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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di GIUGNO 2010

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aggiornamento al 30.06.2010

aggiornamento al 28.06.2010

aggiornamento al 22.06.2010

aggiornamento al 21.06.2010

aggiornamento al 14.06.2010

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aggiornamento al 03.06.2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 30.06.2010

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NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

APPALTI: Controlli antimafia preventivi nelle attività "a rischio" di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali (Ministro dell'Interno, nota 23.06.2010 n. 4610 di prot.).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 26 del 29.06.2010, "Pubblicazione ai sensi dell’art. 5 del regolamento regionale 21.01.2000, n. 1, dell’elenco dei «Tecnici competenti» in acustica ambientale riconosciuti dalla Regione Lombardia alla data del 10.06.2010, in attuazione dell’art. 2, commi 6 e 7 della legge 26.10.1995, n. 447, della deliberazione 17.05.2006, n. 8/2561 e del decreto 30.05.2006, n. 5985" (comunicato regionale 24.06.2010 n. 81 - link a www.infopoint.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: D.L. 78/2010: il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti nel triennio 2001-2013 (CGIL-FP di Bergamo, nota 26.06.2010).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: D.L. 78/2010: 400 mila posti in meno nei prossimi tre anni nella pubblica amministrazione (CGIL-FP di Bergamo, nota 26.06.2010).

DOTTRINA  E CONTRIBUTI

ENTI LOCALI: P. Russo e M. I. Bruno, Debiti fuori bilancio: nuovi profili di responsabilità per danno erariale (link a www.altalex.com).

NEWS

APPALTI: QUESTION-TIME del 23.06.2010 alla Camera dei Deputati sul Regolamento di esecuzione del codice dei contratti.
(Interrogazione parlamentare sulla "Recente approvazione del regolamento di esecuzione del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture - n. 3-01139").
Il testo dell'interrogazione:
"Il Consiglio dei ministri del 18 giugno scorso ha approvato un regolamento che contiene la disciplina esecutiva ed attuativa del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Con tale approvazione il provvedimento termina un lungo iter istruttorio che lo ha sottoposto a pareri molteplici del Consiglio di Stato, della Conferenza unificata e dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. In considerazione di quanto sopra
quali sono i fattori innovativi del provvedimento e in quale arco temporale lo stesso sarà concretamente operativo?"
Risposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Altero Matteoli:
"Con l'approvazione definitiva da parte del Governo del regolamento di attuazione del codice dei contratti pubblici di lavoro e forniture le innumerevoli disposizioni normative di rango regolamentare in materia sono racchiuse in un unico testo (fino ad oggi erano sparse in una miriade di testi).
Si tratta di un provvedimento dalla portata innovativa, atteso dagli operatori economici, i quali ora potranno avvalersi di un valido strumento di supporto che mira a rendere più trasparenti le procedure d'appalto, più efficienti i controlli e le verifiche delle varie fasi progettuali e di cantiere, e che riordina e semplifica l'intera normativa di settore armonizzandola con quella comunitaria, anche allo scopo di favorire la concorrenza negli appalti.
Ricordo solo le innovazioni maggiormente significative.
In primo luogo, ricordo, fra tutte, le disposizioni relative al responsabile del procedimento dei lavori il quale deve essere un tecnico, in servizio presso le amministrazioni aggiudicatrici, con idonea professionalità.
Il nuovo regolamento, inoltre, disciplina, per la prima volta, in maniera organica, la materia della verifica del progetto dettando disposizioni atte ad accertare la rispondenza della progettazione ad una serie di requisiti che ne garantiscano l'appaltabilità e la conseguente realizzazione rispetto ai tempi, ai costi, alla qualità e alla sicurezza, con la minimizzazione dei rischi derivanti dall'introduzione di varianti e sospensioni anche in termini di contenzioso.
Considerato, poi, il primato comunitario dell'Italia relativo al contenzioso, spesso riconducibile a problemi progettuali, si tratta di norme che si auspica possano inaugurare un circolo virtuoso: più qualità progettuale, più opere di qualità, meno contenzioso.
Nell'ambito del sistema di qualificazione SOA sono previste disposizioni tese, nel loro insieme, a perseguire una maggiore trasparenza e qualità nel mercato degli operatori economici esecutori di lavori pubblici, anche attraverso l'introduzione di norme moralizzatrici e di un più rigoroso sistema di vigilanza da parte delle autorità.
Attraverso la regolamentazione del sistema di garanzia globale di esecuzione diviene operativo, per la prima volta, nel nostro ordinamento, uno strumento a garanzia dell'effettiva realizzazione dell'opera pubblica secondo procedure assicurative già consolidate in altri Paesi europei, svolgendo una funzione di selezione qualitativa delle imprese.
È importante sottolineare che nel settore dei servizi è stata introdotta, in modo inedito, la disciplina della finanza di progetto con procedure semplificate che consentiranno di attivare risorse private per la prestazione di pubblici servizi.
Per quanto attiene all'operatività temporale del regolamento, questo entrerà in vigore 180 giorni dopo la data di pubblicazione, fatte salve le disposizioni relative alle sanzioni alle imprese e alla SOA che, invece, entrano in vigore il giorno successivo alla pubblicazione".

Roma, Camera dei Deputati, 23.06.2010 (link a www.giurdanella.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZI: Il singolo comune può bandire isolatamente la propria procedura ad evidenza pubblica di affidamento del servizio distribuzione gas naturale anche in assenza della previa identificazione dei bacini ottimali di utenza.
Con la sentenza in rassegna il Consiglio di Stato ha risolto una controversia tra tre società e un comune veneto in merito agli atti di gara per l’affidamento del servizio distribuzione gas naturale nel territorio dello stesso.
Tra le numerose censure dedotte in questa complessa vicenda le società avevano rimarcato, soprattutto, la violazione dell’art. 46-bis D.L. 01.10.2007 n. 159 (convertito dalla L. 29.11.2007 n. 222), come modificato dall’art. 2, comma 175, L. 24.12.2007 n. 244, sul presupposto che l’Amministrazione non avrebbe potuto indire la gara per l’affidamento del servizio senza previa individuazione dei criteri di gara e di valutazione delle offerte, nonché degli ambiti territoriali ottimali di utenza da parte dei Ministri dello sviluppo economico e per gli affari regionali, sentita la Conferenza unificata e su parere dell’Autorità per l’energia elettrica.
Ma tale tesi, secondo i giudici d’appello, è infondata sotto molteplici aspetti: invero, la stessa sezione ha già evidenziato, con orientamento che è condiviso dai giudici in causa, che dalle menzionate disposizioni non può desumersi l’introduzione di una moratoria sine die delle procedure di gara nel settore della distribuzione del gas naturale. Tanto più che finora non sono stati ancora individuati i bacini ottimali di utenza e i criteri di selezione, nonostante siano abbondantemente scaduti i termini, previsti dall’art. 46-bis cit., per lo svolgimento dei relativi adempimenti (V. la citata decisione n. 5217/2009).
Tale conclusione è confortata dalla necessità di rispettare i principi comunitari in materia di tutela della concorrenza e libertà di prestazione dei servizi (cfr. in termini Cons. St., sez. V, 30.09.2008, n. 5213/ord.), nonché le stesse finalità descritte dal comma 1° dell’art. 46-bis di “garantire al settore della distribuzione di gas naturale maggiore concorrenza e livelli minimi di qualità dei servizi essenziali”.
Inoltre, occorre considerare, come rilevato dal Comune, che i singoli comuni non sembrano obbligati ad aderire ad un determinato bacino ai fini dell’indizione della gara essendo necessaria una specifica scelta in tal senso, come emerge dal complesso delle disposizioni di cui al menzionato art. 46-bis nelle parti in cui si prevedono da parte del Ministri competenti misure di incentivazione delle operazioni di aggregazioni (comma 2) e la facoltà dei comuni interessati alle nuove gare per il bacino di utenza ottimale di incrementare il canone di concessione entro i limiti indicati dalla norma stessa (comma 4).
Di conseguenza, concludono i giudici di Palazzo Spada, il singolo comune può legittimamente bandire isolatamente la propria procedura ad evidenza pubblica di affidamento del servizio anche in assenza dei criteri di gara e di valutazione dell'offerta e della previa identificazione dei bacini ottimali di utenza di cui al richiamato art. 46-bis (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.06.2010 n. 3890 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: Ove il proprietario espropriato non abbia accettato l’indennità offerta o non sia addivenuto ad un accordo amichevole, il pagamento di essa va sempre effettuato alla Cassa depositi e prestiti.
Ove il proprietario espropriato non abbia accettato l’indennità offerta o non sia addivenuto ad un accordo amichevole, il pagamento di essa va sempre effettuato alla Cassa depositi e prestiti, con deposito che ha valore liberatorio per l’ente espropriante e che costituisce un mezzo di tutela per gli eventuali terzi lesi dalla espropriazione: é proprio per tale ragione che la Corte di Cassazione, con la pronuncia della cui ottemperanza si tratta, non ha condannato il Comune di Acquaviva delle Fonti ad effettuare il pagamento di quanto da essa determinato direttamente a favore della signora Musci, ma ne ha ordinato il deposito (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 18.06.2010 n. 2477 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nelle gare pubbliche il tempo dedicato dalla commissione giudicatrice alle operazioni di scrutinio non è un presupposto che possa invalidare i giudizi conclusivi.
Secondo consolidata giurisprudenza in materia (Consiglio Stato, sez. V, 12.06.2009, n. 3768) nelle gare pubbliche il tempo dedicato dalla commissione giudicatrice alle operazioni di scrutinio non è un presupposto che possa invalidare i giudizi conclusivi, la cui logicità e ragionevolezza devono essere valutate sulla base di quanto oggettivamente espresso negli atti contestati.
Rispetto alla conclusione della procedura valutativa rileva infatti non il tempo dedicato all'esame delle offerte e della allegata documentazione, ma la verifica della correttezza dei risultati alla stregua dei consueti parametri di legittimità dell'azione amministrativa, rispetto ai quali l'elemento "tempo" rimane un fattore estrinseco, che può assumere una ipotetica rilevanza solo nel caso in cui alla brevità delle operazioni concorsuali si accompagni un esito irrazionale e illogico (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.06.2010 n. 3806 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Omessa demolizione opera abusiva e acquisizione dell’opera.
Se il colpevole dell’abuso edilizio non provvede alla demolizione dell’opera abusiva ed alla remissione in pristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dall’ingiunzione a demolire emessa dal sindaco, l’opera e l’area pertinente sono acquisite di diritto al patrimonio comunale e tale effetto si produce ipso iure sulla sola base dell’accertamento di un’inottemperanza colpevole, senza che sia necessario alcun atto ulteriore ed in particolare senza che sia necessaria la notifica dell’accertamento dell’inottemperanza all’interessato o la trascrizione, giacché il primo atto ha solo funzione certificativa dell’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà, costituendo titolo per l’immissione in possesso mentre la trascrizione serve a rendere opponibile il trasferimento ai terzi a norma dell’articolo 2644 cc. (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.06.2010 n. 22237 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sostituzione del tetto.
In base all’articolo 3, comma I, lett. b), del T.U. edilizia si considerano interventi di manutenzione straordinaria le opere e le modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per integrare o realizzare i servizi igienici sanitari e tecnologici sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche della destinazione d’uso.
Può rientrare nella manutenzione straordinaria anche la sostituzione del tetto a condizione però che non venga modificata la quota d’imposta o alterato lo stato dei luoghi né planimetricamente né quantitativamente rispetto alle superfici ed ai volumi preesistenti (fattispecie relativa ad aumento dell’altezza del fabbricato e modifica della sagoma qualificati come interventi soggetti a permesso di costruire) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.06.2010 n. 22229 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Falsità ideologica e richiesta di sanatoria.
Integra il reato di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) la condotta di colui che, in sede di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà allegata a domanda di concessione edilizia in sanatoria, attesta falsamente la data di ultimazione dell’opera da sanare, considerato che l’ordinamento attribuisce a detta dichiarazione valenza probatoria privilegiata- con esclusione di produzioni documentali ulteriori- e, quindi, di dichiarazione destinata a dimostrare la verità dei fatti cui è riferita e ad essere trasfusa in atto pubblico.
E ciò anche a seguito dell’abrogazione della L. 04.01.1968 n. 15, attuata dall’art. 77 del D.L.vo 28.12.2000 n. 445, per effetto della quale la sottoscrizione della dichiarazione sostitutiva di atto notorio non deve più essere autenticata dal pubblico ufficiale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.06.2010 n. 22227 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Liquidi trasportati con autospurgo.
I liquami sono ricompresi nella categoria dei rifiuti ed il reato previsto dall'articolo 256 D.Lv. 152/2006 è configurabile anche nel caso di smaltimento di reflui trasportati su auto spurgo.
Sono infatti da considerarsi rifiuti allo stato liquido, soggetti alla disciplina dell’art. 256 D.Lgs. n. 152 del 2006, i reflui stoccati in attesa di un successivo smaltimento, fuori del caso delle acque di scarico, ovvero di quelle oggetto di diretta immissione nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.06.2010 n. 22036 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: L'ordinanza di rimozione rifiuti compete al Sindaco.
In ordine alla competenza ad emanare l’ordinanza di rimozione rifiuti ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006 (TUA) si sono sviluppati, in giurisprudenza, due orientamenti.
Da un lato, un orientamento minoritario ritiene che il previgente art. 14, comma 3, d.lgs. 05.02.1997 n. 22 (cd. decreto Ronchi) sebbene affidasse già al Sindaco il potere di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati, tuttavia -in virtù del principio sulla separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali di cui all’art. 107 del T. U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali- la norma va ora letta alla luce del nuovo principio per il quale spetta ai dirigenti tutta l’attività di gestione, tra cui è ricompresa quella sulla rimozione dei rifiuti abbandonati. La soluzione non cambia neppure dopo l’adozione del d.lgs. 03.04.2006, n. 152, il cui articolo 192, comma 3, ultima parte, riproduce, con identica formulazione, la disposizione di cui al citato art. 14, comma 3, ultimo periodo
[1].
Tuttavia, secondo un altro più condivisibile e seducente indirizzo giurisprudenziale, largamente condiviso e recepito dalla pronuncia in esame, la competenza ad emanare le ordinanze di rimozione rifiuti spetta a Sindaco per espressa disposizione dell’art. 192, comma 3, TUA.
Invero, pur essendo l’ordinanza di rimozione rifiuti ex art. 192 cit. astrattamente suscettibile di poter rientrare nella sfera di competenza del responsabile dell’area tecnica, ai sensi dell’art. 107, comma 5, TUEL, a mente del quale l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, essa viene attribuita al Sindaco dall’insuperabile dato testuale sancito dal citato art. 192, comma 3, secondo periodo, in coerente applicazione del canone ermeneutico lex posterior specialis derogat anteriori generali, nonché ai sensi dello stesso art. 107, comma 4, TUEL, il quale consente che “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’art. 1, comma 4°, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative
[2].
Altrimenti detto, l’art. 192, comma 3, del d.lgs. 03.04.2006 n. 152 (TUA) -che è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL)- attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2 e, in base agli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio della specialità e criterio cronologico), prevale sul disposto dell'art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000
[3].
---------------
[1] Così, TAR Sardegna, Cagliari, Sez. II, 04.11.2009, n. 1598, in Giurisprudenza di merito, fasc. n. 1 del 2010.
Si veda, altresì, TAR Campania, Napoli, Sez. V, 09.06.2009, n. 3159, in www.ambientediritto.it, secondo cui: “Ai sensi dell’art. 107 comma 5 T.U.E.L. 18.08.2000, n. 267, rientra nella competenza del dirigente, e non del Sindaco, l’adozione dell’ordinanza di rimozione di rifiuti rivolta al proprietario di un’area sulla quale gli stessi sono stati abbandonati”.
Nello stesso senso, TAR Basilicata, 23.05.2007, n. 457, in www.giustizia-amministrativa.it.
[2] Cfr., a tal proposito, TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 20.10.2009, n. 1118, in www.giustizia-amministrativa.it e in corso di pubblicazione su Giurisprudenza di merito con nota di A. Mezzotero.
[3] Cfr., oltre alla pronuncia in rassegna, Cons. St., Sez. V, 25.08.2008, n. 4061, in www.lexitalia.it.
Nello stesso senso, TAR Veneto, Sez. III, 24.11.2009, n. 2968, in www.ambientediritto.it, secondo cui: “L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 è norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000”; Id., 20.10.2009, n. 2623, ivi; Id., 29.09.2009, n. 2454, ivi; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 02.09.2009, n. 4598, in www.giustizia-amministrativa.it; TAR Veneto, sez. III, 14.01.2009, n. 40, ivi
(TAR Lombardia-Milano, sez. VI, sentenza 09.06.2010 n. 1764 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Direttiva ricorsi: le prime applicazioni.
Il giudice amministrativo, a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione di una gara di appalto, può dichiarare, altresì, ai sensi dell’art. 245-ter del d.lgs. n. 163 del 2006, come introdotto dall’art. 10, comma 1, del d.lgs. 20.03.2010, n. 53, l’inefficacia del contratto stipulato nelle more del giudizio, con effetto decorrente dalla pubblicazione della sentenza.
La pronuncia n. 1524/2010 si segnala all’attenzione dell’interprete in quanto concerne le primissime applicazioni delle disposizioni del d.lgs. 53/2010 di attuazione della cd. direttiva ricorsi e, in particolare, di una delle norme che disciplina l'inefficacia del contratto a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione.
Capisaldi affermati dalla sentenza.
Preliminarmente, è opportuno ricordare che la novella, introdotta dal d.lgs. 53/2010, distingue:
- l'inefficacia del contratto in caso di violazioni gravi ex art. 245-bis del d.lgs. 163/2006;
- gli altri casi di inefficacia del contratto ex art. 245-ter del d.lgs. 163/2006.
La decisione del Consesso milanese riconosce, in primis, l'applicabilità temporale della disciplina dell'inefficacia del contratto contenuta nel d.lgs. 53/2010.
Il G.A. afferma, in particolare, che la nuova norma ha natura processuale e, in difetto di diversa disposizione transitoria, può ricevere applicazione anche nei giudizi instaurati in data antecedente all’entrata in vigore della stessa in base al principio tempus regit actum.
I giudici, inoltre, ricordano che la giurisdizione del giudice amministrativo sulla sorte del contratto stipulato in seguito all’aggiudicazione illegittima annullata, dopo contrastanti orientamenti giurisprudenziali, è stata affermata anche dal giudice della Nomofilachia con l’ordinanza n. 2906, resa a Sezioni Unite il 10.02.2010.
Con l’ordinanza de qua è stato statuito che l’esigenza della cognizione del G.A. sulla domanda di annullamento dell’affidamento dell’appalto, per le illegittime modalità con cui si è svolto il relativo procedimento e della valutazione dei vizi di illegittimità del provvedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta che lo stesso giudice adito per l’annullamento degli atti di gara, che abbia deciso su tale prima domanda, possa conoscere pure della domanda del contraente pretermesso illecitamente dal contratto di essere reintegrato nella sua posizione, con la privazione di effetti del contratto eventualmente stipulato dalla stazione appaltante con il concorrente alla gara scelto in modo illegittimo.
L'art. 7 del d.lgs. 53/2010, nel dare esecuzione alla direttiva ricorsi, ha aggiunto un capoverso al primo comma dell'art. 244 del d.lgs. 163/06, secondo cui “la giurisdizione esclusiva si estende alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell'aggiudicazione”.
Quanto all'applicazione temporale della norma comunitaria che impone l'unitarietà della giurisdizione avanti al giudice amministrativo, la Cassazione ha riconosciuto che l'estensione della giurisdizione amministrativa esclusiva è ormai ineludibile per tutte le controversie in cui la procedura di affidamento sia intervenuta dopo il dicembre 2007, data dell'entrata in vigore della norma comunitaria (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 17.05.2010 n. 1524 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Zona soggetta a vincolo idrogeologico - Possibilità di edificare - Rimozione del vincolo.
2. L.R. Lombardia n. 33/1988 - Concessione di costruzione - Accertamento specifica attività antropica.

1. La sussistenza di un vincolo idrogeologico non determina l'assoluta impossibilità di edificare, essendo consentito ai proprietari dei terreni vincolati di chiedere la rimozione del vincolo nella misura necessaria a consentire la realizzazione della costruzione.
La vigente normativa, ratione temporis, non vieta infatti in modo assoluto l'edificazione in zone soggette a vincolo idrogeologico.
2. La Legge regionale Lombardia n. 33 del 1988 subordina l'edificazione, nelle zone sottoposte a vincolo idrogeologico, al rilascio dell'autorizzazione conseguente all'accertamento che l'attività antropica, in ordine alla quale il provvedimento fosse richiesto, non incida negativamente sugli assetti del suolo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 23.03.2010 n. 697 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Provvedimento a contenuto discrezionale - Ex art. 10 bis della L. n. 241 del 1990 - Necessità.
2. Provvedimento a contenuto discrezionale - Rigetto parziale - Art. 10-bis della L. n. 241 del 1990 - Fattispecie.
3. Ricorso giurisdizionale - Risarcimento del danno - Annullamento dell'atto impugnato per vizi procedimentali - Inammissibilità.

1. Al cospetto di un provvedimento connotato da una certa discrezionalità, ricorre l'obbligo per l'Amministrazione di comunicare il rigetto così da consentire al privato di poter interloquire e addurre gli elementi a proprio favore.
2. L'applicazione dell'art. 10 bis L. n. 241 del 1990, va estesa non solo ai casi di rigetto totale dell'istanza del privato, ma anche ai casi di rigetto parziale, allorquando esso si concretizzi in una apprezzabile lesione delle aspettative e/o sfera giuridica dell'interessato.
Anche in tali casi, il privato e la stessa Amministrazione hanno tutto l'interesse ad instaurare un contraddittorio endoprocedimentale utile per una migliore ponderazione di tutti gli elementi fattuali e di diritto rilevanti per l'adozione del provvedimento finale.
3. La richiesta di risarcimento del danno non è valutabile quando il provvedimento sia annullato per vizi procedimentali che consentano il riesercizio del potere da parte della Pubblica Amministrazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 23.03.2010 n. 696 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Vincoli espropriativi - Decadenza - Reiterazione del vincolo - Discrezionalità dell'amministrazione - Motivazione - Necessità.
In sede di rideterminazione urbanistica di un'area, in relazione alla quale sono decaduti i vincoli espropriativi precedentemente in vigore, è in ogni caso rimessa al potere discrezionale dell'Amministrazione comunale la verifica e la scelta della destinazione che, in coerenza con la più generale disciplina urbanistica del territorio, risulti più idonea e più adeguata in relazione all'interesse pubblico al corretto e armonico utilizzo del territorio, potendo perfino ammettersi la reiterazione degli stessi vincoli scaduti, sebbene nei limiti di una congrua e specifica motivazione sulla perdurante attualità della previsione, comparata con gli interessi pubblici (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 22.03.2010 n. 679 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi - Demolizione - Preminente interesse pubblico - Motivazione - Non occorre - Lunga decorrenza tra realizzazione e irrogazione sanzione - Eccezione.
La repressione degli abusi edilizi costituisce un atto dovuto per l'Amministrazione, la quale non gode di alcuna discrezionalità al riguardo, posto che il giudizio di antigiuridicità è già contenuto nella legge e non v'è di conseguenza ragione di una specifica motivazione sulla preminenza dell'interesse pubblico, salvi i casi eccezionali di lunghissimo tempo (nella specie 33 anni) trascorso tra la realizzazione dell'opera abusiva e l'irrogazione della misura demolitoria (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.03.2010 n. 1220 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia - Procedimento - Vincolo storico - Parere Soprintendenza - Vizi per incoerenza errore tecnico o irragionevolezza - Limiti.
Il giudizio della Soprintendenza sull'apposizione di un vincolo storico è un giudizio di carattere tecnico-discrezionale, ed, a fronte di attività espressione di discrezionalità tecnica, il giudice amministrativo può censurare l'operato dell'amministrazione soltanto nel caso in cui la decisione amministrativa sia stata incoerente, irragionevole o frutto di errore tecnico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.03.2010 n. 1218 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Concessione edilizia - Permesso di costruire - Procedimento - Scadenza termine per conclusione rilascio - Intervento sostitutivo
2. Procedimento - Osservazioni - Onere di risposta - Non necessità.

1. Per la conclusione del procedimento di rilascio del permesso di costruire l'infruttuoso decorso del termine complessivo di 75 giorni dalla presentazione della domanda costituisce presupposto per l'eventuale richiesta dell'intervento sostitutivo disciplinato dal successivo art. 39 l.r. 12/2005, e in particolare per la nomina di un commissario ad acta da parte della provincia: la presenza di un meccanismo sostitutivo esclude che il silenzio possa essere qualificato in senso favorevole al privato.
2. L'onere di cui all'art. 10, l. 07.08.1990 n. 241, non comporta la confutazione analitica dei rilievi, essendo sufficiente ai fini della giustificazione del provvedimento adottato la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell'atto stesso.
La norma deve essere letta in chiave sostanziale alla luce della ratio di consentire al privato di far valere le proprie ragioni nell'iter procedimentale, consentendo allo stesso quell'apporto partecipativo in grado di orientare in senso a lui favorevole il provvedimento finale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.03.2010 n. 1217 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Autorizzazione e concessione- Termine per impugnare - Piena conoscenza dell'atto - Pubblicazione albo pretorio - Mera pubblicità notizia.
2. Autorizzazione - Installazione di impianti di telefonia mobile - Rilascio contemporaneo di due autorizzazioni - Spoglio - giurisdizione g.o..

1. Il termine a ricorrere contro i titoli edilizi decorre dalla piena conoscenza dell'atto: le forme di pubblicazione dei titoli edilizi previsti dalla legge costituiscono forme di mera pubblicità notizia e l'effettiva conoscenza dell'atto si ha quando la nuova costruzione rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica.
2. L'interferenza tecnica che si è creata per effetto del rilascio di due regolari titoli autorizzatori non si risolve dichiarando illegittima una delle due autorizzazioni, ma si risolve in base alle norme civilistiche sullo spoglio: il gestore del traliccio che si ritiene spogliato del possesso del segnale per opera del comportamento illecito tenuto da altri deve adire il giudice della tutela possessoria per far valere in quella sede le proprie ragioni e contestare l'interferenza tecnica tra i due impianti, ma non può far rifluire la questione davanti al giudice amministrativo trasformandola in un giudizio sulla legittimità di un provvedimento rilasciato a monte (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.03.2010 n. 1216 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Recupero sottotetti - Ratio - Praticabilità - Presupposto - Non sussiste.
In base alla ratio della l.r. 12/2005 di favorire la creazione di nuove residenze attraverso il razionale recupero dei sottotetti, evitando per tale via un ulteriore consumo territorio la ridotta dimensione e la non praticabilità del sottotetto da recuperare e la scarsa ampiezza del volume non sono elementi preclusivi alla realizzazione dell'opera, al punto che la novella del 1999 ha autorizzato l'innalzamento delle quote di gronda e di colmo per raggiungere le caratteristiche di abitabilità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 10.03.2010 n. 1152 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: Occupazione titulo - Risarcimento danno Inquinamento- Inquinamento.
Nell'ipotesi di cui all'art. 43 del DPR n. 327/2001 poiché la somma di denaro che spetta all'interessato a titolo di risarcimento deve sostituire il valore del bene che l'Amministrazione non restituisce all'interessato occorre fare riferimento a tale momento (della mancata restituzione, ovvero della opzione del privato per il risarcimento, anziché per la restituzione) per stabilire il valore di mercato del bene e computare il risarcimento del danno.
Il valore monetario del bene viene poi rivalutato secondo i principi generali in materia risarcitoria, al momento della pronuncia della decisione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 10.03.2010 n. 1150 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Inquinamento - Inquinamento ambientale - Discarica - Bonifica- Proprietario incolpevole - Obbligo - Non sussiste.
Anche precedentemente l'entrata in vigore del D.lgs. 152/2006 occorre distinguere qualitativamente tra la bonifica e la semplice rimozione dei rifiuti e riconoscere che il proprietario incolpevole è estraneo all'obbligo di bonificare il sito ma non a quello di partecipare alle spese di bonifica ma non a quello di partecipare alle spese di bonifica effettuate dal Comune, essendo quest'ultimo un'estrinsecazione del principio civilistico che non ammette un arricchimento senza causa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.03.2010 n. 1148 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA Demanio e patrimonio - Beni ambientali - Vincolo paesistico - Contenuto conservativo - Inedificabilità assoluta - Esclusione.
Il diniego di autorizzazione paesistica ha contenuto conservativo del vincolo e non può consistere in un divieto generalizzato di nuova edificazione eccedendo nella tutela.
E' ammesso l'ingresso di elementi modernizzanti (quali nella specie autorimesse interrate) a condizione che le modifiche all'aspetto tradizionale dei luoghi non stravolgano le linee del paesaggio, l'andamento del terreno, i punti panoramici se la soluzione coniuga il beneficio dell'insediamento di parcheggi privati con il mantenimento del verde in superficie, contemperando le esigenze della viabilità con quelle ambientali (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.03.2010 n. 1146 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Comunicazione di avvio del procedimento - Revoca di un provvedimento - Necessità.
É necessaria la preventiva comunicazione dell'avvio di un procedimento volto all'adozione di un provvedimento di revoca di un atto ampliativo della sfera del destinatario, dovendo quest'ultimo essere posto in grado di interloquire sulla (presunta) mancanza dei presupposti a fondamento della revoca (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 03.03.2010 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Revoca della concessione edilizia - Applicazione del principio del contrarius actus - Presupposti.
In base al principio del contrarius actus, qualora in sede di rilascio della concessione o dell'autorizzazione sia stato acquisito il parere della commissione, tale parere va acquisito anche all'atto dell'annullamento del titolo, fatte salve le ipotesi in cui il provvedimento di autotutela sia supportato da ragioni formali o di tipo esclusivamente giuridico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 03.03.2010 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Diritto di accesso - Consentito soltanto a coloro ai quali gli atti stessi, direttamente o indirettamente si rivolgono.
2. Diritto di accesso - ANAS - Esercitabile.

1. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi, come è noto, è posto a garanzia della trasparenza ed imparzialità della P.A. e trova applicazione in ogni tipologia di attività della P.A..
La legittimazione all'accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell'accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l'autonomia del diritto di accesso inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all'impugnativa dell'atto (ex plurimis, cfr. Consiglio di Stato 27.10.2006 n. 6440).
E' bene specificare che la posizione legittimante, anche se non deve assumere necessariamente la consistenza del diritto soggettivo o dell'interesse legittimo, deve essere però giuridicamente tutelata non potendo identificarsi con il generico ed indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento dell'attività amministrativa.
Deve ritenersi, a questa stregua, che l'art. 22, co. 1, lett. b), l. n. 241/1990, quando parla di "interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso", si riferisca alla sussumibilità della pretesa concreta in una fattispecie normativa, secondo una valutazione prognostica e secondo un rapporto di chiara percepibilità.
La previsione non fa invece riferimento a ipotesi in cui la pretesa vantata non è a prima lettura riconducibile ad una previsione normativa, ma potrebbe esservi ricondotta in virtù di una particolare interpretazione che potrebbe essere affermata in un giudizio sulla pretesa (recentemente, a questo proposito, cfr. C. Stato, sez. VI, 18.09.2009 n. 5625).
2. Secondo la giurisprudenza consolidata, l'ANAS SPA rientra tra le pubbliche amministrazioni nei cui confronti è esercitatile il diritto di accesso.
Difatti, anche l'attività degli enti pubblici economici e dei gestori di pubblici servizi, quando coinvolge interessi pubblici, rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 97 Cost., essendo svolta, pur se sottoposta di regola al diritto comune, oltre che nell'interesse proprio, anche per soddisfare quelli della collettività, con la conseguenza che i relativi atti sono soggetti all'accesso ex l. n. 241 del 1990 (cfr. TAR Lazio Roma, sez. III, 04.12.2006, n. 13599; TAR Lombardia Milano, sez. II, 05.03.2003, n. 360) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 03.03.2010 n. 530 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della P.a. - Appalto - Esclusione - Impugnazione successiva ad aggiudicazione provvisoria - Notifica ricorso all'aggiudicatario quale controinteressato - Necessità.
Se la notifica del ricorso di impugnazione dell'esclusione da una gara d'appalto interviene dopo l'individuazione dell'aggiudicatario provvisorio la formale notifica si impone anche nei confronti dello stesso, pena l'inammissibilità del ricorso avendo acquisito l'aggiudicatario provvisorio la qualifica di controinteressato quale titolare di interesse differenziato e qualificato al permanere del provvedimento impugnato   (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 26.02.2010 n. 1008 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire - Parziale annullamento - Difetto di motivazione - Illegittimità.
2. Permesso di costruire - Reviviscenza - Ripristino in forma specifica - Istanza di risarcimento danni - Respinta.

1. L'atto di auto-annullamento deve contenere a pena di nullità, espressa motivazione con riferimento al vizio di legittimità riscontrato, alla presenza di un interesse pubblico, concreto ed attuale, al ritiro della concessione, alla ponderazione degli interessi, pubblico e privato, e alla prevalenza dell'interesse pubblico rispetto a quello del privato al mantenimento dell'opera.
2. Qualora l'accoglimento della domanda impugnatoria determini l'automatica reviviscenza del permesso di costruire che era stato oggetto di rimozione in via di autotutela, il ricorrente ottiene 'effetto di far riespandere la propria posizione soggettiva allo status quo ante, mediante ripristino in forma specifica, cosicché non residua alcun ulteriore danno da risarcire per equivalente monetario (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 26.02.2010 n. 989 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Abuso edilizio - Vincolo Idraulico - Titolo edilizio illegittimo efficace - Decorso del tempo - Affidamento - opere successive pertinenziali - Condono edilizio - Sussiste.
2. Abuso edilizio - Titolo edilizio illegittimo - Decorso del tempo - Affidamento - Condono edilizio - Sussiste.

1. Benché il vincolo idraulico ex art. 96, lett. f), del RD 523/1904 non sia derogabile semplicemente per effetto degli usi locali, è possibile superarne l'inderogabilità in ipotesi di radicato affidamento circa la collocazione di immobile all'interno della fascia di rispetto (per licenza edilizia illegittima ma ancora efficace e tempo trascorso) ed in tal caso la medesima aspettativa può estendersi alle opere successive, se intese come interventi pertinenziali.
2. Se un fabbricato (previa valutazione dell'interesse pubblico) può evitare la demolizione nonostante l'annullamento del relativo titolo edilizio, non vi sono motivi per negare il condono a un edificio che sia in parte conforme a un titolo edilizio illegittimo ma ancora efficace, qualora in un lungo periodo di tempo non sia stato individuato alcun interesse pubblico all'annullamento di tale titolo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 26.02.2010 n. 986 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Costruzioni stagionali - Titolo edilizio - Temporaneità - Bilanciamento interessi.
2. Costruzioni stagionali - Titolo edilizio - Temporaneità- Principio di proporzionalità.

1. In ipotesi di costruzioni stagionali, normalmente funzionali ad attività economiche concentrate in una parte dell'anno, il titolo edilizio può essere accompagnato da termini o condizioni per rendere meno impattante l'opera sotto il profilo ambientale quando l'attività viene sospesa.
In ogni caso l'imposizione di un termine deve sempre corrispondere ad un interesse pubblico, in quanto la mera stagionalità dell'utilizzazione dell'opera non è sufficiente a giustificare il sacrificio della rimozione-reinstallazione imposto al proprietario.
2. L'applicazione del principio di proporzionalità presuppone la corretta qualificazione dell'opera, in quanto l'onere imposto al proprietario deve essere coerente con la natura e il valore dell'edificazione ed inoltre il vincolo della temporaneità della costruzione dev'essere l'unico strumento idoneo a conseguire questo risultato    (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 26.02.2010 n. 985 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Istanza di condono edilizio - Conclusione delle opere -Necessità.
Ai sensi della L. 724/1994 la domanda di condono deve avere ad oggetto la trasformazione di opere già ampiamente concluse alla data prevista dalla legge per la conclusione dei lavori. Si tratta, infatti, di opere necessarie per l'opera in questione, in quanto è opinione comune della giurisprudenza che il completamento funzionale sussiste quando l'opera risulti atta all'uso cui è destinata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 25.02.2010 n. 460 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Nozione di costruzione.
2. Natura precaria di un manufatto - Destinazione dell'opera come attribuita dal costruttore - Uso precario e temporaneo per fini specifici contingenti e limitati nel tempo.

1. La nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione e della licenza edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi; fuoriesce da tale definizione soltanto l'opera destinata fin dall'origine a soddisfare esigenze contingibili e circoscritte nel tempo.
2. La precarietà di un manufatto, al fine di escludere la necessità del rilascio del predetto titolo edilizio, va valutata a prescindere dalla temporaneità della destinazione soggettivamente impressa dal costruttore e dalla maggiore o minore amovibilità delle parti che lo compongono considerando invece l'opera alla luce delle sua obbiettiva ed intrinseca destinazione naturale che ne rilevi l'uso oggettivamente precario e temporaneo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 23.02.2010 n. 443 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Restauro e risanamento conservativo - Nozione.
2. Restauro e risanamento conservativo - Ammissibilità di elementi nuovi - Limiti.

1. Gli interventi di risanamento e restauro consentono di rinnovare l'edificio nel rispetto dei suoi elementi essenziali dal punto di vista tipologico, formale e strutturale, cioè senza modificare in modo sostanziale l'assetto edilizio preesistente, dovendosi porre in essere solo quegli interventi sistematici i quali, pur con rinnovo di elementi costitutivi dell'edificio preesistente, ne conservano tipologia, forma e struttura.
2. Unici elementi nuovi ammessi nelle opere di restauro e risanamento conservativo sono quegli elementi accessori e quegli impianti che sono richiesti dalle esigenze d'uso (come ad esempio gli impianti idrici, di condizionamento o di riscaldamento), purché l'inserimento degli stessi non alteri in modo rilevante la struttura originaria.
Viceversa, non possono rientrare fra gli interventi di restauro e risanamento conservativo quelle opere che, se pure oggettivamente di non grande rilievo, hanno comunque una loro autonoma rilevanza sotto il profilo edilizio perché prevedono l'aggiunta di nuove strutture alle parti preesistenti mediante interventi che travalicano quelli rivolti solo a conservare o proteggere le parti dell'edificio cui accedono, ovvero ad assicurarne la funzionalità o l'uso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.02.2010 n. 875 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Strumenti di piano - Altezze convenzionali - Vincoli volumetrici - sussistono.
Alle norme degli strumenti di piano che individuano delle altezze convenzionali, per le quali deve essere moltiplicata la s.l.p. per ottenere la volumetria, non può essere data l'interpretazione che consente di dilatare artificiosamente i termini della costruzione per aggirare il vincolo volumetrico previsto dalle stesse norme di piano.
Le norme degli strumenti di piano che individuano delle altezze convenzionali hanno la finalità di impedire che colui il quale costruisce realizzi un edificio con un'altezza interpiano molto ridotta riuscendo in questo modo ad insediare più unità immobiliari con lo stesso indice di fabbricabilità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.02.2010 n. 871 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Recinzioni - Natura e dimensioni - destinazione e funzione -concessione edilizia.
2. Recinzioni - natura precaria - delimitazione proprietà - concessione edilizia - non necessaria.
3. Recinzioni - natura permanente - concessione edilizia - necessaria.

1. La valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione.
2. Non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà, trattandosi peraltro di installazione precaria e rientrando tale opera tra le attività di mera manutenzione.
Le recinzioni possono essere considerate irrilevanti sul piano edilizio e non richiedono autorizzazioni se realizzate con modalità e materiali che rendano la recinzione funzionale a delimitare la proprietà senza realizzare una trasformazione del territorio apprezzabile sul piano edilizio.
3. Occorre, invece, il permesso, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.02.2010 n. 868 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Inquinamento - Contaminazioni - Differenze tra fattispecie ex art. 242, comma 1 e comma 11, del D. Lgs. 152/2006.
Con riferimento ai destinatari dell'obbligo di effettuare la messa in sicurezza dell'area, ai sensi dell'art. 242 del D.Lgs. 152/2006, la legge distingue, con riferimento alle contaminazioni storiche, tra quelle che comportano rischio immediato per l'ambiente (o rischi di aggravamento), disciplinate dell'art. 242, comma 1, del D.Lgs. 152/2006, e quelle che non presentano tale rischio, disciplinate dell'art. 242, comma 11, del D.Lgs. 152/2006. Per le prime il destinatario dell'obbligo è il responsabile dell'inquinamento, per le seconde è il soggetto interessato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 12.02.2010 n. 408 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Contenuto e forma - Omessa indicazione norme di riferimento - Irrilevanza.
2. Contenuto e forma - Omessa indicazione termine dell'Autorità cui ricorrere - Mera irregolarità - Rimessione in termini - Possibilità.

1. La mancata specificazione, nel preambolo e nel corpo del provvedimento amministrativo, delle norme di riferimento, non implica l'illegittimità dell'atto qualora la formulazione letterale delle ragioni, l'esposizione del fatto e il contenuto del dispositivo siano sufficientemente chiari ad individuare in concreto il potere esercitato.
2. L'omessa indicazione del termine e dell'autorità a cui ricorrere non determina l'illegittimità del provvedimento amministrativo, bensì una mera irregolarità, perché la disposizione dell'art. 3, comma 4, Legge n. 241/1990 non influisce sull'individuazione e sulla cura dell'interesse pubblico concreto cui è finalizzato il provvedimento, né sulla riconducibilità dello stesso all'autorità amministrativa, ma tende semplicemente ad agevolare il ricorso alla tutela giurisdizionale, sicché l'omissione de qua, nel concorso di significative ulteriori circostanze, può dar luogo semmai alla concessione del beneficio della rimessione in termini (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 10.02.2010 n. 364 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI 1. Comunicazione di avvio del procedimento - Obbligo - Non sussiste in caso di celerità.
2. Ordinanza contingibile e urgente - Ordinanza sindacale - Comunicazione avvio del procedimento - Non occorre - Fattispecie.
3. Ordinanza contingibile e urgente - Ordinanza sindacale - Igiene e sanità - Pericolo di danno grave e irreparabile - Necessità.

1. Il principio partecipativo alla base della comunicazione di avvio del procedimento ha carattere generalizzato ed impone, alla luce delle regole fissate dall'art. 7, l. n. 241/1990, che l'invio di essa abbia luogo in tutte quelle situazioni nelle quali la possibilità di coinvolgere il privato non sia esclusa da esigenze di celerità immanenti della fattispecie concreta e che non possono ritenersi astrattamente implicate dalla natura contingibile ed urgente dell'ordinanza sindacale, ma devono essere puntualmente esplicitate nel provvedimento in concreto adottato.
2. Il ricorso allo strumento dell'ordinanza contingibile ed urgente da parte del Sindaco giustifica l'omissione della comunicazione di avvio del procedimento unicamente in presenza di una "urgenza qualificata", in relazione alle circostanze del caso concreto, che deve essere debitamente esplicitata in motivazione.
3. Il potere riconosciuto al Sindaco di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, ai sensi degli artt. 50 e 54 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, richiede la sussistenza di una situazione di effettivo pericolo di danno grave ed imminente per l'incolumità pubblica, non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva, debitamente motivata a seguito di approfondita istruttoria (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 10.02.2010 n. 339 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Realizzazione parcheggio - Variante vincolo scaduto.
Secondo quanto stabilito dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 7 del 2007, occorre la motivazione della reiterazione del vincolo, trattandosi di reiterazione relativa ad una singola area.
Altresì, la motivazione che deve supportare la rinnovazione del vincolo, come di recente ribadito dal Supremo Consesso, deve far emergere con chiarezza e precisione gli accertamenti effettuati e le finalità di interesse pubblico concretamente perseguite (Cons. Stato 26/02/2008 n. 683).
La delibera impugnata che ha approvato il progetto definitivo ed esecutivo per la realizzazione del parcheggio con contestuale adozione di variante del vincolo scaduto, contiene, tuttavia, una enunciazione esaustiva delle attuali ragioni di pubblico interesse che hanno indotto l'amministrazione a localizzare nuovamente il parcheggio sull'area di proprietà dei ricorrenti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 09.02.2010 nn. 315 e 316 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Concessione amministrativa - Proroga - Rinnovo - Differenza.
2. Concessione amministrativa - Rinnovo - Nuove condizioni.

1. in tema di concessioni la giurisprudenza conosce due distinte fattispecie le quali consentono, alla scadenza del termine finale di durata del titolo, di mantenere il concessionario nella stessa situazione di fatto della quale in origine egli si avvantaggiava, ovvero la proroga e il rinnovo vero e proprio.
La differenza fra le due consiste in ciò, che "la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia", mentre il rinnovo "presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione".
2. Nel momento in cui il rinnovo precedentemente ottenuto aveva raggiunto la sua scadenza trentennale, un eventuale nuovo accordo, fonte di un nuovo rapporto concessorio, con oggetto identico al precedente, ben può essere disciplinato da nuove norme regolamentari, anche più sfavorevoli delle precedenti, senza in alcun modo violare il principio di irretroattività, in quanto si incide non sul passato, ma su un rapporto che si va ad instaurare per il futuro. (nel caso di specie, il comune, con il regolamento impugnato, per il rinnovo da concludere e quindi per l'avvenire, aveva trasformato in onerosa una concessione che precedentemente era gratuita) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 04.02.2010 n. 570 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Dichiarazione ex art. 38 Codice Appalti - Indicazione precedenti penali - Beneficio della non menzione - Obbligo - Sussiste.
In tema di esclusione dalle gare per omessa indicazione, nella dichiarazione rilevante agli effetti dell'art. 38 del Codice degli Appalti Contratti, di precedenti condanne assistite dal beneficio della non menzione, il citato art. 38 "impone ai partecipanti alle gare di appalto di dichiarare, a pena di esclusione dalla gara, non già solamente reati gravi, ma tutti quelli ascritti in via definitiva ai soggetti ivi contemplati", con la conseguenza che "i partecipanti alle gare sono tenuti a rendere dichiarazioni complete e veritiere e, quindi, recanti l'esatta indicazione di tutti i precedenti penali, ivi inclusi quelli per i quali sia stato concesso il beneficio della non menzione" potendo queste ultime incidere sull'accertamento dei requisiti di moralità del legale rappresentante dell'impresa, ed a fronte della perentorietà di tale principio, a nulla valgono argomentazioni circa l'animus del dichiarante e la scusabilità del suo errore (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 02.02.2010 n. 534 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Attività edilizia - Programma di intervento - presenza di vincolo di tutela indiretta ex art. 45 d.lgs. 42/2004.
In presenza di un vincolo di tutela indiretta ex art. 45 d.lgs. 42/2004 apposto dalla Soprintendenza, non incompatibile con il progetto approvato con il Programma di intervento, il procedimento di approvazione del progetto non deve essere azzerato per il solo fatto dell'apposizione di tale vincolo.
Sarebbe d'altronde alquanto irragionevole riconoscere legislativamente all'ente territoriale la possibilità di agire in giudizio (in via successiva) per il risarcimento del danno all'ambiente (come fa l'art. 18, co. 3, l. 349/1986), e negargli invece la possibilità di agire (in via preventiva) per impedire la produzione di quello stesso danno.
Così come sarebbe pure irragionevole riconoscere la titolarità di un interesse collettivo ad associazioni ambientaliste, il cui collegamento con il territorio interessato dall'abuso è talora costituito soltanto dal fine statutario, e non individuarlo nell'ente istituzionalmente esponenziale della comunità di riferimento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 02.02.2010 n. 523 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Oneri di urbanizzazione - ritardato pagamento - sanzioni - art. 3, co. 2, lett. c, L. 47/1985 - garanzia fideiussoria - obbligo di acquisizione - non sussiste.
2. Oneri di urbanizzazione - ritardato pagamento - sanzioni - art. 3, co. 2, lett. c, L. 47/1985 - garanzia fideiussoria - determinazione della sanzione in caso di mancata attivazione di detta garanzia
3. Sanzione amministrativa - natura di credito portable - Interessi.

1. In relazione al pagamento degli oneri di urbanizzazione, non esiste un obbligo del Comune di acquisire la garanzia fideiussoria, e, pertanto, qualora esso si attivi, non esiste neanche l'obbligo di farlo immediatamente alla scadenza del termine per il pagamento onde evitare che l'ammontare delle sanzioni cresca con il decorso del tempo (in materia di obbligazioni portable da adempiere nel domicilio del creditore quali quelle pecuniarie, e con termine di adempimento che esonera dalla costituzione in mora del debitore, il creditore è soltanto facultato ad attivare la solidale responsabilità del fideiussore, e non è tenuto ad escutere il coobligato piuttosto che attendere il pagamento, ancorché tardivo, salva l'esistenza di apposita clausola in tal senso).
2. In tema di oneri concessori, la fideiussione non ha lo scopo di agevolare l'adempimento da parte del soggetto obbligato al pagamento, configurandosi piuttosto come una garanzia personale nell'interesse dell'Amministrazione, finalizzata a rafforzare la generica garanzia del credito rappresentata dal patrimonio dell'interessato; pertanto, non spetta al soggetto tenuto al pagamento determinare le modalità di esercizio da parte dell'Amministrazione della facoltà di attivazione della garanzia, non sussistendo alcun obbligo di preventiva escussione del fideiussore e non comportando la mancata escussione del garante la liberazione del garantito).
Pertanto, anche in presenza di un fideiussore, l'inadempimento rimane tale e le sanzioni sono senz'altro dovute ma -a meno che non sia previsto un beneficio di escussione in favore del fideiussore- sono dovute nella misura del 20%, che è la misura prevista per il ritardo nel pagamento del saldo degli oneri anche per un solo giorno.
3. Il credito al pagamento della sanzione amministrativa è un credito liquido ed esigibile, che, in quanto tale, produce naturaliter interessi, posto che il credito liquido è quello determinato nel suo ammontare o determinabile con mere operazioni matematiche, ed il credito esigibile è quello non sottoposto a termine, né a condizione sospensiva: la norma generale dell'art. 1282 c.c. non viene derogata da previsioni speciali nella materia in esame e d'altronde essa è applicabile alle sanzioni amministrative pecuniarie una volta sorta l'obbligazione ex lege di pagare, altrimenti l'ulteriore ritardo nel pagamento della sanzione pecuniaria andrebbe a danneggiare unicamente la pubblica amministrazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 02.02.2010 n. 519 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione - Annullamento in autotutela - ricorso giurisdizionale - notifica ai comproprietari controinteressati.
Il ricorso contro un provvedimento di annullamento in autotutela di concessione edilizia, originato da un esposto di un comproprietario per la realizzazione di un'opera su suolo asseritamente comune, a pena di inammissibilità deve essere notificato ai controinteressati risultanti dall'atto impugnato, e nella specie, essendo stata contestata l'esecuzione di lavori di ristrutturazione su area comune pertinenziale, rilevando di conseguenza che i concessionari non possedevano il pieno titolo a costruire, il ricorso doveva essere notificato (almeno) ad uno dei soggetti che affermavano di essere comproprietari dell'area (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 02.02.2010 n. 518 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Piano Integrato di Recupero - Regione Lombardia - L.R. 23/1990, art. 5, co. 6 - Demolizione e ricostruzione.
L'art. 5, co. 6, l.r. 23/1990, prevedendo che le deroghe dei regolamenti edilizi e d'igiene e varianti degli strumenti generali ed attuativi vigenti ed adottati conseguenti all'approvazione regionale dei programmi integrati di recupero e delle successive varianti degli stessi deliberati dai Comuni interessati (di cui al co. 5 della stessa disposizione) "non si applicano agli interventi di demolizione e ricostruzione", esclude che l'approvazione del Programma di intervento comporti la deroga urbanistica quando il progetto proposto abbia ad oggetto un intervento di demolizione e ricostruzione.
Pertanto è legittima ai sensi dell'art. 5, co. 6, l.r. 23/1990, la mancata approvazione da parte del Comune di un Piano integrato di recupero, che prevedendo interventi di demolizione e ricostruzione, deroghi agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi e d'igiene in vigore.
Infatti, ove non sussista più il vincolo del preesistente, non vi è alcuna ragione per escludere l'applicabilità della normativa urbanistica in vigore il cui rispetto assicura l'ordinato e coerente tracciato delle zone edificate (nella specie il Tribunale ha respinto il ricorso in quanto nella relazione progettuale presentata a sostegno del Programma di recupero era prevista la realizzazione del programma mediante demolizione di capannone ad uso deposito con costruzione al suo posto di un edificio a destinazione residenziale e direzionale) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 02.02.2010 n. 517 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti pubblicitari - Autorizzazione all'esposizione - Concessione uso del suolo pubblico - Fattispecie autorizzato ria tacita - Non rileva.
L'autorizzazione all'esposizione di mezzi pubblicitari e la concessione dell'uso del suolo pubblico attengono alla tutela di interessi pubblici diversi e presuppongono valutazioni differenti.
Pertanto non è fondato il motivo fatto valere dalla società ricorrente (operante nel settore della pubblicità e delle pubbliche affissioni) sul perfezionamento della fattispecie autorizzatoria tacita (D.P.R. n. 407/1994) non applicabile alla domanda presentata dalla ricorrente avente ad oggetto impianti pubblicitari di grosse dimensioni da installarsi sul luogo pubblico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 02.02.2010 n. 252 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia: l'impugnazione è possibile dal completamento dei lavori.
Per quanto riguarda la impugnazione di una concessione edilizia –ora p.d.c.– rilasciata a terzi, la decorrenza dei termini decadenziali di cui all’art. 21 legge n. 1034/1971 scatta da quando la nuova costruzione riveli in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e la eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica; il termine di impugnazione, cioè, inizia a decorrere dal completamento dei lavori a meno che non si sostenga la assoluta inedificabilità dell’area od analoghe censure, nel qual caso risulta sufficiente la conoscenza della iniziativa in corso.
Non può consentirsi a nessuna delle parti in causa di eludere i termini di impugnazione distribuendo nel tempo le istanze di accesso (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 30.09.2009 n. 2222 - link a www.altalex.com).

PUBBLICO IMPIEGO: Licenziamento del dipendente che elude il sistema di rilevamento delle presenze.
Può essere illegittimo il licenziamento del pubblico dipendente che abbia posto in essere fatti e comportamenti tesi all'elusione dei sistemi di rilevamento della presenza.
È questa la conclusione cui è giunto il Collegio del Tribunale di Verbania a seguito di reclamo avverso l’ordinanza emessa in sede cautelare dal Giudice del Lavoro dello stesso Tribunale.
Per il Collegio, infatti, il licenziamento dovrà essere sospeso e il dipendente reintegrato fino a che non sia nel concreto accertata la proporzionalità della sanzione inflittagli dall’Amministrazione Locale di appartenenza.
Indipendentemente quindi dalla commissione o meno dei fatti ascritti, sarà, secondo il Collegio, il requisito della proporzionalità ad essere decisivo per la soluzione della controversia che nel frattempo sta proseguendo nella fase di merito (TRIBUNALE di Verbania, ordinanza 04.09.2009 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo per il rilascio della concessione edilizia imposto dalla legge n. 10/1977 e commisurato agli oneri di urbanizzazione ha carattere generale, in quanto prescinde totalmente dall’esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione, ha natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato senza tenere conto dell’utilità che riceve il beneficiario del provvedimento di concessione, né delle spese effettivamente necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione relative alla concessione assentita.
La ratio che ispira l’esenzione di cui alla lettera d), art. 9 l. 10/1977, è di derivazione sociale in quanto l’edificio unifamiliare nell’accezione socio economica assunta dalla norma coincide con la piccola proprietà immobiliare e come tale è meritevole di un trattamento differenziato per le opere di adeguamento alle necessità abitative del nucleo familiare.

L’art. 1 della legge n. 10/1977 ha introdotto nel nostro ordinamento il principio, di ordine generale, secondo cui “ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio partecipa agli oneri ad essa relativi”, nel senso che detto corrispettivo viene proporzionato al vantaggio patrimoniale di cui gode il concessionario, sia in relazione agli oneri che comporta la urbanizzazione sia in relazione all’utile derivante dalla misura e dalla tipologia dell’intervento di cui viene concessa la realizzazione, sicché ogni norma derogativa al suddetto principio di ordine generale va interpretata in senso restrittivo.
Or dunque è pacifico che l’art. 9 della legge n. 10/1977 (ora art. 17 del T.U. dell’edilizia) costituisce una deroga al principio generale dell’onerosità della concessione edilizia, avendo l’indicazione delle fattispecie di esonero del versamento del contributo, secondo molteplici e reiterate pronunce giurisprudenziali, carattere tassativo (cfr. CdS, sez. V, 14.10.19892, n. 987; Tar Lombardia, sez. II, 26.04.2006, n. 1062; Tar Lombardia, sez. Brescia, 28.01.2002, n. 100). Ne discende, pertanto, che le fattispecie citate nella richiamata disposizione sono di stretta interpretazione.
Tanto premesso il Collegio, ben conoscendo la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 174 del 23.01.2004 relativa ad una fattispecie analoga a quella in esame, non ritiene che sussistano le ragioni per discostarsi dal richiamato orientamento giurisprudenziale.
Il Supremo Consesso della Giustizia amministrativa nella su citata pronuncia, partendo dall’assunto che alcuni dei casi elencati dall’art. 9 sono espressione del principio di gratuità della concessione per le opere che non comportino nessun nuovo carico urbanistico per il comune, ha ritenuto di poter applicare l’esenzione di cui all’alinea g) (“opere da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità”) al caso non espressamente previsto della costruzione in sostituzione di un edificio espropriato e demolito per realizzare un’opera pubblica, per un volume non maggiore del precedente e nel territorio dello stesso comune.
Tanto sul rilievo che “l’onerosità della concessione trova la propria ragion d’essere come corrispettivo delle spese che la collettività si addossa con vantaggio del concessionario, in conseguenza della concessione edilizia, e che tale presupposto manca nel caso di ricostruzione di ciò che la calamità abbia distrutto”.
L’art. 12 delle preleggi autorizza il ricorso all’analogia per colmare le lacune legislative esistenti attraverso il richiamo della disciplina giuridica dettata per un caso simile o per materie analoghe.
Il ricorso all’analogia è però ammissibile solo quando ricorra identità di ratio -quando cioè il principio che ha ispirato la norma regolatrice della fattispecie appare idoneo ad operare nello stesso modo, dati gli elementi di somiglianza tra le due fattispecie, anche per quella non regolata– ,allora il giudice applica pure a quest’ultima una norma non scritta, che desume da quella scritta (ubi eadem ratio, ibi eadem dispositio).
Tanto premesso osserva, allora, il Collegio che l’operazione di estensione analogica dell’alinea g) dell’art. 9 della legge n. 10/1977 anche alle ipotesi di ricostruzione di edificio a seguito di demolizione conseguente ad esproprio, operata dal Consiglio di Stato, non ha tenuto nel debito conto le differenze esistenti tra tale ultima ipotesi e quella della ricostruzione di un edificio a seguito della sua distruzione per calamità naturale.
L’esonero dal pagamento degli oneri di urbanizzazione nelle ipotesi di cui all’alinea g) è ispirato ai principi di solidarietà sociale ed è finalizzato ad agevolare l’esecuzione di opere da realizzare in attuazione di norme o provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità dalle quali la collettività trae un’indubbia utilità e ad evitare che il soggetto che interviene per l’istituzionale attuazione del pubblico interesse corrisponda un contributo che verrebbe a gravare sulla stessa comunità che dovrebbe avvantaggiarsi dal loro pagamento.
Ben diversa appare, invece, l’ipotesi della ricostruzione di un edificio demolito a seguito di esproprio poiché in tale ultima evenienza il proprietario dell’edificio ha percepito a fronte dell’esproprio un’indennità, ovverosia una somma di denaro a titolo di ristoro patrimoniale per il sacrificio del proprio diritto. Indennità che, come affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, consegue a fatti che sacrificano i diritti dei singoli ma che non sono antigiuridici, in quanto autorizzati o imposti da una norma di legge per perseguire un superiore interesse pubblico.
A tale riguardo merita di essere evidenziato che la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente affermato che tale indennizzo non deve essere meramente simbolico, ma deve costituire un serio ristoro per il soggetto espropriato, pur senza dovere essere necessariamente commisurato al valore di mercato del bene. E la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha accettato il principio secondo cui l’indennizzo deve essere una somma ragionevolmente collegata al valore venale del bene.
L’indennità di espropriazione è determinata, dunque, sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio.
Ne discende, quindi, che la collettività attraverso l’indennità di esproprio e, a maggior ragione attraverso il corrispettivo pattuito in sede di cessione bonaria (come nel caso di specie), ha già ristorato il proprietario del bene espropriato del sacrificio subito (in quanto il costo di costruzione e gli oneri di urbanizzazione sono voci che contribuiscono a determinare il valore venale del bene) e, conseguentemente, esonerarlo dal pagamento del contributo del costo di costruzione e degli oneri di urbanizzazione, determinerebbe in capo al concessionario un ingiustificato arricchimento.
Tanto più se si considera che, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, il contributo per il rilascio della concessione edilizia imposto dalla legge n. 10/1977 e commisurato agli oneri di urbanizzazione ha carattere generale, in quanto prescinde totalmente dall’esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione, ha natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato senza tenere conto dell’utilità che riceve il beneficiario del provvedimento di concessione, né delle spese effettivamente necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione relative alla concessione assentita (cfr. CdS, sez. V, 21.04.2006, n. 2258; CdS, sez. V, 06.05.1997, n. 462)
Sulla scorta delle suesposte considerazioni il Collegio non ritiene, quindi, di poter condividere l’avviso del Consiglio di Stato e di potere applicare in via analogica alla fattispecie in esame l’esenzione prevista dall’alinea g) dell’art. 9 della legge n. 10/1977, ravvisando l’unico elemento di somiglianza tra la ricostruzione a seguito di calamità naturale e quella a seguito di demolizione per esproprio nella assenza di qualsiasi volontà del proprietario dell’edificio di demolirlo e poi ricostruirlo.
La fattispecie in esame non appare, infine, sussumibile neanche sotto le ipotesi di esenzione previste dalle lettere d) (“interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”) ed e) (“modifiche interne necessarie per migliorare le condizioni igieniche o statiche delle abitazioni, nonché realizzazione dei volumi tecnici che si rendono indispensabili a seguito dell’installazione di impianti tecnologici necessari per le esigenze delle abitazioni”) del citato art. 9.
La ratio che ispira l’esenzione di cui alla lettera d) è di derivazione sociale in quanto l’edificio unifamiliare nell’accezione socio economica assunta dalla norma coincide con la piccola proprietà immobiliare e come tale è meritevole di un trattamento differenziato per le opere di adeguamento alle necessità abitative del nucleo familiare.
Per quanto concerne, invece, gli interventi elencati nella lettera e) occorre, in primis, evidenziare che si tratta di interventi per i quali non è neanche richiesta la concessione edilizia (ora permesso di costruire), essendo sufficiente la mera autorizzazione, in considerazione del fatto che consistono in modifiche interne e nell’installazione di impianti che non incidono sulla volumetria, sulle dimensioni e sulle destinazioni d’uso originarie dell’edificio già esistente (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 13.03.2008 n. 604 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa determinazione dell’onere dovuto per il rilascio della concessione costituisce il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente collegata dalla legge al carico urbanistico accertato secondo parametri rigorosamente stabiliti (per cui deve escludersi, stante la natura tecnica dell’attività in materia, che il provvedimento debba essere motivato).
Per quanto concerne la dedotta carenza di motivazione in ordine all’ammontare dell’importo richiesto a titolo di oneri concessori merita di essere evidenziato che la determinazione dell’onere dovuto per il rilascio della concessione costituisce il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente collegata dalla legge al carico urbanistico accertato secondo parametri rigorosamente stabiliti (per cui deve escludersi, stante la natura tecnica dell’attività in materia, che il provvedimento debba essere motivato) (cfr. CdS, sez. V, 21.04.2006, n. 2258) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 13.03.2008 n. 604 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'insorgenza dell’obbligo di corresponsione degli oneri concessori è correlata al verificarsi o meno di un maggiore carico urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio, sicché non è necessario che la ristrutturazione interessi globalmente l’edificio –con variazioni riguardanti nella loro interezza le parti esterne ed interne del fabbricato–, ma è sufficiente che ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico “socio-economico” che l’attività edilizia comporta, anche quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori dovuti ad una divisione o frazionamento dell’immobile tra più proprietari.
Quanto ai presupposti per l’insorgenza dell’obbligo di corresponsione degli oneri concessori, è stato ripetutamente riconosciuto in giurisprudenza che rilevante in tal senso è il verificarsi o meno di un maggiore carico urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio, sicché non è necessario che la ristrutturazione interessi globalmente l’edificio –con variazioni riguardanti nella loro interezza le parti esterne ed interne del fabbricato–, ma è sufficiente che ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico “socio-economico” che l’attività edilizia comporta, anche quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori dovuti ad una divisione o frazionamento dell’immobile tra più proprietari (v. Cons. Stato, Sez. V, 03.03.2003 n. 1180; Sez. IV, 29.04.2004 n. 2611).
La circostanza, quindi, che l’intervento di ristrutturazione edilizia del fabbricato della società ricorrente abbia determinato un aumento delle unità residenziali (da 8 a 11) giustifica la pretesa dell’Amministrazione comunale, pur a fronte di una superficie utile che per questa parte risulta invariata, tenuto conto della maggiore dotazione di servizi che l’opera assentita determina nell’area in cui viene realizzata (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 19.02.2008 n. 100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla fondatezza di una domanda di risarcimento dei danni proposta dalla seconda classificata nella procedura concorsuale, derivante da illegittima aggiudicazione dell'appalto.
E' fondata la richiesta di risarcimento dei danni di una società, quale seconda classificata in una procedura concorsuale espletata da un comune, derivante dall'illegittima aggiudicazione dell'appalto per l'esecuzione del servizio elettrico votivo nel civico cimitero, nonché per la sua manutenzione, in favore di una ditta carente del requisito dell'abilitazione ex lege n. 46/1990, e che ha omesso d'indicare, nella documentazione allegata all'offerta, un responsabile tecnico avente i requisiti prescritti dalla legge.
Il vizio dell'attività, illegittimamente posta in essere dal comune, si pone come particolarmente evidente, integrando senz'altro, quanto meno, l'elemento della colpa, che per la Cassazione va riferita all'Amministrazione intesa come apparato (piuttosto che al singolo funzionario agente), ed è presente quando "l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi … in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità".
E' chiaro, infatti, che nel caso di specie non sembra potersi ravvisare alcun errore scusabile, il cui accertamento impedirebbe, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza che s'è occupata dell'argomento, di poter qualificare la condotta della P.A., nel suo complesso, come colposa (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 12.02.2007 n. 973 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTISull'illegittimità dell'aggiudicazione di una gara per mancata dichiarazione del collegamento sostanziale, in una gara precedente, accertato mediante annotazione nel Casellario informatico.
La mancata dichiarazione del "collegamento sostanziale" tra imprese, in quanto accertato mediante annotazione nel Casellario informatico, nei confronti delle imprese partecipanti alla gara e non dichiarato dalle stesse, costituisce una non veritiera indicazione delle condizioni previste per la partecipazione alla gara, ai sensi dell'art. 75 del d.p.r. n. 554/1999, lett. h, ed essendo tale dichiarazione precedente alla gara stessa, costituisce, di per sé, motivo di esclusione, indipendentemente dalla rilevanza che tale collegamento potrebbe avere sulla gara (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.02.2007 n. 554 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVIDiritto di accesso agli atti comprende sia la visione che la copia del documento.
Nel diritto di accesso agli atti, devono ricomprendersi sia la visione sia il rilascio di copia del documento.
A seguito dell’abrogazione della norma diretta a bilanciare l’esigenze di accesso con quelle di riservatezza, di cui dall’art. 24, comma 2, lettera d), nella formulazione dell’originaria della legge 241/1990, ad opera della legge n. 15/2005, si ritiene superata ogni possibilità di distinguere tra le due modalità di accesso che non si ravvisano più separabili
(TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 05.02.2007 n. 337 - link a www.altalex.com).

APPALTIPresenza alla seduta di gara e decorrenza dei termini di impugnazione.
Secondo l'orientamento meno recente, la presenza di un rappresentante della ditta partecipante alla gara d'appalto nel corso della quale la commissione giudicatrice ha ritenuto di escludere la ditta medesima dalla gara non comporta ex se piena conoscenza dell'atto di esclusione ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, qualora non risulti che il rappresentante fosse effettivamente tale perché munito di mandato ad hoc ovvero in base alla carica rivestita e che quindi la conoscenza dal medesimo avuta fosse riferibile alla società. Tale orientamento è stato però oggetto di rielaborazione, non essendosi potuto condividere che il rappresentante debba necessariamente essere munito di mandato ad hoc.
Diverso è invece l’attuale orientamento.
Ai fini del decorso del termine per l'impugnazione in tema di contratti della pubblica amministrazione, la presenza di rappresentanti delle imprese concorrenti alle sedute di gara integra gli estremi della piena conoscenza in capo alle imprese medesime degli atti che vengono adottati durante le sedute, essendo sufficiente la presenza di un soggetto che si qualifichi e sia indicato nel verbale come rappresentante della ditta partecipante, tanto più quando tale partecipazione si giustifichi con il compito di adottare specifiche iniziative per tutelare le ragioni dell'impresa nell'immediatezza dello svolgimento delle singole fasi di gara, attraverso la presentazione di osservazioni o di contestazioni rispetto a specifiche determinazioni assunte dall'organo di gara
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 31.01.2007 n. 400 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATABeni culturali e ambientali - Cave e torbiere - Piano Paesaggistico Ambientale Regionale Marche (P.P.A.R.) - Attività estrattive - Trasformazione del territorio Compatibilità paesistico-ambientale.
L’art. 45 delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del Piano Paesaggistico Ambientale Regionale (P.P.A.R.), approvato con Delibera del Consiglio Regionale delle Marche n. 198 del 03.11.1989, ha ricompreso le attività estrattive e le opere connesse tra gli interventi di rilevante trasformazione del territorio la cui realizzazione è subordinata alla preventiva dichiarazione di compatibilità paesistico-ambientale da parte della Giunta regionale, ai sensi di quanto espressamente stabilito dall’art. 63-ter dello stesso P.P.A.R.. Peraltro, con la stessa disposizione è precisato che non sono da considerarsi interventi di rilevante trasformazione del territorio, quelli di modesta entità, tali da non modificare i caratteri costitutivi del contesto paesistico ambientale o della singola risorsa.
Valutazione impatto ambientale - Rinnovazione del giudizio di compatibilità - Intervento in più fasi - Intervento significativamente diverso - Necessità.
La rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale si impone allorché le varianti progettuali determinino la costruzione di un intervento significativamente diverso da quello già esaminato.
Nel caso di un’autorizzazione alla realizzazione di un intervento in più fasi, è necessaria una valutazione dell’impatto ambientale se nel corso della seconda fase (e, quindi, anche in sede di variante) il progetto può avere un impatto ambientale importante, in particolare per la sua natura, le sue dimensioni o la sua ubicazione (in tal senso, Cons. Stato, VI, n. 2694/2006; principio conforme a Corte Giust., 04.05.2006, C-290/2003).
Cave - Zona agricola con attività estrattiva - Fascia di tutela fluviale - Soluzione tecnica migliorativa - Incremento del materiale ghiaioso-sabbioso - Pretesto per esercitare un’attività estrattiva - Illegittimità.
Necessita della rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale, anche l’introduzione significativa di una soluzione tecnica migliorativa, in quanto non può costituire il pretesto per ottenere l’incremento del materiale ghiaioso-sabbioso da asportare all’interno della fascia di tutela fluviale con il conseguente abbassamento del piano di campagna.
A nulla rilevando il fatto che il Piano regolatore comunale avesse dato ai terreni interessati dall’area di cava una destinazione di zona agricola con attività estrattiva, perché è comunque necessario il rispetto dei regimi di vincolo paesaggistico ed ambientale presenti nella zona ed imposti dal P.P.A.R..
Nella specie, il progetto interessava porzioni della fascia di rispetto fluviale sottoposta a vincolo di tutela integrale, con un notevole incremento delle asportazioni di materiale ghiaioso e sabbioso all’interno della fascia di tutela, in conseguenza del previsto rimodellamento morfologico dell’area, attraverso la realizzazione di un’unica scarpata (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 31.01.2007 n. 370 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sull'impugnazione delle clausole illegittime di un bando di gara.
Una stazione appaltante può stabilire autonomamente criteri di valutazione delle offerte diversi da quelli previsti dall'art. 23, c. 1, d.lvo 157/1995.
Le clausole illegittime degli atti regolatori di una gara vanno impugnate unitamente al provvedimento di aggiudicazione, salve le ipotesi in cui impediscano o rendano difficoltosa la partecipazione del ricorrente, provocando una lesione immediata per la sua posizione di interesse.
In relazione al criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa ex art. 23 comma 1 d.lgs 157/1995, tale norma indica, a titolo esemplificativo, alcuni dei parametri che possono essere presi in considerazione ai fini della valutazione qualitativa delle offerte, ma non esclude che la singola amministrazione possa autonomamente stabilire, per ogni singola gara, parametri per la valutazione delle offerte, sempre che questi rimangano riferiti alle specifiche caratteristiche oggettive dell'offerta e delle modalità attraverso le quali viene reso il servizio, e non alla complessiva organizzazione imprenditoriale del soggetto partecipante (C.G.A. per la Regione Siciliana, Sez. giurisdizionale,
sentenza 29.01.2007 n. 6 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE GESTIONALIRAPPRESENTANZA IN GIUDIZIO DEL COMUNE ESCLUSIVAMENTE DEL SINDACO.
In base all'ordinamento degli Enti locali (v. gli artt. 6, 50 e 107 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267), la rappresentanza in giudizio del Comune compete esclusivamente al Sindaco, quale rappresentante dell'ente e non già al dirigente, al quale è riservato unicamente il potere di promuovere le liti che interessano l'ente, con compiti di rappresentanza sostanziale.
In particolare il TAR salentino ha rilevato un vizio nella deliberazione di conferimento dell'incarico difensivo al difensore dell'Amministrazione comunale che, a dire del G.A., sarebbe stata rilasciata da soggetto incompetente, sì da determinare una pretesa irritualità della attività difensiva svolta dal difensore.
A parere di chi scrive trattasi di assunto che si discosta dai più recenti ed autorevolissimi arresti cui sono giunte le Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno ripetutamente affermato, con riferimento alla rappresentanza in giudizio dei comuni che "lo statuto del Comune (atto a contenuto normativo, rientrante nella diretta conoscenza del giudice) o anche i regolamenti municipali, nei limiti in cui ad essi espressamente rinvii lo stesso statuto, possono affidarla ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, od anche, con riguardo all'intero contenzioso, al dirigente dell'ufficio legale, e possono altresì prevedere detta autorizzazione (della giunta o del competente dirigente), altrimenti non necessaria" (Cassazione civile, Sez. Un., 27.06.2005, n. 13710).
Tale è stata appunto la scelta effettuata dall'A.C. con gli artt. 58 e ss. dello Statuto comunale (che attribuiscono alla sfera dirigenziale tale competenza) che la determinazione 21/05/2001 n. 418 espressamente richiamava; così come richiamava la deliberazione 03/05/2001 della Giunta comunale, rispetto alla quale la già citata determinazione dirigenziale si dichiarava conforme (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 25.01.2007 n. 161 - link a www.filodiritto.com).

CONSIGLIERI COMUNALI: Sulla revoca dell'incarico di assessore comunale: non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento.
Non è necessaria la previa comunicazione dell'avvio del procedimento per la revoca dell'incarico di assessore comunale in considerazione della specifica disciplina normativa vigente in materia.
Invero, le prerogative della partecipazione possono essere invocate quando l'ordinamento prende in qualche modo in considerazione gli interessi privati in quanto ritenuti idonei ad incidere sull'esito finale per il migliore perseguimento dell'interesse pubblico, mentre tale partecipazione diventa indifferente in un contesto normativo nel quale la valutazione degli interessi coinvolti è rimessa in modo esclusivo al Sindaco, cui compete in via autonoma la scelta e la responsabilità della compagine di cui avvalersi per l'amministrazione del Comune nell'interesse della comunità locale, con sottopozione del merito del relativo operato unicamente alla valutazione del consiglio comunale.
Il relativo procedimento è perciò semplificato al massimo per consentire un'immediata soluzione della crisi intervenuta nell'ambito del governo locale, articolandosi nei seguenti passaggi: valutazione della situazione da parte del sindaco, scelta sindacale di modificare la composizione della giunta nell'interesse della comunità locale e comunicazione motivata di ciò al consiglio comunale, senza l'interposizione della comunicazione dell'avvio del procedimento all'assessore assoggettato alla revoca, la cui opinione è irrilevante per la normativa attuale salvo che non venga fatta propria dal consiglio comunale (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.01.2007 n. 209 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni culturali e ambientali - Imposizione del vincolo anche su aree di gran lunga eccedenti la superficie - Illegittimità.
L’inscindibilità di un unitario complesso archeologico, la cui parte più rilevante, si trova su aree pacificamente estranee all’area sottoposta a vincolo, e l’esigenza di preservarlo nella sua globalità, non giustificano l’imposizione del vincolo anche su aree di gran lunga eccedenti la superficie, risultando in assunto, proprio nell’impostazione motivazionale prescelta dall’amministrazione e nelle giustificazioni fattuali da questa addotte, che il sacrificio imposto alla proprietà privata, risulta sproporzionato, irragionevole e immotivato.
Beni culturali e ambientali - C.d. tutela del “vuoto strutturale” - Mancanza assoluta del ritrovamento di reperti significativi - Estensione del vincolo - Esclusione.
L’esigenza di tutela del “vuoto strutturale” legato all’esistenza di “horti” e giardini ipotizzati come “continuum” rispetto ad una Villa romana, collegabili alla struttura viaria localizzata in un’area delimitata, in mancanza assoluta del ritrovamento di reperti significativi, si rivela sprovvista dei caratteri della ragionevolezza, adeguatezza e, in specie, proporzionalità che escluderebbero la natura del tutto contraddittoria e immotivata dell’estensione del vincolo a tutta l’area interessata.
Beni culturali e ambientali - Imposizione del vincolo diretto - Effettiva esistenza delle cose da tutelare - Necessità - Fondamento - Artt. 1 e 3 L. n. 1089/1939.
Per l’imposizione del vincolo diretto di cui agli artt. 1 e 3 della legge n. 1089 del 1939 imprescindibile presupposto è la dimostrata, effettiva esistenza delle cose da tutelare; con la conseguenza che il relativo provvedimento si deve considerare illegittimo, per carenza o errore nei presupposti, ove sia stato acclarato che in un’area non irrilevante della zona vincolata in realtà non esiste alcun bene archeologico suscettibile di protezione.
Ciò in quanto la legge in esame, dove consente l’imposizione del vincolo diretto sulle cose di interesse artistico, storico o archeologico, incide, comprimendolo, sul diritto di proprietà.
Se ne trae la conseguenza che, al fine di evitarne un’inutile limitazione, è consentito all’amministrazione di adottare il relativo provvedimento soltanto nel presupposto della già acquisita certezza dell’esistenza delle cose oggetto di tutela e previa rigorosa delimitazione della zona da proteggere (C. Stato, sez. VI, 09.05.2002, n. 2525).
Beni culturali e ambientali - Ruderi archeologici - Vincolo ad intere aree - Complesso unitario ed inscindibile - Limitazione proporzionata alla finalità di pubblico interesse. Tutela di beni archeologici.
In materia di tutela di beni archeologici, l’amministrazione può estendere il vincolo ad intere aree in cui siano disseminati ruderi archeologici particolarmente importanti, tuttavia, in tal caso è necessario, non solo che i ruderi stessi costituiscano un complesso unitario ed inscindibile, ma anche che il sacrificio totale degli interessi dei proprietari sia reso indispensabile e che non sussista la possibilità di adottare soluzioni meno radicali, evitandosi, in ogni caso, che l’imposizione della limitazione sia sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico interesse cui è preordinata (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 19.01.2007 n. 120 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla nozione di appalto pubblico di lavori e sulla modalità di calcolo del valore dell'appalto.
L'amministrazione aggiudicatrice non è esonerata dal fare ricorso alla gara ai sensi della direttiva 93/37, per il fatto che la normativa nazionale limita la conclusione della convenzione solo con determinate persone giuridiche.
Una convenzione con cui una prima amministrazione aggiudicatrice affida ad una seconda amministrazione aggiudicatrice la realizzazione di un'opera costituisce un appalto pubblico di lavori ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 14.06.1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13.10.1997, 97/52/CE, indipendentemente dal fatto che sia previsto o no che la prima amministrazione aggiudicatrice sia o divenga proprietaria, in tutto o in parte, di tale opera.
Per determinare il valore di un appalto ai fini dell'art. 6 della direttiva 93/37, come modificata dalla direttiva 97/52, occorre prendere in considerazione il valore totale dell'appalto di lavori dal punto di vista di un potenziale offerente, il che include non soltanto l'insieme degli importi che l'amministrazione aggiudicatrice dovrà pagare, ma anche tutti gli introiti che proverranno da terzi.
Un'amministrazione aggiudicatrice non è dispensata dal fare ricorso alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori previste dalla direttiva 93/37, come modificata dalla direttiva 97/52, per il fatto che, in conformità al diritto nazionale, tale convenzione può essere conclusa soltanto con determinate persone giuridiche, che abbiano esse stesse lo status di amministrazione aggiudicatrice e che saranno tenute, a loro volta, ad applicare le dette procedure per aggiudicare eventuali appalti susseguenti (Corte di giustizia europea, Sez. I,
sentenza 18.01.2007 n. C-220/05 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAL'art. 9 dm n. 1444 del 1968, relativo all’obbligo di rispettare una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate (e quindi munite di luci e/o vedute, secondo la definizione contenuta nell’art. 900 cod. civ.) ed edifici antistanti, è volto ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico sanitario: ha, pertanto, carattere tassativo ed inderogabile, non eludibile da parte dello strumento urbanistico comunale, il quale può solo prescrivere distanze maggiori, ma non limitarne l’applicazione.
L’adozione, da parte dell’ente locale, di una prescrizione contenuta nello strumento urbanistico contrastante con la citata norma, anche in senso meramente limitativo, comporta l’obbligo di applicare direttamente la disposizione del menzionato art. 9 divenuta, per inserzione automatica, parte integrante del piano regolatore, in sostituzione della norma illegittima, che deve essere disapplicata ovvero annullata.

E' evidente la fondatezza del ricorso, che denuncia la violazione dell’art. 9 dm n. 1444 del 1968, relativo all’obbligo di rispettare una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate (e quindi munite di luci e/o vedute, secondo la definizione contenuta nell’art. 900 cod. civ.) ed edifici antistanti, obbligo che, essendo volto ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico sanitario, ha pertanto carattere tassativo ed inderogabile, non eludibile da parte dello strumento urbanistico comunale, il quale può solo prescrivere distanze maggiori, ma non limitarne l’applicazione (per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 05.12.2005, n. 6909; Cass. civ., sez. II, 10.01.2006, n. 145).
Ne deriva che l’adozione, da parte dell’ente locale, di una prescrizione contenuta nello strumento urbanistico contrastante con la citata norma, anche in senso meramente limitativo, comporta l’obbligo di applicare direttamente la disposizione del menzionato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante del piano regolatore, in sostituzione della norma illegittima che, deve essere disapplicata (per tutte, Cass. Civ., sez. II, 30.03.2006, n. 7563 e 29.05.2006, n. 12741) ovvero annullata, ove (come nella specie) impugnata.
Lla suddetta prescrizione, data la finalità che intende perseguire, che è, come si è detto, di natura igienico–sanitaria, vale anche per la distanza da edificio adibito ad autorimessa, come nel caso di specie (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 17.01.2007 n. 22 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Ordinanza contingibile ed urgente - Materie di competenza esclusiva del Sindaco - C.d. potere "extra ordinem" - Art. 54, comma 2, D.L.vo 267/2000 - Art. 38 comma 2 L. n. 142/1990.
Ai sensi dell'art. 38, comma 2, l. 08.06.1990 n. 142 (al pari del vigente art. 54 comma 2 del D.L.vo 267/2000 cit.), è demandato esclusivamente al sindaco il potere "extra ordinem" di emanare i provvedimenti contingibili e urgenti in materia di sanità e igiene, edilizia e polizia locale, individuando tale potere come una prerogativa tipica del sindaco, quale Ufficiale di Governo, non delegabile ad altri (cfr. ad es. TAR Abruzzo-L'Aquila, 03.10.2003, n. 835, TAR Campania-Napoli, 03.05.2006 n. 3905, Consiglio Stato sez. IV 24.03.2006 n. 1537) (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 15.01.2007 n. 276 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATABeni culturali e ambientali - Condono edilizio e condono paesaggistico - Differenza - C.d. "Minicondono" paesaggistico - Reati edilizi - Esclusione - L. n. 308/2004 - Art. 181 D. L.vo n. 42/2004.
In mancanza di esplicita norma di coordinamento, tra la Legge n. 308/2004 e l’art. 181 decreto legislativo n. 42 del 2004, non è possibile estendere la sanatoria anche al reato edilizio, (specialmente se commesso dopo il 31.03.2003 e prima del 30.09.2004), giacché il condono edilizio e quello paesaggistico si fondano su presupposti diversi quanto ai paramenti di valutazione della compatibilità dell’opera.
Invero, per la condonabilità dell’abuso edilizio, è richiesta la conformità agli strumenti urbanistici vigenti; per quella dell’abuso paesaggistico la conformità agli strumenti di pianificazione paesaggistica ove vigenti, o, altrimenti, al cosiddetto contesto paesaggistico.
Sicché, un’opera può essere conforme ai piani paesaggistici ma non agli strumenti urbanistici e viceversa, giacché l’interesse paesaggistico è diverso da quello urbanistico, anche se si sta imponendo la tendenza a fare coincidere i due interessi (ad esempio l’articolo 145 del codice Urbani).
Beni culturali e ambientali - Condono - C.d. "Minicondono" paesaggistico - Reati edilizi - Esclusione.
Per espressa disposizione della norma, la prevista sanatoria contenuta nella Legge n. 308 del 2004 è limitata al reato di cui all'articolo 181 decreto legislativo n. 42 del 2004 e comunque ai reati paesaggistici come ad esempio a quello previsto dall'articolo 734 codice penale, ma non si estende al reato edilizio per la mancanza di norme di coordinamento.
Condono - Demolizione del manufatto illecitamente realizzato - Rapporto tra urbanistica e paesaggio - Differenza.
Il rapporto tra urbanistica e paesaggio, va distinto tenuto conto del diverso interesse pubblico tutelato: l’urbanistica ha infatti come scopo il raggiungimento di un ordinato assetto del territorio, il paesaggio tende invece alla conservazione della funzione estetico culturale del bene-valore, tra l’altro direttamente ed autonomamente tutelato dalla Costituzione (Cfr Cons. Stato, sez. VI 14.01.1995 n 29, Cass. Sez. III 09.02.1998 n. 1492).
Quindi, quand’anche si dovesse ottenere la compatibilità paesaggistica per l’abuso paesaggistico commesso, non si potrebbe evitare la condanna per l’abuso edilizio e la conseguente demolizione del manufatto illecitamente realizzato.
Illeciti edilizi - Opera non condonabile - Domanda di condono - Sospensione del procedimento in pendenza dei termini - Esclusione.
In tema di illeciti edilizi, non è possibile la sospensione del procedimento in pendenza dei termini per la presentazione della domanda di condono allorché si tratta di opera non condonabile (Cass. Sez. III 09.07.2004 n 38694; Cass. sez. III 06.04.2004 n. 21679, Cass. 3762 del 2000).
Il comma 27 dell’articolo 32 della legge n. 326 del 2003 (Misure Urgenti per favorire lo sviluppo e per la Correzione dell’andamento dei conti pubblici) prescrive, fermo restando quanto disposto dagli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985, le opere abusive non sono suscettibili di sanatoria qualora: “a)...b)...c)...d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici... qualora istituiti prima dell’esecuzione di dette opere”.
Abusivismo - Sentenza di condanna - Sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione del manufatto - Legittimità.
In materia edilizia legittimamente il giudice, nel concedere con la sentenza di condanna la sospensione condizionale della pena, può subordinare detto beneficio alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante la demolizione dell’opera abusiva disposta con la stessa condanna ai sensi dell’an (cfr. Cass. Sez. Un. n. 714 del 1997; Cass. 15.06.1998, n. 7148 Dionisi; Cass. 30.09.1998, 10309 Licata; Cass. 07.04.2000, 4086, Pagano; Cass. n. 18304 del 2003) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.01.2007 n. 451 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione paesaggistica - Diniego della sanatoria - Annullamento ministeriale - Declaratoria di irricevibilità - Legittimità - Potere ordinatorio del giudice amministrativo - Esame dei presupposti e delle condizioni dell’azione.
Il potere ordinatorio del giudice amministrativo, di disporre in ordine al processo e al suo andamento deve rispondere a precise regole di ordine logico sostanziale, oltre che giuridico formali; nella corretta osservanza di tali regole, l’esame dell’eventuale pregiudizialità (non necessaria) di altro giudizio -su un differente atto connesso a quello impugnato- deve seguire (e non precedere) l’esame dei presupposti e delle condizioni dell’azione e fra questi, quello in ordine alla tempestività dell’impugnazione, il cui esito negativo preclude al giudice ogni ulteriore accertamento di tipo sostanziale e di merito, ivi compreso quello sulla connessione delle cause e sulla pregiudizialità del giudizio sull’atto presupposto.
Non è, dunque, sindacabile in appello la mancata sospensione di un’impugnazione palesemente irricevibile, in attesa della decisione del ricorso giurisdizionale sull’atto presupposto -pendente davanti a differente giudice dello stesso ordine e grado- in quanto (indipendentemente da ogni altra considerazione) la decisione sulla validità di tale atto sarebbe stata del tutto irrilevante, in quanto non in grado di risolvere (in favore del ricorrente) il problema processuale della inoppugnabilità del provvedimento consequenziale.
Nella specie, non inficia la declaratoria di irricevibilità, l’avere deciso la causa e non averla, al contrario sospesa in attesa della decisione di altro ricorso, proposto dallo stesso attuale appellante, avverso l’annullamento ministeriale dell’autorizzazione paesaggistica (presupposto del diniego della sanatoria richiesta dall’originario proprietario e da questi non impugnato) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2007 n. 40 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Inottemperanza all'ordine di demolizione - Acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di sedime - Provvedimento di accertamento - Trascrizione della acquisizione dell’area al patrimonio comunale - Atti consequenziali - Impugnazione autonoma - Esclusione.
Il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e quello successivo di acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di sedime (ed il provvedimento che dispone, come quello in esame, l’occupazione dell’opera abusiva e dell’area di sedime in vista della trascrizione della acquisizione dell’area al patrimonio comunale) debbono considerarsi consequenziali, connessi e conseguenti all'ordine di demolizione delle opere e ripristino dello stato primitivo dei luoghi, con la conseguenza che non sono autonomamente impugnabili, in mancanza di impugnazione dell'atto con cui si ingiunge la demolizione (o come, nella specie, nel caso di irricevibilità dell’impugnazione tardivamente proposta avverso tale atto) (Cons. Stato, Sez. V, 26.05.2003, n. 2850) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2007 n. 40 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTILettera di invito a gara di appalto: i canoni interpretativi dei contenuti.
I canoni di interpretazione di una lettera di invito, così come delle clausole dei bandi di concorso, non sono quelli delle fonti indicate negli artt. 12 e segg. delle disposizioni sulla legge in generale (preliminari al codice civile), bensì quelli desunti dagli artt. 1362 e segg. del codice anzidetto, attesa la natura della volontà espressa, assumibile nella nozione generale del negozio giuridico, cui le norme anzidette trovano applicazione.
Invero non trova applicazione, alla clausola in questione, neppure la c.d. interpretazione autentica (quale, nella specie, derivante dalla precisazione postuma dell’Azienda, secondo cui la clausola doveva essere interpretata alla lettera e cioè nel senso che la copertura assicurativa doveva essere posseduta da ciascun offerente al momento dell’offerta e che non fosse equivalente l’impegno a costituirla in caso di aggiudicazione).
Soccorrono, dunque, specificamente, gli artt. 1362, 1366, 1367, 1368 , 1369, 1370, 1371 c.c., in ciascuno dei quali sono da rinvenire, analiticamente, i canoni interpretativi ai quali è stato fatto ricorso, con la decisione di accoglimento, che deve essere interamente condivisa.
Ecco, dunque, la necessità di attribuire alla clausola il significato “più conveniente alla natura e all'oggetto del contratto” (art. 1369 c.c.)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.01.2007 n. 37 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Beni culturali e ambientali - Annullamento del nulla-osta paesaggistico - Comunicazione dell’avvio del procedimento - Obbligo.
Sussiste l’obbligo dell’autorità statale di dare notizia all’interessato anche nell’ipotesi dell’avvio del procedimento preordinato all’eventuale annullamento del nulla-osta paesaggistico come sopra rilasciato. (cfr., tra le tante, Cons. Stato, VI sez., 25.03.2004, n. 1626; 20.01.2003, n. 203; 17.09.2002 n. 4709, 29.03.2002 n. 1790).
Beni culturali e ambientali - Nulla-osta paesaggistico - Avvio del procedimento - Comunicazione - Necessità - Fase procedimentale “diversa” - Esercizio del potere di controllo - Diversa autorità - Diverso responsabile del procedimento - D.M. 19/06/2002 n. 165 mod. l’art. 4, D.M. 13/06/1994 n. 495 - L. n. 241/1990.
Il nulla-osta paesaggistico, deve essere preceduto dalla comunicazione dell’avvio del procedimento da parte dell’Amministrazione statale. Non potendosi attribuire rilevanza, al fine di fondare un diverso avviso, alla circostanza che l’ente autorizzante abbia già dato notizia alla parte della trasmissione del nulla-osta all’autorità statale per l’esercizio del potere di controllo (Cons. Stato, Sez. VI, ord. 09.05.2003 n. 1806; 26.10.2006, n. 6418; 13.02.2003 n. 790; 17.10.2003 n. 6342).
Beni culturali e ambientali - Nulla-osta paesaggistico - Annullamento - Provvedimento statale - Avviso del procedimento - Necessità - Eccezione - L. n. 241/1990.
Il provvedimento statale di annullamento del nulla-osta paesaggistico, salvo che la conoscenza dell’inizio del medesimo procedimento sia avvenuta aliunde, deve essere preceduto necessariamente dall’avviso del procedimento, (Cons. Stato, Sez. VI, 17.10. 2003 n. 6342; 29.04.2003 n. 2176; 10.04. 2003 n. 1909; 26.10.2006, n. 6418).
In definitiva, l’onere di cui all’art. 7, comma 1, della L. n. 241/1990, viene soddisfatto soltanto dalla formale comunicazione ad opera dell’autorità statale competente a pronunciare l’eventuale annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, così come, del resto, esplicitamente previsto dalla normativa regolamentare attuativa della L. 241/1990 appositamente dettata dal Ministero dei beni culturali ed ambientali, con D.M. n. 495 del 13.06.1994, art. 4 e Tabella A punto 4 (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.01.2007 n. 28 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Sui requisiti che devono sussistere affinché l'affidamento in house di un servizio pubblico possa considerarsi legittimo.
E' legittimo l'affidamento di un servizio in house providing purché l'ente territoriale affidante eserciti sul soggetto gestore un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e che, allo stesso tempo, quest'ultimo svolga la parte essenziale della propria attività insieme con l'ente o gli enti territoriali che lo controllano.
Circa il concetto di "controllo analogo", la Corte di Giustizia delle Comunità europee aveva avvertito che deve trattarsi di "un rapporto che determina da parte dell'amministrazione controllante un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato e che riguarda l'insieme dei più importanti atti di gestione".
Questa conclusione è stata ribadita, tra gli altri, dall'arresto della Corte di giustizia europea, I, 13.10.2005, n. c-458/03, secondo il quale, in particolare: "[…..] deve risultare che l'ente concessionario in questione è soggetto ad un controllo che consente all'autorità pubblica concedente di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti. […..].
Nel solco di questo indirizzo giurisprudenziale la Commissione europea, sin dalla nota del 16.06.2002, sottolineava che non era sufficiente, al fine di individuare il presupposto del "controllo analogo", il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole del diritto societario, posto che il soggetto partecipato, in relazione ai più importanti atti di gestione, deve configurarsi solo formalmente come entità distinta dall'amministrazione, dovendo, invece, essere concretamente parte della stessa. In ambito nazionale, sia pure con sfumature diverse, ovviamente dettate dalla particolarità delle fattispecie (anche in relazione alla specifica legislazione domestica) la giurisprudenza ha seguito e confermato l'indirizzo europeo.
In questo contesto è stato puntualizzato che il soggetto gestore si atteggia ad una sorta di longa manus dell'affidante, pur conservando natura distinta ed autonoma rispetto all'apparato organizzativo di questo; deve, in altri termini, trattarsi di una sorta di amministrazione "indiretta", nella quale la gestione del servizio resta saldamente nelle mani dell'ente concedente attraverso un controllo gestionale e finanziario stringente sull'attività della società affidataria: la quale, a sua volta, è istituzionalmente destinata in modo assorbente ad operare in favore di questo (TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 10.01.2007 n. 13 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti - Gestione di rifiuti - Abbandono di rifiuti o deposito incontrollato di rifiuti - Responsabilità proprietario terreno - Condotta omissiva.
In tema di gestione di rifiuti, la consapevolezza da parte del proprietario del fondo dell'abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi non è sufficiente ad integrare il concorso nel reato di cui all'art. 51, comma secondo, del decreto legislativo 05.02.1997 n. 22, (abbandono o deposito incontrollato di rifiuti), atteso che la condotta omissiva può dare luogo ad ipotesi di responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi del comma secondo dell'art. 40 c.p., ovvero sussista l'obbligo giuridico di impedire l'evento (Cassazione Sezione III, n. 32158/2002; 01/07/2002 - 26/09/2002, Ponzio, RV. 222420).
Rifiuti - Smaltimento di rifiuti - Abbandono o deposito incontrollato di rifiuti - Responsabilità proprietario terreno - Comportamento omissivo - Specifico obbligo giuridico di impedire l'evento - Necessità - Fattispecie.
Anche in materia ambientale un dato comportamento omissivo acquista il connotato dell'antigiuridicità solamente in funzione di una norma che imponga al soggetto di attivarsi per impedire l'evento naturalistico di lesione dell'interesse tutelato.
Tale posizione è configurabile nei confronti del produttore dei rifiuti il quale è tenuto a vigilare che propri dipendenti o altri sottoposti o delegati osservino le norme ambientalistiche, dovendosi intendere produttore di rifiuti, ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. b), del d.lgs. 05.02.1997 n. 22, non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione ed a carico del quale sia quindi configurabile, quale titolare di una posizione definibile come di garanzia, l'obbligo, sancito dall'art. 10, comma 1, del citato decreto, di provvedere allo smaltimento dei detti rifiuti nei modi prescritti.
Nella specie, non è stato ravvisato concorso nel reato, potendosi, quello esterno materiale, realizzare con condotta commissiva mediante cogestione di fatto o morale (istigazione, rafforzamento, agevolazione) ovvero con condotta omissiva ma sempre che il non agere s'innesti in uno specifico obbligo giuridico di impedire l'evento [Cass. Sez. I, n. 12431/1995, 17/11/1995-15/12/1995, Insinna, RV. 203332], sicché erroneamente è stato ritenuto che integri il reato contestato la condotta del proprietario di un terreno che abbia omesso d'impedire che sul proprio fondo non recintato terzi realizzassero un deposito incontrollato di rifiuti (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.01.2007 n. 137 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'affidamento diretto di un servizio pubblico locale. Interesse a ricorrere e requisiti del controllo analogo.
Deve essere riconosciuto l'interesse strumentale a ricorrere in capo a qualsiasi imprenditore del settore e potenziale concorrente, che contesti il modulo organizzativo di affidamento diretto di un servizio pubblico o di individuazione di un partner in società miste, in assenza di gara.
In base all'art. 113, V c., lett. c), del D. Lgs. n. 267 del 2000, anche la gestione dei servizi di rilevanza economica può essere affidata senza gara "a società a capitale interamente pubblico", pur se a "a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano" (c.d. affidamento "in house providing").
In caso di servizio gestito col metodo del c.d. "in house providing", è quindi preliminarmente necessario stabilire con precisione cosa si intenda per controllo analogo. Per "controllo analogo" deve intendersi, un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario, che non può sussistere, in particolare, quando la partecipazione dell'Ente pubblico alla società sia meramente simbolica.
Nel caso di specie, al momento dell'affidamento diretto del servizio di nettezza urbana il comune deteneva solo l'1 % del capitale sociale, e la partecipazione non può che ritenersi simbolica, con impossibilità di esercizio di un controllo equivalente a quello di subordinazione gerarchica (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 09.01.2007 n. 72 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: L'affidamento del servizio illuminazione elettrica votiva aree cimiteriali è una concessione di un pubblico servizio.
Non possono partecipare alle gare per l'affidamento del servizio di illuminazione votiva le società di persone.

L'affidamento del servizio illuminazione elettrica votiva aree cimiteriali è una concessione di un pubblico servizio come riconosciuto dal Consiglio Stato che, con sentenza 07.04.2006, n. 1893, ha espressamente affermato che tra i servizi pubblici locali, "rientra pacificamente quello diretto ad assicurare la illuminazione votiva dei cimiteri".
Poiché, infatti, il servizio di cui si tratta è a carico degli utenti, si applica nella specie la differenza elaborata fra appalto e concessione di pubblici servizi e consistente nel fatto che mentre nel primo si prevede un corrispettivo che è pagato direttamente dall'amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi; nella concessione la remunerazione del prestatore di servizi proviene non già dall'autorità pubblica interessata, bensì dagli importi versati dai terzi per l'utilizzo del servizio, con la conseguenza che il prestatore assume il rischio della gestione dei servizi in questione;
Peraltro, in tal caso, ai sensi dell'art. 113, c. 5, lett. a), del d.lgs. n. 267 del 2000. il "conferimento della titolarità del [pubblico] servizio può avvenire esclusivamente:
a) a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche;
c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano"
.
Nella caso di specie la ricorrente, essendo una società di persone, non rientrava in alcuna delle tre ipotesi previste dal richiamato comma 5, lett. a), dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 e, conseguentemente non avrebbe potuto essere ammessa alla gara (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.01.2007 n. 4 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Carenza di interesse alla decisione del ricorso - Dichiarazione d’ufficio - Presupposti.
La carenza di interesse alla decisione del ricorso, proposto contro l’atto di aggiudicazione di una gara di appalto, può essere dichiarata d’ufficio quando il ricorrente non potrebbe, comunque, risultare aggiudicatario dell’appalto, anche nel caso di annullamento degli atti di gara (cfr. Cons. St., sez. V, 15.04.2004, n. 2138; Cons. St., sez. VI, 30.05.2003, n. 2994; Cons. St., sez. V, 25.01.2003, n. 355; Cons. St., sez. IV, 11.12.1998, n. 1629; Cons. St., sez. VI, 07.07.1995, n. 661).
Impresa priva di requisito - Esclusione - Clausole del bando - Requisiti finanziari e professionali - Par condicio tra i concorrenti.
Deve essere esclusa dalla selezione l’impresa priva del requisito, relativo al “possesso dei requisiti finanziari e professionali necessari per potere essere ammessa alla fase concorrenziale di attribuzione dei punteggi”, requisito richiesto dal bando a pena di esclusione (Cons. St., sez. IV, 12.06.2003, n. 3310).
La P.A. è, vincolata a dare attuazione alle clausole del bando, né nella specie poteva venire, comunque, in considerazione la possibilità di una successiva integrazione della dichiarazione, stanti, appunto, la dichiarazione resa dalla impresa e la previsione del bando a pena di esclusione.
Assenza dei requisiti di partecipazione - Soggetto legittimamente escluso - Interesse all’impugnazione - Annullamento degli atti di gara - Esclusione.
In materia di appalti, il soggetto legittimamente escluso o non ammesso ad una pubblica gara per l’assenza dei requisiti di partecipazione, non ha interesse all’impugnazione, in quanto non ha interesse a contestare l’aggiudicazione, non potendo trarre alcun vantaggio o beneficio dall’annullamento degli atti di gara e, pertanto, dedurre vizi attinenti la posizione dell’aggiudicatario (cfr. Cons. St., sez. VI; 10.10.2002, n. 5442; Cons. St., sez. V, 21.06.2002, n. 3391; Cons. St., sez. V, 17.04.2002, n. 2017; Cons. St., sez. V, n. 3166/2005) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 16 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATABeni culturali e ambientali - Acqua - Tutela paesaggistica dei torrenti - Fascia di 150 m - Verifica di compatibilità dell'opera - Necessità - Art. 142, n. 1 codice dei beni culturali e del paesaggio.
Nell’ambito della tutela paesaggistica, l’assoggettamento alle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio dei torrenti "per una fascia di 150 mt.", di cui all'articolo 142, n. 1, del medesimo non implica l’inedificabilità assoluta, ma solo l'assoggettamento dell'intervento alla verifica di compatibilità dell'opera in relazione alla tutela del paesaggio (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 13 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIRotatorie - Nozione - Soluzione per inconvenienti di visibilità e intersezioni stradale - Assimilazioni in via analogica agli incroci - Art. 24 c.d.s. D.L.vo n. 285/1992 e art. 60 reg. att..
Le rotatorie costituiscono una soluzione tecnica per ovviare proprio agli inconvenienti dalle intersezioni stradali e da quelle condizioni che ostacolano la visibilità da parte degli utenti della strada.
Tale diversa natura, pertanto, impedisce che, ai fini dell’applicazione delle regole sulla costruzione e sicurezza delle strade, le rotatorie vengano assimilate, in via di applicazione analogica, agli incroci (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 13 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: Partecipanti alla gara - Errore da fatto imputabile alla stazione appaltante - Condizione del bando o del disciplinare di gara - Processo di eterointegrazione - Attestazione SOA - Fattispecie - Lavori di urbanizzazione primaria - Art. 30 L. n. 109/1994.
In materia di appalti è illegittima l’esclusione quando l’errore in cui incorrono alcuni partecipanti alla gara non deriva da incuria dei medesimi ma da fatto imputabile alla stazione appaltante che non ha indicato quest’ultima condizione nel bando o nel disciplinare di gara.
Nella specie, l’onere che grava sulla stazione appaltante di indicare con chiarezza i termini e le condizione per la partecipazione alla gara non consente di pervenire ad una interpretazione del bando secondo la quale l’omissione sarebbe colmata, mediante un processo di eterointegrazione, con rinvio alla norma di legge (art. 30 della legge n. 109 del 1994) che circoscrive la facoltà di rilascio di cauzioni, nell’ambito delle procedure di affidamento di lavori pubblici, ai soli intermediari finanziari autorizzati.
L’omissione, semmai, rende illegittimo il bando di gara per violazione di una norma imperativa di legge. Ed è appunto a tale illegittimità che l’Amministrazione intimata ha inteso rimediare con un atto che, sia pur sotto la veste formale della richiesta di integrazione documentale, in realtà ha la sostanza di un atto di annullamento d’ufficio, che ha investito solo parzialmente gli atti di gara, cui, nel rispetto dei principi di economia procedimentale e di conservazione dei valori giuridici, è seguito l’invito a produrre la documentazione inizialmente non richiesta. Fattispecie: aggiudicazione della gara per la realizzazione dei lavori di urbanizzazione primaria (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 12 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla facoltà della stazione appaltante di richiedere una integrazione documentale ai partecipanti alla gara non in regola.
L'Amministrazione può invitare le imprese con la documentazione non in regola (nel caso di specie, una polizza fideiussoria), a produrre una nuova e diversa cauzione, nel caso in cui l'omissione dei partecipanti alla gara ( presentazione di cauzione rilasciata da un intermediario finanziario iscritto nell'elenco speciale di cui all'art. 107 del d.lgs. 01.09.1993, n. 385, ma non autorizzato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze) non è dovuta da incuria dei medesimi ma da fatto imputabile alla stazione appaltante che non aveva indicato quest'ultima condizione nel bando o nel disciplinare di gara.
Peraltro, l'onere che grava sulla stazione appaltante di indicare con chiarezza i termini e le condizione per la partecipazione alla gara non consente di pervenire ad una interpretazione del bando secondo la quale l'omissione sarebbe colmata, mediante un processo di eterointegrazione, con rinvio alla norma di legge (art. 30 della legge n. 109 del 1994) che circoscrive la facoltà di rilascio di cauzioni, nell'ambito delle procedure di affidamento di lavori pubblici, ai soli intermediari finanziari autorizzati.
L'omissione, semmai, rende illegittimo il bando di gara per violazione di una norma imperativa di legge (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 12 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAMarciapiede - Vicolo chiuso - Nuovo assetto viario - Distanza - Eliminazione dei marciapiedi - Illegittimità - Parte integrante della strada - Pertinenza d’esercizio - Proprietà - Art. 24 D. L.vo 1992 n. 285 - Fattispecie.
Il marciapiede è una pertinenza d’esercizio della strada (articolo 24 del codice della strada emanato con decreto legislativo 30.04.1992 n. 285), che ne costituisce parte integrante.
Nella specie, l’apertura al transito di un vicolo chiuso realizza senz’altro, ai fini dell’applicazione della norma di piano regolatore sulla larghezza delle nuove strade, un nuovo assetto viario. Nel merito, è stata ritenuta palesemente irrazionale ed illegittima la scelta, di aprire al traffico un vicolo chiuso a prezzo dell’eliminazione dei marciapiedi e con la carreggiata rasente alle case.
Marciapiede - Parte integrante della strada - Pertinenza d’esercizio - Proprietà - Ente proprietario della strada - Art. 24 C.d.S..
Il marciapiede costituisce parte integrante della strada ed è una pertinenza d’esercizio (articolo 24 del codice della strada emanato con decreto legislativo 30.04.1992 n. 285), che pertanto si presume di proprietà dell’ente proprietario della strada (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 7 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'illegittimità di un affidamento in house del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani ad una spa intercomunale per la mancanza del requisito del controllo analogo.
E' illegittimo l'affidamento in house del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani ad una spa intercomunale per violazione dell'articolo 113, c. 5, alinea "c" del tuel emanato con d.lvo 18.08.2000 n. 267, perché la suddetta spa non era una società sulla quale il comune esercita il "controllo analogo", previsto dalla disposizione di legge come una delle condizione per poterle affidare, senza gara, il servizio pubblico.
Lo statuto è quello di una normale società per azioni, nella quale i poteri appartengono agli organi sociali, e non è previsto nessun raccordo tra gli enti pubblici territoriali e la costituzione degli anzidetti organi: il presidente del Consiglio d'amministrazione e il direttore sono eletti dal Consiglio d'amministrazione, il quale a sua volta è nominato dall'assemblea senza vincoli di provenienza o di proposta, e la stessa assemblea è composta "dai soci" senza ulteriori specificazioni; del collegio sindacale è previsto solo che si compone di tre sindaci elettivi e due supplenti, che durano in carica tre anni e sono rieleggibili.
Gli enti pubblici soci, non sono neppur menzionati, e anzi una disposizione stabilisce che "Il Consiglio di Amministrazione è investito dei più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società ed ha facoltà di compiere tutti gli atti che ritenga opportuni per l'attuazione ed il raggiungimento degli scopi sociali, fatta eccezione soltanto per gli atti che a norma di legge e del presente statuto sono di competenza dell'Assemblea" (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 5 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

PUBBLICO IMPIEGOConcorsi pubblici: non occorre verbalizzare le risposte fornite nelle prove orali.
La Commissione esaminatrice, anche alla luce dell’art. 3 della legge 07.08.1990, n. 241, che prevede un obbligo di motivazione in occasione della valutazione dei pubblici concorsi, non è tenuta a trascrivere le risposte fornite dai candidati nelle prove orali, essendo sufficiente la verbalizzazione della concreta modalità di espletamento della prova, che può essere assolta anche con la semplice annotazione delle domande formulate al candidato (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 03.01.2007 n. 14 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi edilizi - Condono - Rilascio della concessione in sanatoria - Non pregiudica i diritti dei terzi - Rilascio della concessione in presenza di una sentenza passata in giudicato che ordina la demolizione – Carattere eccezionale - Sentenza emessa in favore di terzi i cui diritti siano stati violati - Non consente il rilascio della concessione in sanatoria - Osservanza distanze legali tra le costruzioni – Necessità.
Il condono di un’opera eseguita abusivamente, o comunque in modo contrario alle norme urbanistiche, non fa sorgere alcun diritto nei confronti dei terzi in colui che ha ottenuto detto condono; pertanto, se l'opera è contraria a norme urbanistiche e lede diritti soggettivi di terzi, questi ultimi ben possono farli valere giudizialmente. Tale interpretazione trova conferma nella modificazione apportata all’originario testo dell’art. 39 della L. n. 724/1994, dalla L. n. 662/1996, che ha espressamente previsto che il rilascio della concessione in sanatoria non pregiudica i diritti del terzo, né comporta per esso alcuna limitazione.
In caso di opere abusive, l’art. 12-bis D.L. 12 n. 2/1988, convertito nella L. n. 68/1988, quale disposizione di interpretazione autentica, costituisce una norma del tutto singolare rispetto a quanto statuito dall’art. 43 della L. n. 47/1985, con la conseguenza che, non essendo quest’ultima applicabile per analogia, in quanto anch’essa norma eccezionale, non risulta richiamata nell’art. 39 comma 1, L. n. 724/1994, riferibile esclusivamente alla L. n. 47/1985, e quindi non può essere invocata per istanze e procedure in sanatoria presentate esclusivamente ai sensi della L. n. 724/1994.
Il giudicato in materia edilizia, con la quale si accerti la violazione di norme edilizie (nella fattispecie norme sulle distanze tra costruzioni), non può essere superato tramite una domanda di condono quando la sentenza passata in giudicato costituisca proprio lo strumento di tutela con il quale i terzi abbiano fatto valere le loro posizioni. Infatti, l’obbligo di rispettare le distanze legali deve essere osservato a maggior ragione nel caso di costruzioni abusive: pertanto, il proprietario del fondo contiguo, leso dalla violazione delle norme urbanistiche o dalla violazione delle distanze, ha il diritto di chiedere ed ottenere l'abbattimento o la riduzione a distanza legale della costruzione illegittima nonostante sia intervenuto il condono edilizio (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 30.12.2006 n. 8262 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul requisito della regolarità contributiva ai fini della partecipazione alle gare.
Il requisito della regolarità contributiva, indispensabile per la partecipazione alle gare ad evidenza pubblica, può essere dimostrato dal cd. DURC, oltre che dai dati in possesso dell'Osservatorio sui LL.PP..
Peraltro, in base a quanto statuito dalla Corte di Giustizia nella decisione del 09.02.2006 (in cause C-226/04 e C-228/04), l'inadempimento agli obblighi di contribuzione in favore dei lavoratori deve essere stato "definitivamente accertato" in base alle procedure previste dal singolo Stato membro.
Inoltre, in base al combinato disposto fra l'art. 75 del DPR n. 554/1999 e l'art. 17 del DPR n. 34/2000 l'inadempimento deve altresì essere connotato da "gravità", per cui la semplice menzione nel DURC dell'assenza della regolarità contributiva non può condurre di per sé all'esclusione dell'impresa risultata non in regola (anche perché il documento di che trattasi non specifica nulla a proposito della definitività dell'accertamento) (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 30.12.2006 n. 6103 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Sull'inapplicabilità della disciplina della revisione dei prezzi ai contratti della p.a. ad esecuzione periodica stipulati anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 724/1994.
La disciplina della revisione dei prezzi dei contratti delle amministrazioni pubbliche ad esecuzione periodica o continuativa introdotta dall'art. 44, c. 4 della l. 23.12.1994, n. 724 (Misure per la razionalizzazione della finanza pubblica), non si applica ai contratti stipulati anteriormente all'entrata in vigore della legge.
L'intento del legislatore, con le regole del 1993-1994, è stato quello, con il divieto di rinnovo tacito dei contratti, di introdurre un controllo della utilità dei contratti di durata, in modo che si mantenessero conformi, nel tempo, ai parametri di spesa di riferimento.
Tanto che la norma in questione venne, appunto, inizialmente, accompagnata dalla facoltà di recesso della parte pubblica.
Una siffatta prescrizione in quanto comportante effetti sfavorevoli per il privato contraente non poteva che essere operante per i soli contratti da stipulare, nei quali il medesimo era reso avvertito della possibilità di un mutamento dei patti originari, ove alla revisione avesse voluto dar corso (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.12.2006 n. 8069 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazioni paesaggistiche - Annullamento dell’autorizzazione in sanatoria e del nulla osta paesaggistico – Mancanza della comunicazione dell’avvio del procedimento - Illegittimità della procedura.
La violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento sancito dagli artt. 7 e 11 della L. n. 241 del 1990 e, nel caso di specie, previsto per l’annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche anche dal D.M. 13.06.1994 n. 495, rende illegittimo l’atto di annullamento dell’autorizzazione in sanatoria (della Soprintendenza), non contenendo né la notizia della trasmissione della pratica al Ministero dei beni e delle attività culturali, né la ricezione di una richiesta istruttoria ai fini del controllo.
Il soggetto interessato dal provvedimento di diniego non è stato messo nella condizione di far valere i propri diritti di accesso e di partecipazione. L’amministrazione, infatti, non ha predisposto nessun meccanismo procedurale o atto equipollente alla formale comunicazione dell’avvio del procedimento, che potesse consentire all’interessato la chiara percezione dell’avvio della fase del procedimento di annullamento del nulla osta paesaggistico (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.12.2006 n. 7960 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni culturali e ambientali - Nullaosta paesaggistico per la realizzazione delle opere di urbanizzazione inerenti ad un piano di lottizzazione - Motivazione deducibile negli atti istruttori - Legittimità - Annullamento della Soprintendenza - Illegittimità.
E' legittimo il rilascio del nulla osta, confortato da un’adeguata istruttoria idoneamente esternata che rinvia espressamente agli atti allegati, in cui si rileva correttamente valutata la compatibilità paesaggistica dell’intervento, sia rispetto al vincolo precedentemente imposto e sia in generale.
Beni culturali e ambientali - Opere assentibili in “quadri naturali di particolare bellezza” - Limiti - Vincolo paesistico - Permanente immobilità del paesaggio - Esclusione - Teoria dello sviluppo controllato del territorio - Codice in materia di beni culturali e paesaggistici.
In materia di tutela paesistica, sono assentibili le opere che non interdicono con “quadri naturali di particolare bellezza” che hanno giustificato l’imposizione del vincolo paesistico di cui al D.M. del 1967.
In tale quadro si inserisce il potere ministeriale di cui alla legge n. 431 del 1985 (ora abrogata e penetrata nel nuovo codice in materia di beni culturali e paesaggistici), che l’ordinamento ha voluto porre ad estrema tutela e difesa dei vincoli paesaggistici, nonostante i valori paesaggistici fossero stati valutati nel procedimento di autorizzazione regionale.
Inoltre, nel caso in specie, sia i diversi provvedimenti di rilascio dei nullaosta per le opere realizzate nella zona vincolata, sia l’approvazione regionale del piano di lottizzazione integrano non solo l’originario provvedimento di vincolo, ma individuano, nell’ambito della cornice così delineata, quali sono le compatibilità per le ulteriori trasformazioni e per le ulteriori opere.
Questo è conforme al sistema della legge che in materia di tutela del paesaggio non è ispirato ad una permanente immobilità, quanto all’idea di favorire uno sviluppo controllato del territorio (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.12.2006 n. 7945 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Strada - Servitù di passaggio - Presupposti - Limiti - Dicatio ad patriam - Fattispecie.
Affinché una strada possa ricondursi fra quelle gravate da servitù anche di solo passaggio, è necessario che l’uso risponda alla necessità o alla utilità di una collettività di persone (C.d.S. Sezione V, 28.01.1998, n. 102).
Nella specie, il carattere “interno” dell’area esclude il presupposto in esame facendo concludere per una utilità limitata ai soli proprietari frontisti (quando l’uso avvenga in favore di soggetti considerati uti singuli, e non uti cives, non può darsi uso pubblico di passaggio né per usucapione di servitù, né per dicatio ad patriam: Cass. 21.05.2001, n. 6924; 13.02.2006, n. 3075) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.12.2006 n. 7601 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: La commissione di gara non deve motivare le ragioni del punteggio numerico attribuito.
Il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, come disciplinato dalla normativa comunitaria e nazionale, non presuppone inderogabilmente una puntualizzazione dei criteri di valutazione delle offerte a tal punto dettagliati da predeterminare in maniera rigida e stringente il giudizio sulle singole voci, quasi a trasformarsi, anche con riferimento alla valutazione del merito tecnico, in un criterio automatico di selezione.
Il fatto che i criteri di valutazione siano stabiliti in maniera più o meno dettagliata non può avere alcuna interferenza con la modalità dell'espressione della motivazione, dato che il valore dei punteggi numerici non può variare a seconda della maggiore o minore specificità dei criteri di selezione adottati.
Ne consegue che la commissione di gara non deve motivare le ragioni del punteggio numerico attribuito (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 18.12.2006 n. 7578 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni culturali e ambientali - Tutela dei beni vincolati - Natura del reato - Art. 181, comma l, del D.Lgs. n. 42/2004 - Art. 161 D.Lgs. n. 490/1999.
In materia di tutela dei beni culturali e ambientali, il reato di cui all’art. 161 D.Lgs. n. 490/1999 (attualmente art. 181, comma l, del D.Lgs. n. 42/2004) non è un "reato proprio” e non ha come destinatari soltanto i proprietari del bene vincolato ed i soggetti a questi equiparati, ovvero i committenti di "lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici".
Esso può essere anche commesso, invece, da qualsiasi altro soggetto che, pur non essendo titolare di poteri o facoltà sul bene protetto, può di fatto, con il proprio comportamento, modificare la condizione materiale o giuridica dello stesso nel senso vietato dalla norma.
Questa, infatti, è rivolta a "chiunque" trasgredisca le disposizioni poste a tutela degli immobili vincolati e, quindi, anche al terzo che non si ponga in rapporto qualificato (sia pure di mero possesso) con la cosa.
Beni culturali e ambientali - Condono Edilizio - Presupposti inesistenti - Sanatoria - Sospensione del procedimento penale - Esclusione - Art. 101 del D.P.R. n. 380/2001 (già art. 26 L. n. 64/1974).
Quando non sussistano i presupposti del condono edilizio, non solo non può essere applicata la sanatoria ma neppure può ritenersi la sospensione del procedimento penale (con le ovvie conseguenze con riguardo alla prescrizione del reato) e ciò indipendentemente dal fatto che il giudice abbia disposto o negato la sospensione del procedimento dovendosi nel primo caso ritenere la sospensione inesistente (Ric. Sadini. Corte di Cassazione Sezioni Unite 24.11.1999, sentenza n. 22) (Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.12.2006 n. 40434 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIL’esclusione negli appalti pubblici per errore grave.
La normativa avente ad oggetto l’errore grave ha la finalità di voler assicurare all’amministrazione appaltante garanzie sulla piena affidabilità dell’impresa.
La sentenza in commento rileva che tale profilo deve essere accertato in maniera particolarmente rigorosa tramite un giudizio complessivo che valuti l’affidabilità e la capacità tecnica dell’impresa.
Tale giudizio deve essere validamente motivato, poiché la partecipazione alle gare rientra tra le fattispecie inerenti a diritti garantiti la cui compressione può avvenire solamente limitando la discrezionalità dell’amministrazione, conseguentemente per tale ragione è richiesta una motivazione adeguata ed appropriata ... (
TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter, sentenza 12.12.2006 n. 14212 - link a www.altalex.com).

APPALTI: Ha valenza di vizio procedimentale insanabile l'apertura delle buste contenenti la offerta tecnica prima della fissazione dei criteri di valutazione.
Ha valenza di vizio procedimentale insanabile (anche a prescindere dall'esame delle ricadute concrete sull'attribuzione del punteggio alle ditte offerenti, salva la prova della resistenza) la interversione delle operazioni di apertura delle buste contenenti la offerta tecnica rispetto alla fissazione dei criteri o subcriteri valutativi da parte dell'Organo tecnico chiamato ad elaborarli.
In tale evenienza, infatti, è fin troppo evidente che nella formulazione dei criteri valutativi i membri del Seggio di gara possono essere influenzati dalla conoscenza previa delle effettiva consistenza delle offerte delle ditte, sì da orientare la selezione e la stessa graduazione dei subcriteri tra i partecipanti in funzione della differente modulazione di ciascuna offerta, in modo da condizionare l'esito della gara (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 11.12.2006 n. 5845 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'avvalimento negli appalti pubblici: allegazioni necessarie in sede di gara.
Negli appalti pubblici, al fine di dimostrare il requisito richiesto in sede di gara, è possibile l'avvalimento soltanto qualora l'impresa alleghi le dichiarazioni previste dalle disposizioni di cui alla direttiva CE-18/2004 e alla Direttiva CE-17/2004.
In ogni caso, in un appalto di fornitura l'avvalimento avrebbe ragione di essere nei confronti di una ditta ausiliaria che abbia svolto in passato attività di fornitura (e non di intermediazione fra produttore e utilizzatore finale) non nei confronti di una ditta ausiliaria produttrice (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 11.12.2006 n. 5841 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

PUBBLICO IMPIEGOMobilità tra pubbliche amministrazioni e trattamento economico accessorio.
Il trattamento economico accessorio, avente carattere precario ed accidentale e non connotato dal carattere di fissità e continuità, non può essere mantenuto nel passaggio in mobilità tra pubbliche amministrazioni (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, decisione 11.12.2006 n. 14 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Esecuzione ordine di demolizione e sanatoria - Procedura di sanatoria e rilascio della concessione - Revoca in sede esecutiva - Giudice dell’esecuzione - Controllo della legittimità dell’atto concessorio - Necessità - Requisiti di forma e di sostanza - Verifica. Art. 7, L. n. 47/1985.
In materia di abusivismo edilizio e relativa sanatoria, l’esecutività dell’ordine di ripristino adottato ai sensi dell’art. 7, ultimo comma, della legge 28.02.1985, n. 47, e la vincolatività del relativo comando imposto al soggetto destinatario vengono meno una volta che sia stata definita la procedura di sanatoria con il rilascio della concessione, la quale, comportando la regolarizzazione dal punto di vista amministrativo dell’opera abusiva, rende incompatibile la sopravvivenza della misura sanzionatoria e ne giustifica la revoca in sede esecutiva.
Tuttavia, tale revoca non è, automatica giacché, prima di disporla, il giudice dell’esecuzione è tenuto a controllare la legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio.
Domanda di condono - Soggetto legittimato alla proposizione della domanda - Limiti ex Art. 39, L. 724/1994 - Concedibilità della sanatoria - Considerazione delle singole parti dell’edificio in luogo dell’intero complesso edificatorio - Esclusione.
Ai fini della individuazione dei limiti stabiliti dall’art. 39 della legge 23.12.1994, n. 724, per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che fa capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad un’unica concessione in sanatoria, che riguarda l’edificio nella sua totalità, e ciò in quanto la ratio della norma è di non consentire l’elusione del limite legale (750 mc.) di consistenza dell’opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell’intero complesso edificatorio (cfr. Cass. Sez. III, 26.04.1999, La Mantia, m. 214.280; Sez. III, 19.04.2005, Merra, m. 231.643).
Domanda di sanatoria - Principio della considerazione unitaria dell'opera - Concetto normativo di ultimazione ai fini della sanatoria.
Il principio della considerazione unitaria dell'opera cui si riferisce la sanatoria, al quale si uniforma la disciplina dettata sotto il profilo soggettivo dall’art. 39 legge 23.12.1994, n. 724 in relazione all’art. 38, comma 2, ultima parte, e 5, legge 28.02.1985, n. 47, si trova già affermato, sotto il profilo oggettivo, nell’art. 31, comma 2, della stessa legge 28.02.1985, n. 47, laddove si fa riferimento ai concetti paralleli di esecuzione del rustico e di completamento della copertura per gli edifici destinati alla residenza (vale a dire, ad abitazione) e di completamento funzionale per le opere interne agli edifici suddetti, già esistenti, e per quelle non destinate alla residenza per escludere la possibilità di scindere l'edificio negli elementi che lo compongono (rispettivamente, piani, appartamenti e singole opere nell’ambito di un complesso funzionale in corso di realizzazione) in rapporto al concetto normativo di ultimazione ai fini della sanatoria di singole parti dell’immobile completate entro il termine utile di legge (Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.12.2006 n. 40183 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione - Manufatto nuovo e diverso rispetto al precedente in assenza del prescritto titolo abilitante - Demolizione delle opere abusive - Difformità totale e parziale - Art. 10, 1° c. - lett. c), del T.U. n. 380/2001, mod. dal D.Lgs. n. 301/2002.
La difformità totale si verifica, allorché si costruisca «aliud pro alio e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti portino alla realizzazione di opere non rientranti tra quelle consentite, che presentino, nel rapporto proporzionale, una difformità quantitativa tale da acquistare una sostanziale autonomia rispetto ad esse.
Mentre, la difformità parziale si riferisce, ad ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma.
Opere eseguite in totale difformità dal titolo abilitante - Art. 31 del T.U. n. 380/2001 - L. n. 47/1985.
A norma dell’art. 31 del T.U. n. 380/2001 (e già dell’art. 7 della legge n. 47/1985), devono ritenersi eseguite in totale difformità dal titolo abilitante quelle opere “che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”.
Ristrutturazioni edilizie - Denunzia di inizio attività - Variazione del carico urbanistico - Esclusione - Edificio esistente - Interventi di ristrutturazione edilizia che comportino integrazioni funzionali o strutturali - Modifiche del volume - Permesso di costruire.
Le ristrutturazioni edilizie di portata minore, sono sempre realizzabili previa mera denunzia di inizio attività, cioè quelle, che determinano una semplice modifica dell’ordine in cui sono disposte le diverse parti che compongono la costruzione, in modo che, pur risultando complessivamente innovata, questa conserva la sua iniziale consistenza urbanistica (diverse da quelle, descritte dall’art. 10, 1° comma - lett. c), che comportano invece una variazione del carico urbanistico).
Inoltre, sono realizzabili, in seguito a permesso di costruire ovvero (a scelta dell‘interessato) previa mera denunzia di inizio attività interventi di ristrutturazione edilizia che comportino integrazioni funzionali o strutturali dell’edificio esistente, pure con incrementi limitati di superficie e di volume. Pertanto, le «modifiche del volume” previste dall’art. 10 possono consistere, in diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ed in incrementi volumetrici modesti (tali da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria) poiché, qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento dell’edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra “ristrutturazione edilizia» e "nuova Costruzione”.
Nozione di "ristrutturazione edilizia" - Fattispecie.
L’art. 3, 1° comma, lett. d), del TU. a 380/2001, come modificato dal D.Lgs. a 301/2002, ha esteso, la nozione di "ristrutturazione edilizia" ricomprendendovi pure gli interventi ricostruttivi “consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
Volumetria e sagoma, debbono rimanere identiche nei casi di ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione mentre non si pongono come limiti per gli interventi di ristrutturazione che non comportino la previa demolizione. Nella specie, il risultato finale dell’attività demolitoria-ricostruttiva non coincideva nella volumetria e nella sagoma con l’edificio precedente (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.12.2006 n. 40173 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti – Bonifiche - Siti inquinati - Ordinanza ingiunzione ex art. 14, D.Lgs. n. 22/1997 – Competenza del Dirigente – Obbligo dell’Amministrazione di dar conto della reale sussistenza della colpa in capo al soggetto corresponsabile dell’illecito - Ordinanza ingiunzione nei confronti del proprietario del terreno per colpevole omessa vigilanza in pendenza del contratto di affitto – Illegittimità per carenza di motivazione.
In ordine all’emissione dell'ordinanza con la quale l'amministrazione comunale ingiunge di provvedere alla bonifica di un sito inquinato sussiste la competenza del Dirigente, e non del Sindaco, in applicazione dei poteri di cui all'art. 14, D.Lgs. n. 22/1997, poiché tale norma va coordinata con le successive disposizioni sul riparto di competenze tra organi di indirizzo politico e organi burocratici, e in particolare con l’art. 107, commi 2 e 5, del D.Lgs. n. 267/2000.
In tema di ingiunzione a provvedere alla bonifica di un sito inquinato, spetta in ogni caso all’Amministrazione dare adeguato conto della reale sussistenza della colpa in capo al soggetto che si assume corresponsabile dell’illecito, evidenziandone gli aspetti in tal senso significativi.
Ne consegue che è illegittima l’ordinanza ingiunzione emessa nei confronti del proprietario di un terreno, per colpevole omessa vigilanza in ordine a quanto avvenuto su di esso, in pendenza di un contratto di affitto, laddove resta indeterminato come il locatore –ove anche a conoscenza della reale natura delle operazioni ivi compiute– potesse concretamente intervenire sulle modalità di esercizio dell’attività o comunque impedirne la prosecuzione (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 06.12.2006 n. 587 - link a www.giustizia-amministrativa.it)..

AMBIENTE-ECOLOGIA: Aria - Inquinamento acustico - Ordinanza di contenimento e riduzione delle emissioni sonore - Natura - Provvedimento contingibile e urgente - Art. 9 L. 447/1995 - Competenza del Sindaco – Ammissibilità dell’ordinanza nei casi in cui il rumore minacci la salute pubblica - Criterio dei valori limite differenziali di immissione - Operatività anche nei Comuni privi della “zonizzazione acustica”.
Le ordinanze con le quali viene esercitato il potere di disporre temporaneamente speciali forme di contenimento e riduzione delle emissioni sonore inquinanti hanno natura di provvedimenti contingibili e urgenti, sia per l’ontologica temporaneità delle misure adottabili, sia per il carattere innominato ed atipico delle misure stesse, e sono riservate alla competenza del Sindaco, nei casi di inquinamento acustico che riguardano aree ricadenti nel territorio comunale.
L’art. 9 primo comma della legge quadro sull’inquinamento acustico n. 447 del 1995 non può essere riduttivamente inteso come una mera riproduzione del generale potere di ordinanza contingibile ed urgente tradizionalmente riconosciuto dal nostro ordinamento giuridico al Sindaco in materia di sanità ed igiene pubblica.
L’utilizzo del particolare potere di ordinanza contingibile ed urgente è consentito allorquando, secondo gli appositi accertamenti tecnici effettuati, sussista una minaccia per la salute pubblica, non presupponendo necessariamente che la situazione di pericolo coinvolga l’intera collettività, bensì anche laddove sia in discussione la salute di una singola famiglia o di una sola persona.
Il criterio dei valori limite differenziali di immissione è pienamente operativo anche nei Comuni privi della “zonizzazione acustica”, in perfetta rispondenza allo spirito della vigente normativa in tema di inquinamento acustico, oltre che ai principi costituzionali ed alla ragionevolezza (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 04.12.2006 n. 5639 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIStrada vicinale: circostanze e requisiti per l’attribuzione del carattere pubblico.
La iscrizione di una strada vicinale nell’elenco delle strade di uso pubblico del Comune comporta una presunzione di pubblicità della strada stessa che può essere superata solo con l’accertamento in sede giudiziaria civile della sua natura privata.
In primo luogo si deve precisare che l’utilizzo della strada sia per il transito pedonale che con mezzi a motore, anche se si ritiene che sia necessario percorrerla con fuoristrada o con mezzi agricoli, non esclude la transitabilità e anche se la strada, ove sottoposta ad idonei interventi di manutenzione, potrebbe consentire il suo utilizzo anche con autoveicoli ordinari.
In secondo luogo, la strada vicinale consente un collegamento più breve, anche se al momento come si è detto non agevole ma pur sempre alternativo.
La circostanza che alcuni appezzamenti di terreno di proprietà di terzi siano raggiungibili con la vicinale depone ulteriormente per il suo carattere pubblico
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 01.12.2006 n. 7081 - link a www.altalex.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Acque – Scarichi - Reflui depurati - Autorizzazione – Ammissibilità di metodologie finalizzate alla prevenzione del rischio ambientale - Prescrizione che imponga la sospensione dell’attività per il caso di mancato funzionamento degli strumenti di controllo - Illegittimità -Sospensione dell'autorizzazione - Preventiva diffida al titolare dello scarico - Necessità.
Le prescrizioni contenute nell’autorizzazione allo scarico dei reflui depurati rientrano nell’esercizio del potere tecnico discrezionale dell’Amministrazione, che può essere oggetto di sindacato giurisdizionale solo sotto il profilo dell’erroneità, illogicità o contraddittorietà manifesta. Le condizioni e le prescrizioni in linea con le finalità perseguite dal D.Lgs. n. 152/1999 (ora D.Lgs. n. 152/2006), che richiedano l’attivazione di metodologie finalizzate alla prevenzione del rischio ambientale, di fronte alla potenziale pericolosità dei reflui della produzione industriale dell’azienda interessata, sfuggono ai vizi sopraindicati.
Il pericolo di danno all’ambiente e alla salute non è correlato alle avarie degli strumenti e delle apparecchiature di controllo, bensì al funzionamento dell’impianto di depurazione, in ordine al quale l’Amministrazione può effettuare i relativi controlli.
E’ pertanto illegittima la prescrizione che imponga la sospensione dell’attività industriale nel caso di mancato funzionamento degli strumenti e delle apparecchiature di controllo dei reflui.
È illegittimo il provvedimento di sospensione del rinnovo dell’autorizzazione allo scarico adottato dal Comune in difetto di una preventiva diffida ad eliminare le irregolarità riscontrate, in quanto essa è esplicitamente richiesta dall’art. 51 del D.Lgs. n. 152/1999 (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 01.12.2006 n. 3254 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

VARI: La vendita del fondo comporta anche il trasferimento dell’edificio ivi presente.
La compravendita di un terreno su cui insistano delle costruzioni comporta, per il principio della accessione, il trasferimento anche dei suddetti immobili, anche se non espressamente menzionati nell’atto, salvo che il venditore, contestualmente alla cessione o meno, non costituisca su di essi un diritto di superficie a favore proprio o di terzi (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 24.11.2006 n. 24679 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Accertamento di conformità: legittimazione a proporre istanza.
Ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985, la dichiarazione di conformità disciplinata dalla norma e della cui applicazione è stata fatta questione nella specie prevede che la sanatoria ivi disciplinata sia accordata al "responsabile dell’abuso".
La norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall’art. 4 della legge n. 10 del 1977 (invocato dai primi giudici) non trova applicazione solo in presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro titolare di diritto reale in quanto l’abuso sia al medesimo ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da colui che, dell’abuso, è comunque responsabile in quanto, sanato l’abuso, non potrebbe essere più chiamato a rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o amministrativo.
Responsabile dell’abuso può essere non solo il proprietario o altro soggetto che vanti, sull’area, un diritto reale o obbligatorio, ma anche, ad esempio, il titolare o altro responsabile dell’impresa realizzatrice dei lavori, come anche altri soggetti che, in relazione al loro rapporto privilegiato o comunque qualificato con il bene (in quanto, ad esempio, legittimi detentori o possessori dello stesso), possano avere avuto la possibilità di realizzare l’abuso, così assumendosene la responsabilità
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.11.2006 n. 6909 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Accertamento di conformità: legittimazione a proporre istanza.
Ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985, la dichiarazione di conformità disciplinata dalla norma e della cui applicazione è stata fatta questione nella specie prevede che la sanatoria ivi disciplinata sia accordata al "responsabile dell’abuso".
La norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall’art. 4 della legge n. 10 del 1977 (invocato dai primi giudici) non trova applicazione solo in presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro titolare di diritto reale in quanto l’abuso sia al medesimo ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da colui che, dell’abuso, è comunque responsabile in quanto, sanato l’abuso, non potrebbe essere più chiamato a rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o amministrativo.
Responsabile dell’abuso può essere non solo il proprietario o altro soggetto che vanti, sull’area, un diritto reale o obbligatorio, ma anche, ad esempio, il titolare o altro responsabile dell’impresa realizzatrice dei lavori, come anche altri soggetti che, in relazione al loro rapporto privilegiato o comunque qualificato con il bene (in quanto, ad esempio, legittimi detentori o possessori dello stesso), possano avere avuto la possibilità di realizzare l’abuso, così assumendosene la responsabilità
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.11.2006 n. 6906 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATASui mutamenti di destinazione d’uso di fabbricati in zona agricola.
Le particelle interessate da un intervento di cambiamento dell’uso di una porzione di immobile su di esse insistente (da residenza civile ad attività artigianale, gommista) ed inserite in zona "E1 agricola" (nella quale è prevista la realizzazione di immobili ad uso di residenza o di servizi strettamente legati al fondo agricolo) vedono preclusa la realizzazione di immobili per lo svolgimento di attività artigianale, per cui la stessa destinazione non può essere ottenuta in sede di cambio d’uso (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 17.11.2006 n. 2059 - link a www.altelex.com).

CONSIGLIERI COMUNALI: Consigliere comunale non può impugnare gli atti emessi dall’ente di appartenenza.
Va esclusa la legittimazione dei consiglieri comunali a impugnare in sede giurisdizionale un atto emesso da un organo dello stesso ente al quale appartengono i ricorrenti (Sindaco, Giunta comunale e Consiglio comunale), a eccezione dei casi in cui le censure proposte siano rivolte a contestare lesioni della propria sfera giuridica o della propria posizione all’interno dell’organo o dell’ente medesimo, ovvero a contestare la modifica della composizione dell’organo e il relativo funzionamento ma sempre in relazione a un interesse connesso alla propria sfera giuridica o alla propria posizione all’interno dell’organo o dell’ente (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 08.11.2006 n. 3749 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia: quali sono i termini per impugnarla?
In primo luogo, ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione di una concessione edilizia occorre la sua piena conoscenza, che si verifica con la consapevolezza del contenuto specifico della concessione o del progetto edilizio, ovvero quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed in equivoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistica.
In secondo luogo, la prova della piena ed effettiva conoscenza della concessione edilizia può essere desunta anche da elementi presuntivi, come l’intervenuta ultimazione dei lavori o almeno quando questi siano giunti ad un punto tale che non si possa avere più alcun dubbio sulla consistenza, entità e sulla reale portata dell’intervento edilizio assentito
In ogni caso, la individuazione della data in cui i terzi hanno avuto piena conoscenza dell’esistenza delle violazioni della disciplina urbanistica costituisce oggetto di un accertamento di fatto da compiersi caso per caso, per cui può ben ammettersi che la data della piena conoscenza possa risalire ad un momento anteriore a quello dell’ultimazione dei lavori, ogni qualvolta, dalle circostanze del caso di specie, emerga effettivamente una conoscenza anticipata
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.10.2006 n. 6465 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Mutamento di destinazione con concessione se aumenta il carico urbanistico.
Trattandosi di lavori di "ristrutturazione" incidenti sui volumi preesistenti e sul carico urbanistico, la concessione edilizia era necessaria, non esistendo nell’ordinamento alcuna norma di "liberalizzazione" delle opere di "ristrutturazione edilizia".
Del resto -trattandosi nel caso specifico, della trasformazione di un edificio originariamente destinato a scopi agricoli e a deposito di acqua in un complesso commerciale destinato alla vendita all’ingrosso del legname- non si vede come l’anzidetta attività commerciale di pezzi ingombranti, trasportabili solo con mezzi pesanti, possa non incidere sul traffico cittadino (e quindi sul carico urbanistico) in una zona assai delicata della città, qual è quella del "centro storico"
(C.G.A., Sez. Giurisdizionale, sentenza 27.10.2006 n. 667 - link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: Annullabilità del provvedimento esclusa se il contenuto non poteva esser diverso.
Ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990 (modificata dalla legge n. 15/2005), il provvedimento viziato nella forma o nel procedimento, ovvero per mancato avviso di avvio del procedimento stesso, che non avrebbe potuto avere contenuto diverso, non è assoggettato a un regime di invalidità o irregolarità diverso da quello ordinario, ma è considerato dalla legge non annullabile (Consiglio di Stato, Sez. VI, decisione 17.10.2006 n. 6194 - link a www.altalex.com).

CONSIGLIERI COMUNALI: Dimissioni dei consiglieri comunali e scioglimento del consiglio.
Il legislatore ha inteso prevalentemente garantire che l’atto di dimissioni, destinato a produrre lo scioglimento, sia sorretto effettivamente da una volontà tipica, quella, appunto, di pervenire alla dissoluzione dell’organo rappresentativo, e, a tal fine ha imposto l’obbligo della contestualità se le dimissioni sono raccolte in un documento unico, o della contemporaneità, se sono stati redatti più documenti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.10.2006 n. 6006 - link a www.altalex.com).

ENTI LOCALI: Difensore civico regionale ed intervento sostitutivo.
Un difensore civico regionale qualora un comune ritardi nella nomina del difensore civico comunale può legittimamente esercitare il potere sostitutivo provvedendo esso stesso, dopo aver assegnato un termine al comune, alla nomina del difensore civico locale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.10.2006 n. 5706 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Beni culturali e ambientali - Vincolo di rimboschimento - Obbligo di rimboschimento - Assimilazione ai boschi.
L’assimilazione ai boschi dei fondi gravati dall’obbligo di rimboschimento richiede la sola presenza del provvedimento amministrativo o della disposizione normativa che abbia imposto il vincolo di rimboschimento.
E’ da escludersi il concorso apparente di norme e, conseguentemente, l’applicazione del principio di specialità tra la violazione paesaggistica di cui all’articolo 181 D.Lv. 42/2004 e il DL 3267/1923 artt. 26 e 54 in tema di vincolo idrogeologico e tra la medesima violazione penale e la legge 950/1956 art. 1 in materia di polizia forestale.
Beni culturali e ambientali - Vincoli idrogeologici - Danneggiamento o taglio di piante - Art. 26 D.l. n. 3267/1923 e Art. 181 d.lgs. n. 42/2004 - Finalità di salvaguardia - Differenza del bene protetto.
L'art. 26 del d.l. 30.12.1923, n. 3267, è dettato a protezione del vincolo idrogeologico e di altri simili interessi (difesa dalla caduta di valanghe, sassi, furia dei venti, oltre che difesa delle condizioni igieniche locali e difesa militare) e sanziona il fatto di chi danneggi piante o comunque arrechi altri danni nei boschi vincolati per scopi idrogeologici o per gli altri scopi indicati e ciò in violazione delle prescrizioni impartite dalle competenti autorità.
Mentre, l'art. 163 del d.lgs. 29.10.1999, n. 490 (ora art. 181 d.lgs. 22.01.2004, n. 42), è dettato a tutela degli interessi paesaggistici ed ambientali, e segnatamente alla salvaguardia del bosco nel suo valore estetico-ambientale, e sanziona il fatto di chi esegua lavori di qualsiasi genere su beni ambientali senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, a prescindere dal fatto che arrechi o meno un danno o un pregiudizio.
Agricoltura - Vincoli idrogeologici - Terreni rimboschiti - Art. 54 D.l. n. 3267/1923 - Finalità di salvaguardia - Operazioni di governo boschivo in difformità del piano di coltura e conservazione approvato - Pascoli - Sanzioni.
L'art. 54 del d.l. 30.12.1923, n. 3267, persegue la finalità di salvaguardare il vincolo idrogeologico (o gli altri interessi indicati) e sanziona proprietario dei terreni rimboschiti per effetto dello stesso decreto legge che effettui sugli stessi la coltura agraria o effettui il pascolo secondo modalità diverse da quelle previste o comunque compia le operazioni di governo boschivo in difformità del piano di coltura e conservazione approvato.
Taglio di boschi - Fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento - D.Lgs. n. 227/2001 - Definizione di bosco - Requisiti minimi - Esclusione - Fattispecie.
La disposizione dell’art. 2, comma 6, del d.lgs. 18.05.2001, n. 227, riferisce i requisiti «estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti», soltanto alle formazioni vegetali ed ai terreni su cui esse sorgono al fine della loro qualificazione come boschi e non anche ai fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento, per la cui assimilazione ai boschi non occorre anche la presenza dei detti requisiti, essendo sufficiente la presenza del provvedimento amministrativo o della disposizione normativa che abbia imposto il vincolo di rimboschimento per una delle finalità indicate.
Nella specie, appare assolutamente inverosimile ed illogico il comportamento del proprietario di un terreno che, avvertito delle distruzione delle piantine di sua proprietà e pur a conoscenza del vincolo gravante sul terreno, non sporga immediatamente denuncia all'organo competente al quale sa bene di dover rendere conto della piantagione.
Taglio di boschi - Terreno sottoposto a vincolo di rimboschimento - Violazione delle norme di polizia forestale - L. n. 950/1956 - Art. D.L. n. 3267/1923 - Fattispecie.
L'art. 1 della legge 09.10.1956, n. 950, sanziona la violazione delle norme di polizia forestale contenute nei regolamenti di cui all'art. 10 del d.l. 30.12.1923, n. 3267. Nella specie, è stato ritenuto che sussiste il vincolo ambientale non perché si tratta di un bosco (in senso stretto) bensì perché si tratta di terreno sottoposto a vincolo di rimboschimento.
Ai sensi, dell'art. 146 del d.lgs. 29.10.1999, n. 490 (ora art. 142 del d.lgs. 22.01.2004, n. 42), alla lett. G), inserisce tra i beni ambientali tutelati per legge, oltre i territori coperti da foreste e da boschi, anche quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento.
L'art. 142 del d.lgs. 22.01.2004, n. 42, alla lett. G) che sono soggetti a tutela ambientale «i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18.05.2001, n. 227».
L'art. 2 del d.lgs. 18.05.2001, n. 227, poi, prevede nel comma 2 che entro dodici mesi le regioni stabiliscano per il territorio di loro competenza la definizione di bosco (ed in particolare i valori minimi di larghezza, estensione e copertura), e nel comma 3 che sono assimilati al bosco, tra gli altri, «i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell'aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del paesaggio e dell'ambiente in generale» (Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.09.2006 n. 32542 - link a www.ambientediritto.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Dimissioni del consigliere comunale e surroga.
L’art. 38, comma 8, del Testo Unico degli Enti Locali (D.lgs. n. 267/2000) prescrive che le dimissioni dalla carica di consigliere comunale “sono irrevocabili, non necessitano di presa d'atto e sono immediatamente efficaci. Il consiglio, entro e non oltre dieci giorni, deve procedere alla surroga dei consiglieri dimissionari (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 29.09.2006 n. 1595 - link a www.altalex.com).

APPALTILesività della determina e termine per impugnare l'aggiudicazione.
Alla seduta in cui è stata effettuata la aggiudicazione provvisoria era presente il rappresentante del Consorzio ricorrente e tale aggiudicazione era stata effettuata fatte salve le risultanze della verifica di anomalia riguardante le prime due classificate e non era quindi ancora efficace.
Tale verifica era stata poi completata nella stessa giornata, con esito positivo per entrambe le concorrenti classificatesi per prime: non risulta però che quest’ultima fase della seduta fossero presenti i rappresentanti delle concorrenti o che le ditte stesse abbiano avuto in seguito conoscenza della operatività della aggiudicazione provvisoria.
Oltre tutto avverso la aggiudicazione provvisoria, era stato proposto reclamo da altra concorrente, sicché in conclusione, nella specie, l’atto concretamente lesivo risulta essere la determina, con la quale il Dirigente del Comune aveva preso atto del verbale della seduta ed aveva disposto l’aggiudicazione definitiva dell’appalto alla costituenda ATI
(C.G.A., Sez. giurisdizionale, sentenza 21.09.2006 n. 519 - link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto di accesso agli atti del gestore del servizio pubblico.
Anche nei confronti dei gestori dei pubblici servizi l’accesso agli atti deve ritenersi sempre consentito, tranne le eccezioni tassativamente previste dalla legge, giacché per tutti gli atti dell’amministrazione sussistono le esigenze della trasparenza, che agevola il concreto perseguimento dei valori costituzionali (Consiglio di Stato, Sez. V, decisione 19.09.2006 n. 5467 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAPertinenza: la nozione in diritto urbanistico è più ristretta che nel diritto comune.
La nozione di pertinenza dettata dal diritto civile è più ampia di quella che regola la materia urbanistica, per cui beni che, secondo la normativa privatistica, assumono senz'altro natura pertinenziale, non sono tali ai fini dell'applicazione delle regole che governano l'attività edilizia, perlomeno in tutti quei casi in cui gli stessi assumano una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio.
Ne consegue che non può ritenersi pertinenza un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere successivamente utilizzato in modo autonomo e separato; in ogni caso un'opera pertinenziale è tale soltanto se sia effettivamente strumentale rispetto all'opera principale, senza che possa essere utilizzata in modo diverso dal dominus ed a prescindere dalla destinazione impressa da quest'ultimo.
In materia di reati edilizi, la nozione di pertinenza urbanistica, sottratta al regime della concessione edilizia e assoggettata a quello dell'autorizzazione gratuita, ha peculiarità proprie e distinte dalla nozione civilistica, giacché deve avere una propria identità fisica ed una propria conformazione strutturale ed essere preordinata ad un'esigenza effettiva dell'edificio principale, al cui servizio deve essere posta in via funzionale ed oggettiva, mentre non deve possedere un autonomo valore di mercato, nel senso che il suo volume non deve consentire una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 13.09.2006 n. 2029 - link a www.altalex.com).

VARIConducente responsabile delle lesioni se il trasportato non si allaccia le cinture.
I giudici di legittimità nella sentenza in rassegna statuiscono che il conducente di un autoveicolo ha l’obbligo di controllare se i trasportati abbiano o meno allacciato le cinture di sicurezza.
In caso affermativo, nulla quaestio. Pertanto, se da un eventuale sinistro i trasportati subiscono lesioni personali, il conducente risponderà solo secondo le norme regolamentatrici della materia, avendo cioè riguardo alle prescrizioni in merito ad una eventuale o meno responsabilità del trasportante nella causazione de quo
(Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 12.09.2006 n. 30065 - link a www.altalex.com).

COMPETENZE GESTIONALICompetenza del Sindaco ad emanare provvedimenti in luogo del dirigente.
E' da escludere che il sindaco, quale organo di governo al quale spettano, perciò, poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, possa porre in essere atti, quale quello di revoca di un alloggio popolare, che rientrano nell’ambito della gestione amministrativa, finanziaria e tecnica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.08.2006 n. 5073 - link a www.altalex.com).

PUBBLICO IMPIEGOPubblico impiego: i presupposti per il pagamento del lavoro straordinario.
Non ha diritto ad alcun compenso il pubblico dipendente che effettua lavoro straordinario in assenza di una preventiva e formale autorizzazione da parte della pubblica amministrazione, datrice di lavoro, poiché solo in questo modo è possibile verificare nel rispetto dell’articolo 97 della Costituzione, la reale esistenza delle ragioni di pubblico interesse che rendono opportuno il ricorso a prestazioni lavorative eccezionali (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.08.2006 n. 5057 - link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVICriteri applicativi delle disposizioni di cui all’art. 21-octies l. n. 241/1990.
Con la prima parte del comma 2 dell’art. 21-octies, da ritenere riferibile anche ai casi di inadempimento dell’obbligo di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990 in quanto "norma sul procedimento", il legislatore ha sostanzialmente recepito l’orientamento giurisprudenziale in base al quale sussiste l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento in caso di attività vincolata.
Il legislatore, quindi, non ha inciso sull’art. 7 della legge n. 241/1990, esentando dall’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento gli atti vincolati e, dunque, rendendo legittimi gli atti vincolati non preceduti da detta comunicazione, ma ha semplicemente escluso la possibilità per il giudice di annullare provvedimenti "vincolati" nell’ipotesi in cui il contenuto dispositivo "non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato", rendendo così necessaria una specifica valutazione al riguardo.
Quanto alla seconda parte del medesimo comma 2, il legislatore introduce un’ulteriore limitazione all’"annullabilità del provvedimento" con riferimento specifico alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, escludendola "comunque" per i casi in cui "l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".
In tal modo il legislatore sembra aver fondamentalmente condiviso il principio dell’utile partecipazione al procedimento, invertendo, però, l’onere della prova: mentre in precedenza, secondo un orientamento assunto in ambito giurisprudenziale, l’interessato doveva far constare circostanze ed elementi idonei ad un’esatta valutazione sulla rilevanza del provvedimento adottato ed eventualmente a far recedere l’Amministrazione dal provvedere, con l’introduzione dell’art. 21-octies, comma 2, grava sull’Amministrazione dimostrare che, anche in caso di partecipazione del privato, non avrebbe potuto adottare un provvedimento con contenuti diversi da quelli del provvedimento in concreto adottato
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 01.08.2006 n. 6693 - link a www.altalex.com).

PUBBLICO IMPIEGOMobbing: disegno persecutorio e specifica finalità vessatoria.
La responsabilità del datore di lavoro per mobbing –invocabile anche in assenza della violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato– presuppone la prova, ricavabile anche da una serie di elementi sintomatici, di un complessivo e perdurante disegno persecutorio e di una specifica finalità vessatoria, ovvero della volontà, da parte del datore di lavoro, di emarginare e svilire il lavoratore (Tribunale Civitavecchia, sentenza 20.07.2006 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATALimite alla superficie minima degli alloggi è illegittimo.
La prescrizione di superficie minima dell’alloggio imposta dal Comune si risolve, in buona sostanza, in una limitazione dello jus aedificandi, che potrebbe trovare la propria giustificazione solo in motivi di ordine igienico e sanitario che, nel caso di specie, difettano.
Inoltre una tale limitazione inerisce ad un aspetto che non appare suscettibile di essere disciplinato, oltre certi limiti, dal potere dell’ente locale, potendo semmai trovare la propria definizione nella legislazione statale o regionale, anche al fine di evitare difformità di regolamentazioni. Nel rispetto della disciplina urbanistico edilizia rientra nella libertà di iniziativa costituzionalmente garantita dell’imprenditore, la scelta di edificare tipologie edilizie per una, due o più persone.
Tale libertà non può essere limitata o compressa ove non sussistono, come nella specie non sussistono, prevalenti e pregnanti ragioni di interesse pubblico.
Tali ragioni non possono evidentemente identificarsi in quelle igienico- sanitarie, che non sono affatto compromesse da alloggi di 45 mq., o nella esigenza di salvaguardare gli interessi dei residenti e di evitare uno scompenso del mercato, come dimostra la disciplina statale e regionale che ammette superfici inferiori.
Non si può non rilevare che sono le regole del libero mercato e la domanda di alloggi con superficie inferiore ai 45 mq. a determinare la scelta dell’imprenditore di realizzare abitazioni adeguate alle necessità sociali degli acquirenti, mentre un’eventuale inadeguatezza degli alloggi rispetto alle richieste del mercato, comporta un naturale squilibrio nell’offerta delle tipologie edilizie (
TAR Lombardia-Brescia, sentenza 08.04.2005 n. 301 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATALa ratio che ispira la specifica esenzione del contributo di costruzione -per gli edifici unifamigliari- è di derivazione sociale: l’edificio unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla norma, coincide con la piccola proprietà immobiliare, tale da meritare per gli interventi di ristrutturazione un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie.
Si vogliono incentivare le opere atte ad adeguare le case unifamiliari alle necessità abitative del nucleo familiare, senza estendere l’esenzione ad altre tipologie di intervento che prescindano dall’entità strutturale e dalla dimensione spaziale dell’immobile comparata con il suo valore economico.

L’intervento edilizio descritto in dettaglio nella relazione tecnica allegata alla richiesta di concessione consiste: nell’accorpamento dei due appartamenti di cui è composta la villa da ristrutturare; nell’abbassamento della soletta tra il primo piano ed il rifacimento del sottotetto con il recupero abitativo dello stesso; e nell’allargamento del piano interrato; ed infine nella modifica del prospetto posteriore ivi inclusa il sistema distributivo al piano terra con la realizzazione di uno studio professionale.
E’ indiscusso pertanto che la villa originariamente a due piani, divisa in due distinti appartamenti, dopo l’intervento di ristrutturazione è stata ricondotta ad un’unica unità immobiliare.
Per tale tipologia di intervento di ristrutturazione non trova applicazione l’esenzione dai contributi di urbanizzazione prevista dall’ art. 9, lett. d), l. n. 10/1977.
Mette conto infatti rilevare che la norma espressamente subordina l’esenzione agli interventi di ristrutturazione e di ampliamento in misura non superiore al 20% di edifici unifamiliari.
Il manufatto oggetto dell’intervento deve essere, fin dall’origine, ante opera, unifamiliare.
E ciò in conformità ad una serie di concorrenti elementi univocamente convergenti con il dato letterale.
Sotto quest’ultimo profilo non va passato sotto silenzio l’orientamento giurisprudenziale consolidato che considera tassativa l’elencazione dei casi di concessione edilizia gratuita, escludendo l’applicazione di essi in via analogica (Cons. St., sez. V, 14.10.1992 n. 987; Tar Lazio, sez. Latina, 01.08.1994 n. 752; Tar Lombardia; sez. II, 05.06.1995 n. 800).
La ratio che ispira la specifica esenzione è di derivazione sociale: l’edificio unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla norma, coincide con la piccola proprietà immobiliare, tale da meritare per gli interventi di ristrutturazione un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. II, 10.10.1996 n. 1480).
Pertanto l’esenzione è strettamente connessa con gli immobili di piccole dimensioni, per l’appunto unifamiliari, che già in origine prima dell’intervento di ristrutturazione siano tali (cfr. Tar Marche 12.02.1998 n. 250).
In definitiva si vogliono incentivare le opere atte ad adeguare le case unifamiliari alle necessità abitative del nucleo familiare, senza estendere l’esenzione ad altre tipologie di intervento che prescindano dall’entità strutturale e dalla dimensione spaziale dell’immobile comparata con il suo valore economico.
Nel caso che ne occupa la villa (si vedano le planimetrie e la documentazione fotografica in atti), oltre ad essere di notevole pregio, era composta da due separate e distinte unità immobiliari, che per dimensione delle superfici occupate e caratteristiche strutturali non è assimilabile all’edificio unifamiliare preso in considerazione dalla norma (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 28.01.2002 n. 100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 28.06.2010

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UTILITA'

SICUREZZA LAVORO: M. Fabrizio, Modello Organizzativo ex D.lgs. n. 231/2001 e sicurezza sui luoghi di lavoro - Spunti di riflessione per la certificazione del Sistema di Gestione Sicurezza - ottobre 2009 (link a www.b2b24.ilsole24ore.com).

EDILIZIA PRIVATA: ANCE nuova «Guida alle agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie».
L'ANCE in base alle disposizioni contenute nella Legge Finanziaria 2010 (L. 191/2009) che proroga sino al 2012 le agevolazioni fiscali per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio abitativo, ha provveduto ad aggiornare la «Guida alle agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie».
La Guida è un riepilogo delle modalità applicative del beneficio, dei casi particolari incentivati e degli adempimenti necessari per l`accesso alla detrazione.
Le Legge 191/2009, Finanziaria 2010, ha previsto:
- la proroga al 31.12.2012 della detrazione IRPEF per una quota pari al 36% delle spese di recupero del patrimonio edilizio abitativo, nel limite di € 48.000 per unità immobiliare;
- l'applicazione a regime dell'aliquota IVA ridotta al 10% per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di immobili ad uso abitativo.
È stata, inoltre, prorogata per un ulteriore anno anche la detrazione IRPEF del 36%, sempre nei limiti di € 48.000, per l'acquisto di abitazioni ricadenti in complessi edilizi ristrutturati, restaurati o recuperati da imprese e cooperative edilizie, che provvedano alla successiva alienazione o assegnazione dell'immobile (art. 1, comma 17, lett. b, Legge 244/2007).
In questo particolare caso la detrazione spetta a condizione che: ... (link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Campi Elettromagnetici: Effetti sulla salute e distrurbi.
ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), ISCTI (Istituto Superiore delle Comunicazioni e delle Tecnologie dell'Informazione) e ISS (Istituto Superiore di Sanità) hanno realizzato una breve pubblicazione dal titolo "Campi Elettromagnetici - Effetti sull'uomo e sulle apparecchiature".
La pubblicazione, di carattere divulgativo, può essere utilizzata anche come supporto per la formazione del personale.
Ecco alcuni degli argomenti trattati: ... (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI: G.U. 25.06.2010, suppl. ord. n. 138/L, "Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2009" (Legge 04.06.2010 n. 96).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 22.06.2010 n. 143 "Determinazione, per il periodo 01.01.2010-31.12.2010, della misura del tasso d’interesse di mora da applicare ai sensi dell’articolo 30 del Capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici" (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, decreto 14.06.2010).

EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E. 18.06.2010 n. L/153 "DIRETTIVA 2010/31/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 19.05.2010 sulla prestazione energetica nell’edilizia" (link a http://eur-lex.europa.eu).
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Pubblicata la Direttiva europea 2010/31/CE sul miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici: sostituirà la Direttiva 2002/91/CE.
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Europea (L 153/13 del 18.06.2010) la nuova Direttiva 2010/31/CE sulla prestazione energetica nell'edilizia.
La Direttiva 2010/31/CE, in vigore dal prossimo 09.07.2010, abroga, con effetto dal 1° febbraio 2012, la Direttiva 2002/91/CE.
La Direttiva, come specifica l'art. 1, "promuove il miglioramento della prestazione energetica degli edifici all'interno dell'Unione, tenendo conto delle condizioni locali e climatiche esterne, nonché delle prescrizioni relative al clima degli ambienti interni e all'efficacia sotto il profilo dei costi".
In particolare la nuova normativa europea fornisce disposizioni su:
- metodologia per il calcolo della prestazione energetica integrata degli edifici e delle unità immobiliari;
- applicazione di requisiti minimi alla prestazione energetica di edifici e unità immobiliari;
- certificazione energetica degli edifici o delle unità immobiliari;
- sistemi di controllo indipendenti per gli attestati di prestazione energetica e i rapporti di ispezione;
- piani nazionali destinati ad aumentare il numero di "edifici a energia quasi zero";
- ispezione periodica degli impianti di riscaldamento e condizionamento d'aria negli edifici.
I paesi membri dell'Unione Europea devono definire una metodologia di calcolo della prestazione energetica degli edifici secondo i criteri contenuti all'allegato I "Quadro comune generale per il calcolo della prestazione energetica degli edifici".
La direttiva prevede, inoltre, che per contenere il fabbisogno energetico, gli Stati membri stabiliscano requisiti degli impianti tecnici per l'edilizia relativamente:
- al rendimento energetico globale;
- alla corretta installazione e alle dimensioni;
- alla regolazione e al controllo adeguati.
Tali requisiti, stabiliti per il caso di nuova installazione, sostituzione o miglioramento di sistemi tecnici per l'edilizia, si applicano almeno per i seguenti impianti:
1- impianti di riscaldamento;
2- impianti di produzione di acqua calda;
3- impianti di condizionamento d'aria;
4- grandi impianti di ventilazione.
Entro il 31.12.2020 è previsto, infine, che tutti gli edifici di nuova costruzione siano «edifici a energia quasi zero». Un «edificio a energia quasi zero» è un edificio ad altissima prestazione energetica, determinata conformemente all'allegato I, il cui fabbisogno energetico (molto basso o quasi nullo) dovrebbe essere coperto in misura molto significativa da energia da fonti rinnovabili (commento tratto da www.acca.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: M. Lavatelli, Le distanze tra i fabbricati e dai confini in materia edilizia (link a www.lavatellilatorraca.it).

APPALTI: L. Bellagamba, LA VALIDITÀ TEMPORALE DEL DURC NEGLI APPALTI PUBBLICI È DI TRE MESI – LA RESIDUALE INEVITABILITÀ PRATICA DI DOVER FAR RIFERIMENTO ALLA DATA DEL RILASCIO DEL DOCUMENTO – L’ESSENZIALITÀ DELLA VERIFICA DELL’EFFETTIVA EQUIVALENZA DELLE DIVERSE TIPOLOGIE DI DURC – L’APPOSIZIONE DI UN TERMINE MENSILE SUL DURC [aggiornamento a TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, 03.12.2009 n. 12411] (link a www.linobellagamba.it).

EDILIZIA PRIVATA: A. Calabria, Lo sportello unico per le attività produttive alla luce del recente recepimento della direttiva Bolkestein – il difficile ruolo della giurisprudenza Che cosa cambierà (link a www.diritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: A. M. Basso, Pubblica amministrazione ed illegittimità: la tutela tra annullamento e risarcibilità del danno (link a www.diritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: E. Soraci, Le nuove decorrenze pensionistiche per il pubblico impiego del decreto legge n. 78 del 31.05.2010 (link a www.diritto.it).

APPALTI SERVIZI: S. Di Giovanni e R. Favoino, L’art. 23-bis, c. 9, non si applica alle società miste pubblico-private costituite ai sensi del c. 2, lett. b - Nota a Tar Calabria-Reggio Calabria 16.06.2010 n. 561 (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Come si coordina l'art. 844 del codice civile con le normative pubblicistiche in materia di rumore? (link a http://venetoius.myblog.it).
Sul tema si legga anche un contributo dell'Avv. Rocco vaccari (link a http://venetoius.myblog.it).

EDILIZIA PRIVATA: F. Saitta, Danni al paesaggio e diritto al risarcimento (link a www.pausania.it).

QUESITI & PARERI

PUBBLICO IMPIEGO: Attribuzione responsabilità di servizio (posizione organizzativa) a dipendente di categoria “C”.
Il Comune di (omissis), Ente con popolazione inferiore ai tremila abitanti, chiede se sia possibile attribuire la responsabilità del servizio per l’area amministrativa-tributi ad un dipendente di categoria “C” in presenza di titolari di posizioni organizzative, in altre aree, di personale di categoria “D” in convenzione con altri Comuni, e non dipendente in senso proprio dal Comune di (omissis) (Regione Piemonte, parere n. 57/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo convenzionale del prezzo di cessione di alloggi di edilizia economico-popolare. Caducazione.
Vengono posti al Servizio scrivente diversi quesiti in ordine alla caducazione del vincolo convenzionale relativo alla determinazione del prezzo di cessione di alloggi di edilizia economica e popolare (Regione Piemonte, parere n. 55/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Installazione di pannelli fotovoltaici su terreno agricolo. Disciplina generale.
Viene posto un quesito in merito alla possibilità, per un Comune, di ricondurre l’installazione di un impianto di pannelli fotovoltaici su un terreno agricolo nell’alveo delle opere di urbanizzazione a rete, tenuto conto che l’intervento è previsto in cooperazione tra Ente e privato, sulla base di un accordo disciplinato da idonea convenzione (Regione Piemonte, parere n. 54/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Assegno per il nucleo familiare 2010/2011 (CISL di Bergamo, nota giugno 2010).

PUBBLICO IMPIEGO: Riteniamo utile intervenire ancora una volta sulla portata applicativa della norma contenuta nell’art. 9, comma 4, del D.L. 78/2010, che dispone che i rinnovi contrattuali per il biennio 2008-2009 non possono determinare aumenti retributivi superiori al 3,2% ... (CISL-FPS di Bergamo, nota 23.06.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: La Manovra sulle pensioni (INCA-CGIL di Bergamo, nota 14.06.2010).

NEWS

URBANISTICA: Ambiente, il controllore va separato dal controllato. Tar Lombardia, principi in materia di valutazione strategica.
Il controllore non può essere allo stesso tempo anche il controllato. Si tratta di un principio di elementare civiltà giuridica che il Tar Lombardia ha desunto da una corretta interpretazione del dlgs 4/2008, che ha innovato le procedure Vas (Valutazione ambientale strategica) nel territorio nazionale, e che ha ora sancito nella sentenza della seconda sezione n. 1526/2010 depositata lo scorso 18.05.2010.

Con questa sentenza – presidente M. Arosio, estensore G. Zucchini – la prima emessa in Italia in tema di Vas – il Tar della Lombardia assume una chiara posizione nei confronti della problematica della definizione dell'autorità competente nei procedimenti di valutazione ambientale strategica Vas relativi allo sviluppo urbanistico ed edilizio sul territorio.
Per effetto di questa anomalia riscontrata, il Tar ha annullato il Pgt del Comune di Cermenate (dove addirittura il tecnico comunale era anche co-firmatario del Pgt), ma i principi enunciati da questa sentenza –ricordiamo la prima in Italia in materia- valgono in tutto il territorio della Regione Lombardia ed anche italiano. A rischio di annullamento, quindi, si trovano ora tutti i Piano di governo del territorio o i Programmi integrati di intervento approvati senza rispettare la regola della terzietà dell'autorità competente Vas o anche in fase di approvazione, tra cui Milano, Como e moltissimi altri comuni.
Come noto nei procedimenti Vas –che per legge debbono precedere le scelte pianificatorie dei Pii e dei Pgt– l'autorità competente esercita una funzione di controllo sulle proposte pianificatorie, che l'autorità procedente intende portare ad approvazione.
Nel caso in esame, dove addirittura il tecnico comunale aveva insieme firmato il Pgt, firmato il parere relativo alla delibera approvativa del Pgt e aveva assunto il ruolo di autorità competente per la Vas, il Pgt di Cermenate è stato completamente annullato perché preceduto da un procedimento Vas illegittimo.
Così i giudici amministrativi lombardi di primo grado, nel rispetto della regola generale dell'imparzialità amministrativa ex art. 97 della Costituzione, hanno stabilito che autorità competente ed autorità procedente non possono appartenere alla medesima amministrazione comunale, ma debbono appartenere a due diverse e distinte amministrazioni pubbliche.
«Questa sentenza è una pietra miliare nella definizione del corretto procedimento Vas» commenta a ItaliaOggi l'avv. Umberto Sgrella, difensore della parte ricorrente e vincitrice in primo grado. «Le amministrazioni comunali dovranno rivolgersi ad altri enti pubblici esperti in materia ambientale per il ruolo di autorità competente, ponendo fine alla prassi illegittima della c.d. Vas fatte in casa che spesso si risolvevano solo in un mero passaggio burocratico interno, laddove i funzionari preposti si trovavano in una situazione difficile per l'esercizio delle loro potestà, in quanto dipendenti della stessa amministrazione che desiderava far approvare lo strumento urbanistico sottoposto a Vas» (articolo ItaliaOggi del 24.06.2010, pag. 43).

APPALTI: Appalti, il ricorso va comunicato. Le nuove norme sul processo amministrativo prevedono la riduzione a 30 giorni del termine per opporsi. L'impugnazione blocca la firma del contratto fino alla sentenza.
Il recepimento della «direttiva ricorsi»: le nuove norme sul processo amministrativo (II parte). Il decreto legislativo 20.03.2010 n. 53 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 84 del 12.04.2010 (in vigore dal 27.04.2010) attuativo della legge delega modifica anche le norme processuali.
Preliminarmente, la parte che intende proporre un ricorso giurisdizionale nelle materie relative alle controversie nelle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti tenuti nella scelta del contraente o socio all'applicazione della normativa comunitaria o al rispetto dei procedimenti ad evidenza pubblica, deve informarne il responsabile del procedimento.
L'informativa ai sensi dell'art. 243-bis del dlgs 163/2006 deve essere effettuata mediante comunicazione scritta o espressa oralmente nel corso di una seduta della commissione di gara e inserita nel verbale. Essa deve contenere i motivi di ricorso che si intendono articolare in giudizio, salva in ogni caso la facoltà di proporre motivi diversi o ulteriori ... (articolo ItaliaOggi del 23.06.2010 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Le visite fiscali? Le paga chi le ordina. Nuova stangata per i bilanci delle scuole. La Consulta ha bocciato il trasferimento degli oneri sulle Asl.
Brutte notizie per i bilanci del ministero dell'istruzione e delle scuole: le spese delle visite fiscali ritornano a carico di chi le ha richieste, non possono gravare né sulle aziende sanitarie locali né sulle regioni da cui dipendono.
La Consulta, infatti, con sentenza 10.06.2010 n. 207 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono che gli accertamenti medico-legali sui dipendenti pubblici assenti per malattia, incentivati dalla riforma della pa del ministro Renato Brunetta, rientrano nei compiti istituzionali del servizio sanitario nazionale con oneri a carico delle aziende sanitarie che li hanno eseguiti e che in sede di riparto del risorse deve essere individuata una quota di finanziamento da destinare agli accertamenti, infine che questi ultimi si possono effettuare nell'ambito di tali risorse (art. 71, commi 5-bis e ter, del d.l. 133/2008, convertito nella l. 133/2008).
La Corte costituzionale si è pronunciata su un ricorso della regione Toscana, che aveva promosso la questione per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione. A meno di un improponibile intervento di revisione della nostra carta fondamentale, porre le spese delle visite di controllo a carico dei fondi sanitari regionali senza prevederne il rimborso, significa intervenire illegittimamente sull'autonomia finanziaria delle regioni, costringendole, per non ridurre i servizi assistenziali obbligatoriamente e gratuitamente dovuti a tutti i cittadini, ad aumentare di un corrispondente importo le risorse destinate alla sanità. Sarebbe, inoltre, violata la competenza legislativa concorrente della regione in materia di tutela della salute e di organizzazione del servizio sanitario, in relazione alla quale l'intervento dello stato si deve limitare alla sola determinazione dei principi fondamentali e quello delle regioni alle scelte organizzative (art. 117, terzo comma, Cost.).
Le norme contestate non sono una normativa di principio, perché i due commi dichiarati incostituzionali non lascerebbero alcuno spazio legislativo alle regioni, nemmeno di carattere esecutivo, e vincolerebbero risorse per l'effettuazione di una prestazione estranea anche alla competenza esclusiva dello stato (art. 117, secondo comma, Costituzione). Anche se il legislatore, commettendo un errore nominalistico, ha voluto ricomprendervi gli accertamenti medici (art. 74, primo comma, del decreto legislativo 150/2009). Non basta, infatti, dichiarare che si tratta di materia di competenza esclusiva dello stato, occorre che lo sia effettivamente e oggettivamente.
L'accertamento medico–legale sui dipendenti pubblici assenti per malattia non è una prestazione sanitaria essenziale, che deve essere garantita dalla legislazione dello stato, per evitare che gli utenti ne usufruiscano in modi differenziati, per qualità e quantità, a seconda della regione di residenza.
Essa «è un'attività strumentale al controllo di regolarità», svolta nell'interesse del datore di lavoro, pubblico o privato che sia. Le amministrazioni pubbliche, così, dovranno cercare altrove le risorse necessarie a proseguire i controlli sulle malattie dei propri dipendenti, «anche nel caso di assenza di un solo giorno» (articolo ItaliaOggi del 22.06.2010, pag. 45).

PUBBLICO IMPIEGO: L'assenteista ringrazia, la crisi allenta le visite fiscali. Le visite fiscali rimangono senza soldi. 
Torna ad incepparsi sul nodo dei costi il meccanismo dei controlli a tappeto anti-assenteismo nel pubblico impiego, introdotti con la manovra di due anni fa ... (articolo Il Sole 24 Ore del 22.06.2010 - link a www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: CONSIGLIO DEI MINISTRI/ Oggi previsto il via alla riforma del processo amministrativo. Chi perde paga, anche al Tar. Il giudice individuerà le spese dovute alla controparte.
Il Codice del processo amministrativo, oggi all'esame del consiglio dei ministri, ridisegna le regole dei giudizi che si svolgono davanti ai tribunali amministrativi regionali e al consiglio di stato. In molte parti il codice completa il percorso di adeguamento alle regole del processo civile: ad esempio in relazione alla disciplina delle prove e alla disciplina delle spese. Il codice avrà una vacatio legis breve, visto che entrerà in vigore il 16.09.2010.
Alcune novità relative a particolari processi sono state anticipate da recenti provvedimenti legislativi e sono stati confermati dal codice amministrativo: ci si riferisce alle regole speciali del processo sugli appalti già previste dal decreto legislativo 53/2010.
Sul piano della gestione del processo sia per la parte privata sia per l'amministrazione un particolare rilievo assume la disciplina delle spese di soccombenza.
Il decreto prevede che quando emette una decisione, il giudice deve provvedere anche sulle spese di giudizio, secondo quanto previsto dal codice di procedura civile.
In sostanza si passa da una prassi in cui non era insolita la cosiddetta compensazione delle spese (ogni parte pagava il compenso del suo avvocato) alla introduzione di un regime in cui la regola è esattamente l'opposto, e cioè che chi perde (privato o amministrazione che sia) paga le spese legali sostenute da controparte.
Il richiamo all'articolo 91 del codice di procedura civile, inserito all'articolo 26, significa anche che le spese potranno essere accollate tenendo conto dell'ingiustificato rifiuto a una soluzione bonaria. Anzi può essere condannato alle spese chi vince la causa, ma nei limiti di una proposta transattiva formulata da controparte e rifiutata senza motivo.
Inoltre il codice prevede che il giudice, nel pronunciare sulle spese, può anche condannare, anche d'ufficio (e quindi senza richiesta), la parte soccombente al pagamento in favore dell'altra parte di una somma di denaro equitativamente determinata, quando la decisione è fondata su ragioni manifeste o orientamenti giurisprudenziali consolidati. Questo vale sia per il privato che fa un ricorso temerario sia per l'amministrazione, che resiste in giudizio senza ricorrere all'autotutela.
Ma vediamo gli altri punti salienti del codice.
In attuazione della delega (articolo 44 della legge n. 69 del 2009 il codice, introduce il principio della pluralità delle azioni: questo significa che si abbandona lo schema classico dell'azione solo per l'annullamento di un atto, inserendo le azioni di condanna, al fine di garantire, si legge nella relazione, ogni più ampia possibilità di tutela, compresa quella risarcitoria, anche per le posizioni giuridiche (interessi legittimi in particolare) devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Il processo viene sostanzialmente allineato al processo civile, inserendo tutti i mezzi di prova utilizzabili: prove testimoniali e consulenze tecniche d'ufficio.
Il codice recepisce, poi, la disciplina del trasferimento del giudizio (cosiddetta translatio judicii) introdotta dalla legge n. 69 del 2009 così da rendere comunicabili le diverse giurisdizioni amministrativa e ordinaria.
Il codice prende posizione sulla cosiddetta pregiudiziale amministrativa: e cioè la questione se si possa chiedere il risarcimento dei danni autonomamente rispetto alla richiesta di annullamento degli atti, che hanno causato il danno. Sulla materia ci sono state sentenza contrastanti con una presa di posizione del giudice amministrativo sfavorevole alla autonomia della azione risarcitoria (e quindi si può chiedere il risarcimento solo se è stato impugnato l'atto nel termine di sessanta giorni, altrimenti si è decaduti) e una diversa opinione della cassazione.
Il codice sceglie l'autonoma esperibilità della tutela risarcitoria per la lesione delle posizioni di interesse legittimo e prevede per l'esercizio di tale azione un termine di decadenza di quattro mesi: insomma davanti al giudice amministrativo c'è il codice sceglie una terza via, come spiega la relazione, sul presupposto che la previsione di termini decadenziali non è estranea alla tutela risarcitoria (e quindi si possono prevedere senza limitarsi alla previsione del termine quinquennale di prescrizione).
L'esigenza del termine di decadenza è dell'amministrazione, che deve sapere se per un proprio atto è chiamata a effettuare risarcimenti senza dover aspettare anni e anni.
Il codice tiene conto delle esigenze dell'amministrazione, in quanto afferma l'applicazione di principi analoghi a quelli espressi dall'articolo 1227 codice civile per quanto riguarda i danni che avrebbero potuto essere evitati mediante il tempestivo esperimento dell'azione di annullamento. In sostanza se il privato non chiede l'annullamento dell'atto potrà sempre chiedere il risarcimento danno con una azione autonoma, ma da esperire entro un termine di decadenza; tuttavia il fatto di non avere presentato un ricorso per l'annullamento dell'atto non è senza conseguenze, in quanto il giudice potrà decurtare il risarcimento, in quanto il privato avrebbe potuto evitare un incremento del danno se avesse diligentemente esperito l'azione di annullamento.
Anche impugnazioni sono state adeguate a quelle previste dal codice di procedura civile: è stata per la prima volta prevista una disciplina positiva del rimedio dell'opposizione di terzo nel processo amministrativo, introdotto da una sentenza della Corte costituzionale (articolo ItaliaOggi del 24.06.2010, pag. 21).

CORTE DEI CONTI

EDILIZIA PRIVATA: Sulla responsabilità erariale del responsabile Ufficio Tecnico per non aver riscosso la sanzione pecuniaria per danno ambientale in relazione ad un abuso edilizio realizzato in zona paesaggisticamente vincolata e sul termine dal quale decorre l'eventuale prescrizione al relativo versamento.
Dalla documentazione in atti risulta chiaro che il Corsinovi, legato da un rapporto di servizio con il Comune di Tavarnelle Val di Pesa in qualità di funzionario responsabile del Servizio Assetto del Territorio, ha tenuto una condotta dannosa per l’Amministrazione di appartenenza, consistente nella mancata richiesta (recte, riscossione) dell’indennità risarcitoria per danno ambientale. Condotta, questa, qualificata dall’elemento soggettivo della colpa grave, poiché consistente nella violazione di norme che il convenuto –data la sua posizione funzionale ed il suo livello culturale- era tenuto a conoscere, applicare e rispettare.
Qualora avesse avuto un dubbio interpretativo –circostanza che la difesa adduce a totale discolpa del convenuto-, ciò non lo avrebbe esonerato dal rispetto della norma: nel dubbio, Corsinovi avrebbe dovuto, comunque, richiedere il pagamento della sanzione, ciò anche al fine di produrre un effetto interruttivo della prescrizione a giovamento delle ragioni del Comune nel caso fosse sorto un contenzioso con gli interessati, e con la finalità di evitare anche il rischio di dover pagare di tasca propria.
Nella sua posizione non avrebbe dovuto sua sponte decidere di non richiedere il versamento della sanzione. Solo in tal modo si sarebbe liberato dalle responsabilità che oggi gli si contesta.
In altri termini, per quanto riguarda l’incertezza interpretativa su cui tanto si è soffermata la difesa, il Collegio ritiene che la stessa non possa assurgere a scriminante, poiché –al di là degli orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia- ciò che rilevava era la necessità di applicare la sanzione de qua anche nel caso di fattispecie di condono, obbligo che il convenuto non ha affatto osservato. Nonostante la giurisprudenza fosse oscillante, non può essere ignorato che tale necessità era ormai acclarata con l’entrata in vigore della norma interpretativa di cui all’art. 2, comma 46, della legge 662/1996. Del resto, il successivo DM 26.09.1997 era solo una fonte secondaria applicativa del dettato normativo, alla cui adozione il convenuto poteva rinviare (non per richiedere la sanzione ma) solo per l’effettiva liquidazione della stessa, e la delibera n. 62/1998 del Consiglio Comunale era un atto di natura interna all’ente, non certo prevalente sulla norma primaria del ’96.
Peraltro, poiché l’esame della condotta responsabile del convenuto si ferma ai danni causati (rectius, alla sanzioni lasciate prescrivere) a decorrere dal 06.03.2001, si rammenta che a quella data la giurisprudenza in materia aveva ormai trovato un approdo definitivo nella sentenza n. 3184 del 02.06.2000 della V Sezione del Consiglio di Stato, richiamata anche dalla difesa, nella quale era stato definitivamente chiarito che, ai sensi dell'art. 2, co. 46 cit., l’indennità suddetta, avendo natura giuridica di sanzione amministrativa pecuniaria per le violazioni in materia paesaggistica, è dovuta in caso di condono edilizio anche se vi sia stato parere favorevole al condono da parte dell'Autorità preposta alla tutela del paesaggio, ed è dovuta anche in assenza di danno ambientale.
Accertato l’an, è necessario esaminare il quantum debeatur, che la Procura determina in € 56.405,93 complessivi (oltre accessori e spese di giudizio), sulla base del prospetto predisposto dall’Amministrazione (all. D 3) delle pratiche di condono gestite dal convenuto sino al suo collocamento a riposo.
A tal proposito il Collegio ritiene che il danno risulti di entità sensibilmente inferiore a quella contestata nella domanda, per due ordini di motivi:
a) per il compimento della prescrizione con riferimento a quei danni prodottisi nel periodo anteriore al 06.03.2001;
b) per il diverso accertamento del dies a quo di decorrenza della prescrizione quinquennale di cui all’art. 28, l. 689/1981, della sanzione ambientale, rispetto ai criteri seguiti dal Comune per la compilazione del citato all. 3D, in cui si quantifica il danno erariale.
Si è già argomentato diffusamente sulla prescrizione dell’azione risarcitoria per il periodo anteriore al 06.03.2001. Ciò esonera il Collegio dall’approfondimento degli altri profili controversi affrontati dalle parti, riguardanti aspetti della condotta del convenuto nel periodo precedente a tale data.
Determinante è, poi, l’accertamento del dies a quo di decorrenza della prescrizione quinquennale di cui all’art. 28, legge n. 689/1981, della richiamata sanzione ambientale nel procedimento di condono edilizio.
La soluzione data al quesito permette di individuare con chiarezza quando le sanzioni che avrebbe dovuto richiedere il convenuto si sono prescritte e, quando, pertanto, deve considerarsi prodotto il danno erariale e quando, infine, è iniziata a decorrere la prescrizione dell’azione risarcitoria.
Il Collegio non ignora che sulla materia si sono registrati diversi orientamenti dei giudici amministrativi, dovuti alla peculiarità della fattispecie in esame, caratterizzata dalla compresenza di un illecito paesaggistico e di un illecito edilizio in relazione ad uno stesso bene nell’ambito del procedimento di condono edilizio.
Il Collegio, peraltro, non ignora neppure che l’interpretazione resa nella varie sentenze del Consiglio di Stato (sovrapponibili per taluni aspetti, ma anche variegate, sebbene compatibili nelle conclusioni), che hanno riformato sistematicamente le opzioni difformi dei giudici di prime cure, giunge in definitiva a dare una soluzione univoca al problema della prescrizione nell’affermare che il termine de quo inizia a decorrere dal rilascio della concessione in sanatoria nell’ipotesi in cui il responsabile della violazione, avendo realizzato opere edili in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, abbia poi ottenuto la concessione in sanatoria.
Si tratta di una soluzione autorevole, frutto di un tortuoso percorso argomentativo, che merita di essere condivisa e, pertanto, di non essere ignorata dal Collegio nella formazione del suo convincimento.
Considerata la rilevanza ai fini della determinazione del danno erariale, non si può evitare di accennare alla giurisprudenza amministrativa sull’argomento.
Come detto, la norma di riferimento è l’art. 32 della legge 28.02.1985, n. 47, e s.m.i., secondo cui gli abusi edilizi realizzati in aree vincolate, al di fuori dei casi in cui il successivo art. 33 prevede espressamente l’insanabilità, sono suscettibili di sanatoria subordinatamente al rilascio del parere favorevole da parte dell’autorità preposta al vincolo. La stessa disposizione aggiunge che il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria estingue anche il reato derivante dalla violazione del vincolo.
Innanzi tutto, bisogna evidenziare che in materia si sono formati i seguenti principi consolidati (ex multis, Cds, IV, 13/08.03.2007 n. 1585, 04.02.2004 n. 395; 12.11.2002 n. 6279; Sez. V, 08.06.1994 n. 614, 02.06.2000 n. 3184 del 02.06.2000 e 09.10.2000 n. 5373):
a) l’art. 15 della L. 29.06.1939 n. 1497 va interpretato nel senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce una vera e propria sanzione amministrativa che prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale, non rappresentando una forma di risarcimento del danno;
b) condonabilità degli abusi commessi in zone soggette a tutela ambientale purché sia intervenuto il parere favorevole dell’autorità competente, ai sensi dell’art. 32 della L. n. 47 del 28.02.1985;
c) applicabilità della sanzione di cui al predetto art. 15 anche nel caso in cui sia intervenuto il previsto nulla osta, come precisato dall’art. 2, comma 46, della L. n. 662 del 23.12.1996, norma di natura chiaramente interpretativa;
d) applicabilità, per espresso dettato legislativo, dell’art. 28, primo comma, della L. n. 689 del 24.11.1981, il quale espressamente dispone che il “diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”, sia pure con i temperamenti necessari attesa la particolare natura dell’illecito sanzionato dal ricordato art. 15. La regola della prescrizione quinquennale, decorrente dal giorno della commissione della violazione, infatti, trova in astratto applicazione anche in materia di illeciti amministrativi puniti con la pena pecuniaria di cui alla normativa di tutela urbanistica-edilizia e di tutela del paesaggio (Cass., 1° Sez. civ. n. 6967 del 25.07.1997).
e) natura permanente degli illeciti in materia urbanistica edilizia e paesistica (cfr. C.d.S., Sez. VI, 02.06.2000, n. 3184; 05.08.2003 n. 4482), da cui è possibile trarre che gli stessi, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni.
Sulla base di tali principi –per quanto qui occupa- si è formato un autorevole e consolidato orientamento dei giudici di Palazzo Spada, secondo cui non è esatto assumere a parametro di riferimento ai fini della individuazione del termine iniziale della prescrizione della sanzione, come hanno fatto più volte i giudici di primo grado, il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo in relazione al provvedimento di rilascio della concessione edilizia in sanatoria.
Questo, perché siffatto parere, in mancanza di una qualsiasi norma positiva in tal senso, è da ritenersi privo di un’autonoma rilevanza in quanto concorre a consentire il rilascio della concessione edilizia (o autorizzazione) in sanatoria inserendosi, secondo le previsioni contenute nell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, nel diverso procedimento volto a sanare solo ed esclusivamente illeciti di natura edilizia-urbanistica in relazione ad immobili soggetti a vincoli paesaggistici e/o ambientali e non è, quindi, atto idoneo a far decorrere il termine di prescrizione previsto dall’art. 28 della legge n. 689/1981.
La stessa giurisprudenza aveva osservato anche che il provvedimento sanzionatorio trova la sua disciplina in una normativa diversa da quella prevista nella cd. legge di sanatoria, disciplina che delinea un autonomo procedimento in cui intervengono altre Amministrazioni in quanto titolari di interessi finalizzati alla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, nonché alla repressione di eventuali abusi. Ne è conferma l’art. 2, comma 46, della L. n. 662 del 23.12.1996 in base al quale il “versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 15 della L. n. 1457 del 1939”, attesa la peculiarità della sua funzione di riparare alla lesione di uno specifico interesse pubblico violato, lesione che perdura fintanto che esso non sia risarcito per equivalente. Infatti, oblazione ed indennità risarcitoria hanno finalità diverse, perché diversi sono i profili su cui vanno ad incidere, così che il pagamento dell’una non fa venir meno il dovere di agire per la riscossione dell’altra (Cds, IV, 04.02.2004 n. 395; IV, 13/08.03.2007 n. 1585).
Pertanto, un primo passo del Consiglio di Stato è stato quello di negare categoricamente –e ciò è rilevante ai fini dell’esame dell’odierna fattispecie– che dal parere o autorizzazione paesaggistica, emessi in occasione del condono edilizio, non possa decorrere la prescrizione della sanzione, dovendo la stessa decorrere dal conseguimento delle prescritte autorizzazioni (già in questo senso, CdS, V, 02.06.2000 n. 3184).
E tali autorizzazioni, quando riferite al procedimento di condono edilizio, lungi dall’essere i pareri endoprocedimentali di cui all’art. 32, l. 47/1985, si identificano, appunto, con la concessione in sanatoria. E’ questa la logica soluzione a cui è approdata la giurisprudenza amministrativa in definitiva e che il Consiglio di Stato ha di recente ribadito con la decisione n. 1564/2009.
In quest’ultima pronuncia, il supremo consesso evidenzia che laddove risulti che il responsabile della violazione non si sia limitato a munirsi del predetto parere endoprocedimentale, ma abbia concluso positivamente la procedura di condono, il provvedimento di concessione in sanatoria non può non determinare la cessazione delle permanenza anche dell’illecito paesaggistico (v. Cons. Stato, sez. II, 09.04.2008, nr. 708/2005; Cons. Stato, sez. IV, 11.04.2007, nr. 1585; Cons. Stato, sez. V, 13.07.2006, nr. 4420; C.g.a.r.s., 02.03.2006, nr. 79).
Ha negato, peraltro, –questa è l’unica frattura, ma solo apparente perché conciliabile, con le prime decisioni sopra richiamate– che il parere favorevole reso dall’autorità preposta al vincolo nell’ambito del procedimento per la sanatoria di abusi edilizi realizzati in zona vincolata costituisca un atto meramente interno a tale procedimento, privo di ogni riflesso sulla diversa violazione paesaggistica. Ciò si ricaverebbe dalla già richiamata disposizione ex art. 32 della legge n. 47 del 1985, secondo cui, una volta ottenuto il predetto parere (da cui non può prescindersi per il conseguimento del condono nella fattispecie), la successiva concessione in sanatoria determina l’estinzione non solo del reato edilizio, ma anche del reato “per la violazione del vincolo”.
Nonostante la rilevanza penale di tale disposizione, appare, peraltro, evidente –questo è il punto di contatto che unifica gli orientamenti della giurisprudenza negli anni- che essa depone chiaramente nel senso di una convergenza, all’interno di un unico procedimento di sanatoria, tra il parere dell’autorità preposta al vincolo e quello specificamente urbanistico-edilizio del Comune, ai fini dell’eliminazione contestuale di entrambi gli illeciti, quello edilizio e quello paesaggistico.
Opinare diversamente implicherebbe l’obbligo del responsabile dell’abuso, il quale abbia ottenuto il condono e intenda rimuovere anche la violazione paesaggistica, di richiedere alla Soprintendenza un nuovo parere di compatibilità destinato a “duplicare” quello già rilasciato nel procedimento di sanatoria edilizia. Poiché, però, un tale aggravio procedimentale non trova alcun riscontro nella normativa vigente in materia, l’alternativa sarebbe ritenere che la permanenza della violazione paesaggistica, in un’ipotesi del genere, sia destinata a perdurare indefinitamente, con conseguente sostanziale imprescrittibilità della sanzione pecuniaria, ovvero che l’unico modo che il responsabile avrebbe a disposizione per sottrarsi alla potestà sanzionatoria dell’Amministrazione sarebbe quello di demolire le opere realizzate: il che –precisa il Consiglio di Stato- non solo è palesemente assurdo a fronte di opere ormai in possesso di regolari titoli abilitativi, anche sotto il profilo della compatibilità paesaggistica, ma probabilmente comporta la violazione del principio della alternatività tra sanzioni ripristinatorie e sanzioni pecuniarie che lo stesso art. 164 del d.lgs. n. 490/1999 ha recepito.
In conclusione, il principio di autonomia delle due tipologie di violazioni già elaborato nelle prime decisioni, va rettamente inteso nel senso che <<l’intervenuta sanatoria dell’abuso edilizio non fa ex se venir meno la potestà sanzionatoria per la diversa violazione paesaggistica, ma non anche che essa non spiega alcuna influenza sulla permanenza di quest’ultima; ne consegue che proprio il momento del rilascio della sanatoria costituisce il dies a quo della prescrizione della sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 28 della legge nr. 689 del 1981>>.
Per mero tuziorismo, piace al Collegio rammentare che tale orientamento costituisce la conferma di una tesi già espressa dal TAR Toscana con sentenza 11.08.2005 n. 4017, di cui appare utile riportare alcuni passaggi argomentativi, in quanto riguardanti la realtà normativa della regione Toscana.
In detta sentenza si affermava già che la prescrizione decorre dal momento dell’accertamento dell’illecito, accertamento che può avvenire o d’ufficio ovvero in esito al procedimento di sanatoria edilizia.
A tal proposito, si evidenziava che <<in Toscana le funzioni c.d. paesaggistiche, già delegate alle regioni ai sensi dell’art. 82 del d.p.r. n. 616/1977, sono state subdelegate ai Comuni fin dal 1979 con l’art. 2 della legge regionale n. 52; trattasi in particolare, ai fini che qui interessano, delle funzioni di cui agli artt. 7 e 15 della legge n. 1497/1939; il Comune detiene inoltre in via propria le funzioni di controllo, repressione e sanatoria degli abusi edilizi.
Il procedimento di sanatoria, in particolare, si compone dunque di due procedure, autonome e distinte, quanto all’ambito degli interessi sottesi (di carattere ambientale che coinvolgono anche l’autorità statale e cioè la Sovrintendenza, e di carattere urbanistico-edilizio propri del Comune), ma che confluiscono nel provvedimento finale di rilascio della concessione edilizia in sanatoria. In quel momento, come già precedentemente affermato da questo Tribunale (III, n. 2662/2005), sono da ritenersi accertati gli abusi commessi (sia edilizi che ambientali), essendo stata valutata la possibilità di rilasciare il titolo che legittima quanto sino a quel momento illegittimamente realizzato…In proposito la giurisprudenza ha riconosciuto non solo che il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo è “pregiudiziale ad ogni altra valutazione” (CdS, V, n. 177/2000), ma ha anche rilevato che il “parere” previsto dall’art. 32 cit. ai fini del rilascio della sanatoria ha natura e funzioni identiche all’ “autorizzazione paesaggistica” ex art. 7 della legge n. 1497/1939, in quanto entrambi gli atti costituiscono il presupposto per l’assentimento del titolo che legittima la trasformazione urbanistico-edilizia dell’area protetta (Cons. Stato, VI, n. 114/1998), il quale deve ritenersi realizzato, quindi, solo con la conclusione della procedura di regolarizzazione (dal momento che l’autorizzazione paesaggistica –che in Toscana è di competenza del Comune– deve essere inviata alla Sovrintendenza per l’esercizio dei suoi poteri e per l’eventuale annullamento entro 60 giorni).
In definitiva il momento dell’accertamento dell’illecito deve individuarsi con quello di rilascio della sanatoria edilizia compiuto e che determina altresì il venir meno della sua permanenza; ragionando diversamente, si dovrebbe giungere ad affermare che, anche dopo il rilascio della concessione in sanatoria, l’immobile potrebbe essere demolito perché non compatibile con gli interessi ambientali, non decorrendo mai il termine della p.a. per esercitare i poteri sanzionatori ai fini ambientali; ma ciò si porrebbe in contraddizione logica col rilascio del titolo a sanatoria che a sua volta presuppone la compatibilità “ambientale” dell’opera
.>>.
Alla luce dell’autorevole giurisprudenza amministrativa summenzionata, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, consegue che non è esatto far coincidere il termine iniziale della prescrizione della sanzione ambientale con la data del parere emesso dall’autorità investita della tutela del vincolo, in relazione al provvedimento rilascio della concessione edilizia in sanatoria.
La prescrizione decorre –e doveva decorrere anche all’epoca dei fatti de quibus– dal rilascio del provvedimento di condono edilizio (recte, concessione edilizia in sanatoria), come, peraltro, sembrerebbe avere affermato anche la stessa Procura quando nella citazione chiarisce che il momento del rilascio della concessione in sanatoria segna la cessazione dello stato di illiceità della situazione ed anche il momento di avvio del termine di prescrizione quinquennale entro cui la detta sanzione si deve (e si sarebbe dovuta) riscuotere (Corte dei Conti, Sez. giurdiz. Toscana, sentenza 13.05.2010 n. 179 - link a http://bddweb.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: L'attività della P.A. deve, di regola, essere svolta dai propri organi e uffici, per cui il ricorso a soggetti esterni è consentito soltanto nei casi previsti dalla legge o in casi eccezionali, da motivare idoneamente per far fronte a situazioni non sopperibili con la struttura burocratica esistente, ovvero in presenza di esigenze occasionali che determinano “la necessità di fruire della specificità ed infungibilità della prestazione esterna”.
Sono stati pertanto individuati dalla giurisprudenza le seguenti condizioni che possono legittimare il conferimento di incarichi a soggetti esterni alla P.A.:
a) rispondenza degli incarichi agli obiettivi dell’Amministrazione conferente;
b) impossibilità di procurarsi le utilità all’interno dell’organizzazione burocratica dell’ente, implicando conoscenze non riscontrabili, in assoluto, nell’apparato amministrativo;
c) esistenza di un’adeguata motivazione delle scelte, al fine di rendere ostensiva la ricorrenza dei requisiti prescritti;
d) specificità e temporaneità dell’incarico;
e) proporzione tra compensi ed utilità conseguite.
Appare utile ricordare che -sebbene appartenga alla discrezionalità insindacabile dell’Amministrazione di procedere all’affidamento di incarichi in presenza di particolari esigenze che determinano la necessità di fruire della specificità ed infungibilità della prestazione esterna per l’espresso disposto dell’art. 3, primo comma, del D.L. 23.01.1996, n. 543 convertito nella legge 20.12.1996, n. 639– rimane tuttavia integro il potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza dei presupposti legittimanti del ricorso a tale eccezionale strumento di soddisfacimento degli interessi dell’ente.
Ciò in quanto la valutazione del giudice non attiene al merito della scelta adottata dagli organi dell’amministrazione bensì al rispetto dei principi costituzionali di ragionevolezza del loro operato e dell’economicità e del buon andamento dell’Amministrazione sancito dall’art. 97 della Costituzione (cfr, ex plurimis, SS. RR. 01.03.1999, n. 4/A; Sez. III centrale d’appello, 16.12.2002 - 08.01.2003, n. 9).
Va soggiunto che -come affermato dalla Suprema Corte anche recentemente- il limite della discrezionalità amministrativa va escluso icto oculi in presenza di comportamenti contra legem dell’amministratore o del dirigente pubblico, “non potendo essi costituire esercizio di scelta discrezionale insindacabile” (cfr. Cass. civ. Sez. Unite civili, sent. n. 7024/ 2006; n. 5083/2008; n.5288/2009 e Ord. n. 6410 del 02.03.2010).
Alla stregua delle precisazioni innanzi formulate, il Collegio, dato per scontato che il giudizio contabile non attiene al potere riservato in via esclusiva alla P.A. di scegliere discrezionalmente le modalità di perseguimento dell’interesse pubblico, osserva che il sindacato giurisdizionale riguarda invece la legittimità e la ragionevolezza dei mezzi prescelti; sicché non possono ritenersi conformi a legge i provvedimenti che collidano con tali principi o che contrastino con le regole di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.

Secondo un principio generale costantemente affermato dalla Corte dei conti sia in sede di controllo che di giurisdizione contabile, l’attività della P.A. deve, di regola, essere svolta dai propri organi e uffici, per cui il ricorso a soggetti esterni è consentito soltanto nei casi previsti dalla legge o in casi eccezionali, da motivare idoneamente per far fronte a situazioni non sopperibili con la struttura burocratica esistente, ovvero in presenza di esigenze occasionali che determinano “la necessità di fruire della specificità ed infungibilità della prestazione esterna” (cfr. ex plurimis, Sez. d’Appello Reg. Sicilia, 04.06.2001, n. 105/A; Sez. III centrale, 07.06.2001, n. 133/A; Sez. Emilia Romagna, 07.06.2002, n. 1703; Sez. Lombardia, 08.06.2002, n. 1255).
Sono stati pertanto individuati dalla giurisprudenza le seguenti condizioni che possono legittimare il conferimento di incarichi a soggetti esterni alla P.A.:
a) rispondenza degli incarichi agli obiettivi dell’Amministrazione conferente;
b) impossibilità di procurarsi le utilità all’interno dell’organizzazione burocratica dell’ente, implicando conoscenze non riscontrabili, in assoluto, nell’apparato amministrativo;
c) esistenza di un’adeguata motivazione delle scelte, al fine di rendere ostensiva la ricorrenza dei requisiti prescritti;
d) specificità e temporaneità dell’incarico;
e) proporzione tra compensi ed utilità conseguite.
La giurisprudenza di questa Corte ha infatti riconosciuto la possibilità di ricorrere ad incarichi esterni in presenza di eccezionali eventi o situazioni straordinarie, quali la carenza di specifiche professionalità interne, casi di necessità e urgenza, straordinarietà della situazione, lavori di particolare complessità, accertata difficoltà del competente ufficio di svolgere le funzioni d’istituto, affermando peraltro, costantemente, che le spese sostenute per incarichi professionali esterni, riguardanti lo svolgimento di prestazioni proprie delle qualifiche del personale dipendente, all’infuori delle eccezionali ipotesi innanzi specificate, configurano oneri posti indebitamente a carico dell’ente pubblico e costituiscono perciò causa di danno erariale (cfr, ex plurimis, SS.RR., 23.06.1992, n. 792/A; Corte dei conti, Sez. I,13.06.1994, n. 3).
I principi di cui trattasi sono stati frequentemente richiamati dalla Corte in decisioni relative a casi simili a quelli in esame (cfr. ex plurimis, Sez. Sicilia, 06.09.1995, n. 302; Sez. Veneto, 04.12.1996, n. 471; Sez. Emilia Romagna, 15.10.1996, n. 612; Sez. Abruzzo, 19.11.1997, n. 300) e sono stati ribaditi in circolari della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri vigilanti, per cui la loro disapplicazione da parte delle Amministrazioni pubbliche costituisce evidente indice di sviamento di potere e di grave colpevolezza.
Tali indirizzi giurisprudenziali trovano puntuale riscontro, per gli enti locali, nell’art. 51, settimo comma, della legge n. 142/1990, poi trasfuso nell’art. 110, comma 6, del D.lgs n. 267/2000, il quale prevede che “per obbiettivi determinati e con convenzione a termine il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità”.
Analogamente (cioè con la medesima espressione terminologica) dispone l’art. 41 del Testo unico delle leggi regionali sull’ordinamento del personale dei Comuni della Regione Autonoma Del Trentino-Alto Adige, approvato con D.P.Reg. 10.02.2005, n. 2/L.
Per quanto riguarda, in particolare, le opere pubbliche, la L.P. 10.09.1993 n. 26, recante norme in materia di lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza negli appalti, riserva la priorità alla progettazione interna (artt. 19 e 20, comma 2), limitando la progettazione esterna ai casi di “soluzioni di complesse questioni tecniche, pluralità di competenze specialistiche, carenze, anche temporanee di organico..” ( art. 20, comma 3 e segg).
Per gli altri enti pubblici l’art.7, del D.l.vo n. 29/1993, come modificato dall’art. 5 del D.l.vo n. 546/1993 riprodotto nell’art. 7, comma 6, del D.l.vo 30.03.2001, n. 165, dispone che: ”per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza”, individuando, ai commi 6-bis e 6-ter, i presupposti indispensabili per il ricorso all’attività di liberi professionisti -qualora sia obiettivamente impossibile utilizzare risorse interne- nella temporaneità dell’incarico, nell’elevata qualificazione della prestazione e nella preventiva fissazione della durata, luogo, oggetto e compenso pattuito.
Le disposizioni di cui innanzi (integrate successivamente ai fatti di causa dall’art. 32 del Decreto Legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248/2006 e dal comma 76 dell’art. 3 della legge 24.12.2007, n. 244) contenute nei commi 6, 6-bis e 6-ter dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 165/2001, sono da ritenersi di carattere generale ed applicabili, salvo deroghe particolari, nell’intero settore dei pubblici poteri (cfr. Sez. II centrale, 26.08.2008, n. 263/A).
Come già accennato innanzi, l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di far fronte alle competenze istituzionali mediante il migliore e più proficuo e produttivo utilizzo delle risorse professionali esistenti nell’ambito della propria struttura organizzativa e di ricorrere ad incarichi esterni soltanto nei cari previsti dalla legge o in relazione ad eventi straordinari o in casi eccezionali trova il proprio fondamento nel principio del buon andamento dell’amministrazione sancito dall’art. 97 della Costituzione
(Corte dei Conti, Sez. giurdiz. Trento, sentenza 21.04.2010 n. 11 - link a http://bddweb.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICA: Lottizzazione negoziale - Elementi - Frazionamento e attribuzione ad una pluralità di soggetti - Destinazione a scopo edificatorio abusivo.
Ai fini della configurazione di una lottizzazione cd. negoziale non è sufficiente che il terreno sia frazionato e venduto o comunque attribuito ad una pluralità di soggetti, in quanto la norma richiede un terzo requisito ossia la non equivocità -emergente anche da un solo indizio- della destinazione a scopo edificatorio abusivo sia del frazionamento che della vendita (cfr. Consiglio Stato, Sezione V, 20.10.2004, n. 6810; TAR Campania, Sezione VI, 20.01.2005, n. 261) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 23.06.2010 n. 15773 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Commissione di gara - Organi ordinari dell’amministrazione appaltante - Competenza - Discrimine - Principi generali - Formale chiusura della gara pubblica.
In difetto di una disposizione normativa ovvero di una espressa previsione della lex specialis della gara che disponga in senso contrario la questione della competenza della Commissione di gara va risolta in base ai principi generali che ne regolano i compiti, per cui il discrimine tra la competenza della commissione di gara e quella degli organi ordinari dell'amministrazione appaltante è segnato dalla formale chiusura della gara pubblica e che, pertanto, prima di tale momento, è il suddetto organo temporaneo e straordinario a dover provvedere a tutti gli adempimenti necessari, ivi compresa la verifica delle offerte sospette di anomalia.
Il momento della formale chiusura della gara può identificarsi con quello in cui la stazione appaltante, appropriandosi degli atti posti in essere, ne suggella gli esiti con l'approvazione e con l'aggiudicazione definitiva (Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. giurisd, n. 413/2000; Consiglio di Stato, Sezione V, n. 661/2000; Tar Campania, Napoli, sez. II, n. 5891/2007; Tar Trentino Alto-Adige, Bolzano, n. 146/2009) (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 22.06.2010 n. 19954 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Nelle gare per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, spetta alla p.a. un'ampia discrezionalità nel determinare gli elementi di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Sulla legittimità dell'indizione di una gara anche in assenza dei criteri di gara e di valutazione dell'offerta e della previa identificazione dei bacini ottimali di utenza di cui all'art. 46-bis del d. l. 01.10.2007, n. 159. E' legittima la composizione di una commissione giudicatrice presieduta dallo stesso soggetto che poi ha approvato gli atti di gara.

Nelle gare per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, spetta alla pubblica amministrazione un'ampia discrezionalità nel determinare gli elementi di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa alla luce degli interessi da perseguire e delle circostanze specifiche della singola procedura in relazione alle condizioni della rete, salvo macroscopica irragionevolezza dei relativi criteri. Alla luce del combinato disposto degli artt. 14 del D. L.vo n. 164/2000 e 83 del D. L.vo n. 163/2000, si desume che il legislatore non ha inteso predeterminare il valore ponderale da attribuire, rispettivamente, all'elemento qualità ed all'elemento prezzo delle offerte per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, lasciando spazio alla discrezionalità della pubblica amministrazione da esplicare alla luce degli interessi da perseguire e delle circostanze specifiche della singola procedura in relazione alle condizioni della rete. In tal senso del resto depone anche il "considerando" 46 della direttiva CEE 2004/18, il quale con riguardo all'aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa espressamente riconosce che la concreta determinazione dei relativi criteri economici e qualitativi "dipende dall'oggetto dell'appalto".
Un singolo comune può legittimamente bandire isolatamente la propria procedura ad evidenza pubblica di affidamento del servizio anche in assenza dei criteri di gara e di valutazione dell'offerta e della previa identificazione dei bacini ottimali di utenza di cui all'art. 46-bis del d.l. 01.10.2007, n. 159, convertito dalla l. 29.11.2007 n. 222.
Nell'ambito degli enti locali non sussiste un rigido divieto di partecipazione dei dirigenti alle commissioni di gara. Infatti, il rafforzamento del modello della responsabilità dirigenziale innescato dal processo di privatizzazione del pubblico impiego, sottolinea l'opposta esigenza che il dirigente segua direttamente le procedure del cui risultato è tenuto a rispondere. In questa logica va annoverato il disposto dell'art. 107 del D. L.vo n. 267/2000, che prevede tra le attribuzioni di competenza dirigenziale il potere di presiedere le commissioni di gara e di stipulare i contratti in correlazione con la responsabilità per l'esito delle gare medesime.
Così come non vi è incompatibilità tra le funzioni di presidente della commissione di gara e quella di responsabile del procedimento, analogamente deve ritenersi nel caso in cui al dirigente di un ente locale che ha svolto le funzioni di presidente del seggio e di responsabile del procedimento sia stato anche attribuito il compito di approvare gli atti della commissione di gara, atteso che detta approvazione non può essere ricompresa nella nozione di controllo in senso stretto, ma si risolve in una revisione interna della correttezza del procedimento connessa alla responsabilità unitaria del procedimento spettante alla figura dirigenziale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.06.2010 n. 3890 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Natura giuridica delle circolari amministrative.
Le circolari amministrativi sono atti diretti agli organi ed uffici periferici, ovvero sottordinati, e non hanno di per sé valore normativo o provvedimentale o, comunque, vincolante per i soggetti estranei all’amministrazione, onde i soggetti destinatari degli atti applicativi di esse non hanno alcun onere di impugnativa, ma possono limitarsi a contestarne la legittimità al solo scopo di sostenere che gli atti applicativi sono illegittimi perché scaturiscono da una circolare illegittima che avrebbe, invece, dovuto essere disapplicata (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30.05.2005, nr. 2768).
Ne discende che una circolare amministrativa contra legem può essere disapplicata anche d’ufficio dal giudice investito dell’impugnazione dell’atto applicativo di essa (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10.04.2003, n. 1894) (massima tratta da www.entilocali.provincia.le.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.06.2010 n. 3877 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vincolo paesaggistico sopravvenuto - Opponibilità - Esclusione- Ipotesi - Artt. 139 e 146 d.lgs. n. 42/2004 - Inizio dei lavori - Factum principis.
Nell’esegesi degli artt. 139 e 146, d.lgs. n. 42/2004, si deve ritenere che il sopravvenuto vincolo paesaggistico non è opponibile, e dunque non impone la richiesta di autorizzazione paesaggistica:
a) per interventi edilizi che siano già stati autorizzati sotto il solo profilo edilizio o anche sotto quello paesaggistico in virtù di un precedente regime, e di cui sia già iniziata l’esecuzione;
b) per interventi edilizi che siano già stati autorizzati sotto il solo profilo edilizio o anche sotto quello paesaggistico in virtù di un precedente regime, e per i quali l’esecuzione non sia iniziata nei termini assegnati per fatto non imputabile al soggetto autorizzato.
Invece, il sopravvenuto vincolo paesaggistico è opponibile, e dunque impone la richiesta di autorizzazione paesaggistica:
a) per interventi edilizi che non siano stati ancora autorizzati nemmeno sotto il profilo edilizio;
b) per interventi edilizi che siano già stati autorizzati sotto il solo profilo edilizio o anche sotto quello paesaggistico in virtù di un precedente regime, e per i quali l’esecuzione non sia iniziata nei termini assegnati per fatto imputabile al soggetto autorizzato.
All’ipotesi di inizio dei lavori deve assimilarsi quella in cui l’inizio non vi sia stato per factum principis non imputabile all’interessato, ove risulti che i lavori sarebbero potuti legittimamente e tempestivamente iniziare (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 17.06.2010 n. 3851 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: TERMINI DI IMPUGNAZIONE DEL P.R.G..
1. Piani urbanistici - Regolatore generale - Adozione - Impugnazione - Termini - Decorrenza.
2. Atto amministrativo - Tipologia - Parere - Natura - Effetti.

1. Pur non essendo, in generale, richiesta la notificazione individuale degli strumenti urbanistici non puntuali, affinché decorra il termine per la loro impugnazione (Cons. Stato, sez. VI, 07-10-2008 n. 4823), è principio e prassi pacifica quella per cui il termine per impugnare la deliberazione di adozione del P.R.G. o di una sua variante, decorre dal momento in cui essa risulti portata a conoscenza dell'interessato, e non invece dalla sua pubblicazione, se anteriore (Cfr. Cons. Stato, sez. V, 24-10-2002 n. 5856; TAR Campania Napoli, sez. VIII, 17-09-2009 n. 4977; TAR Liguria, sez. I, 19-01-2007 n. 69).
2. La deliberazione che non reitera l'adozione della variante, ma si limita ad esaminare le osservazioni successivamente presentate, fornendo il parere del Comune sulle stesse, è un atto endoprocedimentale, il quale non ha contenuto lesivo (Cons. Stato, sez. IV, 08-08-2008 n. 3925), come invece da un canto il provvedimento comunale di adozione, e, dall'altro, quello regionale di approvazione (massima tratta da
http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. II, sentenza 17.06.2010 n. 2681 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Strumenti urbanistici - Osservazioni dei privati - Natura - Mero apporto collaborativo - Rigetto - Specifica motivazione - Necessità - Esclusione.
Le osservazioni dei privati sui progetti sono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (Cons. Stato, sez. IV, 07.07.2008, n. 3358; in senso conforme Tar Puglia, Bari, 22.10.2008, n. 2357; Tar Piemonte, sez. I, 29.09.2008, n. 2080; Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 30.07.2008, n. 9582).
Piano di recupero - Finalità - Interventi edilizi ammissibili - Recupero cd. pesante - Demolizione e ricostruzione.
Il piano di recupero è per sua natura finalizzato ad organizzare razionalmente ed esteticamente il patrimonio edilizio esistente, eliminando situazioni di degrado e di disarmonia: pertanto può tradursi in interventi edilizi diretti, di volta in volta, alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione o comunque ad una migliore utilizzazione di un preesistente immobile e può consistere in sole opere di manutenzione ordinaria e straordinaria o di restauro, in opere di ristrutturazione più o meno ampia, sino a giungere ad un recupero cosiddetto pesante, costituito dalla demolizione e ricostruzione di un edificio: ne consegue che dette opere di ristrutturazione possono legittimamente tradursi, ancorché entro certi limiti, in un organismo che per consistenza e caratteristiche tipologiche rechi persino connotazioni di novità rispetto all'edificio preesistente (Tar Toscana, I, 2831/2003).
Piano di recupero - Strumento urbanistico attuativo - Rapporto con il piano particolareggiato - Introduzione di vincoli nuovi rispetto a quelli esistenti nello strumento urbanistico generale - Eliminazione di vincoli esistenti - Possibilità - Esclusione.
Il piano di recupero è notoriamente, sotto il profilo giuridico, uno strumento urbanistico sostanzialmente attuativo delle scelte urbanistiche primarie contenute nel piano regolatore generale ed è quindi equivalente al piano particolareggiato, dal quale si differenzia in quanto finalizzato piuttosto che alla complessiva trasformazione del territorio al recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente con interventi rivolti alla conservazione, ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso,così che in sede di sua modifica non possono essere introdotti, logicamente oltre che giuridicamente, vincoli nuovi ed ulteriori rispetto a quelli esistenti nello strumento urbanistico generale in vigore, neppure quanto tale modifica trovi la sua giustificazione in una richiesta del privato; allo stesso modo, non possono essere eliminati vincoli esistenti (CdS, IV, 05.03.2008, n. 922).
Piano di recupero - Approvazione - Passaggi - L.R. Lombardia n. 23/1997 - Procedura semplificata - Applicabilità al piano di recupero - Limiti.
I passaggi di cui si compone l’approvazione di un piano di recupero sono tre:
1) individuazione delle zone dove per le condizioni di degrado esistente si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente;
2) individuazione degli immobili, situati all’interno delle zone di cui al punto 1, per i quali il rilascio della concessione è subordinato alla formazione di piano di recupero;
3) approvazione del piano di recupero che detta i parametri concreti dell’edificazione.
Non tutte queste tre operazioni possono essere realizzate con la procedura semplificata della l.r. Lombardia n. 23/1997.
L’art. 2, co. 2, lett. f), ammette infatti con tale procedura soltanto le “varianti finalizzate alla individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente, di cui all’ art. 27 l. 457/1978”, e cioè soltanto il primo dei tre passaggi logici di cui consta l’approvazione del piano di recupero (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.06.2010 n. 2329 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVIOgni soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la p.a. procedente opporre all'interessato esigenze di riservatezza.
La tutela dell'accesso prevale sulla tutela della riservatezza qualora il primo sia strumentale alla cura o alla difesa dei propri interessi giuridici, salvo che vengano in considerazione dati sensibili o sensibilissimi.
Il diritto alla riservatezza, pure costituzionalmente rilevante, non può dunque essere ricostruito in termini di "diritto all'anonimato" dell’autore di una dichiarazione rilevante nell'ambito di un procedimento destinato ad incidere sfavorevolmente nella sfera giuridica di altro soggetto.

Come più volte rilevato in giurisprudenza, “.. nell'ordinamento delineato dalla legge n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la p.a. procedente opporre all'interessato esigenze di riservatezza” (così TAR Lombardia Brescia, sez. I, 29.10.2008, n. 1469, nello stesso senso cfr., Cons. Stato Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007 n. 5569; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007, n. 1699).
Deve essere, infatti, rilevato che l’art. 22 della legge 241/1990 disciplina l’accesso come principio generale dell’attività amministrativa e che il successivo art. 24, al comma 7, stabilisce che "deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'art. 60 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale".
In sostanza nell’attuale sistema la tutela dell'accesso prevale sulla tutela della riservatezza qualora il primo sia strumentale alla cura o alla difesa dei propri interessi giuridici, salvo che vengano in considerazione dati sensibili o sensibilissimi (cfr. ex multis, Consiglio Stato, sez. VI, 23.10.2007, n. 5569).
La denuncia e l'esposto, del resto, non possono essere considerati un fatto circoscritto al solo autore, all'Amministrazione competente al suo esame e all'apertura dell'eventuale procedimento, ma riguardano direttamente anche i soggetti "denunciati", i quali ne risultano comunque incisi (così, TAR Lombardia, Brescia, 1469/2008, cit.).
In conclusione il diritto alla riservatezza, pure costituzionalmente rilevante, non può dunque essere ricostruito in termini di "diritto all'anonimato" dell’autore di una dichiarazione rilevante nell'ambito di un procedimento destinato ad incidere sfavorevolmente nella sfera giuridica di altro soggetto (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 16.06.2010 n. 14859 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Provvedimento vincolistico - Efficacia - Trascrizione nei registri immobiliari - Notificazione nei confronti di tutti i comproprietari - Necessità - Esclusione.
L’efficacia del provvedimento vincolistico di cui al d.lgs. n. 42/2004 non è subordinata alla notificazione dell’atto, bensì alla sua trascrizione nei registri immobiliari; in ogni caso, è sufficiente la notificazione dello stesso anche a uno solo dei comproprietari o possessori dell’immobile avendo detta dichiarazione d’interesse natura reale (v. Cons. Stato, sez. IV, 7/11/2002 n. 6067; TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 13/09/2006) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 16.06.2010 n. 5717 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: TAR Lombardia: gara per l'affidamento del PGT e rinnovazione delle procedure.
Con sentenza 16.06.2010 n. 1853 la Sez. I del TAR Lombardia, Milano, ha fissato alcuni importanti principi in tema di affidamento di incarichi per la redazione dei Piano di Governo del Territorio (PGT).
In primo luogo:
- l'onere di indicare in una procedura selettiva i criteri di valutazione dell’offerta dei partecipanti, con riferimento alle prestazioni che formano oggetto specifico della gara, costituisce applicazione di un inderogabile principio di trasparenza amministrativa oramai affermatosi con la L. n. 241/1990, la cui inosservanza vizia irrimediabilmente l’azione della p.a..
Di conseguenza, vanno annullati gli atti di gara se risulta inequivocabilmente che la Commissione giudicatrice non ha formulato criteri di massima per l’assegnazione dei punteggi.
In secondo luogo:
- in caso di annullamento in sede giurisdizionale dell'aggiudicazione in pubbliche competizioni, l'operare congiunto dei principi di segretezza delle offerte nei procedimenti di aggiudicazione e del principio di conservazione dell'atto amministrativo fa sì che la rinnovazione della gara conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione debba retroagire in modo diverso a seconda del criterio previsto per l'aggiudicazione; infatti, nel caso in cui l'aggiudicazione sia effettuata in base a criteri oggettivi e vincolati, è sufficiente rinnovare la fase di valutazione delle offerte mentre, nel caso, di aggiudicazione basata su apprezzamenti discrezionali, è necessario rinnovare l'intero procedimento di gara, a partire dalla stessa fase della presentazione delle offerte.
Ne consegue che la decisione del Comune di procedere all’annullamento in autotutela dell’intera procedura, all’esito dei profili di illegittimità evidenziati dal Tribunale nell’ordinanza cautelare, appare immune da vizi logici e correttamente motivata sia sotto il profilo sostanziale che in relazione all’interesse pubblico sotteso all’annullamento.
In terzo luogo:
- l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 ed il connesso obbligo procedimentale di comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza a carico dell'amministrazione non opera con riferimento ai procedimenti di riesame finalizzati al controllo di legittimità, da parte dell'amministrazione, del provvedimento di primo grado sospeso, come nel caso di specie, da un’ordinanza cautelare del giudice amministrativo.
In quarto luogo:
- l’avvenuta riedizione della selezione senza che i ricorrenti vi abbiano partecipato, esclude, vieppiù, che gli stessi possano vantare un diritto al risarcimento del danno anche per la sola perdita di chance.
Non sussiste, infatti, danno da perdita di chance risarcibile allorché l'amministrazione conservi, come nel caso di specie, anche dopo l'annullamento dell'atto illegittimo, significativi spazi di discrezionalità amministrativa circa il rinnovo della gara (link a http://studiospallino.blogspot.com).

APPALTI SERVIZI: Il divieto di cui al c. 9 dell'art. 23-bis del D.L. n. 112/2008, convertito con L. n. 133/2008 e ss.mm., non si applica alle società miste previste dal c. 2, lett. b), del medesimo articolo.
L'affidamento a società mista costituita con le modalità indicate dal c. 2, lett. b), dell'art. 23-bis del D.L. n. 112/2008, convertito con Legge n. 133/2008 e ss.mm., si appalesa, ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, del tutto equivalente a quello mediante pubblica gara, sicché risulterebbe irragionevole ed immotivata -anche alla luce dei principi dettati dall'Unione Europea in materia di partenariato pubblico privato (v. Comunicazione interpretativa della Commissione sull'applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI) 2008/C91/02 in G.U.C.E. del 12.04.2008- l'applicazione nei confronti di società della specie del divieto di partecipazione alla gare bandite per l'affidamento di servizi diversi da quelli in esecuzione.
Va dunque preferita l'interpretazione della disposizione -pure consentita dalla sua lettera- nel senso che il divieto in parola si applica solamente alle società che già gestiscono servizi pubblici locali a seguito di affidamento diretto o comunque a seguito di procedura non ad evidenza pubblica, con la precisazione che rientrano nel concetto di evidenza pubblica ("ovvero") anche le società previste dal c. 2, lett. b), dell'art. 23-bis, cit. (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 16.06.2010 n. 561 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'iscrizione nel casellario informatico, relativa al provvedimento di esclusione di un concorrente, per asserito collegamento sostanziale con altra impresa.
Sulla necessità di assicurare garanzie partecipative in ordine al procedimento di iscrizione presso il casellario informatico.

La notizia relativa all'esclusione di alcune imprese, in quanto legate da un collegamento sostanziale che rivela l'imputazione delle relative offerte ad un unico centro decisionale, merita di essere annotata e pubblicata, per mezzo della sua iscrizione, ex art. 27, d.P.R. n. 34/2000, nel casellario informatico in quanto idonea a segnalare una circostanza di estrema rilevanza per la corretta conduzione delle procedure di affidamento dei lavori pubblici. L'esclusione di due o più imprese per collegamento sostanziale è oggetto di interesse ai fini dell'inserimento di tali dati nel casellario informatico, ai sensi dell'art. 27, c. 2, lett. t), d.P.R. n. 34/2000, in quanto consente alle stazioni appaltanti di escludere, in via di autotutela, dalle proprie gare, le imprese oggetto di annotazione, qualora ricorrano oggettivi dubbi sulla serietà e indipendenza delle offerte, valutazione che, ovviamente, non può che essere effettuata a posteriori. La soluzione a cui è pervenuta in via esegetica la giurisprudenza amministrativa, in applicazione dell'art. 27, d.P.R. n. 34/2000, trova conferma nello schema di regolamento, che, nell'indicare i dati da iscrivere nel casellario informatico, sia per le imprese qualificate con il sistema SOA, sia per le altre imprese, menziona i <provvedimenti di esclusione dalle gare, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia>, senza alcuna distinzione di tipologia (art. 8, c. 2, lett. r, schema di regolamento).
In tema di garanzie partecipative quanto al procedimento di iscrizione nel casellario informatico, la giurisprudenza ha affermato che esse sono, in linea di principio, sempre dovute, salvo ad ammettere equipollenti quando la segnalazione da parte della stazione appaltante e la conseguente iscrizione sono un atto dovuto. Si è infatti affermato che dell'avvio del procedimento di iscrizione di dati nel casellario informatico presso l'Autorità di vigilanza deve essere notiziato l'interessato, anche quando la trasmissione di atti al casellario, da parte delle stazioni appaltanti, è dovuta in adempimento di disposizioni di legge, attese le conseguenze rilevanti che derivano da tale iscrizione e l'indubbio interesse del soggetto all'esattezza delle iscrizioni. Invero, né dalla l. n. 241/1990, né dal sistema della legislazione sui pubblici appalti, si desume una deroga al principio generale dell'avviso di avvio del procedimento, quanto allo specifico procedimento di iscrizione dei dati nel casellario informatico presso l'Osservatorio. Anzi, una conferma della necessità di garantire la partecipazione (mediante avviso di avvio del procedimento e mediante contraddittorio) nel procedimento di iscrizione di dati e notizie nel casellario informatico si desume proprio dalla determinazione n. 1/2008 dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, che ha istituito il casellario informatico per servizi e forniture (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.06.2010 n. 3754 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

URBANISTICA: Piani di lottizzazione - Varianti - Regione Piemonte - P.E.C. - Necessario coinvolgimento di tutti i proprietari interessati - Necessità dell’unanimità - Esclusione.
Le varianti ai piani di lottizzazione, a cui possono essere apparentati in Piemonte i P.E.C., richiedono “il necessario coinvolgimento di tutti i proprietari interessati al piano, che abbiano sottoscritto la convenzione” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.06.2008, n. 3255).
Il principio della partecipazione di tutti i privati interessati dal PEC “non implica affatto la necessità sempre e comunque dell’unanimità dei proprietari, essendo sufficiente il rispetto della partecipazione procedimentale e contemplando l’ordinamento gli strumenti per superare l‘eventuale dissenso di singoli interessati” (TAR Piemonte n. 4741/2009) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 15.06.2010 n. 2847 - link a www.ambientediritto.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - URBANISTICA: Adozione di piani urbanistici - Consiglieri comunali - Obbligo di astensione - Limiti ed estensione - Art. 78, c. 2 TUEL.
L’art. 78, comma 2 del TUEL dispone che “Gli amministratori di cui all'art. 77, comma 2, devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado”.
La norma prosegue escludendo dall’obbligo di astensione l’adozione dei piani urbanistici, stabilendo all’uopo che “L'obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado”.
Nella dizione “piani urbanistici” rientrino sicuramente i piani di lottizzazione e i piani esecutivi convenzionati, rispetto ai quali, dunque, ai fini di predicare l’obbligo di astensione dei consiglieri comunali occorre appurare l’emergenza di un nesso particolare, dato da una correlazione diretta e immediata tra il contenuto della delibera e specifici interessi dell’amministratore o di suoi parenti o affini fino al quarto grado (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 15.06.2010 n. 2847 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: ESCLUSIONE PER MANCANZA DEL REQUISITO DELLA REGOLARITA' FISCALE: QUANDO E' LEGITTIMA?
1. Giudizio amministrativo - Procedura - Ricorso - Inammissibilità - In caso di petitum generico - Insussistenza - Ragioni.
2. Appalto di lavori - Partecipazione e qualificazione - Interpretazione art. 75, co. 1, lett e), D.P.R. 21.12.1999 n. 554 - Conseguenze - Esclusione - Gara - Solo se le infrazioni sono accertate in modo definitivo - Ragioni.

1. Alla stregua dell'art. 6, co. 1, n. 3, R.D. 642/1907 (richiamato dall'art. 19 della L. TAR) che impone precisi oneri formali nella redazione del ricorso, e delle disposizioni di cui agli artt. 21-septies e nonies, L. n. 241/1990 che distinguono i vizi comportanti la "nullità" da quelli causa di "annullabilità", non può essere qualificato inammissibile il gravame redatto con un petitum ampio nel quale si chieda genericamente al giudice di accertare l'invalidità (quale categoria generale) dell'atto impugnato, disponendone contestualmente la rimozione dal mondo giuridico, senza specificare se l'effetto demolitivo della sentenza debba essere ricondotto alla sussistenza di cause di "nullità" o di "annullabilità" dell'atto stesso.
2. Le infrazioni agli obblighi derivanti dalle norme a disciplina dei rapporti di lavoro -come a quelli sulla sicurezza o in materia di imposte e tasse- possono giustificare l'esclusione da una gara d'appalto sole se accertate in modo "definitivo", tale dovendosi intendersi l'espressione "debitamente accertate" di cui all'art. 75, co. 1, lett. e), D.P.R. 21.12.1999 n. 554, dovendosi altrimenti dubitare della conformità della disposizione in esame ai principi di cui agli art. 3 e 97, Cost., sia perché inspiegabilmente diversa dall'ipotesi, sostanzialmente identica, di cui alla successiva lett. d), sia per violazione del principio di legalità ed imparzialità dell'azione amministrativa, dal momento che sarebbero sottoposti a "preventiva" esclusione comportamenti che ben possono, poi, risultare non solo affatto illeciti, ma anche "indebitamente" accertati (TAR Marche Ancona n. 292/2005; TAR Campania Salerno n. 2176/2008; TAR Lazio Roma n. 7842/2008) (massima tratta da
http://mondolegale.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 11.06.2010 n. 2285 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in lotto intercluso. Spetta in ogni caso al Comune una valutazione discrezionale per accertare la necessità della pianificazione urbanistica di dettaglio.
Il Consiglio di Stato ha fornito il proprio orientamento sui requisiti per il rilascio del permesso di costruire per un «lotto intercluso», senza l’approvazione dello strumento urbanistico attuativo previsto dalle NTA del PRG.
Ai sensi dell’art. 9 del D.P.R. 380/2001 costituisce regola generale ed imperativa, in materia di governo del territorio, il rispetto delle previsioni del PRG che impongano, per una determinata zona, la pianificazione di dettaglio. Tali prescrizioni, di solito contenute nelle NTA, sono vincolanti e idonee ad inibire l’intervento diretto costruttivo.
A fronte di tale principio fondamentale e dei suoi corollari, la prassi giurisprudenziale ha coniato una deroga eccezionale, dagli incerti confini, in presenza di una peculiare situazione di fatto che ha preso il nome di «lotto intercluso». Tale fattispecie si realizza, secondo una preferibile rigorosa impostazione, allorquando l’area edificabile di proprietà del richiedente:
• sia l’unica a non essere stata ancora edificata;
• si trovi in una zona integralmente interessata da costruzioni;
• sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione (primarie e secondarie), previste dagli strumenti urbanistici;
• sia valorizzata da un progetto edilizio del tutto conforme al PRG.
In sintesi si consente l’intervento costruttivo diretto purché si accerti la sussistenza di una situazione di fatto perfettamente corrispondente a quella derivante dall’attuazione del piano esecutivo, allo scopo di evitare defatiganti attese per il privato ed inutili dispendi di attività procedimentale per l’ente pubblico.
Stante la natura eccezionale della regola sopra illustrata la Corte ha chiarito che ai fini del rilascio di un permesso di costruire per un «lotto intercluso», senza l’approvazione dello strumento urbanistico attuativo previsto dalle NTA del PRG, occorre in ogni caso:
• una valutazione circa la congruità del grado di urbanizzazione della zona, rimessa alla valutazione discrezionale ed esclusiva del Comune;
• una completa istruttoria volta ad accertare che la pianificazione esecutiva non conservi una qualche utile funzione, anche in relazione a situazioni di degrado che possano recuperare margini di efficienza abitativa, riordino e completamento razionale, ovvero non sia in grado di esprimere scelte programmatorie distinte rispetto a quelle contenute nel PRG. (commento tratto da www.legislazionetecnica.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.06.2010 n. 3699 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: LE IMPRESE PARTECIPANTI A UNA GARA DEVONO SAPERE PRIMA COME SARA' VALUTATA LA LORO OFFERTA?
Appalto pubblico (in generale) - Criteri e principi - Necessaria predeterminazione dei criteri selettivi ex art. 30, co. 3, D.Lgs. n. 163/2006 - Interpretazione - Relativi sia alla qualificazione dell'offerente che alla valutazione della relativa offerta - Ragioni.
L'articolo 30, co. 3, del D.Lgs. n. 163/2006, che ribadisce la necessaria predeterminazione dei criteri selettivi, va inteso nel senso che essi sono non solo quelli relativi alla qualificazione dell'offerente, ma anche alla valutazione della relativa offerta, trattandosi pur sempre di attività selettiva.
In ordine ai poteri di cui dispone, al riguardo, la commissione aggiudicatrice, occorre evidenziare che il diritto comunitario non osta a che una commissione aggiudicatrice attribuisca un peso relativo ai sub elementi di un criterio di aggiudicazione, purché tale criterio sia stato stabilito precedentemente, effettuando una ripartizione tra questi ultimi del numero di punti già previsti per il detto criterio dall'amministrazione aggiudicatrice al momento della redazione del capitolato d'oneri o del bando di gara (Cfr. C.G.E., sez. II, 24-11-2005 in C-331/04; C.G.E., sez. I, 06-04-2006 n. 410; vedi anche TAR Lombardia Brescia, sez. I, 18-10-2007 n. 908) (nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto che, mancando ogni predeterminazione (in sede di bando) dei punteggi relativi ai criteri di valutazione, è evidente la violazione del principio di trasparenza, contenendo, l'atto della Commissione, elementi che, se fossero stati noti al momento della preparazione delle offerte, avrebbero sicuramente influenzato dette offerte) (massima tratta da
http://mondolegale.it - TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 10.06.2010 n. 2751 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: ASSESSORE ILLEGITTIMAMENTE REVOCATO: SE LA REINTEGRA NON E' PIU' POSSIBILE, CI SI ACCONTENTA DEL RISARCIMENTO MORALE!
1. Comune e provincia - Organi - Assessori - Revoca dell'incarico - Interesse all'impugnazione - Permane anche se la reintegra non e' più possibile.
2. Comune e provincia - Organi - Assessori - Atti di nomina e revoca - Non rientrano nella categoria degli atti politici.
3. Comune e provincia - Organi - Giunta Comunale - Funzioni - Atti del sindaco - Natura - Sindacabilita' - Limiti - Ragioni.

1. L'interesse al ricorso proposto dall'assessore revocato permane anche quando la reintegra nella carica non e' più' possibile, ad esempio perché la coalizione che allora governava e' passata all'opposizione, e ciò sotto una duplice prospettiva.
In primo luogo, non vi e' dubbio che l'assessore revocato potrebbe agire per ottenere gli arretrati delle indennità pertinenti alla carica illegittimamente revocata. In secondo luogo, non e' da escludere l'attualità dell'interesse morale volto ad ottenere una pronuncia che, qualora fosse riconosciuta l'illegittimità del comportamento del Sindaco, renderebbe giustizia del discredito subito all'epoca dei fatti a causa della circostanza di essere stato revocato, specie se tale interesse morale e' evincibile da quanto argomentato nel ricorso.
2. Gli atti di nomina e di revoca degli assessori comunali non possono farsi rientrare nella nozione degli atti politici per i quali l'articolo 31, Regio Decreto n. 1054/1924 -a norma del quale il ricorso giurisdizionale non e' ammesso se trattasi di atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico- non consente l'impugnazione giurisdizionale (cfr. Cons. Stato, sez. V, dec. n. 209/2007) atteso che non possono essere definiti come espressione della libertà politica commessa dalla Costituzione ai supremi organi decisionali dello Stato per la soddisfazione di esigenze unitarie ed indivisibili a questo inerenti (cfr. Cons. Stato cit.).
Ed invero non si tratta di atti liberi nei fini, caratteristica propria degli atti politici bensì di veri e propri atti amministrativi, pur espressione di ampia discrezionalità, i quali sono funzionalizzati ai fini previsti dalla legge.
3. In base all'art. 48, Decreto Legislativo n. 267/2000, la Giunta comunale presieduta dal Sindaco ha una competenza di carattere residuale, rientrando nella sua sfera di attribuzioni tutti gli atti che non siano riservati dalla legge al Consiglio comunale o che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del Sindaco o di altri organi di decentramento e che essa quindi, non risulta abilitata alla direzione al massimo livello dell'amministrazione comunale, spettando alla competenza del Consiglio comunale le funzioni di indirizzo e di controllo politico-amministrativo nonché il compimento degli atti fondamentali concernenti l'amministrazione ed in generale, la vita dell'Ente locale (cfr.Cons. Stato, sez. IV, n. 6358/2007; Cons. Stato, sez. V, n. 7058/2005).
Ne discende che gli atti posti in essere dal Sindaco, tra cui gli atti di nomina e di revoca degli assessori comunali, non possono essere considerati liberi nei fini e per ci0' solo, sottratti al sindacato giurisdizionale di legittimità in quanto mantengono la natura di atti amministrativi pur essendo denotati da ampia discrezionalità, non diversamente dai cosiddetti atti di alta amministrazione.
Essi sono quindi sottoponibili al sindacato giurisdizionale in ossequio alla norma generale di cui all'art. 113, Costituzione, quantomeno entro gli stretti ambiti di un giudizio di non manifesta irragionevolezza o arbitrarietà (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 3646/2009; TAR Campania Napoli, sez. I, n. 2890/2009) (massima tratta da
http://mondolegale.it - TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 10.06.2010 n. 2741 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: OFFERTA TECNICA: ESCLUSIONE PER CARENZE DOCUMENTALI?
1. Verifica della documentazione amministrativa e verifica della documentazione tecnica: differenze e conseguenze.
2. Appalto di servizi - Documentazione - Sommaria verifica sulla presenza o meno della documentazione tecnica - Rende illegittimo il provvedimento di esclusione.

1. La commissione di gara ha indubbiamente la facoltà di escludere da una licitazione privata una società per aver ritenuto che l'offerta tecnica presentata dalla medesima fosse mancante della documentazione che specifichi il sistema organizzativo di erogazione del servizio per tutte le tipologie di aree e gli indici di rischio, quando sia concretamente riscontrabile una carenza essenziale del contenuto o delle modalità di presentazione dell'offerta tecnica.
L'esclusione tuttavia presuppone necessariamente un'approfondita e diffusa valutazione dell'offerta, nella sua globalità, al fine di accertare l'effettiva insussistenza di quei requisiti minimi di valutabilità, che non la rendono meritevole di partecipare al procedimento concorsuale atteso che la decisione, rimessa alla discrezionalità tecnica della commissione, richiede un accertamento diverso e ben più approfondito di quello che di norma, è necessario per verificare il possesso o meno in capo ai candidati che hanno presentato offerta dei requisiti soggettivi di partecipazione.
Le operazioni di verifica della documentazione amministrativa si sostanziano infatti, in mero accertamento di carattere vincolato. Al contrario, quelle di verifica della documentazione tecnica, al fine di riscontrarne la completezza del contenuto e di conseguenza la sua rispondenza ai requisiti della lex specialis, implicano valutazioni che pur non essendo ancora mirate ad apprezzarne la qualità, si sostanziano tuttavia in operazioni tecniche preordinate a collocare il progetto proposto al di sopra o al di sotto di una soglia minima di idoneità tecnica.
Tali valutazioni sono quindi connotate dal requisito della opinabilità e censurabili in sede giurisdizionale per irragionevolezza, illogicità, incongruità ed erroneità dei presupposti di fatto.
2. In sede di gara per l'aggiudicazione di un appalto di servizi, la decisione di escludere un'impresa per carenza essenziale del contenuto dell'offerta non può essere sbrigativamente emessa all'esito di una sommaria e superficiale verifica della presenza o meno nella busta contente la documentazione tecnica, della relazione tecnica sul sistema organizzativo di erogazione del servizio.
Il provvedimento di esclusione implica invece l'integrale lettura di tutta la documentazione ivi contenuta, viepiù quando le modalità della sua composizione non sono tassativamente stabilite a pena d'esclusione, ma unicamente indicate onde facilitarne l'esame e la valutazione da parte della commissione (massima tratta da
http://mondolegale.it - TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 10.06.2010 n. 2740 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Regolarità contributiva - Esclusione dalla procedura - Termine entro cui va dimostrato il possesso dei requisiti prescritti - Individuazione - Scadenza del termine di presentazione delle domande.
E’ legittimo il provvedimento di esclusione dalla procedura, quando risulta, attraverso la verifica delle attestazioni rese in sede di gara che -contrariamente a quanto dichiarato- alla scadenza del termine previsto dal bando per la presentazione delle offerte la ricorrente non possedeva il prescritto requisito della regolarità contributiva.
Secondo la normativa nazionale vigente, il termine ultimo entro il quale le ditte invitate a partecipare alla gara hanno l’obbligo di dimostrare il possesso dei requisiti prescritti (tra cui quello della regolarità contributiva), va fatto coincidere con la scadenza del termine di presentazione delle domande (cfr. TAR Lazio Roma, sez. III-quater - 14/08/2008 n. 7842; si veda anche TAR Sardegna, Sez. I - 13/03/2008 n. 458).
Regolarità contributiva - Violazioni - Esclusione automatica - Inconfigurabilità - Canone teleologico - Principio di concorrenza.
In presenza di violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse secondo la legislazione italiana, non è integrata una fattispecie di esclusione automatica dell’impresa concorrente che le ha commesse, a prescindere dalla loro valutazione in concreto.
La posizione tributaria deve essere valutata alla stregua della del canone teleologico, che esclude che, in presenza di violazioni di scarso rilievo, sia inciso il generalissimo principio di concorrenza, quale principio fondante dell’ordinamento comunitario; soltanto l’esistenza, quindi, di una globale situazione, quale risultato finale dell’apprezzamento da compiersi con l’applicazione del principio di proporzionalità, integra quella situazione di obiettiva inaffidabilità dell’impresa, la cui determinazione anche in sede giurisdizionale è imposta dall’art. 2 comma 1 del D. Lgs. 163/2006 sia per gli appalti “sopra” che “sotto” soglia comunitaria (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.06.2010 n. 2305 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Documentazione prodotta - Integrazione ammissibile - Limiti.
L’integrazione ammissibile in sede di gara su richiesta della stazione appaltante -allo scopo di far prevalere la sostanza sulla forma- si rivela finalizzata unicamente ad ottenere precisazioni in ordine alla documentazione prodotta, in vista della sanatoria di eventuali irregolarità formali; una tale facoltà non può estendersi al caso in cui l’incompletezza o la non conformità alle prescrizioni di gara riguardi l’offerta tecnica ed economica, perché altrimenti verrebbe ad essere violato il principio della par condicio dei concorrenti mediante la modificazione postuma dell’offerta, con conseguente inammissibile incidenza sulla sostanza e non più solo sulla forma (TAR Emilia Romagna Parma, sez. I - 06/02/2008 n. 90; Consiglio di Stato, sez. V - 11/12/2007 n. 6403) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.06.2010 n. 2305 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIl mutamento della destinazione del fabbricato da residenziale a terziario, realizzato senza opere edilizie, non è soggetto a concessione edilizia ma resta pur sempre subordinato al pagamento dei maggiori oneri di urbanizzazione.
In ipotesi di variazione di destinazione d'uso di un immobile non accompagnata dalla realizzazione di opere, non sussiste il presupposto per il pagamento della parte di contributo afferente al costo di costruzione, da riferire al dato oggettivo della realizzazione dell'edificio
(ndr: fattispecie ante L.R. n. 12/2005).
Questo Tribunale (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 17.02.1999 n. 611) ha escluso che sia soggetto al rilascio della concessione in sanatoria il cambio di destinazione d’uso in assenza di opere edilizie (c.d. cambio di destinazione d’uso funzionale).
E’ infatti noto che, secondo giurisprudenza consolidata, il mutamento di destinazione d’uso degli immobili non accompagnato da lavori edili costituisce espressione dello ius utendi e non dello ius aedificandi ed è pertanto escluso dall’ambito delle attività soggette a concessione edilizia (cfr., ex pluribus, CdS V 18/01/1988 n. 8; id., IV 23/11/1985 n. 551; id., 01/10/1993 n. 818; TAR Lombardia I n. 1782/1996, II nn. 66/88, 596/1993, 439/1995, 664/96, 127/1997, 1184/1998, III n. 441/1993).
La fattispecie non si presta quindi ad essere disciplinata dall’art. 13 della l. n. 47/1985, così come ha disposto il Comune.
Il mutamento della destinazione del fabbricato da residenziale a terziario, realizzato senza opere edilizie, non è quindi soggetto a concessione, ma resta pur sempre subordinato al pagamento dei maggiori oneri contributivi.
Infatti non esiste un collegamento necessario tra il rilascio di un titolo concessorio in sanatoria ed il pagamento degli oneri di urbanizzazione. La giurisprudenza (TAR Lombardia, Brescia, 10.03.2005, n. 145) ha chiarito che il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nell'atto amministrativo in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità (cfr. TAR Veneto, sez. II – 13/11/2001 n. 3699).
Pertanto, anche nel caso della modificazione della destinazione d'uso cui si correla un maggior carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa: il mutamento è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso senza opere non sono soggette a preventiva concessione o autorizzazione sindacale non comporta ipso jure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione (cfr., in tal senso, TAR Lombardia, Brescia 23/01/1998 n. 34).
Analogamente l’art. 5 c. 2 della L.R. 60/1977 stabilisce che le modificazioni delle destinazioni d'uso comportano, per quanto attiene all'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, un contributo commisurato sia alla eventuale maggior somma determinata in relazione alla nuova destinazione rispetto a quella che sarebbe dovuta per la destinazione precedente.
Tuttavia, a differenza di quanto effettuato dal Comune, non può applicarsi la quantificazione degli oneri prevista dall’art. 13 della L. 47/1985, che prevede il raddoppio degli oneri di urbanizzazione, in quanto il pagamento di tale contributo prescinde dal rilascio del titolo abilitativo in sanatoria.
Ne consegue che il provvedimento comunale deve essere annullato con riferimento alle somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione in quanto l’amministrazione ha provveduto alla quantificazione secondo disposizioni non applicabili al caso di specie e dovrà provvedere ad una nuova determinazione conformandosi a quanto previsto dall’art. 5, c. 2, della L.R. 60/1977.
Deve inoltre accogliersi il motivo di ricorso nella parte in cui contesta il pagamento del contributo di costruzione.
Questa sezione ha infatti stabilito che in ipotesi di variazione di destinazione d'uso di un immobile non accompagnata dalla realizzazione di opere, “non sussiste il presupposto per il pagamento della parte di contributo afferente al costo di costruzione, da riferire al dato oggettivo della realizzazione dell'edificio” (TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 04.05.2009 n. 3604; TAR Lazio Roma, sez. II, 17.05.2005, n. 3844).
Infatti, il contributo relativo al costo di costruzione (art. 6 L. 28.01.1977 n. 10) è riconducibile all'attività costruttiva ex se considerata e, correlandosi direttamente all'uso edificatorio del suolo e ai potenziali vantaggi economici che ne discendono, è sostanzialmente configurabile alla stregua dei prelievi di natura paratributaria ed è dovuto solo in presenza di una trasformazione edilizia del territorio e in conseguenza della produzione di ricchezza connessa alla sua utilizzazione.
Avendo nel caso in questione la ricorrente provveduto, verosimilmente, al pagamento del costo di costruzione al momento del rilascio della concessione con destinazione residenziale si deve escludere la debenza di questa voce contribuitiva per il cambiamento di destinazione d’uso senza opere (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 10.06.2010 n. 1787 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Mancata individuazione del responsabile - Adozione delle misure necessarie alla decontaminazione del sito - Legittimità - Piano di caratterizzazione - Obiettivi.
La circostanza che la pubblica amministrazione non sia riuscita a determinare l’effettiva responsabilità dell’inquinamento non può valere ad impedire e rendere illegittima l’adozione delle misure necessarie per procedere alla decontaminazione del sito, impregiudicata la questione relativa al definitivo accollo delle relative spese.
Tra l’altro, tra gli obiettivi del piano di caratterizzazione vi è anche l’accurata definizione della situazione di inquinamento, da cui è possibile trarre dati che consentano di determinarne le cause precise e quindi di individuare il soggetto al quale va addossata la relativa responsabilità.
INQUINAMENTO - Piano di caratterizzazione - Valutazioni in ordine all’idoneità - Discrezionalità tecnica - Sindacato giurisdizionale - Limiti.
Qualsiasi valutazione in ordine alla idoneità del piano di caratterizzazione approvato e del suo crono programma impinge nel merito di valutazioni tecnico-discrezionali rimesse ai competenti organi tecnici dell’amministrazione e sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità se non per macroscopica irragionevolezza.
INQUINAMENTO - Situazione di inquinamento storico - Art. 242 d.lgs. n. 152/2006 - Procedure - Comune territorialmente competente - Realizzazione d’ufficio - Art. 250 d.lgs. n. 152/2006.
Rilevata una situazione di inquinamento storico, come previsto dall’art. 242 c.1. del d.lgs. 152/2006, devono necessariamente essere effettuati gli adempimenti che la stessa norma elenca per porre rimedio alla rilevata contaminazione del sito; pertanto, in caso in cui i responsabili della situazione di inquinamento non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all'articolo 242 devono essere realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente, come previsto dall’art. 250 dello stesso d.lgs..
INQUINAMENTO - Proprietario dell’area - Messa in sicurezza - Affermata disponibilità a realizzare gli interventi - Insufficienza - Iter procedimentale ex art. 242 d.lgs. n. 152/2006 - Attivazione d’ufficio.
L’affermata “disponibilità” del proprietario dell’area inquinata a mettere in sicurezza l’area, non risponde, neanche come sequenza procedimentale, agli adempimenti richiesti dall’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006 (che prevedono, nell’ordine: caratterizzazione del sito, analisi di rischio e infine la definizione definitiva del progetto operativo di intervento, salva, la necessità di adottare misure di messa in sicurezza del sito inquinato) e non può pertanto bastare ad evitare la necessità di un’attivazione d’ufficio del Comune.
INQUINAMENTO - Apporto collaborativo del privato - Confronto tecnico - Principio del giusto procedimento.
Il principio del giusto procedimento non esclude la facoltà dell’amministrazione di limitare l’apporto collaborativo del privato ad un confronto sul piano tecnico nel momento in cui deve avvenire l’acquisizione di tutti gli elementi, riservandosi, invece, il momento valutativo ai fini della decisione (TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 10.06.2010 n. 387 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Annullamento dell'autorizzazione paesaggistica. Il Consiglio di Stato tratteggia i limiti del potere di controllo in sede statale.
Sul potere di annullamento del nulla osta paesaggistico da parte della Soprintendenza statale il Consiglio di Stato ha chiarito che esso non comporta un riesame complessivo delle valutazioni discrezionali compiute dalla Regione e da un ente sub-delegato, tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una propria valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione, ma si estrinseca in un controllo di mera legittimità che si estende a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.
Si è espresso in tal senso il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 08.06.2010 n. 3643.
Ne consegue che laddove in sede di controllo statale sul nulla-osta paesaggistico rilasciato in sede regionale, la Soprintendenza ravvisi una carenza motivazionale o istruttoria nell’atto oggetto del suo scrutinio, (costituente vizio di legittimità), essa è chiamata ad evidenziare tali vizi con motivazione che deve necessariamente riportare, per risultare a sua volta immune da vizi di legittimità, ad una valutazione della non compatibilità dell’intervento edilizio programmato rispetto ai valori paesaggistici compendiati nel vincolo.
Ne consegue altresì che qualora a supporto dell'autorizzazione paesaggistica risulti un'istruttoria adeguata che nella relativa motivazione è puntualmente richiamata, risulta illegittimo l’annullamento in sede statale disposto per asserito difetto di motivazione del nulla osta (commento tratto da www.legislazionetecnica.it).

APPALTI: Eventuali comunanze a livello strutturale sono di per sé insufficienti a determinare la riconducibilità delle offerte ad un unico centro decisionale, essendo necessario verificare se tale comunanza abbia avuto un impatto concreto sul rispettivo comportamento nell'ambito della gara.
Eventuali comunanze a livello strutturale sono di per sé insufficienti a determinare la riconducibilità delle offerte ad un unico centro decisionale, essendo necessario verificare se tale comunanza abbia avuto un impatto concreto sul rispettivo comportamento nell’ambito della gara.
Pertanto, difettano gli elementi univoci per ritenere sussistente un rapporto di collegamento sostanziale tra le due società, e in particolare per ritenere che le offerte fossero espressione di un unico centro decisionale, cosa che può essere accertata mediante un attento esame del contenuto delle offerte (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 08.06.2010 n. 3637 - link a
www.mediagraphic.it).

APPALTI: Regolarità contributiva - Bando di gara - Mancata previsione dell’obbligo, per l’impresa aggiudicataria, di presentare il DURC - Norma imperativa inderogabile - Integrazione - Art. 2, D.L. 25.09.2002.
A causa della inderogabilità e imperatività della disciplina in materia di regolarità contributiva, nel caso in cui un bando di gara di appalto pubblico non preveda l’obbligo per l’impresa che risulti aggiudicataria di presentare alla stazione appaltante la certificazione relativa alla regolarità contributiva, il medesimo bando deve intendersi integrato dalla prescrizione di tale obbligo di cui all’articolo 2 del D.L. 25.09.2002 (cfr. Consiglio di Stato, IV, 12.03.2009 n. 1458).
Regolarità contributiva - Partecipazione alla gara - Stipulazione del contratto - Art. 38, c. 1, d.lgs. n. 163/2006.
A norma dell’articolo 38, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 163/2006 il requisito della regolarità contributiva è requisito indispensabile non solo per la stipulazione del contratto, bensì per la stessa partecipazione alla gara: è conseguentemente necessario che l'impresa sia in regola con i relativi obblighi fin dalla presentazione della domanda e che conservi tale regolarità per tutto lo svolgimento della procedura, essendo tale requisito indice rivelatore della correttezza dell'impresa nei rapporti con le proprie maestranze.
Regolarità contributiva - Dichiarazione in sede di richiesta di partecipazione - Produzione del DURC all’atto dell’aggiudicazione - Mancata allegazione del DURC all’offerta - Esclusione - Illegittimità.
A fronte della dichiarazione di essere in regola con i relativi adempimenti in materia di contributi resa dai concorrenti in sede di richiesta di partecipazione alla gara e in presenza dell’impegno a produrre il DURC all’atto dell’aggiudicazione, la mancata allegazione del DURC all’offerta non può costituire legittima causa di esclusione (cfr. Consiglio di Stato, VI, 04.08.2009 n. 4906) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 07.06.2010 n. 5425 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Il nomen juris del provvedimento non vincola il giudice. L'ordinanza contingibile e urgente non può essere usata per tutelare il riposo di un singolo cittadino.
Secondo il TAR Toscana, Sez. I, sentenza 07.06.2010 n. 1704, l’ordinanza contingibile ed urgente spiccata dal sindaco di un comune nell’intento di “salvaguardare la quiete e la privacy in un contesto architettonico specifico”, è viziata da “sviamento di potere” qualora non sia immediatamente evidenti il pericolo generale che si intende fronteggiare.
Nel caso di specie, il Sindaco di un comune, esercitando i poteri di cui all’articolo 50, comma 7, del d.Lgs. n. 267 del 2000, in materia di regolamentazione degli orari dei pubblici esercizi, aveva ingiunto ad un esercente l’attività di somministrazione al pubblico una limitazione negli orari di utilizzo dell’area pertinenziale esterna all’esercizio medesimo, sul presupposto che “i confinanti hanno più volte lamentato numerosi inconvenienti derivanti dalla gestione dell’attività, con particolare riferimento alla rumorosità indotta dall’attività di somministrazione esercitata sulla terrazza […]”.
Il Giudice Amministrativo, dopo avere richiamato il principio in forza del quale, al fine di determinare la natura del potere esercitato dall’Amministrazione, non è sufficiente il mero riferimento al nomen juris dell’atto e neppure quello alle norme di cui si asserisce avere fatto applicazione, dovendosi, al contrario, operare una “ricostruzione ermeneutica che si basi, oltre che sulla parte dispositiva dell’atto, sulla motivazione e sul procedimento che ne costituisce il presupposto”, riconduce il provvedimento oggetto di sindacato nell’alveo dei poteri che scaturiscono dall’articolo 54, comma 6, del d.Lgs. n. 267 del 2000, ai sensi del quale “in casi di emergenza, connessi con il traffico o con l’inquinamento atmosferico o acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si verifichino particolari necessità dell’utenza o per motivi di sicurezza urbana, il sindaco può modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d’intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici localizzati nel territorio, adottando i provvedimenti di cui al comma 4”.
Prosegue, poi, il Tar evidenziando che, dalla lettura della norma, “il provvedimento contingibile e urgente ha per suo presupposto il pericolo di grave danno che minacci il pubblico interesse a causa di una situazione di carattere eccezionale alla quale non si può far fronte con i normali mezzi predisposti dall’ordinamento giuridico, ovvero situazioni di emergenza, non altrimenti fronteggiabili connesse con il traffico o con l’inquinamento atmosferico o acustico, ovvero per altri motivi riconducibili alla sicurezza urbana”, pericolo che, in ogni caso, deve minacciare “un interesse di natura generale, in qualche modo diffuso, o che comunque trascende la posizione del singolo nominativamente individuato cittadino”.
Il Giudice, quindi, pronuncia l’annullamento dell’ordinanza sindacale sul presupposto che, “attesa la natura privata dell’area e degli interessi in questione non potrebbe essere più evidente lo sviamento del potere esercitato”, sottolineando come l’ordinamento offra, peraltro, nella fattispecie in esame, “la tutela privatistica del codice civile in tema di immissioni” (link a http://venetoius.myblog.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: No all'affidamento diretto della consulenza legale.
È illegittimo l'affidamento diretto e senza gara, in favore di un avvocato, di un incarico professionale di consulenza legale, a supporto dello svolgimento delle ordinarie attività amministrative dell'ente.
Lo ha sancito il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 28.05.2010 n. 3405.
Nel caso in esame un Consorzio di bonifica toscano aveva deciso di affidare direttamente ad un avvocato l'incarico di consulenza legale per la durata di un anno, in considerazione della sua comprovata professionalità e della specifica competenza amministrativa già sperimentata nel corso di una collaborazione da lui prestata nell'anno precedente.
Un altro professionista, però, consultando il sito internet del Consorzio e riscontrando l'avvenuta assegnazione diretta del sopra citato incarico di consulenza di tipo normativo-legale, aveva deciso di impugnare la determina di affidamento, chiedendone l'annullamento, al fine di tutelare il proprio interesse allo svolgimento di una procedura selettiva pubblica alla quale avrebbe potuto partecipare, in quanto cultore di diritto amministrativo e specialista nel settore degli appalti e dei contratti pubblici.
Il Tar aveva dichiarato inammissibile il ricorso. Il ricorrente, in appello, aveva perseverato nel segnalare l'illegittimità della decisione assunta dal Consorzio violando non solo le proprie norme regolamentari in materia di affidamento di incarichi professionali, ma anche i principi più volte affermati dai giudici amministrativi e contabili secondo cui l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla p.a. non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata.
Il Consiglio di stato accoglie il ricorso. Il collegio, infatti, accertato che la comparazione pubblica è prevista dalle stesse norme del Regolamento del Consorzio, in armonia con le norme di legge vigenti in materia, ritiene che questa debba essere considerata la regola da applicare in via generale. E sebbene all'art. 6 del Regolamento consortile, in materia di incarichi di particolare rilevanza, sia stata prevista la possibilità dell'affidamento diretto di un incarico fiduciario derogando al normale criterio fissato dal Regolamento, nel caso in esame la norma risulta palesemente violata.
Nella stessa delibera impugnata, infatti, viene precisato testualmente che l'incarico in questione doveva essere conferito 'non già per la cura di una speciale e particolarmente rilevante esigenza dell'Ente, ma al solo fine di supportare lo svolgimento delle ordinarie attività amministrative dell'Ente stesso.
Dovendosi, dunque, far fronte alle «ordinarie» attività amministrative del Consorzio, è evidente che l'amministrazione non poteva, in questo caso, avvalersi della predetta disposizione di carattere eccezionale ed evitare di affidare lo stesso incarico a mezzo di una pubblica selezione (articolo ItaliaOggi del 24.06.2010, pag. 44).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Ordinanza di rimozione - Competenza - Individuazione - Art. 14 d.lgs. n. 22/1997 - Art. 107, c. 5, d.lgs. n. 267/2000 - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006.
La competenza sindacale, pur formalmente riconosciuta dall’art. 14, comma 4 del d. lgs. 05.02.1997, n. 22, è stata successivamente traslata in capo al dirigente del settore competente in forza della generale previsione di cui all’art. 107, comma 5, del d.lgs. 267 del 2000 che ha disciplinato il riparto di competenze fra organi di indirizzo politico e organi burocratici.
L’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, norma speciale sopravvenuta rispetto al menzionato art. 107, ha quindi attribuito in favore del sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2.
RIFIUTI - Abbandono - Ordine di rimozione - Proprietario del fondo - Corresponsabilità a titolo di dolo o colpa - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006.
L’ordine di rimozione dei rifiuti presenti sul fondo può essere rivolto al proprietario solo quando ne sia dimostrata almeno la corresponsabilità con gli autori dell’illecito, per avere cioè posto in essere un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso o colposo, dovendosi escludere che la norma configuri un’ipotesi legale di responsabilità oggettiva; ne discende la illegittimità degli ordini di smaltimento dei rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in ragione della sua mera qualità ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell’amministrazione procedente, sulla base di un’istruttoria completa e di un’esauriente motivazione, dell’imputabilità soggettiva della condotta (Cons. Stato, V, 25.01.2005, n. 136).
Tale orientamento va confermato anche con riferimento al disposto di cui all’art. 192 del d. lgs. 152/2006 (cfr. Cons. Stato, V, 25.08.2008, n. 4061 e Cons. Stato, V, 19.03.2009, n. 1612).
RIFIUTI - Abbandono - Obbligo di pulizia delle strade - Ente proprietario o gestore - Art. 14 codice della strada - Attribuzione del potere di ordinanza al Sindaco - Esclusione - Ragioni.
L’art. 14 del codice della strada non può essere invocato per superare il criterio della imputabilità solidale a titolo di dolo o colpa del proprietario dell’area con l’autore dell’abbandono dei rifiuti.
Il fatto che la norma in questione imponga uno speciale obbligo di pulizia delle strade in capo all’ente proprietario o gestore della strada, non può comportare infatti la simmetrica attribuzione di un potere autoritativo in capo ad un ente terzo (il Comune) al fine di imporne coercitivamente il rispetto, nell’ambito peraltro di un settore che esula dalle competenze istituzionali dell’ente medesimo; a ciò osta il principio di legalità e quello connesso di tipicità di tutti i poteri amministrativi: nessuna norma di legge nel settore specifico della viabilità, attribuisce infatti ai comuni il potere di assicurare la pulizia delle strade imponendo autoritativamente obblighi di facere al gestore, al fine di garantire “la sicurezza e la fluidità della circolazione”; né un tal potere può desumersi implicitamente dalla natura del Comune quale ente locale a fini generali atteso che tra gli interessi pubblici affidati alla cura dei comuni non v’è anche quello di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione delle strade statali.
RIFIUTI - Ordine di rimozione - Obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006.
L’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento è ora espressamente riconosciuto dall’art. 192 del d. lgs. 152/2006 (cfr. Cons. Stato, V, 25.08.2008, n. 4061) (TAR Molise, sentenza 28.05.2010 n. 227 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordine di demolizione opera abusiva e sopralluogo effettuato a posteriori.
E' illegittimo, per carenza di motivazione, l'ordine di demolizione di un’opera abusiva adottato sulla base di un sopralluogo effettuato in epoca successiva all'emissione del provvedimento stesso ed in totale assenza di contraddittorio (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.05.2010 n. 3377 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl potere amministrativo repressivo, in materia di abusi edilizi, può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere.
L'avviso di avvio del procedimento non è dovuto nel caso di procedimento volto all'irrogazione della sanzione della demolizione edilizia, in ragione del carattere doveroso e del contenuto vincolato di tale atto.

Gli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, che si protraggono nel tempo e vengono meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni, pertanto il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere.
In altri termini, l'Autorità non emana un atto "a distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica ancora sussistente (cfr. Cons. Stato sez. IV, 16.04.2010 n. 2160).
In via generale, la giurisprudenza prevalente si è assestata nell’affermare che l'avviso di avvio del procedimento non è dovuto nel caso di procedimento volto all'irrogazione della sanzione della demolizione edilizia, in ragione del carattere doveroso e del contenuto vincolato di tale atto (cfr. Cons. St., Sez. IV, 26.9.2008 n. 4659, T.A.R. Napoli, sez. VII, 13.10.2009 n. 5411), tanto più in considerazione della consequenziale sua intangibilità ai sensi dell'art. 21-octies L. 241/1990 introdotta dalla L. n. 15 del 2005 (cfr. Cons. St., Sez. IV, 10.4.2009 n. 2227, Sez. V, 19.9.2008 n 4530, T.A.R. Piemonte 16.3.2009 n. 752) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 25.05.2010 n. 2143 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa facoltà di recingere il fondo ex art. 841 c.c. è pur sempre legittimamente sacrificabile (ad esempio individuando particolari modalità costruttive da adottare e disponendo l'uso di specifici materiali) da parte del PRG in funzione di superiori interessi pubblici, sempre che ciò avvenga mediante una congrua motivazione e nel rispetto del principio generale di buona amministrazione, sancito dall'art. 97 della Carta costituzionale, e dei canoni di logicità, equità, imparzialità ed economicità.
La facoltà di recingere il fondo ex art. 841 c.c. è pur sempre legittimamente sacrificabile (ad esempio individuando particolari modalità costruttive da adottare e disponendo l'uso di specifici materiali) da parte del PRG in funzione di superiori interessi pubblici, sempre che ciò avvenga mediante una congrua motivazione e nel rispetto del principio generale di buona amministrazione, sancito dall'art. 97 della Carta costituzionale, e dei canoni di logicità, equità, imparzialità ed economicità, nonché delle norme di diritto positivo di carattere inderogabile (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia 23.07.2001 n. 421) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 25.05.2010 n. 2143 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna tettoia per essere definita "pertinenza" urbanistica deve essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.
In merito all’asserita natura pertinenziale delle tettoie:
- (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 05.03.2010 n. 1277) per poter essere definita pertinenza dal punto di vista urbanistico, la res deve essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede;
- nella fattispecie, le tettoie non accedono ad alcun edificio principale;
- in ogni caso, la realizzazione di una tettoia, ancorché avente natura pertinenziale, è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'articolo 3, comma 1°, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui realizza <<l'inserimento di nuovi elementi ed impianti>>, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce (cfr. TAR Campania, sez. IV, 28.12.2009 n. 9605, idem 21.12.2007, n. 16493);
- la nozione di costruzione, ai fini della necessità della concessione edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio, anche se esse non consistano in opere murarie, essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 06.06.2008)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 25.05.2010 n. 2143 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIALa norma, ai fini dell’imputabilità della condotta del divieto di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo, richiede -a carico del proprietario o dei titolari di diritti reali o personali sul bene- un comportamento titolato di dolo o colpa, così come richiesto per l’autore materiale, mentre le conseguenze sanzionatorie connesse alla violazione del divieto di abbandono incontrollato di rifiuti sul suolo o nel suolo sono accollate anche al proprietario dell’area, ma ciò solo nel caso in cui la violazione sia a lui imputabile a titolo di dolo o di colpa.
L'art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006, che è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000, attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2. Tale previsione, sulla base degli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio della specialità e criterio cronologico), prevale sul disposto dell'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000.

In via generale va rilevato (cfr. TAR, Napoli, Sez. V - 15.12.2009, n. 8739) che la fattispecie normativa di cui all’art. 192 del d.lgs. n. 152/20006 ha introdotto una sanzione amministrativa di tipo reintegratorio, potendo essere adottata anche in assenza di una situazione in cui sussista l’urgente necessità di provvedere con efficacia e immediatezza (cfr. TAR Veneto, III, 29.09.2009, n. 2454) e avente a contenuto l’obbligo di rimozione, di recupero o di smaltimento e di ripristino a carico del responsabile del fatto di discarica o immissione abusiva, a carico, cioè, di “chiunque viola i divieti di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo”, in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa.
La norma, pertanto, ai fini dell’imputabilità della condotta del divieto di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo, richiede, a carico del proprietario o dei titolari di diritti reali o personali sul bene, un comportamento titolato di dolo o colpa, così come richiesto per l’autore materiale, mentre le conseguenze sanzionatorie connesse alla violazione del divieto di abbandono incontrollato di rifiuti sul suolo o nel suolo sono accollate anche al proprietario dell’area, ma ciò solo nel caso in cui la violazione sia a lui imputabile a titolo di dolo o di colpa (ex multis, TAR Catanzaro, I, 20.10.2009, n.1118; Cons. Stato, V, 19.03.2009, n. 1612; TAR Sardegna, 18.05.2007, n. 975; 19.09.2004, n. 1076; TAR Puglia, 27.02.2003, n. 872; TAR Lombardia, Milano, I, 26.01.2000, n. 292).
In relazione alla
prima censura, va osservato che l'art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006, che è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000, attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2. Tale previsione, sulla base degli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio della specialità e criterio cronologico), prevale sul disposto dell'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 (cfr. C.S. Sez. V 25.08.2008 n. 4061, TAR Veneto, Sez. III, 20.10.2009 n. 2623 e 29.09.2009 n. 2454).
In relazione al
secondo motivo, va rilevato che la comunicazione di avvio del procedimento risulta regolarmente inviata, anche se pervenuta al ricorrente tre giorni prima dell’adozione dell’atto. In ogni caso va annotato che la fattispecie all’esame si caratterizza per la circostanza che il tecnico comunale aveva contattato, nell’immediatezza del fatto, il presunto responsabile il quale aveva dichiarato di voler proseguire nell’attività di versamento del materiale al fine di consolidare il passaggio.
Lo stesso ricorrente non contesta tale circostanza ed evidenzia che tale operazione è stata posta in essere nell’esercizio delle facoltà ad esso spettanti quale asserito titolare della servitù di passaggio sul fondo di proprietà del Figaroli.
In siffatto contesto, va rilevato, in assonanza con quanto dalla Sezione già affermato (cfr. le sentenze n. n. 1258 del 13.10.2008 e n. 260 del 13.02.2009) che la violazione delle garanzie procedimentali non può condurre da sola all’annullamento del provvedimento finale, dato che le suddette garanzie hanno lo scopo di permettere un effettivo confronto tra l’amministrazione e i soggetti interessati anteriormente all’adozione di un provvedimento, in modo che non siano trascurati elementi istruttori utili per la decisione finale.
Inoltre, anche se è vero che il sopralluogo del tecnico comunale non è avvenuto in contraddittorio con l’interessato, tale circostanza non può costituire violazione dell’art. 192, c. 3, del D.Lgs. 03.04.2006 n. 152, che richiede gli accertamenti siano effettuati in contraddittorio con i soggetti interessati, posto che il contatto tra l’Amministrazione e il presunto responsabile si è instaurato, per via telefonica, nell’immediatezza del fatto e quest’ultimo ha affermato di voler continuare nello sversamento dei materiali di demolizione.
Parimenti infondato è il
terzo motivo, con il quale il ricorrente contesta, sotto un profilo sostanziale, la riconducibilità dei materiali in questione alla nozione di rifiuti.
Infatti, l’art. 184 del D.Lgs. n. 152/2006 definisce (c. 3, lett. B) rifiuti speciali quelli derivanti dall’attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, salvo quanto disposto dall’art. 186, in tema di terre e rocce da scavo.
Invero, le argomentazioni difensive svolte al riguardo dal ricorrente, circa la riconducibilità alla nozione di sottoprodotti, non sono condivisibili, posto che il riutilizzo del materiale proveniente dall'attività di costruzione non può prescindere dalla preventiva attività di separazione e cernita.
I materiali da demolizione, infine, non possono neppure rientrare nella nozione di materie prime secondarie di cui all'art. 181-bis del decreto legislativo, introdotto dall'art. 2, comma 18-bis, del D.Lgs 16.01.2008 n. 4, richiedendosi anche in tal caso che l'operazione di recupero dei rifiuti risponda a requisiti di qualità ambientale (primo comma, lett. d), che deve essere accertata ai sensi dei DM 05.02.1998, 12.06.2002 n. 161 e 17.11.2005 n. 269 (comma 3) fino alla emanazione del decreto di cui al comma 2 (cfr. Cassazione Penale, Sez. III, 24-03-2010 n. 11260) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 25.05.2010 n. 2140 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: TAR Lombardia: rapporti tra pianificazione urbanistica e vincoli paesaggistici.
Con sentenza 24.05.2010 n. 1654 la Sez. IV del TAR Lombardia, Milano, ha ribadito alcuni importanti principi in materia di rapporti tra pianificazione urbanistica e vincoli paesaggistici, di particolare interesse nel momento in cui le amministrazioni lombarde si accingono a rilasciare i nuovi strumenti urbanistici (PGT), anche alla luce del recente Piano Territoriale Paesistico Regionale.
E precisamente:
- "in presenza di prescrizioni derivanti dall'approvazione di regimi speciali di tutela, il principio di coerente svolgimento dell'azione amministrativa impone che la pianificazione urbanistica si indirizzi verso scelte il più possibile armoniche con i vincoli imposti dalle amministrazioni, nell'esercizio delle loro specifiche competenze (nella specie vincoli paesistici)", senza che nulla impedisca "che le prescrizioni di piano, oltre che essere compatibili con il vincolo speciale, si prefiggano di valorizzare in funzione urbanistica lo stesso bene";
- benché effettivamente il vincolo paesistico non comporti l’inedificabilità assoluta dell’area, rientra nelle scelte discrezionali dell’amministrazione, non sindacabili se non sotto il profilo del travisamento dei fatti e della macroscopica illogicità, l’apposizione di una destinazione urbanistica a zona agricola al fine di conservare i caratteri propri della zona;
- con riferimento ai caratteri propri dell’area, "la vicinanza ad una zona già edificata non rende illogica la destinazione rurale quando l’amministrazione intenda indirizzare l’edificazione verso altre aree e l’area in questione non sia edificata e sia adiacente ad aree ugualmente non edificate" (link a http://studiospallino.blogspot.com).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di demolizione e ricostruzione, un ampliamento fuori sagoma in sede di ricostruzione delinea la fattispecie della nuova costruzione e non della ristrutturazione edilizia, per configurare la quale, pur non occorrendo più la "fedele ricostruzione", occorre, comunque, rispettare sagoma, volume e superficie della costruzione preesistente.
La ristrutturazione edilizia si sostanzia in una attività di riedificazione che rispetti la piena conformità di sagoma, volume e superficie tra il vecchio e il nuovo manufatto ed escludendo, di conseguenza, che in sede di riedificazione si possa procedere ad un ampliamento di cubatura dell'edificio in applicazione di una norma tecnica di attuazione del piano regolatore comunale che consenta di procedere ad ampliamenti degli edifici esistenti.

Va ricordato l’orientamento costante della giurisprudenza del Consiglio di Stato, condiviso dal Collegio, secondo il quale in materia di demolizione e ricostruzione, un ampliamento fuori sagoma in sede di ricostruzione delinea la fattispecie della nuova costruzione e non della ristrutturazione edilizia, per configurare la quale, pur non occorrendo più la "fedele ricostruzione", occorre, comunque, rispettare sagoma, volume e superficie della costruzione preesistente (principio pacifico: cfr. Consiglio di Stato, IV, 28.07.2005, n. 4011; VI, 09.09.2005, n. 4668; V, 29.05.2006, n. 3229; V, 30.08.2006, n. 5061; IV, 26.02.2008, n. 681; V, 04.03.2008, n. 918; IV, 16.06.2008, n. 2981; VI, 16.12.2008, n. 6214; IV, 30.12.2008, n. 6613).
Dubbio è se le norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico comunale possano consentire un ampliamento di volumetria in sede di ristrutturazione.
Il Consiglio di Stato, sul punto, si è pronunciato prevalentemente in senso negativo, ricordando che ai sensi dell'art. 3 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, la ristrutturazione edilizia si sostanzia in una attività di riedificazione che rispetti la piena conformità di sagoma, volume e superficie tra il vecchio e il nuovo manufatto ed escludendo, di conseguenza, che in sede di riedificazione si possa procedere ad un ampliamento di cubatura dell'edificio in applicazione di una norma tecnica di attuazione del piano regolatore comunale che consenta di procedere ad ampliamenti degli edifici esistenti (Cons. Stato, IV, 10.04.2008, n. 1550) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 21.05.2010 n. 6968 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'ingiunzione di demolizione di un'opera abusivamente realizzata perde di efficacia qualora l'interessato abbia attivato il procedimento per ottenere la concessione edilizia in sanatoria dell'opera stessa ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985.
Per costante giurisprudenza, anche di questo Tribunale, dalla quale non vi è ragione di discostarsi nel caso in esame, l'ingiunzione di demolizione di un'opera abusivamente realizzata perde di efficacia qualora l'interessato abbia attivato il procedimento per ottenere la concessione edilizia in sanatoria dell'opera stessa ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985.
Ciò, in quanto il riesame del carattere abusivo dell'opera, al fine di verificarne l'eventuale sanabilità, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, di accoglimento o di diniego (o anche di rigetto implicito, nei casi previsti di silenzio-rigetto), che vale, comunque, a superare il provvedimento sanzionatorio originariamente adottato dall'Amministrazione; sicché, in caso di mancato accoglimento, l'interesse del responsabile dell'abuso edilizio "si sposta" dall'annullamento del provvedimento sanzionatorio già adottato a quello del nuovo provvedimento, esplicito o implicito, di rigetto dell'istanza di sanatoria (ex multis, TAR Sicilia, Palermo, III, 04.09.2008, 1102; TAR Lazio, Roma, 27.11.2008, n. 166; TAR Sicilia, 24.07.2006, n. 1750; 16.03.2004, n. 499; id., 10.05.2001, n. 1242; id., 06.07.2001, n. 1929; TAR Lazio, Roma, II, 04.05.2007, n. 3873; TAR Liguria, II, 14.12.2000, n. 1310; TAR Toscana, III, 18.12.2001, n. 2024; TAR Puglia, II, 11.01.2002, n. 154; TAR Campania, Napoli, IV, 06.11.2007, n. 10675; VI, 03.05.2007, n. 4659; III, 02.03.2004, n. 2579; IV, 18.03.2005, n. 1835) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 21.05.2010 n. 6967 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il diritto allo scomputo degli oo.uu. dovuti va riconosciuto soltanto in relazione al valore delle opere di urbanizzazione, e solo fra opere omogenee (di urbanizzazione primaria o di urbanizzazione secondaria).
Il diritto allo scomputo va riconosciuto soltanto in relazione al valore delle opere di urbanizzazione, e solo fra opere omogenee (di urbanizzazione primaria o di urbanizzazione secondaria, come nel caso di specie).
La P.A. resistente, pertanto, in relazione a ciascuna concessione edilizia, considerato il tipo di opere di urbanizzazione cedute dalla ditta lottizzante, dovrà detrarne il valore dal contributo per oneri di urbanizzazione, con la conseguenza che, se già le somme inerenti agli stessi oneri di urbanizzazione siano state versate per intero, il comune medesimo dovrà restituire l‘importo relativo alle somme eccedenti, maggiorato degli interessi legali a decorrere dalla data del versamento, senza che possa accampare il diritto a un “controcredito”.
Infatti, ad avviso del Collegio, l’entità delle somme da versare, previo eventuale scomputo (se vi sia stata cessione di opere di urbanizzazione) va determinata singolarmente, in relazione a ciascuna concessione edilizia rilasciata in attuazione del piano di lottizzazione, come, del resto, espressamente statuito dal già richiamato art. 11 della L. 28.01.1977 n. 10 (TAR Veneto, Sez. I, n. 1378/2004) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 21.05.2010 n. 2136 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sull'onere o meno del Comune di escutere la polizza fidejussoria a garanzia del versamento del contributo di costruzione scaduti i termini di legge.
Non può rimproverarsi alla p.a. resistente di avere aggravato la posizione del debitore principale, non potendo pretendersi che la stessa, per il fatto che è stata prestata un fideiussione “a prima richiesta”, debba subito attivarsi, scaduti i termini di legge, per l’escussione della polizza.
Deve, invero, ritenersi che l’amministrazione sia libera di scegliere il momento in cui agire, e che il maturare delle maggiorazioni ex art. 81 –legate al decorso del termine, per fasce temporali o classi di ritardo nell’assolvimento dell’obbligazione di pagamento- non possa che farsi risalire al comportamento del debitore, affatto libero di effettuare i versamenti con il maturare delle rate e dei termini cui sono legate le maggiorazioni per ritardato pagamento.
Lo stesso non può che dirsi, seguendo il medesimo filo logico, anche per quanto concerne il maturare degli interessi legali, pacificamente legati al decorso del tempo.
Né può seriamente sostenersi che, in forza dell’art. 1220 c.c., sia stata effettuata un’offerta reale con gli effetti che ne conseguono, in detta previsione normativa, sulla base dei solleciti o pressioni esercitati sull’amministrazione affinché accettasse i pagamenti.
Come eccepito dalla p.a. resistente, infatti, non è stata formalizzata alcuna offerta reale, e a ciò non ha replicato in alcun modo la difesa della ricorrente, che non aveva addotto, a conforto delle sua affermazioni, riscontri documentali (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 21.05.2010 n. 2133 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGià prima della formulazione dell'art. 21-octies l. 07.08.1990 n. 241, un'ordinanza di demolizione di opere abusive, adottata in mancanza della comunicazione di avvio del procedimento, doveva ritenersi illegittima soltanto quando non fosse accertata in giudizio la sua superfluità.
Questo Collegio evidenzia che, proprio in considerazione della natura vincolata del provvedimento, già prima della formulazione dell'art. 21-octies l. 07.08.1990 n. 241, un'ordinanza di demolizione di opere abusive, adottata in mancanza della comunicazione di avvio del procedimento, doveva ritenersi illegittima soltanto quando non fosse accertata in giudizio la sua superfluità; nel caso di specie, una specifica comunicazione dell'avvio del procedimento era effettivamente superflua, poiché dagli atti di causa emerge, come di seguito si avrà modo di specificare, che l'emanazione dell'impugnato provvedimento ha costituito atto dovuto e che anche a seguito della comunicazione di avvio del procedimento il contenuto dell'atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr., ex multis, TAR Lazio Roma, sez. I, 11.12.2009, n. 12793)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 21.05.2010 n. 2124 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione.
Non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno.
La concessione edilizia (oggi permesso di costruire) è, invece, necessaria, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.

La valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione; in base a tale criterio, dunque, non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto, entro tali limiti, la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà.
Alla stregua di tali coordinate, per giurisprudenza consolidata alla quale il Collegio aderisce, la concessione edilizia (oggi permesso di costruire) è, invece, necessaria, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.
Nel caso di specie, di conseguenza, non si può qualificare l'opera abusiva come meramente precaria, essendo invece stabilmente infissa al suolo attraverso il muro di calcestruzzo (cfr., TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 29.12.2009, n. 6266)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 21.05.2010 n. 2124 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato.
Per giurisprudenza costante, alla quale questo Collegio presta adesione, il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato (cfr., ex multis, TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.09.2009, n. 4848).
Con specifico riferimento alle opere in contestazione deve essere rilevato che dalla documentazione versata in atti emerge che i manufatti prefabbricati oltre a non rivestire alcun carattere di precarietà strutturale sono stati, sotto il profilo funzionale, destinati ad uso permanente (servizi igienici, magazzini ed uffici) e non già preordinati a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo; ciò con la conseguenza che l'alterazione del territorio dagli stessi determinata non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante ed in relazione a tali opere era necessario il preventivo rilascio della concessione edilizia. (cfr., ex multis, TAR Lazio Roma, sez. II, 04.05.2007, n. 3973)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 21.05.2010 n. 2124 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza ha ammesso la rinuncia alla domanda di condono edilizio presentata a condizione però che la stessa sia anteriore alla conclusione del relativo procedimento da parte del Comune.
Bisogna prestare attenzione all’eventuale rinuncia del condono presentato, magari dopo il decorso di un lungo termine dalla presentazione della relativa istanza, poiché rischierebbe di assicurare all’autore dell’opera abusiva una sostanziale immunità penale, sfruttando, ad esempio, l’eventuale prescrizione del reato edilizio, oltre a garantirgli il recupero pecuniario delle somme già versate; mentre l’Amministrazione comunale potrebbe tutt’al più adottare un provvedimento di demolizione, contro il quale l’interessato potrebbe però proporre impugnazione davanti al giudice amministrativo, rinviando così indefinitamente la definizione dell’abuso, con grave pregiudizio per la certezza dei rapporti giuridici.

La giurisprudenza, affrontando la questione della rinuncia alla domanda di condono, l’ha ammessa, a condizione però che la stessa sia anteriore alla conclusione del relativo procedimento (cfr. TAR Toscana, sez. III, 21.12.2004 n. 6520), mentre nel caso di specie il procedimento deve reputarsi concluso, a nulla rilevando che il sig. Boer non abbia mai materialmente ritirato il titolo cartaceo depositato negli uffici comunali né abbia completamente versato le somme richieste.
Si aggiunga ancora che, in materia di condono per illeciti edilizi, la generalizzata ammissibilità di una rinuncia alla domanda di sanatoria con annessa richiesta di restituzione dei contributi versati, proponibile una volta conclusa l’istruttoria sulla medesima da parte dei competenti uffici, potrebbe portare a conclusioni contrastanti con i principi dell’ordinamento.
Il condono edilizio, infatti, è evidentemente volto alla celere definizione di illeciti avente ordinariamente natura non solo amministrativa ma anche penale (cfr. sul punto art. 38 della legge 47/1985), sicché l’eventuale rinuncia allo stesso, magari dopo il decorso di un lungo termine dalla presentazione della relativa istanza, rischierebbe di assicurare all’autore dell’opera abusiva una sostanziale immunità penale, sfruttando ad esempio l’eventuale prescrizione del reato edilizio, oltre a garantirgli il recupero pecuniario delle somme già versate; mentre l’Amministrazione comunale potrebbe tutt’al più adottare un provvedimento di demolizione, contro il quale l’interessato potrebbe però proporre impugnazione davanti al giudice amministrativo, rinviando così indefinitamente la definizione dell’abuso, con grave pregiudizio per la certezza dei rapporti giuridici.
Quanto sopra esposto non esclude, ovviamente, che l’autore dell’abuso possa contestare la misura dell’oblazione, ma tale ipotesi non deve essere confusa con quella, ricorrente nel caso di specie, di totale rinuncia al condono, accompagnata dalla pretesa di restituzione di tutte le somme versate.
Il Collegio vuole evidenziare ancora come la presente decisione non si ponga in contrasto con altre recenti sentenze della Sezione, fra cui in primo luogo quella depositata il 24.03.2010 n. 728.
Nel caso deciso in tale pronuncia, infatti, una parte dell’opera oggetto di concessione edilizia non era mai stata realizzata, per cui il Tribunale ha riconosciuto il diritto alla restituzione della quota di contributo concessorio per la parte dei lavori non eseguiti. La presente fattispecie è oggettivamente differente in quanto, trattandosi di abuso edilizio, l’intera opera oggetto della domanda di sanatoria è stata evidentemente realizzata.
Anche nella ulteriore sentenza di questa Sezione 19.01.2010 n. 75, è stata ammessa la rinuncia al titolo edilizio (nel caso, si trattava di DIA in variante), però le opere erano state oggetto di un ordine di sospensione lavori ed in ogni modo, come per la sentenza 728/2010, non si trattava di un’ipotesi di condono edilizio, ma di opere lecite ancora in fieri (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2010 n. 1551 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl divieto di inedificabilità nella fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla caratteristica dell’opera realizzanda e risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l'esecuzione di lavori, l'impianto di cantieri, l'eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale.
Il Collegio osserva, in linea con la consolidata giurisprudenza (ex plurimis Tar Campania, Salerno, n. 1383/2009 e n. 89/2006) che:
a) l’esistenza di limiti di edificazione da rispettare con riferimento al nastro di autostrade e strade, tanto fuori del centro abitato che nell'ambito di quest'ultimo, deriva direttamente dalla normativa del Codice della Strada (artt. 16, 17 e 18 d.lvo 285/2002) e del suo Regolamento di attuazione, nonché per le sole autostrade dall'art. 9 della l. 729/1961: in particolare l'art. 28 del dpr 495/1992 fissa delle "fasce di rispetto per l'edificazione nei centri abitati" (mt. 30 per le strade di tipo A, cioè per le autostrade), mentre il comma 1 dell'art. 9 l. n. 729/1961 pone comunque il divieto di realizzare qualsivoglia edificazione a distanza inferiore a mt. 25 dal limite della zona di occupazione dell'autostrada;
b) la giurisprudenza ha in proposito precisato che il divieto di inedificabilità nella fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla caratteristica dell’opera realizzanda (CS, sez. IV, n. 4618/2008) e risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l'esecuzione di lavori, l'impianto di cantieri, l'eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (cfr. Cass. n. 6118 dell'01-06-1995; Cons. Stato, IV, n. 7275/2002, n. 5716/2002, n. 3731/2000; TAR Calabria, Catanzaro, n. 130/2003; TAR Campania, Napoli, n. 5226/2001);
c) alla luce di quanto sopra deve escludersi che, con riferimento alla fascia di rispetto oggetto della presente controversia, possa trovare applicazione sia la speciale disciplina di cui all’art. 9 della L. n. 122/1989 sia quella regionale dettata dall'art. 6, comma 8, della L.R. Campania n. 19/2001, atteso che nelle suddette disposizioni è prevista la prevalenza rispetto alle sole disposizioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali, con esclusione, quindi, delle previsioni che promanino direttamente da norme primarie anch'esse speciali (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 17.05.2010 n. 11642 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl concetto di ristrutturazione edilizia di un edificio preesistente presuppone che, in conformità al disposto degli art. 9 e 26 l. 28.02.1985 n. 47, non si tratti di opere implicanti radicali interventi di adattamento delle strutture interne, eseguite per creare vani o volumi, giacché l'aumento di questi ultimi determina a sua volta un maggior carico urbanistico di cui la p.a. deve tener conto nella valutazione della vicenda.
Il Consiglio di Stato ha affermato che: “Il concetto di ristrutturazione edilizia di un edificio preesistente, presuppone che, in conformità al disposto degli art. 9 e 26 l. 28.02.1985 n. 47, non si tratti di opere implicanti radicali interventi di adattamento delle strutture interne, eseguite per creare vani o volumi, giacché l'aumento di questi ultimi determina a sua volta un maggior carico urbanistico di cui la p.a. deve tener conto nella valutazione della vicenda" (nella specie, s'è verificato l'intero rifacimento d'un vecchio fabbricato agricolo, con opere anche interne, finalizzate ad un radicale cambiamento della destinazione d'uso da rurale in civile abitazione) (Consiglio Stato, sez. V, 10.08.2000, n. 4397) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 17.05.2010 n. 2751 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia costituiscono interventi di recupero sul patrimonio edilizio esistente, onde i relativi concetti postulano necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare o risanare, ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, sicché la ricostruzione su ruderi o su di un edificio già da qualche tempo demolito o diruto costituisce nuova opera.
La giurisprudenza più recente ha affermato che “il risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia costituiscono interventi di recupero sul patrimonio edilizio esistente, onde i relativi concetti postulano necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare o risanare, ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, sicché la ricostruzione su ruderi o su di un edificio già da qualche tempo demolito o diruto costituisce nuova opera" (TAR Campania Salerno, sez. II, 26.09.2007, n. 1927; TAR Campania Napoli, sez. IV, 14.12.2006, n. 10553; Consiglio Stato, sez. V, 15.04.2004, n. 2142) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 17.05.2010 n. 2751 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: ANNULLAMENTO DELLA GARA E RISARCIMENTO DELLA LESIONE DELL'INTERESSE POSITIVO E DELL'INTERESSE NEGATIVO.
1. Giudizio amministrativo - Risarcimento danno - Prova - Della spettanza dell'aggiudicazione - Necessarietà - Al fine della tutela dell'interesse positivo - Ragioni.
2. Giudizio amministrativo - Risarcimento danno - Perdita di chance - Casi - Ragioni.
3. Responsabilità - Civile - Risarcimento danni - Responsabilità precontrattuale - Sussistenza - Ipotesi - Profili.
1.
Chi agisce a tutela del c.d. interesse positivo che assume leso dalla mancata aggiudicazione imputabile all'illegittimo svolgimento della procedura di gara da parte della stazione appaltante, deve fornire la prova circa la spettanza della aggiudicazione, nonché elementi sufficienti (rappresentati essenzialmente dai caratteri della proposta migliorativa) per consentire al giudice di formulare un giudizio di prognosi postuma favorevole in una fattispecie in cui il metodo di aggiudicazione prescelto -quello cioè dell'offerta economicamente più vantaggiosa- non consente al giudice di sostituire il proprio metro di valutazione delle offerte a quello proprio della stazione appaltante stante l'ampia opinabilità dei criteri tecnici da applicare nella formulazione dei giudizi in questione.
2. In relazione al c.d. interesse negativo, quello cioè a non vedersi coinvolta in una trattativa inutile per fatto illecito imputabile alla controparte con conseguente diritto al rimborso delle spese di partecipazione sostenute ed, eventualmente, delle mancate occasioni di guadagno, non può configurarsi un danno da perdita di chance quando l'alea oggettivamente connessa al metodo di aggiudicazione prescelto non consente di configurare in concreto alcuna ragionevole probabilità di aggiudicazione tale da assurgere a posta attiva del patrimonio dell'istante suscettibile di ristoro per equivalente in caso di sua lesione contra ius; si tratta, a ben vedere, di una mera possibilità di aggiudicazione che, in quanto statisticamente non rilevante, non assurge ad interesse meritevole di tutela per l'ordinamento ai fini della tutela aquiliana (Cass., SS.UU., n. 500/1999).
3. Meritevole di accoglimento è la domanda di risarcimento danni a titolo di responsabilità precontrattuale quando la stazione appaltante, con grave negligenza, ha posto in essere una sequenza procedimentale violativa di basilari principi di imparzialità e trasparenza, in tal modo rendendo vano l'investimento economico dell'impresa ricorrente che si è pertanto vista coinvolta in una procedura infruttuosa, con conseguente illecita lesione della propria libertà negoziale ai sensi e per gli effetti dell'art. 1337, Cod. Civ. (massima tratta da
http://mondolegale.it - TAR Molise, sentenza 12.05.2010 n. 208 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE - ICI: Determinazione del valore di un'area fabbricabile. Ai fini della determinazione del valore di mercato occorre valutare l'area nel suo complesso.
La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con l'importante sentenza 07.05.2010 n. 11176, ha chiarito le modalità per la determinazione del valore di un'area fabbricabile.
In particolare la Corte ha richiamato l'art. 5, comma 8, del D. Leg.vo 504/1992, il quale, nel prevedere che il valore dell'area edificabile è costituito da quello venale in comune commercio, fa riferimento all'intera area nel suo complesso.
Ne deriva che l'area edificabile deve essere considerata unitariamente, prescindendo dalla destinazione che ciascuna porzione di essa potrà avere in esito alla realizzazione del processo edificatorio.
D'altro canto non si può trascurare che l'esercizio concreto diritto ad edificare richiede che l'area sia urbanizzata, e quindi debbono esservi spazi riservati (secondo le prescrizioni dello strumento urbanistico attuativo) ad infrastrutture e servizi di interesse generale, quali parcheggi, strade, aiuole. Ne consegue ulteriormente che, ai fini della determinazione del valore dell'area nel suo complesso, deve tenersi in debito conto il differente livello di edificabilità delle parti che compongono l'area (commento tratto da www.legislazionetecnica.it).

URBANISTICA: 1. Disposizioni contenute nel PRG e nei piani attutivi - Prescrizioni che, in via immediata, stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata - Onere di immediata impugnativa - Sussiste - Prescrizioni di dettaglio contenute nelle n.t.a. o nel regolamento edilizio che disciplinano più in dettaglio l'esercizio dell'attività edificatoria - Eventuale impugnativa - Va proposta in occasione dell'impugnazione dell'atto applicativo medesimo.
1.
In tema di disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio per gli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa statale e regionale, la giurisprudenza distingue fra le prescrizioni che, in via immediata, stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. "zonizzazione", di destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, di localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) dalle altre regole che più in dettaglio disciplinano l'esercizio dell'attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano (n.t.a.) o nel regolamento edilizio.
Mentre per le prescrizioni di dettaglio contenute nelle n.t.a. -che, in ragione della loro natura regolamentare, sono suscettibili ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo- le eventuali censure vanno proposte in occasione dell'impugnazione dell'atto applicativo medesimo, al contrario, nei confronti delle disposizioni che stabiliscono le potenzialità edificatorie di un'area, a causa dell'immediato effetto conformativo dello ius aedificandi che ne deriva, si impone un onere di immediata impugnativa, in osservanza del termine decadenziale decorrente dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2010 n. 845 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Disposizione normative previste dall'art. 164 D.Lgs n. 490/1999 - Mancata ottemperanza all'ordine di rimessione in pristino - Intervento d'ufficio della P.A. - Possibilità di procedere al rilascio di titoli edilizi che comportino il venir meno di tale obbligo - Non sussiste.
2. Autorizzazione paesaggistica - Mera comunicazione del rilascio in favore di un soggetto di un'autorizzazione paesaggistica - Piena conoscenza ai fini della decorrenza del termine per eventuale impugnativa - Non sussiste laddove la comunicazione non contenga riferimenti agli estremi e al contenuto dell'atto.
1.
L'esercizio del potere sanzionatorio in materia edilizia è doveroso e vincolato. In particolare, con riguardo all'art. 164 del D.Lgs. n. 490/1999, va rilevato che le disposizioni normative ivi contenute non lasciano all'Amministrazione alcun margine di discrezionalità, in quanto prevedono, in caso di inottemperanza all'ordine di rimessione in pristino, l'intervento d'ufficio della P.A. e non consentono il rilascio di titoli edilizi che comportino il venir meno di tale obbligo.
Conseguentemente, il rilascio di un titolo abilitativo edilizio che ha autorizzato la realizzazione di un assetto del territorio differente rispetto a quanto previsto dal provvedimento sanzionatorio, sebbene i lavori eseguiti siano conformi a tale titolo, non legittimano la decisione dell'Amministrazione di soprassedere al dovere, legislativamente previsto, di portare ad esecuzione l'ordine di messa in pristino, né può ritenersi che tali circostanze configurino una oggettiva impossibilità di ottemperare alla sanzione.
2. La mera comunicazione del rilascio, in favore di un soggetto, di un'autorizzazione paesaggistica è inidonea ad integrare quella piena conoscenza dell'effetto lesivo da cui inizia a decorrere il termine di decadenza per l'eventuale impugnativa, allorquando detta comunicazione non contiene alcun riferimento agli estremi ed al contenuto dell'atto (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2010 n. 845 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Giustizia amministrativa - Tardività del ricorso - Deve essere provata in modo certo ed inequivocabile da parte di chi la eccepisce - Prospettazione di mere presunzioni - Sufficienza - Non sussiste.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Responsabilità da fatto illecito - Necessità, oltre alla prova di un danno e di un nesso di causalità tra il danno e l'operato dell'Amministrazione, anche dell'imputazione dell'evento dannoso a titolo di dolo o colpa della P.A..
3. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Errori scusabili che non integrano il requisito soggettivo del dolo e della colpa della P.A. - Errori commessi dalla P.A. in relazione ad una situazione complessa e tale da escludere un comportamento negligente dell'Amministrazione - Sussiste.

1. La tardività del ricorso deve essere provata in modo certo ed inequivocabile da parte di chi eccepisce la tardività del medesimo ed il relativo onere non può ritenersi adempiuto sulla base della prospettazione di mere presunzioni che non assurgono a dignità di prova, atteso che non può ritenersi sufficiente la probabilità che l'interessato in un determinato momento abbia avuto cognizione dell'atto contro il quale ha prodotto il ricorso, altrimenti risulterebbero violati i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 113, secondo i quali tutti possono agire in giudizio contro gli atti della P.A. a tutela dei propri diritti ed interessi legittimi.
2. Costituisce principio cardine della responsabilità da fatto illecito, cui soggiace anche la P.A., il fatto che l'ingiustizia del fatto non è requisito sufficiente a fondare il diritto al risarcimento.
E' infatti necessaria, oltre alla prova di un danno e di un nesso di causalità tra il danno e l'operato dell'amministrazione, l'imputazione dell'evento dannoso a titolo di dolo o colpa della P.A., dovendo quindi verificarsi se l'adozione è l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona fede alle quali l'esercizio della funzione deve ispirarsi.
3. Gli errori commessi dalla P.A. possono considerarsi scusabili e, dunque, tali da non integrare il requisito soggettivo del dolo o della colpa necessario ai fini del risarcimento del danno, qualora la situazione di fatto sia complessa ed articolata e comunque tale da escludere un comportamento negligente da parte dell'Amministrazione, come avvenuto nel caso di specie in cui la P.A. ha compiuto ripetute ed approfondite attività istruttorie in occasione del rilascio dei titoli abilitativi in seguito annullati (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2010 n. 845 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ingiunzione di demolizione - Permesso in sanatoria - Risarcimento del danno - Spese giudiziali - Danno da silenzio - Danno da ritardo - Inammissibilità.
Nel ricorso avverso ingiunzione di demolizione di un manufatto divenuto improcedibile per successivo rilascio di permesso di costruire in sanatoria, la ricorrente non può dolersi né delle spese sostenute per il ricorso giudiziale in quanto la presentazione dell'istanza di accertamento di conformità impedisce di ritenere che l'esponente non abbia commesso alcun abuso edilizio né del silenzio inizialmente serbato dall'Amministrazione sull'istanza nel caso in cui il gravame avverso il silenzio, ex art. 21-bis L. n. 1034/71, sia stato dichiarato inammissibile con compensazione delle spese.
Neppure risulta configurabile un danno da ritardo nel rilascio del titolo in sanatoria, visto che, nelle more del procedimento di accertamento di conformità, il manufatto non è stato rimosso, per cui non è stato cagionato alcun pregiudizio alla ricorrente che ha continuamente fruito dell'opera abusiva (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2010 n. 844 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Art. 35, comma 1, L.R. n. 12/2005 e art. 11, D.P.R. n. 380/2001 - Titolo per il rilascio del permesso di costruire - Diritto di proprietà e altri diritti reali o personali di godimento, purché con facoltà di attuare interventi sull'immobile - Necessità di accertamento del titolo da parte del Comune - Sussiste, limitatamente alla verifica di un titolo sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante.
Come noto, l'art. 35, comma 1, L.R. 12/2005 -riprendendo analoga formulazione dell'art. 11, D.P.R. n. 380/2001- stabilisce che il permesso di costruire venga rilasciato «al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo» e l'espressione legislativa «titolo per richiederlo» è stata intesa dalla giurisprudenza nel senso di posizione che civilisticamente costituisca titolo per esercitare sul fondo un'attività costruttiva.
Tale posizione soggettiva non coincide con il solo diritto di proprietà, ma anche con altri diritti reali o addirittura personali di godimento, purché attribuiscano al titolare la facoltà di attuare interventi sull'immobile.
Tenuto conto, pertanto, che la mancanza della proprietà o di altro titolo idoneo preclude il rilascio del permesso di costruire, l'Amministrazione comunale è chiamata allo svolgimento di un'attività istruttoria, per accertare la sussistenza del titolo legittimante.
Tuttavia, al Comune spetta soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell'immobile, allegato da chi presenta istanza edilizia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2010 n. 842 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Ingiunzione di ripristino stato dei luoghi - Concessione in sanatoria ex L. n. 47/1985 - Situazione dei luoghi difforme da quella sanata - Affidamento - Non sussiste.
2. Ingiunzione di ripristino stato dei luoghi - Concessione in sanatoria e certificato abitabilità ex L. n. 47/1985 - Situazione dei luoghi difforme da quella sanata - Diversità delle altezze e delle superfici - Inutilizzabilità del certificato di abitabilità - Legittimità.

1. Nessun affidamento può essere invocato da chi abbai conseguito un provvedimento favorevole in base ad una rappresentazione errata della realtà, ed il provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi, non nello stato "condonato", ma in quello assentito con la licenza edilizia originaria (con implicito annullamento in autotutela della concessione in sanatoria) non richiede la presenza di un interesse pubblico attuale e concreto, a giustificazione del provvedimento in autotutela, quando il rilascio della concessione sia derivato da una erronea rappresentazione dei fatti (non importa se dolosa o colposa) da parte del privato richiedente.
2. Nessun rilievo può avere il certificato di abitabilità conseguito unitamente al condono nel caso di diversità delle altezze e delle superfici che incidono sulla volumetria, superficie e parametri urbanistico-edilizi dell'immobile, in quanto i requisiti di abitabilità dei sottotetti sono stabiliti da fonte primaria non derogabile neppure in sede di condono degli abusi edilizi, risultando conseguentemente legittima l'ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi in aderenza a quanto assentito con la licenza originaria (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2010 n. 840 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA Ordine di non effettuare l'intervento notificato dopo 30 giorni dalla presentazione della d.i.a., ma emanato entro tale termine - Legittimità - Sussiste.
L'ordine di non effettuare l'intervento non è tardivo, se ancorché notificato dopo il decorso di 30 giorni dalla presentazione della d.i.a, è emanato entro detto termine; il termine di 30 giorni dalla presentazione della d.i.a. vale per l'emanazione dell'ordine di non effettuare l'intervento, e non anche per la notifica (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.03.2010 n. 839 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Recupero abitativo dei sottotetti - Monetizzazione dei parcheggi pubblici - Mancata previsione normativa reiterata dal Piano delle Regole -Legittimità.
2. Recupero abitativo dei sottotetti - Parcheggi privati - Natura pertinenziale - Sussiste.

1. In tema di recupero abitativo dei sottotetti la L.R. n. 12/2005 e s.m.i. non prevede la monetizzazione dei parcheggi pubblici, pertanto è legittima la previsione del piano delle regole in tal senso orientata.
2. In tema di recupero abitativo dei sottotetti, per quanto concerne i parcheggi pertinenziali privati, tutti i parcheggi costituenti la dotazione minima devono ritenersi gravati da vincolo pertinenziale ex lege, siano essi realizzati in base alla c.d. legge Tognoli (legge n. 122 del 1989), ovvero in base all'art. 41-sexies della legge urbanistica (legge n. 1150 del 1942), trattandosi di un vincolo di destinazione pubblicistico, inderogabile e permanente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.03.2010 n. 839 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Illeciti commessi dagli amministratori di una società - Esimenti idonee a giustificare l'inadempimento delle obbligazioni assunte dalla società - Applicabilità al fine di evitare le sanzioni previste dall'art. 42 del D.P.R. n. 380/2001 - Non sussiste.
Gli illeciti -commissivi ed omissivi, penali, civili ed amministrativi- eventualmente commessi dagli amministratori sono fatti interni alla società e, sul piano giuridico, non costituiscono esimente idonea a giustificare l'inadempimento delle obbligazioni assunte e scriminare la responsabilità del debitore, quale causa non imputabile, ai sensi dell'art. 1218 c.c..
I predetti illeciti non costituiscono un'esimente anche ai fini dell'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 42 del D.P.R. n. 380/2001 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.03.2010 n. 838 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in sanatoria ex D.Lgs. n. 269/2003 - Contributo di urbanizzazione e costo di costruzione - Tariffe vigenti - Art. 6 L.R. n. 31/2004 - Legittimità costituzionale.
In relazione al fatto se gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione dovuti ai fini della sanatoria debbano essere commisurati alle tariffe vigenti al momento del deposito dell'istanza di sanatoria o a quelle vigenti al tempo del rilascio del titolo edilizio, dispone l'art. 4, c. 6, L.R. 03.11.2004 n. 31 nel senso che la determinazione deve effettuarsi tenendo conto del regime tariffario in vigore al momento di adozione del permesso di sanatoria, essendo stata tale soluzione interpretativa ritenuta costituzionalmente legittima (v. ordinanza Corte Cost. n. 105/2010) in quanto la scelta normativa della Regione Lombardia rappresenta "un bilanciamento di interessi che può solo essere effettuato dal legislatore" (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.03.2010 n. 833 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Requisiti generali - Moralità dell'impresa - Valutazione dei precedenti penali - Spetta all'amministrazione.
2. Requisiti generali - Precedenti penali risalenti nel tempo - Obbligo di dichiarazione - Sussiste.

1. Per giurisprudenza pacifica la valutazione di incidenza della fattispecie penale consumata sulla moralità professionale dell'impresa appartiene esclusivamente all'amministrazione appaltante, rientrando nella sua discrezionalità ritenere o meno sussistente siffatta incidenza (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. I, 19.05.2009, n. 3768 e Cons. Stato, sez. V, 22.02.2007, n. 945).
2. In tema di verifica del possesso dei requisiti generali di partecipazione ad una gara di appalto pubblico, la risalenza nel tempo dei fatti e della condanna penale riportata non è idonea a precludere la valutazione della stazione appaltante (e il correlato obbligo di dichiarazione da parte dei concorrenti), attesa la ratio della verifica intesa ad un giudizio di affidabilità in ordine alla moralità professionale dell'aspirante contraente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19.10.2007, n. 5470) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.03.2010 n. 729 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Contributo di costruzione - Obbligo di restituzione, da parte della P.A. delle somme corrisposte - Sussiste laddove il privato rinunci al permesso di costruire o sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio.
2. Contributo di costruzione - Obbligo di restituzione, da parte della P.A. delle somme corrisposte - In caso di utilizzo soltanto parziale del permesso di costruire per realizzazione di parte delle opere edilizie previste - Sussiste per la quota di contributo di costruzione che è stata calcolata con riferimento alle opere non realizzate.
3. Contributo di costruzione - Obbligo di restituzione, da parte della P.A. delle somme corrisposte - Decorrenza del termine di prescrizione - Dalla data in cui il titolare comunica all'Amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione, da parte della P.A. del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire.
4. Restituzione di somme indebitamente riscosse da parte della P.A. - Diritto del privato agli interessi legali - Sussiste.
5. Risarcimento del maggior danno rispetto agli interessi legali richiesto a colui che abbia ricevuto in buona fede un pagamento indebito - Va valutato con riguardo al periodo successivo alla presentazione della domanda di restituzione delle somme indebitamente pagate.

1. Quando il privato rinunci al permesso di costruire o anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio -per scadenza dei termini iniziali o finali o per il sopravvenire di previsioni urbanistiche introdotte o dallo strumento urbanistico o da norme legislative o regolamentari, contrastanti con le opere autorizzate e non ancora realizzate- sorge in capo alla P.A. l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione, in quanto il contributo concessorio è strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio. Pertanto, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo di causa, cosicché l'importo versato va restituito.
2. Il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato soltanto parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pure sotto profili differenti, all'oggetto della costruzione.
L'avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie consentite da un permesso di costruire comporta dunque il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata.
3. Ai sensi dell'art. 2935 c.c. il termine di prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e, dunque, dalla data in cui il titolare comunica all'Amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione, da parte della P.A. del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali o finali o per l'entrata in vigore delle previsioni urbanistiche contrastanti.
4. Il privato, sulle somme indebitamente riscosse dalla P.A., ha diritto agli interessi legali i quali, qualora non vi siano elementi che escludano la buona fede dell'Amministrazione, spettano dalla data della domanda.
5. Il risarcimento del maggior danno, rispetto agli interessi legali, richiesto a colui che abbia ricevuto in buona fede un pagamento indebito ai sensi dell'art. 2033 c.c., riguarda il periodo successivo alla presentazione della domanda, essendo irrilevante l'allegazione e la dimostrazione di aver dovuto fare ricorso ad oneroso credito bancario in periodo precedente la presentazione della domanda di restituzione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.03.2010 n. 728 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Annullamento degli atti di gara - Cognizione del Giudice amministrativo - Investe anche il contratto medio tempore stipulato.
La cognizione del Giudice amministrativo ha ad oggetto non soltanto la domanda di annullamento degli atti di gara e dell'aggiudicazione definitiva di un appalto pubblico ma si estende altresì alla domanda del contraente pretermesso illecitamente dalla gara, e quindi privato della possibilità di stipulare il relativo contratto con l'amministrazione, di essere reintegrato nella sua posizione, con la privazione di effetti del contratto medio tempore stipulato dalla stazione appaltante con altro concorrente (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., ordinanza n. 2906 del 10.02.2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 23.03.2010 n. 708 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Annullamento dell'aggiudicazione provvisoria in autotutela - Avvio del procedimento - Non è necessario.
2. Annullamento dell'aggiudicazione provvisoria - Rinnovazione integrale della gara - E' legittimo ove sia stata riscontrata la violazione del principio di segretezza delle offerte.

1. Secondo orientamento costante, ove l'amministrazione intenda esercitare il proprio potere di autotutela rispetto all'aggiudicazione provvisoria (atto avente natura endoprocedimentale e non conclusivo del procedimento), non è tenuta a dare previa comunicazione dell'avvio del relativo procedimento versandosi ancora nell'unico procedimento iniziato con l'istanza di partecipazione alla gara, vantando l'aggiudicatario provvisorio una mera aspettativa di fatto alla conclusione del procedimento (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. V, 12.02.2010, n. 743).
2. E' legittimo il provvedimento con cui l'amministrazione, avendo espletato una gara d'appalto il cui vincitore è risultato illegittimamente ammesso, disponga la rinnovazione integrale della gara in conseguenza dall'accertamento del vizio radicale riscontrato in relazione alla violazione del principio della segretezza delle offerte durante lo svolgimento della procedura selettiva (cfr. Cons. Stato, sez. V, 06.03.2002, n. 1367) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 23.03.2010 n. 707 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Esclusione dalla procedura e contestuale aggiudicazione provvisoria ad altro concorrente - Impugnazione - Ricorso giurisdizionale - Deve essere notificato al controinteressato aggiudicatario provvisorio a pena di inammissibilità.
2. Appalti pubblici - Mancata notifica del ricorso principale al controinteressato - Inammissibilità - Proposizione di motivi aggiunti - improcedibilità per carenza d'interesse.

1. L'aggiudicatario provvisorio assume la veste di controinteressato nel ricorso proposto dal concorrente escluso dalla procedura ad evidenza pubblica quando l'esclusione e l'aggiudicazione siano avvenute contestualmente, ossia senza soluzione di continuità, potendo la ditta esclusa rendersi perfettamente conto che l'impugnativa incide sulla posizione, differenziata e giuridicamente protetta, di altro soggetto privato.
Di conseguenza la mancata notifica al medesimo del relativo gravame ne determina l'inammissibilità (Cons. Stato, Sez. VI 10.10.2002 n. 5453).
2. La mancata notifica del ricorso principale al controinteressato determina l'inammissibilità dello stesso e rende improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse gli ulteriori motivi aggiunti (Consiglio Stato Sez. VI, 23.06.2006, n. 4012) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 23.03.2010 n. 706 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Società cessionaria del ramo d'azienda - Obbligo di produrre le dichiarazioni di moralità riferite anche degli amministratori dell'impresa cedente - Non sussiste se non previsto dal bando.
Laddove il bando di gara nulla prescriva, non sussiste in capo all'impresa cessionaria del ramo d'azienda necessario per la partecipazione alla gara, l'obbligo di presentare in sede di offerta le dichiarazioni di moralità di cui all'art. 38, co. 1, lett. c), anche relativamente agli amministratori e ai direttori generali dell'impresa cedente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 23.03.2010 n. 705 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Piano di lottizzazione - Posizionamento recinzione - Ordinanze di demolizione inoppugnabili - Nuovi proprietari - riattivazione procedimento - Interesse pubblico - Ingiunzione di demolizione - Legittimità.
2. Piano di lottizzazione - Posizionamento recinzione - Ordinanza di demolizione - Assetto concordato tra privati - Natura giuridica della strada - Poteri repressivi del Comune - Legittimità.

1. In relazione ad una recinzione realizzata non in conformità alla determinazione dei punti fissi tra due comparti di lottizzazione per cui siano divenute inoppugnabili le ordinanze di demolizione adottate in seguito alla perenzione dei ricorsi, legittimamente il Comune può riattivare nei confronti dei nuovi proprietari il procedimento sanzionatorio intrapreso nei confronti della loro dante causa, corrispondente ad un interesse pubblico attuale che non richiede particolare motivazione posto che non è mutato il posizionamento della recinzione.
2. Poiché la determinazione dei punti fissi tra due comparti di lottizzazione è stata recepita e fatta propria dal Comune risulta conforme all'interesse pubblico il fatto che le costruzioni vengano realizzate secondo l'assetto concordato.
Peraltro risulta legittima l'ordinanza di rimozione impugnata posto che la natura giuridica della strada (di cui i ricorrenti contestano l'idoneità all'uso pubblico) e la titolarità della strada (di cui contestano la proprietà o almeno l'uso pubblico) parimenti non escludono il potere del Comune di adottare misure repressive in ordine a interventi edilizi non conformi alla normativa di settore o al titolo concessorio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.03.2010 n. 659).

EDILIZIA PRIVATA Abuso edilizio - Ingiunzione di demolizione - Obbligazione solidale ad eseguire del proprietario e del responsabile dell'abuso - Sussiste - Acquisizione dell'area di sedime - Non si verifica se il proprietario abbia fornito alla P.A. procedente, prima dell'ingiunzione, ogni elemento utile all'identificazione del responsabile - Estraneità del proprietario alla realizzazione dell'abuso - Azione di regresso nei confronti del responsabile - Sussiste.
Il soggetto che riveste la sola qualifica di "proprietario" è tenuto in solido con il responsabile dell'abuso edilizio ad eseguire la sanzione demolitoria irrogata dall'autorità amministrativa, con la sola preclusione dell'acquisizione dell'area di sedime, allorquando il proprietario abbia avuto modo di fornire, prima dell'emanazione dell'ingiunzione, all'Amministrazione procedente ogni elemento utile all'identificazione del soggetto responsabile dell'abuso.
Anche l'estraneità alla realizzazione dell'abuso edilizio non esonera il proprietario dell'edificio dalla responsabilità per la sanzione, salva l'eventuale azione di regresso nei confronti dell'autore del medesimo  (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.03.2010 n. 656 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Piano di recupero - Permesso di costruire in sanatoria - Qualificazione dell'intervento - Demolizione con ricostruzione - Art. 33 e 37 D.P.R. n. 380/2001 - Varianti in sanatoria - Legittimità.
2. Permesso di costruire in sanatoria - Demolizione con ricostruzione - Art. 33 e 37 D.P.R. n. 380/2001 - Sanzioni amministrative - Ricalcolo contributo sull'intera volumetria - Legittimità.

1. Non possono ascriversi alla categoria delle varianti in corso d'opera le varianti che modificano, per giunta in aumento, superfici commerciali e volumetrie, e che alterano la tipologia dell'intervento.
Pertanto nel caso di realizzazione di un intervento, in luogo di quello previsto nel piano di recupero (in parte di ristrutturazione e di manutenzione ed in parte di risanamento conservativo), di totale demolizione e ricostruzione, per giunta non fedele rispetto all'organismo preesistente, risultano legittimi i permessi di costruire in sanatoria volti a sanare, il primo, la demolizione eseguita in difformità del titolo ex art. 37 D.P.R. n. 380/2001, il secondo, l'intervento abusivo di ricostruzione ex art. 33 D.P.R n. 380/2001.
2. Rispetto ad un piano che prevedeva un intervento unitario di recupero la demolizione totale dell'edificio e la sua ricostruzione realizzata con volumi, superfici e sagoma difformi configura, unitariamente, una difformità totale, tale da dare luogo al ricalcolo del contributo sanzionatorio sull'intera volumetria realizzata.
Tanto più ove si consideri che la stessa ricorrente ha chiesto, prima, la sanatoria della demolizione, poi, la sanatoria della ricostruzione, risulta legittimo che nel permesso di costruire in sanatoria per la ricostruzione del fabbricato il Comune abbia calcolato l'oblazione su tutta la volumetria realizzata, salvo lo scomputo di quanto già versato come contributo di costruzione in base alle pregresse D.I.A. (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.03.2010 n. 643 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di opere di recinzione - Permesso di costruire - Necessità - Limiti.
La valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione; in base a tale criterio, dunque, non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "ius excludendi alios" o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà; occorre, invece, il permesso, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.
Per la posa in opera di una semplice recinzione con paletti in ferro, non infissi in muratura nel terreno, non è necessaria alcuna richiesta di provvedimento concessorio, trattandosi di installazione precaria e rientrando tale opera tra le attività di mera manutenzione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.03.2010 n. 636 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratto di avvalimento - Oggetto - Non soltanto le referenze maturate ma anche il complesso di beni organizzato (azienda) per l'esercizio dell'attività di impresa da parte dell'impresa ausiliaria.
La finalità dell'istituto dell'avvalimento é quella di consentire la massima partecipazione alle gare ad evidenza pubblica permettendo alle imprese non in possesso dei requisiti tecnici, di sommare, unicamente per la gara in espletamento, le proprie capacità tecniche ed economico-finanziarie a quelle di altre imprese.
L'avvalimento non è dunque una modalità associativa ma uno strumento di utilizzo delle risorse altrui nell'esecuzione del contratto e per tale ragione oggetto del contratto di avvalimento non può pertanto essere soltanto la referenza maturata in passato dall'impresa ausiliaria ma l'azienda, vale a dire, il complesso di beni organizzato per l'esercizio delle attività di impresa (cfr. TAR Veneto Venezia, sez. I, 06.11.2008, n. 3451 e Autorità Vigilanza sui Contratti Pubblici, parere n. 155 del 20.12.2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.03.2010 n. 613 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Art. 21-octies, L. 241/1990 - Preavviso di rigetto - Ambito di applicazione - Rapporto con gli artt. 7 e 10-bis - Partecipazione del privato al procedimento amministrativo - Omessa comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento - Successiva dimostrazione in giudizio che il contenuto del provvedimento non poteva essere differente da quello adottato - Illegittimità.
L'art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 è finalizzato a tradurre in concreto gli astratti principi di strumentalità delle forme rispetto al raggiungimento dello scopo e di conservazione degli effetti del provvedimento. Tuttavia, in virtù della valenza generale del principio del giusto procedimento, la norma deve, certamente, ricevere un'applicazione circoscritta, in relazione alle preminenti esigenze garantistiche da tutelare.
Non appare, infatti, condivisibile l'equiparazione del vizio di mancata comunicazione del preavviso di rigetto alla violazione delle altre norme sul contraddittorio procedimentale, atteso che gli artt. 7 e 21-octies da un lato e 10-bis dall'altro rispondono ad una funzione diversa, non assimilabile in alcun modo.
Mediante l'introduzione del preavviso di rigetto, il contraddittorio procedimentale tra amministrazione e destinatario dell'atto risulta più efficace, sia in relazione alla messa a nudo delle risultanze istruttorie in possesso dell'amministrazione, che alla formulazione di osservazioni del privato, potenzialmente rilevanti per l'emissione di un migliore provvedimento.
Mentre, infatti, la comunicazione di avvio del procedimento si colloca temporalmente nella preliminare fase istruttoria procedimentale, il preavviso di rigetto deve essere emesso e comunicato all'interessato in un momento successivo alla conclusione dell'istruttoria, nell'ambito, dunque, della fase decisoria del procedimento amministrativo, determinando un concreto apporto del destinatario al contenuto stesso del provvedimento.
Tanto premesso, in caso di omessa comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ex art. 10-bis della legge 241/1990, l'amministrazione non può dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. TAR Liguria, sez. I, 31.12.2009, n. 4129) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.03.2010 n. 607 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione - Contestazione vertente sulla quantificazione - Giurisdizione esclusiva del G.A. - Sussiste - Pretesa del privato diretta alla esatta determinazione del contributo dovuto - Si atteggia come diritto soggettivo.
Una contestazione che verta sulla quantificazione degli oneri di urbanizzazione, rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16 della L. n. 10/1977, e la pretesa del privato diretta alla esatta determinazione del contributo dovuto, si atteggia come diritto soggettivo, la cui azionabilità non è subordinata né all'impugnativa di un atto amministrativo formale, né all'osservanza del termine perentorio di decadenza, bensì di quello ordinario di prescrizione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.03.2010 n. 584 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Valutazione di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere - Va effettuata globalmente.
2. Intervento edilizio di demolizione di una parte del fabbricato, con conseguente modifica della sagoma dell'edificio originario - Qualificazione come intervento di manutenzione - Non sussiste.
1. Nel valutare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l'effettiva portata dell'operazione.
2. La demolizione di una parte del fabbricato, con conseguente modifica della sagoma dell'edificio originario, porta ad escludere che l'intervento edilizio possa essere ricondotto alla semplice manutenzione ordinaria o straordinaria (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.03.2010 n. 584 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Varianti in corso d'opera - Individuazione - Criteri.
Rientrano nella categoria delle varianti in corso l'opera i soli interventi edilizi in lieve difformità dal progetto assentito, che si rendano necessari nel corso dell'edificazione per ragioni tecniche non previste o prevedibili al momento della redazione di detto progetto, mentre non rientrano in tale categoria di varianti c.d. "leggere" quelle che prevedono la demolizione di una parte dell'edificio originario o una serie di interventi interni (quali lo spostamento di tavolati e la creazione di volumi, la diversa ubicazione di scale e finestre) ed esterni (chiusura di finestre, diversa dimensione delle aperture, porte e finestre, la difformità di altezza e di forma del frontale) che, complessivamente considerate, comportano una modifica del progetto originario di entità non trascurabile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.03.2010 n. 584 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Oneri di urbanizzazione - Contestazione vertente sulla quantificazione - Giurisdizione esclusiva del G.A. - Sussiste - Pretesa del privato diretta alla esatta determinazione del contributo dovuto - Si atteggia come diritto soggettivo.
2. Valutazione di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere - Va effettuata globalmente.
3. Intervento edilizio di demolizione di una parte del fabbricato, con conseguente modifica della sagoma dell'edificio originario - Qualificazione come intervento di manutenzione - Non sussiste.
4. Varianti in corso d'opera - Individuazione - Criteri.

1. Una contestazione che verta sulla quantificazione degli oneri di urbanizzazione, rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16 della L. n. 10/1977, e la pretesa del privato diretta alla esatta determinazione del contributo dovuto, si atteggia come diritto soggettivo, la cui azionabilità non è subordinata né all'impugnativa di un atto amministrativo formale, né all'osservanza del termine perentorio di decadenza, bensì di quello ordinario di prescrizione.
2. Nel valutare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l'effettiva portata dell'operazione.
3. La demolizione di una parte del fabbricato, con conseguente modifica della sagoma dell'edificio originario, porta ad escludere che l'intervento edilizio possa essere ricondotto alla semplice manutenzione ordinaria o straordinaria.
4. Rientrano nella categoria delle varianti in corso l'opera i soli interventi edilizi in lieve difformità dal progetto assentito, che si rendano necessari nel corso dell'edificazione per ragioni tecniche non previste o prevedibili al momento della redazione di detto progetto, mentre non rientrano in tale categoria di varianti c.d. "leggere" quelle che prevedono la demolizione di una parte dell'edificio originario o una serie di interventi interni (quali lo spostamento di tavolati e la creazione di volumi, la diversa ubicazione di scale e finestre) ed esterni (chiusura di finestre, diversa dimensione delle aperture, porte e finestre, la difformità di altezza e di forma del frontale) che, complessivamente considerate, comportano una modifica del progetto originario di entità non trascurabile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.03.2010 n. 584 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA 1. Ordinanza di ripristino di un'area - Locazione ad altra società - Acquisizione gratuita al patrimonio del Comune - Non estraneità all'abuso - Disponibilità dell'area - Legittimità.
2. Ordinanza di ripristino di un'area - Posa di materiale inerte - Qualificazione come costruzione - Mancanza di permesso di costruire - Legittimità.
3. Ordinanza di ripristino di un'area - Acquisizione gratuita al patrimonio del Comune - Potere di controllo e sanzionatorio - Vetustà dell'abuso - Affidamento - Sanatoria - Non sussiste.

1. L'art. 31 D.P.R. n. 380/2001, nel caso di accertata esecuzione di interventi in assenza di permesso, prevede di ingiungere al proprietario dell'area, oltre che al responsabile dell'abuso, la rimozione o la demolizione, e posto che nel caso di specie non può ritenersi che la proprietaria ricorrente non abbia la disponibilità del bene o sia estranea alla commissione degli abusi, in quanto realizzati e contestati in un momento antecedente alla stipulazione del contratto di locazione dell'area ad altra società, risulta legittimamente adottata l'ordinanza di remissione in pristino dell'area e, conseguentemente, in ragione dell'inottemperanza all'ordine, l'acquisizione gratuita al patrimonio del Comune dell'area opera nei confronti della proprietaria.
2. In considerazione dell'entità del deposito dei materiali e della stabilità dell'utilizzazione dell'area come deposito, nonché dello spargimento di ghiaia sull'area preordinata a modificare la destinazione d'uso da zona per "attrezzature pubbliche" a deposito, è da ritenersi realizzata una trasformazione permanente dell'assetto edilizio del territorio necessitante permesso di costruire ai sensi dell'art. 3, lett. e), D.P.R. n. 380/2001, e conseguentemente legittimo l'ordine di ripristino dell'area impugnato.
3. Non esclude il carattere abusivo dell'opera il fatto che l'area fosse da decenni adibita a tale attività produttiva, poiché la vetustà dell'opera non esclude il potere di controllo ed il potere sanzionatorio del Comune in materia urbanistico-edilizia, perché l'esercizio di tale potere non è soggetto a prescrizione o decadenza; ne consegue che l'accertamento dell'illecito amministrativo e l'applicazione della relativa sanzione può intervenire anche a notevole distanza di tempo dalla commissione dell'abuso, senza che il ritardo nell'adozione di sanzione comporti sanatoria o il sorgere di affidamenti o di situazioni consolidate (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.03.2010 n. 583 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Decadenza della concessione edilizia - Effetti - Dichiarazione della P.A. - Necessità.
La decadenza della concessione edilizia per mancato inizio ed ultimazione dei lavori non è automatica e deve, pertanto, essere dichiarata con apposito provvedimento della P.A. che renda operanti gli effetti della decadenza accertata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.03.2010 n. 582 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Manufatto tipo container - Qualora non risponda ad esigenze contingibili del proprietario - Necessità di apposito titolo abilitativo edilizio - Sussiste.
Un manufatto tipo container qualora non risponda ad esigenze contingibili del proprietario ma risulta destinato a soddisfare stabilmente esigenze di utilizzo necessita di apposito titolo abilitativo edilizio, trattandosi di nuova costruzione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.03.2010 n. 558 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rigetto di concessione edilizia in variante - Identità con progetti già respinti - Atto confermativo - Parere Commissione Edilizia - Non sussiste.
In merito ad una domanda di concessione in variante, deve escludersi, nonostante l'identità del progetto con quelli allegati a precedenti richieste in variante già respinte, che il rigetto del titolo edilizio rientri nella categoria degli atti meramente confermativi nel caso in cui lo stesso sia il risultato di una nuova istruttoria (con acquisizione del parere negativo della Commissione Edilizia) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.03.2010 n. 557 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Varianti urbanistiche - Obbligo di motivazione - Casi di affidamento qualificato del privato - Sussiste.
Le motivazioni delle varianti urbanistiche devono essere puntuali, in quanto lesive delle legittime aspettative edificatorie dei privati, solo in caso di affidamento qualificato di questi ultimi, rientrando in tale ipotesi le situazioni di chi ha ottenuto un giudicato di annullamento di una precedente destinazione di zona, ovvero di un diniego di titolo abilitativo edilizio,oppure ancora del silenzio-rifiuto formatosi su una domanda edilizia e infine di chi ha stipulato accordi vincolanti con la P.A., quale una convenzione di lottizzazione.
A fronte di aspettative di mero fatto, le scelte di natura tanto ambientale quanto urbanistica rimesse alla P.A. nell'interesse generale sono di regola sufficientemente motivate con l'indicazione dei profili generali e dei criteri che hanno sorretto la previsione di variante, senza necessità di una motivazione mirata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.03.2010 n. 556 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Reiterazione di vincoli espropriativi - Lesione dell'interesse pretensivo - Risarcimento del danno - Necessità della prova della natura vincolata o sostanzialmente vincolata dell'attività amministrativa successiva alla rimozione dei vincoli espropriativi illegittimi - Sussiste.
2. Reiterazione di vincoli espropriativi - Pagamento dell'indennizzo - Art. 39 comma 1, d.P.R. n. 327 del 2001 - Giurisdizione - Appartiene al Giudice civile.

1. Il risarcimento del danno per lesione dell'interesse pretensivo ascrivibile all'illegittima reiterazione di vincoli espropriativi non può ridursi alla mera deduzione della pregressa impossibilità di utilizzare un terreno a fini edificatori per un determinato lasso temporale, ma deve poggiare sulla prova, seppur di tipo logico, della natura vincolata o sostanzialmente vincolata dell'attività amministrativa successiva alla rimozione dei vincoli espropriativi illegittimi.
2. I profili attinenti al pagamento dell'indennizzo per vincolo espropriativo scaduto e reiterato non attengono alla legittimità del procedimento espropriativo, ma riguardano questioni di carattere patrimoniale (che presuppongono la conclusione del procedimento di pianificazione), devolute alla cognizione della giurisdizione civile; tale principio è stato ora esplicitato dall'art. 39 comma 1 del testo unico sugli espropri, approvato col D.P.R. n. 327 del 2001 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.03.2010 n. 552 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Piano di recupero - Variante al P.R.G. - Successione tra discipline - Provvedimento inibitorio dei lavori di cui alla D.I.A. - Clausola di salvezza - Illegittimità - Attività commerciale - Regolamento Regionale n. 3/2000 - Inapplicabile.
In relazione ad una media struttura di vendita già assentita in esecuzione di un piano di recupero, nel caso in cui la successiva variante al P.R.G. adottata, pur disponendo espressamente per tale piano di recupero l'esclusione dell'insediamento di nuove medie e grandi strutture, contenga una clausola di salvezza generale che esclude dal campo di applicazione delle nuove N.T.A. i provvedimenti edilizi relativi a progetti conformi a strumenti attuativi vigenti (ed anche le domande già solo approvate in Commissione Edilizia o le D.I.A. già depositate) si deve ritenere prevalente la preesistente disciplina del piano di recupero e conseguentemente illegittima la diffida comunale finalizzata ad inibire i lavori di cui alla D.I.A. in variante depositata dal ricorrente.
Similmente la generica destinazione commerciale indicata nel piano di recupero non può essere interpretata in base all'art. 6 del Regolamento Regionale n. 6/2000, secondo cui la generica previsione commerciale è da intendersi come previsione di esercizi di vicinato, in quanto tale regolamento è successivo all'approvazione del piano di recupero, risultando conseguentemente consentito l'insediamento di attività commerciale senza ulteriore specificazione (comprese le medie e grandi strutture di vendita di alimentari) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.03.2010 n. 536 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Provvedimento inibitorio dei lavori di cui alla D.I.A. - Tardività - Art. 23 D.P.R. n. 380/2001 - Non sussiste.
Non è tardivo il provvedimento di inibizione dei lavori di cui alla D.I.A. presentata dal ricorrente in quanto il rispetto del termine dei trenta giorni di cui all'art. 23, comma 6, D.P.R. n. 380/2001, per l'esercizio dell'attività inibitoria, va verificato con riferimento all'adozione del provvedimento e non all'avvenuta notifica dello stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.03.2010 n. 536 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI Gara d'appalto - Concorrente legittimamente escluso - Ricorso per motivi aggiunti - Inammissibilità per carenza d'interesse - Mancanza dell'interesse alla riedizione della gara e alla partecipazione.
E' inammissibile la censura formulata con motivi aggiunti, da un soggetto escluso legittimamente dalla procedura di gara, riguardo ai successivi atti della procedura. Il problema che viene in esame è quello della sussistenza o meno di un interesse a ricorrere, in capo al concorrente legittimamente escluso da una procedura di evidenza pubblica, che chieda l'annullamento di atti successivi ed ulteriori rispetto alla propria esclusione.
Se di regola è sufficiente l'interesse strumentale del partecipante ad una gara pubblica di appalto, onde ottenere la riedizione della gara stessa, deve in ogni caso ritenersi che un tale interesse non sussista in capo al soggetto legittimamente escluso, dato che tale soggetto, per effetto dell'esclusione, rimane privo non soltanto del titolo legittimante a partecipare alla gara, ma anche a contestarne gli esiti e la legittimità delle distinte scansioni procedimentali (la fattispecie in esame è identica a quella affrontata da C.S. 26.11.2009 n. 7443, nella quale è stata affermata la compatibilità del predetto orientamento, con i principi scaturenti dalla pronuncia dell'Adunanza Plenaria n. 11 del 2008; vedi anche C.S. Sez. V 29.12.2009 n. 8969) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.03.2010 n. 514 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Valutazione dell'offerta anomala - Spese generali - Elemento ad incidenza variabile - Natura globale e sintetico del giudizio sull'anomalia dell'offerta - Necessità.
Ai fini della verifica dell'anomalia dell'offerta in una gara d'appalto le percentuali per spese generali non sono incomprimibili, trattandosi di elementi la cui incidenza è variabile da impresa ad impresa (TAR Liguria, Sez. II, 06.04.2009 n. 615, TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 05.09.2007 n. 1393).
La giurisprudenza ha ritenuto anomale le offerte che prevedessero spese generali pari a zero (TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 26.06.2007 n. 1098), diversamente dalla fattispecie concreta, in cui il loro valore medio non è irrilevante (6,8%). Costituisce principio consolidato quello secondo cui il giudizio di anomalia di un'offerta ha natura globale e sintetica e deve risultare da un'analisi di carattere tecnico delle singole componenti in cui l'offerta si scompone e della relativa incidenza sulla medesima offerta considerata nel suo insieme, al fine di valutare se l'anomalia delle dette componenti si traduca nell'inattendibilità dell'offerta complessiva stessa.
Il giudizio finale deve quindi essere un giudizio globale e sintetico dell'attendibilità dell'offerta nel suo insieme (TAR Lazio Roma, sez. III, 10.01.2007 n. 92), come risulta effettuato nella fattispecie concreta, a prescindere dall'esiguità, tuttavia non irrilevante, delle spese generali (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.03.2010 n. 511 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Art. 38, comma 3, DPR 445/2000 - Autodichiarazione - Non sussiste equiparazione tra dichiarazione originale e fotocopia della stessa.
2. Bando - Mancata produzione di un documento previsto a pena di esclusione - Produzione postuma del documento - Inammissibile.

1. L'art. 38, comma 3, del DPR n. 445/2000, in base al quale "le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono sottoscritte dall'interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore, la copia fotostatica del documento è inserita nel fascicolo", non possa essere interpretato nel senso di una sostanziale equivalenza della dichiarazione originale a quella in fotocopia.
La norma richiamata prevede una duplice modalità di formazione della autodichiarazione riconoscendo ad entrambe la medesima efficacia. In particolare, riconosce all'allegazione della fotocopia del documento di identità una funzione di attribuzione certa della paternità della sottoscrizione al pari della apposizione della medesima innanzi al pubblico ufficiale senza, con ciò, introdurre ulteriori possibilità quanto alla tipologia di sottoscrizione che deve, in entrambi i casi essere apposta in originale.
Nessun elemento testuale depone nel senso di una equiparazione fra la dichiarazione sottoscritta in originale e la fotocopia della sottoscrizione.
2. La mancata produzione di un documento previsto dal Bando a pena di esclusione determina l'esclusione del concorrente, senza possibilità di integrazione successiva poteva essere consentita in quanto, coma la giurisprudenza ha ripetutamente precisato, "la produzione postuma di un documento, come sempre avviene nelle pubbliche gare, non ha mai l'effetto di sanare retroattivamente la causa di esclusione giacché ciò darebbe luogo ad una non consentita disapplicazione di regole poste a garanzia dell'imparzialità del procedimento e finirebbe con lo snaturare la stessa fisionomia delle pubbliche gare" (Cons. stato, Sez. V, 31.10.2008, n. 5458) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.03.2010 n. 501 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Violazione dell'art. 10-bis della l. n. 241/1990 - Interpretazione alla luce dell'art. 21-octies, comma 2 - Necessità - Annullamento del provvedimento finale - Non può essere disposto ove la violazione non abbia inciso sulla legittimità sostanziale.
La violazione dell'art. 10-bis della legge 07.08.1990 n. 241 non produce ex se l'illegittimità del provvedimento finale dovendo la disposizione sul preavviso di rigetto essere interpretata alla luce del successivo art. 21-octies, comma 2 della medesima legge, che impone al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e, quindi, di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo, vale a dire, laddove il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato (cfr. ex multis: Cons. Stato, sez. III, n. 7/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.03.2010 n. 493 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordine di demolizione di opere abusive - Illegittimità per carenza di istruttoria e di idonea motivazione - Sussiste allorquando risulti che era stata presentata domanda di rilascio del titolo edilizio che aveva avuto un riscontro positivo condizionato all'approvazione della nuova disciplina urbanistica e nel caso di affidamento ingenerato in capo al proprietario da parte della P.A. che nel corso degli anni aveva assentito interventi sull'immobile oggetto dell'ordine di demolizione.
E' illegittimo un ordine di demolizione di un manufatto abusivo carente di motivazione, da cui emerge che la P.A. non ha effettuato alcuna istruttoria che avrebbe invece consentito di appurare come in relazione al manufatto oggetto della domanda di demolizione fosse stata presentata a suo tempo una domanda di licenza di costruire che aveva avuto un riscontro positivo, condizionato tuttavia all'approvazione della nuova disciplina urbanistica e, inoltre, che l'Amministrazione aveva, nel corso degli anni, assentito ulteriori interventi sull'immobile oggetto dell'ordine di demolizione, circostanza questa che, sebbene non comporti ex se il riconoscimento della non abusività del manufatto, rivela tuttavia come si fosse ingenerata una posizione di affidamento nei proprietari che doveva portare l'Amministrazione ad esaminare con maggior cura i fatti contestati (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.03.2010 n. 489 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ingiunzione di demolizione - Qualificazione manufatto - Art. 27 L.R. n. 12/2005 - Assenza di rilevanza edilizia - Illegittimità.
E' illegittima l'ordinanza di ingiunzione di demolizione di un manufatto che non dà vita ad un nuovo volume (nella specie consistente in un'intelaiatura appoggiata al suolo di supporto ad una tenda) in quanto non rientrando tale opera nella tipologia di cui all'art. 27, comma 1, lett. e), n. 5, L.R. n. 12/2005 e risultando la stessa priva di rilevanza edilizia dal punto di vista sia strutturale sia funzionale, tale opera non necessita di un titolo edilizio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.03.2010 n. 488 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Chiusura delle buste di gara - Mancanza della ceralacca - Altra modalità idonea a garantirne la riservatezza e la segretezza - Esclusione dalla gara - E' illegittima.
E' illegittimo il provvedimento di esclusione da una procedura ad evidenza pubblica disposta dalla stazione appaltante nei confronti di un'impresa per aver violato le prescrizioni del bando e della lex specialis di gara, laddove tali violazioni non abbiano inciso in alcun modo sull'interesse pubblico protetto dalle norme sull'evidenza pubblica (cfr. TAR Calabria Reggio Calabria, 22.02.2006 n. 326) (fattispecie nella quale il Collegio ha annullato il provvedimento di esclusione di un concorrente da una gara disposta dall'amministrazione sul rilievo che la busta contenente l'offerta economica non era sigillata con la ceralacca come prescriveva il bando di gara ma chiusa con modalità alternative tali comunque da garantirne la riservatezza e la segretezza) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 02.03.2010 n. 483 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Art. 16, comma 2, D.P.R. n. 380/2001 - Diritto allo scomputo per l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione - Configurabilità nella misura e con le modalità previste dal Comune in via unilaterale o concordate con il privato.
Dal dettato dell'art. 16, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001 si evince che un diritto allo scomputo, per l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione, è configurabile non in modo indiscriminato, ma nella misura e "con le modalità" stabilite dal Comune in via unilaterale (in sede di rilascio della concessione, ora permesso di costruire), ovvero concordate tra le parti (in sede di stipula della convenzione urbanistica) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.03.2010 n. 482 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire - Diniego - Indicazione dell'articolo delle NTA violato - Insufficienza.
2. Permesso di costruire - Diniego - Preavviso di rigetto - Necessità - Sussiste.

1. La semplice menzione della disposizione delle NTA presuntamente violata è insufficiente a motivare il diniego del permesso di costruire in quanto non indicato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione negativa dell'Amministrazione.
2. E' illegittimo il diniego di permesso di costruire non preceduto dal preavviso di rigetto di cui all'art. 10-bis della Legge 241/1990 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.02.2010 n. 477 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della P.A. - Appalto - Gara - Concorrenti - Art. 37, co. 4, D.Lgs. 163/2006 - Obbligo di indicare le parti del servizio che saranno assunte da ciascuna impresa - Sussiste sia per i raggruppamenti di tipo verticale che per quelli di tipo orizzontale.
La ratio dell'art. 37, co. 4, D.Lgs. 163/2006 deve rinvenirsi nella tendenza ad escludere, sin dalla fase di celebrazione della gara -e non solo nel suo momento esecutivo- partecipazioni fittizie o di comodo e, dunque, ad evitare che alla spendita dei requisiti di partecipazione non corrisponda un identico impegno in sede di esecuzione del servizio.
Di conseguenza, l'obbligo di indicare le parti del servizio che saranno assunte da ciascun componente sussiste sia nelle ipotesi di Ati verticali, che di Ati orizzontali, per la ragione essenziale che tale disposizione non distingue fra le due tipologie di associazioni e che non vale richiamare, in senso contrario, la regola della responsabilità solidale prevista per le sole Ati orizzontali (cfr. conf. TAR Lazio Roma, sez. III-ter, 04.12.2008, n. 11006; in senso contrario, si v. TAR Calabria Reggio Calabria, 27.02.2009, n. 113) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.02.2010 n. 417 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Procedura di gara - Diritto di accesso agli atti - Rapporto con il diritto riservatezza e alla tutela dei segreti industriali dell'impresa aggiudicataria - Prevalenza del diritto di accesso - Sussiste - Limiti e modalità.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi di una procedura di gara deve ritenersi prevalente rispetto all'interesse alla tutela della riservatezza e del segreto industriale dell'impresa aggiudicataria, con la precisazione che l'accesso in favore del partecipante alla gara risultato non aggiudicatario è limitato a quei documenti -o parti di essi- valutati dall'Amministrazione per l'ammissione alla procedura, per la verifica della sussistenza dei requisiti di partecipazione e per la valutazione, anche in punto di congruità, dell'offerta e l'attribuzione dei punteggi.
Spetta quindi alla stazione appaltante l'adozione di adeguate misure di tutela della riservatezza -quali, ad esempio, cancellature o omissis- in relazione alle eventuali parti del progetto idonee a rivelare i segreti industriali e che non siano state in alcun modo prese in considerazione in sede di gara (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.02.2010 n. 416 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti di telefonia mobile - Atti di pianificazione urbanistica che stabiliscono il divieto generalizzato di installazione su ambiti territoriali comunali non interessato da obiettivi sensibili - Illegittimità.
Per giurisprudenza ormai consolidata, i Comuni non possono, attraverso atti regolamentari o di pianificazione urbanistica, introdurre divieti di localizzazione degli impianti di telefonia mobile che abbiano carattere generale per talune porzioni di territorio (tanto più per gli impianti di potenza inferiore ai 300 WATT, come è nel caso di specie), considerato che la potestà riconosciuta agli enti locali dall'art. 8 della legge n. 36/2001 in materia di "individuazione dei siti di trasmissione" non può tradursi in divieti assoluti di localizzazione su parti del territorio non interessate da obiettivi sensibili (cfr. ex multis: Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3332/2006 e TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1815/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.02.2010 n. 415 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Abusi edilizi - Alienazione dell'immobile - Responsabilità in capo al titolare della concessione - Permane.
2. Abusi edilizi - Condono - Oneri di documentazione catastale - Scopo - Corrispondenza tra situazione reale e registri ufficiali.

1. L'alienazione del bene non sottrae il titolare della concessione, responsabile dell'abuso, alle sanzioni comminate dalla legge ed irrogate dall'Autorità amministrativa per l'inosservanza della normativa di settore, delle previsioni della concessione edilizia e delle modalità esecutive stabilite dalla medesima: ciò in forza di quanto previsto dall'art. 6 Legge n. 47/1985, oggi art. 29 DPR n. 380/2001.
2. La disciplina del condono, laddove prevede oneri di documentazione catastale, ha lo scopo di regolarizzare gli abusi anche sotto tale profilo, in modo che la situazione reale trovi corrispondenza nei relativi registri (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.02.2010 n. 412 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere eseguite senza autorizzazione - Sanzione demolitoria in luogo della sanzione pecuniaria - Illegittimità.
In caso di opere eseguite senza autorizzazione, risulta intrinsecamente contraddittoria, e dunque illegittima, l'ordinanza che, dopo avere contestato la realizzazione dell'opera in assenza di autorizzazione edilizia, anziché applicare l'art. 10 della Legge 47/1985, ovverossia la sanzione pecuniaria, che disciplina il caso delle opere eseguite senza autorizzazione, applichi invece la sanzione demolitoria, che è invece propria delle opere realizzate in assenza di concessione ex art. 7, secondo comma, Legge 47/1985 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.02.2010 n. 411 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abuso edilizio - Ricorso avverso ordine di demolizione - Accertamento in sede giurisdizionale dell'epoca di costruzione dell'opera edilizia - Onere in capo al privato di fornire un principio di prova in ordine al tempo dell'ultimazione - Sussiste - Fattispecie.
Il soggetto che contesti la legittimità dell'ordinanza sindacale di demolizione di un manufatto abusivo, ha l'onere di fornire un principio di prova in ordine al tempo dell'ultimazione di quest'ultimo (nel caso di specie il TAR ha accolto il gravame, avendo il ricorrente provato l'esistenza dell'immobile mediante la produzione di documentazione fotografica che lo ritraeva in tenera età dinnanzi all'immobile già ultimato) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.02.2010 n. 386 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Lottizzazione abusiva - Lottizzazione abusiva c.d. materiale - Presupposti.
2. Lottizzazione abusiva - Opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni - Definizione.
3. Lottizzazione abusiva - Baracche precarie e recinzioni - Non costituiscono lottizzazione abusiva - Art. 30 DPR 380/2001 - Inapplicabilità - Ratio.

1. Ricorre la fattispecie della lottizzazione abusiva c.d. materiale in presenza di opere che comportino la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione.
2. Il concetto di opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni fa riferimento ad opere che in concreto stravolgono l'assetto del territorio preesistente, risultando idonee a realizzare un nuovo insediamento abitativo.
3. Nel caso di opere consistenti in una recinzione e in manufatti precari, facilmente rimovibili è errata l'applicazione dell'art. 30 DPR 380/2001, poiché difetta il presupposto necessario e imprescindibile per parlare di lottizzazione abusiva, costituito dalla trasformazione funzionale del terreno e dello stravolgimento dell'assetto dello stesso: non è infatti la semplice esistenza di più opere abusive a configurare ex se la lottizzazione abusiva, essendo richiesto un quid pluris, cioè che le opere comportino la trasformazione urbanistica ed edilizia del terreno: si deve escludere che possano rientrare in questa categoria baracche precarie e recinzioni, che non appaiono manifestazione di un intento edificatorio per lotti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.02.2010 n. 385 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso ai documenti amministrativi - Documenti di natura privatistica concernenti attività di pubblico interesse - Documenti attinenti alla fase di esecuzione di un contratto di appalto - Diritto di accesso - Sussiste.
In base alla disciplina contenuta negli artt. 22 e ss., L. 07.08.1990, n. 241, il diritto di accesso può esercitarsi anche rispetto a documenti di natura privatistica, purché concernenti attività di pubblico interesse.
Pertanto, i documenti attinenti alla fase di esecuzione di un contratto di appalto pubblico sono soggetti all'esercizio del diritto di accesso (Conf. TAR Lombardia Milano, sez. I, 08.08.2007, n. 209) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.02.2010 n. 373 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Ordinanze contingibili e urgenti - Competenza - Adozione da parte del responsabile del servizio tecnico - Illegittima.
E' illegittimo l'utilizzo da parte del responsabile del servizio tecnico di un comune del potere di ordinanza di cui all'articolo 50, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, posto che tale disposizione disciplina il potere di ordinanza del sindaco (ipotesi in cui il responsabile del servizio tecnico aveva adottato un'ordinanza diretta alla rimozione della chiusura al transito della strada di uso pubblico) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.02.2010 n. 372 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Definizione dei requisiti di partecipazione - Ampia discrezionalità da parte dell'amministrazione - Limiti - Adeguatezza, non eccessività rispetto alla prestazione, ragionevolezza e principi comunitari.
La stazione appaltante gode di ampia discrezionalità nella fissazione dei requisiti di partecipazione ad una gara, purché tale operazione avvenga conformemente ai criteri di ragionevolezza, parità di trattamento ed efficienza della azione amministrativa. Ne deriva che possono essere previsti requisiti di partecipazione ristretti e selettivi solo quando tali criteri rispondano ad esigenze oggettive dell'amministrazione in relazione al tipo di prestazione oggetto dell'appalto.
Deve quindi trattarsi di requisiti adeguati, non eccessivi rispetto a dette esigenze e commisurati all'effettivo valore della prestazione, in base alla specificità del servizio oggetto dell'appalto ed alle speciali caratteristiche della prestazione e della struttura in cui deve svolgersi, nel rispetto dei principi di ragionevolezza ed imparzialità dell'azione amministrativa e nel rispetto dei principi, di derivazione comunitaria ed immanenti nell'ordinamento nazionale, di concorrenza ed apertura del mercato degli appalti pubblici (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 18.06.2007, n. 5269) (fattispecie nella quale il Collegio ha annullato il bando di gara laddove richiedeva ai concorrenti un fatturato globale, su base annuale, pari a circa 15 volte l'importo posto a base di gara, in quanto tale requisito è stato ritenuto sproporzionato in relazione alla funzione di garanzia e affidabilità che assolve il requisito di capacità economica e finanziaria di cui all'art. 41 del d.lgs. n. 163/2006) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.02.2010 n. 371 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire - Atti interlocutori - Atti idonei ad arrestare il procedimento a tempo indefinito - Impugabilità - Sussiste - Ratio.
2. Permesso di costruire - Atti interlocutori - Atti idonei ad arrestare il procedimento a tempo indefinito - Interesse a ricorrere - Sussiste - Ratio.

1. Qualora la P.A. abbia, attraverso note, determinato un arresto procedimentale a tempo indefinito, subordinando la ripresa del procedimento per il rilascio del permesso di costruire ad un avvenimento futuro ed incerto, quale la presentazione di una proposta di variante al Piano di Recupero da parte del privato, fattispecie che rende quanto mai incerta la riattivazione del procedimento amministrativo, ne consegue che le suddette note, pur non prevedendo da un punto di vista strettamente formale un esplicito rigetto dell'istanza di titolo edilizio, sono però idonee ad arrestare il procedimento, rinviando sostanzialmente sine die ogni decisione sulla domanda del privato: è pertanto ammissibile, in tale ipotesi, l'immediata impugnabilità dei citati atti interlocutori, in quanto idonei a cagionare un arresto procedimentale capace di frustrare l'aspirazione dell'istante ad un celere soddisfacimento dell'interesse pretensivo prospettato, ovvero volti a rinviare ad un avvenimento futuro ed incerto nell'an e nel quando il soddisfacimento del suddetto interesse pretensivo, determinando un arresto del procedimento che il privato ha attivato con la sua istanza (cfr. TAR Catania, sent. n. 60/2009; Cons. di Stato, sent. nn. 1378/1999 e 1716/1999).
2. In caso di atti interlocutori della P.A. idonei ad arrestare sine die il procedimento volto all'ottenimento di permesso di costruire, sussiste l'interesse ad agire in capo all'esponente, dal momento che l'annullamento degli atti impugnati imporrà alla P.A. di pronunciarsi chiaramente sulla domanda di permesso di costruire (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.02.2010 n. 333 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Agibilità - Istanza di agibilità - Decorrenza del termine e attestazione dell'agibilità - Natura - E' legittimazione ex lege - Silenzio-assenso - Inconfigurabilità.
2. Agibilità - Diniego di agibilità - Presupposti.
3. Agibilità - Diniego di agibilità - Motivazioni - Riferimento a violazioni della normativa urbanistica o edilizia - E' sufficiente.
4. Agibilità - Agibilità parziale - Configurabilità - Presupposti normativi.

1. La previsione normativa secondo cui l'agibilità si intende attestata decorso il termine indicato, non configura una vera e propria ipotesi di silenzio assenso in senso tecnico ex art. 20 Legge 241/1990, bensì dà luogo ad una sorta di legittimazione ex lege, che prescinde dalla pronuncia della P.A. e che trova il suo fondamento nella effettiva sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per il rilascio del titolo (cfr. TAR Lazio, sent. n. 4129/2005).
2. L'agibilità può essere negata non solo in caso di mancanza di condizioni igieniche ma anche in caso di contrasto con gli strumenti urbanistici o con il titolo edilizio, come a titolo esemplificativo, il caso di assenza di idoneo progetto o di mancato pagamento degli oneri concessori (cfr. Cons. di Stato, sent. nn. 6174/2008 e 1542/2005; TAR Milano, sent. n. 4672/2009; TAR Lazio, sent. n. 4129/2005).
3. Il diniego di agibilità non può essere reputato illegittimo per la sola circostanza che sia motivato con riferimento a presunte violazioni della normativa urbanistica o edilizia: risulterebbe, infatti, assurdo il rilascio da parte del Comune dell'agibilità a fronte di un'opera magari palesemente abusiva e destinata quindi con certezza alla demolizione, apparendo tale comportamento della P.A. contraddittorio rispetto al perseguimento del pubblico interesse.
4. In materia di agibilità, non paiono sussistere ostacoli, sul piano normativo, al rilascio di agibilità per parti autonome di edifici, soprattutto in casi i cui gli interventi edilizi di recupero interessino una vasta area, ove sorgono distinte unità immobiliari: poiché infatti, ex art. 222 R.D. 1265/1934, può essere dichiarata inabitabile una casa o parte di essa, si riconosce così implicitamente l'ammissibilità di una agibilità parziale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.02.2010 n. 332 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire - Natura - E' atto irrevocabile -Conseguenze.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Edilizia ed urbanistica - Sussiste - Fattispecie.

1. Il permesso di costruire è irrevocabile per espresso disposto normativo -art. 11, comma 2, DPR 380/2001 e art. 35, comma 2, LR 12/2005- : pertanto, un atto che voglia eliminare dal mondo giuridico tale titolo edilizio deve configurarsi necessariamente quale atto di annullamento (cfr. TAR Milano, sent. n. 4929/2009).
2. Va accolta la domanda di risarcimento del danno proposto dal ricorrente in relazione agli effetti lesivi provocati dal rilascio del titolo edilizio al controinteressato per il periodo in cui ha prodotto effetti, effetti lesivi che il provvedimento di revoca o di annullamento del titolo edilizio non è idoneo a rimuovere (nella fattispecie il TAR ha tuttavia limitato il risarcimento del danno alle sole spese tecniche sostenute dal ricorrente connesse alla fase difensiva del giudizio nel periodo intercorrente tra il rilascio del permesso di costruire e la sua revoca da parte del Comune, ritenendo i restanti danni richiesti -danni diretti alla struttura dell'immobile di proprietà, danni permanenti (limitazioni al legittimo godimento del loro diritto di proprietà) e danni derivanti dalla svalutazione del valore commerciale della proprietà dei ricorrenti- non diretta conseguenza del titolo edilizio rilasciato dal Comune) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.02.2010 n. 300 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Ricorso giurisdizionale - Improcedibilità del ricorso - Entrata in vigore nuove previsioni urbanistiche - Non sussiste.
2. Strumenti urbanistici e durata delle misure di salvaguardia - Art. 12, comma 3, DPR 380/2001 - Prevalenza su norme regionali previgenti di contenuto difforme - Sussiste - Ratio.
1. Va respinta l'eccezione con la quale l'Ente resistente ha eccepito l'improcedibilità del ricorso, per effetto dell'intervenuta approvazione del Piano di Governo del Territorio (PGT) che ha inserito in zona agricola l'area della ricorrente, dal momento che l'asserita modifica della destinazione dell'area, effettuata dal PGT non impugnato, non priva l'esponente dell'interesse ad agire in relazione alla domanda di risarcimento del danno proposta con il ricorso avverso il diniego di rilascio del permesso di costruire, anche per equivalente - cagionato dalla condotta illegittima della P.A. per avere impedito l'edificazione nel tempo anteriore all'approvazione del vigente PGT.
2. In materia di adozione di strumenti urbanistici e di durata delle relative misure di salvaguardia, l'art. 12, comma 3, DPR 380/2001 -in forza del quale in caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda e tale misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico ovvero cinque anni nell'ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all'amministrazione competente all'approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione- prevale su norme regionali previgenti di contenuto difforme, in quanto costituisce norma statale di principio, come tale prevalente sulle difformi norme regionali (cfr. Cons. di Stato, Ad. Plenaria, sent. n. 2/2008 e n. 5632/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.02.2010 n. 298 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Presupposti - Lettera di impegno del privato alla realizzazione o completamento di opere di urbanizzazione - E' sufficiente.
Il permesso di costruire è subordinato alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione, da parte del Comune, dell'attuazione delle stesse nel successivo triennio ovvero all'impegno degli interessati di procedere alla loro attuazione contemporaneamente all'intervento di cui al permesso: la P.A. deve pertanto tenere in considerazione eventuali lettere di impegno in tal senso da parte dei privati (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.02.2010 n. 298 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Presupposti - Colpa della P.A. - Nozione - Colpa del singolo funzionario - Non è sufficiente.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Presupposti - Colpa della P.A. - Presupposti della colpa.

1. Il risarcimento del danno da parte della P.A. è subordinato alla prova della sussistenza dei requisiti ex art. 2043 c.c. -fra cui quello del dolo o della colpa in capo alla P.A.-, da intendersi non come colpa del singolo funzionario, bensì dell'apparato amministrativo preposto al procedimento sfociato nel provvedimento lesivo della posizione soggettiva del danneggiato (cfr. Cassaz. Civile, SS.UU., sent. n. 500/1999; Cons. di Giust. Amm. per la Regione Siciliana, sent. n. 730/2009).
2. In materia di accertamento dell'obbligo di risarcimento del danno in capo alla P.A., il necessario requisito della colpa implica la violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l'esercizio della funzione amministrativa e nella sua valutazione occorre tenere conto, fra l'altro, del grado di chiarezza della norma che si asserisce violata e dell'eventuale presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione in concreto esaminata e decisa dalla P.A. (cfr. TAR Milano, sent. nn. 1250/2008 e 6259/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.02.2010 n. 298 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gara - Offerte - Possibilità di modifica del progetto da parte dell'offerente - Non sussiste.
La determinazione delle caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori e delle specifiche prestazioni da fornire da parte dell'offerente rientra nelle competenze della Stazione appaltante ed ogni modifica al progetto predisposto va necessariamente ad incidere sulle valutazioni tecniche di quest'ultima circa le modalità di realizzazione dell'opera medesima.
Ne deriva che il progetto esecutivo posto a base della gara non può essere alterato o modificato dal concorrente al quale è consentito unicamente individuare le modalità di realizzazione dello stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 08.02.2010 n. 290 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: 1. Inquinamento - Abbandono di rifiuti - Igiene e salute pubblica - Obbligo di smaltimento ex art. 14, D.Lgs. 05.02.1997, n. 22 - Soggetti destinatari - Condizioni - Potere di ordinanza del Sindaco in situazioni di urgenza - Sussiste.
2. Sindaco - Provvedimenti contingibili e urgenti ex art. 14, D.Lgs. 05.02.1997, n. 22 - Potere - Destinatari - Presupposti.

1. La previsione di cui all'art. 14, comma 3, D.Lgs. 05.02.1997, n. 22 -laddove impone un obbligo di procedere alla rimozione, all'avvio al recupero o allo smaltimento dei rifiuti, nonché, al ripristino dello stato dei luoghi «in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area» cui «tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa»- esprime un principio di massima, escludendo qualsiasi forma di imputazione oggettiva in capo al proprietario o al gestore.
Nondimeno, tenuto conto della rilevanza degli interessi pubblici coinvolti e delle precise responsabilità che incombono sulle Amministrazioni locali in materia di igiene e salute pubblica, non può escludersi a priori la possibilità, in situazioni di indifferibilità ed urgenza, che il Sindaco possa imporre specifici comportamenti anche a carico del soggetto incolpevole, senza alcun intento sanzionatorio ma al solo scopo di neutralizzare una situazione di pericolo e prevenire ulteriori danni all'ambiente circostante e alla salute pubblica.
2. Il soggetto destinatario del provvedimento contingibile ed urgente -emesso dal Sindaco in materia di smaltimento di rifiuti ai sensi dell'art. 14, comma 3, D.Lgs. 05.02.1997, n. 22- può essere individuato in colui con il bene si trovi in rapporto tale da consentirgli di eseguire con celerità gli interventi ordinati ritenuti necessari, posto che la ricerca dell'obbligato di diritto, presupponendo accertamenti complessi e laboriosi, potrebbe risultare incompatibile con l'intrinseca natura dei provvedimenti contingibili e urgenti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 08.02.2010 n. 287 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Garanzia provvisoria - Deve essere prestata dagli intermediari abilitati di cui all'art. 107 del d.lgs. n. 385/1993 - Violazione - Illegittimità - Equipollenza della garanzia prestata dagli intermediari di cui all'art. 107 del d.lgs. n. 385/1993 - Esclusione.
Laddove la lex specialis richiede espressamente che la garanzia provvisoria sia presentata, a pena di esclusione, ai sensi dell'art. 75 del D.Lgs. n. 163/2006, vale a dire "dagli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale di cui all'articolo 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di rilascio di garanzie, a ciò autorizzati dal Ministero dell'economia e delle finanze", la violazione di tale disposizione determina l'immediata esclusione dalla procedura selettiva senza che venga in rilievo il dato che la garanzia provenga da un diverso intermediario finanziario (Nella fattispecie il ricorrente aveva invece presentato una fideiussione proveniente da un soggetto iscritto nell'elenco di cui all'art. 106 del d.lgs. n. 385/1993 e non nell'elenco di cui all'art. 107, con ciò contravvenendo l'art. 75 del D.Lgs. n. 163/2006, la cui osservanza era richiesta a pena di esclusione da parte della lex specialis) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 08.02.2010 n. 286 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Requisiti di partecipazione più rigorosi di quelli previsti dalla legge - legittimità - Limiti.
Per giurisprudenza ormai consolidata, l'amministrazione aggiudicatrice gode di un ampio potere discrezionale nella fissazione dei requisiti di partecipazione ad una singola gara, con la conseguenza che la stessa può legittimamente prevedere requisiti di partecipazione anche più rigorosi di quelli indicati dalla legge, purché essi non siano discriminanti ed abnormi rispetto alle regole proprie del settore (cfr. ex multis: Cons. Stato, sez. V, 19.11.2009, n. 7247) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 08.02.2010 n. 285 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA Principio di autoresponsabilità - Attività edilizia contra legem - Conseguenze - Responsabilità della P.A. - Non sussiste.
In forza del principio di autoresponsabilità non è possibile che la P.A. venga condannata a rifondere il danno che un soggetto abbia procurato a se stesso edificando contra legem (cfr. TAR Milano, sent. n. 1924/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.02.2010 n. 279 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Pertinenza urbanistica - Nozione.
2. Pertinenza urbanistica - Elementi costitutivi.
3. Pertinenza urbanistica - Sopraelevazione perfettamente inserita nell'edificio e priva di autonomia - Carattere di pertinenzialità - Non sussiste - Permesso di costruire - Necessità.
1. La nozione di pertinenza urbanistica possiede caratteristiche differenti da quella contemplata dal codice civile, sostanziandosi nella destinazione strumentale alle esigenze dell'immobile principale, risultante sotto il profilo funzionale da elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto sia in relazione all'immobile al cui servizio è complementare, dall'ubicazione, dal valore economico rispetto alla cosa principale e dall'assenza del c.d. carico urbanistico (Cons. di Stato, sent. nn. 3490/2006 e 7325/2004; TAR Milano, sent. n. 28/2010).
2. Gli elementi costitutivi della pertinenza urbanistica sono, sotto il profilo strutturale, l'autonomia rispetto all'edificio principale ed il collegamento funzionale con il bene principale attraverso un rapporto di stretta strumentalità (TAR Veneto, sent. n. 2051/2001).
3. Nel caso di sopraelevazione perfettamente inserita nell'edificio -allineata alla sagoma dell'edificio preesistente- e priva di autonomia rispetto ad esso, non ricorre la fattispecie della pertinenzialità ed è pertanto necessario idoneo titolo edilizio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.02.2010 n. 271 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Distanze tra fabbricati - Previsioni regolamentari in contrasto con art. 872 c.c. - Illegittimità.
2. Distanze tra fabbricati - Nozione di costruzione ai fini del rispetto dell'art. 9, comma 2, D.M. n. 1444/1968 - Sopraelevazione - Rilevanza.
3. Distanze tra fabbricati - Computo della distanza - Funzione della costruzione - Irrilevanza - Consistenza fisica- Rilevanza.
4. Distanze tra fabbricati - Edificio realizzato in violazione di norme civilistiche sulle distanze - Diniego di sanatoria - Motivazione - E' sufficiente il richiamo alle norme del codice civile.
1. Ogni previsione regolamentare in contrasto con il limite minimo in materia di distanze dettato dall'art. 872 c.c. è illegittima e va disapplicata, essendo consentita alle amministrazioni locali solo la fissazione di distanze superiori (cfr. TAR Pescara, sent. n. 494/2007; Cons. Stato, sent. n. 3930/2002): ciò in forza dell'art. 9 D.M. 1444/1968 secondo il quale in materia di distanze tra fabbricati sussiste un vincolo a carattere pubblicistico ed inderogabile, diretto non soltanto a salvaguardare interessi privati, ma anche a tutelare interessi generali in materia urbanistica, di igiene, decoro e sicurezza degli abitati (cfr. Cass. Civ., sent. n. 1201/1996; TAR Bologna, sent. n. 136/2004).
2. In materia di distanze le disposizioni dell'art. 9, comma 2, D.M. n. 1444/1968 si applicano anche alle sopraelevazioni, le quali, ai fini del rispetto delle distanze fra edifici, rientrano nella nozione di nuova costruzione, la quale a sua volta comprende qualsiasi modifica della volumetria di un fabbricato preesistente che comporti l'aumento della sagoma d'ingombro, così da incidere direttamente sulla situazione di distanza tra edifici ed indipendentemente dalla sua utilizzabilità ai fini abitativi (cfr. TAR Brescia, sent. nn. 832/2007 e 244/2006; TAR Milano, sent. n. 5831/2007).
3. Ai fini del computo delle distanze tra fabbricati non si deve tenere conto della funzione principale od accessoria o pertinenziale del vano realizzato, quanto la sua consistenza fisica.
4. Dal momento che la costruzione realizzata a distanza inferiore a quella prescritta dall'art. 873 c.c. rende impossibile qualsiasi indagine circa l'esistenza ed i limiti della dannosità della intercapedine -giacché siffatta valutazione deve ritenersi implicita nella imposizione di determinate distanze nelle costruzioni, alla cui precisa osservanza il legislatore ha inteso affidare la tutela dell'interesse pubblico e privato della salubrità, igiene e sicurezza negli abitati (cfr. Cassaz. Civile, sent. n. 1911/1980)- ne consegue che il diniego di sanatoria è sufficientemente motivato anche con il solo riferimento alla violazione delle distanze previste dal codice civile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.02.2010 n. 271 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abuso edilizio - Principio dell'affidamento - In caso di costruzione non autorizzata dalla P.A. - Inapplicabilità del principio.
Poiché l'affidamento legittimo e ragionevole è espressione di un principio che impone al soggetto pubblico che intenda adottare provvedimenti restrittivi della sfera giuridica dei privati di tenere nel debito conto l'interesse alla conservazione di un bene o di un'utilità conseguito in buona fede dal privato grazie ad un previo chiaro atto della pubblica amministrazione all'uopo diretto -specialmente se detto vantaggio si sia consolidato per effetto del decorso di un significativo lasso temporale-, non ne ricorrono i presupposti nel caso in cui il privato che ha realizzato l'abuso chieda alla P.A. di ottenere un vantaggio, la sanatoria, per una costruzione che la P.A. non ha mai autorizzato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.02.2010 n. 271 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Sopraelevazione di terrazzo con creazione di un nuovo vano - Permesso di costruire - Necessità.
La sopraelevazione del terrazzo con la creazione di un nuovo vano costituisce ampliamento dell'edificio all'esterno della sagoma esistente ed è quindi soggetto a permesso a costruire ed alla conseguente sanzione della demolizione in caso di opera abusiva (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.02.2010 n. 271 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Atto amministrativo - Preavviso di rigetto - Permesso di costruire - Applicabilità art. 21-octies, comma 2, Legge 241/1990 - Inconfigurabilità - Ratio.
La previsione di cui all'art. 21-octies, comma 2, primo e secondo periodo, Legge 241/1990, che esclude l'annullabilità dei provvedimenti adottati in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti prevede qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, sia in quanto quest'ultima ipotesi ricorre unicamente nell'ipotesi di mancata comunicazione di avvio del procedimento e non è pertanto applicabile all'ipotesi di mancato preavviso di rigetto sia in quanto comunque il diniego di permesso di costruire non si configura -nella fattispecie all'esame del Collegio- quale atto avente natura vincolata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.02.2010 n. 270 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Aeroporti - Modifiche di infrastruttura esistente - Assoggettamento a V.I.A. - Configurabilità - Presupposti.
2. Aeroporti - Modifiche di infrastruttura esistente - Assoggettamento alla procedura di screening dettata dall'art. 20, D.Lgs. n. 152/2006.
1. Devono ritenersi assoggettati a valutazione di impatto ambientale anche i lavori di modifica apportati all'infrastruttura di un aeroporto esistente, senza prolungamento della pista di decollo e di atterraggio, qualora essi possano essere considerati - segnatamente alla luce della loro natura, della loro entità e delle loro caratteristiche - una modifica dell'aeroporto stesso (cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sent. 28.02.2008).
2. Tutti i progetti afferenti gli aeroporti, che non ricadono nemmeno parzialmente in aree naturali protette, sono soggetti alla procedura di screening dettata dall'art. 20, D.Lgs. n. 152/2006, anche se non abbiano ad oggetto la realizzazione di nuove strutture ma solo modifiche o ampliamenti di strutture esistenti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.02.2010 n. 269 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Provvedimento amministrativo - Motivi autonomi - Legittimità di un solo motivo - Annullabilità in sede giurisdizionale - Inconfigurabilità.
In presenza di un provvedimento sostenuto da più motivi, ciascuno autonomamente idoneo a darne giustificazione, è sufficiente che sia verificata la legittimità di uno di essi, per escludere che l'atto possa essere annullato in sede giurisdizionale (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3259/2006; TAR Milano, sent. n. 22/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.02.2010 n. 269 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: P.G.T. - Osservazioni dei privati - Natura collaborativa - Rigetto delle osservazioni - Motivazione particolare - Necessità - Non sussiste.
In sede di formazione del piano regolatore il rigetto delle osservazioni proposte dai privati non richiede una particolare motivazione: esse, infatti, costituiscono meri apporti collaborativi dati dai cittadini alla formazione dello strumento urbanistico, con la conseguenza che è sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali dello strumento pianificatorio (nel caso di specie tuttavia il TAR ha accolto la censura ritenendo illegittimo il comportamento del Comune che in sede di controdeduzioni alle osservazioni aveva sostenuto, con motivazione erronea, la non pertinenza dell'osservazione al p.g.t., così sottraendosi dall'operare un confronto tra l'osservazione presentata e le linee generali dello strumento urbanistico) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.02.2010 n. 268 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Abusi edilizi - Ordinanza di demolizione - Impugnativa - Possibilità di eccepire vizi relativi al diniego dell'istanza di sanatoria - Possibilità - Non sussiste - Ratio.
2. Abusi edilizi - Ordinanza di demolizione - In presenza di sequestro penale - Legittimità dell'ordinanza - Sussiste.

1. Il soggetto che ha prestato acquiescenza al rigetto dell'istanza di sanatoria di opera da lui abusivamente realizzata decade dalla possibilità di rimettere in discussione le ragioni del diniego in sede di impugnazione dell'ordine di demolizione, atteso che quest'ultimo in detto diniego, divenuto definitivo perché non impugnato, rinviene il suo presupposto: infatti nessuna utilità giuridicamente rilevante sarebbe rinvenibile dall'ipotetico annullamento del solo atto applicativo, dal momento che alla P.A. non sarebbe impedito di reiterare una statuizione identica a quella impugnata, stante la perdurante efficacia dell'atto presupposto (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 6715/2007, TAR Milano, sent. n. 99/2010).
2. L'esistenza di un sequestro penale non rende illegittimo l'ordine di demolizione, potendo influire esclusivamente sul giudizio di responsabilità del privato per l'inottemperanza all'ordine medesimo (cfr. TAR Roma, sent. n. 8784/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.02.2010 n. 267 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Ampliamento di immobili esistenti - L.R. 13/2009 - Portata - Edifici unifamiliari - Nuova disciplina urbanistica.
2. Ampliamento di immobili esistenti - L.R. 13/2009 - Disapplicazione per parti di territorio con peculiarità storiche, paesaggistico-ambientali ed urbanistiche - Facoltà della P.A. - Sussiste - Specifica motivazione - Necessità.
3. Ampliamento di immobili esistenti - L.R. 13/2009 - Disapplicazione per parti di territorio con peculiarità storiche, paesaggistico-ambientali ed urbanistiche - Riferimento ad aree ed edifici ricompresi nella classe di rischio idraulico elevato o molto elevato - Legittimità - Sussiste.

1. Ai sensi della L.R. 13/2009 è previsto il recupero di edifici ultimati entro il 31.03.2005 (art. 2) nonché la facoltà di ampliamento degli edifici (art. 3), distinguendo, ai fini dell'aumento di volumetria consentita, la categoria degli immobili unifamiliari dagli altri: in tal modo viene introdotta una nuova disciplina urbanistica, prescindendo in parte dalla normativa comunale sia di pianificazione sia regolamentare.
2. In materia di ampliamento di immobili esistenti, è concessa ai Comuni la possibilità -nel termine perentorio del 15.10.2009- di individuare le parti del territorio dove alcune disposizioni, tra cui gli artt. 3 e 4 L.R. 13/2009, non trovano applicazione, per le peculiarità storiche, paesaggistico-ambientali ed urbanistiche, con la conseguenza che per tali zone rimane invariata la disciplina urbanistica vigente; occorre, tuttavia, una specifica motivazione sulle peculiarità sopra indicate, in base alle quali la necessità di conservare la disciplina comunale prevale sulla finalità della legge.
3. E' legittima l'esclusione delle aree e degli edifici ricompresi nella classe di rischio idraulico molto elevato o elevato disposta dall'Amministrazione comunale, in quanto la predetta esclusione rientra indubitabilmente tra le ragioni, di natura paesaggistico-ambientale, previste dalla legge (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.02.2010 n. 265 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA 1. Ampliamento di immobili esistenti - L.R. 13/2009 - Portata - Edifici unifamiliari - Nuova disciplina urbanistica.
2. Ampliamento di immobili esistenti - L.R. 13/2009 - Disapplicazione per parti di territorio con peculiarità storiche, paesaggistico-ambientali ed urbanistiche - Facoltà della P.A. - Sussiste - Specifica motivazione - Necessità.
3. Ampliamento di immobili esistenti - L.R. 13/2009 - Disapplicazione per parti di territorio con peculiarità storiche, paesaggistico-ambientali ed urbanistiche - Motivazioni di natura edilizia non previste dalla Legge Regionale - Delibera di esclusione dalla applicazione della nuova legge - Illegittimità - Ratio.
4. Ampliamento di immobili esistenti - L.R. 13/2009 -Valutazione della compatibilità di un intervento ampliativo su immobili di tipo mono-bifamilaire - Facoltà di valutazione del Comune - Non sussiste - Possibilità di eccezioni - Solo in presenza di peculiarità storiche, paesaggistico-ambientali e urbanistiche.

1. Ai sensi della L.R. 13/2009 è previsto il recupero di edifici ultimati entro il 31.03.2005 (art. 2) nonché la facoltà di ampliamento degli edifici (art. 3), distinguendo, ai fini dell'aumento di volumetria consentita, la categoria degli immobili unifamiliari dagli altri: in tal modo viene introdotta una nuova disciplina urbanistica, prescindendo in parte dalla normativa comunale sia di pianificazione sia regolamentare.
2. In materia di ampliamento di immobili esistenti, è concessa ai Comuni la possibilità -nel termine perentorio del 15.10.2009- di individuare le parti del territorio dove alcune disposizioni, tra cui gli artt. 3 e 4 L.R. 13/2009, non trovano applicazione, per le peculiarità storiche, paesaggistico-ambientali ed urbanistiche, con la conseguenza che per tali zone rimane invariata la disciplina urbanistica vigente; occorre, tuttavia, una specifica motivazione sulle peculiarità sopra indicate, in base alle quali la necessità di conservare la disciplina comunale prevale sulla finalità della legge.
3. Considerato che gli edifici unifamiliari costituiscono una tipologia espressamente disciplinata nell'art. 3 lett. a), L.R. 13/2009, per la quale si applica la possibilità di ampliamento nei limiti ivi previsti, è illegittima l'esclusione dalla applicazione della nuova legge operata dal Comune, qualora tale esclusione non sia sorretta dalle ragioni contemplate dalla legge stessa per l'esclusione, bensì solo da ragioni di natura edilizia (l'esclusione delle ville a schiera è motivato con riferimento al mantenimento del carattere unitario del progetto): la relativa delibera di esclusione, infatti, si pone in contrasto con la ratio della legge regionale, ovverosia ampliare gli edifici esistenti, contenendo in tal modo l'utilizzazione del territorio.
4. Dal momento che la valutazione della compatibilità di un intervento ampliativo su immobili di tipo mono-bifamilaire è già stata effettuata dal legislatore regionale, il quale ha espressamente incluso tale tipologia di edificio, ne consegue che l'esclusione di questa categoria di immobili dall'ambito di applicazione della L.R. 13/2009 non può fondarsi su ragioni relative alle loro caratteristiche progettuali, bensì solo sulla eventuale sussistenza di peculiarità storiche, paesaggistico-ambientali e urbanistiche (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.02.2010 n. 264 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Piano regolatore generale - Vincolo di rispetto stradale - Natura conformativa - Sussiste - Decadenza del vincolo - Sussiste - Fattispecie.
La decadenza del vincolo a strada non può che comportare il venir meno anche del vincolo a fascia di rispetto stradale e dell'obbligo di arretramento, in quanto funzionali al primo. Né assume alcun rilievo la natura conformativa del vincolo a fascia di rispetto stradale, atteso che esso è posto a salvaguardia di una strada esistente: ne consegue che il decadere del vincolo a strada non può che travolgere il vincolo a fascia di rispetto stradale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.02.2010 n. 259 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Motivazione - Rilevabilità dagli atti endoprocedimentali - Possibilità.
1.
La motivazione degli atti amministrativi risulta non solo dall'atto finale del procedimento ma anche dagli atti endoprocedimentali di cui l'atto finale costituisce il risultato finale (nel caso di specie, assumono particolare rilievo i pareri dei commissari componenti la commissione edilizia esperti in materia di tutela paesistico ambientale) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.02.2010 n. 255 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Rilascio del permesso di costruire - Legittimazione soggettiva del richiedente - Obbligo di verifica da parte della P.A. - Sussiste.
2. Rilascio del permesso di costruire - Legittimazione soggettiva del richiedente - Obbligo di verifica da parte della P.A. - Limiti - Complesse ricognizioni giuridico-documentali e accertamenti di pretese di terzi - Obbligo - Non sussiste.
3. Rilascio del permesso di costruire - Legittimazione soggettiva del richiedente - Obbligo di verifica da parte della P.A. - Portata.

1. Ex art. 11, D.P.R. n. 380/2001, il permesso di costruire deve essere rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo: pertanto in sede di rilascio il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente.
2. L'obbligo in capo al Comune di accertamento della legittimazione soggettiva del richiedente il permesso di costruire incontra il limite di non dover compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese prospettabili da soggetti estranei al rapporto, essendo ogni provvedimento edilizio rilasciato "salvi i diritti dei terzi" (cfr. TAR Bologna, sent. n. 3260/2006).
3. Il Comune, se da un lato non può prescindere dal considerare i presupposti di fatto e di diritto che, comunque, possono incidere sulla disponibilità dell'area da edificare da parte di chi richiede la concessione, dall'altro non può nemmeno essere tenuto a dirimere eventuali conflitti tra titoli di proprietà, in quanto la concessione fa salvi i diritti dei terzi. (cfr. TAR L'Aquila, sent. n. 233/2003) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.02.2010 n. 255 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI 1. Elementi essenziali - Autografia della sottoscrizione - Necessità - Non sussiste.
2. Elementi essenziali - Autografia della sottoscrizione -Sostituzione con indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile - Possibilità.
1. L'autografia della sottoscrizione è elemento essenziale degli atti amministrativi nei soli casi in cui vi sia espressa previsione legislativa in tal senso, essendo di regola sufficiente l'individuabilità certa dell'Autorità emanante, in base ai dati del documento (cfr. Corte Cost., sent. n. 117/2000; Cass. Civile, sent. n. 7234/1996).
2. Poiché l'autografia della sottoscrizione non è requisito di esistenza giuridica degli atti amministrativi, la firma autografa può essere sostituita dall'indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, ex D.Lgs. 39/1993 in materia di sistemi informativi automatizzati (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1438/1993) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.02.2010 n. 254 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE Notifica atti della procedura espropriativa -Destinatari - Soli proprietari catastali - Sufficienza.
In materia di esproprio, la notifica agli intestatari catastali anziché ai proprietari effettivi è del tutto legittima: infatti, ex art. 3, secondo comma, D.P.R. 327/2001, tutti gli atti della procedura espropriativa -ivi incluse le comunicazioni ed il decreto di esproprio- sono disposti nei confronti del soggetto che risulti proprietario secondo i registri catastali, salvo che l'autorità espropriante non abbia tempestiva notizia dell'eventuale diverso proprietario effettivo (cfr. TAR Milano, sent. n. 6408/2004) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.02.2010 n. 254 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: 1. Retrocessione parziale ex art. 47, D.P.R. 327/2001 - Presupposti - Istanza dell'espropriato per la restituzione della parte del bene non utilizzata - Necessità.
2. Retrocessione parziale ex art. 47, D.P.R. 327/2001 - Istanza dell'espropriato per la restituzione della parte del bene non utilizzata - Conseguenze - Oneri procedimentali in capo al beneficiario e all'autorità espropriante.
3. Retrocessione parziale ex art. 47, D.P.R. 327/2001 - Sindacabilità del G.A. - Sussiste - Istanza dell'espropriato per la restituzione della parte del bene non utilizzata - Necessità.
4. Occupazione di mappali per opere diverse da quelle previste dal progetto approvato - Occupazione usurpativa - Sussiste.
5. Occupazione usurpativa - Domanda risarcitoria - Giurisdizione G.A. - Non sussiste - Ratio - Conseguenze - Riassumibiltà del processo avanti al G.O..

1. In materia di espropriazione per pubblica utilità, la retrocessione parziale ex art. 47, D.P.R. 327/2001 postula necessariamente un'istanza dell'espropriato volta alla restituzione della parte del bene non utilizzata per l'opera pubblica o di pubblica utilità.
2. A seguito dell'istanza dell'espropriato volta alla restituzione della parte del bene non utilizzata per l'opera pubblica o di pubblica utilità si instaura un procedimento in cui sono coinvolti l'espropriato, il beneficiario dell'espropriazione, che deve indicare i beni inservibili che possono essere ritrasferiti e l'autorità espropriante, che deve determinare, in mancanza di tale indicazione, quale parte del bene espropriato non serva più alla realizzazione dell'opera.
3. L'esito del procedimento inerente la retrocessione parziale ex art. 47, D.P.R. 327/2001 è sindacabile dal giudice amministrativo: tuttavia ad esso non può chiedersi direttamente -senza cioè un'iniziativa dell'espropriato che abbia attivato il relativo procedimento- la condanna della P.A. alla restituzione del bene non utilizzato.
4. L'occupazione di una parte, ancorché limitata, di mappali dell'espropriato per opere diverse da quelle previste dal progetto di espropriazione per pubblica utilità approvato e "coperte", cioè legittimate, dalla connessa dichiarazione di pubblica utilità, integra gli estremi dell'occupazione usurpativa, caratterizzata dall'apprensione del fondo altrui in totale carenza di titolo.
5. In caso di occupazione usurpativa, trattandosi di un comportamento "senza potere", la relativa domanda risarcitoria è sottratta al giudice amministrativo, la cui giurisdizione presuppone l'annullamento di un atto e il sindacato sull'esercizio effettivo del potere amministrativo (cfr. Corte Cost., sent. n. 191/2006, Cass. SS.UU., sent. nn. 5925/2008, 26732/2007, 2688/2007): pertanto, tale domanda risarcitoria -fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della stessa- appartiene alla cognizione del giudice ordinario, dinanzi al quale il processo potrà essere riassunto ex art. 50 del codice di procedura civile (cfr. Corte Cost., sent. n. 77/2007; Cass. SS.UU., sent. n. 4109/2007; Cons. Stato, sent. nn. 1059/2008, 4741/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.02.2010 n. 216 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Diniego di permesso di costruire e dell'autorizzazione paesaggistica - Parere vincolante della soprintendenza ex art. 167, comma 5, D.Lgs. 42/2004 - Necessità.
2. Diniego di permesso di costruire e dell'autorizzazione paesaggistica - Parere vincolante della soprintendenza ex art. 167, comma 5, D.Lgs. 42/2004 - Natura discrezionale - Sussiste.
3. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Annullamento di diniego edilizio per difetto di motivazione - Diritto al risarcimento - Non sussiste - Ratio.

1. L'art. 167, commi 4 e 5, D.Lgs. 42/2004, consente, per taluni interventi effettuati in violazione delle norme sulla tutela dei beni paesaggistici, di ottenere l'accertamento di compatibilità paesaggistica, tramite il procedimento di cui al comma 5, in forza del quale l'autorità preposta alla gestione del vincolo - nel caso di specie il Comune - si pronuncia sulla domanda di compatibilità previo parere vincolante della soprintendenza.
2. Il parere della Soprintendenza, nell'ipotesi prevista al comma 5 dell'art. 167 D.Lgs. 42/2004, costituisce manifestazione di ampia discrezionalità ed è pertanto censurabile soltanto in caso di manifesta illogicità o erroneità dell'azione amministrativa (cfr. TAR Brescia, sent. n. 709/2009).
3. E' esclusa la possibilità di risarcimento del danno in caso di annullamento del provvedimento amministrativo di diniego edilizio per difetto di motivazione: infatti, tale annullamento non implica necessariamente la riapprovazione del progetto così come redatto dal richiedente (cfr. TAR Milano, sent. n. 124/2007, con la giurisprudenza ivi richiamata) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.02.2010 n. 214 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gara per l'affidamento in concessione di un'area per la realizzazione di un impianto sportivo - Presentazione del progetto relativo all'impianto -Difformità rispetto agli strumenti urbanistici vigenti - Esclusione dalla gara - Legittima anche ove il bando nulla disponga.
E' legittima l'esclusione da una gara ad evidenza pubblica per l'affidamento in concessione di un'area per la realizzazione e la gestione di un impianto sportivo laddove il relativo progetto edilizio si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti per l'area considerata (nella fattispecie con le norme tecniche d'attuazione - NTA) e ciò anche laddove il bando non preveda espressamente l'esclusione a fronte di tale tipologia di violazioni (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23.01.2006, n. 204) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 01.02.2010 n. 213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Giudizio amministrativo - Risarcimento del danno - Presupposti -Sono gli stessi del giudizio civile.
La domanda risarcitoria avanzata nel giudizio amministrativo soggiace alle regole sostanziali e processuali applicabili in sede civile.
Ne discende che incombe sul ricorrente la prova sia dell'an debeatur, consistente nella dimostrazione del danno, dell'ingiustizia dello stesso, del nesso di causalità e della colpevolezza del danneggiante secondo la clausola generale fissata nell'art. 2043 c.c., sia del quantum debeatur, ossia dell'ammontare del danno (cfr. TAR Puglia, Bari, Sez. I, 29.09.2008, n. 2249) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 01.02.2010 n. 213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della P.A. - Vincolatività della lex specialis - Ius superveniens - Contrasto delle disposizioni del bando con prescrizioni normative sopravvenute - Effetti - Caducazione - Con il limite delle fasi già concluse.
Nonostante una parte della giurisprudenza, in ossequio al principio del "tempus regit actum", abbia ritenuto sussistente il principio della vincolatività della lex specialis di gara anche nelle ipotesi in cui la stessa contrasti con prescrizioni normative sopravvenute, deve ritenersi "tamquam non esset" la disposizione del bando di gara che contrasti con norme imperative ed inderogabili sia "ab origine", che a seguito di "ius superveniens" nel corso della gara. Nei contratti ad evidenza pubblica, infatti, tutte le fasi di gara in cui la procedura si scompone assumono un ruolo interno, progressivo e preordinato all'atto di aggiudicazione ed hanno carattere strettamente preparatorio della determinazione finale di scelta del contraente: determinazione che non può mai prescindere dall'applicazione della legge in quel momento in vigore, indipendentemente dal fatto che le fasi già concluse possano restare regolate dalla vecchia legge (conf. Cons. Stato, sez. VI, 25.09.2007, n. 4937; TAR Lombardia Milano, sez. III, 26.08.1998, n. 2031) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 01.02.2010 n. 210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 contempla  la possibilità di sanare ex post gli interventi abusivi nel caso di lavori realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati (lett. a): a tal fine deve essere instaurata un’apposita procedura ad istanza della parte interessata che contempla –a differenza dell’ordinario procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica– l’accertamento della compatibilità paesaggistica, demandato all’amministrazione preposta alla gestione del vincolo, previa acquisizione del parere della Soprintendenza che nella particolare fattispecie in esame assume carattere non solo obbligatorio, ma vincolante.
Il D.Lgs. 42/2004 (cd. Codice Urbani) ha totalmente ridisegnato, all’art. 146, il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. In particolare ha eliminato, nel sistema a regime, il potere della Soprintendenza di annullare l’autorizzazione paesaggistica già emessa dal Comune e ha previsto l’intervento della medesima Soprintendenza in sede endoprocedimentale, con facoltà di formulare un parere che risulta espressione di un potere decisorio complesso facente capo a due apparati distinti: si anticipa quindi –già in sede procedimentale– l’apporto partecipativo dell’autorità statale (Consiglio di Stato, sez. VI – 25/02/2008 n. 653).
L’art. 146 comma 12 –nella versione modificata dall’entrata in vigore del D.Lgs. 157/2006 “Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22.01.2004 n. 42, in relazione al paesaggio”– prevede che non possano più essere rilasciate autorizzazione paesaggistiche “in sanatoria”, ossia successive alla realizzazione, anche parziale, degli interventi.
A temperamento di tale previsione, il medesimo D.Lgs. 157/2006 ha inserito, all’art. 167, la possibilità di sanare ex post gli interventi abusivi, nel caso di lavori realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati (lett. a): a tal fine deve essere instaurata un’apposita procedura ad istanza della parte interessata che contempla –a differenza dell’ordinario procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (in vigore in via transitoria)– l’accertamento della compatibilità paesaggistica, demandato all’amministrazione preposta alla gestione del vincolo, previa acquisizione del parere della Soprintendenza che nella particolare fattispecie in esame assume carattere non solo obbligatorio, ma vincolante.
E’ noto che l’ordinamento giuridico affida la tutela del paesaggio ai poteri di due livelli istituzionali –lo Stato e la Regione (o Ente da questa delegato)– per cui entrambi sono titolari di una funzione di amministrazione attiva nell’ambito di un procedimento unitario a struttura complessa.
In particolare è stato evidenziato che l’annullamento dell’autorizzazione costituisce non già manifestazione di un potere di controllo bensì l’espressione di un’attività di cogestione dell’interesse pubblico paesaggistico, posta ad estrema difesa di un vincolo intimamente connesso ad un valore costituzionale primario (sentenze Sezione 12/03/2009 n. 623; 28/05/2004 n. 599; Consiglio di Stato, sez. VI – 20/01/2003 n. 204).
Ebbene, ritiene il Collegio che il potere esercitato in materia di autorizzazione in sanatoria possa essere parimenti definito in termini di “cogestione dei valori paesistici”, poiché contempla l’intervento di entrambi i soggetti pubblici, investiti di una concorrente competenza orientata alla salvaguardia del bene ambiente.
In questo caso, tuttavia, il legislatore affida all’autorità statale il compito di emettere un giudizio di compatibilità paesaggistica “pieno”, ossia di formulare il proprio autonomo apprezzamento sull’accettabilità dell’opera realizzata nel contesto tutelato: si tratta quindi di una valutazione di merito distinta dalla potestà esercitata nell’ordinario procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, dove la cognizione si arresta all’esame dei profili di legittimità dell’operato dell’amministrazione regionale (o Ente subdelegato).
Un altro aspetto significativo è poi rappresentato dalla forza giuridica del parere demandato alla Soprintendenza, che assume carattere vincolante nei confronti della successiva determinazione dell’autorità regionale: in questa prospettiva la potestà congiuntamente esercitata nell’ambito del procedimento a struttura complessa si manifesta di spessore ineguale, essendo sbilanciata a favore dell’organo ministeriale (TAR Toscana, sez. III – 06/02/2008 n. 117) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 27.03.2009 n. 709 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La ratio dell’istituto di cui all'art. 10-bis l. 241/1990 è quella di favorire l’eventuale partecipazione procedimentale dell’interessato, per cui il preavviso non è dovuto se la finalità sostanziale è stata comunque raggiunta permettendogli di rappresentare le proprie ragioni nel corso del procedimento.
La giurisprudenza formatasi sull’art. 10-bis l. 241/1990 ha statuito che il preavviso di rigetto riveste natura di atto endo-procedimentale: la norma infatti impone all’amministrazione –prima di adottare un provvedimento sfavorevole nei confronti del richiedente– di comunicargli le ragioni ostative all’accoglimento della sua istanza promuovendo in tal modo l’instaurazione di un contraddittorio a carattere necessario: il preavviso assume la funzione di sollecitare il privato ad una proficua collaborazione, attivando un sub-procedimento di valutazione delle osservazioni esposte e dei documenti prodotti suscettibile di mutare il convincimento in precedenza maturato in capo all’amministrazione procedente (TAR Veneto, sez. III – 01/08/2006 n. 2257), la quale si esprimerà in via definitiva soltanto con il provvedimento finale.
Per questo si è osservato che la ratio dell’istituto è quella di favorire appunto l’eventuale partecipazione procedimentale dell’interessato, per cui il preavviso non è dovuto se la finalità sostanziale è stata comunque raggiunta permettendogli di rappresentare le proprie ragioni nel corso del procedimento (TAR Toscana, sez. III – 06/02/2008 n. 117) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 27.03.2009 n. 709 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAlla necessità di tutelare la posizione di coloro che hanno sollecitato, con il proprio esposto, l’azione repressiva comunale, onde evitare che detta collaborazione di fatto venga a mancare per timore di comportamenti ritorsivi, si ritiene che, nell’ambito di un adeguato contemperamento degli opposti interessi, sia possibile consentire al ricorrente la visione ed estrazione di copia di tutta la documentazione proveniente da fonte privata, con la sola omissione –operazione quest’ultima di cui l’amministrazione si farà carico con i mezzi più opportuni ed idonei– dell’indicazione dei nomi degli autori dell’esposto.
Se è vero, in linea di principio, che l’accertamento e la conseguente repressione degli abusi edilizi può avvenire su iniziativa dell’amministrazione o su sollecitazione dei privato (così dispone l’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001), è altrettanto vero che nell’ipotesi in cui il procedimento amministrativo abbia tratto origine dall’esposto di terzi, anche tale atto entra a far parte del procedimento conclusosi con l’adozione del provvedimento sanzionatorio, in quanto parte della sequenza procedimentale che ha determinato, dopo le verifiche istruttorie effettuate dall’autorità competente proprio a seguito del sollecito, l’irrogazione della sanzione.
Il diritto di accesso è stato individuato, in via di principio, con riguardo ai documenti amministrativi, ma ai documenti amministrativi sono stati equiparati, proprio a tal fine, anche gli atti provenienti dai soggetti privati ogni qual volta, indipendentemente dalla caratterizzazione soggettiva, abbiano avuto un’incidenza sulle determinazioni amministrative.
In tale eventualità il controllo sul soggetto pubblico e la difesa degli interessi incisi dall’attività amministrativa non possono prescindere dalla conoscenza anche degli atti dei terzi che ne hanno costituito il presupposto (cfr. C.d.S., Sez. IV, 04.02.1997, n. 82; Sez. VI, 22.01.2001, n. 191 e 16.10.1998, n. 1683; TAR Sardegna, 01.10.2002, n. 1302).
Ne consegue l’irrilevanza del fatto che lo stesso risultato si sarebbe potuto conseguire a conclusione di un procedimento avviato d’ufficio, dato che così non è stato avendo l’amministrazione dato l’avvio al procedimento che si è concluso con il provvedimento lesivo degli interessi del ricorrente a seguito del documento proveniente dai privati.
Da ciò deriva l’interesse giuridicamente rilevante del ricorrente alla conoscenza di tutti gli atti posti all’origine dei provvedimenti assunti nei suoi confronti.
Peraltro, come già rilevato da questo Tribunale Amministrativo (Sez. I, 22.05.2002, n. 3259), l’amministrazione non può opporre alcun interesse antagonista “…né proprio né di terzi al rilascio della copia, ed in particolare il diritto alla riservatezza, poiché…il diritto alla riservatezza non può essere opposto al soggetto che dai fatti riferiti o contenuti negli atti a lui ignoti può subire conseguenze giuridiche e la cui conoscenza sia necessaria per esercitare o tutelare i propri diritti.”
Orbene, atteso che, come testualmente riferisce la stessa difesa del Comune nella propria memoria, la richiesta di accesso formulata dal ricorrente è stata formulata al fine di verificare che le informazioni acquisite dall’amministrazione “..siano state acquisite in modo corretto” o se, per ipotesi, siano “frutto di comportamenti illeciti”, risulta meritevole di tutela la posizione del ricorrente, il quale vuole essere messo in condizione di conoscere l’intero sviluppo della vicenda procedimentale, al fine di tutelare i propri interessi non solo in ambito amministrativo, bensì anche nelle diverse sedi (civili o penali) presso le quali lo stesso può teoricamente rivolgersi.
Premesso quanto sopra, il Collegio non può non tenere conto delle osservazioni svolte dalla difesa comunale in ordine alla necessità di tutelare la posizione di coloro che hanno sollecitato, con il proprio esposto, l’azione repressiva, onde evitare che detta collaborazione di fatto venga a mancare per timore di comportamenti ritorsivi.
Si ritiene, pertanto, che, nell’ambito di un adeguato contemperamento degli opposti interessi, sia possibile consentire al ricorrente la visione ed estrazione di copia di tutta la documentazione proveniente da fonte privata, con la sola omissione –operazione quest’ultima di cui l’amministrazione si farà carico con i mezzi più opportuni ed idonei– dell’indicazione dei nomi degli autori dell’esposto (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 02.04.2004 n. 934 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIPuò configurarsi un diritto alla riservatezza solo con riferimento ai “documenti che riguardano la vita privata o la riservatezza di persone fisiche”, documenti cioè che abbiano come contenuto specifico la vita privata, in senso lato, dei terzi; ove al contrario il documenti richiesto in accesso non “riguardi”, non sia cioè “relativo”, alla vita privata o agli interessi epistolari, sanitari, professionali, industriali o commerciali di terzi, questi non possono neppure configurarsi come controinteressati rispetto al diritto all’accesso azionato, in quanto non titolari di alcun diritto o interesse giuridicamente tutelabile, e comunque non di un diritto alla riservatezza, come sopra definito.
Com’è noto, la disciplina sull’accesso è stata introdotta dal legislatore del 1990 per garantire il controllo dell’efficienza e dell’imparzialità dell’azione amministrativa da parte dei soggetti comunque titolari di un interesse giuridico a verificare la correttezza dell’azione stessa; l’oggetto del diritto di accesso è stato individuato, in via di principio, nei “documenti amministrativi”, ovvero, secondo quanto previsto dall’art. 22, secondo comma della legge n. 241/1990, negli atti “formati” dalla pubblica amministrazione che è il soggetto destinatario dell’esercizio del diritto stesso.
Gli atti provenienti dai soggetti privati sono stati equiparati, ai fini dell’accesso, ai documenti amministrativi, e quindi suscettibili di ostensione, solo se ed in quanto “utilizzati ai fini dell’attività amministrativa”, e cioè quando, indipendentemente dalla provenienza e caratterizzazione soggettiva, abbiano avuto un’incidenza nelle determinazioni amministrative (cfr. Cons. di Stato, sez. VI, 16.12.1998, n. 1683); in tal caso si è ritenuto che il controllo sul soggetto pubblico e la difesa degli interessi incisi dall’attività amministrativa non possano prescindere dalla conoscenza anche degli atti dei terzi che ne sono stati a presupposto, fermi restando in ogni caso i limiti imposti dal diritto di costoro alla riservatezza in rapporto allo spessore dell’interesse alla visione.
Quanto al “diritto alla riservatezza”, lo stesso costituisce a termini della stessa L. 241/1990, art. 24, e del D.P.R. 27.06.1992, n. 352, attuativo del predetto art. 24, limite al diritto di accesso, nel senso che (ex art. 8, lett. d), D.P.R: cit.) sono sottratti all’accesso “i documenti che riguardano la vita privata o la riservatezza di persona fisiche, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario…di cui sano in concreto titolari”.
Di seguito la stessa norma prescrive che deve comunque essere garantita la visione degli atti necessaria alla tutela o cura di interessi giuridici.
Il che impone un bilanciamento tra i due valori (trasparenza amministrativa, tutelata dall’accesso e riservatezza dei terzi), che la giurisprudenza, interpretando il sopra riferito dato normativo, ha inteso come prevalenza dell’accesso sulla riservatezza ogni volta che l’accesso venga in rilievo per la cura o difesa di interessi giuridici e nei limiti in cui l’accesso sia necessario alla difesa di quell’interesse (cfr. C.d.S., sez. V, 21.10.1998, n. 1529; sez. IV, 18.05.1998, n. 840; sez. V, 22.06.1998, n. 923; sez. IV, 30.04.1998, n. 716, tutte successive alla fondamentale Ad. Plenaria, 04.02.1997, n. 5).
Orbene, risulta di tutta evidenza, già dal solo testo normativo (art. 8, lett. d), D.P.R. 352/1992) che può configurarsi un diritto alla riservatezza solo con riferimento ai “documenti che riguardano la vita privata o la riservatezza di persone fisiche”, documenti cioè che abbiano come contenuto specifico la vita privata, in senso lato, dei terzi; ove al contrario il documenti richiesto in accesso non “riguardi”, non sia cioè “relativo”, alla vita privata o agli interessi epistolari, sanitari, professionali, industriali o commerciali di terzi, questi non possono neppure configurarsi come controinteressati rispetto al diritto all’accesso azionato, in quanto non titolari di alcun diritto o interesse giuridicamente tutelabile, e comunque non di un diritto alla riservatezza, come sopra definito.
Invero, il documento richiesto in accesso riguarda non affatto la sfera privata dei terzi bensì una critica alle modalità di esplicazione delle funzioni svolte dalla richiedente; lungi dall’investire la sfera privata dei terzi, in definitiva, involge unicamente la sfera professionale del medesimo richiedente.
Passando al merito della vicenda, ritiene il Collegio che la ricorrente abbia pieno diritto ad accedere all’atto predetto (esposto), in considerazione della sicura rilevanza dello stesso per l’esatta comprensione dell’atto di revoca delle funzioni di direttore generale che è motivato per relationem proprio all’esposto, con riferimento al quale il Commissario dichiara di condividere gli addebiti mossi e di reputarli in fatto fondati; è del tutto evidente infatti che, ove l’esposto non fosse messo a disposizione della ricorrente, costei non saprebbe mai quali sono gli addebiti che le si muovono (che il Commissario ritiene fondati) né potrebbe efficacemente tutelarsi nelle competenti sedi giudiziarie ove ne ritenesse l’opportunità, alla stregua, evidentemente, di una previa consapevole conoscenza dei fatti (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 12.04.2001 n. 1171 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANel procedimento di rilascio della concessione edilizia l’amministrazione comunale ha il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica. Si tratta di un’attività istruttoria che risulta finalizzata ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
Ai sensi dell'art. 4 della l. 28.01.1977 n. 10, ha titolo a richiedere la concessione edilizia o il proprietario dell'area o chi abbia diritto o facoltà di richiederla: ciò significa che detta concessione può essere richiesta o dal titolare del diritto reale di proprietà sul fondo, o da chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede la concessione.
La facoltà del comproprietario di ottenere la concessione edilizia va riconosciuta nei soli casi in cui risulti documentato il consenso degli altri comproprietari.
La domanda di concessione edilizia può essere presentabile anche da persona diversa dal proprietario, purché il richiedente abbia titolo a disporre del suolo.

Non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l’amministrazione ha il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica. Si tratta di un’attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
La funzione autorizzatoria dell’amministrazione richiede un livello minimo di istruttoria, che comprende, comunque, l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza ed il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione.
Questa elementare esigenza di verifica sull’ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio risulta presente anche nell’ambito del procedimento di rilascio della concessione edilizia.
Non solo, ma la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti impone, in modo ancora più stringente, un adeguato esame sulla corrispondenza sostanziale tra la richiesta ed i presupposti fattuali che la giustificano, anche in relazione alla titolarità della necessaria posizione legittimante.
In questa corretta prospettiva, si tratta di stabilire se ai fini del rilascio della concessione edilizia è necessario che la richiesta sia formulata da tutti i comproprietari, oppure è sufficiente che la domanda sia proposta da uno soltanto dei titolari del diritto dominicale.
Al riguardo, si è chiarito che, ai sensi dell'art. 4 della l. 28.01.1977 n. 10, ha titolo a richiedere la concessione edilizia o il proprietario dell'area o chi abbia diritto o facoltà di richiederla: ciò significa che detta concessione può essere richiesta o dal titolare del diritto reale di proprietà sul fondo, o da chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede la concessione (Consiglio Stato sez. V, 20.10.1994, n. 1200).
Con riguardo alla legittimazione del singolo comproprietario, è opportuno precisare che la determinazione del contenuto delle facoltà di godimento del bene in comproprietà spettante a ciascuno dei condomini, va compiuta avendo riguardo al titolo del diritto, oppure, in mancanza, applicando la normativa fissata dagli articoli 1100 e seguenti del codice civile.
La disciplina civilistica delinea un complesso sistema, articolato, essenzialmente, in tre diversi tipi di interventi sulla cosa in comunione:
a) ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché rispetti la duplice condizione di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto; a tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglioramento della cosa (art. 1102);
b) con la maggioranza dei due terzi del valore complessivo della cosa comune, si possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo e redditizio il godimento, purché esse non pregiudichino il godimento di alcuno dei partecipanti e non importino una spesa eccessiva (art. 1108, comma primo, del cod. civ.);
c) è necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore ai nove anni (art. 1108, comma secondo, del cod. civ.).
L’attività edilizia soggetta a concessione edilizia, determinando una apprezzabile trasformazione dell’area interessata, sia pure finalizzata al miglioramento oggettivo della cosa, determina, di regola, un’incidenza significativa sul diritto di ciascuno dei comproprietari.
La Sezione ha in precedenza affermato il principio secondo cui la facoltà del comproprietario di ottenere la concessione edilizia va riconosciuta nei soli casi in cui risulti documentato il consenso degli altri comproprietari.
In tal senso, si è puntualizzato che l'art. 27 l. 14.05.1981 n. 219, recante la facoltà di ricostruire un fabbricato distrutto dal sisma del 1980 in un'altra località, e' anch'esso subordinato al principio sancito dall'art. 4, l. 28.01.1977 n. 10 -secondo il quale la concessione edilizia può essere rilasciata solo al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per ottenerla-, per cui detta facoltà può spettare non solo al proprietario dell'area ubicata nell'altra località, ma anche al comproprietario cui l'altro comunista abbia rilasciato una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, con cui lo si autorizza alla ricostruzione (Consiglio Stato sez. V, 30.10.1995, n. 1495).
La domanda di concessione edilizia può essere presentata anche da persona diversa dal proprietario, purché il richiedente abbia titolo a disporre del suolo (nella specie il richiedente era comproprietario "pro indiviso" di un fondo su parte del quale era destinato a sorgere il fabbricato (Consiglio Stato sez. V, 28.09.1993, n. 965).
Non contrasta questa conclusione il principio, talvolta affermato dalla Sezione, secondo cui il consenso del comproprietario potrebbe anche non essere espresso, ma manifestato per fatti concludenti. In tali circostanze, infatti, si afferma la legittimità di concessioni edilizie rilasciate sulla base di richieste formulate da uno solo dei comproprietari e contestate non già dall’altro contitolare del diritto, ma da un soggetto terzo.
In tale prospettiva, si afferma che la domanda di concessione edilizia può essere presentabile anche da persona diversa dal proprietario, purché il richiedente abbia titolo a disporre del suolo (nella specie il richiedente era comproprietario "pro indiviso" di un fondo su parte del quale era destinato a sorgere il fabbricato) (Consiglio Stato sez. V, 28.09.1993, n. 965)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.03.2001 n. 1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 22.06.2010

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L U T T O
Dopo lunga sofferenza, è venuto a mancare l'Amico e Collega Arch. RAUL BARBIERI del Comune di Grumello del Monte (BG).
La salma è composta presso l'abitazione in Via Santa Maria Assunta n. 51 - Alzano Lombardo (BG).
Il funerale si terrà mercoledì 23 giugno 2010 alle ore 10,00 nella Chiesa parrocchiale di Alzano Sopra (BG).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

URBANISTICA: M. Musso, Le “zone bianche” e l'attività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica (link a www.altalex.com).

APPALTI: L. M. Delfino, La tela di Penelope dell’arbitrato delle opere pubbliche. Il Decreto Legislativo 20.03.2010 n. 53: Ulisse non è ancora giunto ad Itaca! (link a www.filodiritto.com).

GIURISPRUDENZA

LAVORI PUBBLICI: Pubblica Amministrazione, cose in custodia, strade, riparto dell’onere probatorio.
In tema di responsabilità per danni da beni di proprietà della Pubblica Amministrazione, qualora non sia applicabile la disciplina di cui all’art. 2051 c.c., in quanto sia accertata in concreto l’impossibilità dell’effettiva custodia del bene, a causa della notevole estensione dello stesso e delle modalità di uso di terzi, l’ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall’utente, pur sempre la regola generale dell’art. 2043 c.c. (TRIBUNALE Napoli, Sez. III civile, sentenza 27.05.2010 n. 6229 - link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso ai documenti inammissibile se la domanda è generica.
La domanda di accesso ai documenti amministrativi che risulti generica, non contenendo gli estremi del documento di cui si chiede l’ostensione idonei a consentirne l’identificazione è inammissibile.
Secondo un ormai consolidato orientamento, la domanda di accesso deve avere un oggetto determinato o quanto meno determinabile, e non può essere generica; deve riferirsi a specifici documenti senza necessità di un'attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta.
La domanda di accesso deve essere finalizzata alla tutela di uno specifico interesse giuridico di cui il richiedente è portatore; non può essere uno strumento di controllo generalizzato dell'operato della P.A. ovvero del gestore di pubblico servizio nei cui confronti l'accesso viene esercitato e non può assumere il carattere di una indagine o un controllo ispettivo, cui sono ordinariamente preposti organi pubblici
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 11.05.2010 n. 705 - link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 21.06.2010

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APPALTI: Nuntio vobis gaudium magnum: mortis voluntariae studium RUP iterum sanctum est (Vi annuncio una grande gioia: l'istigazione al suicidio del RUP è stata ri-decretata) (i latinisti "puri" ci perdoneranno eventuali strafalcioni ...).
E così il Governo ci ha preso gusto ... e già, perché legiferare in maniera dissennata e sulle spalle altrui, di fatto, non costa niente!!
Che c'è da lamentarsi ancora ... state dicendo, forse??
Venerdì 18 giugno scorso il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera all'approvazione definitiva del Regolamento di attuazione del codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006).
La bozza definitiva di regolamento approvata è scaricabile qui: file 1 - file 2.
Ebbene, oggi come oggi quel "poveretto" del RUP (Responsabile Unico del Procedimento) in materia di lavori pubblici ha -ben definiti ed elencati uno di seguito all'altro- n. 24 adempimenti da curare personalmente (cfr. art. 8 del D.P.R. n. 554/1999) mentre col nuovo regolamento ne avrà solo uno in più: ovverosia un totale di venticinque (cfr. art. 10 dell'emanando regolamento). Senza contare, poi, un'altra miriade di adempimenti sparsi qua e là nel regolamento, sia vigente che futuro di prossima pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Ma allora,
"in illo tempore" qualcuno disse che "Errare humanum est, perseverare autem diabolicum" ovverosia "commettere errori è umano, ma perseverare [nell'errore] è diabolico" ... Quindi?? Nel Consiglio dei Ministri siedono persone "diaboliche"?? Ebbene SI'!!
Come si fa, per decreto, a riconfermare il carico -su una sola persona- di tali e tante incombenze (rogne??) per miserabili 1.300,00 € (di media) mensili?? Ma i soldi, invero, nella vita non sono tutto, basta la salute ... ma come si fa a dormire sonni tranquilli, a discapito ovviamente della salute, se manco si sa dove trovare un'Assicurazione che certamente Ti possa mettere al riparo da possibili danni d'ogni sorta, opera pubblica facendo, poiché alla prima sfortunata circostanza che -disgraziatamente- ti capita "tra capo e collo" trovano cavilli giuridici d'ogni genere per non pagare??
E non ci vengano a dire che l'incentivo alla progettazione interna è stato "finalmente" ripristinato al 2% [... prossimamente: cfr. Collegato lavoro (ddl S.1167-B/BIS)] perché con tale "miseria" non si va da nessuna parte e tale "miseria" -soprattutto- non riconosce affatto la professionalità dei Tecnici della Pubblica Amministrazione locale. Ma scusate:
val la pena di assumersi tutte quelle 25 rogne innanzi citate, e tutte le altre non menzionate, per pochi spiccioli in più all'anno?? Bisognerebbe avere il coraggio di rifiutare la nomina a RUP, ammesso che sia possibile, oppure di reagire con determinazione sia con l'Amministrazione di appartenenza sia con i Governanti nazionali pro-tempore. Ma questa è un'altra e triste storia ...
Al Parlamento vuoi che non sieda alcun tecnico di pubblica amministrazione -in aspettativa o meno- che conosca bene la condizione lavorativa dei Tecnici Comunali e, comunque, alcun tecnico libero professionista che abbia retto l'ufficio tecnico di un piccolo comune e sappia, quindi, con quali problemi si ha a che fare?? Ebbene, abbiamo dato una sbirciata sul sito della Camera e del Senato e, da informazioni apprese anche dai mass media, qualcuno c'è: e questi cosa fanno?? Dormono?? Evidentemente SI', poiché nessuno s'è degnato di alzare la mano, in Parlamento o Commissione che sia, per chiedere la parola e dire:
... scusate, vorrei dire anzi acclarare che c'è qualcosa che non quadra ... i Tecnici Comunali hanno ragioni di che lamentarsi!!
A questi Parlamentari -pochi o tanti che siano, che hanno cognizione di causa sulla effettiva condizione lavorativa del tecnico comunale addetti ai lavori pubblici e, comunque, agli appalti in genere- non possiamo far altro che augurare (e augurarci) -di cuore- di tornare al più presto a rioccupare quella scrivania comunale lasciata frettolosamente e temporaneamente per un lustro o due di attività alternativa (mica faranno i Privilegiati a vita!!) ... a quel punto, si lamentino pure che è insostenibile fare il RUP e noi vedremo di consolarli al meglio ...
Tuttavia, anche in questo caso giochiamo d'azzardo come una settimana fa: invitiamo almeno un Parlamentare, che avrà il coraggio di farlo, a contattarci
affinché soggiorni una settimana nel miglior albergo del nostro Comune, ovviamente a nostre spese, affinché condivida la vita lavorativa settimanale (e le notti insonni, per il tramite della propria badante fornita dalla ASL ...) di un Tecnico Comunale -addetto agli appalti pubblici- di un paese tipo (di circa 5.000 anime) e veda coi propri occhi di quante "rogne" è caricato il RUP ... poi, legiferi con scienza e coscienza!!
Pertanto, restiamo nell'attesa -al più presto- di essere contattati all'indirizzo: info.ptpl@tiscali.it.
LA SEGRETERIA PTPL.

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Dai notai una Guida all'acquisto delle "Case Certificate": il punto su risparmio energetico, sicurezza e norme igienico-sanitarie.
Il Consiglio Nazionale del Notariato, in collaborazione con le principali Associazioni dei Consumatori, ha realizzato la guida “Acquisto Certificato”.
La pubblicazione, sesta nell’ambito di una collana di Guide per il Cittadino, è dedicata alle nuove norme sulla sicurezza e il risparmio energetico negli edifici che consentono all’acquirente di conoscere la qualità di un immobile da acquistare e la spesa da sostenere per la sua gestione.
La guida parte dal presupposto che acquistare edifici “certificati” sotto il profilo igienico-sanitario, della sicurezza e del risparmio energetico significa poterne valutare in anticipo la qualità e, di conseguenza, la relativa spesa per la gestione energetica (la sua conduzione, climatizzazione, produzione di acqua calda, in generale i suoi consumi) ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: La guida per l’uso in sicurezza delle macchine per il movimento terra aggiornata al Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/2008).
È consultabile online sul sito della Provincia Autonoma di Bolzano una guida per l'uso in sicurezza delle macchine per il movimento terra, aggiornata al Testo Unico sulla sicurezza.
La guida illustra, nella prima parte, i principali tipi di macchina a seconda della funzione:
- macchine adibite esclusivamente alla movimentazione di materiale;
- macchine per il caricamento del materiale e lo scavo;
- macchine per il trasporto del materiale.
Nella seconda parte, il documento analizza norme di sicurezza e comportamenti corretti per ciascuna delle macchine: ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Climatizzazione di ambienti indoor e rischio biologico.
La qualità dell’aria che respiriamo all’interno di ambienti come le abitazioni, gli uffici o gli ospedali, dal punto di vista chimico, fisico e biologico è strettamente correlata alla qualità dell’aria esterna, al tipo di ambiente considerato, alle persone eventualmente presenti e all’efficienza dei sistemi di aerazione.
L’uomo, gli animali, gli arredi, la polvere e gli impianti di condizionamento, se non correttamente gestiti, sono sicuramente tra le principali fonti di contaminazione microbiologica.
Le patologie legate alla qualità dell’aria indoor vengono comunemente raggruppate in due distinte tipologie, quelle note come Sindrome dell’Edificio Malato (Sick Bulding Syndrome, SBS) e quelle definite come Malattie Correlate all’Edificio (Bulding Related Illness, BRI).
La Sindrome dell’Edificio Malato (Sick Bulding Syndrome, SBS) presenta “sintomi aspecifici ma ripetitivi e non correlati a uno specifico agente, quali: irritazione degli occhi, delle vie aeree e della cute, tosse, senso di costrizione toracica, nausea, torpore, cefalea ecc.”.
Le Malattie Correlate all’Edificio (Bulding Related Illness, BRI) sono patologie ben precise, come la legionellosi, l’alveolite allergica e altre comuni allergie, per le quali l’agente causale può essere identificato. In particolare gli agenti biologici aerodispersi negli ambienti confinati, in grado di causare patologie nell’uomo e considerati, quindi, un rischio per la salute, comprendono i batteri (i.e. Stafilococchi e gram negativi), i funghi (i.e. Cladosporium, Penicilium, Alternaria, Fusarium, Aspergillus) e i loro residui (endotossine, micotossine), i peli, le spore, i virus (i.e. Rhinovirus e virus influenzali), gli acari, e i pollini.
Sul sito dell’Associazione Italiana Igienisti Sistemi Aeraulici (A.I.I.S.A.) è disponibile un articolo, pubblicato sul numero di gennaio 2010 della rivista “Biologi d’Italia”, dal titolo “Climatizzazione di ambienti indoor e rischio biologico” che aiuta a comprendere e prevenire le patologie legate alla qualità dell’aria indoor ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Come e perché proteggersi dal sole durante il lavoro.
Protezione Solare – l’essenziale in breve”, è il titolo di un opuscolo realizzato dal Suva (il principale assicuratore svizzero per gli infortuni sul lavoro), per informare e prevenire i dannosi effetti dei raggi solari.
I raggi del sole nascondono pericoli: sono composti di luce visibile (50 %), raggi infrarossi (44 %) e raggi ultravioletti UV(6 %). I raggi UV sono una delle cause principali del cancro della pelle e favoriscono l'invecchiamento precoce della pelle.
Quali i consigli di SUVA per il lavoro all'aperto? ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Valutazione del rischio stress lavoro-correlato: rinvio dell'obbligo al 31.12.2010 per la Pubblica Amministrazione.
Il D.L. 31.05.2010, n. 78 (la c.d. Manovra del Governo) ha introdotto alcune novità anche in materia di sicurezza sul lavoro.
Segnaliamo, in particolare:
- il rinvio al 31.12.2010 per la valutazione dello stress da lavoro correlato per le pubbliche amministrazioni;
- la soppressione dell'ISPESL e IPSEMA ... (link a www.acca.it).

APPALTI: DURC e Associazioni temporanee di Imprese: le risposte Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro ha risposto, con un provvedimento del 09.06.2010, al quesito posto dall’ANCE (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili) sul rilascio del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) nel caso di appalto aggiudicato ad una Associazione Temporanea di Imprese.
Il quesito riguardava, in particolare, il caso in cui l’ATI aggiudicataria dell’appalto decidesse di costituire una Società Consortile per l’esecuzione dell’appalto.
Il Ministero ha chiarito che in tal caso: ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Vademecum per l’impresa e il cantiere - maggio 2010 (Comitato Paritetico Territoriale -CPT- di Roma e Provincia).
Il documento contiene la lista esaustiva di tutta la documentazione attestante l’attuazione di adempimenti a carico del datore di lavoro
A cura del Comitato Paritetico Territoriale (CPT) di Roma e Provincia è stato preparato un agile vademecum, aggiornato a maggio 2010, recante utilissime informazioni per il cantiere.
Il documento contiene la lista esaustiva di tutta la documentazione attestante l’attuazione di adempimenti a carico del datore di lavoro.
Inoltre il vademecum contiene anche l’elenco degli adempimenti e della documentazione a cura del committente, la documentazione minima a cura delle imprese esecutrici che utilizzano proprio personale, macchine e attrezzature, da esibire al committente o all’impresa affidataria in caso di subappalto per dimostrare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese oltre alla documentazione minima che i lavoratori autonomi devono esibire al committente o all’impresa affidataria in caso di subappalto.
Chiude il vademecum una lista degli organi con compiti di controllo, coordinamento e vigilanza che hanno accesso nei cantieri edili.

VARI: "Casa Sicura" è l'opuscolo illustrato dei Vigili del fuoco tradotto in 9 lingue per prevenire gli incidenti domestici. Disattenzioni, impianti difettosi, negligenze: sono molti i fattori da cui possono derivare reali pericoli per l'incolumità delle persone e dell'abitazione.
Per questo i Vigili del fuoco, che da tempo sono impegnati in un'attività di prevenzione e di divulgazione sui comportamenti da adottare per la prevenzione, hanno elaborato alcune indicazioni indirizzate a scuole e famiglie su come affrontare situazioni di pericolo con competenza.

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Poste e Fs senza rimborsi. Secondo la giurisprudenza le due società hanno natura pubblica. L'ente non paga gli oneri per i permessi retribuiti.
Il comune è tenuto a rimborsare, ai sensi dell'art. 80 del Tuel, gli oneri per i permessi retribuiti fruiti dagli amministratori che siano dipendenti di Poste italiane spa o di Ferrovie dello stato spa?
L'art. 80 del Tuel precisa che gli oneri per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici sono a carico dell'ente presso il quale gli stessi lavoratori esercitano le funzioni pubbliche di cui all'art. 79 Tuel.
Con l'espressione «lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici» il legislatore ha voluto escludere i lavoratori dipendenti dallo stato o da altri enti pubblici. Nel caso prospettato occorre, quindi, individuare la natura giuridica di Poste italiane spa e di Ferrovie dello stato spa che, pur avendo assunto la forma societaria, sono qualificate dalla giurisprudenza amministrativa enti sostanzialmente pubblici.
Il Consiglio di stato, sez. VI, con la sentenza n. 1206 del 02.03.2001, considerata fondamentale in tema di natura giuridica delle società per azioni derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici e degli enti di gestione, ha evidenziato che dottrina e giurisprudenza, dopo un iniziale contrasto tra i fautori della tesi privatistica delle società per azioni a partecipazione pubblica e quelli della tesi pubblicistica, si sono orientate nel senso di escludere che la semplice veste formale di spa sia idonea a trasformare la natura pubblicistica di soggetti che, in mano al controllo maggioritario dell'azionista pubblico, continuano ad essere affidatari di rilevanti interessi pubblici; pertanto, ai fini dell'identificazione della natura pubblica di un soggetto, la forma societaria è neutra ed il perseguimento di uno scopo pubblico non è in contraddizione con il fine societario descritto dall'art. 2247 del codice civile.
L'alto consesso ha, pertanto, ritenuto che Poste italiane spa, abbia natura pubblica, continui ad agire per il conseguimento di finalità pubblicistiche e che lo stato, nella sua veste di azionista di maggioranza o totalitario, non possa che indirizzare le attività societarie ai fini di interesse pubblico generale anche al di là e prescindendo dal mero intento lucrativo.
L'orientamento del Consiglio di stato risulta ribadito in successive analoghe sentenze (cfr. Cds sez. VI, 05.03.2002, n. 1303; Cds sez. VI, 07.08.2002, n. 4152) e trova fondamento anche nelle decisioni della Corte costituzionale, che ha evidenziato la rilevanza della natura sostanzialmente pubblicistica dei soggetti in questione rispetto all' organizzazione societaria (cfr. Corte cost. n. 466/1993).
La Consulta ha, infatti, definito le società per azioni derivate dalla trasformazione dei precedenti enti pubblici società di «diritto speciale», perché riconducibili alla disciplina privatistica solo per taluni aspetti strutturali e non per caratteristiche genetiche, ed ha ricordato come la stessa dicotomia tra ente pubblico e società di diritto privato si sia andata, tanto in sede normativa che giurisprudenziale, sempre più stemperando a causa, da un lato, dell'impiego crescente dello strumento della società per azioni per il perseguimento di finalità di interesse pubblico; dall'altro, degli indirizzi emersi in sede comunitaria, favorevoli all'adozione di una nozione sostanziale d'impresa pubblica (art. 2 direttiva Cee n. 80/723, art. 1 direttiva Cee n. 90/531). Ha inoltre sottolineato che tali società conservano connotazioni proprie della loro originaria natura pubblicistica, quali quelle connesse al ruolo, assunto dalle spa, di concessionarie necessarie di tutte le attività in precedenza riservate agli enti originari, o che mantengono alle nuove società le attribuzioni in materia di dichiarazione di pubblica utilità e di necessità ed urgenza spettanti agli enti stessi (vedi art. 14, primo e ultimo comma, legge n. 359/1992).
Anche con riferimento alle società che svolgono il servizio ferroviario sul territorio nazionale, e che attualmente fanno capo alla Ferrovie di stato spa, la giurisprudenza amministrativa ha ribadito analoghi concetti (cfr. Tar Lazio Roma, sez. III, n. 6130/2006); in particolare ha chiarito la natura pubblicistica di tale ente, concessionario ex lege della gestione del servizio di trasporto ferroviario (Consiglio stato, sez. VI, n. 1683/1998) e, quindi, sostituto e organo indiretto della pubblica amministrazione, i cui atti sono soggettivamente e oggettivamente amministrativi (Tar Lazio, sez. III, n. 7010/2002).
È ragionevole, quindi, concludere nel senso che l'adozione della forma societaria è un mero modulo giuridico per rendere l'attività economica più efficace e più funzionale rispetto alla sfida dei mercati internazionali, fermo restando che l'impresa mantiene sotto molteplici profili uno spiccato rilievo pubblicistico (Cds, sez. VI, n. 498/1995); pertanto, nel caso di specie, il comune non è tenuto a rimborsare gli oneri per i permessi retribuiti per la natura pubblica di Poste italiane spa e di Ferrovie dello stato spa (articolo ItaliaOggi del 18.06.2010, pag. 36).

QUESITI & PARERI

ENTI LOCALI: Indennità di posizione del segretario comunale in rapporto alla popolazione del Comune presso cui presta servizio.
Il Comune di (omissis) chiede se al Segretario Comunale, precedentemente in servizio, quale titolare, in una segreteria con popolazione superiore ai 3000 abitanti e al quale era stata attribuita una maggiorazione del 50% della retribuzione di posizione in godimento, continui a spettare la stessa maggiorazione, in quanto diritto acquisito, anche nel caso di trasferimento dello stesso in un Comune con popolazione inferiore ai 3000 abitanti, Ente nel quale la maggiorazione massima dell’indennità di posizione è stabilita nel 30% (Regione Piemonte, parere n. 52/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pareri preventivi ai “centri storici” delle disposizioni regionali e statali vigenti. Disciplina del vincolo paesaggistico.
Viene posto un quesito di cospicua rilevanza ed attualità in tema di applicazione ai “centri storici” delle disposizioni di legge statali e regionali che prescrivono pareri preventivi vincolanti, e che disciplinano il “vincolo” paesaggistico con la conseguente necessità –o meno– di autorizzazione paesaggistica (Regione Piemonte, parere n. 51/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Edificazione su territorio agricolo.
Vengono richiesti alcuni distinti pareri su questioni attinenti all’edificazione nel territorio agricolo (Regione Piemonte, parere n. 50/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

ENTI LOCALI: Ripartizione delle spese di gestione di un edificio scolastico fra gli Enti fruitori.
Presso il Comune di (omissis) è in attività la scuola dell'infanzia statale frequentata sia da bambini residenti nello stesso Comune sia da bambini residenti in altri Comuni. Le spese di gestione dell'edificio, trattandosi di scuola statale, oltre alle spese di scodellamento dei pasti somministrati durante la refezione scolastica, sono a carico del Comune.
Il Comune chiede se sia legittimo richiedere agli iscritti alla scuola o ai Comuni dove gli iscritti sono residenti, una quota di compartecipazione a parziale copertura delle spese sopra indicate sostenute dal Comune proprietario dell’edificio scolastico (Regione Piemonte, parere n. 48/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Normativa in materia di installazione di impianti fotovoltaici. Titoli abilitativi necessari.
Si chiede parere avente ad oggetto alcune precisazioni inerenti i titoli abilitativi necessari per la realizzazione di impianti fotovoltaici (Regione Piemonte, parere n. 46/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: Il regime transitorio di applicazione del D.M. 14.01.2008 Norme tecniche per le costruzioni alle opere private.
Oggetto di disamina è l’art. 20, 3° comma, del D.L. 31/12/2007 (convertito dall’art. 1, comma 1 della L. 28/02/2008, n. 31) che detta la regolamentazione del regime transitorio, disponendo che: “Per le costruzioni e le opere infrastrutturali iniziate nonché per quelle per le quali le amministrazioni aggiudicatrici abbiano affidato lavori o avviato progetti definitivi ed esecutivi prima dell’entrata in vigore della revisione generale delle norme tecniche per le costruzioni approvate con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 14.09.2005, continua ad applicarsi la normativa tecnica utilizzata per la redazione dei progetti, fino all’ultimazione dei lavori e dell’eventuale collaudo” (link a www.centrostudicni.it).

SICUREZZA LAVORO: L’obbligo di aggiornamento per il coordinatore per la progettazione e per il coordinatore in fase di esecuzione che hanno conseguito l’attestato di frequenza ai corsi abilitanti antecedentemente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2008.
Oggetto della presente nota è chiarire se l’obbligo di aggiornamento quinquennale, di cui all’art. 98, 2° comma ed Allegato XIV del D.Lgs. n. 81/2008, sussista anche per i coordinatori della sicurezza (per la progettazione ed in fase di esecuzione) che abbiano conseguito l’attestato di frequenza ai corsi qualificanti ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.Lgs. n. 494/1996 e, dunque, antecedentemente all’entrata in vigore dello stesso D.Lgs. n. 81/2008 (link a www.centrostudicni.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATAL'art. 31, comma 9, l. 17.08.1942 n. 1150 non ha introdotto un'azione popolare che consentirebbe a qualsiasi cittadino di impugnare il provvedimento che prevede la realizzazione di un'opera per far valere comunque l'osservanza delle prescrizioni che regolano l'edificazione, ma ha riconosciuto una posizione qualificata e differenziata solo in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di "stabile collegamento" con la stessa.
La legittimazione a impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, la quale non postula necessariamente l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale.
Ai fini dell'impugnazione di una concessione edilizia, la condizione della vicinitas, ossia dello stabile collegamento tra il ricorrente e la zona interessata dall'intervento assentito, va valutata alla stregua di un giudizio che tenga conto della natura e delle dimensioni dell'opera realizzata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla qualità della vita di coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera.

Il Collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale “l'art. 31, comma 9, l. 17.08.1942 n. 1150, come modificato dall'art. 10 l. 06.08.1967 n. 765, non ha introdotto un'azione popolare che consentirebbe a qualsiasi cittadino di impugnare il provvedimento che prevede la realizzazione di un'opera per far valere comunque l'osservanza delle prescrizioni che regolano l'edificazione, ma ha riconosciuto una posizione qualificata e differenziata solo in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di "stabile collegamento" con la stessa. La legittimazione deve essere per lo meno specificata nell'impugnativa, con riferimento alla situazione concreta e fattuale, indicando la ragione, il come e la misura con cui il provvedimento impugnato si rifletta sulla propria posizione sostanziale determinandone una lesione concreta, immediata e attuale -nella specie, gli interessati si sono limitati ad indicare nel ricorso originario di essere "tutti abitanti del quartiere" oggetto del programma di intervento senza precisare alcunché con riferimento alla specifica vicinanza e alla concreta lesione subita“ (Consiglio Stato, sez. V, 07.07.2005, n. 3757).
Ancora di recente, ha condivisibilmente affermato la giurisprudenza: “La legittimazione a impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, la quale non postula necessariamente l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale” (Consiglio di Stato, sez. IV, 16.03.2010, n. 1535).
Alla concessione edilizia in sanatoria di cui all'art. 31, l. 28.02.1985, n. 47 sono applicabili i principi in materia di legittimazione all'impugnazione da parte dei proprietari dei fondi confinanti incisi dalla sanatoria dell'illecito, se non conforme a legge; tale legittimazione sussiste per il fatto stesso che il terzo si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona interessata dalla costruzione oggetto di sanatoria, a prescindere da ogni indagine sulla sussistenza di un ulteriore specifico interesse” (Consiglio di Stato, sez. IV, 30.11.2009, n. 7491).
Peraltro la giurisprudenza recente in talune pronunce si è spinta a postulare identità dei concetti di vicinitas e legitimatio ad causam, (superando così il più restrittivo orientamento secondo il quale “ai fini dell'impugnazione di una concessione edilizia, la condizione della vicinitas, ossia dello stabile collegamento tra il ricorrente e la zona interessata dall'intervento assentito, va valutata alla stregua di un giudizio che tenga conto della natura e delle dimensioni dell'opera realizzata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla qualità della vita di coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera” -Consiglio di Stato, sez. IV, 31.05.2007, n. 2849) avendo affermato che “il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione atteso che l'esistenza della suddetta posizione legittimante abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli potrebbero arrecare” (Consiglio di Stato, sez. IV, 12.05.2009, n. 2908)
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.06.2010 n. 3744 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'annullamento di una concessione edilizia riconosciuto illegittimo in sede giurisdizionale concreta lesione di un interesse oppositivo che la P.A. è tenuta a riparare mediante risarcimento del danno ingiusto (eventualmente) subito dall'interessato.
L'annullamento di una concessione edilizia riconosciuto illegittimo in sede giurisdizionale concreta indubbiamente la lesione di un interesse oppositivo che la P.A. è tenuta a riparare mediante risarcimento del danno ingiusto (eventualmente) subito dall'interessato (si veda, tra le tante, Corte di Cassazione, Sezione III, 10.02.2005 n. 2705)
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.06.2010 n. 3744 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAL'art. 27, comma 4, l. 05.08.1978 n. 457 consente forme agevolate d'intervento nelle zone di recupero per i casi in cui non sia previsto il relativo piano nonché interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e ristrutturazione che riguardino opere interne e singole unità immobiliari in deroga alle eventuali norme di p.r.g. che prescrivano la formazione di un piano particolareggiato, a condizione che lo stesso non sia stato approvato. Pertanto non discende da detta norma alcuna volontà legislativa di consentire, attraverso i piani di recupero, interventi in deroga allo strumento urbanistico generale.
Sin da tempo risalente, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che “L'art. 27, comma 4, l. 05.08.1978 n. 457 consente forme agevolate d'intervento nelle zone di recupero per i casi in cui non sia previsto il relativo piano nonché interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e ristrutturazione che riguardino opere interne e singole unità immobiliari in deroga alle eventuali norme di p.r.g. che prescrivano la formazione di un piano particolareggiato, a condizione che lo stesso non sia stato approvato. Pertanto non discende da detta norma alcuna volontà legislativa di consentire, attraverso i piani di recupero, interventi in deroga allo strumento urbanistico generale“ (Consiglio Stato, sez. V, 20.11.1989, n. 749) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.06.2010 n. 3744 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACostituiscono ristrutturazioni edilizie, con conseguente esonero dall'osservanza delle prescrizioni sulle distanze per le nuove costruzioni, gli interventi su fabbricati ancora esistenti e, dunque, su entità dotate quanto meno di murature perimetrali, di strutture orizzontali e di copertura, tali da assolvere alle loro essenziali funzioni di delimitazione, sostegno e protezione dell'entità stessa. Ne consegue che, pur non esulando dal concetto normativo di ristrutturazione edilizia la demolizione del fabbricato ove sia seguita dalla sua fedele ricostruzione, ai fini della qualificazione di un intervento ricostruttivo come ristrutturazione, da un lato, non è sufficiente che un anteriore fabbricato sia fisicamente individuabile in tutta la sua perimetrazione, essendo indispensabile a soddisfare il requisito della sua esistenza che non sia ridotto a spezzoni isolati, rovine, ruderi e macerie, e, dall'altro, che la ricostruzione di esso, oltre ad essere effettuata in piena conformità di sagoma, di volume e di superficie, venga eseguita in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della avvenuta demolizione per cause naturali od opera dell'uomo.
Il concetto di ristrutturazione edilizia comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione assicuri la piena conformità di sagoma, volume e superficie fra il vecchio e il nuovo manufatto, essendo in caso contrario necessario il previo rilascio della concessione edilizia.
La disposizione dell'art. 31, comma 1, lett. d), l. 05.08.1978 n. 457 qualifica la ristrutturazione edilizia come intervento "volto a trasformare gli organismi edilizi", indicando in tal modo con chiarezza l'intento di agevolare il recupero estetico e funzionale di manufatti già inseriti nel tessuto edilizio, senza determinare un incremento del carico urbanistico dell'area considerata. Quindi, la trasformazione dell'edificio preesistente, finalizzata al suo recupero funzionale, può essere compiuta anche attraverso la demolizione radicale e la ricostruzione (fedele) di parti rilevanti del manufatto, specie quando ciò risulti più conveniente sotto il profilo tecnico od economico; e questa possibilità può essere allargata alle ipotesi di totale demolizione e ricostruzione dell'edificio, purché il nuovo edificio corrisponda pienamente a quello preesistente. Inoltre è da rilevare che, anche se per effetto della normativa introdotta dall'art. 1 d.lg. n. 301 del 27.12.2002, il vincolo della fedele ricostruzione è venuto meno, così estendendosi ulteriormente il concetto di detta ristrutturazione edilizia, e non per questo sono venuti a cessare i limiti che ne condizionano le caratteristiche e consentono di distinguerla dall'intervento di nuova costruzione, essendo sempre necessario che la costruzione corrisponda quantomeno nel volume e nella sagoma, al fabbricato demolito.
Il concetto di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 31, comma 1, lett. d), l. n. 457 del 1978, comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, con l'unica condizione che la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, volume e superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto, ragion per cui si avrà mera ristrutturazione esclusivamente nel caso in cui, pur pervenendo ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente, tale diversità sia dovuta ad elementi comprendenti il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti, senza che si determini alcuna alterazione volumetrica o di localizzazione o di sagoma, che determinerebbe, infatti, la genesi di una nuova costruzione.
Sia la giurisprudenza della Corte di Cassazione (“in base all'art. 31, comma 1, lett. d, l. 05.08.1978 n. 457, costituiscono ristrutturazioni edilizie, con conseguente esonero dall'osservanza delle prescrizioni sulle distanze per le nuove costruzioni, gli interventi su fabbricati ancora esistenti e, dunque, su entità dotate quanto meno di murature perimetrali, di strutture orizzontali e di copertura, tali da assolvere alle loro essenziali funzioni di delimitazione, sostegno e protezione dell'entità stessa. Ne consegue che, pur non esulando dal concetto normativo di ristrutturazione edilizia la demolizione del fabbricato ove sia seguita dalla sua fedele ricostruzione, ai fini della qualificazione di un intervento ricostruttivo come ristrutturazione, da un lato, non è sufficiente che un anteriore fabbricato sia fisicamente individuabile in tutta la sua perimetrazione, essendo indispensabile a soddisfare il requisito della sua esistenza che non sia ridotto a spezzoni isolati, rovine, ruderi e macerie, e, dall'altro, che la ricostruzione di esso, oltre ad essere effettuata in piena conformità di sagoma, di volume e di superficie, venga eseguita in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della avvenuta demolizione per cause naturali od opera dell'uomo” -Cassazione civile, sez. II, 27.10.2009, n. 22688) che quella amministrativa (“ai sensi dell'art. 31 lett. d), l. 05.08.1978 n. 457, il concetto di ristrutturazione edilizia comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione assicuri la piena conformità di sagoma, volume e superficie fra il vecchio e il nuovo manufatto, essendo in caso contrario necessario il previo rilascio della concessione edilizia" -Consiglio di Stato, sez. V, 18.12.2008, n. 6318) hanno costantemente ritenuto la necessità che gli interventi di ristrutturazione assicurino la piena conformità di sagoma, volume e superficie, tra vecchio e nuovo edificio. E ciò anche in ipotesi di attività ricostruttiva.
Soffermando l’attenzione alle “deviazioni” da tale predicato, eziologicamente riconducibili al danno lamentato, non v’è dubbio che nel caso di specie, essendosi verificato un innalzamento dell’edificio, il concetto di “ristrutturazione” non possa essere fondatamente richiamato.
Più in particolare, va rammentato che la giurisprudenza amministrativa ha più volte chiarito che “la disposizione dell'art. 31, comma 1, lett. d), l. 05.08.1978 n. 457 qualifica la ristrutturazione edilizia come intervento "volto a trasformare gli organismi edilizi", indicando in tal modo con chiarezza l'intento di agevolare il recupero estetico e funzionale di manufatti già inseriti nel tessuto edilizio, senza determinare un incremento del carico urbanistico dell'area considerata. Quindi, la trasformazione dell'edificio preesistente, finalizzata al suo recupero funzionale, può essere compiuta anche attraverso la demolizione radicale e la ricostruzione (fedele) di parti rilevanti del manufatto, specie quando ciò risulti più conveniente sotto il profilo tecnico od economico; e questa possibilità può essere allargata alle ipotesi di totale demolizione e ricostruzione dell'edificio, purché il nuovo edificio corrisponda pienamente a quello preesistente. Inoltre è da rilevare che, anche se per effetto della normativa introdotta dall'art. 1 d.lg. n. 301 del 27.12.2002, il vincolo della fedele ricostruzione è venuto meno, così estendendosi ulteriormente il concetto di detta ristrutturazione edilizia, e non per questo sono venuti a cessare i limiti che ne condizionano le caratteristiche e consentono di distinguerla dall'intervento di nuova costruzione, essendo sempre necessario che la costruzione corrisponda quantomeno nel volume e nella sagoma, al fabbricato demolito” (Consiglio di Stato, sez. V, 30.08.2006, n. 5061).
Allorché si determini alterazione di sagoma o volume, non v’è quindi spazio per il richiamo alla nozione di ristrutturazione: (“il concetto di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 31, comma 1, lett. d), l. n. 457 del 1978, comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, con l'unica condizione che la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, volume e superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto, ragion per cui si avrà mera ristrutturazione esclusivamente nel caso in cui, pur pervenendo ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente, tale diversità sia dovuta ad elementi comprendenti il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti, senza che si determini alcuna alterazione volumetrica o di localizzazione o di sagoma, che determinerebbe, infatti, la genesi di una nuova costruzione” -Consiglio di Stato, sez. V, 29.05.2006, n. 3229)
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.06.2010 n. 3744 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINel bando di gara l'Amministrazione appaltante può autolimitare il proprio potere discrezionale di apprezzamento mediante apposite clausole, rientrando nella sua discrezionalità la fissazione di requisiti di partecipazione ad una gara d'appalto diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, salvo però il limite della logicità e ragionevolezza dei requisiti richiesti e della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito.
L'amministrazione appaltante può legittimamente inserire nel disciplinare di gara, quale requisito di partecipazione, la presentazione di referenze bancarie rilasciate da almeno due istituti di credito di rilevanza nazionale per determinare in concreto la capacità economica e finanziaria delle imprese concorrenti: è infatti pacifico il non limitato potere discrezionale delle pubbliche amministrazioni nel fissare i requisiti di partecipazione a una gara per l'aggiudicazione di lavori, servizi o forniture in modo più stringente o in numero maggiore di quelli fissati dalla legge, sempre che non siano irragionevoli o in violazione di principi generali o della stessa legge.

Le clausole dei bandi di concorso che prevedono requisiti soggettivi di partecipazione sono immediatamente lesive e devono essere impugnate immediatamente dai soggetti interessati, senza attendere l'adozione di appositi provvedimenti di esclusione del concorrente. Questa regola, tuttavia, presuppone che la disposizione del bando sia assolutamente chiara ed univoca nel suo contenuto precettivo e non richieda alcuna significativa attività interpretativa né dei destinatari del bando, né degli organi dell'amministrazione che ne debbano fare applicazione” (Consiglio Stato, sez. V, 07.11.2007, n. 5776).
Come è noto, la normativa vigente non preclude alle Stazioni appaltanti la possibilità di chiedere requisiti ulteriori, logicamente connessi all'oggetto dell'appalto. Per cui nel bando di gara l'Amministrazione appaltante può di certo autolimitare il proprio potere discrezionale di apprezzamento mediante apposite clausole, rientrando nella sua discrezionalità la fissazione di requisiti di partecipazione ad una gara d'appalto diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, salvo però il limite della logicità e ragionevolezza dei requisiti richiesti e della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito (cfr., ex plurimis, Consiglio Stato, sez. IV, 15.09.2006 n. 5377).
In materia di requisiti di ammissione alle gare di appalto della Pubblica amministrazione, difatti, le norme regolatrici, sia comunitarie che interne, prevedono fattispecie elastiche, strutturate su concetti non tassativi, ma indeterminati, che implicano, per la loro definizione da parte dell'interprete, un rinvio alla realtà sociale. Ma ferma restando la possibilità di prevedere (purché non in termini illogici ed abnormi tali da finire per restringere oltremodo il principio volto a favorire la concorrenza e la massima partecipazione alle gare) requisiti partecipativi più stringenti ("l'amministrazione appaltante può legittimamente inserire nel disciplinare di gara, quale requisito di partecipazione, la presentazione di referenze bancarie rilasciate da almeno due istituti di credito di rilevanza nazionale per determinare in concreto la capacità economica e finanziaria delle imprese concorrenti: è infatti pacifico il non limitato potere discrezionale delle pubbliche amministrazioni nel fissare i requisiti di partecipazione a una gara per l'aggiudicazione di lavori, servizi o forniture in modo più stringente o in numero maggiore di quelli fissati dalla legge, sempre che non siano irragionevoli o in violazione di principi generali o della stessa legge" Consiglio Stato, sez. VI, 22.05.2006, n. 2959).
Deve ribadirsi che (salva espressa difforme prescrizione di legge: si veda, ad esempio, l’art. 11 del d.lgs. n. 498 del 1992 comma 5-ter) il punteggio relativo ai vari criteri in caso di aggiudicazione secondo il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa non possa che essere attribuito in rapporto ed in funzione della valutazione dell'offerta concernente in termini concreti ciò che viene messo a disposizione per l'espletamento del servizio nei confronti della stazione appaltante, con esclusione di qualsiasi considerazione estesa ex se alle qualità generali dei partecipanti: sia per la necessità di adeguare i criteri al mero oggetto di gara e quindi di contratto (come desumibile dall'interpretazione conforme a ragionevolezza dell'art. 83 codice dei contratti, laddove precisa che i criteri di valutazione dell'offerta debbano essere pertinenti alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche del contratto), sia in quanto, altrimenti opinando, si avrebbe una predeterminazione degli esiti di gara in favore delle imprese di più rilevanti dimensioni, in violazione di principi basilari e fondamentali come la tutela della par condicio e la tutela della concorrenza.
Anche gli arresti giurisprudenziali che in passato hanno affermato che è legittimo prevedere l'attribuzione di punteggi alle esperienze pregresse ai fini della valutazione dell'offerta, hanno precisato che ciò sarebbe possibile soltanto a condizione che tale criterio non abbia influenza decisiva sull'affidamento dell'appalto (in tal senso, espressamente, TAR Lazio, III, 06.07.2005, n. 5553; nello stesso senso cfr. TAR Sicilia, 06.06.2007, n. 1590) e che tale esperienza “valutabile” debba porsi qual elemento che finisce con il ridondare sulla qualità del servizio offerto
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.06.2010 n. 3740 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione di una gara adottato nei confronti di una cooperativa che si sia avvalsa dei requisiti posseduti da una società di capitali.
Nelle gare "sotto soglia" riservate -in via eccezionale- alle cooperative sociali, l'istituto dell'avvalimento non può essere utilizzato ove esso si risolva nella possibilità di usufruire dei requisiti di società di capitali, non ricomprese nel novero delle cooperative sociali.
Ciò anche in considerazione di quanto espresso nel parere n. 38/2009 dell'Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, che evidenzia come in tal caso verrebbe falsata la selezione comparativa e pregiudicata la finalità solidaristica della disciplina in questione.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo il provvedimento di aggiudicazione adottato da una stazione appaltante nei confronti di una cooperativa che, per partecipare all'appalto si sia avvalsa dei requisiti economico-finanziari e tecnici posseduti da una società di capitali.
Ove, infatti. si consentisse alle cooperative sociali di partecipare tramite tale forma di avvalimento agli appalti ad esse riservati, ne risulterebbe alterata la par condicio del relativo settore, con conseguente rilevante pregiudizio dello stesso imparziale perseguimento delle finalità sociali e solidaristiche perseguite, nel senso che non sarebbe garantita "ex ante" una uniforme possibilità di ampliamento delle possibilità partecipative alle gare (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 15.06.2010 n. 1762 - link a www
.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla illegittimità dell'esclusione di un concorrente per asserita carenza del requisito della "regolarità fiscale", nell'ipotesi in cui risulti che il predetto debito sia soggetto a procedura di "sgravio".
Sulla sussistenza del requisito di regolarità fiscale nell'ipotesi di pendenze non ancora accertate in via definitiva.

E' illegittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente per asserita mancanza del requisito della cd. "regolarità fiscale" di cui all'art. 75, c. 1, lett. g, del D.P.R. 554/1999, ciò in quanto, nel caso di specie, dalla attestazione proveniente dall'Agenzia delle Entrate risulta che il predetto debito è stato assoggettato a procedura di "sgravio" a seguito del pagamento effettuato, dall'impresa esclusa, nel periodo antecedente alla partecipazione della stessa alla gara.
Nell'ipotesi in cui, a carico di un'impresa concorrente, pendano precedenti debiti non ancora accertati in via definitiva, ciò non inficia la sussistenza del requisito di regolarità fiscale, in quanto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini della disposizione di cui all'art. 75, c. 1, lett. g, del D.P.R. 554/1999, sono irrilevanti i debiti non ancora muniti del carattere della definitività, dovendosi altrimenti dubitare della conformità della disposizione in esame ai principi di cui agli artt. 3 e 97 cost.; peraltro, un eventuale provvedimento di esclusione, in siffatta ipotesi, violerebbe il principio di legalità ed imparzialità dell'azione amministrativa, poiché sarebbero sottoposti a "preventiva" esclusione comportamenti che, successivamente, potrebbero risultare leciti o indebitamente" accertati (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 11.06.2010 n. 2285 - link a www
.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo cimiteriale - Fabbricati non destinati ad abitazione e di carattere pertinenziale - Inedificabilità assoluta.
Il vincolo a zona di rispetto cimiteriale previsto dall’art. 338 del T.U.LL.SS. comporta (v., per tutte, recentemente, Cons. Stato , IV, 27.10.2009, n. 6547) inedificabilità assoluta dell’area, e tanto vale indipendentemente dal tipo di fabbricato, anche non finalizzato all’abitazione e di carattere pertinenziale.
Il vincolo, infatti, risponde ad una triplice funzione: di assicurare condizioni di igiene e di salubrità, di garantire tranquillità e decoro ai luoghi di sepoltura, di consentire futuri ampliamenti dell’impianto funerario (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 11.06.2010 n. 1815 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: La collocazione di mezzi pubblicitari lungo le strade nel centro abitato non può essere esclusa in modo generalizzato.
L’art. 8 del regolamento comunale sulla pubblicità, invece, prevede che “E’ vietato il posizionamento dei cartelli e degli altri mezzi pubblicitari nel centro abitato e lungo, in prossimità ed in vista delle strade”.
Rispetto a tale disposizione il Comune di Ponte Nossa risulta, in effetti, aver optato per un’interpretazione strumentale all’applicazione di un totale e generalizzato divieto di apposizione di mezzi pubblicitari sull’intero territorio del centro abitato. Tale divieto, proprio perché inteso come indiscriminato e non suscettibile di alcuna eccezione in ragione di situazioni differenziate che potrebbero essere meritevoli di autorizzazione, finisce per porsi in contrasto con la vigente normativa in materia e con i principi costituzionali che la regolano, in particolare in termini di tutela dell’iniziativa economica.
A prescindere, quindi, dal fatto che il provvedimento impugnato, in concreto, non evidenzia quali degli impianti di cui è stata richiesta l’autorizzazione andrebbero ad interferire con la realizzazione di parcheggi pubblici e quali inciderebbero sulla percezione visiva della chiesetta di S. Bernardo, con ciò incidendo negativamente sulla comprensibilità e puntualità del provvedimento, nonché sulla possibilità per la richiedente di difendere le proprie ragioni, il Collegio ritiene comunque determinante la ravvisata illegittimità del provvedimento derivante da una lettura del regolamento comunale impositiva del divieto generalizzato di collocazione di mezzi pubblicitari lungo tutte le strade nel centro abitato.
Tale applicazione della disciplina regolamentare contraria alla ratio della normativa vigente in materia, la quale tende ad una puntuale regolamentazione dell’utilizzo dei mezzi pubblicitari, ma non anche ad escludere in modo generalizzato lo stesso, determina, pertanto, l’illegittimità sia della nota applicativa prot. n. 3852 del 2009, ma anche ed ancor prima dell’art. 8, commi 2 e 13 del regolamento comunale della pubblicità che, pertanto, sono meritevoli del richiesto annullamento.
Ciò in linea con la giurisprudenza ormai costante che ha più volte ritenuto l’illegittimità di divieti generalizzati ed indiscriminati, tali da realizzare una vera e propria paralisi dell’attività imprenditoriale (quale è quella di posa di cartelli pubblicitari), nell’ambito di un Comune (TAR Parma, n. 2 del 07.01.2010, TAR Lombardia, Milano sez. IV, 05.07.2006, n. 1707 e 02.05.2006, n. 1118) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.06.2010 n. 2303 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’installazione di cartelli pubblicitari lungo gli “itinerari turistici” è subordinato al parere positivo della Sovrintendenza.
Riassumiamo brevemente le circostanze che hanno portato a tale pronuncia: la società ricorrente ha richiesto il posizionamento di 2 cartelli pubblicitari, che il Comune ha negato limitandosi a richiamare gli indirizzi di tutela contenuti nel Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), il quale vieterebbe, secondo l’interpretazione dell’Amministrazione, il posizionamento di cartellonistica lungo detta strada.
I giudici del Tribunale amministrativo di Brescia, accogliendo il ricorso, ricostruiscono il quadro normativo di riferimento, delineato in primo luogo dall’art. 109 delle NTA del Piano Territoriale di coordinamento, espressamente invocato dal Comune a sostegno dei propri provvedimenti negativi.
Tale norma tende, “per il mantenimento, il recupero e la valorizzazione del ruolo paesistico originario”, ad indirizzare le Amministrazioni comunali a “vietare la collocazione della cartellonistica pubblicitaria e prevedere la progressiva eliminazione di quella esistente”.
Ciò, spiegano i giudici lombardi, in linea con quanto imposto, ancora più a monte, dall’art. 153 del d.lgs. 42/2004, il quale recita: “1. Nell'ambito e in prossimità dei beni paesaggistici indicati nell'articolo 134 e' vietata la posa in opera di cartelli o albi mezzi pubblicitari se non previa autorizzazione dell'amministrazione competente , che provvede su parere vincolante, salvo quanto previsto dall'articolo 146, comma 5, del soprintendente. Decorsi inutilmente i termini previsti dall'articolo 146, comma 8, senza che sia stato reso il prescritto parere, l'amministrazione competente procede ai sensi del comma 9 del medesimo articolo 146.
2. Lungo le strade site nell'ambito e in prossimità dei beni indicati nel comma 1 è vietata la posa in opera di cartelli o altri mezzi pubblicitari, salvo autorizzazione rilasciata ai sensi della normativa in materia di circolazione stradale e di pubblicità sulle strade e sui veicoli, previo parere favorevole del soprintendente sulla compatibilità della collocazione o della tipologia del meno pubblicitario con i valori paesaggistici degli immobili o delle aree soggetti a tutela
”.
I giudici bresciani ritengono, pertanto, che, come lo stesso Tribunale ha già più volte avuto modo di precisare in sede cautelare, la norma ora riportata non introduca un divieto generalizzato di installazione di cartelli pubblicitari lungo gli “itinerari turistici”, ma subordini l’autorizzazione della stessa al parere positivo della Sovrintendenza.
Né un tale divieto, concludono gli stessi giudici, può essere individuato nelle prescrizioni del PTCP, le quali non operano direttamente, ma costituisco, come già anticipato, atti di indirizzo cui i Comuni sono tenuti ad adeguarsi nella predisposizione della propria strumentazione urbanistica (commento tratto da link a www.documentazione.ancitel.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.06.2010 n. 2301 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE In assenza di provvedimento di acquisizione sanante il soggetto interessato potrà sempre agire per la restituzione del bene.
La vicenda, che ha ad oggetto le conseguenze dell’incontestato mancato completamento di una procedura espropriativa nei termini fissati, non può essere correttamente analizzata se non si tiene in debito conto che lo stesso procedimento espropriativo origina, almeno in parte, da una precedente vicenda di lottizzazione conclusasi anch’essa con un ricorso al giudice amministrativo.
A seguito dell'introduzione dell'art. 43 del D.P.R. n. 327/2001, deve ritenersi escluso che possa operare il meccanismo dell'occupazione acquisitiva, di talché, in assenza di provvedimento di acquisizione, il soggetto interessato potrà sempre agire per la restituzione del bene (in materia, Cons. St., Ad. Plen., 29.04.2005 n. 2, Cons. St., sez. IV, 21.05.2007 n. 2582, Cons. St., sez. IV, 04.02.2008 n. 303).
Ne discende che, dal momento che il proprietario deve ritenersi ancora tale sino all’intervento di un atto traslativo della proprietà (e cioè il decreto di cui all’art. 43), impregiudicata la facoltà per il medesimo di chiedere il risarcimento del danno patito per effetto dell’illegittima occupazione, esso non potrà comprendere anche il valore del bene che, invece, risulta essere nella sua disponibilità, quantomeno giuridica (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza  10.06.2010 n. 2300 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Convenzione di lottizzazione - Posizioni soggettive - Diritto soggettivo - Intreccio con posizioni di interesse legittimo - Giurisdizione esclusiva del G.A.
La convenzione di lottizzazione si sostanzia in un accordo bilaterale, intercorrente fra i privati e l’ente pubblico, alternativo rispetto agli strumenti urbanistici attuativi, avente ad oggetto la definizione dell’assetto urbanistico di una parte del territorio comunale.
Dal carattere convenzionale dei piani di lottizzazione, e dal loro inquadramento nel novero degli accordi sostitutivi di cui all’art. 11 della L. 241/1990 (Tar Toscana, 1446/2009; Cons. Stato, IV, 534/2008) discende che le posizioni soggettive sorte in capo alle parti assumono consistenza di diritto soggettivo ai fini della concreta esecuzione degli accordi; anche se residuano posizioni indubbiamente qualificabili come interesse legittimo.
L’inestricabile intreccio di diverse posizioni soggettive ha indotto il legislatore a prevedere in questa materia la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 11, co. 5, L. 241/1990).
Convenzione di lottizzazione - Scadenza del termine decennale - Effetto - Rinnovazione o modifica delle pattuizioni precedenti - Novazione oggettiva - Parti necessarie - Originari sottoscrittori - Stipulazione di nuova e autonoma lottizzazione - Partecipazione necessaria dei proprietari di aree coinvolte dal nuovo piano.
La scadenza del termine decennale della lottizzazione (desunta analogicamente dall’art. 17 della L. 1150/1942) produce il limitato effetto per cui le rispettive parti non possono più pretendere l’adempimento delle obbligazioni assunte -e non onorate- con la convenzione.
Ove però, le stesse parti intendano ricorrere allo strumento convenzionale per rinnovare o modificare le pattuizioni precedenti, non viene in rilievo l’ultrattività della convenzione scaduta, né una rimozione della maturata inefficacia: si verifica piuttosto una modifica o novazione oggettiva del precedente accordo.
Ne consegue che ad esso devono prendere necessariamente parte gli originari sottoscrittori (cfr. Tar Abruzzo, L’Aquila, 96/2007).
La conclusione non cambia anche ve si volesse inquadrare il fenomeno in esame come stipulazione di una nuova ed autonoma lottizzazione: anche in questo caso, infatti, non può essere pretermessa la partecipazione necessaria dei proprietari di aree coinvolte dal nuovo piano (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 10.06.2010 n. 2274 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente per accertata irregolarità fiscale, nonostante la modesta entità dell'importo dovuto.
E' legittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un'impresa concorrente resasi inadempiente in relazione al saldo di una cartella di pagamento nonostante la modesta entità dell'importo dovuto, in quanto ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. g), del d.lgs. n 163/2006 (Codice dei contratti), sono esclusi dalla partecipazione alle gare e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che abbiano commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse.
La disposizione citata, infatti, fa riferimento a qualsivoglia violazione, anche di importo esiguo, senza che sia consentito alla stazione appaltante che ha bandito la gara, valutarne la rilevanza e la buona o mala fede del contribuente, giacché tale valutazione è stata effettuata dal legislatore al fine di garantire l'affidabilità dell'offerta e nell'esecuzione del contratto, nonché la correttezza e serietà del concorrente; diversamente, si avrebbe il conferimento all'amministrazione di un potere discrezionale di apprezzamento della gravità dell'infrazione anche in aree in cui è positivamente esclusa (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 10.06.2010 n. 1803 - link a www
.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla possibilità per un concorrente, cessionario di un ramo d'azienda, di avvalersi dei requisiti posseduti dall'impresa cedente.
Deve essere escluso da una gara d'appalto per l'affidamento del servizio di refezione scolastica, il concorrente che non disponga di un centro di cottura autorizzato per la preparazione di pasti per mense. Sulla facoltà concessa al g.a. di indicare una decorrenza dell'inefficacia del contratto d'appalto in virtù del superiore interesse pubblico, nel caso di annullamento dell'intera procedura di gara.
Per giurisprudenza pacifica è consentito, all'impresa che abbia acquisito un ramo di azienda, di avvalersi, ai fini della qualificazione ad una gara d'appalto, dei requisiti posseduti dall'impresa cedente, in quanto l'istituto dell'avvalimento ha portata generale, ed inoltre l'art. 51 del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti), disciplinando le vicende soggettive dell'offerente e del candidato, compresa la cessione di ramo d'azienda, conferma siffatta interpretazione; ciò a condizione che la concorrente, nella domanda di partecipazione, dichiari di avvalersi dei requisiti dell'impresa cedente, e ne dimostri l'effettivo possesso in capo alla stessa.
E' illegittima l'ammissione alla gara per l'affidamento di un appalto di refezione scolastica di una ditta, priva del requisito, fissato a pena di esclusione dal bando di gara, di un centro di cottura regolarmente autorizzato per la preparazione di pasti per mense, in quanto la concorrente disponeva soltanto di un centro di cottura autorizzato per l'esercizio dell'attività di bar, pizzeria, tavola calda, come risulta dall'autorizzazione sanitaria rilasciata dalla USL.
Ai sensi dell'art. 245-ter del D.Lgs n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), il g.a., annullato il provvedimento illegittimo di aggiudicazione definitiva, ha un potere discrezionale di valutazione in ordine all'opportunità, o meno, di dichiarare l'inefficacia del contratto. La norma deve essere interpretata in combinato disposto con l'art. 245-bis, c. 2, che consente di limitare la declaratoria di inefficacia del contratto alle prestazioni ancora da eseguire. Inoltre, ai sensi dell'art. 245-bis, c.1, è possibile preservare l'efficacia del contratto qualora lo richiedano esigenze imperative connesse ad un interesse generale.
Nel caso di specie, è consentito al giudice di indicare una decorrenza dell'inefficacia conforme all'interesse pubblico, il quale esige la preservazione della continuità del servizio di refezione fino al termine dell'anno scolastico (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 10.06.2010 n. 1107 - link a www
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EDILIZIA PRIVATA: Per le opere stagionali non è necessario acquisire ogni anno una nuova autorizzazione paesaggistica.
Il nulla osta paesaggistico e l’assenso edilizio erano stato rilasciati per un intervento precario e stagionale (ndr: stabilimento balneare), limitatamente alla stagione estiva del 2003 per strutture da rimuovere a settembre.
La società ricorrente ha ottenuto, per la realizzazione dello stabilimento balneare di cui sopra si è detto, nulla osta ambientale da parte del comune di Maruggio, trasmesso e non annullato dalla soprintendenza nel termine di legge, e permesso di costruire, essendo titolare della concessione demaniale per il periodo 01.08.2002–31.07.2003, poi rinnovata fino al 31.07.2004.
Gli assensi sono stati rilasciati dall’amministrazione municipale per opere precarie e stagionali: e, d’altra parte, come sottolinea il TAR, la concessione regionale è limitata nel tempo.
Tali circostanze, che il ricorrente non contesta, rendono evidente che le opere relative allo stabilimento balneare devono essere rimosse al termine di ogni stagione estiva, e che, allo scadere della validità della concessione demaniale, ne dovrà essere eventualmente richiesta una nuova; le stesse circostanze, peraltro, non valgono a far ritenere la legittimità dei provvedimenti impugnati.
L’amministrazione, infatti, nell’ordinare la sospensione dei lavori sul presupposto della necessità, rappresentata dalla soprintendenza, di nuovi assensi paesaggistici ed edilizi per ogni anno, àncora la validità dell’autorizzazione alla concreta esistenza delle opere realizzate, quasi che per ogni anno si trattasse di considerare l’ammissibilità di impianti nuovi e diversi.
E’ invece evidente che, dovendo valutare la compatibilità di un’(unica) opera con le esigenze di protezione ambientale ed edilizie, l’autorizzazione rilasciata vale indipendentemente dal carattere ripetitivo della installazione, non essendo revocabile in dubbio né l’obbligo di rimuovere le opere secondo il carattere stagionale dell’autorizzazione, né la validità degli assensi fino al termine loro connaturato, né la potestà dell’amministrazione di controllare l’eventuale incompatibilità dei manufatti con esigenze pubbliche sopravvenute o la non corrispondenza degli stessi con quanto ha formato oggetto della valutazione
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 08.06.2010 n. 3628 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il potere-dovere di integrazione in sede di gara non può risolversi nel rimediare alla produzione di un documento mancante e non può essere esercitato in sede di offerta.
Il potere-dovere di integrazione in sede di gara è doverosamente circoscritto, sotto il profilo oggettivo, al materiale documentale, potendo essere esercitato, sempreché non venga violata la par condicio, come avviene quando si pretenda di supplire all'omesso assolvimento di un onere sancito a pena di esclusione, solo per sopperire a carenze documentali, ossia ad omessa rappresentazione del contenuto di elementi documentali e non può risolversi nel rimediare alla produzione di un documento mancante, quanto, piuttosto, nella semplice integrazione di un documento già presente agli atti di gara. Siffatto principio è stato positivizzato in norma dall'art. 46 del d.lgs. 16.04.2006, n. 163, ma è pur sempre temporalmente limitato alla fase della procedura di gara preordinata alla verifica dei requisiti soggettivi di partecipazione.
Inoltre, fermo il delineato limite oggettivo e temporale, non è consentito alla commissione di gara esercitare un potere di integrazione, mediante richiesta di chiarimenti o altro, quando la procedura sia pervenuta alla fase dell'offerta, sussiste una norma di gara chiara e dettagliata nel prescrivere un determinato contenuto o requisito dell'offerta stessa e quando la deviazione della composizione e/o rappresentazione di una delle offerte in gara dalla norma stabilita al riguardo dalla lex specialis, sia marcata, come nel caso di specie, contraddistinto dall'analiticità e chiarezza della disposizione capitolare violata dalla ricorrente con la confezione di un'offerta nettamente divergente dalla prescrizione stessa, dando luogo ad un accentuato quantum di deviazione dalla prescrizione della lex specialis.
In siffatti casi, qualunque intervento da parte della commissione sull'offerta non si arresterebbe ad un'opera interpretativa - che pure è di dubbia ammissibilità - ma sostanzierebbe una sostituzione dell'organo di gara all'offerente, con evidente alterazione della par condicio (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 08.06.2010 n. 2722 - link a www
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APPALTI: E' illegittima l'applicazione delle sanzioni accessorie (escussione della cauzione provvisoria e segnalazione all'Avcp) qualora l'impresa abbia dichiarato il possesso dei requisiti ma non li abbia comprovati per errore di interpretazione del bando.
Qualora un'impresa abbia dichiarato di possedere un requisito che successivamente risulti invece carente ma a quella dichiarazione sia stata indotta da errore interpretativo in ordine alla portata delle disposizioni della lex specialis, l'esclusione dalla gara è legittima, ma non può essere comminata anche l'escussione della cauzione provvisoria e la segnalazione del fatto espulsivo all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.
Si è infatti precisato che "in tali evenienze, nelle quali l'impresa non ha dichiarato nulla di diverso e di più di ciò di cui è realmente in possesso, ma ha errato nel valutare sufficiente il requisito posseduto, non ha senso irrogare sanzioni che vadano oltre la fisiologica esclusione dell'impresa dalla gara".
Tale l'opzione esegetica dell'art. 48, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, trova conforto in una decisione del Consiglio di Stato, resa sull'omologa norma previgente (art. 10, c. 1-quater della L. 11.02.1994, n. 109), che ha predicato l'inapplicabilità delle sanzioni nei casi in cui un'impresa in buona fede abbia errato in ordine all'interpretazione del bando e della normativa generale ed abbia ritenuto di avere il requisito in realtà carente o contestato (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 08.06.2010 n. 2721 - link a www
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AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Potere di ordinanza ex art. 191 d.lgs. n. 152/2006 - Efficacia temporale - Testo anteriore alla novella ex d.l. n. 90/2008 - Testo vigente.
In tema di rifiuti, uno specifico potere di ordinanza contingibile e urgente è espressamente previsto dall’articolo 191 del d.lgs. 152/2006, la formulazione originaria prevedeva che le ordinanze, aventi efficacia per un periodo non superiore a sei mesi, potessero essere reiterate per non più di due volte, salva la possibilità, in presenza di “comprovata necessità”, che (soltanto) il Presidente della regione d’intesa con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, dettando “specifiche prescrizioni”, adottasse ordinanze “anche oltre i predetti termini” (comma 4).
Nella formulazione vigente del comma 4, introdotta dal d.l. 90/2008, convertito dalla legge 123/2008, il limite delle due reiterazioni è stato sostituito dal riferimento ad “un periodo non superiore a 18 mesi per ogni speciale forma di gestione dei rifiuti”.
RIFIUTI - Ordinanza contingibile e urgente ex art. 1919 d.lgs. .n 152/2006 - Presupposti - Valutazione oggettiva - Situazione di pericolosità perdurante nel tempo.
Ai sensi dell’art. 191 d.lgs. 152/2006, i presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente sono: una situazione di eccezionale ed urgente necessità di tutela dell'ambiente, e l’impossibilità di provvedere altrimenti (vale a dire, da un lato l’impossibilità di differire l’intervento in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente; dall’altro, l’insufficienza degli ordinari strumenti offerti dalla normativa).
I presupposti della contingibilità ed urgenza devono essere valutati da un punto di vista oggettivo, cioè con riguardo alla situazione da fronteggiare ed agli strumenti disponibili, senza condizionamenti derivanti dall’eventuale coinvolgimento soggettivo dell’organo titolare del potere. Infatti, la contingibilità non viene meno anche se la situazione di pericolosità duri nel tempo, potendo anzi un ulteriore ritardo accentuare l’urgenza.
RIFIUTI - Ordinanza contingibile e urgente ex art. 191 d.lgs. n. 152/2006 - Mancata indicazione del termine finale di durata o efficacia - Illegittimità - Esclusione - Ragioni.
Le ordinanze contingibili ed urgenti sprovviste di un termine finale di durata o efficacia, non per questo sono automaticamente illegittime in quanto, pur provocando mutamenti irreversibili di una particolare situazione, non determinano un assetto stabile e definitivo della disciplina (cfr. Cons. Stato, V, 13.08.2007, n. 4448).
In ogni caso, la mancanza di un espresso termine finale di durata o efficacia non può viziare il provvedimento, laddove sia la disposizione normativa che prevede il potere a stabilirne la durata massima (e l’eventuale reiterabilità, insieme ai relativi presupposti), come avviene con l’articolo 191 del d.lgs. 152/2006 (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 08.06.2010 n. 360 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: In relazione ai soggetti tenuti alla rimozione dei rifiuti abbandonati e al ripristino dello stato dei luoghi va inteso in senso lato il riferimento a chi è titolare di diritti reali o personali di godimento sugli stessi.
La giurisprudenza ha desunto la natura di norma speciale quella del D.Lgs. n. 152/2006, sopravvenuta all’art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, onde la prevista competenza del sindaco prevale, per il criterio della specialità e per quello cronologico, sul riparto di attribuzioni stabilito in via generale dal testo unico del 2000.
Dispone l’art. 192 del d.lgs. 03.04.2006, n. 192 («Norme in materia ambientale») che “l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati” (comma 1), che “è altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee” (comma 2), che “…chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate” (comma 3).
La giurisprudenza ne ha innanzitutto desunto la natura di norma speciale, sopravvenuta all’art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, onde la prevista competenza del sindaco prevale, per il criterio della specialità e per quello cronologico, sul riparto di attribuzioni stabilito in via generale dal testo unico del 2000 (v., tra le altre, TAR Veneto, Sez. III, 20.10.2009 n. 2623). Di qui l’erroneità dell’assunto della parte ricorrente circa una presunta sopravvivenza della competenza dei dirigenti, spettando invece al sindaco la tutela del territorio da singoli episodi di dispersione di rifiuti nell’ambiente.
Quanto, poi, ai soggetti tenuti alla rimozione dei rifiuti e al ripristino dello stato dei luoghi, la norma conferma la portata del previgente art. 14 del d.lgs. n. 22 del 1997, e quindi la necessità che vi provvedano gli autori dell’abuso, ma anche, con il vincolo della solidarietà, il proprietario dell’area che risulti corresponsabile del fatto per avervi dato causa attraverso una condotta, omissiva o commissiva, a lui imputabile a titolo di dolo o di colpa (v. Cons. Stato, Sez. V, 04.03.2008 n. 807), il tutto in esito ad un’istruttoria completa e sulla base di un’esauriente motivazione, quand’anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d’esperienza, ma in ogni caso con l’ausilio del privato ammesso ad un contraddittorio che gli dia modo di fornire elementi di valutazione utili all’accertamento delle reali responsabilità (v. Cons. Stato, Sez. V, 25.08.2008 n. 4061).
Il riferimento, invece, a chi è titolare di diritti reali o personali di godimento va inteso in senso lato, essendo destinato a comprendere qualunque soggetto si trovi con l’area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli –e per ciò stesso imporgli– di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l’area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell’ambiente, con il requisito della colpa che ben può consistere proprio nell’omissione degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area –ad esempio recintandola ovvero con altre misure similari–, così da impedire che possano essere nella stessa indebitamente depositati rifiuti (v. Cons. Stato, Sez. IV, 13.01.2010 n. 84) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 08.06.2010 n. 281 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' legittima l'esclusione da una gara per l'affidamento del servizio di ristorazione di un concorrente, disposta a causa del decreto penale emesso nei confronti del rappr. leg. per violaz. delle norme sulla disc. igienica delle sostanze alimentari.
L'art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 dispone l'esclusione dalla gara per l'affidamento di appalti pubblici del soggetto nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del c.p.p., per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale.
Condizioni perché l'esclusione consegua alla condanna sono la gravità del reato, e il riflesso dello stesso sulla moralità professionale. La gravità del reato deve, quindi, essere valutata in relazione a quest'ultimo elemento, ed il contenuto del contratto oggetto della gara assume allora importanza fondamentale al fine di apprezzare il grado di "moralità professionale" del singolo concorrente.
Pertanto, è legittimo il provvedimento di esclusione dalla procedura di gara indetta per l'affidamento del servizio di ristorazione della sede centrale e dei distaccamenti del comando dei vigili del fuoco disposta nei confronti di un concorrente a causa della condanna del rappresentante legale per violazione delle norme sulla disciplina igienica della produzione e della vendita di sostanze alimentari e di bevande, in quanto la norma citata ha lo scopo di evitare che la P.A. contragga obbligazioni con soggetti che non garantiscano adeguata moralità professionale.
Non è dubbio, infatti, nel caso di specie, che la condanna per violazione delle norme sulla disciplina igienica della produzione e della vendita di sostanze alimentari costituisca di per sé, in relazione all'oggetto del contratto per il quale è stata indetta la gara, grave reato che incide sulla moralità professionale (oltretutto negato in sede di attestazione dei requisiti generali per la preselezione) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.06.2010 n. 3560 - link a www
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URBANISTICA: Nella scelta del socio privato di società mista, la P.A. deve propendere, anche nel caso di ricorso alla trattativa privata, per l’applicazione dei principi di trasparenza, par condicio e non discriminazione.
La pronuncia in commento si dischiude nell’ambito della progettazione e attuazione di un intervento su di un’area, in parte di proprietà comunale in parte di privati, finalizzata a realizzare, con il concorso di risorse private, un vasto e complesso programma di riqualificazione urbana: in tale circostanza è data facoltà ai Comuni di costituire società per azioni di trasformazione urbana.
La questione dibattuta, in tal caso, riguarda le modalità di scelta del socio privato, operata dall’amministrazione comunale; l’art. 120 T.U. Enti locali prevede che “A tal fine le deliberazioni dovranno in ogni caso prevedere che gli azionisti privati delle società per azioni siano scelti tramite procedura di evidenza pubblica”.
I giudici del Consiglio di Stato, senza entrare nel merito della configurabilità delle STU come species del genus società miste (cfr. Tar Umbria 17.12.2003, n. 987, secondo cui comunque una società di trasformazione urbana potrebbe essere costituita sul modello generale delle società miste), osservano che anche l’art. 116 , nel prevedere facoltà per gli enti locali, per l’esercizio di servizi pubblici di cui all’art. 113-bis e per la realizzazione delle opere necessarie allo svolgimento del servizio nonché per la realizzazione di infrastrutture e di altre opere di interesse pubblico, che non rientrino nella competenza istituzionale di altri enti, di costituire apposite società per azioni, stabilisce che si provveda “alla scelta dei soci privati e all’eventuale collocazione dei titoli azionari sul mercato con procedure di evidenza pubblica”.
Analogamente, ricordano gli stessi giudici, l’art. 23 –bis, comma 2, lett. b), del D.L. 25.06.2008 n. 112 stabilisce che la selezione del socio di società a partecipazione mista pubblica e privata cui può essere conferita la gestione di servizi pubblici locali deve avvenire “mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio….”.
Simile disposizione è contenuta anche nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006 che, a proposito delle società miste per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica o di un servizio impone che la scelta del socio privato avvenga mediante procedura di evidenza pubblica. In nessuna delle menzionate disposizioni, né nel D.P.R. n. 533 del 1996, viene regolato il ricorso alla trattativa privata (come per il caso di competizione andata deserta) ad eccezione dell’art. 23-bis il quale dispone che, in caso di mancata possibilità di ricorso al mercato, è eccezionalmente consentito l’affidamento diretto alle società “in house” a capitale interamente pubblico.
Il silenzio della legge, in concomitanza con la configurazione della società mista come uno, ma non esclusivo, modello previsto, in via ormai generale, dall’ordinamento secondo un paradigma valido anche al di fuori dei servizi pubblici locali (Cons. St. Sez. II parere 18.04.2007 n. 456; Ad. Pl. 03.03.2008, n. 1; Sez. VI, 23.09.2008, n. 4603), subordinato alla stretta osservanza della selezione con procedure ad evidenza pubblica, induce a considerare con estremo rigore l’applicazione estensiva di norme che autorizzino il ricorso alla trattativa privata e comunque a considerare anche in questi casi operanti le regole di non discriminazione, trasparenza delle procedure ed imparzialità (commento tratto da link a www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.06.2010 n. 3490 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: La parificazione dei titoli di studio disposta con norma di legge comporta che l’Amministrazione non può escludere dall’ammissione al concorso il possessore di titolo dichiarato equipollente.
La giurisprudenza in maniera costante ed univoca ha sancito il principio secondo il quale in caso di mancata specificazione di equipollenza e, pertanto, di univoca ed espressa volontà della P.A. di limitare l’accesso ai soli titoli indicati, le previsioni del bando devono essere interpretate nel senso di consentire la partecipazione per i possessori di titoli equipollenti ex lege; tutto ciò anche in ossequio al principio del “favor partecipationis”.
La parificazione dei titoli di studio disposta con norma di legge comporta che l’Amministrazione non può escludere dall’ammissione al concorso il possessore di titolo dichiarato equipollente né il bando per cui è causa esclude i titoli di studio ivi non elencati (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.06.2010 n. 3484 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAVIA I RIFIUTI DALLE STRADE!
1. Ambiente - Rifiuti - Smaltimento - Ordine di rimozione - Destinatari - Proprietario del fondo - Presupposti necessari - Ragioni.
2. Ambiente - Rifiuti - Smaltimento - Poteri del Comune - Assicurare la pulizia delle strade - Insussistenza - Ragioni - Impossibilità di imporre obblighi di "facere" al gestore delle strade.
3. Ambiente - Rifiuti - Smaltimento - Ordinanza di rimozione e smaltimento - Competenza - Dirigente - Spetta - Riferimenti normativi.

4. Giudizio amministrativo - Procedura - Potere del giudice di individuare il presupposto normativo del corretto esercizio di un potere diverso da quello espressamente richiamato nella giustificazione del provvedimento impugnato - Impossibilità - Ragioni.
1. L'ordine di rimozione dei rifiuti presenti sul fondo può essere rivolto al proprietario solo quando ne sia dimostrata almeno la corresponsabilità con gli autori dell'illecito, per avere cioè posto in essere un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso o colposo, dovendosi escludere che la norma configuri un'ipotesi legale di responsabilità oggettiva; ne discende la illegittimità degli ordini di smaltimento dei rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in ragione della sua mera qualità ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione, dell'imputabilità soggettiva della condotta.
Tale orientamento è stato di recente confermato anche con riferimento al disposto di cui all'art. 192, D.Lgs. n. 152/2006 (Cons. Stato, sez. V, 25-08-2008 n. 4061; Cons. Stato, sez. V, 19-03-2009 n. 1612).
2. Per superare il criterio della imputabilità solidale a titolo di dolo o di colpa non si può invocare il disposto di cui all'art. 14, Cod. Strada a mente del quale "Gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo nonché delle attrezzature, impianti e servizi".
Il fatto che la norma in questione imponga uno speciale obbligo di pulizia delle strade in capo all'ente proprietario o gestore della strada, non può comportare la simmetrica attribuzione di un potere autoritativo in capo ad un ente terzo (il Comune) al fine di imporne coercitivamente il rispetto, nell'ambito peraltro di un settore che esula dalle competenze istituzionali dell'ente medesimo; a ciò osta il principio di legalità e quello connesso di tipicità di tutti i poteri amministrativi: nessuna norma di legge nel settore specifico della viabilità, attribuisce infatti ai comuni il potere di assicurare la pulizia delle strade imponendo autoritativamente obblighi di facere al gestore, al fine di garantire "la sicurezza e la fluidità della circolazione"; né un tal potere può desumersi implicitamente dalla natura del Comune quale ente locale a fini generali atteso che tra gli interessi pubblici affidati alla cura dei comuni non v'è anche quello di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione delle strade.
3. La competenza alla adozione di un'ordinanza di rimozione e smaltimento dei rifiuti abbandonati da ignoti su un terreno è del dirigente e non del sindaco.
Ed infatti, la competenza sindacale, pur formalmente riconosciuta dall'art. 14 co. 4, D.Lgs. 05.02.1997 n. 22, è stata successivamente traslata in capo al dirigente del settore competente in forza della generale previsione di cui all'art. 107 co. 5, D.Lgs. n. 267/2000 che, nel disciplinare il riparto di competenze fra organi di indirizzo politico e organi burocratici, nell'ambito degli enti locali, ha precisato che "A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti".
La competenza dirigenziale nella presente fattispecie deve ritenersi confermata a contrariis dall'art. 192, co. 3, D.Lgs. n. 152/2006 che, secondo la giurisprudenza, è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, co. 5, D.Lgs. n. 267/2000 attributiva in favore del sindaco della competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal co. 2 (Cfr. Cons. Stato, sez. V, 25-08-2008 n. 4061).
4. In considerazione del generale principio di tipicità dei poteri amministrativi, il giudice non può respingere il ricorso sul presupposto del corretto esercizio di un potere diverso da quello espressamente richiamato nella giustificazione del provvedimento impugnato e censurato dal ricorrente, sicché lo scrutinio di legittimità non può che avvenire alla luce del parametro normativo invocato dall'autorità procedente e non con riferimento ad un distinta norma attributiva del potere autonomamente individuata dal giudicante.
Diversamente opinando vi sarebbe anche una chiara violazione del diritto di difesa e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato atteso che le doglianze articolate dal ricorrente si indirizzano avverso la non corretta interpretazione ed applicazione della sola norma attributiva del potere invocata dall'amministrazione e non di quella diversa eventualmente individuata dal giudice: respingere il ricorso sulla scorta di una norma non posta a fondamento dell'esercizio del potere equivale a decidere su una questione estranea al giudizio, implica una violazione del contraddittorio e comporta anche una modifica della causa petendi della domanda e cioè delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda la domanda di annullamento (nel caso di specie il Comune, a fondamento dell'ordinanza impugnata, aveva invocato il disposto di cui all'art. 14 del d.lgs. 05.02.1997, n. 22 e non l'art. 14 del codice della strada) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Molise, sentenza 28.05.2010 n. 227 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla illegittimità di una procedura per l'affidamento in concessione di campi sportivi, nell'ipotesi in cui il bando consenta la partecipazione alle sole associazioni dilettantistiche presenti sul territorio comunale.
E' legittima la revoca della selezione pubblica indetta per l'affidamento in concessione di campi sportivi e della relativa aggiudicazione, adottata da una amministrazione comunale motivata col fatto che l'avvenuta limitazione della possibilità di partecipazione alla gara alle sole associazioni dilettantistiche presenti sul territorio comunale non avrebbe soddisfatto l'esigenza di garantire trasparenza, imparzialità e parità di trattamento nella scelta del concessionario.
Se da un lato, infatti, l'individuazione dei criteri di accesso alle procedure selettive rientra nel potere discrezionale dell'amministrazione, tuttavia siffatta limitazione avrebbe vìolato i summenzionati principi nella scelta del concessionario (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 27.05.2010 n. 9742 - link a www
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APPALTI SERVIZI: Sul divieto previsto dall'art. 13 del D.L. 04/07/2006 n. 223, conv. in L. 04/08/2006 n. 248. Sulla qualificazione del servizio di igiene urbana come servizio pubblico.
Il divieto previsto dall'art. 13 del D.L. 04/07/2006 n. 223, conv. in L. 04/08/2006 n. 248, investe le società costituite per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività degli Enti, mentre sono escluse dal divieto quelle istituite per gestire servizi pubblici locali.
La qualificazione differenziale tra attività strumentali e gestione di servizi pubblici deve essere, invece, riferita non all'oggetto della gara, bensì invece all'oggetto sociale delle imprese partecipanti ad essa.
Il divieto di fornire prestazioni a enti terzi, infatti, colpisce le Società pubbliche strumentali alle amministrazioni regionali o locali -che esercitano attività amministrativa in forma privatistica- ma non si estende alle Società destinate a gestire servizi pubblici locali, che esercitano attività d'impresa: esso è introdotto al fine di separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto Ente pubblico.
La giurisprudenza ha affermato che il servizio pubblico è quello che consente al Comune di realizzare fini sociali e di promuovere lo sviluppo civile della comunità locale ai sensi dell'art. 112 del D. Lgs. 267/2000, in quanto preordinato a soddisfare i bisogni della cittadinanza indifferenziata: tale è indubbiamente il servizio di igiene urbana, il quale richiede che il concessionario impieghi capitali, mezzi e personale da destinare ad un'attività economica suscettibile, quanto meno potenzialmente, di produrre un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull'assetto concorrenziale del mercato di settore.
Né a conclusioni diverse si deve pervenire per il fatto che l'onere di remunerare l'attività svolta dal privato è assunto (talvolta) direttamente dall'amministrazione.
E' infatti noto che per l'erogazione del servizio R.S.U. i Comuni sono tenuti ad istituire la tariffa da praticare ai cittadini -nuclei familiari ed imprese- secondo criteri omogenei e con l'obbligo di provvedere all'integrale copertura dei costi.
Se è dunque vero che il compenso del gestore è erogato periodicamente dal Comune, è altrettanto vero che il costo del servizio è ripartito tra gli utenti secondo parametri predeterminati, come ad es. l'estensione dell'unità abitativa e il numero dei componenti del nucleo familiare (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 27.05.2010 n. 2164 - link a www
.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La presenza di violazioni tributarie, definitivamente accertate, non integra una fattispecie di esclusione automatica dell'impresa concorrente che le ha commesse.
La presenza di violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse secondo la legislazione italiana, non integra una fattispecie di esclusione automatica dell'impresa concorrente che le ha commesse, a prescindere dalla loro valutazione in concreto.
La valutazione con significato rigidamente preclusivo di qualsivoglia inadempimento tributario si tradurrebbe nel corrispondente pregiudizio per il principio di libera concorrenza, che non esplica soltanto effetti positivi sull'ampliamento della partecipazione alle pubbliche gare per le imprese presenti nel mercato unico, ma anche per la p.a., che si avvantaggia della possibilità di poter valutare favorevolmente le offerte inoltrate senza che ciò sia impedito dal fatto che si configurino a carico delle imprese debiti tributari, anche se definitivamente accertati, che non incidano, peraltro, oggettivamente sull'affidabilità e solidità finanziaria della singola impresa.
Né contrasta con la suesposta conclusione l'assenza dell'aggettivo "grave" nel testuale disposto della citata lett. g) del c. 1 dell'art. 38, del D. Lgs. 163/2006, previsto invece per le infrazioni alle norme in materia di sicurezza (di cui alla lett. e) dello stesso articolo), così come per la negligenza, la malafede e gli errori professionali (di cui alla lett. f) dello stesso articolo) e per le violazioni alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali (di cui alla lett. i) dello stesso articolo).
Ciascuna delle suddette fattispecie, ivi compresa quella pertinente la posizione tributaria, deve essere valutata alla stregua del richiamato canone teleologico, che esclude che, in presenza di violazioni di scarso rilievo, sia inciso il generalissimo principio di concorrenza, quale principio fondante dell'ordinamento comunitario; soltanto l'esistenza, quindi, di una globale situazione, quale risultato finale dell'apprezzamento da compiersi con l'applicazione del principio di proporzionalità, integra quella situazione di obiettiva inaffidabilità dell'impresa, la cui determinazione anche in sede giurisdizionale è imposta dall'art. 2, c. 1, del predetto D.Lgs. 163/2006 sia per gli appalti "sopra" che "sotto" soglia comunitaria (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 27.05.2010 n. 2164 - link a www
.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATACARTELLONI PUBBLICITARI.
Autorizzazione - Comunale - Pubblicità stradale - Cartelloni - Rilascio mediante gara - Necessità - Non sussiste.
Sia se si ha riguardo all'art. 53 del regolamento di esecuzione del Codice della Strada (D.P.R. 16.12.1992 n. 495), sia se si ha riguardo al D.Lgs. n. 507/1993, che all'art. 3 contempla i regolamenti comunali sulle modalità di effettuazione della pubblicità ed un piano generale degli impianti, non si può asserire che le autorizzazioni a collocare impianti pubblicitari siano da rilasciare mediante gare.
Invero, la pubblicità stradale non si configura come servizio reso ad un ente locale, in particolare, ma come forma di svolgimento di un'attività economica, soggetta ad autorizzazione sia perché gli enti locali hanno la funzione di salvaguardare il decoro delle strade, sia perché ne traggono delle entrate per loro specificamente previste, come è l'imposta regolata dal suddetto D.Lgs. n. 507/1993 (1).
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(1) Cfr. Cons. Stato, sez. V, dec. n. 44/2007; Cons. Stato, sez. II, par. n. 4399/2007; Cons. Stato, sez. II, par. n. 4400/2007 (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 27.05.2010 n. 2086 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOpere di completamento - Domanda di condono - Sanzione pecuniaria in luogo della demolizione.
L'art. 33, comma 2, del d.P.R. 380/2001 si applica alle ipotesi di “interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità“, mentre nel caso in esame l’attività posta in essere in assenza di permesso di costruire, accedendo ad un fabbricato a sua volta oggetto di un procedimento di condono non concluso, poteva essere proseguita solo previo ottenimento della autorizzazione di cui all’art. 35, comma 13, della l. 47/1985, in assenza della quale l’attività edilizia posta in essere deve essere qualificata come sicuramente abusiva (cfr., TAR Campania Napoli, sez. IV, 24.11.2009, n. 7961) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 24.05.2010 n. 8352 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASugli effetti della richiesta di sanatoria in pendenza di un'ordinanza di demolizione.
Come più volte affermato, anche da questa sezione, la proposizione di una istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001, in tempo successivo all’emissione dell’ordinanza di demolizione, incide unicamente sulla possibilità dell’amministrazione di portare ad esecuzione la sanzione, ma non si riverbera sulla legittimità del precedente provvedimento di demolizione (cfr. Consiglio di Stato sez, IV, 19.02.2008 n. 849) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 24.05.2010 n. 8352 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La regolarità contributiva deve sussistere per tutto lo svolgimento della gara e l'esecuzione del contratto.
È principio consolidato in Giurisprudenza quello secondo cui la regolarità contributiva è richiesta in via dinamica, vale a dire non solo per tutto lo svolgimento della gara e al momento della stipulazione del contratto, ma anche al momento della partecipazione alla gara, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo della relativa obbligazione.
Con questa motivazione il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 09.04.2010 n. 1998 ha respinto il ricorso presentato da una ATI in relazione all'annullamento dell'aggiudicazione di un contratto di appalto a favore della ATI medesima, aderendo come detto ad un consolidato indirizzo giurisprudenziale condiviso anche dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.
Con la medesima pronuncia inoltre la Corte ha precisato che a fronte dell'annullamento di un'aggiudicazione, l'Amministrazione, se da un lato è tenuta a rimuovere il contratto e procedere alla nuova aggiudicazione, dall'altro lato è tenuta, durante il tempo necessario per procedere alla nuova aggiudicazione, a evitare che continuino a prodursi effetti irreversibili in contrasto con la sentenza e tali da pregiudicare la completa e puntuale esecuzione della medesima.
A fronte di una sentenza che annulla l'aggiudicazione, la prosecuzione dei lavori è priva di titolo, e può essere consentita solo per lavori indifferibili, da retribuirsi, comunque, non a titolo contrattuale ma di indebito arricchimento. Pertanto l'Amministrazione è tenuta a sospendere cautelarmente il contratto in corso di esecuzione (commento tratto da www.legislazionetecnica.it).

EDILIZIA PRIVATAI balconi aggettanti sono quelli che sporgono dalla facciata dall’edificio, costituendo solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono, non svolgono alcuna funzione di sostegno, né di necessaria copertura, come viceversa è riscontrabile per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio.
I balconi pacificamente incastrati nelle riseghe del fabbricato sono da considerare ai fini del calcolo della volumetria assentita.

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, i balconi aggettanti sono quelli che sporgono dalla facciata dall’edificio, costituendo solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono, non svolgono alcuna funzione di sostegno, né di necessaria copertura, come viceversa è riscontrabile per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio (Cass. civ. sez. II, 17.07.2007, n. 15913; 07.09.1996, n. 8159), con la conseguenza che mentre i primi, quelli aggettanti, non determinano volume dell’edificio, nel secondo caso essi costituiscono corpo dell’edificio, e contribuiscono quindi alla determinazione del volume.
Correttamente quindi l’amministrazione comunale ha ritenuto che i balconi realizzati, pacificamente incastrati nelle riseghe, fossero da considerare ai fini del calcolo della volumetria assentita e comportassero quindi la non conformità di quanto effettivamente edificato rispetto alle previsioni urbanistiche ai fini dell’accertamento della conformità urbanistica di cui all’articolo 36 del D.P.R. n. 380 del 2001
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 07.07.2008 n. 3381 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa chiusura perimetrale di una struttura su pilastri in muratura mediante vetrate a tutta altezza costituisce, senza dubbio, un volume edilizio in quanto in materia urbanistico edilizia il presupposto per l’esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di (almeno) un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere appunto una superficie chiusa su un minimo di tre lati.
L
a chiusura perimetrale di una struttura su pilastri in muratura mediante vetrate a tutta altezza costituisce, senza dubbio, un volume edilizio in quanto in materia urbanistico edilizia il presupposto per l’esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di (almeno) un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere appunto una superficie chiusa su un minimo di tre lati (TAR Piemonte n. 2824 del 12.07.2005; TAR Liguria, I, 12.12.1989, n. 943; TAR Sicilia–Catania, 30.09.1994, n. 2171) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 22.03.2007 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl carattere di precarietà di una costruzione, ai fini edilizi, non va desunto dalla eventualmente facile e rapida rimovibilità dell'opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ed essere, poi, prontamente rimosso.
Il carattere di precarietà di una costruzione, ai fini edilizi, non va desunto dalla eventualmente facile e rapida rimovibilità dell'opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ed essere, poi, prontamente rimosso (TAR Piemonte, sez. I, 10.05.2006, n. 2073, TAR Campania-Napoli, sez. IV, 16.07.2002, n. 4141; Consiglio Stato, sez. V, 08.04.1999, n. 394; TAR Lazio, sez. II, 17.07.1986, n. 1156) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 22.03.2007 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'ordinanza di demolizione è atto dovuto e vincolato; pertanto, l'obbligo della motivazione è sufficientemente assolto con l'indicazione, anche "per relationem" dei presupposti di fatto attraverso i quali sia comunque possibile ricostruire l'"iter" logico seguito dall'amministrazione ed al giudice, per tale via, di esercitare il proprio sindacato di legittimità.
Sebbene per giurisprudenza costante di questa sezione, nel sistema delineato dal DPR 380/2001 qualora l'interessato abbia attivato il procedimento per ottenere il permesso di costruire in sanatoria, il ricorso proposto contro un provvedimento repressivo emesso in precedenza diviene improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse (atteso che a seguito dell'istanza di sanatoria l’ordine di demolizione è destinato ad essere sostituito o dal permesso di costruire in sanatoria o da un nuovo provvedimento sanzionatorio), a fronte del provvedimento di diniego di permesso di costruire in sanatoria la rinnovazione dell’ordine di demolizione si pone come atto vincolato sulla base degli esiti dell’espletata istruttoria -come sopra ampiamente evidenziato- che conduceva al diniego della sanatoria.
L'ordinanza di demolizione è atto dovuto e vincolato; pertanto, l'obbligo della motivazione -inteso nella sua essenzialità, senza inutili e fuorvianti formalismi- è sufficientemente assolto con l'indicazione, anche "per relationem" (rinvio al contenuto dei pareri infra procedimentali), dei presupposti di fatto ("id est", verbali di contravvenzione, individuazione dettagliata delle opere abusive) attraverso i quali sia comunque possibile ricostruire l'"iter" logico seguito dall'amministrazione ed al giudice, per tale via, di esercitare il proprio sindacato di legittimità (TAR Puglia Bari, sez. II, 23.12.2002, n. 5843)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 22.03.2007 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento di rigetto dell'istanza di concessione edilizia in sanatoria non deve essere preceduto dall'avviso di inizio del procedimento, essendo questo ad istanza di parte.
Come da costante orientamento di questa sezione (ex multis, 21.09.2002, n. 5431; 17.06.2002, n. 3611), il provvedimento di rigetto dell'istanza di concessione edilizia in sanatoria non deve essere preceduto dall'avviso di inizio del procedimento, essendo questo ad istanza di parte.
Tale circostanza non è di poco momento, in quanto la previsione dell'onere partecipativo di cui all'art. 7 L. 07.08.1990 n. 241, presuppone che l'interessato ignori l'esistenza del procedimento stesso, cosa ovviamente da escludere se il procedimento è stato iniziato a seguito di un'istanza presentata dal destinatario dell'atto (Cons. Stato, IV Sez., 05.07.2000 n. 3709) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 22.03.2007 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVINei procedimenti ad istanza di parte non è dovuta la comunicazione prescritta dall’articolo 7 della legge n. 241/1990 nei confronti del soggetto che ha attivato il procedimento perché costui, essendo pienamente a conoscenza dell’esistenza del procedimento medesimo, può intervenirvi in qualunque momento.
L’art. 8 della legge n. 241/1990 deve essere interpretato unitamente all’art. 7 della stessa legge e si deve quindi ritenere che nei procedimenti ad istanza di parte la predetta comunicazione debba essere effettuata solo nei confronti dei soggetti che per legge debbono intervenire al procedimento e dei soggetti diversi dai destinatari del provvedimento finale che da esso possano subire un pregiudizio.
Peraltro, questa Sezione (TAR Campania, Napoli, n. 651/2006 cit.) ha già avuto occasione di puntualizzare le ragioni inducono a mantenere fermo il prevalente orientamento giurisprudenziale formatosi prima dell’entrata in vigore della legge n. 15/2005, secondo il quale nei procedimenti ad istanza di parte non è dovuta la comunicazione prescritta dall’articolo 7 della legge n. 241/1990 nei confronti del soggetto che ha attivato il procedimento perché costui, essendo pienamente a conoscenza dell’esistenza del procedimento medesimo, può intervenirvi in qualunque momento.
Occorre, infatti, rammentare che la tesi favorevole all'applicazione dell’art. 7 nei procedimenti ad istanza di parte trova oggi un significativo riscontro nel testo dell’art. 8 della legge n. 241/1990 (come modificato dalla legge n. 15/2005), perché tale disposizione prevede espressamente (al primo comma, lettera c-ter) che nei procedimenti ad istanza di parte la comunicazione contenga la data di presentazione della relativa istanza.
Tuttavia tale disposizione, ad avviso del Collegio, non può essere interpretata nel senso di ritenere che tra i destinatari della comunicazione di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990 debba essere incluso anche colui che ha attivato il procedimento, perché una siffatta interpretazione si tradurrebbe in un significativo aggravamento del procedimento, in palese contrasto con l’art. 1, comma 2, della stessa legge n. 241/1990, secondo il quale “la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”.
Infatti, nell’applicazione delle norme sul procedimento occorre evitare che siano posti a carico dell’Amministrazione adempimenti che non risultino essenziali per il corretto svolgimento del procedimento e per la piena salvaguardia degli interessi pubblici e privati coinvolti, perché la regola sancita dall’art. 1, comma 2, della legge n. 241/1990 costituisce diretta espressione dei principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità dell’attività amministrativa.
A ciò si deve poi aggiungere che il principio del non aggravamento del procedimento deve essere coordinato con l’esplicita previsione normativa del dovere dell’Amministrazione di concludere i procedimenti (compresi quelli ad iniziativa di parte) con un provvedimento espresso ed entro un tempo determinato.
Ne consegue che, qualora si accedesse ad un’interpretazione che impone l’obbligo di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990 anche nei confronti di chi ha attivato il procedimento, si introdurrebbe una scissione tra il momento di attivazione e il momento di avvio del procedimento, sicuramente pregiudizievole per la certezza e per il rispetto dei termine fissato per la conclusione del procedimento, che risulterebbe inevitabilmente condizionato dal termine in cui l’Amministrazione ha effettuato la comunicazione di avvio del procedimento.
Per tali ragioni, l’art. 8 della legge n. 241/1990 deve essere interpretato unitamente all’art. 7 della stessa legge (che tra i destinatari della comunicazione di avvio del procedimento indica non solo i soggetti nei cui confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, ma anche quelli che per legge debbono intervenirvi e quelli, diversi dai destinatari del provvedimento finale, individuati o facilmente individuabili, che da esso possano subire pregiudizio) e si deve quindi ritenere che nei procedimenti ad istanza di parte la predetta comunicazione debba essere effettuata solo nei confronti dei soggetti che per legge debbono intervenire al procedimento e dei soggetti diversi dai destinatari del provvedimento finale che da esso possano subire un pregiudizio (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 22.03.2007 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANel caso di ordine di demolizione di opere abusive non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, in quanto trattasi di provvedimento alla cui adozione l'Amministrazione comunale è vincolata per legge, a seguito dell'accertata abusività delle opere.
Non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento nel caso di ordine di demolizione di opere abusive, in quanto trattasi di provvedimento alla cui adozione l'Amministrazione comunale è vincolata per legge, a seguito dell'accertata abusività delle opere, cioè in virtù di un presupposto di fatto di cui il ricorrente doveva essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo (TAR Puglia Lecce, sez. III, 10.07.2004, n. 4974; TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 18.02.2003, n. 116; TAR Piemonte, sez. I, 15.04.2002, n. 838) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 22.03.2007 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPuò qualificarsi "ristrutturazione edilizia" la demolizione con successiva ricostruzione a condizione che la ricostruzione sia “fedele”, ossia purché la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, volume e superficie tra il vecchio e il nuovo manufatto.
È fatta salva la possibilità di pervenire, in tal modo, ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, ma la diversità deve essere dovuta unicamente ad interventi comprendenti il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, e non già la realizzazione di nuovi volumi, in quanto diversamente opinando sarebbe sufficiente la preesistenza di un edificio per definire ristrutturazione qualsiasi nuova realizzazione eseguita in luogo o sul luogo di quello preesistente.

Circa la riconducibilità della demolizione con successiva ricostruzione al concetto di ristrutturazione edilizia, la giurisprudenza è unanimemente orientata per la soluzione positiva, a condizione che la ricostruzione sia “fedele”, ossia purché la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, volume e superficie tra il vecchio e il nuovo manufatto.
È fatta salva la possibilità di pervenire, in tal modo, ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, ma la diversità deve essere dovuta unicamente ad interventi comprendenti il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, e non già la realizzazione di nuovi volumi, in quanto diversamente opinando sarebbe sufficiente la preesistenza di un edificio per definire ristrutturazione qualsiasi nuova realizzazione eseguita in luogo o sul luogo di quello preesistente (Cons. St., V, 08.08.2003, n. 4593; Cons. St., V, 03.03.2004, n. 1023)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 12.07.2005 n. 2484 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl presupposto per l’esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di (almeno) un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere appunto una superficie chiusa su un minimo di tre lati.
In materia urbanistico-edilizia, il presupposto per l’esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di (almeno) un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere appunto una superficie chiusa su un minimo di tre lati (TAR Liguria, I, 12.12.1989, n. 943; TAR Sicilia–Catania, 30.09.1994, n. 2171) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 12.07.2005 n. 2484 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale e produce effetti meramente prodromici all’adozione della determinazione conclusiva; da qui le coerenti conseguenze, sul piano processuale, che la sua impugnazione è meramente facoltativa e non obbligatoria, che il termine per impugnare la definizione di un procedimento ad evidenza pubblica per la scelta del contraente decorre dalla piena conoscenza dell’aggiudicazione definitiva e che, in occasione dell’impugnazione di quest’ultima, possono farsi valere anche i vizi propri di quella provvisoria.
La necessità di una motivazione enunciata in termini descrittivi si configura tipicamente per gli atti aventi natura provvedimentale che esprimono una determinazione di volontà ed implicano scelte discrezionali, il cui esercizio deve emergere con chiarezza dalle risultanze dell’istruttoria anche al fine di consentirne il successivo sindacato.
Anche in presenza di criteri di massima, la commissione di gara è comunque chiamata ad esprimere le proprie valutazioni mediante giudizi di valore sorretti da una motivazione enunciata in termini discorsivi e non semplicemente numerici.
E’ necessaria una motivazione, che pur non dovendo necessariamente consistere nella minuziosa descrizione delle attività svolte in sede di gara, né riportare le singole opinioni espresse, deve essere proporzionata ed adeguata rispetto all’attività esercitata, e, quindi, in relazione all’esistenza di ampi poteri discrezionali di valutazione delle offerte tecniche, deve dare conto con economia di mezzi, ma compiutamente, dell’iter logico seguito nell’attribuzione dei punteggi, senza limitarsi, come nel caso in esame, alla sola indicazione di questi ultimi.
L’omessa indicazione degli elementi valutativi che hanno determinato il formarsi della volontà collegiale di gara non costituisce una mera irregolarità formale suscettibile di successiva sanatoria, ma un vizio sostanziale di legittimità che riguarda propriamente un elemento costitutivo della verbalizzazione, con riflessi invalidanti sulla successiva determinazione amministrativa.
Qualora la redazione del verbale di gara non avvenga in immediata contestualità allo svolgimento delle singole operazioni compiute dalla commissione o quantomeno non intervenga in un momento immediatamente successivo tale da escludere l’insorgenza di errori od omissioni nella ricostruzione dell’iter valutativo, viene con ciò meno la stessa idoneità del verbale ad assolvere la funzione sua propria di garanzia della formazione di uno strumento documentale che consenta la verifica della regolarità delle operazioni compiute, delle scelte valutative compiute e di ogni altro giudizio espresso.
In sede di gara d’appalto, l’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale e produce effetti meramente prodromici all’adozione della determinazione conclusiva; da qui le coerenti conseguenze, sul piano processuale, che la sua impugnazione è meramente facoltativa e non obbligatoria, che il termine per impugnare la definizione di un procedimento ad evidenza pubblica per la scelta del contraente decorre dalla piena conoscenza dell’aggiudicazione definitiva e che, in occasione dell’impugnazione di quest’ultima, possono farsi valere anche i vizi propri di quella provvisoria (cfr., ex plurimis, CdS V, 29.07.2003 n. 4327).
In linea generale, la necessità di una motivazione enunciata in termini descrittivi si configura tipicamente per gli atti aventi natura provvedimentale che esprimono una determinazione di volontà ed implicano scelte discrezionali, il cui esercizio deve emergere con chiarezza dalle risultanze dell’istruttoria anche al fine di consentirne il successivo sindacato (cfr., CdS V 13.02.1998 n. 163).
E’ altresì noto il principio secondo cui nelle procedure indette per l’aggiudicazione mediante metodi selettivi non automatici, come nel caso dell’appalto concorso o delle gare dirette a selezionare l’offerta più vantaggiosa, il bando e la lettera d’invito devono definire i criteri generali di valutazione, potendosi riconoscere alla commissione di gara unicamente l’esercizio della facoltà di introdurre elementi di specificazione e puntualizzazione dei criteri generali medesimi.
La predeterminazione dei parametri di valutazione tecnica risponde all’esigenza di garantire l’imparzialità e la trasparenza delle operazioni concorsuali, al suo esercizio connettendosi essenzialmente la funzione di consentire agli interessati e al giudice della legittimità il sindacato sulla coerenza logica delle scelte e soluzioni adottate, con i criteri fissati nel bando.
Da ciò la conseguenza che, anche quando questi ultimi siano sufficientemente specifici, quell’esigenza di controllo resta comunque affidata all’espressione dei giudizi di valore in termini non esclusivamente numerici ma con il supporto di adeguata motivazione, che consenta la percezione degli elementi e delle ragioni che hanno orientato le scelte effettuate dalla commissione di gara.
In sostanza, seppure sia vero che la previsione di criteri preventivi per l’attribuzione dei singoli punteggi riduca sensibilmente i margini di apprezzamento rimessi all’organo collegiale e, con essi, anche l’esigenza di una motivazione particolarmente dettagliata e diffusa, deve comunque ritenersi necessaria l’esternazione quanto meno dei principali elementi giudicati determinanti per l’aggiudicazione della gara, sui quali si è concentrata la valutazione dei progetti posti a confronto.
La più recente giurisprudenza ha ritenuto, in tema di punteggi numerici, che, in base al principio di trasparenza, cui l’intera attività amministrativa deve conformarsi, nel caso in cui in una procedura selettiva non siano stati predeterminati rigidamente i criteri di valutazione delle offerte, deve essere imposto alle commissioni giudicatrici, a pena di illegittimità, di rendere percepibile l’iter logico seguito nell’attribuzione del punteggio, se non attraverso diffuse esternazioni relative al contenuto delle valutazioni, quanto meno mediante taluni elementi che concorrano ad integrare e chiarire la valenza del punteggio, esternando le ragioni dell’apprezzamento sinteticamente espresso con l’indicazione numerica. Invero, l’obbligo imposto alla commissione di gara di applicare i criteri di valutazione delle offerte, così autolimitando il proprio potere di apprezzamento degli aspetti tecnici che vengono in considerazione, non avrebbe ragion d’essere se non fosse parimenti -e conseguentemente- imposto di motivare, sia pure in modo sintetico, le modalità di concreta applicazione dei criteri stessi (cfr., per il principio, CdS VI 30.04.2003 n. 2331; id., 22.03.2004 n. 1458).
Deve quindi concludersi che, anche in presenza di criteri di massima, la commissione è comunque chiamata ad esprimere le proprie valutazioni mediante giudizi di valore sorretti da una motivazione enunciata in termini discorsivi e non semplicemente numerici.
Nella vicenda in esame i suindicati criteri di valutazione risultano ben lungi dall’essere estremamente dettagliati e tali da predeterminare in maniera rigida e stringente il giudizio sulle singole voci che compongono l’offerta tecnica. In tale quadro, che si connota invece per la genericità e indeterminatezza del criterio di assegnazione del punteggio, deve escludersi che l’obbligo motivazionale possa ritenersi assolto mediante l’indicazione di un punteggio meramente numerico (cfr., CdS V 06.10.2003 n. 5899).
E’ invece necessaria una motivazione, che pur non dovendo necessariamente consistere nella minuziosa descrizione delle attività svolte, né riportare le singole opinioni espresse, deve essere proporzionata ed adeguata rispetto all’attività esercitata, e, quindi, in relazione all’esistenza di ampi poteri discrezionali di valutazione delle offerte tecniche, deve dare conto con economia di mezzi, ma compiutamente, dell’iter logico seguito nell’attribuzione dei punteggi, senza limitarsi, come nel caso in esame, alla sola indicazione di questi ultimi.
L’omessa indicazione degli elementi valutativi che hanno determinato il formarsi della volontà collegiale non costituisce infatti una mera irregolarità formale suscettibile di successiva sanatoria, ma un vizio sostanziale di legittimità che riguarda propriamente un elemento costitutivo della verbalizzazione, con riflessi invalidanti sulla successiva determinazione amministrativa.
Qualora la redazione del verbale non avvenga in immediata contestualità allo svolgimento delle singole operazioni compiute dalla commissione o quantomeno non intervenga in un momento immediatamente successivo tale da escludere l’insorgenza di errori od omissioni nella ricostruzione dell’iter valutativo, venga con ciò meno la stessa idoneità del verbale ad assolvere la funzione sua propria di garanzia della formazione di uno strumento documentale che consenta la verifica della regolarità delle operazioni compiute, delle scelte valutative compiute e di ogni altro giudizio espresso.
Ma, anche a prescindere da tali considerazioni e a voler ritenere non necessaria alcuna contestualità tra la seduta della commissione e la formazione del relativo verbale, deve comunque ritenersi che la redazione di quanto ha formato oggetto di inserimento nel documento divenga definitiva con l’approvazione del verbale; il che esclude la possibilità di attribuire postuma rilevanza a minutazioni non utilizzate nell’originaria stesura del verbale medesimo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 11.10.2004 n. 5521).

ATTI AMMINISTRATIVIL’art. 6 della l. 18.03.1968 n. 249 espressamente riconosce che alla convalida di atti viziati da incompetenza possa provvedersi anche in pendenza di gravame in sede giurisdizionale.
Non è così per i vizi diversi da quello di incompetenza, come per il difetto di motivazione, non essendo consentito all’amministrazione procedere alla sanatoria provvedimentale di una determinazione amministrativa ritualmente impugnata in sede giurisdizionale, posto che altrimenti l’Autorità finirebbe con l’eludere le garanzie che sono predisposte a tutela del cittadino leso dal provvedimento e frusterebbe l’interesse del ricorrente ad ottenere una decisione di annullamento del provvedimento viziato.

Su un piano generale, la questione attinente alla sussistenza del potere, per la P.A., di convalidare un atto amministrativo viziato, in pendenza di un giudizio proposto avverso l’atto della cui convalida si tratta, è risolta a livello normativo solo con riguardo al vizio di incompetenza; infatti, l’art. 6 della l. 18.03.1968 n. 249 espressamente riconosce che alla convalida di atti viziati da incompetenza possa provvedersi anche in pendenza di gravame in sede giurisdizionale.
Non è così per i vizi diversi da quello di incompetenza, come per il difetto di motivazione ricorrente nel caso di specie, non essendo consentito all’amministrazione procedere alla sanatoria provvedimentale di una determinazione amministrativa ritualmente impugnata in sede giurisdizionale, posto che altrimenti l’Autorità finirebbe con l’eludere le garanzie che sono predisposte a tutela del cittadino leso dal provvedimento e frusterebbe l’interesse del ricorrente ad ottenere una decisione di annullamento del provvedimento viziato (cfr., in tal senso, CdS Ad. Plen. 26.08.1991 n. 6; IV, 12.10.2000 n. 5422).
In altri termini, solo con riferimento al vizio di incompetenza, di carattere meramente formale, la legge espressamente consente la convalida retroattiva in pendenza di giudizio; nel silenzio della legge, con riguardo agli altri vizi deve quindi escludersi la possibilità di convalida in pendenza di giudizio.
Il difetto di motivazione non è un vizio meramente formale. Al di là, infatti, della sua qualificazione in termini di violazione di legge, in forza dell’art. 3 l. n. 241 del 1990, la carenza di motivazione inficia il provvedimento che ne è affetto nella sua intima sostanza. Ed allora, se è vero che con la convalida (e così con la ratifica) gli effetti giuridici, a differenza della rinnovazione dell’atto amministrativo, vanno imputati all’atto convalidato, la convalida di un atto amministrativo viziato per difetto di motivazione, proprio per il suo carattere retroattivo, realizza una integrazione della motivazione in pendenza del giudizio relativo all’atto convalidato.
Il che non è ammissibile, dovendo la motivazione precedere e non seguire il provvedimento amministrativo e dovendo il fondamento dell’illegittimità della motivazione postuma ravvisarsi nella tutela del buon andamento dell’azione amministrativa e nell’esigenza di delimitazione del controllo giudiziario (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 11.10.2004 n. 5521).

ATTI AMMINISTRATIVIIl provvedimento di secondo grado, con cui l’autorità competente fa proprio un atto adottato da un organo riconosciuto incompetente, esprimendo l’univoca volontà di eliminare tale vizio, costituisce un provvedimento di ratifica –ovvero di convalida, secondo la terminologia adottata dall’art. 6 della l. 18.03.1968 n. 249– il quale si sostituisce all’atto viziato con effetto ex tunc.
La circostanza che, nell’intervallo intercorrente tra l’emissione del primo provvedimento e l’atto di convalida, la competenza sia stata trasferita ad altra Amministrazione, non priva il soggetto originariamente legittimato del potere di convalida, strettamente inerente all’atto viziato, e che, del resto, ha effetto ex tunc, è cioè retroagisce sino al momento in cui tale competenza gli apparteneva.
E' inammissibile la sanatoria o ratifica di atti annullati, in quanto l’annullamento elimina l’atto stesso dal mondo giuridico con la conseguenza che non è possibile una sanatoria con effetti ex tunc, ma solo, eventualmente, l’emanazione di un nuovo provvedimento con efficacia ex nunc.
La possibilità di convalida in corso di lite risponde ad esigenze di economia processuale e di buon andamento dell’azione amministrativa, esigenze che non possono non far guardare con favore ad un ravvedimento operoso dell’Amministrazione.

In generale, il provvedimento di secondo grado, con cui l’autorità competente fa proprio un atto adottato da un organo riconosciuto incompetente, esprimendo l’univoca volontà di eliminare tale vizio, costituisce un provvedimento di ratifica –ovvero di convalida, secondo la terminologia adottata dall’art. 6 della l. 18.03.1968 n. 249– il quale si sostituisce all’atto viziato con effetto ex tunc (cfr. C.d.S., V, 08.07.1998, n. 1027). 
E' fin troppo noto che i provvedimenti amministrativi hanno ordinariamente effetto ex nunc, salvo che diversamente non si desuma dal loro particolare oggetto ovvero da un’espressa volontà.
La circostanza che, nell’intervallo intercorrente tra l’emissione del primo provvedimento e l’atto di convalida, la competenza sia stata trasferita ad altra Amministrazione, non priva il soggetto originariamente legittimato del potere di convalida, strettamente inerente all’atto viziato, e che, del resto, ha effetto ex tunc, è cioè retroagisce sino al momento in cui tale competenza gli apparteneva.
L’art. 6 della l. 18.03.1968, n. 249, dispone che “alla convalida degli atti viziati di incompetenza può provvedersi anche in pendenza di gravame in sede amministrativa e giurisdizionale”.
Nel caso in esame è pacifico che, nel momento in cui fu emesso il provvedimento di convalida, la sentenza 1948/2002 non era ancora passata in giudicato formale: il thema decidendum è allora di stabilire se la locuzione “in pendenza di gravame giurisdizionale” vada intesa nel senso che l’atto amministrativo già annullato con sentenza, possa ancora essere convalidato –ovvero ratificato– se ancora non si è compiuto il termine per le impugnazioni ordinarie.
Sul punto, appare opportuno muovere dal condivisibile orientamento giurisprudenziale, richiamato anche dai ricorrenti, per cui è “inammissibile la sanatoria o ratifica di atti annullati, in quanto l’annullamento elimina l’atto stesso dal mondo giuridico con la conseguenza che non è possibile una sanatoria con effetti ex tunc, ma solo, eventualmente, l’emanazione di un nuovo provvedimento con efficacia ex nunc” (C.d.S., IV, 20.05.1999, n. 853; id., 30.04.1999, n. 749).
È poi da ricordare che le sentenze del giudice amministrativo sono esecutive (art. 33 l. 1034/1971), pur se ancora impugnabili, e pur quando impugnate, ma non sospese: ciò significa che esse determinano gli effetti loro propri, e comunque certamente l’effetto demolitorio d’annullamento, ancor prima del loro passaggio in giudicato, il quale non attribuisce loro un’esecutività che prima non possedevano, ma la stabilizza, essendo comunque assai ridotta la possibilità che siano proposte le impugnazioni straordinarie avverso la decisione.
Così, la “pendenza di gravame”, di cui al ripetuto art. 6, si deve interpretare come riferita al periodo che si conclude con la pubblicazione della decisione, la quale abbia annullato il provvedimento, e che era iniziato con la proposizione del ricorso –ovvero anche dell’appello, qualora la decisione di primo grado non avesse accolto l’impugnazione: dopo la sentenza d’annullamento, il provvedimento cessa di esistere, salvo essere eventualmente ripristinato con la decisione che riformi od annulli tale sentenza, e non se ne può dunque ammettere la sanatoria (implicitamente conforme a tale conclusione pare la massima di C.d.S., IV, 21.01.1993, n. 71, laddove si afferma che l’atto amministrativo viziato per incompetenza “è legittimamente convalidato ex tunc, anche se sia stato già impugnato, senza attendere l’intermediazione della pronuncia giurisdizionale”).
"La possibilità di convalida in corso di lite risponde ad esigenze di economia processuale e di buon andamento dell’azione amministrativa, esigenze che non possono non far guardare con favore ad un ravvedimento operoso dell’Amministrazione” (C.d.S., IV, 26.06.1998, n. 991).
Invero, è allora da ritenere che tali obiettivi sarebbero sostanzialmente svuotati del loro contenuto, se si riconoscesse all’Amministrazione la possibilità di ratificare i provvedimenti dopo la sentenza; e tanto più dopo la sentenza di II grado, quando, nella normalità dei casi, la causa è ormai conclusa, essendo nell’esperienza assai marginale (e, nella fattispecie, del tutto improbabile) una successiva pronuncia di annullamento da parte della Corte regolatrice per ragioni attinenti alla giurisdizione.
Invero, se l’Amministrazione potesse ratificare il provvedimento già annullato per motivi d’incompetenza, quella eluderebbe gli effetti della pronuncia, frustrando l’interesse perseguito dal ricorrente e, così, le garanzie che sono predisposte a tutela del cittadino leso dal provvedimento, poiché la decisione giurisdizionale che avesse accertato il vizio d’incompetenza (e, cioè, uno dei tipici profili d’invalidità dell’atto amministrativo) potrebbe concretamente perdere gran parte del suo significato e della sua utilità, stante la retroattività del provvedimento di convalida che l’Amministrazione potrebbe disporre prima del passaggio in giudicato.
La ratifica che intervenga in corso di giudizio ed anteriormente alla sentenza consente al giudice di esaminare le ulteriori censure eventualmente proposte, senza neppure necessità di impugnare il nuovo atto per il resto meramente riproduttivo del precedente (C.d.S., V, 21.12.1989, n. 863): ciò che naturalmente non è più possibile se la sanatoria interviene dopo la decisione che accoglie la censura d’incompetenza.
Anzi, poiché l’atto di convalida, proprio per la sua retroattività, comporta un effetto confermativo per i contenuti dell’originario provvedimento, v’è da dubitare che tali ulteriori censure possano essere validamente riproposte con un nuovo ricorso
(TAR Veneto, Sez. III, sentenza 27.09.2004 n. 3433).

ATTI AMMINISTRATIVII provvedimenti viziati da incompetenza dell’organo emittente possono essere convalidati anche se oggetto di ricorso in sede giurisdizionale.
Il potere di convalida, che trae fondamento dall’art. 6 l. 18.03.1968 n. 249, sana con efficacia retroattiva l’atto viziato da incompetenza, ancorché quest’ultimo sia oggetto di ricorso giurisdizionale pendente.

Va affermato che i provvedimenti viziati da incompetenza dell’organo emittente possono essere convalidati anche se oggetto di ricorso in sede giurisdizionale.
La norma richiamata (art. 6 l. n. 249/1968) ha, infatti, valenza generale, quale espressione di diritto positivo del principio di conservazione degli atti giuridici che, una volta emendati da vizi di natura formale, continuano con effetto retroattivo a spiegare efficacia nell’ordinamento giuridico (cfr. art. 1444 c.c.).
L’orientamento giurisprudenziale è univoco al riguardo, tant’è che perentoriamente precisa che il potere di convalida “che trae fondamento dall’art. 6 l. 18.03.1968 n. 249 sana con efficacia retroattiva l’atto viziato da incompetenza, ancorché quest’ultimo sia oggetto di ricorso giurisdizionale pendente” (cfr. Cons. St., sez. V, 21.12.1989 n. 863; Id., sez. IV, 20.05.1996 n. 625; C.G.A. 28.11.1996 n. 415).
Né, disattendendo la prospettazione dei ricorrenti, si imponeva un onere di espressa valutazione dell’interesse pubblico al “risanamento dell’atto”: esso infatti è “in re ipsa”, essendo coincidente con l’eliminazione del vizio di incompetenza che affligge l’atto (in termini, Cons. St., Ad. plen., 09.03.1984 n. 5) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 07.09.2001 n. 771).

AGGIORNAMENTO AL 14.06.2010

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EDILIZIA PRIVATA: Dovrebbe essere imminente la pubblicazione sulla G.U.R.I. del Decreto Presidente della Repubblica avente per oggetto "Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, ai sensi dell'articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22.01.2004, n . 42 e successive modificazioni".
Infatti, lo schema di decreto ha avuto il "via libera", seppur con talune osservazioni per lo più di carattere formale, da parte del Consiglio d Stato, Sez. consultiva per gli Atti Normativi, con parere 03.03.2010 n. affare 316 (reso nell'adunanza dell'08.02.2010).
In precedenza, la Conferenza unificata Sato-Regioni aveva espresso il proprio parere favorevole nella seduta del 26.11.2009.
Orbene, se si da una lettura alla bozza di decreto in questione ci si rende conto che il legislatore ha previsto la c.d. "autorizzazione paesaggistica semplificata" per ben n. 39 fattispecie edilizie il cui iter amministrativo, da parte dell'amministrazione competente (comuni, province, parchi, ecc.), si deve concludere in 60 gg. complessivi anziché gli attuali 105 gg..
E' evidente a tutti che, di fatto, ci sarà una bella e gradita semplificazione a favore del Cittadino ovverosia l'"utente finale" dovrà tribolare molto meno -di oggi- per venire in possesso dell'atto amministrativo di cui necessita.
E gli Uffici Tecnici Comunali? Anch'essi si vedranno alleggerito il lavoro di ufficio? La risposta è: NO !!
Normalmente, a leggere 6 articoli di legge si fa abbastanza in fretta, ma a leggere i 6 articoli del decreto di prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale viene, a dir poco, l'emicrania !!
Ma il legislatore ha piena cognizione di quello che ha scritto? Si rende conto del nuovo ed ennesimo meccanismo farraginoso che ha costruito per semplificare la vita ai Cittadini e, certamente, complicarla ai Tecnici Comunali e -indirettamente- ai Comuni in senso lato?
Il Sig. Ministro Renato BRUNETTA della semplificazione amministrativa ne ha fatto una battaglia politica personale (forse, anche di partito) che lo ha visto comparire sulle copertine di ogni settimanale ed alla ribalta di ogni quotidiano.
Ma Egli sa, nella realtà di ogni giorno, cosa avviene in un Comune? Soprattutto di un Comune medio-piccolo, dove il personale è sotto organico da decenni e non si può assumere nuovo personale -nonostante i pensionamenti, le mobilità, ecc.- per mille cavilli normativi?
NOI CREDIAMO CHE NON LO SAPPIA !!
Pertanto,
rivolgiamo formale invito al Sig. Ministro Renato BRUNETTA (ed anche al Sig. Ministro Sandro BONDI, ovviamente, per la fattispecie in esame) affinché soggiorni una settimana nel miglior albergo del nostro Comune, ovviamente a nostre spese, affinché condivida la vita lavorativa settimanale di un Tecnico Comunale di un paese tipo (di circa 7.000 anime) e veda coi propri occhi come si istruisce (seriamente ed a' termini di legge) una pratica edilizia constatando il tempo che ci si perde dietro ... sicuramente, poi, potrà dire di conoscere come funziona una "macchina amministrativa territoriale", e non legiferando stando seduto nelle stanze romane del potere centrale senza aver vissuto "in trincea" nell'interpretare ed applicare ogni giorno leggi farraginose, complicate che ingessano anziché snellire l'azione amministrativa.
Poiché sino a poco tempo fa era in "uso mediatico" convocare il Consiglio dei Ministri in forma itinerante per l'Italia, rivolgiamo un altro invito:
che si svolga nel nostro Comune il prossimo C.d.M. sicché tutti (nessuno escluso) gli Onorevoli Ministri si rendano conto di cosa succede realmente in un Comune medio piccolo e, soprattutto, nell'Ufficio Tecnico ... forse, poi, potranno legiferare con cognizione di causa, rendendo edotti i Sigg. Colleghi del Parlamento dell'esperienza pratica acquisita "sul campo".
Pertanto, restiamo nell'attesa -al più presto- di essere contattati all'indirizzo: info.ptpl@tiscali.it.
LA SEGRETERIA PTPL.

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA - VARI: Dal GSE: la "Guida agli incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili".
Il Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) ha reso disponibile la nuova guida "Guida agli incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili" con il chiaro intento di analizzare le principali normative nazionali in materia di incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, con l'esclusione del meccanismo del Conto energia per gli impianti fotovoltaici (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Dal CPT di Roma Vademecum per l'impresa e il committente.
Il Comitato Paritetico Territoriale di Roma e Provincia ha realizzato e diffuso un vademecum che sintetizza i principali adempimenti in materia di sicurezza nei cantieri delle imprese e dei committenti.
Il vademecum, aggiornato al mese di maggio 2010, definisce i seguenti punti:
- documentazione attestante l'attuazione di adempimenti a carico del datore di lavoro;
- adempimenti e documentazione a cura del committente;
- idoneità tecnico professionale delle imprese;
- idoneità tecnico professionale dei lavoratori autonomi;
- organi con compiti di controllo, coordinamento e vigilanza che hanno accesso nei cantieri edili ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA - VARI: Conto Energia 2011: disponibile il testo della bozza aggiornata a giugno.
È stato diffuso, nei giorni scorsi, il testo di una nuova bozza del decreto "Conto Energia".
Il nuovo testo, che dovrebbe essere quello definitivo, accoglie, in parte, le richieste dei produttori di sistemi fotovoltaici.
Rispetto al testo diffuso nel mese di febbraio, infatti, la nuova bozza di decreto prevede tariffe incentivanti leggermente più elevate per gli impianti che entreranno in esercizio dal 1° gennaio al 31.08.2011 (con incrementi variabili, in funzione della potenza e della tipologia di impianto, tra 1 e 24 millesimi di euro per kilowattora prodotto) ma sempre sensibilmente ridotte rispetto alle attuali ... (link a www.acca.it).

VARI: Agevolazioni per l'acquisto della prima casa: chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate.
Con la Circolare n. 31 del 07.06.2007 l'Agenzia delle Entrate ha fornito nuovi chiarimenti sulle agevolazioni previste per l'acquisto della prima casa.
Nella circolare in questione l'amministrazione finanziaria esamina tre situazioni in particolare:
- trattamento fiscale delle pertinenze destinate a servizio di case di abitazione acquisite senza fruire delle agevolazioni "prima casa" (immobile acquistato prima che fossero istituite le agevolazioni "prima casa" o acquistato allo stato "rustico");
- ampliamento di abitazione acquisita senza fruire delle agevolazioni "prima casa";
- alienazione infraquinquennale dell'immobile agevolato e successivo acquisto dell'abitazione principale ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Nuovi chiarimenti del Ministero del lavoro su lavori di breve durata, rappresentanti dei lavoratori e organismi paritetici
La sezione FAQ in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro del sito web del Ministero del lavoro è stata aggiornata con la pubblicazione di risposte ai nuovi quesiti in tema di:
- obblighi di sicurezza connessi a lavori o servizi di durata non superiore ai due giorni (art. 26, D.Lgs. n. 81/2008);
- aggiornamento della formazione dei rappresentanti dei lavoratori (art. 37, D.Lgs. n. 81/2008);
- organismi paritetici (art. 51, D.Lgs. n. 81/2008) (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le opere che possono considerarsi non assoggettabili alla normativa sismica.
L'ufficio del Genio Civile di Agrigento, su sollecitazione dei tecnici locali, ha individuato, attraverso un'apposita circolare, le opere che possono considerarsi non assoggettabili alla normativa sismica di cui alla Legge 64/1974.
Poiché si ritiene che tale elenco possa costituire un utile riferimento per i professionisti di tutta Italia ne riportiamo il contenuto.
Le seguenti opere, oggettivamente poco rilevanti ai fini della sicurezza, secondo il Genio Civile di Agrigento, possono considerarsi non assoggettabili alla normativa sismica di cui alla Legge 64/1974: ... (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI: G.U. 11.06.2010 n. 134 "Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell’articolo 19 della legge 05.05.2009, n. 42" (D.Lgs. 28.05.2010 n. 85).
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Trattasi del cosiddetto "federalismo demaniale".

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 22 del 04.06.2010, "POR FESR 2007-2013, Asse 2 «Energia» – Approvazione del documento «Linee guida di rendicontazione ad uso dei beneficiari», della Linea di Intervento 2.1.2.2 «Interventi per il miglioramento dell’efficienza energetica degli impianti di illuminazione pubblica»" (decreto D.S. 21.05.2010 n. 5306 - link a www.infopoint.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Requisiti Previdenziali: pre-D.L. n. 78/31.05.2010 e post-D.L. 78/31.05.2010 (CISL-FP nota 09.06.2010).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA- URBANISTICA: D. Meneguzzo, Il TAR e l'urbanistica "trasandata" per atti unilaterali d'obbligo (link a http://venetoius.myblog.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. Di Rosa, Eppur mi son scordato di te ... caro articolo 183 - Prima del deposito temporaneo regolare non c'è mai gestione dei rifiuti? - giugno 2010  (tratto da www.dirosambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. Di Rosa, Quando meno te lo aspetti ... ti vien detto di bonificare - Ancora incertezze in materia di bonifiche - maggio 2010 (tratto da www.dirosambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. Di Rosa, Due punti della circolare 06.09.2004 sui limiti differenziali del rumore - febbraio 2006 (tratto da www.dirosambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. Di Rosa e M. Del Sordo, Amletica inquietudine: meglio il trapano del dentista o il rumore del suo compressore? - dicembre 2003 (nota a commento della sentenza TAR Puglia-Bari, Sez. I, 26.09.2003 n. 3591) (tratto da www.dirosambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. Di Rosa, Ancora una volta sul livello differenziale di rumore: ripetita iuvant? - agosto 2003 (tratto da www.dirosambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. Di Rosa, Ancora enigmatica l'applicabilità del livello differenziale di rumore, nei comuni "non zonizzati"? - gennaio 2003 (tratto da www.dirosambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: S. Di Rosa, Attivazione di una industria insalubre: il preventivo avviso scritto - gennaio 2000 (tratto da www.dirosambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: S. Di Rosa, Depositi insalubri: problematica appartenenza al novero delle industrie insalubri - ottobre 1999 (tratto da www.dirosambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: S. Di Rosa, Industrie insalubri, ma non solo industrie: corretta interpretazione di un termine - maggio 1999 (tratto da www.dirosambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. Di Rosa, Anche un «Refuso» può essere classificato come pericoloso: come abituarsi ad un errore consolidato - aprile 1999 (tratto da www.dirosambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: S. Di Rosa, Competenza per la classificazione delle industrie insalubri: terreno scabroso, da sempre teatro di lotte intestine e decisioni sofferte - Dovremmo essere giunti ad una svolta definitiva - febbraio 1999 - (tratto da www.dirosambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: S. Di Rosa, Pericolosità delle industrie insalubri: astratta o concreta? - dicembre 1998 (tratto da www.dirosambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: S. Di Rosa, Impugnazione per via amministrativa della classificazione delle industrie insalubri. In Toscana una decisione tutta da riconsiderare - ottobre 1998 (tratto da www.dirosambiente.it).

QUESITI

EDILIZIA PRIVATA: Legge regionale del Piemonte n. 20/2009 (“piano casa”). Definizione di “unità catastale”.
Viene posto un quesito, di rilevante interesse, relativo all’interpretazione e all’applicazione dell’art. 4, comma 5, primo periodo, della legge regionale del Piemonte n. 20 del 2009 (cosiddetto “piano casa”).
Più specificatamente, il Comune interessato enuncia quanto segue:
…durante l'istruttoria delle domande presentate ai sensi dell'art. 4 della Legge Regionale n. 20 del 14.07.2009, per gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici residenziali da riqualificare, risulta necessario definire in modo univoco la dicitura "unità catastale".
Ciò al fine di individuare correttamente l'ammissibilità di determinati interventi in quanto, in alcune domande, viene proposta la ricostruzione su particelle catastali differenti rispetto a quella su cui esiste attualmente il fabbricato che si intenderebbe demolire, ma costituenti pur sempre un corpo unico con il resto della proprietà che comprende il fabbricato stesso.
In particolare non è chiaro se per "unità catastale" debba intendersi, alla luce della l.r. 20/2009, "particella catastale" o "unità immobiliare" o "proprietà catastale
" (Regione Piemonte, parere n. 56/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

LAVORI PUBBLICI: Servitù di passaggio per l’accesso ad un impianto sportivo comunale.
Il quesito posto attiene alla situazione giuridica derivante dalla esistenza di una strada su terreno di proprietà di terzi costituente accesso ad un impianto sportivo (Regione Piemonte, parere n. 47/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Indennità di funzione spettante al Sindaco in relazione alla classe demografica del Comune, ai sensi del D.M. 119/2000.
Il sindaco del Comune di (omissis) riferisce di essere stata eletto a seguito delle consultazioni amministrative del giugno 2009 e di aver percepito fino ad oggi l’indennità di funzione, determinata dalla precedente Giunta comunale, in misura inferiore a quella edittale fissata dal D.M. 04.04.2000, n. 119, in relazione alla dimensione demografica del Comune.
Il sindaco chiede di conoscere:
a) “se sia corretto aver percepito finora l’indennità di funzione stabilita dalla precedente amministrazione, ancorché in diminuzione rispetto ai valori tabellari, senza previa adozione di specifico atto da parte della nuova amministrazione;
b) se sia legittimo (o, addirittura, necessario) ripristinare le indennità nei valori
stabiliti dal D.M. n. 119/2000 per la classe demografica e, in tal caso, di chi sia la competenza all’adozione dei relativi atti (ovvero se trattasi di automatismo, visto che nulla più dice il comma 11 dell’art. 82 TUEL)”
(Regione Piemonte, parere n. 45/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Intervento edilizio di recupero di un rustico situato da P.R.G.C. in nucleo storico-ambientale.
E’ chiesto parere in merito all’assentibilità di intervento edilizio consistente nel recupero di un cascinale in zona di P.R.G.C. qualificata quale “Nucleo di interesse storico-ambientale (Centro Storico)” (Regione Piemonte, parere n. 42/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ O dipendente o sindaco. L'incompatibilità scatta solo se il rapporto di lavoro intercorre col comune. Ma è eleggibile chi lavora nella comunità montana.
Sussiste, nei confronti di un sindaco di un comune appartenente ad una comunità montana, dipendente della comunità stessa, una causa di ineleggibilità in relazione all'articolo 60 del dlgs n. 267/2000?

L'articolo 60, comma 1, n. 7, del decreto legislativo n. 267/2000 stabilisce che non sono eleggibili, tra l'altro, alla carica di sindaco i dipendenti del comune. La formulazione della norma pone l'accento su dato formale della dipendenza, subordinando l'ineleggibilità al fatto che intercorra con il comune un rapporto di lavoro.
Anche la Corte di cassazione ha ritenuto che, in tema di elettorato attivo, per la predetta condizione di ineleggibilità, occorre far riferimento non all'aspetto funzionale ma a quello genetico del rapporto di servizio che, nella fattispecie in esame, intercorre con la comunità montana (cfr. sent. nn. 6292, 8154 e 8975 del 1987 e n. 9762/1995).
Per quanto premesso ne consegue che, nel caso di specie, va escluso il delinearsi della causa di ineleggibilità prevista dalla norma citata. Né è ravvisabile, nel caso in questione, l'altra causa di ineleggibilità prevista dall'art. 60, comma 1, n. 11 del Tuel, in quanto la comunità montana non può considerarsi «istituto, consorzio o azienda dipendente dal comune» (articolo ItaliaOggi dell'11.06.2010, pag. 36).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ NOMINE NELLE FONDAZIONI.
Lo statuto di un'istituzione di assistenza e beneficenza può conferire al consiglio comunale il potere di nominare alcuni componenti del consiglio di amministrazione?
La ratio del potere di nomina attribuito al consiglio comunale consiste nel garantire che i membri dell'organo della Fondazione, avente personalità giuridica di diritto privato, siano dotati di specifiche capacità professionali senza che possano riscontrarsi collegamenti con l'indirizzo politico- amministrativo dell'ente locale.
Non altrettanto può affermarsi per la fattispecie regolata dall'art. 50, comma 8, del dlgs n. 267/2000, ove la scelta da parte del sindaco dei rappresentanti del comune presso enti, aziende e istituzioni è finalizzata al raggiungimento di obiettivi indicati dall'amministrazione (cfr. Tar Milano, sentenza n. 470 del 14/4/1997 e Cds n. 6691/2009 del 29/10/2009).
In tal caso le nomine devono considerarsi di carattere fiduciario, «nel senso che riflettono il giudizio di affidabilità espresso attraverso la nomina, ovvero la fiducia sulla capacità del nominato di rappresentare gli indirizzi di chi l'ha designato, orientando l'azione dell'organismo nel quale si trova ad operare in senso quanto più possibile conforme agli interessi di chi gli ha conferito l'incarico» (Consiglio di stato dec. n. 547/2003).
Peraltro il dlgs n. 207/2001, recante riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, all'art. 17 c. 1, lett. b), nel prevedere la possibilità del mantenimento della nomina pubblica dei componenti degli organi di amministrazione, esclude «ogni rappresentanza». Tanto premesso, si ritiene che, nel caso di specie, possa pertanto trovare applicazione la previsione statutaria che assegna al consiglio comunale la scelta dei tre componenti del Consiglio di amministrazione (articolo ItaliaOggi dell'11.06.2010, pag. 36).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ TERZO MANDATO.
È applicabile la norma dello statuto comunale che non consente l'espletamento del terzo mandato consecutivo da parte degli assessori, nel caso in cui l'incarico assessorile sia stato ricoperto per due volte consecutive ma, in entrambi i casi, con durata inferiore a quella della consiliatura nella quale era stato conferito?

La previsione statutaria richiamata era stata, a suo tempo, adottata in vigenza dell'art. 34 della legge n. 142/1990, come sostituito dall'art. 16 della legge n. 81/1993, recependone la conforme previsione che vietava, al c. 3), il terzo mandato consecutivo dell'assessore, in analogia alla disciplina disposta per il sindaco.
Successivamente, la legge 03 agosto n. 265/1999 (art. 11, comma 11) abrogò espressamente l'anzidetta norma con la conseguenza che le disposizioni statutarie ad essa conformate sono, da quel momento, da considerarsi caducate e, quindi, inapplicabili.
Anche il vigente Tuel n. 267/2000 non contempla alcuna previsione limitativa del numero dei mandati consecutivi espletabili dagli assessori mentre, come è noto, ha mantenuto quella di analogo tenore riferita al sindaco (art. 51, comma 2).
Peraltro la disciplina degli organi di governo comunali e provinciali, a cui è riconducibile la figura dell'assessore, è riservata alla competenza legislativa esclusiva dello stato, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. p), della Costituzione e, come tale, è sottratta alla potestà statutaria.
Se ne deduce, per le esposte considerazioni, che la norma statutaria in esame non può trovare applicazione, restando ininfluente la circostanza che il mandato assessorile ha avuto una durata inferiore a quella della consiliatura di riferimento (articolo ItaliaOggi dell'11.06.2010, pag. 36).

PUBBLICO IMPIEGO: Stop ai dirigenti a tempo negli enti locali.
È uno stop quasi totale alle assunzioni di dirigenti con contratti a tempo determinato negli enti locali, quello che deriva dal dl 78/2010, combinato con la riforma-Brunetta.

La manovra economica modifica l'articolo 1, comma 557, della legge 296/2006 e impone alle amministrazioni locali alcune misure per ridurre la spesa di personale e, tra queste, «razionalizzazione e snellimento delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici con l'obiettivo di ridurre l'incidenza percentuale delle posizioni dirigenziali in organico».
La norma contribuisce a risolvere ogni possibile equivoco interpretativo sulla provvista di dirigenti a tempo determinato ed assesta un ulteriore colpo a tale strumento di spoils system. Già il dlgs 150/2009 ha inteso estendere espressamente anche agli enti locali le limitazioni percentuali alle assunzioni di dirigenti a tempo determinato, riferendole alla dotazione organica: il che esclude la compatibilità con la riforma del comma 2 dell'articolo 110 del dlgs 267/2000.
Inoltre, la modifica all'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001, applicabile certamente anche a comuni e province per effetto dell'articolo 88 del dlgs 267/2000 (e in ogni caso come principio generale) di fatto cancella il comma 1 del medesimo articolo 110. Infatti, questo consente agli enti locali di assumere dirigenti a tempo determinato anche per il 100% della dotazione organica.
La riforma-Brunetta, invece, nell'imporre limiti percentuali da considerare entro il massimo del 10% della dotazione dei dirigenti e nel subordinare le assunzioni di dirigenti a contratto solo ad una specifica motivazione riguardante l'accertata assenza di professionalità interne, limita di gran lunga la possibilità di acquisire manager a contratto.
L'imposizione di accorpare gli uffici allo scopo di contenere il numero dei dirigenti costituisce, adesso, di per sé un ulteriore impedimento al ricorso a dirigenti esterni, generalmente utilizzato per ampliare la dotazione.
Gli enti sono, infatti, tenuti a consolidare e valorizzare la dotazione delle competenze, e infatti a questo scopo solo la dimostrazione dell'assenza di capacità interne operative potrebbe consentire un incarico a contratto. Ma, in ogni caso, questo non può essere utilizzato per incrementare il numero della dotazione: ciò significa che l'articolo 110, comma 2, del dlgs 267/2000 deve considerarsi ancora a maggior ragione implicitamente abolito.
Né può perdurare l'utilizzo del meccanismo dello scorporo di funzioni dirigenziali, spessissimo adoperato dagli enti per creare strumentali vuoti di organico ed attingere così a piene mani agli incarichi a contratto, anche allo scopo di attribuire incarichi dirigenziali ai dipendenti privi di tale qualifica, secondo un meccanismo comunque non più corrispondente alla regola della previa verifica dell'assenza di professionalità nella dotazione organica.
A questo proposito, il dl 78/2010 pare inferire un ulteriore fendente alle residue possibilità di incaricare i funzionari come dirigenti. Il congelamento degli stipendi al 2010, la limitazione degli incarichi dirigenziali, la previsione che progressioni di carriera, quali sono a tutti gli effetti gli incarichi dirigenziali a dipendenti non dirigenti, abbiano effetti solo giuridici e non economici almeno fino al 2013 costituiscono insieme la comprova che questa prassi è ormai ben al di là dei margini della legittimità (articolo ItaliaOggi dell'11.06.2010, pag. 35).

ENTI LOCALI: Il mini comune non può fare da sé.
MANOVRA CORRETTIVA/ Dalla gestione ai vigili, dagli asili alle strade, tutto si svolgerà in team. Funzioni da gestire in forma associata. Ma cosa resta agli enti?

I comuni al di sotto dei 5 mila abitanti restano in vita, ma la stragrande maggioranza dei loro compiti deve essere necessariamente gestita in forma associata: essi vengono spogliati di competenze gestionali.
Siamo così arrivati, sulla base di una scelta contenuta nel dl n. 78/2010, la cosiddetta manovra estiva, a un punto di svolta che modifica radicalmente il ruolo, le competenze e le attività della stragrande maggioranza dei comuni italiani: ricordiamo che su circa 8.100 municipi quasi 6 mila sono al di sotto di questa soglia demografica.
Si arriva a questa conclusione dopo oltre 24 anni di dibattito tra l'accorpamento obbligatorio dei comuni di modesta dimensione (proposta che l'allora presidente del consiglio Bettino Craxi avanzò all'assemblea dell'Anci di Padova nell'ottobre del 1986) e la incentivazione (strada che fu avviata dalla legge n. 142/1990, che istituì le unioni come strumento ponte in vista della unificazione, e che è stata proseguita dalla legge n. 265/1999, che ha liberalizzato e incentivato le forme di gestione associata).
Alla base di questa scelta vi è, in primo luogo, la volontà di realizzare forme di risparmio e di semplificazione, ma vi è anche la constatazione che su basi volontarie si sono raggiunti significativi risultati (oltre 200 unioni che raggruppano migliaia di comuni), ma che il loro esito è ancora largamente insufficiente. Infatti sono poche le unioni che gestiscono servizi rilevanti ed in troppi casi la loro attivazione è subordinata alle incentivazioni disposte dalle leggi statali e da quelle regionali.
Il provvedimento dispone in primo luogo che queste disposizioni hanno carattere vincolante in quanto sono dettate per il coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento delle spese. Altra disposizione di carattere generale è quella che stabilisce che l'esercizio delle funzioni fondamentali è obbligatorio da parte di tutti i comuni.
Esse sono individuate in via provvisoria, cioè fino all'approvazione della nuova carta delle autonomie, che nei prossimi giorni sarà esaminata in prima lettura da parte della camera, direttamente da parte dello stesso provvedimento in quelle previste dall'articolo 21 comma 3, della legge n. 42/2009 (articolo 14).
Ricordiamo che esse sono le seguenti funzioni: generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70% delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge; di polizia locale; di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica; nel campo della viabilità e dei trasporti; riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato; del settore sociale.
Si stabilisce che le funzioni fondamentali sono necessariamente gestite in forma associata tramite convenzioni o unioni da parte dei comuni che hanno fino a 5 mila abitanti. Sempre nelle stesse forme tali funzioni sono gestite da parte dei comuni che hanno fino a 3 mila abitanti ovvero alla soglia individuata dalla regione e fanno o hanno fatto parte di comunità montane, con il che si assesta un ulteriore durissimo colpo alla stessa esistenza questo livello istituzionale.
Come si vede, ai comuni più piccoli rimane ben poco da gestire direttamente: tutti i compiti di maggiore rilievo infatti dovranno obbligatoriamente essere gestiti in forma associata.
Occorre inoltre aggiungere che, ad ulteriore supporto di questo processo, le regioni, nelle materie in cui hanno competenza legislativa esclusiva o concorrente, dovranno individuare le dimensioni ottimali per la gestione da parte dei comuni, che entro il termine dalla stessa avviato, danno vita alla gestione associata; tale vincolo non si applica ai comuni capoluogo ed a quelli con popolazione superiore a 100 mila abitanti.
La concreta entrata in vigore di queste nuove disposizioni sarà fissata in un decreto del presidente del consiglio dei ministri da adottare entro il mese di settembre. Tale provvedimento individuerà anche la soglia minima di abitanti delle gestioni associate.
Viene inoltre previsto, scelta che sembra applicarsi a tutti i comuni a prescindere dalla loro soglia demografica, che sussiste un duplice divieto: gestire singolarmente le funzioni fondamentali svolte in forma associata e che la stessa funzione sia gestita da più di una forma associata (articolo ItaliaOggi dell'11.06.2010, pag. 33).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Collegato lavoro (ddl S.1167-B/BIS) a passo di gambero.
Fa un passo in avanti e due indietro, il collegato lavoro, all'esame delle commissioni riunite affari costituzionali e lavoro del Senato.

Nella seduta di ieri, infatti, l'ostruzionismo dell'opposizione ha pesantemente rallentato la votazione degli emendamenti al disegno di legge che, nelle intenzioni della maggioranza, dovrebbe arrivare in aula il 16 giugno.
«Abbiamo esaminato due sole proposte di modifica all'articolo 31 (sull'arbitrato per la risoluzione delle controversie, ndr), su 49 che ne sono state depositate», dichiara il relatore Maurizio Castro (Pdl), ricordando che ad oggi sono circa un'ottantina gli emendamenti su cui bisogna ancora pronunciarsi.
I due capigruppo del Pd e dell'IdV, Giorgio Roilo e Pancho Pardi, hanno tenuto «interventi alluvionali nell'ora e mezza in cui siamo stati in commissione», aggiunge, diluendo così i tempi del voto.
A Palazzo Madama prende corpo l'ipotesi che, se anche il prossimo martedì la minoranza terrà un atteggiamento ostruzionistico, verrà convocata una seduta notturna, per poter licenziare il testo nei tempi previsti (articolo ItaliaOggi del 10.06.2010, pag. 29).

APPALTI: Gare, trucchi in vista. Ok della camera al ddl Brunetta. A rischio la concorrenza. Obbligatorio interpellare gli esclusi.
Possibili combine nelle gare di appalto con l'obbligo per la stazione appaltante di interpellare i primi cinque classificati dopo l'aggiudicatario, in caso di risoluzione del contratto o di fallimento.
È questo il possibile effetto della modifica al Codice dei contratti pubblici (l'ennesima di questi ultimi mesi) disposta dal ddl semplificazione approvato ieri dalla camera con 265 sì, 213 no (Pd e Idv) e 40 astenuti (Udc).
L'articolo 140 del dlgs 163/2006, ad oggi, stabilisce che le stazioni appaltanti prevedono nel bando di gara la facoltà di interpellare i cinque concorrenti che seguono in graduatoria l'aggiudicatario dell'appalto nel caso in cui si pervenga alla risoluzione del contratto per grave impedimento o si verifichi il fallimento dell'impresa.
In questi casi quindi l'amministrazione può (ma non deve) sentire i concorrenti classificati dal secondo al sesto posto, scorrendo quindi la graduatoria progressivamente, e stipulare con uno di essi un nuovo contratto alle stesse condizioni di quello inizialmente stipulato con l'appaltatore fallito o gravemente inadempiente ... (articolo ItaliaOggi del 10.06.2010, pag. 28 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Arriva lo sportello unico a 360°.
CONSIGLIO DEI MINISTRI/ Il regolamento stabilisce la creazione di in unico soggetto pubblico. Competenze sull'edilizia in quello per le attività produttive.

Anche le competenze dello sportello unico per l'edilizia passano, salvo diversa disposizione dei comuni, allo sportello unico per le attività produttive (Suap). Quest'ultimo diventa l'unico soggetto pubblico di riferimento sul territorio per tutti i procedimenti che abbiano per oggetto l'esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi: avvio, trasformazione, ristrutturazione, riconversione, ampliamento, trasferimento, nonché cessazione e riattivazione delle attività. Restano esclusi dalla disciplina gli impianti e le infrastrutture energetiche, soggette a normativa speciale.
Il Suap comunicherà con i cittadini, ma anche con le altre p.a. interessate, esclusivamente in via telematica, mentre il portale «impresainungiorno» fornirà i servizi informativi e operativi allo sportello unico, oltre a contenere un sistema di pagamento per i diritti, le imposte e gli oneri relativi ai procedimenti gestiti dai Suap.

È quanto prevede un dpr che sarà oggi all'attenzione del consiglio dei ministri, presieduto dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi, recante il regolamento per la semplificazione e il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive.
Il provvedimento dà attuazione all'articolo 38, comma 3 del dl n. 112/2008, allineandosi anche al dettato della «direttiva servizi», recepita mediante il dlgs n. 59/2010.
Il Suap, istituito presso i municipi, dovrà assicurare in maniera omogenea su tutto il territorio una risposta telematica unica e tempestiva agli operatori che esercitano attività produttive o prestazioni di servizi, sostituendosi quindi agli uffici comunali e a tutte gli enti pubblici comunque coinvolti nell'iter amministrativo (inclusi quelli preposti alla tutela ambientale, paesaggistica, culturale e di tutela della salute). Tali enti, dispone peraltro lo schema di dpr, dovranno astenersi dal trasmettere alcun documento al richiedente. Ogni ente locale dovrà individuare il responsabile del Suap; nelle more, il ruolo è ricoperto dal segretario comunale. I municipi potranno esercitare dette funzioni in forma singola o associata tra loro, nonché in convenzione con le Cciaa.
Laddove entro 180 giorni dall'entrata in vigore delle norme i comuni non abbiano provveduto a costituire lo Sportello unico, oppure non ne siano in grado per motivi tecnici, l'esercizio delle funzioni relative alla gestione del Suap saranno delegate alla camera di commercio territorialmente competente.
Previste ulteriori norme, inoltre, per accelerare la fase di avvio di un'impresa. Tra queste, la possibilità di presentare contestualmente la Dia e la comunicazione unica presso il registro delle imprese, che provvederà a inoltrare al Suap la documentazione.
Il provvedimento oggi sul tavolo del governo prevede poi che la ricevuta telematica rilasciata dal Suap a seguito di presentazione della Dia rappresenti il termine di avvio del procedimento e consenta anche l'avvio immediato dell'attività nei casi in cui la Dia si riferisca alle attività di cui al dlgs n. 59/2010 (sono esclusi, per esempio, ristoranti, bar, taxi, nonché i servizi finanziari e assicurativi) (articolo ItaliaOggi del 10.06.2010, pag. 21).

APPALTI: Modifiche al Codice in tema di comunicazione introdotte dal dlgs che recepisce la 2° direttiva ricorsi Ue. Appalti, certezza impugnazioni. Dall’aggiudicazione sale a 35 giorni il termine per il contratto.
Il decreto legislativo 20.03.2010 n. 53 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 84 del 12.04.2010 (in vigore dal 27.04.2010) realizza il definitivo recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva ricorsi n. 2007/66/CE dell’11.12.2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, la cosiddetta seconda direttiva ricorsi.
Il decreto legislativo di recepimento introduce numerose modifiche, sia nel campo sostanziale che processuale, al codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006) ... (articolo ItaliaOggi del 09.06.2010, pag. 38).

PUBBLICO IMPIEGO: Permessi anche senza convivenza. Sentenza innovativa della Cassazione sulla fruizione dei tre giorni per l'assistenza. L'importante è che l'aiuto al parente disabile sia continuativo.
Per avere diritto ai tre giorni previsti dalla legge 104/92 per l'assistenza ai disabili è necessario che l'assistenza sia in atto e sia continuativa ed esclusiva. Mentre non è più necessario il requisito della convivenza con il disabile.

È questo il principio affermato dalla sezione lavoro della Corte di cassazione, con una sentenza depositata il 22.04.2010 (9557).
Il provvedimento, di cui si è avuta notizia solo in questi giorni, proietta altra luce sulla questione dei permessi per i disabili, sgombrando il campo dagli equivoci. I giudici hanno ricostruito l'iter formativo della normativa ricordando che, fino al 2000, per ottenere i permessi era necessario che l'interessato convivesse con il disabile assistito.
Dal 2000, invece, tale requisito è stato espunto per effetto dell'entrata in vigore della legge 53/2000, a sua volta conforme a una precedente sentenza della Corte costituzionale, che aveva indicato la strada al legislatore (n. 335/1986).
La Suprema corte ha ricordato che la Consulta aveva affermato che «non è immaginabile che l'assistenza al disabile si fondi esclusivamente su quella familiare, sì che il legislatore ha, con la legge quadro n. 104, ragionevolmente previsto, quale misura aggiuntiva, la salvaguardia dell'assistenza in atto, accettata dal disabile, al fine di evitare rotture traumatiche, e dannose, della convivenza».
E tale passaggio è stato interpretato dal legislatore nel senso della non necessarietà del requisito della convivenza, fatta salva la necessità di tutelare l'attualità, la continuità e l'esclusività dell'assistenza.
Il caso riguardava un lavoratore che si era visto rifiutare i permessi previsti dall'articolo 33 della legge 104/1992 per assistere la propria madre portatrice di handicap, sebbene non residente nella stessa città.
Secondo il ricorrente per ottenere i permessi sarebbe stata sufficiente una qualche assistenza, sia pure non esaustiva, già in atto che aveva affermato di aver prestato con continuità, mediante un'assistenza telefonica e logistica convivendo, inoltre, per 45 giorni all'anno, ossia nel periodo di ferie e festività, con la madre handicappata.
Ma la Cassazione non ha condiviso tale tesi, affermando che ai fini della fruizione dei permessi di cui alla legge n. 104 del 1992, art. 33, comma 3, occorre che l'assistenza al parente o affine entro il 3 grado portatore di handicap, ancorché non convivente, sia in atto, continuativa ed esclusiva. E che non basta intrattenere contatti telefonici e convivere durante le feste e le ferie (articolo ItaliaOggi dell'08.06.2010, pag. 40).

PUBBLICO IMPIEGO: Dirigenti, aumenti da 103 euro
ENTI LOCALI/ nuovo ccnl. Via libera al contratto nazionale dei dirigenti delle regioni ed enti locali.

È stata infatti sottoscritta ieri presso l'Aran l'ipotesi del contratto nazionale di lavoro 2008-2009 (secondo biennio economico) che riguarda 9.935 dirigenti. In analogia con quanto definito per le altre aree dirigenziali, si legge in una nota, l'ipotesi assegna a questo personale un incremento economico pari al 3,2% che corrisponde sullo stipendio tabellare a 103 euro a regime.
Per quanto attiene al trattamento economico accessorio, coerentemente con le previsioni del decreto legislativo 150/2009 (Riforma Brunetta) una quota significativa delle risorse è finalizzata alla retribuzione di risultato, collegata al raggiungimento degli obiettivi connessi all'incarico dirigenziale.
Il commissario straordinario dell'Aran Antonio Naddeo ha espresso la sua soddisfazione per la chiusura del contratto: «Siamo giunti quasi alla fine della tornata contrattuale. Tutti i contratti che stiamo chiudendo rispettano le norme della manovra finanziaria e sono stati chiusi al 3,2%, anche grazie al grande senso di responsabilità delle organizzazioni sindacali» (articolo ItaliaOggi del 05.06.2010, pag. 26).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Dimissioni subito valide.
Assume carattere generale il principio previsto espressamente per i consiglieri. Per l'assessore efficaci dalla presentazione.
Da quando decorrono le dimissioni di un assessore?

Il Tuoel nulla dispone al riguardo. Si ritiene, tuttavia, consolidato nell'ordinamento il principio dell'immediata operatività e irretrattabilità delle dimissioni degli amministratori degli enti locali, a far tempo dall'abrogazione dell'istituto della presa d'atto, operata dalla legge di riforma delle autonomie locali n. 142/1990.
Tale principio espressamente sancito nell'art. 38, comma 8, del Tuoel n. 267/2000 per le dimissioni dei consiglieri, assume carattere generale e non viene messo in discussione dalla speciale disciplina prevista per quelle del sindaco, la cui revocabilità è giustificata dal rilievo della gravità delle conseguenze connesse alla loro presentazione.
Si ritiene, pertanto, che le dimissioni dell'assessore, siano da considerarsi irrevocabili sin dalla data della loro presentazione (articolo ItaliaOggi del 04.06.2010, pag. 36).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ L'INDENNITÀ SPETTANTE AL SINDACO.
Un sindaco, dipendente di un istituto di credito, che ha ottenuto dal proprio datore di lavoro la concessione di un congedo straordinario retribuito ai sensi dell'art. 42 comma 5 del decreto legislativo 26.03.2001, n. 151, ha diritto all'indennità spettante al primo cittadino per l'intero?

Al riguardo, come osservato dalla dottrina (Vandelli - Commenti al T.u. sull'ordinamento delle autonomie locali, Maggioli editore p. 575) si rileva che il legislatore del 2000 ha inteso introdurre, nell'ambito degli enti locali il concetto di attività politica come attività professionale e, per far sì che gli stessi amministratori possano meglio adempiere al proprio mandato elettivo, ha previsto agli artt. 81 e ss. del citato Tuoel un sistema indennitario in base al quale gli amministratori che sono al contempo lavoratori dipendenti possono essere collocati, a richiesta, in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato.
Al sindaco collocato in aspettativa compete un'indennità di funzione nei limiti fissati da apposito decreto ministeriale mentre tale indennità è dimezzata per i lavoratori dipendenti che non hanno richiesto tale aspettativa. Da tale assetto ne deriva che possono percepire l'indennità di mandato piena solamente quegli amministratori che, ai sensi dell'art. 81 del decreto legislativo n. 267/2000, sono collocati in aspettativa per mandato elettivo.
Il primo cittadino del comune che ha posto il quesito è dipendente di un istituto di credito e, in costanza di rapporto di lavoro, ha chiesto, ai sensi del citato articolo 42 comma 5 del dlgs n. 151/2001, di poter usufruire di un periodo di congedo dal lavoro per assistere il proprio familiare.
Si osserva al riguardo che il presupposto necessario per poter usufruire del periodo di congedo previsto dalla normativa a tutela e sostegno della maternità e della paternità, per il quale peraltro il legislatore ha previsto un trattamento economico di favore per tutto il periodo di congedo, equivalente all'ultimo stipendio percepito, è proprio la circostanza che al momento della richiesta il lavoratore si trovi in costanza di rapporto di lavoro.
Diversamente, come già messo in rilievo, il menzionato art. 82 Tuoel dispone che l'amministratore locale ha diritto a percepire l'indennità piena nel solo caso si sia posto in aspettativa dal lavoro.
Ciò posto e indipendentemente dalla diversa «ratio» che sottende i due diversi impianti normativi, risulta essere di tutta evidenza che il citato amministratore non possa percepire l'indennità piena prevista per lo svolgimento del mandato elettorale, in quanto non si trova nelle condizioni richieste dal più volte citato art 81 Tuoel per percepire la menzionata indennità nella misura piena (articolo ItaliaOggi del 04.06.2010, pag. 36).

INCARICHI PROFESSIONALI: Studi e consulenze col bilancino.
MANOVRA CORRETTIVA/ Comuni e province dovranno rimettere mano alla programmazione. Spesa per gli incarichi di collaborazione tagliata dell'80%.

La stretta sulle consulenze e gli incarichi di collaborazione esterna vale anche per gli enti locali, chiamati, dal 2011, a ridurre la spesa complessiva destinata a tale scopo al 20% di quella sostenuta nel 2009.
Gli enti locali sono compresi nell'elenco delle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 196/2009, richiamato dalle norme sul contenimento della spesa contenute nel dl n. 78/2010, essendo contemplati nella ricognizione effettuata dall'Istat e pubblicata sulla G.U. n. 176 del 31.07.2009.
Dunque, a decorrere dall'anno 2011 comuni e province dovranno ridurre dell'80% la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, anche conferiti a pubblici dipendenti rispetto a quella sostenuta nell'anno 2009.
Ciò non solo all'evidente scopo di conseguire risparmi di spesa, ma anche al fine, esplicitato dalla manovra, «di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni».
L'articolo 6, comma 7, del dl n. 78/2010 estendendo la sua portata anche agli enti locali, modifica implicitamente la disciplina degli incarichi di collaborazione contenuta nell'articolo 3, commi 18 e da 54 a 57, della legge 244/2007.
Tali disposizioni hanno sin qui assegnato a ciascun ente locale la possibilità di fissare col regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, in conformità a quanto stabilito dall'articolo 7, commi 6 e seguenti del dlgs n. 165/2001, limiti, criteri e modalità per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, da applicare a tutte le tipologie di prestazioni. Inoltre, il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione, ai sensi del comma 56 del citato articolo 3, può essere fissato col bilancio ... (articolo ItaliaOggi del 04.06.2010, pag. 34 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Consulenze legali nella p.a. a dieta.
MANOVRA CORRETTIVA/ Tutte le misure del decreto legge che riguardano di riflesso gli avvocati. Dal 2011 ridotto al minimo il ricorso a professionalità esterne.
Ridotte ai minimi termini le consulenze per le pubbliche amministrazioni. Dal 2011 gli enti pubblici potranno spendere per consulenze solo il 20% della cifra spesa nel 2009. Anche le spese per la consulenza legale rientrano nei provvedimenti taglia-spese della manovra Tremonti (decreto legge 31.05.2010 n. 78).

L'articolo 6 del decreto, che introduce misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31.05.2010), prevede, infatti, che, al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni, a decorrere dall'anno 2011, la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni incluse le autorità indipendenti, escluse le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati, non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009 ... (articolo ItaliaOggi del 03.06.2010, pag. 35 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO Dirigenti locali, contratto ridotto.
MANOVRA CORRETTIVA/ L'accordo è incompatibile col dl 78/2010. Aumenti per 194 euro. Niente incrementi decentrati per rispettare il tetto del 3,2%.

La cifra che le casse dello stato risparmieranno dal congelamento per tre anni (2011-2013) degli stipendi pubblici per il momento non si conosce. E, come ammesso dal governo nella relazione tecnica alla manovra, si saprà solo a consuntivo. Ma intanto l'austerity sulle retribuzioni del pubblico impiego sta per mietere la prima vittima illustre: il contratto dei dirigenti degli enti locali (Area II) per il biennio economico 2008-2009 che potrebbe essere chiuso già venerdì prossimo. Ma sul cui cammino pesano come un macigno le nuove norme in materia di contenimento della spesa pubblica.
Il nuovo Ccnl dei circa 14 mila manager di regioni ed enti locali è, infatti, il primo accordo a presentare seri problemi di compatibilità con i principi contenuti nel dl 78/2010. Che, oltre a bloccare le buste paga a livello del 2010 per tre anni a partire dall'anno prossimo, impedisce ai rinnovi contrattuali per il 2008-2009 (anche a quelli già sottoscritti) di corrispondere aumenti superiori al 3,2 per cento.
Una soglia che le nuove buste paga dei dirigenti locali potrebbero superare se, ai 194,52 euro di aumento mensile previsto dal nuovo Ccnl, si dovessero sommare anche gli incrementi eventualmente previsti a livello locale dagli enti virtuosi (in regola con il patto di stabilità nel triennio precedente, con una bassa incidenza della spesa per il personale sul totale delle entrate e con pochi dirigenti in rapporto al numero dei dipendenti).
Si tratta di una possibilità meramente teorica, non un obbligo, ma sufficiente a convincere l'Aran a non siglare il contratto. Per questo le organizzazioni sindacali che venerdì si incontreranno per la firma si troveranno davanti a un bivio: rimandare l'accordo sul Ccnl o chiudere subito la partita, stralciando però la norma sulle risorse extra che fa a pugni con il tetto imposto dalla manovra correttiva.
A quel punto ai dirigenti locali resterebbe solo l'incremento di 194,52 euro al mese. Così composto: 103,3 euro sul tabellare, 27 euro sul salario di posizione fissa e 64,22 euro sul salario di risultato. Incrementi che sarebbero perfettamente in linea con il tetto del 3,2%.
Quale che sia la sorte dei manager locali, il varo della manovra correttiva ha determinato una vera e propria corsa al rinnovo dei contratti in sospeso. Dopo la firma nei giorni scorsi dei Ccnl dei dipendenti di palazzo Chigi e dei dirigenti del Cnel, da ieri anche i dirigenti della presidenza del consiglio hanno di che festeggiare per la chiusura del contratto nazionale relativo al quadriennio 2006-2009 e al biennio economico 2006-2007. In questo caso, gli aumenti saranno ancora più sostanziosi perché ad essi non si applica il tetto del 3,2% ma quello del 4,85% del monte salari medio.
E così i manager di palazzo Chigi si porteranno a casa 280,22 euro in più al mese se appartengono alla seconda fascia dirigenziale e addirittura 676,01 euro se sono dirigenti di prima fascia. Il tutto a decorrere dal 1° gennaio 2007 ad eccezione della quota di aumento rappresentata dalla retribuzione di risultato (rispettivamente 99,15 e 376,66 euro) che decorre dal 31 dicembre 2007.
«È un risultato importante», commenta Daniela Volpato, segretario nazionale Cisl Fp, «che porta miglioramenti significativi, che saranno completati con il secondo biennio contrattuale 2008-2009 per il quale a breve inizieremo le trattative. La firma di ieri», conclude Volpato, «rappresenta un'altra tappa importante del percorso di definizione dei rinnovi contrattuali 2006-2009 che con il secondo biennio di questo contratto e quello dell'Area II della dirigenza delle autonomie locali volge alla conclusione».
Intanto, in una nota diffusa ieri la Confsal, la quarta confederazione sindacale italiana, ha ribadito il giudizio critico sulla manovra, giudicata «iniqua e penalizzante per i lavoratori pubblici e i pensionandi».
La confederazione autonoma, pur riconoscendo che il testo ufficiale del decreto legge «riporta qualche lieve miglioramento riguardo allo slittamento temporale del congelamento delle retribuzioni e alla modulazione della rateizzazione delle liquidazioni dei dipendenti pubblici, conferma la sua valutazione complessivamente negativa in merito ai provvedimenti riguardanti pubblico impiego e pensioni».
Per la Confsal la manovra così com'è «non risolve le due grandi questioni italiane: l'eliminazione degli sprechi della politica e la riduzione dell'evasione fiscale e contributiva» (articolo ItaliaOggi del 02.06.2010, pag. 27).

CORTE DEI CONTI

PUBBLICO IMPIEGO: Le progressioni verticali abolite negli enti locali. La magistratura contabile della Lombardia cambia parere.
La Corte dei conti della Lombardia ci ripensa: le progressioni verticali sono abolite anche per gli enti locali. Ma vi possono essere «strascichi» per quelle programmate prima della vigenza del dlgs 150/2009.

Il parere 28.04.2010 n. 517 della Sez. regionale di controllo della Lombardia rivede l'avviso espresso col precedente parere 18.03.2010 n. 375, secondo il quale, al contrario, i concorsi interni per l'ascesa sarebbero stati ancora legittimi.
Sulla questione della vigenza o meno delle progressioni verticali, successivamente alla prima presa di posizione assunta dalla sezione della Lombardia si è espressa la sezione delle autonomie, che col parere 10/2010 in maniera tranciante aveva escluso la possibilità di una reviviscenza, una volta in vigore la riforma-Brunetta.
La nuova pronuncia della sezione della Lombardia cerca di mediare tra la posizione precedentemente assunta e le conclusioni cui è pervenuta la Sezione delle autonomie. Il parere evidenzia l'importanza delle norme del dlgs 150/2009, qualificandole come attuative dei principi costituzionali in tema di massima apertura al pubblico delle procedure selettive.
Secondo il nuovo parere, pur dovendosi al tempo stesso valorizzare l'autonomia riconosciuta costituzionalmente agli enti locali, si deve ritenere che l'entrata in vigore del testo novellato dell'articolo 52, comma 1-bis, del dlgs 165/2001 impone l'adeguamento contestuale dei regolamenti di organizzazione degli enti locali, poiché l'articolo 74 della riforma Brunetta considera la disciplina dell'obbligatorietà del concorso pubblico con riserva di posti fino al 50% di quelli messi a bando come norma di diretta attuazione della Costituzione.
Gli enti locali, prosegue il parere, sono tenuti ad adeguare i propri regolamenti a decorrere dal 1° gennaio 2010 e tale adeguamento non può che essere integralmente conforme alle nuove norme di legge che regolano l'istituto delle progressioni di carriera.
Il parere lascia, tuttavia, aperte le porte a progressioni verticali anche nel 2010. Infatti, secondo la ricostruzione della sezione Lombardia, mancando un regime transitorio chiaramente definito dalla novella legislativa, possono concludersi legittimamente nel 2010 le progressioni verticali già formalmente autorizzate in sede di programmazione del fabbisogno di personale, secondo le modalità definite nei regolamenti ancora vigenti. Unica cautela: le progressioni verticali non possono essere avviate quando abbiano effetto oltre il 31.12.2010.
Questi ultimi due aspetti contrastano con le conclusioni cui è pervenuta la Sezione autonomie, secondo la quale a partire dalla data di entrata in vigore del dlgs 150/2009, i regolamenti di organizzazione degli enti locali che disciplinassero le progressioni verticali, si sono posti in immediato e diretto contrasto sia con la riforma, sia con la Costituzione. Lo stesso è avvenuto per i contratti collettivi e l'articolo 91, comma 3, del dlgs 267/2000.
Dunque, gli enti locali non possono riferirsi ad alcuna «norma vigente» nelle more dell'adeguamento dei loro ordinamenti alla riforma, che possa consentire loro una legittima conduzione di progressioni verticali nel 2010, anche se precedentemente programmata.
Pare, allora, necessario prendere atto non solo che le progressioni verticali sono state eliminate dalla riforma, ma che non vi sia alcuno spazio per l'espletamento legittimo di selezioni interamente riservate nel 2010, perché l'articolo 52 novellato del dlgs 165/2001 determina l'immediata abrogazione di ogni fonte incompatibile col principio di assunzione esclusivamente per concorso pubblico, compresi i regolamenti e più ancora gli atti di programmazione triennale delle assunzioni (articolo ItaliaOggi del 05.06.2010, pag. 26).

ENTI LOCALI: Richiesta di parere inoltrata dal Sindaco del Comune di Castel San Lorenzo (Sa) in merito alla restituzione agli utenti dei canoni di depurazione versati a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 335 dell'08.10.2008 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania, parere 01.04.2010 n. 25).

GIURISPRUDENZA

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Ordinanza ripristinatoria - Artt. 14 d.lgs. n. 22/97 - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Competenza - Sindaco - Deroga al disposto di cui all’art. 107 d.lgs. n. 267/2000.
L’art. 14 D.lgs 22/1997 -attualmente riprodotto senza modifiche nell’art. 192 Codice dell’Ambiente- affida il compito di emanare tali ordinanza ripristinatorie al Sindaco ,e trattandosi di norma speciale rispetto all’art. 107 D.lgs. 267/2000, deroga alla ordinaria competenza dei funzionari per i provvedimenti di ordinaria amministrazione.
L'art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 poi è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 (cfr. Consiglio di Stato, Sez.V, 25.08.2008, n. 4061) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 09.06.2010 n. 1764 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Art. 34 d.lgs. n. 163/2006 - Società semplici - Partecipazione alle gare di appalti pubblici - Preclusione - Contrasto con il diritto comunitario - Esclusione - Ragioni.
L’art. 10, l. n. 109/1994 e l’art. 34, lett. a), d.lgs. n. 163/2006, laddove non consentono alle società semplici la partecipazione alle gare di appalti pubblici, non contrastano con il diritto comunitario dei pubblici appalti che, pur affermando il principio di libertà di forma del concorrente, tuttavia non impedisce agli Stati membri di regolare la capacità giuridica dei soggetti diversi dalle persone fisiche, e di vietare a determinate categorie di persone giuridiche di offrire lavori, beni o servizi sul mercato.
Invero, la regola contenuta nel c.c. secondo cui la società semplice non può svolgere attività commerciale, è coerente con l’art. 4, par. 1, direttiva 2004/18/CE che lascia agli Stati membri la possibilità di autorizzare o meno determinate categorie di soggetti a offrire prestazioni sul mercato e, in definitiva, di riconoscere o meno a determinati soggetti la relativa capacità giuridica (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 08.06.2010 n. 3638 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di una società semplice da una gara d'appalto.
E' legittimo il provvedimento di esclusione adottato nei confronti di un'impresa concorrente che rivesta la forma giuridica di società semplice, adottato ai sensi dell'art. 10, L. n. 109/1994, nonché dell'art. 34, lett. a) del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti), ciò in quanto le predette disposizioni normative non contrastano con i principi comunitari di libera concorrenza e massima partecipazione, i quali consentono comunque, ai Paesi membri dell'Unione, di valutare l'opportunità di affidare la realizzazione di lavori e servizi a determinate categorie di imprese; d'altro canto, la disposizione di cui all'art. 2249 c.c., che esclude la possibilità, per le società semplici, di svolgere un'attività commerciale, appare ragionevole e non discriminatoria, in virtù del peculiare regime di responsabilità della società semplice verso i terzi, rispetto a quello che connota , viceversa, le altre categorie sociali.
Peraltro la regola contenuta nel c.c. è coerente con l'art. 4, par. 1, direttiva 2004/18/CE che lascia agli Stati membri la possibilità di riconoscere o meno a determinati soggetti la relativa capacità giuridica (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 08.06.2010 n. 3638 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Siti inquinati - Competenza provinciale - Esclusività - Nei soli procedimenti ordinari -Potere di ordinanza contingibile e urgente - Sussistenza - Applicabilità della disciplina generale ex art. 50, c. 5, d.lgs. n. 267/2000 - Presupposti - Artt. 244 e 191 d.lgs. n. 152/2006.
La competenza della Provincia in materia di superamento dei valori di concentrazione soglia in ordine al livello di contaminazione di un sito (art. 244 d.lgs. n. 152/2006) può essere considerata come esclusiva soltanto in relazione ai procedimenti ordinari, visto che la norma attributiva del potere non fa uno specifico riferimento alle situazioni in cui si ravvisi l’indifferibilità e l’urgenza di provvedere (per una fattispecie opposta, ossia in cui è prevista esplicitamente l’emanazione di ordinanze contingibili e urgenti, si veda l’art. 191 del D.Lgs. n. 152 del 2006).
Di conseguenza, pur a fronte di una normativa speciale che si occupa, di regola, dell’attività amministrativa in ordine ai siti inquinati, si deve ritenere applicabile la normativa generale, espressione di un potere atipico e residuale, in materia di ordinanze contingibili e urgenti previste dall’art. 50, comma 5, del D.Lgs. n. 267 del 2000 (T.U.E.L.), allorquando se ne configurino i relativi presupposti: sussistenza di una situazione di effettivo pericolo grave ed imminente per l’incolumità pubblica, non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva, debitamente motivata a seguito di approfondita istruttoria (cfr. Consiglio di Stato, V, 12.06.2009, n. 3765; II, parere 24.10.2007, n. 2210; TAR Lombardia, Milano, IV, 16.07.2009, n. 4379).
INQUINAMENTO - Siti inquinati - Ordinanza contingibile e urgente - Previa individuazione del soggetto responsabile - Necessità - Esclusione - Destinatario dell’ordine - Proprietario dell’area inquinata.
In tema di siti inquinati, l’astratta configurabilità del potere di ordinanza contingibile e urgente di cui all’art. 50, c. 5, del d.lgs. n. 267/2000 consente di prescindere dalla previa individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento, rendendo possibile indirizzare l’ordine di intervento direttamente al proprietario dell’area inquinata (Consiglio di Stato, V, 07.09.2007, n. 4718; TAR Lombardia, Milano, IV, 16.07.2009, n. 4379) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 08.06.2010 n. 1758 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla necessità per un consorzio di dimostrare di poter effettivamente disporre dei mezzi di altri soggetti necessari alla esecuzione di un appalto.
Secondo l'art. 47, secondo comma della direttiva 2004/18/CE, "un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto", fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a "prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. In tal caso deve dimostrare all'amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell'impegno a tal fine di questi soggetti": in definitiva, per potersi avvalere di mezzi di altri, occorre comprovarne l'effettiva disponibilità, spettando al "giudice nazionale valutare se tale prova sia fornita nella fattispecie di cui alla causa a qua" (cfr., sentenza 02.12.1999, in causa C-176/98, cit.).
Il detto indirizzo è stato condiviso dal Consiglio di Stato, che ha considerato a tal fine documento appropriato un atto unilaterale di impegno, irrevocabile e incondizionato, assunto da una società, con il quale il personale di essa, nella misura necessaria ad assicurare il rispetto del requisito, è stato messo a disposizione di altra società per l'esecuzione dei servizi oggetto della procedura di gara, pur nel concorso dell'identica composizione societaria, il che ha reso ulteriormente "palese la realizzazione di un unitario e comune centro di interessi tra le due società" (cfr., C.d.S., sez. V, 15.12.2005, n. 7134).
Detta prova ha fatto, peraltro, palesemente difetto nel caso di specie, non essendo stato documentato che i soggetti terzi rispetto alla gara, ma proprietari dei ridetti mezzi, si fossero formalmente obbligati a porli a disposizione del consorzio partecipante alla gara per l'arco temporale di esecuzione del servizio, a nulla rilevando che i detti proprietari avessero consegnato a quest'ultimo i rispettivi libretti di circolazione, consegna che, a tale scopo, non può assumere il valore di un impegno, sostanziale e formale, circa il loro utilizzo, pur in presenza di un generico "rapporto di gruppo" (cfr., in termini, C.d.S., sez. VI, 09.02.2010, n. 641 e TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 25.08.2006, n. 7515) (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 07.06.2010 n. 151 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vicolo archeologico - Divieto di edificazione di nuove costruzioni - Nozione di interventi di nuova costruzione - Differenziazione ontologica tra interventi di ampliamento e interventi di sopraelevazione - Esclusione.
Il divieto di edificazione di nuove costruzioni -nella specie, a tutela di beni archeologici- deve necessariamente essere inteso alla luce del pertinente quadro normativo, il quale ascrive alla nozione di ‘interventi di nuova costruzione’ (inter alia) l’ampliamento degli immobili esistenti all’esterno della sagoma esistente (art. 3, co. 1, lett. e.1), d.P.R. 06.06.2001, n. 380), non consentendo -sotto tale aspetto- alcuna ontologica differenziazione in relazione agli interventi i quali comportino unicamente una sopraelevazione di immobili già realizzati (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.06.2010 n. 3556 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla necessità di rendere la dichiarazione relativa all'assenza di sentenze penali anche non definitive, nel caso in cui ciò sia richiesto dal bando di gara a pena di esclusione.
In materia di appalti pubblici vige l'obbligo, in capo al legale rappresentante di un'impresa concorrente, di presentare la dichiarazione relativa all'assenza di sentenze, ancorché non definitive, relative ai reati che precludano la partecipazione alle gare, e ciò nell'ipotesi in cui detta prescrizione sia imposta, come nel caso di specie, dal bando di gara, in quanto, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, le valutazioni effettuate dalle commissioni in sede di giudizio sono strettamente vincolate al rispetto delle clausole del bando stabilite espressamente a pena di esclusione, dal momenti che, in tali ipotesi, la rigida applicazione della lex specialis garantisce la parità di trattamento tra tutti i partecipanti, al fine di scongiurare eventuali atteggiamenti arbitrari da parte delle commissioni stesse (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 03.06.2010 n. 1352 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Demolizione disposta dal Sindaco di immobile vincolato - Tutela della pubblica incolumità - Condotta del Sindaco - Adempimento di un dovere - Assenza di antigiuridicità - Sanzione ripristinatoria - Illegittimità.
La possibilità di qualificare l’intervento di demolizione di un immobile vincolante, disposto dal Sindaco, come adempimento di un dovere (nella specie, tutela dell’incolumità pubblica dal pericolo di crollo), fa venir meno la illiceità della condotta, in quanto manca l’antigiuridicità del fatto: ciò rende illegittima la sanzione ripristinatoria imposta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Ufficio Centrale per i Beni Archeologici, Artistici e Storici (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 01.06.2010 n. 1734 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Sul riscatto esercitato da un comune della proprietà degli impianti di illuminazione pubblica.
Il comune che esercita il riscatto della proprietà degli impianti di illuminazione deve subentrare nei contratti in essere, quantomeno fino all'indizione di una nuova gara per l'affidamento del servizio.

E' legittimo il provvedimento con il quale il comune ha legittimamente ordinato il rilascio degli impianti di illuminazione pubblica insistenti sul territorio comunale, esso si qualifica, infatti, come mezzo di autotutela, adottato ai sensi dell'823 del cod. civ., in ragione della scelta operata di riscattare i suddetti impianti.
Secondo la giurisprudenza, infatti, "l'assoggettabilità degli impianti di distribuzione del gas al regime di autotutela previsto dall'art. 823 c.c. è confermato dall'art. 826, c. 3, secondo cui fanno parte del patrimonio indisponibile...gli altri beni destinati a un pubblico servizio".
Dato tale principio, e considerato che anche l'impianto di illuminazione pubblica è senz'altro riconducibile alla categoria dei beni destinati a un pubblico servizio, anche in relazione a quest'ultimo risulta pertanto possibile il ricorso allo speciale potere di autotutela, che, per giurisprudenza costante, non può essere limitato alla tutela dei beni appartenenti al demanio, ma deve essere esteso anche a quelli patrimoniali indisponibili. Ne consegue che, per gli impianti di illuminazione pubblica può essere fatto ricorso al potere di autotutela di cui agli art. 823 del cod. civ.
Tra il riscatto degli impianti e successivo affidamento del servizio mediante gara, non può non frapporsi un periodo di "raccordo", nel quale il Comune deve garantirsi gli strumenti per poter assicurare che non intervenga alcuna interruzione nell'erogazione del servizio, a tutela da un lato dei terzi e dall'altro della continuità del servizio. Ed è proprio questa ragione a giustificare il subentro, nelle more dell'espletamento della gara, nei contratti già in essere con il gestore uscente per il mantenimento del funzionamento della rete (cfr. le sentenze n. 2162 e n. 2166 del medesimo Tar) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 27.05.2010 n. 2165 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa pubblicazione all'albo pretorio del comune è prescritta dall'art. 124 t.u.e.l. per tutte le deliberazioni del comune e della provincia, ed essa riguarda non solo le deliberazioni degli organi di governo (consiglio e giunta municipali), ma anche le determinazioni dirigenziali, esprimendo la parola "deliberazione" “ab antiquo” sia risoluzioni adottate da organi collegiali che da organi monocratici.
L’art 124 del t.u.e.l. approvato con d.lgs. 267/2000 soddisfa il requisito della previsione normativa della forma di pubblicità utile per la decorrenza del termine decadenziale di cui al primo comma dell’art. 21 l. 1034/1971 -come modificato dalla l. 205/2000- per tutti gli atti di cui non sia richiesta la notifica individuale.
Infatti, la pubblicazione all'albo pretorio del comune è prescritta dall'art. 124 t.u.e.l. per tutte le deliberazioni del comune e della provincia, ed essa riguarda non solo le deliberazioni degli organi di governo (consiglio e giunta municipali), ma anche le determinazioni dirigenziali, esprimendo la parola "deliberazione" “ab antiquo” sia risoluzioni adottate da organi collegiali che da organi monocratici, essendo l'intento legislativo quello di rendere pubblici tutti gli atti degli enti locali di esercizio del potere deliberativo indipendentemente dalla natura collegiale o meno dell'organo emanante (Consiglio Stato, sez. V, 15.03.2006, n. 1370) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 27.05.2010 n. 2095 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere in parziale difformità.
L’articolo 34 del D.P.R. n. 380 del 2001, già articolo 12 della legge n. 47 del 1985, si riferisce alle sole opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.05.2010 n. 19538 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI SERVIZI: In house providing, pulizie escluse. Il Tar della Puglia ha bocciato l'iniziativa di una Asl che aveva costituito un'apposita società. Affidamento ammesso solo per servizi di interesse generale.
Il servizio di pulizia degli uffici e dei presidi ospedalieri non può essere considerato un servizio strettamente necessario al perseguimento delle finalità istituzionali di un'azienda sanitaria locale.
Con la sentenza 17.05.2010 n. 1898 il TAR Puglia-Bari, Sez. I, ha bocciato, ai sensi dell'art. 3, comma 27, della Finanziaria 2008 (legge 24/12/2007 n. 244), il modello dell'«in house providing» per l'affidamento di tale tipologia di servizio.
Oggetto della pronuncia del Tar per la Puglia è l'affidamento in house posto in essere dall'Azienda sanitaria locale di (_) dei servizi di pulizia, ausiliariato e portierato alla società unipersonale (_), costituita e interamente controllata dall'ente affidante, a seguito del ricorso presentato da un operatore privato, appaltatore proprio del servizio di pulizia presso la stessa azienda sanitaria precedentemente all'affidamento in questione.
L'Azienda sanitaria, infatti, con più provvedimenti, tutti oggetto di impugnazione da parte della società ricorrente, aveva proceduto nel 2008 alla costituzione della società in regime di in house providing e sempre nel corso dello stesso anno ne aveva anche modificato lo statuto proprio per adeguarlo ai diversi principi sul tema degli affidamenti in house affermarti dalla giurisprudenza comunitaria e amministrativa e a quelli contenuti nell'articolo 23-bis del dl 25/06/2008 n. 112.
Inizialmente l'affidamento aveva avuto a oggetto soltanto le prestazioni strumentali al servizio di emergenza quali le attività di trasporto e soccorso; successivamente l'azienda aveva deciso di avvalersi della società neocostituita per l'espletamento delle «prestazioni di ausiliariato» comprendenti anche il servizio di pulizia degli uffici dell'azienda e dei presidi sanitari di sua pertinenza.
Tale forma di affidamento avrebbe riguardato, in via sperimentale e limitatamente all'anno 2009, il servizio di «messa a disposizione del personale» consistente nella fornitura da parte della società, dietro rimborso delle retribuzioni e di tutti gli altri oneri contributivi e assicurativi, di propri dipendenti da impiegare nel servizio di pulizia che, tuttavia, sarebbe stato espletato sotto la direzione e il controllo dell'Azienda sanitaria e con materiali e attrezzature della stessa.
La modalità organizzativa prescelta, dopo il verificarsi di alcuni disguidi proprio nella gestione del servizio, era stata oggetto, sempre nel corso del 2009, di un nuovo intervento da parte dell'amministrazione che, con un ulteriore provvedimento, ne aveva modificato il contenuto prevedendo che la società in house non avrebbe più svolto il solo servizio di «messa a disposizione del personale» ma assunto, invece, in via diretta un'«obbligazione di risultato assicurando personale, organizzazione, attrezzature e materiali» necessari per la gestione del servizio e stabilendone in misura fissa la relativa remunerazione; in altre parole, come evidenziato nel testo della sentenza, l'azienda sanitaria aveva, a tutti gli effetti, proceduto ad affidare senza gara il servizio di pulizia alla società interamente controllata.
Alla base della pronuncia del Tribunale amministrativo vi è, quindi, la valutazione di legittimità di tale affidamento in house messo in atto dall'azienda sanitaria alla luce dei limiti alla costituzione di società e al possesso di partecipazioni societarie introdotti per le amministrazioni pubbliche dall'art. 3, comma 27, della legge n. 244/2007.
La norma in questione prevede, infatti, che, al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni pubbliche «non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società»; è, invece, ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza e l'assunzione di partecipazioni in tali società.
In considerazione della predetta norma il Tribunale sottolinea come le «uniche tipologie di società partecipate di cui il legislatore espressamente consente la costituzione e il mantenimento sono, dunque, le società che svolgono attività strettamente necessarie (o addirittura «imprescindibili», secondo l'espressione della Corte costituzionale) alle finalità istituzionali degli enti e le società che producono servizi di interesse generale»; considerando, dunque, il ricorso allo strumento societario da parte delle amministrazioni pubbliche connaturato allo svolgimento di attività necessarie al perseguimento delle finalità istituzionali o di servizi di interesse generale, per il Tribunale amministrativo «la possibilità di costituire o mantenere una partecipazione societaria deve dunque essere verificata in relazione alle finalità che l'ente pubblico intenda con essa realizzare, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali».
Nel caso di specie, a giudizio del Tar, il servizio di pulizia degli uffici e dei presidi ospedalieri non può di certo annoverarsi tra i servizi strettamente necessari al perseguimento delle finalità istituzionali dell'azienda sanitaria locale; «la pulizia quotidiana dei locali è infatti strumentale al buon andamento di qualsivoglia ente o ufficio pubblico, nell'interesse di coloro che ivi lavorano e degli utenti che vi si recano, ai quali viene garantito il mantenimento di un ambiente salubre».
I servizi di pulizia sono, dunque, come rilevato nel testo della sentenza, da considerarsi «intrinsecamente comuni e generici, sono strumentali all'esercizio di qualunque attività pubblica o privata, sono erogabili da qualsiasi soggetto e a favore di chiunque. Il loro affidamento costituisce un appalto di servizi ed è soggetto alle regole dettate dal Codice dei contratti pubblici e dalle direttive comunitarie in materia di appalti, improntate alla tutela della concorrenza e alla massima apertura dei mercati».
Dall'art. 3, comma 27, della legge n. 144/2007 discende, quindi, il divieto per le amministrazioni pubbliche di costituire società per l'espletamento del servizio di pulizie nei propri immobili e uffici e la conseguente illegittimità della costituzione della società in house per i servizi di pulizia da parte dell'azienda sanitaria locale (articolo ItaliaOggi del 04.06.2010, pag. 37).

EDILIZIA PRIVATA: In generale il potere di autotutela, esercitabile con riferimento ad una d.i.a. anche quando sia ormai decorso il termine di decadenza per l'esercizio dei poteri inibitori… deve essere opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa.
L’art. 19 l. 241/1990, nel prevedere in termini generali l’istituto della denunzia di inizio attività, afferma com’è noto che “l'attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all'amministrazione competente” e che la stessa “in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, o, nei casi di cui all’ultimo periodo del medesimo comma 2, nel termine di trenta giorni dalla data della presentazione della dichiarazione, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti”, salva la possibilità, decorso il termine suddetto, di agire in autotutela.
In proposito, è ben noto al Collegio l’orientamento, espresso per tutte da C.d.S. sez. IV 25.11.2008 n. 5811, e invocato dalla ricorrente, per cui in generale “il potere di autotutela, esercitabile con riferimento ad una d.i.a. anche quando sia ormai decorso il termine di decadenza per l'esercizio dei poteri inibitori… deve essere opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa”.
Tale orientamento, però, presuppone secondo logica che l’attività sulla quale si va ad intervenire sia effettivamente quella oggetto della d.i.a., ritenuta illegittima, appunto, per mancanza di un qualche presupposto; viceversa, nessun affidamento potrebbe sussistere allorquando si intervenga su una attività diversa e difforme da quella oggetto della d.i.a. stessa, che in nessun modo si potrebbe ritenere legittimata da essa (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 14.05.2010 n. 1767 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUn intervento che crea superficie utile non può essere annoverato tra quelli di manutenzione straordinaria in quanto, com’è noto, “la manutenzione straordinaria non può comportare aumento di unità immobiliari, aumento di superfici utili, modifiche della sagoma o mutamenti di destinazione d’uso”.
Nel caso di realizzazione di uno spianamento con modifica della pavimentazione del terreno da vegetale ad inerte, il giudice amministrativo ha ritenuto non qualificabile l’intervento come di manutenzione straordinaria in quanto “gli interventi di manutenzione straordinaria postulano la preesistenza di un organismo edilizio già ultimato ed operativo, di cui si intenda conservare o rinnovare la funzionalità, mentre esulano da tale nozione gli interventi eseguiti su di una nuda area e non collegati ad una costruzione pregressa.

Un intervento che crea superficie utile non può essere annoverato tra quelli di manutenzione straordinaria in quanto, com’è noto, “la manutenzione straordinaria non può comportare aumento di unità immobiliari, aumento di superfici utili, modifiche della sagoma o mutamenti di destinazione d’uso” (Cass. pen., sez. III, 26.01.2007, n. 2881). Infatti, come è stato ribadito di recente, “le opere edilizie finalizzate ad aumentare la superficie utile del manufatto e a modificarne la destinazione non possono essere qualificate come intervento di manutenzione straordinaria” (TAR Valle d’Aosta 11/2010).
In un caso, ancor più in termini, di realizzazione di uno spianamento con modifica della pavimentazione del terreno da vegetale ad inerte, il giudice amministrativo ha ritenuto non qualificabile l’intervento come di manutenzione straordinaria in quanto “gli interventi di manutenzione straordinaria postulano la preesistenza di un organismo edilizio già ultimato ed operativo, di cui si intenda conservare o rinnovare la funzionalità, mentre esulano da tale nozione gli interventi eseguiti su di una nuda area e non collegati ad una costruzione pregressa: correlativamente, la circostanza che l'area della società ricorrente sia stata cosparsa di materiale inerte, facendosi luogo, secondo la p.a., ad una modifica della pavimentazione del terreno (in precedenza, di tipo vegetale), ma senza interessare, neppure indirettamente, una struttura edilizia già in essere (nella specie, non si ravvisava, in particolare, una relazione di funzionalità con la baracca ivi localizzata), esclude la riconducibilità dell'intervento alla categoria della manutenzione straordinaria ex art. 3, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001” (TAR Parma 49/2009).
Né è possibile far rientrare l’intervento di realizzazione della piazzola nella categoria del restauro e risanamento conservativo perché quest’ultimo presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 14.05.2007, n. 3070).
Mentre, per definizione, non può parlarsi di ristrutturazione edilizia in quanto per definizione vi è ristrutturazione solo dove vi è qualcosa di preesistente (TAR Napoli, VII, 9323/2009: gli interventi di ristrutturazione edilizia sono rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente), mentre nel caso in esame l’intervento è stato realizzato ex novo (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 14.05.2010 n. 1734 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASe prima dello scadere dei 30 gg. dalla data di presentazione della DIA ovvero se prima dell'intervenuta efficacia della DIA presentata  il Comune adegua gli oo.uu. vigenti, la DIA presentata sconta l'intervenuto aumento degli stessi.
La questione centrale, sulla quale si fondano le ragioni della decisione, va individuata nel momento dal quale possono essere applicate le nuove tariffe degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, stabilite dalla delibera n. 73 del 21.12.2007 del Comune di Milano, in relazione alla presentazione da parte della società appellante, in data 21.12.2007 allo sportello unico per l’edilizia, di una dichiarazione di inizio di attività per l’esecuzione di opere di completamento di un immobile, di sua proprietà, sito in Via dei Missaglia 89.
La scansione temporale dei fatti può essere sinteticamente riassunta.
La delibera consiliare di approvazione delle nuove tariffe è stata adottata nella seduta del 21.12.2007 ed è divenuta esecutiva in data 08.01.2008. La DIA della società ricorrente è stata presentata, completa di tutti gli allegati e dei conteggi degli oneri, in data 21.12.2007, e quindi il suo iter formativo si è concluso allo scadere del termine di 30 giorni di cui al comma 1 dell’art. 23 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380 ossia dopo l’intervenuta efficacia della delibera comunale.
Di fronte a detta situazione, il Comune ha ritenuto di poter applicare le nuove tariffe a “tutte le denuncie di inizio attività che acquistano efficacia dopo l’entrata in vigore della citata deliberazione e quindi presentate dopo l’08.12.2007” e pertanto anche alla DIA presentata dalla società appellante. Al contrario, la Blue Milano s.r.l. ritiene che il calcolo degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione vada fatto in relazione alla situazione di diritto esistente al momento della presentazione della dichiarazione, in forza del combinato disposto degli artt. 42, 44 e 48 della Legge regionale Lombardia 11.03.2005 n. 12 “Legge per il governo del territorio”.
In merito a quest’ultima affermazione, la Sezione ritiene corretta la ricostruzione operata dal TAR che ha evidenziato l’irrilevanza delle disposizioni regionali.
Infatti, l’art. 42, commi 2 e 3, in tema di denuncia di inizio attività, stabilisce che “Nel caso in cui siano dovuti oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, il relativo calcolo è allegato alla denuncia di inizio attività e il pagamento è effettuato con le modalità previste dalla vigente normativa, fatta comunque salva la possibilità per il comune di richiedere le eventuali integrazioni. La quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione”.
Si tratta di una disposizione che riguarda le modalità di adempimento, e non il perfezionamento della denuncia di attività. Infatti, se la norma dovesse essere letta come attributiva di efficacia alla DIA in raccordo al suo momento di presentazione, si assisterebbe alla singolare circostanza che il pagamento sarebbe dovuto anche se, nel corso del termine di 30 giorni, l’amministrazione dovesse intervenire con l’ordine motivato di blocco dei lavori.
L’art. 44, comma 12, in materia di oneri di urbanizzazione, in merito agli interventi comportanti modificazioni delle destinazioni d'uso su edifici esistenti, prevede che “per quanto attiene all'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, il contributo dovuto è commisurato alla eventuale maggior somma determinata in relazione alla nuova destinazione rispetto a quella che sarebbe dovuta per la destinazione precedente e alla quota dovuta per le opere relative ad edifici esistenti, determinata con le modalità di cui ai commi 8 e 9”, e dispone al comma 13 che “L'ammontare dell'eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori stabiliti dal comune alla data del rilascio del permesso di costruire, ovvero di presentazione della denuncia di inizio attività.”
Si tratta di un caso molto particolare, non valido nella situazione in scrutinio, e che non appare irragionevole differenziare dal regime ordinario di DIA, atteso che il mutamento di destinazione d’uso è ex lege oggetto di disciplina regionale.
Infine, l’art. 48, comma 7, sul costo di costruzione, afferma che “La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, ovvero per effetto della presentazione della denuncia di inizio attività, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e comunque non oltre 60 giorni dalla data dichiarata di ultimazione dei lavori”.
Anche in relazione a tale ultima disposizione, valgono le considerazioni sopra espresse sulle conseguenze irragionevoli che deriverebbero dalla ricostruzione proposta dall’appellante.
Nessuna delle disposizioni indicate è quindi destinata ad incidere sulla vicenda in scrutinio, che deve quindi essere esaminata solo in rapporto alla disciplina generale, fondata sul testo unico dell’edilizia.
Proprio in ragione di tale evenienza, occorre evidenziare che, in disparte l’annosa questione sulla ricostruzione dell’istituto, in termini pubblicistici, come è l’orientamento di questa Sezione, o in termini privatistici, dove si fa risaltare l’azione del cittadino, il testo normativo (art. 23, comma 1, del testo unico sull’edilizia) permette la realizzazione delle opere solo allo spirare del termine di 30 giorni.
Poiché i contributi urbanistici sono collegati alla realizzazione delle opere, deve convenirsi con la ricostruzione del giudice di primo grado che vede un nesso tra l’intervenuta efficacia, data dalla possibilità effettiva di realizzare l’intervento, e l’applicazione della disciplina del calcolo dei costi, che non può che avvenire in quel momento, in rispetto di un’ordinaria logica di corrispettività.
Ciò comporta che fino al momento dell’attribuzione di efficacia, secondo ed ultimo momento della realizzazione della fattispecie precettiva, la vicenda non è ancora conclusa ed è quindi ancora possibile, ed anzi doveroso, dare risalto agli eventi esterni sopravvenuti, quale è il mutamento dei parametri di calcolo, come qui esaminato, ma come anche potrebbe essere il sopraggiungere di una nuova disciplina urbanistica.
Deve quindi ritenersi corretta l’interpretazione adottata dal Comune di Milano nell’atto principalmente gravato, del quale va quindi confermata la legittimità (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.05.2010 n. 2922 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia (ora permesso di costruire).
In considerazione delle caratteristiche del manufatto, del materiale utilizzato per la realizzazione, dell'ubicazione e del suo utilizzo, il Collegio ritiene di poter confermare quell'indirizzo giurisprudenziale (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 08.06.2005, n. 4655) secondo cui una tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia (ora permesso di costruire).
Alla medesima conclusione si può addivenire anche tenendo ferma la natura pertinenziale del manufatto, considerata l'idoneità di questo ad incidere sull'assetto edilizio preesistente (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. IV, 16.07.2002, n. 4107 e TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 08.07.2002, n. 1936).
Non può poi sottacersi (non condividendo sul punto l'opinione della ricorrente) che le descritte caratteristiche depongano per ritenere che si tratti di opere nuove che attuano una trasformazione permanente del territorio, ciò sia per il materiale utilizzato per la sua realizzazione (che non consente un'agevole rimovibilità) che per la sua localizzazione e per la funzione a cui risulta adibito (deposito automezzi ed attrezzi).
Ulteriore elemento che depone a favore della necessità del previo rilascio del permesso di costruire è possibile rinvenire nella definizione di “nuova costruzione” contenuta nell'art. 3 del DPR n. 380/2001, ribadita dall'art. 27 della L.R. n. 12/2005.
Ed invero, l'art. 3, comma 1, lett. e.5), del DPR n. 380/2001 annovera tra gli interventi di nuova costruzione “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Ciò posto, la realizzazione dei manufatti in argomento avrebbe dovuto essere preceduta dal rilascio del permesso di costruire, la cui assenza giustifica l'adozione dell'ordinanza impugnata (TAR Lazio-Latina, sentenza 06.05.2010 n. 713 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non sussiste l'obbligo di comunicare l'inizio del procedimento per la diffida a demolire, in considerazione del carattere vincolato del provvedimento sanzionatorio.
In relazione a provvedimenti di demolizione di opere abusive, l'obbligo di motivazione è da intendere nella sua essenzialità ovvero è da intendere assolto con l'indicazione dei meri presupposti di fatto (constatazione dell'esecuzione di opere edilizie in difformità del permesso di costruire o in assenza del medesimo), che poi determinano l'applicazione dovuta delle misure ripristinatorie previste (cfr. nei termini da ultimo TAR Lazio Roma, Sez. I-quater, 16-11-2009, n. 11163) e che, considerando la natura di atto dovuto e vincolato dell'ordinanza di demolizione, l'obbligo della motivazione -inteso nella sua essenzialità, senza inutili e fuorvianti formalismi- è sufficientemente assolto con l'indicazione, anche "per relationem", dei presupposti di fatto ("id est", verbali di contravvenzione, individuazione dettagliata delle opere abusive) attraverso i quali sia comunque possibile ricostruire l'"iter" logico seguito dall'amministrazione ed al giudice, per tale via, di esercitare il proprio sindacato di legittimità.
Secondo un principio giurisprudenziale oramai consolidato nella materia, “Non sussiste l'obbligo di comunicare l'inizio del procedimento per la diffida a demolire, in considerazione del carattere vincolato del provvedimento sanzionatorio” (cfr. nei termini TAR Lazio Roma Sez. II, 08-02-2006, n. 902).
Peraltro “Non si deve ritenere viziata, per violazione dell'art. 7 L. n. 241/1990, l'ordinanza di demolizione, quando essa sia stata adottata all'esito di un procedimento innescato dall'istanza di condono delle opere realizzate senza concessione da parte ricorrente” (Cons. di Stato, Sez. IV, 12.09.2007, n. 4827).
Comunque, sebbene la disciplina ex comma 2 dell'art. 21-octies, co. 2, della l. n. 241/1990, introdotto dalla legge n. 15/2005, avendo carattere processuale, è immediatamente applicabile alle controversie pendenti (TAR Lazio Roma Sez. I, 06.06.2005, n. 6358), il provvedimento comunale di ingiunzione della demolizione delle opere edilizie abusive, adottato in difetto della previa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241/1990, deve ritenersi annullabile solo se, per la natura vincolata dell'atto, non sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 26.04.2010 n. 8493 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso in cui il mutamento di destinazione d'uso di un immobile, realizzato attraverso opere interne, abbia impresso all'immobile stesso un'effettiva nuova e diversa destinazione rispetto a quella originaria, occorre la concessione edilizia.
Gli interventi edilizi effettuati all’interno dell’immobile di cui trattasi (consistenti nella demolizione e ricostruzione di tramezzi, predisposizione di impianti idrici, elettrici e di condizionamento e deumidificazione, nell’esecuzione di opere necessarie alla coibentazione acustica del locale a piano terra, nella predisposizione delle opere necessarie per la costruzione di un soppalco per il collocamento dell’impianto delle luci di scena e di amplificazione sonora) hanno comportato il mutamento di destinazione di uso dello stesso senza il previo rilascio del relativo necessario titolo autorizzatorio e perciò solo erano da considerarsi legittimamente come opere edilizie abusive senza concessione edilizia e pertanto passibili di demolizione.

Secondo consolidata e condivisa giurisprudenza, nel caso in cui il mutamento di destinazione d'uso di un immobile, realizzato attraverso opere interne, abbia impresso all'immobile stesso un'effettiva nuova e diversa destinazione rispetto a quella originaria, occorre la concessione edilizia (Consiglio Stato, sez. V, 11.05.2004, n. 2954 e TAR Campania Napoli, Sez. VI, 17.04.2008, n. 2320).
Nel caso di specie il mutamento di destinazione di uso si è concretizzato con la realizzazione di opere edilizie interne per cui, indipendentemente dal rispetto o meno degli standards urbanistici, era necessario il previo rilascio di un titolo edilizio e, comunque, non rileva la mancata attuazione in sede regionale dell’ult. co. dell’art. 25 della L. n. 47/1985, come invece prospettato in ricorso.
Ai sensi dell’ult. co. della richiamata norma, rubricata “Semplificazione delle procedure”, “Le leggi regionali stabiliscono quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, subordinare a concessione, e quali mutamenti, connessi e non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti siano subordinati ad autorizzazione”.
Tuttavia la circostanza che la norma statale di cui all'art. 25, ultimo comma, della L. n. 47/1985, ammetta espressamente la possibilità che il mutamento di destinazione senza trasformazioni fisiche dell'immobile possa essere subordinato non solo ad autorizzazione (o a denuncia di inizio di attività), ma persino a concessione edilizia, evidenzia il dovere di attribuire una notevole rilevanza sul piano urbanistico ai cambiamenti che possono apportarsi alla utilizzazione degli immobili.
La finalità di tale disciplina, dunque, che deve essere dettata con legge regionale, può individuarsi nella esigenza di individuazione delle differenti ipotesi di mutamenti di destinazione degli immobili, al fine precipuo di stabilire quali provvedimenti debbano essere richiesti nei singoli casi; ne consegue che la mancanza di disciplina regionale, non può dirsi tale da indurre a sostenere che il cambiamento di destinazione costituisca una attività del tutto "libera" e priva di vincoli non potendo comportare, una simile lacuna legislativa, la vanificazione di ogni previsione urbanistica che disciplini l'uso del territorio nel singolo comune; una diversa soluzione non solo costituirebbe, in linea di principio, una inammissibile vulnerazione delle prerogative di autonomia e responsabilità sul territorio degli enti locali in parola, ma comporterebbe anche, in concreto, la violazione di regole generali finalizzate ad assicurare il corretto ed ordinato assetto del territorio, con conseguente inevitabile pericolo di pregiudizievoli modificazioni degli equilibri prefigurati dalla strumentazione urbanistica, come già in precedenza osservato dalla giurisprudenza (Cons. di Stato, Sez. IV, 29.05.2008, n. 2561).
In senso contrario a quanto dedotto non vale il richiamo insistente effettuato da parte della difesa della società ricorrente alle recenti statuizioni della Corte di Cassazione Penale relativamente ai reati contestati alla stessa in ordine ai lavori effettuati all’interno dei locali di cui trattasi; ed infatti è sufficiente rilevare come, premesso che trattasi di piani distinti, con le citate decisioni si è confermata la circostanza che nei locali siano stati effettuate opere interne (che non hanno comportato modifiche né alla sagoma dell’edificio né ai prospetti del medesimo né, infine, hanno arrecato pregiudizio alla statica dell’immobile).
Gli interventi edilizi effettuati all’interno dell’immobile di cui trattasi (consistenti nella demolizione e ricostruzione di tramezzi, predisposizione di impianti idrici, elettrici e di condizionamento e deumidificazione, nell’esecuzione di opere necessarie alla coibentazione acustica del locale a piano terra, nella predisposizione delle opere necessarie per la costruzione di un soppalco per il collocamento dell’impianto delle luci di scena e di amplificazione sonora) hanno comportato il mutamento di destinazione di uso dello stesso (tanto è vero che proprio a tal fine era stata presentata una istanza di rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell’art. 13 della L. n. 4771985, rigettata dal competente ufficio con il provvedimento dirigenziale n. 1292/1993, mai impugnato dalla società ricorrente) senza il previo rilascio del relativo necessario titolo autorizzatorio e perciò solo erano da considerarsi legittimamente come opere edilizie abusive senza concessione edilizia e pertanto passibili di demolizione
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 26.04.2010 n. 8493 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa ristrutturazione dell’edificio è tale se ed in quanto riproduca le precedenti linee fondamentali per sagoma e volumi; in opposta prospettiva, la ristrutturazione non comporta l’alterazione della tipologia edilizia e della volumetria preesistente.
I fatti di causa sono pacifici: con il permesso di costruire avente ad oggetto la ristrutturazione del preesistente manufatto in muratura si è accorpata l’area di proiezione e lo spazio relativi ad una vetusta tettoia in legno aperta ai lati aggrappata all’edificio e, come documentato dalle fotografie versate in atti, in stato fatiscente.
Si è di fatto modificato il manufatto esistente realizzando un organismo edilizio diverso dal precedente per volume e sagoma, integrando gli estremi di una vera e propria nuova costruzione non riconducibile concettualmente né tipologicamente alla categoria giuridica della ristrutturazione come disciplinata dall’art. 3 d.P.R. 06.06.2001 n. 380 come modificato dall’art. 1 d.Lgs. 27.12.2002 n. 301.
Sebbene la norma non menzioni più il limite della “fedele ricostruzione”, nondimeno subordina pur sempre la qualificazione della ristrutturazione alla conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente.
Sicché la ristrutturazione dell’edificio è tale se ed in quanto riproduca le precedenti linee fondamentali per sagoma e volumi (Cons. St., sez. IV, 07.09.2004 n. 5791, Id, sez. V, 10.02.2004 n. 475); in opposta prospettiva, la ristrutturazione non comporta l’alterazione della tipologia edilizia e della volumetria preesistente (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.07.2007 n. 1367 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa destinazione in modo durevole al servizio od ornamento della cosa principale, che ai sensi dell’art. 817 c.c. qualifica la pertinenza, rileva in ambito urbanistico ed edilizio ai fini dell’uso, non già per sovvertire il dato materiale-strutturale del manufatto (preesistente) che per materiali e tecnica di realizzazione occupi parti circoscritte e ben individuate di suolo e volume.
L'entità strutturale della tettoia, aperta ai lati e realizzata mediante tavole di legno, non è assimilabile ad una costruzione mediante l’attribuzione dell’attributo giuridico del carattere pertinenziale.
La destinazione in modo durevole al servizio od ornamento della cosa principale, che ai sensi dell’art. 817 c.c. qualifica la pertinenza, rileva in ambito urbanistico ed edilizio ai fini dell’uso, non già per sovvertire il dato materiale-strutturale del manufatto (preesistente) che per materiali e tecnica di realizzazione occupi parti circoscritte e ben individuate di suolo e volume (in termini, da ultimo Cons. St., sez. IV, 15.09.2006 n. 5375) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.07.2007 n. 1367 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa distanza di 10 metri fra pareti finestrate vincola con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e sicurezza, anche i Comuni in sede di formazione e revisione degli strumenti urbanistici.
L’art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 che prevede la distanza minima assoluta di 10 metri tra costruzioni in applicazione dell’art. 41-quinquies l.u. integra con efficacia precettiva, in forza della norma di legge appena richiamata, il regime delle distanze nelle costruzioni.
Sicché la distanza di 10 metri fra pareti finestrate vincola con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e sicurezza, anche i Comuni in sede di formazione e revisione degli strumenti urbanistici (cfr. Cons. St., sez. V, 26.10.2006 n. 6399).
Limite minimo integrativo, inoltre, delle disposizioni previste agli artt. 872 ss c.c. ritenuto espressione di disciplina d’ordine pubblico a tutela della salubrità dei luoghi (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.07.2007 n. 1367 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIL’accesso ad appunti, pro-memoria, canovacci è pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza ove non rimangano relegati nella sfera interna e privata dell’autorità che li elabora atteso che in tal caso tali appunti non confluiscono né negli atti formalmente precedenti il provvedimento finale né in quest’ultimo e stante la loro natura non devono essere conservati né vi è, logicamente, alcun obbligo di custodia degli stessi.
Ai fini dell’indagine inerente la detenzione dei requisiti sostanziali legittimanti l’accesso agli atti, occorre tenere conto delle innovazioni apportate alla legge n. 241 del 1990 dalla legge n.15 del 2005; novella quest’ultima:
1) che non ritiene più sufficiente (come nel vecchio Ordinamento) la titolarità di un “interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti” (art. 1 d.P.R. n. 352 del 1992), da “specificare ed, ove occorra, comprovare” (art. 3 cit. d.P.R.) da parte dell’interessato all’accesso, prescrivendo, quale ulteriore qualificazione dell’interesse in argomento, la sua attualità (oltre che la sua corrispondenza ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso);
2) in forza della quale non appare più consentito che il titolo legittimante all’esercizio del diritto strumentale di accesso consista anche in posizioni di interesse non attuali (o almeno non rilevabili con immediatezza) e che possono concretizzarsi e specificarsi proprio a seguito ed in forza degli elementi di conoscenza acquisibili attraverso l’iter procedimentale previsto dal Legislatore.
L’accesso ad appunti, pro-memoria, canovacci è pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza ove non rimangano relegati nella sfera interna e privata dell’autorità che li elabora (cfr., ex multis, Cos. St., IV, n. 6440 del 2006), atteso che in tal caso tali appunti (cui, nel caso di specie, sono equiparabili le videate richieste dal ricorrente) non confluiscono né negli atti formalmente precedenti il provvedimento finale né in quest’ultimo e stante la loro natura non devono essere conservati né vi è, logicamente, alcun obbligo di custodia degli stessi; il che ne rende impossibile la relativa ostensione come si verifica nel caso di specie in cui –come affermato dalla resistente– dei criteri personali e propri eventualmente utilizzati dai commissari nella fase pre-istruttoria non rimane traccia e tutta la fase collegiale istruttoria si svolge senza l’ausilio del sistema computerizzato (TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, sentenza 09.05.2007 n. 4155).

EDILIZIA PRIVATA: Perché un intervento possa essere ricompreso tra quelli di ristrutturazione edilizia è che la ricostruzione dell’opera venga effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione.
L’art. 3 (definizioni degli interventi edilizi) del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), alla lettera d), come modificata dall’art. 1 del D.L.vo 27.12.2002, n. 301, ricomprende tra gli interventi di ristrutturazione edilizia <<…gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica>>.
Orbene, anche a voler ritenere che le previsioni del piano di recupero, che pervero ricomprende tra gli interventi di ristrutturazione edilizia quelli che possono attuarsi anche mediante <<la definizione… (e non già la demolizione) e la ricostruzione degli edifici esistenti, semore secondo la indicazioni del Piano di Recupero>>, siano integrate da quelle dettate con la riportata lett. d) dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, nondimeno è necessario, secondo quanto costantemente e persuasivamente avvertito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr., tra le altre, Cons. Stato, sez. V, 03.04.2000 n. 1906 e 08.08.2003 n. 4593), perché un intervento possa essere ricompreso tra quelli di ristrutturazione edilizia, che la ricostruzione dell’opera venga effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione.
In altri termini, la demolizione deve essere effettuata nel contesto di un’attività volta, sin dall’origine, alla ristrutturazione del manufatto; sicché deve escludersi, anche alla luce del tenore letterale della definizione contenuta nella più volte citata lett. d) dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, che ricomprende tra gli interventi di ristrutturazione edilizia soltanto quelli consistenti <<...nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente>>, che il concetto di ristrutturazione edilizia possa estendersi alla rinnovata edificazione di manufatti da anni inesistenti perché distrutti o demoliti (TAR Basilicata, sentenza 22.08.2006 n. 529 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA Il concetto di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 31, I comma, lett. d), della L. n. 457/1978 comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, con l’unica condizione che la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, volume e superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto.
Ciò comporta che, per effetto della ristrutturazione, si può pervenire ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, purché la diversità sia dovuta ad elementi comprendenti il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, ma non già la realizzazione di un manufatto diverso nei suindicati elementi.
Secondo un indirizzo costante della giurisprudenza di questo Consiglio, il concetto di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 31, I comma, lett. d), della L. n. 457/1978 comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, con l’unica condizione che la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, volume e superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto.
Ciò comporta che, per effetto della ristrutturazione, si può pervenire ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, purché la diversità sia dovuta ad elementi comprendenti il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, ma non già la realizzazione di un manufatto diverso nei suindicati elementi.
Né rileva che il legislatore, successivamente, ha espunto dal testo di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), del DPR 06.06.2001 n. 380 il termine “fedele” ed il riferimento ai materiali edilizi in quanto, anche se per effetto della nuova normativa la nozione di ristrutturazione è stata ulteriormente estesa, non per questo sono venuti meno i limiti che ne condizionano le caratteristiche e che consentono di distinguerla dall’intervento consistente in una nuova costruzione, ossia, la necessità che la ricostruzione sia identica per sagoma, volumetria e superficie al fabbricato demolito (C.S. 4011/2005) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.05.2006 n. 3229 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il solo rispetto della volumetria nella ricostruzione non può ritenersi sufficiente a concretare l’ipotesi della ristrutturazione edilizia, posto che la diversità di sagoma prevista evidentemente esclude la riconduzione dell’intervento proposto nella fattispecie descritta dall’art. 3, lett. d), del D.P.R. n. 380/2001.
L’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, codificando un principio più volte affermato dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. St. IV Sez. 07/09/2004 n. 5795), ha puntualmente ricondotto nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia anche “quelli consistenti nella demolizione e ricostruzio-ne con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente”.
Ne consegue che il solo rispetto della volumetria nella ricostruzione non può ritenersi sufficiente a concretare l’ipotesi della ristrutturazione edilizia, posto che la diversità di sagoma prevista evidentemente esclude la riconduzione dell’intervento proposto nella fattispecie descritta dall’art. 3, lett. d), del D.P.R. n. 380/2001 (ristrutturazione edilizia) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 09.09.2005 n. 4191 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAModifiche del prospetto, della sagoma e delle volumetrie dell’edificio concretizzano interventi esorbitanti dal concetto di restauro e risanamento conservativo, che, per pacifico orientamento giurisprudenziale, non è configurabile nei casi in cui l’aspetto esteriore e la volumetria del fabbricato vengano a subire modifiche.
Il restauro e risanamento conservativo è incompatibile con gli aumenti di volumetria e le modifiche della sagoma e del prospetto dell’edificio.

Le opere abusive realizzate hanno determinato modifiche del prospetto, della sagoma e delle volumetrie dell’edificio, concretandosi perciò in interventi esorbitanti dal concetto di restauro e risanamento conservativo, che, per pacifico orientamento giurisprudenziale, non è configurabile nei casi in cui l’aspetto esteriore e la volumetria del fabbricato vengano a subire modifiche (TAR Toscana, II, 14.09.1994 n. 334; TAR Abruzzo–L’Aquila, 01.03.1996, n. 41). 
Il restauro e risanamento conservativo è incompatibile con gli aumenti di volumetria e le modifiche della sagoma e del prospetto dell’edificio (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 15.04.2002 n. 838 - link a www.giustizia-amministrativa.it)

EDILIZIA PRIVATAIl procedimento repressivo degli abusi edilizi, in quanto integralmente disciplinato dalla legge speciale e da questa rigidamente vincolato, non richiede la previa comunicazione di avvio ai destinatari dell’atto finale
A fronte degli interventi di ristrutturazione edilizia abusiva, l’art. 9 L. 28.02.1985, n. 47 prevede espressamente l’emissione di un’ingiunzione a demolire, che ha valore di diffida finalizzata a consentire al responsabile di provvedere spontaneamente alla regolarizzazione urbanistica della costruzione; in caso di inadempienza è poi prevista, alternativamente, o la demolizione in danno, ovvero l’applicazione di una sanzione pecuniaria (TAR Lazio, II, 17.07.1986 n. 1156; TAR Liguria, I, 25.05.2000, n. 636).
Di conseguenza, se anche l’abuso realizzato dovesse considerarsi come un’ipotesi di ristrutturazione edilizia, l’ingiunzione a demolire sarebbe comunque legittima, mentre viziato potrebbe semmai essere soltanto l’eventuale atto dichiarativo dell’acquisizione gratuita.
Questa stessa Sezione, aderendo al costante orientamento della giurisprudenza, ha infatti più volte affermato che il procedimento repressivo degli abusi edilizi, in quanto integralmente disciplinato dalla legge speciale e da questa rigidamente vincolato, non richiede la previa comunicazione di avvio ai destinatari dell’atto finale (TAR Puglia–Bari, II, 28.03.1998, n. 349; TAR Toscana, III, 02.11.1998, n. 396; TAR Piemonte, I, 25.02.1999, n. 105; TAR Lazio, II, 26.11.1999, n. 2455; TAR Piemonte, I, 13.06.2001, n. 1302);
L’omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 L. 07.08.1990, n. 241 non costituisce perciò in alcun modo vizio dell’impugnata ingiunzione a demolire
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 15.04.2002 n. 838 - link a www.giustizia-amministrativa.it)

AGGIORNAMENTO AL 09.06.2010

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CONVEGNI

Bottone "CONVEGNI" è scaricabile il materiale informativo della giornata di studio tenutasi a Bergamo martedì 08.06.2010 e co-organizzata dal portale PTPL.

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: M. Viviani, L’attività edilizia libera di cui al novellato art. 6 del D.P.R. n. 380/2001 (ad opera della Legge n. 73/2010).

EDILIZIA PRIVATA: L. Spallino, La ristrutturazione edilizia in Lombardia alla luce della l.r. 7/2010 di interpretazione autentica dell'art. 27 l.r. 12/2005 (link a www.studiospallino.it).

APPALTI: V. Lopilato, CATEGORIE CONTRATTUALI, CONTRATTI PUBBLICI E I NUOVI RIMEDI PREVISTI DAL DECRETO LEGISLATIVO N. 53 DEL 2010 DI ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA RICORSI (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Partecipazione a gare d’appalto: Le situazioni di esclusione non si trasmettono all’impresa cessionaria (link a www.mediagraphic.it).

QUESITI & PARERI

LAVORI PUBBLICI: Verifica preliminare di interesse archeologico per un progetto di scavi stradali in un Comune privo di aree di tutela archeologica.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente in ordine alla necessità di sottoporre preliminarmente un progetto relativo ad una attività di scavo per la costruzione di strade, fognature, acquedotti o altre opere, al parere della Soprintendenza per i beni archeologici, indipendentemente dall’esistenza o meno di un’area di interesse archeologico.
Il Comune richiedente aggiunge che il Piano Regolatore Generale Comunale vigente non individua aree di tutela archeologica nel territorio comunale.
Vengono inoltre richiamate due norme di riferimento per la fattispecie in oggetto e segnatamente: l’art. 95 del D.lgs. 163/2006 –Verifica preventiva dell’interesse archeologico in sede di progetto preliminare– e l’art. 28 del D.lgs. 42/2004 –Misure cautelari e preventive- (Regione Piemonte, parere n. 41/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ampliamento di un immobile sito in prossimità di un corso d’acqua.
E’ chiesto parere in merito all’assentibilità di intervento edilizio consistente nell’ampliamento di un immobile preesistente a distanza inferiore a 100 metri da un corso d’acqua (Regione Piemonte, parere n. 40/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Congruità dell’inquadramento di un dipendente con specifiche responsabilità.
Il Comune di (omissis) chiede parere sulla congruità dell’inquadramento nella posizione giuridica B3 a dipendente a tempo pieno ed indeterminato, assunto nella 5^ qualifica funzionale ed attualmente inquadrato in categoria B3 (pos. Econ. B6) nell’Area Anagrafe e Stato Civile cui sono state attribuite una serie di specifiche responsabilità (deleghe Ufficiale di anagrafe e di stato civile, deleghe in materia di documentazione amministrativa, nomina a messo notificatore, responsabilità di istruttoria e del procedimento “area legale e legislativa servizi amministrativi”).
Chiede inoltre se sia ancor possibile la progressione verticale stante le vigenti disposizioni in materia (Regione Piemonte, parere n. 38/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: D.L. 78/2010: tagli alle spese per le consulenze nella manovra estiva senza nulla in cambio (CGIL-FP di Bergamo, nota 07.06.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: D.L. 78/2010: nei fatti la manovra estiva porta ad un allungamento dell'età pensionabile (CGIL-FP di Bergamo, nota 07.06.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: D.L. 78/2010: la manovra estiva taglia migliaia di precari (CGIL-FP di Bergamo, nota 07.06.2010).

PUBBLICO IMPIEGO: In attesa di elaborazioni più approfondite, alcuni primi esempi dei "tagli" sulla previdenza per i lavoratori dipendenti del Pubblico Impiego - ALCUNI ESEMPI A CONFRONTO DOPO IL DECRETO LEGGE 78/2010 MANOVRA FINANZIARIA (CGIL-LOMBARDIA, nota 04.06.2010).

GIURISPRUDENZA

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Ordinanza contingibile e urgente - Adozione - Presupposto - Tutela di un interesse generale - Singolo cittadino - Tutela privatistica in tema di immissioni.
In tema di inquinamento acustico, presupposto per la misura contingibile è, tra l’altro, che il pericolo che si intende fronteggiare minacci un interesse di natura generale, in qualche modo diffusa, o che comunque trascende la posizione del singolo nominativamente individuato cittadino al quale l'ordinamento offre la tutela privatistica del codice civile in tema di immissioni (TAR Toscana, sez. II, 27.12.2000, n. 2695; TAR Campania Napoli, sez. V, 08.02.2006, n. 1776) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 07.06.2010 n. 1704 - link a www.dirittoambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: I Comuni non possono autorizzare certi tipi di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (F.E.R.) caratterizzati da determinate capacità di generazione, perché -secondo la legge nazionale- non ne hanno la competenza.
ENERGIA - Impianti alimentati a fonti rinnovabili - Art. 3, c. 1, L.r. Molise n. 22/2009 - Competenza autorizzatoria derogatoria rispetto all’asse delineato dall’art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Illegittimità costituzionale.
L’art. 3, comma 1, della legge della Regione Molise n. 22 del 2009, crea una competenza autorizzatoria, a favore dei Comuni, per tipi di impianti caratterizzati da determinate capacità di generazione, derogatoria rispetto all’assetto delineato dal d.lgs. n. 387 del 2003, che all’art. 12 assoggetta la costruzione ed esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili all’autorizzazione unica delle Regioni (o delle Province delegate), e ove la capacità di generazione degli stessi impianti sia inferiore alle soglie individuate dalla tabella A dello stesso d.lgs. n. 387 del 2003, ne subordina la costruzione e l’esercizio alla sola denuncia di inizio attività (DIA).
L’autorizzazione unica regionale prevista dal d.lgs. n. 387 del 2003, solo limitatamente derogabile a favore di procedure semplificate, concreta una procedura uniforme mirata a realizzare le esigenze di tempestività e contenimento dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi inerenti alla costruzione ed esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, che resterebbe vanificata ove ad essa si abbinasse o sostituisse una disciplina regionale (ordinanza n. 203 del 2006).
Ulteriore profilo di illegittimità della norma regionale si rileva nell’aumento della soglia di potenza per la quale, innalzando la capacità, dai limiti ben più contenuti di cui alla tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003, a 1 Mw elettrico, la costruzione dell’impianto risulta subordinata a procedure semplificate, laddove maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione, per i quali si proceda con diversa disciplina, possono essere individuate solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata, senza che la Regione possa provvedervi autonomamente (sentenze n. 119 e n. 124 del 2010) (Corte Costituzionale, sentenza 04.06.2010 n. 194 - link a www.dirittoambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il concetto di “nuova costruzione” di cui all’art. 41-sexies L. n. 1150/1942 comprende il cambio d’uso implicante aggravio del carico urbanistico.
Sulla scorta di una interpretazione teleologica dell’art. 41-sexies L. 1150/1942, la giurisprudenza –anche della Sezione– si é consolidata nel senso di ritenere che il concetto di “nuova costruzione” di cui all’art. 41-sexies L. n. 1150/1942 comprende il cambio d’uso implicante aggravio del carico urbanistico (Cons. di St., V, 27.09.2004, n. 6297; id., 22.06.1998, n. 921; TAR Lombardia, II, 03.03.2006, n. 571; TAR Liguria, I, 11.03.2003, n. 289) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 03.06.2010 n. 3943 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel rilascio del titolo abilitativo a costruire, il comune è tenuto a verificare non soltanto il rispetto della quantità delle aree da asservire a parcheggio privato nella misura proporzionale stabilita dalla legge ma, altresì, la loro concreta idoneità a soddisfare le esigenze basilari dell'ordinata convivenza perseguite dalla disciplina urbanistica.
Se in linea di principio è possibile che siano vincolate a parcheggio anche aree esterne al fabbricato, è comunque necessario che esse siano prossime a questo e comunque poste ad una distanza tale da non vanificare il nesso di funzionalità rispetto all’edificio principale, nesso che –diversamente– resterebbe affidato soltanto ad un adempimento di carattere meramente formale (la stipulazione di un atto di asservimento), totalmente avulso dalle caratteristiche oggettive dei beni.
In vista del rilascio del titolo edilizio, l’amministrazione comunale è tenuta a verificare non soltanto il rispetto della quantità delle aree da asservire a parcheggio privato nella misura proporzionale stabilita dalla legge ma, altresì, la loro concreta idoneità a soddisfare le esigenze basilari dell'ordinata convivenza perseguite dalla disciplina urbanistica.
In proposito, l’art. 41-sexies L. 1150/1942 prescrive che gli spazi a parcheggio siano reperiti “nelle aree di pertinenza” delle nuove costruzioni.
Orbene, è noto che la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica, comportando l’esistenza di un nesso di funzionalità rispetto all'edificio principale, apprezzabile su di un piano oggettivo, a prescindere dalla soggettiva destinazione impressa dal proprietario.
Se in linea di principio ciò non impedisce che siano vincolate a parcheggio anche aree esterne al fabbricato, è comunque necessario che esse siano prossime a questo e comunque poste ad una distanza tale da non vanificare il nesso di funzionalità rispetto all’edificio principale, nesso che –diversamente– resterebbe affidato soltanto ad un adempimento di carattere meramente formale (la stipulazione di un atto di asservimento), totalmente avulso dalle caratteristiche oggettive dei beni.
Nel caso di specie, la notevole distanza delle aree vincolate a parcheggio pertinenziale rispetto ai locali oggetto di ristrutturazione le rende concretamente non fruibili in funzione dello scopo sotteso alla norma di legge, che è quello di evitare la sosta di auto sulle strade pubbliche
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 03.06.2010 n. 3943 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Rimozione, recupero e smaltimento - Ordinanza - Destinatari - Trasgressori del divieto - Proprietario - Responsabilità solidale - Dolo o colpa - Specifica indicazione.
Gli obblighi relativi alla rimozione, al recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi possono essere legittimamente imposti dal Sindaco unicamente ai soggetti trasgressori del divieto di abbandono o di deposito dei rifiuti.
Il proprietario dell’area interessata può essere chiamato in causa, in modo solidale, soltanto se la violazione sia imputabile anche a lui “a titolo di dolo o di colpa”.
Ne consegue che, qualora l’ordinanza del Sindaco chiami il proprietario ad effettuare tali interventi, deve essere specificato il titolo di responsabilità, dolosa o colposa, di costui, insieme alla ricostruzione dei fatti e delle deduzioni di ordine logico che conducono a ritenere che effettivamente il proprietario si sia reso responsabile delle violazioni (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 28.05.2010 n. 2699 - link a www.dirittoambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Bonifica - Art. 17 d.lgs. n. 22/1997 - Situazioni di inquinamento verificatesi anteriormente all'entrata in vigore del d.m. n. 471/1999 - Applicabilità.
La normativa in materia di bonifiche di cui all'art. 17 d.lg. 05.02.1997 n. 22 è applicabile a qualunque situazione di inquinamento ancora in atto al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo, indipendentemente dal momento in cui sono avvenuti i fatti che hanno provocato l'inquinamento e anche in situazioni verificatesi in epoca anteriore all'emanazione del regolamento di cui al d.m. 471 del 1999 (Cons. St., sez. VI, 09/10/2007, n. 5283).
INQUINAMENTO - Obbligo di bonifica - Art. 17 d.lgs. n. 22/1997 - Autore dell'inquinamento - Proprietario incolpevole.
L'art. 17, c. 2, del d.lgs. n. 22/1997 individua dal punto di vista soggettivo nella responsabilità dell'autore dell'inquinamento, a titolo di dolo o di colpa, la fonte dell'obbligo a provvedere alla messa in sicurezza e all'eventuale bonifica del sito inquinato, con conseguente mancanza di responsabilità, e quindi di obbligo a bonificare o di mettere in sicurezza, del proprietario incolpevole (cfr. TAR Toscana, sez. II, 17/04/2009 n. 665; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 20/10/2009 n. 1118).
INQUINAMENTO - Ordinanza contingibile e urgente ex art. 13 d.lgs. n. 22/1997 - Preclusione in ragione dell'esistenza di apposita disciplina - Inconfigurabilità.
L'esistenza di un’apposita disciplina non preclude al Sindaco l’esercizio del potere di ordinanza contingibile ed urgente ex art. 13 d.lgs. n. 22/1997 quando la necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza a tutela del bene pubblico sia tanto urgente da non consentire il tempestivo utilizzo dei rimedi ordinari offerti dall’ordinamento.
INQUINAMENTO - Imposizione dell'onere reale - Preventivo accertamento della responsabilità del proprietario - Necessità - Esclusione.
L’imposizione dell’onere reale, così come delineata dall'art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, non è subordinata all’accertamento della responsabilità del proprietario che, anche se incolpevole, qualora il responsabile non si attivi o non sia identificabile, finisce “comunque per essere il soggetto definitivamente gravato” (TAR Friuli-Venezia Giulia 27/07/2001 n. 488).
INQUINAMENTO - Proprietario estraneo all'inquinamento - Esecuzione degli interventi di bonifica - Onere - Evizione del bene.
Per il proprietario estraneo all'inquinamento, l'esecuzione degli interventi di bonifica prescritti dall'amministrazione è un vero e proprio onere, finalizzato a rimuovere il pregiudizio costituito dall'onere reale e dal connesso privilegio immobiliare gravante sul bene: l'evizione del bene che il proprietario può di fatto subire a causa dell'inerzia dell'inquinatore non costituisce, però, una sanzione per non aver bonificato il sito, ma una conseguenza dell'attività di ripristino ambientale realizzata dall'Ente pubblico nell'interesse della collettività, tramite un meccanismo che presenta similitudini più con l'esproprio che con il risarcimento del danno ambientale (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 28.05.2010 n. 2697 - link a www.dirittoambiente.it).

PUBBLICO IMPIEGOLa nomina della commissione esaminatrice (di pubblico concorso) non ha natura di atto d’indirizzo e rientra nelle competenze dell’apparato burocratico dell’Ente locale.
Nella pronuncia in rassegna si dibatteva sulla illegittimità della nomina della commissione di concorso da parte della Giunta comunale, organo politico, anziché da parte del dirigente, organo burocratico; a riguardo i giudici del Tribunale Amministrativo di Cagliari riprendono le osservazioni di una loro decisione contenente un’identica questione giuridica.
Spiegano, pertanto, che la legge 142/1990 ha per la prima volta introdotto nel nostro ordinamento un vero e proprio spartiacque tra sfera politica e sfera gestionale, divenuto poi punto fermo della legislazione successiva (D.lgs. 29/1993), che si è caratterizzata per una volontà ancora più precisa di sostituire il presupposto gerarchico, quale chiave di volta dell’organizzazione burocratica dell’ente locale, con il principio della cooperazione tra due distinti apparati, politico e tecnico-gestionale.
Infatti l’art. 51 della L. 142/1990 prima e poi l’art. 107 del D.lgs. 30.03.2001, n. 165 (T.U.EE.LL.) che lo assorbe in parte, conferma e addirittura rafforza il principio secondo cui i poteri di indirizzo e di controllo politico–amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria, tecnica è attribuita ai dirigenti (compresa la responsabilità delle procedure di concorso,art. 107 c. 3. T.U.) e da essi esercitata mediante autonomi poteri di spesa, organizzazione risorse umane, strumentali e di controllo.
In quest’ottica va considerata la potestà regolamentare attribuita alle amministrazioni dall’art. 27, comma 1, D.lgs. 30.03.2001 n. 165, che sostituisce l’art 27-bis del D.lgs. 03.02.1993 n. 29, aggiunto dall’art. 17 del D.lgs. 31.03.1998 n. 80. Essa è, infatti, finalizzata a stabilire il modo di esercizio delle funzioni, mentre la fonte primaria individua la titolarità delle funzioni, coperta da specifica riserva di legge.
La nomina della commissione esaminatrice non ha natura di atto d’indirizzo e rientra nelle competenze dell’apparato burocratico, mentre nel caso in esame è stato illegittimamente attribuito dal regolamento comunale dei concorsi all’organo politico, la Giunta comunale.
Diverso sarebbe stato se il Comune in causa avesse applicato l’art. 53, c. 23, della L n. 388/2000 (finanziaria 2001) che prevede la possibilità per gli enti locali con popolazione inferiore ai 3000 abitanti, che riscontrino e dimostrino la mancanza non rimediabile di figure professionali idonee nell’ambito dei dipendenti, ai fini del contenimento di spesa, di adottare disposizioni regolamentari organizzative a carattere derogativo rispetto al riparto di competenze precisato dall’art. 107 T.U. (comma 5) “attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale” Solo in tal caso si potrebbe ammettere l’attribuzione ai membri della Giunta comunale della competenza ad adottare atti di natura tecnico–gestionale (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 28.05.2010 n. 1396 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: La mancanza, al momento della notifica del ricorso, di un atto applicativo del P.P.R., rende inammissibile la sua impugnazione.
La domanda di annullamento del Piano Paesaggistico Regionale proposta con il ricorso introduttivo deve essere dichiarata inammissibile.
Come affermato dalla Sezione con la sentenza n. 1811 dell’08.10.2007, le disposizioni del PPR, aventi carattere generale, possono essere impugnate solo a seguito dell’emanazione di un provvedimento applicativo, quali un diniego di concessione edilizia o di autorizzazione paesaggistica.
La mancanza, al momento della notifica del ricorso, di un atto applicativo del PPR, rende inammissibile la sua impugnazione (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 28.05.2010 n. 1392 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La modifica dell’assetto del territorio non richiede la concessione edilizia solo quando sia di minima entità ovvero di carattere precario.
La modifica dell’assetto del territorio non richiede la concessione edilizia solo quando sia di minima entità ovvero di carattere precario, così intendendosi le opere, agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea (es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione…) destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l’interesse finale (cfr. TAR Sardegna, sez. II, 12.2.2010 n. 158) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 28.05.2010 n. 1391 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di diffida a non eseguire i lavori oggetto di dichiarazione di inizio di attività non occorre la preventiva comunicazione degli elementi ostativi ex art. 10-bis L. 241/1990.
La comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda prevista dall'art. 10-bis l. 07.08.1990 n. 241, introdotto dalla l. 11.02.2005 n. 15, non è necessaria nel caso di diffida a non eseguire i lavori oggetto di dichiarazione di inizio di attività (Consiglio Stato, sez. IV, 12.09.2007, n. 4828; TAR Lombardia Milano, sez. IV, 26.11.2008, n. 5651) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 28.05.2010 n. 1391 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'avviso di gara nella parte in cui prevede l'esclusione dei concorrenti che si trovino in causa con l'Ente appaltante.
E' illegittima la clausola dell'avviso di gara con la quale venga comminata l'esclusione nei confronti dei concorrenti che abbiano in corso con l'Ente appaltante contestazioni per altri contratti dello stesso genere, o che si trovino comunque in causa con l'Ente, ciò in quanto la stessa si pone in contrasto con l'art. 24 cost., che riconosce la piena tutela in giudizio dei diritti ed interessi, nonché con i principi di iniziativa economica e libertà d'impresa garantiti dall'art. 41cost..
Peraltro, la clausola vìola il principio di più ampia partecipazione agli appalti pubblici, applicabile anche nell'ambito dei contratti attivi come nel caso di specie, riducendo l'effettiva concorrenza fra le imprese del settore, senza che a ciò faccia riscontro una vera tutela di un interesse pubblico.
Infatti la semplice esistenza d'un contenzioso in atto non è d'inaffidabilità dell'impresa, potendosi la controversia risolvere a favore della stessa; pertanto, la suddetta clausola sanzionatoria non conduce a una selezione qualitativa dei partecipanti, ma solo ad un'evidente finalità di penalizzazione (TAR Basilicata, sentenza 28.05.2010 n. 325 - link a www.
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APPALTICLAUSOLE RESTRITTIVE DELLA CONCORRENZA E REVOCA DELL'AGGIUDICAZIONE.
1.- Appalto di servizi - Bando - Affidamento a privati di impianti sportivi - Clausola limitativa ai partecipanti con sede nel comune appaltante - Illegittimità - Ragioni - Invocabilità dell'art. 90, co. 25, L. n. 289/2002 - Non sussiste.
1.- E' illegittima la clausola di un bando per l'affidamento di impianti sportivi che limiti la partecipazione alla gara ai soli soggetti con sede del territorio comunale.
Ed infatti, se è vero che l'individuazione dei criteri di accesso alle procedure selettive rientra di norma nella sfera discrezionale dell'amministrazione, è vero anche che la clausola che restringe il novero dei possibili concorrenti alle sole associazioni sportive aventi sede sul territorio comunale si presenta irragionevole e discriminatoria, violando i principi di imparzialità, parità di trattamento e di massima partecipazione. Non vale, in contrario, sostenere che solo le associazioni presenti sul territorio comunale avrebbero avuto interesse alla gestione dell'impianto, dovendosi in contrario osservare che spetta soltanto ai potenziali concorrenti valutare la convenienza di partecipare o meno alla gara.
Neppure l'art. 90 co. 25, L. 27.12.2002 n. 289, che concerne l'affidamento della gestione degli impianti sportivi a società, associazioni ed enti privati qualora l'ente territoriale non intenda procedervi direttamente, fa menzione alcuna di associazioni sportive a base territoriale per fondarne un privilegio nell'affidamento degli impianti in questione; tale legge, invero, menziona le società e le associazioni sportive dilettantistiche con sede locale soltanto nel successivo comma 26 e soltanto al fine di stabilire che le palestre, le aree di gioco e gli impianti sportivi scolastici devono essere posti a disposizione (compatibilmente con taluni limiti) di società e associazioni sportive dilettantistiche aventi sede nel medesimo comune in cui ha sede l'istituto scolastico ovvero, vi si aggiunge, in comuni confinanti (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 27.05.2010 n. 9742 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente che abbia omesso di indicare il nominativo del proprio Direttore tecnico, nonché di allegare le relative dichiarazioni.
E' legittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un'impresa che, nell'ambito di una procedura per l'affidamento del servizio di igiene ambientale, abbia omesso di indicare il nominativo del proprio direttore tecnico, ciò in quanto, ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. n. 34/2000, è fatto obbligo, anche alle imprese partecipanti ad un appalto di servizi, come nel caso di specie, di munirsi, in aggiunta al responsabile tecnico, di un direttore dei lavori, a cui competono, ai sensi del primo comma dello stesso articolo, gli adempimenti di carattere tecnico ed organizzativo necessari nella successiva fase deputata all'esecuzione dei lavori (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.05.2010 n. 3364 - link a www.
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AMBIENTE-ECOLOGIA:  ORDINANZA SINDACALE DI RIMOZIONE RIFIUTI E AVVIO DEL PROCEDIMENTO.
1. Ambiente - Rifiuti - Smaltimento - Ordinanza per le operazioni di smaltimento - Obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento - Necessità -Ragioni.
2. Ambiente - Rifiuti - Smaltimento - Ordinanza sulle operazioni di smaltimento - Competenza del Sindaco - Sussistenza - Ragioni.

1. L'acquisizione dell'apporto procedimentale dei destinatari dell'ordinanza avente ad oggetto le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, di per sé necessaria in applicazione dell'art. 7, L. 07.08.1990 n. 241, assume un'importanza ancora maggiore ai sensi dell'art. 192, co. 3, D.Lgs. 03.04.2006 n. 152, il quale dispone che l'ordinanza di rimozione debba essere preceduta da un accertamento da parte dei soggetti preposti al controllo da svolgersi in contraddittorio con gli interessati (Cons. Stato, sez. V, 25-08-2008; TAR Emilia Romagna Parma, sez. I, 31-01-2008 n. 64).
2. L'articolo 192, co. 3, del D.Lgs. 03.04.2006 n. 152, è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, co. 5, del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto del testo unico degli enti locali (TAR Veneto, sez. III, 20-10-2009 n. 2623; TAR Veneto, sez. III, 29-09-2009 n. 2454; Cons. Stato, sez. V, 25-08-2008 n. 4061; TAR Veneto, sez. III, 14-01-2009 n. 40) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. III, sentenza 26.05.2010 n. 2210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le stazioni appaltanti non possono richiedere ai concorrenti un'attestazione di buon esito dei lavori a prova della loro capacità tecnica.
Sull'illegittimità della richiesta del fatturato globale al netto degli oneri fiscali, a riprova della capacità economico-finanziaria dei concorrenti. Sull'impossibilità di richiedere ai mandanti delle ATI di progettazione una percentuale di possesso dei requisiti minimi.

E' illegittima la richiesta di una stazione appaltante ai concorrenti di certificare, a prova della loro capacità tecnica, che i servizi portati a riprova del requisito in questione siano stati svolti anche in modo soddisfacente, in quanto alcuni incarichi svolti afferiscono ad opere in corso di esecuzione e pertanto non è possibile documentare che l'incarico di progettazione relativo a dette opere sia stato svolto in modo soddisfacente.
Peraltro, nel d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti), non è stata riproposta la norma che nel pregresso ordinamento degli appalti pubblici imponeva la certificazione dell'avvenuta esecuzione "a regola d'arte e con buon esito". Inoltre, in nessuna parte dell'art. 42 è prevista la possibilità, per la stazione appaltante, di richiedere anche l'attestazione, che i servizi siano stati svolti a regola d'arte o con buon esito; lo stesso l'art. 13 del d.lgs. 17.03.1995 in materia di appalti di servizi non abilitava l'amministrazione a richiedere ai concorrenti la suddetta certificazione.
E' illegittima la richiesta dell'indicazione del fatturato globale al netto degli oneri fiscali a riprova della capacità economica dei concorrenti, in quanto ciò non trova supporto nel dettato di cui all'art. 41 del d.lgs. n. 163/2006, come sostituito dal terzo correttivo recato con il d.lgs. n. 152/2008.
La norma stabilisce, infatti, che la prova della capacità economico-finanziaria può esser fornita mediante uno o più dei documenti menzionati nelle lettere di cui si compone la disposizione e alla lettera c) figura una "dichiarazione, sottoscritta in conformità alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28.12.2000, n. 445, concernente il fatturato globale d'impresa e l'importo relativo ai servizi o forniture nel settore oggetto della gara, realizzati negli ultimi tre esercizi".
Peraltro, una simile richiesta si risolverebbe in un onere aggiuntivo, che vìola il principio di massima partecipazione alla gara, costringendo i concorrenti ad risalire al quantum del prelievo fiscale che ha colpito il fatturato negli anni di riferimento utili per la competizione ed anche anno per anno.
E' illegittima, per contrasto con la disposizione di cui all'art. 65, c. 4, ultima alinea del D.P.R. n. 554/1999 in forza del quale ai mandanti "non possono essere richiesti percentuali di possesso dei requisiti minimi", la determinazione di esclusione da una gara per l'affidamento di servizi di architettura ed ingegneria, di un raggruppamento di professionisti per non avere ciascuno dei mandanti, comprovato di possedere una data percentuale dei requisiti minimi, essendo, a monte, illegittime quelle prescrizioni della legge di gara che impongano, come nella specie, a ciascuno di essi il possesso di una percentuale di requisiti minimi (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 21.05.2010 n. 2424 - link a www.
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APPALTI: Sulla legittimità dell'aggiudicazione di una gara ad un concorrente al quale la stazione appaltante abbia concesso un ulteriore ampio termine per produrre successive giustificazioni in ordine alla propria offerta.
E' legittimo il provvedimento di aggiudicazione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un'impresa che, nel corso del provvedimento di verifica, abbia beneficiato di un lasso temporale ampio per produrre ulteriori giustificazioni relative alle proprie offerte, ciò in quanto, l'art. 88 del d.lgs n. 163/2006 (Codice dei contratti), non stabilisce, in maniera vincolante, il numero dei chiarimenti che possono essere richiesti, pertanto l'accertamento della congruità dell'offerta può svolgersi in più riprese ed attraverso una serie indefinita di integrazioni.
Quanto detto è conforme agli orientamenti giurisprudenziali espressi in sede comunitaria, secondo i quali il concorrente deve poter far valere, in contraddittorio, il proprio punto di vista su ciascuno dei vari elementi di prezzo proposti, prima ancora che l'amministrazione respinga un'offerta ritenuta anormalmente bassa.
Il procedimento di verifica di anomalia è improntato alla massima collaborazione tra stazione appaltante e offerente, onde consentire all'amministrazione di raggiungere un risultato comunque affidabile, lasciando, tuttavia, alla stessa ampia discrezionalità nel circoscrivere i termini in relazione all'oggetto dell'appalto ed alla natura delle prestazioni.
Tale impostazione è dettata nel rispetto della par condicio di tutti i concorrenti e a garanzia del pubblico interesse, assicurando, pertanto, la definizione della gara in termini rapidi e certi (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 20.05.2010 n. 12518 - link a www.
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ATTI AMMINISTRATIVIAVVIO DEL PROCEDIMENTO COMUNICATO IN VIA DI FATTO: EQUIVALE A COMUNICAZIONE FORMALE?
1. Procedimento amministrativo - Avvio - Comunicazione - Necessità - Non sussiste - Ipotesi - Ragioni.
1. Non sussiste violazione dell'art. 7 L. 241/1990, sull'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento, nel caso in cui un atto di diffida dell'amministrazione sia preceduto da un sopralluogo effettuato in presenza dell'interessato, il quale viene così edotto dalla situazione; in questo caso, di provvedimento esecutivo preceduto dalla diffida, un ulteriore avviso di inizio di procedimento non può aggiungere elementi di conoscenza.
Si rammenta, infatti, come tutti i requisiti formali contemplati dall'art. 8 L. 241/1990 per l'avviso di inizio di procedimento non siano ritenuti imprescindibili dal prevalente orientamento giurisprudenziale, essendo sufficiente che l'Amministrazione abbia svolto una previa attività informativa sostanzialmente equipollente (ex multis, TAR Veneto Venezia, 04-12-2009 n. 3460) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. III, sentenza 18.05.2010 n. 2043 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il termine iniziale dell'interdizione annuale dalle gare per chi abbia reso false dichiarazioni ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. h), d.lgs. n. 163 del 2006 decorre dalla data di iscrizione nel casellario AVCP delle notizie concernenti le false dichiarazioni.
In ordine all’individuazione del termine iniziale dell’interdizione annuale dalle gare per chi abbia reso false dichiarazioni ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. h), d.lgs. nr. 163 del 2006, la Sezione IV del Consiglio di Stato reputa che l’orientamento più volte ribadito dall’Autorità (secondo cui gli effetti dell’interdizione annuale decorrono dalla data di iscrizione nel casellario delle notizie concernenti le false dichiarazioni, quale unico riferimento temporale certo e non contestabile) appaia maggiormente in linea con le richiamate esigenze di certezza e stabilità dei rapporti giuridici, e che per converso non possa assumere rilievo decisivo lo spatium temporis eventualmente intercorrente tra il momento storico della falsa dichiarazione e quello dell’iscrizione nel Casellario (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.05.2010 n. 3125 - link a www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: La convenzione può prevedere impegni patrimoniali più onerosi per i privati rispetto a quelli stabiliti in via generale dalla tabella degli oneri di urbanizzazione primaria, trattandosi di materia nella piena disponibilità delle parti.
Ad oggi l’affidamento diretto al titolare del permesso di costruire della realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo dei relativi oneri può ancora ritenersi ammissibile quando ricorrano due condizioni necessariamente cumulative, ovvero:
(a) se l’importo dei lavori sia particolarmente modesto (mancando una precisa clausola de minimis potrebbe essere utilizzata come riferimento la soglia di € 100.000, che autorizza sempre la procedura negoziata ex art. 122 comma 7 del Dlgs. 163/2006);
(b) se le esigenze di urbanizzazione siano limitate al semplice insediamento individuale di un edificio.

È vero che la sede più adeguata per la previsione di opere di urbanizzazione al servizio di un’intera zona è la convenzione di lottizzazione, nel cui ambito è possibile prevedere che i lottizzanti si facciano carico anche dell’urbanizzazione di aree estranee alla lottizzazione. Tuttavia particolari accordi con l’amministrazione possono essere collegati anche ai permessi di costruire singoli (v. TAR Brescia 13.07.2005 n. 749; TAR Brescia 16.05.2006 n. 567; TAR Brescia 26.11.2008 n. 1691).
La convenzione può prevedere impegni patrimoniali più onerosi per i privati rispetto a quelli stabiliti in via generale dalla tabella degli oneri di urbanizzazione primaria, trattandosi di materia nella piena disponibilità delle parti (v. CS Sez. IV 28.07.2005 n. 4015).
Naturalmente la pretesa dell’amministrazione di condizionare l’intervento edilizio alla realizzazione di specifiche opere di urbanizzazione incontra delle limitazioni. In particolare:
(a) deve trattarsi di opere necessarie per dotare la zona di servizi non rinunciabili secondo canoni urbanistici moderni;
(b) l’onere economico deve essere ripartito tra il privato e l’amministrazione in misura proporzionale al rispettivo interesse.
Non esiste un’unità di misura dell’interesse che si adatti a tutte le situazioni. Costituiscono parametri idonei il numero delle abitazioni che possono allacciarsi ai nuovi servizi e le dimensioni delle stesse con il relativo peso insediativo (v. TAR Brescia 19.12.2007 n. 1362).
Nel caso delle infrastrutture del servizio idrico integrato il peso insediativo può essere misurato attraverso il volume degli edifici che beneficeranno degli estendimenti della rete.
Con il terzo motivo di ricorso viene in rilievo un altro aspetto del problema delle urbanizzazioni, ossia il divieto legislativo di origine comunitaria di affidare al titolare del permesso di costruire (o al presentatore della DIA) l’esecuzione di opere pubbliche al di fuori di una procedura a evidenza pubblica. Per i lavori sotto soglia l’art. 122, comma 8, del Dlgs. 163/2006 prevede quantomeno una procedura negoziata con invito rivolto a cinque aspiranti idonei.
La tesi è in gran parte condivisibile ma sostanzialmente inutile per i fini che la ricorrente intende perseguire in questo giudizio.
Occorre precisare che l’affidamento diretto al titolare del permesso di costruire della realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo dei relativi oneri può ancora ritenersi ammissibile quando ricorrano due condizioni necessariamente cumulative, ovvero:
(a) se l’importo dei lavori sia particolarmente modesto (mancando una precisa clausola de minimis potrebbe essere utilizzata come riferimento la soglia di € 100.000, che autorizza sempre la procedura negoziata ex art. 122 comma 7 del Dlgs. 163/2006);
(b) se le esigenze di urbanizzazione siano limitate al semplice insediamento individuale di un edificio (argomento desumibile da C. Giust. Sez. VI 12.07.2001 C-399/98, punto 67, che ravvisa la presenza di lavori pubblici quando l’opera soddisfi esigenze ulteriori rispetto a quelle strettamente collegate all’inserimento dell’edificio del privato).
Nel caso in esame le due condizioni sussistono per i parcheggi e il marciapiede (tenuto conto dei costi stimati nel ricorso e del fatto che si tratta di tipologie di opere di interesse pubblico ormai normalmente collegate alla realizzazione di nuovi edifici), mentre per quel che riguarda gli estendimenti della rete del servizio idrico integrato ricorre la prima condizione ma non la seconda, in quanto l’interesse principale, almeno sotto il profilo quantitativo, è delle abitazioni esistenti che potranno allacciarsi, e quindi in definitiva del Comune.
Di conseguenza, il Comune non può subordinare l’intervento edilizio all’assunzione da parte della ricorrente dell’impegno a realizzare gli estendimenti della rete del servizio idrico integrato.
Questo significa che le relative opere dovranno essere realizzate dal Comune o dal gestore del servizio, prima dell’inizio dei lavori relativi all’edificio residenziale o in contemporanea se sarà concluso un accordo in questo senso.
Il Comune può invece imporre la ripartizione della spesa sostenuta per i suddetti estendimenti
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 14.05.2010 n. 1739 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: L'assenso dell'Autorità comunale al piano di lottizzazione non è atto dovuto pur se conforme al piano regolatore generale.
Se per costante giurisprudenza l'assenso dell'Autorità comunale al piano di lottizzazione non è atto dovuto pur se conforme al piano regolatore generale, esso “è pur sempre espressione del potere discrezionale della stessa circa l'opportunità di dare attuazione alle previsioni dello strumento urbanistico generale”, e di conseguenza deve essere motivato per contrasto con norme di legge, regolamento o dello stesso strumento urbanistico (TAR Calabria Catanzaro, sez. I, 28.01.2008, n. 84), tanto più che “in sede di rilascio del provvedimento abilitativo l'amministrazione non ha il potere di introdurre limiti alle facoltà edificatorie dei privati, ulteriori rispetto a quelli di fonte legale o pianificatoria” (Tar Palermo 12.06.2006 n. 1428).
Ora, come è noto, la disciplina normativa inerente il piano di lottizzazione, dettata dall'art. 28 della l. 17.08.1942 n. 1150, è volta a garantire l'attuazione, su un territorio non urbanizzato o non sufficientemente urbanizzato, di opere di urbanizzazione primaria o secondaria, occorrenti per le necessità dell'insediamento, senza che la legge contenga alcuna preclusione in ordine alla possibilità di ricorrere a tale strumento anche per aree parzialmente edificate.
Ciò che rileva, infatti, non è che la zona sia edificata o meno, ma che residui un’ interesse dell’amministrazione al completamento dell’urbanizzazione, tale da comportare una nuova definizione dell'assetto preesistente, attraverso la redazione e la stipula di una convenzione lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell'intervento di nuova realizzazione (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 10.05.2010 n. 3367 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADistanze tra fabbricati: é usucapibile il diritto a mantenere le costruzioni a distanza inferiore a quella di legge.
Su indicazione dello Studio legale Carrara e Luzzi di Sondrio, segnaliamo una interessante sentenza della Corte di Cassazione in materia di distanze tra fabbricati.
Afferma la Corte che, ferma la distinzione dei caratteri tra potere privato e potere pubblico, deve ritenersi ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dalle norme del codice civile o da quelle dei regolamenti e degli strumenti urbanistici locali.
Non sono di ostacolo a questa concezione -afferma la Corte- le possibili frodi prospettate dalla giurisprudenza.
Si tratta, infatti:
- di un inconveniente (dipendente comunque da un congegno macchinoso e precario) che non giustifica un inquadramento incoerente dei principi vigenti sui modi di acquisto dei diritti reali e sulla disciplina dei limiti legali della proprietà.
Tantomeno questo inconveniente vale a giustificare la illogica dicotomia tra tutela delle distanze di fonte codicistica e di fonte regolamentare.
Non sarebbero neppure configurabili le temibili diseconomie esterne (conseguenze negative sul piano della salute e dell'ambiente) che gli studiosi di analisi economica del diritto rinvengono nella deroga pattizia alle distanze.
Altro è infatti incidere sui poteri pubblici, o consentire una generalizzata derogabilità, il che può cagionare effetti lesivi permanenti dell'interesse generale tutelato; altro è ammettere che operi il fenomeno dell'usucapione.
Esso vale soltanto a riportare il meccanismo di contemperamento dei diritti soggettivi nell'alveo ordinario previsto dal legislatore, escludendo la sussistenza, nel circoscritto ambito della proprietà immobiliare, di diritti soggettivi a tutela rafforzata
(Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 22.02.2010 n. 4240 - commento e sentenza tratti da http://studiospallino.blogspot.com).

AGGIORNAMENTO AL 04.06.2010

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QUESITI

EDILIZIA PRIVATALombardia, Esame impatto paesistico dei progetti ex art. 35 della normativa del Piano Paesistico del P.T.R. (deliberazione C.R. 19.01.2010 n. 951) in relazione ad interventi edilizi sottratti ad ogni tipo di atto abilitativo (D.L. 40/2010 coordinato con la Legge di conversione 73/2010):
DOMANDE: a decreto legge convertito in legge come sopra evidenziato, in merito agli interventi edilizi che possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo (ndr: di tipo edilizio) con o senza la preventiva comunicazione di inizio dei lavori all’Ufficio Tecnico comunale:
1. è, comunque, fatta salva la necessaria e preventiva autorizzazione paesaggistica laddove il territorio fosse paesaggisticamente vincolato ex D.Lgs. n. 42/2004, e ciò a prescindere dalla classificazione dell’intervento edilizio e sempre che lo stesso incida sull’esteriore aspetto dei luoghi e degli edifici?
2. per il territorio non paesaggisticamente vincolato, come si correla la nuova attività edilizia libera con l’obbligo normativo regionale di effettuare, comunque, l’esame dell’impatto paesistico di tutti quegli interventi, a prescindere dalla loro classificazione, che incidono sull’esteriore aspetto dei luoghi e degli edifici?
(risposta e-mail del 03.06.2010 della Regione Lombardia, U.O.O. Giuridico per l'edilizia, il paesaggio e le valutazioni ambientali - D.G. Territorio e Urbanistica).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA: Interventi edilizi di manutenzione straordinaria: nuova normativa (anche in Lombardia).
In data 26.05.2010 è entrata in vigore la legge 22.05.2010, n. 73 -conversione del D.L. n. 40/2010- che all’art. 5 detta disposizioni in materia di attività edilizia, andando a sostituire l’art. 6 del T.U. dell’edilizia (D.P.R. n. 380/2001).
Rispetto alla stesura iniziale del D.L., la norma è stata completamente riscritta in sede parlamentare: tra le novità introdotte, la più importante è la cancellazione dell’inciso secondo cui le nuove regole dettate in materia di attività edilizia libera, sono applicabili “salvo più restrittive disposizioni previste dalla disciplina regionale”.
La modifica, che si pone nel solco dei precedenti provvedimenti anticrisi adottati dal Governo e dal Parlamento nell’ambito della propria politica economico-finanziaria, pare introdurre una disciplina uniforme dell’attività edilizia libera, finalizzata a definire un livello minimo di semplificazione non derogabile in senso restrittivo dalla Regione, alla quale è consentito solo di integrare e adattare la normativa statale.
Una tale lettura del nuovo art. 6 del D.P.R. n. 380/2001 non consente di considerare "di dettaglio" le disposizioni ivi previste;
queste ultime, pertanto, non potranno più ritenersi disapplicate per effetto dell’art. 103, comma 1, della L.R. n. 12/2005, legge per il Governo del Territorio.
Pertanto,
anche in Regione Lombardia, trova immediata applicazione il regime semplificato delineato a livello statale per gli interventi di manutenzione straordinaria e per gli altri normativamente individuati.
Il presente comunicato annulla evidentemente il precedente, pubblicato in data 31.03.2010 a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 40.
L’Assessore al Territorio e Urbanistica, Daniele Belotti
Il Direttore Generale, Bruno Mori (comunicato 03.06.2010 - link a www.territorio.regione.lombardia.it).
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N.B.: attenzione, pertanto, che dallo scorso 26.05.2010 bisogna fare i conti con la nuova normativa nazionale, nell'ambito dell'istruttoria delle varie istanze edilizie (od esecuzione libera di lavori).

URBANISTICA: Chiarimenti ai Comuni sull'applicazione della VAS a seguito della sentenza del TAR Lombardia.
Il TAR della Lombardia-Milano, con sentenza 17.05.2010 n. 1526, ha annullato il PGT di un Comune della provincia di Como e nel contempo il punto 3.2 dell’allegato 1 della deliberazione della Giunta regionale n. 6420 del 27.12.2007 in materia di VAS.
Sotto quest’ultimo profilo, tra le motivazioni addotte dal tribunale amministrativo viene richiamata la “necessaria imparzialità dell’autorità competente rispetto all’autorità procedente”.
Nel comunicare che
Regione Lombardia si appresta a impugnare avanti il Consiglio di Stato la richiamata sentenza del TAR, con richiesta di sospensiva, si precisa che il procedimento di Valutazione Ambientale del Documento di piano del PGT resta al momento disciplinato dagli allegati 1a (Documento di Piano – PGT) e 1b (Documento di Piano – PGT piccoli Comuni), approvati con la successiva deliberazione della Giunta regionale n. 10971 del 30.12.2009.
Regione Lombardia si riserva di formulare ulteriori indicazioni a seguito della definizione del contenzioso in atto.
L'Assessore al Territorio e Urbanistica, Daniele Belotti
Il Direttore Generale, Bruno Mori (comunicato 01.06.2010 - link a www.territorio.regione.lombardia.it).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

ENTI LOCALI: Utilizzo delle autovetture in dotazione alle amministrazioni pubbliche (direttiva 11.05.2010 n. 6/2010).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: La manovra estiva del Governo: schede illustrative (CGIL-FP, nota 03.06.2010).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICA: La distinzione tra vincoli espropriativi (o di inedificabilità) e conformativi non discende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma dipende soltanto dai requisiti oggettivi, di natura e struttura, dei vincoli stessi.
Devono considerarsi conformativi i vincoli inquadrabili nella zonizzazione dell'intero territorio comunale, o di parte di esso, che incidono su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell'intera zona in cui i beni ricadono ed in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto (per lo più spaziale) con un'opera pubblica.
Sono, invece, espropriativi i vincoli incidenti su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona ma della localizzazione di un'opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, con la conseguente influenza sugli effetti indennitari e sulla durata dei vincoli.

Per giurisprudenza costante, la distinzione tra vincoli espropriativi (o di inedificabilità) e conformativi non discende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma dipende soltanto dai requisiti oggettivi, di natura e struttura, dei vincoli stessi.
In particolare, devono considerarsi conformativi i vincoli inquadrabili nella zonizzazione dell'intero territorio comunale, o di parte di esso, che incidono su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell'intera zona in cui i beni ricadono ed in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto (per lo più spaziale) con un'opera pubblica.
Sono, invece, espropriativi i vincoli incidenti su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona ma della localizzazione di un'opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, con la conseguente influenza sugli effetti indennitari e sulla durata dei vincoli (Consiglio Stato, sez. IV, 23.09.2008, sez. IV n. 4606; 09.06.2008, n. 2837; Cassazione civile, sez. I, 19.09.2006, n. 20252).
Sono stati pertanto ritenuti conformativi, e come tali non soggetti a decadenza, i vincoli con cui determinati terreni sono classificati come "aree per attrezzature collettive e di uso collettivo (Consiglio Stato, sez. IV, 23.09.2008, n. 4606 cit.), ed anche i vincoli di "verde pubblico-verde urbano" o "verde attrezzato" (Consiglio Stato, sez. IV, 25.05.2005, n. 2718) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 03.05.2010 n. 2398 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sussiste l’impossibilità di un divieto generalizzato di collocare mezzi pubblicitari, esteso indistintamente a tutto il territorio comunale, che come tale sarebbe certamente lesivo della libertà di iniziativa economica privata, dato che in termini semplici non consentirebbe alle imprese del settore di lavorare.
Il potere regolamentare del Comune in materia deve essere esercitato secondo proporzionalità e adeguatezza, prevedendo in via generale le limitazioni necessarie al “pubblico interesse”, nel quale rientra senza dubbio anche la sicurezza stradale; i singoli provvedimenti di diniego dovranno poi motivare, in base ad una corretta e completa istruttoria, quali siano le esigenze in concreto pregiudicate, che non consentono di accoglier una domanda.
Norme di legge le quali disciplinano la collocazione sul territorio comunale di mezzi pubblicitari sono fondamentalmente tre.
L’art. 23 del d. lgs. 30.04.1992 n. 285, cd. Codice della strada, stabilisce un principio generale per cui è possibile da parte degli enti proprietari delle strade il rilascio di autorizzazioni a collocare cartelli ed altri mezzi pubblicitari; prevede poi divieti di collocazione in fattispecie particolari, che hanno come comune denominatore l’esigenza di garantire una sicura circolazione stradale.
Vi è, poi, l’art. 3 del d.lgs. 15.11.1993 n. 507, secondo il quale il Comune deve dotarsi di un regolamento sulla pubblicità che “disciplina le modalità di effettuazione” della stessa e “può stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse”.
Vi è, da ultimo, l’art. 62, comma 2, lettera c), del d.lgs. 15.12.1997 n. 446, per cui il Comune, nel regolamento sull’imposta prevista per la pubblicità, può disciplinarne le “modalità di impiego”.
Da tale complesso normativo, la giurisprudenza, anche di questo Tribunale, ha desunto, a contrario, l’impossibilità di un divieto generalizzato di collocare mezzi pubblicitari, esteso indistintamente a tutto il territorio comunale, che come tale, condividendosi sul punto il rilievo della ricorrente, sarebbe certamente lesivo della libertà di iniziativa economica privata, dato che in termini semplici non consentirebbe alle imprese del settore di lavorare.
La normativa infatti ragiona di limitazioni nell’ambito di un generale principio per cui la pubblicità è permessa, non già di una proibizione in linea di principio, salve deroghe.
Il potere regolamentare del Comune in materia deve, quindi, essere esercitato secondo proporzionalità e adeguatezza, prevedendo in via generale le limitazioni necessarie al “pubblico interesse”, nel quale rientra senza dubbio anche la sicurezza stradale; i singoli provvedimenti di diniego dovranno poi motivare, in base ad una corretta e completa istruttoria, quali siano le esigenze in concreto pregiudicate, che non consentono di accoglier una domanda (nel senso dell’illegittimità di un divieto generalizzato, TAR Veneto sez. III, 09.02.2006, n. 339 e, nella giurisprudenza di questo TAR, l’ord. 09.11.2007 n. 854; identico principio ribadiscono TAR Lazio Latina, 04.01.2007, n. 7 e TAR Lazio Roma sez. II, 11.12.2007, n. 12951 anche con riguardo al caso particolare in cui il regolamento comunale manchi).
E’ solo per completezza infine che si precisa come divieti generalizzati di collocazione di impianti pubblicitari potrebbero derivare da altre disposizioni di legge, diverse da quelle citate ed espressione di valori a loro volta costituzionalmente tutelati, come ad esempio nel caso di vincoli ambientali o paesaggistici, dei quali peraltro nella specie non è stata invocata l’esistenza.
Pertanto, vanno annullati, in conformità alla domanda della ricorrente, sia le disposizioni regolamentari che tale divieto generalizzato impongono, sia il provvedimento puntuale che ne ha fatto applicazione, nei termini precisati in dispositivo (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 21.04.2010 n. 1596 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 03.06.2010

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CONVEGNI

Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a Bergamo per martedì 08.06.2010 co-organizzata dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni ivi riportate.

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Una "manovra estiva" iniqua, centralista e contraddittoria (CGIL-FP di Bergamo, nota 31.05.2010).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 31.05.2010 n. 125, suppl. ord. n. 115, "Approvazione dello schema aggiornato relativo al VI Elenco ufficiale delle aree protette, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 3, comma 4, lettera c), della legge 06.12.1994, n. 394 e dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 28.08.1997, n. 281" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 27.04.2010).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 31.05.2010 n. 125, suppl. ord. n. 114/L, "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica" (D.L. 31.05.2010 n. 78 - file 1 - file 2).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 22 del 31.05.2010, "Direzione Centrale Affari Istituzionali e Legislativo – Nomine e designazioni di competenza della Giunta regionale: Commissioni Regionali per il Paesaggio (rif. art. 78 della l.r. 11.03.2005, n. 12 «Legge per il governo del territorio»)" (comunicato regionale 26.05.2010 n. 69 - link a www.infopoint.it).

ESPROPRIAZIONE: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 22 del 31.05.2010, "Valori agricoli medi validi per l’anno 2010 dei terreni, considerati liberi da vincoli di contratti agrari, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati, determinati nell’ambito delle singole regioni agrarie lombarde a norma dell’art. 41 –comma 4– del d.P.R. 08.06.2001, n. 327 e successive modifiche ed integrazioni – Integrazione al comunicato 08.04.2010 n. 45 per le province di Brescia e Lecco" (comunicato regionale 24.05.2010 n. 65 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 21 del 28.05.2010, "Indicazioni generali per i Comuni sui turni di servizio dei giorni festivi e domenicali nonché delle ferie annuali degli impianti di distribuzione dei carburanti in attuazione dell’art. 3 della d.g.r. 21.10.2009, n. 10359" (decreto D.S. 24.05.2010 n. 5368 - link a www.infopoint.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: L. D'Angelo, Divagazioni sull’accesso immediato nei procedimenti di gara (link a www.altalex.com).

URBANISTICA: VAS e PGT: per il TAR Lombardia, se la prima é illegittima, lo é anche il secondo (link a http://studiospallino.blogspot.com).

PUBBLICO IMPIEGO: S. Delle Donne, Mobbing e dintorni.
In materia di mobbing non esiste una normativa specialistica e i legali impegnati a difendere queste vittime fondano le loro giuste pretese sulle disposizioni codicistiche e la giurisprudenza, cimentandosi quotidianamente in un aggiornamento rigoroso.
In questi anni, infatti, la Magistratura ha indicato alcuni elementi distintivi del mobbing, giudicati col passare del tempo essenziali e irrinunciabili, al fine di identificare e riconoscere tale nuova fattispecie giuridica.
La Corte di Cassazione, anche nelle sentenze più recenti, confermando la tesi prevalente, ha tradotto il termine inglese “mobbing” con “persecuzione”, poiché il fenomeno può essere descritto soltanto come un coacervo di azioni (legali e non) finalizzate a un obiettivo specifico (l’estromissione del lavoratore dal gruppo umano), attuate per un congruo periodo e soprattutto artatamente congegnate dall’autorità vigente, cioè da chi può premiare e punire i sottoposti, quindi anche abusare di tale potere a fini estorsivi.
Queste strategie di sopruso, spesso presenti in vari ambienti di lavoro, segnano in modo indelebile i lavoratori, danneggiando drammaticamente le loro esistenze (e quelle dei familiari): ciò accade, in particolar modo, quando la persecuzione si perfeziona con il licenziamento o addirittura con l’infamante licenziamento disciplinare, che aggiunge dolore a chi già soffre per l’incomprensione di parenti e amici e per la perdita del proprio ruolo sociale (link a www.diritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Note applicative del d.lgs. 150/2009 (Comitato per l’attuazione del Protocollo di Intesa tra UPI e Ministero per la pubblica amministrazione e innovazione - link a www.ambientediritto.it).

NEWS

ENTI LOCALI - VARI: L'abc della manovra di Tremonti in 62 voci (link a www.ilsole24ore.it).

ICI - VARI: Sì all'Ici per i terreni vincolati Anche se la mission è scaduta.
L'Ici va pagata sui terreni anche se formalmente non sono più fabbricabili perché è decaduto lo strumento urbanistico attuativo e anche se vincoli urbanistici impediscono l'effettiva realizzazione di costruzioni. Per l'imponibilità è infatti sufficiente il piano regolatore generale.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con la sentenza 28.05.2010 n. 13135, ha accolto il ricorso del comune di Ascoli Satriano che chiedeva il pagamento dell'Ici su un terreno soggetto a una serie di vincoli urbanistici e il cui piano attuativo era decaduto.
Il proprietario, dopo aver ricevuto l'accertamento, lo aveva impugnato di fronte al giudice tributario e, in primo e secondo grado aveva vinto. A questo punto l'ente locale ha fatto ricorso in Cassazione che ha ribaltato le sorti della vicenda.
I consiglieri di Piazza Cavour, analizzando il panorama normativo entrato in vigore dopo il decreto Bersani, hanno stabilito che «ai fini dell'applicazione del dlgs n. 504/1992, un'area è da considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo: in tal caso, l'Ici deve essere dichiarata e liquidata sulla base del valore venale in comune commercio, tenendo anche conto di quanto sia effettiva e prossima la utilizzabilità a scopo edificatorio del suolo e di quanto possano incidere gli ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione. Inoltre nel sistema dell'Ici, quella di area fabbricabile è una nozione ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria, che non può essere esclusa dalla sussistenza di vincoli capaci di condizionare in concreto la possibilità di costruire, perché tali limiti non fanno venir meno ed, anzi, presuppongono la vocazione edificatoria del terreno, incidendo soltanto sul suo valore venale».
Dopo aver applicato questo principio generale, i giudici hanno inoltre bacchettato la commissione tributaria regionale che, secondo loro, «avrebbe dovuto ritenere la natura fabbricabile dei terreni, essendo al riguardo ininfluente sia l'intervenuta decadenza dello strumento urbanistico attuativo sia la dedotta inedificabilità concreta dei suoli».
La procura generale di Piazza Cavour aveva invece espresso un'opinione contraria. Aveva infatti sollecitato il collegio a respingere il ricorso del comune (articolo ItaliaOggi dell'01.06.2010, pag. 27).

APPALTI: La p.a. lumaca paga. Una circolare Assonime illustra una sentenza del Cds. Ritardi, no a modifiche unilaterali.
Sono illegittime le clausole, contenute in un bando di gara, con cui la pubblica amministrazione apporta modifiche unilaterali alla disciplina dei ritardi di pagamento che siano difformi da quelle previste dal dlgs n. 231/2002. Le deroghe alla norma, infatti, devono risultare da accordi espliciti tra le parti. Inoltre, anche le associazioni di categoria, pur non essendo imprese che partecipano alla gara, sono legittimate ad agire in giudizio in tali casi. Queste, infatti, tutelano interessi collettivi rispetto a clausole contrattuali che, a causa della loro iniquità, possono avere avuto un effetto dissuasivo nei confronti di altri possibili partecipanti.
È quanto ricorda l'Associazione fra le società italiane per azioni (Assonime) nella sua circolare 31.05.2010 n. 19, con la quale riprende i rilevanti contenuti della sentenza n. 469/2010 emessa dal Consiglio di Stato in tema di bandi di gara della pubblica amministrazione e disciplina dei ritardi di pagamento.
Un documento, quello pubblicato da Assonime, che vuole essere un vero e proprio vademecum per le imprese che si apprestano a partecipare a bandi di gara emessi da stazioni appaltanti pubbliche, sottolineando gli indirizzi giurisprudenziali più recenti che possono tutelare le imprese partecipanti.
Sulla scorta pertanto della pronuncia di Palazzo Spada, che ha respinto l'appello del Ministero della Giustizia in ordine a clausole contenute in un proprio bando di gara, Assonime ricorda che la deroga agli articoli 4 e 5 del citato dlgs n. 231/2002 (norme, queste, che prevedono il pagamento del corrispettivo a 30 giorni e, in caso di ritardo, il pagamento degli interessi nella misura dell'8%) «è ammessa solo attraverso un accordo esplicito tra le parti a seguito di apposita contrattazione e trattativa sul punto».
In sostanza, si legge nel documento, le stazioni appaltanti non possono autoritativamente inserire nei bandi di gara, clausole che prevedono il pagamento in un termine superiore a quello previsto dalla disposizione normativa, ovvero una misura degli interessi che sia «difforme» da quanto ivi previsto, a meno che esse non siano il frutto di «un accordo o comunque una esplicita e libera accettazione delle parti interessate».
In particolare, la p.a. non ha il potere di stabilire in modo unilaterale le conseguenze del proprio inadempimento contrattuale (come gli interessi o l'allungamento della propria obbligazione a pagare), a meno che essa «non voglia ricadere sotto le sanzioni di invalidità per iniquità e vessatori età».
Infine, la circolare di Assonime ricorda come nella sentenza in esame, il collegio di Palazzo Spada abbia sancito, in particolare, la legittimazione ad agire da parte delle associazioni di categoria e tutela degli interessi collettività, pur non essendo imprese partecipanti alla gara.
Il Consiglio, infatti, ha rilevato che l'oggetto del giudizio non era il bando «bensì le clausole inique in esso contenute». Ed è pacifico che le associazioni di categoria tutelano interessi collettivi rispetto a clausole contrattuali inserite nei bandi che possono, a causa della loro iniquità, avere un effetto dissuasivo nei confronti di una più ampia platea di possibili partecipanti (articolo ItaliaOggi dell'01.06.2010, pag. 21).

PUBBLICO IMPIEGOCome cambiano le pensioni. Tutte te novità su finestre, invalidità e liquidazioni.
Fino a un anno in più per l'addio al lavoro. Penalizzati soprattutto i trattamenti di vecchiaia. Per l'anzianità l'attesa può crescere anche di un solo mese ... (articolo Il Sole 24 Ore del 31.05.2010 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOLiquidazioni «leggere». Cambiano i criteri di calcolo per il trattamento di fine servizio.
Donne in salvo. L'età pensionabile delle dipendenti pubbliche. Cassata la norma che prevedeva l'innalzamento dell'età pensionabile per la pensione di vecchiaia delle dipendenti pubbliche.
Nel testo presentato dal Governo è scomparsa la norma che prevedeva l'accelerazione dell'innalzamento dell'età pensionabile per la pensione di vecchiaia delle dipendenti pubbliche da 60 a 65 anni, attraverso una diversa scalettatura -non più un anno ogni biennio, ma un anno ogni 18 mesi- che avrebbe determinato che già dal 1° luglio 2011 sarebbero stati necessari 62 anni ... (articolo Il Sole 24 Ore del 31.05.2010 - link a www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

SEGRETARI COMUNALII segretari danno l'addio all'indennità da direttore.
La parola d'ordine «risparmio» nella Pa fa mettere le mani nelle retribuzioni dei segretari comunali. Non potrà più essere riconosciuta l'indennità di direttore generale se il segretario opera in un comune con popolazione non superiore 100mila abitanti.
Ad affermarlo è la Corte dei Conti -sezione controllo per la Lombardia- con il parere 06.05.2010 n. 593.
Il problema è sorto con l'approvazione della legge 42/2010, di conversione del Dl 2/2010, che àbroga la figura del direttore generale nei comuni succitati, ma nulla dispone sulla attribuzione delle relative funzioni ai segretari comunali ... (articolo Il Sole 24 Ore del 31.05.2010 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOTermini incerti sulle progressioni. Per la Corte dei Conti l'obbligo di concorso è già in vigore.
Sulla questione delle progressioni verticali dopo la riforma Brunella è intervenuta anche la sezione regionale della Corte dei Conti del Piemonte che, con il parere 20.05.2010 n. 41/2010, prende in considerazione i passaggi di carriera.
Tralasciando l'ipotesi che le novità potessero essere efficaci dal 15 novembre scorso, rimangono in piedi due interpretazioni difficilmente conciliabili.
Da una parte chi sostiene che le progressioni verticali alla vecchia maniera fossero possibili solamente fino al 31.12.2009; dall'altra c'è chi vede uno spazio per poter procedere per tutto il 2010 in quanto gli enti locali sono chiamati a un adeguamento e nel frattempo rimane in vigore la norma speciale dell'articolo 91, comma 3, del Dlgs 267/2000.
Nel mezzo la fermezza dell'Anci che ha ribadito, nel forum online del 25 maggio scorso, come quest'anno si potranno portare a termine solo le progressioni verticali già previste nella programmazione triennale del fabbisogno di personale vigente all'entrata in vigore del Dlgs 150/2009.
La questione è stata trattata diversamente dagli enti locali e dalla pubblica amministrazione che, nel tentativo di riconoscere le ultime progressioni di carriera anche a non laureati e con concorsi riservati agli interni, si sono affrettati ad adottare atti e deliberazioni ... (articolo Il Sole 24 Ore del 31.05.2010 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere di urbanizzazione - Scomputo oneri concessori - Fungibilità oneri relativi ad opere di urbanizzazione primaria ed oneri relativi ad opere di urbanizzazione secondaria - Va esclusa.
Delibera emessa su richiesta proveniente dal Comune di Andezeno recante
quesiti in materia di scomputo degli oneri di urbanizzazione (
Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Piemonte, parere 20.05.2010 n. 40).

GIURISPRUDENZA

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Bonifica - Ordinanza - Competenza - Provincia - Art. 244 d.lgs. n. 152/2006.
L’art. 244 del d.lgs. n. 152/2006 ha assegnato la competenza ad adottare l’ordinanza di bonifica, finalizzata ad assicurare la tutela ambientale, alla Provincia e non al Comune, in ragione verosimilmente dei molteplici interessi pubblici coinvolti in episodi di inquinamento i quali normalmente trascendono l’ambito territoriale comunale.
INQUINAMENTO - Bonifica di un sito inquinato - Utilizzo dello strumento dell’ordinanza contingibile e urgente - Illegittimità - Ragioni - Art. 244 d.lgs. n. 152/2006.
L'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente del sindaco presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, cui non si potrebbe far fronte col ricorso agli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (ex plurimis: Cons. St., Sez. IV, 13.12.1999, n. 1844).
Ne deriva che l’ordinanza contingibile e urgente non è legittimamente utilizzabile per disporre in ordine alla bonifica di un sito inquinato, ipotesi per la quale l’art. 244 del d.lgs. n. 152/2006 appresta una specifica e articolata procedura.
INQUINAMENTO - Obbligo di bonifica dei siti inquinati - Responsabile dell’inquinamento - Disciplina - Artt. 242 e ss. d.lgs. n. 152/2006 - Principio “chi inquina paga”.
Nell'attuale sistema normativo, l'obbligo di bonifica dei siti inquinati grava, in primo luogo, sull'effettivo responsabile dell'inquinamento, responsabile che le Autorità amministrative hanno l'onere di ricercare ed individuare (artt. 242 e 244 D.Lgs. 152/2006), mentre il proprietario non responsabile dell'inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera "facoltà" di effettuare interventi di bonifica (art. 245); nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica saranno realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250), salvo, a fronte delle spese da esse sostenute, l'esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo, a tutela del credito per la bonifica e la qualificazione degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso, onere destinato pertanto a trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno (art. 253).
Il complesso di questa disciplina, conforme al diritto comunitario, appare ispirato al cosiddetto principio del “chi inquina paga”, da intendersi in senso sostanzialistico e che consiste, in definitiva, nell’imputazione dei costi ambientali al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita.
INQUINAMENTO - Principio di effettività della protezione del’ambiente - Individuazione dei responsabili dei fatti di contaminazione - Condotte attive e omissive - Indizi gravi, precisi e concordanti.
Alla luce dell’esigenza di effettività della protezione dell’ambiente, ferma la doverosità degli accertamenti indirizzati ad individuare con specifici elementi i responsabili dei fatti di contaminazione, l’imputabilità dell’inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive, prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’ “id quod plerumque accidit”, che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori (cfr. TAR Calabria-Catanzaro 1118/2009) (TAR CALABRIA-Catanzaro, Sez. I, sentenza 31.05.2010 n. 959 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Convenzioni urbanistiche - Natura contrattuale - Valore vincolante - Modifiche unilaterali - Limiti - Prestazioni eccedenti gli oneri di urbanizzazione.
Le convenzioni urbanistiche stipulate tra i privati e l'Amministrazione hanno natura contrattuale disciplinando il rapporto tra le parti con valore vincolante e, pertanto, resta esclusa la possibilità che l'amministrazione o il privato, che a tale regolamentazione dei reciproci rapporti si sono assoggettati, possano legittimamente avanzare la pretesa di modificarne unilateralmente il contenuto (cfr. TAR Lombardia Brescia, 25.07.2005, n. 784).
Inoltre, in virtù della convenzione, il privato è obbligato ad eseguire puntualmente tutte le prestazioni ivi assunte, a nulla rilevando che queste possano eccedere originariamente o successivamente gli oneri di urbanizzazione (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 10.01.2003, n. 33) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 31.05.2010 n. 956 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: La costruzione abusiva di un manufatto di non trascurabili dimensioni rientra a pieno titolo tra quelle trasformazioni fisiche del territorio a carattere permanente assoggettate a previo rilascio del permesso di costruire.
La nozione urbanistica di pertinenza è assai più ristretta di quella contenuta nell’art. 817 del codice civile, essendo la prima configurabile solo quando l’opera non abbia un consistente e autonomo impatto sul territorio.

La costruzione abusiva di un manufatto di non trascurabili dimensioni (m. 2,05 x 2,55 con altezza di m. 2,05) rientra a pieno titolo tra quelle trasformazioni fisiche del territorio a carattere permanente che l’art. 1 della L. n. 10 del 1977 (all’epoca vigente) assoggettava a previo rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire).
Nemmeno può condividersi la tesi di parte ricorrente che, con il terzo motivo, assume il carattere pertinenziale del manufatto in questione (prefabbricato destinato a legnaia o, secondo la prospettazione degli interessati, adibito a ricovero attrezzi), con conseguente asserita sottrazione dello stesso al regime concessorio in favore di quello autorizzatorio.
Il Collegio osserva, infatti, che detto manufatto, ancorché di non considerevoli dimensioni, non può essere qualificato come pertinenza ai sensi dell’art. 7 del D.L. n. 9 del 1982, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 94 del 1982, in quanto la nozione urbanistica di pertinenza è assai più ristretta di quella contenuta nell’art. 817 del codice civile, essendo la prima configurabile solo quando l’opera non abbia un consistente e autonomo impatto sul territorio (v. TAR Emilia–Romagna –BO- sez. II n. 3735 del 2010 cit. e anche TAR Lombardia –BS- n. 204 del 2010).
Nella specie, pertanto, ove il manufatto ha dimensioni non trascurabili, ha oggettiva autonomia funzionale rispetto all’edificio residenziale principale e risulta destinato a esigenze di carattere permanente, si deve concludere che é stata realizzata una nuova costruzione che era soggetta a previo rilascio di concessione edilizia, con conseguente legittimità della sanzione demolitoria prevista dall’art. 7 L. n. 47 del 1985 proprio per reprimere tale tipologia di abusi edilizi (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 28.05.2010 n. 5157 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'adozione di un provvedimento sanzionatorio di abuso edilizio è atto vincolato e, quindi, non sussiste obbligo per l’amministrazione di inviare all’interessato la comunicazione di avvio del relativo procedimento.
Secondo il consolidato orientamento di questo Tribunale sul punto, trattandosi di provvedimento sanzionatorio di abuso edilizio e, quindi, di atto vincolato, non sussiste obbligo per l’amministrazione di inviare all’interessato la comunicazione di avvio del relativo procedimento (v. da ultime: TAR Emilia Romagna –BO- sez. II, 14/05/2010 n. 4660; 21/04/2010 n. 3735; v. anche TAR Toscana n. 42 del 2010) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 28.05.2010 n. 5157 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: In assenza di alcuna esplicita previsione nel bando non vi è un obbligo legale e specifico di comunicazione dell’esito del concorso nei confronti dei soggetti non vincitori.
Come è stato rilevato dalla medesima Sezione, con riferimento all'atto conclusivo di una procedura concorsuale con il quale viene approvata la graduatoria di un concorso a pubblico impiego, la amministrazione ha uno specifico interesse ad attivare forme individuali di comunicazione solo nei confronti di quei soggetti che, in quanto vincitori, dovranno entrare a far parte del suo assetto organizzativo per rivestire la qualifica di pubblico dipendente.
Nei confronti di tutti gli altri partecipanti può configurarsi a carico della amministrazione solo l'obbligo di rendere pubblico e conoscibile l'esito del concorso con le ordinarie forme di pubblicità notizia per cui dalla data di tale pubblicità notizia decorre il termine per ricorrere contro la graduatoria (Cons. Stato, Sez. V, del 09.10.2002 n. 5407).
In sostanza, in assenza di alcuna esplicita previsione nel bando di concorso, non vi è un obbligo legale e specifico di comunicazione dell’esito del concorso nei confronti dei soggetti non vincitori. D’altro canto, per l’ente locale l’obbligo legale di fornire una adeguata forma di pubblicità notizia si realizza attraverso la pubblicazione sull'albo pretorio dell'ente della graduatoria definitiva (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.05.2010 n. 3417 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente.
La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 1337 c.c. si ricollega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell’iter di formazione del contratto e presuppone che tra le parti siano intercorse trattative per la sua conclusione (ex multis, Cass. Civ. sez I, 18.06.2005, n. 13164).
Secondo un consolidato orientamento, dal quale il Collegio non ritiene di discostarsi (Cass. Civ. Sez. I, 18.06.2005, n. 13164; Cons. St. A.P. 05.09.2005, n. 6; Sez. IV, 11.11.2008, n. 5633), essa non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente, nella fase, cioè, in cui gli interessati non hanno ancora la qualità di futuri contraenti, ma soltanto quella di partecipanti alla gara e vantano esclusivamente una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione, mentre non sussiste una relazione specifica di svolgimento delle trattative (Cass. S.U. 26.05.1997, n. 4673) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.05.2010 n. 3393 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Avviso di gara - Clausola di esclusione di coloro che si trovino in causa con l’Ente appaltante - Illegittimità - Contrasto con gli artt. 24 e 41 Cost.
E’ illegittima la clausola dell’avviso di gara con la quale venga comminata l’esclusione nei confronti di coloro che si trovino in causa con l’Ente appaltante, dato che la stessa si pone in contrasto con l’art. 24 della Costituzione che riconosce la piena tutela in giudizio dei diritti ed interessi nonché con i diritti di iniziativa economica e di libertà d’impresa garantiti dall’art. 41 della Costituzione (cfr. TAR Calabria, Reggio Calabria, n. 1277/2007).
La clausola “de qua” restringe la facoltà di esercizio del diritto di impresa e riduce l’effettiva concorrenza fra le imprese del settore, senza che a ciò faccia riscontro una vera tutela di un interesse pubblico.
Infatti la semplice esistenza d’un contenzioso in atto non è di per sé indice d’inaffidabilità dell’impresa, potendosi la lite chiudere a favore della stessa, ragion per cui la disposizione impugnata non conduce a una selezione qualitativa dei partecipanti, non avendo alcun riflesso sull’efficacia dell’azione amministrativa, ma solo un’evidente e univoca finalità di penalizzazione (TAR Basilicata, Sez. I, sentenza 28.05.2010 n. 325 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Dichiarazione circa l’assenza di pregiudizi penali - Art. 38 d.lgs. n. 163/2006 - Dichiarazione del legale rappresentante con riguardo ai terzi - Assolvimento dell’obbligo - Fondamento.
Dichiarazione circa l’assenza di pregiudizi penali - Art. 38 d.lgs. n. 163/2006 - Mancata allegazione - Sanatoria tramite regolarizzazione documentale - Esclusione.

L'obbligo di dichiarare l'assenza dei c.d. "pregiudizi penali", di cui all’art. 38, d.lgs. 12.04.2006 n. 163, può ritenersi assolto dal legale rappresentante dell'impresa anche avuto riguardo ai terzi (direttori tecnici o altri soggetti comunque muniti di poteri di rappresentanza anche se cessati dalla carica nel triennio antecedente), tanto nel presupposto che anche in questo caso operino le previsioni di responsabilità penale ed il potere di verifica da parte della stazione appaltante (cfr. da ultimo C.d.S., sez. V, 19.11.2009, n. 7244; C.d.S., sez. V, 07.10.2009, n. 6114; Cons. giust. amm., 11.04.2008, n. 312).
La mancata allegazione, nel termine di scadenza fissato dal bando, delle dichiarazioni inerenti i soggetti previsti dall’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 non può essere sanata per il tramite dell’istituto della regolarizzazione documentale di cui all’art. 46 del codice dei contratti pubblici, atteso che tale rimedio non si applica al caso in cui l’impresa concorrente abbia integralmente omesso la produzione documentale prevista dall’art. 38 dello stesso codice (cfr. TAR Lazio Roma, Sez. II, 22.09.2008 n. 8425) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 27.05.2010 n. 9649 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICALa decadenza dei vincoli preordinati all'esproprio comporta l'obbligo per il comune di reintegrare la disciplina urbanistica dell'area interessata.
Nel caso deciso, alla richiesta di reintegrazione della destinazione urbanistica avanzata dal proprietario dell'area sulla quale erano posti i vincoli oramai decaduti, il comune rispondeva con una mera lettera di intenti.
Il comune, infatti, rispondeva che la questione lungi dal dover essere trattata al momento, sarebbe stata eventualmente oggetto di riflessione in ambito di revisione dello strumento urbanistico. La risposta del comune provocava l'azione giudiziaria della parte la quale impugnava l'illegittimità del silenzio serbato dall'amministrazione.
Nel decidere la questione, i giudici siciliani richiamano la precedente giurisprudenza del Consiglio di Stato: la decadenza dei vincoli urbanistici espropriativi o che, comunque, privano la proprietà del suo valore economico, comporta l’obbligo per il Comune di “reintegrare” la disciplina urbanistica dell’area interessata dal vincolo decaduto con una nuova pianificazione.
Ne consegue che il proprietario dell’area interessata può presentare un’istanza, volta a ottenere l’attribuzione di una nuova destinazione urbanistica -così come è avvenuto nel caso in esame- e l’Amministrazione è tenuta a esaminarla, anche nel caso in cui la richiesta medesima non sia suscettibile di accoglimento, con l’obbligo di motivare congruamente tale decisione (Consiglio di Stato, sez. IV, 22.06.2004, n. 4426; TAR Campania, Salerno, sez. I, 03.06.2009, n. 2825; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 25.06.2009, n. 1167; Catania, sez. I, 13.03.2008, n. 467; 18.07.2006, n. 1183; 21.06.2004, n. 1733): fermo restando, naturalmente, il mantenimento del potere discrezionale dell’Amministrazione comunale in ordine alla verifica e alla scelta della destinazione, in coerenza con la più generale disciplina del territorio, meglio idonea e adeguata in relazione all’interesse pubblico al corretto e armonico suo utilizzo (Consiglio di Stato, sez. IV, 08.06.2007, n. 3025).
Nello specifico riguardo del silenzio ritenuto illegittimo dal proprietario del terreno, appellandosi ancora una volta alla giurisprudenza di secondo grado, i giudici esprimono un concetto molto importante: in riferimento all'obbligo di provvedere sulla istanza di reintegrazione della destinazione urbanistica dell'area, causa decadenza dei vincoli all'espropriazione, non costituisce adempimento da parte del Comune il semplice e prospettato avvio del procedimento di revisione del piano regolatore generale comunale.
L’obbligo gravante sul Comune in caso di decadenza di vincolo preordinato all’esproprio, va assolto mediante l’adozione di una variante specifica o di variante generale, gli unici strumenti che consentono alle amministrazioni comunali di verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale, rispetto ai principi informatori della vigente disciplina di piano regolatore e alle nuove esigenze di pubblico interesse (in termini: Consiglio di Stato, sez. IV, 31.05.2007, n. 2885) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 27.05.2010 n. 7035 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Volumi tecnici non comportanti nuovi volumi e nuove superfici - Eccezione al divieto di autorizzazione paesistica in sanatoria - Nozione di volume tecnico - Fattispecie.
Secondo parte della giurisprudenza fanno eccezione al divieto di rilasciare l'autorizzazione paesistica in sanatoria, previsto dall'art. 167, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004, i soppalchi, i volumi interrati e i volumi tecnici che non abbiano comportato nuovi volumi e nuove superfici (TAR Lombardia Milano, sez. IV, 16.02.2009, n. 1309; TAR Campania Napoli, sez. VII, 03.11.2009, n. 6827): la nozione di volume tecnico può però essere applicata solo alle opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa (TAR Campania Napoli, sez. IV, 05.08.2009, n. 4738).
In particolare, non costituisce volume tecnico un vano scala finalizzato non alla installazione ed accesso a impianti tecnologici necessari alle esigenze abitative, ma a consentire l'accesso da un appartamento ad una terrazza praticabile (Consiglio Stato, sez. V, 26.07.1984, n. 578) (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 25.05.2010 n. 8748 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Conferimento degli incarichi dirigenziali - Potere discrezionale - Valutazioni di carattere fiduciario - Provvedimento di nomina - Obblighi motivazionali - Diffusa esternazione dell’iter valutativo - Necessità - Esclusione.
La Pubblica Amministrazione fruisce di un potere ampiamente discrezionale in ordine al conferimento degli incarichi dirigenziali, in ragione del ruolo di collegamento di tali incarichi tra la funzione di indirizzo politico e quella amministrativa, in ossequio al principio legislativo secondo il quale, nell’attribuzione delle qualifiche di vertice, deve privilegiarsi l’obiettivo della piena efficienza della P.A. attraverso la più ampia possibilità di reperimento dei soggetti più capaci e meritevoli, che giustifica l’evidenza pubblica (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, n. 1391/2005, ex pluris).
La scelta dei soggetti da nominare, nondimeno, prescinde da ogni forma di valutazione comparativa, il che esime anche da adempimenti di partecipazione procedimentale, e deve avvenire sulla base di valutazioni di carattere eminentemente fiduciario con riferimento alla probabilità di svolgimento ottimale delle mansioni pubbliche, in piena autonomia, ma in consonanza con l’indirizzo politico del nominante (cfr. Cons. di Stato, cit.).
Ne deriva che il provvedimento di nomina non richiede la diffusa esternazione dell’iter valutativo compiuto dall’Amministrazione, dovendosi ritenere assolto l’obbligo di motivazione allorché sia dato atto della positiva valutazione dei requisiti professionali del nominato, in relazione alla particolarità dell’incarico da svolgere, all’esito di un apprezzamento complessivo della sua professionalità (cfr. TAR Calabria, CZ, sez. II, n. 1452/2007) (TAR Abruzzo-L’Aquila, Sez. I, sentenza 24.05.2010 n. 420 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZINon è in contrasto con il principio della certezza del diritto la proroga del periodo transitorio per l’apertura alla concorrenza del mercato del gas.
Nella decisione in commento, i giudici di Palazzo Spada sono stati chiamati ad affrontare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 del d.l. 273/2005 che dispone una proroga del periodo transitorio per l’apertura alla concorrenza del mercato del gas stabilito dal D.Lgs. 164/2000.
Per sostenere l’illegittimità della disposizione citata il comune ne chiede la valutazione in merito alle direttive 98/30 e 2003/55 nonché alla pronuncia della Corte di Giustizia 17.07.2008 emessa nella causa C-347-2006.
Secondo il comune, le direttive sono state emanate per liberalizzare il mercato del gas rendendolo concorrenziale, l’obbiettivo era perseguibile mediante la previsione di un periodo transitorio entro il quale far cessare le vecchie concessioni di distribuzione del gas, da non vanificare con la previsione di proroghe delle scadenze.
A sostegno della propria posizione il comune richiama la sentenza della Corte di Giustizia emessa nella causa C- 347/2006 che ha stabilito che gli artt. 43, 49, 86 CE non ostano al prolungamento di un periodo transitorio, purché esso possa essere considerato necessario per permettere alle parti di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili.
Secondo il Comune tale esigenza non sarebbe sussistita nel caso dell’art. 23 in quanto il periodo originario non era troppo breve. In effetti la parte sostiene che i 5 anni stabiliti dal D.Lgs. 164/2000 costituiscano un periodo congruo per consentire la risoluzione dei rapporti in essere a condizioni accettabili. Inoltre le concessioni di cui all’art. 23 essendo state affidate senza il ricorso a procedura ad evidenza pubblica non sono meritevoli di tutela.
Non hanno la stessa posizione i giudici di Palazzo Spada: a loro avviso le affermazioni della Corte di Giustizia in ordine ai requisiti legittimanti il ricorso alla proroga hanno senso solo se riferite ad un periodo di tempo significativo.
In effetti le parti attribuiscono alle parole della Corte di Giustizia un significato diverso. Secondo il Comune, essendo il termine stabilito dal decreto Letta abbastanza lungo non emergerebbero quelle esigenze che ad avviso della Corte non ostano al prolungamento del termine, secondo i Giudici quelle affermazioni hanno senso solo se riferite ad un periodo significativo atteso che un periodo di prolungamento relativamente breve, non idoneo a comportare conseguenze sfavorevoli ai singoli o alle imprese, è da considerarsi non adeguato a comportare la violazione del principio di certezza del diritto che la Corte ha stabilito che fosse meritevole di tutela.
Secondo i Giudici la disamina dell’intera normativa (decreto legislativo 164/2000, la successiva modifica apportata dalla legge 239/2004) dimostra che la proroga effettuata dal d.l. 273/2005 non varia in modo significativo il periodo transitorio stabilito dalla normativa, quindi non comporta conseguenze sfavorevoli “anche economiche, inaccettabili in capo ai singoli e alle impresa perché di entità tale da non violare il principio di certezza del diritto” (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.05.2010 n. 3216 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Con l’atto di insediamento del Commissario ad Acta è precluso all’amministrazione ogni margine di ulteriore intervento.
Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, se è vero che deve ammettersi che l’amministrazione rimane titolare del potere di provvedere anche tardivamente, dopo la scadenza del termine fissato dal giudice, è anche vero che all’atto di insediamento del commissario ad acta ovvero con la redazione del verbale di immissione del commissario nelle funzioni amministrative e con la sua presa di contatto con la amministrazione, si verifica un definitivo trasferimento dei poteri rimanendo precluso alla amministrazione ogni margine di ulteriore intervento (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10.04.2006 n. 1947) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.05.2010 n. 3214 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la impresa partecipante alla gara sono di stretta interpretazione dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l’affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l’esigenza della più ampia partecipazione.
Le norme di legge e di bando che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche devono essere interpretate nel rispetto del principio di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione che di per sé costituiscono fattispecie di restrizione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 della Costituzione, oltre che dal Trattato comunitario.

In ordine alla regolarità contributiva stabilisce l’art. 38, primo comma, lett. g), del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, che “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti”.
Analoga previsione è posta all’art. 38, primo comma, lettera i), quanto alle violazioni di carattere previdenziale ed assistenziale.
In materia di procedure ad evidenza pubblica, le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la impresa partecipante alla gara sono di stretta interpretazione dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l’affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l’esigenza della più ampia partecipazione (tra molte: Cons. Stato, sez. V, 28.09.2005 n. 5194; V, 13.01.2005 n. 82; IV, 15.06.2004 n. 3903; VI, 02.04.2003 n. 1709).
Pertanto le norme di legge e di bando che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche devono essere interpretate nel rispetto del principio di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione che di per sé costituiscono fattispecie di restrizione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 della Costituzione, oltre che dal Trattato comunitario (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.05.2010 n. 3213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’omissione della dichiarazione concernente il diritto al lavoro dei disabili costituisce causa di esclusione dalla gara anche se non richiamata dalla lex specialis.
Viene in rilievo l'art. 17 della L. 12.03.1999 n. 68 che prevede che le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi gare per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili.
Al riguardo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha costantemente rilevato che la dichiarazione di cui all'art. 17, l. 12.03.1999 n. 68, in materia di tutela dei disabili, costituisce requisito di partecipazione alla gara; ne consegue che la omissione di detta dichiarazione costituisce causa di esclusione per la forza cogente propria della legge, anche se non richiamata dalla lex specialis (Cons. Stato, sez. V, 10.01.2007 n. 33; V, 24.01.2007 n. 256; IV, 14.05.2004 n. 3148; V, 06.07.2002 n. 3733)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.05.2010 n. 3213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Offerta economica - Mancata allegazione del documento d’identità - Non costituisce motivo di esclusione - Ragioni.
Ove le istanze o le dichiarazioni cui allegare il documento di identità siano rese dalla stessa persona in un medesimo procedimento e fanno parte di un medesimo insieme probatorio, non è necessario che siano accompagnate, ciascuna, da una fotocopia del documento di identità, altrimenti la formalità prescritta dall’art. 38 del d.p.r. 28.12.2000, n. 445 si tramuterebbe in un formalismo senza scopo (cfr. TAR Sardegna, n. 457/2008).
In tal senso è anche il parere espresso dall’Autorità della vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture (deliberazione n. 256/2007) in cui si puntualizza che la mancata allegazione del documento d’identità all’offerta economica non può essere motivo di esclusione: il riferimento dell’Autorità è ad un orientamento giurisprudenziale che consente addirittura la sanatoria, a mezzo integrazione postuma, nelle ipotesi di omessa allegazione della copia del documento di identità, sul presupposto che la mancata allegazione alla dichiarazione sostitutiva di un atto di notorietà sottoscritta dal dichiarante della copia del documento di identità del sottoscrittore, da rendersi ai sensi dell’art. 38, comma 3, del d.p.r. 28.12.2000, n. 455, non comporta la nullità della dichiarazione stessa, piuttosto rappresentata un esempio tipo di regolarizzazione successiva, attenendo detta regolarizzazione non al contenuto del documento, ma solo alla garanzia della sua provenienza, di modo che non viene implicata alcuna lesione del principio della par condicio dei concorrenti (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 21.05.2010 n. 1972 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Impianti di radio-comunicazione - Norma regolamentare comunale - Divieto di localizzazione nelle zone interessate da vincolo paesaggistico, panoramico e archeologico - Illegittimità - Contrasto con i principi di cui al d.lgs. n. 259/2003.
La norma regolamentare comunale con la quale è fatto divieto di localizzare impianti di radio telecomunicazione in tutte le zone interessate da vincolo paesaggistico, panoramico e archeologico è incompatibile con i principi desumibili dal D.L.vo 259/2003, dai quali emerge un evidente favor per la installazione degli impianti di che trattasi, i quali vengono espressamente considerati quali opere di pubblica utilità ed assimilati ad opere di urbanizzazione primaria.
E’, pertanto, evidente che laddove una norma regolamentare di fatto impedisca la installazione di impianti soggetti al D.L.vo 259/2003 in ampie zone del territorio, mettendo così a rischio l’efficacia del sistema di comunicazione, essa, benché ispirata dall’intento di salvaguardare l’integrità di beni soggetti a tutela, non può che considerarsi incompatibile con il menzionato testo legislativo (TAR Puglia- Bari, Sez. II, sentenza 20.05.2010 n. 1963 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Natura - Profili di discrezionalità amministrativa - Sindacato del giudice amministrativo - Limiti.
La valutazione d’impatto ambientale, anche con riferimento alla tutela dei siti di interesse naturalistico SIC e ZPS, non costituisce un mero giudizio tecnico, suscettibile in quanto tale di verificazione sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa, sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera, apprezzamento che è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata, o sia stata svolta in modo inadeguato, e sia perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.06.2009 n. 4206; Id., sez. V, 21.11.2007 n. 5910; Id., sez. VI, 17.05.2006 n. 2851; Id., sez. IV, 22.07.2005 n. 3917) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 14.05.2010 n. 1897 - link a www.ambientediritto.it).

VARI: Guida con il cellulare. I punti sulla patente? Tolti solo a chi guida.
Nel caso di multa, per guida al volante con il cellulare, senza auricolare o vivavoce, non contestata immediatamente al guidatore, sarà quest’ultimo a subire la detrazione del punti sulla patente, anche nel caso in cui la contravvenzione sia notificata al proprietario del veicolo.
Quest’ultimo dovrà semplicemente indicare il nome di colui che si trovava alla guida del mezzo al momento della violazione (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 29.04.2010 n. 10363 - link a www.altalex.com).

SICUREZZA LAVORO: Sicurezza sul lavoro: valutazione dei rischi e infortuni.
In materia antinfortunistica c’è colpa del datore di lavoro non solo per l’omessa redazione del DVR (documento valutazione rischi) ma anche per il suo mancato, insufficiente o inadeguato aggiornamento oppure per l’omessa valutazione della individuazione degli specifici pericoli a cui i prestatori di lavoro siano sottoposti in relazione alle diverse mansioni.
I giudici della Suprema Corte, con la sentenza 10448/2010 ribadiscono il concetto che la valutazione dei rischi (con la conseguenza elaborazione dell’idoneo documento) costituisce, senza ombra di dubbio, un fondamentale passaggio per la prevenzione degli infortuni, anche se il rapporto di causalità tra omessa previsione del rischio e infortunio (o il rapporto di causalità tra omesso inserimento del rischio nel documento di valutazione dei rischi e infortunio) deve essere accertato in concreto rapportando gli effetti indagati e accertati della omissione, all'evento che si è concretizzato, non potendo essere affermata una causalità di principio.
In base alla normativa vigente in materia (TU unico 81/2008 e correttivo 106/2009) si prevede che uno dei primi e fondamentali obblighi del datore di lavoro è quello di redigere il documento contenente la valutazione dei rischi dell’attività di lavoro da svolgere, e soprattutto che l’elaborazione di tale documento da parte del datore non è delegabile né ai dirigenti, né ai preposti (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 16.03.2010 n. 10448 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione -  Realizzazione di soppalco.
La realizzazione di un soppalco non rientra nell'ambito degli interventi di restauro o risanamento conservativo (i quali presuppongono, ai sensi dell'art. 3, lett. c), D.P.R. n. 380/2001, la conservazione di elementi, anche strutturali, degli edifici, che siano comunque preesistenti, ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che abbiano tuttavia carattere accessorio), ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui alla lettera c) del comma primo dell'articolo 10 d.P.R. n. 380/2001, dal momento che determina una modifica della superficie utile dell'appartamento, con conseguente aggravio del carico urbanistico (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 18.02.2010 n. 1953 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Normative di settore - Immobili vincolati.
Ai sensi dell'art. 149, comma 1, lett. a), del D.Lg. n. 42/2004 mentre la presentazione della d.i.a. per la esecuzione di interventi di manutenzione straordinaria o di restauro e risanamento conservativo, che non alterino lo stato dei luoghi o l'aspetto esteriore degli edifici, non deve essere preceduta dall'autorizzazione dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo, necessitano, in ogni caso, di detta autorizzazione gli interventi di ristrutturazione edilizia, sia se soggetti alla d.i.a. di cui ai primi due commi dell'art. 22 d.P.R. n. 380/2001, secondo il combinato disposto di cui all'art. 3, comma 1, lett. d), ed art. 10, comma 1, lett. c), del citato decreto, sia se soggetti alla cosiddetta super d.i.a. di cui all'art. 22, comma 3, sostitutiva del permesso di costruire, nei casi previsti dal citato art. 10, comma 1 lett. c) (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 21.01.2010 n. 8739).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione di annullamento (d.i.a.).
I terzi, che ritengano di essere pregiudicati dall'effettuazione di una attività edilizia assentita in modo implicito, possono agire innanzi al giudice amministrativo per chiedere l'annullamento del titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine fissato dalla legge entro cui l'Amministrazione può impedire gli effetti della d.i.a. (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.01.2010 n. 72 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Superficie lorda (incremento).
Per stabilire se vi sia ristrutturazione (e, quindi, se l'intervento edilizio sia oneroso) occorre infatti valutare le opere nel loro complesso indipendentemente dal fatto che si realizzi un guadagno di superficie lorda di pavimento (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 02.11.2009 n. 1785 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Trasformazione di volumi pertinenziali.
La nozione di ristrutturazione, sebbene ulteriormente estesa per effetto delle disposizioni contenute nell'art. 3 d.P.R. 06.06.2001 n. 380, si distingue pur sempre da quella di nuova costruzione per la necessità che la ricostruzione sia identica per sagoma, volumetria e superficie al fabbricato demolito; così, i lavori di rifacimento di ruderi, di un edificio già da tempo demolito o diruto sono qualificabili come nuova costruzione, con necessità di un'apposita concessione edilizia o titolo corrispondente, secondo la vigente normativa e nel concetto giuridico di rudere rientra, senza dubbio, il caso del rifacimento di un organismo edilizio dotato di sole mura perimetrali, e privo di copertura, con conseguente non invocabilità della disposizione urbanistica che consenta il mantenimento dei volumi preesistenti, e quindi la mera ristrutturazione e non la nuova costruzione.
Non si verifica un aumento non consentito delle volumetrie attraverso la trasformazione dei volumi pertinenziali all'esercizio di un "essiccatoio pelli" in volumi residenziali: i volumi citati non possono considerarsi tecnici, poiché ab origine funzionali alla pregressa attività agricola ( destinati ad ospitare impianti legati da un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzazione dell'immobile), mentre il concetto di volume tecnico comprende invero ogni spazio destinato alla allocazione di impianti tecnici a servizio del manufatto e non può riferirsi a ben due piani in sopraelevazione di un edificio, per i quali è ben definita la funzione indispensabile al sistema produttivo che si svolgeva nella fabbrica, non trattandosi di una funzione meramente complementare o accessoria al resto dell'edificio (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 11.09.2009 n. 4949 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione -   Oneri (equiparazione agli interventi nuova costruzione).
È legittima la delibera in cui vengono equiparati gli oneri per gli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione a quelli previsti per gli interventi di nuova costruzione, in misura doppia rispetto a quella prevista per gli interventi di ristrutturazione.
L’entità degli oneri di urbanizzazione è correlata alla variazione del carico urbanistico, sicché è ben possibile che un intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione possa comportare aggravi di carico urbanistico identici a quelli derivanti da nuove costruzioni.
Un intervento di ristrutturazione globale di un edificio, attuato mediante demolizione e ricostruzione porta, invero, alla realizzazione di un organismo edilizio sostanzialmente nuovo: non appare quindi illogico ritenere che un intervento così radicale determini, di regola, un incremento del carico urbanistico pari a quello legato alla realizzazione di una nuova costruzione (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 21.07.2009 n. 4455).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Sopraelevazione.
Le opere edilizie, che hanno comportato la sopraelevazione di un nuovo piano, non possono considerarsi di ristrutturazione conservativa atteso che, comportando una modifica radicale delle caratteristiche tipologiche del preesistente edificio, vanno necessariamente annoverate nell’ambito della tipologia delle nuove costruzioni, per la cui realizzazione è necessario il previo rilascio del permesso di costruire (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.07.2009 n. 4566 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Volumetria, sagoma e superficie (rispetto).
La ristrutturazione «pesante» ben può comportare, ai sensi dell’art. 10, testo unico, la trasformazione dell’organismo preesistente, ma non postula la sua demolizione integrale; laddove, invece, vi sia demolizione integrale seguita da ricostruzione, l’intervento in tanto è assimilabile ad una ristrutturazione in quanto la ricostruzione sia fedele, si mantenga cioè nei limiti dell’organismo originario, come si evince dall’art. 3, primo comma, lettera d), dello stesso testo unico (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.06.2009 n. 3939 -  link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Sostituzione edilizia.
Il comma primo dell'art. 3 del testo unico edilizia (d.P.R. n. 380 del 2001), contenente le definizioni degli interventi edilizi, non fa menzione alcuna della nozione di sostituzione edilizia, per cui l'inquadramento della fattispecie concreta prevista dalla pianificazione locale deve avvenire in una delle categorie indicate dalla legge nazionale (nella specie la ristrutturazione), posto che la previsione predetta appare apportatrice di una normazione contenente principi, e come tale inderogabile dalle normative locali, fatto salvo quanto disposto ad altri fini per le leggi regionali dall'art. 10, comma 3, del testo unico per l'edilizia (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. I, sentenza 08.06.2009 n. 1292 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione -  Opere interne.
Le opere interne e gli interventi di ristrutturazione edilizia, come pure quelli di manutenzione ordinaria o straordinaria, ogniqualvolta comportino mutamento di destinazione d'uso tra categorie d'interventi funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e, qualora debbano essere realizzati nei centri storici, anche nel caso in cui comportino mutamento di destinazione d'uso all'interno di una categoria omogenea, come ad esempio quella industriale o residenziale, richiedono il permesso di costruire.
Gli stessi interventi di ristrutturazione o manutenzione, comportanti modificazioni della destinazione d'uso nell'ambito di categorie omogenee, qualora siano realizzati fuori del centro storico richiedono solo la denuncia di inizio attività.
Inoltre, la c.d. lottizzazione cd. materiale non presuppone necessariamente il compimento di opere su un suolo inedificato, ma può verificarsi anche attraverso la modificazione della destinazione d'uso di un edificio già esistente (Cass. sez. III, sentenza n. 6990 del 2006) (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.05.2009 n. 20149).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Ricostruzione su area di «sottotetto termico non abitabile».
L'intervento che prevede la demolizione di un preesistente manufatto e la ricostruzione, su diversa area di sedime, di un altro radicalmente differente dal primo per sagoma, superficie e volume, non può essere inquadrato nella categoria della ristrutturazione edilizia; per quanto riguarda in particolare il calcolo del volume, l'opera progettata, impropriamente definita «sottotetto termico non abitabile», non può rientrare nella destinazione dichiarata né è sussumibile nel concetto di volume tecnico, che comprende esclusivamente le porzioni di fabbricato destinate ad ospitare impianti, legati da un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzazione dello stesso.
In realtà, come chiarito dalla Sezione in analoghe fattispecie (cfr. TAR Campania, II Sezione, 03.02.2006 n. 1506 e 29.06.2007, n. 6382), tenuto conto nella specie delle caratteristiche costruttive, della rilevante superficie (160 mq.) ed altezza media nonché della presenza di ampie balconate, esso integra piuttosto un nuovo organismo edilizio autonomamente utilizzabile, sostanziandosi in un piano di copertura oggettivamente suscettibile di uso abitativo.
Invero, ai fini della qualificazione di una costruzione, rilevano le caratteristiche oggettive della stessa, prescindendosi dall'intento dichiarato dal privato di voler destinare l'opera ad utilizzazioni più ristrette di quelle alle quali il manufatto potenzialmente si presta (cfr. Consiglio di Stato, V Sezione, 21.10.1992 n. 1025 e 13.05.1997 n. 483; TAR Campania, IV Sezione, 12.01.2000 n. 30; II Sezione, 03.02.2006 n. 1506).
In definitiva, viene in rilievo una nuova costruzione, secondo la definizione contenuta nell'art. 3, comma 1, lettera e.1), del d.P.R. n. 380 del 2001 -che peraltro prevale sulle contrarie disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi, ai sensi del secondo comma dello stesso art. 3- la cui cubatura, pertanto, va computata nel conteggio della volumetria complessiva.
In linea con le costanti acquisizioni giurisprudenziali (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, 10.02.2004, n. 476, 11.04.2007, n. 1669; Sezione V, 04.03.2008, n. 918; TAR Campania, Sezione IV, 05.03.2004, n. 2751; Sezione II, 14.03.2006, n. 2929), può escludersi che l'intervento dichiarato sia riconducibile al novero della ristrutturazione –atteso che esso comporta rilevanti modifiche nella sagoma, nella superficie e volume rispetto al manufatto preesistente– dovendo piuttosto essere qualificato come di "nuova costruzione" e, in quanto tale, assoggettato al regime del permesso di costruire ed alle limitazioni imposte dalle norme urbanistiche vigenti nella zona territoriale di riferimento (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, Sezione V, 03.03.2004 n. 1022) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 16.03.2009 n. 1461 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Volumetria, sagoma e superficie (rispetto).
Ai sensi dell’art. 22, comma 3, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001, possono essere realizzati mediante denuncia di inizio attività, in alternativa al permesso di costruire, gli interventi di  ristrutturazione edilizia di cui all’art. 10, comma 1, lettera c), dello stesso T.U., interventi che possono in effetti portare alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal preesistente; tuttavia la fattispecie concreta va ricondotta all’ipotesi specifica di ristrutturazione attuata mediante demolizione e ricostruzione, che è espressamente disciplinata dall’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale richiedeva, nell’originaria formulazione, la «fedele ricostruzione» della preesistenza (quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali); successivamente, l’art. 1, d.lgs. 27.12.2002 n. 301, pur espungendo dalla citata previsione normativa l’originario riferimento alla "fedele ricostruzione", ha comunque ribadito che: «Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica»; a fronte della tassativa previsione della fonte primaria, come ora ricostruita, ed in linea con le costanti acquisizioni giurisprudenziali, può quindi escludersi che l’intervento dichiarato sia riconducibile al novero della ristrutturazione -atteso che, come sopra chiarito, esso comporta rilevanti modifiche nella sagoma, nella superficie e volume rispetto al manufatto preesistente- dovendo piuttosto essere qualificato come di "nuova costruzione" e, in quanto tale, assoggettato al regime del permesso di costruire ed alle limitazioni imposte dalle norme urbanistiche vigenti nella zona territoriale di riferimento (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 16.03.2009 n. 1461 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione dichiarativa (d.i.a.).
Nella contestazione della legittimità di lavori eseguiti con denuncia di inizio attività è esperibile, in base all'art. 24 della Costituzione, anche un'azione di accertamento atipica tutte le volte in cui una simile azione risulti necessaria per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 05.03.2009 n. 134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' qualificabile come costruzione qualsiasi manufatto “non completamente interrato” che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo.
Ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali stabilite dall’art. 873 del codice civile, deve farsi riferimento alle sole costruzioni che, essendo erette sopra il suolo, ne sporgano stabilmente, mentre sono di certo escluse dal rispetto delle distanze legali i manufatti completamente interrati.

La giurisprudenza ha costantemente chiarito che è qualificabile come costruzione qualsiasi manufatto “non completamente interrato” che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo (Cass. Civ., sez. II, 28.09.2007, n. 20574, e 27.10.2008, n. 25837).
Cioè, in altri termini, ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali stabilite dall’art. 873 del codice civile, deve farsi riferimento alle sole costruzioni che, essendo erette sopra il suolo, ne sporgano stabilmente, mentre sono di certo escluse dal rispetto delle distanze legali i manufatti completamente interrati (Cass. Civ., sez. II, 04.10.2005, n. 19350) (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 05.03.2009 n. 134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE PROGETTUALIIl criterio per accertare se una costruzione sia da considerare modesta, e rientri quindi nella competenza professionale dei geometri, va individuato nelle difficoltà tecniche che la progettazione e l’esecuzione dell’opera comportano e nelle capacità occorrenti per superarle; ed a questo fine si è ritenuto che assumono rilievo, oltre alla complessità della struttura e delle relative modalità costruttive, anche, in via complementare, il costo presunto dell’opera, in quanto si tratta di un elemento sintomatico che vale ad evidenziare le difficoltà tecniche che coinvolgono la costruzione.
la competenza professionale dei geometri in materia di progettazione e direzione dei lavori di opere edili riguarda le costruzioni rurali e degli edifici per uso di industrie agricole, di limitata importanza, di struttura ordinaria, “comprese le piccole costruzioni accessorie in cemento armato” che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone.

Secondo quanto costantemente chiarito dalla giurisprudenza (Cass. Civ., sez. I, 27.02.2008, n. 5203, e sez. III, 14.06.2007, n. 13968), il criterio per accertare se una costruzione sia da considerare modesta, e rientri quindi nella competenza professionale dei geometri, va individuato nelle difficoltà tecniche che la progettazione e l’esecuzione dell’opera comportano e nelle capacità occorrenti per superarle; ed a questo fine si è ritenuto che assumono rilievo, oltre alla complessità della struttura e delle relative modalità costruttive, anche, in via complementare, il costo presunto dell’opera, in quanto si tratta di un elemento sintomatico che vale ad evidenziare le difficoltà tecniche che coinvolgono la costruzione.
In aggiunta, si è anche precisato che la competenza professionale dei geometri in materia di progettazione e direzione dei lavori di opere edili riguarda le costruzioni rurali e degli edifici per uso di industrie agricole, di limitata importanza, di struttura ordinaria, “comprese le piccole costruzioni accessorie in cemento armato” che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone (Cons. St., sez. IV, 05.09.2007, n. 4652 e TAR Campania, sez. Salerno, sez. II, 19.07.2007, n. 860).
Ciò posto, ritiene il Collegio che la realizzazione di un garage, per le sue modeste dimensioni, ben avrebbe potuto essere progettato da un geometra, in quanto, pur essendo realizzato in cemento armato, il manufatto non richiedeva per la sua progettazione particolari operazioni di calcolo; inoltre, tale opera per la sua collocazione (totalmente interrato) e per la sua specifica destinazione (a garage) non può comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone
(TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 05.03.2009 n. 134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Volumetria, sagoma e superficie (rispetto).
Per giurisprudenza pacifica (anche di questo Tribunale: cfr., in termini, Tar Campania-Napoli, IV, 3067/2003), al fine di qualificare come ristrutturazione edilizia un’opera, alla luce dell’art. 31, lett. d), l. 05.08.1978 n. 457, occorre che il complesso edilizio, sul quale si operano gli interventi, rimanga alla fine sostanzialmente il medesimo per forma, volume e altezza.
Il risultato della ristrutturazione può essere, infatti, un organismo edilizio anche diverso dal precedente purché però la diversità sia dovuta ad interventi comprendenti il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi del manufatto ovvero l’eliminazione, le modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, in quanto la ristrutturazione edilizia mira, in definitiva, alla salvezza del complesso esistente (fra le ultime: Consiglio di Stato, sez. V, n. 1246 del 05.03.2001, n. 6768 del 18.12.2000 e n. 3901 del 13.07.2000).
Rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia anche gli interventi consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato nelle sue caratteristiche preesistenti, non soltanto dimensionali, ma anche architettoniche e stilistiche che lasciano inalterati i volumi e la sagoma (fra le ultime Consiglio di Stato, sez. V, n. 5410 del 09.10.2002, n. 6769 del 18.12.2000, n. 3901 del 13.07.2000 cit.).
Esula invece dal concetto di ristrutturazione la totale demolizione e ricostruzione di un manufatto nel caso che il nuovo stabile non sia fedele al precedente, per sagoma, volumi e collocazione (Consiglio di Stato, sez. V, n. 5093 del 26.09.2000). In tal caso l’intervento deve considerarsi come nuova costruzione e, come tale, è soggetto alle limitazioni imposte dalle norme urbanistiche in vigore al momento in cui va esaminata la possibilità o meno di riconoscerne la legittimità (Consiglio di Stato, sez. V n. 4397 del 10.08.2000) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 27.02.2009 n. 1153 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Volumetria, sagoma e superficie (rispetto).
In base alla disciplina del t.u. dell’edilizia gli interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti con demolizione e ricostruzione, possono comportare la realizzazione di un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente, purché il complesso edilizio, sul quale si operano gli interventi, rimanga alla fine sostanzialmente il medesimo per forma, volume ed altezza (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.02.2009 n. 1322 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione dichiarativa (d.i.a.).
Avverso una denuncia di inizio attività il terzo è legittimato all'instaurazione di un giudizio di cognizione tendente ad ottenere l'accertamento dell'insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge per la libera intrapresa dei lavori a seguito di DIA.
Il terzo che intenda agire a tutela della propria sfera giuridica lesa da un supposto intervento sprovvisto di ogni titolo potrà dunque contrastarlo in giudizio non già tramite l'impugnazione tesa all'annullamento di un inesistente provvedimento amministrativo, ma assai più semplicemente richiedendo l'accertamento della insussistenza dello jus in capo al soggetto agente.
Così configurandosi il rapporto triadico tra denunciante, amministrazione e terzo controinteressato, in sede di giurisdizione esclusiva il terzo controinteressato che contesti la presentazione di una denuncia di inizio attività associata al successivo silenzio dell'Autorità amministrativa, potrà attivare un giudizio di cognizione volto all'accertamento della corrispondenza, o meno, di quanto dichiarato dall'interessato e di quanto previsto dal progetto ai canoni stabiliti per la regolamentazione dell'attività edilizia in questione, oltre che all'eventuale difformità dell'opera realizzata rispetto al progetto anteriormente presentato in sede di DIA, azione non soggetta ad alcun termine di decadenza previsto esclusivamente per la disciplina del processo in sede di giurisdizione generale di legittimità (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. I, sentenza 18.02.2009 n. 219 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione dichiarativa (d.i.a.).
La d.i.a. è un atto di un soggetto privato e non di una pubblica amministrazione, che ne è invece destinataria, e non costituisce, pertanto, esplicazione di una potestà pubblicistica.
È esperibile, da parte del terzo leso dagli effetti di una denuncia di inizio di attività, un'azione di accertamento -ancorché atipica- della carenza dei presupposti per l'esercizio dell'attività oggetto di dichiarazione.
Detta azione di accertamento, non essendo diretta alla tutela di un diritto soggettivo, ma di un interesse legittimo, deve essere sottoposta all'ordinario termine di decadenza (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.02.2009 n. 717 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Oneri (elemento temporale di rifermento).
Gli oneri concessori vanno calcolati facendo riferimento non alla destinazione d’uso pregressa, ma alla destinazione d’uso risultante dalla ristrutturazione, una volta qualificato l’intervento in questione come ristrutturazione.
Infatti, la funzione del contributo di costruzione sta nel fatto che la costruzione progettata partecipa alle utilità derivanti dalla presenza delle opere di urbanizzazione già realizzate dal Comune e l’uso di queste ultime dà la giustificazione giuridica dell’”an debeatur”, mentre le modalità dell’uso danno la ragione del "quantum debeatur" (Consiglio Stato, sez. V, 23.05.1997, n. 529).
Pertanto, se il "quantum debeatur" è determinato dalle modalità attraverso cui l’edificio ristrutturato usa le opere di urbanizzazione già realizzate dall’autorità comunale, a tal fine non può che rilevare la destinazione d’uso conseguenza della ristrutturazione e non quella originaria, perché sarà la destinazione d’suo creata dalla ristrutturazione che concretamente insisterà sul territorio e sfrutterà le opere di urbanizzazione realizzate dall’autorità comunale (nello stesso senso sembra essere da ultimo Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 03.09.2008, n. 10035) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.01.2009 n. 93 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl restauro e risanamento conservativo presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie.
Questa Sezione ha già avuto modo di precisare che il restauro e risanamento conservativo presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 14.05.2007, n. 3070) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.01.2009 n. 93 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Normative di settore - Immobili vincolati.
In presenza di un intervento di ristrutturazione edilizia, deve trovare applicazione l’art. 33, comma 3, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (T.U. in materia edilizia), il quale -per le opere eseguite su immobili vincolati ai sensi del d.lgs. 29.10.1999 n. 490- stabilisce che spetta all’Amministrazione competente a vigilare sull’osservanza del vincolo, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, ordinare la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile dell’abuso, indicando criteri e modalità diretti a ricostruire l’originario organismo edilizio ed irrogare una sanzione pecuniaria da Euro 516,00 a 5.164,00 (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.01.2009 n. 79 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Normative di settore - Distanze in materia sanitaria.
Nel caso in cui il regolamento edilizio prescriva, per il rilascio della concessione di costruzione di porcilaie, una determinata distanza da una sorgente, agli effetti della verifica della legittimità dell'impugnato diniego è ininfluente accertare se nella specie si trattava di nuova costruzione ovvero di mera ristrutturazione di un locale prima destinato all'allevamento di bovini ed ora da utilizzare per l'allevamento di suini, atteso che non è il tipo di intervento, ma la destinazione dell'impianto alla produzione suinicola a imporre l'osservanza della disciplina edilizia sulle distanze di sicurezza (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Molise, Sez. I, sentenza 14.01.2009 n. 6 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione di annullamento (d.i.a.).
Poiché con la d.i.a. si è in presenza, decorsi i trenta giorni (art. 23, commi 1 e 6, d.P.R. n. 380 del 2001), di una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, il terzo può contestarla direttamente, entro l'ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a., o dall'avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all'intervento oggetto di d.i.a.
In presenza di una serie di differenziate ricostruzioni dell'istituto della d.i.a., il collegio ritiene preferibile il più recente insegnamento espresso al riguardo dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., sez VI, 05.04.2007 n. 1550, sez. IV, 29.07.2008 n. 3742, v. ora anche sez. IV 25.11.2008 n. 5811) con il quale è stato rilevato che "il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al giudice per chiedere l'adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di svolgere, ovvero chiedere l'annullamento della determinazione formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità dell'intervento. Né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l'accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a.".
Il terzo, invece, è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a., il cui possesso è essenziale, non potendo da esso prescindersi, non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata.
Il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al giudice per chiedere l’adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di svolgere, ovvero chiedere l’annullamento della determinazione formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità dell’intervento; né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l’accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a. Al contrario, egli è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a., non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 10.01.2009 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione di annullamento (d.i.a.).
Per ciò che concerne la natura della denuncia di inizio attività, la stessa va equiparata al permesso di costruire quanto all’impugnazione, dal che consegue che la relativa decisione giurisdizionale riguarderà quella parte ammissibile dell’impugnazione, con cui si chiede di voler conseguire l’annullamento del titolo edilizio conseguito dalla controinteressata con il deposito della denuncia, trascorso il tempo di legge.
Mentre i soggetti terzi, che si assumano lesi dal silenzio serbato dall'Amministrazione a fronte della presentazione di una denuncia di inizio attività, sono legittimati a gravarsi non avverso il silenzio stesso ma, nelle forme dell'ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo che, formatosi e consolidatosi per effetto del decorso del termine, si configura in definitiva come
fattispecie provvedimentale a formazione implicita (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. II, sentenza 09.01.2009 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Ricostruzione di un fabbricato in rovina.
Gli interventi di ristrutturazione edilizia, ma anche di demolizione e di successiva ricostruzione, presuppongono sempre che i relativi lavori siano riferiti ad un edificio esistente, ossia che esista un organismo edilizio, seppur non necessariamente abitato o abitabile, connotato nei suoi connotati essenziali, dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione (cfr., ex multis, C.d.S., sez. V, 10.02.2004, n. 475), mentre non possono essere ammessi tali interventi nei confronti di ruderi o resti di edifici da tempo demoliti, attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare (cfr., C.d.S., sez. IV, 15.09.2006, n. 5375), in cui si configura un intervento di nuova costruzione, assoggettato ai limiti stabiliti dalla vigente disciplina urbanistica (cfr., TAR Veneto, sez. II, 29.06.2006, n. 1944 e 05.06.2008, n. 1667)..
Da quanto precede consegue che gli interventi di demolizione sono ammissibili nei limiti dello stato fisionomico attuale del fabbricato, senza alcuna possibilità di recupero di parti strutturali che, anche se originariamente esistenti, sono successivamente venute meno per qualsiasi evenienza.
Pertanto, è legittimo l'operato della Amministrazione comunale che non assente un intervento di ripristino di un manufatto che, seppure in passato esistente, non è più identificabile né nella sua posizione né nelle dimensioni né nella volumetria, in quanto ormai del tutto privo degli elementi strutturali essenziali che lo possano ancora connotare come un edificio, essendo tale intervento correttamente individuabile quale ricostruzione integrale su diverso sedime e, quindi, una novella edificazione, autorizzabile nei soli limiti previsti dalle norme di piano (massima tratta da www.studiospallino.it - TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 08.01.2009 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Ricostruzione di un fabbricato in rovina.
La ricostruzione di un fabbricato, rovinato da molto tempo e del quale residuavano, al momento della presentazione dell'istanza di ristrutturazione da parte del privato, solo piccole frazioni dei muri, di per sé inidonee a definire l'esatta volumetria preesistente, costituisce vera e propria costruzione "ex novo" e non già ristrutturazione, né tampoco mero restauro o risanamento conservativo e, come tale, è soggetta a concessione edilizia secondo le regole urbanistiche vigenti al momento dell'istanza del privato, e non già a quelle esistenti all'epoca in cui fu realizzato il manufatto originario, in quanto l'effetto ricostruttivo perseguito mira non già a conservare o, se del caso, a consolidare un edificio comunque definito nelle sue dimensioni, né alla sua demolizione e fedele ricostruzione, bensì a realizzarne uno del tutto nuovo e diverso (massima tratta da www.studiospallino.it - TRIBUNALE di Chieti, sentenza 02.01.2009 n. 2).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Trasformazione di edificio agricolo in villa.
La trasformazione di due manufatti agricoli in villa ad uso residenziale, con accorpamento di volumi e parziale spostamento dell'area di sedime esula dalla nozione di ristrutturazione, sia come attualmente definita dall'art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. 0.06.2001 n. 380 (Testo Unico dell'Edilizia), sia in rapporto al previgente art. 31, comma 1, lettera d), della l. n. 457 del 1978.
Ciò che distingue, infatti, gli interventi di tipo manutentivo e conservativo da quelli di ristrutturazione è, indubbiamente, il carattere innovativo di quest'ultima in ordine all'edificio preesistente; ciò che contraddistingue, però, la ristrutturazione dalla nuova edificazione è la già avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un «insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente»), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma -in quest'ultimo caso- con ricostruzione, se non «fedele» (termine espunto dall'attuale disciplina), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 16.12.2008 n. 6214 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Realizzazione di soppalco.
La realizzazione di un soppalco non rientra nell'ambito degli interventi di restauro o risanamento conservativo (i quali presuppongono, ai sensi dell'art. 3, lett. c), D.P.R. n. 380/2001, la conservazione di elementi, anche strutturali, degli edifici, che siano comunque preesistenti, ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che abbiano tuttavia carattere accessorio), ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui alla lettera c) del comma primo dell'articolo 10 d.P.R. n. 380/2001, dal momento che determina una modifica della superficie utile dell'appartamento, con conseguente aggravio del carico urbanistico (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 28.11.2008 n. 20563 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione di annullamento (d.i.a.).
La d.i.a., in virtù di una preventiva valutazione legale tipica, si traduce in un’autorizzazione implicita all’effettuazione dell’attività edilizia, con la conseguenza che i terzi lesi possono impugnare innanzi al giudice amministrativo il titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 05.04.2007, n. 1550 e sez. V, 20.01.2003, n. 172) (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.11.2008 n. 5811 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn sede di rilascio del permesso di costruire, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che non appaiano controversi.
L'art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10, attualmente riprodotto dall'art. 11 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (t.u. edilizia), prevede che la concessione edilizia, oggi permesso di costruire, sia rilasciata "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo": in proposito, costante giurisprudenza (v., per tutte, Cons. Stato, sez. V, 15.03.2001 n. 1507) afferma allora che, in sede di rilascio, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che non appaiano controversi.
E se è vero, come qui sostiene l’appellante principale, che il potere/dovere così delineato in capo all’Amministrazione può limitarsi alla verifica dell’esistenza del possesso dell’area (e cioè del concreto esercizio, da parte del richiedente il titolo, del potere sulla cosa, che si concreta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale), tale accertamento attiene pur sempre ad un livello minimo di istruttoria, che va superato ed approfondito allorché, come appunto avviene nel caso di specie e come ampiamente documentato in atti dall’originaria ricorrente, problematiche di asserita, indebita, appropriazione del fondo altrui insorsero già all’atto dell’edificazione dei condomìni, cui ineriscono le opere, di cui alla D.I.A. in argomento.
Una tale verifica, imposta dai più volte citati artt. 4 della legge n. 10/1977 ed 11 del d.P.R. n. 380/2001 (che, nel richiedere la sussistenza di un titolo legittimante, non possono che riferirsi alla concreta estensione del diritto vantato e fatto valere avanti all’Amministrazione, senza che per questo debba ritenersi devoluto alla stessa il definitivo accertamento di eventualmente confliggenti posizioni di diritto soggettivo, demandato alla sede naturale della risoluzione di tali conflitti ch’è la giurisdizione ordinaria), è nell’istruttoria all’esame del tutto mancata, sì che della stessa deve farsi càrico l’Amministrazione stessa nella riedizione dell’attività amministrativa imposta dall’effetto conformativo scaturente dalla presente decisione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.11.2008 n. 5811 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: L’esercizio del potere di reiterazione del vincolo -preordinato all'esproprio- può essere esercitato solo sulla base di una idonea istruttoria e di una adeguata motivazione che faccia escludere un contenuto vessatorio o comunque ingiusto dei relativi atti, occorrendo l’effettiva cura di un pubblico interesse.
L'Amministrazione deve indicare la ragione che la induce a scegliere nuovamente proprio l’area sulla quale la precedente scelta si era appuntata: la reiterazione del vincolo espropriativo, sic et simpliciter, non è dunque consentita, dovendo l’Amministrazione evidenziare l’attualità dell’interesse pubblico da soddisfare, in quanto si va ad incidere sulla sfera giuridica di un proprietario che già per un quinquennio è stato titolare di un bene suscettibile di dichiarazione di pubblica utilità e successivamente di esproprio.
Poiché l’art. 2 della legge n. 1187 del 1968 aveva previsto la decadenza del vincolo preordinato all’esproprio per il decorso del quinquennio in assenza della dichiarazione della pubblica utilità, si è ammesso che l’esercizio del potere di reiterazione del vincolo possa essere esercitato solo sulla base di una idonea istruttoria e di una adeguata motivazione che faccia escludere un contenuto vessatorio o comunque ingiusto dei relativi atti, occorrendo l’effettiva cura di un pubblico interesse.
Infatti, “l'Amministrazione deve indicare la ragione che la induce a scegliere nuovamente proprio l’area sulla quale la precedente scelta si era appuntata: la reiterazione del vincolo espropriativo, sic et simpliciter, non è dunque consentita, dovendo l’Amministrazione evidenziare l’attualità dell’interesse pubblico da soddisfare, in quanto si va ad incidere sulla sfera giuridica di un proprietario che già per un quinquennio è stato titolare di un bene suscettibile di dichiarazione di pubblica utilità e successivamente di esproprio” (Sez. IV, dec. n. 159 del 1994, cit., § 11).
Quanto alla adeguatezza della motivazione, l’Adunanza Plenaria n. 7/2007 ha ritenuto che essa vada valutata tenendo conto di diverse circostanze, fra cui la eventuale reiterazione del vincolo.
Se, in linea di principio, può ritenersi giustificato il richiamo alle originarie valutazioni, quando vi è una prima reiterazione, quando il rinnovato vincolo sia a sua volta decaduto l’Autorità urbanistica deve procedere con una ponderata valutazione degli interessi coinvolti, esponendo le ragioni –riguardanti il rispetto degli standard, le esigenze della spesa, specifici accadimenti riguardanti le precedenti fasi procedimentali- che inducano ad escludere profili di eccesso di potere e ad ammettere l’attuale sussistenza dell’interesse pubblico (cfr. AP cit.)
Peraltro, il T.U. n. 327 del 2001, ispirato anche al principio della valorizzazione della partecipazione degli interessati, all’art. 11 ha previsto che la reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio, finalizzato ad uno specifico intervento, debba essere preceduto dall’avviso di avvio del procedimento, con connesso onere di una motivazione specifica, perché si va ad incidere su una posizione determinata.
Con ciò riconoscendo valore giuridico alla finalità contemperatrice dell’interesse pubblico con gli interessi privati incisi dalla reiterazione del vincolo (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.10.2008 n. 4765 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Volumetria, sagoma e superficie (rispetto) - Normativa antisismica.
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), T.U. 06.06.2001 n. 380 gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione rientrano nella nozione di «ristrutturazione edilizia» a condizione che presentino la stessa volumetria e sagoma dell’immobile preesistente, salvo che non si tratti innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Molise, sentenza 24.09.2008 n. 720 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa Corte di Cassazione offre la ricostruzione della evoluzione normativa, dottrinale e giurisprudenziale sul tema della disciplina dei parcheggi.
La soluzione della questione sottoposta all'esame della Corte richiede una sia pur sintetica ricostruzione della evoluzione normativa, dottrinale e giurisprudenziale sul tema della disciplina dei parcheggi.
La regolamentazione giuridica delle aree destinate a parcheggio trova fondamento nelle esigenze di natura urbanistica determinate dal degrado ambientale prodotto dalla sosta degli autoveicoli nei centri urbani.
La L. 06.08.1967, n. 765 (c.d. legge ponte), all'art. 18, introduce nella Legge Urbanistica 17.08.1942, n. 1150, art. 41-sexies, prescrivendo che "Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle stesse, debbano essere ricavati appositi spazi per parcheggio in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione" (poi divenuti dieci a norma della L. 24.03.1989, n. 122, art. 2).
La norma, che fissa per la prima volta degli standards minimi da osservare nella progettazione urbanistica con riguardo agli spazi destinati alla sosta, esigendo che le nuove costruzioni siano dotate di aree di parcheggio, ha - come generalmente affermato dalla dottrina -carattere pubblicistico, essendo, per un verso, diretta a regolare, sotto il profilo urbanistico, l'attività edilizia, ed essendo, per l'altro, rivolta direttamente all'autorità amministrativa, tenuta a subordinare il rilascio della concessione edilizia al rispetto dei predetti standars, da determinare in base al rapporto tra superficie e volumetria.
3.3. - Peraltro, nel silenzio della norma in esame sulla natura giuridica del vincolo concernente i parcheggi, la dottrina dominante ha escluso che il richiamato art. 41-sexies, assuma altresì una valenza nei rapporti tra privati, introducendo nuovi vincoli alla circolazione giuridica delle aree destinate a parcheggio (teoria oggettiva). Gli spazi per parcheggio previsti dalla legge non sarebbero gravati da alcun vincolo di tipo soggettivo che ne prescriva l'utilizzazione da parte dei soli proprietari delle unità immobiliari situate nel fabbricato cui tali parcheggi accedono.
Essi, pertanto, potrebbero essere liberamente attribuiti non solo in proprietà, ma anche in uso a soggetti che non siano proprietari o comunque utilizzatori di unità immobiliari poste nel fabbricato di cui lo spazio per parcheggio fa parte o di cui costituisce pertinenza.
La libera alienabilità degli spazi per parcheggio potrebbe essere agevolmente desunta, secondo i fautori della teoria in esame, dalla ratio della norma, la quale mira, come si è visto, ad evitare la congestione delle strade derivante dal parcheggio indiscriminato degli autoveicoli. A tal fine sarebbe irrilevante la persona che utilizza lo spazio per parcheggio; ciò che interessa, infatti, sarebbe solo che detto spazio sia utilizzato per il parcheggio di autovetture, che sia, cioè, rispettato il vincolo.
Solo una parte minoritaria della dottrina ha interpretato il richiamato art. 41-sexies, come diretto, oltre che a porre un vincolo oggettivo di destinazione, a regolare altresì i rapporti tra privati attraverso la introduzione di un vincolo di destinazione necessario, inderogabile pattiziamente, alla circolazione giuridica delle aree destinate a parcheggio (teoria soggettiva).
Secondo tale posizione, gli spazi per parcheggio di cui alla legge ponte dovrebbero essere necessariamente utilizzati dai proprietari e/o utilizzatori delle unità immobiliari di cui fa parte l'edificio cui detti spazi accedono.
Il vincolo opererebbe in un duplice senso, anzitutto ponendo una relazione di accessorietà tra la costruzione e gli spazi per parcheggio, rilevante nei rapporti interprivati. Detta relazione potrebbe atteggiarsi in modo diverso. Se lo spazio per parcheggio è interno alla costruzione, il vincolo legale opererebbe nel senso di qualificare detto spazio quale parte comune condominiale destinata a un servizio comune di cui la legge configura l'esigenza e impone l'assolvimento.
Se, invece, lo spazio è esterno il vincolo opererebbe nel senso di qualificare detto spazio quale pertinenza del fabbricato: si tratterebbe di una "pertinenza ex lege", in quanto la qualifica pertinenziale e le conseguenze giuridiche ad essa riconducibili non derivano, come di regola, dalla obiettiva destinazione al servizio della cosa principale, bensì direttamente dalla legge.
In entrambi i casi il rapporto di accessorietà esistente tra l'edificio e gli spazi per parcheggio farebbe sì che la vendita della singola unità immobiliare, in difetto di contraria disposizione scritta ai sensi dell'art. 1117 c.c., ovvero dell'art. 818 cod. civ., comma 1, comporti la vendita anche dello spazio per parcheggio.
In secondo luogo, il vincolo di destinazione opererebbe nel senso di impedire che i privati, nell'esercizio della propria autonomia negoziale, possano derogare al principio della necessaria utilizzazione degli spazi per parcheggio da parte dei proprietari e/o utilizzatori del fabbricato.
In altri termini sarebbe consentito con apposita pattuizione scritta derogare al principio accesorium sequitur principale solo quanto alla proprietà dello spazio per parcheggio, ma non quanto all'uso dello stesso. Si parla di un diritto di uso ope legis, con la conseguenza che una contraria pattuizione delle parti sarebbe nulla per contrasto con una norma imperativa ai sensi dell'art. 1418 cod. civ., e verrebbe sostituita di diritto dalla norma imperativa violata ai sensi dell'art. 1419 cod. civ., comma 2.
3.4. - Nella giurisprudenza di legittimità, accanto all'orientamento volto ad escludere la configurabilità nell'art. 41-sexies, di una disciplina incidente direttamente sui rapporti tra privati, ed a riconoscere a detta disposizione rilevanza unicamente nel rapporto costruttore-pubblica amministrazione (Cass. 24.04.1981, n. 2452; 15.10.1982, n. 5344; 09.05.1983, n. 3179), è possibile riscontrare un indirizzo favorevole a concepire la norma in esame come norma di relazione nei rapporti privatistici concernenti i parcheggi (Cass. 18.12.1981, n. 6714), con il fine di tutelare l'acquirente e garantire l'effettiva destinazione del posto-auto.
Tale iniziale contrasto ha determinato l'intervento delle Sezioni Unite (Sez. Un. 17.12.1984, nn. 6600, 6601 e 6602), le quali hanno affermato che l'art. 41-sexies, costituisce una disposizione imperativa ed inderogabile in correlazione agli interessi pubblicistici da esso perseguiti e che, in quanto tale, non opera soltanto nel rapporto tra costruttore-proprietario dell'edificio e Pubblica Amministrazione, ma anche nei rapporti privatistici inerenti agli spazi per parcheggio.
Conseguentemente il posto-auto viene considerato parte comune dell'edificio se ricavato all'interno dello stesso e pertinenza, legata ad un vincolo di destinazione funzionale, se posto all'esterno; ciò in mancanza di un titolo attributivo della proprietà esclusiva ai singoli condomini.
Le pattuizioni negoziali che, sotto forma di riserva di proprietà a favore del costruttore o di cessione a terzi, sottraggono ai condomini l'uso del parcheggio vengono considerate nulle e, di conseguenza, il contratto traslativo della proprietà di un appartamento in condominio che non prevede anche il contestuale trasferimento del posto-auto si ritiene integrato ope legis, ex art. 1374 cod. civ., con il riconoscimento di un diritto reale di uso su quello spazio in favore del condomino, e di un diritto dell'alienante ad un'integrazione del prezzo, nel caso in cui esso sia stato determinato solo sulla base del valore dell'appartamento.
3.5. - Successivamente al ricordato intervento delle Sezioni unite, la L. 28.02.1985, n. 47, art. 26, comma 5 (poi abrogato dal D.Lgs. 06.06.2001, n. 378, art. 136), ha stabilito che "Gli spazi di cui all'art. 18 della legge 06.08.1967, n. 765 costituiscono pertinenze delle costruzioni, ai sensi e per gli effetti degli artt. 817, 818 e 819 cod. Civ.".
La norma, scritta, come emerge dai lavori preparatori, proprio per dirimere il contrasto di opinioni che si era creato al riguardo in dottrina e giurisprudenza (tant'è che in origine la medesima era da sola contenuta nell'art. 21 del disegno di legge governativo recante la rubrica "interpretazione autentica"), non ha sortito il risultato sperato.
Essa ha definitivamente sancito la sussistenza del rapporto di accessorietà, proprio delle pertinenze, del posto auto rispetto al fabbricato, come era stato già individuato dai sostenitori della teoria soggettiva; ma, nel contempo, attraverso il richiamo all'art. 818 cod. civ. (che, al secondo comma, stabilisce che "le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici"), consente di affermare la alienabilità del posto auto separatamente dall'unità immobiliare di cui costituisce pertinenza.
Il riconoscimento della natura di pertinenza integra uno specifico tipo di regolamentazione dei rapporti interprivati in base al quale il proprietario che vende l'immobile ad altro soggetto può ben riservarsi la proprietà dell'area di parcheggio con il solo obbligo di rispettare il vincolo di destinazione.
Si è, in tale prospettiva, da alcuni Autori, invocata la natura interpretativa della norma da ultimo richiamata, che avrebbe avuto la finalità di chiarire, in modo vincolante e con efficacia retroattiva, che i posti auto possono essere alienati anche separatamente dall'edificio o dai singoli appartamenti. Altri Autori hanno, invece, attribuito all'art. 26 una portata innovativa, che avrebbe reso possibile, per il futuro, derogare al vincolo che pone i parcheggi al servizio della costruzione.
In ambito giurisprudenziale, dopo il susseguirsi di pronunce contraddittorie (a favore del carattere innovativo dell'art. 26: Cass. 06.05.1966, n. 3370; di senso contrario: Cass. 09.06.1987, n. 5036 e 29.02.1988 n. 2129), sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 18.07.1989, n. 3363, affermando che "gli spazi a parcheggio sono liberamente alienabili, ma nei limiti della destinazione a parcheggio non modificabile e del diritto reale di uso esclusivo riconosciuto agli utenti degli alloggi".
Al riguardo è stato ribadito che la norma urbanistica che imponga vincoli o limiti alla proprietà, ha natura imperativa e inderogabile non solo nei rapporti fra costruttore e Pubblica Amministrazione, in quanto norma di azione, ma anche nei rapporti tra costruttore e terzi che da quei vincoli o limiti ricevono un vantaggio, in quanto norma di relazione.
Il vincolo di destinazione permanente a parcheggio va inquadrato nella categoria delle "limitazioni legali della proprietà privata per scopo di pubblico interesse" e si conforma ope legis in un diritto reale di uso dell'area di parcheggio in favore del condominio. L'inderogabilità comporta la nullità dei patti contrari e la loro sostituzione con le previsioni della legge. La L. n. 47 del 1985, art. 26, non ha portata innovativa, ma confermativa del regime della L. n. 765 del 1967, proprio in forza del riferimento al vincolo pertinenziale.
In altri termini, il vincolo che grava sulle aree a parcheggio ha natura non solo oggettiva ma anche soggettiva, e si trasferisce, automaticamente, con il trasferimento della titolarità dell'abitazione: è un diritto reale d'uso, di natura pubblicistica, che la legge pone a favore dei condomini del fabbricato cui accede, e limita il diritto di proprietà dell'area.
Peraltro, nel rispetto di tale vincolo, il proprietario può riservarsi la proprietà o cederla a terzi, mentre, qualora nei titoli di acquisto non vi sia stata al riguardo alcuna riserva o sia stato omesso qualunque riferimento, gli spazi destinati a parcheggio vengono ceduti in comproprietà pro quota, quali pertinenze delle singole unità immobiliari secondo il regime previsto dagli artt. 817 e 818 cod. civ., venendo così a fare parte delle cose comuni di cui all'art. 1117 cod. civ. (v., sul punto, tra le altre, Cass. 16.01.2008. n. 730 e 18.07.2003, n. 11261).
3.6. - E', poi, intervenuto nuovamente il legislatore con la legge 24.03.1989, n. 122 (c.d. legge Tognoli).
L'art. 2 di detta legge ha, come si è visto, innanzitutto modificato la L. n. 1150 del 1942, art. 41-sexies, nel senso di aumentare la quantità delle aree da destinare a parcheggio delle nuove costruzioni, portando il rapporto tra tali aree e la volumetria del fabbricato ad un metro quadro per ogni dieci metri cubi di costruzione (considerando, quindi, le aree di parcheggio uno standard urbanistico).
Di più importante rilievo giuridico è l'art. 9, che prevede che "i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero in locali siti al piano terreno parcheggi da destinarsi a pertinenza delle singole unità immobiliari e ciò anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti" (comma 1), stabilendo la soggezione di tali interventi -anziché a concessione edilizia- a sola autorizzazione gratuita (comma 2, poi sostituito, per effetto dal D.P.R. 27.12.2002, n. 301, art. 137, nel senso della soggezione degli interventi medesimi a denuncia di inizio attività), e richiedendo un quorum ridotto per le delibere condominiali necessarie per l'approvazione degli interventi in oggetto (comma 3).
In ogni caso, è previsto che i parcheggi, così realizzati, "non possono essere ceduti separatamente dall'unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli" (comma 4).
Tale normativa, dettata con riferimento ai soli parcheggi costruiti con le agevolazioni della legge c.d. Tognoli, è stata invocata a proprio favore da entrambi gli orientamenti contrapposti.
I fautori della teoria oggettiva, infatti, hanno sostenuto che, se il legislatore del 1989 ha sancito il divieto di circolazione del parcheggio separatamente dall'unità immobiliare di cui questo costituisce pertinenza soltanto con riferimento ai parcheggi costruiti con le agevolazioni previste dalla predetta legge, evidentemente egli ha presupposto che nessun regime vincolistico sussiste per gli altri parcheggi.
I sostenitori della teoria soggettiva, per converso, hanno intravisto nella legge Tognoli la conferma dell'inderogabilità del vincolo soggettivo di destinazione già sancito nella legge ponte. In realtà, l'art. 9 della legge richiamata detta una disciplina vincolistica diversa da quella che, secondo gli stessi fautori della teoria soggettiva, vige per i parcheggi di cui alla legge ponte, i quali possono sicuramente essere alienati separatamente dall'unità immobiliare cui accedono, fermo restando il diritto di uso in capo al proprietario e/o utilizzatore dell'immobile principale.
A ben vedere, la ratio del divieto di circolazione dei parcheggi di cui alla legge Tognoli ben può ravvisarsi nell'intento di evitare speculazioni da parte di chi ha usufruito di speciali deroghe ed agevolazioni per la realizzazione degli stessi.
3.7. - Certo è che il susseguirsi degli interventi legislativi nella materia in oggetto ha fatto evidenziare, secondo dottrina e giurisprudenza, tre diverse tipologie di parcheggi, ciascuna caratterizzata da una propria disciplina:
a) parcheggi soggetti a vincolo di destinazione, cioè "a utilizzazione vincolata", ai quali inerisce una qualificazione pertinenziale ex lege, in quanto realizzati ai sensi dell'art. 18 della legge ponte (poi integrata dall'art. 26 della legge sul condono);
b) parcheggi soggetti a vincolo di destinazione e a vincolo di inscindibilità dall'unità principale, cioè "a utilizzazione vincolata" e, al tempo stesso, "a circolazione controllata", perché costruiti in base alla Legge Tognoli (122/1989);
c) parcheggi non rientranti in tali due specie, soggetti alla regole del diritto comune e, quindi, "a utilizzazione e a circolazione libera", non vincolata in base a speciali limiti (inderogabili) di legge (v. Sezioni unite, sentenza 15.06.2005, n. 12793).
La L. 28.11.2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005), all'art. 12, comma 9, ha, poi, modificato la L. n. 1150 del 1942, art. 41-sexies, aggiungendovi il comma 2, per effetto del quale "Gli spazi per parcheggi realizzati in forza del primo comma non sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta né da diritti d'uso a favore dei proprietari di altre unità immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse".
La norma richiamata -che, come già chiarito da questa Corte, trova applicazione soltanto per il futuro, vale a dire per le sole costruzioni non realizzate o per quelle per le quali, al momento della sua entrata in vigore, non erano ancora state stipulate le vendite delle singole unità immobiliari (Cass. 24.02.2006, n. 4264)- liberalizza, infine, il regime delle aree destinate a parcheggio.
La L. n. 246, è di poco successiva alla già ricordata sentenza 15.06.2005, n. 12793, nella quale le Sezioni unite, nel risolvere un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto alla superficie minima richiesta dalla legge non sono soggetti ad alcun diritto d'uso da parte degli acquirenti delle singole unità immobiliari dell'edificio; in tal modo già delimitando quantitativamente il regime vincolistico delle aree in questione (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 01.08.2008 n. 21003).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Volumetria, sagoma e superficie (rispetto).
Nel caso in cui la sagoma, i prospetti e le superfici dell’immobile in questione risultino essere stati mutati, essendo invece rimasto quasi invariato il volume, cosicché ne risulti un manufatto assai differente da quello preesistente, non può pertanto applicarsi la nozione di ristrutturazione, apparendo invece più confacente la fattispecie che ha riguardo alla nuova costruzione (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. I, sentenza 25.07.2008 n. 1543 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Ricostruzione di un fabbricato in rovina.
Risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia costituiscono interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente e, in quanto tali, postulano necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare o risanare, ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura; pertanto, la ricostruzione su ruderi o su di un edificio già da tempo demolito (anche in parte) o diroccato deve essere assentita non come intervento di recupero, ma con concessione edilizia di nuova opera, anche qualora l'intervento proposto preveda il mantenimento (in luogo della completa rimozione) delle residue parti murarie della vecchia struttura edilizia (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 17.06.2008 n. 1213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Trasformazione di volumi pertinenziali.
La realizzazione di una villetta in sostituzione di un preesistente deposito destinato al ricovero di attrezzi configura un intervento di nuova edificazione e non una ristrutturazione edilizia, non sussistendo alcuna connessione tra l’edificio già esistente e quello in seguito realizzato (massima tratta da www.studiospallino.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.04.2008 n. 1550 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Sedime (rispetto).
In tema di reati edilizi, anche dopo le modifiche apportate dal d.lgs. 27.12.2002, n. 301 all’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, gli interventi di ristrutturazione edilizia ricomprendono anche la demolizione e la ricostruzione del preesistente manufatto purché vi sia identità dell’area di sedime e ne rimangano inalterate la volumetria e la sagoma, configurandosi, diversamente, un intervento di "nuova costruzione" (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.04.2008 n. 28212).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Volumi tecnici.
Nel mancato rispetto delle puntuali caratteristiche preesistenti, ossia quando non vi sia piena «fedeltà» per tali aspetti dell’intervento progettato (appunto anche di demolizione e ricostruzione) al vecchio fabbricato, non può parlarsi di «ristrutturazione», bensì il medesimo intervento deve essere qualificato come di «nuova costruzione» e, in quanto tale, resta assoggettato alle limitazioni imposte dalle norme urbanistiche dettate in proposito.
È noto, infatti, che i volumi tecnici sono quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno; pertanto non sono tali -quindi sono computabili ai fini della volumetria consentita- le soffitte, gli stenditori chiusi e quelli «di sgombero», nonché il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà, come nella specie, una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.03.2008 n. 918 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione -  Oneri (calcolo).
Appare legittimo l’operato del Comune che, in assenza di computo metrico estimativo delle opere di ristrutturazione, ha riferito gli oneri di urbanizzazione alla superficie reale interessata dall’intervento, applicando l’importo unitario al metro quadro, previsto dalle tabelle comunali per gli interventi di ristrutturazione, alla superficie dichiarata dalla ricorrente nell’istanza di condono (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.01.2008 n. 225 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione di annullamento (d.i.a.).
In caso di denunzia di inizio attività edilizia è preferibile la tesi per cui l'unico veicolo d'accesso alla tutela giurisdizionale sia costituito dalla impugnazione del provvedimento di diniego o del silenzio-rifiuto di esercitare il potere sanzionatorio opposto all'istanza del terzo che lamenti l'illegittima esecuzione di opere (cfr. Cons. St., sez. V, 22.02.2007 n. 948) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.12.2007 n. 2050 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Soppalchi.
In ordine al titolo abilitativo per la realizzazione di soppalchi interni alle abitazioni occorre distinguere i casi nei quali, in relazione alla tipologia e alla dimensione dell’intervento, può essere sufficiente una denuncia di inizio di attività, dai casi nei quali occorre una vera e propria concessione edilizia, oggi permesso di costruire; deve infatti ritenersi sufficiente una d.i.a. nel caso in cui il soppalco sia di modeste dimensioni e al servizio della preesistente unità immobiliare (TAR Salerno 883 - 04.09.2003) mentre, viceversa, deve ritenersi necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, ai sensi dell’art. 3, comma 1, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, comportando un incremento delle superfici dell’immobile e quindi anche un ulteriore possibile carico urbanistico.
Si è quindi giustamente ritenuto che la realizzazione di un soppalco che comporta la riorganizzazione interna dell'immobile ampliandone considerevolmente le superfici e riorganizzando i volumi determina un vero e proprio intervento di ristrutturazione edilizia e necessita di concessione edilizia (in termini TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste n. 473 del 28.06.2003, Cassazione penale, sez. III, 14.06.2000) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 10.12.2007 n. 15871 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il termine di 45 giorni previsto dall'art. 4, l. 28.02.1985 n. 47, entro cui il comune, dopo la emissione dell'ordinanza di sospensione dei lavori abusivi, deve emanare i provvedimenti definitivi diretti a reprimere l'abuso edilizio accertato, designa il termine della legale durata del provvedimento di sospensione dei lavori, trascorso il quale lo stesso perde la sua efficacia; la scadenza di detto termine, tuttavia, non priva il comune del potere di adottare i provvedimenti definitivamente repressivi della violazione edilizia che, in caso di inosservanza della disposta sospensione, sia stata eseguita pur dopo il decorso dello stesso termine, né l'inosservanza di esso consente comunque la prosecuzione dei lavori da parte dell'esecutore delle opere ritenute abusive.
L'ordine di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall'avviso ex art. 7 della legge 241/1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale sanzione per l’accertamento della inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore conseguente rigidamente disciplinato della legge.
L'omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 L. 07.08.1990, n. 241 non costituisce in alcun modo vizio dell'impugnata ingiunzione a demolire anche alla luce di quanto recentemente stabilito dall’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, nel testo aggiunto dalla legge n. 15 dell’11.02.2005, secondo cui “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Premesso che il provvedimento di sospensione ad horas delle opere abusive -come disciplinato dall’abrogato art. 4 della legge n. 47/1985– è un provvedimento per sua natura avente efficacia temporalmente circoscritta sino all’adozione dei provvedimenti repressivi successivi, l’art. 7 della legge 47/1985, vigente all’epoca (ed abrogato dall'art. 136, comma 2, d.p.r. 06.06.2001, n. 380, a decorrere dal 30.06.2003, ai sensi dell'art. 3, d.l. 20.06.2002, n. 122, conv., con modificazioni, in l. 01.08.2002, n. 185), con riferimento alle opere eseguite in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni essenziali attribuiva al sindaco -accertata l'esecuzione di tali opere- il potere/dovere di ingiungere la demolizione.
Il termine di 45 giorni previsto dall'art. 4, l. 28.02.1985 n. 47, entro cui il comune, dopo la emissione dell'ordinanza di sospensione dei lavori abusivi, deve emanare i provvedimenti definitivi diretti a reprimere l'abuso edilizio accertato, designa infatti il termine della legale durata del provvedimento di sospensione dei lavori, trascorso il quale lo stesso perde la sua efficacia; la scadenza di detto termine, tuttavia, non priva il comune del potere di adottare i provvedimenti definitivamente repressivi della violazione edilizia che, in caso di inosservanza della disposta sospensione, sia stata eseguita pur dopo il decorso dello stesso termine, né l'inosservanza di esso consente comunque la prosecuzione dei lavori da parte dell'esecutore delle opere ritenute abusive (TAR Puglia Lecce, sez. II, 07.05.2007, n. 1821; TAR Lazio Roma, sez. II, 03.02.2006, n. 780)
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Per giurisprudenza pacifica di questo Collegio, l'ordine di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall'avviso ex art. 7 della legge 241/1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale sanzione per l’accertamento della inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore conseguente rigidamente disciplinato della legge.
Peraltro, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio , esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia l’abuso, di cui il ricorrente doveva essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo.
Questa stessa Sezione, aderendo al costante orientamento della giurisprudenza, ha più volte affermato che il procedimento repressivo degli abusi edilizi, in quanto integralmente disciplinato dalla legge speciale e da questa rigidamente vincolato, non richiede la previa comunicazione di avvio ai destinatari dell'atto finale (TAR Puglia-Bari, II, 28.03.1998, n. 349; TAR Toscana, III 02.11.1998, n. 396; TAR Piemonte, I, 25.02.1999, n. 105; TAR Lazio, II, 26.11.1999, n. 2455; TAR Piemonte, I, 13.06.2001, n. 1302).
L'omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 L. 07.08.1990, n. 241 non costituisce perciò in alcun modo vizio dell'impugnata ingiunzione a demolire anche alla luce di quanto recentemente stabilito dall’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, nel testo aggiunto dalla legge n. 15 dell’11.02.2005, secondo cui “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 10.12.2007 n. 15871 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Volumi tecnici.
La realizzazione di nuovi volumi e superfici destinati a rampa di scala di accesso ad un terrazzo o ad un locale lavanderia non costituisce un’ipotesi di ristrutturazione edilizia (massima tratta da www.studiospallino.it - C.G.A.R.S., Sez. giurisd., sentenza 05.12.2007 n. 1096 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Sedime (rispetto). 
Nella ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione integrale con successiva fedele ricostruzione di un nuovo fabbricato, disciplinata dall’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 06.06.2001 n. 380, il concetto di fedeltà della ricostruzione va ricondotto alla nozione di recupero, nel senso che l’opera, pur potendo costituire un organismo edilizio anche in tutto diverso, deve essere comunque materialmente riferibile al manufatto preesistente e non devono essere modificati né il sedime né i volumi (TAR Piemonte, sez. I, 18.10.2004, n. 2504) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Veneto, Sez. II, sentenza 31.10.2007 n. 3493 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Trasformazione di villa in edificio ad appartamenti.
Gli interventi di restauro e di risanamento conservativo sono interventi sistematici che, pur con rinnovo di elementi costitutivi dell'edificio, ne conservano tipologia, forma e struttura; la ristrutturazione edilizia è invece un insieme sistematico di opere dirette a creare un organismo edilizio in tutto o in parte diverso.
Un esempio tipico di ristrutturazione edilizia è quello diretto a trasformare una villa, mantenendo o meno l'aspetto architettonico esterno, in un edificio ad appartamenti (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.10.2007 n. 5273 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Normative di settore  - Normativa antisismica.
Ai fini del calcolo della volumetria non si tiene conto delle innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 17.09.2007 n. 1439 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il concetto di ristrutturazione edilizia comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto.
Per giurisprudenza assolutamente costante, ai sensi dell'art. 31, comma 1, lett. d), l. 05.08.1978 n. 457, il concetto di ristrutturazione edilizia comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto (per tutte, C. Stato, V, 30.08.2006 n. 5061).
Ma anche la giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del T.U. edilizia ha fin di recente precisato che il concetto di ristrutturazione comprende anche la demolizione e ricostruzione sempre che ciò avvenga con la stessa volumetria e sagoma (C. Stato, IV, 31.10.2006 n. 6464) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 17.09.2007 n. 1439 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Ridistribuzione di volumi.
Rientrano nella nozione di "ristrutturazione edilizia" gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportino altresì l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, che non possono pertanto configurarsi né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo (Cons. St., sez. V, 17.12.1996, n. 1551).
In altre parole, affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi dell’edificio, ovvero l’ordine in cui risultavano disposte le diverse porzioni dell’edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d’uso esistente, poiché anche in questi casi sussistono un rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie.
Sempre con riferimento alla distinzione tra interventi di ristrutturazione edilizia e di risanamento conservativo, la stessa giurisprudenza ha altresì chiarito come la differenza sia da ricercarsi nella differenza del risultato finale dell'intervento nei riguardi dell'edificio preesistente.
Non è, infatti, elemento caratteristico il mezzo, ossia il lavoro di consolidamento nel primo caso, di sostituzione delle strutture nel secondo, in quanto il rinnovo degli elementi strutturali è ammesso anche nel primo caso, mentre la modifica estetica è ammessa (sia pure con lieve entità) sia nel primo che nel secondo caso, dovendosi in sede di restauro eliminare le superfetazioni.
L'elemento differenziatore è da ritenere costituito dal fatto che nella ristrutturazione il risultato può portare ad un edificio anche in tutto diverso dal precedente, nel caso di restauro e risanamento conservativo, il risultato va inteso e valutato nel complesso, e non nelle singole parti, per cui l'edificio deve restare il medesimo soprattutto come forma, sia pure con modifiche non rilevanti architettonicamente (cfr., per tutte, Cons. St. sez. V, 02.07.1994, n. 807 e TAR Toscana, sez. II, 31.01.2006, n. 249)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.05.2007 n. 3070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Soppalchi.
L’abuso in contestazione (“soppalco ed opera accessoria abusivamente realizzate all’interno di locale dell’ex macello”) ha, senza dubbio alcuno, natura di opera interna, priva di autonomia funzionale, inidonea a determinare modifiche della sagoma e dei prospetti e perciò soggetta al regime della denuncia di inizio attività (TAR Campania Napoli, sez. II, 19.10.2006 n. 8680; TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 24.04.2006 n. 406) poiché rientrante nell’accezione lata di “ristrutturazione edilizia” (TAR Piemonte Torino, sez I, 15.02.2006 n. 910).
Di conseguenza, è sproporzionata la sanzione demolitoria adottata in relazione ad un simile abuso, in quanto eccessiva in riferimento ad opere edilizie abusive non necessitanti del titolo concessorio concessorio (rectius permesso di costruire) (ex multis TAR Campania Napoli sez. II, 19.10.2006 n. 8680) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 11.04.2007 n. 3329 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Sopraelevazione.
Costituisce principio costante e pienamente condivisibile quello in base al quale la sopraelevazione -per tale intendendosi qualsiasi costruzione che si eleva al di sopra della linea di gronda di un preesistente fabbricato- deve rispettare le distanze legali tra costruzioni stabilite dalla normativa vigente al momento della realizzazione della stessa, poiché comporta sempre un aumento della volumetria preesistente (cfr. ad es. TAR Puglia Lecce, sez. III, 27.01. 2006, n. 565 e Cassazione civile, sez. II, 12.01.2005, n. 400).
Ha natura inderogabile la norma sulle distanze minime fra edifici, essendo disposizione di ordine pubblico atta ad evitare intercapedini dannose per la salute pubblica; in particolare, la normativa dettata dall'art. 9, comma 1, d.m. 02.04.1968 n. 1444, laddove prescrive per gli edifici ricadenti in zone territoriali diverse dalla zona A la distanza minima assoluta di 10 metri tra le pareti di edifici antistanti, è tassativa ed inderogabile, con l'unica eccezione di edifici ricompresi in un piano particolareggiato.
Le norme sulle distanze dei fabbricati contenute nel d.m. citato quindi, a differenza di quelle sulle distanze dai confini derogabili mediante convenzione tra privati, hanno carattere pubblicistico e inderogabile, in quanto dirette, più che alla tutela di interessi privati, a quella di interessi generali in materia urbanistica, sicché l'inderogabile distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite minimo è illegittima essendo consentita alla p.a. solo la fissazione di distanze superiori. (cfr. ad es. TAR Liguria Genova, sez. I, 07.07.2005, n. 1027).
Più in generale, sulla costante valenza della disciplina predetta, poiché l'art. 136 t.u. 06.06.2001 n. 380, nell'abrogare (con effetto ex nunc) l'art. 17, comma 1, lett. c, delle legge n. 765 del 1967, ha lasciato in vigore i commi 6, 8, 9, dell'art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, gli strumenti urbanistici locali devono osservare la prescrizione di cui all'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che prevede la distanza minima inderogabile di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; pertanto, nel caso di norme contrastanti, il giudice è tenuto ad applicare la disposizione di cui al citato art. 9, in quanto automaticamente inserita nello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima (cfr. ad es. Cassazione civile, sez. II, 29.05.2006, n. 12741).
Inoltre, nel nuovo contesto costituzionale post riforma del titolo V della parte seconda della Carta fondamentale, assumono rilievo la natura delle norme sulle distanze, il richiamo espresso contenuto nel testo unico dell'edilizia ed il loro inquadramento ai sensi dell'art. 117 lett. l) ed m) cost.: da ciò non può che conseguire un’applicazione della normativa in materia sulla scorta dell’unica opzione ermeneutica conforme a Costituzione.
Ai fini dell’individuazione della tipologia di un intervento edilizio, il concetto di sopraelevazione si differenzia da quello di mero innalzamento, dovendosi considerare che quest’ultimo, specie se modesto ed inidoneo a determinare un incremento volumetrico, può risultare compatibile con la nozione di ristrutturazione, mentre non altrettanto può affermarsi nel caso di una sopraelevazione che sia inscindibilmente connessa all’incremento volumetrico in ragione di un rapporto di causa ed effetto e che sia quindi diretta all’accrescimento della cubatura di un fabbricato (cfr. ad es. TAR Piemonte Torino, sez. I, 19.11.2003, n. 1603)  (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 19.12.2006 n. 1711 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le autorizzazioni paesaggistiche, quantunque abbiano natura di atti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari, debbono essere congruamente motivate in modo che possa essere ricostruito l'”iter” logico che ha condotto a ritenere le opere autorizzate non lesive dei valori paesistici sottesi all'imposizione del vincolo.
In sede di esame dell'istanza di autorizzazione paesistica, l'autorità delegata o subdelegata deve motivare l'autorizzazione in modo tale che emerga l'apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e la non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore in conflitto diverso da quello tutelato in via primaria.
Il difetto di motivazione dell'autorizzazione paesaggistica non è qualificabile alla stregua di un vizio di forma ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, l. n. 241 del 1990, atteso che sottende all'esplicazione di un giudizio connesso alla tutela di interessi primari di tutela ex art. 117, lett. s), Cost., né l'autorizzazione paesaggistica può qualificarsi come atto vincolato trattandosi di valutazione di compatibilità rispetto ai vincoli sussistenti in loco pienamente discrezionale.

Costituisce principio ormai consolidato quello per cui le autorizzazioni paesaggistiche, quantunque abbiano natura di atti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari, debbono essere congruamente motivate in modo che possa essere ricostruito l'”iter” logico che ha condotto a ritenere le opere autorizzate non lesive dei valori paesistici sottesi all'imposizione del vincolo.
In particolare, in sede di esame dell'istanza di autorizzazione paesistica, l'autorità delegata o subdelegata deve motivare l'autorizzazione in modo tale che emerga l'apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e la non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore in conflitto diverso da quello tutelato in via primaria; inoltre, pur se in sede di pianificazione urbanistica sono valutati anche gli interessi di rilievo paesistico ed ambientale, nel corso del procedimento di rilascio dell'autorizzazione paesistica l'autorità delegata o subdelegata deve effettuare le specifiche valutazioni richieste dall'art. 151 d.lgs. n. 490 del 1999 (oggi sostituito dall'art. 146 d.lgs. n. 42), in considerazione della distinzione, che emerge dalla Costituzione, delle materie del paesaggio e dell'urbanistica (cfr. ad es. TAR Liguria, sez. I, 27.10.2005, n. 1408 e Consiglio Stato, sez. VI, 08.11.2005, n. 6219).
Inoltre, va evidenziato come il difetto di motivazione dell'autorizzazione paesaggistica non sia qualificabile nella specie alla stregua di un vizio di forma ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, l. n. 241 del 1990, atteso che sottende all'esplicazione di un giudizio connesso alla tutela di interessi primari di tutela ex art. 117, lett. s), Cost., né l'autorizzazione paesaggistica può qualificarsi come atto vincolato (prima parte, comma 2), trattandosi di valutazione di compatibilità rispetto ai vincoli sussistenti in loco pienamente discrezionale, né nel caso di specie è stato dedotto alcun difetto di comunicazione (seconda parte, comma 2)
 (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 19.12.2006 n. 1711 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel rilasciare un permesso di costruire non è necessario comunicare l'avvio del procedimento ai terzi confinanti.
In sede di procedimento diretto al rilascio di una concessione edilizia i soggetti potenzialmente legittimati ad impugnare non possono qualificarsi, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241 del 1990, in termini di soggetti nei confronti dei quali è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento (cfr. ad es. TAR Liguria, sez. I, 15.11.2005, n. 1461)  (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 19.12.2006 n. 1711 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Normative di settore  - Zona di rispetto cimiteriale.
Anche se l’art. 24, l.r. Piemonte n. 56 del 1977 consente in zona di rispetto cimiteriale gli interventi di ristrutturazione edilizia, con esclusione di qualsiasi aumento volumetrico, senza però menzionare l’ipotesi di mutamento di destinazione d’uso degli edifici, questa tipologia di intervento non può ritenersi preclusa dal legislatore regionale, dovendosi fare riferimento, in materia di legislazione concorrente, ai principi ricavati dalla normativa statale, che all’art. 338 del r.d. 27.07.1934 n. 1265, avente valenza anche urbanistico-edilizia, consente in tali zone tanto gli interventi di ristrutturazione quanto il mutamento di destinazione d’uso (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 11.10.2006 n. 3383 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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