministrazione a stipulare un nuovo contratto con l'impresa privata; non a liberarsi dal precedente rapporto, come nel caso della risoluzione.
Ne consegue che, la gravità della generica negligenza o dell'inadempimento a specifiche obbligazioni contrattuali non va commisurata all'idoneità della medesima a pregiudicare la realizzazione dello specifico interesse dedotto nella causa del contratto irregolarmente eseguito; ma va commisurata al pregiudizio arrecato alla fiducia, all'affidamento che la stazione appaltante deve poter riporre, ex ante, nell'impresa cui decide di affidare l'esecuzione di un nuovo rapporto contrattuale.
Pertanto, la valutazione assume un aspetto più soggettivo (di affidabilità) che oggettivo (il pregiudizio al concreto interesse all'esecuzione della specifica prestazione inadempiuta) (TAR Molise, sentenza 23.06.2010 n. 236 - link a ww
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ENTI LOCALI: Il creditore dell'ente locale non ha interesse qualificato in merito alla procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio.
Il caso affrontato dai Giudici siciliani, offre un interessante spunto di riflessione sui rapporti tra i cittadini e la pubblica amministrazione. Avendo ottenuto il riconoscimento di un proprio credito verso l'amministrazione con sentenza esecutiva, la ricorrente chiedeva al comune di reperire le relative somme mediante l'attivazione della procedura di riconoscimento di debito fuori bilancio di cui all'art. 194 D.Lgs. 267/2000.
Il Comune non forniva risposta alla richiesta né si attivava nel senso indicato dalla ricorrente. In ragione di tale comportamento, la signora attivava la procedura giurisdizionale sul silenzio. La scelta del rimedio giurisdizionale attivato si è però rivelata inadeguata: innanzitutto -sostengono i Giudici- la pretesa creditoria ha natura civilistica e quindi in quell'ambito doveva essere individuato il rimedio.
Il ricorso avverso il silenzio della pubblica amministrazione ha senso solo in riferimento a questioni sostanziali sui quali sussiste giurisdizione amministrativa. Con specifico riguardo all’obbligo di provvedere, va precisato che a incardinare il dovere di rispondere alle istanze dei privati non è sufficiente il solo disposto dell'art. 2 della L. n. 241/1990, il quale pone il generale obbligo per le amministrazioni di concludere il procedimento amministrativo, ma è, altresì, necessaria la compresenza di un interesse specifico al procedimento attivato, normativamente qualificato come tale.
Ed infine, la procedura di riconoscimento dei debiti fuori bilancio, da parte degli enti locali, di cui agli artt. 193 e 194 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 risponde, esclusivamente all'interesse pubblico alla regolarità della gestione finanziaria dell'ente e non è posta alla tutela diretta di situazioni giuridiche dei privati.
Di conseguenza, in riferimento a tale procedura non si può rinvenire il carattere della differenziazione dell'interesse in modo da identificare un dovere qualificato ex lege dell'Amministrazione comunale di pronunciarsi sulla domanda della ricorrente così come formulata (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 22.06.2010 n. 7859 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALINell’ambito degli enti locali non sussiste un rigido divieto di partecipazione dei dirigenti alle commissioni di gara. Infatti, il rafforzamento del modello della responsabilità dirigenziale innescato dal processo di privatizzazione del pubblico impiego, sottolinea l’opposta esigenza che il dirigente segua direttamente le procedure del cui risultato è tenuto a rispondere. In questa logica va annoverato il disposto dell’art. 107 del D. L.vo n. 267/2000, che prevede tra le attribuzioni di competenza dirigenziale il potere di presiedere le commissioni di gara e di stipulare i contratti in correlazione con la responsabilità per l’esito delle gare medesime.
Così come non vi è incompatibilità tra le funzioni di presidente della commissione di gara e quella di responsabile del procedimento, analogamente deve ritenersi nel caso in cui al dirigente di un ente locale che ha svolto le funzioni di presidente del seggio e di responsabile del procedimento sia stato anche attribuito il compito di approvare gli atti della commissione di gara, atteso che detta approvazione non può essere ricompresa nella nozione di controllo in senso stretto, ma si risolve in una revisione interna della correttezza del procedimento connessa alla responsabilità unitaria del procedimento spettante alla figura dirigenziale.

Priva di pregio è innanzitutto la censura di illegittima composizione della Commissione giudicatrice per essere presieduta dallo stesso soggetto che poi ha approvato gli atti di gara.
E’ stato chiarito che nell’ambito degli enti locali non sussiste un rigido divieto di partecipazione dei dirigenti alle commissioni di gara. Infatti, il rafforzamento del modello della responsabilità dirigenziale innescato dal processo di privatizzazione del pubblico impiego, sottolinea l’opposta esigenza che il dirigente segua direttamente le procedure del cui risultato è tenuto a rispondere. In questa logica va annoverato il disposto dell’art. 107 del D. L.vo n. 267/2000, che prevede tra le attribuzioni di competenza dirigenziale il potere di presiedere le commissioni di gara e di stipulare i contratti in correlazione con la responsabilità per l’esito delle gare medesime.
Così come non vi è incompatibilità tra le funzioni di presidente della commissione di gara e quella di responsabile del procedimento, analogamente deve ritenersi nel caso in cui al dirigente di un ente locale che ha svolto le funzioni di presidente del seggio e di responsabile del procedimento sia stato anche attribuito il compito di approvare gli atti della commissione di gara, atteso che detta approvazione non può essere ricompresa nella nozione di controllo in senso stretto, ma si risolve in una revisione interna della correttezza del procedimento connessa alla responsabilità unitaria del procedimento spettante alla figura dirigenziale (V. la decisione della Sezione 12.06.2009 n. 3716)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.06.2010 n. 3890 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell'amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto.
Non può poi accogliersi la censura di incompatibilità ex art. 84 D.L.vo n. 163/2006 dell’ing. Marfurt, quale componente esterno della Commissione, in quanto in precedenza incaricato di predisporre la documentazione di gara.
La norma invocata stabilisce che “i commissari diversi dal presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcuna altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta”, mentre nel caso in esame vi è stata solo attività di consulenza sulla documentazione di gara e non sul contratto da stipulare.
Neppure vale sostenere che la competenza sul giudizio di anomalia spetta alla Stazione appaltante e non alla commissione di gara, che nella specie invece l’aveva svolto direttamente.
E’ pur vero che l’art. 88 D.L.vo n. 163/2006, richiamato dal bando di gara, nello stabilire che “la Stazione appaltante, se del caso mediante specifica commissione, esamina gli elementi costitutivi del’offerta, tenendo conto delle giustificazioni fornite..”, attribuisce alla Stazione appaltante il potere di verificare ed escludere le offerte anormalmente basse , ma dalla menzionata disposizione non è dato desumere una competenza esclusiva al riguardo, dovendosi tener conto anche dell’art. 84 dello stesso decreto in base al quale “quando la scelta della migliore offerta avviene con il criterio del’offerta economicamente più vantaggiosa, la valutazione è demandata ad una commissione giudicatrice…”. Per cui in tra i poteri spettanti alla commissione di gara può ritenersi implicitamente compresa, in mancanza nel caso in esame di contraria disciplina di gara, anche la valutazione delle offerte sospettate di anomalia al fine di poter determinare la migliore tra le offerte.
D’altra parte, nella specie, le valutazioni effettuate dalla Commissione di gara, che è pur sempre un organo straordinario dell’Amministrazione, sono state poi fatte proprie dalla Stazione appaltante mediante l’approvazione degli atti di gara con determinazione dirigenziale del 14.08.2008.
Prive di pregio sono infine le doglianze della seconda classificata con riferimento al giudizio sulla non anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria espresso dalla commissione di gara e convalidato dal responsabile del procedimento.
Invero, tenuto presente l’indirizzo giurisprudenziale (che il Collegio condivide) secondo il quale il giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell'amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto (C.d.S., IV, 20.05.2008, n. 2348; Sez. V 18.09.2009 e Sez. VI, 25.09.2007, n. 4933) il giudizio di attendibilità sull’offerta presentata da Gritti GAS (e relative giustificazioni) appare sufficientemente motivato da parte della commissione di gara, la quale ha evidenziato tra l’altro i seguenti aspetti, che non appaiono irragionevoli al Collegio e precisamente:
- il valore del canone di affidamento a favore del Comune è allineato con quello offerto da altri gestori della zona;
- l’impresa ha già personale disponibile in zona per il servizio di pronto intervento e per l’attività di manutenzione ordinaria;
- l’attività di manutenzione straordinaria è alquanto limitata tenuto conto del buono stato in cui si trova la rete distributiva;
- la quota di margine di profitto spettante al gestore anche se non elevata (circa euro 132.000 annui) non è del tutto evanescente
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.06.2010 n. 3890 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' illegittima la clausola con la quale viene richiesta, alle ditte partecipanti, la disponibilità di un centro di cottura nel territorio comunale, in quanto ritenuta in contrasto con i principi della libera concorrenza, massima partecipazione alla gara ed economicità dell'azione amministrativa.
La clausola con la quale viene richiesta, alle ditte partecipanti, la disponibilità di un centro di cottura nel territorio comunale, si ritiene in contrasto con i principi della libera concorrenza, massima partecipazione alla gara ed economicità dell'azione amministrativa, dovendo considerarsi sufficiente, per le specifiche finalità dell’amministrazione, la clausola che stabilisce i tempi massimi di trasporto dei pasti e la possibilità, da parte dell'amministrazione, di verificare il loro rispetto.
Pertanto, deve considerarsi infondata la censura con cui si sostiene la possibilità di poter ottenere, in via contrattuale, la disponibilità di un centro di cottura nel territorio del comune in quanto, a prescindere dalla effettiva sussistenza di tale possibilità in relazione alla necessaria osservanza di specifiche norme sanitarie che disciplinano la materia, va considerato che tale rapporto obbligatorio, in quanto aggiuntivo rispetto alle capacità organizzative dell'azienda, potrebbe comunque costituire, per la sua onerosità, un elemento di distorsione dei costi (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.06.2010 n. 3887 - link a
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LAVORI PUBBLICI: La falsità in ordine alle dichiarazioni effettuate o alla documentazione prodotta per ottenere la attestazione SOA non può essere esposta a margini di incertezza o ad accertamenti relativi alla responsabilità soggettiva.
Il sistema di qualificazione dei lavori pubblici è basato sulla attività di verifica e controllo svolta dalle Società Organismi di attestazione, sottoposte alla vigilanza della Autorità per i contratti pubblici. Con il rilascio della attestazione per determinate categorie, l’impresa può partecipare alle gare che prevedono il possesso della qualificazione per quelle categorie senza dimostrare ulteriori requisiti. La verifica circa il possesso dei requisiti è attribuita alle Soa al momento del rilascio della attestazione.
Perché tale sistema garantisca la correttezza e la professionalità di tutti coloro che partecipano alle gare di lavori pubblici, è necessaria una penetrante verifica da parte delle Soa e da parte della Autorità di Vigilanza sia sugli operatori economici che sulle Soa.
Il sistema di qualificazione proprio per gli effetti che produce circa la partecipazione alle gare, deve essere incentrato al massimo rigore e alla massima certezza per l’ordinamento. Poiché il rilascio dell’attestazione costituisce il momento determinante di verifica dei requisiti, che si impone alle stazioni appaltanti, la falsità in ordine alle dichiarazioni effettuate o alla documentazione prodotta per ottenere la attestazione non può essere esposta a margini di incertezza o ad accertamenti relativi alla responsabilità soggettiva, che peraltro rimarrà oggetto di accertamenti nell’eventuale sede penale (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 21.06.2010 n. 19443 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVIDalle circolari effetti a cascata. Il Consiglio di stato fornisce un'interpretazione operativa della classica espressione della prassi. Il documento non si impugna: si contesta l'atto derivante.
Le circolari amministrative sono atti diretti agli organi periferici o sottordinati e non hanno, di per sé, né valore normativo o provvedimentale né vincolante, per i soggetti estranei all'amministrazione.
I destinatari di atti applicativi non hanno l'onere di impugnare le circolari, ma possono contestarne la legittimità, sostenendo che l'atto è illegittimo in quanto scaturisce da una circolare illegittima che doveva essere disapplicata.

Questo il principio contenuto nella sentenza 21.06.2010 n. 3877 del Consiglio di Stato, Sez. IV.
Per il giudice amministrativo, che segue un orientamento prevalente, le circolari non sono atti normativi e, per tale motivo, non possono innovare l'ordinamento giuridico, ma contengono comunicazioni, direttive o istruzioni, circa una modalità di comportamento che i destinatari devono adottare o l'interpretazione che l'organo emanante rende, di una norma di legge.
Il potere posto a fondamento dell'emanazione delle circolari è il cosiddetto potere gerarchico o di indirizzo che alcuni organi possono esercitare nei confronti di strutture, usualmente sotto ordinate o interne e, pertanto, la circolare avrà i suoi effetti solo nei confronti di tali soggetti e uffici.
Nonostante il potere vincolante sul piano interno, le circolari possono essere disattese quando appaiono in contrasto palese con le norme di legge, così come previsto dallo statuto degli impiegati civili dello stato.
Escludendo tale caso, che va comunque motivato da parte di colui che avrebbe dovuto attenersi alle indicazioni impartite dall'organo sovraordinato, la mancata applicazione delle circolari ha effetto solo sul piano interno e non sulla legittimità dell'atto adottato. Pertanto, in questo caso, si avranno conseguenze sotto il profilo disciplinare, con applicazione delle relative sanzioni per il funzionario che ha disatteso la circolare.
Il ragionamento è condivisibile nella parte in cui i giudici indicano che ammettere nelle circolari opinioni interpretative dell'amministrazione con vincoli equivale a riconoscere alla stessa un potere normativo in conflitto con la Costituzione che assegna tale potere al parlamento.
Per il Consiglio di stato, nell'ipotesi che l'ufficio disattenda il contenuto della circolare, il contribuente non può far valere l'illegittimità dell'atto impugnato, acclarato che tale illegittimità può derivare solo dal contrasto tra l'atto e le norme di legge, effettivamente unico parametro di valutazione della legittimità dell'atto.
I destinatari degli atti applicativi di circolari non hanno alcun onere di impugnativa, ma possono limitarsi a contestarne la legittimità al solo scopo di sostenere che gli atti applicativi sono illegittimi perché scaturiscono da una circolare illegittima che avrebbe dovuto essere, invece, disapplicata. Così come affermato anche in altri interventi giurisprudenziali, una circolare contra legem può essere disapplicata anche d'ufficio dal giudice investito dell'impugnazione dell'atto applicativo della stessa circolare.
Eccezione a tale applicazione interna è il principio contenuto nell'articolo 10 dello statuto dei diritti del contribuente, che assegna alla circolare un effetto esterno, quale atto che fonda l'affidamento del contribuente e costituisce causa di esclusione per l'applicazione delle sanzioni e degli interessi; di conseguenza se il contribuente si è adeguato alle indicazioni contenute in un atto dell'amministrazione, non gli potranno essere né irrogate sanzioni né richiesti interessi. In questo caso il principio della tutela dell'affidamento prevale sul carattere interno delle circolari (articolo ItaliaOggi del 16.07.2010, pag. 38).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Abbandono - Obbligo di rimozione e smaltimento - Proprietario - Assenza di prove in ordine alla cooperazione nell’abbandono - Illegittimità.
L’obbligo di rimozione e smaltimento non può essere accollato in modo automatico al proprietario, a carico del quale non vi siano prove dell’avvenuta cooperazione nell’illecita attività di abbandono (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 18.06.2010 n. 5506 - link a ww
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AMBIENTE-ECOLOGIA: L'ordinanza di rimozione rifiuti compete al Sindaco.
In ordine alla competenza ad emanare l’ordinanza di rimozione rifiuti ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006 (TUA) si sono sviluppati, in giurisprudenza, due orientamenti.
Da un lato, un orientamento minoritario ritiene che il previgente art. 14, comma 3, d.lgs. 05.02.1997 n. 22 (cd. decreto Ronchi) sebbene affidasse già al Sindaco il potere di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati, tuttavia -in virtù del principio sulla separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali di cui all’art. 107 del T. U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali- la norma va ora letta alla luce del nuovo principio per il quale spetta ai dirigenti tutta l’attività di gestione, tra cui è ricompresa quella sulla rimozione dei rifiuti abbandonati. La soluzione non cambia neppure dopo l’adozione del d.lgs. 03.04.2006, n. 152, il cui articolo 192, comma 3, ultima parte, riproduce, con identica formulazione, la disposizione di cui al citato art. 14, comma 3, ultimo periodo
[1].
Tuttavia, secondo un altro più condivisibile e seducente indirizzo giurisprudenziale, largamente condiviso e recepito dalla pronuncia in esame, la competenza ad emanare le ordinanze di rimozione rifiuti spetta a Sindaco per espressa disposizione dell’art. 192, comma 3, TUA.
Invero, pur essendo l’ordinanza di rimozione rifiuti ex art. 192 cit. astrattamente suscettibile di poter rientrare nella sfera di competenza del responsabile dell’area tecnica, ai sensi dell’art. 107, comma 5, TUEL, a mente del quale l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, essa viene attribuita al Sindaco dall’insuperabile dato testuale sancito dal citato art. 192, comma 3, secondo periodo, in coerente applicazione del canone ermeneutico lex posterior specialis derogat anteriori generali, nonché ai sensi dello stesso art. 107, comma 4, TUEL, il quale consente che “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’art. 1, comma 4°, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative
[2].
Altrimenti detto, l’art. 192, comma 3, del d.lgs. 03.04.2006 n. 152 (TUA) -che è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL)- attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2 e, in base agli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio della specialità e criterio cronologico), prevale sul disposto dell'art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000
[3]
_______________
[1] Così, TAR Sardegna, Cagliari, Sez. II, 04.11.2009, n. 1598, in Giurisprudenza di merito, fasc. n. 1 del 2010.
Si veda, altresì, TAR Campania, Napoli, Sez. V, 09.06.2009, n. 3159, in www.ambientediritto.it, secondo cui: “Ai sensi dell’art. 107 comma 5 T.U.E.L. 18.08.2000, n. 267, rientra nella competenza del dirigente, e non del Sindaco, l’adozione dell’ordinanza di rimozione di rifiuti rivolta al proprietario di un’area sulla quale gli stessi sono stati abbandonati”.
Nello stesso senso, TAR Basilicata, 23.05.2007, n. 457, in www.giustizia-amministrativa.it.
[2] Cfr., a tal proposito, TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 20.10.2009, n. 1118, in www.giustizia-amministrativa.it e in corso di pubblicazione su Giurisprudenza di merito con nota di A. Mezzotero.
[3] Cfr., oltre alla pronuncia in rassegna, Cons. St., Sez. V, 25.08.2008, n. 4061, in www.lexitalia.it.
Nello stesso senso, TAR Veneto, Sez. III, 24.11.2009, n. 2968, in www.ambientediritto.it, secondo cui: “L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 è norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000”; Id., 20.10.2009, n. 2623, ivi; Id., 29.09.2009, n. 2454, ivi; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 02.09.2009, n. 4598, in www.giustizia-amministrativa.it; TAR Veneto, sez. III, 14.01.2009, n. 40, ivi (TAR Lombardia-Milano, Sez. VI, sentenza 09.06.2010 n. 1764 - link a ww
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ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI COMUNALI.
1. Comune e provincia - Programmazione - Atti programmatori - Pianta organica - Natura e Funzione - Conseguenze.
2. Comune e provincia - Personale - Degli uffici comunali - Selezione - Profili.
3. Comune e provincia - Organizzazione - Strutture apicali - Sussistenza - Condizioni.

1. Essendo la pianta organica finalizzata all'astratta configurazione delle esigenze organizzative dell'ente locale, con la funzione di determinare, categoria per categoria, il numero di lavoratori necessario per il perseguimento dei fini istituzionali, le eventuali trasformazioni, anche di un unico posto, incidono esclusivamente sulla pianta organica stessa, a prescindere dal soggetto che in concreto occupa il posto.
La trasformazione di un posto di organico in uno superiore, quindi, non legittima di per sé alcuna pretesa alla copertura del posto trasformato, in deroga all'obbligo del previo concorso e al possesso del prescritto titolo, attesa altresì la discrezionalità dell'amministrazione di prevedere l'inquadramento nella nuova qualifica del titolare del posto trasformato ove l'interessato sia in possesso dei requisiti richiesti per l'accesso alla nuova funzione.
Al fine di evitare che si concretizzi una violazione delle disposizioni che prevedono il concorso come la regola per la progressione in carriera, infatti, gli ampliamenti e le eventuali trasformazioni della pianta organica devono prescindere dal soggetto che in concreto occupa il posto, sussistendo anzi l'obbligo per l'Amministrazione di procedere al contestuale trasferimento del dipendente o al suo licenziamento (Cfr. ex multis, TAR Calabria Reggio Calabria 16-03-2002 n. 161; Cons. Stato, sez. V, 24-10-2001 n. 5598; TAR Lombardia Milano 04-07-1996 n. 934).
2. La pianta organica e le norme sull'organizzazione degli uffici di un ente ben possono prevedere che, a capo dei vari uffici equiordinati ed aventi la medesima denominazione nei quali l'ente si articola (nella specie, i "Settori" di un Comune), siano preposti funzionari di diverso livello.
Infatti la "dimensione dell'ufficio", per gli effetti di cui all'art. 40, D.P.R. n. 347/1983, non discende puramente dalla denominazione, bensì da fattori come l'ampiezza della materia di competenza, il numero degli addetti, la difficoltà delle questioni trattate ordinariamente (Cons. Stato, sez. V, 21-01-1992 n. 71).
3. Non qualsiasi struttura di un Comune che dipenda direttamente dal Sindaco o dal Segretario comunale può ritenersi apicale; vanno ritenute invece apicali solo le ampie strutture di complessità tale da comportare di necessità una collocazione ai vertici (C.G.A. 26-02-1993 n. 69) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. II, sentenza 21.05.2010 n. 2128 - link a ww
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APPALTIAffidamento diretto del servizio e necessari presupposti.
Il giudice amministrativo esclude che sussistano i presupposti per dichiarare l’inefficacia del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, pronunciandosi così, in sede di primissima applicazione del d.lgs. n. 53 del 2010, sui presupposti che attivano il potere discrezionale del giudice di decidere sulle sorti del contratto.
Per giungere a questa conclusione il giudice considera preliminarmente che le disposizioni dell’art. 245-bis del novellato d.lgs. n. 163 del 2006, trovano applicazione anche per gli appalti di servizi di cui all’allegato II B e verifica che nessuna disposizione di legge statale o regionale prevede l’obbligo di pubblicare i bandi di gara per gli appalti di servizi in questione (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 06.05.2010 n. 6406 - link a ww
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APPALTI: LEGITTIMA REVOCA E POSSIBILE RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE.
Il Tar Lazio conferma, anche attraverso nuove e convincenti argomentazioni, il recente indirizzo, secondo il quale è possibile la configurazione di una responsabilità precontrattuale della stazione appaltante, pur in presenza di una legittima revoca della gara: “La responsabilità per la revoca della gara, non ancora conclusa da parte dell'Amministrazione, seppure formalmente legittima, può ritenersi tuttavia configurabile quando il fine pubblico è stato attuato attraverso un comportamento obiettivamente lesivo dei doveri di lealtà. Dunque, anche la revoca legittima degli atti della procedura di gara può infatti integrare una responsabilità della pubblica amministrazione, seppure precontrattuale, nel caso di affidamenti suscitati nell’impresa dagli atti della procedura di evidenza pubblica, poi rimossi. In altri termini, si è in presenza di una scissione fra la legittima determinazione di revocare l'aggiudicazione della gara ed il complessivo tenore del comportamento, tenuto dalla medesima Amministrazione nella sua veste di controparte negoziale, non informato alle generali regole di correttezza e buona fede, che devono essere osservate dall'Amministrazione anche nella fase precontrattuale”.
Nella concreta vicenda, il Ministero aveva presentato a sostegno della propria decisione di revoca, una pluralità di ragioni, fra cui la dimostrata inidoneità della procedura di gara precedentemente indetta e la parimenti dimostrata economia di spese, ottenibile attraverso una diversa e nuova procedura di selezione.
Avverso tale condotta, l’impresa partecipante avanzò una serie di precise censure:
a) mancato avvio del procedimento, con connessa carente istruttoria;
b) mancata previsione dell’obbligo di indennizzo;
c) mancata dimostrazione di valide ragioni di revoca;
d) illegittimo richiamo, da parte della stazione appaltante, ad una più che dubbia clausola del bando, prevedente “l’insindacabile potere di non aggiudicare la gara, di annullarla o di revocarla”;
e) violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nella fase antecedente l’aggiudicazione, con conseguente configurazione della responsabilità precontrattuale.
Il Tar procede all’esame della vicenda e delle avanzate censure, ponendosi un chiaro quesito: qual è la posizione dell’impresa partecipante alla gara?
Al riguardo, i giudici laziali assumono una posizione inequivoca, ritenendo che l’operatore economico, concorrente ad una gara, è “titolare di un interesse a che l’attività amministrativa avvenga secondo i canoni dell’imparzialità e del buon andamento”. Infatti, si fa osservare che il provvedimento, diretto ad interrompere, per ragioni di opportunità, lo svolgimento della procedura di gara avviata, seppure non ancora giunta neanche all’aggiudicazione provvisoria, non può qualificarsi come un mero ritiro, in quanto priva il concorrente anche solo della possibilità di conseguire l’aggiudicazione.
Dunque, si è in presenza di una posizione, in capo al partecipante, di “aspettativa qualificata”, che determina una diretta ed immediata valenza lesiva della posizione soggettiva di potenziale aggiudicatario, “che è comunque giuridicamente tutelata dall’ordinamento, almeno sotto il profilo della perdita di chance o del ristoro del danno per l’impegno economico profuso ai fini della partecipazione”.
Siffatta riflessione assume maggiore rilievo allorquando la stazione appaltante non si limita, come nella concreta fattispecie, a richiedere un prezzo, ma pone in essere procedure particolarmente onerose per i concorrenti. Infatti, è stato posto a carico dei concorrenti l’integrale onere della progettazione esecutiva e ciò comporta, senza alcun dubbio, l’insorgere di spese non certo modeste. Pertanto, la conclusione è chiara: l’impresa ricorrente, in qualità anche di sola partecipante alla gara è “titolare di una posizione soggettiva che la legittima a proporre ricorso”.
Chiarita tale importante questione, il Tar Lazio procede ad esaminare le illustrate censure.
Per quanto concerne il mancato avvio del procedimento (“a”), i giudici laziali assumono una posizione negativa, affermando che “non può essere condivisa l’affermazione, per cui il procedimento di revoca imponga, in ogni caso, l'obbligo di comunicarne l'avvio, in special modo laddove si tratti di revoca di una gara d'appalto ancora in corso di svolgimento”. Ciò, perché, proprio in questo caso, nessuno dei partecipanti ha acquisito, in relazione allo stato della procedura, una posizione di vantaggio concreta e, comunque, tale da far sorgere “un interesse qualificato e differenziato e quindi meritevole di tutela attraverso detta comunicazione”.
Ancòra, il Tar ritiene che tale assunto sia valido anche perché la revoca, come nella concreta vicenda, è stata determinata da valutazioni tutte interne a distinte amministrazioni, alcune delle quali subentrate nell’apportare esigenze pubbliche di coordinamento di interventi complessi, implicanti valutazioni e “bilanciamenti tra interessi che travalicano quello posto a base della gara in corso”.
Sia consentito di dissentire solo su questo punto, che poi costituisce l’unico elemento di non condivisione della corretta analisi, posta in essere dal Tar. Infatti, oltre a ricordare che, sempre il Tar Lazio, sez. II, nella pregressa sentenza n. 5540/2006, aveva affermato il contrario, occorre tener conto del fatto che, in caso di revoca, l’avvio di un procedimento amministrativo si impone per due precise ragioni.
In primo luogo, in quanto tutti i provvedimenti di autotutela, alla cui categoria appartiene la revoca, in quanto atti di secondo grado, debbono essere emanati al termine di un apposito procedimento amministrativo di valutazione. In tal senso, la giurisprudenza (Tar Lazio, sez. Latina, n. 146/2002) ha, addirittura, affermato che, pur se il provvedimento di revoca, è collegato ad una specifica clausola inserita nell’atto revocato, la Pa non è, per questo, esonerata dall’obbligo di dare avviso dell’inizio del relativo procedimento, non essendo l’esercizio del potere di avvalersi della clausola inconciliabile con la comunicazione di avvio. In altri termini, la puntuale previsione di una clausola di revoca non elimina l’obbligo dell’apertura del procedimento.
In secondo luogo, il procedimento si impone in vista del necessario esame di tutti gli interessi (pubblici, privati, collettivi, etc.) in gioco, che devono essere apprezzati e comparati proprio all’interno della struttura procedimentale, consentendo, dunque, l’espletamento di una congrua istruttoria. A ben vedere, appare evidente che la motivazione della revoca deve dar conto dell’intera attività istruttoria effettuata e, primariamente, della valutazione di tutti gli interessi coinvolti. In altri termini, la motivazione deve delineare fedelmente anche lo svolgimento del procedimento di valutazione, che non può, ovviamente, mancare.
Per quanto concerne la censura sub “b”, il Tar Lazio fa correttamente osservare che la mancata previsione dell’obbligo di indennizzo, nel caso di revoca, come poi concretamente avvenuto, non può costituire vizio di legittimità, in quanto l’indennizzo può sussistere, in ogni caso, se ricorrono i doverosi presupposti.
In merito alle ragioni di revoca (censura “c”), il tribunale laziale non condivide le doglianze avanzate, in quanto le argomentazioni contenute nel provvedimento di revoca sono valide ed esaustivamente espresse. In particolare, appare ben ragionevole l’argomentazione afferente la non idoneità dell’indetta procedura a perseguire correttamente il fine pubblica in esame, costituito dalla piena utilizzabilità del complesso monumentale, attraverso una gestione comune da parte dei degli enti pubblici coinvolti.
Parimenti, non appare convincente la censura (“d”) dell’illegittimo richiamo alla clausola, prevedente “l’insindacabile potere di non aggiudicare la gara, di annullarla o di revocarla”. Infatti. Il Tar fa, persuasivamente, osservare che la prescrizione, pur dubbia e vessatoria, non può inficiare il legittimo provvedimento di revoca posto in essere.
Viceversa, la censura “e” di violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nella fase antecedente l’aggiudicazione, con conseguente configurazione della responsabilità precontrattuale, viene integralmente accolta.
Il Tar fa osservare, in merito, che il Ministero si è reso colpevole di “condotte scorrette”, quali:
1) la colpevole e coeva adozione di scelte oggettivamente contraddittorie, che si sono sostanziate in intese operative, in spregio dei più elementari oneri di programmazione annuale e pluriennale dell’Amministrazione;
2) gli ingiustificati ritardi di conduzione del procedimento stesso;
3) la considerazione che la revoca è stata adottata e comunicata ben molto oltre il termine dei 180 giorni, che era previsto dalla lex specialis di gara;
4) l’evidente mancanza del necessario ed indispensabile flusso di comunicazione tra i diversi enti pubblici coinvolti;
5) la mancata comunicazione agli interessati della possibilità, in via di maturazione, di una diversa realizzazione di interessi pubblici in parte interferenti con l’oggetto della gara, anche solo al fine di consentire loro di riadeguare le proprie strategie aziendali al possibile esito infruttuoso del procedimento.
Al riguardo, va osservato che proprio tale condivisibile riflessione del Tar getta una luce di implausibilità e, fors’anche di contraddizione, con la precedente asserzione di non necessari età della comunicazione di avvio.
Ad ogni modo, tutti i predetti elementi integrano un chiaro comportamento colposo dell’Amministrazione e fanno concludere che la pur legittima revoca della procedura di gara, è stata attuata in un quadro d’azione, i cui dati oggettivi inducono alla doverosa configurazione di una responsabilità precontrattuale
(commento tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 02.04.2010 n. 5621 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: SOTTOSCRIZIONE DOCUMENTI GARA.
Il Consiglio di Stato ribadisce un preciso indirizzo giurisprudenziale, in tema di sottoscrizione dei documenti in sede di gara: “E' legittimo il provvedimento di esclusione, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un'impresa, per la mancata sottoscrizione della domanda di partecipazione ad una gara d'appalto, e ciò anche nel caso in cui la suddetta domanda rechi il timbro della società dichiarante. Ciò, in quanto la mancata sottoscrizione di un atto, che costituisce uno dei documenti integranti la domanda di partecipazione alla gara, da parte di un concorrente, non integra una irregolarità formale, sanabile in corso di esecuzione, giacché fa venir meno la certezza della paternità e della piena assunzione di responsabilità circa i contenuti della dichiarazione medesima, creando perplessità in ordine alla volontà concreta del concorrente. Nella concreta fattispecie, la sottoscrizione era stata espressamente prevista a pena di esclusione, a garanzia della completezza e veridicità delle dichiarazioni, dal bando di gara”.
Come noto, le offerte, unitamente alla documentazione richiesta ai fini della gara, devono essere sottoscritte dal rappresentante legale dell’impresa concorrente. A tal riguardo, l’articolo 74, comma 1°, del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs n. 163/2006) stabilisce che “le offerte sono sottoscritte con firma manuale o digitale”. Purtroppo, non costituisce caso infrequente la mancata sottoscrizione dei documenti di gara. Tale fattispecie determina l’insorgere di delicate problematiche, che conducono ad indagare in merito al ruolo ed alle funzioni della sottoscrizione.
In primo luogo, occorre osservare che la sottoscrizione di un documento costituisce lo strumento, mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento medesimo. Da un punto di vista sostanziale, la sottoscrizione, comunemente intesa come scrittura manuale del proprio nome e cognome in calce ad un documento, consente di risalire alla paternità dell’atto e di ricondurre al suo autore tutti gli effetti, che l’ordinamento indirizza verso la sfera giuridica dello stesso.
In secondo luogo, occorre osservare che la certa e sicura riconducibilità di tutti gli elementi costitutivi l’offerta, anche di quelli che possano apparire prima facie non essenziali o puramente formali, al soggetto autore, garantisce la serietà e l’affidabilità dell’offerta medesima, intesa quale dichiarazione del partecipante alla gara, finalizzata alla costituzione di un rapporto contrattuale. Infine, la sottoscrizione esplica una funzione di chiusura e di immodificabilità del documento, in modo tale da non consentire riaperture di ulteriori trattative negoziali.
Il Consiglio di Stato è perfettamente consapevole degli orientamenti ora illustrati e principia la sua analisi evidenziando e ricordando che il bando di gara risulta essere ben chiaro al riguardo, in quanto contiene una chiara prescrizione di obbligatorietà della sottoscrizione. Il punto III. 2.1. richiede, espressamente, la presentazione di una dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante dell’impresa, con cui doveva essere attestato il possesso dei requisiti soggettivi per la partecipazione alla gara. Orbene, nella concreta vicenda, la specifica dichiarazione, presentata dall’impresa esclusa, è composta di cinque pagine, di cui le prime quattro sono sottoscritte dall’Amministratore Unico, mentre la quinta, ed ultima, è priva di sottoscrizione e reca solo il timbro della Società dichiarante.
A solo scopo conoscitivo e di completezza, i giudici di appello fanno rilevare l’importanza delle dichiarazioni, contenute nell’ultima pagina non sottoscritta:
- due riferimenti espliciti a certificazioni già prodotte;
- l’indicazione dei requisiti di natura “penale”, ai sensi dell’articolo 38, 1° comma, lettera “c”, del Codice;
- la precisazione del possesso della qualificazione necessaria per le sole attività di costruzione, con l’individuazione dei soggetti, di cui la società intendeva avvalersi per la progettazione;
- la manifestazione di volontà di eseguire i lavori nel limite del 20%.
A fronte di tale situazione, il CdS ricorda, conformemente agli illustrati indirizzi, che la mancata sottoscrizione di un atto, che costituisce uno dei documenti integranti la domanda di partecipazione alla gara, non può essere considerata una’irregolarità formale, sanabile nel corso del procedimento, perché fa venire meno la certezza della provenienza e della piena assunzione di responsabilità in ordine ai contenuti della dichiarazione nel suo complesso.
Pertanto, in punto di fatto, non può non rilevarsi che la sottoscrizione della dichiarazione sul possesso dei requisiti, costituente un documento unitario, manca e non può essere sostituita dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti quella conclusiva della dichiarazione medesima.
La sottoscrizione in calce alla lunga dichiarazione non è intervenuta e non si è realizzata la condizione prevista dal bando di gara, come necessaria per il legittimo accesso alla gara
(commento tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.03.2010 n. 1832 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

VARI: Canoni di depurazione e fognatura: natura e termine decadenziale.
Fino alla data del 03.10.2000 e prima della declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza 10.10.2008, n. 335 il canone fognario e di depurazione aveva natura tributaria.
Di conseguenza, durante il periodo di vigenza del cd. doppio canone fognario, il potere di accertamento del Comune era soggetto al termine triennale di cui all’art. 290, R.D. n. 1175 del 1931, avente natura di termine di decadenza.
Se la parte, ritenendo applicabile al rapporto relativo al canone fognario la disciplina civilistica, opponga alla richiesta di pagamento di detto canone fognario l’eccezione di prescrizione, qualora in corso di giudizio muti il quadro normativo di riferimento, qualificando il giudice il rapporto come avente natura tributaria, per il principio di conservazione della domanda e della eccezione, la volontà espressa dalla parte privata muta anch’essa di qualificazione giuridica, potendo quindi essere inquadrata nel corrispondente istituto di diritto tributario concernente la decadenza
(Corte di Cassazione, Sez. tributaria, sentenza 10.02.2010 n. 2943 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Condono edilizio: su chi grava il contributo concessorio?
La corretta interpretazione dell’art. 37, comma 1, L. 47/1985 porta ad affermare che l’obbligo del pagamento del contributo concessorio, se non soddisfatto dal richiedente la sanatoria, grava comunque sugli altri soggetti indicati dall’art. 31, comma 1 e 3, tra i quali è incluso anche l’avente causa dal richiedente la sanatoria.
La responsabilità per gli illeciti amministrativi é personale, così come quella penale: ciò significa che il comportamento integrante illecito amministrativo deve essere ascritto personalmente a colui al quale la sanzione amministrativa viene contestata, il quale deve altresì avere posto in essere tale comportamento con dolo o colpa (art. 3, L. 689/1981), dovendosi pertanto escludere forme di responsabilità oggettiva –non assistite, cioè, da un coefficiente psicologico
(TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 06.10.2009 n. 2364 - link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sulla dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà.
Qualora le dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47 presentino delle irregolarità o delle omissioni rilevabili di ufficio, non costituenti falsità, il funzionario competente a ricevere la documentazione dà notizia all’interessato di tale irregolarità. Questi è tenuto alla regolarizzazione o al completamento della dichiarazione; in mancanza il procedimento non ha seguito.
La irregolarità di cui trattasi, che di certo non costituisce falsità e può essere agevolmente sanata o con la produzione di altro documento ovvero con una versione aggiornata di quello scaduto, doveva essere oggetto del procedimento di rettifica indicato dall’art. 71 del DPR 445/2000.
Solo nelle ipotesi dell’art. 45 del DPR 445/2000 è espressamente richiesta la efficacia attuale del documento di identità e non invece nelle ipotesi dell’art. 38 del medesimo decreto presidenziale.
Nel caso che la domanda o la dichiarazione  presentata alla Pubblica Amministrazione non sia sottoscritta innanzi al dipendente addetto a riceverla, può essere sottoscritta ed accompagnata da “copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore” la cui validità potrà quindi  anche essere accertata nel corso del procedimento.
Anche nelle ipotesi dell’art. 45 del DPR 445/2000 nel caso che il documento di identità prodotto sia scaduto è consentito, con una semplice dichiarazione dell’interessato circa la mancata variazione dei dati risultanti dal documento irregolare, siano comprovati ugualmente gli stati e le qualità personali in esso contenuti.
La dichiarazione del privato va valutata nei suoi contenuti sostanziali che prevalgono, in quanto dichiarati nelle forme previste, sulle risultanze eventualmente divergenti dei documenti ed atti formali irregolari o incompleti, documenti, quindi, che possono essere rettificati
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.11.2004 n. 7339).

EDILIZIA PRIVATAPer lo svolgimento di attività edilizia all'interno dei cimiteri anche da parte dei privati non occorre il rilascio di alcuna concessione edilizia, essendo sufficiente il giudizio da parte del Sindaco di conformità del progetto alle prescrizioni edilizie contenute nel piano regolatore cimiteriale e non dalle norme comuni in tema di edilizia ed urbanistica.
L’attività edilizia all’interno dei cimiteri è regolata, in via primaria, non dalla normazione urbanistica, ma dalle norme del regolamento di polizia mortuaria (D.P.R. 10.09.1990 n. 285 e successive modificazioni), e, in via secondaria, non dagli strumenti urbanistici generali, ma dal piano regolatore cimiteriale che. ogni Comune è tenuto ad adottare (cfr. ex multis Cass. Sez. III 02.06.1983 n. 451, TAR Sicilia-Catania 18.02.1981 n. 86, TAR Abruzzo-Pescara 04.12.1989 n. 534, TAR Toscana 03.05.1994 n. 176, TAR Calabria-Reggio Calabria 06.04.2000 n. 304).
Pertanto, per lo svolgimento di attività edilizia all'interno dei cimiteri anche da parte dei privati non occorre il rilascio di alcuna concessione edilizia, essendo sufficiente il giudizio da parte del Sindaco di conformità del progetto alle prescrizioni edilizie contenute nel piano regolatore cimiteriale e non dalle norme comuni in tema di edilizia ed urbanistica (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 04.06.2004 n. 9187 - link a ww
w.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 04.07.2010
(ci prendiamo qualche giorno di riposo ... pertanto, arrivederci al 19.07.2010 e Buone Ferie a tutti)

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A V V I S O

ALLA CORTESE ATTENZIONE DELL'UFFICIO TECNICO
     Con riferimento alla precedente news del 21.06.2010 e quella del 14.06.2010 ed alle numerose attestazioni di gradimento pervenute da parte dei Tecnici Pubblici, facciamo propria una proposta pervenutaci che di seguito andiamo ad esplicitare.
     Vorremo pubblicare sul sito, prossimamente, l'elenco dei Parlamentari (Camera e Senato) che sono Tecnici Comunali dipendenti -in aspettativa o meno-  ai quali rivolgere -in seguito- chiarimenti, proposte, ecc. ... ovvero, da ultimo, un caloroso invito a farsi da parte e lasciare spazio ad altri più capaci e, se non altro, più volenterosi e sensibili alle problematiche del Tecnico Pubblico ... ma sicuramente l'invito resterà lettera morta e, allora, vediamo di ricordarci di loro nel segreto dell'urna alla prossima tornata elettorale !!
     E' di fondamentale importanza che l'elenco, che andremo a redigere grazie alla Vs. collaborazione, sia il più completo possibile al fine di non tralasciare alcun Parlamentare, a prescindere dal "colore" politico di appartenenza.
     Pertanto, chiediamo la Vs. collaborazione affinché ci mandiate una mail all'indirizzo info.ptpl@tiscali.it, il più presto possibile e -comunque- entro sabato 24.07.2010, comunicandoci le seguenti informazioni relative ai Parlamentari, di Vs. conoscenza, che siano Tecnici Comunali:
  1. cognome e nome:
  2. link alla scheda personale presente sul Sito della Camera (http://www.camera.it/28) ovvero del Senato (http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Attsen/Sena.html);
  3. Comune dove hanno lasciato la scrivania di Tecnico Comunale + provincia e regione di appartenenza.
     Comunque, è bene chiarire da subito che la nostra non è una iniziativa di "casta" (che tanto va di moda, ultimamente ...) per miseri interessi di bottega ma vuol essere una battaglia di legalità, rispetto e riconoscimento della professionalità del Tecnico Pubblico.
     E' vero che la "mela marcia" c'è in ogni migliore famiglia, guai ad essere autoreferenziali ... ma non si può sottacere che il cuore pulsante dell'Ente Locale sta all'Ufficio Tecnico ... adocchiato, spiato, pressato da 1000 interessi e da 1000 rogne quotidiane ove, oggi, poter lavorare con serenità e conseguente profitto per la Collettività tutta è pressoché un'illusione.
     Vorremmo ricordare a noi stessi, prima ancora che al mondo intero, che il Tecnico Pubblico, come tutti i dipendenti pubblici, prima di prendere servizio ha prestato il seguente giuramento:
"Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi dello Stato, di adempiere ai doveri del mio ufficio nell'interesse dell'Amministrazione per il pubblico bene" (cfr. art. 11 del D.P.R. 10.01.1957 n. 3) e non al Sindaco o assessore pro-tempore !!
     Il Tecnico Pubblico, ahimè, è divenuto suo malgrado -da un po' di anni a questa parte- anche il garante della legittimità e dell'imparzialità dell'azione amministrativa, soprattutto laddove gli interessi economici sono più appetibili ... e ciò con grande nostalgia -dapprima- del "CO.RE.CO." (Comitato Regionale di Controllo) che era garanzia super partes di uniformità di comportamento amministrativo a vantaggio della "cosa pubblica" e -poi- del "parere di legittimità" dei Segretari Comunali ... bei tempi !! Ora, ci rimane soltanto la Corte dei Conti ... forza e avanti tutta !!
     Un monito: non ci resta che sperare -prossimamente- in un tempo di rinnovamento ad ogni livello ... etico, morale, sociale.
     Grazie per la Vs. preziosa collaborazione.
LA SEGRETERIA PTPL

NOVITA' NEL SITO

Sono stati creati due nuovi dossier ovverosia:
- il nuovo dossier Autorità Vigilanza Contratti Pubblici (A.V.C.P.);
- il nuovo dossier Competenze professionali/progettuali.

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

APPALTIComunicazione dati dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ai sensi degli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 163/2006 "Codice dei Contratti Pubblici" (Regione Lombardia, Direzione Generale Infrastrutture e Mobilità, nota 23.06.2010 n. 43217 di prot.).

UTILITA'

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: On line "Il mercato degli appalti", il primo volume della Guida pratica per i contratti pubblici di servizi e forniture nei settori ordinari, che recepisce le più recenti disposizioni normative e i principali orientamenti giurisprudenziali in materia di contratti pubblici.
Elaborata da un gruppo di docenti ed esperti con il coordinamento del Dipartimento per le politiche di gestione e sviluppo delle risorse umane e dell’Ufficio bilancio e ragioneria, la guida costituisce il primo manuale operativo emanato ai sensi dell’art. 2, comma 2 del DPCM 09.12.2002 sull’autonomia finanziaria e contabile della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La stesura del volume è precedente all’approvazione del Regolamento di attuazione del Codice dei contratti da parte del Consiglio dei Ministri il 18.06.2010. Il testo pertanto sarà aggiornato a cura degli autori nelle parti interessate dalle disposizioni di dettaglio contenute nel Regolamento (link a www.governo.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dall’Agenzia delle Entrate nuovi chiarimenti sul 55% per la sostituzione degli infissi e sul concetto di impianto fotovoltaico.
Con la circolare 23.06.2010 n. 38/E l'Agenzia delle Entrate, relativamente al beneficio di dertrazione del 55%, fornisce nuovi chiarimenti nel caso di sostituzione degli infissi e in merito al concetto di impianto fotovoltaico.
La circolare, oltre alle specifiche relative al bonus del 55%, fornisce profili interpretativi degli impianti fotovoltaici come unità immobiliari oppure beni mobili, e chiarisce se tali impianti possano beneficiare dell'agevolazione nota come “Tremonti-ter” ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Le Risposte dello SPISAL agli ingegneri sull’applicazione del Testo Unico della Sicurezza nei cantieri e nei luoghi di lavoro.
Lo scorso 26 maggio si è tenuto a Vicenza un incontro tra la Commissione Sicurezza dell'Ordine degli Ingegneri provinciale e lo Spisal (Servizio Prevenzione e Sicurezza su Lavoro) dell'ASL.
L'incontro ha costituito l'occasione per affrontare numerose problematiche connesse alla sicurezza nei cantieri e sui luoghi di lavoro in generale.
L'Ordine degli Ingegneri di Vicenza ha reso disponibile on line la documentazione prodotta sulla base delle tematiche affrontate nel corso della discussione.
Si tratta di quattro diversi documenti: ... (link a www.acca.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

CONSIGLIERI COMUNALI: M. Pinzuti, Il diritto di accesso del consigliere comunale nell'ente locale (L'Unione dei Segretari, n. 1/2010).

PUBBLICO IMPIEGO: A. Recchia, Privacy ed invio cedolini paghe tramite posta elettronica (link a www.diritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: A. M. Basso, I poteri di ordinanza del sindaco in materia di incolumità pubblica e sicurezza urbana: presupposti, ragioni e responsabilità (link a www.diritto.it).

NEWS

VARI: Dal 1° luglio è obbligatoria l’indicazione dei dati catastali per compravendite e locazioni. La modulistica dell’Agenzia delle Entrate.
In base all’art. 19 del D.L. 78/2010 (c.d. manovra economica), a decorrere dal 1° luglio 2010, in tutti gli atti pubblici e nelle scritture private autenticate, riguardanti gli immobili urbani, devono essere riportati obbligatoriamente:
- i dati catastali dell'immobile;
- il riferimento alle planimetrie depositate in catasto;
- la dichiarazione degli intestatari sulla conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto.
In caso di irregolarità il notaio rogante non potrà procedere alla stipula dell'atto ... (link a www.acca.it).

ENTI LOCALI:  CARTA AUTONOMIE/ Cosa prevede il disegno di legge varato dalla Camera e ora al Senato. Lavori fino a un milione affidati con selezione informale. Gare semplificate nei piccoli enti.
Nei comuni con meno di 5 mila abitanti ammesso l'affidamento di lavori fino a un milione di euro, tramite selezione informale con invito di almeno tre concorrenti; le funzioni di responsabile del procedimento attribuite al responsabile dell'ufficio tecnico o al responsabile del servizio competente per il lavoro da eseguire.
È quanto previsto nell'articolo 26 del disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica (AC 3118) e recante l'individuazione delle funzioni fondamentali di province e comuni, la semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, approvato dalla Camera e ora all'esame del Senato.
Le norme che prevedono delle modifiche al Codice dei contratti pubblici, sono destinate ad una nozione ben determinata di stazione appaltante. Infatti l'articolo 26, così come il 25 e il 27, riguardano i cosiddetti «piccoli comuni» (con popolazione residente pari o inferiore a 5 mila abitanti) a favore dei quali sono previste alcune misure agevolative, peraltro parzialmente analoghe a quelle contenute nel disegno di legge n. 54 (recante misure di sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5 mila abitanti, nonché dei comuni compresi nelle aree naturali protette), attualmente all'esame in sede referente delle Commissioni bilancio e ambiente.
La norma modificativa del Codice dei contratti pubblici è stata approvata martedì ed è contenuta in un emendamento presentato dai deputati Karl Zeller e Siegfried Brugger (della SVP), riformulato a seguito di alcune osservazioni del relatore Donato Bruno, con il parere favorevole del Governo, espresso dal ministro Roberto Calderoli.
L'emendamento inserisce un nuovo comma nell'articolo 122 del Codice dei contratti, a seguire il comma 7-bis che stabilisce, in via generale, la possibilità per tutte le stazioni appaltanti di affidare lavori di importo compreso fra 100 mila e 500 mila euro con la procedura di cui all'articolo 57, comma 6 (procedura negoziata senza gara) cui devono essere invitato almeno cinque operatori economici.
Il comma 7-ter approvato martedì consente, quando i lavori sono affidati dai «piccoli comuni», di utilizzare la procedura negoziata senza bando di gara per interventi fino a un milione di euro. Rispetto alla norma valida per tutte le stazioni appaltanti, con la nuova disposizione viene quindi superato sia il tetto minimo dei 100 mila euro, sia quello massimo di 500 mila euro e sarà possibile appaltare, sostanzialmente in maniera quasi fiduciaria, lavori da 0 a un milione di euro.
Come ha recentemente osservato l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici nella Relazione presentata al Parlamento il 22 giugno, si tratta della fetta più rilevante, dal punto di vista numerico, dei 12.196 appalti censiti nel 2009 e affidati da tutte le stazioni appaltanti, circa il 70% di tutti gli appalti di lavori, per un importo totale pari a circa dieci miliardi di euro.
Va rilevato che la norma che integra l'articolo 122 non fa riferimento, come il comma 7-bis, alla necessità di invitare alla procedura negoziata, almeno cinque imprese, ma rimanda direttamente e semplicemente all'articolo 57, comma 6 del Codice che, a sua volta, prevede l'invito di almeno tre soggetti «se sussistono in tale numero soggetti idonei»; c'è quindi anche il caso che l'amministrazione possa ritenere che non vi siano tre soggetti idonei ma soltanto uno.
In ogni caso, prima dell'affidamento, occorrerà verificare il possesso dei requisiti di qualificazione del soggetto affidatario (certificati Soa che, come è noto, valgono al di sopra dei 150 mila euro).
Approvata, senza modificazioni, anche la norma del disegno di legge sulle competenze del responsabile del procedimento in appalti affidati da «piccoli comuni», prevedendosi che tali funzioni siano attribuite al responsabile dell'ufficio tecnico o della struttura corrispondente. Soltanto se ciò non sia possibile secondo quanto disposto dal regolamento comunale le competenze sono attribuite al responsabile del servizio al quale compete il lavoro da realizzare , ma deve essere il regolamento comunale a prevederlo).
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Verso un'intensificazione dei controlli interni. Le altre misure.
La razionalizzazione della condizione attualmente esistente in cui gli elementi innovativi sono assai modesti, tanto più dopo che il riordino delle circoscrizioni provinciali è stato stralciato; il compimento di un passo in avanti nella direzione della concreta attuazione del federalismo e l'intensificazione dei controlli interni: possono essere così sintetizzati i tratti essenziali della carta delle autonomie che la Camera ha approvato mercoledì 30 giugno in prima lettura. Adesso la proposta passa all'esame del Senato e, negli intendimenti del Governo, essa dovrebbe diventare legge entro l'anno.
Occorre ricordare che le parti immediatamente operative sono ridotte, mentre buona parte della concreta applicazione è rimessa ad una o più deleghe che il Governo è abilitato ad esercitare entro nove mesi per le funzioni amministrative degli enti locali ed entro 18 mesi per l'adozione della carta delle autonomie locali.
I commenti sono stati positivi da parte del ministro Calderoli, che della proposta è sostanzialmente il padre, e della maggioranza, mentre per le opposizioni il giudizio è assai negativo. Anche l'Anci, per bocca del vice presidente e sindaco di Cosenza, Salvatore Perugini, si è espressa in modo assai critico.
Occorre ricordare che il Parlamento, da ben tre legislature, sta esaminando questo tema. Infatti la riforma del titolo V della Costituzione richieda la revisione della legislazione sulle autonomie locali e la definizione delle competenze dei comuni e delle province. La legge n. 131/2003 ha assegnato una specifica delega che però non si è tradotta nella approvazione di un decreto attuativo. Nella scorsa legislatura una proposta di legge delega era stata presentata dai ministri Amato e Lanzillotta, ma non si è tradotta in una norma di legge. Si è arrivati al testo sulla base della proposta presentata dal governo e delle numerose iniziative parlamentari. Una parte importante delle iniziative in esso contenute, in particolare in materia di contrazione dei costi della politica, sono state trasfuse nei decreti legge n. 2 e n. 78 del 2010.
I primi articoli individuano le funzioni fondamentali dei comuni, delle province e delle città metropolitane, che le singole amministrazioni locali devono esercitare valorizzando il principio della sussidiarietà orizzontale, cioè l'iniziativa dei cittadini, singoli ed associati. Siamo in presenza di una esplicitazione e dell'arricchimento dei compiti che già la legge n. 42/2009, cd federalismo fiscale, individua come compiti essenziali degli enti locali. L'elemento di maggiore novità è costituito dalla possibilità, offerta alle regioni che devono comunque procedere d'intesa con la autonomie locali, di modificare la ripartizione delle competenze tra i comuni e le province nel rispetto dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, nonché del soddisfacimento ottimale dei bisogni della comunità. Da evidenziare che la concreta decorrenza dell'inizio delle funzioni trasferite è subordinata all'effettivo trasferimento delle necessarie risorse umane, finanziarie e strumentali. Da sottolineare inoltre che tali funzioni non possono, in alcun modo, essere né attribuite né esercitate da parte di agenzie regionali, statali o di enti locali diversi da quelli che ne sono destinatari.
Viene previsto l'obbligo della gestione associata di buona parte delle funzioni fondamentali da parte dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, tranne i casi di quelli che non confinano con altri enti che hanno la stessa ridotta dimensione, fermo restando che le regioni sono chiamate a definire l'ambito ottimale. Tale disposizione, che risolve un dibattito aperto da oltre 20 anni sulla necessità di pervenire a forme di gestione associata e superare la dimensione troppo frammentata della gran parte dei piccoli comuni, si sovrappone a quella, per molti versi, analoga contenuta nel dl n. 78/2010. Le forme di gestione associata utilizzabili sono solamente la convenzione e l'unione dei comuni. Per le unioni si impone un rapporto più stretto con i comuni, anche in termini di requisiti dei componenti dei suoi organismi di gestione, il cui numero viene peraltro ridotto.
Entro i nove mesi successivi alla entrata in vigore della legge il Governo dovrà emanare un decreto legislativo con cui individuare le funzioni amministrative che sono assegnate ai comuni e alle province, nonché di quelle che rimangono allo Stato. Tale decreto dovrà essere emanato previa intesa con la Conferenza Unificata e sentito il Parlamento. Anche in questo caso si devono utilizzare i principi della sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, nonché della incentivazione della gestione associata e che l'effettivo avvio dell'esercizio decorra dal trasferimento delle risorse nel caso in cui cambia il soggetto individuato come nuovo responsabile della gestione, con corrispondente taglio in capo alla amministrazione che prima ha gestito tali compiti.
Con la carta delle autonomie locali sarà riscritto l'attuale testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. A questo fine viene concessa una delega al Governo per l'adozione del provvedimento, delega che deve essere esercitata entro 18 mesi e che, nell'anno successivo, potrà portare alla adozione di provvedimenti correttivi.
Il provvedimento prevede che le regioni possano abrogare le comunità montane. Viene limitato il numero dei componenti degli organi delle circoscrizioni comunali. Sono inoltre soppressi i consorzi tra gli enti locali a decorrere dall'anno 2011, salvo quelli che gestiscono funzioni associative tra gli enti locali. I compiti ed il personale dei consorzi soppresso viene trasferito ai comuni. Per i consorzi a cui partecipano anche altri soggetti, le scelte saranno assunte dalle singole regioni.
Sono rafforzati i compiti dei consigli comunali e provinciali: essi sono chiamati a svolgere, in luogo delle giunte, importanti attribuzioni in materia di gestione e di controllo delle risorse umane, nonché di programmazione delle scelte dell'ente.
Nei piccoli comuni, intendendo come tali quelli con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, sono rafforzati i compiti dei dirigenti degli uffici tecnici e sono significativamente ridotte le incombenze di natura contabile, in particolare con l'adozione di documenti semplificati.
Sono ampliati i controlli interni. In primo luogo si obbligano le amministrazioni che non si conformano ai pareri dei responsabili a motivare adeguatamente le loro scelte. Ed ancora si introduce il controllo di adeguatezza dei programmi, in termini di congruenza tra obiettivi e risultati.
La giunta è impegnata con cadenza trimestrale ad effettuare il costante controllo degli equilibri finanziari della gestione di competenza, della gestione dei residui e della gestione di cassa (articolo ItaliaOggi del 02.07.2010, pag. 34).

ENTI LOCALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Segretari, non direttori. È la soluzione offerta da una lettura sistematica della normativa. Stop nei comuni sotto i 100 mila abitanti.
È possibile conferire le funzioni di direttore generale al segretario comunale, ai sensi dell'art. 108 del dlgs. n. 267/2000, alla luce della norma di cui all'art. 2, comma 186, lett. d), della L. n. 191/2009, come integrata dalla L. n. 42/2010, che ne prevede la soppressione nei comuni con popolazione inferiore ai 100 mila abitanti?

L'art. 2, comma 186, lett. d), della L. n. 191/2009 (legge finanziaria 2010), tra le misure di contenimento della spesa pubblica, prevede, alla lett. d), la soppressione del direttore generale, tranne che nei comuni con popolazione superiore ai 100 mila abitanti.
Nella formulazione originaria, la soppressione di tale figura riguardava tutti i comuni e solo con le modifiche apportate al citato comma 186 dal dl. 2571/2010, n. 2, convertito dalla legge finanziaria 26.03.2010, n. 42, questa è stata reintrodotta per gli enti con popolazione superiore ai 100 mila abitanti.
Una lettura sistematica della norma, coerente con la finalità perseguita dal legislatore e con l'orientamento espresso in materia dal dipartimento della funzione pubblica, fa ritenere venuta meno anche la facoltà, prevista dal comma 4 dell'art. 108 del dlgs. n. 267/2000, di conferire la funzioni del direttore generale al segretario comunale, nelle particolari fattispecie elencate nel comma stesso, tenuto conto che, in ogni caso, la normativa contrattuale disciplinante il rapporto di lavoro dei segretari comunali e provinciali prevede la corresponsione di un compenso per l'espletamento di dette funzioni.
Per le stesse considerazioni, non è più consentita la facoltà prevista dal comma 3, del medesimo art. 108, di stipulare convenzioni tra comuni con popolazione inferiore a quella attualmente richiesta per il conferimento di tale incarico. Resta ferma, in ogni caso, la previsione contenuta nell'art. 97, comma 4, del più volte citato dlgs. n. 267/2000, che assegna tra i compiti ordinari del segretario, quella di sovrintendere e coordinare l'attività dei dirigenti (articolo ItaliaOggi del 02.07.2010, pag. 35).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incandidabilità dei consiglieri.
Quesito. Sussiste l'ipotesi di incandidabilità nei confronti di un consigliere comunale, condannato per il delitto di falso per induzione ai sensi degli artt. 110, 479 e 48 del Codice penale, se dalla lettura della sentenza di condanna emerge che l'interessato, all'epoca dei fatti, non rivestiva un incarico pubblico bensì ha agito nel quadro di un'attività di natura privatistica?

La giurisprudenza della Corte suprema ha costantemente affermato che la norma di cui all'art. 58, comma 1, lett. c), del dlgs. n. 267/2000, secondo cui non possono essere candidati alle elezioni coloro che sono stati condannati per un delitto commesso con abuso di poteri o con violazioni dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, non restringe la causa di decadenza ai soli soggetti che esercitano la pubblica funzione o il pubblico servizio, ma pone come condizione di ineleggibilità o di decadenza dalla carica elettiva soltanto la condanna per detti reati, indipendentemente dal fatto che il condannato sia esercente la pubblica funzione o il pubblico servizio, ovvero altro soggetto, che abbia agito in situazione di concorso col primo (cfr. cass. Civ. Sez. I, sent. n. 11140 del 27-07-2002, Cass. Civ., l Sez. I, sent. n. 7593 del 21-04-2004).
La giurisprudenza ha, inoltre, precisato che il citato art. 58, comma 1, lett. c) nel prevedere, tra le cause ostative alla candidatura alle elezioni, la condanna con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso di poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio (e diversi da quelli indicati nella lett. b) dello stesso comma 1, che costituiscono le figure criminose specifiche e singolarmente individuate), contiene una norma di chiusura volta a impedire l'esclusione dall'area della norma inabilitante di comportamenti non specificamente previsti ma ugualmente lesivi dell'interesse protetto, con la conseguenza che la predetta causa ostativa opera anche in ipotesi di condanna alla pena suindicata dell'autore mediato che, per ottenere dal pubblico ufficiale una falsa certificazione (conforme agli interessi del «decipiens») fornisca false dichiarazioni o sottoponga documenti falsi o alterati idonei alla formazione, da parte del «deceptus», dell'atto pubblico (cfr. Cass. Civ. Sez. I, sent. n. 2896 del 14-02-2004).
Finalità della norma è, appunto, quella di impedire l'assunzione di pubblici uffici, ancorché elettivi, da parte di soggetti che a qualunque titolo siano rimasti implicati, al punto di riportarne condanna alla pena della reclusione, nella commissione di illeciti penali commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione (cfr. Cass. Civ., Sez. I, sent, n. 11140/2002).
Nella fattispecie è, pertanto, sussistente la sopravvenuta causa ostativa alla permanenza in carica del consigliere e necessaria la comunicazione di cui al comma 4 del citato art. 58 T.O.U.E.L. per l'adozione dei provvedimenti conseguenti (articolo ItaliaOggi del 02.07.2010, pag. 35).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALIIl divieto di assunzioni non si può aggirare. Sentenza della corte dei conti del Lazio.
Il divieto ad assumere personale con qualsiasi tipologia di contratto, imposto dal legislatore agli enti locali che non rispettano il Patto di stabilità, non si aggira. Infatti, se il sindaco, incurante di tale sanzione, provvede lo stesso a sottoscrivere contratti di collaborazione, è responsabile del relativo danno patrimoniale che ha arrecato alle casse dell'amministrazione che egli dirige.

Lo ha sancito la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per il Lazio, nel testo della sentenza 30.04.2010 n. 976, con la quale ha evidenziato la responsabilità, a titolo di colpa grave, di un amministratore che non ha osservato le conseguenze derivanti dal mancato rispetto del patto di stabilità interno.
All'ex sindaco di Aprilia, Calogero Santangelo, la procura contabile contestava di aver sottoscritto contratti di consulenza per oltre 180 milioni di euro, nonostante il parere sfavorevole espresso dal responsabile del servizio finanziario del comune per il mancato rispetto del patto di stabilità.
Sul bilancio dell'ente, infatti, pendevano nel 2007 le limitazioni previste dal comma 33 della legge finanziaria 2005, vale a dire il divieto di procedere all'assunzione di personale «a qualsiasi titolo» per non aver rispettato il patto nel 2006. Non vi è dubbio, si legge nella sentenza, che il divieto imposto dalla finanziaria 2005 per gli enti che non avevano rispettato il patto, si applichi anche, come nel caso in esame, agli incarichi conferiti ai sensi dell'articolo 110 del Tuel inerenti al conferimento di incarichi dirigenziali e di collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità.
Infatti, il carattere generale della disposizione e la perentorietà della terminologia usata (assunzioni a qualsiasi titolo) inducono a ritenere che ricada nel divieto qualsiasi situazione che, a prescindere dal «nomen juris», dalla esistenza o meno di procedure di evidenza pubblica per la scelta, dalla natura pubblica o privata dell'incarico, sia intesa a dar vita ad un nuovo rapporto di lavoro subordinato.
Quindi, è esclusa la possibilità di procedere al conferimento o proroga di incarichi dirigenziali e di collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità previsti dall'art. 110 Tuel, in quanto, sostanzialmente, si configurano come contratti di lavoro a tempo determinato. A riprova del potenziale impatto finanziario di detti incarichi va osservato che lo stesso Tuel a fronte di situazioni di particolare squilibrio di bilancio, ne prevede addirittura la risoluzione di diritto (art. 110, comma 4).
Da queste considerazioni, ha proseguito il collegio, se ne deduce che gli incarichi conferiti dal sindaco sono «violativi» del divieto imposto dalla legge finanziaria 2005 e le spese per essi sostenute, da considerare danno erariale.
Al riguardo, il collegio ha ritenuto che «dall'insieme della vicenda», emerga una condotta connotata da colpa grave, ravvisabile nella «radicale inosservanza» di una norma di settore a fronte di un quadro interpretativo omogeneo (articolo ItaliaOggi del 02.07.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Sull'incompatibilità con i principi di parità di trattamento e di non discriminazione ogni modifica dei criteri di aggiudicazione che avvenga nel corso di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico.
Il diritto dell'Unione europea, come interpretato dalla Corte di giustizia, considera incompatibile con i principi di parità di trattamento e di non discriminazione ogni modifica dei criteri di aggiudicazione che avvenga nel corso di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico.
Pertanto, l'Irlanda modificando il peso attribuito ai criteri per l'aggiudicazione di un appalto di servizi di traduzione -per i quali la direttiva 2004/18/CE prevede soltanto l'obbligo di precisare le specifiche tecniche del servizio e quello di pubblicare un avviso di avvenuta aggiudicazione, successivamente ad un primo esame delle offerte presentate- è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza (Avvocato Generale Paolo Mengozzi, 29.06.2010 n. C-226/09 - link a ww
w.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE PROGETTUALIL’Autorità comunale, prima del rilascio del titolo abilitativo, deve sempre accertare se la progettazione sia stata affidata ad un professionista competente in relazione alla natura ed importanza della costruzione.
E’ illegittimo il titolo a costruire assentito sul progetto, redatto da un geometra, che preveda strutture in cemento armato, se non siano specificate, con motivazione adeguata, le ragioni per cui le caratteristiche dell’opera e le sue modalità costruttive rientrano nella sfera di competenza professionale del progettista.
Se, a fronte di una progettazione che prevede la realizzazione di strutture in cemento armato, l'atto autorizzativo nulla espone circa le ragioni per le quali l’opera ricade nella competenza professionale del geometra, lo stesso deve essere annullato.

Prima del rilascio di un titolo edilizio, l’Autorità comunale deve sempre accertare se la progettazione sia stata affidata ad un professionista competente in relazione alla natura ed importanza della costruzione, in quanto le norme che regolano l’esercizio ed i limiti di applicazione delle professioni di geometra, architetto ed ingegnere sono dettate per assicurare che la compilazione dei progetti e la direzione dei lavori siano assegnati a chi abbia la preparazione adeguata all’importanza delle opere, a salvaguardia sia dell’economia pubblica e privata, sia dell’incolumità delle persone (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 13.12.2006 n. 3441).
E’ dunque illegittimo il titolo a costruire assentito sul progetto, redatto da un geometra, che preveda strutture in cemento armato, se non siano specificate, con motivazione adeguata, le ragioni per cui le caratteristiche dell’opera e le sue modalità costruttive rientrano nella sfera di competenza professionale del progettista (cfr. TAR Sicilia-Catania 13.10.1995 n. 2327; TAR Toscana, Sez. II, 17.04.1989 n. 144), spettando al giudice amministrativo il sindacato sulla valutazione circa l’entità quantitativa e qualitativa della costruzione, al fine di stabilire se la stessa, ancorché prevista con struttura in cemento armato, rientri o meno nella nozione di “modesta costruzione civile”, alla cui progettazione è limitata la competenza professionale del geometra, ai sensi degli artt. 16 e segg. R.D. 11.02.1929 n. 274 (cfr. TAR Abruzzo 28.09.1999 n. 547).
Poiché, pur a fronte di una progettazione che prevede la realizzazione di strutture in cemento armato, gli atti autorizzativi nulla espongono circa le ragioni per le quali l’opera ricade nella competenza professionale del geometra, ne consegue che questi ultimi devono essere annullati (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 28.06.2010 n. 9772 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Installazione di una stazione radio base - Strutture edilizie - Assoggettamento ai principi urbanistici di carattere generale - Limiti di altezza e cubatura - Assoggettabilità - Esclusione - Normativa antisismica - Procedimento unitario - d.lgs. n. 259/2003.
L’installazione di una stazione radio base non può che restare soggetta, sotto il profilo urbanistico, ai principi di carattere generale, che vedono tralicci ed antenne di rilevanti dimensioni, da una parte, valutabili come strutture edilizie soggette a permesso di costruire (ora, ai sensi del d.lgs. n. 259/2003, ad assenso autorizzativo, assorbente rispetto a tale permesso), pur dovendosi d’altra parte considerare tali manufatti -in quanto parte di una rete di infrastrutture, qualificate come opere di urbanizzazione primaria, nonché in quanto impianti tecnologici e volumi tecnici- compatibili con qualsiasi destinazione di P.R.G. delle aree interessate e non soggetti in linea di massima ai limiti di altezza e cubatura delle costruzioni circostanti (cfr. Cons. St., sez. VI, 29.05.2006, n. 3243 e 07.06.2006, n. 3425).
Non preclude, dunque, l’assentibilità dell’intervento l’assenza di una disciplina specifica, volta ad individuare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di cui trattasi ed a minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici (nei limiti di ragionevolezza e rispetto delle norme statali, in cui tale localizzazione è ritenuta possibile dalla giurisprudenza, ormai consolidata sul punto: cfr., fra le tante, Cons. St., sez. VI, 13.06. 2007, n. 3162, 03.03.2007, n. 1017, 28.03.2007, n. 1431 e 25.9.2006, n. 5593), così come può trovare considerazione -all’interno del procedimento unitario previsto- ogni altra esigenza di tutela di interessi pubblici rilevanti, come quelli connessi al rispetto della normativa antisismica (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28.06.2010 n. 4135 - link a www.ambientediritto.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Diritto di accesso - Art. 43 T.U. n. 267/2000 - Estensione - Ratio.
Il diritto di accesso del consigliere comunale disciplinato dall’art. 43 del T. U. n. 267/2000, dal cui contenuto emerge chiaramente l’estensione a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento del mandato, ciò anche al fine dì permettere di valutare con piena cognizione di causa la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Diritto di accesso - Art. 43 T.U. n. 267/2000 - Diritto di accesso ex L.n. 241/1990 - Differenza.
Il diritto di accesso codificato dall’art. 43 del T. U. n. 267/2000 è direttamente funzionale non tanto ad un interesse personale del consigliere comunale o provinciale, quanto alla cura di un interesse pubblico connesso al mandato conferito e, quindi, alla funzione di rappresentanza della collettività.
Il diritto ha una ratio diversa, quindi, da quella che contraddistingue l'ulteriore diritto di accesso ai documenti amministrativi che è riconosciuto, non solo ai consiglieri comunali o provinciali, ma a tutti i cittadini in riferimento ai documenti amministrativi detenuti dalle amministrazioni (art. 22 legge 07.08.1990, n. 241; art. 2 d.PR. 27.06.1992, n. 352).
Invero, la finalizzazione dell'accesso all'espletamento del mandato costituisce, al tempo stesso, il presupposto legittimante l'accesso ed il fattore che ne delimita la portata. Le disposizioni richiamate, infatti, collegano l'accesso a tutto ciò che può essere effettivamente funzionale allo svolgimento dei compiti del singolo consigliere comunale e provinciale e alla sua partecipazione alla vita politico-amministrativa dell' ente.
Diritto di accesso - Art. 43 T.U. n. 267/2000 - Limite delle competenze attribuite al consiglio comunale - Esclusione.
Il diritto di accesso del consigliere comunale non riguarda soltanto le competenze attribuite al consiglio comunale ma, essendo riferito all'espletamento del mandato, investe l'esercizio del munus in tutte le sue potenziali implicazioni per consentire la valutazione della correttezza ed efficacia dell'operato dell'amministrazione comunale (cfr.: Cons. Stato, V Sez. 21.02.1994 n. 119, Cons. Stato, V Sez. 26.09.2000 n. 5109, Cons. Stato, V Sez. 02.04.2001 n. 1893).
Diritto di accesso - Art. 43 T.U. n. 267/2000 - Motivazione della richiesta - Necessità - Esclusione.
A differenza dei soggetti privati, il consigliere non è tenuto a motivare la richiesta né l'ente ha titolo per sindacare il rapporto tra la richiesta di accesso e l'esercizio del mandato, altrimenti gli organi dell'amministrazione sarebbero arbitri di stabilire essi stessi l'ambito del controllo sul proprio operato (Cons. Stato, V Sez. 07.05.1996 n. 528, Cons. Stato, V Sez. 22.02.2000 n. 940, Cons. Stato, V Sez. 26.09.2000 n. 5109; Cons. Stato, V Sez. 04.05.2004).
Diritto di accesso - Art. 43 T.U. n. 267/2000 - Limite della riservatezza delle informazioni - Opponibilità - Esclusione.
Il diritto di avere dall'ente tutte le informazioni che siano utili all'espletamento del mandato non incontra alcuna limitazione derivante dalla loro natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato all'osservanza del segreto (Cons. Stato, V Sez. 20.02.2000 n. 940 e la già citata Consiglio di Stato, Sezione V, 04.05.2004, n. 2716) (TAR CAMPANIA-Salerno, Sez. II, sentenza 25.06.2010 n. 9584 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: Sulla legittimità, in materia di project financing, dell'esclusione del progetto presentato da una società promotrice sulla base della valutazione negativa anche di uno solo dei parametri indicati dal bando di gara.
In materia di project financing è legittima la esclusione del progetto presentato da una società promotrice sulla base della valutazione negativa anche di uno solo dei parametri indicati.
Ed infatti una valutazione comparativa delle varie proposte, con applicazione di principi che reggono le procedure concorsuali nel caso che si presentino più proposte, non esclude che l'amministrazione debba valutare ogni singola proposta ed eventualmente scartarla se essa, singolarmente considerata, non sia rispondente ai parametri di valutazione indicati dal bando essendo compito dell'amministrazione di valutare se il progetto proposto abbia i contenuti necessari a soddisfare l'interesse pubblico in funzione del quale il programma dei lavori possa avere attuazione.
Nella procedura di project financing la commissione di gara deve accertare la coerenza e sostenibilità economica dell'offerta procedendo all'esame del piano economico finanziario sotto il profilo dei ricavi attesi e del relativi flussi di cassa in rapporto ai costi di produzione e gestione. Il piano economico finanziario, infatti, rappresenta il nucleo centrale degli interventi di project financing e della sostenibilità della proposta di iniziativa privata di intervento nella realizzazione e gestione di infrastrutture di rete (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.06.2010 n. 4084 - link a ww
w.dirittodeiservizipubblici.it).

ESPROPRIAZIONEOCCUPAZIONE ILLEGITTIMA: I COMPORTAMENTI POSSIBILI DELL'AMMINISTRAZIONE.
1.- Giurisdizione amministrativa - Esclusiva - Risarcimento danni - Occupazione sine tituolo - Sussiste.
2.- Occupazione senza titolo - Art. 43, T.U. n. 327/2001 - Presupposti.

1.- legittimo dipendente dall'illegittimità di un provvedimento dell'Autorità (ipotesi in cui, la pregiudiziale di annullamento potrebbe ostare alla sola domanda risarcitoria), bensì il danno al diritto di proprietà inferto da un comportamento (non già "mero", bensì "amministrativo") dell'Autorità che, pur avendo avviato un complesso procedimento ablatorio volto alla realizzazione di un'opera pubblica, e pur avendo tale opera realizzata, ha poi omesso di completare la serie procedimentale lasciando decorrere il termine di legittimità della disposta occupazione d'urgenza.
Non si contesti la legittimità illo tempore della disposta occupazione, ma se ne contesti la sopravvenuta abusività, secondo il noto meccanismo della cd. "occupazione appropriativa".
2.- dell'Amministrazione che utilizza il fondo altrui, in assenza del decreto di esproprio, anche se è stata realizzata l'opera pubblica. Il testo e la ratio dell'art. 43 non consentono neppure di ritenere sussistente un termine quinquennale, decorrente dalla trasformazione irreversibile dell'area o dalla realizzazione dell'opera, decorso il quale si verificherebbe la prescrizione della pretesa risarcitoria.
Al contrario, l'art. 43 ribadisce il principio per il quale, nel caso di occupazione sine titulo, vi è un illecito il cui autore ha l'obbligo di restituire il bene immobile e di risarcire il danno cagionato, salvo il potere dell'Amministrazione di fare venire meno l'obbligo di restituzione ab extra, con l'atto di acquisizione del bene al proprio patrimonio.
In altri termini, a parte l'applicabilità della disciplina civile sull'usucapione (per la quale il possesso ultraventennale fa acquistare all'Amministrazione il diritto di proprietà pur in assenza dell'atto di natura ablatoria), l'art. 43 testualmente preclude che l'Amministrazione diventi proprietaria di un bene in assenza di un titolo previsto dalla legge (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 24.06.2010 n. 16019 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPRINCIPIO DEL PUBBLICO CONCORSO.
1.- Comune e provincia - Competenze - Art. 89, D.Lgs. n. 267/2000 - Accesso al lavoro - Sussiste - Art. 36, D.Lgs. n. 29/1993 - Principi.
2.- Comune e provincia - Artt. 35 e 36, D.Lgs. n. 165/2001 - Applicabilità - Sussiste.
3.- Comune e provincia - Personale - Reclutamento - Principio della pubblica selezione - Applicazione.

1.- L'articolo 89 del D.Lgs. n. 267/2000 stabilisce che la potestà regolamentare degli enti locali si esercita, fra l'altro, in materia di "procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro" (co. 2, lett. d) e che i relativi regolamenti fanno riferimento, nella definizione delle procedure per le assunzioni, ai "princìpi" fissati dall'art. 36, D.Lgs. n. 29/1993 (comma 3), dovendosi intendere tale richiamo ora effettuato alle corrispondenti disposizioni del D.Lgs. n. 165/2001.
In particolare il principio sancito dal citato art. 35, co. 1, D.Lgs. n. 165/2001 secondo il quale per la costituzione del rapporto di pubblico impiego devono superarsi procedure selettive, è applicabile, in via generale, anche con riferimento all'attribuzione al dipendente di una qualifica superiore (in base alle disposizioni contenute nei contratti collettivi cui rinvia l'art. 40, co. 1, dello stesso Decreto Legislativo), dato che, a norma del successivo art. 52, co. 1, la qualifica superiore viene acquisita dal lavoratore «per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive»; pertanto si deve ritenere che le procedure che consentono il passaggio da un'area inferiore a quella superiore integrano un vero e proprio concorso, qualunque sia l'oggetto delle prove che i candidati sono chiamati a sostenere, ciò perché in materia di pubblico impiego il concorso costituisce (di norma) la regola generale anche per l'accesso ad una fascia funzionale superiore, essendo lo stesso il mezzo maggiormente idoneo ed imparziale per garantire la scelta dei soggetti più capaci ed idonei ad assicurare il buon andamento della p.A..
2.- Il contesto vincolistico che, in nome del contenimento della spesa pubblica, attraverso la riduzione delle dotazioni organiche la cui determinazione assume sempre più strategicamente il ruolo di presupposto necessario ed ineludibile per pianificare la politica del personale e quindi le procedure di reclutamento ex artt. 35 e 36, D.Lgs. n. 165/2001, è sicuramente valevole anche per le Regioni e le autonomie locali che devono attenersi ai criteri e limiti fissati al riguardo.
3.- La normativa di settore, che tuttora impone per l'assegnazione di pubblici uffici il ricorso a procedure concorsuali che salvaguardino l'accesso dall'esterno ai sensi degli artt. 36 e 36-bis, D.Lgs. n. 29/1993 i cui principi, oggi trasfusi nel citato art. 35, D.Lgs. n. 165/2001 per effetto dell'espresso rinvio contemplato dall'art. 88, D.Lgs. n. 267/2000, sono applicabili anche agli Enti Locali, prevedendosi che l'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene tramite procedure selettive, volte all'accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno; d'altro canto i regolamenti sull'ordinamento degli uffici e dei servizi -che gli Enti locali nell'esercizio della loro autonomia sono chiamati ad adottare- devono disciplinare le dotazioni organiche, le modalità di assunzione agli impieghi, i requisiti di accesso e le procedure concorsuali, nel rispetto dei principi fissati dai commi precedenti e, dunque, anche in modo da garantire l'accesso dall'esterno.
Vero è che il richiamato Testo Unico n. 267/2000, all'art. 91, espressamente consente agli Enti Locali, che non versino nelle situazioni strutturalmente deficitarie, di prevedere concorsi interamente riservati al personale dipendente, ma ciò solo in relazione a particolari profili o figure caratterizzati da una professionalità acquisita esclusivamente all'interno dell'Ente, tant'è che lo stesso art. 4 del C.C.N.L. per il personale del comparto delle Regioni-Autonomie Locali ha disciplinato l'area operativa dell'istituto della progressione verticale nel rispetto dei suindicati principi, peraltro espressamente richiamati, limitandola ai posti che non siano stati destinati all'accesso dall'esterno ovvero, con riferimento agli Enti che non versino nelle condizioni strutturalmente deficitarie, ai posti vacanti dei profili caratterizzati da una professionalità acquisibile esclusivamente dall'interno degli stessi Enti (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 24.06.2010 n. 16016 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONEAPPOSIZIONE DEL VINCOLO ESPROPRIATIVO: COME E QUANDO.
1- Procedimento - D.P.R. n. 327/2000 - Vincolo preordinato all'esproprio - Costituisce presupposto della dichiarazione di pubblica utilità - Art. 12 co. 3, T.U. Espropriazioni - Inversione procedimentale - Costituisce una eccezione - Casi in cui si applica - Ratio - Conseguenze.
2- Procedimento - D.P.R. n. 327/2000 - Onere informativo da parte dell'Amministrazione - Necessità - Sussiste - Ratio - Fattispecie.

1- Il vincolo preordinato all'esproprio, nell'ambito del procedimento unico delineato dal D.P.R. n. 327/2000 -applicabile ratione temporis ex art. 57 del medesimo D.P.R.- costituisce la fase iniziale del procedimento espropriativo (Consiglio di Stato Adunanza Generale, parere 29.03.2001 n. 4) per evidenti ragioni di raccordo con la pianificazione urbanistica, ed è presupposto di legittimità della dichiarazione di pubblica utilità, la quale deve intervenire in corso di efficacia del vincolo (art. 13, co. 1, D.P.R. n. 327/2001).
Coerentemente, qualora la dichiarazione di pubblica utilità derivi in via implicita dall'approvazione del progetto definitivo, l'art. 17, co. 1, D.P.R. n. 327/2000 ne richiede "l'indicazione degli estremi da cui è sorto il vincolo".
Il comma 3 dell'articolo 12 del T.U. Espropriazioni introduce invero una ulteriore opzione procedimentale, contemplando il differimento dell'efficacia della dichiarazione di pubblica utilità al momento dell'apposizione del vincolo, ove il vincolo stesso non preceda ma segua la dichiarazione di pubblica utilità.
Tale inversione procedimentale, pur tramutando la forza del vincolo da atto presupposto di legittimità a condizione di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità (1) costituisce comunque conferma che l'esistenza di un valido ed efficace vincolo preordinato all'esproprio condiziona la possibilità per l'autorità espropriante di dar legittimo corso al procedimento ablatorio, e dovendo in tal caso la dichiarazione di pubblica utilità farsi carico di indicare che il vincolo sorgerà successivamente e con quali procedure tra quelle previste dagli artt. 9 e 10 del T.U. (3).
Al di fuori quindi di tale particolare ipotesi, è' pertanto pacificamente illegittima la dichiarazione di pubblica utilità e in via derivata l'attività provvedimentale successiva assunta in mancanza di valido ed efficace vincolo ablatorio (2).
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(1) TAR Sicilia Catania, sez I, 20-06-2006 n. 1045 o secondo altra tesi a fattispecie sanante Cons. Stato, sez. IV, 10-12-2009 n. 7755.
(2) Cons. Stato, sez. IV, 12-08-2005 n. 4308; TAR Veneto, sez. I, 09-12-2004 n. 4280.

2- In materia espropriativa il vigente T.U. approvato con D.P.R. n. 327/2000 impone un preventivo duplice onere informativo (3) in riferimento al vincolo (art. 11) e alla dichiarazione di pubblica utilità (art. 16) in considerazione del grave sacrificio imposto al privato e della stessa intrinseca utilità del contraddittorio istruttorio, al fine di ottimizzare la scelta discrezionale di localizzazione e di evitare inutili e sproporzionati sacrifici del diritto di proprietà, oltre che maggiori esborsi di denaro pubblico.
Mette conto evidenziare che parte ricorrente poi, a supporto della fondatezza della censura, ha indicato con il ricorso in epigrafe le argomentazioni che avrebbe potuto presentare in sede partecipativa al fine di una diversa e più razionale localizzazione, secondo la tesi giurisprudenziale, peraltro non pacifica, che onera parte ricorrente di tale prova per i vizi "formali" di violazione delle norme sulla partecipazione anche in seno al procedimento espropriativo (4).
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(3) TAR Calabria Catanzaro, sez I, 05-10-2009 n. 1016.
(4) TAR Lazio Roma, sez I, 14-04-2009 n. 3789
(massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 24.06.2010 n. 2665 - - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità di una prescrizione contenuta in un bando di gara per l'affidamento del servizio di distribuzione di gas naturale di imporre l'ammortamento accelerato in 12 anni.
Sulla discrezionalità della p.a. nel determinare il valore ponderale da attribuire all'elemento qualità ed all'elemento prezzo delle offerte per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas. Sulla legittimità del bando di gara nella parte in cui ha inserito, tra gli elementi di valutazione dell'offerta l'apertura di uno sportello utenti.

E' legittima l'imposizione contenuta nel bando di gara per l'affidamento del servizio di distribuzione di gas naturale nell'ambito del territorio comunale, con cui si prevedono piani di ammortamento degli investimenti sulla rete di distribuzione tali da concentrare l'ammortamento stesso nel breve periodo di 12 anni di affidamento del servizio, in quanto l'art. 14, c. 7, del decreto legislativo n. 164/2000 non vieta all'ente locale di introdurre prescrizioni sui contenuti dell'offerta relativi all'ammortamento e consente agli offerenti di modulare l'ammortamento degli investimenti secondo le proprie strategie tecnico-economiche. Tale essendo la corretta esegesi del dato normativo, la scelta adottata, in seno al combinato disposto del bando di gara e della lettera di invito, di imporre l'ammortamento accelerato in 12 anni, non incorre in un giudizio negativo sul piano della ragionevolezza e della congruità avuto riguardo, alle circostanze specifiche che connotano la procedura in parola. Se ne desume che non risulta neanche sotto questo aspetto censurabile la decisione dell'amministrazione di prevedere un limite temporale agli ammortamenti ammissibili che non è assoluto e, soprattutto, non irragionevole alla luce delle condizioni dell'impianto e della possibilità di incentivare la partecipazione, con offerte competitive, alla procedura selettiva.
Il legislatore non ha predeterminato il valore ponderale da attribuire, rispettivamente, all'elemento qualità ed all'elemento prezzo delle offerte per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, lasciando spazio alla discrezionalità della pubblica amministrazione da esplicare alla luce degli interessi da perseguire e delle circostanze specifiche della singola procedura in relazione alle condizioni della rete.
E' legittimo il bando di gara per l'affidamento del servizio di distribuzione di gas naturale nella parte in cui ha inserito, tra gli elementi di valutazione dell'offerta l'apertura di uno sportello utenti in quanto l'apertura di uno sportello utenti può ritenersi un elemento qualitativo dell'erogazione del servizio i cui oneri possono farsi rientrare fra quelli del canone annuo che il singolo concorrente intende offrire (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.06.2010 n. 3975 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: Ingiunzione di demolizione - Descrizione delle opere abusivamente realizzate - Sufficienza - Indicazioni ulteriori - Descrizione delle superfici occupate e dell’area di sedime da confiscare in caso di mancata esecuzione - Necessità - Esclusione.
Per giustificare l'ingiunzione di demolizione è necessaria e sufficiente l'analitica descrizione delle opere abusivamente realizzate, in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente, ogni altra indicazione esulando dal contenuto tipico del provvedimento, non occorrendo in particolare, anche la descrizione precisa della superficie occupata e dell'area di sedime che dovrebbe essere confiscata in caso di mancata, spontanea esecuzione; elementi questi, invece, necessariamente afferenti la successiva ordinanza di gratuita acquisizione al patrimonio comunale (Tar Napoli Sez., III 12-03-2010, n. 1420, Tar Lazio, Latina, sez. I, 06.08.2009, n. 780; Tar Veneto, sez. II, 10.06.2009, n. 1725; Cons. Stato, sez. IV, 26.09.2008, n. 4659; Tar Umbria, 26.01.2007, n. 44) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 23.06.2010 n. 2606 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIAFFIDAMENTO DI SERVIZI CIMITERIALI E REQUISITI DI IDONEITA' TECNICO-MORALE A CONTRARRE CON LA P.A..
1. Appalto pubblico (in generale) - Gara - Esclusione - In caso di pregresse inadempienze contrattuali - Sussistenza - Ragioni - Interpretazione dell'art. 38, D.Lgs. n. 163/2006.
2. Appalto pubblico (in generale) - Gara - Esclusione - Ex art. 38, D.Lgs. n. 163/2006 - Differenze con l'art. 1453, Cod. Civ. - Conseguenze.

1. L'articolo 38, co. 1, lett. f), D.Lgs. n. 163/2006, vale a dire la contestazione di negligenza e grave irregolarità nell'esecuzione di un precedente rapporto contrattuale, da un lato, preclude la partecipazione alle gare d'appalto agli operatori economici che si sono resi responsabili di gravi inadempienze nell'esecuzione di precedenti contratti, con ciò denotando quindi un'inidoneità "tecnico-morale" a contrarre con la p.A., dall'altro, fissa il duplice principio secondo cui la sussistenza di tali situazioni ostative può essere desunta da qualsiasi mezzo di prova, mentre il provvedimento di esclusione deve essere motivato congruamente.
In sostanza, a differenza di altre ipotesi di esclusione previste dallo stesso articolo 38 primo comma, che richiedono espressamente il definitivo accertamento (lett. g) o il passaggio in giudicato della sentenza (lett. c), nella fattispecie in questione è necessario che vi sia un'adeguata prova dell'inadempimento e che lo stesso rilevi sul piano della menomazione dell'affidabilità dell'impresa privata nei confronti della medesima amministrazione (Cons. Stato 27-01-2010 n. 296).
2. La particolarità, che vale a distinguere nettamente l'ipotesi di negligenza grave di cui all'art. 38 del Codice degli Appalti, da quella di cui all'art. 1453, Cod. Civ., è che in quest'ultimo caso la gravità dell'inadempimento (secondo la prevalente tesi oggettiva) deve essere valutata in relazione all'interesse all'esecuzione dedotto nel contratto (in ultima analisi, in relazione alla realizzazione della specifica e concreta causa di esso).
Nell'articolo 38 suddetto, invece, la gravità ha una rilevanza, per così dire, esterna, nel senso che deve essere idonea ad influire sull'interesse (pubblico) dell'amministrazione a stipulare un nuovo contratto con l'impresa privata; non a liberarsi dal precedente rapporto, come nel caso della risoluzione.
Ne consegue che la gravità della generica negligenza o dell'inadempimento a specifiche obbligazioni contrattuali non va commisurata all'idoneità della medesima a pregiudicare la realizzazione dello specifico interesse dedotto nella causa del contratto irregolarmente eseguito; ma va commisurata al pregiudizio arrecato alla fiducia, all'affidamento che la stazione appaltante deve poter riporre, ex ante, nell'impresa cui decide di affidare l'esecuzione di un nuovo rapporto contrattuale.
Ecco che la valutazione assume un aspetto più soggettivo (di affidabilità) che oggettivo (il pregiudizio al concreto interesse all'esecuzione della specifica prestazione inadempiuta) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Molise, sentenza 23.06.2010 n. 236 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTII SOLITI SOSPETTI: QUANDO TUTTI INDICANO LA STESSA IMPRESA SUBAPPALTATRICE.
1.- Subappalto - Indicazione della medesima impresa subappaltatrice da parte di più imprese - Indizio sulla riconducibilità ad unico centro decisionale - Gravità.
2.- Subappalto - Errore sulla dichiarazione - Caso in cui il concorrente sia sfornito della qualificazione - Esclusione dalla gara - Legittimità.
3.- Giurisdizione amministrativa - Controversie sulla sussistenza della condizioni previste dall'art. 118, D.lgs. 12.04.2006 n. 163 - Sussiste.

1.- E' gravemente indiziante che una stessa impresa subappaltatrice compaia in un ruolo "strategico", quale indispensabile esecutrice delle opere di una selettiva categoria per più partecipanti, innestando un ragionevole dubbio sulla messa in opera di un tentativo di "bloccare" la scelta della principale impresa subappaltatrice nella gara de qua, con la teorica riconducibilità di un certo numero di offerte ad un unico centro decisionale, con grave violazione dei princìpi di trasparenza e di libera concorrenza.
2.- L'incompleta o erronea dichiarazione del concorrente relativa all'esercizio della facoltà di subappalto è suscettibile di comportare l'esclusione dello stesso dalla gara nel caso in cui questi risulti sfornito in proprio della qualificazione per le lavorazioni che ha dichiarato di voler subappaltare.
3.- Rientrano nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto la sussistenza della condizioni previste dall'art. 118, D.lgs. 12.04.2006 n. 163 per il ricorso al subappalto da parte dell'aggiudicatario della gara pubblica, atteso che dette condizioni non sono intese unicamente a tutelare l'interesse dell'Amministrazione committente all'immutabilità dell'affidatario, ma tendono essenzialmente ad evitare che nella fase esecutiva del contratto si pervenga, con modifiche sostanziali dell'assetto d'interessi scaturito dalla gara pubblica, a vanificare proprio quell'interesse pubblico che ha imposto lo svolgimento di una procedura selettiva e legittimato l'individuazione di una determinata offerta come la più idonea a soddisfare le esigenze della collettività cui l'appalto è preordinato (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 22.06.2010 n. 15567 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti produttivi - Procedure semplificate di cui al DPR 447/1998 - Conferenza di servizi - Autocertificazioni - Progetti in variante al PRG - Procedura differenziata - Esclusione.
La realizzazione di un impianto produttivo deve essere preceduta da una delle due procedure semplificate di cui al DPR 447/1998: poiché l’art. 5 del D.P.R. 447/1998 non esplicita alcuna deroga a tale principio per i casi di progetti in variante al P.R.G., si deve concludere che, in tali casi, ottenuta la variante urbanistica l’interessato deve farsi carico di compulsare l’ulteriore frazione di procedimento finalizzata al rilascio del titolo edilizio, chiedendo procedersi mediante conferenza di servizi o mediante autocertificazioni: in ogni caso, solo il verbale conclusivo della conferenza di servizi indetta ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. 447/1998 “tiene luogo degli atti istruttori e dei pareri tecnici comunque denominati previsti dalle norme vigenti” (art. 4 comma 5) (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 18.06.2010 n. 2473 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: La decisione di affidare la gestione di servizi pubblici locali a società in house, in quanto atto di natura programmatoria incluso nell'elenco tassativo di cui all'art. 42 TUEL rientra nella competenza del Consiglio comunale.
Sul divieto previsto dal c. 9 dell'art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008.

La decisione di affidare la gestione di servizi pubblici locali a società in house, in quanto atto di natura programmatoria incluso nell'elenco tassativo di cui all'art. 42 TUEL -che postula la verifica, in concreto ed attualizzata al momento dell'effettivo trasferimento, della sussistenza delle condizioni soggettive ed oggettive di legge per avvalersi di siffatto modulo gestionale- rientra nella competenza del Consiglio comunale residuando, in capo alla Giunta, la susseguente competenza generale esecutiva da attuarsi sulla base delle scelte e degli indirizzi forniti dall'organo consiliare. Ne consegue che, nel caso di specie, l'affidamento dei servizi cimiteriali ad una società a totale partecipazione pubblica è stato attuato da organo incompetente e con atto inidoneo atteso che, la delibera giuntale di approvazione del contratto di servizio può essere intesa soltanto come atto di esecuzione di apposita delibera consiliare di trasferimento dei servizi in discorso, che nel caso di specie è mancata.
Il c. 9 dell'art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008, vieta l'acquisibilità, da parte di società che, in Italia o all'estero, gestiscono servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, così come lo svolgimento di servizi o attività per altri enti pubblici o privati, anche partecipando a gare. Tale disciplina è applicabile al caso di specie dal momento che la società a totale partecipazione pubblica è già affidataria diretta di servizi pubblici locali per averli conseguiti in forza della delibera consilare per cui, per tutta la durata degli affidamenti in corso, non potrebbe conseguire la gestione di servizi ulteriori né con affidamento diretto, anche laddove in ipotesi astrattamente rispondente ai requisiti per l'in house providing, né partecipando a gare (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1882 - link a ww
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APPALTI: Sulla necessità che i consorzi concorrenti in una gara d'appalto dimostrino il possesso dei requisiti di partecipazione in capo alle imprese ad essi consorziate.
Nei contratti c.d. esclusi può non esigersi il medesimo rigore formale di cui all'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 e gli stessi vincoli procedurali, ma resta inderogabile la sostanza, ossia il principio che i soggetti devono avere i requisiti morali, e che il possesso di tali requisiti va verificato.

Tutti i consorzi, a prescindere dalla loro natura devono dimostrare il possesso dei requisiti di tutti i consorziati che vengono individuati come esecutori delle prestazioni scaturenti dal contratto. In termini più generali, tutti i soggetti che a qualunque titolo concorrono all'esecuzione di pubblici appalti, vuoi in veste di affidatari, vuoi in veste di subaffidatari, vuoi in veste di prestatori di requisiti nell'ambito del c.d. avvalimento, devono essere in possesso dei requisiti morali di cui all'art. 38, d.lgs. n. 163/2006. Il che risponde ad elementari ragioni di trasparenza e di tutela effettiva degli interessi sottesi alle cause di esclusione di cui all'art. 38, d.lgs. n. 163/2006. Occorre, infatti, che tutti gli operatori economici che, a qualunque titolo, eseguono prestazioni di lavori, servizi e forniture abbiano i requisiti morali di cui all'art. 38 citato.
La disciplina dei consorzi, e dunque l'onere di indicare in gara i consorziati per cui concorrono, e per l'effetto di dichiarare i requisiti generali anche per i consorziati individuati come esecutori delle prestazioni, è dettata dal d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici) con specifico riferimento agli appalti sottoposti al suo ambito applicativo. Nel caso di specie, si discorre, invece, di un appalto di servizi di cui all'allegato II-B, soggetto ad un limitato numero di regole del codice, tra cui non rientrano quelle sui requisiti di partecipazione. La succitata disciplina non è pertanto direttamente applicabile. Tuttavia, l'art. 27, d.lgs. n. 163/2006, dispone che nei contratti esclusi, in tutto o in parte, dall'applicazione del codice, devono comunque osservarsi i principi di tutela della concorrenza, tra cui vengono qui in rilievo quello di imparzialità, efficacia, par condicio.
La regola su enunciata secondo cui tutti coloro che prendono parte all'esecuzione di pubblici appalti devono essere in possesso dei requisiti morali indicati nell'art. 38, può essere considerato un principio di tutela della par condicio, dell'imparzialità e efficacia dell'azione amministrativa, per cui deve trovare applicazione anche nei contratti esclusi in tutto o in parte dall'applicazione del codice, quali i servizi dell'allegato II-B. Nei contratti c.d. esclusi può non esigersi il medesimo rigore formale di cui all'art. 38 citato e gli stessi vincoli procedurali, ma resta inderogabile la sostanza, ossia il principio che i soggetti devono avere i requisiti morali, e che il possesso di tali requisiti va verificato (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.06.2010 n. 3759 - link a ww
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APPALTI:  PROROGA DELLA CAUZIONE PROVVISORIA: NATURA RICOGNITIVA O NOVAZIONE DELL'ATTO?
1. Cauzione - Di partecipazione - Appendice della polizza - Rilasciata oltre il termine di presentazione delle offerte - Natura - Novazione oggettiva del contratto - Esclusione.
2. Cauzione - Di partecipazione - Durata di 180 giorni - Interpretazione.

1. Ove una stazione appaltante, a fronte di una polizza fideiussoria recante la cauzione provvisoria che si presti a qualche dubbio in ordine alla sua durata, richieda un chiarimento e il concorrente fornisca un'appendice di polizza che venga rilasciata dal garante in una data successiva al termine ultimo di presentazione delle offerte ma con l'inequivoca precisazione che egli si impegna a rinnovare la garanzia per ulteriori 90 giorni a richiesta della stazione appaltante ove al momento della sua scadenza non sia ancora intervenuta l'aggiudicazione definitiva, siffatto atto del fideiussore ha natura meramente ricognitiva o dichiarativa e non costituisce novazione oggettiva del contratto di garanzia precedentemente stipulato con il contraente e da questi prodotto in gara, a nulla valendo che l'appendice precisi che la sua decorrenza parte dalle ore 24 del giorno del suo rilascio, trattandosi di espressioni gergali ordinariamente in uso nella pratica assicurativa e originanti dal dato empirico che le appendici de quibus sono materialmente confezionate in una data successiva alla scadenza del termine di presentazione delle offerte.
2. Le clausole delle polizze fideiussorie recanti la cauzione provvisoria, che solitamente si esprimono nei termini secondo cui la garanzia ha validità di almeno 180 giorni, vanno interpretate nel senso che la durata delle polizze stesse non è affatto limitata a 180 giorni, che costituiscono invece solo la durata minima, ma si estende temporalmente fino all'integrale svolgimento delle operazioni di aggiudicazione della gara (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 15.06.2010 n. 2856 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILUMI SULL'OPERATIVITA' DEL MECCANISMO DI REVISIONE DEL PREZZO.
1. Giurisdizione amministrativa - Esclusiva - Appalti pubblici - Revisione del prezzo - Diritto soggettivo - Applicabilità dei termini decadenziali di impugnazione - Esclusione.
2. Contratti della p.A. - Concessione di costruzione e gestione - Clausola di revisione del prezzo - Natura imperativa - Previsioni contrattuali difformi - Nullità.
3. Appalto pubblico (in generale) - Criteri e principi - Stipulazione di una clausola contrattuale nulla - Violazione del canone di buona fede da parte dell'appaltatore - In caso di natura non escludente della clausola - Non sussiste.

4. Contratti della p.A. - Concessione di costruzione e gestione - Clausola di revisione del prezzo - Sostituzione automatica della clausola nulla contenuta nel bando - Lesione della concorrenza - Insussistenza - Ragioni.
5. Contratti della p.A. - Concessione di costruzione e gestione - Clausola di revisione del prezzo - In mancanza delle rilevazioni Istat sui prezzi di mercato dei principali beni e servizi acquisiti dalle pubbliche amministrazioni - Si applica l'indice sull'aumento medio dei prezzi - Interessi legali - Calcolo.
1. Le controversie concernenti l'individuazione del termine dal quale deve trovare applicazione l'istituto della revisione dei prezzi contrattuali nell'ambito di un appalto di servizi, riguardano il criterio di quantificazione di un compenso dovuto ex lege e attengono pertanto a diritti soggettivi dell'impresa, la cui cognizione è rimessa alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'articolo 244 decreto legislativo n. 163/2006.
Ne consegue che la relativa azione giurisdizionale, avente ad oggetto l'accertamento di un rapporto di credito, non è soggetta alla regola dell'impugnazione nei termini di decadenza degli atti amministrativi illegittimi.
2. L'articolo 115 del Codice dei Contratti ha natura imperativa, tutelando l'interesse pubblico a che, nei contratti ad esecuzione periodica o continuativa, le prestazioni degli appaltatori delle amministrazioni pubbliche non subiscano nel tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione i quali, incidendo sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell'offerta, comportino l'incapacità dell'appaltatore di far fronte compiutamente alle prestazioni a suo carico.
Ne discende la nullità delle clausole contrattuali in contrasto con essa e l'automatica sostituzione di dette clausole ai sensi dell'articolo 1339, Codice Civile (cfr. Cons. Stato, sezione V, 02-11-2009 numero 6709).
Pertanto deve escludersi l'ammissibilità di qualsivoglia previsione pattizia che escluda l'applicabilità della revisione prezzi sia per le variazioni inferiori ad una determinata misura percentuale o per le variazioni intervenute nel primo periodo di attuazione del rapporto, con la conseguente declaratoria di nullità.
3. Deve escludersi che l'appaltatore, stipulando consapevolmente una clausola contrattuale ritenuta nulla, abbia violato il canone di buona fede precontrattuale allorché la natura non escludente di detta clausola la rendeva insuscettibile di immediata impugnazione e la predeterminazione unilaterale delle condizioni del contratto non lasciava opzioni alternative all'impresa interessata a contrattare con la pubblica amministrazione (nella fattispecie, la clausola sottoscritta nulla escludeva l'operatività dell'istituto della revisione del prezzo nei primi cinque anni di esecuzione del contratto).
4. L'inserimento automatico di una clausola di revisione prezzi diversa per contenuto da quella posta in gara e recepita nel contratto non è lesiva delle regole della concorrenza per attribuire al contraente un diritto aggiuntivo rispetto a quelli prospettati dall'amministrazione a tutti i concorrenti atteso che la sostituzione automatica della clausola fissata dall'amministrazione deriva dall'applicazione di una norma imperativa di legge che, in quanto tale, è conoscibile da tutti i concorrenti e suscettibile di interessare la posizione di ogni potenziale contraente.
Il meccanismo della revisione prezzi disegnato dal legislatore interno non limita in alcun modo, d'altronde, il dispiegarsi del confronto concorrenziale, ma al contrario, essendo ancorato a criteri oggettivi che consentono di conservare l'equilibrio del sinallagma contrattuale, può rafforzare la par condicio dei concorrenti e favorire la partecipazione di imprese meno capaci di sopportare l'alterazione degli oneri che dovesse intervenire nel corso dell'esecuzione di un rapporto di lunga durata.
5. In mancanza delle rilevazioni da parte dell'Istat dei prezzi del mercato dei principali beni e servizi acquisiti dalle pubbliche amministrazioni, dovrà farsi inevitabilmente riferimento al più generale indice sull'aumento medio dei prezzi (indice Istat F.O.I.) che costituisce strumento atto a rilevare gli incrementi del tasso generale di inflazione e, quindi, idoneo parametro di valutazione dell'incremento di prezzo (cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 14-12-2006 n. 7461).
Sulle somme così risultanti dovranno essere applicati gli interessi con le modalità e secondo i saggi previsti dagli artt. 4 e 5, D.Lgs. 09.10.2002, contenenti norme imperative, applicabili anche alle pubbliche amministrazioni, che non presuppongono la sussistenza di un colpevole ritardo nel pagamento del corrispettivo e possono essere derogate solo per effetto di un accordo liberamente sottoscritto dalle parti (cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 01-04-2010 n. 1885) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 15.06.2010 n. 2849 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - RIFIUTI - Discarica - Impatto sul territorio - Intera area funzionale all’esercizio - Coinvolgimento di comune diverso da quello nel cui territorio è prevista la localizzazione.
L’impatto sul territorio, idoneo a giustificare il coinvolgimento, nella procedura di VIA, di un comune diverso da quello nel cui territorio è prevista la localizzazione dell’impianto, non può ritenersi circoscritto all’area destinata alla escavazione, ove si valuta di realizzare la discarica, ma deve essere esteso fino a ricomprendere l’intera area funzionale all’esercizio della discarica medesima.
VIA - Giudizio di compatibilità ambientale - Tutela preventiva - Discrezionalità mista - Ambito del sindacato giurisdizionale.
Il giudizio di compatibilità ambientale, in quanto implica una valutazione anticipata, finalizzata alla tutela preventiva dell’interesse pubblico, non si risolve in un puro e semplice giudizio tecnico, ma presenta comunque profili elevati di discrezionalità amministrativa.
A questo proposito si parla, anche in giurisprudenza, di discrezionalità mista. L’ampiezza della discrezionalità restringe l’ambito del sindacato giurisdizionale ai casi di illogicità manifesta, di errore di fatto e di difetto di istruttoria e di motivazione (conf., “ex multis”, in tema di VIA, Cons, St. nn. 5910/2007, 1462/2005 -che conf. Tar Veneto, n. 3098/2001- e 1/2004).
VIA - RIFIUTI - Realizzazione ed esercizio di discarica su area di cava in atto - Condizioni.
La realizzazione e l’esercizio di una discarica possono essere consentiti sull’area di una cava, in atto, una volta esaurita l’attività estrattiva anche solo su una porzione della cava medesima, sempre che vi siano le condizioni per organizzare e svolgere in modo differenziato l’attività di discarica e quella di cava , al fine di consentire il regolare svolgimento dell’attività di trasporto connessa con la cava e la discarica (cfr. DGRV n. 924/1998 - direttiva sull’applicazione delle ll. reg. nn. 44/1982 e 33/1985).
VIA - DPCM 27.09.1988 - Provvedimento finale - Osservazioni prodotte nel procedimento - Analitica indicazione delle ragioni che hanno condotto a disattenderle - Necessità - Esclusione.
In tema di VIA, la normativa (DPCM 27.09.1988) non impone alla P. A. autrice del provvedimenti finale di manifestare le ragioni che l’hanno indotta a disattendere le osservazioni prodotte nel procedimento, prescrivendo soltanto che di tali osservazioni si tenga conto nella fase di maturazione della scelta finale la quale, a sua volta, assorbe e riassume tutte le valutazioni compiute nell’istruttoria (CdS, VI, n. 129/2006) (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 14.06.2010 n. 2512 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATATUTELA DEL PAESAGGIO E SANZIONI AMMINISTRATIVE.
1. Abusi - Sanzione pecuniaria - Zona soggetta a vincolo paesaggistico - Indennità ex art. 15, L. 1939/1947 - Natura - Effetti.
2. Sanzioni amministrative - Indennità ex art. 15, L. n. 1497/1939 - Natura sanzionatoria - Conseguenze.
3. Sanzioni amministrative - Presunzione di colpa - Sussiste - Buona fede - Esimente - Casi e ragioni.

1. Le misure sanzionatorie previste dall'art. 15, L. n. 1497/1939 prescindono dalla sussistenza di un danno ambientale; tale articolo, infatti, deve essere interpretato nel senso che l'indennità ivi prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincolo paesaggistico non costituisce un'ipotesi di risarcimento del danno ambientale, ma rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali (cioè nel caso di compromissione dell'integrità paesaggistica) sia in ipotesi di illeciti formali, come deve ritenersi nel caso della violazione dell'obbligo di conseguire l'autorizzazione preventiva a fronte di un intervento compatibile con il contesto paesaggistico oggetto della protezione (Cons. Stato, sez. IV, 12-03-2009 n. 1464; Cass., SS.UU., 10-03-2005 n. 5214; Cons. Stato, sez. VI, 13-05-2002 n. 2559; TAR Marche Ancona, sez. I, 13-03-2008 n. 197; TAR Piemonte, sez. I, 05-10-2002 n. 1575).
2. La natura sanzionatoria e non risarcitoria dell'indennità prevista dall'art. 15, L. n. 1497/1939 assume rilievo anche ai fini della prescrizione che, ai sensi della l. n. 698 del 1981, è quinquennale, come per ogni altra sanzione amministrativa, con la specificazione che, trattandosi di illecito permanente, il termine inizia a decorrere dalla cessazione della permanenza e, cioè, dal conseguimento dell'autorizzazione (Cons. Stato, sez. V, 13-07-2006 n. 4420; TAR Lazio Roma, sez. II, 27-02-2007 n. 1689).
3. Per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è necessaria e al tempo stesso sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa , giacché la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l'onere di provare di aver agito senza colpa.
Ne deriva che l'esimente della buona fede, applicabile anche all'illecito amministrativo disciplinato dalla L. n. 689/1981, rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa -al pari di quanto avviene per la responsabilità penale, in materia di contravvenzioni- solo quando sussistano elementi positivi idonei a ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso.
In particolare, nella valutazione concernente la sussistenza dell'esimente, il parametro di riferimento è costituito dall'uso della normale diligenza, salvo che non sussistano circostanze particolari riferite alle competenze, livello di istruzione, professionalità specifiche degli autori della violazione, tali da rendere pretendibile un livello di diligenza superiore (cfr. ex multis, Cass. Civ., sez. I, 28-04-2006 n. 9862; TAR Lazio Roma, sez. I, 24-06-2009 n. 6126; TAR Lazio Roma, sez. III, 02-02-2009 n. 938; Cass. Civ, sez. II, 06-11-2006 n. 23621; Cass. Civ, sez. I, 08-06-2006 n. 13416; Cass. Civ., sez. Trib., 04-07-2003 n. 10607; TAR Lazio Roma, sez. I, 03-03-2009 n. 2192) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. II, sentenza 04.06.2010 n. 2394 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACOMUNE VERSUS CIRCOLO PRIVATO.
1. Destinazione uso - Mutamento - Da civile abitazione ad uso commerciale - Insussistenza - Casi - Ragioni.
L'allocazione di un circolo privato in un fabbricato di civile abitazione non può, ove puntualmente comunicata alla competente autorità, valere a modificarne la specifica destinazione da uso abitativo privato ad uso commerciale. E infatti, una tale allocazione è volta all'utilizzo dell'immobile per l'esercizio di un'attività culturale e ricreativa che viene consentita ad un numero ristretto di persone.
E' ben vero che per il soggiorno di queste persone nell'edificio durante il lasso di tempo in cui si svolge la detta attività vengono allestiti di solito, e funzionano, servizi di bar e di ristorazione, ma tali servizi sono di ridotte dimensioni -in quanto riservati ai soci- e la loro esplicazione non vale ad imprimere all'edificio una destinazione di tipo commerciale quale quella a sede di bar e di ristorante. Una destinazione di questo secondo tipo, invero, presuppone che l'edificio abbia una particolare struttura e consistenza, sia dotato di particolari servizi e in esso si eserciti un'attività di tipo commerciale che si caratterizza per il fatto di rivolgersi alla collettività e comporta un regolato e pressoché continuo accesso all'edificio da parte di un pubblico indifferenziato (TAR Lombardia, Milano, II, 25-10-2002 n. 4200) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. II, sentenza 03.06.2010 n. 2380 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: Immobili costruiti abusivamente - Espropriazione per pubblica utilità - Concessione in sanatoria - Indennizzo - Disciplina applicabile - Limiti - Prova della legittimità della costruzione - Giurisprudenza.
In tema di espropriazione per pubblica utilità, gli immobili costruiti abusivamente non sono suscettibili di indennizzo, a meno che alla data dell'evento ablativo non risulti già rilasciata la concessione in sanatoria, - per cui non si applica nella liquidazione il criterio del valere venale complessivo dell'edificio e del suolo su cui il medesimo insiste, ma si valuta la sola area, si da evitare che l'abusività degli insediamenti possa concorrere anche indirettamente ad accrescere il valore del fondo (Cass., sez. 1^, 14/12/2007, n. 26260).
Per questa ragione si è precisato che, nel quadro della disciplina delle espropriazioni per la realizzazione del programma straordinario per le zone terremotate, la subordinazione dell'indennizzo per i manufatti sorgenti sui terreni espropriati, alla prova della legittimità della costruzione, stabilita dall'ordinanza del Commissario straordinario di governo per le zone terremotate, non contravviene alla legge, dalla quale, viceversa, è desumibile il principio per cui è necessario che l'immobile per il quale si reclama l'indennizzo in caso di esproprio, deve esser stato legittimamente realizzato, onde impedire che il proprietario possa trarre beneficio dalla sua illecita attività (Cass., sez. 1^, 9/04/2002, n. 5046, Cass., sez. 1^, 30/11/2006, n. 25523) (riforma sentenza n. 30/2008 della Giunta speciale per le espropriazioni presso la Corte d'appello di Napoli, depositata il 12/06/2003).
Procedura espropriativa - Risultanze dei registri catastali - Soggetto in contrasto con tali risultanze - Onere di dimostrare di essere l'effettivo proprietario.
La procedura espropriativa si svolge relativamente alle aree, e nei confronti dei soggetti che risultano proprietari, secondo le risultanze dei registri catastali, ma potendo la titolarità e la consistenza dei beni subire modifiche nel corso del tempo, il soggetto che, in contrasto con tali risultanze, chieda la determinazione dell'indennità, ha l'onere di dimostrare di essere l'effettivo proprietario (Cass., sez. 1^, 22/03/2007, n. 6980) (riforma sentenza n. 30/2008 della Giunta speciale per le espropriazioni presso la Corte d'appello di Napoli, depositata il 12/06/2003) (Corte di Cassazione, Sezz. unite civili, sentenza 14.05.2010 n. 11730 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVISENTENZA "VADEMECUM" PER L'ACCESSO AGLI ATTI: CHI, COME, QUANDO...
1. Giudizio amministrativo - Art. 25, L. n. 241/1990 - Impugnazione del diniego, espresso o tacito - Necessità - Sussiste.
2. Giudizio amministrativo - Art. 25, L. n. 241/1990 - Silenzio-rigetto - Ricorso - Inammissibilità - Casi e ragioni.
3. Atto amministrativo - Accesso ai documenti - Atto regolamentare - Dimostrazione di un oggettivo interesse - Necessità - Non sussiste.

1. Il procedimento disciplinato dall'art. 25, L. n. 241/1990, volto ad ottenere che il giudice ordini l'esibizione dei documenti alla p.A. che li ha formati o li detiene stabilmente, presuppone che l'interessato abbia presentato all'amministrazione una formale e motivata richiesta di accesso, e che questa sia rimasta inevasa nei termini previsti dalla legge o dal regolamento adottato dall'amministrazione in materia. Tanto è vero, che anche in caso di silenzio-rifiuto la giurisprudenza ritiene che il termine per ricorrere al TAR (30 giorni) decorra dalla data in cui si è formato il silenzio-rifiuto, e che si tratti di termine perentorio.
Ciò comprova che l'azione giurisdizionale dev'essere ineludibilmente preceduta dal diniego, espresso o tacito, opposto alla domanda formalmente presentata in via amministrativa (Cons. Stato, sez. V, 28-12-2007 n. 6782; TAR Umbria Perugia, sez. I, 28-07-2008 n. 432).
2. In materia di accesso agli atti amministrativi, l'istanza ostensiva, ai sensi dell'art. 24, co. 3, L. n. 241/1990, non deve essere uno strumento surrettizio di sindacato generalizzato sull'azione amministrativa ed i documenti oggetto dell'istanza devono essere già formati ed in possesso dell'Amministrazione.
Conseguentemente deve ritenersi inammissibile un ricorso avverso il silenzio-rigetto della p.A. in merito ad un'istanza di accesso agli atti nel caso in cui la domanda di accesso:
a) abbia un oggetto generico e indeterminato;
b) sia finalizzata ad un controllo generalizzato sull'operato dei destinatari dell'istanza;
c) per taluni profili non riguardi documenti esistenti, ma postuli una attività di elaborazione di dati;
d) ove si tratti di domanda di accesso presentata da una associazione di tutela dei consumatori, per buona parte del suo oggetto non evidenzi uno specifico interesse in relazione a reali o probabili lesioni degli interessi dei consumatori, ma miri, in una logica di sospetto, a ottenere dati per verificare la possibilità di violazioni; e) miri ad un controllo di tipo investigativo-preventivo (Cons. Stato, sez. VI, 02-04-2010 n. 1900; Cons. Stato, sez. VI, 10-02-2006 n. 555).
3. Nell'ipotesi di semplice domanda di produzione di un atto regolamentare, essendo esso fatto oggetto di idonea pubblicazione, lo stesso deve essere prodotto a chiunque ne faccia richiesta senza che, a tal fine, possa assumere alcun rilievo la disciplina relativa all'accesso e, quindi, anche alla dimostrazione di un oggettivo interesse alla produzione dell'atto, che deve essere consegnato in copia a chiunque e comunque ne faccia richiesta, salvo il versamento dei relativi oneri (Cons. Stato, sez. V, 05-09-2006 n. 5116) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Molise, sentenza 13.05.2010 n. 210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUsucapione della servitù avente ad oggetto il diritto di mantenere l'edificio a distanza inferiore a quella legale.
In materia di violazione delle distanze legali tra proprietà confinanti, deve ritenersi ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dalle norme del codice civile o da quelle dei regolamenti e degli strumenti urbanistici locali (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it - Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 22.02.2010 n. 4240).

EDILIZIA PRIVATANozione di costruzione.
Ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall'art. 873 c.c. o da norme regolamentari integrative, la nozione di «costruzione» comprende qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo (nella specie, si è ritenuto che integrasse la nozione di «costruzione», ai predetti fini, una baracca di zinco costituita solo da pilastri sorreggenti lamiere, priva di mura perimetrali ma dotata di copertura) (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it - Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 19.10.2009 n. 22127).

EDILIZIA PRIVATA: Il termine perentorio di 60 gg. -a disposizione della Soprintendenza per l'annullamento- decorre dalla ricezione dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata e della documentazione tecnico–amministrativa, sulla cui base il provvedimento è stato adottato; in caso di omessa o incompleta trasmissione di detta documentazione, il termine non decorre e la Soprintendenza legittimamente richiede gli atti mancanti.
La giurisprudenza (cfr., ex multis Cons. St. Sez. VI n. 4182 del 12.08.2002), muovendo dal pacifico orientamento del carattere perentorio del termine di 60 giorni, previsto per l’esercizio del potere di annullamento, ha ritenuto che tale termine decorra dalla ricezione da parte della Soprintendenza dell’autorizzazione rilasciata e della documentazione tecnico–amministrativa, sulla cui base il provvedimento è stato adottato; in caso di omessa o incompleta trasmissione di detta documentazione, il termine non decorre e la Soprintendenza legittimamente richiede gli atti mancanti.
Tale richiesta istruttoria può, quindi, essere effettuata nel solo caso di mancata trasmissione della documentazione, sulla cui base l’autorizzazione è stata rilasciata, e non di altra documentazione ritenuta utile dalla Soprintendenza.
Una volta che la documentazione acquisita nel procedimento conclusosi con il nulla osta regionale sia stata trasmessa in modo completo, unitamente ovviamente all’autorizzazione stessa, si deve ritenere che decorra il termine di 60 giorni per l’esercizio del potere di annullamento senza che lo stesso possa essere interrotto da richieste istruttorie, che risultano idonee ad interrompere il termine solo in caso di incompleta trasmissione della documentazione su cui l’ente regionale (o sub-delegato) si sia pronunciato.
Del resto, tale impostazione appare conforme alla natura di riesame di sola legittimità, e non di merito (confermato dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 9 del 14/12/2001), di cui al predetto potere di annullamento: se la Soprintendenza ritiene che l’autorizzazione è stata rilasciata in assenza della documentazione necessaria, potrà annullare l’atto, rilevando il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria, come evidenziato anche dal Tar.
Comunque, qualora l’autorità preposta al controllo ritenga di dover acquisire elementi ulteriori rispetto quelli posti alla base dell’autorizzazione, potrà acquisirli direttamente tramite un sopralluogo, o delegare tale acquisizione, tenendo però conto che tale richiesta non è idonea ad interrompere il termine perentorio di 60 giorni per la conclusione del procedimento, in quanto relativa a documenti diversi ed ulteriori, rispetto quelli acquisiti nel procedimento conclusosi con l’autorizzazione.
Ogni diversa interpretazione attribuirebbe alla suddetta autorità un potere, che potrebbe agevolmente essere sospeso indefinitamente con richieste di elementi integrativi, che condurrebbero al concreto risultato dell’elusione del termine perentorio.
Una siffatta elusione del termine perentorio finirebbe per porsi in contrasto con i principi affermati dalla Corte Costituzionale in materia di distribuzione legislativa, tra Stato e Regioni, dei poteri autorizzatori in ambito paesaggistico, alterando, attraverso un potere di annullamento in pratica esercitabile senza termine certo, quel principio di giusto equilibrio tra i poteri di varie autorità, valorizzato dal giudice delle leggi (cfr., Corte Cost., n. 359/1985, n. 153/1986, n. 302/1988 e n. 1112/1988) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 17.04.2009 n. 861 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIntegrazione dell'art. 873 C.C. da parte delle norme degli strumenti urbanistici sulle distanze.
Le prescrizioni dei piani regolatori generali e degli annessi regolamenti comunali edilizi, che disciplinano le distanze nelle costruzioni anche con riguardo ai confini, sono integrative del codice civile, sicché il giudice, in applicazione del principio iura novit curia, deve acquisirne diretta conoscenza d'ufficio, quando la violazione di queste sia dedotta dalla parte (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it - Corte di Cassazione, Sez. II civile, 02.02.2009, n. 2563).

EDILIZIA PRIVATAApplicazione dell'art. 9 D.M. 1444/1968.
L'art. 9, comma 1 n. 2, d.m. 02.04.1968 n. 1444 -emanato in forza dell'art. 41-quinquies l. 17.08.1942 n. 1150, aggiunto dall'art. 17 l. 06.08.1967 n. 765- in base al quale la distanza tra pareti finestrate di edifici frontisti non deve essere inferiore a dieci metri, si riferisce alle sole nuove edificazioni consentite in zone diverse dal centro storico (zona A), posto che in questo ultimo, dove vige il generale divieto di costruzioni "ex novo", la norma si limita a prescrivere che la distanza non sia inferiore a quella intercorrente tra i volumi edificati preesistenti (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it - Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 20.05.2008 n. 12767).

EDILIZIA PRIVATA L'art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 non distingue tra violazioni sostanziali –ossia produttive di un concreto danno ambientale per l’effettivo contrasto dell’intervento con i valori paesistici della zona– ed illeciti meramente formali, consistenti cioè nella mera inosservanza di obblighi come l’omessa acquisizione del prescritto nulla osta, e quindi non prevede come presupposto per l’irrogazione delle sanzioni l’esistenza di un vulnus materiale al paesaggio.
Il rilascio “ex post” dell’attestazione di compatibilità paesaggistica dei lavori con il contesto vincolato non estingue il potere di imporre il pagamento –a sanzione della violazione degli obblighi che gravano sul proprietario o detentore dei beni in zona di dichiarato interesse paesaggistico e ambientale– di una somma equivalente al maggior importo fra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la trasgressione.
Per “profitto conseguito” -in merito alla quantificazione della sanzione ex art. 167 d.lgs 42/2004- deve intendersi il vantaggio economico che il trasgressore ritrae dall’opera, a prescindere dal momento in cui interviene la scoperta o l’auto-denuncia ovvero dalla data di ultimazione, in quanto l’art. 167 ha funzione deterrente e punitiva, reagendo al semplice fatto formale dell’accertata inottemperanza all’obbligo previsto dalla legge, che impone di chiedere ed ottenere l’autorizzazione prima di eseguire le opere.

Il Collegio ha già statuito (sentenza 10/03/2005 n. 144) che la norma in commento -art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004- non distingue tra violazioni sostanziali –ossia produttive di un concreto danno ambientale per l’effettivo contrasto dell’intervento con i valori paesistici della zona– ed illeciti meramente formali, consistenti cioè nella mera inosservanza di obblighi come l’omessa acquisizione del prescritto nulla osta, e quindi non prevede come presupposto per l’irrogazione delle sanzioni l’esistenza di un vulnus materiale al paesaggio (TAR Campania Napoli, sez. IV – 11/11/2004 n. 16752; TAR Liguria, sez. I – 20/02/2004 n. 181): il fatto che le misure siano comminate indistintamente per qualsiasi tipo di trasgressione, anche formale, avvalora poi la linea interpretativa che assegna ad esse una funzione non solo ripristinatoria, ma anche deterrente.
Infatti, se l’ordinamento appresta un diverso e specifico strumento per il risarcimento del danno ambientale, ossia l’azione riparatoria di cui all’art. 18 della L. 08/07/1986 n. 349, da ciò si può desumere che la tutela del paesaggio, nel nostro sistema giuridico, è assicurata da misure prettamente ripristinatorie e riparatorie –quali appunto il risarcimento del danno ex art. 18 della L. 349/1986– e da misure prettamente sanzionatorie che hanno in via principale funzione deterrente, come le sanzioni di cui all’art. 167 del D. Lgs. 42/2004, le quali, per la loro diversa funzione e finalità, ben possono concorrere tra loro (Consiglio di Stato, sez. VI – 02/06/2000 n. 3184).
Dunque la sanzione amministrativa è applicabile anche nelle ipotesi di illeciti formali, come nel caso di violazione dell’obbligo di conseguire l’autorizzazione preventiva a fronte di un intervento riconosciuto compatibile col contesto paesistico oggetto di protezione (cfr. di recente, Consiglio di Stato, sez. VI – 28/7/2006 n. 4690).
In definitiva è pacifico in giurisprudenza che il rilascio “ex post” dell’attestazione di compatibilità dei lavori con il contesto vincolato non estingue il potere di imporre il pagamento –a sanzione della violazione degli obblighi che gravano sul proprietario o detentore dei beni in zona di dichiarato interesse paesaggistico e ambientale– di una somma equivalente al maggior importo fra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la trasgressione (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. VI – 06/04/2007 n. 1565).
Peraltro l’art. 83 della L.r. 12/2005 –rubricato “sanzioni amministrative a tutela del paesaggio”– dispone al comma 1 che “L'applicazione della sanzione pecuniaria, prevista dall'articolo 167 del D.Lgs. n. 42/2004, in alternativa alla rimessione in pristino, è obbligatoria anche nell'ipotesi di assenza di danno ambientale e, in tal caso, deve essere quantificata in relazione al profitto conseguito e, comunque, in misura non inferiore a cinquecento euro”.
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Pare anzitutto evidente che un manufatto interrato (box) di 1.300 mq. –compiuto in zona sottoposta a vincolo paesaggistico– non deve essere apprezzato soltanto come opera in sé, isolata dall’ambiente in cui è inserita, ma in relazione all’uso cui è destinata: un parcheggio di pertinenza di un ampio complesso immobiliare è idoneo ad incidere sensibilmente sull’assetto circostante, a causa del movimento dei numerosi veicoli che vi accedono. Il notevole flusso di mezzi in ingresso e in uscita non può ritenersi privo di impatto sull’ambiente e sui suoi connotati, per cui si rivela incongruo il tentativo di segmentare un intervento edilizio unitario nella parte visibile e in quella non visibile, dal momento che le norme di tutela del paesaggio perseguono la finalità di salvaguardare i valori paesaggistici da ogni alterazione o trasformazione rilevante suscettibile di provocare loro un pregiudizio.
Del resto non è possibile invertire l’ordine logico imposto dal legislatore e fondare ex post sulla certificazione di assenza di danno ambientale l’esonero dall’obbligo di una preventiva valutazione paesaggistica.
Il Comune ha calcolato la differenza tra il valore venale dell’opera conclusa ed il costo per la sua realizzazione, stimando un profitto di 55 € al mq., di poco inferiore al 10% del valore venale del parcheggio.
Il criterio adottato risulta attendibile, in quanto prende in considerazione l’operazione compiuta e valorizza i ricavi procurati e i costi sostenuti per determinare il dato economico previsto dal legislatore. Osserva il Collegio che la congruità delle cifre stimate dall’amministrazione non è stata in alcun modo contestata dalla Società ricorrente, che ha solo genericamente dedotto un difetto di istruttoria.
Fuorviante appare la pretesa della ricorrente di applicare un metodo che delimita il profitto degno di apprezzamento al periodo compreso tra il compimento della trasgressione e l’ottenimento del titolo in sanatoria. Va ribadito anzitutto che l’autorizzazione in sanatoria non costituisce un “equipollente perfetto” dell’autorizzazione preventiva, poiché la commissione dell’illecito abilita l’amministrazione a valutare la consistenza del pregiudizio ambientale e se sia il caso di disporre la demolizione dell’opera abusiva, ovvero di comminare la sanzione equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione (Consiglio di Stato, sez. VI – 22/09/2006 n. 5574).
In secondo luogo la ricostruzione proposta darebbe luogo ad irragionevoli disparità di trattamento, dato che gli interventi più complessi e di maggiore impatto –che richiedono tempi di realizzazione più ampi– ove venisse rilasciata la certificazione di assenza di danno ambientale difficilmente verrebbero sanzionati in quanto non ancora ultimati in quel momento; viceversa risulterebbero unicamente colpiti gli interventi più modesti, che si concludono in breve tempo e permettono di ottenere celermente dall’opera le proprie utilità. Addirittura si offrirebbe ai trasgressori la possibilità di raggiungere lo stadio immediatamente antecedente alla conclusione dell’intervento, nella certezza dell’immunità dalla sanzione pecuniaria.
E’ evidente dunque che per “profitto conseguito” deve intendersi il vantaggio economico che il trasgressore ritrae dall’opera, a prescindere dal momento in cui interviene la scoperta o l’auto-denuncia ovvero dalla data di ultimazione, in quanto l’art. 167 del D.Lgs. 42/2004 ha funzione deterrente e punitiva, reagendo al semplice fatto formale dell’accertata inottemperanza all’obbligo previsto dalla legge, che impone di chiedere ed ottenere l’autorizzazione prima di eseguire le opere (cfr. Corte di Cassazione, sez. unite civili – 10/08/1996 n. 7403; 18/05/1995 n. 5473; TAR Sicilia Catania, sez. I – 8/32004 n. 542).
Il calcolo effettuato dal Comune appare corretto anche alla luce del D.M. 26/09/1997 –emanato dal Ministro per i beni culturali e ambientali, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici in materia di condono nelle zone sottoposte a vincolo– ove si qualifica quale “profitto” la differenza tra il valore dell’opera realizzata ed i costi sostenuti per l’esecuzione della stessa, alla data di effettuazione delle perizia (art. 2) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 18.04.2008 n. 388 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADistanza dalle strade.
(...) detto divieto di edificazione non preclude, di norma, il recupero di edifici esistenti entro le fasce in oggetto; in difetto di specifici divieti stabiliti dalla disciplina edificatoria comunale (PRG o Regolamento edilizio), il recupero può considerarsi quindi ammissibile, anche eventualmente spinto ai limiti estremi della ristrutturazione integrale da cui deriva un edificio completamente diverso, purché venga accertato, in sede istruttoria, che il nuovo edificio non rechi, rispetto alla situazione preesistente, pregiudizi maggiori alle esigenze di tutela sopra indicate (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it -
TAR Lombardia-Brescia, sentenza 07.04.2008 n. 357 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo l’articolo 167, comma 5, del decreto legislativo n. 42/2004, qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate in assenza della prescritta autorizzazione, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione, il cui importo è determinato previa perizia di stima, e che il pagamento di tale somma costituisce una sanzione amministrativa pecuniaria che prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale, al pari della indennità risarcitoria prevista dalla previgente disposizione dell’articolo 15 della legge n. 1497/1939.
La valutazione del danno ambientale non può essere oggetto di una analitica dimostrazione, trattandosi di un danno che sfugge ad un’indagine dettagliata e minuta, sicché tale valutazione può essere censurata solo per manifesta illogicità.
Si deve rammentare che, secondo l’articolo 167, comma 5, del decreto legislativo n. 42/2004, qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate in assenza della prescritta autorizzazione, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione, il cui importo è determinato previa perizia di stima, e che il pagamento di tale somma - secondo la giurisprudenza -(ex multis, TAR Campania Napoli, Sez. IV, 11.11.2004, n. 16752)- costituisce una sanzione amministrativa pecuniaria che prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale, al pari della indennità risarcitoria prevista dalla previgente disposizione dell’articolo 15 della legge n. 1497/1939 (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 02.06.2000, n. 3184).
Inoltre occorre rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 27.02.2007, n. 1751; TAR Veneto Venezia, Sez. II, 29.11.2006, n. 3925), la sanzione pecuniaria de qua deve essere applicata anche in caso di condono edilizio di opere abusive realizzate in zone vincolate per le quali l’Autorità preposta alla tutela del vincolo abbia espresso parere favorevole alla sanatoria, ai sensi dell’articolo 32 della legge n. 47/1985.
Del resto tale assunto trova conferma nella disposizione dell’articolo 2, comma 46, della legge n. 662/1996 -secondo il quale per le opere eseguite in aree sottoposte a vincoli paesistici il versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità risarcitoria prevista dall’articolo 15 della legge n. 1497/1939- anche se non si registra unanimità di vedute in merito alla natura innovativa o meramente interpretativa di tale disposizione.
Infatti, secondo la giurisprudenza invocata dal ricorrente (Cons. Stato, Sez. IV, 30.06.2003, n. 3931) solo con la disposizione dell’articolo 2, comma 46, della legge n. 662/1996 è stato affermato che l’inapplicabilità, a seguito di condono edilizio, delle sanzioni amministrative (inapplicabilità sancita in termini generali dall’articolo 38 della legge n. 47/1985) non si estende alle sanzioni in materia paesistica, sicché per le fattispecie realizzatesi prima dell’entrata in vigore di tale disposizione deve, al contrario, ritenersi che il rilascio della concessione in sanatoria comporti la piena regolarizzazione dell’abuso.
Invece secondo l’orientamento che risulta maggioritario (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 04.02.2004, n. 395; 06.10.2003, n. 5875; 05.08.2003, n. 4481), invocato dal Comune di Vico Equense, dal tenore letterale della disposizione in esame si desume che essa ha natura meramente interpretativa dell’articolo 38 della legge n. 47/1985 e, quindi, si applica anche alle fattispecie realizzatesi prima della sua entrata in vigore.
Ulteriori contrasti interpretativi sono poi sorti con riferimento all’individuazione del termine dal quale inizia a decorrere il termine di prescrizione quinquennale previsto dall’articolo 28 della legge n. 689/1981 (secondo il quale “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”), generalmente ritenuto applicabile anche alla sanzione amministrativa di cui all’articolo 167, comma 5, del decreto legislativo n. 42/2004.
Secondo parte della giurisprudenza tale termine inizia a decorrere dal momento in cui cessa la permanenza dell’illecito, che da taluno (TAR Basilicata Potenza, 19.09.2003, n. 888) è stato individuato nel momento in cui l’Autorità preposta alla tutela del vincolo esprime parere favorevole al mantenimento dell’opera abusiva, mentre secondo altri (TAR Toscana Firenze, Sez. III, 11.08.2005, n. 4017) coincide con l’accertamento dell’illecito, accertamento che può avvenire d’ufficio ovvero in esito al procedimento di sanatoria edilizia, anche perché ragionando diversamente si perverrebbe ad affermare che anche dopo il rilascio della concessione in sanatoria l’immobile possa essere demolito in quanto non compatibile con gli interessi ambientali, e ciò si porrebbe in contraddizione logica con il rilascio del titolo a sanatoria che a sua volta presuppone la compatibilità ambientale dell’opera.
A fronte di tali orientamenti, la prevalente giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 11.04.2007, n. 1585; 15.11.2004, n. 7405; 04.02.2004, n. 395) afferma invece che, ai fini di una corretta ricostruzione dei rapporti tra la fattispecie dell’articolo 28 della legge n. 689/1981 e quella dell’articolo 167, comma 5, del decreto legislativo n. 42/2004, si deve partire dal presupposto che il potere sanzionatorio previsto da quest’ultima disposizione ha natura autoritativa e, quindi, non può estinguersi per prescrizione.
Infatti solo un’espressa previsione normativa potrebbe fissare un termine di decadenza, ad esempio decorrente dalla data di accertamento dell’illecito ambientale, ma una norma di tal genere attualmente non esiste.
Inoltre, secondo questo orientamento, il credito dell’Amministrazione non sorge al momento della realizzazione dell’opera abusiva in zona sottoposta a vincolo, ma solo al momento del perfezionamento di una fattispecie complessa costituita dall’accertamento dell’illecito ambientale e dalla conclusione dello specifico subprocedimento di quantificazione della sanzione da irrogare per tale illecito. Pertanto prima della conclusione di tale subprocedimento non sono configurabili né l’inadempimento del trasgressore, né l’inerzia dell’Amministrazione, non potendo essere versata o riscossa una somma per la cui quantificazione non si è ancora concluso l’apposito procedimento previsto dalla legge.
Secondo la prevalente giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, n. 1585/2007 cit.), non è quindi corretto affermare che la prescrizione inizia a decorrere dalla data del rilascio del parere favorevole al condono di cui all’articolo 32 della legge n. 47/1985, sul presupposto che in tale momento venga a cessare la permanenza dell’illecito ambientale.
Infatti, se è vero che tale illecito ha natura permanente, è altrettanto vero che lo stesso è caratterizzato dall’omissione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare lo stato dei luoghi e, quindi, il provvedimento repressivo di tale illecito (di demolizione ovvero di irrogazione della sanzione pecuniaria) non può comunque intendersi emanato a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, perché è volto a sanzionare una situazione antigiuridica ancora persistente.
Inoltre quanto precede trova conferma nella già citata disposizione dell’articolo 2, comma 46, della legge n. 662/1996, secondo la quale il pagamento dell’oblazione prevista dalle leggi sul condono edilizio non fa venir meno il potere sanzionatorio previsto dall’articolo 167, comma 5, del decreto legislativo n. 42/2004, perché tale disposizione chiarisce che le sanzioni in materia edilizia e quelle in materia ambientale hanno finalità diverse.
Tali considerazioni rivelano inoltre l’insostenibilità della tesi secondo la quale la prescrizione inizia a decorrere dal momento del rilascio della concessione in sanatoria. Del resto la giurisprudenza, affrontando il tema dei rapporti tra la sanzione di cui all’articolo 15 della legge n. 1497/1939 ed il condono edilizio (TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 27.02.2007, n. 1751), ha ribadito che l’applicazione di tale sanzione, prescindendo dalla sussistenza di un danno ambientale, non è preclusa dalla sanatoria dell’abuso realizzato in zona vincolata ed ha precisato che tale affermazione non è affatto contraddittoria. Infatti se è vero che il condono edilizio consente la sanatoria di abusi edilizi relativi a immobili sottoposti a vincolo, è anche vero che la sanatoria riguarda soltanto gli abusi edilizi e non si estende agli illeciti paesistici.
Infine, quanto al procedimento mediante il quale deve essere determinato l’importo della sanzione da irrogare ai sensi dell’articolo 167, comma 5, del decreto legislativo n. 42/2004, si deve rammentare che, in materia di condono edilizio, l’articolo 2, comma 46, della legge n. 662/1996 (come modificato, dall’articolo 10, comma 5-ter, del decreto legge n. 669/1996, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 30/1997) ha previsto l’emanazione di un apposito decreto interministeriale per la determinazione dei parametri e delle modalità per la quantificazione della indennità risarcitoria prevista dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, con riferimento alle singole tipologie di abuso ed alle zone territoriali oggetto del vincolo.
Sulla base di tale previsione è stato quindi emanato dal Ministro per i beni culturali e ambientali, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, il D.M. 26.09.1997, il cui articolo 2 dispone che l’indennità risarcitoria in questione sia “determinata previa apposita perizia di valutazione del danno causato dall’intervento abusivo in rapporto alle caratteristiche del territorio vincolato ed alla normativa di tutela vigente sull’area interessata, nonché mediante la stima del profitto conseguito dalla esecuzione delle opere abusive”, fermo restando che “in via generale è qualificato quale profitto la differenza tra il valore dell’opera realizzata ed i costi sostenuti per la esecuzione della stessa, alla data di effettuazione delle perizia” e che ulteriori e più specifici criteri per la determinazione del profitto conseguito sono individuati dal successivo articolo 3.
Ciò posto, la giurisprudenza (TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 16752/2004 cit.) ha comunque ribadito che la valutazione del danno ambientale non può essere oggetto di una analitica dimostrazione, trattandosi di un danno che sfugge ad un’indagine dettagliata e minuta, sicché tale valutazione può essere censurata solo per manifesta illogicità (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 04.04.2008 n. 1881 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl diniego di nulla-osta ambientale deve essere assistito da un apparato motivazionale che, sia pure in forma sintetica, dia conto di quelle esigenze ed esplichi in concreto i motivi per i quali la costruzione, per le sue caratteristiche architettoniche ed estetiche, viene giudicata pregiudizievole dell’integrità del contesto ambientale in cui si inserisce e, con essa, degli specifici interessi pubblici alla cui tutela il vincolo è inteso.
Com’è noto, il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, previsto dall’art. 32 della legge n. 47/1985, costituisce manifestazione di discrezionalità tecnica che, in quanto tale, deve recare l’indicazione delle ragioni assunte a fondamento della ritenuta compatibilità o incompatibilità di un dato intervento edilizio con le esigenze di tutela paesistica sottese all’imposizione del vincolo stesso.
Ne discende che il diniego di nulla osta deve essere assistito da un apparato motivazionale che, sia pure in forma sintetica, dia conto di quelle esigenze ed esplichi in concreto i motivi per i quali la costruzione, per le sue caratteristiche architettoniche ed estetiche, viene giudicata pregiudizievole dell’integrità del contesto ambientale in cui si inserisce e, con essa, degli specifici interessi pubblici alla cui tutela il vincolo è inteso (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 14.03.2008 n. 295 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa valutazione di tutela paesaggistica ai fini di un diniego edificatorio costituisce un giudizio, connotato da ampia discrezionalità tecnica da parte dell’organo amministrativo competente alla tutela del paesaggio, che, se non viziata da irragionevolezza o arbitrarietà, errori o travisamento di fatto, si sottrae al sindacato del Giudice amministrativo.
Il giudizio demandato dalla legge alla Commissione per la tutela del paesaggio implica una tipica valutazione di merito, intesa, in senso tecnico, come valutazione fondata su determinate scelte di valore, essendo detto organo tecnico chiamato ad individuare in una situazione concreta una certa misura di valore, non ad effettuare apprezzamenti discrezionali, al fine di scegliere, tra contrapposti interessi pubblici e privati, quello che debba ritenersi prevalente secondo un ordine di priorità già stabilito dall'ordinamento.

La valutazione di tutela paesaggistica ai fini di un diniego edificatorio costituisce un giudizio, connotato da ampia discrezionalità tecnica da parte dell’organo amministrativo competente alla tutela del paesaggio, che, se non viziata da irragionevolezza o arbitrarietà, errori o travisamento di fatto, si sottrae al sindacato del Giudice amministrativo.
Questo Tribunale condivide, infatti, quell'indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale "la tutela del paesaggio é interesse prevalente su qualunque altro interesse pubblico e privato, che non richiede alcuna comparazione con l'interesse del privato che abbia già dato avvio ad una costruzione in zona che l'amministrazione intende sottoporre a vincolo paesaggistico” (Cons. St. sez. VI 27.10.1988, n. 1179; cfr anche: sez. VI 29.03.1983 n. 162, per la quale non é contestabile in sede di legittimità la valutazione discrezionale dell'amministrazione in ordine all'incidenza della costruzione abusiva sul paesaggio).
Appare, invero, opportuno ribadire che, secondo un orientamento giurisprudenziale da tempo consolidato, il giudizio demandato dalla legge alla Commissione per la tutela del paesaggio, implica una tipica valutazione di merito, intesa, in senso tecnico, come valutazione fondata su determinate scelte di valore, essendo detto organo tecnico chiamato ad individuare in una situazione concreta una certa misura di valore, non ad effettuare apprezzamenti discrezionali, al fine di scegliere, tra contrapposti interessi pubblici e privati, quello che debba ritenersi prevalente secondo un ordine di priorità già stabilito dall'ordinamento (TRGA Bolzano, n. 155/1996 del 06.05.1996.
Il richiamo, nel diniego contestato, alle notevoli dimensioni dei progettatati edifici, nonché alla costruzione ex novo di una strada in ambiente paesaggisticamente pregevole, configura una motivazione sufficiente, non viziata da irragionevolezza o arbitrarietà e, quindi, con riferimento alla giurisprudenza citata, non sindacabile da questo Giudice (TRGA Trentino Alto Adige-Bolzano, sentenza 21.12.2007 n. 394 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANozione di parete finestrata e distanza tra fabbricati.
In tema di distanze tra le costruzioni, l'art. 9 n. 2 d.m. 02.04.1968 n. 1444 prescrive, con disposizione tassativa ed inderogabile, la distanza minima assoluta di 10 metri tra i fabbricati anche nel caso in cui solo una delle pareti antistanti risulti finestrata e non entrambe (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it - Corte di Cassazione, Sez. II civile, 26.10.2007 n. 22495).

EDILIZIA PRIVATANon costituisce volume un fabbricato che non presenta una muratura perimetrale che ne contenga la superficie, risultando chiuso solo su due lati.
Non costituisce volume un fabbricato che non presenta una muratura perimetrale che ne contenga la superficie, risultando chiuso solo su due lati, onde in nessun caso ricorre l’ipotesi di un volume recuperabile, attraverso la sostituzione dell’originario volume agricolo con un volume residenziale, come assentito nel permesso impugnato
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 05.09.2007 n. 4652 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE PROGETTUALISussiste l’incompetenza professionale di un geometra quale titolare del progetto assentito che vede la realizzazione di un’opera in cemento armato di non modeste dimensioni, prevedendo la realizzazione complessiva di un volume pari a circa 2.000 mc..
La finalità dell’art. 16 r.d. 11.02.1929 n. 274 (che prevede la competenza dei geometri solo per i progetti riguardanti modeste costruzioni) è quella di evitare il pericolo per l’incolumità delle persone.
Non possono rientrare nella competenza dei geometri opere di cemento armato che non siano piccole costruzioni accessorie e ciò anche quando il calcolo del cemento armato sia stato affidato ad un ingegnare o ad un architetto.

Al riguardo, la Sezione non ritiene di doversi distaccare dall’orientamento anche recente assunto in materia dalla Cassazione la quale, ribadendo che la finalità dell’art. 16 r.d. 11.02.1929 n. 274 è quella di evitare il pericolo per l’incolumità delle persone, ha escluso che possano rientrare nella competenza dei geometri opere di cemento armato che non siano piccole costruzioni accessorie (Sez. II n. 27441 del 21/12/2006; n. 17028 del 26/07/2006) e ciò anche quando il calcolo del cemento armato sia stato affidato ad un ingegnare o ad un architetto.
Pertanto, sussiste l’incompetenza professionale di un geometra quale titolare del progetto assentito che vede la realizzazione di un’opera in cemento armato di non modeste dimensioni, prevedendo la realizzazione complessiva di un volume pari a circa 2.000 mc.
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 05.09.2007 n. 4652 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASuccessione degli strumenti urbanistici.
In caso di successione nel tempo di norme edilizie, la nuova disciplina, se meno restrittiva, è applicabile anche alle costruzioni realizzate prima della sua entrata in vigore, con l'unico limite dell'eventuale giudicato formatosi nella controversia sulla legittimità della costruzione stessa, onde la illegittimità dell'eventuale ordine di demolizione degli edifici originariamente illeciti alla stregua delle precedenti norme, nei limiti in cui siano consentiti dalla normativa sopravvenuta (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it - Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza 02.03.2007 n. 4980).

COMPETENZE PROGETTUALILa linea di demarcazione tra la competenza dei geometri e le attribuzioni riservate alla professione di ingegnere è costituita dalla modesta o tenuità dell’opera, essendo preclusa al geometra la realizzazione di un complesso di lavori che richiede una visione d’insieme e di carattere programmatorio complessivo.
Sono legittimi i lavori comunali affidati ad un geometra che consistono nella manutenzione e risistemazione delle pavimentazioni di alcuni tratti del piazzale e del piccolo edificio interno della struttura mercatale

Questo TAR ha già osservato (sentenza della prima sezione n. 777 del 2004) che la linea di demarcazione tra la competenza dei geometri e le attribuzioni riservate alla professione di ingegnere è costituita, ove non sia prevista un’esclusiva a favore di questi ultimi professionisti, dalla modesta o tenuità dell’opera, essendo preclusa al geometra la realizzazione di un complesso di lavori che richiede una visione d’insieme e di carattere programmatorio complessivo.
Sono legittimi i lavori comunali affidati ad un geometra che consistono nella manutenzione e risistemazione delle pavimentazioni di alcuni tratti del piazzale e del piccolo edificio interno della struttura mercatale, poiché non è dato ravvisare quella complessità e difficoltà di programmazione e realizzazione che presuppone, con la necessità di affrontare difficoltà non facilmente superabili, la professionalità dell’ingegnere (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 28.02.2007 n. 852 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANozione di costruzione.
Ai fini dell'individuazione della tipologia di un intervento edilizio, il concetto di sopraelevazione si differenzia da quello di mero innalzamento, dovendosi considerare che quest'ultimo, specie se modesto ed inidoneo a determinare un incremento volumetrico, può risultare compatibile con la nozione di ristrutturazione, mentre non altrettanto può affermarsi nel caso di una sopraelevazione che sia inscindibilmente connessa all'incremento volumetrico in ragione di un rapporto di causa ed effetto e che sia quindi diretta all'accrescimento della cubatura di un fabbricato (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it -
TAR Liguria, Sez. I, sentenza 19.12.2006 n. 1711 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANozione di costruzione e distanze legali tra fabbricati.
In tema di distanze tra costruzioni su fondi finitimi, ai sensi dell'art. 873 c.c., con riferimento alla determinazione del relativo calcolo, poiché il balcone, estendendo in superficie il volume edificatorio, costituisce corpo di fabbrica, e poiché l'art. 9 d.m. 02.04.1968 -applicabile alla fattispecie, disciplinata dalla legge urbanistica 17.08.1942 n. 1150, come modificata dalla l. 06.08.1967 n. 765- stabilisce la distanza minima di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga conto dell'estensione del balcone, è contra legem in quanto, sottraendo dal calcolo della distanza l'estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra fabbricati inferiore a mt. 10, violando il distacco voluto dalla cd. legge ponte (l. 06.08.1967 n. 765, che, con l'art. 17, ha aggiunto alla legge urbanistica 17.08.1942 n. 1150 l'art. 41-quinquies, il cui comma non fa rinvio al d.m. 02.047.1968, che all'art. 9, numero 2, ha prescritto il predetto limite di mt. 10) (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it - Corte di Cassazione, Sez II civile, sentenza 27.07.2006 n. 17089).

EDILIZIA PRIVATASostituzione automatica delle norme degli strumenti urbanistici difformi dall'art. 9 D.M. 1444/1968.
Poiché l'art. 136 t.u. 06.06.2001 n. 380, nell'abrogare (con effetto ex nunc) l'art. 17, comma 1, lett. c, delle legge n. 765 del 1967, ha lasciato in vigore i commi 6, 8, 9, dell'art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, gli strumenti urbanistici locali devono osservare la prescrizione di cui all'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che prevede la distanza minima inderogabile di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; pertanto, nel caso di norme contrastanti, il giudice è tenuto ad applicare la disposizione di cui al citato art. 9, in quanto automaticamente inserita nello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it - Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 29.05.2006 n. 12741).

EDILIZIA PRIVATANozione di costruzione e distanze legali.
In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it - Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 10.01.2006 n. 145).

EDILIZIA PRIVATADistanza dalle strade.
Le fasce di rispetto stradale previste dalle norme poste dal c. strad. non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità delle aree interessate (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.10.2000 n. 5620 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADistanza dai corsi d'acqua.
Il divieto di cui all'art. 96, lett. g), r.d. 25.07.1904, n. 523 (t.u. delle leggi sulle opere idrauliche) appare riferito ad opere e atti che investono gli alvei delle acque pubbliche, le sponde e difese, e cioè lo spazio soggiacente alle piene ordinarie, le sponde e le ripe interne, formanti con l'alveo del corso d'acqua una unità inscindibile per il contenimento e l'economia di scorrimento delle acque, o, comunque, le opere e i fatti che incidano sull'economia e sul regime dell'alveo del corso d'acqua, come sopra definito.
Ciò è confermato dalle disposizioni degli artt. 57 e 58 stesso t.u., le quali -mentre assoggettano al controllo della pubblica amministrazione "i progetti per modificazioni di argini e per costruzioni e modificazioni di altre opere di qualsiasi genere che possono direttamente o indirettamente influire sul regime dei corsi d'acqua, ecc." (art. 57)- consentono una eccezione per "le opere eseguite dai privati per semplice difesa, aderente alle sponde dei loro beni, che non alterino in alcun modo il regime dell'alveo" (art. 58) (nella specie, relativa ad annullamento senza rinvio di sentenza di condanna perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, l'imputato, per riparare le vasche di decantazione dell'acqua proveniente dal lavaggio degli inerti (ghiaia e sabbia), aveva rialzato l'argine del fiume (operando peraltro sulla sua proprietà), e ciò non solo non aveva cagionato alcun pregiudizio all'ambiente e al paesaggio, ma aveva rinforzato l'argine del fiume, senza incidere sul regime dell'alveo e sul suo assetto) (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.03.1994).

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