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AGGIORNAMENTO AL
30.06.2010 |
ã |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
APPALTI:
Controlli antimafia preventivi nelle
attività "a rischio" di infiltrazione da
parte delle organizzazioni criminali
(Ministro dell'Interno,
nota 23.06.2010 n.
4610 di prot.). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n.
26 del 29.06.2010, "Pubblicazione ai
sensi dell’art. 5 del regolamento regionale
21.01.2000, n. 1, dell’elenco dei «Tecnici
competenti» in acustica ambientale
riconosciuti dalla Regione Lombardia alla
data del 10.06.2010, in attuazione dell’art.
2, commi 6 e 7 della legge 26.10.1995, n.
447, della deliberazione 17.05.2006, n.
8/2561 e del decreto 30.05.2006, n. 5985"
(comunicato
regionale 24.06.2010 n. 81 - link
a www.infopoint.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
D.L. 78/2010: il trattamento
economico complessivo dei singoli dipendenti
nel triennio 2001-2013
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 26.06.2010). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
D.L. 78/2010: 400 mila posti in
meno nei prossimi tre anni nella pubblica
amministrazione
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 26.06.2010). |
DOTTRINA
E CONTRIBUTI |
ENTI LOCALI:
P. Russo e M. I. Bruno,
Debiti fuori bilancio: nuovi profili di
responsabilità per danno erariale
(link a www.altalex.com). |
NEWS |
APPALTI:
QUESTION-TIME del 23.06.2010 alla
Camera dei Deputati sul Regolamento di
esecuzione del codice dei contratti.
(Interrogazione
parlamentare sulla "Recente approvazione del
regolamento di esecuzione del codice dei
contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture - n. 3-01139").
Il testo dell'interrogazione:
"Il Consiglio dei ministri del 18 giugno
scorso ha approvato un regolamento che
contiene la disciplina esecutiva ed
attuativa del codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture. Con
tale approvazione il provvedimento termina
un lungo iter istruttorio che lo ha
sottoposto a pareri molteplici del Consiglio
di Stato, della Conferenza unificata e
dell'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture. In
considerazione di quanto sopra
quali sono i fattori innovativi del
provvedimento e in quale arco temporale lo
stesso sarà concretamente operativo?"
Risposta del Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti, Altero
Matteoli:
"Con l'approvazione definitiva da parte del
Governo del regolamento di attuazione del
codice dei contratti pubblici di lavoro e
forniture le innumerevoli disposizioni
normative di rango regolamentare in materia
sono racchiuse in un unico testo (fino ad
oggi erano sparse in una miriade di testi).
Si tratta di un provvedimento dalla portata
innovativa, atteso dagli operatori
economici, i quali ora potranno avvalersi di
un valido strumento di supporto che mira a
rendere più trasparenti le procedure
d'appalto, più efficienti i controlli e le
verifiche delle varie fasi progettuali e di
cantiere, e che riordina e semplifica
l'intera normativa di settore armonizzandola
con quella comunitaria, anche allo scopo di
favorire la concorrenza negli appalti.
Ricordo solo le innovazioni maggiormente
significative.
In
primo luogo, ricordo, fra tutte, le
disposizioni relative al responsabile del
procedimento dei lavori il quale deve essere
un tecnico, in servizio presso le
amministrazioni aggiudicatrici, con idonea
professionalità.
Il nuovo regolamento, inoltre, disciplina,
per la prima volta, in maniera organica, la
materia della verifica del progetto dettando
disposizioni atte ad accertare la
rispondenza della progettazione ad una serie
di requisiti che ne garantiscano l'appaltabilità
e la conseguente realizzazione rispetto ai
tempi, ai costi, alla qualità e alla
sicurezza, con la minimizzazione dei rischi
derivanti dall'introduzione di varianti e
sospensioni anche in termini di contenzioso.
Considerato, poi, il primato comunitario
dell'Italia relativo al contenzioso, spesso
riconducibile a problemi progettuali, si
tratta di norme che si auspica possano
inaugurare un circolo virtuoso: più qualità
progettuale, più opere di qualità, meno
contenzioso.
Nell'ambito del sistema di qualificazione
SOA sono previste disposizioni tese, nel
loro insieme, a perseguire una maggiore
trasparenza e qualità nel mercato degli
operatori economici esecutori di lavori
pubblici, anche attraverso l'introduzione di
norme moralizzatrici e di un più rigoroso
sistema di vigilanza da parte delle
autorità.
Attraverso la regolamentazione del sistema
di garanzia globale di esecuzione diviene
operativo, per la prima volta, nel nostro
ordinamento, uno strumento a garanzia
dell'effettiva realizzazione dell'opera
pubblica secondo procedure assicurative già
consolidate in altri Paesi europei,
svolgendo una funzione di selezione
qualitativa delle imprese.
È importante sottolineare che nel settore
dei servizi è stata introdotta, in modo
inedito, la disciplina della finanza di
progetto con procedure semplificate che
consentiranno di attivare risorse private
per la prestazione di pubblici servizi.
Per quanto attiene
all'operatività temporale del regolamento,
questo entrerà in vigore 180 giorni dopo la
data di pubblicazione, fatte salve le
disposizioni relative alle sanzioni alle
imprese e alla SOA che, invece, entrano in
vigore il giorno successivo alla
pubblicazione".
Roma, Camera dei Deputati, 23.06.2010 (link
a www.giurdanella.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI:
Il singolo comune può bandire
isolatamente la propria procedura ad
evidenza pubblica di affidamento del
servizio distribuzione gas naturale anche in
assenza della previa identificazione dei
bacini ottimali di utenza.
Con la sentenza in rassegna il Consiglio di
Stato ha risolto una controversia tra tre
società e un comune veneto in merito agli
atti di gara per l’affidamento del servizio
distribuzione gas naturale nel territorio
dello stesso.
Tra le numerose censure dedotte in questa
complessa vicenda le società avevano
rimarcato, soprattutto, la violazione
dell’art. 46-bis D.L. 01.10.2007 n. 159
(convertito dalla L. 29.11.2007 n. 222),
come modificato dall’art. 2, comma 175, L.
24.12.2007 n. 244, sul presupposto che
l’Amministrazione non avrebbe potuto indire
la gara per l’affidamento del servizio senza
previa individuazione dei criteri di gara e
di valutazione delle offerte, nonché degli
ambiti territoriali ottimali di utenza da
parte dei Ministri dello sviluppo economico
e per gli affari regionali, sentita la
Conferenza unificata e su parere
dell’Autorità per l’energia elettrica.
Ma tale tesi, secondo i giudici d’appello, è
infondata sotto molteplici aspetti: invero,
la stessa sezione ha già evidenziato, con
orientamento che è condiviso dai giudici in
causa, che dalle menzionate disposizioni non
può desumersi l’introduzione di una
moratoria sine die delle procedure di
gara nel settore della distribuzione del gas
naturale. Tanto più che finora non sono
stati ancora individuati i bacini ottimali
di utenza e i criteri di selezione,
nonostante siano abbondantemente scaduti i
termini, previsti dall’art. 46-bis cit., per
lo svolgimento dei relativi adempimenti (V.
la citata decisione n. 5217/2009).
Tale conclusione è confortata dalla
necessità di rispettare i principi
comunitari in materia di tutela della
concorrenza e libertà di prestazione dei
servizi (cfr. in termini Cons. St., sez. V,
30.09.2008, n. 5213/ord.), nonché le stesse
finalità descritte dal comma 1° dell’art.
46-bis di “garantire al settore della
distribuzione di gas naturale maggiore
concorrenza e livelli minimi di qualità dei
servizi essenziali”.
Inoltre, occorre considerare, come rilevato
dal Comune, che i singoli comuni non
sembrano obbligati ad aderire ad un
determinato bacino ai fini dell’indizione
della gara essendo necessaria una specifica
scelta in tal senso, come emerge dal
complesso delle disposizioni di cui al
menzionato art. 46-bis nelle parti in cui si
prevedono da parte del Ministri competenti
misure di incentivazione delle operazioni di
aggregazioni (comma 2) e la facoltà dei
comuni interessati alle nuove gare per il
bacino di utenza ottimale di incrementare il
canone di concessione entro i limiti
indicati dalla norma stessa (comma 4).
Di conseguenza, concludono i giudici di
Palazzo Spada, il singolo comune può
legittimamente bandire isolatamente la
propria procedura ad evidenza pubblica di
affidamento del servizio anche in assenza
dei criteri di gara e di valutazione
dell'offerta e della previa identificazione
dei bacini ottimali di utenza di cui al
richiamato art. 46-bis (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 22.06.2010 n. 3890 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Ove il proprietario espropriato
non abbia accettato l’indennità offerta o
non sia addivenuto ad un accordo amichevole,
il pagamento di essa va sempre effettuato
alla Cassa depositi e prestiti.
Ove il proprietario espropriato non abbia
accettato l’indennità offerta o non sia
addivenuto ad un accordo amichevole, il
pagamento di essa va sempre effettuato alla
Cassa depositi e prestiti, con deposito che
ha valore liberatorio per l’ente
espropriante e che costituisce un mezzo di
tutela per gli eventuali terzi lesi dalla
espropriazione: é proprio per tale ragione
che la Corte di Cassazione, con la pronuncia
della cui ottemperanza si tratta, non ha
condannato il Comune di Acquaviva delle
Fonti ad effettuare il pagamento di quanto
da essa determinato direttamente a favore
della signora Musci, ma ne ha ordinato il
deposito (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 18.06.2010 n. 2477 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nelle gare pubbliche il tempo
dedicato dalla commissione giudicatrice alle
operazioni di scrutinio non è un presupposto
che possa invalidare i giudizi conclusivi.
Secondo consolidata giurisprudenza in
materia (Consiglio Stato, sez. V,
12.06.2009, n. 3768) nelle gare pubbliche il
tempo dedicato dalla commissione
giudicatrice alle operazioni di scrutinio
non è un presupposto che possa invalidare i
giudizi conclusivi, la cui logicità e
ragionevolezza devono essere valutate sulla
base di quanto oggettivamente espresso negli
atti contestati.
Rispetto alla conclusione della procedura
valutativa rileva infatti non il tempo
dedicato all'esame delle offerte e della
allegata documentazione, ma la verifica
della correttezza dei risultati alla stregua
dei consueti parametri di legittimità
dell'azione amministrativa, rispetto ai
quali l'elemento "tempo" rimane un
fattore estrinseco, che può assumere una
ipotetica rilevanza solo nel caso in cui
alla brevità delle operazioni concorsuali si
accompagni un esito irrazionale e illogico (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 16.06.2010 n. 3806 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Omessa demolizione opera abusiva
e acquisizione dell’opera.
Se il colpevole dell’abuso edilizio non
provvede alla demolizione dell’opera abusiva
ed alla remissione in pristino dello stato
dei luoghi entro novanta giorni
dall’ingiunzione a demolire emessa dal
sindaco, l’opera e l’area pertinente sono
acquisite di diritto al patrimonio comunale
e tale effetto si produce ipso iure
sulla sola base dell’accertamento di
un’inottemperanza colpevole, senza che sia
necessario alcun atto ulteriore ed in
particolare senza che sia necessaria la
notifica dell’accertamento
dell’inottemperanza all’interessato o la
trascrizione, giacché il primo atto ha solo
funzione certificativa dell’avvenuto
trasferimento del diritto di proprietà,
costituendo titolo per l’immissione in
possesso mentre la trascrizione serve a
rendere opponibile il trasferimento ai terzi
a norma dell’articolo 2644 cc. (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.06.2010 n. 22237 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sostituzione del tetto.
In base all’articolo 3, comma I, lett. b),
del T.U. edilizia si considerano interventi
di manutenzione straordinaria le opere e le
modifiche necessarie per rinnovare o
sostituire parti anche strutturali degli
edifici, nonché per integrare o realizzare i
servizi igienici sanitari e tecnologici
sempre che non alterino i volumi e le
superfici delle singole unità immobiliari e
non comportino modifiche della destinazione
d’uso.
Può rientrare nella manutenzione
straordinaria anche la sostituzione del
tetto a condizione però che non venga
modificata la quota d’imposta o alterato lo
stato dei luoghi né planimetricamente né
quantitativamente rispetto alle superfici ed
ai volumi preesistenti (fattispecie relativa
ad aumento dell’altezza del fabbricato e
modifica della sagoma qualificati come
interventi soggetti a permesso di costruire)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.06.2010 n. 22229 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Falsità ideologica e richiesta di
sanatoria.
Integra il reato di falsità ideologica
commesso dal privato in atto pubblico
(art. 483 c.p.) la condotta di colui che, in
sede di dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà allegata a domanda di concessione
edilizia in sanatoria, attesta falsamente la
data di ultimazione dell’opera da sanare,
considerato che l’ordinamento attribuisce a
detta dichiarazione valenza probatoria
privilegiata- con esclusione di produzioni
documentali ulteriori- e, quindi, di
dichiarazione destinata a dimostrare la
verità dei fatti cui è riferita e ad essere
trasfusa in atto pubblico.
E ciò anche a seguito dell’abrogazione della
L. 04.01.1968 n. 15, attuata dall’art. 77
del D.L.vo 28.12.2000 n. 445, per effetto
della quale la sottoscrizione della
dichiarazione sostitutiva di atto notorio
non deve più essere autenticata dal pubblico
ufficiale (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 11.06.2010 n. 22227 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Liquidi trasportati con
autospurgo.
I liquami sono ricompresi nella categoria
dei rifiuti ed il reato previsto
dall'articolo 256 D.Lv. 152/2006 è
configurabile anche nel caso di smaltimento
di reflui trasportati su auto spurgo.
Sono
infatti da considerarsi rifiuti allo stato
liquido, soggetti alla disciplina dell’art.
256 D.Lgs. n. 152 del 2006, i reflui
stoccati in attesa di un successivo
smaltimento, fuori del caso delle acque di
scarico, ovvero di quelle oggetto di diretta
immissione nel suolo, nel sottosuolo o nella
rete fognaria mediante una condotta o un
sistema stabile di collettamento (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.06.2010 n. 22036 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
L'ordinanza di rimozione rifiuti
compete al Sindaco.
In ordine alla competenza ad emanare
l’ordinanza di rimozione rifiuti ai sensi e
per gli effetti di cui all’art. 192 d.lgs.
n. 152 del 2006 (TUA) si sono sviluppati, in
giurisprudenza, due orientamenti.
Da un lato, un orientamento minoritario
ritiene che il previgente art. 14, comma 3,
d.lgs. 05.02.1997 n. 22 (cd. decreto Ronchi)
sebbene affidasse già al Sindaco il potere
di ordinare la rimozione dei rifiuti
abbandonati, tuttavia -in virtù del
principio sulla separazione tra funzioni di
indirizzo politico e funzioni gestionali di
cui all’art. 107 del T. U. delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali- la norma
va ora letta alla luce del nuovo principio
per il quale spetta ai dirigenti tutta
l’attività di gestione, tra cui è ricompresa
quella sulla rimozione dei rifiuti
abbandonati. La soluzione non cambia neppure
dopo l’adozione del d.lgs. 03.04.2006, n.
152, il cui articolo 192, comma 3, ultima
parte, riproduce, con identica formulazione,
la disposizione di cui al citato art. 14,
comma 3, ultimo periodo [1].
Tuttavia, secondo un altro più condivisibile
e seducente indirizzo giurisprudenziale,
largamente condiviso e recepito dalla
pronuncia in esame, la competenza ad emanare
le ordinanze di rimozione rifiuti spetta a
Sindaco per espressa disposizione dell’art.
192, comma 3, TUA.
Invero, pur essendo l’ordinanza di rimozione
rifiuti ex art. 192 cit. astrattamente
suscettibile di poter rientrare nella sfera
di competenza del responsabile dell’area
tecnica, ai sensi dell’art. 107, comma 5, TUEL, a mente del quale l’adozione di atti
di gestione e di atti o provvedimenti
amministrativi si intendono nel senso che la
relativa competenza spetta ai dirigenti,
essa viene attribuita al Sindaco
dall’insuperabile dato testuale sancito dal
citato art. 192, comma 3, secondo periodo,
in coerente applicazione del canone
ermeneutico lex posterior specialis
derogat anteriori generali, nonché ai
sensi dello stesso art. 107, comma 4, TUEL,
il quale consente che “Le attribuzioni
dei dirigenti, in applicazione del principio
di cui all’art. 1, comma 4°, possono essere
derogate soltanto espressamente e ad opera
di specifiche disposizioni legislative”
[2].
Altrimenti detto, l’art. 192, comma 3, del
d.lgs. 03.04.2006 n. 152 (TUA) -che è norma
speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107,
comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL)-
attribuisce espressamente al Sindaco la
competenza a disporre con ordinanza le
operazioni necessarie alla rimozione ed allo
smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2
e, in base agli ordinari criteri preposti
alla soluzione delle antinomie normative
(criterio della specialità e criterio
cronologico), prevale sul disposto dell'art.
107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000
[3].
---------------
[1]
Così, TAR Sardegna, Cagliari, Sez. II,
04.11.2009, n. 1598, in Giurisprudenza di
merito, fasc. n. 1 del 2010.
Si veda, altresì, TAR Campania, Napoli, Sez.
V, 09.06.2009, n. 3159, in
www.ambientediritto.it, secondo cui: “Ai
sensi dell’art. 107 comma 5 T.U.E.L.
18.08.2000, n. 267, rientra nella competenza
del dirigente, e non del Sindaco, l’adozione
dell’ordinanza di rimozione di rifiuti
rivolta al proprietario di un’area sulla
quale gli stessi sono stati abbandonati”.
Nello stesso senso, TAR Basilicata,
23.05.2007, n. 457, in
www.giustizia-amministrativa.it.
[2]
Cfr., a tal proposito, TAR Calabria,
Catanzaro, sez. I, 20.10.2009, n. 1118, in
www.giustizia-amministrativa.it e in corso
di pubblicazione su Giurisprudenza di merito
con nota di A. Mezzotero.
[3]
Cfr., oltre alla pronuncia in rassegna,
Cons. St., Sez. V, 25.08.2008, n. 4061, in
www.lexitalia.it.
Nello stesso senso, TAR Veneto, Sez. III,
24.11.2009, n. 2968, in
www.ambientediritto.it, secondo cui: “L’art.
192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 è norma
speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107,
comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed
attribuisce espressamente al Sindaco la
competenza a disporre con ordinanza le
operazioni necessarie alla rimozione ed allo
smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il
criterio della specialità e per quello
cronologico sul disposto dell’art. 107,
comma 5, del D.lgs. n. 267/2000”; Id.,
20.10.2009, n. 2623, ivi; Id., 29.09.2009,
n. 2454, ivi; TAR Lombardia, Milano, sez. IV,
02.09.2009, n. 4598, in
www.giustizia-amministrativa.it; TAR Veneto,
sez. III, 14.01.2009, n. 40, ivi
(TAR Lombardia-Milano, sez. VI,
sentenza 09.06.2010 n. 1764 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Direttiva ricorsi: le prime
applicazioni.
Il giudice amministrativo, a seguito
dell’annullamento dell’aggiudicazione di una
gara di appalto, può dichiarare, altresì, ai
sensi dell’art. 245-ter del d.lgs. n. 163
del 2006, come introdotto dall’art. 10,
comma 1, del d.lgs. 20.03.2010, n. 53,
l’inefficacia del contratto stipulato nelle
more del giudizio, con effetto decorrente
dalla pubblicazione della sentenza.
La pronuncia n. 1524/2010 si segnala
all’attenzione dell’interprete in quanto
concerne le primissime applicazioni delle
disposizioni del d.lgs. 53/2010 di
attuazione della cd. direttiva ricorsi e, in
particolare, di una delle norme che
disciplina l'inefficacia del contratto a
seguito dell'annullamento
dell'aggiudicazione.
Capisaldi affermati dalla
sentenza.
Preliminarmente, è opportuno ricordare che
la novella, introdotta dal d.lgs. 53/2010,
distingue:
- l'inefficacia del contratto in caso di
violazioni gravi ex art. 245-bis del d.lgs.
163/2006;
- gli altri casi di inefficacia del
contratto ex art. 245-ter del d.lgs.
163/2006.
La decisione del Consesso milanese
riconosce, in primis, l'applicabilità
temporale della disciplina dell'inefficacia
del contratto contenuta nel d.lgs. 53/2010.
Il G.A. afferma, in particolare, che la
nuova norma ha natura processuale e, in
difetto di diversa disposizione transitoria,
può ricevere applicazione anche nei giudizi
instaurati in data antecedente all’entrata
in vigore della stessa in base al principio
tempus regit actum.
I giudici, inoltre, ricordano che la
giurisdizione del giudice amministrativo
sulla sorte del contratto stipulato in
seguito all’aggiudicazione illegittima
annullata, dopo contrastanti orientamenti
giurisprudenziali, è stata affermata anche
dal giudice della Nomofilachia con
l’ordinanza n. 2906, resa a Sezioni Unite il
10.02.2010.
Con l’ordinanza de qua è stato statuito che
l’esigenza della cognizione del G.A. sulla
domanda di annullamento dell’affidamento
dell’appalto, per le illegittime modalità
con cui si è svolto il relativo procedimento
e della valutazione dei vizi di
illegittimità del provvedimento di
aggiudicazione di un appalto pubblico,
comporta che lo stesso giudice adito per
l’annullamento degli atti di gara, che abbia
deciso su tale prima domanda, possa
conoscere pure della domanda del contraente
pretermesso illecitamente dal contratto di
essere reintegrato nella sua posizione, con
la privazione di effetti del contratto
eventualmente stipulato dalla stazione
appaltante con il concorrente alla gara
scelto in modo illegittimo.
L'art. 7 del d.lgs. 53/2010, nel dare
esecuzione alla direttiva ricorsi, ha
aggiunto un capoverso al primo comma
dell'art. 244 del d.lgs. 163/06, secondo cui
“la giurisdizione esclusiva si estende
alla dichiarazione di inefficacia del
contratto a seguito di annullamento
dell'aggiudicazione”.
Quanto all'applicazione temporale della
norma comunitaria che impone l'unitarietà
della giurisdizione avanti al giudice
amministrativo, la Cassazione ha
riconosciuto che l'estensione della
giurisdizione amministrativa esclusiva è
ormai ineludibile per tutte le controversie
in cui la procedura di affidamento sia
intervenuta dopo il dicembre 2007, data
dell'entrata in vigore della norma
comunitaria (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 17.05.2010 n. 1524 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Zona soggetta a
vincolo idrogeologico - Possibilità di
edificare - Rimozione del vincolo.
2. L.R. Lombardia
n. 33/1988 - Concessione di costruzione -
Accertamento specifica attività antropica.
1. La sussistenza di un vincolo idrogeologico
non determina l'assoluta impossibilità di
edificare, essendo consentito ai proprietari
dei terreni vincolati di chiedere la
rimozione del vincolo nella misura
necessaria a consentire la realizzazione
della costruzione.
La vigente normativa, ratione temporis,
non vieta infatti in modo assoluto
l'edificazione in zone soggette a vincolo
idrogeologico.
2.
La Legge regionale Lombardia n. 33 del 1988
subordina l'edificazione, nelle zone
sottoposte a vincolo idrogeologico, al
rilascio dell'autorizzazione conseguente
all'accertamento che l'attività antropica,
in ordine alla quale il provvedimento fosse
richiesto, non incida negativamente sugli
assetti del suolo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 23.03.2010 n.
697 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Provvedimento a
contenuto discrezionale - Ex art. 10 bis
della L. n. 241 del 1990 - Necessità.
2. Provvedimento a
contenuto discrezionale - Rigetto parziale -
Art. 10-bis della L. n. 241 del 1990 -
Fattispecie.
3. Ricorso giurisdizionale - Risarcimento
del danno - Annullamento dell'atto impugnato
per vizi procedimentali - Inammissibilità.
1. Al cospetto di un provvedimento connotato
da una certa discrezionalità, ricorre
l'obbligo per l'Amministrazione di
comunicare il rigetto così da consentire al
privato di poter interloquire e addurre gli
elementi a proprio favore.
2. L'applicazione dell'art. 10 bis L. n. 241
del 1990, va estesa non solo ai casi di
rigetto totale dell'istanza del privato, ma
anche ai casi di rigetto parziale,
allorquando esso si concretizzi in una
apprezzabile lesione delle aspettative e/o
sfera giuridica dell'interessato.
Anche in
tali casi, il privato e la stessa
Amministrazione hanno tutto l'interesse ad
instaurare un contraddittorio endoprocedimentale utile per una migliore
ponderazione di tutti gli elementi fattuali
e di diritto rilevanti per l'adozione del
provvedimento finale.
3. La richiesta di risarcimento del danno
non è valutabile quando il provvedimento sia
annullato per vizi procedimentali che
consentano il riesercizio del potere da
parte della Pubblica Amministrazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 23.03.2010 n. 696 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Vincoli espropriativi - Decadenza
- Reiterazione del vincolo - Discrezionalità
dell'amministrazione - Motivazione -
Necessità.
In sede di rideterminazione urbanistica di
un'area, in relazione alla quale sono
decaduti i vincoli espropriativi
precedentemente in vigore, è in ogni caso
rimessa al potere discrezionale
dell'Amministrazione comunale la verifica e
la scelta della destinazione che, in
coerenza con la più generale disciplina
urbanistica del territorio, risulti più
idonea e più adeguata in relazione
all'interesse pubblico al corretto e
armonico utilizzo del territorio, potendo
perfino ammettersi la reiterazione degli
stessi vincoli scaduti, sebbene nei limiti
di una congrua e specifica motivazione sulla
perdurante attualità della previsione,
comparata con gli interessi pubblici (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 22.03.2010 n.
679 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi - Demolizione - Preminente
interesse pubblico - Motivazione - Non
occorre - Lunga decorrenza tra realizzazione
e irrogazione sanzione - Eccezione.
La repressione degli abusi edilizi
costituisce un atto dovuto per
l'Amministrazione, la quale non gode di
alcuna discrezionalità al riguardo, posto
che il giudizio di antigiuridicità è già
contenuto nella legge e non v'è di
conseguenza ragione di una specifica
motivazione sulla preminenza dell'interesse
pubblico, salvi i casi eccezionali di
lunghissimo tempo (nella specie 33 anni)
trascorso tra la realizzazione dell'opera
abusiva e l'irrogazione della misura
demolitoria (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
16.03.2010 n.
1220 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione edilizia - Procedimento -
Vincolo storico - Parere Soprintendenza -
Vizi per incoerenza errore tecnico o
irragionevolezza - Limiti.
Il giudizio della Soprintendenza
sull'apposizione di un vincolo storico è un
giudizio di carattere tecnico-discrezionale,
ed, a fronte di attività espressione di
discrezionalità tecnica, il giudice
amministrativo può censurare l'operato
dell'amministrazione soltanto nel caso in
cui la decisione amministrativa sia stata
incoerente, irragionevole o frutto di errore
tecnico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
16.03.2010 n.
1218 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1.
Concessione edilizia - Permesso di costruire
- Procedimento - Scadenza termine per
conclusione rilascio - Intervento
sostitutivo
2.
Procedimento - Osservazioni - Onere di
risposta - Non necessità.
1.
Per la conclusione del procedimento di
rilascio del permesso di costruire
l'infruttuoso decorso del termine
complessivo di 75 giorni dalla presentazione
della domanda costituisce presupposto per
l'eventuale richiesta dell'intervento
sostitutivo disciplinato dal successivo art.
39 l.r. 12/2005, e in particolare per la
nomina di un commissario ad acta da parte
della provincia: la presenza di un
meccanismo sostitutivo esclude che il
silenzio possa essere qualificato in senso
favorevole al privato.
2.
L'onere di cui all'art. 10, l. 07.08.1990
n. 241, non comporta la confutazione
analitica dei rilievi, essendo sufficiente
ai fini della giustificazione del
provvedimento adottato la motivazione
complessivamente e logicamente resa a
sostegno dell'atto stesso.
La norma deve
essere letta in chiave sostanziale alla luce
della ratio di consentire al privato
di far valere le proprie ragioni nell'iter
procedimentale, consentendo allo stesso
quell'apporto partecipativo in grado di
orientare in senso a lui favorevole il
provvedimento finale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
16.03.2010 n.
1217 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1.
Autorizzazione e concessione- Termine per
impugnare - Piena conoscenza dell'atto -
Pubblicazione albo pretorio - Mera
pubblicità notizia.
2.
Autorizzazione - Installazione di impianti
di telefonia mobile - Rilascio contemporaneo
di due autorizzazioni - Spoglio -
giurisdizione g.o..
1.
Il termine a ricorrere contro i titoli
edilizi decorre dalla piena conoscenza
dell'atto: le forme di pubblicazione dei
titoli edilizi previsti dalla legge
costituiscono forme di mera pubblicità
notizia e l'effettiva conoscenza dell'atto
si ha quando la nuova costruzione rivela in
modo certo ed univoco le essenziali
caratteristiche dell'opera e l'eventuale non
conformità della stessa al titolo o alla
disciplina urbanistica.
2.
L'interferenza tecnica che si è creata per
effetto del rilascio di due regolari titoli
autorizzatori non si risolve dichiarando
illegittima una delle due autorizzazioni, ma
si risolve in base alle norme civilistiche
sullo spoglio: il gestore del traliccio che
si ritiene spogliato del possesso del
segnale per opera del comportamento illecito
tenuto da altri deve adire il giudice della
tutela possessoria per far valere in quella
sede le proprie ragioni e contestare
l'interferenza tecnica tra i due impianti,
ma non può far rifluire la questione davanti
al giudice amministrativo trasformandola in
un giudizio sulla legittimità di un
provvedimento rilasciato a monte (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
16.03.2010 n.
1216 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Recupero sottotetti
- Ratio - Praticabilità - Presupposto - Non
sussiste.
In base alla ratio della l.r. 12/2005 di
favorire la creazione di nuove residenze
attraverso il razionale recupero dei
sottotetti, evitando per tale via un
ulteriore consumo territorio la ridotta
dimensione e la non praticabilità del
sottotetto da recuperare e la scarsa
ampiezza del volume non sono elementi
preclusivi alla realizzazione dell'opera, al
punto che la novella del 1999 ha autorizzato
l'innalzamento delle quote di gronda e di
colmo per raggiungere le caratteristiche di
abitabilità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
10.03.2010 n.
1152 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Occupazione titulo -
Risarcimento danno Inquinamento-
Inquinamento.
Nell'ipotesi di cui all'art. 43 del DPR n.
327/2001 poiché la somma di denaro che spetta
all'interessato a titolo di risarcimento
deve sostituire il valore del bene che
l'Amministrazione non restituisce
all'interessato occorre fare riferimento a
tale momento (della mancata restituzione,
ovvero della opzione del privato per il
risarcimento, anziché per la restituzione)
per stabilire il valore di mercato del bene
e computare il risarcimento del danno.
Il
valore monetario del bene viene poi
rivalutato secondo i principi generali in
materia risarcitoria, al momento della
pronuncia della decisione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
10.03.2010 n.
1150 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Inquinamento - Inquinamento ambientale -
Discarica - Bonifica- Proprietario
incolpevole - Obbligo - Non sussiste.
Anche precedentemente l'entrata in vigore
del D.lgs. 152/2006 occorre distinguere
qualitativamente tra la bonifica e la
semplice rimozione dei rifiuti e riconoscere
che il proprietario incolpevole è estraneo
all'obbligo di bonificare il sito ma non a
quello di partecipare alle spese di bonifica
ma non a quello di partecipare alle spese di
bonifica effettuate dal Comune, essendo
quest'ultimo un'estrinsecazione del
principio civilistico che non ammette un
arricchimento senza causa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
08.03.2010 n.
1148 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Demanio e patrimonio - Beni ambientali -
Vincolo paesistico - Contenuto conservativo
- Inedificabilità assoluta - Esclusione.
Il diniego di autorizzazione paesistica ha
contenuto conservativo del vincolo e non può
consistere in un divieto generalizzato di
nuova edificazione eccedendo nella tutela.
E' ammesso l'ingresso di elementi
modernizzanti (quali nella specie
autorimesse interrate) a condizione che le
modifiche all'aspetto tradizionale dei
luoghi non stravolgano le linee del
paesaggio, l'andamento del terreno, i punti
panoramici se la soluzione coniuga il
beneficio dell'insediamento di parcheggi
privati con il mantenimento del verde in
superficie, contemperando le esigenze della
viabilità con quelle ambientali (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 08.03.2010 n.
1146 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Comunicazione di
avvio del procedimento - Revoca di un
provvedimento - Necessità.
É necessaria la preventiva comunicazione
dell'avvio di un procedimento volto
all'adozione di un provvedimento di revoca
di un atto ampliativo della sfera del
destinatario, dovendo quest'ultimo essere
posto in grado di interloquire sulla
(presunta) mancanza dei presupposti a
fondamento della revoca (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 03.03.2010 n.
532 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Revoca della
concessione edilizia - Applicazione del
principio del contrarius actus -
Presupposti.
In base al principio del contrarius actus,
qualora in sede di rilascio della
concessione o dell'autorizzazione sia stato
acquisito il parere della commissione, tale
parere va acquisito anche all'atto
dell'annullamento del titolo, fatte salve le
ipotesi in cui il provvedimento di
autotutela sia supportato da ragioni formali
o di tipo esclusivamente giuridico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 03.03.2010 n.
532 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Diritto di accesso - Consentito soltanto
a coloro ai quali gli atti stessi,
direttamente o indirettamente si rivolgono.
2. Diritto di accesso - ANAS - Esercitabile.
1. Il diritto di accesso ai documenti
amministrativi, come è noto, è posto a
garanzia della trasparenza ed imparzialità
della P.A. e trova applicazione in ogni
tipologia di attività della P.A..
La
legittimazione all'accesso va riconosciuta a
chiunque possa dimostrare che gli atti
procedimentali oggetto dell'accesso abbiano
spiegato o siano idonei a spiegare effetti
diretti o indiretti nei suoi confronti,
indipendentemente dalla lesione di una
posizione giuridica, stante l'autonomia del
diritto di accesso inteso come interesse ad
un bene della vita distinto rispetto alla
situazione legittimante all'impugnativa
dell'atto (ex plurimis, cfr. Consiglio di
Stato 27.10.2006 n. 6440).
E' bene
specificare che la posizione legittimante,
anche se non deve assumere necessariamente
la consistenza del diritto soggettivo o
dell'interesse legittimo, deve essere però
giuridicamente tutelata non potendo
identificarsi con il generico ed indistinto
interesse di ogni cittadino al buon
andamento dell'attività amministrativa.
Deve
ritenersi, a questa stregua, che l'art. 22, co. 1, lett. b), l. n. 241/1990, quando
parla di "interesse diretto, concreto e
attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l'accesso", si
riferisca alla sussumibilità della pretesa
concreta in una fattispecie normativa,
secondo una valutazione prognostica e
secondo un rapporto di chiara percepibilità.
La previsione non fa invece riferimento a
ipotesi in cui la pretesa vantata non è a
prima lettura riconducibile ad una
previsione normativa, ma potrebbe esservi
ricondotta in virtù di una particolare
interpretazione che potrebbe essere
affermata in un giudizio sulla pretesa
(recentemente, a questo proposito, cfr. C.
Stato, sez. VI, 18.09.2009 n. 5625).
2. Secondo la giurisprudenza consolidata,
l'ANAS SPA rientra tra le pubbliche
amministrazioni nei cui confronti è
esercitatile il diritto di accesso.
Difatti,
anche l'attività degli enti pubblici
economici e dei gestori di pubblici servizi,
quando coinvolge interessi pubblici, rientra
nell'ambito di applicazione dell'art. 97
Cost., essendo svolta, pur se sottoposta di
regola al diritto comune, oltre che
nell'interesse proprio, anche per soddisfare
quelli della collettività, con la
conseguenza che i relativi atti sono
soggetti all'accesso ex l. n. 241 del 1990
(cfr. TAR Lazio Roma, sez. III, 04.12.2006, n. 13599; TAR Lombardia
Milano, sez. II, 05.03.2003, n. 360) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza 03.03.2010 n.
530 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti della P.a. - Appalto - Esclusione
- Impugnazione successiva ad aggiudicazione
provvisoria - Notifica ricorso
all'aggiudicatario quale controinteressato -
Necessità.
Se la notifica del ricorso di impugnazione
dell'esclusione da una gara d'appalto
interviene dopo l'individuazione
dell'aggiudicatario provvisorio la formale
notifica si impone anche nei confronti dello
stesso, pena l'inammissibilità del ricorso
avendo acquisito l'aggiudicatario
provvisorio la qualifica di
controinteressato quale titolare di
interesse differenziato e qualificato al
permanere del provvedimento impugnato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
26.02.2010 n.
1008 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di costruire -
Parziale annullamento - Difetto di motivazione - Illegittimità.
2. Permesso di costruire
- Reviviscenza - Ripristino in forma
specifica - Istanza di risarcimento danni -
Respinta.
1. L'atto di auto-annullamento deve
contenere a pena di nullità, espressa
motivazione con riferimento al vizio di
legittimità riscontrato, alla presenza di un
interesse pubblico, concreto ed attuale, al
ritiro della concessione, alla ponderazione
degli interessi, pubblico e privato, e alla
prevalenza dell'interesse pubblico rispetto
a quello del privato al mantenimento
dell'opera.
2. Qualora l'accoglimento della domanda impugnatoria determini l'automatica
reviviscenza del permesso di costruire che
era stato oggetto di rimozione in via di
autotutela, il ricorrente ottiene 'effetto
di far riespandere la propria posizione
soggettiva allo status quo ante, mediante
ripristino in forma specifica, cosicché non
residua alcun ulteriore danno da risarcire
per equivalente monetario (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
26.02.2010 n.
989 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Abuso edilizio - Vincolo Idraulico - Titolo edilizio
illegittimo efficace - Decorso del tempo -
Affidamento - opere successive pertinenziali
- Condono edilizio - Sussiste.
2. Abuso edilizio
- Titolo edilizio illegittimo - Decorso del
tempo - Affidamento - Condono edilizio -
Sussiste.
1. Benché il vincolo idraulico ex art. 96,
lett. f), del RD 523/1904 non sia derogabile
semplicemente per effetto degli usi locali,
è possibile superarne l'inderogabilità in
ipotesi di radicato affidamento circa la
collocazione di immobile all'interno della
fascia di rispetto (per licenza edilizia
illegittima ma ancora efficace e tempo
trascorso) ed in tal caso la medesima
aspettativa può estendersi alle opere
successive, se intese come interventi pertinenziali.
2. Se un fabbricato (previa valutazione
dell'interesse pubblico) può evitare la
demolizione nonostante l'annullamento del
relativo titolo edilizio, non vi sono motivi
per negare il condono a un edificio che sia
in parte conforme a un titolo edilizio
illegittimo ma ancora efficace, qualora in
un lungo periodo di tempo non sia stato
individuato alcun interesse pubblico
all'annullamento di tale titolo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
26.02.2010 n.
986 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Costruzioni
stagionali - Titolo edilizio -
Temporaneità - Bilanciamento interessi.
2. Costruzioni
stagionali - Titolo edilizio - Temporaneità-
Principio di proporzionalità.
1. In ipotesi di costruzioni stagionali,
normalmente funzionali ad attività
economiche concentrate in una parte
dell'anno, il titolo edilizio può essere
accompagnato da termini o condizioni per
rendere meno impattante l'opera sotto il
profilo ambientale quando l'attività viene
sospesa.
In ogni caso l'imposizione di un
termine deve sempre corrispondere ad un
interesse pubblico, in quanto la mera
stagionalità dell'utilizzazione dell'opera
non è sufficiente a giustificare il
sacrificio della rimozione-reinstallazione
imposto al proprietario.
2. L'applicazione del principio di
proporzionalità presuppone la corretta
qualificazione dell'opera, in quanto l'onere
imposto al proprietario deve essere coerente
con la natura e il valore dell'edificazione
ed inoltre il vincolo della temporaneità
della costruzione dev'essere l'unico
strumento idoneo a conseguire questo
risultato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
26.02.2010 n.
985 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Istanza di condono edilizio -
Conclusione delle opere -Necessità.
Ai sensi della L. 724/1994 la domanda di
condono deve avere ad oggetto la
trasformazione di opere già ampiamente
concluse alla data prevista dalla legge per
la conclusione dei lavori. Si tratta,
infatti, di opere necessarie per l'opera in
questione, in quanto è opinione comune della
giurisprudenza che il completamento
funzionale sussiste quando l'opera risulti
atta all'uso cui è destinata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
25.02.2010 n.
460 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Nozione di
costruzione.
2. Natura precaria
di un manufatto - Destinazione dell'opera
come attribuita dal costruttore - Uso
precario e temporaneo per fini specifici
contingenti e limitati nel tempo.
1. La nozione di costruzione, ai fini del
rilascio della concessione e della licenza
edilizia, si configura in presenza di opere
che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con
perdurante modifica dello stato dei luoghi;
fuoriesce da tale definizione soltanto
l'opera destinata fin dall'origine a
soddisfare esigenze contingibili e
circoscritte nel tempo.
2.
La precarietà di un manufatto, al fine di
escludere la necessità del rilascio del
predetto titolo edilizio, va valutata a
prescindere dalla temporaneità della
destinazione soggettivamente impressa dal
costruttore e dalla maggiore o minore
amovibilità delle parti che lo compongono
considerando invece l'opera alla luce delle
sua obbiettiva ed intrinseca destinazione
naturale che ne rilevi l'uso oggettivamente
precario e temporaneo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
23.02.2010 n.
443 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Restauro e
risanamento conservativo - Nozione.
2. Restauro e
risanamento conservativo - Ammissibilità di
elementi nuovi - Limiti.
1. Gli interventi di risanamento e restauro
consentono di rinnovare l'edificio nel
rispetto dei suoi elementi essenziali dal
punto di vista tipologico, formale e
strutturale, cioè senza modificare in modo
sostanziale l'assetto edilizio preesistente,
dovendosi porre in essere solo quegli
interventi sistematici i quali, pur con
rinnovo di elementi costitutivi
dell'edificio preesistente, ne conservano
tipologia, forma e struttura.
2. Unici elementi nuovi ammessi nelle opere
di restauro e risanamento conservativo sono
quegli elementi accessori e quegli impianti
che sono richiesti dalle esigenze d'uso
(come ad esempio gli impianti idrici, di
condizionamento o di riscaldamento), purché
l'inserimento degli stessi non alteri in
modo rilevante la struttura originaria.
Viceversa, non possono rientrare fra gli
interventi di restauro e risanamento
conservativo quelle opere che, se pure
oggettivamente di non grande rilievo, hanno
comunque una loro autonoma rilevanza sotto
il profilo edilizio perché prevedono
l'aggiunta di nuove strutture alle parti
preesistenti mediante interventi che
travalicano quelli rivolti solo a conservare
o proteggere le parti dell'edificio cui
accedono, ovvero ad assicurarne la
funzionalità o l'uso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
22.02.2010 n.
875 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Strumenti di piano - Altezze
convenzionali - Vincoli volumetrici -
sussistono.
Alle norme degli strumenti di piano che
individuano delle altezze convenzionali, per
le quali deve essere moltiplicata la s.l.p.
per ottenere la volumetria, non può essere
data l'interpretazione che consente di
dilatare artificiosamente i termini della
costruzione per aggirare il vincolo
volumetrico previsto dalle stesse norme di
piano.
Le norme degli strumenti di piano che
individuano delle altezze convenzionali
hanno la finalità di impedire che colui il
quale costruisce realizzi un edificio con
un'altezza interpiano molto ridotta
riuscendo in questo modo ad insediare più
unità immobiliari con lo stesso indice di
fabbricabilità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
22.02.2010 n.
871 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Recinzioni - Natura e
dimensioni - destinazione e funzione
-concessione edilizia.
2. Recinzioni - natura precaria -
delimitazione proprietà - concessione
edilizia - non necessaria.
3. Recinzioni - natura permanente
- concessione edilizia - necessaria.
1. La valutazione in ordine alla necessità
della concessione edilizia per la
realizzazione di opere di recinzione va
effettuata sulla scorta dei seguenti due
parametri: natura e dimensioni delle opere e
loro destinazione e funzione.
2. Non è necessario il permesso per
costruire per modeste recinzioni di fondi
rustici senza opere murarie, e cioè per la
mera recinzione con rete metallica sorretta
da paletti di ferro o di legno senza muretto
di sostegno, in quanto entro tali limiti la
recinzione rientra solo tra le
manifestazioni del diritto di proprietà, che
comprende lo ius excludendi alios o comunque
la delimitazione e l'assetto delle singole
proprietà, trattandosi peraltro di
installazione precaria e rientrando tale
opera tra le attività di mera manutenzione.
Le recinzioni possono essere considerate
irrilevanti sul piano edilizio e non
richiedono autorizzazioni se realizzate con
modalità e materiali che rendano la
recinzione funzionale a delimitare la
proprietà senza realizzare una
trasformazione del territorio apprezzabile
sul piano edilizio.
3.
Occorre, invece, il permesso, quando la
recinzione è costituita da un muretto di
sostegno in calcestruzzo con sovrastante
rete metallica, incidendo esso in modo
permanente e non precario sull'assetto
edilizio del territorio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
22.02.2010 n.
868 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Inquinamento - Contaminazioni -
Differenze tra fattispecie ex art. 242,
comma 1 e comma 11, del D. Lgs. 152/2006.
Con riferimento ai destinatari
dell'obbligo di effettuare la messa in
sicurezza dell'area, ai sensi dell'art. 242
del D.Lgs. 152/2006, la legge distingue,
con riferimento alle contaminazioni
storiche, tra quelle che comportano rischio
immediato per l'ambiente (o rischi di
aggravamento), disciplinate dell'art. 242,
comma 1, del D.Lgs. 152/2006, e quelle che
non presentano tale rischio, disciplinate
dell'art. 242, comma 11, del D.Lgs.
152/2006. Per le prime il destinatario
dell'obbligo è il responsabile
dell'inquinamento, per le seconde è il
soggetto interessato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 12.02.2010 n.
408 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Contenuto e forma -
Omessa indicazione norme di riferimento -
Irrilevanza.
2. Contenuto e forma -
Omessa indicazione termine dell'Autorità cui
ricorrere - Mera irregolarità - Rimessione
in termini - Possibilità.
1. La mancata specificazione, nel preambolo
e nel corpo del provvedimento
amministrativo, delle norme di riferimento,
non implica l'illegittimità dell'atto
qualora la formulazione letterale delle
ragioni, l'esposizione del fatto e il
contenuto del dispositivo siano
sufficientemente chiari ad individuare in
concreto il potere esercitato.
2.
L'omessa indicazione del termine e
dell'autorità a cui ricorrere non determina
l'illegittimità del provvedimento
amministrativo, bensì una mera irregolarità,
perché la disposizione dell'art. 3, comma 4,
Legge n. 241/1990 non influisce
sull'individuazione e sulla cura
dell'interesse pubblico concreto cui è
finalizzato il provvedimento, né sulla
riconducibilità dello stesso all'autorità
amministrativa, ma tende semplicemente ad
agevolare il ricorso alla tutela
giurisdizionale, sicché l'omissione de qua,
nel concorso di significative ulteriori
circostanze, può dar luogo semmai alla
concessione del beneficio della rimessione
in termini (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 10.02.2010 n.
364 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Comunicazione di
avvio del procedimento - Obbligo - Non
sussiste in caso di celerità.
2. Ordinanza contingibile e urgente -
Ordinanza sindacale - Comunicazione avvio
del procedimento - Non occorre -
Fattispecie.
3. Ordinanza contingibile e urgente -
Ordinanza sindacale - Igiene e sanità -
Pericolo di danno grave e irreparabile -
Necessità.
1. Il principio partecipativo alla base
della comunicazione di avvio del
procedimento ha carattere generalizzato ed
impone, alla luce delle regole fissate
dall'art. 7, l. n. 241/1990, che l'invio di
essa abbia luogo in tutte quelle situazioni
nelle quali la possibilità di coinvolgere il
privato non sia esclusa da esigenze di
celerità immanenti della fattispecie
concreta e che non possono ritenersi
astrattamente implicate dalla natura contingibile ed urgente dell'ordinanza
sindacale, ma devono essere puntualmente
esplicitate nel provvedimento in concreto
adottato.
2. Il ricorso allo strumento dell'ordinanza contingibile ed urgente da parte del Sindaco
giustifica l'omissione della comunicazione
di avvio del procedimento unicamente in
presenza di una "urgenza qualificata", in
relazione alle circostanze del caso
concreto, che deve essere debitamente
esplicitata in motivazione.
3. Il potere riconosciuto al Sindaco di
emanare ordinanze contingibili ed urgenti,
ai sensi degli artt. 50 e 54 del D.Lgs.
18.08.2000, n. 267, richiede la sussistenza
di una situazione di effettivo pericolo di
danno grave ed imminente per l'incolumità
pubblica, non fronteggiabile con gli
ordinari strumenti di amministrazione
attiva, debitamente motivata a seguito di
approfondita istruttoria (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 10.02.2010 n.
339 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Realizzazione parcheggio -
Variante vincolo scaduto.
Secondo quanto stabilito dall'Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato nella
sentenza n. 7 del 2007, occorre la
motivazione della reiterazione del vincolo,
trattandosi di reiterazione relativa ad una
singola area.
Altresì, la motivazione che deve supportare
la rinnovazione del vincolo, come di recente
ribadito dal Supremo Consesso, deve far
emergere con chiarezza e precisione gli
accertamenti effettuati e le finalità di
interesse pubblico concretamente perseguite
(Cons. Stato 26/02/2008 n. 683).
La delibera impugnata che ha approvato il
progetto definitivo ed esecutivo per la
realizzazione del parcheggio con contestuale
adozione di variante del vincolo scaduto,
contiene, tuttavia, una enunciazione
esaustiva delle attuali ragioni di pubblico
interesse che hanno indotto
l'amministrazione a localizzare nuovamente
il parcheggio sull'area di proprietà dei
ricorrenti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza 09.02.2010 nn. 315 e
316 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Concessione amministrativa - Proroga -
Rinnovo - Differenza.
2. Concessione amministrativa - Rinnovo -
Nuove condizioni.
1. in tema di concessioni la giurisprudenza
conosce due distinte fattispecie le quali
consentono, alla scadenza del termine finale
di durata del titolo, di mantenere il
concessionario nella stessa situazione di
fatto della quale in origine egli si
avvantaggiava, ovvero la proroga e il
rinnovo vero e proprio.
La differenza fra le
due consiste in ciò, che "la proroga è atto
sfornito di propria autonomia che accede
all'originaria concessione ed opera
semplicemente uno spostamento in avanti del
suo termine finale di efficacia", mentre il
rinnovo "presuppone la sopravvenuta
inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli
effetti, una nuova concessione".
2.
Nel momento in cui il rinnovo
precedentemente ottenuto aveva raggiunto la
sua scadenza trentennale, un eventuale nuovo
accordo, fonte di un nuovo rapporto concessorio,
con oggetto identico al precedente, ben può
essere disciplinato da nuove norme
regolamentari, anche più sfavorevoli delle
precedenti, senza in alcun modo violare il
principio di irretroattività, in quanto si
incide non sul passato, ma su un rapporto
che si va ad instaurare per il futuro.
(nel caso di specie, il comune, con il
regolamento impugnato, per il rinnovo da
concludere e quindi per l'avvenire, aveva
trasformato in onerosa una concessione che
precedentemente era gratuita) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 04.02.2010 n.
570 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Dichiarazione ex art. 38 Codice Appalti -
Indicazione precedenti penali - Beneficio
della non menzione - Obbligo - Sussiste.
In tema di esclusione dalle gare per omessa
indicazione, nella dichiarazione rilevante
agli effetti dell'art. 38 del Codice degli
Appalti Contratti, di precedenti condanne
assistite dal beneficio della non menzione,
il citato art. 38 "impone ai partecipanti
alle gare di appalto di dichiarare, a pena
di esclusione dalla gara, non già solamente
reati gravi, ma tutti quelli ascritti in via
definitiva ai soggetti ivi contemplati", con
la conseguenza che "i partecipanti alle gare
sono tenuti a rendere dichiarazioni complete
e veritiere e, quindi, recanti l'esatta
indicazione di tutti i precedenti penali,
ivi inclusi quelli per i quali sia stato
concesso il beneficio della non menzione"
potendo queste ultime incidere
sull'accertamento dei requisiti di moralità
del legale rappresentante dell'impresa, ed a
fronte della perentorietà di tale principio,
a nulla valgono argomentazioni circa
l'animus del dichiarante e la scusabilità
del suo errore (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 02.02.2010 n.
534 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Attività edilizia - Programma di
intervento - presenza di vincolo di tutela
indiretta ex art. 45 d.lgs. 42/2004.
In presenza di un vincolo di tutela
indiretta ex art. 45 d.lgs. 42/2004 apposto
dalla Soprintendenza, non incompatibile con
il progetto approvato con il Programma di
intervento, il procedimento di approvazione
del progetto non deve essere azzerato per il
solo fatto dell'apposizione di tale vincolo.
Sarebbe d'altronde alquanto irragionevole
riconoscere legislativamente all'ente
territoriale la possibilità di agire in
giudizio (in via successiva) per il
risarcimento del danno all'ambiente (come fa
l'art. 18, co. 3, l. 349/1986), e negargli
invece la possibilità di agire (in via
preventiva) per impedire la produzione di
quello stesso danno.
Così come sarebbe pure irragionevole
riconoscere la titolarità di un interesse
collettivo ad associazioni ambientaliste, il
cui collegamento con il territorio
interessato dall'abuso è talora costituito
soltanto dal fine statutario, e non
individuarlo nell'ente istituzionalmente
esponenziale della comunità di riferimento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 02.02.2010 n.
523 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Oneri di urbanizzazione -
ritardato pagamento - sanzioni - art. 3, co.
2, lett. c, L. 47/1985 - garanzia
fideiussoria - obbligo di acquisizione - non
sussiste.
2. Oneri di urbanizzazione -
ritardato pagamento - sanzioni - art. 3, co.
2, lett. c, L. 47/1985 - garanzia
fideiussoria - determinazione della sanzione
in caso di mancata attivazione di detta
garanzia
3. Sanzione amministrativa - natura di
credito portable - Interessi.
1. In relazione al pagamento degli oneri di
urbanizzazione, non esiste un obbligo del
Comune di acquisire la garanzia
fideiussoria, e, pertanto, qualora esso si
attivi, non esiste neanche l'obbligo di
farlo immediatamente alla scadenza del
termine per il pagamento onde evitare che
l'ammontare delle sanzioni cresca con il
decorso del tempo (in materia di
obbligazioni portable da adempiere nel
domicilio del creditore quali quelle
pecuniarie, e con termine di adempimento che
esonera dalla costituzione in mora del
debitore, il creditore è soltanto facultato
ad attivare la solidale responsabilità del
fideiussore, e non è tenuto ad escutere il
coobligato piuttosto che attendere il
pagamento, ancorché tardivo, salva
l'esistenza di apposita clausola in tal
senso).
2.
In tema di oneri concessori, la
fideiussione non ha lo scopo di agevolare
l'adempimento da parte del soggetto
obbligato al pagamento, configurandosi
piuttosto come una garanzia personale
nell'interesse dell'Amministrazione,
finalizzata a rafforzare la generica
garanzia del credito rappresentata dal
patrimonio dell'interessato; pertanto, non
spetta al soggetto tenuto al pagamento
determinare le modalità di esercizio da
parte dell'Amministrazione della facoltà di
attivazione della garanzia, non sussistendo
alcun obbligo di preventiva escussione del
fideiussore e non comportando la mancata
escussione del garante la liberazione del
garantito).
Pertanto, anche in presenza di
un fideiussore, l'inadempimento rimane tale
e le sanzioni sono senz'altro dovute ma -a
meno che non sia previsto un beneficio di
escussione in favore del fideiussore- sono
dovute nella misura del 20%, che è la misura
prevista per il ritardo nel pagamento del
saldo degli oneri anche per un solo giorno.
3. Il credito al pagamento della sanzione
amministrativa è un credito liquido ed
esigibile, che, in quanto tale, produce naturaliter interessi, posto che il credito
liquido è quello determinato nel suo
ammontare o determinabile con mere
operazioni matematiche, ed il credito
esigibile è quello non sottoposto a termine,
né a condizione sospensiva: la norma
generale dell'art. 1282 c.c. non viene
derogata da previsioni speciali nella
materia in esame e d'altronde essa è
applicabile alle sanzioni amministrative
pecuniarie una volta sorta l'obbligazione ex lege di pagare, altrimenti l'ulteriore
ritardo nel pagamento della sanzione
pecuniaria andrebbe a danneggiare unicamente
la pubblica amministrazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza 02.02.2010 n.
519 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione - Annullamento in
autotutela - ricorso giurisdizionale -
notifica ai comproprietari controinteressati.
Il ricorso contro un provvedimento di
annullamento in autotutela di concessione
edilizia, originato da un esposto di un
comproprietario per la realizzazione di
un'opera su suolo asseritamente comune, a
pena di inammissibilità deve essere
notificato ai controinteressati risultanti
dall'atto impugnato, e nella specie, essendo
stata contestata l'esecuzione di lavori di
ristrutturazione su area comune
pertinenziale, rilevando di conseguenza che
i concessionari non possedevano il pieno
titolo a costruire, il ricorso doveva essere
notificato (almeno) ad uno dei soggetti che
affermavano di essere comproprietari
dell'area (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 02.02.2010 n.
518 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Piano Integrato di Recupero -
Regione Lombardia - L.R. 23/1990, art. 5, co. 6
- Demolizione e ricostruzione.
L'art. 5, co. 6, l.r. 23/1990, prevedendo che
le deroghe dei regolamenti edilizi e
d'igiene e varianti degli strumenti generali
ed attuativi vigenti ed adottati conseguenti
all'approvazione regionale dei programmi
integrati di recupero e delle successive
varianti degli stessi deliberati dai Comuni
interessati (di cui al co. 5 della stessa
disposizione) "non si applicano agli
interventi di demolizione e ricostruzione",
esclude che l'approvazione del Programma di
intervento comporti la deroga urbanistica
quando il progetto proposto abbia ad oggetto
un intervento di demolizione e
ricostruzione.
Pertanto è legittima ai sensi
dell'art. 5, co. 6, l.r. 23/1990, la mancata
approvazione da parte del Comune di un Piano
integrato di recupero, che prevedendo
interventi di demolizione e ricostruzione,
deroghi agli strumenti urbanistici ed ai
regolamenti edilizi e d'igiene in vigore.
Infatti, ove non sussista più il vincolo del
preesistente, non vi è alcuna ragione per
escludere l'applicabilità della normativa
urbanistica in vigore il cui rispetto
assicura l'ordinato e coerente tracciato
delle zone edificate (nella specie il
Tribunale ha respinto il ricorso in quanto
nella relazione progettuale presentata a
sostegno del Programma di recupero era
prevista la realizzazione del programma
mediante demolizione di capannone ad uso
deposito con costruzione al suo posto di un
edificio a destinazione residenziale e
direzionale) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 02.02.2010 n.
517 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti pubblicitari - Autorizzazione
all'esposizione - Concessione uso del suolo
pubblico - Fattispecie autorizzato ria
tacita - Non rileva.
L'autorizzazione all'esposizione di mezzi
pubblicitari e la concessione dell'uso del
suolo pubblico attengono alla tutela di
interessi pubblici diversi e presuppongono
valutazioni differenti.
Pertanto non è
fondato il motivo fatto valere dalla società
ricorrente (operante nel settore della
pubblicità e delle pubbliche affissioni) sul
perfezionamento della fattispecie autorizzatoria
tacita (D.P.R. n. 407/1994) non applicabile
alla domanda presentata dalla ricorrente
avente ad oggetto impianti pubblicitari di
grosse dimensioni da installarsi sul luogo
pubblico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza 02.02.2010 n.
252 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione edilizia:
l'impugnazione è possibile dal completamento
dei lavori.
Per quanto riguarda la impugnazione di una
concessione edilizia –ora p.d.c.– rilasciata
a terzi, la decorrenza dei termini
decadenziali di cui all’art. 21 legge n.
1034/1971 scatta da quando la nuova
costruzione riveli in modo certo ed univoco
le essenziali caratteristiche dell’opera e
la eventuale non conformità della stessa al
titolo o alla disciplina urbanistica; il
termine di impugnazione, cioè, inizia a
decorrere dal completamento dei lavori a
meno che non si sostenga la assoluta
inedificabilità dell’area od analoghe
censure, nel qual caso risulta sufficiente
la conoscenza della iniziativa in corso.
Non può consentirsi a nessuna delle parti in
causa di eludere i termini di impugnazione
distribuendo nel tempo le istanze di accesso
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 30.09.2009 n. 2222 -
link a www.altalex.com). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Licenziamento del dipendente che
elude il sistema di rilevamento delle
presenze.
Può essere illegittimo
il licenziamento del pubblico dipendente che
abbia posto in essere fatti e comportamenti
tesi all'elusione dei sistemi di rilevamento
della presenza.
È questa la conclusione cui è giunto il
Collegio del Tribunale di Verbania a seguito
di reclamo avverso l’ordinanza emessa in
sede cautelare dal Giudice del Lavoro dello
stesso Tribunale.
Per il Collegio, infatti, il licenziamento
dovrà essere sospeso e il dipendente
reintegrato fino a che non sia nel concreto
accertata la proporzionalità della sanzione
inflittagli dall’Amministrazione Locale di
appartenenza.
Indipendentemente quindi dalla commissione o
meno dei fatti ascritti, sarà, secondo il
Collegio, il requisito della proporzionalità
ad essere decisivo per la soluzione della
controversia che nel frattempo sta
proseguendo nella fase di merito (TRIBUNALE
di Verbania,
ordinanza 04.09.2009 - link a
www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo per il rilascio della concessione
edilizia imposto dalla legge n. 10/1977 e
commisurato agli oneri di urbanizzazione ha
carattere generale, in quanto prescinde
totalmente dall’esistenza o meno delle
singole opere di urbanizzazione, ha natura
di prestazione patrimoniale imposta e viene
determinato senza tenere conto dell’utilità
che riceve il beneficiario del provvedimento
di concessione, né delle spese
effettivamente necessarie per l’esecuzione
delle opere di urbanizzazione relative alla
concessione assentita.
La ratio che ispira l’esenzione di cui alla
lettera d), art. 9 l. 10/1977, è di
derivazione sociale in quanto l’edificio
unifamiliare nell’accezione socio economica
assunta dalla norma coincide con la piccola
proprietà immobiliare e come tale è
meritevole di un trattamento differenziato
per le opere di adeguamento alle necessità
abitative del nucleo familiare.
L’art. 1 della legge n. 10/1977 ha
introdotto nel nostro ordinamento il
principio, di ordine generale, secondo cui “ogni
attività comportante trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio
partecipa agli oneri ad essa relativi”,
nel senso che detto corrispettivo viene
proporzionato al vantaggio patrimoniale di
cui gode il concessionario, sia in relazione
agli oneri che comporta la urbanizzazione
sia in relazione all’utile derivante dalla
misura e dalla tipologia dell’intervento di
cui viene concessa la realizzazione, sicché
ogni norma derogativa al suddetto principio
di ordine generale va interpretata in senso
restrittivo.
Or dunque è pacifico che l’art. 9 della legge
n. 10/1977 (ora art. 17 del T.U.
dell’edilizia) costituisce una deroga al
principio generale dell’onerosità della
concessione edilizia, avendo l’indicazione
delle fattispecie di esonero del versamento
del contributo, secondo molteplici e
reiterate pronunce giurisprudenziali,
carattere tassativo (cfr. CdS, sez. V,
14.10.19892, n. 987; Tar Lombardia, sez. II,
26.04.2006, n. 1062; Tar Lombardia, sez.
Brescia, 28.01.2002, n. 100). Ne discende,
pertanto, che le fattispecie citate nella
richiamata disposizione sono di stretta
interpretazione.
Tanto premesso il Collegio, ben conoscendo
la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V,
n. 174 del 23.01.2004 relativa ad una
fattispecie analoga a quella in esame, non
ritiene che sussistano le ragioni per
discostarsi dal richiamato orientamento
giurisprudenziale.
Il Supremo Consesso della Giustizia
amministrativa nella su citata pronuncia,
partendo dall’assunto che alcuni dei casi
elencati dall’art. 9 sono espressione del
principio di gratuità della concessione per
le opere che non comportino nessun nuovo
carico urbanistico per il comune, ha
ritenuto di poter applicare l’esenzione di
cui all’alinea g) (“opere da realizzare
in attuazione di norme o di provvedimenti
emanati a seguito di pubbliche calamità”)
al caso non espressamente previsto della
costruzione in sostituzione di un edificio
espropriato e demolito per realizzare
un’opera pubblica, per un volume non
maggiore del precedente e nel territorio
dello stesso comune.
Tanto sul rilievo che “l’onerosità della
concessione trova la propria ragion d’essere
come corrispettivo delle spese che la
collettività si addossa con vantaggio del
concessionario, in conseguenza della
concessione edilizia, e che tale presupposto
manca nel caso di ricostruzione di ciò che
la calamità abbia distrutto”.
L’art. 12 delle preleggi autorizza il
ricorso all’analogia per colmare le lacune
legislative esistenti attraverso il richiamo
della disciplina giuridica dettata per un
caso simile o per materie analoghe.
Il
ricorso all’analogia è però ammissibile solo
quando ricorra identità di ratio
-quando cioè il principio che ha ispirato la
norma regolatrice della fattispecie appare
idoneo ad operare nello stesso modo, dati
gli elementi di somiglianza tra le due
fattispecie, anche per quella non regolata–
,allora il giudice applica pure a
quest’ultima una norma non scritta, che
desume da quella scritta (ubi eadem ratio,
ibi eadem dispositio).
Tanto premesso osserva, allora, il Collegio
che l’operazione di estensione analogica
dell’alinea g) dell’art. 9 della legge n.
10/1977 anche alle ipotesi di ricostruzione
di edificio a seguito di demolizione
conseguente ad esproprio, operata dal
Consiglio di Stato, non ha tenuto nel debito
conto le differenze esistenti tra tale
ultima ipotesi e quella della ricostruzione
di un edificio a seguito della sua
distruzione per calamità naturale.
L’esonero dal pagamento degli oneri di
urbanizzazione nelle ipotesi di cui
all’alinea g) è ispirato ai principi di
solidarietà sociale ed è finalizzato ad
agevolare l’esecuzione di opere da
realizzare in attuazione di norme o
provvedimenti emanati a seguito di pubbliche
calamità dalle quali la collettività trae
un’indubbia utilità e ad evitare che il
soggetto che interviene per l’istituzionale
attuazione del pubblico interesse
corrisponda un contributo che verrebbe a
gravare sulla stessa comunità che dovrebbe
avvantaggiarsi dal loro pagamento.
Ben diversa appare, invece, l’ipotesi della
ricostruzione di un edificio demolito a
seguito di esproprio poiché in tale ultima
evenienza il proprietario dell’edificio ha
percepito a fronte dell’esproprio
un’indennità, ovverosia una somma di denaro
a titolo di ristoro patrimoniale per il
sacrificio del proprio diritto. Indennità
che, come affermato dalla dottrina e dalla
giurisprudenza, consegue a fatti che
sacrificano i diritti dei singoli ma che non
sono antigiuridici, in quanto autorizzati o
imposti da una norma di legge per perseguire
un superiore interesse pubblico.
A tale riguardo merita di essere evidenziato
che la giurisprudenza costituzionale ha
ripetutamente affermato che tale indennizzo
non deve essere meramente simbolico, ma deve
costituire un serio ristoro per il soggetto
espropriato, pur senza dovere essere
necessariamente commisurato al valore di
mercato del bene. E la Corte Europea dei
diritti dell’uomo ha accettato il principio
secondo cui l’indennizzo deve essere una
somma ragionevolmente collegata al valore
venale del bene.
L’indennità di espropriazione è determinata,
dunque, sulla base delle caratteristiche del
bene al momento dell’accordo di cessione o
alla data dell’emanazione del decreto di
esproprio.
Ne discende, quindi, che la
collettività attraverso l’indennità di
esproprio e, a maggior ragione attraverso il
corrispettivo pattuito in sede di cessione
bonaria (come nel caso di specie), ha già
ristorato il proprietario del bene
espropriato del sacrificio subito (in quanto
il costo di costruzione e gli oneri di
urbanizzazione sono voci che contribuiscono
a determinare il valore venale del bene) e,
conseguentemente, esonerarlo dal pagamento
del contributo del costo di costruzione e
degli oneri di urbanizzazione,
determinerebbe in capo al concessionario un
ingiustificato arricchimento.
Tanto più se
si considera che, secondo la consolidata
giurisprudenza del Consiglio di Stato, il
contributo per il rilascio della concessione
edilizia imposto dalla legge n. 10/1977 e
commisurato agli oneri di urbanizzazione ha
carattere generale, in quanto prescinde
totalmente dall’esistenza o meno delle
singole opere di urbanizzazione, ha natura
di prestazione patrimoniale imposta e viene
determinato senza tenere conto dell’utilità
che riceve il beneficiario del provvedimento
di concessione, né delle spese
effettivamente necessarie per l’esecuzione
delle opere di urbanizzazione relative alla
concessione assentita (cfr. CdS, sez. V,
21.04.2006, n. 2258; CdS, sez. V,
06.05.1997, n. 462)
Sulla scorta delle suesposte considerazioni
il Collegio non ritiene, quindi, di poter
condividere l’avviso del Consiglio di Stato
e di potere applicare in via analogica alla
fattispecie in esame l’esenzione prevista
dall’alinea g) dell’art. 9 della legge n.
10/1977, ravvisando l’unico elemento di
somiglianza tra la ricostruzione a seguito
di calamità naturale e quella a seguito di
demolizione per esproprio nella assenza di
qualsiasi volontà del proprietario
dell’edificio di demolirlo e poi
ricostruirlo.
La fattispecie in esame non appare, infine,
sussumibile neanche sotto le ipotesi di
esenzione previste dalle lettere d) (“interventi
di restauro, di risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20%, di edifici
unifamiliari”) ed e) (“modifiche
interne necessarie per migliorare le
condizioni igieniche o statiche delle
abitazioni, nonché realizzazione dei volumi
tecnici che si rendono indispensabili a
seguito dell’installazione di impianti
tecnologici necessari per le esigenze delle
abitazioni”) del citato art. 9.
La ratio che ispira l’esenzione di
cui alla lettera d) è di derivazione sociale
in quanto l’edificio unifamiliare
nell’accezione socio economica assunta dalla
norma coincide con la piccola proprietà
immobiliare e come tale è meritevole di un
trattamento differenziato per le opere di
adeguamento alle necessità abitative del
nucleo familiare.
Per quanto concerne, invece, gli interventi
elencati nella lettera e) occorre, in
primis, evidenziare che si tratta di
interventi per i quali non è neanche
richiesta la concessione edilizia (ora
permesso di costruire), essendo sufficiente
la mera autorizzazione, in considerazione
del fatto che consistono in modifiche
interne e nell’installazione di impianti che
non incidono sulla volumetria, sulle
dimensioni e sulle destinazioni d’uso
originarie dell’edificio già esistente
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 13.03.2008 n. 604 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
determinazione dell’onere dovuto per il
rilascio della concessione costituisce il
risultato di un calcolo materiale, essendo
la misura concreta direttamente collegata
dalla legge al carico urbanistico accertato
secondo parametri rigorosamente stabiliti
(per cui deve escludersi, stante la natura
tecnica dell’attività in materia, che il
provvedimento debba essere motivato).
Per quanto
concerne la dedotta carenza di motivazione
in ordine all’ammontare dell’importo
richiesto a titolo di oneri concessori
merita di essere evidenziato che la
determinazione dell’onere dovuto per il
rilascio della concessione costituisce il
risultato di un calcolo materiale, essendo
la misura concreta direttamente collegata
dalla legge al carico urbanistico accertato
secondo parametri rigorosamente stabiliti
(per cui deve escludersi, stante la natura
tecnica dell’attività in materia, che il
provvedimento debba essere motivato) (cfr.
CdS, sez. V, 21.04.2006, n. 2258)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 13.03.2008 n. 604 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'insorgenza
dell’obbligo di corresponsione degli oneri
concessori è correlata al verificarsi o meno
di un maggiore carico urbanistico quale
effetto dell’intervento edilizio, sicché non
è necessario che la ristrutturazione
interessi globalmente l’edificio –con
variazioni riguardanti nella loro interezza
le parti esterne ed interne del fabbricato–,
ma è sufficiente che ne risulti comunque
mutata la realtà strutturale e la fruibilità
urbanistica, con oneri conseguentemente
riferiti all’oggettiva rivalutazione
dell’immobile e funzionali a sopportare
l’aggiuntivo carico “socio-economico” che
l’attività edilizia comporta, anche quando
l’incremento dell’impatto sul territorio
consegua solo a marginali lavori dovuti ad
una divisione o frazionamento dell’immobile
tra più proprietari.
Quanto ai presupposti per l’insorgenza
dell’obbligo di corresponsione degli oneri
concessori, è stato ripetutamente
riconosciuto in giurisprudenza che rilevante
in tal senso è il verificarsi o meno di un
maggiore carico urbanistico quale effetto
dell’intervento edilizio, sicché non è
necessario che la ristrutturazione interessi
globalmente l’edificio –con variazioni
riguardanti nella loro interezza le parti
esterne ed interne del fabbricato–, ma è
sufficiente che ne risulti comunque mutata
la realtà strutturale e la fruibilità
urbanistica, con oneri conseguentemente
riferiti all’oggettiva rivalutazione
dell’immobile e funzionali a sopportare
l’aggiuntivo carico “socio-economico”
che l’attività edilizia comporta, anche
quando l’incremento dell’impatto sul
territorio consegua solo a marginali lavori
dovuti ad una divisione o frazionamento
dell’immobile tra più proprietari (v. Cons.
Stato, Sez. V, 03.03.2003 n. 1180; Sez. IV,
29.04.2004 n. 2611).
La circostanza, quindi, che l’intervento di
ristrutturazione edilizia del fabbricato
della società ricorrente abbia determinato
un aumento delle unità residenziali (da 8 a
11) giustifica la pretesa
dell’Amministrazione comunale, pur a fronte
di una superficie utile che per questa parte
risulta invariata, tenuto conto della
maggiore dotazione di servizi che l’opera
assentita determina nell’area in cui viene
realizzata
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 19.02.2008 n. 100 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla
fondatezza di una domanda di risarcimento dei danni proposta
dalla seconda classificata nella procedura concorsuale,
derivante da illegittima aggiudicazione dell'appalto.
E' fondata la richiesta di risarcimento dei danni di una
società, quale seconda classificata in una procedura
concorsuale espletata da un comune, derivante
dall'illegittima aggiudicazione dell'appalto per
l'esecuzione del servizio elettrico votivo nel civico
cimitero, nonché per la sua manutenzione, in favore di una
ditta carente del requisito dell'abilitazione ex lege
n. 46/1990, e che ha omesso d'indicare, nella documentazione
allegata all'offerta, un responsabile tecnico avente i
requisiti prescritti dalla legge.
Il vizio dell'attività, illegittimamente posta in essere dal
comune, si pone come particolarmente evidente, integrando
senz'altro, quanto meno, l'elemento della colpa, che per la
Cassazione va riferita all'Amministrazione intesa come
apparato (piuttosto che al singolo funzionario agente), ed è
presente quando "l'adozione e l'esecuzione dell'atto
illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia
avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di
correttezza e di buona amministrazione alle quali
l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi …
in quanto si pongono come limiti esterni alla
discrezionalità".
E' chiaro, infatti, che nel caso di specie non sembra
potersi ravvisare alcun errore scusabile, il cui
accertamento impedirebbe, secondo parte della dottrina e
della giurisprudenza che s'è occupata dell'argomento, di
poter qualificare la condotta della P.A., nel suo complesso,
come colposa (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 12.02.2007 n. 973
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APPALTI: Sull'illegittimità
dell'aggiudicazione di una gara per mancata dichiarazione
del collegamento sostanziale, in una gara precedente,
accertato mediante annotazione nel Casellario informatico.
La mancata dichiarazione del "collegamento sostanziale"
tra imprese, in quanto accertato mediante annotazione nel
Casellario informatico, nei confronti delle imprese
partecipanti alla gara e non dichiarato dalle stesse,
costituisce una non veritiera indicazione delle condizioni
previste per la partecipazione alla gara, ai sensi dell'art.
75 del d.p.r. n. 554/1999, lett. h, ed essendo tale
dichiarazione precedente alla gara stessa, costituisce, di
per sé, motivo di esclusione, indipendentemente dalla
rilevanza che tale collegamento potrebbe avere sulla gara
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.02.2007 n. 554
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ATTI
AMMINISTRATIVI: Diritto
di accesso agli atti comprende sia la visione che la copia
del documento.
Nel diritto di accesso
agli atti, devono ricomprendersi sia la visione sia il
rilascio di copia del documento.
A seguito dell’abrogazione della norma diretta a bilanciare
l’esigenze di accesso con quelle di riservatezza, di cui
dall’art. 24, comma 2, lettera d), nella formulazione
dell’originaria della legge 241/1990, ad opera della legge
n. 15/2005, si ritiene superata ogni possibilità di
distinguere tra le due modalità di accesso che non si
ravvisano più separabili
(TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 05.02.2007 n. 337
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APPALTI: Presenza
alla seduta di gara e decorrenza dei termini di
impugnazione.
Secondo l'orientamento
meno recente, la presenza di un rappresentante della ditta
partecipante alla gara d'appalto nel corso della quale la
commissione giudicatrice ha ritenuto di escludere la ditta
medesima dalla gara non comporta ex se piena
conoscenza dell'atto di esclusione ai fini della decorrenza
del termine di impugnazione, qualora non risulti che il
rappresentante fosse effettivamente tale perché munito di
mandato ad hoc ovvero in base alla carica rivestita e che
quindi la conoscenza dal medesimo avuta fosse riferibile
alla società. Tale orientamento è stato però oggetto di
rielaborazione, non essendosi potuto condividere che il
rappresentante debba necessariamente essere munito di
mandato ad hoc.
Diverso è invece l’attuale orientamento.
Ai fini del decorso del termine per l'impugnazione in tema
di contratti della pubblica amministrazione, la presenza di
rappresentanti delle imprese concorrenti alle sedute di gara
integra gli estremi della piena conoscenza in capo alle
imprese medesime degli atti che vengono adottati durante le
sedute, essendo sufficiente la presenza di un soggetto che
si qualifichi e sia indicato nel verbale come rappresentante
della ditta partecipante, tanto più quando tale
partecipazione si giustifichi con il compito di adottare
specifiche iniziative per tutelare le ragioni dell'impresa
nell'immediatezza dello svolgimento delle singole fasi di
gara, attraverso la presentazione di osservazioni o di
contestazioni rispetto a specifiche determinazioni assunte
dall'organo di gara
(Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 31.01.2007 n. 400
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EDILIZIA
PRIVATA: Beni
culturali e ambientali - Cave e torbiere - Piano
Paesaggistico Ambientale Regionale Marche (P.P.A.R.) -
Attività estrattive - Trasformazione del territorio
Compatibilità paesistico-ambientale.
L’art. 45 delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del
Piano Paesaggistico Ambientale Regionale (P.P.A.R.),
approvato con Delibera del Consiglio Regionale delle Marche
n. 198 del 03.11.1989, ha ricompreso le attività estrattive
e le opere connesse tra gli interventi di rilevante
trasformazione del territorio la cui realizzazione è
subordinata alla preventiva dichiarazione di compatibilità
paesistico-ambientale da parte della Giunta regionale, ai
sensi di quanto espressamente stabilito dall’art. 63-ter
dello stesso P.P.A.R.. Peraltro, con la stessa disposizione
è precisato che non sono da considerarsi interventi di
rilevante trasformazione del territorio, quelli di modesta
entità, tali da non modificare i caratteri costitutivi del
contesto paesistico ambientale o della singola risorsa.
Valutazione impatto ambientale - Rinnovazione del
giudizio di compatibilità - Intervento in più fasi -
Intervento significativamente diverso - Necessità.
La rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale si
impone allorché le varianti progettuali determinino la
costruzione di un intervento significativamente diverso da
quello già esaminato.
Nel caso di un’autorizzazione alla realizzazione di un
intervento in più fasi, è necessaria una valutazione
dell’impatto ambientale se nel corso della seconda fase (e,
quindi, anche in sede di variante) il progetto può avere un
impatto ambientale importante, in particolare per la sua
natura, le sue dimensioni o la sua ubicazione (in tal senso,
Cons. Stato, VI, n. 2694/2006; principio conforme a Corte
Giust., 04.05.2006, C-290/2003).
Cave - Zona agricola con attività estrattiva - Fascia
di tutela fluviale - Soluzione tecnica migliorativa -
Incremento del materiale ghiaioso-sabbioso - Pretesto per
esercitare un’attività estrattiva - Illegittimità.
Necessita della rinnovazione del giudizio di compatibilità
ambientale, anche l’introduzione significativa di una
soluzione tecnica migliorativa, in quanto non può costituire
il pretesto per ottenere l’incremento del materiale
ghiaioso-sabbioso da asportare all’interno della fascia di
tutela fluviale con il conseguente abbassamento del piano di
campagna.
A nulla rilevando il fatto che il Piano regolatore comunale
avesse dato ai terreni interessati dall’area di cava una
destinazione di zona agricola con attività estrattiva,
perché è comunque necessario il rispetto dei regimi di
vincolo paesaggistico ed ambientale presenti nella zona ed
imposti dal P.P.A.R..
Nella specie, il progetto interessava porzioni della fascia
di rispetto fluviale sottoposta a vincolo di tutela
integrale, con un notevole incremento delle asportazioni di
materiale ghiaioso e sabbioso all’interno della fascia di
tutela, in conseguenza del previsto rimodellamento
morfologico dell’area, attraverso la realizzazione di
un’unica scarpata (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 31.01.2007 n. 370
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APPALTI:
Sull'impugnazione delle clausole illegittime di un
bando di gara.
Una stazione appaltante può stabilire autonomamente criteri
di valutazione delle offerte diversi da quelli previsti
dall'art. 23, c. 1, d.lvo 157/1995.
Le clausole illegittime degli atti regolatori di una gara
vanno impugnate unitamente al provvedimento di
aggiudicazione, salve le ipotesi in cui impediscano o
rendano difficoltosa la partecipazione del ricorrente,
provocando una lesione immediata per la sua posizione di
interesse.
In relazione al criterio di aggiudicazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa ex art. 23 comma 1 d.lgs
157/1995, tale norma indica, a titolo esemplificativo,
alcuni dei parametri che possono essere presi in
considerazione ai fini della valutazione qualitativa delle
offerte, ma non esclude che la singola amministrazione possa
autonomamente stabilire, per ogni singola gara, parametri
per la valutazione delle offerte, sempre che questi
rimangano riferiti alle specifiche caratteristiche oggettive
dell'offerta e delle modalità attraverso le quali viene reso
il servizio, e non alla complessiva organizzazione
imprenditoriale del soggetto partecipante (C.G.A. per la
Regione Siciliana, Sez. giurisdizionale,
sentenza 29.01.2007 n. 6
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COMPETENZE
GESTIONALI: RAPPRESENTANZA
IN GIUDIZIO DEL COMUNE ESCLUSIVAMENTE DEL SINDACO.
In base all'ordinamento degli Enti locali (v. gli artt. 6,
50 e 107 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267), la rappresentanza in
giudizio del Comune compete esclusivamente al Sindaco, quale
rappresentante dell'ente e non già al dirigente, al quale è
riservato unicamente il potere di promuovere le liti che
interessano l'ente, con compiti di rappresentanza
sostanziale.
In particolare il TAR salentino ha rilevato un vizio nella
deliberazione di conferimento dell'incarico difensivo al
difensore dell'Amministrazione comunale che, a dire del
G.A., sarebbe stata rilasciata da soggetto incompetente, sì
da determinare una pretesa irritualità della attività
difensiva svolta dal difensore.
A parere di chi scrive trattasi di assunto che si discosta
dai più recenti ed autorevolissimi arresti cui sono giunte
le Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno
ripetutamente affermato, con riferimento alla rappresentanza
in giudizio dei comuni che "lo statuto del Comune (atto a
contenuto normativo, rientrante nella diretta conoscenza del
giudice) o anche i regolamenti municipali, nei limiti in cui
ad essi espressamente rinvii lo stesso statuto, possono
affidarla ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori
di competenza, od anche, con riguardo all'intero
contenzioso, al dirigente dell'ufficio legale, e possono
altresì prevedere detta autorizzazione (della giunta o del
competente dirigente), altrimenti non necessaria"
(Cassazione civile, Sez. Un., 27.06.2005, n. 13710).
Tale è stata appunto la scelta effettuata dall'A.C. con gli
artt. 58 e ss. dello Statuto comunale (che attribuiscono
alla sfera dirigenziale tale competenza) che la
determinazione 21/05/2001 n. 418 espressamente richiamava;
così come richiamava la deliberazione 03/05/2001 della
Giunta comunale, rispetto alla quale la già citata
determinazione dirigenziale si dichiarava conforme (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 25.01.2007 n. 161
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CONSIGLIERI
COMUNALI:
Sulla revoca dell'incarico di assessore comunale: non
è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento.
Non è necessaria la previa comunicazione dell'avvio del
procedimento per la revoca dell'incarico di assessore
comunale in considerazione della specifica disciplina
normativa vigente in materia.
Invero, le prerogative della partecipazione possono essere
invocate quando l'ordinamento prende in qualche modo in
considerazione gli interessi privati in quanto ritenuti
idonei ad incidere sull'esito finale per il migliore
perseguimento dell'interesse pubblico, mentre tale
partecipazione diventa indifferente in un contesto normativo
nel quale la valutazione degli interessi coinvolti è rimessa
in modo esclusivo al Sindaco, cui compete in via autonoma la
scelta e la responsabilità della compagine di cui avvalersi
per l'amministrazione del Comune nell'interesse della
comunità locale, con sottopozione del merito del relativo
operato unicamente alla valutazione del consiglio comunale.
Il relativo procedimento è perciò semplificato al massimo
per consentire un'immediata soluzione della crisi
intervenuta nell'ambito del governo locale, articolandosi
nei seguenti passaggi: valutazione della situazione da parte
del sindaco, scelta sindacale di modificare la composizione
della giunta nell'interesse della comunità locale e
comunicazione motivata di ciò al consiglio comunale, senza
l'interposizione della comunicazione dell'avvio del
procedimento all'assessore assoggettato alla revoca, la cui
opinione è irrilevante per la normativa attuale salvo che
non venga fatta propria dal consiglio comunale (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 23.01.2007 n. 209
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EDILIZIA
PRIVATA:
Beni culturali e ambientali - Imposizione del vincolo
anche su aree di gran lunga eccedenti la superficie -
Illegittimità.
L’inscindibilità di un unitario complesso archeologico, la
cui parte più rilevante, si trova su aree pacificamente
estranee all’area sottoposta a vincolo, e l’esigenza di
preservarlo nella sua globalità, non giustificano
l’imposizione del vincolo anche su aree di gran lunga
eccedenti la superficie, risultando in assunto, proprio
nell’impostazione motivazionale prescelta
dall’amministrazione e nelle giustificazioni fattuali da
questa addotte, che il sacrificio imposto alla proprietà
privata, risulta sproporzionato, irragionevole e immotivato.
Beni culturali e ambientali - C.d. tutela del “vuoto
strutturale” - Mancanza assoluta del ritrovamento di reperti
significativi - Estensione del vincolo - Esclusione.
L’esigenza di tutela del “vuoto strutturale” legato
all’esistenza di “horti” e giardini ipotizzati come “continuum”
rispetto ad una Villa romana, collegabili alla struttura
viaria localizzata in un’area delimitata, in mancanza
assoluta del ritrovamento di reperti significativi, si
rivela sprovvista dei caratteri della ragionevolezza,
adeguatezza e, in specie, proporzionalità che escluderebbero
la natura del tutto contraddittoria e immotivata
dell’estensione del vincolo a tutta l’area interessata.
Beni culturali e ambientali - Imposizione del vincolo
diretto - Effettiva esistenza delle cose da tutelare -
Necessità - Fondamento - Artt. 1 e 3 L. n. 1089/1939.
Per l’imposizione del vincolo diretto di cui agli artt. 1 e
3 della legge n. 1089 del 1939 imprescindibile presupposto è
la dimostrata, effettiva esistenza delle cose da tutelare;
con la conseguenza che il relativo provvedimento si deve
considerare illegittimo, per carenza o errore nei
presupposti, ove sia stato acclarato che in un’area non
irrilevante della zona vincolata in realtà non esiste alcun
bene archeologico suscettibile di protezione.
Ciò in quanto la legge in esame, dove consente l’imposizione
del vincolo diretto sulle cose di interesse artistico,
storico o archeologico, incide, comprimendolo, sul diritto
di proprietà.
Se ne trae la conseguenza che, al fine di evitarne
un’inutile limitazione, è consentito all’amministrazione di
adottare il relativo provvedimento soltanto nel presupposto
della già acquisita certezza dell’esistenza delle cose
oggetto di tutela e previa rigorosa delimitazione della zona
da proteggere (C. Stato, sez. VI, 09.05.2002, n. 2525).
Beni culturali e ambientali - Ruderi archeologici -
Vincolo ad intere aree - Complesso unitario ed inscindibile
- Limitazione proporzionata alla finalità di pubblico
interesse. Tutela di beni archeologici.
In materia di tutela di beni archeologici, l’amministrazione
può estendere il vincolo ad intere aree in cui siano
disseminati ruderi archeologici particolarmente importanti,
tuttavia, in tal caso è necessario, non solo che i ruderi
stessi costituiscano un complesso unitario ed inscindibile,
ma anche che il sacrificio totale degli interessi dei
proprietari sia reso indispensabile e che non sussista la
possibilità di adottare soluzioni meno radicali, evitandosi,
in ogni caso, che l’imposizione della limitazione sia
sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico interesse
cui è preordinata (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 19.01.2007 n. 120
- link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla nozione di appalto pubblico di lavori e sulla
modalità di calcolo del valore dell'appalto.
L'amministrazione aggiudicatrice non è esonerata dal fare
ricorso alla gara ai sensi della direttiva 93/37, per il
fatto che la normativa nazionale limita la conclusione della
convenzione solo con determinate persone giuridiche.
Una convenzione con cui una prima amministrazione
aggiudicatrice affida ad una seconda amministrazione
aggiudicatrice la realizzazione di un'opera costituisce un
appalto pubblico di lavori ai sensi dell'art. 1, lett. a),
della direttiva del Consiglio 14.06.1993, 93/37/CEE, che
coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di lavori, come modificata dalla direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 13.10.1997, 97/52/CE,
indipendentemente dal fatto che sia previsto o no che la
prima amministrazione aggiudicatrice sia o divenga
proprietaria, in tutto o in parte, di tale opera.
Per determinare il valore di un appalto ai fini dell'art. 6
della direttiva 93/37, come modificata dalla direttiva
97/52, occorre prendere in considerazione il valore totale
dell'appalto di lavori dal punto di vista di un potenziale
offerente, il che include non soltanto l'insieme degli
importi che l'amministrazione aggiudicatrice dovrà pagare,
ma anche tutti gli introiti che proverranno da terzi.
Un'amministrazione aggiudicatrice non è dispensata dal fare
ricorso alle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di lavori previste dalla direttiva 93/37, come
modificata dalla direttiva 97/52, per il fatto che, in
conformità al diritto nazionale, tale convenzione può essere
conclusa soltanto con determinate persone giuridiche, che
abbiano esse stesse lo status di amministrazione
aggiudicatrice e che saranno tenute, a loro volta, ad
applicare le dette procedure per aggiudicare eventuali
appalti susseguenti (Corte di giustizia europea, Sez. I,
sentenza 18.01.2007 n. C-220/05
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EDILIZIA PRIVATA: L'art.
9 dm n. 1444 del 1968, relativo all’obbligo
di rispettare una distanza minima di 10
metri tra pareti finestrate (e quindi munite
di luci e/o vedute, secondo la definizione
contenuta nell’art. 900 cod. civ.) ed
edifici antistanti, è volto ad impedire la
formazione di intercapedini nocive sotto il
profilo igienico sanitario: ha, pertanto,
carattere tassativo ed inderogabile, non
eludibile da parte dello strumento
urbanistico comunale, il quale può solo
prescrivere distanze maggiori, ma non
limitarne l’applicazione.
L’adozione, da parte dell’ente locale, di
una prescrizione contenuta nello strumento
urbanistico contrastante con la citata
norma, anche in senso meramente limitativo,
comporta l’obbligo di applicare direttamente
la disposizione del menzionato art. 9
divenuta, per inserzione automatica, parte
integrante del piano regolatore, in
sostituzione della norma illegittima, che
deve essere disapplicata ovvero annullata.
E' evidente la fondatezza del ricorso, che
denuncia la violazione dell’art. 9 dm n.
1444 del 1968, relativo all’obbligo di
rispettare una distanza minima di 10 metri
tra pareti finestrate (e quindi munite di
luci e/o vedute, secondo la definizione
contenuta nell’art. 900 cod. civ.) ed
edifici antistanti, obbligo che, essendo
volto ad impedire la formazione di
intercapedini nocive sotto il profilo
igienico sanitario, ha pertanto carattere
tassativo ed inderogabile, non eludibile da
parte dello strumento urbanistico comunale,
il quale può solo prescrivere distanze
maggiori, ma non limitarne l’applicazione
(per tutte, Cons. Stato, sez. IV,
05.12.2005, n. 6909; Cass. civ., sez. II,
10.01.2006, n. 145).
Ne deriva che l’adozione, da parte dell’ente
locale, di una prescrizione contenuta nello
strumento urbanistico contrastante con la
citata norma, anche in senso meramente
limitativo, comporta l’obbligo di applicare
direttamente la disposizione del menzionato
art. 9, divenuta, per inserzione automatica,
parte integrante del piano regolatore, in
sostituzione della norma illegittima che,
deve essere disapplicata (per tutte, Cass.
Civ., sez. II, 30.03.2006, n. 7563 e
29.05.2006, n. 12741) ovvero annullata, ove
(come nella specie) impugnata.
Lla suddetta prescrizione, data la finalità
che intende perseguire, che è, come si è
detto, di natura igienico–sanitaria, vale
anche per la distanza da edificio adibito ad
autorimessa, come nel caso di specie (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 17.01.2007 n. 22 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Ordinanza contingibile ed urgente - Materie di
competenza esclusiva del Sindaco - C.d. potere "extra
ordinem" - Art. 54, comma 2, D.L.vo 267/2000 - Art. 38 comma
2 L. n. 142/1990.
Ai sensi dell'art. 38, comma 2, l. 08.06.1990 n. 142 (al
pari del vigente art. 54 comma 2 del D.L.vo 267/2000 cit.),
è demandato esclusivamente al sindaco il potere "extra
ordinem" di emanare i provvedimenti contingibili e
urgenti in materia di sanità e igiene, edilizia e polizia
locale, individuando tale potere come una prerogativa tipica
del sindaco, quale Ufficiale di Governo, non delegabile ad
altri (cfr. ad es. TAR Abruzzo-L'Aquila, 03.10.2003, n. 835,
TAR Campania-Napoli, 03.05.2006 n. 3905, Consiglio Stato
sez. IV 24.03.2006 n. 1537) (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 15.01.2007 n. 276
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Beni
culturali e ambientali - Condono edilizio e condono
paesaggistico - Differenza - C.d. "Minicondono"
paesaggistico - Reati edilizi - Esclusione - L. n. 308/2004
- Art. 181 D. L.vo n. 42/2004.
In mancanza di esplicita norma di coordinamento, tra la
Legge n. 308/2004 e l’art. 181 decreto legislativo n. 42 del
2004, non è possibile estendere la sanatoria anche al reato
edilizio, (specialmente se commesso dopo il 31.03.2003 e
prima del 30.09.2004), giacché il condono edilizio e quello
paesaggistico si fondano su presupposti diversi quanto ai
paramenti di valutazione della compatibilità dell’opera.
Invero, per la condonabilità dell’abuso edilizio, è
richiesta la conformità agli strumenti urbanistici vigenti;
per quella dell’abuso paesaggistico la conformità agli
strumenti di pianificazione paesaggistica ove vigenti, o,
altrimenti, al cosiddetto contesto paesaggistico.
Sicché, un’opera può essere conforme ai piani paesaggistici
ma non agli strumenti urbanistici e viceversa, giacché
l’interesse paesaggistico è diverso da quello urbanistico,
anche se si sta imponendo la tendenza a fare coincidere i
due interessi (ad esempio l’articolo 145 del codice Urbani).
Beni culturali e ambientali - Condono - C.d.
"Minicondono" paesaggistico - Reati edilizi - Esclusione.
Per espressa disposizione della norma, la prevista sanatoria
contenuta nella Legge n. 308 del 2004 è limitata al reato di
cui all'articolo 181 decreto legislativo n. 42 del 2004 e
comunque ai reati paesaggistici come ad esempio a quello
previsto dall'articolo 734 codice penale, ma non si estende
al reato edilizio per la mancanza di norme di coordinamento.
Condono - Demolizione del manufatto illecitamente
realizzato - Rapporto tra urbanistica e paesaggio -
Differenza.
Il rapporto tra urbanistica e paesaggio, va distinto tenuto
conto del diverso interesse pubblico tutelato: l’urbanistica
ha infatti come scopo il raggiungimento di un ordinato
assetto del territorio, il paesaggio tende invece alla
conservazione della funzione estetico culturale del
bene-valore, tra l’altro direttamente ed autonomamente
tutelato dalla Costituzione (Cfr Cons. Stato, sez. VI
14.01.1995 n 29, Cass. Sez. III 09.02.1998 n. 1492).
Quindi, quand’anche si dovesse ottenere la compatibilità
paesaggistica per l’abuso paesaggistico commesso, non si
potrebbe evitare la condanna per l’abuso edilizio e la
conseguente demolizione del manufatto illecitamente
realizzato.
Illeciti edilizi - Opera non condonabile - Domanda di
condono - Sospensione del procedimento in pendenza dei
termini - Esclusione.
In tema di illeciti edilizi, non è possibile la sospensione
del procedimento in pendenza dei termini per la
presentazione della domanda di condono allorché si tratta di
opera non condonabile (Cass. Sez. III 09.07.2004 n 38694;
Cass. sez. III 06.04.2004 n. 21679, Cass. 3762 del 2000).
Il comma 27 dell’articolo 32 della legge n. 326 del 2003
(Misure Urgenti per favorire lo sviluppo e per la Correzione
dell’andamento dei conti pubblici) prescrive, fermo restando
quanto disposto dagli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del
1985, le opere abusive non sono suscettibili di sanatoria
qualora: “a)...b)...c)...d) siano state realizzate su
immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi
statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e
delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici...
qualora istituiti prima dell’esecuzione di dette opere”.
Abusivismo - Sentenza di condanna - Sospensione
condizionale della pena subordinata alla demolizione del
manufatto - Legittimità.
In materia edilizia legittimamente il giudice, nel concedere
con la sentenza di condanna la sospensione condizionale
della pena, può subordinare detto beneficio alla
eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante la
demolizione dell’opera abusiva disposta con la stessa
condanna ai sensi dell’an (cfr. Cass. Sez. Un. n. 714
del 1997; Cass. 15.06.1998, n. 7148 Dionisi; Cass.
30.09.1998, 10309 Licata; Cass. 07.04.2000, 4086, Pagano;
Cass. n. 18304 del 2003) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 12.01.2007 n. 451
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EDILIZIA
PRIVATA:
Autorizzazione paesaggistica - Diniego della sanatoria
- Annullamento ministeriale - Declaratoria di irricevibilità
- Legittimità - Potere ordinatorio del giudice
amministrativo - Esame dei presupposti e delle condizioni
dell’azione.
Il potere ordinatorio del giudice amministrativo, di
disporre in ordine al processo e al suo andamento deve
rispondere a precise regole di ordine logico sostanziale,
oltre che giuridico formali; nella corretta osservanza di
tali regole, l’esame dell’eventuale pregiudizialità (non
necessaria) di altro giudizio -su un differente atto
connesso a quello impugnato- deve seguire (e non precedere)
l’esame dei presupposti e delle condizioni dell’azione e fra
questi, quello in ordine alla tempestività
dell’impugnazione, il cui esito negativo preclude al giudice
ogni ulteriore accertamento di tipo sostanziale e di merito,
ivi compreso quello sulla connessione delle cause e sulla
pregiudizialità del giudizio sull’atto presupposto.
Non è, dunque, sindacabile in appello la mancata sospensione
di un’impugnazione palesemente irricevibile, in attesa della
decisione del ricorso giurisdizionale sull’atto presupposto
-pendente davanti a differente giudice dello stesso ordine e
grado- in quanto (indipendentemente da ogni altra
considerazione) la decisione sulla validità di tale atto
sarebbe stata del tutto irrilevante, in quanto non in grado
di risolvere (in favore del ricorrente) il problema
processuale della inoppugnabilità del provvedimento
consequenziale.
Nella specie, non inficia la declaratoria di irricevibilità,
l’avere deciso la causa e non averla, al contrario sospesa
in attesa della decisione di altro ricorso, proposto dallo
stesso attuale appellante, avverso l’annullamento
ministeriale dell’autorizzazione paesaggistica (presupposto
del diniego della sanatoria richiesta dall’originario
proprietario e da questi non impugnato) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 10.01.2007 n. 40
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EDILIZIA
PRIVATA:
Inottemperanza all'ordine di demolizione -
Acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di
sedime - Provvedimento di accertamento - Trascrizione della
acquisizione dell’area al patrimonio comunale - Atti
consequenziali - Impugnazione autonoma - Esclusione.
Il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza
all'ordine di demolizione e quello successivo di
acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di
sedime (ed il provvedimento che dispone, come quello in
esame, l’occupazione dell’opera abusiva e dell’area di
sedime in vista della trascrizione della acquisizione
dell’area al patrimonio comunale) debbono considerarsi
consequenziali, connessi e conseguenti all'ordine di
demolizione delle opere e ripristino dello stato primitivo
dei luoghi, con la conseguenza che non sono autonomamente
impugnabili, in mancanza di impugnazione dell'atto con cui
si ingiunge la demolizione (o come, nella specie, nel caso
di irricevibilità dell’impugnazione tardivamente proposta
avverso tale atto) (Cons. Stato, Sez. V, 26.05.2003, n.
2850) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2007 n. 40
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APPALTI: Lettera
di invito a gara di appalto: i canoni interpretativi dei
contenuti.
I canoni di
interpretazione di una lettera di invito, così come delle
clausole dei bandi di concorso, non sono quelli delle fonti
indicate negli artt. 12 e segg. delle disposizioni sulla
legge in generale (preliminari al codice civile), bensì
quelli desunti dagli artt. 1362 e segg. del codice
anzidetto, attesa la natura della volontà espressa,
assumibile nella nozione generale del negozio giuridico, cui
le norme anzidette trovano applicazione.
Invero non trova applicazione, alla clausola in questione,
neppure la c.d. interpretazione autentica (quale, nella
specie, derivante dalla precisazione postuma dell’Azienda,
secondo cui la clausola doveva essere interpretata alla
lettera e cioè nel senso che la copertura assicurativa
doveva essere posseduta da ciascun offerente al momento
dell’offerta e che non fosse equivalente l’impegno a
costituirla in caso di aggiudicazione).
Soccorrono, dunque, specificamente, gli artt. 1362, 1366,
1367, 1368 , 1369, 1370, 1371 c.c., in ciascuno dei quali
sono da rinvenire, analiticamente, i canoni interpretativi
ai quali è stato fatto ricorso, con la decisione di
accoglimento, che deve essere interamente condivisa.
Ecco, dunque, la necessità di attribuire alla clausola il
significato “più conveniente alla natura e all'oggetto
del contratto” (art. 1369 c.c.)
(Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2007 n. 37
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EDILIZIA
PRIVATA:
Beni culturali e ambientali - Annullamento del
nulla-osta paesaggistico - Comunicazione dell’avvio del
procedimento - Obbligo.
Sussiste l’obbligo dell’autorità statale di dare notizia
all’interessato anche nell’ipotesi dell’avvio del
procedimento preordinato all’eventuale annullamento del
nulla-osta paesaggistico come sopra rilasciato. (cfr., tra
le tante, Cons. Stato, VI sez., 25.03.2004, n. 1626;
20.01.2003, n. 203; 17.09.2002 n. 4709, 29.03.2002 n. 1790).
Beni culturali e ambientali - Nulla-osta paesaggistico
- Avvio del procedimento - Comunicazione - Necessità - Fase
procedimentale “diversa” - Esercizio del potere di controllo
- Diversa autorità - Diverso responsabile del procedimento -
D.M. 19/06/2002 n. 165 mod. l’art. 4, D.M. 13/06/1994 n. 495
- L. n. 241/1990.
Il nulla-osta paesaggistico, deve essere preceduto dalla
comunicazione dell’avvio del procedimento da parte
dell’Amministrazione statale. Non potendosi attribuire
rilevanza, al fine di fondare un diverso avviso, alla
circostanza che l’ente autorizzante abbia già dato notizia
alla parte della trasmissione del nulla-osta all’autorità
statale per l’esercizio del potere di controllo (Cons.
Stato, Sez. VI, ord. 09.05.2003 n. 1806; 26.10.2006, n.
6418; 13.02.2003 n. 790; 17.10.2003 n. 6342).
Beni culturali e ambientali - Nulla-osta paesaggistico
- Annullamento - Provvedimento statale - Avviso del
procedimento - Necessità - Eccezione - L. n. 241/1990.
Il provvedimento statale di annullamento del nulla-osta
paesaggistico, salvo che la conoscenza dell’inizio del
medesimo procedimento sia avvenuta aliunde, deve
essere preceduto necessariamente dall’avviso del
procedimento, (Cons. Stato, Sez. VI, 17.10. 2003 n. 6342;
29.04.2003 n. 2176; 10.04. 2003 n. 1909; 26.10.2006, n.
6418).
In definitiva, l’onere di cui all’art. 7, comma 1, della L.
n. 241/1990, viene soddisfatto soltanto dalla formale
comunicazione ad opera dell’autorità statale competente a
pronunciare l’eventuale annullamento dell’autorizzazione
paesaggistica, così come, del resto, esplicitamente previsto
dalla normativa regolamentare attuativa della L. 241/1990
appositamente dettata dal Ministero dei beni culturali ed
ambientali, con D.M. n. 495 del 13.06.1994, art. 4 e Tabella
A punto 4 (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.01.2007 n. 28
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APPALTI SERVIZI:
Sui requisiti che devono sussistere affinché
l'affidamento in house di un servizio pubblico possa
considerarsi legittimo.
E' legittimo l'affidamento di un servizio in house
providing purché l'ente territoriale affidante eserciti
sul soggetto gestore un controllo analogo a quello che
esercita sui propri servizi e che, allo stesso tempo,
quest'ultimo svolga la parte essenziale della propria
attività insieme con l'ente o gli enti territoriali che lo
controllano.
Circa il concetto di "controllo analogo", la Corte di
Giustizia delle Comunità europee aveva avvertito che deve
trattarsi di "un rapporto che determina da parte
dell'amministrazione controllante un assoluto potere di
direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del
soggetto partecipato e che riguarda l'insieme dei più
importanti atti di gestione".
Questa conclusione è stata ribadita, tra gli altri,
dall'arresto della Corte di giustizia europea, I,
13.10.2005, n. c-458/03, secondo il quale, in particolare:
"[…..] deve risultare che l'ente concessionario in questione
è soggetto ad un controllo che consente all'autorità
pubblica concedente di influenzarne le decisioni. Deve
trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia
sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti.
[…..].
Nel solco di questo indirizzo giurisprudenziale la
Commissione europea, sin dalla nota del 16.06.2002,
sottolineava che non era sufficiente, al fine di individuare
il presupposto del "controllo analogo", il semplice
esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di
maggioranza secondo le regole del diritto societario, posto
che il soggetto partecipato, in relazione ai più importanti
atti di gestione, deve configurarsi solo formalmente come
entità distinta dall'amministrazione, dovendo, invece,
essere concretamente parte della stessa. In ambito
nazionale, sia pure con sfumature diverse, ovviamente
dettate dalla particolarità delle fattispecie (anche in
relazione alla specifica legislazione domestica) la
giurisprudenza ha seguito e confermato l'indirizzo europeo.
In questo contesto è stato puntualizzato che il soggetto
gestore si atteggia ad una sorta di longa manus
dell'affidante, pur conservando natura distinta ed autonoma
rispetto all'apparato organizzativo di questo; deve, in
altri termini, trattarsi di una sorta di amministrazione "indiretta",
nella quale la gestione del servizio resta saldamente nelle
mani dell'ente concedente attraverso un controllo gestionale
e finanziario stringente sull'attività della società
affidataria: la quale, a sua volta, è istituzionalmente
destinata in modo assorbente ad operare in favore di questo
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 10.01.2007 n. 13
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AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti
- Gestione di rifiuti - Abbandono di rifiuti o deposito
incontrollato di rifiuti - Responsabilità proprietario
terreno - Condotta omissiva.
In tema di gestione di rifiuti, la consapevolezza da parte
del proprietario del fondo dell'abbandono sul medesimo di
rifiuti da parte di terzi non è sufficiente ad integrare il
concorso nel reato di cui all'art. 51, comma secondo, del
decreto legislativo 05.02.1997 n. 22, (abbandono o deposito
incontrollato di rifiuti), atteso che la condotta omissiva
può dare luogo ad ipotesi di responsabilità solo nel caso in
cui ricorrano gli estremi del comma secondo dell'art. 40
c.p., ovvero sussista l'obbligo giuridico di impedire
l'evento (Cassazione Sezione III, n. 32158/2002; 01/07/2002
- 26/09/2002, Ponzio, RV. 222420).
Rifiuti - Smaltimento di rifiuti - Abbandono o
deposito incontrollato di rifiuti - Responsabilità
proprietario terreno - Comportamento omissivo - Specifico
obbligo giuridico di impedire l'evento - Necessità -
Fattispecie.
Anche in materia ambientale un dato comportamento omissivo
acquista il connotato dell'antigiuridicità solamente in
funzione di una norma che imponga al soggetto di attivarsi
per impedire l'evento naturalistico di lesione
dell'interesse tutelato.
Tale posizione è configurabile nei confronti del produttore
dei rifiuti il quale è tenuto a vigilare che propri
dipendenti o altri sottoposti o delegati osservino le norme
ambientalistiche, dovendosi intendere produttore di rifiuti,
ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. b), del d.lgs.
05.02.1997 n. 22, non soltanto il soggetto dalla cui
attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti,
ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile
detta produzione ed a carico del quale sia quindi
configurabile, quale titolare di una posizione definibile
come di garanzia, l'obbligo, sancito dall'art. 10, comma 1,
del citato decreto, di provvedere allo smaltimento dei detti
rifiuti nei modi prescritti.
Nella specie, non è stato ravvisato concorso nel reato,
potendosi, quello esterno materiale, realizzare con condotta
commissiva mediante cogestione di fatto o morale
(istigazione, rafforzamento, agevolazione) ovvero con
condotta omissiva ma sempre che il non agere s'innesti in
uno specifico obbligo giuridico di impedire l'evento [Cass.
Sez. I, n. 12431/1995, 17/11/1995-15/12/1995, Insinna, RV.
203332], sicché erroneamente è stato ritenuto che integri il
reato contestato la condotta del proprietario di un terreno
che abbia omesso d'impedire che sul proprio fondo non
recintato terzi realizzassero un deposito incontrollato di
rifiuti (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.01.2007 n. 137
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APPALTI
SERVIZI:
Sull'affidamento diretto di un servizio pubblico
locale. Interesse a ricorrere e requisiti del controllo
analogo.
Deve essere riconosciuto l'interesse strumentale a ricorrere
in capo a qualsiasi imprenditore del settore e potenziale
concorrente, che contesti il modulo organizzativo di
affidamento diretto di un servizio pubblico o di
individuazione di un partner in società miste, in assenza di
gara.
In base all'art. 113, V c., lett. c), del D. Lgs. n. 267 del
2000, anche la gestione dei servizi di rilevanza economica
può essere affidata senza gara "a società a capitale
interamente pubblico", pur se a "a condizione che
l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale
esercitino sulla società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la
parte più importante della propria attività con l'ente o gli
enti pubblici che la controllano" (c.d. affidamento "in
house providing").
In caso di servizio gestito col metodo del c.d. "in house
providing", è quindi preliminarmente necessario
stabilire con precisione cosa si intenda per controllo
analogo. Per "controllo analogo" deve intendersi, un
rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una
relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si
verifica quando sussiste un controllo gestionale e
finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente
societario, che non può sussistere, in particolare, quando
la partecipazione dell'Ente pubblico alla società sia
meramente simbolica.
Nel caso di specie, al momento dell'affidamento diretto del
servizio di nettezza urbana il comune deteneva solo l'1 %
del capitale sociale, e la partecipazione non può che
ritenersi simbolica, con impossibilità di esercizio di un
controllo equivalente a quello di subordinazione gerarchica
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 09.01.2007 n. 72
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APPALTI SERVIZI:
L'affidamento del servizio illuminazione elettrica
votiva aree cimiteriali è una concessione di un pubblico
servizio.
Non possono partecipare alle gare per l'affidamento del
servizio di illuminazione votiva le società di persone.
L'affidamento del servizio illuminazione elettrica votiva
aree cimiteriali è una concessione di un pubblico servizio
come riconosciuto dal Consiglio Stato che, con sentenza
07.04.2006, n. 1893, ha espressamente affermato che tra i
servizi pubblici locali, "rientra pacificamente quello
diretto ad assicurare la illuminazione votiva dei cimiteri".
Poiché, infatti, il servizio di cui si tratta è a carico
degli utenti, si applica nella specie la differenza
elaborata fra appalto e concessione di pubblici servizi e
consistente nel fatto che mentre nel primo si prevede un
corrispettivo che è pagato direttamente dall'amministrazione
aggiudicatrice al prestatore di servizi; nella concessione
la remunerazione del prestatore di servizi proviene non già
dall'autorità pubblica interessata, bensì dagli importi
versati dai terzi per l'utilizzo del servizio, con la
conseguenza che il prestatore assume il rischio della
gestione dei servizi in questione;
Peraltro, in tal caso, ai sensi dell'art. 113, c. 5, lett.
a), del d.lgs. n. 267 del 2000. il "conferimento della
titolarità del [pubblico] servizio può avvenire
esclusivamente:
a) a società di capitali individuate attraverso
l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali
il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di
gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato
garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in
materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate
dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o
circolari specifiche;
c) a società a capitale interamente pubblico a condizione
che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale
esercitino sulla società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la
parte più importante della propria attività con l'ente o gli
enti pubblici che la controllano".
Nella caso di specie la ricorrente, essendo una società di
persone, non rientrava in alcuna delle tre ipotesi previste
dal richiamato comma 5, lett. a), dell'art. 113 del d.lgs.
n. 267 del 2000 e, conseguentemente non avrebbe potuto
essere ammessa alla gara (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.01.2007 n. 4
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APPALTI:
Carenza di interesse alla decisione del ricorso -
Dichiarazione d’ufficio - Presupposti.
La carenza di interesse alla decisione del ricorso, proposto
contro l’atto di aggiudicazione di una gara di appalto, può
essere dichiarata d’ufficio quando il ricorrente non
potrebbe, comunque, risultare aggiudicatario dell’appalto,
anche nel caso di annullamento degli atti di gara (cfr.
Cons. St., sez. V, 15.04.2004, n. 2138; Cons. St., sez. VI,
30.05.2003, n. 2994; Cons. St., sez. V, 25.01.2003, n. 355;
Cons. St., sez. IV, 11.12.1998, n. 1629; Cons. St., sez. VI,
07.07.1995, n. 661).
Impresa priva di requisito - Esclusione - Clausole del
bando - Requisiti finanziari e professionali - Par condicio
tra i concorrenti.
Deve essere esclusa dalla selezione l’impresa priva
del requisito, relativo al “possesso dei requisiti
finanziari e professionali necessari per potere essere
ammessa alla fase concorrenziale di attribuzione dei
punteggi”, requisito richiesto dal bando a pena di
esclusione (Cons. St., sez. IV, 12.06.2003, n. 3310).
La P.A. è, vincolata a dare attuazione alle clausole del
bando, né nella specie poteva venire, comunque, in
considerazione la possibilità di una successiva integrazione
della dichiarazione, stanti, appunto, la dichiarazione resa
dalla impresa e la previsione del bando a pena di
esclusione.
Assenza dei requisiti di partecipazione - Soggetto
legittimamente escluso - Interesse all’impugnazione -
Annullamento degli atti di gara - Esclusione.
In materia di appalti, il soggetto legittimamente escluso o
non ammesso ad una pubblica gara per l’assenza dei requisiti
di partecipazione, non ha interesse all’impugnazione, in
quanto non ha interesse a contestare l’aggiudicazione, non
potendo trarre alcun vantaggio o beneficio dall’annullamento
degli atti di gara e, pertanto, dedurre vizi attinenti la
posizione dell’aggiudicatario (cfr. Cons. St., sez. VI;
10.10.2002, n. 5442; Cons. St., sez. V, 21.06.2002, n. 3391;
Cons. St., sez. V, 17.04.2002, n. 2017; Cons. St., sez. V,
n. 3166/2005) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 16
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EDILIZIA
PRIVATA: Beni
culturali e ambientali - Acqua - Tutela paesaggistica dei
torrenti - Fascia di 150 m - Verifica di compatibilità
dell'opera - Necessità - Art. 142, n. 1 codice dei beni
culturali e del paesaggio.
Nell’ambito della tutela paesaggistica, l’assoggettamento
alle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e
del paesaggio dei torrenti "per una fascia di 150 mt.",
di cui all'articolo 142, n. 1, del medesimo non implica l’inedificabilità
assoluta, ma solo l'assoggettamento dell'intervento alla
verifica di compatibilità dell'opera in relazione alla
tutela del paesaggio (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 13
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EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Rotatorie
- Nozione - Soluzione per inconvenienti di visibilità e
intersezioni stradale - Assimilazioni in via analogica agli
incroci - Art. 24 c.d.s. D.L.vo n. 285/1992 e art. 60 reg.
att..
Le rotatorie costituiscono una soluzione tecnica per ovviare
proprio agli inconvenienti dalle intersezioni stradali e da
quelle condizioni che ostacolano la visibilità da parte
degli utenti della strada.
Tale diversa natura, pertanto, impedisce che, ai fini
dell’applicazione delle regole sulla costruzione e sicurezza
delle strade, le rotatorie vengano assimilate, in via di
applicazione analogica, agli incroci (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 13
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LAVORI PUBBLICI:
Partecipanti alla gara - Errore da fatto imputabile
alla stazione appaltante - Condizione del bando o del
disciplinare di gara - Processo di eterointegrazione -
Attestazione SOA - Fattispecie - Lavori di urbanizzazione
primaria - Art. 30 L. n. 109/1994.
In materia di appalti è illegittima l’esclusione quando
l’errore in cui incorrono alcuni partecipanti alla gara non
deriva da incuria dei medesimi ma da fatto imputabile alla
stazione appaltante che non ha indicato quest’ultima
condizione nel bando o nel disciplinare di gara.
Nella specie, l’onere che grava sulla stazione appaltante di
indicare con chiarezza i termini e le condizione per la
partecipazione alla gara non consente di pervenire ad una
interpretazione del bando secondo la quale l’omissione
sarebbe colmata, mediante un processo di eterointegrazione,
con rinvio alla norma di legge (art. 30 della legge n. 109
del 1994) che circoscrive la facoltà di rilascio di
cauzioni, nell’ambito delle procedure di affidamento di
lavori pubblici, ai soli intermediari finanziari
autorizzati.
L’omissione, semmai, rende illegittimo il bando di gara per
violazione di una norma imperativa di legge. Ed è appunto a
tale illegittimità che l’Amministrazione intimata ha inteso
rimediare con un atto che, sia pur sotto la veste formale
della richiesta di integrazione documentale, in realtà ha la
sostanza di un atto di annullamento d’ufficio, che ha
investito solo parzialmente gli atti di gara, cui, nel
rispetto dei principi di economia procedimentale e di
conservazione dei valori giuridici, è seguito l’invito a
produrre la documentazione inizialmente non richiesta.
Fattispecie: aggiudicazione della gara per la realizzazione
dei lavori di urbanizzazione primaria (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 12
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APPALTI:
Sulla facoltà della stazione appaltante di richiedere
una integrazione documentale ai partecipanti alla gara non
in regola.
L'Amministrazione può invitare le imprese con la
documentazione non in regola (nel caso di specie, una
polizza fideiussoria), a produrre una nuova e diversa
cauzione, nel caso in cui l'omissione dei partecipanti alla
gara ( presentazione di cauzione rilasciata da un
intermediario finanziario iscritto nell'elenco speciale di
cui all'art. 107 del d.lgs. 01.09.1993, n. 385, ma non
autorizzato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze) non
è dovuta da incuria dei medesimi ma da fatto imputabile alla
stazione appaltante che non aveva indicato quest'ultima
condizione nel bando o nel disciplinare di gara.
Peraltro, l'onere che grava sulla stazione appaltante di
indicare con chiarezza i termini e le condizione per la
partecipazione alla gara non consente di pervenire ad una
interpretazione del bando secondo la quale l'omissione
sarebbe colmata, mediante un processo di eterointegrazione,
con rinvio alla norma di legge (art. 30 della legge n. 109
del 1994) che circoscrive la facoltà di rilascio di
cauzioni, nell'ambito delle procedure di affidamento di
lavori pubblici, ai soli intermediari finanziari
autorizzati.
L'omissione, semmai, rende illegittimo il bando di gara per
violazione di una norma imperativa di legge (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza
08.01.2007 n. 12
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EDILIZIA
PRIVATA: Marciapiede
- Vicolo chiuso - Nuovo assetto viario - Distanza -
Eliminazione dei marciapiedi - Illegittimità - Parte
integrante della strada - Pertinenza d’esercizio - Proprietà
- Art. 24 D. L.vo 1992 n. 285 - Fattispecie.
Il marciapiede è una pertinenza d’esercizio della strada
(articolo 24 del codice della strada emanato con decreto
legislativo 30.04.1992 n. 285), che ne costituisce parte
integrante.
Nella specie, l’apertura al transito di un vicolo chiuso
realizza senz’altro, ai fini dell’applicazione della norma
di piano regolatore sulla larghezza delle nuove strade, un
nuovo assetto viario. Nel merito, è stata ritenuta
palesemente irrazionale ed illegittima la scelta, di aprire
al traffico un vicolo chiuso a prezzo dell’eliminazione dei
marciapiedi e con la carreggiata rasente alle case.
Marciapiede - Parte integrante della strada -
Pertinenza d’esercizio - Proprietà - Ente proprietario della
strada - Art. 24 C.d.S..
Il marciapiede costituisce parte integrante della strada ed
è una pertinenza d’esercizio (articolo 24 del codice della
strada emanato con decreto legislativo 30.04.1992 n. 285),
che pertanto si presume di proprietà dell’ente proprietario
della strada (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 7
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APPALTI SERVIZI:
Sull'illegittimità di un affidamento in house del
servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti
solidi urbani ad una spa intercomunale per la mancanza del
requisito del controllo analogo.
E' illegittimo l'affidamento in house del servizio di
raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani
ad una spa intercomunale per violazione dell'articolo 113,
c. 5, alinea "c" del tuel emanato con d.lvo 18.08.2000 n.
267, perché la suddetta spa non era una società sulla quale
il comune esercita il "controllo analogo", previsto
dalla disposizione di legge come una delle condizione per
poterle affidare, senza gara, il servizio pubblico.
Lo statuto è quello di una normale società per azioni, nella
quale i poteri appartengono agli organi sociali, e non è
previsto nessun raccordo tra gli enti pubblici territoriali
e la costituzione degli anzidetti organi: il presidente del
Consiglio d'amministrazione e il direttore sono eletti dal
Consiglio d'amministrazione, il quale a sua volta è nominato
dall'assemblea senza vincoli di provenienza o di proposta, e
la stessa assemblea è composta "dai soci" senza
ulteriori specificazioni; del collegio sindacale è previsto
solo che si compone di tre sindaci elettivi e due supplenti,
che durano in carica tre anni e sono rieleggibili.
Gli enti pubblici soci, non sono neppur menzionati, e anzi
una disposizione stabilisce che "Il Consiglio di
Amministrazione è investito dei più ampi poteri per la
gestione ordinaria e straordinaria della società ed ha
facoltà di compiere tutti gli atti che ritenga opportuni per
l'attuazione ed il raggiungimento degli scopi sociali, fatta
eccezione soltanto per gli atti che a norma di legge e del
presente statuto sono di competenza dell'Assemblea"
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 5
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PUBBLICO
IMPIEGO: Concorsi
pubblici: non occorre verbalizzare le risposte fornite nelle
prove orali.
La Commissione
esaminatrice, anche alla luce dell’art. 3 della legge
07.08.1990, n. 241, che prevede un obbligo di motivazione in
occasione della valutazione dei pubblici concorsi, non è
tenuta a trascrivere le risposte fornite dai candidati nelle
prove orali, essendo sufficiente la verbalizzazione della
concreta modalità di espletamento della prova, che può
essere assolta anche con la semplice annotazione delle
domande formulate al candidato
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 03.01.2007 n. 14
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EDILIZIA
PRIVATA:
Abusi edilizi - Condono - Rilascio della concessione
in sanatoria - Non pregiudica i diritti dei terzi - Rilascio
della concessione in presenza di una sentenza passata in
giudicato che ordina la demolizione – Carattere eccezionale
- Sentenza emessa in favore di terzi i cui diritti siano
stati violati - Non consente il rilascio della concessione
in sanatoria - Osservanza distanze legali tra le costruzioni
– Necessità.
Il condono di un’opera eseguita abusivamente, o comunque in
modo contrario alle norme urbanistiche, non fa sorgere alcun
diritto nei confronti dei terzi in colui che ha ottenuto
detto condono; pertanto, se l'opera è contraria a norme
urbanistiche e lede diritti soggettivi di terzi, questi
ultimi ben possono farli valere giudizialmente. Tale
interpretazione trova conferma nella modificazione apportata
all’originario testo dell’art. 39 della L. n. 724/1994,
dalla L. n. 662/1996, che ha espressamente previsto che il
rilascio della concessione in sanatoria non pregiudica i
diritti del terzo, né comporta per esso alcuna limitazione.
In caso di opere abusive, l’art. 12-bis D.L. 12 n. 2/1988,
convertito nella L. n. 68/1988, quale disposizione di
interpretazione autentica, costituisce una norma del tutto
singolare rispetto a quanto statuito dall’art. 43 della L.
n. 47/1985, con la conseguenza che, non essendo quest’ultima
applicabile per analogia, in quanto anch’essa norma
eccezionale, non risulta richiamata nell’art. 39 comma 1, L.
n. 724/1994, riferibile esclusivamente alla L. n. 47/1985, e
quindi non può essere invocata per istanze e procedure in
sanatoria presentate esclusivamente ai sensi della L. n.
724/1994.
Il giudicato in materia edilizia, con la quale si accerti la
violazione di norme edilizie (nella fattispecie norme sulle
distanze tra costruzioni), non può essere superato tramite
una domanda di condono quando la sentenza passata in
giudicato costituisca proprio lo strumento di tutela con il
quale i terzi abbiano fatto valere le loro posizioni.
Infatti, l’obbligo di rispettare le distanze legali deve
essere osservato a maggior ragione nel caso di costruzioni
abusive: pertanto, il proprietario del fondo contiguo, leso
dalla violazione delle norme urbanistiche o dalla violazione
delle distanze, ha il diritto di chiedere ed ottenere
l'abbattimento o la riduzione a distanza legale della
costruzione illegittima nonostante sia intervenuto il
condono edilizio (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 30.12.2006 n. 8262
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APPALTI:
Sul requisito della regolarità contributiva ai fini
della partecipazione alle gare.
Il requisito della regolarità contributiva, indispensabile
per la partecipazione alle gare ad evidenza pubblica, può
essere dimostrato dal cd. DURC, oltre che dai dati in
possesso dell'Osservatorio sui LL.PP..
Peraltro, in base a quanto statuito dalla Corte di Giustizia
nella decisione del 09.02.2006 (in cause C-226/04 e
C-228/04), l'inadempimento agli obblighi di contribuzione in
favore dei lavoratori deve essere stato "definitivamente
accertato" in base alle procedure previste dal singolo
Stato membro.
Inoltre, in base al combinato disposto fra l'art. 75 del DPR
n. 554/1999 e l'art. 17 del DPR n. 34/2000 l'inadempimento
deve altresì essere connotato da "gravità", per cui
la semplice menzione nel DURC dell'assenza della regolarità
contributiva non può condurre di per sé all'esclusione
dell'impresa risultata non in regola (anche perché il
documento di che trattasi non specifica nulla a proposito
della definitività dell'accertamento) (TAR Puglia-Lecce,
Sez. II,
sentenza 30.12.2006 n. 6103
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APPALTI
FORNITURE E SERVIZI:
Sull'inapplicabilità della disciplina della revisione
dei prezzi ai contratti della p.a. ad esecuzione periodica
stipulati anteriormente all'entrata in vigore della l. n.
724/1994.
La disciplina della revisione dei prezzi dei contratti delle
amministrazioni pubbliche ad esecuzione periodica o
continuativa introdotta dall'art. 44, c. 4 della l.
23.12.1994, n. 724 (Misure per la razionalizzazione della
finanza pubblica), non si applica ai contratti stipulati
anteriormente all'entrata in vigore della legge.
L'intento del legislatore, con le regole del 1993-1994, è
stato quello, con il divieto di rinnovo tacito dei
contratti, di introdurre un controllo della utilità dei
contratti di durata, in modo che si mantenessero conformi,
nel tempo, ai parametri di spesa di riferimento.
Tanto che la norma in questione venne, appunto,
inizialmente, accompagnata dalla facoltà di recesso della
parte pubblica.
Una siffatta prescrizione in quanto comportante effetti
sfavorevoli per il privato contraente non poteva che essere
operante per i soli contratti da stipulare, nei quali il
medesimo era reso avvertito della possibilità di un
mutamento dei patti originari, ove alla revisione avesse
voluto dar corso (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.12.2006 n. 8069
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EDILIZIA
PRIVATA:
Autorizzazioni paesaggistiche - Annullamento
dell’autorizzazione in sanatoria e del nulla osta
paesaggistico – Mancanza della comunicazione dell’avvio del
procedimento - Illegittimità della procedura.
La violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del
procedimento sancito dagli artt. 7 e 11 della L. n. 241 del
1990 e, nel caso di specie, previsto per l’annullamento
delle autorizzazioni paesaggistiche anche dal D.M.
13.06.1994 n. 495, rende illegittimo l’atto di annullamento
dell’autorizzazione in sanatoria (della Soprintendenza), non
contenendo né la notizia della trasmissione della pratica al
Ministero dei beni e delle attività culturali, né la
ricezione di una richiesta istruttoria ai fini del
controllo.
Il soggetto interessato dal provvedimento di diniego non è
stato messo nella condizione di far valere i propri diritti
di accesso e di partecipazione. L’amministrazione, infatti,
non ha predisposto nessun meccanismo procedurale o atto
equipollente alla formale comunicazione dell’avvio del
procedimento, che potesse consentire all’interessato la
chiara percezione dell’avvio della fase del procedimento di
annullamento del nulla osta paesaggistico (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 27.12.2006 n. 7960
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EDILIZIA
PRIVATA:
Beni culturali e ambientali - Nullaosta paesaggistico
per la realizzazione delle opere di urbanizzazione inerenti
ad un piano di lottizzazione - Motivazione deducibile negli
atti istruttori - Legittimità - Annullamento della
Soprintendenza - Illegittimità.
E' legittimo il rilascio del nulla osta, confortato da
un’adeguata istruttoria idoneamente esternata che rinvia
espressamente agli atti allegati, in cui si rileva
correttamente valutata la compatibilità paesaggistica
dell’intervento, sia rispetto al vincolo precedentemente
imposto e sia in generale.
Beni culturali e ambientali - Opere assentibili in
“quadri naturali di particolare bellezza” - Limiti - Vincolo
paesistico - Permanente immobilità del paesaggio -
Esclusione - Teoria dello sviluppo controllato del
territorio - Codice in materia di beni culturali e
paesaggistici.
In materia di tutela paesistica, sono assentibili le opere
che non interdicono con “quadri naturali di particolare
bellezza” che hanno giustificato l’imposizione del
vincolo paesistico di cui al D.M. del 1967.
In tale quadro si inserisce il potere ministeriale di cui
alla legge n. 431 del 1985 (ora abrogata e penetrata nel
nuovo codice in materia di beni culturali e paesaggistici),
che l’ordinamento ha voluto porre ad estrema tutela e difesa
dei vincoli paesaggistici, nonostante i valori paesaggistici
fossero stati valutati nel procedimento di autorizzazione
regionale.
Inoltre, nel caso in specie, sia i diversi provvedimenti di
rilascio dei nullaosta per le opere realizzate nella zona
vincolata, sia l’approvazione regionale del piano di
lottizzazione integrano non solo l’originario provvedimento
di vincolo, ma individuano, nell’ambito della cornice così
delineata, quali sono le compatibilità per le ulteriori
trasformazioni e per le ulteriori opere.
Questo è conforme al sistema della legge che in materia di
tutela del paesaggio non è ispirato ad una permanente
immobilità, quanto all’idea di favorire uno sviluppo
controllato del territorio (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.12.2006 n. 7945
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EDILIZIA PRIVATA:
Strada - Servitù di passaggio -
Presupposti - Limiti - Dicatio ad patriam -
Fattispecie.
Affinché una strada possa ricondursi fra
quelle gravate da servitù anche di solo
passaggio, è necessario che l’uso risponda
alla necessità o alla utilità di una
collettività di persone (C.d.S. Sezione V,
28.01.1998, n. 102).
Nella specie, il carattere “interno”
dell’area esclude il presupposto in esame
facendo concludere per una utilità limitata
ai soli proprietari frontisti (quando l’uso
avvenga in favore di soggetti considerati
uti singuli, e non uti cives, non
può darsi uso pubblico di passaggio né per
usucapione di servitù, né per dicatio ad
patriam: Cass. 21.05.2001, n. 6924;
13.02.2006, n. 3075) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 18.12.2006 n. 7601 -
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APPALTI:
La commissione di gara non deve motivare le ragioni
del punteggio numerico attribuito.
Il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
come disciplinato dalla normativa comunitaria e nazionale,
non presuppone inderogabilmente una puntualizzazione dei
criteri di valutazione delle offerte a tal punto dettagliati
da predeterminare in maniera rigida e stringente il giudizio
sulle singole voci, quasi a trasformarsi, anche con
riferimento alla valutazione del merito tecnico, in un
criterio automatico di selezione.
Il fatto che i criteri di valutazione siano stabiliti in
maniera più o meno dettagliata non può avere alcuna
interferenza con la modalità dell'espressione della
motivazione, dato che il valore dei punteggi numerici non
può variare a seconda della maggiore o minore specificità
dei criteri di selezione adottati.
Ne consegue che la commissione di gara non deve motivare le
ragioni del punteggio numerico attribuito (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 18.12.2006 n. 7578
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EDILIZIA
PRIVATA:
Beni culturali e ambientali - Tutela dei beni
vincolati - Natura del reato - Art. 181, comma l, del D.Lgs.
n. 42/2004 - Art. 161 D.Lgs. n. 490/1999.
In materia di tutela dei beni culturali e ambientali, il
reato di cui all’art. 161 D.Lgs. n. 490/1999 (attualmente
art. 181, comma l, del D.Lgs. n. 42/2004) non è un "reato
proprio” e non ha come destinatari soltanto i
proprietari del bene vincolato ed i soggetti a questi
equiparati, ovvero i committenti di "lavori di qualsiasi
genere su beni paesaggistici".
Esso può essere anche commesso, invece, da qualsiasi altro
soggetto che, pur non essendo titolare di poteri o facoltà
sul bene protetto, può di fatto, con il proprio
comportamento, modificare la condizione materiale o
giuridica dello stesso nel senso vietato dalla norma.
Questa, infatti, è rivolta a "chiunque" trasgredisca
le disposizioni poste a tutela degli immobili vincolati e,
quindi, anche al terzo che non si ponga in rapporto
qualificato (sia pure di mero possesso) con la cosa.
Beni culturali e ambientali - Condono Edilizio -
Presupposti inesistenti - Sanatoria - Sospensione del
procedimento penale - Esclusione - Art. 101 del D.P.R. n.
380/2001 (già art. 26 L. n. 64/1974).
Quando non sussistano i presupposti del condono edilizio,
non solo non può essere applicata la sanatoria ma neppure
può ritenersi la sospensione del procedimento penale (con le
ovvie conseguenze con riguardo alla prescrizione del reato)
e ciò indipendentemente dal fatto che il giudice abbia
disposto o negato la sospensione del procedimento dovendosi
nel primo caso ritenere la sospensione inesistente (Ric.
Sadini. Corte di Cassazione Sezioni Unite 24.11.1999,
sentenza n. 22) (Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.12.2006 n. 40434
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APPALTI: L’esclusione
negli appalti pubblici per errore grave.
La normativa avente ad
oggetto l’errore grave ha la finalità di voler assicurare
all’amministrazione appaltante garanzie sulla piena
affidabilità dell’impresa.
La sentenza in commento rileva che tale profilo deve essere
accertato in maniera particolarmente rigorosa tramite un
giudizio complessivo che valuti l’affidabilità e la capacità
tecnica dell’impresa.
Tale giudizio deve essere validamente motivato, poiché la
partecipazione alle gare rientra tra le fattispecie inerenti
a diritti garantiti la cui compressione può avvenire
solamente limitando la discrezionalità dell’amministrazione,
conseguentemente per tale ragione è richiesta una
motivazione adeguata ed appropriata ... (TAR
Lazio-Roma, Sez. I-ter,
sentenza 12.12.2006 n. 14212
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APPALTI:
Ha valenza di vizio procedimentale insanabile
l'apertura delle buste contenenti la offerta tecnica prima
della fissazione dei criteri di valutazione.
Ha valenza di vizio procedimentale insanabile (anche a
prescindere dall'esame delle ricadute concrete
sull'attribuzione del punteggio alle ditte offerenti, salva
la prova della resistenza) la interversione delle operazioni
di apertura delle buste contenenti la offerta tecnica
rispetto alla fissazione dei criteri o subcriteri valutativi
da parte dell'Organo tecnico chiamato ad elaborarli.
In tale evenienza, infatti, è fin troppo evidente che nella
formulazione dei criteri valutativi i membri del Seggio di
gara possono essere influenzati dalla conoscenza previa
delle effettiva consistenza delle offerte delle ditte, sì da
orientare la selezione e la stessa graduazione dei
subcriteri tra i partecipanti in funzione della differente
modulazione di ciascuna offerta, in modo da condizionare
l'esito della gara (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 11.12.2006 n. 5845
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APPALTI:
Sull'avvalimento negli appalti pubblici: allegazioni
necessarie in sede di gara.
Negli appalti pubblici, al fine di dimostrare il requisito
richiesto in sede di gara, è possibile l'avvalimento
soltanto qualora l'impresa alleghi le dichiarazioni previste
dalle disposizioni di cui alla direttiva CE-18/2004 e alla
Direttiva CE-17/2004.
In ogni caso, in un appalto di fornitura l'avvalimento
avrebbe ragione di essere nei confronti di una ditta
ausiliaria che abbia svolto in passato attività di fornitura
(e non di intermediazione fra produttore e utilizzatore
finale) non nei confronti di una ditta ausiliaria
produttrice (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 11.12.2006 n. 5841
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PUBBLICO
IMPIEGO: Mobilità
tra pubbliche amministrazioni e trattamento economico
accessorio.
Il trattamento economico
accessorio, avente carattere precario ed accidentale e non
connotato dal carattere di fissità e continuità, non può
essere mantenuto nel passaggio in mobilità tra pubbliche
amministrazioni (Consiglio
di Stato, adunanza plenaria,
decisione 11.12.2006 n. 14
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EDILIZIA
PRIVATA:
Esecuzione ordine di demolizione e sanatoria -
Procedura di sanatoria e rilascio della concessione - Revoca
in sede esecutiva - Giudice dell’esecuzione - Controllo
della legittimità dell’atto concessorio - Necessità -
Requisiti di forma e di sostanza - Verifica. Art. 7, L. n.
47/1985.
In materia di abusivismo edilizio e relativa sanatoria,
l’esecutività dell’ordine di ripristino adottato ai sensi
dell’art. 7, ultimo comma, della legge 28.02.1985, n. 47, e
la vincolatività del relativo comando imposto al soggetto
destinatario vengono meno una volta che sia stata definita
la procedura di sanatoria con il rilascio della concessione,
la quale, comportando la regolarizzazione dal punto di vista
amministrativo dell’opera abusiva, rende incompatibile la
sopravvivenza della misura sanzionatoria e ne giustifica la
revoca in sede esecutiva.
Tuttavia, tale revoca non è, automatica giacché, prima di
disporla, il giudice dell’esecuzione è tenuto a controllare
la legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice
profilo della sussistenza dei presupposti per la sua
emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti
dalla legge per il corretto esercizio del potere di
rilascio.
Domanda di condono - Soggetto legittimato alla
proposizione della domanda - Limiti ex Art. 39, L. 724/1994
- Concedibilità della sanatoria - Considerazione delle
singole parti dell’edificio in luogo dell’intero complesso
edificatorio - Esclusione.
Ai fini della individuazione dei limiti stabiliti dall’art.
39 della legge 23.12.1994, n. 724, per la concedibilità
della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso
unitario che fa capo ad unico soggetto legittimato alla
proposizione della domanda di condono, con la conseguenza
che le eventuali singole istanze presentate in relazione
alle singole unità che compongono tale edificio devono
riferirsi ad un’unica concessione in sanatoria, che riguarda
l’edificio nella sua totalità, e ciò in quanto la ratio
della norma è di non consentire l’elusione del limite legale
(750 mc.) di consistenza dell’opera per la concedibilità
della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole
parti in luogo dell’intero complesso edificatorio (cfr.
Cass. Sez. III, 26.04.1999, La Mantia, m. 214.280; Sez. III,
19.04.2005, Merra, m. 231.643).
Domanda di sanatoria - Principio della considerazione
unitaria dell'opera - Concetto normativo di ultimazione ai
fini della sanatoria.
Il principio della considerazione unitaria dell'opera cui si
riferisce la sanatoria, al quale si uniforma la disciplina
dettata sotto il profilo soggettivo dall’art. 39 legge
23.12.1994, n. 724 in relazione all’art. 38, comma 2, ultima
parte, e 5, legge 28.02.1985, n. 47, si trova già affermato,
sotto il profilo oggettivo, nell’art. 31, comma 2, della
stessa legge 28.02.1985, n. 47, laddove si fa riferimento ai
concetti paralleli di esecuzione del rustico e di
completamento della copertura per gli edifici destinati alla
residenza (vale a dire, ad abitazione) e di completamento
funzionale per le opere interne agli edifici suddetti, già
esistenti, e per quelle non destinate alla residenza per
escludere la possibilità di scindere l'edificio negli
elementi che lo compongono (rispettivamente, piani,
appartamenti e singole opere nell’ambito di un complesso
funzionale in corso di realizzazione) in rapporto al
concetto normativo di ultimazione ai fini della sanatoria di
singole parti dell’immobile completate entro il termine
utile di legge (Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.12.2006 n. 40183
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EDILIZIA
PRIVATA:
Ristrutturazione attuata attraverso demolizione e
ricostruzione - Manufatto nuovo e diverso rispetto al
precedente in assenza del prescritto titolo abilitante -
Demolizione delle opere abusive - Difformità totale e
parziale - Art. 10, 1° c. - lett. c), del T.U. n. 380/2001,
mod. dal D.Lgs. n. 301/2002.
La difformità totale si verifica, allorché si costruisca «aliud
pro alio e ciò è riscontrabile allorché i lavori
eseguiti portino alla realizzazione di opere non rientranti
tra quelle consentite, che presentino, nel rapporto
proporzionale, una difformità quantitativa tale da
acquistare una sostanziale autonomia rispetto ad esse.
Mentre, la difformità parziale si riferisce, ad ipotesi tra
le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o
di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni
relative a parti accessorie che non abbiano specifica
rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione
autonoma.
Opere eseguite in totale difformità dal titolo
abilitante - Art. 31 del T.U. n. 380/2001 - L. n. 47/1985.
A norma dell’art. 31 del T.U. n. 380/2001 (e già dell’art. 7
della legge n. 47/1985), devono ritenersi eseguite in totale
difformità dal titolo abilitante quelle opere “che
comportano la realizzazione di un organismo edilizio
integralmente diverso per caratteristiche tipologiche,
planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del
permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre
i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un
organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza
ed autonomamente utilizzabile”.
Ristrutturazioni edilizie - Denunzia di inizio
attività - Variazione del carico urbanistico - Esclusione -
Edificio esistente - Interventi di ristrutturazione edilizia
che comportino integrazioni funzionali o strutturali -
Modifiche del volume - Permesso di costruire.
Le ristrutturazioni edilizie di portata minore, sono sempre
realizzabili previa mera denunzia di inizio attività, cioè
quelle, che determinano una semplice modifica dell’ordine in
cui sono disposte le diverse parti che compongono la
costruzione, in modo che, pur risultando complessivamente
innovata, questa conserva la sua iniziale consistenza
urbanistica (diverse da quelle, descritte dall’art. 10, 1°
comma - lett. c), che comportano invece una variazione del
carico urbanistico).
Inoltre, sono realizzabili, in seguito a permesso di
costruire ovvero (a scelta dell‘interessato) previa mera
denunzia di inizio attività interventi di ristrutturazione
edilizia che comportino integrazioni funzionali o
strutturali dell’edificio esistente, pure con incrementi
limitati di superficie e di volume. Pertanto, le «modifiche
del volume” previste dall’art. 10 possono consistere, in
diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ed in
incrementi volumetrici modesti (tali da non configurare
apprezzabili aumenti di volumetria) poiché, qualora si
ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento
dell’edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra “ristrutturazione
edilizia» e "nuova Costruzione”.
Nozione di "ristrutturazione edilizia" - Fattispecie.
L’art. 3, 1° comma, lett. d), del TU. a 380/2001, come
modificato dal D.Lgs. a 301/2002, ha esteso, la nozione di "ristrutturazione
edilizia" ricomprendendovi pure gli interventi
ricostruttivi “consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello
preesistente fatte salve le sole innovazioni necessarie per
l’adeguamento alla normativa antisismica”.
Volumetria e sagoma, debbono rimanere identiche nei casi di
ristrutturazione attuata attraverso demolizione e
ricostruzione mentre non si pongono come limiti per gli
interventi di ristrutturazione che non comportino la previa
demolizione. Nella specie, il risultato finale dell’attività
demolitoria-ricostruttiva non coincideva nella volumetria e
nella sagoma con l’edificio precedente (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 06.12.2006 n. 40173
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti – Bonifiche - Siti inquinati - Ordinanza
ingiunzione ex art. 14, D.Lgs. n. 22/1997 – Competenza del
Dirigente – Obbligo dell’Amministrazione di dar conto della
reale sussistenza della colpa in capo al soggetto
corresponsabile dell’illecito - Ordinanza ingiunzione nei
confronti del proprietario del terreno per colpevole omessa
vigilanza in pendenza del contratto di affitto –
Illegittimità per carenza di motivazione.
In ordine all’emissione dell'ordinanza con la quale
l'amministrazione comunale ingiunge di provvedere alla
bonifica di un sito inquinato sussiste la competenza del
Dirigente, e non del Sindaco, in applicazione dei poteri di
cui all'art. 14, D.Lgs. n. 22/1997, poiché tale norma va
coordinata con le successive disposizioni sul riparto di
competenze tra organi di indirizzo politico e organi
burocratici, e in particolare con l’art. 107, commi 2 e 5,
del D.Lgs. n. 267/2000.
In tema di ingiunzione a provvedere alla bonifica di un sito
inquinato, spetta in ogni caso all’Amministrazione dare
adeguato conto della reale sussistenza della colpa in capo
al soggetto che si assume corresponsabile dell’illecito,
evidenziandone gli aspetti in tal senso significativi.
Ne consegue che è illegittima l’ordinanza ingiunzione emessa
nei confronti del proprietario di un terreno, per colpevole
omessa vigilanza in ordine a quanto avvenuto su di esso, in
pendenza di un contratto di affitto, laddove resta
indeterminato come il locatore –ove anche a conoscenza della
reale natura delle operazioni ivi compiute– potesse
concretamente intervenire sulle modalità di esercizio
dell’attività o comunque impedirne la prosecuzione (TAR
Emilia Romagna-Parma,
sentenza 06.12.2006 n. 587
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria - Inquinamento acustico - Ordinanza di
contenimento e riduzione delle emissioni sonore - Natura -
Provvedimento contingibile e urgente - Art. 9 L. 447/1995 -
Competenza del Sindaco – Ammissibilità dell’ordinanza nei
casi in cui il rumore minacci la salute pubblica - Criterio
dei valori limite differenziali di immissione - Operatività
anche nei Comuni privi della “zonizzazione acustica”.
Le ordinanze con le quali viene esercitato il potere di
disporre temporaneamente speciali forme di contenimento e
riduzione delle emissioni sonore inquinanti hanno natura di
provvedimenti contingibili e urgenti, sia per l’ontologica
temporaneità delle misure adottabili, sia per il carattere
innominato ed atipico delle misure stesse, e sono riservate
alla competenza del Sindaco, nei casi di inquinamento
acustico che riguardano aree ricadenti nel territorio
comunale.
L’art. 9 primo comma della legge quadro sull’inquinamento
acustico n. 447 del 1995 non può essere riduttivamente
inteso come una mera riproduzione del generale potere di
ordinanza contingibile ed urgente tradizionalmente
riconosciuto dal nostro ordinamento giuridico al Sindaco in
materia di sanità ed igiene pubblica.
L’utilizzo del particolare potere di ordinanza contingibile
ed urgente è consentito allorquando, secondo gli appositi
accertamenti tecnici effettuati, sussista una minaccia per
la salute pubblica, non presupponendo necessariamente che la
situazione di pericolo coinvolga l’intera collettività,
bensì anche laddove sia in discussione la salute di una
singola famiglia o di una sola persona.
Il criterio dei valori limite differenziali di immissione è
pienamente operativo anche nei Comuni privi della “zonizzazione
acustica”, in perfetta rispondenza allo spirito della
vigente normativa in tema di inquinamento acustico, oltre
che ai principi costituzionali ed alla ragionevolezza (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza
04.12.2006 n. 5639
- link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Strada
vicinale: circostanze e requisiti per
l’attribuzione del carattere pubblico.
La
iscrizione di una strada vicinale
nell’elenco delle strade di uso pubblico del
Comune comporta una presunzione di
pubblicità della strada stessa che può
essere superata solo con l’accertamento in
sede giudiziaria civile della sua natura
privata.
In primo luogo si deve precisare che
l’utilizzo della strada sia per il transito
pedonale che con mezzi a motore, anche se si
ritiene che sia necessario percorrerla con
fuoristrada o con mezzi agricoli, non
esclude la transitabilità e anche se la
strada, ove sottoposta ad idonei interventi
di manutenzione, potrebbe consentire il suo
utilizzo anche con autoveicoli ordinari.
In secondo luogo, la strada vicinale
consente un collegamento più breve, anche se
al momento come si è detto non agevole ma
pur sempre alternativo.
La circostanza che alcuni appezzamenti di
terreno di proprietà di terzi siano
raggiungibili con la vicinale depone
ulteriormente per il suo carattere pubblico
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 01.12.2006 n. 7081
- link a www.altalex.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Acque – Scarichi - Reflui depurati - Autorizzazione –
Ammissibilità di metodologie finalizzate alla prevenzione
del rischio ambientale - Prescrizione che imponga la
sospensione dell’attività per il caso di mancato
funzionamento degli strumenti di controllo - Illegittimità
-Sospensione dell'autorizzazione - Preventiva diffida al
titolare dello scarico - Necessità.
Le prescrizioni contenute nell’autorizzazione allo scarico
dei reflui depurati rientrano nell’esercizio del potere
tecnico discrezionale dell’Amministrazione, che può essere
oggetto di sindacato giurisdizionale solo sotto il profilo
dell’erroneità, illogicità o contraddittorietà manifesta. Le
condizioni e le prescrizioni in linea con le finalità
perseguite dal D.Lgs. n. 152/1999 (ora D.Lgs. n. 152/2006),
che richiedano l’attivazione di metodologie finalizzate alla
prevenzione del rischio ambientale, di fronte alla
potenziale pericolosità dei reflui della produzione
industriale dell’azienda interessata, sfuggono ai vizi
sopraindicati.
Il pericolo di danno all’ambiente e alla salute non è
correlato alle avarie degli strumenti e delle
apparecchiature di controllo, bensì al funzionamento
dell’impianto di depurazione, in ordine al quale
l’Amministrazione può effettuare i relativi controlli.
E’ pertanto illegittima la prescrizione che imponga la
sospensione dell’attività industriale nel caso di mancato
funzionamento degli strumenti e delle apparecchiature di
controllo dei reflui.
È illegittimo il provvedimento di sospensione del rinnovo
dell’autorizzazione allo scarico adottato dal Comune in
difetto di una preventiva diffida ad eliminare le
irregolarità riscontrate, in quanto essa è esplicitamente
richiesta dall’art. 51 del D.Lgs. n. 152/1999 (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 01.12.2006 n. 3254
- link a
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VARI:
La vendita del fondo comporta anche il trasferimento
dell’edificio ivi presente.
La compravendita di un
terreno su cui insistano delle costruzioni comporta, per il
principio della accessione, il trasferimento anche dei
suddetti immobili, anche se non espressamente menzionati
nell’atto, salvo che il venditore, contestualmente alla
cessione o meno, non costituisca su di essi un diritto di
superficie a favore proprio o di terzi
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 24.11.2006 n. 24679
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EDILIZIA
PRIVATA:
Accertamento di conformità: legittimazione a proporre
istanza.
Ai sensi dell’art. 13
della legge n. 47/1985, la dichiarazione di conformità
disciplinata dalla norma e della cui applicazione è stata
fatta questione nella specie prevede che la sanatoria ivi
disciplinata sia accordata al "responsabile dell’abuso".
La norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall’art.
4 della legge n. 10 del 1977 (invocato dai primi giudici)
non trova applicazione solo in presenza di una domanda
avanzata dal proprietario o da altro titolare di diritto
reale in quanto l’abuso sia al medesimo ascrivibile, ma
anche in presenza della domanda avanzata da colui che,
dell’abuso, è comunque responsabile in quanto, sanato
l’abuso, non potrebbe essere più chiamato a rispondere sul
piano sanzionatorio penale e/o amministrativo.
Responsabile dell’abuso può essere non solo il proprietario
o altro soggetto che vanti, sull’area, un diritto reale o
obbligatorio, ma anche, ad esempio, il titolare o altro
responsabile dell’impresa realizzatrice dei lavori, come
anche altri soggetti che, in relazione al loro rapporto
privilegiato o comunque qualificato con il bene (in quanto,
ad esempio, legittimi detentori o possessori dello stesso),
possano avere avuto la possibilità di realizzare l’abuso,
così assumendosene la responsabilità
(Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 23.11.2006 n. 6909
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EDILIZIA
PRIVATA:
Accertamento di conformità: legittimazione a proporre
istanza.
Ai sensi dell’art. 13
della legge n. 47/1985, la dichiarazione di conformità
disciplinata dalla norma e della cui applicazione è stata
fatta questione nella specie prevede che la sanatoria ivi
disciplinata sia accordata al "responsabile dell’abuso".
La norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall’art.
4 della legge n. 10 del 1977 (invocato dai primi giudici)
non trova applicazione solo in presenza di una domanda
avanzata dal proprietario o da altro titolare di diritto
reale in quanto l’abuso sia al medesimo ascrivibile, ma
anche in presenza della domanda avanzata da colui che,
dell’abuso, è comunque responsabile in quanto, sanato
l’abuso, non potrebbe essere più chiamato a rispondere sul
piano sanzionatorio penale e/o amministrativo.
Responsabile dell’abuso può essere non solo il proprietario
o altro soggetto che vanti, sull’area, un diritto reale o
obbligatorio, ma anche, ad esempio, il titolare o altro
responsabile dell’impresa realizzatrice dei lavori, come
anche altri soggetti che, in relazione al loro rapporto
privilegiato o comunque qualificato con il bene (in quanto,
ad esempio, legittimi detentori o possessori dello stesso),
possano avere avuto la possibilità di realizzare l’abuso,
così assumendosene la responsabilità
(Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 23.11.2006 n. 6906
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EDILIZIA
PRIVATA: Sui
mutamenti di destinazione d’uso di fabbricati in zona
agricola.
Le particelle
interessate da un intervento di cambiamento dell’uso di una
porzione di immobile su di esse insistente (da residenza
civile ad attività artigianale, gommista) ed inserite in
zona "E1 agricola" (nella quale è prevista la
realizzazione di immobili ad uso di residenza o di servizi
strettamente legati al fondo agricolo) vedono preclusa la
realizzazione di immobili per lo svolgimento di attività
artigianale, per cui la stessa destinazione non può essere
ottenuta in sede di cambio d’uso (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 17.11.2006 n. 2059
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CONSIGLIERI
COMUNALI:
Consigliere comunale non può impugnare gli atti emessi
dall’ente di appartenenza.
Va esclusa la
legittimazione dei consiglieri comunali a impugnare in sede
giurisdizionale un atto emesso da un organo dello stesso
ente al quale appartengono i ricorrenti (Sindaco, Giunta
comunale e Consiglio comunale), a eccezione dei casi in cui
le censure proposte siano rivolte a contestare lesioni della
propria sfera giuridica o della propria posizione
all’interno dell’organo o dell’ente medesimo, ovvero a
contestare la modifica della composizione dell’organo e il
relativo funzionamento ma sempre in relazione a un interesse
connesso alla propria sfera giuridica o alla propria
posizione all’interno dell’organo o dell’ente
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 08.11.2006 n. 3749
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EDILIZIA
PRIVATA:
Concessione edilizia: quali sono i termini per
impugnarla?
In primo luogo, ai fini
della decorrenza del termine per l’impugnazione di una
concessione edilizia occorre la sua piena conoscenza, che si
verifica con la consapevolezza del contenuto specifico della
concessione o del progetto edilizio, ovvero quando la
costruzione realizzata rivela in modo certo ed in equivoco
le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non
conformità della stessa alla disciplina urbanistica.
In secondo luogo, la prova della piena ed effettiva
conoscenza della concessione edilizia può essere desunta
anche da elementi presuntivi, come l’intervenuta ultimazione
dei lavori o almeno quando questi siano giunti ad un punto
tale che non si possa avere più alcun dubbio sulla
consistenza, entità e sulla reale portata dell’intervento
edilizio assentito
In ogni caso, la individuazione della data in cui i terzi
hanno avuto piena conoscenza dell’esistenza delle violazioni
della disciplina urbanistica costituisce oggetto di un
accertamento di fatto da compiersi caso per caso, per cui
può ben ammettersi che la data della piena conoscenza possa
risalire ad un momento anteriore a quello dell’ultimazione
dei lavori, ogni qualvolta, dalle circostanze del caso di
specie, emerga effettivamente una conoscenza anticipata
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.10.2006 n. 6465
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EDILIZIA
PRIVATA:
Mutamento di destinazione con concessione se aumenta
il carico urbanistico.
Trattandosi di lavori di
"ristrutturazione" incidenti sui volumi preesistenti
e sul carico urbanistico, la concessione edilizia era
necessaria, non esistendo nell’ordinamento alcuna norma di "liberalizzazione"
delle opere di "ristrutturazione edilizia".
Del resto -trattandosi nel caso specifico, della
trasformazione di un edificio originariamente destinato a
scopi agricoli e a deposito di acqua in un complesso
commerciale destinato alla vendita all’ingrosso del legname-
non si vede come l’anzidetta attività commerciale di pezzi
ingombranti, trasportabili solo con mezzi pesanti, possa non
incidere sul traffico cittadino (e quindi sul carico
urbanistico) in una zona assai delicata della città, qual è
quella del "centro storico"
(C.G.A., Sez.
Giurisdizionale,
sentenza 27.10.2006 n. 667
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ATTI
AMMINISTRATIVI:
Annullabilità del provvedimento esclusa se il
contenuto non poteva esser diverso.
Ai sensi dell’art.
21-octies della legge n. 241/1990 (modificata dalla legge n.
15/2005), il provvedimento viziato nella forma o nel
procedimento, ovvero per mancato avviso di avvio del
procedimento stesso, che non avrebbe potuto avere contenuto
diverso, non è assoggettato a un regime di invalidità o
irregolarità diverso da quello ordinario, ma è considerato
dalla legge non annullabile
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
decisione 17.10.2006 n. 6194
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CONSIGLIERI
COMUNALI:
Dimissioni dei consiglieri comunali e scioglimento del
consiglio.
Il legislatore ha inteso
prevalentemente garantire che l’atto di dimissioni,
destinato a produrre lo scioglimento, sia sorretto
effettivamente da una volontà tipica, quella, appunto, di
pervenire alla dissoluzione dell’organo rappresentativo, e,
a tal fine ha imposto l’obbligo della contestualità se le
dimissioni sono raccolte in un documento unico, o della
contemporaneità, se sono stati redatti più documenti
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.10.2006 n. 6006
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ENTI LOCALI:
Difensore civico regionale ed intervento sostitutivo.
Un difensore civico
regionale qualora un comune ritardi nella nomina del
difensore civico comunale può legittimamente esercitare il
potere sostitutivo provvedendo esso stesso, dopo aver
assegnato un termine al comune, alla nomina del difensore
civico locale
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.10.2006 n. 5706
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EDILIZIA
PRIVATA:
Beni culturali e ambientali - Vincolo di rimboschimento -
Obbligo di rimboschimento - Assimilazione ai boschi.
L’assimilazione ai boschi dei fondi gravati dall’obbligo di
rimboschimento richiede la sola presenza del provvedimento
amministrativo o della disposizione normativa che abbia
imposto il vincolo di rimboschimento.
E’ da escludersi il concorso apparente di norme e,
conseguentemente, l’applicazione del principio di specialità
tra la violazione paesaggistica di cui all’articolo 181 D.Lv.
42/2004 e il DL 3267/1923 artt. 26 e 54 in tema di vincolo
idrogeologico e tra la medesima violazione penale e la legge
950/1956 art. 1 in materia di polizia forestale.
Beni culturali e ambientali - Vincoli idrogeologici -
Danneggiamento o taglio di piante - Art. 26 D.l. n.
3267/1923 e Art. 181 d.lgs. n. 42/2004 - Finalità di
salvaguardia - Differenza del bene protetto.
L'art. 26 del d.l. 30.12.1923, n. 3267, è dettato a
protezione del vincolo idrogeologico e di altri simili
interessi (difesa dalla caduta di valanghe, sassi, furia dei
venti, oltre che difesa delle condizioni igieniche locali e
difesa militare) e sanziona il fatto di chi danneggi piante
o comunque arrechi altri danni nei boschi vincolati per
scopi idrogeologici o per gli altri scopi indicati e ciò in
violazione delle prescrizioni impartite dalle competenti
autorità.
Mentre, l'art. 163 del d.lgs. 29.10.1999, n. 490 (ora art.
181 d.lgs. 22.01.2004, n. 42), è dettato a tutela degli
interessi paesaggistici ed ambientali, e segnatamente alla
salvaguardia del bosco nel suo valore estetico-ambientale, e
sanziona il fatto di chi esegua lavori di qualsiasi genere
su beni ambientali senza la prescritta autorizzazione o in
difformità di essa, a prescindere dal fatto che arrechi o
meno un danno o un pregiudizio.
Agricoltura - Vincoli idrogeologici - Terreni
rimboschiti - Art. 54 D.l. n. 3267/1923 - Finalità di
salvaguardia - Operazioni di governo boschivo in difformità
del piano di coltura e conservazione approvato - Pascoli -
Sanzioni.
L'art. 54 del d.l. 30.12.1923, n. 3267, persegue la finalità
di salvaguardare il vincolo idrogeologico (o gli altri
interessi indicati) e sanziona proprietario dei terreni
rimboschiti per effetto dello stesso decreto legge che
effettui sugli stessi la coltura agraria o effettui il
pascolo secondo modalità diverse da quelle previste o
comunque compia le operazioni di governo boschivo in
difformità del piano di coltura e conservazione approvato.
Taglio di boschi - Fondi gravati dall'obbligo di
rimboschimento - D.Lgs. n. 227/2001 - Definizione di bosco -
Requisiti minimi - Esclusione - Fattispecie.
La disposizione dell’art. 2, comma 6, del d.lgs. 18.05.2001,
n. 227, riferisce i requisiti «estensione non inferiore a
2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20
metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con
misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti»,
soltanto alle formazioni vegetali ed ai terreni su cui esse
sorgono al fine della loro qualificazione come boschi e non
anche ai fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento, per
la cui assimilazione ai boschi non occorre anche la presenza
dei detti requisiti, essendo sufficiente la presenza del
provvedimento amministrativo o della disposizione normativa
che abbia imposto il vincolo di rimboschimento per una delle
finalità indicate.
Nella specie, appare assolutamente inverosimile ed illogico
il comportamento del proprietario di un terreno che,
avvertito delle distruzione delle piantine di sua proprietà
e pur a conoscenza del vincolo gravante sul terreno, non
sporga immediatamente denuncia all'organo competente al
quale sa bene di dover rendere conto della piantagione.
Taglio di boschi - Terreno sottoposto a vincolo di
rimboschimento - Violazione delle norme di polizia forestale
- L. n. 950/1956 - Art. D.L. n. 3267/1923 - Fattispecie.
L'art. 1 della legge 09.10.1956, n. 950, sanziona la
violazione delle norme di polizia forestale contenute nei
regolamenti di cui all'art. 10 del d.l. 30.12.1923, n. 3267.
Nella specie, è stato ritenuto che sussiste il vincolo
ambientale non perché si tratta di un bosco (in senso
stretto) bensì perché si tratta di terreno sottoposto a
vincolo di rimboschimento.
Ai sensi, dell'art. 146 del d.lgs. 29.10.1999, n. 490 (ora
art. 142 del d.lgs. 22.01.2004, n. 42), alla lett. G),
inserisce tra i beni ambientali tutelati per legge, oltre i
territori coperti da foreste e da boschi, anche quelli
sottoposti a vincolo di rimboschimento.
L'art. 142 del d.lgs. 22.01.2004, n. 42, alla lett. G) che
sono soggetti a tutela ambientale «i territori coperti da
foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal
fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come
definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto
legislativo 18.05.2001, n. 227».
L'art. 2 del d.lgs. 18.05.2001, n. 227, poi, prevede nel
comma 2 che entro dodici mesi le regioni stabiliscano per il
territorio di loro competenza la definizione di bosco (ed in
particolare i valori minimi di larghezza, estensione e
copertura), e nel comma 3 che sono assimilati al bosco, tra
gli altri, «i fondi gravati dall'obbligo di
rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del
territorio, qualità dell'aria, salvaguardia del patrimonio
idrico, conservazione della biodiversità, protezione del
paesaggio e dell'ambiente in generale» (Corte di
cassazione, Sez. III penale,
sentenza
29.09.2006 n. 32542
- link a www.ambientediritto.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
Dimissioni del consigliere comunale e surroga.
L’art. 38, comma
8, del Testo Unico degli Enti Locali (D.lgs. n. 267/2000)
prescrive che le dimissioni dalla carica di consigliere
comunale “sono irrevocabili, non necessitano di presa
d'atto e sono immediatamente efficaci. Il consiglio, entro e
non oltre dieci giorni, deve procedere alla surroga dei
consiglieri dimissionari”
(TAR
Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 29.09.2006 n. 1595
- link a www.altalex.com). |
APPALTI:
Lesività della determina e termine per impugnare
l'aggiudicazione.
Alla seduta in cui è
stata effettuata la aggiudicazione provvisoria era presente
il rappresentante del Consorzio ricorrente e tale
aggiudicazione era stata effettuata fatte salve le
risultanze della verifica di anomalia riguardante le prime
due classificate e non era quindi ancora efficace.
Tale verifica era stata poi completata nella stessa
giornata, con esito positivo per entrambe le concorrenti
classificatesi per prime: non risulta però che quest’ultima
fase della seduta fossero presenti i rappresentanti delle
concorrenti o che le ditte stesse abbiano avuto in seguito
conoscenza della operatività della aggiudicazione
provvisoria.
Oltre tutto avverso la aggiudicazione provvisoria, era stato
proposto reclamo da altra concorrente, sicché in
conclusione, nella specie, l’atto concretamente lesivo
risulta essere la determina, con la quale il Dirigente del
Comune aveva preso atto del verbale della seduta ed aveva
disposto l’aggiudicazione definitiva dell’appalto alla
costituenda ATI
(C.G.A., Sez.
giurisdizionale,
sentenza 21.09.2006 n. 519
- link a www.altalex.com). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Diritto di accesso agli atti del gestore del servizio
pubblico.
Anche nei confronti dei
gestori dei pubblici servizi l’accesso agli atti deve
ritenersi sempre consentito, tranne le eccezioni
tassativamente previste dalla legge, giacché per tutti gli
atti dell’amministrazione sussistono le esigenze della
trasparenza, che agevola il concreto perseguimento dei
valori costituzionali
(Consiglio di Stato, Sez. V,
decisione 19.09.2006 n. 5467
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EDILIZIA
PRIVATA: Pertinenza:
la nozione in diritto urbanistico è più ristretta che nel
diritto comune.
La nozione di pertinenza
dettata dal diritto civile è più ampia di quella che regola
la materia urbanistica, per cui beni che, secondo la
normativa privatistica, assumono senz'altro natura
pertinenziale, non sono tali ai fini dell'applicazione delle
regole che governano l'attività edilizia, perlomeno in tutti
quei casi in cui gli stessi assumano una funzione autonoma
rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio.
Ne consegue che non può ritenersi pertinenza un intervento
edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che
possa essere successivamente utilizzato in modo autonomo e
separato; in ogni caso un'opera pertinenziale è tale
soltanto se sia effettivamente strumentale rispetto
all'opera principale, senza che possa essere utilizzata in
modo diverso dal dominus ed a prescindere dalla destinazione
impressa da quest'ultimo.
In materia di reati edilizi, la nozione di pertinenza
urbanistica, sottratta al regime della concessione edilizia
e assoggettata a quello dell'autorizzazione gratuita, ha
peculiarità proprie e distinte dalla nozione civilistica,
giacché deve avere una propria identità fisica ed una
propria conformazione strutturale ed essere preordinata ad
un'esigenza effettiva dell'edificio principale, al cui
servizio deve essere posta in via funzionale ed oggettiva,
mentre non deve possedere un autonomo valore di mercato, nel
senso che il suo volume non deve consentire una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a servizio
dell'immobile cui accede
(TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 13.09.2006 n. 2029
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VARI: Conducente
responsabile delle lesioni se il trasportato non si allaccia
le cinture.
I giudici di legittimità
nella sentenza in rassegna statuiscono che il conducente di
un autoveicolo ha l’obbligo di controllare se i trasportati
abbiano o meno allacciato le cinture di sicurezza.
In caso affermativo, nulla quaestio. Pertanto, se da
un eventuale sinistro i trasportati subiscono lesioni
personali, il conducente risponderà solo secondo le norme
regolamentatrici della materia, avendo cioè riguardo alle
prescrizioni in merito ad una eventuale o meno
responsabilità del trasportante nella causazione de quo
(Corte
di Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza 12.09.2006 n. 30065
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COMPETENZE
GESTIONALI: Competenza
del Sindaco ad emanare provvedimenti in luogo del dirigente.
E' da escludere che il
sindaco, quale organo di governo al quale spettano, perciò,
poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo,
possa porre in essere atti, quale quello di revoca di un
alloggio popolare, che rientrano nell’ambito della gestione
amministrativa, finanziaria e tecnica
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.08.2006 n. 5073
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PUBBLICO
IMPIEGO: Pubblico
impiego: i presupposti per il pagamento del lavoro
straordinario.
Non ha diritto ad alcun
compenso il pubblico dipendente che effettua lavoro
straordinario in assenza di una preventiva e formale
autorizzazione da parte della pubblica amministrazione,
datrice di lavoro, poiché solo in questo modo è possibile
verificare nel rispetto dell’articolo 97 della Costituzione,
la reale esistenza delle ragioni di pubblico interesse che
rendono opportuno il ricorso a prestazioni lavorative
eccezionali
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.08.2006 n. 5057
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ATTI
AMMINISTRATIVI: Criteri
applicativi delle disposizioni di cui all’art. 21-octies l.
n. 241/1990.
Con la prima parte del
comma 2 dell’art. 21-octies, da ritenere riferibile anche ai
casi di inadempimento dell’obbligo di cui all’art. 7 della
legge n. 241/1990 in quanto "norma sul procedimento",
il legislatore ha sostanzialmente recepito l’orientamento
giurisprudenziale in base al quale sussiste l’obbligo di
comunicazione dell’avvio del procedimento in caso di
attività vincolata.
Il legislatore, quindi, non ha inciso sull’art. 7 della
legge n. 241/1990, esentando dall’obbligo di comunicazione
dell’avvio del procedimento gli atti vincolati e, dunque,
rendendo legittimi gli atti vincolati non preceduti da detta
comunicazione, ma ha semplicemente escluso la possibilità
per il giudice di annullare provvedimenti "vincolati"
nell’ipotesi in cui il contenuto dispositivo "non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato",
rendendo così necessaria una specifica valutazione al
riguardo.
Quanto alla seconda parte del medesimo comma 2, il
legislatore introduce un’ulteriore limitazione all’"annullabilità
del provvedimento" con riferimento specifico alla
mancata comunicazione dell’avvio del procedimento,
escludendola "comunque" per i casi in cui "l’Amministrazione
dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".
In tal modo il legislatore sembra aver fondamentalmente
condiviso il principio dell’utile partecipazione al
procedimento, invertendo, però, l’onere della prova: mentre
in precedenza, secondo un orientamento assunto in ambito
giurisprudenziale, l’interessato doveva far constare
circostanze ed elementi idonei ad un’esatta valutazione
sulla rilevanza del provvedimento adottato ed eventualmente
a far recedere l’Amministrazione dal provvedere, con
l’introduzione dell’art. 21-octies, comma 2, grava
sull’Amministrazione dimostrare che, anche in caso di
partecipazione del privato, non avrebbe potuto adottare un
provvedimento con contenuti diversi da quelli del
provvedimento in concreto adottato
(TAR Lazio-Roma,
Sez. I-quater,
sentenza 01.08.2006 n. 6693
- link a www.altalex.com). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Mobbing:
disegno persecutorio e specifica finalità vessatoria.
La responsabilità del
datore di lavoro per mobbing –invocabile anche in assenza
della violazione di specifiche norme attinenti alla tutela
del lavoratore subordinato– presuppone la prova, ricavabile
anche da una serie di elementi sintomatici, di un
complessivo e perdurante disegno persecutorio e di una
specifica finalità vessatoria, ovvero della volontà, da
parte del datore di lavoro, di emarginare e svilire il
lavoratore
(Tribunale Civitavecchia,
sentenza 20.07.2006
- link a www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA: Limite
alla superficie minima degli alloggi è illegittimo.
La prescrizione di
superficie minima dell’alloggio imposta dal Comune si
risolve, in buona sostanza, in una limitazione dello jus
aedificandi, che potrebbe trovare la propria
giustificazione solo in motivi di ordine igienico e
sanitario che, nel caso di specie, difettano.
Inoltre una tale limitazione inerisce ad un aspetto che non
appare suscettibile di essere disciplinato, oltre certi
limiti, dal potere dell’ente locale, potendo semmai trovare
la propria definizione nella legislazione statale o
regionale, anche al fine di evitare difformità di
regolamentazioni. Nel rispetto della disciplina urbanistico
edilizia rientra nella libertà di iniziativa
costituzionalmente garantita dell’imprenditore, la scelta di
edificare tipologie edilizie per una, due o più persone.
Tale libertà non può essere limitata o compressa ove non
sussistono, come nella specie non sussistono, prevalenti e
pregnanti ragioni di interesse pubblico.
Tali ragioni non possono evidentemente identificarsi in
quelle igienico- sanitarie, che non sono affatto compromesse
da alloggi di 45 mq., o nella esigenza di salvaguardare gli
interessi dei residenti e di evitare uno scompenso del
mercato, come dimostra la disciplina statale e regionale che
ammette superfici inferiori.
Non si può non rilevare che sono le regole del libero
mercato e la domanda di alloggi con superficie inferiore ai
45 mq. a determinare la scelta dell’imprenditore di
realizzare abitazioni adeguate alle necessità sociali degli
acquirenti, mentre un’eventuale inadeguatezza degli alloggi
rispetto alle richieste del mercato, comporta un naturale
squilibrio nell’offerta delle tipologie edilizie (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 08.04.2005 n. 301
- link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: La ratio
che ispira la specifica esenzione del
contributo di costruzione -per gli edifici
unifamigliari- è di derivazione sociale:
l’edificio unifamiliare, nell’accezione
socio economica assunta dalla norma,
coincide con la piccola proprietà
immobiliare, tale da meritare per gli
interventi di ristrutturazione un
trattamento differenziato rispetto alle
altre tipologie edilizie.
Si vogliono incentivare le opere atte ad
adeguare le case unifamiliari alle necessità
abitative del nucleo familiare, senza
estendere l’esenzione ad altre tipologie di
intervento che prescindano dall’entità
strutturale e dalla dimensione spaziale
dell’immobile comparata con il suo valore
economico.
L’intervento edilizio descritto in dettaglio
nella relazione tecnica allegata alla
richiesta di concessione consiste:
nell’accorpamento dei due appartamenti di
cui è composta la villa da ristrutturare;
nell’abbassamento della soletta tra il primo
piano ed il rifacimento del sottotetto con
il recupero abitativo dello stesso; e
nell’allargamento del piano interrato; ed
infine nella modifica del prospetto
posteriore ivi inclusa il sistema
distributivo al piano terra con la
realizzazione di uno studio professionale.
E’ indiscusso pertanto che la villa
originariamente a due piani, divisa in due
distinti appartamenti, dopo l’intervento di
ristrutturazione è stata ricondotta ad
un’unica unità immobiliare.
Per tale tipologia di intervento di
ristrutturazione non trova applicazione
l’esenzione dai contributi di urbanizzazione
prevista dall’ art. 9, lett. d), l. n.
10/1977.
Mette conto infatti rilevare che la norma
espressamente subordina l’esenzione agli
interventi di ristrutturazione e di
ampliamento in misura non superiore al 20%
di edifici unifamiliari.
Il manufatto oggetto dell’intervento deve
essere, fin dall’origine, ante opera,
unifamiliare.
E ciò in conformità ad una serie di
concorrenti elementi univocamente
convergenti con il dato letterale.
Sotto quest’ultimo profilo non va passato
sotto silenzio l’orientamento
giurisprudenziale consolidato che considera
tassativa l’elencazione dei casi di
concessione edilizia gratuita, escludendo
l’applicazione di essi in via analogica
(Cons. St., sez. V, 14.10.1992 n. 987; Tar
Lazio, sez. Latina, 01.08.1994 n. 752; Tar
Lombardia; sez. II, 05.06.1995 n. 800).
La ratio che ispira la specifica
esenzione è di derivazione sociale:
l’edificio unifamiliare, nell’accezione
socio economica assunta dalla norma,
coincide con la piccola proprietà
immobiliare, tale da meritare per gli
interventi di ristrutturazione un
trattamento differenziato rispetto alle
altre tipologie edilizie (cfr. Tar Lombardia
Milano, sez. II, 10.10.1996 n. 1480).
Pertanto l’esenzione è strettamente connessa
con gli immobili di piccole dimensioni, per
l’appunto unifamiliari, che già in origine
prima dell’intervento di ristrutturazione
siano tali (cfr. Tar Marche 12.02.1998 n.
250).
In definitiva si vogliono incentivare le
opere atte ad adeguare le case unifamiliari
alle necessità abitative del nucleo
familiare, senza estendere l’esenzione ad
altre tipologie di intervento che
prescindano dall’entità strutturale e dalla
dimensione spaziale dell’immobile comparata
con il suo valore economico.
Nel caso che ne occupa la villa (si vedano
le planimetrie e la documentazione
fotografica in atti), oltre ad essere di
notevole pregio, era composta da due
separate e distinte unità immobiliari, che
per dimensione delle superfici occupate e
caratteristiche strutturali non è
assimilabile all’edificio unifamiliare preso
in considerazione dalla norma
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 28.01.2002 n. 100 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 28.06.2010 |
ã |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO:
M. Fabrizio,
Modello Organizzativo ex D.lgs. n. 231/2001
e sicurezza sui luoghi di lavoro - Spunti di
riflessione per la certificazione del
Sistema di Gestione Sicurezza - ottobre 2009
(link a
www.b2b24.ilsole24ore.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
ANCE nuova «Guida alle agevolazioni
fiscali per le ristrutturazioni edilizie».
L'ANCE in base alle disposizioni contenute
nella Legge Finanziaria 2010 (L. 191/2009)
che proroga sino al 2012 le agevolazioni
fiscali per gli interventi di recupero del
patrimonio edilizio abitativo, ha provveduto
ad aggiornare la «Guida alle agevolazioni
fiscali per le ristrutturazioni edilizie».
La Guida è un riepilogo delle modalità
applicative del beneficio, dei casi
particolari incentivati e degli adempimenti
necessari per l`accesso alla detrazione.
Le Legge 191/2009, Finanziaria 2010, ha
previsto:
- la proroga al 31.12.2012 della detrazione
IRPEF per una quota pari al 36% delle spese
di recupero del patrimonio edilizio
abitativo, nel limite di € 48.000 per unità
immobiliare;
- l'applicazione a regime dell'aliquota IVA
ridotta al 10% per gli interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria di
immobili ad uso abitativo.
È stata, inoltre, prorogata per un ulteriore
anno anche la detrazione IRPEF del 36%,
sempre nei limiti di € 48.000, per
l'acquisto di abitazioni ricadenti in
complessi edilizi ristrutturati, restaurati
o recuperati da imprese e cooperative
edilizie, che provvedano alla successiva
alienazione o assegnazione dell'immobile
(art. 1, comma 17, lett. b, Legge 244/2007).
In questo particolare caso la detrazione
spetta a condizione che: ... (link a
www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Campi Elettromagnetici: Effetti sulla salute
e distrurbi.
ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione
e la Ricerca Ambientale), ISCTI (Istituto
Superiore delle Comunicazioni e delle
Tecnologie dell'Informazione) e ISS
(Istituto Superiore di Sanità) hanno
realizzato una breve pubblicazione dal
titolo "Campi Elettromagnetici - Effetti
sull'uomo e sulle apparecchiature".
La pubblicazione, di carattere divulgativo,
può essere utilizzata anche come supporto
per la formazione del personale.
Ecco alcuni degli argomenti trattati: ...
(link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI: G.U.
25.06.2010, suppl. ord. n. 138/L, "Disposizioni
per l’adempimento di obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità
europee - Legge comunitaria 2009"
(Legge
04.06.2010 n. 96). |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 22.06.2010 n. 143 "Determinazione,
per il periodo 01.01.2010-31.12.2010, della
misura del tasso d’interesse di mora da
applicare ai sensi dell’articolo 30 del
Capitolato generale d’appalto dei lavori
pubblici"
(Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti,
decreto
14.06.2010). |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E.
18.06.2010 n. L/153 "DIRETTIVA
2010/31/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL
CONSIGLIO del 19.05.2010 sulla
prestazione energetica nell’edilizia"
(link a http://eur-lex.europa.eu).
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Pubblicata la Direttiva
europea 2010/31/CE sul miglioramento delle
prestazioni energetiche degli edifici:
sostituirà la Direttiva 2002/91/CE.
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
Europea (L 153/13 del 18.06.2010) la nuova
Direttiva 2010/31/CE sulla prestazione
energetica nell'edilizia.
La Direttiva 2010/31/CE, in vigore dal
prossimo 09.07.2010, abroga, con effetto dal
1° febbraio 2012, la Direttiva 2002/91/CE.
La Direttiva, come specifica l'art. 1, "promuove
il miglioramento della prestazione
energetica degli edifici all'interno
dell'Unione, tenendo conto delle condizioni
locali e climatiche esterne, nonché delle
prescrizioni relative al clima degli
ambienti interni e all'efficacia sotto il
profilo dei costi".
In particolare la nuova normativa europea
fornisce disposizioni su:
- metodologia per il calcolo della
prestazione energetica integrata degli
edifici e delle unità immobiliari;
- applicazione di requisiti minimi alla
prestazione energetica di edifici e unità
immobiliari;
- certificazione energetica degli edifici o
delle unità immobiliari;
- sistemi di controllo indipendenti per gli
attestati di prestazione energetica e i
rapporti di ispezione;
- piani nazionali destinati ad aumentare il
numero di "edifici a energia quasi zero";
- ispezione periodica degli impianti di
riscaldamento e condizionamento d'aria negli
edifici.
I paesi membri dell'Unione Europea devono
definire una metodologia di calcolo della
prestazione energetica degli edifici secondo
i criteri contenuti all'allegato I "Quadro
comune generale per il calcolo della
prestazione energetica degli edifici".
La direttiva prevede, inoltre, che per
contenere il fabbisogno energetico, gli
Stati membri stabiliscano requisiti degli
impianti tecnici per l'edilizia
relativamente:
- al rendimento energetico globale;
- alla corretta installazione e alle
dimensioni;
- alla regolazione e al controllo adeguati.
Tali requisiti, stabiliti per il caso di
nuova installazione, sostituzione o
miglioramento di sistemi tecnici per
l'edilizia, si applicano almeno per i
seguenti impianti:
1- impianti di riscaldamento;
2- impianti di produzione di acqua calda;
3- impianti di condizionamento d'aria;
4- grandi impianti di ventilazione.
Entro il 31.12.2020 è previsto, infine, che
tutti gli edifici di nuova costruzione siano
«edifici a energia quasi zero». Un «edificio
a energia quasi zero» è un edificio ad
altissima prestazione energetica,
determinata conformemente all'allegato I, il
cui fabbisogno energetico (molto basso o
quasi nullo) dovrebbe essere coperto in
misura molto significativa da energia da
fonti rinnovabili (commento tratto da
www.acca.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Lavatelli,
Le distanze tra i fabbricati e dai confini
in materia edilizia
(link a www.lavatellilatorraca.it). |
APPALTI: L.
Bellagamba,
LA VALIDITÀ TEMPORALE DEL DURC NEGLI APPALTI
PUBBLICI È DI TRE MESI – LA RESIDUALE
INEVITABILITÀ PRATICA DI DOVER FAR
RIFERIMENTO ALLA DATA DEL RILASCIO DEL
DOCUMENTO – L’ESSENZIALITÀ DELLA
VERIFICA DELL’EFFETTIVA EQUIVALENZA DELLE
DIVERSE TIPOLOGIE DI DURC – L’APPOSIZIONE DI
UN TERMINE MENSILE SUL DURC [aggiornamento a
TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, 03.12.2009 n.
12411]
(link a www.linobellagamba.it). |
EDILIZIA PRIVATA: A.
Calabria,
Lo sportello unico per le attività
produttive alla luce del recente recepimento
della direttiva Bolkestein – il difficile
ruolo della giurisprudenza Che cosa cambierà
(link a www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
A. M. Basso,
Pubblica amministrazione ed illegittimità:
la tutela tra annullamento e risarcibilità
del danno
(link a www.diritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: E.
Soraci,
Le nuove decorrenze pensionistiche per il
pubblico impiego del decreto legge n. 78 del
31.05.2010
(link a www.diritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
S. Di Giovanni e R. Favoino,
L’art. 23-bis, c. 9, non si applica alle
società miste pubblico-private costituite ai
sensi del c. 2, lett. b - Nota a Tar
Calabria-Reggio Calabria 16.06.2010 n. 561
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Come si coordina l'art. 844 del codice
civile con le normative pubblicistiche in
materia di rumore? (link a
http://venetoius.myblog.it).
Sul tema si legga anche
un contributo dell'Avv. Rocco vaccari
(link a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Saitta,
Danni al paesaggio e diritto al risarcimento
(link a www.pausania.it). |
QUESITI &
PARERI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Attribuzione responsabilità di
servizio (posizione organizzativa) a
dipendente di categoria “C”.
Il Comune di (omissis), Ente con popolazione
inferiore ai tremila abitanti, chiede se sia
possibile attribuire la responsabilità del
servizio per l’area amministrativa-tributi
ad un dipendente di categoria “C” in
presenza di titolari di posizioni
organizzative, in altre aree, di personale
di categoria “D” in convenzione con altri
Comuni, e non dipendente in senso proprio
dal Comune di (omissis) (Regione Piemonte,
parere n.
57/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo convenzionale del prezzo
di cessione di alloggi di edilizia
economico-popolare. Caducazione.
Vengono posti al Servizio scrivente diversi
quesiti in ordine alla caducazione del
vincolo convenzionale relativo alla
determinazione del prezzo di cessione di
alloggi di edilizia economica e popolare
(Regione Piemonte,
parere n.
55/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione di pannelli
fotovoltaici su terreno agricolo. Disciplina
generale.
Viene posto un quesito in merito alla
possibilità, per un Comune, di ricondurre
l’installazione di un impianto di pannelli
fotovoltaici su un terreno agricolo
nell’alveo delle opere di urbanizzazione a
rete, tenuto conto che l’intervento è
previsto in cooperazione tra Ente e privato,
sulla base di un accordo disciplinato da
idonea convenzione (Regione Piemonte,
parere n.
54/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Assegno per il nucleo familiare
2010/2011
(CISL di Bergamo,
nota
giugno 2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Riteniamo utile intervenire
ancora una volta sulla portata applicativa
della norma contenuta nell’art. 9, comma 4,
del D.L. 78/2010, che dispone che i rinnovi
contrattuali per il biennio 2008-2009 non
possono determinare aumenti retributivi
superiori al 3,2% ...
(CISL-FPS di Bergamo,
nota 23.06.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
La Manovra sulle pensioni
(INCA-CGIL di Bergamo,
nota 14.06.2010). |
NEWS |
URBANISTICA:
Ambiente, il controllore va
separato dal controllato. Tar Lombardia,
principi in materia di valutazione
strategica.
Il controllore non può essere allo stesso
tempo anche il controllato. Si tratta di un
principio di elementare civiltà giuridica
che il Tar Lombardia ha desunto da una
corretta interpretazione del dlgs 4/2008,
che ha innovato le procedure Vas
(Valutazione ambientale strategica) nel
territorio nazionale, e che ha ora sancito
nella sentenza della seconda sezione n.
1526/2010 depositata lo scorso 18.05.2010.
Con questa sentenza – presidente M. Arosio,
estensore G. Zucchini – la prima emessa in
Italia in tema di Vas – il Tar della
Lombardia assume una chiara posizione nei
confronti della problematica della
definizione dell'autorità competente nei
procedimenti di valutazione ambientale
strategica Vas relativi allo sviluppo
urbanistico ed edilizio sul territorio.
Per effetto di questa anomalia riscontrata,
il Tar ha annullato il Pgt del Comune di
Cermenate (dove addirittura il tecnico
comunale era anche co-firmatario del Pgt),
ma i principi enunciati da questa sentenza
–ricordiamo la prima in Italia in materia-
valgono in tutto il territorio della Regione
Lombardia ed anche italiano. A rischio di
annullamento, quindi, si trovano ora tutti i
Piano di governo del territorio o i
Programmi integrati di intervento approvati
senza rispettare la regola della terzietà
dell'autorità competente Vas o anche in fase
di approvazione, tra cui Milano, Como e
moltissimi altri comuni.
Come noto nei procedimenti Vas –che per
legge debbono precedere le scelte
pianificatorie dei Pii e dei Pgt– l'autorità
competente esercita una funzione di
controllo sulle proposte pianificatorie, che
l'autorità procedente intende portare ad
approvazione.
Nel caso in esame, dove addirittura il
tecnico comunale aveva insieme firmato il
Pgt, firmato il parere relativo alla
delibera approvativa del Pgt e aveva assunto
il ruolo di autorità competente per la Vas,
il Pgt di Cermenate è stato completamente
annullato perché preceduto da un
procedimento Vas illegittimo.
Così i giudici amministrativi lombardi di
primo grado, nel rispetto della regola
generale dell'imparzialità amministrativa ex
art. 97 della Costituzione, hanno stabilito
che autorità competente ed autorità
procedente non possono appartenere alla
medesima amministrazione comunale, ma
debbono appartenere a due diverse e distinte
amministrazioni pubbliche.
«Questa sentenza è una pietra miliare
nella definizione del corretto procedimento
Vas» commenta a ItaliaOggi l'avv.
Umberto Sgrella, difensore della parte
ricorrente e vincitrice in primo grado. «Le
amministrazioni comunali dovranno rivolgersi
ad altri enti pubblici esperti in materia
ambientale per il ruolo di autorità
competente, ponendo fine alla prassi
illegittima della c.d. Vas fatte in casa che
spesso si risolvevano solo in un mero
passaggio burocratico interno, laddove i
funzionari preposti si trovavano in una
situazione difficile per l'esercizio delle
loro potestà, in quanto dipendenti della
stessa amministrazione che desiderava far
approvare lo strumento urbanistico
sottoposto a Vas» (articolo ItaliaOggi
del 24.06.2010, pag. 43). |
APPALTI:
Appalti, il ricorso va
comunicato. Le nuove norme sul processo
amministrativo prevedono la riduzione a 30
giorni del termine per opporsi.
L'impugnazione blocca la firma del contratto
fino alla sentenza.
Il recepimento della «direttiva ricorsi»:
le nuove norme sul processo amministrativo (II
parte). Il decreto legislativo 20.03.2010 n.
53 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 84
del 12.04.2010 (in vigore dal 27.04.2010)
attuativo della legge delega modifica anche
le norme processuali.
Preliminarmente, la parte che intende
proporre un ricorso giurisdizionale nelle
materie relative alle controversie nelle
procedure di affidamento di lavori, servizi
e forniture, svolte da soggetti tenuti nella
scelta del contraente o socio
all'applicazione della normativa comunitaria
o al rispetto dei procedimenti ad evidenza
pubblica, deve informarne il responsabile
del procedimento.
L'informativa ai sensi dell'art. 243-bis del
dlgs 163/2006 deve essere effettuata
mediante comunicazione scritta o espressa
oralmente nel corso di una seduta della
commissione di gara e inserita nel verbale.
Essa deve contenere i motivi di ricorso che
si intendono articolare in giudizio, salva
in ogni caso la facoltà di proporre motivi
diversi o ulteriori ... (articolo
ItaliaOggi del 23.06.2010 - link
a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Le visite fiscali? Le paga chi le
ordina. Nuova stangata per i bilanci delle
scuole. La Consulta ha bocciato il
trasferimento degli oneri sulle Asl.
Brutte notizie per i bilanci del ministero
dell'istruzione e delle scuole: le spese
delle visite fiscali ritornano a carico di
chi le ha richieste, non possono gravare né
sulle aziende sanitarie locali né sulle
regioni da cui dipendono.
La Consulta, infatti, con sentenza
10.06.2010 n. 207 ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale delle norme
che stabiliscono che gli accertamenti
medico-legali sui dipendenti pubblici
assenti per malattia, incentivati dalla
riforma della pa del ministro Renato
Brunetta, rientrano nei compiti
istituzionali del servizio sanitario
nazionale con oneri a carico delle aziende
sanitarie che li hanno eseguiti e che in
sede di riparto del risorse deve essere
individuata una quota di finanziamento da
destinare agli accertamenti, infine che
questi ultimi si possono effettuare
nell'ambito di tali risorse (art. 71, commi
5-bis e ter, del d.l. 133/2008, convertito
nella l. 133/2008).
La Corte costituzionale si è pronunciata su
un ricorso della regione Toscana, che aveva
promosso la questione per violazione degli
artt. 117 e 119 della Costituzione. A meno
di un improponibile intervento di revisione
della nostra carta fondamentale, porre le
spese delle visite di controllo a carico dei
fondi sanitari regionali senza prevederne il
rimborso, significa intervenire
illegittimamente sull'autonomia finanziaria
delle regioni, costringendole, per non
ridurre i servizi assistenziali
obbligatoriamente e gratuitamente dovuti a
tutti i cittadini, ad aumentare di un
corrispondente importo le risorse destinate
alla sanità. Sarebbe, inoltre, violata la
competenza legislativa concorrente della
regione in materia di tutela della salute e
di organizzazione del servizio sanitario, in
relazione alla quale l'intervento dello
stato si deve limitare alla sola
determinazione dei principi fondamentali e
quello delle regioni alle scelte
organizzative (art. 117, terzo comma,
Cost.).
Le norme contestate non sono una normativa
di principio, perché i due commi dichiarati
incostituzionali non lascerebbero alcuno
spazio legislativo alle regioni, nemmeno di
carattere esecutivo, e vincolerebbero
risorse per l'effettuazione di una
prestazione estranea anche alla competenza
esclusiva dello stato (art. 117, secondo
comma, Costituzione). Anche se il
legislatore, commettendo un errore
nominalistico, ha voluto ricomprendervi gli
accertamenti medici (art. 74, primo comma,
del decreto legislativo 150/2009). Non
basta, infatti, dichiarare che si tratta di
materia di competenza esclusiva dello stato,
occorre che lo sia effettivamente e
oggettivamente.
L'accertamento medico–legale sui dipendenti
pubblici assenti per malattia non è una
prestazione sanitaria essenziale, che deve
essere garantita dalla legislazione dello
stato, per evitare che gli utenti ne
usufruiscano in modi differenziati, per
qualità e quantità, a seconda della regione
di residenza.
Essa «è un'attività strumentale al
controllo di regolarità», svolta
nell'interesse del datore di lavoro,
pubblico o privato che sia. Le
amministrazioni pubbliche, così, dovranno
cercare altrove le risorse necessarie a
proseguire i controlli sulle malattie dei
propri dipendenti, «anche nel caso di
assenza di un solo giorno» (articolo
ItaliaOggi del 22.06.2010, pag. 45). |
PUBBLICO IMPIEGO:
L'assenteista ringrazia, la crisi allenta le
visite fiscali. Le visite fiscali rimangono
senza soldi.
Torna ad incepparsi sul nodo dei costi il
meccanismo dei controlli a tappeto
anti-assenteismo nel pubblico impiego,
introdotti con la manovra di due anni fa ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 22.06.2010 -
link a www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
CONSIGLIO DEI MINISTRI/ Oggi
previsto il via alla riforma del processo
amministrativo. Chi perde paga, anche al
Tar. Il giudice individuerà le spese dovute
alla controparte.
Il Codice del processo
amministrativo, oggi all'esame del
consiglio dei ministri, ridisegna le regole
dei giudizi che si svolgono davanti ai
tribunali amministrativi regionali e al
consiglio di stato. In molte parti il codice
completa il percorso di adeguamento alle
regole del processo civile: ad esempio in
relazione alla disciplina delle prove e alla
disciplina delle spese. Il codice avrà una
vacatio legis breve, visto che
entrerà in vigore il 16.09.2010.
Alcune novità relative a particolari
processi sono state anticipate da recenti
provvedimenti legislativi e sono stati
confermati dal codice amministrativo: ci si
riferisce alle regole speciali del processo
sugli appalti già previste dal decreto
legislativo 53/2010.
Sul piano della gestione del processo sia
per la parte privata sia per
l'amministrazione un particolare rilievo
assume la disciplina delle spese di
soccombenza.
Il decreto prevede che quando emette una
decisione, il giudice deve provvedere anche
sulle spese di giudizio, secondo quanto
previsto dal codice di procedura civile.
In sostanza si passa da una prassi in cui
non era insolita la cosiddetta compensazione
delle spese (ogni parte pagava il compenso
del suo avvocato) alla introduzione di un
regime in cui la regola è esattamente
l'opposto, e cioè che chi perde (privato o
amministrazione che sia) paga le spese
legali sostenute da controparte.
Il richiamo all'articolo 91 del codice di
procedura civile, inserito all'articolo 26,
significa anche che le spese potranno essere
accollate tenendo conto dell'ingiustificato
rifiuto a una soluzione bonaria. Anzi può
essere condannato alle spese chi vince la
causa, ma nei limiti di una proposta
transattiva formulata da controparte e
rifiutata senza motivo.
Inoltre il codice prevede che il giudice,
nel pronunciare sulle spese, può anche
condannare, anche d'ufficio (e quindi senza
richiesta), la parte soccombente al
pagamento in favore dell'altra parte di una
somma di denaro equitativamente determinata,
quando la decisione è fondata su ragioni
manifeste o orientamenti giurisprudenziali
consolidati. Questo vale sia per il privato
che fa un ricorso temerario sia per
l'amministrazione, che resiste in giudizio
senza ricorrere all'autotutela.
Ma vediamo gli altri punti salienti del
codice.
In attuazione della delega (articolo 44
della legge n. 69 del 2009 il codice,
introduce il principio della pluralità delle
azioni: questo significa che si abbandona lo
schema classico dell'azione solo per
l'annullamento di un atto, inserendo le
azioni di condanna, al fine di garantire, si
legge nella relazione, ogni più ampia
possibilità di tutela, compresa quella
risarcitoria, anche per le posizioni
giuridiche (interessi legittimi in
particolare) devolute alla giurisdizione del
giudice amministrativo.
Il processo viene sostanzialmente allineato
al processo civile, inserendo tutti i mezzi
di prova utilizzabili: prove testimoniali e
consulenze tecniche d'ufficio.
Il codice recepisce, poi, la disciplina del
trasferimento del giudizio (cosiddetta
translatio judicii) introdotta dalla
legge n. 69 del 2009 così da rendere
comunicabili le diverse giurisdizioni
amministrativa e ordinaria.
Il codice prende posizione sulla cosiddetta
pregiudiziale amministrativa: e cioè la
questione se si possa chiedere il
risarcimento dei danni autonomamente
rispetto alla richiesta di annullamento
degli atti, che hanno causato il danno.
Sulla materia ci sono state sentenza
contrastanti con una presa di posizione del
giudice amministrativo sfavorevole alla
autonomia della azione risarcitoria (e
quindi si può chiedere il risarcimento solo
se è stato impugnato l'atto nel termine di
sessanta giorni, altrimenti si è decaduti) e
una diversa opinione della cassazione.
Il codice sceglie l'autonoma esperibilità
della tutela risarcitoria per la lesione
delle posizioni di interesse legittimo e
prevede per l'esercizio di tale azione un
termine di decadenza di quattro mesi:
insomma davanti al giudice amministrativo
c'è il codice sceglie una terza via, come
spiega la relazione, sul presupposto che la
previsione di termini decadenziali non è
estranea alla tutela risarcitoria (e quindi
si possono prevedere senza limitarsi alla
previsione del termine quinquennale di
prescrizione).
L'esigenza del termine di decadenza è
dell'amministrazione, che deve sapere se per
un proprio atto è chiamata a effettuare
risarcimenti senza dover aspettare anni e
anni.
Il codice tiene conto delle esigenze
dell'amministrazione, in quanto afferma
l'applicazione di principi analoghi a quelli
espressi dall'articolo 1227 codice civile
per quanto riguarda i danni che avrebbero
potuto essere evitati mediante il tempestivo
esperimento dell'azione di annullamento. In
sostanza se il privato non chiede
l'annullamento dell'atto potrà sempre
chiedere il risarcimento danno con una
azione autonoma, ma da esperire entro un
termine di decadenza; tuttavia il fatto di
non avere presentato un ricorso per
l'annullamento dell'atto non è senza
conseguenze, in quanto il giudice potrà
decurtare il risarcimento, in quanto il
privato avrebbe potuto evitare un incremento
del danno se avesse diligentemente esperito
l'azione di annullamento.
Anche impugnazioni sono state adeguate a
quelle previste dal codice di procedura
civile: è stata per la prima volta prevista
una disciplina positiva del rimedio
dell'opposizione di terzo nel processo
amministrativo, introdotto da una sentenza
della Corte costituzionale (articolo
ItaliaOggi del 24.06.2010, pag. 21). |
CORTE DEI
CONTI |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla responsabilità erariale del
responsabile Ufficio Tecnico per non aver
riscosso la sanzione pecuniaria per danno
ambientale in relazione ad un abuso edilizio
realizzato in zona paesaggisticamente
vincolata e sul termine dal quale decorre
l'eventuale prescrizione al relativo
versamento.
Dalla documentazione in atti risulta chiaro
che il Corsinovi, legato da un rapporto di
servizio con il Comune di Tavarnelle Val di
Pesa in qualità di funzionario responsabile
del Servizio Assetto del Territorio, ha
tenuto una condotta dannosa per
l’Amministrazione di appartenenza,
consistente nella mancata richiesta (recte,
riscossione) dell’indennità risarcitoria per
danno ambientale. Condotta, questa,
qualificata dall’elemento soggettivo della
colpa grave, poiché consistente nella
violazione di norme che il convenuto –data
la sua posizione funzionale ed il suo
livello culturale- era tenuto a conoscere,
applicare e rispettare.
Qualora avesse avuto un dubbio
interpretativo –circostanza che la difesa
adduce a totale discolpa del convenuto-, ciò
non lo avrebbe esonerato dal rispetto della
norma: nel dubbio, Corsinovi avrebbe dovuto,
comunque, richiedere il pagamento della
sanzione, ciò anche al fine di produrre un
effetto interruttivo della prescrizione a
giovamento delle ragioni del Comune nel caso
fosse sorto un contenzioso con gli
interessati, e con la finalità di evitare
anche il rischio di dover pagare di tasca
propria.
Nella sua posizione non avrebbe dovuto sua
sponte decidere di non richiedere il
versamento della sanzione. Solo in tal modo
si sarebbe liberato dalle responsabilità che
oggi gli si contesta.
In altri termini, per quanto riguarda
l’incertezza interpretativa su cui tanto si
è soffermata la difesa, il Collegio ritiene
che la stessa non possa assurgere a
scriminante, poiché –al di là degli
orientamenti giurisprudenziali formatisi in
materia- ciò che rilevava era la necessità
di applicare la sanzione de qua anche
nel caso di fattispecie di condono, obbligo
che il convenuto non ha affatto osservato.
Nonostante la giurisprudenza fosse
oscillante, non può essere ignorato che tale
necessità era ormai acclarata con l’entrata
in vigore della norma interpretativa di cui
all’art. 2, comma 46, della legge 662/1996.
Del resto, il successivo DM 26.09.1997 era
solo una fonte secondaria applicativa del
dettato normativo, alla cui adozione il
convenuto poteva rinviare (non per
richiedere la sanzione ma) solo per
l’effettiva liquidazione della stessa, e la
delibera n. 62/1998 del Consiglio Comunale
era un atto di natura interna all’ente, non
certo prevalente sulla norma primaria del
’96.
Peraltro, poiché l’esame della condotta
responsabile del convenuto si ferma ai danni
causati (rectius, alla sanzioni
lasciate prescrivere) a decorrere dal
06.03.2001, si rammenta che a quella data la
giurisprudenza in materia aveva ormai
trovato un approdo definitivo nella sentenza
n. 3184 del 02.06.2000 della V Sezione del
Consiglio di Stato, richiamata anche dalla
difesa, nella quale era stato
definitivamente chiarito che, ai sensi
dell'art. 2, co. 46 cit., l’indennità
suddetta, avendo natura giuridica di
sanzione amministrativa pecuniaria per le
violazioni in materia paesaggistica, è
dovuta in caso di condono edilizio anche se
vi sia stato parere favorevole al condono da
parte dell'Autorità preposta alla tutela del
paesaggio, ed è dovuta anche in assenza di
danno ambientale.
Accertato l’an, è necessario
esaminare il quantum debeatur, che la
Procura determina in € 56.405,93 complessivi
(oltre accessori e spese di giudizio), sulla
base del prospetto predisposto
dall’Amministrazione (all. D 3) delle
pratiche di condono gestite dal convenuto
sino al suo collocamento a riposo.
A tal proposito il Collegio ritiene che il
danno risulti di entità sensibilmente
inferiore a quella contestata nella domanda,
per due ordini di motivi:
a) per il compimento della prescrizione con
riferimento a quei danni prodottisi nel
periodo anteriore al 06.03.2001;
b) per il diverso accertamento del dies a
quo di decorrenza della prescrizione
quinquennale di cui all’art. 28, l.
689/1981, della sanzione ambientale,
rispetto ai criteri seguiti dal Comune per
la compilazione del citato all. 3D, in cui
si quantifica il danno erariale.
Si è già argomentato diffusamente sulla
prescrizione dell’azione risarcitoria per il
periodo anteriore al 06.03.2001. Ciò esonera
il Collegio dall’approfondimento degli altri
profili controversi affrontati dalle parti,
riguardanti aspetti della condotta del
convenuto nel periodo precedente a tale
data.
Determinante è, poi, l’accertamento del
dies a quo di decorrenza della
prescrizione quinquennale di cui all’art.
28, legge n. 689/1981, della richiamata
sanzione ambientale nel procedimento di
condono edilizio.
La soluzione data al quesito permette di
individuare con chiarezza quando le sanzioni
che avrebbe dovuto richiedere il convenuto
si sono prescritte e, quando, pertanto, deve
considerarsi prodotto il danno erariale e
quando, infine, è iniziata a decorrere la
prescrizione dell’azione risarcitoria.
Il Collegio non ignora che sulla materia si
sono registrati diversi orientamenti dei
giudici amministrativi, dovuti alla
peculiarità della fattispecie in esame,
caratterizzata dalla compresenza di un
illecito paesaggistico e di un illecito
edilizio in relazione ad uno stesso bene
nell’ambito del procedimento di condono
edilizio.
Il Collegio, peraltro, non ignora neppure
che l’interpretazione resa nella varie
sentenze del Consiglio di Stato
(sovrapponibili per taluni aspetti, ma anche
variegate, sebbene compatibili nelle
conclusioni), che hanno riformato
sistematicamente le opzioni difformi dei
giudici di prime cure, giunge in definitiva
a dare una soluzione univoca al problema
della prescrizione nell’affermare che il
termine de quo inizia a decorrere dal
rilascio della concessione in sanatoria
nell’ipotesi in cui il responsabile della
violazione, avendo realizzato opere edili in
zona sottoposta a vincolo paesaggistico,
abbia poi ottenuto la concessione in
sanatoria.
Si tratta di una soluzione autorevole,
frutto di un tortuoso percorso
argomentativo, che merita di essere
condivisa e, pertanto, di non essere
ignorata dal Collegio nella formazione del
suo convincimento.
Considerata la rilevanza ai fini della
determinazione del danno erariale, non si
può evitare di accennare alla giurisprudenza
amministrativa sull’argomento.
Come detto, la norma di riferimento è l’art.
32 della legge 28.02.1985, n. 47, e s.m.i.,
secondo cui gli abusi edilizi realizzati in
aree vincolate, al di fuori dei casi in cui
il successivo art. 33 prevede espressamente
l’insanabilità, sono suscettibili di
sanatoria subordinatamente al rilascio del
parere favorevole da parte dell’autorità
preposta al vincolo. La stessa disposizione
aggiunge che il rilascio del titolo
abilitativo edilizio in sanatoria estingue
anche il reato derivante dalla violazione
del vincolo.
Innanzi tutto, bisogna evidenziare che in
materia si sono formati i seguenti principi
consolidati (ex multis, Cds, IV,
13/08.03.2007 n. 1585, 04.02.2004 n. 395;
12.11.2002 n. 6279; Sez. V, 08.06.1994 n.
614, 02.06.2000 n. 3184 del 02.06.2000 e
09.10.2000 n. 5373):
a)
l’art. 15 della L. 29.06.1939 n. 1497 va
interpretato nel senso che l’indennità
prevista per abusi edilizi in zone soggette
a vincoli paesaggistici costituisce una vera
e propria sanzione amministrativa che
prescinde dalla sussistenza effettiva di un
danno ambientale, non rappresentando una
forma di risarcimento del danno;
b)
condonabilità degli abusi commessi in zone
soggette a tutela ambientale purché sia
intervenuto il parere favorevole
dell’autorità competente, ai sensi dell’art.
32 della L. n. 47 del 28.02.1985;
c)
applicabilità della sanzione di cui al
predetto art. 15 anche nel caso in cui sia
intervenuto il previsto nulla osta, come
precisato dall’art. 2, comma 46, della L. n.
662 del 23.12.1996, norma di natura
chiaramente interpretativa;
d)
applicabilità, per espresso dettato
legislativo, dell’art. 28, primo comma,
della L. n. 689 del 24.11.1981, il quale
espressamente dispone che il “diritto a
riscuotere le somme dovute per le violazioni
indicate dalla presente legge si prescrive
nel termine di cinque anni dal giorno in cui
è stata commessa la violazione”, sia
pure con i temperamenti necessari attesa la
particolare natura dell’illecito sanzionato
dal ricordato art. 15. La regola della
prescrizione quinquennale, decorrente dal
giorno della commissione della violazione,
infatti, trova in astratto applicazione
anche in materia di illeciti amministrativi
puniti con la pena pecuniaria di cui alla
normativa di tutela urbanistica-edilizia e
di tutela del paesaggio (Cass., 1° Sez. civ.
n. 6967 del 25.07.1997).
e)
natura permanente degli illeciti in materia
urbanistica edilizia e paesistica (cfr.
C.d.S., Sez. VI, 02.06.2000, n. 3184;
05.08.2003 n. 4482), da cui è possibile
trarre che gli stessi, ove consistano nella
realizzazione di opere senza le prescritte
concessioni e autorizzazioni, hanno
carattere di illeciti permanenti, di talché
la commissione degli illeciti medesimi si
protrae nel tempo, e viene meno solo con il
cessare della situazione di illiceità, vale
a dire con il conseguimento delle prescritte
autorizzazioni.
Sulla base di tali principi –per quanto qui
occupa- si è formato un autorevole e
consolidato orientamento dei giudici di
Palazzo Spada, secondo cui non è esatto
assumere a parametro di riferimento ai fini
della individuazione del termine iniziale
della prescrizione della sanzione, come
hanno fatto più volte i giudici di primo
grado, il parere favorevole dell’autorità
preposta alla tutela del vincolo in
relazione al provvedimento di rilascio della
concessione edilizia in sanatoria.
Questo, perché siffatto parere, in mancanza
di una qualsiasi norma positiva in tal
senso, è da ritenersi privo di un’autonoma
rilevanza in quanto concorre a consentire il
rilascio della concessione edilizia (o
autorizzazione) in sanatoria inserendosi,
secondo le previsioni contenute nell’art. 32
della L. n. 47 del 1985, nel diverso
procedimento volto a sanare solo ed
esclusivamente illeciti di natura
edilizia-urbanistica in relazione ad
immobili soggetti a vincoli paesaggistici
e/o ambientali e non è, quindi, atto idoneo
a far decorrere il termine di prescrizione
previsto dall’art. 28 della legge n.
689/1981.
La stessa giurisprudenza aveva osservato
anche che il provvedimento sanzionatorio
trova la sua disciplina in una normativa
diversa da quella prevista nella cd. legge
di sanatoria, disciplina che delinea un
autonomo procedimento in cui intervengono
altre Amministrazioni in quanto titolari di
interessi finalizzati alla tutela
dell’ambiente, del paesaggio e del
territorio, nonché alla repressione di
eventuali abusi. Ne è conferma l’art. 2,
comma 46, della L. n. 662 del 23.12.1996 in
base al quale il “versamento
dell’oblazione non esime dall’applicazione
dell’indennità risarcitoria di cui all’art.
15 della L. n. 1457 del 1939”, attesa la
peculiarità della sua funzione di riparare
alla lesione di uno specifico interesse
pubblico violato, lesione che perdura
fintanto che esso non sia risarcito per
equivalente. Infatti, oblazione ed indennità
risarcitoria hanno finalità diverse, perché
diversi sono i profili su cui vanno ad
incidere, così che il pagamento dell’una non
fa venir meno il dovere di agire per la
riscossione dell’altra (Cds, IV, 04.02.2004
n. 395; IV, 13/08.03.2007 n. 1585).
Pertanto, un primo passo del Consiglio di
Stato è stato quello di negare
categoricamente –e ciò è rilevante ai fini
dell’esame dell’odierna fattispecie– che dal
parere o autorizzazione paesaggistica,
emessi in occasione del condono edilizio,
non possa decorrere la prescrizione della
sanzione, dovendo la stessa decorrere dal
conseguimento delle prescritte
autorizzazioni (già in questo senso, CdS, V,
02.06.2000 n. 3184).
E tali autorizzazioni, quando riferite al
procedimento di condono edilizio, lungi
dall’essere i pareri endoprocedimentali di
cui all’art. 32, l. 47/1985, si
identificano, appunto, con la concessione in
sanatoria. E’ questa la logica soluzione a
cui è approdata la giurisprudenza
amministrativa in definitiva e che il
Consiglio di Stato ha di recente ribadito
con la decisione n. 1564/2009.
In quest’ultima pronuncia, il supremo
consesso evidenzia che laddove risulti che
il responsabile della violazione non si sia
limitato a munirsi del predetto parere
endoprocedimentale, ma abbia concluso
positivamente la procedura di condono, il
provvedimento di concessione in sanatoria
non può non determinare la cessazione delle
permanenza anche dell’illecito paesaggistico
(v. Cons. Stato, sez. II, 09.04.2008, nr.
708/2005; Cons. Stato, sez. IV, 11.04.2007,
nr. 1585; Cons. Stato, sez. V, 13.07.2006,
nr. 4420; C.g.a.r.s., 02.03.2006, nr. 79).
Ha negato, peraltro, –questa è l’unica
frattura, ma solo apparente perché
conciliabile, con le prime decisioni sopra
richiamate– che il parere favorevole reso
dall’autorità preposta al vincolo
nell’ambito del procedimento per la
sanatoria di abusi edilizi realizzati in
zona vincolata costituisca un atto meramente
interno a tale procedimento, privo di ogni
riflesso sulla diversa violazione
paesaggistica. Ciò si ricaverebbe dalla già
richiamata disposizione ex art. 32 della
legge n. 47 del 1985, secondo cui, una volta
ottenuto il predetto parere (da cui non può
prescindersi per il conseguimento del
condono nella fattispecie), la successiva
concessione in sanatoria determina
l’estinzione non solo del reato edilizio, ma
anche del reato “per la violazione del
vincolo”.
Nonostante la rilevanza penale di tale
disposizione, appare, peraltro, evidente
–questo è il punto di contatto che unifica
gli orientamenti della giurisprudenza negli
anni- che essa depone chiaramente nel senso
di una convergenza, all’interno di un unico
procedimento di sanatoria, tra il parere
dell’autorità preposta al vincolo e quello
specificamente urbanistico-edilizio del
Comune, ai fini dell’eliminazione
contestuale di entrambi gli illeciti, quello
edilizio e quello paesaggistico.
Opinare diversamente implicherebbe l’obbligo
del responsabile dell’abuso, il quale abbia
ottenuto il condono e intenda rimuovere
anche la violazione paesaggistica, di
richiedere alla Soprintendenza un nuovo
parere di compatibilità destinato a “duplicare”
quello già rilasciato nel procedimento di
sanatoria edilizia. Poiché, però, un tale
aggravio procedimentale non trova alcun
riscontro nella normativa vigente in
materia, l’alternativa sarebbe ritenere che
la permanenza della violazione
paesaggistica, in un’ipotesi del genere, sia
destinata a perdurare indefinitamente, con
conseguente sostanziale imprescrittibilità
della sanzione pecuniaria, ovvero che
l’unico modo che il responsabile avrebbe a
disposizione per sottrarsi alla potestà
sanzionatoria dell’Amministrazione sarebbe
quello di demolire le opere realizzate: il
che –precisa il Consiglio di Stato- non solo
è palesemente assurdo a fronte di opere
ormai in possesso di regolari titoli
abilitativi, anche sotto il profilo della
compatibilità paesaggistica, ma
probabilmente comporta la violazione del
principio della alternatività tra sanzioni
ripristinatorie e sanzioni pecuniarie che lo
stesso art. 164 del d.lgs. n. 490/1999 ha
recepito.
In conclusione, il principio di autonomia
delle due tipologie di violazioni già
elaborato nelle prime decisioni, va
rettamente inteso nel senso che <<l’intervenuta
sanatoria dell’abuso edilizio non fa ex se
venir meno la potestà sanzionatoria per la
diversa violazione paesaggistica, ma non
anche che essa non spiega alcuna influenza
sulla permanenza di quest’ultima; ne
consegue che proprio il momento del rilascio
della sanatoria costituisce il dies a quo
della prescrizione della sanzione
pecuniaria, ai sensi dell’art. 28 della
legge nr. 689 del 1981>>.
Per mero tuziorismo, piace al Collegio
rammentare che tale orientamento costituisce
la conferma di una tesi già espressa dal TAR
Toscana con sentenza 11.08.2005 n. 4017, di
cui appare utile riportare alcuni passaggi
argomentativi, in quanto riguardanti la
realtà normativa della regione Toscana.
In detta sentenza si affermava già che la
prescrizione decorre dal momento
dell’accertamento dell’illecito,
accertamento che può avvenire o d’ufficio
ovvero in esito al procedimento di sanatoria
edilizia.
A tal proposito, si evidenziava che <<in
Toscana le funzioni c.d. paesaggistiche, già
delegate alle regioni ai sensi dell’art. 82
del d.p.r. n. 616/1977, sono state
subdelegate ai Comuni fin dal 1979 con
l’art. 2 della legge regionale n. 52;
trattasi in particolare, ai fini che qui
interessano, delle funzioni di cui agli
artt. 7 e 15 della legge n. 1497/1939; il
Comune detiene inoltre in via propria le
funzioni di controllo, repressione e
sanatoria degli abusi edilizi.
Il procedimento di sanatoria, in
particolare, si compone dunque di due
procedure, autonome e distinte, quanto
all’ambito degli interessi sottesi (di
carattere ambientale che coinvolgono anche
l’autorità statale e cioè la Sovrintendenza,
e di carattere urbanistico-edilizio propri
del Comune), ma che confluiscono nel
provvedimento finale di rilascio della
concessione edilizia in sanatoria. In quel
momento, come già precedentemente affermato
da questo Tribunale (III, n. 2662/2005),
sono da ritenersi accertati gli abusi
commessi (sia edilizi che ambientali),
essendo stata valutata la possibilità di
rilasciare il titolo che legittima quanto
sino a quel momento illegittimamente
realizzato…In proposito la giurisprudenza ha
riconosciuto non solo che il parere
dell’autorità preposta alla tutela del
vincolo è “pregiudiziale ad ogni altra
valutazione” (CdS, V, n. 177/2000), ma ha
anche rilevato che il “parere” previsto
dall’art. 32 cit. ai fini del rilascio della
sanatoria ha natura e funzioni identiche
all’ “autorizzazione paesaggistica” ex art.
7 della legge n. 1497/1939, in quanto
entrambi gli atti costituiscono il
presupposto per l’assentimento del titolo
che legittima la trasformazione
urbanistico-edilizia dell’area protetta
(Cons. Stato, VI, n. 114/1998), il quale
deve ritenersi realizzato, quindi, solo con
la conclusione della procedura di
regolarizzazione (dal momento che
l’autorizzazione paesaggistica –che in
Toscana è di competenza del Comune– deve
essere inviata alla Sovrintendenza per
l’esercizio dei suoi poteri e per
l’eventuale annullamento entro 60 giorni).
In definitiva il momento dell’accertamento
dell’illecito deve individuarsi con quello
di rilascio della sanatoria edilizia
compiuto e che determina altresì il venir
meno della sua permanenza; ragionando
diversamente, si dovrebbe giungere ad
affermare che, anche dopo il rilascio della
concessione in sanatoria, l’immobile
potrebbe essere demolito perché non
compatibile con gli interessi ambientali,
non decorrendo mai il termine della p.a. per
esercitare i poteri sanzionatori ai fini
ambientali; ma ciò si porrebbe in
contraddizione logica col rilascio del
titolo a sanatoria che a sua volta
presuppone la compatibilità “ambientale”
dell’opera.>>.
Alla luce dell’autorevole giurisprudenza
amministrativa summenzionata, da cui il
Collegio non ha motivo di discostarsi,
consegue che non è esatto far coincidere il
termine iniziale della prescrizione della
sanzione ambientale con la data del parere
emesso dall’autorità investita della tutela
del vincolo, in relazione al provvedimento
rilascio della concessione edilizia in
sanatoria.
La prescrizione decorre –e doveva decorrere
anche all’epoca dei fatti de quibus–
dal rilascio del provvedimento di condono
edilizio (recte, concessione edilizia
in sanatoria), come, peraltro, sembrerebbe
avere affermato anche la stessa Procura
quando nella citazione chiarisce che il
momento del rilascio della concessione in
sanatoria segna la cessazione dello stato di
illiceità della situazione ed anche il
momento di avvio del termine di prescrizione
quinquennale entro cui la detta sanzione si
deve (e si sarebbe dovuta) riscuotere (Corte
dei Conti, Sez. giurdiz. Toscana,
sentenza
13.05.2010 n. 179 - link
a http://bddweb.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
L'attività
della P.A. deve, di regola, essere svolta
dai propri organi e uffici, per cui il
ricorso a soggetti esterni è consentito
soltanto nei casi previsti dalla legge o in
casi eccezionali, da motivare idoneamente
per far fronte a situazioni non sopperibili
con la struttura burocratica esistente,
ovvero in presenza di esigenze occasionali
che determinano “la necessità di fruire
della specificità ed infungibilità della
prestazione esterna”.
Sono stati pertanto individuati dalla
giurisprudenza le seguenti condizioni che
possono legittimare il conferimento di
incarichi a soggetti esterni alla P.A.:
a) rispondenza degli incarichi agli
obiettivi dell’Amministrazione conferente;
b) impossibilità di procurarsi le utilità
all’interno dell’organizzazione burocratica
dell’ente, implicando conoscenze non
riscontrabili, in assoluto, nell’apparato
amministrativo;
c) esistenza di un’adeguata motivazione
delle scelte, al fine di rendere ostensiva
la ricorrenza dei requisiti prescritti;
d) specificità e temporaneità dell’incarico;
e) proporzione tra compensi ed utilità
conseguite.
Appare utile ricordare che -sebbene
appartenga alla discrezionalità
insindacabile dell’Amministrazione di
procedere all’affidamento di incarichi in
presenza di particolari esigenze che
determinano la necessità di fruire della
specificità ed infungibilità della
prestazione esterna per l’espresso disposto
dell’art. 3, primo comma, del D.L.
23.01.1996, n. 543 convertito nella legge
20.12.1996, n. 639– rimane tuttavia integro
il potere-dovere del giudice di verificare
la sussistenza dei presupposti legittimanti
del ricorso a tale eccezionale strumento di
soddisfacimento degli interessi dell’ente.
Ciò in quanto la valutazione del giudice non
attiene al merito della scelta adottata
dagli organi dell’amministrazione bensì al
rispetto dei principi costituzionali di
ragionevolezza del loro operato e
dell’economicità e del buon andamento
dell’Amministrazione sancito dall’art. 97
della Costituzione (cfr, ex plurimis,
SS. RR. 01.03.1999, n. 4/A; Sez. III
centrale d’appello, 16.12.2002 - 08.01.2003,
n. 9).
Va soggiunto che -come affermato dalla
Suprema Corte anche recentemente- il limite
della discrezionalità amministrativa va
escluso icto oculi in presenza di
comportamenti contra legem
dell’amministratore o del dirigente
pubblico, “non potendo essi costituire
esercizio di scelta discrezionale
insindacabile” (cfr. Cass. civ. Sez.
Unite civili, sent. n. 7024/ 2006; n.
5083/2008; n.5288/2009 e Ord. n. 6410 del
02.03.2010).
Alla stregua delle precisazioni innanzi
formulate, il Collegio, dato per scontato
che il giudizio contabile non attiene al
potere riservato in via esclusiva alla P.A.
di scegliere discrezionalmente le modalità
di perseguimento dell’interesse pubblico,
osserva che il sindacato giurisdizionale
riguarda invece la legittimità e la
ragionevolezza dei mezzi prescelti; sicché
non possono ritenersi conformi a legge i
provvedimenti che collidano con tali
principi o che contrastino con le regole di
efficienza, efficacia ed economicità
dell’azione amministrativa.
Secondo un principio generale costantemente
affermato dalla Corte dei conti sia in sede
di controllo che di giurisdizione contabile,
l’attività della P.A. deve, di regola,
essere svolta dai propri organi e uffici,
per cui il ricorso a soggetti esterni è
consentito soltanto nei casi previsti dalla
legge o in casi eccezionali, da motivare
idoneamente per far fronte a situazioni non
sopperibili con la struttura burocratica
esistente, ovvero in presenza di esigenze
occasionali che determinano “la necessità
di fruire della specificità ed infungibilità
della prestazione esterna” (cfr. ex
plurimis, Sez. d’Appello Reg. Sicilia,
04.06.2001, n. 105/A; Sez. III centrale,
07.06.2001, n. 133/A; Sez. Emilia Romagna,
07.06.2002, n. 1703; Sez. Lombardia,
08.06.2002, n. 1255).
Sono stati pertanto individuati dalla
giurisprudenza le seguenti condizioni che
possono legittimare il conferimento di
incarichi a soggetti esterni alla P.A.:
a) rispondenza degli incarichi agli
obiettivi dell’Amministrazione conferente;
b) impossibilità di procurarsi le utilità
all’interno dell’organizzazione burocratica
dell’ente, implicando conoscenze non
riscontrabili, in assoluto, nell’apparato
amministrativo;
c) esistenza di un’adeguata motivazione
delle scelte, al fine di rendere ostensiva
la ricorrenza dei requisiti prescritti;
d) specificità e temporaneità dell’incarico;
e) proporzione tra compensi ed utilità
conseguite.
La giurisprudenza di questa Corte ha infatti
riconosciuto la possibilità di ricorrere ad
incarichi esterni in presenza di eccezionali
eventi o situazioni straordinarie, quali la
carenza di specifiche professionalità
interne, casi di necessità e urgenza,
straordinarietà della situazione, lavori di
particolare complessità, accertata
difficoltà del competente ufficio di
svolgere le funzioni d’istituto, affermando
peraltro, costantemente, che le spese
sostenute per incarichi professionali
esterni, riguardanti lo svolgimento di
prestazioni proprie delle qualifiche del
personale dipendente, all’infuori delle
eccezionali ipotesi innanzi specificate,
configurano oneri posti indebitamente a
carico dell’ente pubblico e costituiscono
perciò causa di danno erariale (cfr, ex
plurimis, SS.RR., 23.06.1992, n. 792/A;
Corte dei conti, Sez. I,13.06.1994, n. 3).
I principi di cui trattasi sono stati
frequentemente richiamati dalla Corte in
decisioni relative a casi simili a quelli in
esame (cfr. ex plurimis, Sez.
Sicilia, 06.09.1995, n. 302; Sez. Veneto,
04.12.1996, n. 471; Sez. Emilia Romagna,
15.10.1996, n. 612; Sez. Abruzzo,
19.11.1997, n. 300) e sono stati ribaditi in
circolari della Presidenza del Consiglio dei
ministri e dei Ministeri vigilanti, per cui
la loro disapplicazione da parte delle
Amministrazioni pubbliche costituisce
evidente indice di sviamento di potere e di
grave colpevolezza.
Tali indirizzi giurisprudenziali trovano
puntuale riscontro, per gli enti locali,
nell’art. 51, settimo comma, della legge n.
142/1990, poi trasfuso nell’art. 110, comma
6, del D.lgs n. 267/2000, il quale prevede
che “per obbiettivi determinati e con
convenzione a termine il regolamento può
prevedere collaborazioni esterne ad alto
contenuto di professionalità”.
Analogamente (cioè con la medesima
espressione terminologica) dispone l’art. 41
del Testo unico delle leggi regionali
sull’ordinamento del personale dei Comuni
della Regione Autonoma Del Trentino-Alto
Adige, approvato con D.P.Reg. 10.02.2005, n.
2/L.
Per quanto riguarda, in particolare, le
opere pubbliche, la L.P. 10.09.1993 n. 26,
recante norme in materia di lavori pubblici
di interesse provinciale e per la
trasparenza negli appalti, riserva la
priorità alla progettazione interna (artt.
19 e 20, comma 2), limitando la
progettazione esterna ai casi di “soluzioni
di complesse questioni tecniche, pluralità
di competenze specialistiche, carenze, anche
temporanee di organico..” ( art. 20,
comma 3 e segg).
Per gli altri enti pubblici l’art.7, del
D.l.vo n. 29/1993, come modificato dall’art.
5 del D.l.vo n. 546/1993 riprodotto
nell’art. 7, comma 6, del D.l.vo 30.03.2001,
n. 165, dispone che: ”per esigenze cui
non possono far fronte con personale in
servizio, le amministrazioni pubbliche
possono conferire incarichi individuali ad
esperti di provata competenza”,
individuando, ai commi 6-bis e 6-ter, i
presupposti indispensabili per il ricorso
all’attività di liberi professionisti
-qualora sia obiettivamente impossibile
utilizzare risorse interne- nella
temporaneità dell’incarico, nell’elevata
qualificazione della prestazione e nella
preventiva fissazione della durata, luogo,
oggetto e compenso pattuito.
Le disposizioni di cui innanzi (integrate
successivamente ai fatti di causa dall’art.
32 del Decreto Legge n. 223 del 2006,
convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 248/2006 e dal comma 76 dell’art. 3 della
legge 24.12.2007, n. 244) contenute nei
commi 6, 6-bis e 6-ter dell’articolo 7 del
D.Lgs. n. 165/2001, sono da ritenersi di
carattere generale ed applicabili, salvo
deroghe particolari, nell’intero settore dei
pubblici poteri (cfr. Sez. II centrale,
26.08.2008, n. 263/A).
Come già accennato innanzi, l’obbligo per le
amministrazioni pubbliche di far fronte alle
competenze istituzionali mediante il
migliore e più proficuo e produttivo
utilizzo delle risorse professionali
esistenti nell’ambito della propria
struttura organizzativa e di ricorrere ad
incarichi esterni soltanto nei cari previsti
dalla legge o in relazione ad eventi
straordinari o in casi eccezionali trova il
proprio fondamento nel principio del buon
andamento dell’amministrazione sancito
dall’art. 97 della Costituzione
(Corte dei Conti, Sez. giurdiz. Trento,
sentenza
21.04.2010 n. 11 - link
a http://bddweb.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA:
Lottizzazione negoziale -
Elementi - Frazionamento e attribuzione ad
una pluralità di soggetti - Destinazione a
scopo edificatorio abusivo.
Ai fini della configurazione di una
lottizzazione cd. negoziale non è
sufficiente che il terreno sia frazionato e
venduto o comunque attribuito ad una
pluralità di soggetti, in quanto la norma
richiede un terzo requisito ossia la non
equivocità -emergente anche da un solo
indizio- della destinazione a scopo
edificatorio abusivo sia del frazionamento
che della vendita (cfr. Consiglio Stato,
Sezione V, 20.10.2004, n. 6810; TAR
Campania, Sezione VI, 20.01.2005, n. 261)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 23.06.2010 n. 15773 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Commissione di gara - Organi
ordinari dell’amministrazione appaltante -
Competenza - Discrimine - Principi generali
- Formale chiusura della gara pubblica.
In difetto di una disposizione normativa
ovvero di una espressa previsione della
lex specialis della gara che disponga in
senso contrario la questione della
competenza della Commissione di gara va
risolta in base ai principi generali che ne
regolano i compiti, per cui il discrimine
tra la competenza della commissione di gara
e quella degli organi ordinari
dell'amministrazione appaltante è segnato
dalla formale chiusura della gara pubblica e
che, pertanto, prima di tale momento, è il
suddetto organo temporaneo e straordinario a
dover provvedere a tutti gli adempimenti
necessari, ivi compresa la verifica delle
offerte sospette di anomalia.
Il momento della formale chiusura della gara
può identificarsi con quello in cui la
stazione appaltante, appropriandosi degli
atti posti in essere, ne suggella gli esiti
con l'approvazione e con l'aggiudicazione
definitiva (Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez.
giurisd, n. 413/2000; Consiglio di Stato,
Sezione V, n. 661/2000; Tar Campania,
Napoli, sez. II, n. 5891/2007; Tar Trentino
Alto-Adige, Bolzano, n. 146/2009) (TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 22.06.2010 n. 19954 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Nelle gare per l'affidamento del
servizio di distribuzione del gas naturale,
spetta alla p.a. un'ampia discrezionalità
nel determinare gli elementi di valutazione
dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Sulla legittimità dell'indizione di una gara
anche in assenza dei criteri di gara e di
valutazione dell'offerta e della previa
identificazione dei bacini ottimali di
utenza di cui all'art. 46-bis del d. l.
01.10.2007, n. 159. E' legittima la
composizione di una commissione giudicatrice
presieduta dallo stesso soggetto che poi ha
approvato gli atti di gara.
Nelle gare per l'affidamento del servizio di
distribuzione del gas naturale, spetta alla
pubblica amministrazione un'ampia
discrezionalità nel determinare gli elementi
di valutazione dell'offerta economicamente
più vantaggiosa alla luce degli interessi da
perseguire e delle circostanze specifiche
della singola procedura in relazione alle
condizioni della rete, salvo macroscopica
irragionevolezza dei relativi criteri. Alla
luce del combinato disposto degli artt. 14
del D. L.vo n. 164/2000 e 83 del D. L.vo n.
163/2000, si desume che il legislatore non
ha inteso predeterminare il valore ponderale
da attribuire, rispettivamente, all'elemento
qualità ed all'elemento prezzo delle offerte
per l'affidamento del servizio di
distribuzione del gas naturale, lasciando
spazio alla discrezionalità della pubblica
amministrazione da esplicare alla luce degli
interessi da perseguire e delle circostanze
specifiche della singola procedura in
relazione alle condizioni della rete. In tal
senso del resto depone anche il
"considerando" 46 della direttiva CEE
2004/18, il quale con riguardo
all'aggiudicazione con il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
espressamente riconosce che la concreta
determinazione dei relativi criteri
economici e qualitativi "dipende
dall'oggetto dell'appalto".
Un singolo comune può legittimamente bandire
isolatamente la propria procedura ad
evidenza pubblica di affidamento del
servizio anche in assenza dei criteri di
gara e di valutazione dell'offerta e della
previa identificazione dei bacini ottimali
di utenza di cui all'art. 46-bis del d.l.
01.10.2007, n. 159, convertito dalla l.
29.11.2007 n. 222.
Nell'ambito degli enti locali non sussiste
un rigido divieto di partecipazione dei
dirigenti alle commissioni di gara. Infatti,
il rafforzamento del modello della
responsabilità dirigenziale innescato dal
processo di privatizzazione del pubblico
impiego, sottolinea l'opposta esigenza che
il dirigente segua direttamente le procedure
del cui risultato è tenuto a rispondere. In
questa logica va annoverato il disposto
dell'art. 107 del D. L.vo n. 267/2000, che
prevede tra le attribuzioni di competenza
dirigenziale il potere di presiedere le
commissioni di gara e di stipulare i
contratti in correlazione con la
responsabilità per l'esito delle gare
medesime.
Così come non vi è incompatibilità tra le
funzioni di presidente della commissione di
gara e quella di responsabile del
procedimento, analogamente deve ritenersi
nel caso in cui al dirigente di un ente
locale che ha svolto le funzioni di
presidente del seggio e di responsabile del
procedimento sia stato anche attribuito il
compito di approvare gli atti della
commissione di gara, atteso che detta
approvazione non può essere ricompresa nella
nozione di controllo in senso stretto, ma si
risolve in una revisione interna della
correttezza del procedimento connessa alla
responsabilità unitaria del procedimento
spettante alla figura dirigenziale
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.06.2010 n. 3890 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Natura giuridica delle circolari
amministrative.
Le circolari amministrativi sono atti
diretti agli organi ed uffici periferici,
ovvero sottordinati, e non hanno di per sé
valore normativo o provvedimentale o,
comunque, vincolante per i soggetti estranei
all’amministrazione, onde i soggetti
destinatari degli atti applicativi di esse
non hanno alcun onere di impugnativa, ma
possono limitarsi a contestarne la
legittimità al solo scopo di sostenere che
gli atti applicativi sono illegittimi perché
scaturiscono da una circolare illegittima
che avrebbe, invece, dovuto essere
disapplicata (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
30.05.2005, nr. 2768).
Ne discende che una circolare amministrativa
contra legem può essere disapplicata
anche d’ufficio dal giudice investito
dell’impugnazione dell’atto applicativo di
essa (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10.04.2003,
n. 1894) (massima tratta da
www.entilocali.provincia.le.it - Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.06.2010 n. 3877 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Vincolo paesaggistico sopravvenuto -
Opponibilità - Esclusione- Ipotesi - Artt.
139 e 146 d.lgs. n. 42/2004 - Inizio dei
lavori - Factum principis.
Nell’esegesi degli artt. 139 e 146, d.lgs.
n. 42/2004, si deve ritenere che il
sopravvenuto vincolo paesaggistico non è
opponibile, e dunque non impone la richiesta
di autorizzazione paesaggistica:
a) per interventi edilizi che siano già
stati autorizzati sotto il solo profilo
edilizio o anche sotto quello paesaggistico
in virtù di un precedente regime, e di cui
sia già iniziata l’esecuzione;
b) per interventi edilizi che siano già
stati autorizzati sotto il solo profilo
edilizio o anche sotto quello paesaggistico
in virtù di un precedente regime, e per i
quali l’esecuzione non sia iniziata nei
termini assegnati per fatto non imputabile
al soggetto autorizzato.
Invece, il sopravvenuto vincolo
paesaggistico è opponibile, e dunque impone
la richiesta di autorizzazione
paesaggistica:
a) per interventi edilizi che non siano
stati ancora autorizzati nemmeno sotto il
profilo edilizio;
b) per interventi edilizi che siano già
stati autorizzati sotto il solo profilo
edilizio o anche sotto quello paesaggistico
in virtù di un precedente regime, e per i
quali l’esecuzione non sia iniziata nei
termini assegnati per fatto imputabile al
soggetto autorizzato.
All’ipotesi di inizio dei lavori deve
assimilarsi quella in cui l’inizio non vi
sia stato per factum principis non
imputabile all’interessato, ove risulti che
i lavori sarebbero potuti legittimamente e
tempestivamente iniziare (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 17.06.2010 n. 3851 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
TERMINI DI IMPUGNAZIONE DEL P.R.G..
1. Piani urbanistici -
Regolatore generale - Adozione -
Impugnazione - Termini - Decorrenza.
2. Atto amministrativo - Tipologia - Parere
- Natura - Effetti.
1.
Pur non essendo, in generale, richiesta la
notificazione individuale degli strumenti
urbanistici non puntuali, affinché decorra
il termine per la loro impugnazione (Cons.
Stato, sez. VI, 07-10-2008 n. 4823), è
principio e prassi pacifica quella per cui
il termine per impugnare la deliberazione di
adozione del P.R.G. o di una sua variante,
decorre dal momento in cui essa risulti
portata a conoscenza dell'interessato, e non
invece dalla sua pubblicazione, se anteriore
(Cfr. Cons. Stato, sez. V, 24-10-2002 n.
5856; TAR Campania Napoli, sez. VIII,
17-09-2009 n. 4977; TAR Liguria, sez. I,
19-01-2007 n. 69).
2.
La deliberazione che non reitera l'adozione
della variante, ma si limita ad esaminare le
osservazioni successivamente presentate,
fornendo il parere del Comune sulle stesse,
è un atto endoprocedimentale, il quale non
ha contenuto lesivo (Cons. Stato, sez. IV,
08-08-2008 n. 3925), come invece da un canto
il provvedimento comunale di adozione, e,
dall'altro, quello regionale di approvazione
(massima tratta da
http://mondolegale.it
-
TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 17.06.2010 n. 2681 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Strumenti urbanistici -
Osservazioni dei privati - Natura - Mero
apporto collaborativo - Rigetto - Specifica
motivazione - Necessità - Esclusione.
Le osservazioni dei privati sui progetti
sono un mero apporto collaborativo alla
formazione degli strumenti urbanistici e non
danno luogo a peculiari aspettative, con la
conseguenza che il loro rigetto non richiede
una specifica motivazione, essendo
sufficiente che esse siano state esaminate e
ritenute in contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della
formazione del piano (Cons. Stato, sez. IV,
07.07.2008, n. 3358; in senso conforme Tar
Puglia, Bari, 22.10.2008, n. 2357; Tar
Piemonte, sez. I, 29.09.2008, n. 2080; Tar
Campania, Napoli, sez. VIII, 30.07.2008, n.
9582).
Piano di recupero -
Finalità - Interventi edilizi ammissibili -
Recupero cd. pesante - Demolizione e
ricostruzione.
Il piano di recupero è per sua natura
finalizzato ad organizzare razionalmente ed
esteticamente il patrimonio edilizio
esistente, eliminando situazioni di degrado
e di disarmonia: pertanto può tradursi in
interventi edilizi diretti, di volta in
volta, alla conservazione, al risanamento,
alla ricostruzione o comunque ad una
migliore utilizzazione di un preesistente
immobile e può consistere in sole opere di
manutenzione ordinaria e straordinaria o di
restauro, in opere di ristrutturazione più o
meno ampia, sino a giungere ad un recupero
cosiddetto pesante, costituito dalla
demolizione e ricostruzione di un edificio:
ne consegue che dette opere di
ristrutturazione possono legittimamente
tradursi, ancorché entro certi limiti, in un
organismo che per consistenza e
caratteristiche tipologiche rechi persino
connotazioni di novità rispetto all'edificio
preesistente (Tar Toscana, I, 2831/2003).
Piano di recupero -
Strumento urbanistico attuativo - Rapporto
con il piano particolareggiato -
Introduzione di vincoli nuovi rispetto a
quelli esistenti nello strumento urbanistico
generale - Eliminazione di vincoli esistenti
- Possibilità - Esclusione.
Il piano di recupero è notoriamente, sotto
il profilo giuridico, uno strumento
urbanistico sostanzialmente attuativo delle
scelte urbanistiche primarie contenute nel
piano regolatore generale ed è quindi
equivalente al piano particolareggiato, dal
quale si differenzia in quanto finalizzato
piuttosto che alla complessiva
trasformazione del territorio al recupero
del patrimonio edilizio ed urbanistico
esistente con interventi rivolti alla
conservazione, ricostruzione e alla migliore
utilizzazione del patrimonio stesso,così che
in sede di sua modifica non possono essere
introdotti, logicamente oltre che
giuridicamente, vincoli nuovi ed ulteriori
rispetto a quelli esistenti nello strumento
urbanistico generale in vigore, neppure
quanto tale modifica trovi la sua
giustificazione in una richiesta del
privato; allo stesso modo, non possono
essere eliminati vincoli esistenti (CdS, IV,
05.03.2008, n. 922).
Piano di recupero -
Approvazione - Passaggi - L.R. Lombardia n.
23/1997 - Procedura semplificata -
Applicabilità al piano di recupero - Limiti.
I passaggi di cui si compone l’approvazione
di un piano di recupero sono tre:
1) individuazione delle zone dove per le
condizioni di degrado esistente si rende
opportuno il recupero del patrimonio
edilizio ed urbanistico esistente;
2) individuazione degli immobili, situati
all’interno delle zone di cui al punto 1,
per i quali il rilascio della concessione è
subordinato alla formazione di piano di
recupero;
3) approvazione del piano di recupero che
detta i parametri concreti
dell’edificazione.
Non tutte queste tre operazioni possono
essere realizzate con la procedura
semplificata della l.r. Lombardia n.
23/1997.
L’art. 2, co. 2, lett. f), ammette infatti
con tale procedura soltanto le “varianti
finalizzate alla individuazione delle zone
di recupero del patrimonio edilizio
esistente, di cui all’ art. 27 l. 457/1978”,
e cioè soltanto il primo dei tre passaggi
logici di cui consta l’approvazione del
piano di recupero (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 17.06.2010 n. 2329 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Ogni
soggetto deve poter conoscere con precisione
i contenuti e gli autori di segnalazioni,
esposti o denunce che, fondatamente o meno,
possano costituire le basi per l'avvio di un
procedimento ispettivo o sanzionatorio, non
potendo la p.a. procedente opporre
all'interessato esigenze di riservatezza.
La tutela dell'accesso prevale sulla tutela
della riservatezza qualora il primo sia
strumentale alla cura o alla difesa dei
propri interessi giuridici, salvo che
vengano in considerazione dati sensibili o
sensibilissimi.
Il diritto alla riservatezza, pure
costituzionalmente rilevante, non può dunque
essere ricostruito in termini di "diritto
all'anonimato" dell’autore di una
dichiarazione rilevante nell'ambito di un
procedimento destinato ad incidere
sfavorevolmente nella sfera giuridica di
altro soggetto.
Come più volte rilevato in giurisprudenza, “..
nell'ordinamento delineato dalla legge n.
241/1990, ispirato ai principi della
trasparenza, del diritto di difesa e della
dialettica democratica, ogni soggetto deve
poter conoscere con precisione i contenuti e
gli autori di segnalazioni, esposti o
denunce che, fondatamente o meno, possano
costituire le basi per l'avvio di un
procedimento ispettivo o sanzionatorio, non
potendo la p.a. procedente opporre
all'interessato esigenze di riservatezza”
(così TAR Lombardia Brescia, sez. I,
29.10.2008, n. 1469, nello stesso senso
cfr., Cons. Stato Sez. V, 27.05.2008 n.
2511; Sez. VI, 23.10.2007 n. 5569; Sez. VI,
25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007, n.
1699).
Deve essere, infatti, rilevato che l’art. 22
della legge 241/1990 disciplina l’accesso
come principio generale dell’attività
amministrativa e che il successivo art. 24,
al comma 7, stabilisce che "deve comunque
essere garantito ai richiedenti l'accesso ai
documenti amministrativi la cui conoscenza
sia necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici. Nel caso di
documenti contenenti dati sensibili e
giudiziari, l'accesso è consentito nei
limiti in cui sia strettamente
indispensabile e nei termini previsti
dall'art. 60 del decreto legislativo
30.06.2003, n. 196, in caso di dati idonei a
rivelare lo stato di salute e la vita
sessuale".
In sostanza nell’attuale sistema la tutela
dell'accesso prevale sulla tutela della
riservatezza qualora il primo sia
strumentale alla cura o alla difesa dei
propri interessi giuridici, salvo che
vengano in considerazione dati sensibili o
sensibilissimi (cfr. ex multis,
Consiglio Stato, sez. VI, 23.10.2007, n.
5569).
La denuncia e l'esposto, del resto, non
possono essere considerati un fatto
circoscritto al solo autore,
all'Amministrazione competente al suo esame
e all'apertura dell'eventuale procedimento,
ma riguardano direttamente anche i soggetti
"denunciati", i quali ne risultano
comunque incisi (così, TAR Lombardia,
Brescia, 1469/2008, cit.).
In conclusione il diritto alla riservatezza,
pure costituzionalmente rilevante, non può
dunque essere ricostruito in termini di "diritto
all'anonimato" dell’autore di una
dichiarazione rilevante nell'ambito di un
procedimento destinato ad incidere
sfavorevolmente nella sfera giuridica di
altro soggetto
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 16.06.2010 n. 14859 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Provvedimento vincolistico - Efficacia -
Trascrizione nei registri immobiliari -
Notificazione nei confronti di tutti i
comproprietari - Necessità - Esclusione.
L’efficacia del provvedimento vincolistico
di cui al d.lgs. n. 42/2004 non è
subordinata alla notificazione dell’atto,
bensì alla sua trascrizione nei registri
immobiliari; in ogni caso, è sufficiente la
notificazione dello stesso anche a uno solo
dei comproprietari o possessori
dell’immobile avendo detta dichiarazione
d’interesse natura reale (v. Cons. Stato,
sez. IV, 7/11/2002 n. 6067; TAR Emilia
Romagna, Bologna, Sez. II, 13/09/2006) (TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 16.06.2010 n. 5717 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
TAR Lombardia: gara per
l'affidamento del PGT e rinnovazione delle
procedure.
Con
sentenza 16.06.2010 n. 1853 la
Sez. I del TAR Lombardia, Milano, ha fissato
alcuni importanti principi in tema di
affidamento di incarichi per la redazione
dei Piano di Governo del Territorio (PGT).
In primo luogo:
- l'onere di indicare in una procedura
selettiva i criteri di valutazione
dell’offerta dei partecipanti, con
riferimento alle prestazioni che formano
oggetto specifico della gara, costituisce
applicazione di un inderogabile principio di
trasparenza amministrativa oramai
affermatosi con la L. n. 241/1990, la cui
inosservanza vizia irrimediabilmente
l’azione della p.a..
Di conseguenza, vanno annullati gli atti di
gara se risulta inequivocabilmente che la
Commissione giudicatrice non ha formulato
criteri di massima per l’assegnazione dei
punteggi.
In secondo luogo:
- in caso di annullamento in sede
giurisdizionale dell'aggiudicazione in
pubbliche competizioni, l'operare congiunto
dei principi di segretezza delle offerte nei
procedimenti di aggiudicazione e del
principio di conservazione dell'atto
amministrativo fa sì che la rinnovazione
della gara conseguente all’annullamento
dell’aggiudicazione debba retroagire in modo
diverso a seconda del criterio previsto per
l'aggiudicazione; infatti, nel caso in cui
l'aggiudicazione sia effettuata in base a
criteri oggettivi e vincolati, è sufficiente
rinnovare la fase di valutazione delle
offerte mentre, nel caso, di aggiudicazione
basata su apprezzamenti discrezionali, è
necessario rinnovare l'intero procedimento
di gara, a partire dalla stessa fase della
presentazione delle offerte.
Ne consegue che la decisione del Comune di
procedere all’annullamento in autotutela
dell’intera procedura, all’esito dei profili
di illegittimità evidenziati dal Tribunale
nell’ordinanza cautelare, appare immune da
vizi logici e correttamente motivata sia
sotto il profilo sostanziale che in
relazione all’interesse pubblico sotteso
all’annullamento.
In terzo luogo:
- l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 ed il
connesso obbligo procedimentale di
comunicazione dei motivi ostativi
all'accoglimento dell'istanza a carico
dell'amministrazione non opera con
riferimento ai procedimenti di riesame
finalizzati al controllo di legittimità, da
parte dell'amministrazione, del
provvedimento di primo grado sospeso, come
nel caso di specie, da un’ordinanza
cautelare del giudice amministrativo.
In quarto luogo:
- l’avvenuta riedizione della selezione
senza che i ricorrenti vi abbiano
partecipato, esclude, vieppiù, che gli
stessi possano vantare un diritto al
risarcimento del danno anche per la sola
perdita di chance.
Non sussiste, infatti, danno da perdita di
chance risarcibile allorché
l'amministrazione conservi, come nel caso di
specie, anche dopo l'annullamento dell'atto
illegittimo, significativi spazi di
discrezionalità amministrativa circa il
rinnovo della gara (link a http://studiospallino.blogspot.com). |
APPALTI SERVIZI:
Il divieto di cui al c. 9
dell'art. 23-bis del D.L. n. 112/2008,
convertito con L. n. 133/2008 e ss.mm., non
si applica alle società miste previste dal
c. 2, lett. b), del medesimo articolo.
L'affidamento a società mista costituita con
le modalità indicate dal c. 2, lett. b),
dell'art. 23-bis del D.L. n. 112/2008,
convertito con Legge n. 133/2008 e ss.mm.,
si appalesa, ai fini della tutela della
concorrenza e del mercato, del tutto
equivalente a quello mediante pubblica gara,
sicché risulterebbe irragionevole ed
immotivata -anche alla luce dei principi
dettati dall'Unione Europea in materia di
partenariato pubblico privato (v.
Comunicazione interpretativa della
Commissione sull'applicazione del diritto
comunitario degli appalti pubblici e delle
concessioni ai partenariati pubblico-privati
istituzionalizzati (PPPI) 2008/C91/02 in
G.U.C.E. del 12.04.2008- l'applicazione nei
confronti di società della specie del
divieto di partecipazione alla gare bandite
per l'affidamento di servizi diversi da
quelli in esecuzione.
Va dunque preferita l'interpretazione della
disposizione -pure consentita dalla sua
lettera- nel senso che il divieto in parola
si applica solamente alle società che già
gestiscono servizi pubblici locali a seguito
di affidamento diretto o comunque a seguito
di procedura non ad evidenza pubblica, con
la precisazione che rientrano nel concetto
di evidenza pubblica ("ovvero") anche
le società previste dal c. 2, lett. b),
dell'art. 23-bis, cit. (TAR Calabria-Reggio
Calabria,
sentenza 16.06.2010 n. 561 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'iscrizione
nel casellario informatico, relativa al
provvedimento di esclusione di un
concorrente, per asserito collegamento
sostanziale con altra impresa.
Sulla necessità di assicurare garanzie
partecipative in ordine al procedimento di
iscrizione presso il casellario informatico.
La notizia relativa all'esclusione di alcune
imprese, in quanto legate da un collegamento
sostanziale che rivela l'imputazione delle
relative offerte ad un unico centro
decisionale, merita di essere annotata e
pubblicata, per mezzo della sua iscrizione,
ex art. 27, d.P.R. n. 34/2000, nel
casellario informatico in quanto idonea a
segnalare una circostanza di estrema
rilevanza per la corretta conduzione delle
procedure di affidamento dei lavori
pubblici. L'esclusione di due o più imprese
per collegamento sostanziale è oggetto di
interesse ai fini dell'inserimento di tali
dati nel casellario informatico, ai sensi
dell'art. 27, c. 2, lett. t), d.P.R. n.
34/2000, in quanto consente alle stazioni
appaltanti di escludere, in via di
autotutela, dalle proprie gare, le imprese
oggetto di annotazione, qualora ricorrano
oggettivi dubbi sulla serietà e indipendenza
delle offerte, valutazione che, ovviamente,
non può che essere effettuata a posteriori.
La soluzione a cui è pervenuta in via
esegetica la giurisprudenza amministrativa,
in applicazione dell'art. 27, d.P.R. n.
34/2000, trova conferma nello schema di
regolamento, che, nell'indicare i dati da
iscrivere nel casellario informatico, sia
per le imprese qualificate con il sistema
SOA, sia per le altre imprese, menziona i <provvedimenti
di esclusione dalle gare, ai sensi delle
vigenti disposizioni in materia>, senza
alcuna distinzione di tipologia (art. 8, c.
2, lett. r, schema di regolamento).
In tema di garanzie partecipative quanto al
procedimento di iscrizione nel casellario
informatico, la giurisprudenza ha affermato
che esse sono, in linea di principio, sempre
dovute, salvo ad ammettere equipollenti
quando la segnalazione da parte della
stazione appaltante e la conseguente
iscrizione sono un atto dovuto. Si è infatti
affermato che dell'avvio del procedimento di
iscrizione di dati nel casellario
informatico presso l'Autorità di vigilanza
deve essere notiziato l'interessato, anche
quando la trasmissione di atti al
casellario, da parte delle stazioni
appaltanti, è dovuta in adempimento di
disposizioni di legge, attese le conseguenze
rilevanti che derivano da tale iscrizione e
l'indubbio interesse del soggetto
all'esattezza delle iscrizioni. Invero, né
dalla l. n. 241/1990, né dal sistema della
legislazione sui pubblici appalti, si desume
una deroga al principio generale dell'avviso
di avvio del procedimento, quanto allo
specifico procedimento di iscrizione dei
dati nel casellario informatico presso
l'Osservatorio. Anzi, una conferma della
necessità di garantire la partecipazione
(mediante avviso di avvio del procedimento e
mediante contraddittorio) nel procedimento
di iscrizione di dati e notizie nel
casellario informatico si desume proprio
dalla determinazione n. 1/2008 dell'Autorità
di vigilanza sui contratti pubblici, che ha
istituito il casellario informatico per
servizi e forniture (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 15.06.2010 n. 3754 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
URBANISTICA:
Piani di lottizzazione - Varianti
- Regione Piemonte - P.E.C. - Necessario
coinvolgimento di tutti i proprietari
interessati - Necessità dell’unanimità -
Esclusione.
Le varianti ai piani di lottizzazione, a cui
possono essere apparentati in Piemonte i
P.E.C., richiedono “il necessario
coinvolgimento di tutti i proprietari
interessati al piano, che abbiano
sottoscritto la convenzione” (Consiglio
di Stato, Sez. IV, 27.06.2008, n. 3255).
Il principio della partecipazione di tutti i
privati interessati dal PEC “non implica
affatto la necessità sempre e comunque
dell’unanimità dei proprietari, essendo
sufficiente il rispetto della partecipazione
procedimentale e contemplando l’ordinamento
gli strumenti per superare l‘eventuale
dissenso di singoli interessati” (TAR
Piemonte n. 4741/2009) (TAR Piemonte, Sez.
I,
sentenza 15.06.2010 n. 2847 -
link a www.ambientediritto.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI -
URBANISTICA:
Adozione di piani urbanistici -
Consiglieri comunali - Obbligo di astensione
- Limiti ed estensione - Art. 78, c. 2 TUEL.
L’art. 78, comma 2 del TUEL dispone che “Gli
amministratori di cui all'art. 77, comma 2,
devono astenersi dal prendere parte alla
discussione ed alla votazione di delibere
riguardanti interessi propri o di loro
parenti o affini sino al quarto grado”.
La norma prosegue escludendo dall’obbligo di
astensione l’adozione dei piani urbanistici,
stabilendo all’uopo che “L'obbligo di
astensione non si applica ai provvedimenti
normativi o di carattere generale, quali i
piani urbanistici, se non nei casi in cui
sussista una correlazione immediata e
diretta fra il contenuto della deliberazione
e specifici interessi dell'amministratore o
di parenti o affini fino al quarto grado”.
Nella dizione “piani urbanistici”
rientrino sicuramente i piani di
lottizzazione e i piani esecutivi
convenzionati, rispetto ai quali, dunque, ai
fini di predicare l’obbligo di astensione
dei consiglieri comunali occorre appurare
l’emergenza di un nesso particolare, dato da
una correlazione diretta e immediata tra il
contenuto della delibera e specifici
interessi dell’amministratore o di suoi
parenti o affini fino al quarto grado (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 15.06.2010 n. 2847 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
ESCLUSIONE PER MANCANZA DEL
REQUISITO DELLA REGOLARITA' FISCALE: QUANDO
E' LEGITTIMA?
1. Giudizio
amministrativo - Procedura - Ricorso -
Inammissibilità - In caso di petitum
generico - Insussistenza - Ragioni.
2. Appalto di lavori - Partecipazione e
qualificazione - Interpretazione art. 75, co.
1, lett e), D.P.R. 21.12.1999 n. 554 -
Conseguenze - Esclusione - Gara - Solo se le
infrazioni sono accertate in modo definitivo
- Ragioni.
1.
Alla stregua dell'art. 6, co. 1, n. 3, R.D.
642/1907 (richiamato dall'art. 19 della L.
TAR) che impone precisi oneri formali nella
redazione del ricorso, e delle disposizioni
di cui agli artt. 21-septies e nonies, L. n.
241/1990 che distinguono i vizi comportanti
la "nullità" da quelli causa di "annullabilità",
non può essere qualificato inammissibile il
gravame redatto con un petitum ampio
nel quale si chieda genericamente al giudice
di accertare l'invalidità (quale categoria
generale) dell'atto impugnato, disponendone
contestualmente la rimozione dal mondo
giuridico, senza specificare se l'effetto
demolitivo della sentenza debba essere
ricondotto alla sussistenza di cause di
"nullità" o di "annullabilità" dell'atto
stesso.
2.
Le infrazioni agli obblighi derivanti dalle
norme a disciplina dei rapporti di lavoro
-come a quelli sulla sicurezza o in materia
di imposte e tasse- possono giustificare
l'esclusione da una gara d'appalto sole se
accertate in modo "definitivo", tale
dovendosi intendersi l'espressione "debitamente
accertate" di cui all'art. 75, co. 1,
lett. e), D.P.R. 21.12.1999 n. 554,
dovendosi altrimenti dubitare della
conformità della disposizione in esame ai
principi di cui agli art. 3 e 97, Cost., sia
perché inspiegabilmente diversa
dall'ipotesi, sostanzialmente identica, di
cui alla successiva lett. d), sia per
violazione del principio di legalità ed
imparzialità dell'azione amministrativa, dal
momento che sarebbero sottoposti a "preventiva"
esclusione comportamenti che ben possono,
poi, risultare non solo affatto illeciti, ma
anche "indebitamente" accertati (TAR
Marche Ancona n. 292/2005; TAR Campania
Salerno n. 2176/2008; TAR Lazio Roma n.
7842/2008) (massima tratta da
http://mondolegale.it
-
TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 11.06.2010 n. 2285 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire in lotto
intercluso. Spetta in ogni caso al Comune
una valutazione discrezionale per accertare
la necessità della pianificazione
urbanistica di dettaglio.
Il Consiglio di Stato ha fornito il proprio
orientamento sui requisiti per il rilascio
del permesso di costruire per un «lotto
intercluso», senza l’approvazione dello
strumento urbanistico attuativo previsto
dalle NTA del PRG.
Ai sensi dell’art. 9 del D.P.R. 380/2001
costituisce regola generale ed imperativa,
in materia di governo del territorio, il
rispetto delle previsioni del PRG che
impongano, per una determinata zona, la
pianificazione di dettaglio. Tali
prescrizioni, di solito contenute nelle NTA,
sono vincolanti e idonee ad inibire
l’intervento diretto costruttivo.
A fronte di tale principio fondamentale e
dei suoi corollari, la prassi
giurisprudenziale ha coniato una deroga
eccezionale, dagli incerti confini, in
presenza di una peculiare situazione di
fatto che ha preso il nome di «lotto
intercluso». Tale fattispecie si
realizza, secondo una preferibile rigorosa
impostazione, allorquando l’area edificabile
di proprietà del richiedente:
• sia l’unica a non essere stata ancora
edificata;
• si trovi in una zona integralmente
interessata da costruzioni;
• sia dotata di tutte le opere di
urbanizzazione (primarie e secondarie),
previste dagli strumenti urbanistici;
• sia valorizzata da un progetto edilizio
del tutto conforme al PRG.
In sintesi si consente l’intervento
costruttivo diretto purché si accerti la
sussistenza di una situazione di fatto
perfettamente corrispondente a quella
derivante dall’attuazione del piano
esecutivo, allo scopo di evitare defatiganti
attese per il privato ed inutili dispendi di
attività procedimentale per l’ente pubblico.
Stante la natura eccezionale della regola
sopra illustrata la Corte ha chiarito che ai
fini del rilascio di un permesso di
costruire per un «lotto intercluso»,
senza l’approvazione dello strumento
urbanistico attuativo previsto dalle NTA del
PRG, occorre in ogni caso:
• una valutazione circa la congruità del
grado di urbanizzazione della zona, rimessa
alla valutazione discrezionale ed esclusiva
del Comune;
• una completa istruttoria volta ad
accertare che la pianificazione esecutiva
non conservi una qualche utile funzione,
anche in relazione a situazioni di degrado
che possano recuperare margini di efficienza
abitativa, riordino e completamento
razionale, ovvero non sia in grado di
esprimere scelte programmatorie distinte
rispetto a quelle contenute nel PRG.
(commento tratto da
www.legislazionetecnica.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 10.06.2010 n. 3699 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
LE IMPRESE PARTECIPANTI A UNA
GARA DEVONO SAPERE PRIMA COME SARA' VALUTATA
LA LORO OFFERTA?
Appalto pubblico (in
generale) - Criteri e principi - Necessaria
predeterminazione dei criteri selettivi ex
art. 30, co. 3, D.Lgs. n. 163/2006 -
Interpretazione - Relativi sia alla
qualificazione dell'offerente che alla
valutazione della relativa offerta -
Ragioni.
L'articolo 30, co. 3, del D.Lgs. n.
163/2006, che ribadisce la necessaria
predeterminazione dei criteri selettivi, va
inteso nel senso che essi sono non solo
quelli relativi alla qualificazione
dell'offerente, ma anche alla valutazione
della relativa offerta, trattandosi pur
sempre di attività selettiva.
In ordine ai poteri di cui dispone, al
riguardo, la commissione aggiudicatrice,
occorre evidenziare che il diritto
comunitario non osta a che una commissione
aggiudicatrice attribuisca un peso relativo
ai sub elementi di un criterio di
aggiudicazione, purché tale criterio sia
stato stabilito precedentemente, effettuando
una ripartizione tra questi ultimi del
numero di punti già previsti per il detto
criterio dall'amministrazione aggiudicatrice
al momento della redazione del capitolato
d'oneri o del bando di gara (Cfr. C.G.E.,
sez. II, 24-11-2005 in C-331/04; C.G.E.,
sez. I, 06-04-2006 n. 410; vedi anche TAR
Lombardia Brescia, sez. I, 18-10-2007 n.
908) (nel caso di specie, il Collegio ha
ritenuto che, mancando ogni
predeterminazione (in sede di bando) dei
punteggi relativi ai criteri di valutazione,
è evidente la violazione del principio di
trasparenza, contenendo, l'atto della
Commissione, elementi che, se fossero stati
noti al momento della preparazione delle
offerte, avrebbero sicuramente influenzato
dette offerte) (massima tratta da
http://mondolegale.it
-
TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 10.06.2010 n. 2751 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
ASSESSORE ILLEGITTIMAMENTE
REVOCATO: SE LA REINTEGRA NON E' PIU'
POSSIBILE, CI SI ACCONTENTA DEL RISARCIMENTO
MORALE!
1. Comune e provincia -
Organi - Assessori - Revoca dell'incarico -
Interesse all'impugnazione - Permane anche
se la reintegra non e' più possibile.
2. Comune e provincia - Organi - Assessori -
Atti di nomina e revoca - Non rientrano
nella categoria degli atti politici.
3. Comune e provincia - Organi - Giunta
Comunale - Funzioni - Atti del sindaco -
Natura - Sindacabilita' - Limiti - Ragioni.
1.
L'interesse al ricorso proposto
dall'assessore revocato permane anche quando
la reintegra nella carica non e' più'
possibile, ad esempio perché la coalizione
che allora governava e' passata
all'opposizione, e ciò sotto una duplice
prospettiva.
In primo luogo, non vi e' dubbio che
l'assessore revocato potrebbe agire per
ottenere gli arretrati delle indennità
pertinenti alla carica illegittimamente
revocata. In secondo luogo, non e' da
escludere l'attualità dell'interesse morale
volto ad ottenere una pronuncia che, qualora
fosse riconosciuta l'illegittimità del
comportamento del Sindaco, renderebbe
giustizia del discredito subito all'epoca
dei fatti a causa della circostanza di
essere stato revocato, specie se tale
interesse morale e' evincibile da quanto
argomentato nel ricorso.
2.
Gli atti di nomina e di revoca degli
assessori comunali non possono farsi
rientrare nella nozione degli atti politici
per i quali l'articolo 31, Regio Decreto n.
1054/1924 -a norma del quale il ricorso
giurisdizionale non e' ammesso se trattasi
di atti o provvedimenti emanati dal Governo
nell'esercizio del potere politico- non
consente l'impugnazione giurisdizionale
(cfr. Cons. Stato, sez. V, dec. n. 209/2007)
atteso che non possono essere definiti come
espressione della libertà politica commessa
dalla Costituzione ai supremi organi
decisionali dello Stato per la soddisfazione
di esigenze unitarie ed indivisibili a
questo inerenti (cfr. Cons. Stato cit.).
Ed invero non si tratta di atti liberi nei
fini, caratteristica propria degli atti
politici bensì di veri e propri atti
amministrativi, pur espressione di ampia
discrezionalità, i quali sono
funzionalizzati ai fini previsti dalla
legge.
3.
In base all'art. 48, Decreto Legislativo n.
267/2000, la Giunta comunale presieduta dal
Sindaco ha una competenza di carattere
residuale, rientrando nella sua sfera di
attribuzioni tutti gli atti che non siano
riservati dalla legge al Consiglio comunale
o che non ricadano nelle competenze,
previste dalle leggi o dallo statuto, del
Sindaco o di altri organi di decentramento e
che essa quindi, non risulta abilitata alla
direzione al massimo livello
dell'amministrazione comunale, spettando
alla competenza del Consiglio comunale le
funzioni di indirizzo e di controllo
politico-amministrativo nonché il compimento
degli atti fondamentali concernenti
l'amministrazione ed in generale, la vita
dell'Ente locale (cfr.Cons. Stato, sez. IV,
n. 6358/2007; Cons. Stato, sez. V, n.
7058/2005).
Ne discende che gli atti posti in essere dal
Sindaco, tra cui gli atti di nomina e di
revoca degli assessori comunali, non possono
essere considerati liberi nei fini e per
ci0' solo, sottratti al sindacato
giurisdizionale di legittimità in quanto
mantengono la natura di atti amministrativi
pur essendo denotati da ampia
discrezionalità, non diversamente dai
cosiddetti atti di alta amministrazione.
Essi sono quindi sottoponibili al sindacato
giurisdizionale in ossequio alla norma
generale di cui all'art. 113, Costituzione,
quantomeno entro gli stretti ambiti di un
giudizio di non manifesta irragionevolezza o
arbitrarietà (cfr. Cons. Stato, sez. V, n.
3646/2009; TAR Campania Napoli, sez. I, n.
2890/2009) (massima tratta da
http://mondolegale.it
-
TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 10.06.2010 n. 2741
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
OFFERTA TECNICA: ESCLUSIONE PER
CARENZE DOCUMENTALI?
1. Verifica della
documentazione amministrativa e verifica
della documentazione tecnica: differenze e
conseguenze.
2. Appalto di servizi - Documentazione -
Sommaria verifica sulla presenza o meno
della documentazione tecnica - Rende
illegittimo il provvedimento di esclusione.
1.
La commissione di gara ha indubbiamente la
facoltà di escludere da una licitazione
privata una società per aver ritenuto che
l'offerta tecnica presentata dalla medesima
fosse mancante della documentazione che
specifichi il sistema organizzativo di
erogazione del servizio per tutte le
tipologie di aree e gli indici di rischio,
quando sia concretamente riscontrabile una
carenza essenziale del contenuto o delle
modalità di presentazione dell'offerta
tecnica.
L'esclusione tuttavia presuppone
necessariamente un'approfondita e diffusa
valutazione dell'offerta, nella sua
globalità, al fine di accertare l'effettiva
insussistenza di quei requisiti minimi di
valutabilità, che non la rendono meritevole
di partecipare al procedimento concorsuale
atteso che la decisione, rimessa alla
discrezionalità tecnica della commissione,
richiede un accertamento diverso e ben più
approfondito di quello che di norma, è
necessario per verificare il possesso o meno
in capo ai candidati che hanno presentato
offerta dei requisiti soggettivi di
partecipazione.
Le operazioni di verifica della
documentazione amministrativa si sostanziano
infatti, in mero accertamento di carattere
vincolato. Al contrario, quelle di verifica
della documentazione tecnica, al fine di
riscontrarne la completezza del contenuto e
di conseguenza la sua rispondenza ai
requisiti della lex specialis,
implicano valutazioni che pur non essendo
ancora mirate ad apprezzarne la qualità, si
sostanziano tuttavia in operazioni tecniche
preordinate a collocare il progetto proposto
al di sopra o al di sotto di una soglia
minima di idoneità tecnica.
Tali valutazioni sono quindi connotate dal
requisito della opinabilità e censurabili in
sede giurisdizionale per irragionevolezza,
illogicità, incongruità ed erroneità dei
presupposti di fatto.
2.
In sede di gara per l'aggiudicazione di un
appalto di servizi, la decisione di
escludere un'impresa per carenza essenziale
del contenuto dell'offerta non può essere
sbrigativamente emessa all'esito di una
sommaria e superficiale verifica della
presenza o meno nella busta contente la
documentazione tecnica, della relazione
tecnica sul sistema organizzativo di
erogazione del servizio.
Il provvedimento di esclusione implica
invece l'integrale lettura di tutta la
documentazione ivi contenuta, viepiù quando
le modalità della sua composizione non sono
tassativamente stabilite a pena
d'esclusione, ma unicamente indicate onde
facilitarne l'esame e la valutazione da
parte della commissione (massima tratta da
http://mondolegale.it
-
TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 10.06.2010 n. 2740 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Regolarità contributiva -
Esclusione dalla procedura - Termine entro
cui va dimostrato il possesso dei requisiti
prescritti - Individuazione - Scadenza del
termine di presentazione delle domande.
E’ legittimo il provvedimento di esclusione
dalla procedura, quando risulta, attraverso
la verifica delle attestazioni rese in sede
di gara che -contrariamente a quanto
dichiarato- alla scadenza del termine
previsto dal bando per la presentazione
delle offerte la ricorrente non possedeva il
prescritto requisito della regolarità
contributiva.
Secondo la normativa nazionale vigente, il
termine ultimo entro il quale le ditte
invitate a partecipare alla gara hanno
l’obbligo di dimostrare il possesso dei
requisiti prescritti (tra cui quello della
regolarità contributiva), va fatto
coincidere con la scadenza del termine di
presentazione delle domande (cfr. TAR Lazio
Roma, sez. III-quater - 14/08/2008 n. 7842;
si veda anche TAR Sardegna, Sez. I -
13/03/2008 n. 458).
Regolarità contributiva
- Violazioni - Esclusione automatica -
Inconfigurabilità - Canone teleologico -
Principio di concorrenza.
In presenza di violazioni, definitivamente
accertate, rispetto agli obblighi relativi
al pagamento delle imposte e tasse secondo
la legislazione italiana, non è integrata
una fattispecie di esclusione automatica
dell’impresa concorrente che le ha commesse,
a prescindere dalla loro valutazione in
concreto.
La posizione tributaria deve essere valutata
alla stregua della del canone teleologico,
che esclude che, in presenza di violazioni
di scarso rilievo, sia inciso il
generalissimo principio di concorrenza,
quale principio fondante dell’ordinamento
comunitario; soltanto l’esistenza, quindi,
di una globale situazione, quale risultato
finale dell’apprezzamento da compiersi con
l’applicazione del principio di
proporzionalità, integra quella situazione
di obiettiva inaffidabilità dell’impresa, la
cui determinazione anche in sede
giurisdizionale è imposta dall’art. 2 comma
1 del D. Lgs. 163/2006 sia per gli appalti “sopra”
che “sotto” soglia comunitaria (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 10.06.2010 n. 2305 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Documentazione prodotta -
Integrazione ammissibile - Limiti.
L’integrazione ammissibile in sede di gara
su richiesta della stazione appaltante -allo
scopo di far prevalere la sostanza sulla
forma- si rivela finalizzata unicamente ad
ottenere precisazioni in ordine alla
documentazione prodotta, in vista della
sanatoria di eventuali irregolarità formali;
una tale facoltà non può estendersi al caso
in cui l’incompletezza o la non conformità
alle prescrizioni di gara riguardi l’offerta
tecnica ed economica, perché altrimenti
verrebbe ad essere violato il principio
della par condicio dei concorrenti mediante
la modificazione postuma dell’offerta, con
conseguente inammissibile incidenza sulla
sostanza e non più solo sulla forma (TAR
Emilia Romagna Parma, sez. I - 06/02/2008 n.
90; Consiglio di Stato, sez. V - 11/12/2007
n. 6403) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 10.06.2010 n. 2305 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
mutamento della destinazione del fabbricato
da residenziale a terziario, realizzato
senza opere edilizie, non è soggetto a
concessione edilizia ma resta pur sempre
subordinato al pagamento dei maggiori oneri
di urbanizzazione.
In ipotesi di variazione di destinazione
d'uso di un immobile non accompagnata dalla
realizzazione di opere, non sussiste il
presupposto per il pagamento della parte di
contributo afferente al costo di
costruzione, da riferire al dato oggettivo
della realizzazione dell'edificio
(ndr: fattispecie ante L.R. n. 12/2005).
Questo Tribunale (TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 17.02.1999 n. 611) ha escluso che
sia soggetto al rilascio della concessione
in sanatoria il cambio di destinazione d’uso
in assenza di opere edilizie (c.d. cambio di
destinazione d’uso funzionale).
E’ infatti noto che, secondo giurisprudenza
consolidata, il mutamento di destinazione
d’uso degli immobili non accompagnato da
lavori edili costituisce espressione dello
ius utendi e non dello ius
aedificandi ed è pertanto escluso
dall’ambito delle attività soggette a
concessione edilizia (cfr., ex pluribus,
CdS V 18/01/1988 n. 8; id., IV 23/11/1985 n.
551; id., 01/10/1993 n. 818; TAR Lombardia I
n. 1782/1996, II nn. 66/88, 596/1993,
439/1995, 664/96, 127/1997, 1184/1998, III
n. 441/1993).
La fattispecie non si presta quindi ad
essere disciplinata dall’art. 13 della l. n.
47/1985, così come ha disposto il Comune.
Il mutamento della destinazione del
fabbricato da residenziale a terziario,
realizzato senza opere edilizie, non è
quindi soggetto a concessione, ma resta pur
sempre subordinato al pagamento dei maggiori
oneri contributivi.
Infatti non esiste un collegamento
necessario tra il rilascio di un titolo
concessorio in sanatoria ed il pagamento
degli oneri di urbanizzazione. La
giurisprudenza (TAR Lombardia, Brescia,
10.03.2005, n. 145) ha chiarito che il
fondamento del contributo di urbanizzazione
non consiste nell'atto amministrativo in sé
bensì nella necessità di ridistribuire i
costi sociali delle opere di urbanizzazione,
facendoli gravare sugli interessati che
beneficiano delle utilità derivanti dalla
presenza delle medesime, secondo modalità
eque per la comunità (cfr. TAR Veneto, sez.
II – 13/11/2001 n. 3699).
Pertanto, anche nel caso della modificazione
della destinazione d'uso cui si correla un
maggior carico urbanistico, è integrato il
presupposto che giustifica l’imposizione al
titolare del pagamento della differenza tra
gli oneri di urbanizzazione dovuti per la
destinazione originaria e quelli, se più
elevati, dovuti per la nuova destinazione
impressa: il mutamento è rilevante
allorquando sussiste un passaggio tra due
categorie funzionalmente autonome dal punto
di vista urbanistico, qualificate sotto il
profilo della differenza del regime
contributivo in ragione di diversi carichi
urbanistici, cosicché la circostanza che le
modifiche di destinazione d’uso senza opere
non sono soggette a preventiva concessione o
autorizzazione sindacale non comporta
ipso jure l’esenzione dagli oneri di
urbanizzazione e quindi la gratuità
dell’operazione (cfr., in tal senso, TAR
Lombardia, Brescia 23/01/1998 n. 34).
Analogamente l’art. 5 c. 2 della L.R.
60/1977 stabilisce che le modificazioni
delle destinazioni d'uso comportano, per
quanto attiene all'incidenza degli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria, un
contributo commisurato sia alla eventuale
maggior somma determinata in relazione alla
nuova destinazione rispetto a quella che
sarebbe dovuta per la destinazione
precedente.
Tuttavia, a differenza di quanto effettuato
dal Comune, non può applicarsi la
quantificazione degli oneri prevista
dall’art. 13 della L. 47/1985, che prevede
il raddoppio degli oneri di urbanizzazione,
in quanto il pagamento di tale contributo
prescinde dal rilascio del titolo
abilitativo in sanatoria.
Ne consegue che il provvedimento comunale
deve essere annullato con riferimento alle
somme pagate a titolo di oneri di
urbanizzazione in quanto l’amministrazione
ha provveduto alla quantificazione secondo
disposizioni non applicabili al caso di
specie e dovrà provvedere ad una nuova
determinazione conformandosi a quanto
previsto dall’art. 5, c. 2, della L.R.
60/1977.
Deve inoltre accogliersi il motivo di
ricorso nella parte in cui contesta il
pagamento del contributo di costruzione.
Questa sezione ha infatti stabilito che in
ipotesi di variazione di destinazione d'uso
di un immobile non accompagnata dalla
realizzazione di opere, “non sussiste il
presupposto per il pagamento della parte di
contributo afferente al costo di
costruzione, da riferire al dato oggettivo
della realizzazione dell'edificio” (TAR
Lombardia, Milano, sez. IV, 04.05.2009 n.
3604; TAR Lazio Roma, sez. II, 17.05.2005,
n. 3844).
Infatti, il contributo relativo al costo di
costruzione (art. 6 L. 28.01.1977 n. 10) è
riconducibile all'attività costruttiva ex
se considerata e, correlandosi
direttamente all'uso edificatorio del suolo
e ai potenziali vantaggi economici che ne
discendono, è sostanzialmente configurabile
alla stregua dei prelievi di natura
paratributaria ed è dovuto solo in presenza
di una trasformazione edilizia del
territorio e in conseguenza della produzione
di ricchezza connessa alla sua
utilizzazione.
Avendo nel caso in questione la ricorrente
provveduto, verosimilmente, al pagamento del
costo di costruzione al momento del rilascio
della concessione con destinazione
residenziale si deve escludere la debenza di
questa voce contribuitiva per il cambiamento
di destinazione d’uso senza opere
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 10.06.2010 n. 1787 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Mancata
individuazione del responsabile - Adozione
delle misure necessarie alla
decontaminazione del sito - Legittimità -
Piano di caratterizzazione - Obiettivi.
La circostanza che la pubblica
amministrazione non sia riuscita a
determinare l’effettiva responsabilità
dell’inquinamento non può valere ad impedire
e rendere illegittima l’adozione delle
misure necessarie per procedere alla
decontaminazione del sito, impregiudicata la
questione relativa al definitivo accollo
delle relative spese.
Tra l’altro, tra gli obiettivi del piano di
caratterizzazione vi è anche l’accurata
definizione della situazione di
inquinamento, da cui è possibile trarre dati
che consentano di determinarne le cause
precise e quindi di individuare il soggetto
al quale va addossata la relativa
responsabilità.
INQUINAMENTO - Piano di
caratterizzazione - Valutazioni in ordine
all’idoneità - Discrezionalità tecnica -
Sindacato giurisdizionale - Limiti.
Qualsiasi valutazione in ordine alla
idoneità del piano di caratterizzazione
approvato e del suo crono programma impinge
nel merito di valutazioni
tecnico-discrezionali rimesse ai competenti
organi tecnici dell’amministrazione e
sottratte al sindacato giurisdizionale di
legittimità se non per macroscopica
irragionevolezza.
INQUINAMENTO -
Situazione di inquinamento storico - Art.
242 d.lgs. n. 152/2006 - Procedure - Comune
territorialmente competente - Realizzazione
d’ufficio - Art. 250 d.lgs. n. 152/2006.
Rilevata una situazione di inquinamento
storico, come previsto dall’art. 242 c.1.
del d.lgs. 152/2006, devono necessariamente
essere effettuati gli adempimenti che la
stessa norma elenca per porre rimedio alla
rilevata contaminazione del sito; pertanto,
in caso in cui i responsabili della
situazione di inquinamento non siano
individuabili e non provvedano né il
proprietario del sito né altri soggetti
interessati, le procedure e gli interventi
di cui all'articolo 242 devono essere
realizzati d'ufficio dal comune
territorialmente competente, come previsto
dall’art. 250 dello stesso d.lgs..
INQUINAMENTO -
Proprietario dell’area - Messa in sicurezza
- Affermata disponibilità a realizzare gli
interventi - Insufficienza - Iter
procedimentale ex art. 242 d.lgs. n.
152/2006 - Attivazione d’ufficio.
L’affermata “disponibilità” del
proprietario dell’area inquinata a mettere
in sicurezza l’area, non risponde, neanche
come sequenza procedimentale, agli
adempimenti richiesti dall’art. 242 del
d.lgs. n. 152/2006 (che prevedono,
nell’ordine: caratterizzazione del sito,
analisi di rischio e infine la definizione
definitiva del progetto operativo di
intervento, salva, la necessità di adottare
misure di messa in sicurezza del sito
inquinato) e non può pertanto bastare ad
evitare la necessità di un’attivazione
d’ufficio del Comune.
INQUINAMENTO - Apporto
collaborativo del privato - Confronto
tecnico - Principio del giusto procedimento.
Il principio del giusto procedimento non
esclude la facoltà dell’amministrazione di
limitare l’apporto collaborativo del privato
ad un confronto sul piano tecnico nel
momento in cui deve avvenire l’acquisizione
di tutti gli elementi, riservandosi, invece,
il momento valutativo ai fini della
decisione (TAR Friuli Venezia Giulia, Sez.
I,
sentenza 10.06.2010 n. 387 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Annullamento dell'autorizzazione
paesaggistica. Il Consiglio di Stato
tratteggia i limiti del potere di controllo
in sede statale.
Sul potere di annullamento del nulla osta
paesaggistico da parte della Soprintendenza
statale il Consiglio di Stato ha chiarito
che esso non comporta un riesame complessivo
delle valutazioni discrezionali compiute
dalla Regione e da un ente sub-delegato,
tale da consentire la sovrapposizione o
sostituzione di una propria valutazione di
merito a quella compiuta in sede di rilascio
dell'autorizzazione, ma si estrinseca in un
controllo di mera legittimità che si estende
a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso
di potere per difetto di istruttoria e di
motivazione.
Si è espresso in tal senso il Consiglio di
Stato, Sez. VI, con la
sentenza 08.06.2010 n. 3643.
Ne consegue che laddove in sede di controllo
statale sul nulla-osta paesaggistico
rilasciato in sede regionale, la
Soprintendenza ravvisi una carenza
motivazionale o istruttoria nell’atto
oggetto del suo scrutinio, (costituente
vizio di legittimità), essa è chiamata ad
evidenziare tali vizi con motivazione che
deve necessariamente riportare, per
risultare a sua volta immune da vizi di
legittimità, ad una valutazione della non
compatibilità dell’intervento edilizio
programmato rispetto ai valori paesaggistici
compendiati nel vincolo.
Ne consegue altresì che qualora a supporto
dell'autorizzazione paesaggistica risulti
un'istruttoria adeguata che nella relativa
motivazione è puntualmente richiamata,
risulta illegittimo l’annullamento in sede
statale disposto per asserito difetto di
motivazione del nulla osta (commento tratto
da www.legislazionetecnica.it). |
APPALTI:
Eventuali comunanze a livello
strutturale sono di per sé insufficienti a
determinare la riconducibilità delle offerte
ad un unico centro decisionale, essendo
necessario verificare se tale comunanza
abbia avuto un impatto concreto sul
rispettivo comportamento nell'ambito della
gara.
Eventuali comunanze a livello strutturale
sono di per sé insufficienti a determinare
la riconducibilità delle offerte ad un unico
centro decisionale, essendo necessario
verificare se tale comunanza abbia avuto un
impatto concreto sul rispettivo
comportamento nell’ambito della gara.
Pertanto, difettano gli elementi univoci per
ritenere sussistente un rapporto di
collegamento sostanziale tra le due società,
e in particolare per ritenere che le offerte
fossero espressione di un unico centro
decisionale, cosa che può essere accertata
mediante un attento esame del contenuto
delle offerte (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 08.06.2010 n. 3637 -
link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
Regolarità contributiva - Bando
di gara - Mancata previsione dell’obbligo,
per l’impresa aggiudicataria, di presentare
il DURC - Norma imperativa inderogabile -
Integrazione - Art. 2, D.L. 25.09.2002.
A causa della inderogabilità e imperatività
della disciplina in materia di regolarità
contributiva, nel caso in cui un bando di
gara di appalto pubblico non preveda
l’obbligo per l’impresa che risulti
aggiudicataria di presentare alla stazione
appaltante la certificazione relativa alla
regolarità contributiva, il medesimo bando
deve intendersi integrato dalla prescrizione
di tale obbligo di cui all’articolo 2 del
D.L. 25.09.2002 (cfr. Consiglio di Stato, IV,
12.03.2009 n. 1458).
Regolarità contributiva
- Partecipazione alla gara - Stipulazione
del contratto - Art. 38, c. 1, d.lgs. n.
163/2006.
A norma dell’articolo 38, comma 1, lettera
i), del d.lgs. n. 163/2006 il requisito
della regolarità contributiva è requisito
indispensabile non solo per la stipulazione
del contratto, bensì per la stessa
partecipazione alla gara: è conseguentemente
necessario che l'impresa sia in regola con i
relativi obblighi fin dalla presentazione
della domanda e che conservi tale regolarità
per tutto lo svolgimento della procedura,
essendo tale requisito indice rivelatore
della correttezza dell'impresa nei rapporti
con le proprie maestranze.
Regolarità contributiva
- Dichiarazione in sede di richiesta di
partecipazione - Produzione del DURC
all’atto dell’aggiudicazione - Mancata
allegazione del DURC all’offerta -
Esclusione - Illegittimità.
A fronte della dichiarazione di essere in
regola con i relativi adempimenti in materia
di contributi resa dai concorrenti in sede
di richiesta di partecipazione alla gara e
in presenza dell’impegno a produrre il DURC
all’atto dell’aggiudicazione, la mancata
allegazione del DURC all’offerta non può
costituire legittima causa di esclusione
(cfr. Consiglio di Stato, VI, 04.08.2009 n.
4906) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 07.06.2010 n. 5425 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Il nomen juris del provvedimento
non vincola il giudice. L'ordinanza
contingibile e urgente non può essere usata
per tutelare il riposo di un singolo
cittadino.
Secondo il TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 07.06.2010 n. 1704,
l’ordinanza contingibile ed urgente spiccata
dal sindaco di un comune nell’intento di “salvaguardare
la quiete e la privacy in un contesto
architettonico specifico”, è viziata da
“sviamento di potere” qualora non sia
immediatamente evidenti il pericolo generale
che si intende fronteggiare.
Nel caso di specie, il Sindaco di un comune,
esercitando i poteri di cui all’articolo 50,
comma 7, del d.Lgs. n. 267 del 2000, in
materia di regolamentazione degli orari dei
pubblici esercizi, aveva ingiunto ad un
esercente l’attività di somministrazione al
pubblico una limitazione negli orari di
utilizzo dell’area pertinenziale esterna
all’esercizio medesimo, sul presupposto che
“i confinanti hanno più volte lamentato
numerosi inconvenienti derivanti dalla
gestione dell’attività, con particolare
riferimento alla rumorosità indotta
dall’attività di somministrazione esercitata
sulla terrazza […]”.
Il Giudice Amministrativo, dopo avere
richiamato il principio in forza del quale,
al fine di determinare la natura del potere
esercitato dall’Amministrazione, non è
sufficiente il mero riferimento al nomen
juris dell’atto e neppure quello alle
norme di cui si asserisce avere fatto
applicazione, dovendosi, al contrario,
operare una “ricostruzione ermeneutica
che si basi, oltre che sulla parte
dispositiva dell’atto, sulla motivazione e
sul procedimento che ne costituisce il
presupposto”, riconduce il provvedimento
oggetto di sindacato nell’alveo dei poteri
che scaturiscono dall’articolo 54, comma 6,
del d.Lgs. n. 267 del 2000, ai sensi del
quale “in casi di emergenza, connessi con
il traffico o con l’inquinamento atmosferico
o acustico, ovvero quando a causa di
circostanze straordinarie si verifichino
particolari necessità dell’utenza o per
motivi di sicurezza urbana, il sindaco può
modificare gli orari degli esercizi
commerciali, dei pubblici esercizi e dei
servizi pubblici, nonché, d’intesa con i
responsabili territorialmente competenti
delle amministrazioni interessate, gli orari
di apertura al pubblico degli uffici
localizzati nel territorio, adottando i
provvedimenti di cui al comma 4”.
Prosegue, poi, il Tar evidenziando che,
dalla lettura della norma, “il
provvedimento contingibile e urgente ha per
suo presupposto il pericolo di grave danno
che minacci il pubblico interesse a causa di
una situazione di carattere eccezionale alla
quale non si può far fronte con i normali
mezzi predisposti dall’ordinamento
giuridico, ovvero situazioni di emergenza,
non altrimenti fronteggiabili connesse con
il traffico o con l’inquinamento atmosferico
o acustico, ovvero per altri motivi
riconducibili alla sicurezza urbana”,
pericolo che, in ogni caso, deve minacciare
“un interesse di natura generale, in
qualche modo diffuso, o che comunque
trascende la posizione del singolo
nominativamente individuato cittadino”.
Il Giudice, quindi, pronuncia l’annullamento
dell’ordinanza sindacale sul presupposto
che, “attesa la natura privata dell’area
e degli interessi in questione non potrebbe
essere più evidente lo sviamento del potere
esercitato”, sottolineando come
l’ordinamento offra, peraltro, nella
fattispecie in esame, “la tutela
privatistica del codice civile in tema di
immissioni” (link a http://venetoius.myblog.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
No all'affidamento diretto della
consulenza legale.
È illegittimo
l'affidamento diretto e senza gara, in
favore di un avvocato, di un incarico
professionale di consulenza legale, a
supporto dello svolgimento delle ordinarie
attività amministrative dell'ente.
Lo ha sancito il Consiglio di Stato, Sez. V,
con la
sentenza 28.05.2010 n. 3405.
Nel caso in esame un Consorzio di bonifica
toscano aveva deciso di affidare
direttamente ad un avvocato l'incarico di
consulenza legale per la durata di un anno,
in considerazione della sua comprovata
professionalità e della specifica competenza
amministrativa già sperimentata nel corso di
una collaborazione da lui prestata nell'anno
precedente.
Un altro professionista, però, consultando
il sito internet del Consorzio e
riscontrando l'avvenuta assegnazione diretta
del sopra citato incarico di consulenza di
tipo normativo-legale, aveva deciso di
impugnare la determina di affidamento,
chiedendone l'annullamento, al fine di
tutelare il proprio interesse allo
svolgimento di una procedura selettiva
pubblica alla quale avrebbe potuto
partecipare, in quanto cultore di diritto
amministrativo e specialista nel settore
degli appalti e dei contratti pubblici.
Il Tar aveva dichiarato inammissibile il
ricorso. Il ricorrente, in appello, aveva
perseverato nel segnalare l'illegittimità
della decisione assunta dal Consorzio
violando non solo le proprie norme
regolamentari in materia di affidamento di
incarichi professionali, ma anche i principi
più volte affermati dai giudici
amministrativi e contabili secondo cui
l'affidamento di incarichi di consulenza e/o
di collaborazione da conferire a soggetti
esterni alla p.a. non può prescindere dal
preventivo svolgimento di una selezione
comparativa adeguatamente pubblicizzata.
Il Consiglio di stato accoglie il ricorso.
Il collegio, infatti, accertato che la
comparazione pubblica è prevista dalle
stesse norme del Regolamento del Consorzio,
in armonia con le norme di legge vigenti in
materia, ritiene che questa debba essere
considerata la regola da applicare in via
generale. E sebbene all'art. 6 del
Regolamento consortile, in materia di
incarichi di particolare rilevanza, sia
stata prevista la possibilità
dell'affidamento diretto di un incarico
fiduciario derogando al normale criterio
fissato dal Regolamento, nel caso in esame
la norma risulta palesemente violata.
Nella stessa delibera impugnata, infatti,
viene precisato testualmente che l'incarico
in questione doveva essere conferito 'non
già per la cura di una speciale e
particolarmente rilevante esigenza
dell'Ente, ma al solo fine di supportare lo
svolgimento delle ordinarie attività
amministrative dell'Ente stesso.
Dovendosi, dunque, far fronte alle «ordinarie»
attività amministrative del Consorzio, è
evidente che l'amministrazione non poteva,
in questo caso, avvalersi della predetta
disposizione di carattere eccezionale ed
evitare di affidare lo stesso incarico a
mezzo di una pubblica selezione (articolo
ItaliaOggi del 24.06.2010, pag. 44). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Ordinanza
di rimozione - Competenza - Individuazione -
Art. 14 d.lgs. n. 22/1997 - Art. 107, c. 5,
d.lgs. n. 267/2000 - Art. 192 d.lgs. n.
152/2006.
La competenza sindacale, pur formalmente
riconosciuta dall’art. 14, comma 4 del d.
lgs. 05.02.1997, n. 22, è stata
successivamente traslata in capo al
dirigente del settore competente in forza
della generale previsione di cui all’art.
107, comma 5, del d.lgs. 267 del 2000 che ha
disciplinato il riparto di competenze fra
organi di indirizzo politico e organi
burocratici.
L’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006,
norma speciale sopravvenuta rispetto al
menzionato art. 107, ha quindi attribuito in
favore del sindaco la competenza a disporre
con ordinanza le operazioni necessarie alla
rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti
previste dal comma 2.
RIFIUTI - Abbandono -
Ordine di rimozione - Proprietario del fondo
- Corresponsabilità a titolo di dolo o colpa
- Art. 192 d.lgs. n. 152/2006.
L’ordine di rimozione dei rifiuti presenti
sul fondo può essere rivolto al proprietario
solo quando ne sia dimostrata almeno la
corresponsabilità con gli autori
dell’illecito, per avere cioè posto in
essere un comportamento, omissivo o
commissivo, a titolo doloso o colposo,
dovendosi escludere che la norma configuri
un’ipotesi legale di responsabilità
oggettiva; ne discende la illegittimità
degli ordini di smaltimento dei rifiuti
indiscriminatamente rivolti al proprietario
di un fondo in ragione della sua mera
qualità ma in mancanza di adeguata
dimostrazione da parte dell’amministrazione
procedente, sulla base di un’istruttoria
completa e di un’esauriente motivazione,
dell’imputabilità soggettiva della condotta
(Cons. Stato, V, 25.01.2005, n. 136).
Tale orientamento va confermato anche con
riferimento al disposto di cui all’art. 192
del d. lgs. 152/2006 (cfr. Cons. Stato, V,
25.08.2008, n. 4061 e Cons. Stato, V,
19.03.2009, n. 1612).
RIFIUTI - Abbandono -
Obbligo di pulizia delle strade - Ente
proprietario o gestore - Art. 14 codice
della strada - Attribuzione del potere di
ordinanza al Sindaco - Esclusione - Ragioni.
L’art. 14 del codice della strada non può
essere invocato per superare il criterio
della imputabilità solidale a titolo di dolo
o colpa del proprietario dell’area con
l’autore dell’abbandono dei rifiuti.
Il fatto che la norma in questione imponga
uno speciale obbligo di pulizia delle strade
in capo all’ente proprietario o gestore
della strada, non può comportare infatti la
simmetrica attribuzione di un potere
autoritativo in capo ad un ente terzo (il
Comune) al fine di imporne coercitivamente
il rispetto, nell’ambito peraltro di un
settore che esula dalle competenze
istituzionali dell’ente medesimo; a ciò osta
il principio di legalità e quello connesso
di tipicità di tutti i poteri
amministrativi: nessuna norma di legge nel
settore specifico della viabilità,
attribuisce infatti ai comuni il potere di
assicurare la pulizia delle strade imponendo
autoritativamente obblighi di facere al
gestore, al fine di garantire “la
sicurezza e la fluidità della circolazione”;
né un tal potere può desumersi
implicitamente dalla natura del Comune quale
ente locale a fini generali atteso che tra
gli interessi pubblici affidati alla cura
dei comuni non v’è anche quello di garantire
la sicurezza e la fluidità della
circolazione delle strade statali.
RIFIUTI - Ordine di
rimozione - Obbligo di comunicazione
dell’avvio del procedimento - Art. 192
d.lgs. n. 152/2006.
L’obbligo di comunicazione dell’avvio del
procedimento è ora espressamente
riconosciuto dall’art. 192 del d. lgs.
152/2006 (cfr. Cons. Stato, V, 25.08.2008,
n. 4061) (TAR Molise,
sentenza 28.05.2010 n. 227 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di demolizione opera
abusiva e sopralluogo effettuato a
posteriori.
E' illegittimo, per carenza di motivazione,
l'ordine di demolizione di un’opera abusiva
adottato sulla base di un sopralluogo
effettuato in epoca successiva all'emissione
del provvedimento stesso ed in totale
assenza di contraddittorio (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 27.05.2010 n. 3377 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
potere amministrativo repressivo, in materia
di abusi edilizi, può essere esercitato
senza limiti di tempo e senza necessità di
motivazione in ordine al ritardo
nell'esercizio del potere.
L'avviso di avvio del procedimento non è
dovuto nel caso di procedimento volto
all'irrogazione della sanzione della
demolizione edilizia, in ragione del
carattere doveroso e del contenuto vincolato
di tale atto.
Gli illeciti in materia urbanistica,
edilizia e paesistica, ove consistano nella
realizzazione di opere senza le prescritte
concessioni e autorizzazioni, hanno
carattere di illeciti permanenti, che si
protraggono nel tempo e vengono meno solo
con il cessare della situazione di
illiceità, vale a dire con il conseguimento
delle prescritte autorizzazioni, pertanto il
potere amministrativo repressivo può essere
esercitato senza limiti di tempo e senza
necessità di motivazione in ordine al
ritardo nell'esercizio del potere.
In altri termini, l'Autorità non emana un
atto "a distanza di tempo"
dall'abuso, ma reprime una situazione
antigiuridica ancora sussistente (cfr. Cons.
Stato sez. IV, 16.04.2010 n. 2160).
In via
generale, la giurisprudenza prevalente si è
assestata nell’affermare che l'avviso di
avvio del procedimento non è dovuto nel caso
di procedimento volto all'irrogazione della
sanzione della demolizione edilizia, in
ragione del carattere doveroso e del
contenuto vincolato di tale atto (cfr. Cons.
St., Sez. IV, 26.9.2008 n. 4659, T.A.R.
Napoli, sez. VII, 13.10.2009 n. 5411), tanto
più in considerazione della consequenziale
sua intangibilità ai sensi dell'art.
21-octies L. 241/1990 introdotta dalla L. n.
15 del 2005 (cfr. Cons. St., Sez. IV,
10.4.2009 n. 2227, Sez. V, 19.9.2008 n 4530,
T.A.R. Piemonte 16.3.2009 n. 752)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 25.05.2010 n. 2143 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
facoltà di recingere il fondo ex art. 841
c.c. è pur sempre legittimamente
sacrificabile (ad esempio individuando
particolari modalità costruttive da adottare
e disponendo l'uso di specifici materiali)
da parte del PRG in funzione di superiori
interessi pubblici, sempre che ciò avvenga
mediante una congrua motivazione e nel
rispetto del principio generale di buona
amministrazione, sancito dall'art. 97 della
Carta costituzionale, e dei canoni di
logicità, equità, imparzialità ed
economicità.
La facoltà di
recingere il fondo ex art. 841 c.c. è pur
sempre legittimamente sacrificabile (ad
esempio individuando particolari modalità
costruttive da adottare e disponendo l'uso
di specifici materiali) da parte del PRG in
funzione di superiori interessi pubblici,
sempre che ciò avvenga mediante una congrua
motivazione e nel rispetto del principio
generale di buona amministrazione, sancito
dall'art. 97 della Carta costituzionale, e
dei canoni di logicità, equità, imparzialità
ed economicità, nonché delle norme di
diritto positivo di carattere inderogabile
(cfr. TAR Friuli Venezia Giulia 23.07.2001
n. 421)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 25.05.2010 n. 2143 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
tettoia per essere definita "pertinenza"
urbanistica
deve essere
preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di
mercato, non valutabile in termini di
cubatura o comunque dotata di un volume
minimo tale da non consentire, in relazione
anche alle caratteristiche dell'edificio
principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell'immobile
cui accede.
In merito
all’asserita natura pertinenziale delle
tettoie:
- (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 05.03.2010 n.
1277) per poter essere definita pertinenza
dal punto di vista urbanistico, la res
deve essere preordinata ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale,
funzionalmente ed oggettivamente inserita al
servizio dello stesso, sfornita di un
autonomo valore di mercato, non valutabile
in termini di cubatura o comunque dotata di
un volume minimo tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche
dell'edificio principale, una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell'immobile cui accede;
- nella fattispecie, le tettoie non accedono
ad alcun edificio principale;
- in ogni caso, la realizzazione di una
tettoia, ancorché avente natura
pertinenziale, è configurabile come
intervento di ristrutturazione edilizia ai
sensi dell'articolo 3, comma 1°, lettera d),
del D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui
realizza <<l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti>>, ed è quindi
subordinata al regime del permesso di
costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma
primo, lettera c), dello stesso D.P.R.
laddove comporti, una modifica della sagoma
o del prospetto del fabbricato cui inerisce
(cfr. TAR Campania, sez. IV, 28.12.2009 n.
9605, idem 21.12.2007, n. 16493);
- la nozione di costruzione, ai fini della
necessità della concessione edilizia, si
configura in presenza di opere che attuino
una trasformazione del tessuto urbanistico
ed edilizio, anche se esse non consistano in
opere murarie, essendo realizzate in
metallo, in laminati di plastica, in legno
od altro materiale, in presenza di
trasformazioni preordinate a soddisfare
esigenze non precarie del costruttore (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 06.06.2008)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 25.05.2010 n. 2143 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: La
norma, ai fini dell’imputabilità della
condotta del divieto di abbandono e di
deposito incontrollato di rifiuti sul suolo,
richiede -a carico del proprietario o dei
titolari di diritti reali o personali sul
bene- un comportamento titolato di dolo o
colpa, così come richiesto per l’autore
materiale, mentre le conseguenze
sanzionatorie connesse alla violazione del
divieto di abbandono incontrollato di
rifiuti sul suolo o nel suolo sono accollate
anche al proprietario dell’area, ma ciò solo
nel caso in cui la violazione sia a lui
imputabile a titolo di dolo o di colpa.
L'art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006,
che è norma speciale sopravvenuta rispetto
all'art. 107, comma 5, del D.lgs. n.
267/2000, attribuisce espressamente al
Sindaco la competenza a disporre con
ordinanza le operazioni necessarie alla
rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti
previste dal comma 2. Tale previsione, sulla
base degli ordinari criteri preposti alla
soluzione delle antinomie normative
(criterio della specialità e criterio
cronologico), prevale sul disposto dell'art.
107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000.
In via generale va rilevato (cfr. TAR,
Napoli, Sez. V - 15.12.2009, n. 8739) che la
fattispecie normativa di cui all’art. 192
del d.lgs. n. 152/20006 ha introdotto una
sanzione amministrativa di tipo
reintegratorio, potendo essere adottata
anche in assenza di una situazione in cui
sussista l’urgente necessità di provvedere
con efficacia e immediatezza (cfr. TAR
Veneto, III, 29.09.2009, n. 2454) e avente a
contenuto l’obbligo di rimozione, di
recupero o di smaltimento e di ripristino a
carico del responsabile del fatto di
discarica o immissione abusiva, a carico,
cioè, di “chiunque viola i divieti di
abbandono e di deposito incontrollato di
rifiuti sul suolo”, in solido con il
proprietario e con i titolari di diritti
reali o personali di godimento sull’area ai
quali tale violazione sia imputabile a
titolo di dolo o di colpa.
La norma, pertanto, ai fini
dell’imputabilità della condotta del divieto
di abbandono e di deposito incontrollato di
rifiuti sul suolo, richiede, a carico del
proprietario o dei titolari di diritti reali
o personali sul bene, un comportamento
titolato di dolo o colpa, così come
richiesto per l’autore materiale, mentre le
conseguenze sanzionatorie connesse alla
violazione del divieto di abbandono
incontrollato di rifiuti sul suolo o nel
suolo sono accollate anche al proprietario
dell’area, ma ciò solo nel caso in cui la
violazione sia a lui imputabile a titolo di
dolo o di colpa (ex multis, TAR
Catanzaro, I, 20.10.2009, n.1118; Cons.
Stato, V, 19.03.2009, n. 1612; TAR Sardegna,
18.05.2007, n. 975; 19.09.2004, n. 1076; TAR
Puglia, 27.02.2003, n. 872; TAR Lombardia,
Milano, I, 26.01.2000, n. 292).
In relazione alla prima
censura,
va osservato che l'art. 192, comma 3, del
D.lgs. n. 152/2006, che è norma speciale
sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5,
del D.lgs. n. 267/2000, attribuisce
espressamente al Sindaco la competenza a
disporre con ordinanza le operazioni
necessarie alla rimozione ed allo
smaltimento dei rifiuti previste dal comma
2. Tale previsione, sulla base degli
ordinari criteri preposti alla soluzione
delle antinomie normative (criterio della
specialità e criterio cronologico), prevale
sul disposto dell'art. 107, comma 5, del
D.lgs. n. 267/2000 (cfr. C.S. Sez. V
25.08.2008 n. 4061, TAR Veneto, Sez. III,
20.10.2009 n. 2623 e 29.09.2009 n. 2454).
In relazione al secondo
motivo,
va rilevato che la comunicazione di avvio
del procedimento risulta regolarmente
inviata, anche se pervenuta al ricorrente
tre giorni prima dell’adozione dell’atto. In
ogni caso va annotato che la fattispecie
all’esame si caratterizza per la circostanza
che il tecnico comunale aveva contattato,
nell’immediatezza del fatto, il presunto
responsabile il quale aveva dichiarato di
voler proseguire nell’attività di versamento
del materiale al fine di consolidare il
passaggio.
Lo stesso ricorrente non contesta tale
circostanza ed evidenzia che tale operazione
è stata posta in essere nell’esercizio delle
facoltà ad esso spettanti quale asserito
titolare della servitù di passaggio sul
fondo di proprietà del Figaroli.
In siffatto contesto, va rilevato, in
assonanza con quanto dalla Sezione già
affermato (cfr. le sentenze n. n. 1258 del
13.10.2008 e n. 260 del 13.02.2009) che la
violazione delle garanzie procedimentali non
può condurre da sola all’annullamento del
provvedimento finale, dato che le suddette
garanzie hanno lo scopo di permettere un
effettivo confronto tra l’amministrazione e
i soggetti interessati anteriormente
all’adozione di un provvedimento, in modo
che non siano trascurati elementi istruttori
utili per la decisione finale.
Inoltre, anche se è vero che il sopralluogo
del tecnico comunale non è avvenuto in
contraddittorio con l’interessato, tale
circostanza non può costituire violazione
dell’art. 192, c. 3, del D.Lgs. 03.04.2006
n. 152, che richiede gli accertamenti siano
effettuati in contraddittorio con i soggetti
interessati, posto che il contatto tra
l’Amministrazione e il presunto responsabile
si è instaurato, per via telefonica,
nell’immediatezza del fatto e quest’ultimo
ha affermato di voler continuare nello
sversamento dei materiali di demolizione.
Parimenti infondato è il
terzo motivo,
con il quale il ricorrente contesta, sotto
un profilo sostanziale, la riconducibilità
dei materiali in questione alla nozione di
rifiuti.
Infatti, l’art. 184 del D.Lgs. n. 152/2006
definisce (c. 3, lett. B) rifiuti speciali
quelli derivanti dall’attività di
demolizione, costruzione, nonché i rifiuti
che derivano dalle attività di scavo, salvo
quanto disposto dall’art. 186, in tema di
terre e rocce da scavo.
Invero, le argomentazioni difensive svolte
al riguardo dal ricorrente, circa la
riconducibilità alla nozione di
sottoprodotti, non sono condivisibili, posto
che il riutilizzo del materiale proveniente
dall'attività di costruzione non può
prescindere dalla preventiva attività di
separazione e cernita.
I materiali da demolizione, infine, non
possono neppure rientrare nella nozione di
materie prime secondarie di cui all'art.
181-bis del decreto legislativo, introdotto
dall'art. 2, comma 18-bis, del D.Lgs
16.01.2008 n. 4, richiedendosi anche in tal
caso che l'operazione di recupero dei
rifiuti risponda a requisiti di qualità
ambientale (primo comma, lett. d), che deve
essere accertata ai sensi dei DM 05.02.1998,
12.06.2002 n. 161 e 17.11.2005 n. 269 (comma
3) fino alla emanazione del decreto di cui
al comma 2 (cfr. Cassazione Penale, Sez. III,
24-03-2010 n. 11260)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 25.05.2010 n. 2140 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
TAR Lombardia: rapporti tra
pianificazione urbanistica e vincoli
paesaggistici.
Con
sentenza 24.05.2010 n. 1654 la
Sez. IV del TAR Lombardia, Milano, ha
ribadito alcuni importanti principi in
materia di rapporti tra pianificazione
urbanistica e vincoli paesaggistici, di
particolare interesse nel momento in cui le
amministrazioni lombarde si accingono a
rilasciare i nuovi strumenti urbanistici (PGT),
anche alla luce del recente Piano
Territoriale Paesistico Regionale.
E precisamente:
- "in presenza di prescrizioni derivanti
dall'approvazione di regimi speciali di
tutela, il principio di coerente svolgimento
dell'azione amministrativa impone che la
pianificazione urbanistica si indirizzi
verso scelte il più possibile armoniche con
i vincoli imposti dalle amministrazioni,
nell'esercizio delle loro specifiche
competenze (nella specie vincoli
paesistici)", senza che nulla impedisca
"che le prescrizioni di piano, oltre che
essere compatibili con il vincolo speciale,
si prefiggano di valorizzare in funzione
urbanistica lo stesso bene";
- benché effettivamente il vincolo
paesistico non comporti l’inedificabilità
assoluta dell’area, rientra nelle scelte
discrezionali dell’amministrazione, non
sindacabili se non sotto il profilo del
travisamento dei fatti e della macroscopica
illogicità, l’apposizione di una
destinazione urbanistica a zona agricola al
fine di conservare i caratteri propri della
zona;
- con riferimento ai caratteri propri
dell’area, "la vicinanza ad una zona già
edificata non rende illogica la destinazione
rurale quando l’amministrazione intenda
indirizzare l’edificazione verso altre aree
e l’area in questione non sia edificata e
sia adiacente ad aree ugualmente non
edificate" (link a http://studiospallino.blogspot.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di demolizione e
ricostruzione, un ampliamento fuori sagoma
in sede di ricostruzione delinea la
fattispecie della nuova costruzione e non
della ristrutturazione edilizia, per
configurare la quale, pur non occorrendo più
la "fedele ricostruzione", occorre,
comunque, rispettare sagoma, volume e
superficie della costruzione preesistente.
La ristrutturazione edilizia si sostanzia in
una attività di riedificazione che rispetti
la piena conformità di sagoma, volume e
superficie tra il vecchio e il nuovo
manufatto ed escludendo, di conseguenza, che
in sede di riedificazione si possa procedere
ad un ampliamento di cubatura dell'edificio
in applicazione di una norma tecnica di
attuazione del piano regolatore comunale che
consenta di procedere ad ampliamenti degli
edifici esistenti.
Va ricordato l’orientamento costante della
giurisprudenza del Consiglio di Stato,
condiviso dal Collegio, secondo il quale in
materia di demolizione e ricostruzione, un
ampliamento fuori sagoma in sede di
ricostruzione delinea la fattispecie della
nuova costruzione e non della
ristrutturazione edilizia, per configurare
la quale, pur non occorrendo più la "fedele
ricostruzione", occorre, comunque,
rispettare sagoma, volume e superficie della
costruzione preesistente (principio
pacifico: cfr. Consiglio di Stato, IV,
28.07.2005, n. 4011; VI, 09.09.2005, n.
4668; V, 29.05.2006, n. 3229; V, 30.08.2006,
n. 5061; IV, 26.02.2008, n. 681; V,
04.03.2008, n. 918; IV, 16.06.2008, n. 2981;
VI, 16.12.2008, n. 6214; IV, 30.12.2008, n.
6613).
Dubbio è se le norme tecniche di attuazione
dello strumento urbanistico comunale possano
consentire un ampliamento di volumetria in
sede di ristrutturazione.
Il Consiglio di Stato, sul punto, si è
pronunciato prevalentemente in senso
negativo, ricordando che ai sensi dell'art.
3 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, la
ristrutturazione edilizia si sostanzia in
una attività di riedificazione che rispetti
la piena conformità di sagoma, volume e
superficie tra il vecchio e il nuovo
manufatto ed escludendo, di conseguenza, che
in sede di riedificazione si possa procedere
ad un ampliamento di cubatura dell'edificio
in applicazione di una norma tecnica di
attuazione del piano regolatore comunale che
consenta di procedere ad ampliamenti degli
edifici esistenti (Cons. Stato, IV,
10.04.2008, n. 1550)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 21.05.2010 n. 6968 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'ingiunzione di demolizione di
un'opera abusivamente realizzata perde di
efficacia qualora l'interessato abbia
attivato il procedimento per ottenere la
concessione edilizia in sanatoria dell'opera
stessa ai sensi dell’art. 13 della legge n.
47 del 1985.
Per costante giurisprudenza, anche di questo
Tribunale, dalla quale non vi è ragione di
discostarsi nel caso in esame, l'ingiunzione
di demolizione di un'opera abusivamente
realizzata perde di efficacia qualora
l'interessato abbia attivato il procedimento
per ottenere la concessione edilizia in
sanatoria dell'opera stessa ai sensi
dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985.
Ciò, in quanto il riesame del carattere
abusivo dell'opera, al fine di verificarne
l'eventuale sanabilità, comporta la
necessaria formazione di un nuovo
provvedimento, di accoglimento o di diniego
(o anche di rigetto implicito, nei casi
previsti di silenzio-rigetto), che vale,
comunque, a superare il provvedimento
sanzionatorio originariamente adottato
dall'Amministrazione; sicché, in caso di
mancato accoglimento, l'interesse del
responsabile dell'abuso edilizio "si
sposta" dall'annullamento del
provvedimento sanzionatorio già adottato a
quello del nuovo provvedimento, esplicito o
implicito, di rigetto dell'istanza di
sanatoria (ex multis, TAR Sicilia,
Palermo, III, 04.09.2008, 1102; TAR Lazio,
Roma, 27.11.2008, n. 166; TAR Sicilia,
24.07.2006, n. 1750; 16.03.2004, n. 499;
id., 10.05.2001, n. 1242; id., 06.07.2001,
n. 1929; TAR Lazio, Roma, II, 04.05.2007, n.
3873; TAR Liguria, II, 14.12.2000, n. 1310;
TAR Toscana, III, 18.12.2001, n. 2024; TAR
Puglia, II, 11.01.2002, n. 154; TAR
Campania, Napoli, IV, 06.11.2007, n. 10675;
VI, 03.05.2007, n. 4659; III, 02.03.2004, n.
2579; IV, 18.03.2005, n. 1835)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 21.05.2010 n. 6967 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il diritto allo scomputo degli
oo.uu. dovuti va riconosciuto soltanto in
relazione al valore delle opere di
urbanizzazione, e solo fra opere omogenee
(di urbanizzazione primaria o di
urbanizzazione secondaria).
Il diritto allo scomputo va riconosciuto
soltanto in relazione al valore delle opere
di urbanizzazione, e solo fra opere omogenee
(di urbanizzazione primaria o di
urbanizzazione secondaria, come nel caso di
specie).
La P.A. resistente, pertanto, in relazione a
ciascuna concessione edilizia, considerato
il tipo di opere di urbanizzazione cedute
dalla ditta lottizzante, dovrà detrarne il
valore dal contributo per oneri di
urbanizzazione, con la conseguenza che, se
già le somme inerenti agli stessi oneri di
urbanizzazione siano state versate per
intero, il comune medesimo dovrà restituire
l‘importo relativo alle somme eccedenti,
maggiorato degli interessi legali a
decorrere dalla data del versamento, senza
che possa accampare il diritto a un “controcredito”.
Infatti, ad avviso del Collegio, l’entità
delle somme da versare, previo eventuale
scomputo (se vi sia stata cessione di opere
di urbanizzazione) va determinata
singolarmente, in relazione a ciascuna
concessione edilizia rilasciata in
attuazione del piano di lottizzazione, come,
del resto, espressamente statuito dal già
richiamato art. 11 della L. 28.01.1977 n. 10
(TAR Veneto, Sez. I, n. 1378/2004)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 21.05.2010 n. 2136 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sull'onere o meno del Comune di
escutere la polizza fidejussoria a garanzia
del versamento del contributo di costruzione
scaduti i termini di legge.
Non può rimproverarsi alla p.a. resistente
di avere aggravato la posizione del debitore
principale, non potendo pretendersi che la
stessa, per il fatto che è stata prestata un
fideiussione “a prima richiesta”,
debba subito attivarsi, scaduti i termini di
legge, per l’escussione della polizza.
Deve, invero, ritenersi che
l’amministrazione sia libera di scegliere il
momento in cui agire, e che il maturare
delle maggiorazioni ex art. 81 –legate al
decorso del termine, per fasce temporali o
classi di ritardo nell’assolvimento
dell’obbligazione di pagamento- non possa
che farsi risalire al comportamento del
debitore, affatto libero di effettuare i
versamenti con il maturare delle rate e dei
termini cui sono legate le maggiorazioni per
ritardato pagamento.
Lo stesso non può che dirsi, seguendo il
medesimo filo logico, anche per quanto
concerne il maturare degli interessi legali,
pacificamente legati al decorso del tempo.
Né può seriamente sostenersi che, in forza
dell’art. 1220 c.c., sia stata effettuata
un’offerta reale con gli effetti che ne
conseguono, in detta previsione normativa,
sulla base dei solleciti o pressioni
esercitati sull’amministrazione affinché
accettasse i pagamenti.
Come eccepito dalla p.a. resistente,
infatti, non è stata formalizzata alcuna
offerta reale, e a ciò non ha replicato in
alcun modo la difesa della ricorrente, che
non aveva addotto, a conforto delle sua
affermazioni, riscontri documentali
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 21.05.2010 n. 2133 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Già
prima della formulazione dell'art. 21-octies
l. 07.08.1990 n. 241, un'ordinanza di
demolizione di opere abusive, adottata in
mancanza della comunicazione di avvio del
procedimento, doveva ritenersi illegittima
soltanto quando non fosse accertata in
giudizio la sua superfluità.
Questo Collegio evidenzia che, proprio in
considerazione della natura vincolata del
provvedimento, già prima della formulazione
dell'art. 21-octies l. 07.08.1990 n. 241,
un'ordinanza di demolizione di opere
abusive, adottata in mancanza della
comunicazione di avvio del procedimento,
doveva ritenersi illegittima soltanto quando
non fosse accertata in giudizio la sua
superfluità; nel caso di specie, una
specifica comunicazione dell'avvio del
procedimento era effettivamente superflua,
poiché dagli atti di causa emerge, come di
seguito si avrà modo di specificare, che
l'emanazione dell'impugnato provvedimento ha
costituito atto dovuto e che anche a seguito
della comunicazione di avvio del
procedimento il contenuto dell'atto non
avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato (cfr., ex multis,
TAR Lazio Roma, sez. I, 11.12.2009, n.
12793)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 21.05.2010 n. 2124 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
valutazione in ordine alla necessità della
concessione edilizia per la realizzazione di
opere di recinzione va effettuata sulla
scorta dei seguenti due parametri: natura e
dimensioni delle opere e loro destinazione e
funzione.
Non è necessario il permesso per costruire
per modeste recinzioni di fondi rustici
senza opere murarie, e cioè per la mera
recinzione con rete metallica sorretta da
paletti di ferro o di legno senza muretto di
sostegno.
La concessione edilizia (oggi permesso di
costruire) è, invece, necessaria, quando la
recinzione è costituita da un muretto di
sostegno in calcestruzzo con sovrastante
rete metallica, incidendo esso in modo
permanente e non precario sull'assetto
edilizio del territorio.
La valutazione
in ordine alla necessità della concessione
edilizia per la realizzazione di opere di
recinzione va effettuata sulla scorta dei
seguenti due parametri: natura e dimensioni
delle opere e loro destinazione e funzione;
in base a tale criterio, dunque, non è
necessario il permesso per costruire per
modeste recinzioni di fondi rustici senza
opere murarie, e cioè per la mera recinzione
con rete metallica sorretta da paletti di
ferro o di legno senza muretto di sostegno,
in quanto, entro tali limiti, la recinzione
rientra solo tra le manifestazioni del
diritto di proprietà, che comprende lo
ius excludendi alios o comunque la
delimitazione e l'assetto delle singole
proprietà.
Alla stregua di tali coordinate, per
giurisprudenza consolidata alla quale il
Collegio aderisce, la concessione edilizia
(oggi permesso di costruire) è, invece,
necessaria, quando la recinzione è
costituita da un muretto di sostegno in
calcestruzzo con sovrastante rete metallica,
incidendo esso in modo permanente e non
precario sull'assetto edilizio del
territorio.
Nel caso di specie, di conseguenza, non si
può qualificare l'opera abusiva come
meramente precaria, essendo invece
stabilmente infissa al suolo attraverso il
muro di calcestruzzo (cfr., TAR Lombardia,
Milano, sez. IV, 29.12.2009, n. 6266)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 21.05.2010 n. 2124 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di pertinenza, previsto dal diritto
civile, va distinto dal più ristretto
concetto di pertinenza inteso in senso
edilizio e urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa essere utilizzato in modo autonomo e
separato.
Per
giurisprudenza costante, alla quale questo
Collegio presta adesione, il concetto di
pertinenza, previsto dal diritto civile, va
distinto dal più ristretto concetto di
pertinenza inteso in senso edilizio e
urbanistico, che non trova applicazione in
relazione a quelle costruzioni che, pur
potendo essere qualificate come beni
pertinenziali secondo la normativa
privatistica, assumono tuttavia una funzione
autonoma rispetto ad altra costruzione, con
conseguente loro assoggettamento al regime
concessorio, come nel caso di un intervento
edilizio che non sia coessenziale al bene
principale e che possa essere utilizzato in
modo autonomo e separato (cfr., ex multis,
TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.09.2009, n.
4848).
Con specifico riferimento alle opere in
contestazione deve essere rilevato che dalla
documentazione versata in atti emerge che i
manufatti prefabbricati oltre a non
rivestire alcun carattere di precarietà
strutturale sono stati, sotto il profilo
funzionale, destinati ad uso permanente
(servizi igienici, magazzini ed uffici) e
non già preordinati a soddisfare esigenze
contingenti e circoscritte nel tempo; ciò
con la conseguenza che l'alterazione del
territorio dagli stessi determinata non può
essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante ed in relazione a tali opere era
necessario il preventivo rilascio della
concessione edilizia. (cfr., ex multis,
TAR Lazio Roma, sez. II, 04.05.2007, n.
3973)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 21.05.2010 n. 2124 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza ha ammesso la rinuncia alla
domanda di condono edilizio presentata a
condizione però che la stessa sia anteriore
alla conclusione del relativo procedimento
da parte del Comune.
Bisogna prestare attenzione all’eventuale
rinuncia del condono presentato, magari dopo
il decorso di un lungo termine dalla
presentazione della relativa istanza, poiché
rischierebbe di assicurare all’autore
dell’opera abusiva una sostanziale immunità
penale, sfruttando, ad esempio, l’eventuale
prescrizione del reato edilizio, oltre a
garantirgli il recupero pecuniario delle
somme già versate; mentre l’Amministrazione
comunale potrebbe tutt’al più adottare un
provvedimento di demolizione, contro il
quale l’interessato potrebbe però proporre
impugnazione davanti al giudice
amministrativo, rinviando così
indefinitamente la definizione dell’abuso,
con grave pregiudizio per la certezza dei
rapporti giuridici.
La giurisprudenza, affrontando la questione
della rinuncia alla domanda di condono, l’ha
ammessa, a condizione però che la stessa sia
anteriore alla conclusione del relativo
procedimento (cfr. TAR Toscana, sez. III,
21.12.2004 n. 6520), mentre nel caso di
specie il procedimento deve reputarsi
concluso, a nulla rilevando che il sig. Boer
non abbia mai materialmente ritirato il
titolo cartaceo depositato negli uffici
comunali né abbia completamente versato le
somme richieste.
Si aggiunga ancora che, in materia di
condono per illeciti edilizi, la
generalizzata ammissibilità di una rinuncia
alla domanda di sanatoria con annessa
richiesta di restituzione dei contributi
versati, proponibile una volta conclusa
l’istruttoria sulla medesima da parte dei
competenti uffici, potrebbe portare a
conclusioni contrastanti con i principi
dell’ordinamento.
Il condono edilizio, infatti, è
evidentemente volto alla celere definizione
di illeciti avente ordinariamente natura non
solo amministrativa ma anche penale (cfr.
sul punto art. 38 della legge 47/1985),
sicché l’eventuale rinuncia allo stesso,
magari dopo il decorso di un lungo termine
dalla presentazione della relativa istanza,
rischierebbe di assicurare all’autore
dell’opera abusiva una sostanziale immunità
penale, sfruttando ad esempio l’eventuale
prescrizione del reato edilizio, oltre a
garantirgli il recupero pecuniario delle
somme già versate; mentre l’Amministrazione
comunale potrebbe tutt’al più adottare un
provvedimento di demolizione, contro il
quale l’interessato potrebbe però proporre
impugnazione davanti al giudice
amministrativo, rinviando così
indefinitamente la definizione dell’abuso,
con grave pregiudizio per la certezza dei
rapporti giuridici.
Quanto sopra esposto non esclude,
ovviamente, che l’autore dell’abuso possa
contestare la misura dell’oblazione, ma tale
ipotesi non deve essere confusa con quella,
ricorrente nel caso di specie, di totale
rinuncia al condono, accompagnata dalla
pretesa di restituzione di tutte le somme
versate.
Il Collegio vuole evidenziare ancora come la
presente decisione non si ponga in contrasto
con altre recenti sentenze della Sezione,
fra cui in primo luogo quella depositata il
24.03.2010 n. 728.
Nel caso deciso in tale pronuncia, infatti,
una parte dell’opera oggetto di concessione
edilizia non era mai stata realizzata, per
cui il Tribunale ha riconosciuto il diritto
alla restituzione della quota di contributo
concessorio per la parte dei lavori non
eseguiti. La presente fattispecie è
oggettivamente differente in quanto,
trattandosi di abuso edilizio, l’intera
opera oggetto della domanda di sanatoria è
stata evidentemente realizzata.
Anche nella ulteriore sentenza di questa
Sezione 19.01.2010 n. 75, è stata ammessa la
rinuncia al titolo edilizio (nel caso, si
trattava di DIA in variante), però le opere
erano state oggetto di un ordine di
sospensione lavori ed in ogni modo, come per
la sentenza 728/2010, non si trattava di
un’ipotesi di condono edilizio, ma di opere
lecite ancora in fieri
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.05.2010 n. 1551 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
divieto di inedificabilità nella fascia di
rispetto autostradale ha carattere assoluto
e prescinde dalla caratteristica dell’opera
realizzanda e risulta finalizzato a
mantenere una fascia di rispetto,
utilizzabile per l'esecuzione di lavori,
l'impianto di cantieri, l'eventuale
allargamento della sede stradale, nonché per
evitare possibili pregiudizi alla
percorribilità della via di comunicazione;
per cui le relative distanze vanno
rispettate anche con riferimento ad opere
che non superino il livello della sede
stradale.
Il Collegio osserva, in linea con la
consolidata giurisprudenza (ex plurimis
Tar Campania, Salerno, n. 1383/2009 e n.
89/2006) che:
a)
l’esistenza di limiti di edificazione da
rispettare con riferimento al nastro di
autostrade e strade, tanto fuori del centro
abitato che nell'ambito di quest'ultimo,
deriva direttamente dalla normativa del
Codice della Strada (artt. 16, 17 e 18 d.lvo
285/2002) e del suo Regolamento di
attuazione, nonché per le sole autostrade
dall'art. 9 della l. 729/1961: in
particolare l'art. 28 del dpr 495/1992 fissa
delle "fasce di rispetto per
l'edificazione nei centri abitati" (mt.
30 per le strade di tipo A, cioè per le
autostrade), mentre il comma 1 dell'art. 9
l. n. 729/1961 pone comunque il divieto di
realizzare qualsivoglia edificazione a
distanza inferiore a mt. 25 dal limite della
zona di occupazione dell'autostrada;
b)
la giurisprudenza ha in proposito precisato
che il divieto di inedificabilità nella
fascia di rispetto autostradale ha carattere
assoluto e prescinde dalla caratteristica
dell’opera realizzanda (CS, sez. IV, n.
4618/2008) e risulta finalizzato a mantenere
una fascia di rispetto, utilizzabile per
l'esecuzione di lavori, l'impianto di
cantieri, l'eventuale allargamento della
sede stradale, nonché per evitare possibili
pregiudizi alla percorribilità della via di
comunicazione; per cui le relative distanze
vanno rispettate anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede
stradale (cfr. Cass. n. 6118
dell'01-06-1995; Cons. Stato, IV, n.
7275/2002, n. 5716/2002, n. 3731/2000; TAR
Calabria, Catanzaro, n. 130/2003; TAR
Campania, Napoli, n. 5226/2001);
c)
alla luce di quanto sopra deve escludersi
che, con riferimento alla fascia di rispetto
oggetto della presente controversia, possa
trovare applicazione sia la speciale
disciplina di cui all’art. 9 della L. n.
122/1989 sia quella regionale dettata
dall'art. 6, comma 8, della L.R. Campania n.
19/2001, atteso che nelle suddette
disposizioni è prevista la prevalenza
rispetto alle sole disposizioni degli
strumenti urbanistici e dei regolamenti
edilizi comunali, con esclusione, quindi,
delle previsioni che promanino direttamente
da norme primarie anch'esse speciali
(TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 17.05.2010 n. 11642 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di ristrutturazione edilizia di un
edificio preesistente presuppone che, in
conformità al disposto degli art. 9 e 26 l.
28.02.1985 n. 47, non si tratti di opere
implicanti radicali interventi di
adattamento delle strutture interne,
eseguite per creare vani o volumi, giacché
l'aumento di questi ultimi determina a sua
volta un maggior carico urbanistico di cui
la p.a. deve tener conto nella valutazione
della vicenda.
Il Consiglio di Stato ha affermato che: “Il
concetto di ristrutturazione edilizia di un
edificio preesistente, presuppone che, in
conformità al disposto degli art. 9 e 26 l.
28.02.1985 n. 47, non si tratti di opere
implicanti radicali interventi di
adattamento delle strutture interne,
eseguite per creare vani o volumi, giacché
l'aumento di questi ultimi determina a sua
volta un maggior carico urbanistico di cui
la p.a. deve tener conto nella valutazione
della vicenda" (nella specie, s'è
verificato l'intero rifacimento d'un vecchio
fabbricato agricolo, con opere anche
interne, finalizzate ad un radicale
cambiamento della destinazione d'uso da
rurale in civile abitazione) (Consiglio
Stato, sez. V, 10.08.2000, n. 4397)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 17.05.2010 n. 2751 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
risanamento conservativo e la
ristrutturazione edilizia costituiscono
interventi di recupero sul patrimonio
edilizio esistente, onde i relativi concetti
postulano necessariamente la preesistenza di
un fabbricato da ristrutturare o risanare,
ossia di un organismo edilizio dotato di
mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, sicché la ricostruzione su ruderi
o su di un edificio già da qualche tempo
demolito o diruto costituisce nuova opera.
La giurisprudenza più recente ha affermato
che “il risanamento conservativo e la
ristrutturazione edilizia costituiscono
interventi di recupero sul patrimonio
edilizio esistente, onde i relativi concetti
postulano necessariamente la preesistenza di
un fabbricato da ristrutturare o risanare,
ossia di un organismo edilizio dotato di
mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, sicché la ricostruzione su ruderi
o su di un edificio già da qualche tempo
demolito o diruto costituisce nuova opera"
(TAR Campania Salerno, sez. II,
26.09.2007, n. 1927; TAR Campania Napoli,
sez. IV, 14.12.2006, n. 10553; Consiglio
Stato, sez. V, 15.04.2004, n. 2142)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 17.05.2010 n. 2751 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
ANNULLAMENTO DELLA GARA E
RISARCIMENTO DELLA LESIONE DELL'INTERESSE
POSITIVO E DELL'INTERESSE NEGATIVO.
1. Giudizio
amministrativo - Risarcimento danno - Prova
- Della spettanza dell'aggiudicazione -
Necessarietà - Al fine della tutela
dell'interesse positivo - Ragioni.
2. Giudizio amministrativo - Risarcimento
danno - Perdita di chance - Casi - Ragioni.
3. Responsabilità - Civile - Risarcimento
danni - Responsabilità precontrattuale -
Sussistenza - Ipotesi - Profili.
1.
Chi agisce a tutela del c.d. interesse
positivo che assume leso dalla mancata
aggiudicazione imputabile all'illegittimo
svolgimento della procedura di gara da parte
della stazione appaltante, deve fornire la
prova circa la spettanza della
aggiudicazione, nonché elementi sufficienti
(rappresentati essenzialmente dai caratteri
della proposta migliorativa) per consentire
al giudice di formulare un giudizio di
prognosi postuma favorevole in una
fattispecie in cui il metodo di
aggiudicazione prescelto -quello cioè
dell'offerta economicamente più vantaggiosa-
non consente al giudice di sostituire il
proprio metro di valutazione delle offerte a
quello proprio della stazione appaltante
stante l'ampia opinabilità dei criteri
tecnici da applicare nella formulazione dei
giudizi in questione.
2.
In relazione al c.d. interesse negativo,
quello cioè a non vedersi coinvolta in una
trattativa inutile per fatto illecito
imputabile alla controparte con conseguente
diritto al rimborso delle spese di
partecipazione sostenute ed, eventualmente,
delle mancate occasioni di guadagno, non può
configurarsi un danno da perdita di chance
quando l'alea oggettivamente connessa al
metodo di aggiudicazione prescelto non
consente di configurare in concreto alcuna
ragionevole probabilità di aggiudicazione
tale da assurgere a posta attiva del
patrimonio dell'istante suscettibile di
ristoro per equivalente in caso di sua
lesione contra ius; si tratta, a ben
vedere, di una mera possibilità di
aggiudicazione che, in quanto
statisticamente non rilevante, non assurge
ad interesse meritevole di tutela per
l'ordinamento ai fini della tutela aquiliana
(Cass., SS.UU., n. 500/1999).
3.
Meritevole di accoglimento è la domanda di
risarcimento danni a titolo di
responsabilità precontrattuale quando la
stazione appaltante, con grave negligenza,
ha posto in essere una sequenza
procedimentale violativa di basilari
principi di imparzialità e trasparenza, in
tal modo rendendo vano l'investimento
economico dell'impresa ricorrente che si è
pertanto vista coinvolta in una procedura
infruttuosa, con conseguente illecita
lesione della propria libertà negoziale ai
sensi e per gli effetti dell'art. 1337, Cod.
Civ. (massima tratta da
http://mondolegale.it -
TAR Molise,
sentenza 12.05.2010 n. 208 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE - ICI:
Determinazione del valore di un'area
fabbricabile. Ai fini della determinazione
del valore di mercato occorre valutare
l'area nel suo complesso.
La Sezione Tributaria della Corte di
Cassazione, con l'importante
sentenza 07.05.2010 n. 11176, ha
chiarito le modalità per la determinazione
del valore di un'area fabbricabile.
In particolare la Corte ha richiamato l'art.
5, comma 8, del D. Leg.vo 504/1992, il
quale, nel prevedere che il valore dell'area
edificabile è costituito da quello venale in
comune commercio, fa riferimento all'intera
area nel suo complesso.
Ne deriva che l'area edificabile deve essere
considerata unitariamente, prescindendo
dalla destinazione che ciascuna porzione di
essa potrà avere in esito alla realizzazione
del processo edificatorio.
D'altro canto non si può trascurare che
l'esercizio concreto diritto ad edificare
richiede che l'area sia urbanizzata, e
quindi debbono esservi spazi riservati
(secondo le prescrizioni dello strumento
urbanistico attuativo) ad infrastrutture e
servizi di interesse generale, quali
parcheggi, strade, aiuole. Ne consegue
ulteriormente che, ai fini della
determinazione del valore dell'area nel suo
complesso, deve tenersi in debito conto il
differente livello di edificabilità delle
parti che compongono l'area (commento tratto
da www.legislazionetecnica.it). |
URBANISTICA:
1. Disposizioni
contenute nel PRG e nei piani attutivi -
Prescrizioni che, in via immediata,
stabiliscono le potenzialità edificatorie
della porzione di territorio interessata -
Onere di immediata impugnativa - Sussiste -
Prescrizioni di dettaglio contenute nelle
n.t.a. o nel regolamento edilizio che
disciplinano più in dettaglio l'esercizio
dell'attività edificatoria - Eventuale
impugnativa - Va proposta in occasione
dell'impugnazione dell'atto applicativo
medesimo.
1. In tema di disposizioni dirette a
regolamentare l'uso del territorio per gli
aspetti urbanistici ed edilizi, contenute
nel piano regolatore, nei piani attuativi o
in altro strumento generale individuato
dalla normativa statale e regionale, la
giurisprudenza distingue fra le prescrizioni
che, in via immediata, stabiliscono le
potenzialità edificatorie della porzione di
territorio interessata (nel cui ambito
rientrano le norme di c.d. "zonizzazione",
di destinazione di aree a soddisfare gli
standard urbanistici, di localizzazione di
opere pubbliche o di interesse collettivo)
dalle altre regole che più in dettaglio
disciplinano l'esercizio dell'attività
edificatoria, generalmente contenute nelle
norme tecniche di attuazione del piano (n.t.a.)
o nel regolamento edilizio.
Mentre per le
prescrizioni di dettaglio contenute nelle n.t.a. -che, in ragione della loro natura
regolamentare, sono suscettibili ripetuta
applicazione ed esplicano effetto lesivo nel
momento in cui è adottato l'atto
applicativo- le eventuali censure vanno
proposte in occasione dell'impugnazione
dell'atto applicativo medesimo, al
contrario, nei confronti delle disposizioni
che stabiliscono le potenzialità
edificatorie di un'area, a causa
dell'immediato effetto conformativo dello
ius aedificandi che ne deriva, si impone un
onere di immediata impugnativa, in
osservanza del termine decadenziale
decorrente dalla pubblicazione dello
strumento pianificatorio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 31.03.2010 n.
845 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Disposizione
normative previste dall'art. 164 D.Lgs n.
490/1999 - Mancata ottemperanza all'ordine di
rimessione in pristino - Intervento
d'ufficio della P.A. - Possibilità di
procedere al rilascio di titoli edilizi che
comportino il venir meno di tale obbligo -
Non sussiste.
2. Autorizzazione paesaggistica -
Mera comunicazione del rilascio in favore di
un soggetto di un'autorizzazione
paesaggistica - Piena conoscenza ai fini
della decorrenza del termine per eventuale
impugnativa - Non sussiste laddove la
comunicazione non contenga riferimenti agli
estremi e al contenuto dell'atto.
1. L'esercizio del potere sanzionatorio in
materia edilizia è doveroso e vincolato. In
particolare, con riguardo all'art. 164 del D.Lgs. n. 490/1999, va rilevato che le
disposizioni normative ivi contenute non
lasciano all'Amministrazione alcun margine
di discrezionalità, in quanto prevedono, in
caso di inottemperanza all'ordine di
rimessione in pristino, l'intervento
d'ufficio della P.A. e non consentono il
rilascio di titoli edilizi che comportino il
venir meno di tale obbligo.
Conseguentemente, il rilascio di un titolo
abilitativo edilizio che ha autorizzato la
realizzazione di un assetto del territorio
differente rispetto a quanto previsto dal
provvedimento sanzionatorio, sebbene i
lavori eseguiti siano conformi a tale
titolo, non legittimano la decisione
dell'Amministrazione di soprassedere al
dovere, legislativamente previsto, di
portare ad esecuzione l'ordine di messa in
pristino, né può ritenersi che tali
circostanze configurino una oggettiva
impossibilità di ottemperare alla sanzione.
2.
La mera comunicazione del rilascio, in
favore di un soggetto, di un'autorizzazione
paesaggistica è inidonea ad integrare quella
piena conoscenza dell'effetto lesivo da cui
inizia a decorrere il termine di decadenza
per l'eventuale impugnativa, allorquando
detta comunicazione non contiene alcun
riferimento agli estremi ed al contenuto
dell'atto (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 31.03.2010 n.
845 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Giustizia amministrativa - Tardività del
ricorso - Deve essere provata in modo certo
ed inequivocabile da parte di chi la
eccepisce - Prospettazione di mere
presunzioni - Sufficienza - Non sussiste.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno - Responsabilità da fatto illecito
- Necessità, oltre alla prova di un danno e
di un nesso di causalità tra il danno e
l'operato dell'Amministrazione, anche
dell'imputazione dell'evento dannoso a
titolo di dolo o colpa della P.A..
3. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno - Errori scusabili che non
integrano il requisito soggettivo del dolo e
della colpa della P.A. - Errori commessi
dalla P.A. in relazione ad una situazione
complessa e tale da escludere un
comportamento negligente
dell'Amministrazione - Sussiste.
1. La tardività del ricorso deve essere
provata in modo certo ed inequivocabile da
parte di chi eccepisce la tardività del
medesimo ed il relativo onere non può
ritenersi adempiuto sulla base della prospettazione di mere presunzioni che non
assurgono a dignità di prova, atteso che non
può ritenersi sufficiente la probabilità che
l'interessato in un determinato momento
abbia avuto cognizione dell'atto contro il
quale ha prodotto il ricorso, altrimenti
risulterebbero violati i principi
costituzionali di cui agli artt. 24 e 113,
secondo i quali tutti possono agire in
giudizio contro gli atti della P.A. a tutela
dei propri diritti ed interessi legittimi.
2. Costituisce principio cardine della
responsabilità da fatto illecito, cui
soggiace anche la P.A., il fatto che
l'ingiustizia del fatto non è requisito
sufficiente a fondare il diritto al
risarcimento.
E' infatti necessaria, oltre
alla prova di un danno e di un nesso di
causalità tra il danno e l'operato
dell'amministrazione, l'imputazione
dell'evento dannoso a titolo di dolo o colpa
della P.A., dovendo quindi verificarsi se
l'adozione è l'esecuzione dell'atto
impugnato sia avvenuta in violazione delle
regole di imparzialità, di correttezza e di
buona fede alle quali l'esercizio della
funzione deve ispirarsi.
3. Gli errori commessi dalla P.A. possono
considerarsi scusabili e, dunque, tali da
non integrare il requisito soggettivo del
dolo o della colpa necessario ai fini del
risarcimento del danno, qualora la
situazione di fatto sia complessa ed
articolata e comunque tale da escludere un
comportamento negligente da parte
dell'Amministrazione, come avvenuto nel caso
di specie in cui la P.A. ha compiuto
ripetute ed approfondite attività
istruttorie in occasione del rilascio dei
titoli abilitativi in seguito annullati (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 31.03.2010 n.
845 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ingiunzione di demolizione -
Permesso in sanatoria - Risarcimento del
danno - Spese giudiziali - Danno da silenzio
- Danno da ritardo - Inammissibilità.
Nel ricorso avverso ingiunzione di
demolizione di un manufatto divenuto
improcedibile per successivo rilascio di
permesso di costruire in sanatoria, la
ricorrente non può dolersi né delle spese
sostenute per il ricorso giudiziale in
quanto la presentazione dell'istanza di
accertamento di conformità impedisce di
ritenere che l'esponente non abbia commesso
alcun abuso edilizio né del silenzio
inizialmente serbato dall'Amministrazione
sull'istanza nel caso in cui il gravame
avverso il silenzio, ex art. 21-bis L. n.
1034/71, sia stato dichiarato inammissibile
con compensazione delle spese.
Neppure risulta configurabile un danno da
ritardo nel rilascio del titolo in
sanatoria, visto che, nelle more del
procedimento di accertamento di conformità,
il manufatto non è stato rimosso, per cui
non è stato cagionato alcun pregiudizio alla
ricorrente che ha continuamente fruito
dell'opera abusiva (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
31.03.2010 n. 844 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di
costruire - Art. 35, comma 1, L.R. n.
12/2005 e art. 11, D.P.R. n. 380/2001 -
Titolo per il rilascio del permesso di
costruire - Diritto di proprietà e altri
diritti reali o personali di godimento,
purché con facoltà di attuare interventi
sull'immobile - Necessità di accertamento
del titolo da parte del Comune - Sussiste,
limitatamente alla verifica di un titolo
sostanziale idoneo a costituire la posizione
legittimante.
Come noto, l'art. 35, comma 1, L.R. 12/2005
-riprendendo analoga formulazione dell'art.
11, D.P.R. n. 380/2001- stabilisce che il
permesso di costruire venga rilasciato «al
proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo» e l'espressione
legislativa «titolo per richiederlo» è stata
intesa dalla giurisprudenza nel senso di
posizione che civilisticamente costituisca
titolo per esercitare sul fondo un'attività
costruttiva.
Tale posizione soggettiva non
coincide con il solo diritto di proprietà,
ma anche con altri diritti reali o
addirittura personali di godimento, purché
attribuiscano al titolare la facoltà di
attuare interventi sull'immobile.
Tenuto
conto, pertanto, che la mancanza della
proprietà o di altro titolo idoneo preclude
il rilascio del permesso di costruire,
l'Amministrazione comunale è chiamata allo
svolgimento di un'attività istruttoria, per
accertare la sussistenza del titolo
legittimante.
Tuttavia, al Comune spetta
soltanto la verifica, in capo al
richiedente, di un titolo sostanziale idoneo
a costituire la posizione legittimante,
senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine
che si estenda fino alla ricerca di
eventuali fattori limitativi, preclusivi o
estintivi del titolo di disponibilità
dell'immobile, allegato da chi presenta
istanza edilizia (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
31.03.2010 n.
842 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Ingiunzione di
ripristino stato dei luoghi - Concessione in
sanatoria ex L. n. 47/1985 - Situazione dei
luoghi difforme da quella sanata -
Affidamento - Non sussiste.
2. Ingiunzione di
ripristino stato dei luoghi - Concessione in
sanatoria e certificato abitabilità ex L. n.
47/1985 - Situazione dei luoghi difforme da
quella sanata - Diversità delle altezze e
delle superfici - Inutilizzabilità del
certificato di abitabilità - Legittimità.
1. Nessun affidamento può essere invocato da
chi abbai conseguito un provvedimento
favorevole in base ad una rappresentazione
errata della realtà, ed il provvedimento di
ripristino dello stato dei luoghi, non nello
stato "condonato", ma in quello assentito
con la licenza edilizia originaria (con
implicito annullamento in autotutela della
concessione in sanatoria) non richiede la
presenza di un interesse pubblico attuale e
concreto, a giustificazione del
provvedimento in autotutela, quando il
rilascio della concessione sia derivato da
una erronea rappresentazione dei fatti (non
importa se dolosa o colposa) da parte del
privato richiedente.
2. Nessun rilievo può avere il certificato
di abitabilità conseguito unitamente al
condono nel caso di diversità delle altezze
e delle superfici che incidono sulla
volumetria, superficie e parametri urbanistico-edilizi
dell'immobile, in quanto i requisiti di
abitabilità dei sottotetti sono stabiliti da
fonte primaria non derogabile neppure in
sede di condono degli abusi edilizi,
risultando conseguentemente legittima
l'ingiunzione di ripristino dello stato dei
luoghi in aderenza a quanto assentito con la
licenza originaria (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
31.03.2010 n.
840 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di non
effettuare l'intervento notificato dopo
30 giorni dalla presentazione della d.i.a., ma emanato entro tale termine -
Legittimità - Sussiste.
L'ordine di non effettuare l'intervento
non è tardivo, se ancorché notificato dopo
il decorso di 30 giorni dalla
presentazione della d.i.a, è emanato entro
detto termine; il termine di 30 giorni
dalla presentazione della d.i.a. vale per
l'emanazione dell'ordine di non effettuare
l'intervento, e non anche per la notifica (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
30.03.2010 n. 839 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Recupero
abitativo dei sottotetti - Monetizzazione
dei parcheggi pubblici - Mancata previsione
normativa reiterata dal Piano delle Regole
-Legittimità.
2. Recupero
abitativo dei sottotetti - Parcheggi privati
- Natura pertinenziale - Sussiste.
1. In tema di recupero abitativo dei
sottotetti la L.R. n. 12/2005 e s.m.i. non
prevede la monetizzazione dei parcheggi
pubblici, pertanto è legittima la previsione
del piano delle regole in tal senso
orientata.
2. In tema di recupero abitativo dei
sottotetti, per quanto concerne i parcheggi pertinenziali privati, tutti i parcheggi
costituenti la dotazione minima devono
ritenersi gravati da vincolo pertinenziale
ex lege, siano essi realizzati in base alla
c.d. legge Tognoli (legge n. 122 del 1989),
ovvero in base all'art. 41-sexies della
legge urbanistica (legge n. 1150 del 1942),
trattandosi di un vincolo di destinazione
pubblicistico, inderogabile e permanente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
30.03.2010 n. 839 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Illeciti commessi dagli
amministratori di una società - Esimenti
idonee a giustificare l'inadempimento delle
obbligazioni assunte dalla società -
Applicabilità al fine di evitare le sanzioni
previste dall'art. 42 del D.P.R. n. 380/2001
- Non sussiste.
Gli illeciti -commissivi ed omissivi,
penali, civili ed amministrativi-
eventualmente commessi dagli amministratori
sono fatti interni alla società e, sul piano
giuridico, non costituiscono esimente idonea
a giustificare l'inadempimento delle
obbligazioni assunte e scriminare la
responsabilità del debitore, quale causa non
imputabile, ai sensi dell'art. 1218 c.c..
I predetti illeciti non costituiscono
un'esimente anche ai fini dell'applicazione
delle sanzioni di cui all'art. 42 del D.P.R.
n. 380/2001 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
30.03.2010 n.
838 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di
costruire in sanatoria ex D.Lgs. n. 269/2003
- Contributo di urbanizzazione e costo di
costruzione - Tariffe vigenti - Art. 6 L.R.
n. 31/2004 - Legittimità costituzionale.
In relazione al fatto se gli oneri di
urbanizzazione ed il costo di costruzione
dovuti ai fini della sanatoria debbano
essere commisurati alle tariffe vigenti al
momento del deposito dell'istanza di
sanatoria o a quelle vigenti al tempo del
rilascio del titolo edilizio, dispone l'art.
4, c. 6, L.R. 03.11.2004 n. 31 nel senso che
la determinazione deve effettuarsi tenendo
conto del regime tariffario in vigore al
momento di adozione del permesso di
sanatoria, essendo stata tale soluzione
interpretativa ritenuta costituzionalmente
legittima (v. ordinanza Corte Cost. n.
105/2010) in quanto la scelta normativa
della Regione Lombardia rappresenta "un
bilanciamento di interessi che può solo
essere effettuato dal legislatore" (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
30.03.2010 n.
833 - link a
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APPALTI:
1. Requisiti generali -
Moralità dell'impresa - Valutazione dei
precedenti penali - Spetta
all'amministrazione.
2. Requisiti generali -
Precedenti penali risalenti nel tempo -
Obbligo di dichiarazione - Sussiste.
1. Per giurisprudenza pacifica la
valutazione di incidenza della fattispecie
penale consumata sulla moralità
professionale dell'impresa appartiene
esclusivamente all'amministrazione
appaltante, rientrando nella sua
discrezionalità ritenere o meno sussistente
siffatta incidenza (cfr. TAR Lombardia
Milano, sez. I, 19.05.2009, n. 3768 e
Cons. Stato, sez. V, 22.02.2007, n.
945).
2. In tema di verifica del possesso dei
requisiti generali di partecipazione ad una
gara di appalto pubblico, la risalenza nel
tempo dei fatti e della condanna penale
riportata non è idonea a precludere la
valutazione della stazione appaltante (e il
correlato obbligo di dichiarazione da parte
dei concorrenti), attesa la ratio della
verifica intesa ad un giudizio di
affidabilità in ordine alla moralità
professionale dell'aspirante contraente
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19.10.2007, n.
5470) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 25.03.2010 n.
729 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Contributo di
costruzione - Obbligo di restituzione, da
parte della P.A. delle somme corrisposte -
Sussiste laddove il privato rinunci al
permesso di costruire o sia intervenuta la
decadenza del titolo edilizio.
2. Contributo di
costruzione - Obbligo di restituzione, da
parte della P.A. delle somme corrisposte -
In caso di utilizzo soltanto parziale del
permesso di costruire per realizzazione di
parte delle opere edilizie previste -
Sussiste per la quota di contributo di
costruzione che è stata calcolata con
riferimento alle opere non realizzate.
3. Contributo di
costruzione - Obbligo di restituzione, da
parte della P.A. delle somme corrisposte -
Decorrenza del termine di prescrizione -
Dalla data in cui il titolare comunica
all'Amministrazione la propria intenzione di
rinunciare al titolo abilitativo o dalla
data di adozione, da parte della P.A. del
provvedimento che dichiara la decadenza del
permesso di costruire.
4. Restituzione
di somme indebitamente riscosse da parte
della P.A. - Diritto del privato agli
interessi legali - Sussiste.
5. Risarcimento
del maggior danno rispetto agli interessi
legali richiesto a colui che abbia ricevuto
in buona fede un pagamento indebito - Va
valutato con riguardo al periodo successivo
alla presentazione della domanda di
restituzione delle somme indebitamente
pagate.
1. Quando il privato rinunci al permesso di
costruire o anche quando sia intervenuta la
decadenza del titolo edilizio -per scadenza
dei termini iniziali o finali o per il
sopravvenire di previsioni urbanistiche
introdotte o dallo strumento urbanistico o
da norme legislative o regolamentari,
contrastanti con le opere autorizzate e non
ancora realizzate- sorge in capo alla P.A.
l'obbligo di restituzione delle somme
corrisposte a titolo di contributo per oneri
di urbanizzazione e costo di costruzione e,
conseguentemente, il diritto del privato a
pretenderne la restituzione, in quanto il
contributo concessorio è strettamente
connesso all'attività di trasformazione del
territorio. Pertanto, ove tale circostanza
non si verifichi, il relativo pagamento
risulta privo di causa, cosicché l'importo
versato va restituito.
2. Il diritto alla restituzione sorge non
solamente nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale, ma
anche ove il permesso di costruire sia stato
utilizzato soltanto parzialmente, tenuto
conto che sia la quota degli oneri di
urbanizzazione che la quota relativa al
costo di costruzione sono correlati, sia
pure sotto profili differenti, all'oggetto
della costruzione.
L'avvalimento solo
parziale delle facoltà edificatorie
consentite da un permesso di costruire
comporta dunque il sorgere, in capo al
titolare, del diritto alla rideterminazione
del contributo ed alla restituzione della
quota di esso che è stata calcolata con
riferimento alla porzione non realizzata.
3. Ai sensi dell'art. 2935 c.c. il termine
di prescrizione comincia a decorrere dal
giorno in cui il diritto può essere fatto
valere e, dunque, dalla data in cui il
titolare comunica all'Amministrazione la
propria intenzione di rinunciare al titolo
abilitativo o dalla data di adozione, da
parte della P.A. del provvedimento che
dichiara la decadenza del permesso di
costruire per scadenza dei termini iniziali
o finali o per l'entrata in vigore delle
previsioni urbanistiche contrastanti.
4. Il privato, sulle somme indebitamente
riscosse dalla P.A., ha diritto agli
interessi legali i quali, qualora non vi
siano elementi che escludano la buona fede
dell'Amministrazione, spettano dalla data
della domanda.
5.
Il risarcimento del maggior danno, rispetto
agli interessi legali, richiesto a colui che
abbia ricevuto in buona fede un pagamento
indebito ai sensi dell'art. 2033 c.c.,
riguarda il periodo successivo alla
presentazione della domanda, essendo
irrilevante l'allegazione e la dimostrazione
di aver dovuto fare ricorso ad oneroso
credito bancario in periodo precedente la
presentazione della domanda di restituzione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
24.03.2010 n.
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APPALTI:
1. Annullamento degli
atti di gara - Cognizione del Giudice
amministrativo - Investe anche il contratto
medio tempore stipulato.
La cognizione del Giudice amministrativo ha
ad oggetto non soltanto la domanda di
annullamento degli atti di gara e
dell'aggiudicazione definitiva di un appalto
pubblico ma si estende altresì alla domanda
del contraente pretermesso illecitamente
dalla gara, e quindi privato della
possibilità di stipulare il relativo
contratto con l'amministrazione, di essere
reintegrato nella sua posizione, con la
privazione di effetti del contratto medio
tempore stipulato dalla stazione appaltante
con altro concorrente (cfr. Cass. Civ., Sez.
Un., ordinanza n. 2906 del 10.02.2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 23.03.2010 n.
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APPALTI:
1. Annullamento
dell'aggiudicazione provvisoria in
autotutela - Avvio del procedimento - Non è
necessario.
2. Annullamento
dell'aggiudicazione provvisoria -
Rinnovazione integrale della gara - E'
legittimo ove sia stata riscontrata la
violazione del principio di segretezza delle
offerte.
1. Secondo orientamento costante, ove
l'amministrazione intenda esercitare il
proprio potere di autotutela rispetto
all'aggiudicazione provvisoria (atto avente
natura endoprocedimentale e non conclusivo
del procedimento), non è tenuta a dare
previa comunicazione dell'avvio del relativo
procedimento versandosi ancora nell'unico
procedimento iniziato con l'istanza di
partecipazione alla gara, vantando
l'aggiudicatario provvisorio una mera
aspettativa di fatto alla conclusione del
procedimento (cfr., per tutte, Cons. Stato,
sez. V, 12.02.2010, n. 743).
2. E' legittimo il provvedimento con cui
l'amministrazione, avendo espletato una gara
d'appalto il cui vincitore è risultato
illegittimamente ammesso, disponga la
rinnovazione integrale della gara in
conseguenza dall'accertamento del vizio
radicale riscontrato in relazione alla
violazione del principio della segretezza
delle offerte durante lo svolgimento della
procedura selettiva (cfr. Cons. Stato, sez.
V, 06.03.2002, n. 1367) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 23.03.2010 n.
707 - link a
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APPALTI:
1. Esclusione dalla
procedura e contestuale aggiudicazione
provvisoria ad altro concorrente -
Impugnazione - Ricorso giurisdizionale -
Deve essere notificato al controinteressato
aggiudicatario provvisorio a pena di
inammissibilità.
2. Appalti pubblici - Mancata notifica del
ricorso principale al controinteressato -
Inammissibilità - Proposizione di motivi
aggiunti - improcedibilità per carenza
d'interesse.
1. L'aggiudicatario provvisorio assume la
veste di controinteressato nel ricorso
proposto dal concorrente escluso dalla
procedura ad evidenza pubblica quando
l'esclusione e l'aggiudicazione siano
avvenute contestualmente, ossia senza
soluzione di continuità, potendo la ditta
esclusa rendersi perfettamente conto che
l'impugnativa incide sulla posizione,
differenziata e giuridicamente protetta, di
altro soggetto privato.
Di conseguenza la
mancata notifica al medesimo del relativo
gravame ne determina l'inammissibilità
(Cons. Stato, Sez. VI 10.10.2002 n.
5453).
2. La mancata notifica del ricorso
principale al controinteressato determina
l'inammissibilità dello stesso e rende
improcedibili per sopravvenuta carenza di
interesse gli ulteriori motivi aggiunti
(Consiglio Stato Sez. VI, 23.06.2006, n.
4012) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 23.03.2010 n.
706 - link a
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APPALTI:
Società cessionaria del ramo
d'azienda - Obbligo di produrre le
dichiarazioni di moralità riferite anche
degli amministratori dell'impresa cedente -
Non sussiste se non previsto dal bando.
Laddove il bando di gara nulla prescriva,
non sussiste in capo all'impresa cessionaria
del ramo d'azienda necessario per la
partecipazione alla gara, l'obbligo di
presentare in sede di offerta le
dichiarazioni di moralità di cui all'art.
38, co. 1, lett. c), anche relativamente
agli amministratori e ai direttori generali
dell'impresa cedente (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 23.03.2010 n.
705 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Piano di
lottizzazione - Posizionamento recinzione -
Ordinanze di demolizione inoppugnabili -
Nuovi proprietari - riattivazione
procedimento - Interesse pubblico -
Ingiunzione di demolizione - Legittimità.
2. Piano di
lottizzazione - Posizionamento recinzione -
Ordinanza di demolizione - Assetto
concordato tra privati - Natura giuridica
della strada - Poteri repressivi del Comune
- Legittimità.
1. In relazione ad una recinzione realizzata
non in conformità alla determinazione dei
punti fissi tra due comparti di
lottizzazione per cui siano divenute
inoppugnabili le ordinanze di demolizione
adottate in seguito alla perenzione dei
ricorsi, legittimamente il Comune può
riattivare nei confronti dei nuovi
proprietari il procedimento sanzionatorio
intrapreso nei confronti della loro dante
causa, corrispondente ad un interesse
pubblico attuale che non richiede
particolare motivazione posto che non è
mutato il posizionamento della recinzione.
2. Poiché la determinazione dei punti fissi
tra due comparti di lottizzazione è stata
recepita e fatta propria dal Comune risulta
conforme all'interesse pubblico il fatto che
le costruzioni vengano realizzate secondo
l'assetto concordato.
Peraltro risulta
legittima l'ordinanza di rimozione impugnata
posto che la natura giuridica della strada
(di cui i ricorrenti contestano l'idoneità
all'uso pubblico) e la titolarità della
strada (di cui contestano la proprietà o
almeno l'uso pubblico) parimenti non
escludono il potere del Comune di adottare
misure repressive in ordine a interventi
edilizi non conformi alla normativa di
settore o al titolo concessorio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II, sentenza
17.03.2010 n. 659). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abuso edilizio -
Ingiunzione di demolizione - Obbligazione
solidale ad eseguire del proprietario e del
responsabile dell'abuso - Sussiste -
Acquisizione dell'area di sedime - Non si
verifica se il proprietario abbia fornito
alla P.A. procedente, prima
dell'ingiunzione, ogni elemento utile
all'identificazione del responsabile -
Estraneità del proprietario alla
realizzazione dell'abuso - Azione di
regresso nei confronti del responsabile -
Sussiste.
Il soggetto che riveste la sola qualifica di
"proprietario" è tenuto in solido con il
responsabile dell'abuso edilizio ad eseguire
la sanzione demolitoria irrogata
dall'autorità amministrativa, con la sola
preclusione dell'acquisizione dell'area di
sedime, allorquando il proprietario abbia
avuto modo di fornire, prima dell'emanazione
dell'ingiunzione, all'Amministrazione
procedente ogni elemento utile
all'identificazione del soggetto
responsabile dell'abuso.
Anche l'estraneità
alla realizzazione dell'abuso edilizio non
esonera il proprietario dell'edificio dalla
responsabilità per la sanzione, salva
l'eventuale azione di regresso nei confronti
dell'autore del medesimo (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
16.03.2010 n.
656 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Piano di
recupero - Permesso di costruire in
sanatoria - Qualificazione dell'intervento -
Demolizione con ricostruzione - Art. 33 e 37
D.P.R. n. 380/2001 - Varianti in sanatoria -
Legittimità.
2. Permesso di
costruire in sanatoria - Demolizione con
ricostruzione - Art. 33 e 37 D.P.R. n.
380/2001 - Sanzioni amministrative -
Ricalcolo contributo sull'intera volumetria
- Legittimità.
1. Non possono ascriversi alla categoria
delle varianti in corso d'opera le varianti
che modificano, per giunta in aumento,
superfici commerciali e volumetrie, e che
alterano la tipologia dell'intervento.
Pertanto nel caso di realizzazione di un
intervento, in luogo di quello previsto nel
piano di recupero (in parte di
ristrutturazione e di manutenzione ed in
parte di risanamento conservativo), di
totale demolizione e ricostruzione, per
giunta non fedele rispetto all'organismo
preesistente, risultano legittimi i permessi
di costruire in sanatoria volti a sanare, il
primo, la demolizione eseguita in difformità
del titolo ex art. 37 D.P.R. n. 380/2001, il
secondo, l'intervento abusivo di
ricostruzione ex art. 33 D.P.R n. 380/2001.
2.
Rispetto ad un piano che prevedeva un
intervento unitario di recupero la
demolizione totale dell'edificio e la sua
ricostruzione realizzata con volumi,
superfici e sagoma difformi configura,
unitariamente, una difformità totale, tale
da dare luogo al ricalcolo del contributo
sanzionatorio sull'intera volumetria
realizzata.
Tanto più ove si consideri che la stessa
ricorrente ha chiesto, prima, la sanatoria
della demolizione, poi, la sanatoria della
ricostruzione, risulta legittimo che nel
permesso di costruire in sanatoria per la
ricostruzione del fabbricato il Comune abbia
calcolato l'oblazione su tutta la volumetria
realizzata, salvo lo scomputo di quanto già
versato come contributo di costruzione in
base alle pregresse D.I.A. (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.03.2010 n.
643 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di opere di
recinzione - Permesso di costruire -
Necessità - Limiti.
La valutazione in ordine alla necessità
della concessione edilizia per la
realizzazione di opere di recinzione va
effettuata sulla scorta dei seguenti due
parametri: natura e dimensioni delle opere e
loro destinazione e funzione; in base a tale
criterio, dunque, non è necessario il
permesso per costruire per modeste
recinzioni di fondi rustici senza opere
murarie, e cioè per la mera recinzione con
rete metallica sorretta da paletti di ferro
o di legno senza muretto di sostegno, in
quanto entro tali limiti la recinzione
rientra solo tra le manifestazioni del
diritto di proprietà, che comprende lo "ius
excludendi alios" o comunque la
delimitazione e l'assetto delle singole
proprietà; occorre, invece, il permesso,
quando la recinzione è costituita da un
muretto di sostegno in calcestruzzo con
sovrastante rete metallica, incidendo esso
in modo permanente e non precario
sull'assetto edilizio del territorio.
Per la
posa in opera di una semplice recinzione con
paletti in ferro, non infissi in muratura
nel terreno, non è necessaria alcuna
richiesta di provvedimento concessorio,
trattandosi di installazione precaria e
rientrando tale opera tra le attività di
mera manutenzione (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.03.2010 n.
636 - link a
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APPALTI:
Contratto di avvalimento - Oggetto - Non soltanto le
referenze maturate ma anche il complesso di
beni organizzato (azienda) per l'esercizio
dell'attività di impresa da parte
dell'impresa ausiliaria.
La finalità dell'istituto dell'avvalimento é
quella di consentire la massima
partecipazione alle gare ad evidenza
pubblica permettendo alle imprese non in
possesso dei requisiti tecnici, di sommare,
unicamente per la gara in espletamento, le
proprie capacità tecniche ed
economico-finanziarie a quelle di altre
imprese.
L'avvalimento non è dunque una
modalità associativa ma uno strumento di
utilizzo delle risorse altrui
nell'esecuzione del contratto e per tale
ragione oggetto del contratto di avvalimento
non può pertanto essere soltanto la
referenza maturata in passato dall'impresa
ausiliaria ma l'azienda, vale a dire, il
complesso di beni organizzato per
l'esercizio delle attività di impresa (cfr.
TAR Veneto Venezia, sez. I, 06.11.2008, n.
3451 e Autorità Vigilanza sui Contratti
Pubblici, parere n. 155 del 20.12.2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 12.03.2010 n.
613 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Art. 21-octies, L. 241/1990 - Preavviso di
rigetto - Ambito di applicazione - Rapporto
con gli artt. 7 e 10-bis - Partecipazione
del privato al procedimento amministrativo -
Omessa comunicazione dei motivi ostativi
all'accoglimento - Successiva dimostrazione
in giudizio che il contenuto del
provvedimento non poteva essere differente
da quello adottato - Illegittimità.
L'art. 21-octies della legge n. 241 del 1990
è finalizzato a tradurre in concreto gli
astratti principi di strumentalità delle
forme rispetto al raggiungimento dello scopo
e di conservazione degli effetti del
provvedimento. Tuttavia, in virtù della
valenza generale del principio del giusto
procedimento, la norma deve, certamente,
ricevere un'applicazione circoscritta, in
relazione alle preminenti esigenze
garantistiche da tutelare.
Non appare, infatti, condivisibile
l'equiparazione del vizio di mancata
comunicazione del preavviso di rigetto alla
violazione delle altre norme sul
contraddittorio procedimentale, atteso che
gli artt. 7 e 21-octies da un lato e 10-bis
dall'altro rispondono ad una funzione
diversa, non assimilabile in alcun modo.
Mediante l'introduzione del preavviso di
rigetto, il contraddittorio procedimentale
tra amministrazione e destinatario dell'atto
risulta più efficace, sia in relazione alla
messa a nudo delle risultanze istruttorie in
possesso dell'amministrazione, che alla
formulazione di osservazioni del privato,
potenzialmente rilevanti per l'emissione di
un migliore provvedimento.
Mentre, infatti, la comunicazione di avvio
del procedimento si colloca temporalmente
nella preliminare fase istruttoria
procedimentale, il preavviso di rigetto deve
essere emesso e comunicato all'interessato
in un momento successivo alla conclusione
dell'istruttoria, nell'ambito, dunque, della
fase decisoria del procedimento
amministrativo, determinando un concreto
apporto del destinatario al contenuto stesso
del provvedimento.
Tanto premesso, in caso di omessa
comunicazione dei motivi ostativi
all'accoglimento dell'istanza ex art. 10-bis
della legge 241/1990, l'amministrazione non
può dimostrare in giudizio che il contenuto
del provvedimento non sarebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato (cfr.
TAR Liguria, sez. I, 31.12.2009, n. 4129) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 12.03.2010 n.
607 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di urbanizzazione -
Contestazione vertente sulla quantificazione
- Giurisdizione esclusiva del G.A. -
Sussiste - Pretesa del privato diretta alla
esatta determinazione del contributo dovuto
- Si atteggia come diritto soggettivo.
Una contestazione che verta sulla
quantificazione degli oneri di
urbanizzazione, rientranti nella
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ai sensi dell'art. 16 della
L. n. 10/1977, e la pretesa del privato
diretta alla esatta determinazione del
contributo dovuto, si atteggia come diritto
soggettivo, la cui azionabilità non è
subordinata né all'impugnativa di un atto
amministrativo formale, né all'osservanza
del termine perentorio di decadenza, bensì
di quello ordinario di prescrizione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.03.2010 n.
584 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Valutazione di
un intervento edilizio consistente in una
pluralità di opere - Va effettuata
globalmente.
2. Intervento
edilizio di demolizione di una parte del
fabbricato, con conseguente modifica della
sagoma dell'edificio originario -
Qualificazione come intervento di
manutenzione - Non sussiste.
1. Nel valutare un intervento edilizio
consistente in una pluralità di opere, deve
effettuarsi una valutazione globale delle
stesse, atteso che la considerazione
atomistica dei singoli interventi non
consente di comprendere l'effettiva portata
dell'operazione.
2.
La demolizione di una parte del fabbricato,
con conseguente modifica della sagoma
dell'edificio originario, porta ad escludere
che l'intervento edilizio possa essere
ricondotto alla semplice manutenzione
ordinaria o straordinaria (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.03.2010 n.
584 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Varianti in corso d'opera -
Individuazione - Criteri.
Rientrano nella categoria delle varianti in
corso l'opera i soli interventi edilizi in
lieve difformità dal progetto assentito, che
si rendano necessari nel corso
dell'edificazione per ragioni tecniche non
previste o prevedibili al momento della
redazione di detto progetto, mentre non
rientrano in tale categoria di varianti c.d.
"leggere" quelle che prevedono la
demolizione di una parte dell'edificio
originario o una serie di interventi interni
(quali lo spostamento di tavolati e la
creazione di volumi, la diversa ubicazione
di scale e finestre) ed esterni (chiusura di
finestre, diversa dimensione delle aperture,
porte e finestre, la difformità di altezza e
di forma del frontale) che, complessivamente
considerate, comportano una modifica del
progetto originario di entità non
trascurabile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.03.2010 n.
584 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Oneri di
urbanizzazione - Contestazione vertente
sulla quantificazione - Giurisdizione
esclusiva del G.A. - Sussiste - Pretesa del
privato diretta alla esatta determinazione
del contributo dovuto - Si atteggia come
diritto soggettivo.
2. Valutazione di
un intervento edilizio consistente in una
pluralità di opere - Va effettuata
globalmente.
3. Intervento
edilizio di demolizione di una parte del
fabbricato, con conseguente modifica della
sagoma dell'edificio originario -
Qualificazione come intervento di
manutenzione - Non sussiste.
4. Varianti in
corso d'opera - Individuazione - Criteri.
1. Una contestazione che verta sulla
quantificazione degli oneri di
urbanizzazione, rientranti nella
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ai sensi dell'art. 16 della
L. n. 10/1977, e la pretesa del privato
diretta alla esatta determinazione del
contributo dovuto, si atteggia come diritto
soggettivo, la cui azionabilità non è
subordinata né all'impugnativa di un atto
amministrativo formale, né all'osservanza
del termine perentorio di decadenza, bensì
di quello ordinario di prescrizione.
2. Nel valutare un intervento edilizio
consistente in una pluralità di opere, deve
effettuarsi una valutazione globale delle
stesse, atteso che la considerazione
atomistica dei singoli interventi non
consente di comprendere l'effettiva portata
dell'operazione.
3. La demolizione di una parte del
fabbricato, con conseguente modifica della
sagoma dell'edificio originario, porta ad
escludere che l'intervento edilizio possa
essere ricondotto alla semplice manutenzione
ordinaria o straordinaria.
4.
Rientrano nella categoria delle varianti in
corso l'opera i soli interventi edilizi in
lieve difformità dal progetto assentito, che
si rendano necessari nel corso
dell'edificazione per ragioni tecniche non
previste o prevedibili al momento della
redazione di detto progetto, mentre non
rientrano in tale categoria di varianti c.d.
"leggere" quelle che prevedono la
demolizione di una parte dell'edificio
originario o una serie di interventi interni
(quali lo spostamento di tavolati e la
creazione di volumi, la diversa ubicazione
di scale e finestre) ed esterni (chiusura di
finestre, diversa dimensione delle aperture,
porte e finestre, la difformità di altezza e
di forma del frontale) che, complessivamente
considerate, comportano una modifica del
progetto originario di entità non
trascurabile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.03.2010 n.
584 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Ordinanza di
ripristino di un'area - Locazione ad altra
società - Acquisizione gratuita al
patrimonio del Comune - Non estraneità
all'abuso - Disponibilità dell'area -
Legittimità.
2. Ordinanza di
ripristino di un'area - Posa di materiale
inerte - Qualificazione come costruzione -
Mancanza di permesso di costruire -
Legittimità.
3. Ordinanza di
ripristino di un'area - Acquisizione
gratuita al patrimonio del Comune - Potere
di controllo e sanzionatorio - Vetustà
dell'abuso - Affidamento - Sanatoria - Non
sussiste.
1. L'art. 31 D.P.R. n. 380/2001, nel caso di
accertata esecuzione di interventi in
assenza di permesso, prevede di ingiungere
al proprietario dell'area, oltre che al
responsabile dell'abuso, la rimozione o la
demolizione, e posto che nel caso di specie
non può ritenersi che la proprietaria
ricorrente non abbia la disponibilità del
bene o sia estranea alla commissione degli
abusi, in quanto realizzati e contestati in
un momento antecedente alla stipulazione del
contratto di locazione dell'area ad altra
società, risulta legittimamente adottata
l'ordinanza di remissione in pristino
dell'area e, conseguentemente, in ragione
dell'inottemperanza all'ordine,
l'acquisizione gratuita al patrimonio del
Comune dell'area opera nei confronti della
proprietaria.
2. In considerazione dell'entità del
deposito dei materiali e della stabilità
dell'utilizzazione dell'area come deposito,
nonché dello spargimento di ghiaia sull'area
preordinata a modificare la destinazione
d'uso da zona per "attrezzature pubbliche" a
deposito, è da ritenersi realizzata una
trasformazione permanente dell'assetto
edilizio del territorio necessitante
permesso di costruire ai sensi dell'art. 3,
lett. e), D.P.R. n. 380/2001, e
conseguentemente legittimo l'ordine di
ripristino dell'area impugnato.
3. Non esclude il carattere abusivo
dell'opera il fatto che l'area fosse da
decenni adibita a tale attività produttiva,
poiché la vetustà dell'opera non esclude il
potere di controllo ed il potere
sanzionatorio del Comune in materia urbanistico-edilizia,
perché l'esercizio di tale potere non è
soggetto a prescrizione o decadenza; ne
consegue che l'accertamento dell'illecito
amministrativo e l'applicazione della
relativa sanzione può intervenire anche a
notevole distanza di tempo dalla commissione
dell'abuso, senza che il ritardo
nell'adozione di sanzione comporti sanatoria
o il sorgere di affidamenti o di situazioni
consolidate (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.03.2010 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
Decadenza della concessione
edilizia - Effetti - Dichiarazione della
P.A. - Necessità.
La decadenza della concessione edilizia per
mancato inizio ed ultimazione dei lavori non
è automatica e deve, pertanto, essere
dichiarata con apposito provvedimento della
P.A. che renda operanti gli effetti della
decadenza accertata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.03.2010 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
Manufatto tipo
container - Qualora non risponda ad esigenze contingibili del proprietario - Necessità di
apposito titolo abilitativo edilizio -
Sussiste.
Un manufatto tipo container qualora non
risponda ad esigenze contingibili del
proprietario ma risulta destinato a
soddisfare stabilmente esigenze di utilizzo
necessita di apposito titolo abilitativo
edilizio, trattandosi di nuova costruzione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.03.2010 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
Rigetto di concessione edilizia
in variante - Identità con progetti già
respinti - Atto confermativo - Parere
Commissione Edilizia - Non sussiste.
In merito ad una domanda di concessione in
variante, deve escludersi, nonostante
l'identità del progetto con quelli allegati
a precedenti richieste in variante già
respinte, che il rigetto del titolo edilizio
rientri nella categoria degli atti meramente
confermativi nel caso in cui lo stesso sia
il risultato di una nuova istruttoria (con
acquisizione del parere negativo della
Commissione Edilizia) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.03.2010 n.
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URBANISTICA:
Varianti urbanistiche - Obbligo
di motivazione - Casi di affidamento
qualificato del privato - Sussiste.
Le motivazioni delle varianti urbanistiche
devono essere puntuali, in quanto lesive
delle legittime aspettative edificatorie dei
privati, solo in caso di affidamento
qualificato di questi ultimi, rientrando in
tale ipotesi le situazioni di chi ha
ottenuto un giudicato di annullamento di una
precedente destinazione di zona, ovvero di
un diniego di titolo abilitativo
edilizio,oppure ancora del silenzio-rifiuto
formatosi su una domanda edilizia e infine
di chi ha stipulato accordi vincolanti con
la P.A., quale una convenzione di
lottizzazione.
A fronte di aspettative di mero fatto, le
scelte di natura tanto ambientale quanto
urbanistica rimesse alla P.A. nell'interesse
generale sono di regola sufficientemente
motivate con l'indicazione dei profili
generali e dei criteri che hanno sorretto la
previsione di variante, senza necessità di
una motivazione mirata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.03.2010 n.
556 - link a
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URBANISTICA:
1. Reiterazione di
vincoli espropriativi - Lesione
dell'interesse pretensivo - Risarcimento del
danno - Necessità della prova della natura
vincolata o sostanzialmente vincolata
dell'attività amministrativa successiva alla
rimozione dei vincoli espropriativi
illegittimi - Sussiste.
2. Reiterazione di
vincoli espropriativi - Pagamento
dell'indennizzo - Art. 39 comma 1, d.P.R. n.
327 del 2001 - Giurisdizione - Appartiene al
Giudice civile.
1. Il risarcimento del danno per lesione
dell'interesse pretensivo ascrivibile
all'illegittima reiterazione di vincoli
espropriativi non può ridursi alla mera
deduzione della pregressa impossibilità di
utilizzare un terreno a fini edificatori per
un determinato lasso temporale, ma deve
poggiare sulla prova, seppur di tipo logico,
della natura vincolata o sostanzialmente
vincolata dell'attività amministrativa
successiva alla rimozione dei vincoli
espropriativi illegittimi.
2.
I profili attinenti al pagamento
dell'indennizzo per vincolo espropriativo
scaduto e reiterato non attengono alla
legittimità del procedimento espropriativo,
ma riguardano questioni di carattere
patrimoniale (che presuppongono la
conclusione del procedimento di
pianificazione), devolute alla cognizione
della giurisdizione civile; tale principio è
stato ora esplicitato dall'art. 39 comma 1
del testo unico sugli espropri, approvato
col D.P.R. n. 327 del 2001 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.03.2010 n.
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URBANISTICA:
Piano di
recupero - Variante al P.R.G. - Successione
tra discipline - Provvedimento inibitorio
dei lavori di cui alla D.I.A. - Clausola di
salvezza - Illegittimità - Attività
commerciale - Regolamento Regionale n.
3/2000 - Inapplicabile.
In relazione ad una media struttura di
vendita già assentita in esecuzione di un
piano di recupero, nel caso in cui la
successiva variante al P.R.G. adottata, pur
disponendo espressamente per tale piano di
recupero l'esclusione dell'insediamento di
nuove medie e grandi strutture, contenga una
clausola di salvezza generale che esclude
dal campo di applicazione delle nuove N.T.A.
i provvedimenti edilizi relativi a progetti
conformi a strumenti attuativi vigenti (ed
anche le domande già solo approvate in
Commissione Edilizia o le D.I.A. già
depositate) si deve ritenere prevalente la
preesistente disciplina del piano di
recupero e conseguentemente illegittima la
diffida comunale finalizzata ad inibire i
lavori di cui alla D.I.A. in variante
depositata dal ricorrente.
Similmente la generica destinazione
commerciale indicata nel piano di recupero
non può essere interpretata in base all'art.
6 del Regolamento Regionale n. 6/2000,
secondo cui la generica previsione
commerciale è da intendersi come previsione
di esercizi di vicinato, in quanto tale
regolamento è successivo all'approvazione
del piano di recupero, risultando
conseguentemente consentito l'insediamento
di attività commerciale senza ulteriore
specificazione (comprese le medie e grandi
strutture di vendita di alimentari) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.03.2010 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
Provvedimento
inibitorio dei lavori di cui alla D.I.A. -
Tardività - Art. 23 D.P.R. n. 380/2001 - Non
sussiste.
Non è tardivo il provvedimento di inibizione
dei lavori di cui alla D.I.A. presentata dal
ricorrente in quanto il rispetto del termine
dei trenta giorni di cui all'art. 23, comma
6, D.P.R. n. 380/2001, per l'esercizio
dell'attività inibitoria, va verificato con
riferimento all'adozione del provvedimento e
non all'avvenuta notifica dello stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.03.2010 n.
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APPALTI:
Gara d'appalto - Concorrente legittimamente
escluso - Ricorso per motivi aggiunti -
Inammissibilità per carenza d'interesse -
Mancanza dell'interesse alla riedizione
della gara e alla partecipazione.
E' inammissibile la censura formulata con
motivi aggiunti, da un soggetto escluso
legittimamente dalla procedura di gara,
riguardo ai successivi atti della procedura.
Il problema che viene in esame è quello
della sussistenza o meno di un interesse a
ricorrere, in capo al concorrente
legittimamente escluso da una procedura di
evidenza pubblica, che chieda l'annullamento
di atti successivi ed ulteriori rispetto
alla propria esclusione.
Se di regola è sufficiente l'interesse
strumentale del partecipante ad una gara
pubblica di appalto, onde ottenere la
riedizione della gara stessa, deve in ogni
caso ritenersi che un tale interesse non
sussista in capo al soggetto legittimamente
escluso, dato che tale soggetto, per effetto
dell'esclusione, rimane privo non soltanto
del titolo legittimante a partecipare alla
gara, ma anche a contestarne gli esiti e la
legittimità delle distinte scansioni
procedimentali (la fattispecie in esame è
identica a quella affrontata da C.S.
26.11.2009 n. 7443, nella quale è stata
affermata la compatibilità del predetto
orientamento, con i principi scaturenti
dalla pronuncia dell'Adunanza Plenaria n. 11
del 2008; vedi anche C.S. Sez. V 29.12.2009
n. 8969) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 03.03.2010 n.
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APPALTI:
Valutazione dell'offerta anomala - Spese
generali - Elemento ad incidenza variabile -
Natura globale e sintetico del giudizio
sull'anomalia dell'offerta - Necessità.
Ai fini della verifica dell'anomalia
dell'offerta in una gara d'appalto le
percentuali per spese generali non sono
incomprimibili, trattandosi di elementi la
cui incidenza è variabile da impresa ad
impresa (TAR Liguria, Sez. II, 06.04.2009 n. 615, TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 05.09.2007 n. 1393).
La
giurisprudenza ha ritenuto anomale le
offerte che prevedessero spese generali pari
a zero (TAR Sicilia, Catania, Sez. III,
26.06.2007 n. 1098), diversamente dalla
fattispecie concreta, in cui il loro valore
medio non è irrilevante (6,8%). Costituisce
principio consolidato quello secondo cui il
giudizio di anomalia di un'offerta ha natura
globale e sintetica e deve risultare da
un'analisi di carattere tecnico delle
singole componenti in cui l'offerta si
scompone e della relativa incidenza sulla
medesima offerta considerata nel suo
insieme, al fine di valutare se l'anomalia
delle dette componenti si traduca
nell'inattendibilità dell'offerta
complessiva stessa.
Il giudizio finale deve
quindi essere un giudizio globale e
sintetico dell'attendibilità dell'offerta
nel suo insieme (TAR Lazio Roma, sez. III,
10.01.2007 n. 92), come risulta effettuato
nella fattispecie concreta, a prescindere
dall'esiguità, tuttavia non irrilevante,
delle spese generali (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 03.03.2010 n.
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APPALTI:
1. Art. 38, comma 3, DPR 445/2000 -
Autodichiarazione - Non sussiste
equiparazione tra dichiarazione originale e
fotocopia della stessa.
2. Bando - Mancata produzione di un
documento previsto a pena di esclusione -
Produzione postuma del documento -
Inammissibile.
1. L'art. 38, comma 3, del DPR n. 445/2000,
in base al quale "le istanze e le
dichiarazioni sostitutive di atto di
notorietà da produrre agli organi della
amministrazione pubblica o ai gestori o
esercenti di pubblici servizi sono
sottoscritte dall'interessato in presenza
del dipendente addetto ovvero sottoscritte e
presentate unitamente a copia fotostatica
non autenticata di un documento di identità
del sottoscrittore, la copia fotostatica del
documento è inserita nel fascicolo", non
possa essere interpretato nel senso di una
sostanziale equivalenza della dichiarazione
originale a quella in fotocopia.
La norma
richiamata prevede una duplice modalità di
formazione della autodichiarazione
riconoscendo ad entrambe la medesima
efficacia. In particolare, riconosce
all'allegazione della fotocopia del
documento di identità una funzione di
attribuzione certa della paternità della
sottoscrizione al pari della apposizione
della medesima innanzi al pubblico ufficiale
senza, con ciò, introdurre ulteriori
possibilità quanto alla tipologia di
sottoscrizione che deve, in entrambi i casi
essere apposta in originale.
Nessun elemento
testuale depone nel senso di una
equiparazione fra la dichiarazione
sottoscritta in originale e la fotocopia
della sottoscrizione.
2. La mancata produzione di un documento
previsto dal Bando a pena di esclusione
determina l'esclusione del concorrente,
senza possibilità di integrazione successiva
poteva essere consentita in quanto, coma la
giurisprudenza ha ripetutamente precisato,
"la produzione postuma di un documento, come
sempre avviene nelle pubbliche gare, non ha
mai l'effetto di sanare retroattivamente la
causa di esclusione giacché ciò darebbe
luogo ad una non consentita disapplicazione
di regole poste a garanzia dell'imparzialità
del procedimento e finirebbe con lo
snaturare la stessa fisionomia delle
pubbliche gare" (Cons. stato, Sez. V, 31.10.2008, n. 5458) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 03.03.2010 n.
501 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo - Violazione
dell'art. 10-bis della l. n. 241/1990 -
Interpretazione alla luce dell'art. 21-octies, comma 2 - Necessità - Annullamento
del provvedimento finale - Non può essere
disposto ove la violazione non abbia inciso
sulla legittimità sostanziale.
La violazione dell'art. 10-bis della legge 07.08.1990 n. 241 non produce
ex se
l'illegittimità del provvedimento finale
dovendo la disposizione sul preavviso di
rigetto essere interpretata alla luce del
successivo art. 21-octies, comma 2 della
medesima legge, che impone al giudice di
valutare il contenuto sostanziale del
provvedimento e, quindi, di non annullare
l'atto nel caso in cui le violazioni formali
non abbiano inciso sulla legittimità
sostanziale del medesimo, vale a dire,
laddove il provvedimento non avrebbe potuto
essere diverso da quello concretamente
adottato (cfr. ex multis: Cons. Stato, sez.
III, n. 7/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 03.03.2010 n.
493 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di demolizione di opere
abusive - Illegittimità per carenza di
istruttoria e di idonea motivazione -
Sussiste allorquando risulti che era stata
presentata domanda di rilascio del titolo
edilizio che aveva avuto un riscontro
positivo condizionato all'approvazione della
nuova disciplina urbanistica e nel caso di
affidamento ingenerato in capo al
proprietario da parte della P.A. che nel
corso degli anni aveva assentito interventi
sull'immobile oggetto dell'ordine di
demolizione.
E' illegittimo un ordine di demolizione di
un manufatto abusivo carente di motivazione,
da cui emerge che la P.A. non ha effettuato
alcuna istruttoria che avrebbe invece
consentito di appurare come in relazione al
manufatto oggetto della domanda di
demolizione fosse stata presentata a suo
tempo una domanda di licenza di costruire
che aveva avuto un riscontro positivo,
condizionato tuttavia all'approvazione della
nuova disciplina urbanistica e, inoltre, che
l'Amministrazione aveva, nel corso degli
anni, assentito ulteriori interventi
sull'immobile oggetto dell'ordine di
demolizione, circostanza questa che, sebbene
non comporti ex se il riconoscimento
della non abusività del manufatto, rivela
tuttavia come si fosse ingenerata una
posizione di affidamento nei proprietari che
doveva portare l'Amministrazione ad
esaminare con maggior cura i fatti
contestati (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.03.2010 n.
489 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Ingiunzione di
demolizione - Qualificazione manufatto -
Art. 27 L.R. n. 12/2005 - Assenza di
rilevanza edilizia - Illegittimità.
E' illegittima l'ordinanza di ingiunzione di
demolizione di un manufatto che non dà vita
ad un nuovo volume (nella specie consistente
in un'intelaiatura appoggiata al suolo di
supporto ad una tenda) in quanto non
rientrando tale opera nella tipologia di cui
all'art. 27, comma 1, lett. e), n. 5, L.R.
n. 12/2005 e risultando la stessa priva di
rilevanza edilizia dal punto di vista sia
strutturale sia funzionale, tale opera non
necessita di un titolo edilizio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.03.2010 n.
488 - link a
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APPALTI:
Chiusura delle buste di gara -
Mancanza della ceralacca - Altra modalità
idonea a garantirne la riservatezza e la
segretezza - Esclusione dalla gara - E'
illegittima.
E' illegittimo il provvedimento di
esclusione da una procedura ad evidenza
pubblica disposta dalla stazione appaltante
nei confronti di un'impresa per aver violato
le prescrizioni del bando e della lex
specialis di gara, laddove tali
violazioni non abbiano inciso in alcun modo
sull'interesse pubblico protetto dalle norme
sull'evidenza pubblica (cfr. TAR Calabria
Reggio Calabria, 22.02.2006 n. 326)
(fattispecie nella quale il Collegio ha
annullato il provvedimento di esclusione di
un concorrente da una gara disposta
dall'amministrazione sul rilievo che la
busta contenente l'offerta economica non era
sigillata con la ceralacca come prescriveva
il bando di gara ma chiusa con modalità
alternative tali comunque da garantirne la
riservatezza e la segretezza) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 02.03.2010 n.
483 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Art. 16, comma 2, D.P.R. n.
380/2001 - Diritto allo scomputo per
l'esecuzione diretta delle opere di
urbanizzazione - Configurabilità nella
misura e con le modalità previste dal Comune
in via unilaterale o concordate con il
privato.
Dal dettato dell'art. 16, comma 2, del
D.P.R. n. 380/2001 si evince che un diritto
allo scomputo, per l'esecuzione diretta
delle opere di urbanizzazione, è
configurabile non in modo indiscriminato, ma
nella misura e "con le modalità"
stabilite dal Comune in via unilaterale (in
sede di rilascio della concessione, ora
permesso di costruire), ovvero concordate
tra le parti (in sede di stipula della
convenzione urbanistica) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.03.2010 n.
482 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di
costruire - Diniego - Indicazione
dell'articolo delle NTA violato -
Insufficienza.
2. Permesso di
costruire - Diniego - Preavviso di rigetto -
Necessità - Sussiste.
1. La semplice menzione della disposizione
delle NTA presuntamente violata è
insufficiente a motivare il diniego del
permesso di costruire in quanto non indicato
i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che hanno determinato la
decisione negativa dell'Amministrazione.
2.
E' illegittimo il diniego di permesso di
costruire non preceduto dal preavviso di
rigetto di cui all'art. 10-bis della Legge
241/1990 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.02.2010 n.
477 - link a
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APPALTI:
Contratti
della P.A. - Appalto - Gara - Concorrenti -
Art. 37, co. 4, D.Lgs. 163/2006 - Obbligo di
indicare le parti del servizio che saranno
assunte da ciascuna impresa - Sussiste sia
per i raggruppamenti di tipo verticale che
per quelli di tipo orizzontale.
La ratio dell'art. 37, co. 4, D.Lgs.
163/2006 deve rinvenirsi nella tendenza ad
escludere, sin dalla fase di celebrazione
della gara -e non solo nel suo momento
esecutivo- partecipazioni fittizie o di
comodo e, dunque, ad evitare che alla spendita dei requisiti di partecipazione non
corrisponda un identico impegno in sede di
esecuzione del servizio.
Di conseguenza,
l'obbligo di indicare le parti del servizio
che saranno assunte da ciascun componente
sussiste sia nelle ipotesi di Ati verticali,
che di Ati orizzontali, per la ragione
essenziale che tale disposizione non
distingue fra le due tipologie di
associazioni e che non vale richiamare, in
senso contrario, la regola della
responsabilità solidale prevista per le sole
Ati orizzontali (cfr. conf. TAR Lazio Roma,
sez. III-ter, 04.12.2008, n. 11006; in senso
contrario, si v. TAR Calabria Reggio
Calabria, 27.02.2009, n. 113) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.02.2010 n.
417 - link a
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APPALTI:
Procedura di gara - Diritto di accesso agli
atti - Rapporto con il diritto riservatezza
e alla tutela dei segreti industriali
dell'impresa aggiudicataria - Prevalenza del
diritto di accesso - Sussiste - Limiti e
modalità.
Il diritto di accesso ai documenti
amministrativi di una procedura di gara deve
ritenersi prevalente rispetto all'interesse
alla tutela della riservatezza e del segreto
industriale dell'impresa aggiudicataria, con
la precisazione che l'accesso in favore del
partecipante alla gara risultato non
aggiudicatario è limitato a quei documenti
-o parti di essi- valutati
dall'Amministrazione per l'ammissione alla
procedura, per la verifica della sussistenza
dei requisiti di partecipazione e per la
valutazione, anche in punto di congruità,
dell'offerta e l'attribuzione dei punteggi.
Spetta quindi alla stazione appaltante
l'adozione di adeguate misure di tutela
della riservatezza -quali, ad esempio,
cancellature o omissis- in relazione alle
eventuali parti del progetto idonee a
rivelare i segreti industriali e che non
siano state in alcun modo prese in
considerazione in sede di gara (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.02.2010 n.
416 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti di telefonia mobile - Atti di
pianificazione urbanistica che stabiliscono
il divieto generalizzato di installazione su
ambiti territoriali comunali non interessato
da obiettivi sensibili - Illegittimità.
Per giurisprudenza ormai consolidata, i
Comuni non possono, attraverso atti
regolamentari o di pianificazione
urbanistica, introdurre divieti di
localizzazione degli impianti di telefonia
mobile che abbiano carattere generale per
talune porzioni di territorio (tanto più per
gli impianti di potenza inferiore ai 300
WATT, come è nel caso di specie),
considerato che la potestà riconosciuta agli
enti locali dall'art. 8 della legge n.
36/2001 in materia di "individuazione dei
siti di trasmissione" non può tradursi in
divieti assoluti di localizzazione su parti
del territorio non interessate da obiettivi
sensibili (cfr. ex multis: Consiglio di
Stato, sez. VI, n. 3332/2006 e TAR
Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1815/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.02.2010 n.
415 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Abusi edilizi -
Alienazione dell'immobile - Responsabilità
in capo al titolare della concessione -
Permane.
2. Abusi edilizi -
Condono - Oneri di documentazione catastale
- Scopo - Corrispondenza tra situazione
reale e registri ufficiali.
1. L'alienazione del bene non sottrae il
titolare della concessione, responsabile
dell'abuso, alle sanzioni comminate dalla
legge ed irrogate dall'Autorità
amministrativa per l'inosservanza della
normativa di settore, delle previsioni della
concessione edilizia e delle modalità
esecutive stabilite dalla medesima: ciò in
forza di quanto previsto dall'art. 6 Legge
n. 47/1985, oggi art. 29 DPR n. 380/2001.
2.
La disciplina del condono, laddove prevede
oneri di documentazione catastale, ha lo
scopo di regolarizzare gli abusi anche sotto
tale profilo, in modo che la situazione
reale trovi corrispondenza nei relativi
registri (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 16.02.2010 n.
412 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Opere eseguite
senza autorizzazione - Sanzione demolitoria
in luogo della sanzione pecuniaria -
Illegittimità.
In caso di opere eseguite senza
autorizzazione, risulta intrinsecamente
contraddittoria, e dunque illegittima,
l'ordinanza che, dopo avere contestato la
realizzazione dell'opera in assenza di
autorizzazione edilizia, anziché applicare
l'art. 10 della Legge 47/1985, ovverossia la
sanzione pecuniaria, che disciplina il caso
delle opere eseguite senza autorizzazione,
applichi invece la sanzione demolitoria, che
è invece propria delle opere realizzate in
assenza di concessione ex art. 7, secondo
comma, Legge 47/1985 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.02.2010 n.
411 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Abuso edilizio - Ricorso avverso
ordine di demolizione - Accertamento in sede
giurisdizionale dell'epoca di costruzione
dell'opera edilizia - Onere in capo al
privato di fornire un principio di prova in
ordine al tempo dell'ultimazione - Sussiste
- Fattispecie.
Il soggetto che contesti la legittimità
dell'ordinanza sindacale di demolizione di
un manufatto abusivo, ha l'onere di fornire
un principio di prova in ordine al tempo
dell'ultimazione di quest'ultimo (nel
caso di specie il TAR ha accolto il gravame,
avendo il ricorrente provato l'esistenza
dell'immobile mediante la produzione di
documentazione fotografica che lo ritraeva
in tenera età dinnanzi all'immobile già
ultimato) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.02.2010 n.
386 - link a
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URBANISTICA:
1. Lottizzazione
abusiva - Lottizzazione abusiva c.d.
materiale - Presupposti.
2. Lottizzazione
abusiva - Opere che comportino
trasformazione urbanistica od edilizia dei
terreni - Definizione.
3. Lottizzazione
abusiva - Baracche precarie e recinzioni -
Non costituiscono lottizzazione abusiva -
Art. 30 DPR 380/2001 - Inapplicabilità - Ratio.
1. Ricorre la fattispecie della
lottizzazione abusiva c.d. materiale in
presenza di opere che comportino la
trasformazione urbanistica ed edilizia dei
terreni sia in violazione delle prescrizioni
degli strumenti urbanistici, approvati o
adottati, ovvero di quelle stabilite
direttamente in leggi statali o regionali,
sia in assenza della prescritta
autorizzazione.
2. Il concetto di opere che comportino
trasformazione urbanistica od edilizia dei
terreni fa riferimento ad opere che in
concreto stravolgono l'assetto del
territorio preesistente, risultando idonee a
realizzare un nuovo insediamento abitativo.
3. Nel caso di opere consistenti in una
recinzione e in manufatti precari,
facilmente rimovibili è errata
l'applicazione dell'art. 30 DPR 380/2001,
poiché difetta il presupposto necessario e
imprescindibile per parlare di lottizzazione
abusiva, costituito dalla trasformazione
funzionale del terreno e dello
stravolgimento dell'assetto dello stesso:
non è infatti la semplice esistenza di più
opere abusive a configurare ex se la
lottizzazione abusiva, essendo richiesto un
quid pluris, cioè che le opere
comportino la trasformazione urbanistica ed
edilizia del terreno: si deve escludere che
possano rientrare in questa categoria
baracche precarie e recinzioni, che non
appaiono manifestazione di un intento
edificatorio per lotti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.02.2010 n.
385 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Accesso ai documenti
amministrativi - Documenti di natura
privatistica concernenti attività di
pubblico interesse - Documenti attinenti
alla fase di esecuzione di un contratto di
appalto - Diritto di accesso - Sussiste.
In base alla disciplina contenuta negli
artt. 22 e ss., L. 07.08.1990, n. 241, il
diritto di accesso può esercitarsi anche
rispetto a documenti di natura privatistica,
purché concernenti attività di pubblico
interesse.
Pertanto, i documenti attinenti
alla fase di esecuzione di un contratto di
appalto pubblico sono soggetti all'esercizio
del diritto di accesso (Conf. TAR Lombardia
Milano, sez. I, 08.08.2007, n. 209) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 11.02.2010 n.
373 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Ordinanze contingibili e urgenti -
Competenza - Adozione da parte del
responsabile del servizio tecnico -
Illegittima.
E' illegittimo l'utilizzo da parte del
responsabile del servizio tecnico di un
comune del potere di ordinanza di cui
all'articolo 50, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267,
posto che tale disposizione disciplina il
potere di ordinanza del sindaco (ipotesi
in cui il responsabile del servizio tecnico
aveva adottato un'ordinanza diretta alla
rimozione della chiusura al transito della
strada di uso pubblico) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 11.02.2010 n.
372 - link a
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APPALTI:
Definizione dei requisiti di
partecipazione - Ampia discrezionalità da
parte dell'amministrazione - Limiti -
Adeguatezza, non eccessività rispetto alla
prestazione, ragionevolezza e principi
comunitari.
La stazione appaltante gode di ampia
discrezionalità nella fissazione dei
requisiti di partecipazione ad una gara,
purché tale operazione avvenga conformemente
ai criteri di ragionevolezza, parità di
trattamento ed efficienza della azione
amministrativa. Ne deriva che possono essere
previsti requisiti di partecipazione
ristretti e selettivi solo quando tali
criteri rispondano ad esigenze oggettive
dell'amministrazione in relazione al tipo di
prestazione oggetto dell'appalto.
Deve quindi trattarsi di requisiti adeguati,
non eccessivi rispetto a dette esigenze e
commisurati all'effettivo valore della
prestazione, in base alla specificità del
servizio oggetto dell'appalto ed alle
speciali caratteristiche della prestazione e
della struttura in cui deve svolgersi, nel
rispetto dei principi di ragionevolezza ed
imparzialità dell'azione amministrativa e
nel rispetto dei principi, di derivazione
comunitaria ed immanenti nell'ordinamento
nazionale, di concorrenza ed apertura del
mercato degli appalti pubblici (cfr. TAR
Lombardia, Milano, Sez. I, 18.06.2007, n.
5269) (fattispecie nella quale il
Collegio ha annullato il bando di gara
laddove richiedeva ai concorrenti un
fatturato globale, su base annuale, pari a
circa 15 volte l'importo posto a base di
gara, in quanto tale requisito è stato
ritenuto sproporzionato in relazione alla
funzione di garanzia e affidabilità che
assolve il requisito di capacità economica e
finanziaria di cui all'art. 41 del d.lgs. n.
163/2006) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 11.02.2010
n. 371 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di
costruire - Atti interlocutori - Atti idonei
ad arrestare il procedimento a tempo
indefinito - Impugabilità - Sussiste - Ratio.
2. Permesso di
costruire - Atti interlocutori - Atti idonei
ad arrestare il procedimento a tempo
indefinito - Interesse a ricorrere -
Sussiste - Ratio.
1. Qualora la P.A. abbia, attraverso note,
determinato un arresto procedimentale a
tempo indefinito, subordinando la ripresa
del procedimento per il rilascio del
permesso di costruire ad un avvenimento
futuro ed incerto, quale la presentazione di
una proposta di variante al Piano di
Recupero da parte del privato, fattispecie
che rende quanto mai incerta la
riattivazione del procedimento
amministrativo, ne consegue che le suddette
note, pur non prevedendo da un punto di
vista strettamente formale un esplicito
rigetto dell'istanza di titolo edilizio,
sono però idonee ad arrestare il
procedimento, rinviando sostanzialmente sine
die ogni decisione sulla domanda del
privato: è pertanto ammissibile, in tale
ipotesi, l'immediata impugnabilità dei
citati atti interlocutori, in quanto idonei
a cagionare un arresto procedimentale capace
di frustrare l'aspirazione dell'istante ad
un celere soddisfacimento dell'interesse
pretensivo prospettato, ovvero volti a
rinviare ad un avvenimento futuro ed incerto
nell'an e nel quando il soddisfacimento del
suddetto interesse pretensivo, determinando
un arresto del procedimento che il privato
ha attivato con la sua istanza (cfr. TAR
Catania, sent. n. 60/2009; Cons. di Stato,
sent. nn. 1378/1999 e 1716/1999).
2. In caso di atti interlocutori della P.A.
idonei ad arrestare sine die il
procedimento volto all'ottenimento di
permesso di costruire, sussiste l'interesse
ad agire in capo all'esponente, dal momento
che l'annullamento degli atti impugnati
imporrà alla P.A. di pronunciarsi
chiaramente sulla domanda di permesso di
costruire (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.02.2010 n.
333 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Agibilità -
Istanza di agibilità - Decorrenza del
termine e attestazione dell'agibilità -
Natura - E' legittimazione ex lege -
Silenzio-assenso - Inconfigurabilità.
2. Agibilità -
Diniego di agibilità - Presupposti.
3. Agibilità -
Diniego di agibilità - Motivazioni -
Riferimento a violazioni della normativa
urbanistica o edilizia - E' sufficiente.
4. Agibilità -
Agibilità parziale - Configurabilità -
Presupposti normativi.
1. La previsione normativa secondo cui
l'agibilità si intende attestata decorso il
termine indicato, non configura una vera e
propria ipotesi di silenzio assenso in senso
tecnico ex art. 20 Legge 241/1990, bensì dà
luogo ad una sorta di legittimazione ex lege,
che prescinde dalla pronuncia della P.A. e
che trova il suo fondamento nella effettiva
sussistenza dei presupposti richiesti dalla
legge per il rilascio del titolo (cfr.
TAR Lazio, sent. n. 4129/2005).
2. L'agibilità può essere negata non solo in
caso di mancanza di condizioni igieniche ma
anche in caso di contrasto con gli strumenti
urbanistici o con il titolo edilizio, come a
titolo esemplificativo, il caso di assenza
di idoneo progetto o di mancato pagamento
degli oneri concessori (cfr. Cons. di Stato,
sent. nn. 6174/2008 e 1542/2005; TAR
Milano, sent. n. 4672/2009; TAR Lazio,
sent. n. 4129/2005).
3. Il diniego di agibilità non può essere
reputato illegittimo per la sola circostanza
che sia motivato con riferimento a presunte
violazioni della normativa urbanistica o
edilizia: risulterebbe, infatti, assurdo il
rilascio da parte del Comune dell'agibilità
a fronte di un'opera magari palesemente
abusiva e destinata quindi con certezza alla
demolizione, apparendo tale comportamento
della P.A. contraddittorio rispetto al
perseguimento del pubblico interesse.
4.
In materia di agibilità, non paiono
sussistere ostacoli, sul piano normativo, al
rilascio di agibilità per parti autonome di
edifici, soprattutto in casi i cui gli
interventi edilizi di recupero interessino
una vasta area, ove sorgono distinte unità
immobiliari: poiché infatti, ex art. 222
R.D. 1265/1934, può essere dichiarata
inabitabile una casa o parte di essa, si
riconosce così implicitamente
l'ammissibilità di una agibilità parziale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.02.2010 n.
332 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di
costruire - Natura - E' atto irrevocabile
-Conseguenze.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno - Edilizia ed urbanistica -
Sussiste - Fattispecie.
1. Il permesso di costruire è irrevocabile
per espresso disposto normativo -art. 11,
comma 2, DPR 380/2001 e art. 35, comma 2, LR
12/2005- : pertanto, un atto che voglia
eliminare dal mondo giuridico tale titolo
edilizio deve configurarsi necessariamente
quale atto di annullamento (cfr. TAR
Milano, sent. n. 4929/2009).
2. Va accolta la domanda di risarcimento del
danno proposto dal ricorrente in relazione
agli effetti lesivi provocati dal rilascio
del titolo edilizio al controinteressato per
il periodo in cui ha prodotto effetti,
effetti lesivi che il provvedimento di
revoca o di annullamento del titolo edilizio
non è idoneo a rimuovere (nella
fattispecie il TAR ha tuttavia limitato il
risarcimento del danno alle sole spese
tecniche sostenute dal ricorrente connesse
alla fase difensiva del giudizio nel periodo
intercorrente tra il rilascio del permesso
di costruire e la sua revoca da parte del
Comune, ritenendo i restanti danni richiesti
-danni diretti alla struttura dell'immobile
di proprietà, danni permanenti (limitazioni
al legittimo godimento del loro diritto di
proprietà) e danni derivanti dalla
svalutazione del valore commerciale della
proprietà dei ricorrenti- non diretta
conseguenza del titolo edilizio rilasciato
dal Comune) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.02.2010 n.
300 - link a
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URBANISTICA:
1. Ricorso giurisdizionale - Improcedibilità
del ricorso - Entrata in vigore nuove
previsioni urbanistiche - Non sussiste.
2. Strumenti
urbanistici e durata delle misure di
salvaguardia - Art. 12, comma 3, DPR
380/2001 - Prevalenza su norme regionali
previgenti di contenuto difforme - Sussiste
- Ratio.
1. Va respinta l'eccezione con la quale
l'Ente resistente ha eccepito
l'improcedibilità del ricorso, per effetto
dell'intervenuta approvazione del Piano di
Governo del Territorio (PGT) che ha inserito
in zona agricola l'area della ricorrente,
dal momento che l'asserita modifica della
destinazione dell'area, effettuata dal PGT
non impugnato, non priva l'esponente
dell'interesse ad agire in relazione alla
domanda di risarcimento del danno proposta
con il ricorso avverso il diniego di
rilascio del permesso di costruire, anche
per equivalente - cagionato dalla condotta
illegittima della P.A. per avere impedito
l'edificazione nel tempo anteriore
all'approvazione del vigente PGT.
2. In materia di adozione di strumenti
urbanistici e di durata delle relative
misure di salvaguardia, l'art. 12, comma 3,
DPR 380/2001 -in forza del quale in caso di
contrasto dell'intervento oggetto della
domanda di permesso di costruire con le
previsioni di strumenti urbanistici
adottati, è sospesa ogni determinazione in
ordine alla domanda e tale misura di
salvaguardia non ha efficacia decorsi tre
anni dalla data di adozione dello strumento
urbanistico ovvero cinque anni nell'ipotesi
in cui lo strumento urbanistico sia stato
sottoposto all'amministrazione competente
all'approvazione entro un anno dalla
conclusione della fase di pubblicazione-
prevale su norme regionali previgenti di
contenuto difforme, in quanto costituisce
norma statale di principio, come tale
prevalente sulle difformi norme regionali
(cfr. Cons. di Stato, Ad. Plenaria, sent. n.
2/2008 e n. 5632/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.02.2010 n.
298 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di
costruire - Presupposti - Lettera di impegno
del privato alla realizzazione o
completamento di opere di urbanizzazione -
E' sufficiente.
Il permesso di costruire è subordinato alla
esistenza delle opere di urbanizzazione
primaria o alla previsione, da parte del
Comune, dell'attuazione delle stesse nel
successivo triennio ovvero all'impegno degli
interessati di procedere alla loro
attuazione contemporaneamente all'intervento
di cui al permesso: la P.A. deve pertanto
tenere in considerazione eventuali lettere
di impegno in tal senso da parte dei privati (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.02.2010 n.
298 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno - Presupposti - Colpa della P.A. -
Nozione - Colpa del singolo funzionario -
Non è sufficiente.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno - Presupposti - Colpa della P.A. -
Presupposti della colpa.
1. Il risarcimento del danno da parte della
P.A. è subordinato alla prova della
sussistenza dei requisiti ex art. 2043 c.c.
-fra cui quello del dolo o della colpa in
capo alla P.A.-, da intendersi non come
colpa del singolo funzionario, bensì
dell'apparato amministrativo preposto al
procedimento sfociato nel provvedimento
lesivo della posizione soggettiva del
danneggiato (cfr. Cassaz. Civile, SS.UU.,
sent. n. 500/1999; Cons. di Giust. Amm. per
la Regione Siciliana, sent. n. 730/2009).
2. In materia di accertamento dell'obbligo
di risarcimento del danno in capo alla P.A.,
il necessario requisito della colpa implica
la violazione delle regole di imparzialità,
correttezza e buona amministrazione alle
quali deve ispirarsi l'esercizio della
funzione amministrativa e nella sua
valutazione occorre tenere conto, fra
l'altro, del grado di chiarezza della norma
che si asserisce violata e dell'eventuale
presenza di una giurisprudenza consolidata
sulla questione in concreto esaminata e
decisa dalla P.A. (cfr. TAR Milano, sent. nn.
1250/2008 e 6259/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.02.2010 n.
298 - link a
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APPALTI:
Gara - Offerte - Possibilità di
modifica del progetto da parte
dell'offerente - Non sussiste.
La determinazione delle caratteristiche
qualitative e funzionali dei lavori e delle
specifiche prestazioni da fornire da parte
dell'offerente rientra nelle competenze
della Stazione appaltante ed ogni modifica
al progetto predisposto va necessariamente
ad incidere sulle valutazioni tecniche di
quest'ultima circa le modalità di
realizzazione dell'opera medesima.
Ne deriva che il progetto esecutivo posto a
base della gara non può essere alterato o
modificato dal concorrente al quale è
consentito unicamente individuare le
modalità di realizzazione dello stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 08.02.2010 n.
290 - link a
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
1. Inquinamento - Abbandono di rifiuti -
Igiene e salute pubblica - Obbligo di
smaltimento ex art. 14, D.Lgs. 05.02.1997, n. 22 - Soggetti destinatari -
Condizioni - Potere di ordinanza del Sindaco
in situazioni di urgenza - Sussiste.
2. Sindaco - Provvedimenti contingibili e
urgenti ex art. 14, D.Lgs. 05.02.1997,
n. 22 - Potere - Destinatari - Presupposti.
1. La previsione di cui all'art. 14, comma
3, D.Lgs. 05.02.1997, n. 22 -laddove
impone un obbligo di procedere alla
rimozione, all'avvio al recupero o allo
smaltimento dei rifiuti, nonché, al
ripristino dello stato dei luoghi «in solido
con il proprietario e con i titolari di
diritti reali o personali di godimento
sull'area» cui «tale violazione sia
imputabile a titolo di dolo o colpa»-
esprime un principio di massima, escludendo
qualsiasi forma di imputazione oggettiva in
capo al proprietario o al gestore.
Nondimeno, tenuto conto della rilevanza
degli interessi pubblici coinvolti e delle
precise responsabilità che incombono sulle
Amministrazioni locali in materia di igiene
e salute pubblica, non può escludersi a
priori la possibilità, in situazioni di
indifferibilità ed urgenza, che il Sindaco
possa imporre specifici comportamenti anche
a carico del soggetto incolpevole, senza
alcun intento sanzionatorio ma al solo scopo
di neutralizzare una situazione di pericolo
e prevenire ulteriori danni all'ambiente
circostante e alla salute pubblica.
2. Il soggetto destinatario del
provvedimento contingibile ed urgente -emesso dal Sindaco in materia di smaltimento
di rifiuti ai sensi dell'art. 14, comma 3, D.Lgs.
05.02.1997, n. 22- può essere
individuato in colui con il bene si trovi in
rapporto tale da consentirgli di eseguire
con celerità gli interventi ordinati
ritenuti necessari, posto che la ricerca
dell'obbligato di diritto, presupponendo
accertamenti complessi e laboriosi, potrebbe
risultare incompatibile con l'intrinseca
natura dei provvedimenti contingibili e
urgenti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 08.02.2010 n.
287 - link a
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APPALTI:
Garanzia provvisoria - Deve
essere prestata dagli intermediari abilitati
di cui all'art. 107 del d.lgs. n. 385/1993 -
Violazione - Illegittimità - Equipollenza
della garanzia prestata dagli intermediari
di cui all'art. 107 del d.lgs. n. 385/1993 -
Esclusione.
Laddove la lex specialis richiede
espressamente che la garanzia provvisoria
sia presentata, a pena di esclusione, ai
sensi dell'art. 75 del D.Lgs. n. 163/2006,
vale a dire "dagli intermediari finanziari
iscritti nell'elenco speciale di cui
all'articolo 107 del decreto legislativo 1°
settembre 1993, n. 385, che svolgono in via
esclusiva o prevalente attività di rilascio
di garanzie, a ciò autorizzati dal Ministero
dell'economia e delle finanze", la
violazione di tale disposizione determina
l'immediata esclusione dalla procedura
selettiva senza che venga in rilievo il dato
che la garanzia provenga da un diverso
intermediario finanziario (Nella fattispecie
il ricorrente aveva invece presentato una
fideiussione proveniente da un soggetto
iscritto nell'elenco di cui all'art. 106 del
d.lgs. n. 385/1993 e non nell'elenco di cui
all'art. 107, con ciò contravvenendo l'art.
75 del D.Lgs. n. 163/2006, la cui osservanza
era richiesta a pena di esclusione da parte
della lex specialis) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 08.02.2010 n.
286 - link a
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APPALTI:
Requisiti di partecipazione più
rigorosi di quelli previsti dalla legge -
legittimità - Limiti.
Per giurisprudenza ormai consolidata,
l'amministrazione aggiudicatrice gode di un
ampio potere discrezionale nella fissazione
dei requisiti di partecipazione ad una
singola gara, con la conseguenza che la
stessa può legittimamente prevedere
requisiti di partecipazione anche più
rigorosi di quelli indicati dalla legge,
purché essi non siano discriminanti ed
abnormi rispetto alle regole proprie del
settore (cfr. ex multis: Cons. Stato,
sez. V, 19.11.2009, n. 7247) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 08.02.2010 n.
285 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Principio di autoresponsabilità - Attività edilizia
contra legem - Conseguenze - Responsabilità
della P.A. - Non sussiste.
In forza del principio di autoresponsabilità
non è possibile che la P.A. venga condannata
a rifondere il danno che un soggetto abbia
procurato a se stesso edificando contra legem
(cfr. TAR Milano, sent. n. 1924/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.02.2010 n.
279 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Pertinenza
urbanistica - Nozione.
2. Pertinenza
urbanistica - Elementi costitutivi.
3. Pertinenza
urbanistica - Sopraelevazione perfettamente
inserita nell'edificio e priva di autonomia
- Carattere di pertinenzialità - Non
sussiste - Permesso di costruire -
Necessità.
1. La nozione di pertinenza urbanistica
possiede caratteristiche differenti da
quella contemplata dal codice civile,
sostanziandosi nella destinazione
strumentale alle esigenze dell'immobile
principale, risultante sotto il profilo
funzionale da elementi oggettivi, dalla
ridotta dimensione sia in senso assoluto sia
in relazione all'immobile al cui servizio è
complementare, dall'ubicazione, dal valore
economico rispetto alla cosa principale e
dall'assenza del c.d. carico urbanistico
(Cons. di Stato, sent. nn. 3490/2006 e
7325/2004; TAR Milano, sent. n. 28/2010).
2. Gli elementi costitutivi della pertinenza
urbanistica sono, sotto il profilo
strutturale, l'autonomia rispetto
all'edificio principale ed il collegamento
funzionale con il bene principale attraverso
un rapporto di stretta strumentalità (TAR
Veneto, sent. n. 2051/2001).
3. Nel caso di sopraelevazione perfettamente
inserita nell'edificio -allineata alla
sagoma dell'edificio preesistente- e priva
di autonomia rispetto ad esso, non ricorre
la fattispecie della pertinenzialità ed è
pertanto necessario idoneo titolo edilizio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.02.2010 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Distanze tra
fabbricati - Previsioni regolamentari in
contrasto con art. 872 c.c. - Illegittimità.
2. Distanze tra
fabbricati - Nozione di costruzione ai fini
del rispetto dell'art. 9, comma 2, D.M. n.
1444/1968 - Sopraelevazione - Rilevanza.
3. Distanze tra
fabbricati - Computo della distanza -
Funzione della costruzione - Irrilevanza -
Consistenza fisica- Rilevanza.
4. Distanze tra
fabbricati - Edificio realizzato in
violazione di norme civilistiche sulle
distanze - Diniego di sanatoria -
Motivazione - E' sufficiente il richiamo
alle norme del codice civile.
1. Ogni previsione regolamentare in
contrasto con il limite minimo in materia di
distanze dettato dall'art. 872 c.c. è
illegittima e va disapplicata, essendo
consentita alle amministrazioni locali solo
la fissazione di distanze superiori (cfr.
TAR Pescara, sent. n. 494/2007; Cons.
Stato, sent. n. 3930/2002): ciò in forza
dell'art. 9 D.M. 1444/1968 secondo il quale
in materia di distanze tra fabbricati
sussiste un vincolo a carattere
pubblicistico ed inderogabile, diretto non
soltanto a salvaguardare interessi privati,
ma anche a tutelare interessi generali in
materia urbanistica, di igiene, decoro e
sicurezza degli abitati (cfr. Cass. Civ.,
sent. n. 1201/1996; TAR Bologna, sent. n.
136/2004).
2. In materia di distanze le disposizioni
dell'art. 9, comma 2, D.M. n. 1444/1968 si
applicano anche alle sopraelevazioni, le
quali, ai fini del rispetto delle distanze
fra edifici, rientrano nella nozione di
nuova costruzione, la quale a sua volta
comprende qualsiasi modifica della
volumetria di un fabbricato preesistente che
comporti l'aumento della sagoma d'ingombro,
così da incidere direttamente sulla
situazione di distanza tra edifici ed
indipendentemente dalla sua utilizzabilità
ai fini abitativi (cfr. TAR Brescia,
sent. nn. 832/2007 e 244/2006; TAR
Milano, sent. n. 5831/2007).
3. Ai fini del computo delle distanze tra
fabbricati non si deve tenere conto della
funzione principale od accessoria o pertinenziale del vano realizzato, quanto la
sua consistenza fisica.
4. Dal momento che la costruzione realizzata
a distanza inferiore a quella prescritta
dall'art. 873 c.c. rende impossibile
qualsiasi indagine circa l'esistenza ed i
limiti della dannosità della intercapedine -giacché siffatta valutazione deve ritenersi
implicita nella imposizione di determinate
distanze nelle costruzioni, alla cui precisa
osservanza il legislatore ha inteso affidare
la tutela dell'interesse pubblico e privato
della salubrità, igiene e sicurezza negli
abitati (cfr. Cassaz. Civile, sent. n.
1911/1980)- ne consegue che il diniego di
sanatoria è sufficientemente motivato anche
con il solo riferimento alla violazione
delle distanze previste dal codice civile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.02.2010 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
Abuso edilizio
- Principio dell'affidamento - In caso di
costruzione non autorizzata dalla P.A. -
Inapplicabilità del principio.
Poiché l'affidamento legittimo e
ragionevole è espressione di un principio
che impone al soggetto pubblico che intenda
adottare provvedimenti restrittivi della
sfera giuridica dei privati di tenere nel
debito conto l'interesse alla conservazione
di un bene o di un'utilità conseguito in
buona fede dal privato grazie ad un previo
chiaro atto della pubblica amministrazione
all'uopo diretto -specialmente se detto
vantaggio si sia consolidato per effetto del
decorso di un significativo lasso
temporale-, non ne ricorrono i presupposti
nel caso in cui il privato che ha realizzato
l'abuso chieda alla P.A. di ottenere un
vantaggio, la sanatoria, per una costruzione
che la P.A. non ha mai autorizzato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.02.2010 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire -
Sopraelevazione di terrazzo con creazione di
un nuovo vano - Permesso di costruire -
Necessità.
La sopraelevazione del terrazzo con la
creazione di un nuovo vano costituisce
ampliamento dell'edificio all'esterno della
sagoma esistente ed è quindi soggetto a
permesso a costruire ed alla conseguente
sanzione della demolizione in caso di opera
abusiva (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.02.2010 n.
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Atto amministrativo - Preavviso di rigetto -
Permesso di costruire - Applicabilità art.
21-octies, comma 2, Legge 241/1990 -
Inconfigurabilità - Ratio.
La previsione di cui all'art. 21-octies,
comma 2, primo e secondo periodo, Legge
241/1990, che esclude l'annullabilità dei
provvedimenti adottati in violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli
atti prevede qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che
il suo contenuto non avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato
qualora l'amministrazione dimostri in
giudizio che il contenuto del provvedimento
non avrebbe potuto essere diverso da quello
in concreto adottato, sia in quanto
quest'ultima ipotesi ricorre unicamente
nell'ipotesi di mancata comunicazione di
avvio del procedimento e non è pertanto
applicabile all'ipotesi di mancato preavviso
di rigetto sia in quanto comunque il diniego
di permesso di costruire non si configura
-nella fattispecie all'esame del Collegio-
quale atto avente natura vincolata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.02.2010 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Aeroporti -
Modifiche di infrastruttura esistente -
Assoggettamento a V.I.A. - Configurabilità -
Presupposti.
2. Aeroporti -
Modifiche di infrastruttura esistente -
Assoggettamento alla procedura di screening
dettata dall'art. 20, D.Lgs. n. 152/2006.
1. Devono ritenersi assoggettati a
valutazione di impatto ambientale anche i
lavori di modifica apportati
all'infrastruttura di un aeroporto
esistente, senza prolungamento della pista
di decollo e di atterraggio, qualora essi
possano essere considerati - segnatamente
alla luce della loro natura, della loro
entità e delle loro caratteristiche - una
modifica dell'aeroporto stesso (cfr. Corte
di Giustizia delle Comunità Europee, sent.
28.02.2008).
2. Tutti i progetti afferenti gli aeroporti,
che non ricadono nemmeno parzialmente in
aree naturali protette, sono soggetti alla
procedura di screening dettata dall'art. 20, D.Lgs.
n. 152/2006, anche se non abbiano ad oggetto
la realizzazione di nuove strutture ma solo
modifiche o ampliamenti di strutture
esistenti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.02.2010 n.
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Provvedimento amministrativo - Motivi
autonomi - Legittimità di un solo motivo -
Annullabilità in sede giurisdizionale - Inconfigurabilità.
In presenza di un provvedimento sostenuto da
più motivi, ciascuno autonomamente idoneo a
darne giustificazione, è sufficiente che sia
verificata la legittimità di uno di essi,
per escludere che l'atto possa essere
annullato in sede giurisdizionale (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 3259/2006; TAR
Milano, sent. n. 22/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.02.2010 n.
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URBANISTICA:
P.G.T. -
Osservazioni dei privati - Natura
collaborativa - Rigetto delle osservazioni -
Motivazione particolare - Necessità - Non
sussiste.
In sede di formazione del piano regolatore
il rigetto delle osservazioni proposte dai
privati non richiede una particolare
motivazione: esse, infatti, costituiscono
meri apporti collaborativi dati dai
cittadini alla formazione dello strumento
urbanistico, con la conseguenza che è
sufficiente che esse siano state esaminate e
confrontate con gli interessi generali dello
strumento pianificatorio (nel caso di specie
tuttavia il TAR ha accolto la censura
ritenendo illegittimo il comportamento del
Comune che in sede di controdeduzioni alle
osservazioni aveva sostenuto, con
motivazione erronea, la non pertinenza
dell'osservazione al p.g.t., così
sottraendosi dall'operare un confronto tra
l'osservazione presentata e le linee
generali dello strumento urbanistico) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.02.2010 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Abusi edilizi -
Ordinanza di demolizione - Impugnativa -
Possibilità di eccepire vizi relativi al
diniego dell'istanza di sanatoria -
Possibilità - Non sussiste - Ratio.
2. Abusi edilizi -
Ordinanza di demolizione - In presenza di
sequestro penale - Legittimità
dell'ordinanza - Sussiste.
1. Il soggetto che ha prestato acquiescenza
al rigetto dell'istanza di sanatoria di
opera da lui abusivamente realizzata decade
dalla possibilità di rimettere in
discussione le ragioni del diniego in sede
di impugnazione dell'ordine di demolizione,
atteso che quest'ultimo in detto diniego,
divenuto definitivo perché non impugnato,
rinviene il suo presupposto: infatti nessuna
utilità giuridicamente rilevante sarebbe
rinvenibile dall'ipotetico annullamento del
solo atto applicativo, dal momento che alla
P.A. non sarebbe impedito di reiterare una
statuizione identica a quella impugnata,
stante la perdurante efficacia dell'atto
presupposto (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
6715/2007, TAR Milano, sent. n. 99/2010).
2.
L'esistenza di un sequestro penale non rende
illegittimo l'ordine di demolizione, potendo
influire esclusivamente sul giudizio di
responsabilità del privato per
l'inottemperanza all'ordine medesimo (cfr.
TAR Roma, sent. n. 8784/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.02.2010 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Ampliamento di
immobili esistenti - L.R. 13/2009 - Portata
- Edifici unifamiliari - Nuova disciplina
urbanistica.
2. Ampliamento di
immobili esistenti - L.R. 13/2009 -
Disapplicazione per parti di territorio con
peculiarità storiche,
paesaggistico-ambientali ed urbanistiche -
Facoltà della P.A. - Sussiste - Specifica
motivazione - Necessità.
3. Ampliamento di
immobili esistenti - L.R. 13/2009 -
Disapplicazione per parti di territorio con
peculiarità storiche,
paesaggistico-ambientali ed urbanistiche -
Riferimento ad aree ed edifici ricompresi
nella classe di rischio idraulico elevato o
molto elevato - Legittimità - Sussiste.
1. Ai sensi della L.R. 13/2009 è previsto il
recupero di edifici ultimati entro il
31.03.2005 (art. 2) nonché la facoltà di
ampliamento degli edifici (art. 3),
distinguendo, ai fini dell'aumento di
volumetria consentita, la categoria degli
immobili unifamiliari dagli altri: in tal
modo viene introdotta una nuova disciplina
urbanistica, prescindendo in parte dalla
normativa comunale sia di pianificazione sia
regolamentare.
2. In materia di ampliamento di immobili
esistenti, è concessa ai Comuni la
possibilità -nel termine perentorio del 15.10.2009- di individuare le parti del
territorio dove alcune disposizioni, tra cui
gli artt. 3 e 4 L.R. 13/2009, non trovano
applicazione, per le peculiarità storiche,
paesaggistico-ambientali ed urbanistiche,
con la conseguenza che per tali zone rimane
invariata la disciplina urbanistica vigente;
occorre, tuttavia, una specifica motivazione
sulle peculiarità sopra indicate, in base
alle quali la necessità di conservare la
disciplina comunale prevale sulla finalità
della legge.
3. E' legittima l'esclusione delle aree e
degli edifici ricompresi nella classe di
rischio idraulico molto elevato o elevato
disposta dall'Amministrazione comunale, in
quanto la predetta esclusione rientra
indubitabilmente tra le ragioni, di natura paesaggistico-ambientale,
previste dalla legge (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.02.2010 n.
265 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Ampliamento di
immobili esistenti - L.R. 13/2009 - Portata
- Edifici unifamiliari - Nuova disciplina
urbanistica.
2. Ampliamento di
immobili esistenti - L.R. 13/2009 -
Disapplicazione per parti di territorio con
peculiarità storiche,
paesaggistico-ambientali ed urbanistiche -
Facoltà della P.A. - Sussiste - Specifica
motivazione - Necessità.
3. Ampliamento di
immobili esistenti - L.R. 13/2009 -
Disapplicazione per parti di territorio con
peculiarità storiche,
paesaggistico-ambientali ed urbanistiche -
Motivazioni di natura edilizia non previste
dalla Legge Regionale - Delibera di
esclusione dalla applicazione della nuova
legge - Illegittimità - Ratio.
4. Ampliamento di
immobili esistenti - L.R. 13/2009
-Valutazione della compatibilità di un
intervento ampliativo su immobili di tipo
mono-bifamilaire - Facoltà di valutazione
del Comune - Non sussiste - Possibilità di
eccezioni - Solo in presenza di peculiarità
storiche, paesaggistico-ambientali e
urbanistiche.
1. Ai sensi della L.R. 13/2009 è previsto il
recupero di edifici ultimati entro il
31.03.2005 (art. 2) nonché la facoltà di
ampliamento degli edifici (art. 3),
distinguendo, ai fini dell'aumento di
volumetria consentita, la categoria degli
immobili unifamiliari dagli altri: in tal
modo viene introdotta una nuova disciplina
urbanistica, prescindendo in parte dalla
normativa comunale sia di pianificazione sia
regolamentare.
2. In materia di ampliamento di immobili
esistenti, è concessa ai Comuni la
possibilità -nel termine perentorio del 15.10.2009- di individuare le parti del
territorio dove alcune disposizioni, tra cui
gli artt. 3 e 4 L.R. 13/2009, non trovano
applicazione, per le peculiarità storiche,
paesaggistico-ambientali ed urbanistiche,
con la conseguenza che per tali zone rimane
invariata la disciplina urbanistica vigente;
occorre, tuttavia, una specifica motivazione
sulle peculiarità sopra indicate, in base
alle quali la necessità di conservare la
disciplina comunale prevale sulla finalità
della legge.
3. Considerato che gli edifici unifamiliari
costituiscono una tipologia espressamente
disciplinata nell'art. 3 lett. a), L.R.
13/2009, per la quale si applica la
possibilità di ampliamento nei limiti ivi
previsti, è illegittima l'esclusione dalla
applicazione della nuova legge operata dal
Comune, qualora tale esclusione non sia
sorretta dalle ragioni contemplate dalla
legge stessa per l'esclusione, bensì solo da
ragioni di natura edilizia (l'esclusione
delle ville a schiera è motivato con
riferimento al mantenimento del carattere
unitario del progetto): la relativa delibera
di esclusione, infatti, si pone in contrasto
con la ratio della legge regionale,
ovverosia ampliare gli edifici esistenti,
contenendo in tal modo l'utilizzazione del
territorio.
4. Dal momento che la valutazione della
compatibilità di un intervento ampliativo su
immobili di tipo mono-bifamilaire è già
stata effettuata dal legislatore regionale,
il quale ha espressamente incluso tale
tipologia di edificio, ne consegue che
l'esclusione di questa categoria di immobili
dall'ambito di applicazione della L.R.
13/2009 non può fondarsi su ragioni relative
alle loro caratteristiche progettuali, bensì
solo sulla eventuale sussistenza di
peculiarità storiche,
paesaggistico-ambientali e urbanistiche (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.02.2010 n.
264 - link a
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URBANISTICA:
Piano regolatore
generale - Vincolo di rispetto stradale -
Natura conformativa - Sussiste - Decadenza
del vincolo - Sussiste - Fattispecie.
La decadenza del vincolo a strada non può
che comportare il venir meno anche del
vincolo a fascia di rispetto stradale e
dell'obbligo di arretramento, in quanto
funzionali al primo. Né assume alcun rilievo
la natura conformativa del vincolo a fascia
di rispetto stradale, atteso che esso è
posto a salvaguardia di una strada
esistente: ne consegue che il decadere del
vincolo a strada non può che travolgere il
vincolo a fascia di rispetto stradale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.02.2010 n.
259 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Motivazione -
Rilevabilità dagli atti endoprocedimentali -
Possibilità.
1. La motivazione degli atti amministrativi
risulta non solo dall'atto finale del
procedimento ma anche dagli atti endoprocedimentali
di cui l'atto finale costituisce il
risultato finale (nel caso di specie,
assumono particolare rilievo i pareri dei
commissari componenti la commissione
edilizia esperti in materia di tutela
paesistico ambientale) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.02.2010 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Rilascio del
permesso di costruire - Legittimazione
soggettiva del richiedente - Obbligo di
verifica da parte della P.A. - Sussiste.
2. Rilascio del
permesso di costruire - Legittimazione
soggettiva del richiedente - Obbligo di
verifica da parte della P.A. - Limiti -
Complesse ricognizioni giuridico-documentali
e accertamenti di pretese di terzi - Obbligo
- Non sussiste.
3. Rilascio del
permesso di costruire - Legittimazione
soggettiva del richiedente - Obbligo di
verifica da parte della P.A. - Portata.
1. Ex art. 11, D.P.R. n. 380/2001, il
permesso di costruire deve essere rilasciato
al proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo: pertanto in sede di
rilascio il Comune è tenuto a verificare la
legittimazione soggettiva del richiedente.
2. L'obbligo in capo al Comune di
accertamento della legittimazione soggettiva
del richiedente il permesso di costruire
incontra il limite di non dover compiere
complesse ricognizioni giuridico-documentali
ovvero accertamenti in ordine ad eventuali
pretese prospettabili da soggetti estranei
al rapporto, essendo ogni provvedimento
edilizio rilasciato "salvi i diritti dei
terzi" (cfr. TAR Bologna, sent. n.
3260/2006).
3.
Il Comune, se da un lato non può prescindere
dal considerare i presupposti di fatto e di
diritto che, comunque, possono incidere
sulla disponibilità dell'area da edificare
da parte di chi richiede la concessione,
dall'altro non può nemmeno essere tenuto a
dirimere eventuali conflitti tra titoli di
proprietà, in quanto la concessione fa salvi
i diritti dei terzi. (cfr. TAR L'Aquila,
sent. n. 233/2003) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.02.2010 n.
255 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Elementi essenziali
- Autografia della sottoscrizione -
Necessità - Non sussiste.
2. Elementi essenziali
- Autografia della sottoscrizione
-Sostituzione con indicazione a stampa del
nominativo del soggetto responsabile -
Possibilità.
1. L'autografia della sottoscrizione è
elemento essenziale degli atti
amministrativi nei soli casi in cui vi sia
espressa previsione legislativa in tal
senso, essendo di regola sufficiente l'individuabilità
certa dell'Autorità emanante, in base ai
dati del documento (cfr. Corte Cost., sent.
n. 117/2000; Cass. Civile, sent. n.
7234/1996).
2. Poiché l'autografia della sottoscrizione
non è requisito di esistenza giuridica degli
atti amministrativi, la firma autografa può
essere sostituita dall'indicazione a stampa
del nominativo del soggetto responsabile, ex D.Lgs. 39/1993 in materia di sistemi
informativi automatizzati (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 1438/1993) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.02.2010 n.
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ESPROPRIAZIONE:
Notifica atti della procedura
espropriativa -Destinatari - Soli
proprietari catastali - Sufficienza.
In materia di esproprio, la notifica agli
intestatari catastali anziché ai proprietari
effettivi è del tutto legittima: infatti, ex
art. 3, secondo comma, D.P.R. 327/2001,
tutti gli atti della procedura espropriativa
-ivi incluse le comunicazioni ed il decreto
di esproprio- sono disposti nei confronti
del soggetto che risulti proprietario
secondo i registri catastali, salvo che
l'autorità espropriante non abbia tempestiva
notizia dell'eventuale diverso proprietario
effettivo (cfr. TAR Milano, sent. n.
6408/2004) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.02.2010 n.
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ESPROPRIAZIONE:
1.
Retrocessione parziale ex art. 47, D.P.R.
327/2001 - Presupposti - Istanza
dell'espropriato per la restituzione della
parte del bene non utilizzata - Necessità.
2.
Retrocessione parziale ex art. 47, D.P.R.
327/2001 - Istanza dell'espropriato per la
restituzione della parte del bene non
utilizzata - Conseguenze - Oneri
procedimentali in capo al beneficiario e
all'autorità espropriante.
3.
Retrocessione parziale ex art. 47, D.P.R.
327/2001 - Sindacabilità del G.A. - Sussiste
- Istanza dell'espropriato per la
restituzione della parte del bene non
utilizzata - Necessità.
4.
Occupazione di mappali per opere diverse da
quelle previste dal progetto approvato -
Occupazione usurpativa - Sussiste.
5.
Occupazione usurpativa - Domanda
risarcitoria - Giurisdizione G.A. - Non
sussiste - Ratio - Conseguenze -
Riassumibiltà del processo avanti al G.O..
1. In materia di espropriazione per pubblica
utilità, la retrocessione parziale ex art.
47, D.P.R. 327/2001 postula necessariamente
un'istanza dell'espropriato volta alla
restituzione della parte del bene non
utilizzata per l'opera pubblica o di
pubblica utilità.
2. A seguito dell'istanza dell'espropriato
volta alla restituzione della parte del bene
non utilizzata per l'opera pubblica o di
pubblica utilità si instaura un procedimento
in cui sono coinvolti l'espropriato, il
beneficiario dell'espropriazione, che deve
indicare i beni inservibili che possono
essere ritrasferiti e l'autorità
espropriante, che deve determinare, in
mancanza di tale indicazione, quale parte
del bene espropriato non serva più alla
realizzazione dell'opera.
3. L'esito del procedimento inerente la
retrocessione parziale ex art. 47, D.P.R.
327/2001 è sindacabile dal giudice
amministrativo: tuttavia ad esso non può
chiedersi direttamente -senza cioè
un'iniziativa dell'espropriato che abbia
attivato il relativo procedimento- la
condanna della P.A. alla restituzione del
bene non utilizzato.
4. L'occupazione di una parte, ancorché
limitata, di mappali dell'espropriato per
opere diverse da quelle previste dal
progetto di espropriazione per pubblica
utilità approvato e "coperte", cioè
legittimate, dalla connessa dichiarazione di
pubblica utilità, integra gli estremi
dell'occupazione usurpativa, caratterizzata
dall'apprensione del fondo altrui in totale
carenza di titolo.
5. In caso di occupazione usurpativa,
trattandosi di un comportamento "senza
potere", la relativa domanda risarcitoria è
sottratta al giudice amministrativo, la cui
giurisdizione presuppone l'annullamento di
un atto e il sindacato sull'esercizio
effettivo del potere amministrativo (cfr.
Corte Cost., sent. n. 191/2006, Cass. SS.UU.,
sent. nn. 5925/2008, 26732/2007, 2688/2007):
pertanto, tale domanda risarcitoria -fatti
salvi gli effetti sostanziali e processuali
della stessa- appartiene alla cognizione
del giudice ordinario, dinanzi al quale il
processo potrà essere riassunto ex art. 50
del codice di procedura civile (cfr. Corte
Cost., sent. n. 77/2007; Cass. SS.UU., sent.
n. 4109/2007; Cons. Stato, sent. nn.
1059/2008, 4741/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.02.2010 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Diniego di
permesso di costruire e dell'autorizzazione
paesaggistica - Parere vincolante della
soprintendenza ex art. 167, comma 5, D.Lgs.
42/2004 - Necessità.
2. Diniego di
permesso di costruire e dell'autorizzazione
paesaggistica - Parere vincolante della
soprintendenza ex art. 167, comma 5, D.Lgs.
42/2004 - Natura discrezionale - Sussiste.
3. Giustizia amministrativa - Risarcimento
del danno - Annullamento di diniego edilizio
per difetto di motivazione - Diritto al
risarcimento - Non sussiste - Ratio.
1. L'art. 167, commi 4 e 5, D.Lgs. 42/2004,
consente, per taluni interventi effettuati
in violazione delle norme sulla tutela dei
beni paesaggistici, di ottenere
l'accertamento di compatibilità
paesaggistica, tramite il procedimento di
cui al comma 5, in forza del quale
l'autorità preposta alla gestione del
vincolo - nel caso di specie il Comune - si
pronuncia sulla domanda di compatibilità
previo parere vincolante della
soprintendenza.
2. Il parere della Soprintendenza,
nell'ipotesi prevista al comma 5 dell'art.
167 D.Lgs. 42/2004, costituisce
manifestazione di ampia discrezionalità ed è
pertanto censurabile soltanto in caso di
manifesta illogicità o erroneità dell'azione
amministrativa (cfr. TAR Brescia, sent. n.
709/2009).
3. E' esclusa la possibilità di risarcimento
del danno in caso di annullamento del
provvedimento amministrativo di diniego
edilizio per difetto di motivazione:
infatti, tale annullamento non implica
necessariamente la riapprovazione del
progetto così come redatto dal richiedente
(cfr. TAR Milano, sent. n. 124/2007, con la
giurisprudenza ivi richiamata) (massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.02.2010 n.
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APPALTI:
Gara per l'affidamento in
concessione di un'area per la realizzazione
di un impianto sportivo - Presentazione del
progetto relativo all'impianto -Difformità
rispetto agli strumenti urbanistici vigenti
- Esclusione dalla gara - Legittima anche
ove il bando nulla disponga.
E' legittima l'esclusione da una gara ad
evidenza pubblica per l'affidamento in
concessione di un'area per la realizzazione
e la gestione di un impianto sportivo
laddove il relativo progetto edilizio si
ponga in contrasto con gli strumenti
urbanistici vigenti per l'area considerata
(nella fattispecie con le norme tecniche
d'attuazione - NTA) e ciò anche laddove il
bando non preveda espressamente l'esclusione
a fronte di tale tipologia di violazioni
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 23.01.2006,
n. 204) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 01.02.2010 n.
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Giudizio amministrativo -
Risarcimento del danno - Presupposti -Sono
gli stessi del giudizio civile.
La domanda risarcitoria avanzata nel
giudizio amministrativo soggiace alle regole
sostanziali e processuali applicabili in
sede civile.
Ne discende che incombe sul
ricorrente la prova sia dell'an debeatur,
consistente nella dimostrazione del danno,
dell'ingiustizia dello stesso, del nesso di
causalità e della colpevolezza del
danneggiante secondo la clausola generale
fissata nell'art. 2043 c.c., sia del quantum debeatur,
ossia dell'ammontare del danno (cfr. TAR
Puglia, Bari, Sez. I, 29.09.2008, n. 2249) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 01.02.2010 n.
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APPALTI:
Contratti della
P.A. - Vincolatività della lex specialis -
Ius superveniens - Contrasto delle
disposizioni del bando con prescrizioni
normative sopravvenute - Effetti -
Caducazione - Con il limite delle fasi già
concluse.
Nonostante una parte della giurisprudenza,
in ossequio al principio del "tempus regit
actum", abbia ritenuto sussistente il
principio della vincolatività della lex
specialis di gara anche nelle ipotesi in cui
la stessa contrasti con prescrizioni
normative sopravvenute, deve ritenersi "tamquam
non esset" la disposizione del bando di gara
che contrasti con norme imperative ed
inderogabili sia "ab origine", che a seguito
di "ius superveniens" nel corso della gara.
Nei contratti ad evidenza pubblica, infatti,
tutte le fasi di gara in cui la procedura si
scompone assumono un ruolo interno,
progressivo e preordinato all'atto di
aggiudicazione ed hanno carattere
strettamente preparatorio della
determinazione finale di scelta del
contraente: determinazione che non può mai
prescindere dall'applicazione della legge in
quel momento in vigore, indipendentemente
dal fatto che le fasi già concluse possano
restare regolate dalla vecchia legge (conf.
Cons. Stato, sez. VI, 25.09.2007, n.
4937; TAR Lombardia Milano, sez. III,
26.08.1998, n. 2031) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 01.02.2010 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 167 del
D.Lgs. n. 42/2004 contempla la
possibilità di sanare ex post gli interventi
abusivi nel caso di lavori realizzati in
assenza o difformità dall’autorizzazione
paesaggistica che non abbiano determinato
creazione di superfici utili o volumi ovvero
aumento di quelli legittimamente realizzati
(lett. a): a tal fine deve essere instaurata
un’apposita procedura ad istanza della parte
interessata che contempla –a differenza
dell’ordinario procedimento di rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica–
l’accertamento della compatibilità
paesaggistica, demandato all’amministrazione
preposta alla gestione del vincolo, previa
acquisizione del parere della Soprintendenza
che nella particolare fattispecie in esame
assume carattere non solo obbligatorio, ma
vincolante.
Il D.Lgs. 42/2004 (cd. Codice Urbani) ha
totalmente ridisegnato, all’art. 146, il
procedimento per il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica. In
particolare ha eliminato, nel sistema a
regime, il potere della Soprintendenza di
annullare l’autorizzazione paesaggistica già
emessa dal Comune e ha previsto l’intervento
della medesima Soprintendenza in sede
endoprocedimentale, con facoltà di formulare
un parere che risulta espressione di un
potere decisorio complesso facente capo a
due apparati distinti: si anticipa quindi
–già in sede procedimentale– l’apporto
partecipativo dell’autorità statale
(Consiglio di Stato, sez. VI – 25/02/2008 n.
653).
L’art. 146 comma 12 –nella versione
modificata dall’entrata in vigore del D.Lgs.
157/2006 “Disposizioni correttive ed
integrative al decreto legislativo
22.01.2004 n. 42, in relazione al paesaggio”–
prevede che non possano più essere
rilasciate autorizzazione paesaggistiche “in
sanatoria”, ossia successive alla
realizzazione, anche parziale, degli
interventi.
A temperamento di tale previsione, il
medesimo D.Lgs. 157/2006 ha inserito,
all’art. 167, la possibilità di sanare ex
post gli interventi abusivi, nel caso di
lavori realizzati in assenza o difformità
dall’autorizzazione paesaggistica che non
abbiano determinato creazione di superfici
utili o volumi ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati (lett. a): a tal
fine deve essere instaurata un’apposita
procedura ad istanza della parte interessata
che contempla –a differenza dell’ordinario
procedimento di rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica (in vigore in via
transitoria)– l’accertamento della
compatibilità paesaggistica, demandato
all’amministrazione preposta alla gestione
del vincolo, previa acquisizione del parere
della Soprintendenza che nella particolare
fattispecie in esame assume carattere non
solo obbligatorio, ma vincolante.
E’ noto che l’ordinamento giuridico affida
la tutela del paesaggio ai poteri di due
livelli istituzionali –lo Stato e la Regione
(o Ente da questa delegato)– per cui
entrambi sono titolari di una funzione di
amministrazione attiva nell’ambito di un
procedimento unitario a struttura complessa.
In particolare è stato evidenziato che
l’annullamento dell’autorizzazione
costituisce non già manifestazione di un
potere di controllo bensì l’espressione di
un’attività di cogestione dell’interesse
pubblico paesaggistico, posta ad estrema
difesa di un vincolo intimamente connesso ad
un valore costituzionale primario (sentenze
Sezione 12/03/2009 n. 623; 28/05/2004 n.
599; Consiglio di Stato, sez. VI –
20/01/2003 n. 204).
Ebbene, ritiene il Collegio che il potere
esercitato in materia di autorizzazione in
sanatoria possa essere parimenti definito in
termini di “cogestione dei valori
paesistici”, poiché contempla
l’intervento di entrambi i soggetti
pubblici, investiti di una concorrente
competenza orientata alla salvaguardia del
bene ambiente.
In questo caso, tuttavia, il legislatore
affida all’autorità statale il compito di
emettere un giudizio di compatibilità
paesaggistica “pieno”, ossia di
formulare il proprio autonomo apprezzamento
sull’accettabilità dell’opera realizzata nel
contesto tutelato: si tratta quindi di una
valutazione di merito distinta dalla potestà
esercitata nell’ordinario procedimento di
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica,
dove la cognizione si arresta all’esame dei
profili di legittimità dell’operato
dell’amministrazione regionale (o Ente
subdelegato).
Un altro aspetto significativo è poi
rappresentato dalla forza giuridica del
parere demandato alla Soprintendenza, che
assume carattere vincolante nei confronti
della successiva determinazione
dell’autorità regionale: in questa
prospettiva la potestà congiuntamente
esercitata nell’ambito del procedimento a
struttura complessa si manifesta di spessore
ineguale, essendo sbilanciata a favore
dell’organo ministeriale
(TAR Toscana, sez. III –
06/02/2008 n. 117) (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 27.03.2009 n. 709 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La ratio dell’istituto di cui
all'art. 10-bis l. 241/1990 è quella di
favorire l’eventuale partecipazione
procedimentale dell’interessato, per cui il
preavviso non è dovuto se la finalità
sostanziale è stata comunque raggiunta
permettendogli di rappresentare le proprie
ragioni nel corso del procedimento.
La
giurisprudenza formatasi sull’art. 10-bis l.
241/1990 ha statuito che il preavviso di
rigetto riveste natura di atto
endo-procedimentale: la norma infatti impone
all’amministrazione –prima di adottare un
provvedimento sfavorevole nei confronti del
richiedente– di comunicargli le ragioni
ostative all’accoglimento della sua istanza
promuovendo in tal modo l’instaurazione di
un contraddittorio a carattere necessario:
il preavviso assume la funzione di
sollecitare il privato ad una proficua
collaborazione, attivando un
sub-procedimento di valutazione delle
osservazioni esposte e dei documenti
prodotti suscettibile di mutare il
convincimento in precedenza maturato in capo
all’amministrazione procedente (TAR Veneto,
sez. III – 01/08/2006 n. 2257), la quale si
esprimerà in via definitiva soltanto con il
provvedimento finale.
Per questo si è osservato che la ratio
dell’istituto è quella di favorire appunto
l’eventuale partecipazione procedimentale
dell’interessato, per cui il preavviso non è
dovuto se la finalità sostanziale è stata
comunque raggiunta permettendogli di
rappresentare le proprie ragioni nel corso
del procedimento (TAR Toscana, sez. III –
06/02/2008 n. 117) (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 27.03.2009 n. 709 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Alla
necessità di tutelare la posizione di coloro
che hanno sollecitato, con il proprio
esposto, l’azione repressiva comunale, onde
evitare che detta collaborazione di fatto
venga a mancare per timore di comportamenti
ritorsivi, si ritiene che, nell’ambito di un
adeguato contemperamento degli opposti
interessi, sia possibile consentire al
ricorrente la visione ed estrazione di copia
di tutta la documentazione proveniente da
fonte privata, con la sola omissione
–operazione quest’ultima di cui
l’amministrazione si farà carico con i mezzi
più opportuni ed idonei– dell’indicazione
dei nomi degli autori dell’esposto.
Se è vero, in linea di principio, che
l’accertamento e la conseguente repressione
degli abusi edilizi può avvenire su
iniziativa dell’amministrazione o su
sollecitazione dei privato (così dispone
l’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001), è
altrettanto vero che nell’ipotesi in cui il
procedimento amministrativo abbia tratto
origine dall’esposto di terzi, anche tale
atto entra a far parte del procedimento
conclusosi con l’adozione del provvedimento
sanzionatorio, in quanto parte della
sequenza procedimentale che ha determinato,
dopo le verifiche istruttorie effettuate
dall’autorità competente proprio a seguito
del sollecito, l’irrogazione della sanzione.
Il diritto di accesso è stato individuato,
in via di principio, con riguardo ai
documenti amministrativi, ma ai documenti
amministrativi sono stati equiparati,
proprio a tal fine, anche gli atti
provenienti dai soggetti privati ogni qual
volta, indipendentemente dalla
caratterizzazione soggettiva, abbiano avuto
un’incidenza sulle determinazioni
amministrative.
In tale eventualità il controllo sul
soggetto pubblico e la difesa degli
interessi incisi dall’attività
amministrativa non possono prescindere dalla
conoscenza anche degli atti dei terzi che ne
hanno costituito il presupposto (cfr.
C.d.S., Sez. IV, 04.02.1997, n. 82; Sez. VI,
22.01.2001, n. 191 e 16.10.1998, n. 1683;
TAR Sardegna, 01.10.2002, n. 1302).
Ne consegue l’irrilevanza del fatto che lo
stesso risultato si sarebbe potuto
conseguire a conclusione di un procedimento
avviato d’ufficio, dato che così non è stato
avendo l’amministrazione dato l’avvio al
procedimento che si è concluso con il
provvedimento lesivo degli interessi del
ricorrente a seguito del documento
proveniente dai privati.
Da ciò deriva l’interesse giuridicamente
rilevante del ricorrente alla conoscenza di
tutti gli atti posti all’origine dei
provvedimenti assunti nei suoi confronti.
Peraltro, come già rilevato da questo
Tribunale Amministrativo (Sez. I,
22.05.2002, n. 3259), l’amministrazione non
può opporre alcun interesse antagonista “…né
proprio né di terzi al rilascio della copia,
ed in particolare il diritto alla
riservatezza, poiché…il diritto alla
riservatezza non può essere opposto al
soggetto che dai fatti riferiti o contenuti
negli atti a lui ignoti può subire
conseguenze giuridiche e la cui conoscenza
sia necessaria per esercitare o tutelare i
propri diritti.”
Orbene, atteso che, come testualmente
riferisce la stessa difesa del Comune nella
propria memoria, la richiesta di accesso
formulata dal ricorrente è stata formulata
al fine di verificare che le informazioni
acquisite dall’amministrazione “..siano
state acquisite in modo corretto” o se,
per ipotesi, siano “frutto di
comportamenti illeciti”, risulta
meritevole di tutela la posizione del
ricorrente, il quale vuole essere messo in
condizione di conoscere l’intero sviluppo
della vicenda procedimentale, al fine di
tutelare i propri interessi non solo in
ambito amministrativo, bensì anche nelle
diverse sedi (civili o penali) presso le
quali lo stesso può teoricamente rivolgersi.
Premesso quanto sopra, il Collegio non può
non tenere conto delle osservazioni svolte
dalla difesa comunale in ordine alla
necessità di tutelare la posizione di coloro
che hanno sollecitato, con il proprio
esposto, l’azione repressiva, onde evitare
che detta collaborazione di fatto venga a
mancare per timore di comportamenti
ritorsivi.
Si ritiene, pertanto, che, nell’ambito di un
adeguato contemperamento degli opposti
interessi, sia possibile consentire al
ricorrente la visione ed estrazione di copia
di tutta la documentazione proveniente da
fonte privata, con la sola omissione
–operazione quest’ultima di cui
l’amministrazione si farà carico con i mezzi
più opportuni ed idonei– dell’indicazione
dei nomi degli autori dell’esposto
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 02.04.2004 n. 934 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Può
configurarsi un diritto alla riservatezza
solo con riferimento ai “documenti che riguardano la
vita privata o la riservatezza di persone
fisiche”, documenti cioè che abbiano come
contenuto specifico la vita privata, in
senso lato, dei terzi; ove al contrario il
documenti richiesto in accesso non
“riguardi”, non sia cioè “relativo”, alla
vita privata o agli interessi epistolari,
sanitari, professionali, industriali o
commerciali di terzi, questi non possono
neppure configurarsi come controinteressati
rispetto al diritto all’accesso azionato, in
quanto non titolari di alcun diritto o
interesse giuridicamente tutelabile, e
comunque non di un diritto alla
riservatezza, come sopra definito.
Com’è noto, la disciplina sull’accesso è stata introdotta dal legislatore
del 1990 per garantire il controllo
dell’efficienza e dell’imparzialità
dell’azione amministrativa da parte dei
soggetti comunque titolari di un interesse
giuridico a verificare la correttezza
dell’azione stessa; l’oggetto del diritto di
accesso è stato individuato, in via di
principio, nei “documenti amministrativi”,
ovvero, secondo quanto previsto dall’art. 22,
secondo comma della legge n. 241/1990, negli
atti “formati” dalla pubblica
amministrazione che è il soggetto
destinatario dell’esercizio del diritto
stesso.
Gli atti provenienti dai soggetti privati
sono stati equiparati, ai fini dell’accesso,
ai documenti amministrativi, e quindi
suscettibili di ostensione, solo se ed in
quanto “utilizzati ai fini dell’attività
amministrativa”, e cioè quando,
indipendentemente dalla provenienza e
caratterizzazione soggettiva, abbiano avuto
un’incidenza nelle determinazioni
amministrative (cfr. Cons. di Stato, sez. VI,
16.12.1998, n. 1683); in tal caso si è
ritenuto che il controllo sul soggetto
pubblico e la difesa degli interessi incisi
dall’attività amministrativa non possano
prescindere dalla conoscenza anche degli
atti dei terzi che ne sono stati a
presupposto, fermi restando in ogni caso i
limiti imposti dal diritto di costoro alla
riservatezza in rapporto allo spessore
dell’interesse alla visione.
Quanto al “diritto alla riservatezza”,
lo stesso costituisce a termini della stessa
L. 241/1990, art. 24, e del D.P.R. 27.06.1992,
n. 352, attuativo del predetto art. 24, limite
al diritto di accesso, nel senso che (ex
art. 8, lett. d), D.P.R: cit.) sono sottratti
all’accesso “i documenti che riguardano la
vita privata o la riservatezza di persona
fisiche, con particolare riferimento agli
interessi epistolare, sanitario…di cui sano
in concreto titolari”.
Di seguito la stessa norma prescrive che
deve comunque essere garantita la visione
degli atti necessaria alla tutela o cura di
interessi giuridici.
Il che impone un bilanciamento tra i due
valori (trasparenza amministrativa, tutelata
dall’accesso e riservatezza dei terzi), che
la giurisprudenza, interpretando il sopra
riferito dato normativo, ha inteso come
prevalenza dell’accesso sulla riservatezza
ogni volta che l’accesso venga in rilievo
per la cura o difesa di interessi giuridici
e nei limiti in cui l’accesso sia necessario
alla difesa di quell’interesse (cfr. C.d.S.,
sez. V, 21.10.1998, n. 1529; sez. IV,
18.05.1998, n. 840; sez. V, 22.06.1998, n. 923; sez. IV, 30.04.1998, n. 716, tutte successive
alla fondamentale Ad. Plenaria, 04.02.1997,
n. 5).
Orbene, risulta di tutta evidenza, già
dal solo testo normativo (art. 8, lett. d),
D.P.R. 352/1992) che può configurarsi un
diritto alla riservatezza solo con
riferimento ai “documenti che riguardano la
vita privata o la riservatezza di persone
fisiche”, documenti cioè che abbiano come
contenuto specifico la vita privata, in
senso lato, dei terzi; ove al contrario il
documenti richiesto in accesso non
“riguardi”, non sia cioè “relativo”, alla
vita privata o agli interessi epistolari,
sanitari, professionali, industriali o
commerciali di terzi, questi non possono
neppure configurarsi come controinteressati
rispetto al diritto all’accesso azionato, in
quanto non titolari di alcun diritto o
interesse giuridicamente tutelabile, e
comunque non di un diritto alla
riservatezza, come sopra definito.
Invero, il documento richiesto in accesso
riguarda non affatto la sfera privata dei
terzi bensì una critica alle modalità di
esplicazione delle funzioni svolte dalla
richiedente; lungi dall’investire la sfera
privata dei terzi, in definitiva, involge
unicamente la sfera professionale del
medesimo richiedente.
Passando al merito della vicenda, ritiene il
Collegio che la ricorrente abbia pieno
diritto ad accedere all’atto predetto
(esposto), in considerazione della sicura
rilevanza dello stesso per l’esatta
comprensione dell’atto di revoca delle
funzioni di direttore generale che è
motivato per relationem proprio
all’esposto, con riferimento al quale il
Commissario dichiara di condividere gli
addebiti mossi e di reputarli in fatto
fondati; è del tutto evidente infatti che,
ove l’esposto non fosse messo a disposizione
della ricorrente, costei non saprebbe mai
quali sono gli addebiti che le si muovono
(che il Commissario ritiene fondati) né
potrebbe efficacemente tutelarsi nelle
competenti sedi giudiziarie ove ne ritenesse
l’opportunità, alla stregua, evidentemente,
di una previa consapevole conoscenza dei
fatti
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 12.04.2001 n. 1171 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
procedimento di rilascio della concessione
edilizia l’amministrazione comunale ha il
potere ed il dovere di verificare
l’esistenza, in capo al richiedente, di un
idoneo titolo di godimento sull’immobile,
interessato dal progetto di trasformazione
urbanistica. Si tratta di un’attività
istruttoria che risulta finalizzata ad
accertare il requisito della legittimazione
soggettiva del richiedente.
Ai sensi dell'art. 4 della l. 28.01.1977 n.
10, ha titolo a richiedere la concessione
edilizia o il proprietario dell'area o chi
abbia diritto o facoltà di richiederla: ciò
significa che detta concessione può essere
richiesta o dal titolare del diritto reale
di proprietà sul fondo, o da chi, pur
essendo titolare di altro diritto, reale o
di obbligazione, abbia, per effetto di
questo, obbligo o facoltà di eseguire i
lavori per cui chiede la concessione.
La facoltà del comproprietario di ottenere
la concessione edilizia va riconosciuta nei
soli casi in cui risulti documentato il
consenso degli altri comproprietari.
La domanda di concessione edilizia può
essere presentabile anche da persona diversa
dal proprietario, purché il richiedente
abbia titolo a disporre del suolo.
Non è seriamente contestabile che nel
procedimento di rilascio della concessione
edilizia l’amministrazione ha il potere ed
il dovere di verificare l’esistenza, in capo
al richiedente, di un idoneo titolo di
godimento sull’immobile, interessato dal
progetto di trasformazione urbanistica. Si
tratta di un’attività istruttoria che non è
diretta, in via principale, a risolvere i
conflitti di interesse tra le parti private
in ordine all’assetto proprietario degli
immobili interessati, ma che risulta
finalizzata, più semplicemente, ad accertare
il requisito della legittimazione soggettiva
del richiedente.
La funzione autorizzatoria
dell’amministrazione richiede un livello
minimo di istruttoria, che comprende,
comunque, l’acquisizione di tutti gli
elementi sufficienti a dimostrare la
sussistenza di un qualificato collegamento
soggettivo tra chi propone l’istanza ed il
bene giuridico oggetto dell’autorizzazione.
Questa elementare esigenza di verifica
sull’ordinato svolgimento delle attività
sottoposte al controllo autorizzatorio
risulta presente anche nell’ambito del
procedimento di rilascio della concessione
edilizia.
Non solo, ma la notevole incidenza della
concessione edilizia sugli interessi
pubblici e privati coinvolti impone, in modo
ancora più stringente, un adeguato esame
sulla corrispondenza sostanziale tra la
richiesta ed i presupposti fattuali che la
giustificano, anche in relazione alla
titolarità della necessaria posizione
legittimante.
In questa corretta prospettiva, si tratta di
stabilire se ai fini del rilascio della
concessione edilizia è necessario che la
richiesta sia formulata da tutti i
comproprietari, oppure è sufficiente che la
domanda sia proposta da uno soltanto dei
titolari del diritto dominicale.
Al riguardo, si è chiarito che, ai sensi
dell'art. 4 della l. 28.01.1977 n. 10,
ha titolo a richiedere la concessione
edilizia o il proprietario dell'area o chi
abbia diritto o facoltà di richiederla: ciò
significa che detta concessione può essere
richiesta o dal titolare del diritto reale
di proprietà sul fondo, o da chi, pur
essendo titolare di altro diritto, reale o
di obbligazione, abbia, per effetto di
questo, obbligo o facoltà di eseguire i
lavori per cui chiede la concessione
(Consiglio Stato sez. V, 20.10.1994, n.
1200).
Con riguardo alla legittimazione del singolo
comproprietario, è opportuno precisare che
la determinazione del contenuto delle
facoltà di godimento del bene in
comproprietà spettante a ciascuno dei
condomini, va compiuta avendo riguardo al
titolo del diritto, oppure, in mancanza,
applicando la normativa fissata dagli
articoli 1100 e seguenti del codice civile.
La disciplina civilistica delinea un
complesso sistema, articolato,
essenzialmente, in tre diversi tipi di
interventi sulla cosa in comunione:
a)
ciascun partecipante può servirsi della cosa
comune, purché rispetti la duplice
condizione di non alterarne la destinazione
e di non impedire agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto;
a tal fine può apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il
miglioramento della cosa (art. 1102);
b)
con la maggioranza dei due terzi del valore
complessivo della cosa comune, si possono
disporre tutte le innovazioni dirette al
miglioramento della cosa o a renderne più
comodo e redditizio il godimento, purché
esse non pregiudichino il godimento di
alcuno dei partecipanti e non importino una
spesa eccessiva (art. 1108, comma primo, del
cod. civ.);
c)
è necessario il consenso di tutti i
partecipanti per gli atti di alienazione o
di costituzione di diritti reali sul fondo
comune e per le locazioni di durata
superiore ai nove anni (art. 1108, comma
secondo, del cod. civ.).
L’attività edilizia soggetta a concessione
edilizia, determinando una apprezzabile
trasformazione dell’area interessata, sia
pure finalizzata al miglioramento oggettivo
della cosa, determina, di regola,
un’incidenza significativa sul diritto di
ciascuno dei comproprietari.
La Sezione ha
in precedenza affermato il principio secondo
cui la facoltà del comproprietario di
ottenere la concessione edilizia va
riconosciuta nei soli casi in cui risulti
documentato il consenso degli altri
comproprietari.
In tal senso, si è puntualizzato che l'art.
27 l. 14.05.1981 n. 219, recante la facoltà
di ricostruire un fabbricato distrutto dal
sisma del 1980 in un'altra località, e'
anch'esso subordinato al principio sancito
dall'art. 4, l. 28.01.1977 n. 10 -secondo il
quale la concessione edilizia può essere
rilasciata solo al proprietario dell'area o
a chi abbia titolo per ottenerla-, per cui
detta facoltà può spettare non solo al
proprietario dell'area ubicata nell'altra
località, ma anche al comproprietario cui
l'altro comunista abbia rilasciato una
dichiarazione sostitutiva di atto notorio,
con cui lo si autorizza alla ricostruzione
(Consiglio Stato sez. V, 30.10.1995, n.
1495).
La domanda di concessione edilizia può
essere presentata anche da persona diversa
dal proprietario, purché il richiedente
abbia titolo a disporre del suolo (nella
specie il richiedente era comproprietario "pro
indiviso" di un fondo su parte del quale
era destinato a sorgere il fabbricato
(Consiglio Stato sez. V, 28.09.1993, n.
965).
Non contrasta questa conclusione il
principio, talvolta affermato dalla Sezione,
secondo cui il consenso del comproprietario
potrebbe anche non essere espresso, ma
manifestato per fatti concludenti. In tali
circostanze, infatti, si afferma la
legittimità di concessioni edilizie
rilasciate sulla base di richieste formulate
da uno solo dei comproprietari e contestate
non già dall’altro contitolare del diritto,
ma da un soggetto terzo.
In tale prospettiva, si afferma che la
domanda di concessione edilizia può essere
presentabile anche da persona diversa dal
proprietario, purché il richiedente abbia
titolo a disporre del suolo (nella specie il
richiedente era comproprietario "pro
indiviso" di un fondo su parte del quale
era destinato a sorgere il fabbricato)
(Consiglio Stato sez. V, 28.09.1993, n. 965)
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 15.03.2001 n. 1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 22.06.2010 |
ã |
L U T T O
Dopo
lunga sofferenza, è
venuto a mancare l'Amico e Collega Arch.
RAUL BARBIERI del Comune di Grumello del
Monte (BG).
La salma è composta presso l'abitazione in
Via Santa Maria Assunta n. 51 - Alzano
Lombardo (BG).
Il funerale
si terrà mercoledì 23 giugno 2010 alle ore
10,00 nella Chiesa parrocchiale di Alzano
Sopra (BG). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
URBANISTICA:
M. Musso,
Le “zone bianche” e l'attività edilizia in
assenza di pianificazione urbanistica
(link a www.altalex.com). |
APPALTI:
L. M. Delfino,
La tela di Penelope dell’arbitrato delle
opere pubbliche. Il Decreto Legislativo
20.03.2010 n. 53: Ulisse non è ancora giunto
ad Itaca! (link a
www.filodiritto.com). |
GIURISPRUDENZA |
LAVORI PUBBLICI:
Pubblica Amministrazione, cose in
custodia, strade, riparto dell’onere
probatorio.
In tema di
responsabilità per danni da beni di
proprietà della Pubblica Amministrazione,
qualora non sia applicabile la disciplina di
cui all’art. 2051 c.c., in quanto sia
accertata in concreto l’impossibilità
dell’effettiva custodia del bene, a causa
della notevole estensione dello stesso e
delle modalità di uso di terzi, l’ente
pubblico risponde dei pregiudizi subiti
dall’utente, pur sempre la regola generale
dell’art. 2043 c.c.
(TRIBUNALE Napoli, Sez. III civile,
sentenza 27.05.2010 n. 6229 -
link a www.altalex.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Accesso ai documenti
inammissibile se la domanda è generica.
La domanda di
accesso ai documenti amministrativi che
risulti generica, non contenendo gli estremi
del documento di cui si chiede l’ostensione
idonei a consentirne l’identificazione è
inammissibile.
Secondo un ormai consolidato orientamento,
la domanda di accesso deve avere un oggetto
determinato o quanto meno determinabile, e
non può essere generica; deve riferirsi a
specifici documenti senza necessità di
un'attività di elaborazione di dati da parte
del soggetto destinatario della richiesta.
La domanda di accesso deve essere
finalizzata alla tutela di uno specifico
interesse giuridico di cui il richiedente è
portatore; non può essere uno strumento di
controllo generalizzato dell'operato della
P.A. ovvero del gestore di pubblico servizio
nei cui confronti l'accesso viene esercitato
e non può assumere il carattere di una
indagine o un controllo ispettivo, cui sono
ordinariamente preposti organi pubblici
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 11.05.2010 n. 705 - link
a www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 21.06.2010 |
ã |
APPALTI:
Nuntio vobis gaudium magnum: mortis
voluntariae studium
RUP iterum sanctum est
(Vi annuncio una grande gioia: l'istigazione
al suicidio del RUP è stata ri-decretata)
(i latinisti "puri" ci perdoneranno
eventuali strafalcioni ...).
E così il Governo ci ha preso gusto ... e
già, perché legiferare in maniera dissennata
e sulle spalle altrui, di fatto, non costa
niente!!
Che c'è da lamentarsi ancora ... state
dicendo, forse??
Venerdì 18 giugno scorso
il Consiglio dei Ministri ha dato il via
libera all'approvazione
definitiva del Regolamento di attuazione del
codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n.
163/2006).
La bozza definitiva di regolamento approvata è
scaricabile qui:
file
1 -
file 2.
Ebbene, oggi come oggi quel "poveretto"
del RUP (Responsabile Unico del Procedimento)
in materia di lavori pubblici ha -ben
definiti ed elencati uno di seguito
all'altro- n. 24 adempimenti da curare
personalmente (cfr. art. 8 del D.P.R. n.
554/1999) mentre col nuovo regolamento ne
avrà solo uno in più: ovverosia un totale di
venticinque (cfr. art. 10 dell'emanando
regolamento). Senza contare, poi, un'altra
miriade di adempimenti sparsi qua e là nel
regolamento, sia vigente che futuro di
prossima pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale.
Ma allora,
"in illo tempore" qualcuno
disse che "Errare humanum est,
perseverare autem diabolicum" ovverosia
"commettere errori è umano, ma
perseverare [nell'errore] è diabolico"
... Quindi?? Nel Consiglio dei Ministri
siedono persone "diaboliche"??
Ebbene SI'!!
Come si fa,
per decreto, a
riconfermare il carico -su una sola persona- di
tali e tante incombenze (rogne??) per
miserabili 1.300,00 € (di media) mensili??
Ma i soldi, invero, nella vita non sono
tutto, basta la salute ...
ma come si fa a
dormire sonni tranquilli, a discapito
ovviamente della salute, se manco si sa dove
trovare
un'Assicurazione che certamente Ti possa
mettere al riparo da possibili danni d'ogni
sorta, opera pubblica facendo, poiché alla prima
sfortunata circostanza che
-disgraziatamente- ti capita "tra capo e
collo" trovano cavilli
giuridici d'ogni genere per non pagare??
E non ci vengano a dire che l'incentivo alla
progettazione interna è stato "finalmente"
ripristinato al 2% [... prossimamente:
cfr. Collegato lavoro
(ddl S.1167-B/BIS)] perché con
tale "miseria" non si va da nessuna
parte e tale "miseria"
-soprattutto- non riconosce
affatto la professionalità dei Tecnici della
Pubblica Amministrazione locale. Ma scusate:
val la pena di assumersi tutte quelle 25
rogne innanzi citate, e tutte le altre non
menzionate, per pochi spiccioli in più
all'anno?? Bisognerebbe avere il coraggio
di rifiutare la nomina a RUP, ammesso che sia possibile,
oppure di reagire con determinazione sia con
l'Amministrazione di appartenenza sia con i
Governanti nazionali pro-tempore. Ma questa
è un'altra e triste storia ...
Al Parlamento vuoi che non sieda alcun
tecnico di pubblica amministrazione -in
aspettativa o meno- che conosca bene la
condizione lavorativa dei Tecnici Comunali
e, comunque, alcun tecnico libero
professionista che abbia retto l'ufficio
tecnico di un piccolo comune e sappia,
quindi, con quali problemi si ha a che fare?? Ebbene,
abbiamo dato una sbirciata sul sito della
Camera e del Senato e, da informazioni
apprese anche dai mass media,
qualcuno c'è:
e questi cosa
fanno?? Dormono?? Evidentemente SI',
poiché nessuno s'è degnato di alzare la
mano, in Parlamento o Commissione che sia,
per chiedere la parola e dire:
... scusate,
vorrei dire anzi acclarare che c'è qualcosa che non
quadra ... i Tecnici Comunali hanno ragioni
di che lamentarsi!!
A questi Parlamentari -pochi o tanti che
siano, che hanno cognizione di causa sulla
effettiva condizione lavorativa del tecnico
comunale addetti ai lavori pubblici e,
comunque, agli appalti in genere- non
possiamo far altro che augurare (e
augurarci) -di cuore- di tornare
al più presto a rioccupare quella scrivania
comunale
lasciata frettolosamente e temporaneamente
per un lustro o due di attività alternativa (mica faranno i
Privilegiati a vita!!) ... a quel punto, si
lamentino pure che è insostenibile fare il RUP e noi vedremo di consolarli
al meglio
...
Tuttavia, anche in questo caso giochiamo
d'azzardo come una settimana fa: invitiamo almeno un Parlamentare,
che avrà il coraggio di farlo, a contattarci
affinché soggiorni una settimana nel miglior
albergo del nostro Comune, ovviamente a
nostre spese, affinché condivida la vita
lavorativa settimanale (e le notti insonni,
per il tramite della propria badante fornita
dalla ASL ...) di
un Tecnico Comunale -addetto agli appalti
pubblici- di un paese tipo (di
circa 5.000 anime) e veda coi propri occhi
di quante "rogne" è caricato il
RUP ...
poi, legiferi con scienza e coscienza!!
Pertanto, restiamo nell'attesa -al più presto- di
essere contattati all'indirizzo:
info.ptpl@tiscali.it.
LA SEGRETERIA PTPL. |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Dai notai una Guida all'acquisto delle "Case
Certificate": il punto su risparmio
energetico, sicurezza e norme
igienico-sanitarie.
Il Consiglio Nazionale del Notariato, in
collaborazione con le principali
Associazioni dei Consumatori, ha realizzato
la guida “Acquisto Certificato”.
La pubblicazione, sesta nell’ambito di una
collana di Guide per il Cittadino, è
dedicata alle nuove norme sulla sicurezza e
il risparmio energetico negli edifici che
consentono all’acquirente di conoscere la
qualità di un immobile da acquistare e la
spesa da sostenere per la sua gestione.
La guida parte dal presupposto che
acquistare edifici “certificati”
sotto il profilo igienico-sanitario, della
sicurezza e del risparmio energetico
significa poterne valutare in anticipo la
qualità e, di conseguenza, la relativa spesa
per la gestione energetica (la sua
conduzione, climatizzazione, produzione di
acqua calda, in generale i suoi consumi) ...
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
La guida per l’uso in sicurezza delle
macchine per il movimento terra aggiornata
al Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs.
81/2008).
È consultabile online sul sito della
Provincia Autonoma di Bolzano una guida per
l'uso in sicurezza delle macchine per il
movimento terra, aggiornata al Testo Unico
sulla sicurezza.
La guida illustra, nella prima parte, i
principali tipi di macchina a seconda della
funzione:
- macchine adibite esclusivamente alla
movimentazione di materiale;
- macchine per il caricamento del materiale
e lo scavo;
- macchine per il trasporto del materiale.
Nella seconda parte, il documento analizza
norme di sicurezza e comportamenti corretti
per ciascuna delle macchine: ... (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Climatizzazione di ambienti indoor e rischio
biologico.
La qualità dell’aria che respiriamo
all’interno di ambienti come le abitazioni,
gli uffici o gli ospedali, dal punto di
vista chimico, fisico e biologico è
strettamente correlata alla qualità
dell’aria esterna, al tipo di ambiente
considerato, alle persone eventualmente
presenti e all’efficienza dei sistemi di
aerazione.
L’uomo, gli animali, gli arredi, la polvere
e gli impianti di condizionamento, se non
correttamente gestiti, sono sicuramente tra
le principali fonti di contaminazione
microbiologica.
Le patologie legate alla qualità dell’aria
indoor vengono comunemente raggruppate in
due distinte tipologie, quelle note come
Sindrome dell’Edificio Malato (Sick Bulding
Syndrome, SBS) e quelle definite come
Malattie Correlate all’Edificio (Bulding
Related Illness, BRI).
La Sindrome dell’Edificio Malato (Sick
Bulding Syndrome, SBS) presenta “sintomi
aspecifici ma ripetitivi e non correlati a
uno specifico agente, quali: irritazione
degli occhi, delle vie aeree e della cute,
tosse, senso di costrizione toracica,
nausea, torpore, cefalea ecc.”.
Le Malattie Correlate all’Edificio (Bulding
Related Illness, BRI) sono patologie ben
precise, come la legionellosi, l’alveolite
allergica e altre comuni allergie, per le
quali l’agente causale può essere
identificato. In particolare gli agenti
biologici aerodispersi negli ambienti
confinati, in grado di causare patologie
nell’uomo e considerati, quindi, un rischio
per la salute, comprendono i batteri (i.e.
Stafilococchi e gram negativi), i funghi
(i.e. Cladosporium, Penicilium, Alternaria,
Fusarium, Aspergillus) e i loro residui
(endotossine, micotossine), i peli, le
spore, i virus (i.e. Rhinovirus e virus
influenzali), gli acari, e i pollini.
Sul sito dell’Associazione Italiana
Igienisti Sistemi Aeraulici (A.I.I.S.A.) è
disponibile un articolo, pubblicato sul
numero di gennaio 2010 della rivista “Biologi
d’Italia”, dal titolo “Climatizzazione
di ambienti indoor e rischio biologico”
che aiuta a comprendere e prevenire le
patologie legate alla qualità dell’aria
indoor ... (link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Come e perché proteggersi dal sole durante
il lavoro.
“Protezione Solare – l’essenziale in
breve”, è il titolo di un opuscolo
realizzato dal Suva (il principale
assicuratore svizzero per gli infortuni sul
lavoro), per informare e prevenire i dannosi
effetti dei raggi solari.
I raggi del sole nascondono pericoli: sono
composti di luce visibile (50 %), raggi
infrarossi (44 %) e raggi ultravioletti UV(6
%). I raggi UV sono una delle cause
principali del cancro della pelle e
favoriscono l'invecchiamento precoce della
pelle.
Quali i consigli di SUVA per il lavoro
all'aperto? ... (link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Valutazione del rischio stress
lavoro-correlato: rinvio dell'obbligo al
31.12.2010 per la Pubblica Amministrazione.
Il D.L. 31.05.2010, n. 78 (la c.d. Manovra
del Governo) ha introdotto alcune novità
anche in materia di sicurezza sul lavoro.
Segnaliamo, in particolare:
- il rinvio al 31.12.2010 per la valutazione
dello stress da lavoro correlato per le
pubbliche amministrazioni;
- la soppressione dell'ISPESL e IPSEMA ...
(link a www.acca.it). |
APPALTI:
DURC e Associazioni temporanee di Imprese:
le risposte Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali.
La Direzione Generale per l’Attività
Ispettiva del Ministero del Lavoro ha
risposto, con un provvedimento del
09.06.2010, al quesito posto dall’ANCE
(Associazione Nazionale dei Costruttori
Edili) sul rilascio del DURC (Documento
Unico di Regolarità Contributiva) nel caso
di appalto aggiudicato ad una Associazione
Temporanea di Imprese.
Il quesito riguardava, in particolare, il
caso in cui l’ATI aggiudicataria
dell’appalto decidesse di costituire una
Società Consortile per l’esecuzione
dell’appalto.
Il Ministero ha chiarito che in tal caso:
... (link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Vademecum per l’impresa e il cantiere -
maggio 2010 (Comitato Paritetico
Territoriale -CPT- di Roma e Provincia).
Il documento contiene la lista esaustiva di
tutta la documentazione attestante
l’attuazione di adempimenti a carico del
datore di lavoro
A cura del Comitato Paritetico Territoriale
(CPT) di Roma e Provincia è stato preparato
un agile vademecum, aggiornato a maggio
2010, recante utilissime informazioni per il
cantiere.
Il documento contiene la lista esaustiva di
tutta la documentazione attestante
l’attuazione di adempimenti a carico del
datore di lavoro.
Inoltre il vademecum contiene anche l’elenco
degli adempimenti e della documentazione a
cura del committente, la documentazione
minima a cura delle imprese esecutrici che
utilizzano proprio personale, macchine e
attrezzature, da esibire al committente o
all’impresa affidataria in caso di
subappalto per dimostrare l’idoneità
tecnico-professionale delle imprese oltre
alla documentazione minima che i lavoratori
autonomi devono esibire al committente o
all’impresa affidataria in caso di
subappalto.
Chiude il vademecum una lista degli organi
con compiti di controllo, coordinamento e
vigilanza che hanno accesso nei cantieri
edili. |
VARI:
"Casa
Sicura" è l'opuscolo
illustrato dei Vigili del fuoco tradotto in
9 lingue per prevenire gli incidenti
domestici. Disattenzioni, impianti
difettosi, negligenze: sono molti i fattori
da cui possono derivare reali pericoli per
l'incolumità delle persone e
dell'abitazione.
Per questo i Vigili del fuoco, che da tempo
sono impegnati in un'attività di prevenzione
e di divulgazione sui comportamenti da
adottare per la prevenzione, hanno elaborato
alcune indicazioni indirizzate a scuole e
famiglie su come affrontare situazioni di
pericolo con competenza. |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Poste e Fs
senza rimborsi. Secondo la giurisprudenza le
due società hanno natura pubblica. L'ente
non paga gli oneri per i permessi
retribuiti.
Il comune è tenuto a
rimborsare, ai sensi dell'art. 80 del Tuel,
gli oneri per i permessi retribuiti fruiti
dagli amministratori che siano dipendenti di
Poste italiane spa o di Ferrovie dello stato
spa?
L'art. 80 del Tuel precisa che gli oneri per
i permessi retribuiti dei lavoratori
dipendenti da privati o da enti pubblici
economici sono a carico dell'ente presso il
quale gli stessi lavoratori esercitano le
funzioni pubbliche di cui all'art. 79 Tuel.
Con l'espressione «lavoratori dipendenti
da privati o da enti pubblici economici»
il legislatore ha voluto escludere i
lavoratori dipendenti dallo stato o da altri
enti pubblici. Nel caso prospettato occorre,
quindi, individuare la natura giuridica di
Poste italiane spa e di Ferrovie dello stato
spa che, pur avendo assunto la forma
societaria, sono qualificate dalla
giurisprudenza amministrativa enti
sostanzialmente pubblici.
Il Consiglio di stato, sez. VI, con la
sentenza n. 1206 del 02.03.2001, considerata
fondamentale in tema di natura giuridica
delle società per azioni derivanti dalla
trasformazione degli enti pubblici economici
e degli enti di gestione, ha evidenziato che
dottrina e giurisprudenza, dopo un iniziale
contrasto tra i fautori della tesi
privatistica delle società per azioni a
partecipazione pubblica e quelli della tesi
pubblicistica, si sono orientate nel senso
di escludere che la semplice veste formale
di spa sia idonea a trasformare la natura
pubblicistica di soggetti che, in mano al
controllo maggioritario dell'azionista
pubblico, continuano ad essere affidatari di
rilevanti interessi pubblici; pertanto, ai
fini dell'identificazione della natura
pubblica di un soggetto, la forma societaria
è neutra ed il perseguimento di uno scopo
pubblico non è in contraddizione con il fine
societario descritto dall'art. 2247 del
codice civile.
L'alto consesso ha, pertanto, ritenuto che
Poste italiane spa, abbia natura pubblica,
continui ad agire per il conseguimento di
finalità pubblicistiche e che lo stato,
nella sua veste di azionista di maggioranza
o totalitario, non possa che indirizzare le
attività societarie ai fini di interesse
pubblico generale anche al di là e
prescindendo dal mero intento lucrativo.
L'orientamento del Consiglio di stato
risulta ribadito in successive analoghe
sentenze (cfr. Cds sez. VI, 05.03.2002, n.
1303; Cds sez. VI, 07.08.2002, n. 4152) e
trova fondamento anche nelle decisioni della
Corte costituzionale, che ha evidenziato la
rilevanza della natura sostanzialmente
pubblicistica dei soggetti in questione
rispetto all' organizzazione societaria
(cfr. Corte cost. n. 466/1993).
La Consulta ha, infatti, definito le società
per azioni derivate dalla trasformazione dei
precedenti enti pubblici società di «diritto
speciale», perché riconducibili alla
disciplina privatistica solo per taluni
aspetti strutturali e non per
caratteristiche genetiche, ed ha ricordato
come la stessa dicotomia tra ente pubblico e
società di diritto privato si sia andata,
tanto in sede normativa che
giurisprudenziale, sempre più stemperando a
causa, da un lato, dell'impiego crescente
dello strumento della società per azioni per
il perseguimento di finalità di interesse
pubblico; dall'altro, degli indirizzi emersi
in sede comunitaria, favorevoli all'adozione
di una nozione sostanziale d'impresa
pubblica (art. 2 direttiva Cee n. 80/723,
art. 1 direttiva Cee n. 90/531). Ha inoltre
sottolineato che tali società conservano
connotazioni proprie della loro originaria
natura pubblicistica, quali quelle connesse
al ruolo, assunto dalle spa, di
concessionarie necessarie di tutte le
attività in precedenza riservate agli enti
originari, o che mantengono alle nuove
società le attribuzioni in materia di
dichiarazione di pubblica utilità e di
necessità ed urgenza spettanti agli enti
stessi (vedi art. 14, primo e ultimo comma,
legge n. 359/1992).
Anche con riferimento alle società che
svolgono il servizio ferroviario sul
territorio nazionale, e che attualmente
fanno capo alla Ferrovie di stato spa, la
giurisprudenza amministrativa ha ribadito
analoghi concetti (cfr. Tar Lazio Roma, sez.
III, n. 6130/2006); in particolare ha
chiarito la natura pubblicistica di tale
ente, concessionario ex lege della
gestione del servizio di trasporto
ferroviario (Consiglio stato, sez. VI, n.
1683/1998) e, quindi, sostituto e organo
indiretto della pubblica amministrazione, i
cui atti sono soggettivamente e
oggettivamente amministrativi (Tar Lazio,
sez. III, n. 7010/2002).
È ragionevole, quindi, concludere nel senso
che l'adozione della forma societaria è un
mero modulo giuridico per rendere l'attività
economica più efficace e più funzionale
rispetto alla sfida dei mercati
internazionali, fermo restando che l'impresa
mantiene sotto molteplici profili uno
spiccato rilievo pubblicistico (Cds, sez. VI,
n. 498/1995); pertanto, nel caso di specie,
il comune non è tenuto a rimborsare gli
oneri per i permessi retribuiti per la
natura pubblica di Poste italiane spa e di
Ferrovie dello stato spa (articolo
ItaliaOggi del 18.06.2010, pag. 36). |
QUESITI &
PARERI |
ENTI LOCALI:
Indennità di posizione del
segretario comunale in rapporto alla
popolazione del Comune presso cui presta
servizio.
Il Comune di (omissis) chiede se al
Segretario Comunale, precedentemente in
servizio, quale titolare, in una segreteria
con popolazione superiore ai 3000 abitanti e
al quale era stata attribuita una
maggiorazione del 50% della retribuzione di
posizione in godimento, continui a spettare
la stessa maggiorazione, in quanto diritto
acquisito, anche nel caso di trasferimento
dello stesso in un Comune con popolazione
inferiore ai 3000 abitanti, Ente nel quale
la maggiorazione massima dell’indennità di
posizione è stabilita nel 30% (Regione
Piemonte,
parere n.
52/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pareri preventivi ai “centri
storici” delle disposizioni regionali e
statali vigenti. Disciplina del vincolo
paesaggistico.
Viene posto un quesito di cospicua rilevanza
ed attualità in tema di applicazione ai “centri
storici” delle disposizioni di legge
statali e regionali che prescrivono pareri
preventivi vincolanti, e che disciplinano il
“vincolo” paesaggistico con la
conseguente necessità –o meno– di
autorizzazione paesaggistica (Regione
Piemonte,
parere n.
51/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Edificazione su territorio
agricolo.
Vengono richiesti alcuni distinti pareri su
questioni attinenti all’edificazione nel
territorio agricolo (Regione Piemonte,
parere n.
50/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
ENTI LOCALI:
Ripartizione delle spese di
gestione di un edificio scolastico fra gli
Enti fruitori.
Presso il Comune di (omissis) è in attività
la scuola dell'infanzia statale frequentata
sia da bambini residenti nello stesso Comune
sia da bambini residenti in altri Comuni. Le
spese di gestione dell'edificio, trattandosi
di scuola statale, oltre alle spese di
scodellamento dei pasti somministrati
durante la refezione scolastica, sono a
carico del Comune.
Il Comune chiede se sia legittimo richiedere
agli iscritti alla scuola o ai Comuni dove
gli iscritti sono residenti, una quota di
compartecipazione a parziale copertura delle
spese sopra indicate sostenute dal Comune
proprietario dell’edificio scolastico
(Regione Piemonte,
parere n.
48/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Normativa in materia di
installazione di impianti fotovoltaici.
Titoli abilitativi necessari.
Si chiede parere avente ad oggetto alcune
precisazioni inerenti i titoli abilitativi
necessari per la realizzazione di impianti
fotovoltaici (Regione Piemonte,
parere n.
46/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
Il regime transitorio di applicazione del
D.M. 14.01.2008 Norme tecniche per le
costruzioni alle opere private.
Oggetto di disamina è l’art. 20, 3° comma,
del D.L. 31/12/2007 (convertito dall’art. 1,
comma 1 della L. 28/02/2008, n. 31) che
detta la regolamentazione del regime
transitorio, disponendo che: “Per le
costruzioni e le opere infrastrutturali
iniziate nonché per quelle per le quali le
amministrazioni aggiudicatrici abbiano
affidato lavori o avviato progetti
definitivi ed esecutivi prima dell’entrata
in vigore della revisione generale delle
norme tecniche per le costruzioni approvate
con decreto del Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti 14.09.2005,
continua ad applicarsi la normativa tecnica
utilizzata per la redazione dei progetti,
fino all’ultimazione dei lavori e
dell’eventuale collaudo” (link a
www.centrostudicni.it). |
SICUREZZA LAVORO:
L’obbligo di aggiornamento per il
coordinatore per la progettazione e per il
coordinatore in fase di esecuzione che hanno
conseguito l’attestato di frequenza ai corsi
abilitanti antecedentemente all’entrata in
vigore del D.Lgs. n. 81/2008.
Oggetto della presente nota è chiarire se
l’obbligo di aggiornamento quinquennale, di
cui all’art. 98, 2° comma ed Allegato XIV
del D.Lgs. n. 81/2008, sussista anche per i
coordinatori della sicurezza (per la
progettazione ed in fase di esecuzione) che
abbiano conseguito l’attestato di frequenza
ai corsi qualificanti ai sensi dell’art. 10,
comma 2, del D.Lgs. n. 494/1996 e, dunque,
antecedentemente all’entrata in vigore dello
stesso D.Lgs. n. 81/2008 (link a
www.centrostudicni.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
31, comma 9, l. 17.08.1942 n. 1150 non ha
introdotto un'azione popolare che
consentirebbe a qualsiasi cittadino di
impugnare il provvedimento che prevede la
realizzazione di un'opera per far valere
comunque l'osservanza delle prescrizioni che
regolano l'edificazione, ma ha riconosciuto
una posizione qualificata e differenziata
solo in favore dei proprietari di immobili
siti nella zona in cui la costruzione è
permessa e a coloro che si trovano in una
situazione di "stabile collegamento" con la
stessa.
La legittimazione a impugnare una
concessione edilizia deve essere
riconosciuta al proprietario di un immobile
sito nella zona interessata alla
costruzione, o comunque a chi si trovi in
una situazione di stabile collegamento con
la zona stessa, la quale non postula
necessariamente l'adiacenza fra gli
immobili, essendo sufficiente la semplice
prossimità, senza che sia necessario
dimostrare ulteriormente la sussistenza di
un interesse qualificato alla tutela
giurisdizionale.
Ai fini dell'impugnazione di una concessione
edilizia, la condizione della vicinitas,
ossia dello stabile collegamento tra il
ricorrente e la zona interessata
dall'intervento assentito, va valutata alla
stregua di un giudizio che tenga conto della
natura e delle dimensioni dell'opera
realizzata, della sua destinazione, delle
sue implicazioni urbanistiche ed anche delle
conseguenze prodotte dal nuovo insediamento
sulla qualità della vita di coloro che per
residenza, attività lavorativa e simili,
sono in durevole rapporto con la zona in cui
sorge la nuova opera.
Il Collegio condivide l’orientamento
giurisprudenziale secondo il quale “l'art.
31, comma 9, l. 17.08.1942 n. 1150, come
modificato dall'art. 10 l. 06.08.1967 n.
765, non ha introdotto un'azione popolare
che consentirebbe a qualsiasi cittadino di
impugnare il provvedimento che prevede la
realizzazione di un'opera per far valere
comunque l'osservanza delle prescrizioni che
regolano l'edificazione, ma ha riconosciuto
una posizione qualificata e differenziata
solo in favore dei proprietari di immobili
siti nella zona in cui la costruzione è
permessa e a coloro che si trovano in una
situazione di "stabile collegamento" con la
stessa. La legittimazione deve essere per lo
meno specificata nell'impugnativa, con
riferimento alla situazione concreta e
fattuale, indicando la ragione, il come e la
misura con cui il provvedimento impugnato si
rifletta sulla propria posizione sostanziale
determinandone una lesione concreta,
immediata e attuale -nella specie, gli
interessati si sono limitati ad indicare nel
ricorso originario di essere "tutti abitanti
del quartiere" oggetto del programma di
intervento senza precisare alcunché con
riferimento alla specifica vicinanza e alla
concreta lesione subita“ (Consiglio
Stato, sez. V, 07.07.2005, n. 3757).
Ancora di
recente, ha condivisibilmente affermato la
giurisprudenza: “La legittimazione a
impugnare una concessione edilizia deve
essere riconosciuta al proprietario di un
immobile sito nella zona interessata alla
costruzione, o comunque a chi si trovi in
una situazione di stabile collegamento con
la zona stessa, la quale non postula
necessariamente l'adiacenza fra gli
immobili, essendo sufficiente la semplice
prossimità, senza che sia necessario
dimostrare ulteriormente la sussistenza di
un interesse qualificato alla tutela
giurisdizionale” (Consiglio di Stato,
sez. IV, 16.03.2010, n. 1535).
“Alla concessione edilizia in sanatoria
di cui all'art. 31, l. 28.02.1985, n. 47
sono applicabili i principi in materia di
legittimazione all'impugnazione da parte dei
proprietari dei fondi confinanti incisi
dalla sanatoria dell'illecito, se non
conforme a legge; tale legittimazione
sussiste per il fatto stesso che il terzo si
trovi in una situazione di stabile
collegamento con la zona interessata dalla
costruzione oggetto di sanatoria, a
prescindere da ogni indagine sulla
sussistenza di un ulteriore specifico
interesse” (Consiglio di Stato, sez. IV,
30.11.2009, n. 7491).
Peraltro la giurisprudenza recente in talune
pronunce si è spinta a postulare identità
dei concetti di vicinitas e
legitimatio ad causam, (superando così
il più restrittivo orientamento secondo il
quale “ai fini dell'impugnazione di una
concessione edilizia, la condizione della
vicinitas, ossia dello stabile collegamento
tra il ricorrente e la zona interessata
dall'intervento assentito, va valutata alla
stregua di un giudizio che tenga conto della
natura e delle dimensioni dell'opera
realizzata, della sua destinazione, delle
sue implicazioni urbanistiche ed anche delle
conseguenze prodotte dal nuovo insediamento
sulla qualità della vita di coloro che per
residenza, attività lavorativa e simili,
sono in durevole rapporto con la zona in cui
sorge la nuova opera” -Consiglio di
Stato, sez. IV, 31.05.2007, n. 2849) avendo
affermato che “il possesso del titolo di
legittimazione alla proposizione del ricorso
per l'annullamento di una concessione
edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas,
cioè da una situazione di stabile
collegamento giuridico con il terreno
oggetto dell'intervento costruttivo
autorizzato, esime da qualsiasi indagine al
fine di accertare, in concreto, se i lavori
assentiti dall'atto impugnato comportino o
meno un effettivo pregiudizio per il
soggetto che propone l'impugnazione atteso
che l'esistenza della suddetta posizione
legittimante abilita il soggetto ad agire
per il rispetto delle norme urbanistiche,
che assuma violate, a prescindere da
qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i
lavori in concreto gli potrebbero arrecare”
(Consiglio di Stato, sez. IV, 12.05.2009, n.
2908)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.06.2010 n. 3744 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento
di una concessione edilizia riconosciuto
illegittimo in sede giurisdizionale concreta
lesione di un interesse oppositivo che la
P.A. è tenuta a riparare mediante
risarcimento del danno ingiusto
(eventualmente) subito dall'interessato.
L'annullamento
di una concessione edilizia riconosciuto
illegittimo in sede giurisdizionale concreta
indubbiamente la lesione di un interesse
oppositivo che la P.A. è tenuta a riparare
mediante risarcimento del danno ingiusto
(eventualmente) subito dall'interessato (si
veda, tra le tante, Corte di Cassazione,
Sezione III, 10.02.2005 n. 2705)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.06.2010 n. 3744 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: L'art.
27, comma 4, l. 05.08.1978 n. 457 consente
forme agevolate d'intervento nelle zone di
recupero per i casi in cui non sia previsto
il relativo piano nonché interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria, di
restauro e ristrutturazione che riguardino
opere interne e singole unità immobiliari in
deroga alle eventuali norme di p.r.g. che
prescrivano la formazione di un piano
particolareggiato, a condizione che lo
stesso non sia stato approvato. Pertanto non
discende da detta norma alcuna volontà
legislativa di consentire, attraverso i
piani di recupero, interventi in deroga allo
strumento urbanistico generale.
Sin da tempo
risalente, la giurisprudenza amministrativa
ha chiarito che “L'art. 27, comma 4, l.
05.08.1978 n. 457 consente forme agevolate
d'intervento nelle zone di recupero per i
casi in cui non sia previsto il relativo
piano nonché interventi di manutenzione
ordinaria e straordinaria, di restauro e
ristrutturazione che riguardino opere
interne e singole unità immobiliari in
deroga alle eventuali norme di p.r.g. che
prescrivano la formazione di un piano
particolareggiato, a condizione che lo
stesso non sia stato approvato. Pertanto non
discende da detta norma alcuna volontà
legislativa di consentire, attraverso i
piani di recupero, interventi in deroga allo
strumento urbanistico generale“
(Consiglio Stato, sez. V, 20.11.1989, n.
749)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.06.2010 n. 3744 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Costituiscono
ristrutturazioni edilizie, con conseguente
esonero dall'osservanza delle prescrizioni
sulle distanze per le nuove costruzioni, gli
interventi su fabbricati ancora esistenti e,
dunque, su entità dotate quanto meno di
murature perimetrali, di strutture
orizzontali e di copertura, tali da
assolvere alle loro essenziali funzioni di
delimitazione, sostegno e protezione
dell'entità stessa. Ne consegue che, pur non
esulando dal concetto normativo di
ristrutturazione edilizia la demolizione del
fabbricato ove sia seguita dalla sua fedele
ricostruzione, ai fini della qualificazione
di un intervento ricostruttivo come
ristrutturazione, da un lato, non è
sufficiente che un anteriore fabbricato sia
fisicamente individuabile in tutta la sua
perimetrazione, essendo indispensabile a
soddisfare il requisito della sua esistenza
che non sia ridotto a spezzoni isolati,
rovine, ruderi e macerie, e, dall'altro, che
la ricostruzione di esso, oltre ad essere
effettuata in piena conformità di sagoma, di
volume e di superficie, venga eseguita in un
tempo ragionevolmente prossimo a quello
della avvenuta demolizione per cause
naturali od opera dell'uomo.
Il concetto di ristrutturazione edilizia
comprende anche la demolizione seguita dalla
fedele ricostruzione del manufatto, purché
tale ricostruzione assicuri la piena
conformità di sagoma, volume e superficie
fra il vecchio e il nuovo manufatto, essendo
in caso contrario necessario il previo
rilascio della concessione edilizia.
La disposizione dell'art. 31, comma 1, lett.
d), l. 05.08.1978 n. 457 qualifica la
ristrutturazione edilizia come intervento
"volto a trasformare gli organismi edilizi",
indicando in tal modo con chiarezza
l'intento di agevolare il recupero estetico
e funzionale di manufatti già inseriti nel
tessuto edilizio, senza determinare un
incremento del carico urbanistico dell'area
considerata. Quindi, la trasformazione
dell'edificio preesistente, finalizzata al
suo recupero funzionale, può essere compiuta
anche attraverso la demolizione radicale e
la ricostruzione (fedele) di parti rilevanti
del manufatto, specie quando ciò risulti più
conveniente sotto il profilo tecnico od
economico; e questa possibilità può essere
allargata alle ipotesi di totale demolizione
e ricostruzione dell'edificio, purché il
nuovo edificio corrisponda pienamente a
quello preesistente. Inoltre è da rilevare
che, anche se per effetto della normativa
introdotta dall'art. 1 d.lg. n. 301 del
27.12.2002, il vincolo della fedele
ricostruzione è venuto meno, così
estendendosi ulteriormente il concetto di
detta ristrutturazione edilizia, e non per
questo sono venuti a cessare i limiti che ne
condizionano le caratteristiche e consentono
di distinguerla dall'intervento di nuova
costruzione, essendo sempre necessario che
la costruzione corrisponda quantomeno nel
volume e nella sagoma, al fabbricato
demolito.
Il concetto di ristrutturazione edilizia di
cui all'art. 31, comma 1, lett. d), l. n.
457 del 1978, comprende anche la demolizione
seguita dalla fedele ricostruzione del
manufatto, con l'unica condizione che la
riedificazione assicuri la piena conformità
di sagoma, volume e superficie tra il
vecchio ed il nuovo manufatto, ragion per
cui si avrà mera ristrutturazione
esclusivamente nel caso in cui, pur
pervenendo ad un organismo in tutto o in
parte diverso dal precedente, tale diversità
sia dovuta ad elementi comprendenti il
ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell'edificio,
l'eliminazione, la modifica e l'inserimento
di nuovi elementi ed impianti, senza che si
determini alcuna alterazione volumetrica o
di localizzazione o di sagoma, che
determinerebbe, infatti, la genesi di una
nuova costruzione.
Sia la
giurisprudenza della Corte di Cassazione (“in
base all'art. 31, comma 1, lett. d, l.
05.08.1978 n. 457, costituiscono
ristrutturazioni edilizie, con conseguente
esonero dall'osservanza delle prescrizioni
sulle distanze per le nuove costruzioni, gli
interventi su fabbricati ancora esistenti e,
dunque, su entità dotate quanto meno di
murature perimetrali, di strutture
orizzontali e di copertura, tali da
assolvere alle loro essenziali funzioni di
delimitazione, sostegno e protezione
dell'entità stessa. Ne consegue che, pur non
esulando dal concetto normativo di
ristrutturazione edilizia la demolizione del
fabbricato ove sia seguita dalla sua fedele
ricostruzione, ai fini della qualificazione
di un intervento ricostruttivo come
ristrutturazione, da un lato, non è
sufficiente che un anteriore fabbricato sia
fisicamente individuabile in tutta la sua
perimetrazione, essendo indispensabile a
soddisfare il requisito della sua esistenza
che non sia ridotto a spezzoni isolati,
rovine, ruderi e macerie, e, dall'altro, che
la ricostruzione di esso, oltre ad essere
effettuata in piena conformità di sagoma, di
volume e di superficie, venga eseguita in un
tempo ragionevolmente prossimo a quello
della avvenuta demolizione per cause
naturali od opera dell'uomo” -Cassazione
civile, sez. II, 27.10.2009, n. 22688) che
quella amministrativa (“ai sensi
dell'art. 31 lett. d), l. 05.08.1978 n. 457,
il concetto di ristrutturazione edilizia
comprende anche la demolizione seguita dalla
fedele ricostruzione del manufatto, purché
tale ricostruzione assicuri la piena
conformità di sagoma, volume e superficie
fra il vecchio e il nuovo manufatto, essendo
in caso contrario necessario il previo
rilascio della concessione edilizia"
-Consiglio di Stato, sez. V, 18.12.2008, n.
6318) hanno costantemente ritenuto la
necessità che gli interventi di
ristrutturazione assicurino la piena
conformità di sagoma, volume e superficie,
tra vecchio e nuovo edificio. E ciò anche in
ipotesi di attività ricostruttiva.
Soffermando l’attenzione alle “deviazioni”
da tale predicato, eziologicamente
riconducibili al danno lamentato, non v’è
dubbio che nel caso di specie, essendosi
verificato un innalzamento dell’edificio, il
concetto di “ristrutturazione” non
possa essere fondatamente richiamato.
Più in particolare, va rammentato che la
giurisprudenza amministrativa ha più volte
chiarito che “la disposizione dell'art.
31, comma 1, lett. d), l. 05.08.1978 n. 457
qualifica la ristrutturazione edilizia come
intervento "volto a trasformare gli
organismi edilizi", indicando in tal modo
con chiarezza l'intento di agevolare il
recupero estetico e funzionale di manufatti
già inseriti nel tessuto edilizio, senza
determinare un incremento del carico
urbanistico dell'area considerata. Quindi,
la trasformazione dell'edificio
preesistente, finalizzata al suo recupero
funzionale, può essere compiuta anche
attraverso la demolizione radicale e la
ricostruzione (fedele) di parti rilevanti
del manufatto, specie quando ciò risulti più
conveniente sotto il profilo tecnico od
economico; e questa possibilità può essere
allargata alle ipotesi di totale demolizione
e ricostruzione dell'edificio, purché il
nuovo edificio corrisponda pienamente a
quello preesistente. Inoltre è da rilevare
che, anche se per effetto della normativa
introdotta dall'art. 1 d.lg. n. 301 del
27.12.2002, il vincolo della fedele
ricostruzione è venuto meno, così
estendendosi ulteriormente il concetto di
detta ristrutturazione edilizia, e non per
questo sono venuti a cessare i limiti che ne
condizionano le caratteristiche e consentono
di distinguerla dall'intervento di nuova
costruzione, essendo sempre necessario che
la costruzione corrisponda quantomeno nel
volume e nella sagoma, al fabbricato
demolito” (Consiglio di Stato, sez. V,
30.08.2006, n. 5061).
Allorché si determini alterazione di sagoma
o volume, non v’è quindi spazio per il
richiamo alla nozione di ristrutturazione:
(“il concetto di ristrutturazione
edilizia di cui all'art. 31, comma 1, lett.
d), l. n. 457 del 1978, comprende anche la
demolizione seguita dalla fedele
ricostruzione del manufatto, con l'unica
condizione che la riedificazione assicuri la
piena conformità di sagoma, volume e
superficie tra il vecchio ed il nuovo
manufatto, ragion per cui si avrà mera
ristrutturazione esclusivamente nel caso in
cui, pur pervenendo ad un organismo in tutto
o in parte diverso dal precedente, tale
diversità sia dovuta ad elementi
comprendenti il ripristino o la sostituzione
di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti,
senza che si determini alcuna alterazione
volumetrica o di localizzazione o di sagoma,
che determinerebbe, infatti, la genesi di
una nuova costruzione” -Consiglio di
Stato, sez. V, 29.05.2006, n. 3229)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.06.2010 n. 3744 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Nel
bando di gara l'Amministrazione appaltante
può autolimitare il proprio potere
discrezionale di apprezzamento mediante
apposite clausole, rientrando nella sua
discrezionalità la fissazione di requisiti
di partecipazione ad una gara d'appalto
diversi, ulteriori e più restrittivi di
quelli legali, salvo però il limite della
logicità e ragionevolezza dei requisiti
richiesti e della loro pertinenza e
congruità a fronte dello scopo perseguito.
L'amministrazione appaltante può
legittimamente inserire nel disciplinare di
gara, quale requisito di partecipazione, la
presentazione di referenze bancarie
rilasciate da almeno due istituti di credito
di rilevanza nazionale per determinare in
concreto la capacità economica e finanziaria
delle imprese concorrenti: è infatti
pacifico il non limitato potere
discrezionale delle pubbliche
amministrazioni nel fissare i requisiti di
partecipazione a una gara per
l'aggiudicazione di lavori, servizi o
forniture in modo più stringente o in numero
maggiore di quelli fissati dalla legge,
sempre che non siano irragionevoli o in
violazione di principi generali o della
stessa legge.
“Le clausole dei bandi di concorso che
prevedono requisiti soggettivi di
partecipazione sono immediatamente lesive e
devono essere impugnate immediatamente dai
soggetti interessati, senza attendere
l'adozione di appositi provvedimenti di
esclusione del concorrente. Questa regola,
tuttavia, presuppone che la disposizione del
bando sia assolutamente chiara ed univoca
nel suo contenuto precettivo e non richieda
alcuna significativa attività interpretativa
né dei destinatari del bando, né degli
organi dell'amministrazione che ne debbano
fare applicazione” (Consiglio Stato,
sez. V, 07.11.2007, n. 5776).
Come è noto, la normativa vigente non
preclude alle Stazioni appaltanti la
possibilità di chiedere requisiti ulteriori,
logicamente connessi all'oggetto
dell'appalto. Per cui nel bando di gara
l'Amministrazione appaltante può di certo
autolimitare il proprio potere discrezionale
di apprezzamento mediante apposite clausole,
rientrando nella sua discrezionalità la
fissazione di requisiti di partecipazione ad
una gara d'appalto diversi, ulteriori e più
restrittivi di quelli legali, salvo però il
limite della logicità e ragionevolezza dei
requisiti richiesti e della loro pertinenza
e congruità a fronte dello scopo perseguito
(cfr., ex plurimis, Consiglio Stato,
sez. IV, 15.09.2006 n. 5377).
In materia di requisiti di ammissione alle
gare di appalto della Pubblica
amministrazione, difatti, le norme
regolatrici, sia comunitarie che interne,
prevedono fattispecie elastiche, strutturate
su concetti non tassativi, ma indeterminati,
che implicano, per la loro definizione da
parte dell'interprete, un rinvio alla realtà
sociale.
Ma ferma restando la possibilità di
prevedere (purché non in termini illogici ed
abnormi tali da finire per restringere
oltremodo il principio volto a favorire la
concorrenza e la massima partecipazione alle
gare) requisiti partecipativi più stringenti
("l'amministrazione appaltante può
legittimamente inserire nel disciplinare di
gara, quale requisito di partecipazione, la
presentazione di referenze bancarie
rilasciate da almeno due istituti di credito
di rilevanza nazionale per determinare in
concreto la capacità economica e finanziaria
delle imprese concorrenti: è infatti
pacifico il non limitato potere
discrezionale delle pubbliche
amministrazioni nel fissare i requisiti di
partecipazione a una gara per
l'aggiudicazione di lavori, servizi o
forniture in modo più stringente o in numero
maggiore di quelli fissati dalla legge,
sempre che non siano irragionevoli o in
violazione di principi generali o della
stessa legge" Consiglio Stato, sez. VI,
22.05.2006, n. 2959).
Deve ribadirsi
che (salva espressa difforme prescrizione di
legge: si veda, ad esempio, l’art. 11 del
d.lgs. n. 498 del 1992 comma
5-ter) il punteggio relativo ai vari criteri
in caso di aggiudicazione secondo il metodo
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
non possa che essere attribuito in rapporto
ed in funzione della valutazione
dell'offerta concernente in termini concreti
ciò che viene messo a disposizione per
l'espletamento del servizio nei confronti
della stazione appaltante, con esclusione di
qualsiasi considerazione estesa ex se alle
qualità generali dei partecipanti: sia per
la necessità di adeguare i criteri al mero
oggetto di gara e quindi di contratto (come
desumibile dall'interpretazione conforme a
ragionevolezza dell'art. 83 codice dei
contratti, laddove precisa che i criteri di
valutazione dell'offerta debbano essere
pertinenti alla natura, all'oggetto e alle
caratteristiche del contratto), sia in
quanto, altrimenti opinando, si avrebbe una
predeterminazione degli esiti di gara in
favore delle imprese di più rilevanti
dimensioni, in violazione di principi
basilari e fondamentali come la tutela della
par condicio e la tutela della concorrenza.
Anche gli arresti giurisprudenziali che in
passato hanno affermato che è legittimo
prevedere l'attribuzione di punteggi alle
esperienze pregresse ai fini della
valutazione dell'offerta, hanno precisato
che ciò sarebbe possibile soltanto a
condizione che tale criterio non abbia
influenza decisiva sull'affidamento
dell'appalto (in tal senso, espressamente,
TAR Lazio, III, 06.07.2005, n. 5553; nello
stesso senso cfr. TAR Sicilia, 06.06.2007,
n. 1590) e che tale esperienza “valutabile”
debba porsi qual elemento che finisce con il
ridondare sulla qualità del servizio offerto
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.06.2010 n. 3740 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità del
provvedimento di aggiudicazione di una gara
adottato nei confronti di una cooperativa
che si sia avvalsa dei requisiti posseduti
da una società di capitali.
Nelle gare "sotto soglia" riservate
-in via eccezionale- alle cooperative
sociali, l'istituto dell'avvalimento non può
essere utilizzato ove esso si risolva nella
possibilità di usufruire dei requisiti di
società di capitali, non ricomprese nel
novero delle cooperative sociali.
Ciò anche in considerazione di quanto
espresso nel parere n. 38/2009 dell'Autorità
di Vigilanza sui Contratti Pubblici, che
evidenzia come in tal caso verrebbe falsata
la selezione comparativa e pregiudicata la
finalità solidaristica della disciplina in
questione.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo
il provvedimento di aggiudicazione adottato
da una stazione appaltante nei confronti di
una cooperativa che, per partecipare
all'appalto si sia avvalsa dei requisiti
economico-finanziari e tecnici posseduti da
una società di capitali.
Ove, infatti. si consentisse alle
cooperative sociali di partecipare tramite
tale forma di avvalimento agli appalti ad
esse riservati, ne risulterebbe alterata la
par condicio del relativo settore, con
conseguente rilevante pregiudizio dello
stesso imparziale perseguimento delle
finalità sociali e solidaristiche
perseguite, nel senso che non sarebbe
garantita "ex ante" una uniforme
possibilità di ampliamento delle possibilità
partecipative alle gare (TAR Lazio-Roma,
Sez. II-bis,
sentenza 15.06.2010 n. 1762 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla illegittimità
dell'esclusione di un concorrente per
asserita carenza del requisito della
"regolarità fiscale", nell'ipotesi in cui
risulti che il predetto debito sia soggetto
a procedura di "sgravio".
Sulla sussistenza del requisito di
regolarità fiscale nell'ipotesi di pendenze
non ancora accertate in via definitiva.
E' illegittimo il provvedimento di
esclusione adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
per asserita mancanza del requisito della
cd. "regolarità fiscale" di cui
all'art. 75, c. 1, lett. g, del D.P.R.
554/1999, ciò in quanto, nel caso di specie,
dalla attestazione proveniente dall'Agenzia
delle Entrate risulta che il predetto debito
è stato assoggettato a procedura di "sgravio"
a seguito del pagamento effettuato,
dall'impresa esclusa, nel periodo
antecedente alla partecipazione della stessa
alla gara.
Nell'ipotesi in cui, a carico di un'impresa
concorrente, pendano precedenti debiti non
ancora accertati in via definitiva, ciò non
inficia la sussistenza del requisito di
regolarità fiscale, in quanto, secondo un
consolidato orientamento giurisprudenziale,
ai fini della disposizione di cui all'art.
75, c. 1, lett. g, del D.P.R. 554/1999, sono
irrilevanti i debiti non ancora muniti del
carattere della definitività, dovendosi
altrimenti dubitare della conformità della
disposizione in esame ai principi di cui
agli artt. 3 e 97 cost.; peraltro, un
eventuale provvedimento di esclusione, in
siffatta ipotesi, violerebbe il principio di
legalità ed imparzialità dell'azione
amministrativa, poiché sarebbero sottoposti
a "preventiva" esclusione
comportamenti che, successivamente,
potrebbero risultare leciti o indebitamente"
accertati (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 11.06.2010 n. 2285 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo cimiteriale - Fabbricati
non destinati ad abitazione e di carattere
pertinenziale - Inedificabilità assoluta.
Il vincolo a zona di rispetto cimiteriale
previsto dall’art. 338 del T.U.LL.SS.
comporta (v., per tutte, recentemente, Cons.
Stato , IV, 27.10.2009, n. 6547)
inedificabilità assoluta dell’area, e tanto
vale indipendentemente dal tipo di
fabbricato, anche non finalizzato
all’abitazione e di carattere pertinenziale.
Il vincolo, infatti, risponde ad una
triplice funzione: di assicurare condizioni
di igiene e di salubrità, di garantire
tranquillità e decoro ai luoghi di
sepoltura, di consentire futuri ampliamenti
dell’impianto funerario (TAR Toscana, Sez.
III,
sentenza 11.06.2010 n. 1815 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La collocazione di mezzi
pubblicitari lungo le strade nel centro
abitato non può essere esclusa in modo
generalizzato.
L’art. 8 del regolamento comunale sulla
pubblicità, invece, prevede che “E’
vietato il posizionamento dei cartelli e
degli altri mezzi pubblicitari nel centro
abitato e lungo, in prossimità ed in vista
delle strade”.
Rispetto a tale disposizione il Comune di
Ponte Nossa risulta, in effetti, aver optato
per un’interpretazione strumentale
all’applicazione di un totale e
generalizzato divieto di apposizione di
mezzi pubblicitari sull’intero territorio
del centro abitato. Tale divieto, proprio
perché inteso come indiscriminato e non
suscettibile di alcuna eccezione in ragione
di situazioni differenziate che potrebbero
essere meritevoli di autorizzazione, finisce
per porsi in contrasto con la vigente
normativa in materia e con i principi
costituzionali che la regolano, in
particolare in termini di tutela
dell’iniziativa economica.
A prescindere, quindi, dal fatto che il
provvedimento impugnato, in concreto, non
evidenzia quali degli impianti di cui è
stata richiesta l’autorizzazione andrebbero
ad interferire con la realizzazione di
parcheggi pubblici e quali inciderebbero
sulla percezione visiva della chiesetta di
S. Bernardo, con ciò incidendo negativamente
sulla comprensibilità e puntualità del
provvedimento, nonché sulla possibilità per
la richiedente di difendere le proprie
ragioni, il Collegio ritiene comunque
determinante la ravvisata illegittimità del
provvedimento derivante da una lettura del
regolamento comunale impositiva del divieto
generalizzato di collocazione di mezzi
pubblicitari lungo tutte le strade nel
centro abitato.
Tale applicazione della disciplina
regolamentare contraria alla ratio
della normativa vigente in materia, la quale
tende ad una puntuale regolamentazione
dell’utilizzo dei mezzi pubblicitari, ma non
anche ad escludere in modo generalizzato lo
stesso, determina, pertanto, l’illegittimità
sia della nota applicativa prot. n. 3852 del
2009, ma anche ed ancor prima dell’art. 8,
commi 2 e 13 del regolamento comunale della
pubblicità che, pertanto, sono meritevoli
del richiesto annullamento.
Ciò in linea con la giurisprudenza ormai
costante che ha più volte ritenuto
l’illegittimità di divieti generalizzati ed
indiscriminati, tali da realizzare una vera
e propria paralisi dell’attività
imprenditoriale (quale è quella di posa di
cartelli pubblicitari), nell’ambito di un
Comune (TAR Parma, n. 2 del 07.01.2010, TAR
Lombardia, Milano sez. IV, 05.07.2006, n.
1707 e 02.05.2006, n. 1118) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 10.06.2010 n. 2303 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’installazione di cartelli pubblicitari
lungo gli “itinerari turistici” è
subordinato al parere positivo della
Sovrintendenza.
Riassumiamo brevemente le circostanze che
hanno portato a tale pronuncia: la società
ricorrente ha richiesto il posizionamento di
2 cartelli pubblicitari, che il Comune ha
negato limitandosi a richiamare gli
indirizzi di tutela contenuti nel Piano
territoriale di coordinamento provinciale (PTCP),
il quale vieterebbe, secondo
l’interpretazione dell’Amministrazione, il
posizionamento di cartellonistica lungo
detta strada.
I giudici del Tribunale amministrativo di
Brescia, accogliendo il ricorso,
ricostruiscono il quadro normativo di
riferimento, delineato in primo luogo
dall’art. 109 delle NTA del Piano
Territoriale di coordinamento, espressamente
invocato dal Comune a sostegno dei propri
provvedimenti negativi.
Tale norma tende, “per il mantenimento,
il recupero e la valorizzazione del ruolo
paesistico originario”, ad indirizzare
le Amministrazioni comunali a “vietare la
collocazione della cartellonistica
pubblicitaria e prevedere la progressiva
eliminazione di quella esistente”.
Ciò, spiegano i giudici lombardi, in linea
con quanto imposto, ancora più a monte,
dall’art. 153 del d.lgs. 42/2004, il quale
recita: “1. Nell'ambito e in prossimità
dei beni paesaggistici indicati
nell'articolo 134 e' vietata la posa in
opera di cartelli o albi mezzi pubblicitari
se non previa autorizzazione
dell'amministrazione competente , che
provvede su parere vincolante, salvo quanto
previsto dall'articolo 146, comma 5, del
soprintendente. Decorsi inutilmente i
termini previsti dall'articolo 146, comma 8,
senza che sia stato reso il prescritto
parere, l'amministrazione competente procede
ai sensi del comma 9 del medesimo articolo
146.
2. Lungo le strade site nell'ambito e in
prossimità dei beni indicati nel comma 1 è
vietata la posa in opera di cartelli o altri
mezzi pubblicitari, salvo autorizzazione
rilasciata ai sensi della normativa in
materia di circolazione stradale e di
pubblicità sulle strade e sui veicoli,
previo parere favorevole del soprintendente
sulla compatibilità della collocazione o
della tipologia del meno pubblicitario con i
valori paesaggistici degli immobili o delle
aree soggetti a tutela”.
I giudici bresciani ritengono, pertanto,
che, come lo stesso Tribunale ha già più
volte avuto modo di precisare in sede
cautelare, la norma ora riportata non
introduca un divieto generalizzato di
installazione di cartelli pubblicitari lungo
gli “itinerari turistici”, ma
subordini l’autorizzazione della stessa al
parere positivo della Sovrintendenza.
Né un tale divieto, concludono gli stessi
giudici, può essere individuato nelle
prescrizioni del PTCP, le quali non operano
direttamente, ma costituisco, come già
anticipato, atti di indirizzo cui i Comuni
sono tenuti ad adeguarsi nella
predisposizione della propria strumentazione
urbanistica (commento tratto da link a
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 10.06.2010 n. 2301 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
In assenza di provvedimento di
acquisizione sanante il soggetto interessato
potrà sempre agire per la restituzione del
bene.
La vicenda, che ha ad oggetto le conseguenze
dell’incontestato mancato completamento di
una procedura espropriativa nei termini
fissati, non può essere correttamente
analizzata se non si tiene in debito conto
che lo stesso procedimento espropriativo
origina, almeno in parte, da una precedente
vicenda di lottizzazione conclusasi
anch’essa con un ricorso al giudice
amministrativo.
A seguito dell'introduzione dell'art. 43 del
D.P.R. n. 327/2001, deve ritenersi escluso
che possa operare il meccanismo
dell'occupazione acquisitiva, di talché, in
assenza di provvedimento di acquisizione, il
soggetto interessato potrà sempre agire per
la restituzione del bene (in materia, Cons.
St., Ad. Plen., 29.04.2005 n. 2, Cons. St.,
sez. IV, 21.05.2007 n. 2582, Cons. St., sez.
IV, 04.02.2008 n. 303).
Ne discende che, dal momento che il
proprietario deve ritenersi ancora tale sino
all’intervento di un atto traslativo della
proprietà (e cioè il decreto di cui all’art.
43), impregiudicata la facoltà per il
medesimo di chiedere il risarcimento del
danno patito per effetto dell’illegittima
occupazione, esso non potrà comprendere
anche il valore del bene che, invece,
risulta essere nella sua disponibilità,
quantomeno giuridica (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 10.06.2010 n. 2300
- link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Convenzione di lottizzazione -
Posizioni soggettive - Diritto soggettivo -
Intreccio con posizioni di interesse
legittimo - Giurisdizione esclusiva del G.A.
La convenzione di lottizzazione si sostanzia
in un accordo bilaterale, intercorrente fra
i privati e l’ente pubblico, alternativo
rispetto agli strumenti urbanistici
attuativi, avente ad oggetto la definizione
dell’assetto urbanistico di una parte del
territorio comunale.
Dal carattere convenzionale dei piani di
lottizzazione, e dal loro inquadramento nel
novero degli accordi sostitutivi di cui
all’art. 11 della L. 241/1990 (Tar Toscana,
1446/2009; Cons. Stato, IV, 534/2008)
discende che le posizioni soggettive sorte
in capo alle parti assumono consistenza di
diritto soggettivo ai fini della concreta
esecuzione degli accordi; anche se residuano
posizioni indubbiamente qualificabili come
interesse legittimo.
L’inestricabile intreccio di diverse
posizioni soggettive ha indotto il
legislatore a prevedere in questa materia la
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo (art. 11, co. 5, L.
241/1990).
Convenzione di
lottizzazione - Scadenza del termine
decennale - Effetto - Rinnovazione o
modifica delle pattuizioni precedenti -
Novazione oggettiva - Parti necessarie -
Originari sottoscrittori - Stipulazione di
nuova e autonoma lottizzazione -
Partecipazione necessaria dei proprietari di
aree coinvolte dal nuovo piano.
La scadenza del termine decennale della
lottizzazione (desunta analogicamente
dall’art. 17 della L. 1150/1942) produce il
limitato effetto per cui le rispettive parti
non possono più pretendere l’adempimento
delle obbligazioni assunte -e non onorate-
con la convenzione.
Ove però, le stesse parti intendano
ricorrere allo strumento convenzionale per
rinnovare o modificare le pattuizioni
precedenti, non viene in rilievo l’ultrattività
della convenzione scaduta, né una rimozione
della maturata inefficacia: si verifica
piuttosto una modifica o novazione oggettiva
del precedente accordo.
Ne consegue che ad esso devono prendere
necessariamente parte gli originari
sottoscrittori (cfr. Tar Abruzzo, L’Aquila,
96/2007).
La conclusione non cambia anche ve si
volesse inquadrare il fenomeno in esame come
stipulazione di una nuova ed autonoma
lottizzazione: anche in questo caso,
infatti, non può essere pretermessa la
partecipazione necessaria dei proprietari di
aree coinvolte dal nuovo piano (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 10.06.2010 n. 2274 -
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APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un concorrente per accertata irregolarità
fiscale, nonostante la modesta entità
dell'importo dovuto.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un'impresa concorrente resasi
inadempiente in relazione al saldo di una
cartella di pagamento nonostante la modesta
entità dell'importo dovuto, in quanto ai
sensi dell'art. 38, c. 1, lett. g), del
d.lgs. n 163/2006 (Codice dei contratti),
sono esclusi dalla partecipazione alle gare
e non possono stipulare i relativi contratti
i soggetti che abbiano commesso violazioni,
definitivamente accertate, rispetto agli
obblighi relativi al pagamento delle imposte
e tasse.
La disposizione citata, infatti, fa
riferimento a qualsivoglia violazione, anche
di importo esiguo, senza che sia consentito
alla stazione appaltante che ha bandito la
gara, valutarne la rilevanza e la buona o
mala fede del contribuente, giacché tale
valutazione è stata effettuata dal
legislatore al fine di garantire
l'affidabilità dell'offerta e
nell'esecuzione del contratto, nonché la
correttezza e serietà del concorrente;
diversamente, si avrebbe il conferimento
all'amministrazione di un potere
discrezionale di apprezzamento della gravità
dell'infrazione anche in aree in cui è
positivamente esclusa (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 10.06.2010 n. 1803 -
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APPALTI:
Sulla possibilità per un
concorrente, cessionario di un ramo
d'azienda, di avvalersi dei requisiti
posseduti dall'impresa cedente.
Deve essere escluso da una gara d'appalto
per l'affidamento del servizio di refezione
scolastica, il concorrente che non disponga
di un centro di cottura autorizzato per la
preparazione di pasti per mense. Sulla
facoltà concessa al g.a. di indicare una
decorrenza dell'inefficacia del contratto
d'appalto in virtù del superiore interesse
pubblico, nel caso di annullamento
dell'intera procedura di gara.
Per giurisprudenza pacifica è consentito,
all'impresa che abbia acquisito un ramo di
azienda, di avvalersi, ai fini della
qualificazione ad una gara d'appalto, dei
requisiti posseduti dall'impresa cedente, in
quanto l'istituto dell'avvalimento ha
portata generale, ed inoltre l'art. 51 del
d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti),
disciplinando le vicende soggettive
dell'offerente e del candidato, compresa la
cessione di ramo d'azienda, conferma
siffatta interpretazione; ciò a condizione
che la concorrente, nella domanda di
partecipazione, dichiari di avvalersi dei
requisiti dell'impresa cedente, e ne
dimostri l'effettivo possesso in capo alla
stessa.
E' illegittima l'ammissione alla gara per
l'affidamento di un appalto di refezione
scolastica di una ditta, priva del
requisito, fissato a pena di esclusione dal
bando di gara, di un centro di cottura
regolarmente autorizzato per la preparazione
di pasti per mense, in quanto la concorrente
disponeva soltanto di un centro di cottura
autorizzato per l'esercizio dell'attività di
bar, pizzeria, tavola calda, come risulta
dall'autorizzazione sanitaria rilasciata
dalla USL.
Ai sensi dell'art. 245-ter del D.Lgs n.
163/2006 (Codice dei contratti pubblici), il
g.a., annullato il provvedimento illegittimo
di aggiudicazione definitiva, ha un potere
discrezionale di valutazione in ordine
all'opportunità, o meno, di dichiarare
l'inefficacia del contratto. La norma deve
essere interpretata in combinato disposto
con l'art. 245-bis, c. 2, che consente di
limitare la declaratoria di inefficacia del
contratto alle prestazioni ancora da
eseguire. Inoltre, ai sensi dell'art.
245-bis, c.1, è possibile preservare
l'efficacia del contratto qualora lo
richiedano esigenze imperative connesse ad
un interesse generale.
Nel caso di specie, è consentito al giudice
di indicare una decorrenza dell'inefficacia
conforme all'interesse pubblico, il quale
esige la preservazione della continuità del
servizio di refezione fino al termine
dell'anno scolastico (TAR Calabria-Catanzaro,
Sez. II,
sentenza 10.06.2010 n. 1107 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per le opere stagionali non è
necessario acquisire ogni anno una nuova
autorizzazione paesaggistica.
Il nulla osta paesaggistico e l’assenso
edilizio erano stato rilasciati per un
intervento precario e stagionale (ndr:
stabilimento balneare), limitatamente alla
stagione estiva del 2003 per strutture da
rimuovere a settembre.
La società
ricorrente ha ottenuto, per la realizzazione
dello stabilimento balneare di cui sopra si
è detto, nulla osta ambientale da parte del
comune di Maruggio, trasmesso e non
annullato dalla soprintendenza nel termine
di legge, e permesso di costruire, essendo
titolare della concessione demaniale per il
periodo 01.08.2002–31.07.2003, poi rinnovata
fino al 31.07.2004.
Gli assensi sono stati rilasciati
dall’amministrazione municipale per opere
precarie e stagionali: e, d’altra parte,
come sottolinea il TAR, la concessione
regionale è limitata nel tempo.
Tali circostanze, che il ricorrente non
contesta, rendono evidente che le opere
relative allo stabilimento balneare devono
essere rimosse al termine di ogni stagione
estiva, e che, allo scadere della validità
della concessione demaniale, ne dovrà essere
eventualmente richiesta una nuova; le stesse
circostanze, peraltro, non valgono a far
ritenere la legittimità dei provvedimenti
impugnati.
L’amministrazione, infatti, nell’ordinare la
sospensione dei lavori sul presupposto della
necessità, rappresentata dalla
soprintendenza, di nuovi assensi
paesaggistici ed edilizi per ogni anno,
àncora la validità dell’autorizzazione alla
concreta esistenza delle opere realizzate,
quasi che per ogni anno si trattasse di
considerare l’ammissibilità di impianti
nuovi e diversi.
E’ invece evidente che, dovendo valutare la
compatibilità di un’(unica) opera con le
esigenze di protezione ambientale ed
edilizie, l’autorizzazione rilasciata vale
indipendentemente dal carattere ripetitivo
della installazione, non essendo revocabile
in dubbio né l’obbligo di rimuovere le opere
secondo il carattere stagionale
dell’autorizzazione, né la validità degli
assensi fino al termine loro connaturato, né
la potestà dell’amministrazione di
controllare l’eventuale incompatibilità dei
manufatti con esigenze pubbliche
sopravvenute o la non corrispondenza degli
stessi con quanto ha formato oggetto della
valutazione
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 08.06.2010 n. 3628 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il potere-dovere di integrazione
in sede di gara non può risolversi nel
rimediare alla produzione di un documento
mancante e non può essere esercitato in sede
di offerta.
Il potere-dovere di integrazione in sede di
gara è doverosamente circoscritto, sotto il
profilo oggettivo, al materiale documentale,
potendo essere esercitato, sempreché non
venga violata la par condicio, come avviene
quando si pretenda di supplire all'omesso
assolvimento di un onere sancito a pena di
esclusione, solo per sopperire a carenze
documentali, ossia ad omessa
rappresentazione del contenuto di elementi
documentali e non può risolversi nel
rimediare alla produzione di un documento
mancante, quanto, piuttosto, nella semplice
integrazione di un documento già presente
agli atti di gara. Siffatto principio è
stato positivizzato in norma dall'art. 46
del d.lgs. 16.04.2006, n. 163, ma è pur
sempre temporalmente limitato alla fase
della procedura di gara preordinata alla
verifica dei requisiti soggettivi di
partecipazione.
Inoltre, fermo il delineato limite oggettivo
e temporale, non è consentito alla
commissione di gara esercitare un potere di
integrazione, mediante richiesta di
chiarimenti o altro, quando la procedura sia
pervenuta alla fase dell'offerta, sussiste
una norma di gara chiara e dettagliata nel
prescrivere un determinato contenuto o
requisito dell'offerta stessa e quando la
deviazione della composizione e/o
rappresentazione di una delle offerte in
gara dalla norma stabilita al riguardo dalla
lex specialis, sia marcata, come nel
caso di specie, contraddistinto
dall'analiticità e chiarezza della
disposizione capitolare violata dalla
ricorrente con la confezione di un'offerta
nettamente divergente dalla prescrizione
stessa, dando luogo ad un accentuato quantum
di deviazione dalla prescrizione della
lex specialis.
In siffatti casi, qualunque intervento da
parte della commissione sull'offerta non si
arresterebbe ad un'opera interpretativa -
che pure è di dubbia ammissibilità - ma
sostanzierebbe una sostituzione dell'organo
di gara all'offerente, con evidente
alterazione della par condicio (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 08.06.2010 n. 2722 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
E' illegittima l'applicazione
delle sanzioni accessorie (escussione della
cauzione provvisoria e segnalazione all'Avcp)
qualora l'impresa abbia dichiarato il
possesso dei requisiti ma non li abbia
comprovati per errore di interpretazione del
bando.
Qualora un'impresa abbia dichiarato di
possedere un requisito che successivamente
risulti invece carente ma a quella
dichiarazione sia stata indotta da errore
interpretativo in ordine alla portata delle
disposizioni della lex specialis,
l'esclusione dalla gara è legittima, ma non
può essere comminata anche l'escussione
della cauzione provvisoria e la segnalazione
del fatto espulsivo all'Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici.
Si è infatti precisato che "in tali
evenienze, nelle quali l'impresa non ha
dichiarato nulla di diverso e di più di ciò
di cui è realmente in possesso, ma ha errato
nel valutare sufficiente il requisito
posseduto, non ha senso irrogare sanzioni
che vadano oltre la fisiologica esclusione
dell'impresa dalla gara".
Tale l'opzione esegetica dell'art. 48, c. 1,
del d.lgs. n. 163/2006, trova conforto in
una decisione del Consiglio di Stato, resa
sull'omologa norma previgente (art. 10, c.
1-quater della L. 11.02.1994, n. 109), che
ha predicato l'inapplicabilità delle
sanzioni nei casi in cui un'impresa in buona
fede abbia errato in ordine
all'interpretazione del bando e della
normativa generale ed abbia ritenuto di
avere il requisito in realtà carente o
contestato (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 08.06.2010 n. 2721 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Potere di ordinanza ex
art. 191 d.lgs. n. 152/2006 - Efficacia
temporale - Testo anteriore alla novella ex
d.l. n. 90/2008 - Testo vigente.
In tema di rifiuti, uno specifico potere di
ordinanza contingibile e urgente è
espressamente previsto dall’articolo 191 del
d.lgs. 152/2006, la formulazione originaria
prevedeva che le ordinanze, aventi efficacia
per un periodo non superiore a sei mesi,
potessero essere reiterate per non più di
due volte, salva la possibilità, in presenza
di “comprovata necessità”, che
(soltanto) il Presidente della regione
d’intesa con il Ministro dell’ambiente e
della tutela del territorio, dettando “specifiche
prescrizioni”, adottasse ordinanze “anche
oltre i predetti termini” (comma 4).
Nella formulazione vigente del comma 4,
introdotta dal d.l. 90/2008, convertito
dalla legge 123/2008, il limite delle due
reiterazioni è stato sostituito dal
riferimento ad “un periodo non superiore
a 18 mesi per ogni speciale forma di
gestione dei rifiuti”.
RIFIUTI - Ordinanza
contingibile e urgente ex art. 1919 d.lgs.
.n 152/2006 - Presupposti - Valutazione
oggettiva - Situazione di pericolosità
perdurante nel tempo.
Ai sensi dell’art. 191 d.lgs. 152/2006, i
presupposti per l’esercizio del potere di
ordinanza contingibile e urgente sono: una
situazione di eccezionale ed urgente
necessità di tutela dell'ambiente, e
l’impossibilità di provvedere altrimenti
(vale a dire, da un lato l’impossibilità di
differire l’intervento in relazione alla
ragionevole previsione di un danno
incombente; dall’altro, l’insufficienza
degli ordinari strumenti offerti dalla
normativa).
I presupposti della contingibilità ed
urgenza devono essere valutati da un punto
di vista oggettivo, cioè con riguardo alla
situazione da fronteggiare ed agli strumenti
disponibili, senza condizionamenti derivanti
dall’eventuale coinvolgimento soggettivo
dell’organo titolare del potere. Infatti, la
contingibilità non viene meno anche se la
situazione di pericolosità duri nel tempo,
potendo anzi un ulteriore ritardo accentuare
l’urgenza.
RIFIUTI - Ordinanza
contingibile e urgente ex art. 191 d.lgs. n.
152/2006 - Mancata indicazione del termine
finale di durata o efficacia - Illegittimità
- Esclusione - Ragioni.
Le ordinanze contingibili ed urgenti
sprovviste di un termine finale di durata o
efficacia, non per questo sono
automaticamente illegittime in quanto, pur
provocando mutamenti irreversibili di una
particolare situazione, non determinano un
assetto stabile e definitivo della
disciplina (cfr. Cons. Stato, V, 13.08.2007,
n. 4448).
In ogni caso, la mancanza di un espresso
termine finale di durata o efficacia non può
viziare il provvedimento, laddove sia la
disposizione normativa che prevede il potere
a stabilirne la durata massima (e
l’eventuale reiterabilità, insieme ai
relativi presupposti), come avviene con
l’articolo 191 del d.lgs. 152/2006 (TAR
Umbria, Sez. I,
sentenza 08.06.2010 n. 360 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
In relazione ai soggetti tenuti
alla rimozione dei rifiuti abbandonati e al
ripristino dello stato dei luoghi va inteso
in senso lato il riferimento a chi è
titolare di diritti reali o personali di
godimento sugli stessi.
La giurisprudenza ha desunto la natura di
norma speciale quella del D.Lgs. n.
152/2006, sopravvenuta all’art. 107, comma
5, del d.lgs. n. 267 del 2000, onde la
prevista competenza del sindaco prevale, per
il criterio della specialità e per quello
cronologico, sul riparto di attribuzioni
stabilito in via generale dal testo unico
del 2000.
Dispone l’art. 192 del d.lgs. 03.04.2006, n.
192 («Norme in materia ambientale»)
che “l’abbandono e il deposito
incontrollati di rifiuti sul suolo e nel
suolo sono vietati” (comma 1), che “è
altresì vietata l’immissione di rifiuti di
qualsiasi genere, allo stato solido o
liquido, nelle acque superficiali e
sotterranee” (comma 2), che “…chiunque
viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è
tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio
a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed
al ripristino dello stato dei luoghi in
solido con il proprietario e con i titolari
di diritti reali o personali di godimento
sull’area, ai quali tale violazione sia
imputabile a titolo di dolo o colpa, in base
agli accertamenti effettuati, in
contraddittorio con i soggetti interessati,
dai soggetti preposti al controllo. Il
Sindaco dispone con ordinanza le operazioni
a tal fine necessarie ed il termine entro
cui provvedere, decorso il quale procede
all’esecuzione in danno dei soggetti
obbligati ed al recupero delle somme
anticipate” (comma 3).
La giurisprudenza ne ha innanzitutto desunto
la natura di norma speciale, sopravvenuta
all’art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267 del
2000, onde la prevista competenza del
sindaco prevale, per il criterio della
specialità e per quello cronologico, sul
riparto di attribuzioni stabilito in via
generale dal testo unico del 2000 (v., tra
le altre, TAR Veneto, Sez. III, 20.10.2009
n. 2623). Di qui l’erroneità dell’assunto
della parte ricorrente circa una presunta
sopravvivenza della competenza dei
dirigenti, spettando invece al sindaco la
tutela del territorio da singoli episodi di
dispersione di rifiuti nell’ambiente.
Quanto, poi, ai soggetti tenuti alla
rimozione dei rifiuti e al ripristino dello
stato dei luoghi, la norma conferma la
portata del previgente art. 14 del d.lgs. n.
22 del 1997, e quindi la necessità che vi
provvedano gli autori dell’abuso, ma anche,
con il vincolo della solidarietà, il
proprietario dell’area che risulti
corresponsabile del fatto per avervi dato
causa attraverso una condotta, omissiva o
commissiva, a lui imputabile a titolo di
dolo o di colpa (v. Cons. Stato, Sez. V,
04.03.2008 n. 807), il tutto in esito ad
un’istruttoria completa e sulla base di
un’esauriente motivazione, quand’anche
fondata su ragionevoli presunzioni o su
condivisibili massime d’esperienza, ma in
ogni caso con l’ausilio del privato ammesso
ad un contraddittorio che gli dia modo di
fornire elementi di valutazione utili
all’accertamento delle reali responsabilità
(v. Cons. Stato, Sez. V, 25.08.2008 n.
4061).
Il riferimento, invece, a chi è titolare di
diritti reali o personali di godimento va
inteso in senso lato, essendo destinato a
comprendere qualunque soggetto si trovi con
l’area interessata in un rapporto, anche di
mero fatto, tale da consentirgli –e per ciò
stesso imporgli– di esercitare una funzione
di protezione e custodia finalizzata ad
evitare che l’area medesima possa essere
adibita a discarica abusiva di rifiuti
nocivi per la salvaguardia dell’ambiente,
con il requisito della colpa che ben può
consistere proprio nell’omissione degli
accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria
diligenza suggerisce per realizzare
un’efficace custodia e protezione dell’area
–ad esempio recintandola ovvero con altre
misure similari–, così da impedire che
possano essere nella stessa indebitamente
depositati rifiuti (v. Cons. Stato, Sez. IV,
13.01.2010 n. 84) (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 08.06.2010 n. 281 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' legittima l'esclusione da una
gara per l'affidamento del servizio di
ristorazione di un concorrente, disposta a
causa del decreto penale emesso nei
confronti del rappr. leg. per violaz. delle
norme sulla disc. igienica delle sostanze
alimentari.
L'art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 dispone
l'esclusione dalla gara per l'affidamento di
appalti pubblici del soggetto nei cui
confronti sia stata pronunciata sentenza di
condanna passata in giudicato, o emesso
decreto penale di condanna divenuto
irrevocabile, oppure sentenza di
applicazione della pena su richiesta, ai
sensi dell'articolo 444 del c.p.p., per
reati gravi in danno dello Stato o della
Comunità che incidono sulla moralità
professionale.
Condizioni perché l'esclusione consegua alla
condanna sono la gravità del reato, e il
riflesso dello stesso sulla moralità
professionale. La gravità del reato deve,
quindi, essere valutata in relazione a
quest'ultimo elemento, ed il contenuto del
contratto oggetto della gara assume allora
importanza fondamentale al fine di
apprezzare il grado di "moralità
professionale" del singolo concorrente.
Pertanto, è legittimo il provvedimento di
esclusione dalla procedura di gara indetta
per l'affidamento del servizio di
ristorazione della sede centrale e dei
distaccamenti del comando dei vigili del
fuoco disposta nei confronti di un
concorrente a causa della condanna del
rappresentante legale per violazione delle
norme sulla disciplina igienica della
produzione e della vendita di sostanze
alimentari e di bevande, in quanto la norma
citata ha lo scopo di evitare che la P.A.
contragga obbligazioni con soggetti che non
garantiscano adeguata moralità
professionale.
Non è dubbio, infatti, nel caso di specie,
che la condanna per violazione delle norme
sulla disciplina igienica della produzione e
della vendita di sostanze alimentari
costituisca di per sé, in relazione
all'oggetto del contratto per il quale è
stata indetta la gara, grave reato che
incide sulla moralità professionale
(oltretutto negato in sede di attestazione
dei requisiti generali per la preselezione)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.06.2010 n. 3560 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
URBANISTICA:
Nella scelta del socio privato di
società mista, la P.A. deve propendere,
anche nel caso di ricorso alla trattativa
privata, per l’applicazione dei principi di
trasparenza, par condicio e non
discriminazione.
La pronuncia in commento si dischiude
nell’ambito della progettazione e attuazione
di un intervento su di un’area, in parte di
proprietà comunale in parte di privati,
finalizzata a realizzare, con il concorso di
risorse private, un vasto e complesso
programma di riqualificazione urbana: in
tale circostanza è data facoltà ai Comuni di
costituire società per azioni di
trasformazione urbana.
La questione dibattuta, in tal caso,
riguarda le modalità di scelta del socio
privato, operata dall’amministrazione
comunale; l’art. 120 T.U. Enti locali
prevede che “A tal fine le deliberazioni
dovranno in ogni caso prevedere che gli
azionisti privati delle società per azioni
siano scelti tramite procedura di evidenza
pubblica”.
I giudici del Consiglio di Stato, senza
entrare nel merito della configurabilità
delle STU come species del genus
società miste (cfr. Tar Umbria 17.12.2003,
n. 987, secondo cui comunque una società di
trasformazione urbana potrebbe essere
costituita sul modello generale delle
società miste), osservano che anche l’art.
116 , nel prevedere facoltà per gli enti
locali, per l’esercizio di servizi pubblici
di cui all’art. 113-bis e per la
realizzazione delle opere necessarie allo
svolgimento del servizio nonché per la
realizzazione di infrastrutture e di altre
opere di interesse pubblico, che non
rientrino nella competenza istituzionale di
altri enti, di costituire apposite società
per azioni, stabilisce che si provveda “alla
scelta dei soci privati e all’eventuale
collocazione dei titoli azionari sul mercato
con procedure di evidenza pubblica”.
Analogamente, ricordano gli stessi giudici,
l’art. 23 –bis, comma 2, lett. b), del D.L.
25.06.2008 n. 112 stabilisce che la
selezione del socio di società a
partecipazione mista pubblica e privata cui
può essere conferita la gestione di servizi
pubblici locali deve avvenire “mediante
procedure competitive ad evidenza pubblica,
nel rispetto dei principi di cui alla
lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al
tempo stesso, la qualità di socio e
l’attribuzione di specifici compiti
operativi connessi alla gestione del
servizio….”.
Simile disposizione è contenuta anche
nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006
che, a proposito delle società miste per la
realizzazione e/o gestione di un’opera
pubblica o di un servizio impone che la
scelta del socio privato avvenga mediante
procedura di evidenza pubblica. In nessuna
delle menzionate disposizioni, né nel D.P.R.
n. 533 del 1996, viene regolato il ricorso
alla trattativa privata (come per il caso di
competizione andata deserta) ad eccezione
dell’art. 23-bis il quale dispone che, in
caso di mancata possibilità di ricorso al
mercato, è eccezionalmente consentito
l’affidamento diretto alle società “in
house” a capitale interamente pubblico.
Il silenzio della legge, in concomitanza con
la configurazione della società mista come
uno, ma non esclusivo, modello previsto, in
via ormai generale, dall’ordinamento secondo
un paradigma valido anche al di fuori dei
servizi pubblici locali (Cons. St. Sez. II
parere 18.04.2007 n. 456; Ad. Pl.
03.03.2008, n. 1; Sez. VI, 23.09.2008, n.
4603), subordinato alla stretta osservanza
della selezione con procedure ad evidenza
pubblica, induce a considerare con estremo
rigore l’applicazione estensiva di norme che
autorizzino il ricorso alla trattativa
privata e comunque a considerare anche in
questi casi operanti le regole di non
discriminazione, trasparenza delle procedure
ed imparzialità (commento tratto da link a
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 03.06.2010 n. 3490 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
La parificazione dei titoli di
studio disposta con norma di legge comporta
che l’Amministrazione non può escludere
dall’ammissione al concorso il possessore di
titolo dichiarato equipollente.
La giurisprudenza in maniera costante ed
univoca ha sancito il principio secondo il
quale in caso di mancata specificazione di
equipollenza e, pertanto, di univoca ed
espressa volontà della P.A. di limitare
l’accesso ai soli titoli indicati, le
previsioni del bando devono essere
interpretate nel senso di consentire la
partecipazione per i possessori di titoli
equipollenti ex lege; tutto ciò anche
in ossequio al principio del “favor
partecipationis”.
La parificazione dei titoli di studio
disposta con norma di legge comporta che
l’Amministrazione non può escludere
dall’ammissione al concorso il possessore di
titolo dichiarato equipollente né il bando
per cui è causa esclude i titoli di studio
ivi non elencati (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 03.06.2010 n. 3484 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: VIA
I RIFIUTI DALLE STRADE!
1. Ambiente - Rifiuti -
Smaltimento - Ordine di rimozione -
Destinatari - Proprietario del fondo -
Presupposti necessari - Ragioni.
2. Ambiente - Rifiuti - Smaltimento - Poteri
del Comune - Assicurare la pulizia delle
strade - Insussistenza - Ragioni -
Impossibilità di imporre obblighi di "facere"
al gestore delle strade.
3. Ambiente - Rifiuti - Smaltimento -
Ordinanza di rimozione e smaltimento -
Competenza - Dirigente - Spetta -
Riferimenti normativi.
4. Giudizio
amministrativo - Procedura - Potere del
giudice di individuare il presupposto
normativo del corretto esercizio di un
potere diverso da quello espressamente
richiamato nella giustificazione del
provvedimento impugnato - Impossibilità -
Ragioni.
1.
L'ordine di rimozione dei rifiuti presenti
sul fondo può essere rivolto al proprietario
solo quando ne sia dimostrata almeno la
corresponsabilità con gli autori
dell'illecito, per avere cioè posto in
essere un comportamento, omissivo o
commissivo, a titolo doloso o colposo,
dovendosi escludere che la norma configuri
un'ipotesi legale di responsabilità
oggettiva; ne discende la illegittimità
degli ordini di smaltimento dei rifiuti
indiscriminatamente rivolti al proprietario
di un fondo in ragione della sua mera
qualità ma in mancanza di adeguata
dimostrazione da parte dell'amministrazione
procedente, sulla base di un'istruttoria
completa e di un'esauriente motivazione,
dell'imputabilità soggettiva della condotta.
Tale orientamento è stato di recente
confermato anche con riferimento al disposto
di cui all'art. 192, D.Lgs. n. 152/2006
(Cons. Stato, sez. V, 25-08-2008 n. 4061;
Cons. Stato, sez. V, 19-03-2009 n. 1612).
2.
Per superare il criterio della imputabilità
solidale a titolo di dolo o di colpa non si
può invocare il disposto di cui all'art. 14,
Cod. Strada a mente del quale "Gli enti
proprietari delle strade, allo scopo di
garantire la sicurezza e la fluidità della
circolazione, provvedono alla manutenzione,
gestione e pulizia delle strade, delle loro
pertinenze e arredo nonché delle
attrezzature, impianti e servizi".
Il fatto che la norma in questione imponga
uno speciale obbligo di pulizia delle strade
in capo all'ente proprietario o gestore
della strada, non può comportare la
simmetrica attribuzione di un potere
autoritativo in capo ad un ente terzo (il
Comune) al fine di imporne coercitivamente
il rispetto, nell'ambito peraltro di un
settore che esula dalle competenze
istituzionali dell'ente medesimo; a ciò osta
il principio di legalità e quello connesso
di tipicità di tutti i poteri
amministrativi: nessuna norma di legge nel
settore specifico della viabilità,
attribuisce infatti ai comuni il potere di
assicurare la pulizia delle strade imponendo
autoritativamente obblighi di facere al
gestore, al fine di garantire "la
sicurezza e la fluidità della circolazione";
né un tal potere può desumersi
implicitamente dalla natura del Comune quale
ente locale a fini generali atteso che tra
gli interessi pubblici affidati alla cura
dei comuni non v'è anche quello di garantire
la sicurezza e la fluidità della
circolazione delle strade.
3.
La competenza alla adozione di un'ordinanza
di rimozione e smaltimento dei rifiuti
abbandonati da ignoti su un terreno è del
dirigente e non del sindaco.
Ed infatti, la competenza sindacale, pur
formalmente riconosciuta dall'art. 14 co. 4,
D.Lgs. 05.02.1997 n. 22, è stata
successivamente traslata in capo al
dirigente del settore competente in forza
della generale previsione di cui all'art.
107 co. 5, D.Lgs. n. 267/2000 che, nel
disciplinare il riparto di competenze fra
organi di indirizzo politico e organi
burocratici, nell'ambito degli enti locali,
ha precisato che "A decorrere dalla data
di entrata in vigore del presente testo
unico le disposizioni che conferiscono agli
organi di cui al capo I titolo III
l'adozione di atti di gestione e di atti o
provvedimenti amministrativi si intendono
nel senso che la relativa competenza spetta
ai dirigenti".
La competenza dirigenziale nella presente
fattispecie deve ritenersi confermata a
contrariis dall'art. 192, co. 3, D.Lgs.
n. 152/2006 che, secondo la giurisprudenza,
è norma speciale sopravvenuta rispetto
all'art. 107, co. 5, D.Lgs. n. 267/2000
attributiva in favore del sindaco della
competenza a disporre con ordinanza le
operazioni necessarie alla rimozione ed allo
smaltimento dei rifiuti previste dal co. 2
(Cfr. Cons. Stato, sez. V, 25-08-2008 n.
4061).
4.
In considerazione del generale principio di
tipicità dei poteri amministrativi, il
giudice non può respingere il ricorso sul
presupposto del corretto esercizio di un
potere diverso da quello espressamente
richiamato nella giustificazione del
provvedimento impugnato e censurato dal
ricorrente, sicché lo scrutinio di
legittimità non può che avvenire alla luce
del parametro normativo invocato
dall'autorità procedente e non con
riferimento ad un distinta norma attributiva
del potere autonomamente individuata dal
giudicante.
Diversamente opinando vi sarebbe anche una
chiara violazione del diritto di difesa e
del principio di corrispondenza tra chiesto
e pronunciato atteso che le doglianze
articolate dal ricorrente si indirizzano
avverso la non corretta interpretazione ed
applicazione della sola norma attributiva
del potere invocata dall'amministrazione e
non di quella diversa eventualmente
individuata dal giudice: respingere il
ricorso sulla scorta di una norma non posta
a fondamento dell'esercizio del potere
equivale a decidere su una questione
estranea al giudizio, implica una violazione
del contraddittorio e comporta anche una
modifica della causa petendi della domanda e
cioè delle ragioni di fatto e di diritto su
cui si fonda la domanda di annullamento (nel
caso di specie il Comune, a fondamento
dell'ordinanza impugnata, aveva invocato il
disposto di cui all'art. 14 del d.lgs.
05.02.1997, n. 22 e non l'art. 14 del codice
della strada)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Molise,
sentenza 28.05.2010 n. 227 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla illegittimità di una
procedura per l'affidamento in concessione
di campi sportivi, nell'ipotesi in cui il
bando consenta la partecipazione alle sole
associazioni dilettantistiche presenti sul
territorio comunale.
E' legittima la revoca della selezione
pubblica indetta per l'affidamento in
concessione di campi sportivi e della
relativa aggiudicazione, adottata da una
amministrazione comunale motivata col fatto
che l'avvenuta limitazione della possibilità
di partecipazione alla gara alle sole
associazioni dilettantistiche presenti sul
territorio comunale non avrebbe soddisfatto
l'esigenza di garantire trasparenza,
imparzialità e parità di trattamento nella
scelta del concessionario.
Se da un lato, infatti, l'individuazione dei
criteri di accesso alle procedure selettive
rientra nel potere discrezionale
dell'amministrazione, tuttavia siffatta
limitazione avrebbe vìolato i summenzionati
principi nella scelta del concessionario
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 27.05.2010 n. 9742 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sul divieto previsto dall'art. 13
del D.L. 04/07/2006 n. 223, conv. in L.
04/08/2006 n. 248. Sulla qualificazione del
servizio di igiene urbana come servizio
pubblico.
Il divieto previsto dall'art. 13 del D.L.
04/07/2006 n. 223, conv. in L. 04/08/2006 n.
248, investe le società costituite per la
produzione di beni e servizi strumentali
all'attività degli Enti, mentre sono escluse
dal divieto quelle istituite per gestire
servizi pubblici locali.
La qualificazione differenziale tra attività
strumentali e gestione di servizi pubblici
deve essere, invece, riferita non
all'oggetto della gara, bensì invece
all'oggetto sociale delle imprese
partecipanti ad essa.
Il divieto di fornire prestazioni a enti
terzi, infatti, colpisce le Società
pubbliche strumentali alle amministrazioni
regionali o locali -che esercitano attività
amministrativa in forma privatistica- ma non
si estende alle Società destinate a gestire
servizi pubblici locali, che esercitano
attività d'impresa: esso è introdotto al
fine di separare le due sfere di attività
per evitare che un soggetto, che svolge
attività amministrativa, eserciti allo
stesso tempo attività d'impresa,
beneficiando dei privilegi dei quali esso
può godere in quanto Ente pubblico.
La giurisprudenza ha affermato che il
servizio pubblico è quello che consente al
Comune di realizzare fini sociali e di
promuovere lo sviluppo civile della comunità
locale ai sensi dell'art. 112 del D. Lgs.
267/2000, in quanto preordinato a soddisfare
i bisogni della cittadinanza
indifferenziata: tale è indubbiamente il
servizio di igiene urbana, il quale richiede
che il concessionario impieghi capitali,
mezzi e personale da destinare ad
un'attività economica suscettibile, quanto
meno potenzialmente, di produrre un utile di
gestione e, quindi, di riflettersi
sull'assetto concorrenziale del mercato di
settore.
Né a conclusioni diverse si deve pervenire
per il fatto che l'onere di remunerare
l'attività svolta dal privato è assunto
(talvolta) direttamente
dall'amministrazione.
E' infatti noto che per l'erogazione del
servizio R.S.U. i Comuni sono tenuti ad
istituire la tariffa da praticare ai
cittadini -nuclei familiari ed imprese-
secondo criteri omogenei e con l'obbligo di
provvedere all'integrale copertura dei
costi.
Se è dunque vero che il compenso del gestore
è erogato periodicamente dal Comune, è
altrettanto vero che il costo del servizio è
ripartito tra gli utenti secondo parametri
predeterminati, come ad es. l'estensione
dell'unità abitativa e il numero dei
componenti del nucleo familiare (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 27.05.2010 n. 2164 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La presenza di violazioni tributarie,
definitivamente accertate, non integra una
fattispecie di esclusione automatica
dell'impresa concorrente che le ha commesse.
La presenza di violazioni, definitivamente
accertate, rispetto agli obblighi relativi
al pagamento delle imposte e tasse secondo
la legislazione italiana, non integra una
fattispecie di esclusione automatica
dell'impresa concorrente che le ha commesse,
a prescindere dalla loro valutazione in
concreto.
La valutazione con significato rigidamente
preclusivo di qualsivoglia inadempimento
tributario si tradurrebbe nel corrispondente
pregiudizio per il principio di libera
concorrenza, che non esplica soltanto
effetti positivi sull'ampliamento della
partecipazione alle pubbliche gare per le
imprese presenti nel mercato unico, ma anche
per la p.a., che si avvantaggia della
possibilità di poter valutare favorevolmente
le offerte inoltrate senza che ciò sia
impedito dal fatto che si configurino a
carico delle imprese debiti tributari, anche
se definitivamente accertati, che non
incidano, peraltro, oggettivamente
sull'affidabilità e solidità finanziaria
della singola impresa.
Né contrasta con la suesposta conclusione
l'assenza dell'aggettivo "grave" nel
testuale disposto della citata lett. g) del
c. 1 dell'art. 38, del D. Lgs. 163/2006,
previsto invece per le infrazioni alle norme
in materia di sicurezza (di cui alla lett.
e) dello stesso articolo), così come per la
negligenza, la malafede e gli errori
professionali (di cui alla lett. f) dello
stesso articolo) e per le violazioni alle
norme in materia di contributi previdenziali
e assistenziali (di cui alla lett. i) dello
stesso articolo).
Ciascuna delle suddette fattispecie, ivi
compresa quella pertinente la posizione
tributaria, deve essere valutata alla
stregua del richiamato canone teleologico,
che esclude che, in presenza di violazioni
di scarso rilievo, sia inciso il
generalissimo principio di concorrenza,
quale principio fondante dell'ordinamento
comunitario; soltanto l'esistenza, quindi,
di una globale situazione, quale risultato
finale dell'apprezzamento da compiersi con
l'applicazione del principio di
proporzionalità, integra quella situazione
di obiettiva inaffidabilità dell'impresa, la
cui determinazione anche in sede
giurisdizionale è imposta dall'art. 2, c. 1,
del predetto D.Lgs. 163/2006 sia per gli
appalti "sopra" che "sotto"
soglia comunitaria (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 27.05.2010 n. 2164 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: CARTELLONI
PUBBLICITARI.
Autorizzazione -
Comunale - Pubblicità stradale - Cartelloni
- Rilascio mediante gara - Necessità - Non
sussiste.
Sia se si ha riguardo all'art. 53 del
regolamento di esecuzione del Codice della
Strada (D.P.R. 16.12.1992 n. 495), sia se si
ha riguardo al D.Lgs. n. 507/1993, che
all'art. 3 contempla i regolamenti comunali
sulle modalità di effettuazione della
pubblicità ed un piano generale degli
impianti, non si può asserire che le
autorizzazioni a collocare impianti
pubblicitari siano da rilasciare mediante
gare.
Invero, la pubblicità stradale non si
configura come servizio reso ad un ente
locale, in particolare, ma come forma di
svolgimento di un'attività economica,
soggetta ad autorizzazione sia perché gli
enti locali hanno la funzione di
salvaguardare il decoro delle strade, sia
perché ne traggono delle entrate per loro
specificamente previste, come è l'imposta
regolata dal suddetto D.Lgs. n. 507/1993
(1).
---------------
(1) Cfr. Cons. Stato, sez. V, dec. n.
44/2007; Cons. Stato, sez. II, par. n.
4399/2007; Cons. Stato, sez. II, par. n.
4400/2007 (massima tratta da http://mondolegale.it
- TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 27.05.2010 n. 2086 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Opere
di completamento - Domanda di condono -
Sanzione pecuniaria in luogo della
demolizione.
L'art. 33,
comma 2, del d.P.R. 380/2001 si applica alle
ipotesi di “interventi di
ristrutturazione edilizia in assenza di
permesso di costruire o in totale difformità“,
mentre nel caso in esame l’attività posta in
essere in assenza di permesso di costruire,
accedendo ad un fabbricato a sua volta
oggetto di un procedimento di condono non
concluso, poteva essere proseguita solo
previo ottenimento della autorizzazione di
cui all’art. 35, comma 13, della l. 47/1985,
in assenza della quale l’attività edilizia
posta in essere deve essere qualificata come
sicuramente abusiva (cfr., TAR Campania
Napoli, sez. IV, 24.11.2009, n. 7961)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 24.05.2010 n. 8352 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sugli
effetti della richiesta di sanatoria in
pendenza di un'ordinanza di demolizione.
Come più volte affermato, anche da questa
sezione, la proposizione di una istanza di
accertamento di conformità ai sensi
dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001, in tempo
successivo all’emissione dell’ordinanza di
demolizione, incide unicamente sulla
possibilità dell’amministrazione di portare
ad esecuzione la sanzione, ma non si
riverbera sulla legittimità del precedente
provvedimento di demolizione (cfr. Consiglio
di Stato sez, IV, 19.02.2008 n. 849) (TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 24.05.2010 n. 8352 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La regolarità contributiva deve
sussistere per tutto lo svolgimento della
gara e l'esecuzione del contratto.
È principio consolidato
in Giurisprudenza quello secondo cui la
regolarità contributiva è richiesta in via
dinamica, vale a dire non solo per tutto lo
svolgimento della gara e al momento della
stipulazione del contratto, ma anche al
momento della partecipazione alla gara,
restando irrilevante un eventuale
adempimento tardivo della relativa
obbligazione.
Con questa motivazione il Consiglio di
Stato, Sez. V, con la
sentenza 09.04.2010 n. 1998 ha
respinto il ricorso presentato da una ATI in
relazione all'annullamento
dell'aggiudicazione di un contratto di
appalto a favore della ATI medesima,
aderendo come detto ad un consolidato
indirizzo giurisprudenziale condiviso anche
dall'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici.
Con la medesima pronuncia inoltre la Corte
ha precisato che a fronte dell'annullamento
di un'aggiudicazione, l'Amministrazione, se
da un lato è tenuta a rimuovere il contratto
e procedere alla nuova aggiudicazione,
dall'altro lato è tenuta, durante il tempo
necessario per procedere alla nuova
aggiudicazione, a evitare che continuino a
prodursi effetti irreversibili in contrasto
con la sentenza e tali da pregiudicare la
completa e puntuale esecuzione della
medesima.
A fronte di una sentenza che annulla
l'aggiudicazione, la prosecuzione dei lavori
è priva di titolo, e può essere consentita
solo per lavori indifferibili, da
retribuirsi, comunque, non a titolo
contrattuale ma di indebito arricchimento.
Pertanto l'Amministrazione è tenuta a
sospendere cautelarmente il contratto in
corso di esecuzione (commento tratto da
www.legislazionetecnica.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
balconi aggettanti sono quelli che sporgono
dalla facciata dall’edificio, costituendo
solo un prolungamento dell’appartamento dal
quale protendono, non svolgono alcuna
funzione di sostegno, né di necessaria
copertura, come viceversa è riscontrabile
per le terrazze a livello incassate nel
corpo dell’edificio.
I balconi pacificamente incastrati nelle
riseghe del fabbricato sono da considerare
ai fini del calcolo della volumetria
assentita.
Secondo un
consolidato indirizzo giurisprudenziale, i
balconi aggettanti sono quelli che sporgono
dalla facciata dall’edificio, costituendo
solo un prolungamento dell’appartamento dal
quale protendono, non svolgono alcuna
funzione di sostegno, né di necessaria
copertura, come viceversa è riscontrabile
per le terrazze a livello incassate nel
corpo dell’edificio (Cass. civ. sez. II,
17.07.2007, n. 15913; 07.09.1996, n. 8159),
con la conseguenza che mentre i primi,
quelli aggettanti, non determinano volume
dell’edificio, nel secondo caso essi
costituiscono corpo dell’edificio, e
contribuiscono quindi alla determinazione
del volume.
Correttamente quindi l’amministrazione
comunale ha ritenuto che i balconi
realizzati, pacificamente incastrati nelle
riseghe, fossero da considerare ai fini del
calcolo della volumetria assentita e
comportassero quindi la non conformità di
quanto effettivamente edificato rispetto
alle previsioni urbanistiche ai fini
dell’accertamento della conformità
urbanistica di cui all’articolo 36 del
D.P.R. n. 380 del 2001 (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 07.07.2008 n. 3381 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
chiusura perimetrale di una struttura su
pilastri in muratura mediante vetrate a
tutta altezza costituisce, senza dubbio, un
volume edilizio in quanto in materia
urbanistico edilizia il presupposto per
l’esistenza di un volume edilizio è
costituito dalla costruzione di (almeno) un
piano di base e due superfici verticali
contigue, così da ottenere appunto una
superficie chiusa su un minimo di tre lati.
La
chiusura perimetrale di una struttura su
pilastri in muratura mediante vetrate a
tutta altezza costituisce, senza dubbio, un
volume edilizio in quanto in materia
urbanistico edilizia il presupposto per
l’esistenza di un volume edilizio è
costituito dalla costruzione di (almeno) un
piano di base e due superfici verticali
contigue, così da ottenere appunto una
superficie chiusa su un minimo di tre lati
(TAR Piemonte n. 2824 del 12.07.2005; TAR
Liguria, I, 12.12.1989, n. 943; TAR
Sicilia–Catania, 30.09.1994, n. 2171)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 22.03.2007 n. 2725 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il carattere di precarietà di una
costruzione, ai fini edilizi, non va desunto
dalla eventualmente facile e rapida
rimovibilità dell'opera, ovvero dal tipo più
o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma
dal fatto che la costruzione appaia
destinata a soddisfare una necessità
contingente ed essere, poi, prontamente
rimosso.
Il carattere di precarietà di una
costruzione, ai fini edilizi, non va desunto
dalla eventualmente facile e rapida
rimovibilità dell'opera, ovvero dal tipo più
o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma
dal fatto che la costruzione appaia
destinata a soddisfare una necessità
contingente ed essere, poi, prontamente
rimosso (TAR Piemonte, sez. I, 10.05.2006,
n. 2073, TAR Campania-Napoli, sez. IV,
16.07.2002, n. 4141; Consiglio Stato, sez.
V, 08.04.1999, n. 394; TAR Lazio, sez. II,
17.07.1986, n. 1156)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 22.03.2007 n. 2725 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'ordinanza di demolizione è atto dovuto e
vincolato; pertanto, l'obbligo della
motivazione è
sufficientemente assolto con l'indicazione,
anche "per relationem"
dei presupposti di fatto attraverso
i quali sia comunque possibile ricostruire
l'"iter" logico seguito
dall'amministrazione ed al giudice, per tale
via, di esercitare il proprio sindacato di
legittimità.
Sebbene per giurisprudenza costante di
questa sezione, nel sistema delineato dal
DPR 380/2001 qualora l'interessato abbia
attivato il procedimento per ottenere il
permesso di costruire in sanatoria, il
ricorso proposto contro un provvedimento
repressivo emesso in precedenza diviene
improcedibile per sopravvenuta carenza di
interesse (atteso che a seguito dell'istanza
di sanatoria l’ordine di demolizione è
destinato ad essere sostituito o dal
permesso di costruire in sanatoria o da un
nuovo provvedimento sanzionatorio), a fronte
del provvedimento di diniego di permesso di
costruire in sanatoria la rinnovazione
dell’ordine di demolizione si pone come atto
vincolato sulla base degli esiti
dell’espletata istruttoria -come sopra
ampiamente evidenziato- che conduceva al
diniego della sanatoria.
L'ordinanza di demolizione è atto dovuto e
vincolato; pertanto, l'obbligo della
motivazione -inteso nella sua essenzialità,
senza inutili e fuorvianti formalismi- è
sufficientemente assolto con l'indicazione,
anche "per relationem" (rinvio al
contenuto dei pareri infra procedimentali),
dei presupposti di fatto ("id est",
verbali di contravvenzione, individuazione
dettagliata delle opere abusive) attraverso
i quali sia comunque possibile ricostruire
l'"iter" logico seguito
dall'amministrazione ed al giudice, per tale
via, di esercitare il proprio sindacato di
legittimità (TAR Puglia Bari, sez. II,
23.12.2002, n. 5843)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 22.03.2007 n. 2725 -
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EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento di rigetto dell'istanza di
concessione edilizia in sanatoria non deve
essere preceduto dall'avviso di inizio del
procedimento, essendo questo ad istanza di
parte.
Come da costante orientamento di questa
sezione (ex multis, 21.09.2002, n.
5431; 17.06.2002, n. 3611), il provvedimento
di rigetto dell'istanza di concessione
edilizia in sanatoria non deve essere
preceduto dall'avviso di inizio del
procedimento, essendo questo ad istanza di
parte.
Tale circostanza non è di poco momento, in
quanto la previsione dell'onere
partecipativo di cui all'art. 7 L.
07.08.1990 n. 241, presuppone che
l'interessato ignori l'esistenza del
procedimento stesso, cosa ovviamente da
escludere se il procedimento è stato
iniziato a seguito di un'istanza presentata
dal destinatario dell'atto (Cons. Stato, IV
Sez., 05.07.2000 n. 3709)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 22.03.2007 n. 2725 -
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ATTI AMMINISTRATIVI: Nei
procedimenti ad istanza di parte non è
dovuta la comunicazione prescritta
dall’articolo 7 della legge n. 241/1990 nei
confronti del soggetto che ha attivato il
procedimento perché costui, essendo
pienamente a conoscenza dell’esistenza del
procedimento medesimo, può intervenirvi in
qualunque momento.
L’art. 8 della legge n. 241/1990 deve essere
interpretato unitamente all’art. 7 della
stessa legge e si deve quindi ritenere che
nei procedimenti ad istanza di parte la
predetta comunicazione debba essere
effettuata solo nei confronti dei soggetti
che per legge debbono intervenire al
procedimento e dei soggetti diversi dai
destinatari del provvedimento finale che da
esso possano subire un pregiudizio.
Peraltro, questa Sezione (TAR Campania,
Napoli, n. 651/2006 cit.) ha già avuto
occasione di puntualizzare le ragioni
inducono a mantenere fermo il prevalente
orientamento giurisprudenziale formatosi
prima dell’entrata in vigore della legge n.
15/2005, secondo il quale nei procedimenti
ad istanza di parte non è dovuta la
comunicazione prescritta dall’articolo 7
della legge n. 241/1990 nei confronti del
soggetto che ha attivato il procedimento
perché costui, essendo pienamente a
conoscenza dell’esistenza del procedimento
medesimo, può intervenirvi in qualunque
momento.
Occorre, infatti, rammentare che la tesi
favorevole all'applicazione dell’art. 7 nei
procedimenti ad istanza di parte trova oggi
un significativo riscontro nel testo
dell’art. 8 della legge n. 241/1990 (come
modificato dalla legge n. 15/2005), perché
tale disposizione prevede espressamente (al
primo comma, lettera c-ter) che nei
procedimenti ad istanza di parte la
comunicazione contenga la data di
presentazione della relativa istanza.
Tuttavia tale disposizione, ad avviso del
Collegio, non può essere interpretata nel
senso di ritenere che tra i destinatari
della comunicazione di cui all’art. 7 della
legge n. 241/1990 debba essere incluso anche
colui che ha attivato il procedimento,
perché una siffatta interpretazione si
tradurrebbe in un significativo aggravamento
del procedimento, in palese contrasto con
l’art. 1, comma 2, della stessa legge n.
241/1990, secondo il quale “la pubblica
amministrazione non può aggravare il
procedimento se non per straordinarie e
motivate esigenze imposte dallo svolgimento
dell’istruttoria”.
Infatti, nell’applicazione delle norme sul
procedimento occorre evitare che siano posti
a carico dell’Amministrazione adempimenti
che non risultino essenziali per il corretto
svolgimento del procedimento e per la piena
salvaguardia degli interessi pubblici e
privati coinvolti, perché la regola sancita
dall’art. 1, comma 2, della legge n.
241/1990 costituisce diretta espressione dei
principi costituzionali di buon andamento e
di imparzialità dell’attività
amministrativa.
A ciò si deve poi aggiungere che il
principio del non aggravamento del
procedimento deve essere coordinato con
l’esplicita previsione normativa del dovere
dell’Amministrazione di concludere i
procedimenti (compresi quelli ad iniziativa
di parte) con un provvedimento espresso ed
entro un tempo determinato.
Ne consegue che, qualora si accedesse ad
un’interpretazione che impone l’obbligo di
cui all’art. 7 della legge n. 241/1990 anche
nei confronti di chi ha attivato il
procedimento, si introdurrebbe una scissione
tra il momento di attivazione e il momento
di avvio del procedimento, sicuramente
pregiudizievole per la certezza e per il
rispetto dei termine fissato per la
conclusione del procedimento, che
risulterebbe inevitabilmente condizionato
dal termine in cui l’Amministrazione ha
effettuato la comunicazione di avvio del
procedimento.
Per tali ragioni, l’art. 8 della legge n.
241/1990 deve essere interpretato unitamente
all’art. 7 della stessa legge (che tra i
destinatari della comunicazione di avvio del
procedimento indica non solo i soggetti nei
cui confronti dei quali il provvedimento
finale è destinato a produrre effetti
diretti, ma anche quelli che per legge
debbono intervenirvi e quelli, diversi dai
destinatari del provvedimento finale,
individuati o facilmente individuabili, che
da esso possano subire pregiudizio) e si
deve quindi ritenere che nei procedimenti ad
istanza di parte la predetta comunicazione
debba essere effettuata solo nei confronti
dei soggetti che per legge debbono
intervenire al procedimento e dei soggetti
diversi dai destinatari del provvedimento
finale che da esso possano subire un
pregiudizio
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 22.03.2007 n. 2725 -
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EDILIZIA PRIVATA: Nel
caso di ordine di demolizione di opere
abusive non è necessaria la comunicazione di
avvio del procedimento, in quanto trattasi
di provvedimento alla cui adozione
l'Amministrazione comunale è vincolata per
legge, a seguito dell'accertata abusività
delle opere.
Non è
necessaria la comunicazione di avvio del
procedimento nel caso di ordine di
demolizione di opere abusive, in quanto
trattasi di provvedimento alla cui adozione
l'Amministrazione comunale è vincolata per
legge, a seguito dell'accertata abusività
delle opere, cioè in virtù di un presupposto
di fatto di cui il ricorrente doveva essere
ragionevolmente a conoscenza, rientrando
nella propria sfera di controllo (TAR Puglia
Lecce, sez. III, 10.07.2004, n. 4974; TAR
Emilia Romagna Bologna, sez. II, 18.02.2003,
n. 116; TAR Piemonte, sez. I, 15.04.2002, n.
838)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 22.03.2007 n. 2725 -
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EDILIZIA PRIVATA: Può
qualificarsi "ristrutturazione edilizia" la
demolizione con successiva ricostruzione a
condizione che la ricostruzione sia “fedele”,
ossia purché la riedificazione assicuri la
piena conformità di sagoma, volume e
superficie tra il vecchio e il nuovo
manufatto.
È fatta salva la possibilità di pervenire,
in tal modo, ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente, ma
la diversità deve essere dovuta unicamente
ad interventi comprendenti il ripristino o
la sostituzione di alcuni elementi
costitutivi dell’edificio, l’eliminazione,
la modifica e l’inserimento di nuovi
elementi ed impianti, e non già la
realizzazione di nuovi volumi, in quanto
diversamente opinando sarebbe sufficiente la
preesistenza di un edificio per definire
ristrutturazione qualsiasi nuova
realizzazione eseguita in luogo o sul luogo
di quello preesistente.
Circa la riconducibilità della demolizione
con successiva ricostruzione al concetto di
ristrutturazione edilizia, la giurisprudenza
è unanimemente orientata per la soluzione
positiva, a condizione che la ricostruzione
sia “fedele”, ossia purché la
riedificazione assicuri la piena conformità
di sagoma, volume e superficie tra il
vecchio e il nuovo manufatto.
È fatta salva la possibilità di pervenire,
in tal modo, ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente, ma
la diversità deve essere dovuta unicamente
ad interventi comprendenti il ripristino o
la sostituzione di alcuni elementi
costitutivi dell’edificio, l’eliminazione,
la modifica e l’inserimento di nuovi
elementi ed impianti, e non già la
realizzazione di nuovi volumi, in quanto
diversamente opinando sarebbe sufficiente la
preesistenza di un edificio per definire
ristrutturazione qualsiasi nuova
realizzazione eseguita in luogo o sul luogo
di quello preesistente (Cons. St., V,
08.08.2003, n. 4593; Cons. St., V,
03.03.2004, n. 1023)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 12.07.2005 n. 2484
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
presupposto per l’esistenza di un volume
edilizio è costituito dalla costruzione di
(almeno) un piano di base e due superfici
verticali contigue, così da ottenere appunto
una superficie chiusa su un minimo di tre
lati.
In materia
urbanistico-edilizia, il presupposto per
l’esistenza di un volume edilizio è
costituito dalla costruzione di (almeno) un
piano di base e due superfici verticali
contigue, così da ottenere appunto una
superficie chiusa su un minimo di tre lati
(TAR Liguria, I, 12.12.1989, n. 943; TAR
Sicilia–Catania, 30.09.1994, n. 2171)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 12.07.2005 n. 2484
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’aggiudicazione
provvisoria ha natura di atto
endoprocedimentale e produce effetti
meramente prodromici all’adozione della
determinazione conclusiva; da qui le
coerenti conseguenze, sul piano processuale,
che la sua impugnazione è meramente
facoltativa e non obbligatoria, che il
termine per impugnare la definizione di un
procedimento ad evidenza pubblica per la
scelta del contraente decorre dalla piena
conoscenza dell’aggiudicazione definitiva e
che, in occasione dell’impugnazione di
quest’ultima, possono farsi valere anche i
vizi propri di quella provvisoria.
La necessità di una motivazione enunciata in
termini descrittivi si configura tipicamente
per gli atti aventi natura provvedimentale
che esprimono una determinazione di volontà
ed implicano scelte discrezionali, il cui
esercizio deve emergere con chiarezza dalle
risultanze dell’istruttoria anche al fine di
consentirne il successivo sindacato.
Anche in presenza di criteri di massima, la
commissione di gara è comunque chiamata ad
esprimere le proprie valutazioni mediante
giudizi di valore sorretti da una
motivazione enunciata in termini discorsivi
e non semplicemente numerici.
E’ necessaria una motivazione, che pur non
dovendo necessariamente consistere nella
minuziosa descrizione delle attività svolte
in sede di gara, né riportare le singole
opinioni espresse, deve essere proporzionata
ed adeguata rispetto all’attività
esercitata, e, quindi, in relazione
all’esistenza di ampi poteri discrezionali
di valutazione delle offerte tecniche, deve
dare conto con economia di mezzi, ma
compiutamente, dell’iter logico seguito
nell’attribuzione dei punteggi, senza
limitarsi, come nel caso in esame, alla sola
indicazione di questi ultimi.
L’omessa indicazione degli elementi
valutativi che hanno determinato il formarsi
della volontà collegiale di gara non
costituisce una mera irregolarità formale
suscettibile di successiva sanatoria, ma un
vizio sostanziale di legittimità che
riguarda propriamente un elemento
costitutivo della verbalizzazione, con
riflessi invalidanti sulla successiva
determinazione amministrativa.
Qualora la redazione del verbale di gara non
avvenga in immediata contestualità allo
svolgimento delle singole operazioni
compiute dalla commissione o quantomeno non
intervenga in un momento immediatamente
successivo tale da escludere l’insorgenza di
errori od omissioni nella ricostruzione
dell’iter valutativo, viene con ciò meno la
stessa idoneità del verbale ad assolvere la
funzione sua propria di garanzia della
formazione di uno strumento documentale che
consenta la verifica della regolarità delle
operazioni compiute, delle scelte valutative
compiute e di ogni altro giudizio espresso.
In sede di gara d’appalto, l’aggiudicazione
provvisoria ha natura di atto
endoprocedimentale e produce effetti
meramente prodromici all’adozione della
determinazione conclusiva; da qui le
coerenti conseguenze, sul piano processuale,
che la sua impugnazione è meramente
facoltativa e non obbligatoria, che il
termine per impugnare la definizione di un
procedimento ad evidenza pubblica per la
scelta del contraente decorre dalla piena
conoscenza dell’aggiudicazione definitiva e
che, in occasione dell’impugnazione di
quest’ultima, possono farsi valere anche i
vizi propri di quella provvisoria (cfr.,
ex plurimis, CdS V, 29.07.2003 n. 4327).
In linea
generale, la necessità di una motivazione
enunciata in termini descrittivi si
configura tipicamente per gli atti aventi
natura provvedimentale che esprimono una
determinazione di volontà ed implicano
scelte discrezionali, il cui esercizio deve
emergere con chiarezza dalle risultanze
dell’istruttoria anche al fine di
consentirne il successivo sindacato (cfr.,
CdS V 13.02.1998 n. 163).
E’ altresì noto il principio secondo cui
nelle procedure indette per l’aggiudicazione
mediante metodi selettivi non automatici,
come nel caso dell’appalto concorso o delle
gare dirette a selezionare l’offerta più
vantaggiosa, il bando e la lettera d’invito
devono definire i criteri generali di
valutazione, potendosi riconoscere alla
commissione di gara unicamente l’esercizio
della facoltà di introdurre elementi di
specificazione e puntualizzazione dei
criteri generali medesimi.
La predeterminazione dei parametri di
valutazione tecnica risponde all’esigenza di
garantire l’imparzialità e la trasparenza
delle operazioni concorsuali, al suo
esercizio connettendosi essenzialmente la
funzione di consentire agli interessati e al
giudice della legittimità il sindacato sulla
coerenza logica delle scelte e soluzioni
adottate, con i criteri fissati nel bando.
Da ciò la conseguenza che, anche quando
questi ultimi siano sufficientemente
specifici, quell’esigenza di controllo resta
comunque affidata all’espressione dei
giudizi di valore in termini non
esclusivamente numerici ma con il supporto
di adeguata motivazione, che consenta la
percezione degli elementi e delle ragioni
che hanno orientato le scelte effettuate
dalla commissione di gara.
In sostanza, seppure sia vero che la
previsione di criteri preventivi per
l’attribuzione dei singoli punteggi riduca
sensibilmente i margini di apprezzamento
rimessi all’organo collegiale e, con essi,
anche l’esigenza di una motivazione
particolarmente dettagliata e diffusa, deve
comunque ritenersi necessaria l’esternazione
quanto meno dei principali elementi
giudicati determinanti per l’aggiudicazione
della gara, sui quali si è concentrata la
valutazione dei progetti posti a confronto.
La più recente giurisprudenza ha ritenuto,
in tema di punteggi numerici, che, in base
al principio di trasparenza, cui l’intera
attività amministrativa deve conformarsi,
nel caso in cui in una procedura selettiva
non siano stati predeterminati rigidamente i
criteri di valutazione delle offerte, deve
essere imposto alle commissioni
giudicatrici, a pena di illegittimità, di
rendere percepibile l’iter logico seguito
nell’attribuzione del punteggio, se non
attraverso diffuse esternazioni relative al
contenuto delle valutazioni, quanto meno
mediante taluni elementi che concorrano ad
integrare e chiarire la valenza del
punteggio, esternando le ragioni
dell’apprezzamento sinteticamente espresso
con l’indicazione numerica. Invero,
l’obbligo imposto alla commissione di gara
di applicare i criteri di valutazione delle
offerte, così autolimitando il proprio
potere di apprezzamento degli aspetti
tecnici che vengono in considerazione, non
avrebbe ragion d’essere se non fosse
parimenti -e conseguentemente- imposto di
motivare, sia pure in modo sintetico, le
modalità di concreta applicazione dei
criteri stessi (cfr., per il principio, CdS
VI 30.04.2003 n. 2331; id., 22.03.2004 n.
1458).
Deve quindi concludersi che, anche in
presenza di criteri di massima, la
commissione è comunque chiamata ad esprimere
le proprie valutazioni mediante giudizi di
valore sorretti da una motivazione enunciata
in termini discorsivi e non semplicemente
numerici.
Nella vicenda in esame i suindicati criteri
di valutazione risultano ben lungi
dall’essere estremamente dettagliati e tali
da predeterminare in maniera rigida e
stringente il giudizio sulle singole voci
che compongono l’offerta tecnica. In tale
quadro, che si connota invece per la
genericità e indeterminatezza del criterio
di assegnazione del punteggio, deve
escludersi che l’obbligo motivazionale possa
ritenersi assolto mediante l’indicazione di
un punteggio meramente numerico (cfr., CdS V
06.10.2003 n. 5899).
E’ invece necessaria una motivazione, che
pur non dovendo necessariamente consistere
nella minuziosa descrizione delle attività
svolte, né riportare le singole opinioni
espresse, deve essere proporzionata ed
adeguata rispetto all’attività esercitata,
e, quindi, in relazione all’esistenza di
ampi poteri discrezionali di valutazione
delle offerte tecniche, deve dare conto con
economia di mezzi, ma compiutamente,
dell’iter logico seguito nell’attribuzione
dei punteggi, senza limitarsi, come nel caso
in esame, alla sola indicazione di questi
ultimi.
L’omessa indicazione degli elementi
valutativi che hanno determinato il formarsi
della volontà collegiale non costituisce
infatti una mera irregolarità formale
suscettibile di successiva sanatoria, ma un
vizio sostanziale di legittimità che
riguarda propriamente un elemento
costitutivo della verbalizzazione, con
riflessi invalidanti sulla successiva
determinazione amministrativa.
Qualora la redazione del verbale non avvenga
in immediata contestualità allo svolgimento
delle singole operazioni compiute dalla
commissione o quantomeno non intervenga in
un momento immediatamente successivo tale da
escludere l’insorgenza di errori od
omissioni nella ricostruzione dell’iter
valutativo, venga con ciò meno la stessa
idoneità del verbale ad assolvere la
funzione sua propria di garanzia della
formazione di uno strumento documentale che
consenta la verifica della regolarità delle
operazioni compiute, delle scelte valutative
compiute e di ogni altro giudizio espresso.
Ma, anche a prescindere da tali
considerazioni e a voler ritenere non
necessaria alcuna contestualità tra la
seduta della commissione e la formazione del
relativo verbale, deve comunque ritenersi
che la redazione di quanto ha formato
oggetto di inserimento nel documento divenga
definitiva con l’approvazione del verbale;
il che esclude la possibilità di attribuire
postuma rilevanza a minutazioni non
utilizzate nell’originaria stesura del
verbale medesimo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 11.10.2004 n. 5521). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L’art.
6 della l. 18.03.1968 n. 249 espressamente
riconosce che alla convalida di atti viziati
da incompetenza possa provvedersi anche in
pendenza di gravame in sede giurisdizionale.
Non è così per i vizi diversi da quello di
incompetenza, come per il difetto di
motivazione, non essendo consentito
all’amministrazione procedere alla sanatoria
provvedimentale di una determinazione
amministrativa ritualmente impugnata in sede
giurisdizionale, posto che altrimenti
l’Autorità finirebbe con l’eludere le
garanzie che sono predisposte a tutela del
cittadino leso dal provvedimento e
frusterebbe l’interesse del ricorrente ad
ottenere una decisione di annullamento del
provvedimento viziato.
Su un piano generale, la questione attinente
alla sussistenza del potere, per la P.A., di
convalidare un atto amministrativo viziato,
in pendenza di un giudizio proposto avverso
l’atto della cui convalida si tratta, è
risolta a livello normativo solo con
riguardo al vizio di incompetenza; infatti,
l’art. 6 della l. 18.03.1968 n. 249
espressamente riconosce che alla convalida
di atti viziati da incompetenza possa
provvedersi anche in pendenza di gravame in
sede giurisdizionale.
Non è così per i vizi diversi da quello di
incompetenza, come per il difetto di
motivazione ricorrente nel caso di specie,
non essendo consentito all’amministrazione
procedere alla sanatoria provvedimentale di
una determinazione amministrativa
ritualmente impugnata in sede
giurisdizionale, posto che altrimenti
l’Autorità finirebbe con l’eludere le
garanzie che sono predisposte a tutela del
cittadino leso dal provvedimento e
frusterebbe l’interesse del ricorrente ad
ottenere una decisione di annullamento del
provvedimento viziato (cfr., in tal senso,
CdS Ad. Plen. 26.08.1991 n. 6; IV,
12.10.2000 n. 5422).
In altri termini, solo con riferimento al
vizio di incompetenza, di carattere
meramente formale, la legge espressamente
consente la convalida retroattiva in
pendenza di giudizio; nel silenzio della
legge, con riguardo agli altri vizi deve
quindi escludersi la possibilità di
convalida in pendenza di giudizio.
Il difetto di motivazione non è un vizio
meramente formale. Al di là, infatti, della
sua qualificazione in termini di violazione
di legge, in forza dell’art. 3 l. n. 241 del
1990, la carenza di motivazione inficia il
provvedimento che ne è affetto nella sua
intima sostanza. Ed allora, se è vero che
con la convalida (e così con la ratifica)
gli effetti giuridici, a differenza della
rinnovazione dell’atto amministrativo, vanno
imputati all’atto convalidato, la convalida
di un atto amministrativo viziato per
difetto di motivazione, proprio per il suo
carattere retroattivo, realizza una
integrazione della motivazione in pendenza
del giudizio relativo all’atto convalidato.
Il che non è ammissibile, dovendo la
motivazione precedere e non seguire il
provvedimento amministrativo e dovendo il
fondamento dell’illegittimità della
motivazione postuma ravvisarsi nella tutela
del buon andamento dell’azione
amministrativa e nell’esigenza di
delimitazione del controllo giudiziario (TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 11.10.2004 n. 5521). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
provvedimento di secondo grado, con cui
l’autorità competente fa proprio un atto
adottato da un organo riconosciuto
incompetente, esprimendo l’univoca volontà
di eliminare tale vizio, costituisce un
provvedimento di ratifica –ovvero di
convalida, secondo la terminologia adottata
dall’art. 6 della l. 18.03.1968 n. 249– il
quale si sostituisce all’atto viziato con
effetto ex tunc.
La circostanza che, nell’intervallo
intercorrente tra l’emissione del primo
provvedimento e l’atto di convalida, la
competenza sia stata trasferita ad altra
Amministrazione, non priva il soggetto
originariamente legittimato del potere di
convalida, strettamente inerente all’atto
viziato, e che, del resto, ha effetto ex
tunc, è cioè retroagisce sino al momento in
cui tale competenza gli apparteneva.
E' inammissibile la sanatoria o ratifica di
atti annullati, in quanto l’annullamento
elimina l’atto stesso dal mondo giuridico
con la conseguenza che non è possibile una
sanatoria con effetti ex tunc, ma solo,
eventualmente, l’emanazione di un nuovo
provvedimento con efficacia ex nunc.
La possibilità di convalida in corso di lite
risponde ad esigenze di economia processuale
e di buon andamento dell’azione
amministrativa, esigenze che non possono non
far guardare con favore ad un ravvedimento
operoso dell’Amministrazione.
In generale, il provvedimento di secondo
grado, con cui l’autorità competente fa
proprio un atto adottato da un organo
riconosciuto incompetente, esprimendo
l’univoca volontà di eliminare tale vizio,
costituisce un provvedimento di ratifica
–ovvero di convalida, secondo la
terminologia adottata dall’art. 6 della l.
18.03.1968 n. 249– il quale si sostituisce
all’atto viziato con effetto ex tunc
(cfr. C.d.S., V, 08.07.1998, n. 1027).
E' fin troppo noto che i provvedimenti
amministrativi hanno ordinariamente effetto
ex nunc, salvo che diversamente non
si desuma dal loro particolare oggetto
ovvero da un’espressa volontà.
La circostanza che, nell’intervallo
intercorrente tra l’emissione del primo
provvedimento e l’atto di convalida, la
competenza sia stata trasferita ad altra
Amministrazione, non priva il soggetto
originariamente legittimato del potere di
convalida, strettamente inerente all’atto
viziato, e che, del resto, ha effetto ex
tunc, è cioè retroagisce sino al momento
in cui tale competenza gli apparteneva.
L’art. 6 della
l. 18.03.1968, n. 249, dispone che “alla
convalida degli atti viziati di incompetenza
può provvedersi anche in pendenza di gravame
in sede amministrativa e giurisdizionale”.
Nel caso in esame è pacifico che, nel
momento in cui fu emesso il provvedimento di
convalida, la sentenza 1948/2002 non era
ancora passata in giudicato formale: il
thema decidendum è allora di stabilire
se la locuzione “in pendenza di gravame
giurisdizionale” vada intesa nel senso
che l’atto amministrativo già annullato con
sentenza, possa ancora essere convalidato
–ovvero ratificato– se ancora non si è
compiuto il termine per le impugnazioni
ordinarie.
Sul punto, appare opportuno muovere dal
condivisibile orientamento
giurisprudenziale, richiamato anche dai
ricorrenti, per cui è “inammissibile la
sanatoria o ratifica di atti annullati, in
quanto l’annullamento elimina l’atto stesso
dal mondo giuridico con la conseguenza che
non è possibile una sanatoria con effetti ex
tunc, ma solo, eventualmente, l’emanazione
di un nuovo provvedimento con efficacia ex
nunc” (C.d.S., IV, 20.05.1999, n. 853;
id., 30.04.1999, n. 749).
È poi da ricordare che le sentenze del
giudice amministrativo sono esecutive (art.
33 l. 1034/1971), pur se ancora impugnabili,
e pur quando impugnate, ma non sospese: ciò
significa che esse determinano gli effetti
loro propri, e comunque certamente l’effetto
demolitorio d’annullamento, ancor prima del
loro passaggio in giudicato, il quale non
attribuisce loro un’esecutività che prima
non possedevano, ma la stabilizza, essendo
comunque assai ridotta la possibilità che
siano proposte le impugnazioni straordinarie
avverso la decisione.
Così, la “pendenza di gravame”, di
cui al ripetuto art. 6, si deve interpretare
come riferita al periodo che si conclude con
la pubblicazione della decisione, la quale
abbia annullato il provvedimento, e che era
iniziato con la proposizione del ricorso
–ovvero anche dell’appello, qualora la
decisione di primo grado non avesse accolto
l’impugnazione: dopo la sentenza
d’annullamento, il provvedimento cessa di
esistere, salvo essere eventualmente
ripristinato con la decisione che riformi od
annulli tale sentenza, e non se ne può
dunque ammettere la sanatoria
(implicitamente conforme a tale conclusione
pare la massima di C.d.S., IV, 21.01.1993,
n. 71, laddove si afferma che l’atto
amministrativo viziato per incompetenza “è
legittimamente convalidato ex tunc, anche se
sia stato già impugnato, senza attendere
l’intermediazione della pronuncia
giurisdizionale”).
"La possibilità di convalida in corso di
lite risponde ad esigenze di economia
processuale e di buon andamento dell’azione
amministrativa, esigenze che non possono non
far guardare con favore ad un ravvedimento
operoso dell’Amministrazione” (C.d.S.,
IV, 26.06.1998, n. 991).
Invero, è allora da ritenere che tali
obiettivi sarebbero sostanzialmente svuotati
del loro contenuto, se si riconoscesse
all’Amministrazione la possibilità di
ratificare i provvedimenti dopo la sentenza;
e tanto più dopo la sentenza di II grado,
quando, nella normalità dei casi, la causa è
ormai conclusa, essendo nell’esperienza
assai marginale (e, nella fattispecie, del
tutto improbabile) una successiva pronuncia
di annullamento da parte della Corte
regolatrice per ragioni attinenti alla
giurisdizione.
Invero, se l’Amministrazione potesse
ratificare il provvedimento già annullato
per motivi d’incompetenza, quella eluderebbe
gli effetti della pronuncia, frustrando
l’interesse perseguito dal ricorrente e,
così, le garanzie che sono predisposte a
tutela del cittadino leso dal provvedimento,
poiché la decisione giurisdizionale che
avesse accertato il vizio d’incompetenza (e,
cioè, uno dei tipici profili d’invalidità
dell’atto amministrativo) potrebbe
concretamente perdere gran parte del suo
significato e della sua utilità, stante la
retroattività del provvedimento di convalida
che l’Amministrazione potrebbe disporre
prima del passaggio in giudicato.
La ratifica che intervenga in corso di
giudizio ed anteriormente alla sentenza
consente al giudice di esaminare le
ulteriori censure eventualmente proposte,
senza neppure necessità di impugnare il
nuovo atto per il resto meramente
riproduttivo del precedente (C.d.S., V,
21.12.1989, n. 863): ciò che naturalmente
non è più possibile se la sanatoria
interviene dopo la decisione che accoglie la
censura d’incompetenza.
Anzi, poiché l’atto di convalida, proprio
per la sua retroattività, comporta un
effetto confermativo per i contenuti
dell’originario provvedimento, v’è da
dubitare che tali ulteriori censure possano
essere validamente riproposte con un nuovo
ricorso
(TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 27.09.2004 n. 3433). |
ATTI AMMINISTRATIVI: I
provvedimenti viziati da incompetenza
dell’organo emittente possono essere
convalidati anche se oggetto di ricorso in
sede giurisdizionale.
Il potere di convalida, che trae fondamento
dall’art. 6 l. 18.03.1968 n. 249, sana con
efficacia retroattiva l’atto viziato da
incompetenza, ancorché quest’ultimo sia
oggetto di ricorso giurisdizionale pendente.
Va affermato che i provvedimenti viziati da
incompetenza dell’organo emittente possono
essere convalidati anche se oggetto di
ricorso in sede giurisdizionale.
La norma richiamata (art. 6 l. n. 249/1968)
ha, infatti, valenza generale, quale
espressione di diritto positivo del
principio di conservazione degli atti
giuridici che, una volta emendati da vizi di
natura formale, continuano con effetto
retroattivo a spiegare efficacia
nell’ordinamento giuridico (cfr. art. 1444
c.c.).
L’orientamento giurisprudenziale è univoco
al riguardo, tant’è che perentoriamente
precisa che il potere di convalida “che
trae fondamento dall’art. 6 l. 18.03.1968 n.
249 sana con efficacia retroattiva l’atto
viziato da incompetenza, ancorché
quest’ultimo sia oggetto di ricorso
giurisdizionale pendente” (cfr. Cons.
St., sez. V, 21.12.1989 n. 863; Id., sez. IV,
20.05.1996 n. 625; C.G.A. 28.11.1996 n.
415).
Né, disattendendo la prospettazione dei
ricorrenti, si imponeva un onere di espressa
valutazione dell’interesse pubblico al “risanamento
dell’atto”: esso infatti è “in re
ipsa”, essendo coincidente con
l’eliminazione del vizio di incompetenza che
affligge l’atto (in termini, Cons. St., Ad.
plen., 09.03.1984 n. 5)
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 07.09.2001 n. 771). |
AGGIORNAMENTO AL 14.06.2010 |
ã |
EDILIZIA PRIVATA:
Dovrebbe essere imminente la pubblicazione sulla
G.U.R.I. del
Decreto
Presidente della Repubblica avente per
oggetto "Regolamento recante procedimento
semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli
interventi di lieve entità, ai sensi dell'articolo
146, comma 9, del decreto legislativo 22.01.2004, n
. 42 e successive modificazioni".
Infatti, lo schema di decreto ha avuto il "via
libera", seppur con talune osservazioni per lo
più di carattere formale, da parte del Consiglio d
Stato, Sez. consultiva per gli Atti Normativi, con
parere 03.03.2010 n. affare 316 (reso
nell'adunanza dell'08.02.2010).
In precedenza, la Conferenza unificata Sato-Regioni
aveva espresso il proprio parere favorevole nella
seduta del 26.11.2009.
Orbene, se si da una lettura alla bozza di decreto
in questione ci si rende conto che il legislatore ha
previsto la c.d. "autorizzazione paesaggistica
semplificata" per ben n. 39 fattispecie edilizie
il cui iter amministrativo, da parte
dell'amministrazione competente (comuni, province,
parchi, ecc.), si deve concludere in 60 gg.
complessivi anziché gli attuali 105 gg..
E' evidente
a tutti che, di fatto, ci sarà una bella e gradita
semplificazione a favore del Cittadino ovverosia l'"utente
finale" dovrà tribolare molto meno -di oggi- per
venire in possesso dell'atto amministrativo di cui
necessita.
E gli Uffici
Tecnici Comunali? Anch'essi si vedranno alleggerito
il lavoro di ufficio? La risposta è: NO !!
Normalmente, a leggere 6 articoli di legge si
fa abbastanza in fretta, ma a leggere i 6 articoli
del decreto di prossima pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale viene, a dir poco, l'emicrania !!
Ma il
legislatore ha piena cognizione di quello che ha
scritto? Si rende conto del nuovo ed ennesimo meccanismo
farraginoso che ha costruito per semplificare la
vita ai Cittadini e, certamente, complicarla ai
Tecnici Comunali e -indirettamente- ai Comuni in
senso lato?
Il Sig. Ministro Renato BRUNETTA della
semplificazione amministrativa ne ha fatto una
battaglia politica personale (forse, anche di
partito) che lo ha visto comparire sulle copertine
di ogni settimanale ed alla ribalta di ogni
quotidiano. Ma
Egli sa, nella realtà di ogni giorno, cosa avviene
in un Comune? Soprattutto di un Comune medio-piccolo,
dove il personale è sotto organico da decenni e non
si può assumere nuovo personale -nonostante i
pensionamenti, le mobilità, ecc.- per mille cavilli
normativi?
NOI CREDIAMO CHE NON
LO SAPPIA !!
Pertanto,
rivolgiamo formale invito al Sig. Ministro
Renato BRUNETTA (ed anche al Sig. Ministro
Sandro BONDI, ovviamente, per la fattispecie
in esame) affinché soggiorni una settimana
nel miglior albergo del nostro Comune,
ovviamente a nostre spese, affinché
condivida la vita lavorativa settimanale di
un Tecnico Comunale di un paese tipo (di
circa 7.000 anime) e veda coi propri occhi
come si istruisce (seriamente ed a' termini
di legge) una pratica edilizia constatando
il tempo che ci si perde dietro ...
sicuramente, poi, potrà dire di conoscere
come funziona una "macchina
amministrativa territoriale", e non
legiferando stando seduto nelle stanze
romane del potere centrale senza aver
vissuto "in trincea"
nell'interpretare ed applicare ogni giorno
leggi farraginose, complicate che ingessano
anziché snellire l'azione amministrativa.
Poiché sino a poco tempo fa era in "uso mediatico" convocare il
Consiglio dei Ministri in forma itinerante per
l'Italia, rivolgiamo un altro invito:
che si svolga nel
nostro Comune il prossimo C.d.M. sicché tutti
(nessuno escluso) gli Onorevoli Ministri si rendano
conto di cosa succede realmente in un Comune medio
piccolo e, soprattutto, nell'Ufficio Tecnico ...
forse, poi, potranno legiferare con cognizione di
causa, rendendo edotti i Sigg. Colleghi del Parlamento
dell'esperienza pratica acquisita "sul campo".
Pertanto, restiamo nell'attesa -al più presto- di
essere contattati all'indirizzo:
info.ptpl@tiscali.it.
LA SEGRETERIA PTPL. |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
Dal GSE: la "Guida agli incentivi per la
produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili".
Il Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) ha
reso disponibile la nuova guida "Guida agli
incentivi per la produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili" con il
chiaro intento di analizzare le principali
normative nazionali in materia di incentivi
per la produzione di energia elettrica da
fonti rinnovabili, con l'esclusione del
meccanismo del Conto energia per gli
impianti fotovoltaici (link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Dal CPT di Roma Vademecum per l'impresa e il
committente.
Il Comitato Paritetico Territoriale di Roma
e Provincia ha realizzato e diffuso un
vademecum che sintetizza i principali
adempimenti in materia di sicurezza nei
cantieri delle imprese e dei committenti.
Il vademecum, aggiornato al mese di maggio
2010, definisce i seguenti punti:
- documentazione attestante l'attuazione di
adempimenti a carico del datore di lavoro;
- adempimenti e documentazione a cura del
committente;
- idoneità tecnico professionale delle
imprese;
- idoneità tecnico professionale dei
lavoratori autonomi;
- organi con compiti di controllo,
coordinamento e vigilanza che hanno accesso
nei cantieri edili ... (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
Conto Energia 2011: disponibile il testo
della bozza aggiornata a giugno.
È stato diffuso, nei giorni scorsi, il testo
di una nuova bozza del decreto "Conto
Energia".
Il nuovo testo, che dovrebbe essere quello
definitivo, accoglie, in parte, le richieste
dei produttori di sistemi fotovoltaici.
Rispetto al testo diffuso nel mese di
febbraio, infatti, la nuova bozza di decreto
prevede tariffe incentivanti leggermente più
elevate per gli impianti che entreranno in
esercizio dal 1° gennaio al 31.08.2011 (con
incrementi variabili, in funzione della
potenza e della tipologia di impianto, tra 1
e 24 millesimi di euro per kilowattora
prodotto) ma sempre sensibilmente ridotte
rispetto alle attuali ... (link a
www.acca.it). |
VARI:
Agevolazioni per l'acquisto della prima
casa: chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate.
Con la Circolare n. 31 del 07.06.2007
l'Agenzia delle Entrate ha fornito nuovi
chiarimenti sulle agevolazioni previste per
l'acquisto della prima casa.
Nella circolare in questione
l'amministrazione finanziaria esamina tre
situazioni in particolare:
- trattamento fiscale delle pertinenze
destinate a servizio di case di abitazione
acquisite senza fruire delle agevolazioni "prima
casa" (immobile acquistato prima che
fossero istituite le agevolazioni "prima
casa" o acquistato allo stato "rustico");
- ampliamento di abitazione acquisita senza
fruire delle agevolazioni "prima casa";
- alienazione infraquinquennale
dell'immobile agevolato e successivo
acquisto dell'abitazione principale ...
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Nuovi chiarimenti del Ministero del lavoro
su lavori di breve durata, rappresentanti
dei lavoratori e organismi paritetici
La sezione FAQ in materia di salute e
sicurezza sui luoghi di lavoro del sito web
del Ministero del lavoro è stata aggiornata
con la pubblicazione di risposte ai nuovi
quesiti in tema di:
- obblighi di sicurezza connessi a lavori o
servizi di durata non superiore ai due
giorni (art. 26, D.Lgs. n. 81/2008);
- aggiornamento della formazione dei
rappresentanti dei lavoratori (art. 37,
D.Lgs. n. 81/2008);
- organismi paritetici (art. 51, D.Lgs. n.
81/2008) (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le opere che possono considerarsi non
assoggettabili alla normativa sismica.
L'ufficio del Genio Civile di Agrigento, su
sollecitazione dei tecnici locali, ha
individuato, attraverso un'apposita
circolare, le opere che possono considerarsi
non assoggettabili alla normativa sismica di
cui alla Legge 64/1974.
Poiché si ritiene che tale elenco possa
costituire un utile riferimento per i
professionisti di tutta Italia ne riportiamo
il contenuto.
Le seguenti opere, oggettivamente poco
rilevanti ai fini della sicurezza, secondo
il Genio Civile di Agrigento, possono
considerarsi non assoggettabili alla
normativa sismica di cui alla Legge 64/1974:
... (link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI: G.U.
11.06.2010 n. 134 "Attribuzione a comuni,
province, città metropolitane e regioni di
un proprio patrimonio, in attuazione
dell’articolo 19 della legge 05.05.2009, n.
42" (D.Lgs.
28.05.2010 n. 85).
---------------
Trattasi del cosiddetto
"federalismo demaniale". |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 22 del
04.06.2010, "POR FESR 2007-2013, Asse 2
«Energia» – Approvazione del documento
«Linee guida di rendicontazione ad uso dei
beneficiari», della Linea di Intervento
2.1.2.2 «Interventi per il miglioramento
dell’efficienza energetica degli impianti di
illuminazione pubblica»"
(decreto
D.S. 21.05.2010 n. 5306 - link a www.infopoint.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Requisiti Previdenziali: pre-D.L.
n. 78/31.05.2010 e post-D.L. 78/31.05.2010
(CISL-FP
nota
09.06.2010). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA- URBANISTICA: D.
Meneguzzo,
Il TAR e l'urbanistica "trasandata" per atti
unilaterali d'obbligo (link a
http://venetoius.myblog.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: S.
Di Rosa,
Eppur mi son
scordato di te ... caro articolo 183 - Prima
del deposito temporaneo regolare non c'è mai
gestione dei rifiuti? - giugno 2010
(tratto da www.dirosambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: S.
Di Rosa,
Quando meno
te lo aspetti ... ti vien detto di
bonificare - Ancora incertezze in materia di
bonifiche - maggio 2010
(tratto da www.dirosambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: S.
Di Rosa,
Due punti
della circolare 06.09.2004 sui limiti
differenziali del rumore - febbraio 2006
(tratto da www.dirosambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: S.
Di Rosa e M. Del Sordo,
Amletica inquietudine:
meglio il trapano del dentista o il rumore
del suo compressore? - dicembre 2003 (nota a
commento della sentenza TAR Puglia-Bari,
Sez. I, 26.09.2003 n. 3591)
(tratto da www.dirosambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: S.
Di Rosa,
Ancora una
volta sul livello differenziale di rumore:
ripetita iuvant? - agosto 2003
(tratto da www.dirosambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: S.
Di Rosa,
Ancora
enigmatica l'applicabilità del livello
differenziale di rumore, nei comuni "non
zonizzati"? - gennaio 2003
(tratto da www.dirosambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: S.
Di Rosa,
Attivazione
di una industria insalubre: il preventivo
avviso scritto - gennaio 2000
(tratto da www.dirosambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: S.
Di Rosa,
Depositi
insalubri: problematica appartenenza al
novero delle industrie insalubri - ottobre
1999
(tratto da www.dirosambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: S.
Di Rosa,
Industrie
insalubri, ma non solo industrie: corretta
interpretazione di un termine - maggio 1999
(tratto da www.dirosambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: S.
Di Rosa,
Anche un «Refuso»
può essere classificato come pericoloso:
come abituarsi ad un errore consolidato -
aprile 1999
(tratto da www.dirosambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: S.
Di Rosa,
Competenza
per la classificazione delle industrie
insalubri: terreno scabroso, da sempre
teatro di lotte intestine e decisioni
sofferte - Dovremmo essere giunti ad una
svolta definitiva - febbraio 1999 -
(tratto da www.dirosambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA
- EDILIZIA PRIVATA: S.
Di Rosa,
Pericolosità
delle industrie insalubri: astratta o
concreta? - dicembre 1998 (tratto da www.dirosambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: S.
Di Rosa,
Impugnazione
per via amministrativa della classificazione
delle industrie insalubri. In Toscana una
decisione tutta da riconsiderare - ottobre
1998 (tratto da www.dirosambiente.it). |
QUESITI |
EDILIZIA PRIVATA:
Legge regionale del Piemonte n.
20/2009 (“piano casa”). Definizione di
“unità catastale”.
Viene posto un quesito, di rilevante
interesse, relativo all’interpretazione e
all’applicazione dell’art. 4, comma 5, primo
periodo, della legge regionale del Piemonte
n. 20 del 2009 (cosiddetto “piano casa”).
Più specificatamente, il Comune interessato
enuncia quanto segue:
“…durante l'istruttoria delle domande
presentate ai sensi dell'art. 4 della Legge
Regionale n. 20 del 14.07.2009, per gli
interventi di demolizione e ricostruzione di
edifici residenziali da riqualificare,
risulta necessario definire in modo univoco
la dicitura "unità catastale".
Ciò al fine di individuare correttamente
l'ammissibilità di determinati interventi in
quanto, in alcune domande, viene proposta la
ricostruzione su particelle catastali
differenti rispetto a quella su cui esiste
attualmente il fabbricato che si
intenderebbe demolire, ma costituenti pur
sempre un corpo unico con il resto della
proprietà che comprende il fabbricato
stesso.
In particolare non è chiaro se per "unità
catastale" debba intendersi, alla luce della
l.r. 20/2009, "particella catastale" o
"unità immobiliare" o "proprietà catastale"
(Regione Piemonte,
parere n.
56/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Servitù di passaggio per
l’accesso ad un impianto sportivo comunale.
Il quesito posto attiene alla situazione
giuridica derivante dalla esistenza di una
strada su terreno di proprietà di terzi
costituente accesso ad un impianto sportivo
(Regione Piemonte,
parere n.
47/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Indennità di funzione spettante
al Sindaco in relazione alla classe
demografica del Comune, ai sensi del D.M.
119/2000.
Il sindaco del Comune di (omissis) riferisce
di essere stata eletto a seguito delle
consultazioni amministrative del giugno 2009
e di aver percepito fino ad oggi l’indennità
di funzione, determinata dalla precedente
Giunta comunale, in misura inferiore a
quella edittale fissata dal D.M. 04.04.2000,
n. 119, in relazione alla dimensione
demografica del Comune.
Il sindaco chiede di conoscere:
a) “se sia corretto aver percepito finora
l’indennità di funzione stabilita dalla
precedente amministrazione, ancorché in
diminuzione rispetto ai valori tabellari,
senza previa adozione di specifico atto da
parte della nuova amministrazione;
b) se sia legittimo (o, addirittura,
necessario) ripristinare le indennità nei
valori
stabiliti dal D.M. n. 119/2000 per la classe
demografica e, in tal caso, di chi sia la
competenza all’adozione dei relativi atti
(ovvero se trattasi di automatismo, visto
che nulla più dice il comma 11 dell’art. 82
TUEL)” (Regione Piemonte,
parere n.
45/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Intervento edilizio di recupero
di un rustico situato da P.R.G.C. in nucleo
storico-ambientale.
E’ chiesto parere in merito all’assentibilità
di intervento edilizio consistente nel
recupero di un cascinale in zona di P.R.G.C.
qualificata quale “Nucleo di interesse
storico-ambientale (Centro Storico)”
(Regione Piemonte,
parere n.
42/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ O
dipendente o sindaco. L'incompatibilità
scatta solo se il rapporto di lavoro
intercorre col comune. Ma è eleggibile chi
lavora nella comunità montana.
Sussiste, nei confronti di un sindaco di un
comune appartenente ad una comunità montana,
dipendente della comunità stessa, una causa
di ineleggibilità in relazione all'articolo
60 del dlgs n. 267/2000?
L'articolo 60, comma 1, n. 7, del decreto
legislativo n. 267/2000 stabilisce che non
sono eleggibili, tra l'altro, alla carica di
sindaco i dipendenti del comune. La
formulazione della norma pone l'accento su
dato formale della dipendenza, subordinando
l'ineleggibilità al fatto che intercorra con
il comune un rapporto di lavoro.
Anche la Corte di cassazione ha ritenuto
che, in tema di elettorato attivo, per la
predetta condizione di ineleggibilità,
occorre far riferimento non all'aspetto
funzionale ma a quello genetico del rapporto
di servizio che, nella fattispecie in esame,
intercorre con la comunità montana (cfr.
sent. nn. 6292, 8154 e 8975 del 1987 e n.
9762/1995).
Per quanto premesso ne consegue che, nel
caso di specie, va escluso il delinearsi
della causa di ineleggibilità prevista dalla
norma citata. Né è ravvisabile, nel caso in
questione, l'altra causa di ineleggibilità
prevista dall'art. 60, comma 1, n. 11 del
Tuel, in quanto la comunità montana non può
considerarsi «istituto, consorzio o
azienda dipendente dal comune» (articolo
ItaliaOggi dell'11.06.2010, pag. 36). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/
NOMINE NELLE FONDAZIONI.
Lo statuto di
un'istituzione di assistenza e beneficenza
può conferire al consiglio comunale il
potere di nominare alcuni componenti del
consiglio di amministrazione?
La ratio del potere di nomina
attribuito al consiglio comunale consiste
nel garantire che i membri dell'organo della
Fondazione, avente personalità giuridica di
diritto privato, siano dotati di specifiche
capacità professionali senza che possano
riscontrarsi collegamenti con l'indirizzo
politico- amministrativo dell'ente locale.
Non altrettanto può affermarsi per la
fattispecie regolata dall'art. 50, comma 8,
del dlgs n. 267/2000, ove la scelta da parte
del sindaco dei rappresentanti del comune
presso enti, aziende e istituzioni è
finalizzata al raggiungimento di obiettivi
indicati dall'amministrazione (cfr. Tar
Milano, sentenza n. 470 del 14/4/1997 e Cds
n. 6691/2009 del 29/10/2009).
In tal caso le nomine devono considerarsi di
carattere fiduciario, «nel senso che
riflettono il giudizio di affidabilità
espresso attraverso la nomina, ovvero la
fiducia sulla capacità del nominato di
rappresentare gli indirizzi di chi l'ha
designato, orientando l'azione
dell'organismo nel quale si trova ad operare
in senso quanto più possibile conforme agli
interessi di chi gli ha conferito l'incarico»
(Consiglio di stato dec. n. 547/2003).
Peraltro il dlgs n. 207/2001, recante
riordino del sistema delle istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza,
all'art. 17 c. 1, lett. b), nel prevedere la
possibilità del mantenimento della nomina
pubblica dei componenti degli organi di
amministrazione, esclude «ogni
rappresentanza». Tanto premesso, si
ritiene che, nel caso di specie, possa
pertanto trovare applicazione la previsione
statutaria che assegna al consiglio comunale
la scelta dei tre componenti del Consiglio
di amministrazione (articolo ItaliaOggi
dell'11.06.2010, pag. 36). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/
TERZO MANDATO.
È applicabile la norma dello statuto
comunale che non consente l'espletamento del
terzo mandato consecutivo da parte degli
assessori, nel caso in cui l'incarico
assessorile sia stato ricoperto per due
volte consecutive ma, in entrambi i casi,
con durata inferiore a quella della
consiliatura nella quale era stato
conferito?
La previsione statutaria richiamata era
stata, a suo tempo, adottata in vigenza
dell'art. 34 della legge n. 142/1990, come
sostituito dall'art. 16 della legge n.
81/1993, recependone la conforme previsione
che vietava, al c. 3), il terzo mandato
consecutivo dell'assessore, in analogia alla
disciplina disposta per il sindaco.
Successivamente, la legge 03 agosto n.
265/1999 (art. 11, comma 11) abrogò
espressamente l'anzidetta norma con la
conseguenza che le disposizioni statutarie
ad essa conformate sono, da quel momento, da
considerarsi caducate e, quindi,
inapplicabili.
Anche il vigente Tuel n. 267/2000 non
contempla alcuna previsione limitativa del
numero dei mandati consecutivi espletabili
dagli assessori mentre, come è noto, ha
mantenuto quella di analogo tenore riferita
al sindaco (art. 51, comma 2).
Peraltro la disciplina degli organi di
governo comunali e provinciali, a cui è
riconducibile la figura dell'assessore, è
riservata alla competenza legislativa
esclusiva dello stato, ai sensi dell'art.
117, comma 2, lett. p), della Costituzione
e, come tale, è sottratta alla potestà
statutaria.
Se ne deduce, per le esposte considerazioni,
che la norma statutaria in esame non può
trovare applicazione, restando ininfluente
la circostanza che il mandato assessorile ha
avuto una durata inferiore a quella della
consiliatura di riferimento (articolo
ItaliaOggi dell'11.06.2010, pag. 36). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Stop ai dirigenti a tempo negli
enti locali.
È uno stop quasi totale alle assunzioni di
dirigenti con contratti a tempo determinato
negli enti locali, quello che deriva dal dl
78/2010, combinato con la riforma-Brunetta.
La manovra economica modifica l'articolo 1,
comma 557, della legge 296/2006 e impone
alle amministrazioni locali alcune misure
per ridurre la spesa di personale e, tra
queste, «razionalizzazione e snellimento
delle strutture burocratico-amministrative,
anche attraverso accorpamenti di uffici con
l'obiettivo di ridurre l'incidenza
percentuale delle posizioni dirigenziali in
organico».
La norma contribuisce a risolvere ogni
possibile equivoco interpretativo sulla
provvista di dirigenti a tempo determinato
ed assesta un ulteriore colpo a tale
strumento di spoils system. Già il
dlgs 150/2009 ha inteso estendere
espressamente anche agli enti locali le
limitazioni percentuali alle assunzioni di
dirigenti a tempo determinato, riferendole
alla dotazione organica: il che esclude la
compatibilità con la riforma del comma 2
dell'articolo 110 del dlgs 267/2000.
Inoltre, la modifica all'articolo 19, comma
6, del dlgs 165/2001, applicabile certamente
anche a comuni e province per effetto
dell'articolo 88 del dlgs 267/2000 (e in
ogni caso come principio generale) di fatto
cancella il comma 1 del medesimo articolo
110. Infatti, questo consente agli enti
locali di assumere dirigenti a tempo
determinato anche per il 100% della
dotazione organica.
La riforma-Brunetta, invece, nell'imporre
limiti percentuali da considerare entro il
massimo del 10% della dotazione dei
dirigenti e nel subordinare le assunzioni di
dirigenti a contratto solo ad una specifica
motivazione riguardante l'accertata assenza
di professionalità interne, limita di gran
lunga la possibilità di acquisire manager a
contratto.
L'imposizione di accorpare gli uffici allo
scopo di contenere il numero dei dirigenti
costituisce, adesso, di per sé un ulteriore
impedimento al ricorso a dirigenti esterni,
generalmente utilizzato per ampliare la
dotazione.
Gli enti sono, infatti, tenuti a consolidare
e valorizzare la dotazione delle competenze,
e infatti a questo scopo solo la
dimostrazione dell'assenza di capacità
interne operative potrebbe consentire un
incarico a contratto. Ma, in ogni caso,
questo non può essere utilizzato per
incrementare il numero della dotazione: ciò
significa che l'articolo 110, comma 2, del
dlgs 267/2000 deve considerarsi ancora a
maggior ragione implicitamente abolito.
Né può perdurare l'utilizzo del meccanismo
dello scorporo di funzioni dirigenziali,
spessissimo adoperato dagli enti per creare
strumentali vuoti di organico ed attingere
così a piene mani agli incarichi a
contratto, anche allo scopo di attribuire
incarichi dirigenziali ai dipendenti privi
di tale qualifica, secondo un meccanismo
comunque non più corrispondente alla regola
della previa verifica dell'assenza di
professionalità nella dotazione organica.
A questo proposito, il dl 78/2010 pare
inferire un ulteriore fendente alle residue
possibilità di incaricare i funzionari come
dirigenti. Il congelamento degli stipendi al
2010, la limitazione degli incarichi
dirigenziali, la previsione che progressioni
di carriera, quali sono a tutti gli effetti
gli incarichi dirigenziali a dipendenti non
dirigenti, abbiano effetti solo giuridici e
non economici almeno fino al 2013
costituiscono insieme la comprova che questa
prassi è ormai ben al di là dei margini
della legittimità (articolo ItaliaOggi
dell'11.06.2010, pag. 35). |
ENTI LOCALI:
Il mini comune non può fare da
sé.
MANOVRA CORRETTIVA/ Dalla gestione ai
vigili, dagli asili alle strade, tutto si
svolgerà in team. Funzioni da gestire in
forma associata. Ma cosa resta agli enti?
I comuni al di sotto dei 5 mila abitanti
restano in vita, ma la stragrande
maggioranza dei loro compiti deve essere
necessariamente gestita in forma associata:
essi vengono spogliati di competenze
gestionali.
Siamo così arrivati, sulla base di una
scelta contenuta nel dl n. 78/2010, la
cosiddetta manovra estiva, a un punto di
svolta che modifica radicalmente il ruolo,
le competenze e le attività della stragrande
maggioranza dei comuni italiani: ricordiamo
che su circa 8.100 municipi quasi 6 mila
sono al di sotto di questa soglia
demografica.
Si arriva a questa conclusione dopo oltre 24
anni di dibattito tra l'accorpamento
obbligatorio dei comuni di modesta
dimensione (proposta che l'allora presidente
del consiglio Bettino Craxi avanzò
all'assemblea dell'Anci di Padova
nell'ottobre del 1986) e la incentivazione
(strada che fu avviata dalla legge n.
142/1990, che istituì le unioni come
strumento ponte in vista della unificazione,
e che è stata proseguita dalla legge n.
265/1999, che ha liberalizzato e incentivato
le forme di gestione associata).
Alla base di questa scelta vi è, in primo
luogo, la volontà di realizzare forme di
risparmio e di semplificazione, ma vi è
anche la constatazione che su basi
volontarie si sono raggiunti significativi
risultati (oltre 200 unioni che raggruppano
migliaia di comuni), ma che il loro esito è
ancora largamente insufficiente. Infatti
sono poche le unioni che gestiscono servizi
rilevanti ed in troppi casi la loro
attivazione è subordinata alle
incentivazioni disposte dalle leggi statali
e da quelle regionali.
Il provvedimento dispone in primo luogo che
queste disposizioni hanno carattere
vincolante in quanto sono dettate per il
coordinamento della finanza pubblica e per
il contenimento delle spese. Altra
disposizione di carattere generale è quella
che stabilisce che l'esercizio delle
funzioni fondamentali è obbligatorio da
parte di tutti i comuni.
Esse sono individuate in via provvisoria,
cioè fino all'approvazione della nuova carta
delle autonomie, che nei prossimi giorni
sarà esaminata in prima lettura da parte
della camera, direttamente da parte dello
stesso provvedimento in quelle previste
dall'articolo 21 comma 3, della legge n.
42/2009 (articolo 14).
Ricordiamo che esse sono le seguenti
funzioni: generali di amministrazione, di
gestione e di controllo, nella misura
complessiva del 70% delle spese come
certificate dall'ultimo conto del bilancio
disponibile alla data di entrata in vigore
della presente legge; di polizia locale; di
istruzione pubblica, ivi compresi i servizi
per gli asili nido e quelli di assistenza
scolastica e refezione, nonché l'edilizia
scolastica; nel campo della viabilità e dei
trasporti; riguardanti la gestione del
territorio e dell'ambiente, fatta eccezione
per il servizio di edilizia residenziale
pubblica e locale e piani di edilizia nonché
per il servizio idrico integrato; del
settore sociale.
Si stabilisce che le funzioni fondamentali
sono necessariamente gestite in forma
associata tramite convenzioni o unioni da
parte dei comuni che hanno fino a 5 mila
abitanti. Sempre nelle stesse forme tali
funzioni sono gestite da parte dei comuni
che hanno fino a 3 mila abitanti ovvero alla
soglia individuata dalla regione e fanno o
hanno fatto parte di comunità montane, con
il che si assesta un ulteriore durissimo
colpo alla stessa esistenza questo livello
istituzionale.
Come si vede, ai comuni più piccoli rimane
ben poco da gestire direttamente: tutti i
compiti di maggiore rilievo infatti dovranno
obbligatoriamente essere gestiti in forma
associata.
Occorre inoltre aggiungere che, ad ulteriore
supporto di questo processo, le regioni,
nelle materie in cui hanno competenza
legislativa esclusiva o concorrente,
dovranno individuare le dimensioni ottimali
per la gestione da parte dei comuni, che
entro il termine dalla stessa avviato, danno
vita alla gestione associata; tale vincolo
non si applica ai comuni capoluogo ed a
quelli con popolazione superiore a 100 mila
abitanti.
La concreta entrata in vigore di queste
nuove disposizioni sarà fissata in un
decreto del presidente del consiglio dei
ministri da adottare entro il mese di
settembre. Tale provvedimento individuerà
anche la soglia minima di abitanti delle
gestioni associate.
Viene inoltre previsto, scelta che sembra
applicarsi a tutti i comuni a prescindere
dalla loro soglia demografica, che sussiste
un duplice divieto: gestire singolarmente le
funzioni fondamentali svolte in forma
associata e che la stessa funzione sia
gestita da più di una forma associata
(articolo ItaliaOggi dell'11.06.2010, pag.
33). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Collegato lavoro
(ddl S.1167-B/BIS)
a passo di gambero.
Fa un passo in avanti e due indietro, il
collegato lavoro, all'esame delle
commissioni riunite affari costituzionali e
lavoro del Senato.
Nella seduta di ieri, infatti,
l'ostruzionismo dell'opposizione ha
pesantemente rallentato la votazione degli
emendamenti al disegno di legge che, nelle
intenzioni della maggioranza, dovrebbe
arrivare in aula il 16 giugno.
«Abbiamo esaminato due sole proposte di
modifica all'articolo 31 (sull'arbitrato per
la risoluzione delle controversie, ndr), su
49 che ne sono state depositate»,
dichiara il relatore Maurizio Castro (Pdl),
ricordando che ad oggi sono circa
un'ottantina gli emendamenti su cui bisogna
ancora pronunciarsi.
I due capigruppo del Pd e dell'IdV, Giorgio
Roilo e Pancho Pardi, hanno tenuto «interventi
alluvionali nell'ora e mezza in cui siamo
stati in commissione», aggiunge,
diluendo così i tempi del voto.
A Palazzo Madama prende corpo l'ipotesi che,
se anche il prossimo martedì la minoranza
terrà un atteggiamento ostruzionistico,
verrà convocata una seduta notturna, per
poter licenziare il testo nei tempi previsti
(articolo ItaliaOggi del 10.06.2010, pag.
29). |
APPALTI:
Gare, trucchi in vista. Ok della
camera al ddl Brunetta. A rischio la
concorrenza. Obbligatorio interpellare gli
esclusi.
Possibili combine nelle gare di appalto con
l'obbligo per la stazione appaltante di
interpellare i primi cinque classificati
dopo l'aggiudicatario, in caso di
risoluzione del contratto o di fallimento.
È questo il possibile effetto della modifica
al Codice dei contratti pubblici (l'ennesima
di questi ultimi mesi) disposta dal ddl
semplificazione approvato ieri dalla camera
con 265 sì, 213 no (Pd e Idv) e 40 astenuti
(Udc).
L'articolo 140 del dlgs 163/2006, ad oggi,
stabilisce che le stazioni appaltanti
prevedono nel bando di gara la facoltà di
interpellare i cinque concorrenti che
seguono in graduatoria l'aggiudicatario
dell'appalto nel caso in cui si pervenga
alla risoluzione del contratto per grave
impedimento o si verifichi il fallimento
dell'impresa.
In questi casi quindi l'amministrazione può
(ma non deve) sentire i concorrenti
classificati dal secondo al sesto posto,
scorrendo quindi la graduatoria
progressivamente, e stipulare con uno di
essi un nuovo contratto alle stesse
condizioni di quello inizialmente stipulato
con l'appaltatore fallito o gravemente
inadempiente ... (articolo
ItaliaOggi del 10.06.2010, pag. 28
- link a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Arriva lo sportello unico a 360°.
CONSIGLIO DEI MINISTRI/ Il regolamento
stabilisce la creazione di in unico soggetto
pubblico. Competenze sull'edilizia in quello
per le attività produttive.
Anche le competenze
dello sportello unico per l'edilizia
passano, salvo diversa disposizione dei
comuni, allo sportello unico per le attività
produttive (Suap). Quest'ultimo diventa
l'unico soggetto pubblico di riferimento sul
territorio per tutti i procedimenti che
abbiano per oggetto l'esercizio di attività
produttive e di prestazione di servizi:
avvio, trasformazione, ristrutturazione,
riconversione, ampliamento, trasferimento,
nonché cessazione e riattivazione delle
attività. Restano esclusi dalla disciplina
gli impianti e le infrastrutture
energetiche, soggette a normativa speciale.
Il Suap comunicherà con i cittadini, ma
anche con le altre p.a. interessate,
esclusivamente in via telematica, mentre il
portale «impresainungiorno» fornirà i
servizi informativi e operativi allo
sportello unico, oltre a contenere un
sistema di pagamento per i diritti, le
imposte e gli oneri relativi ai procedimenti
gestiti dai Suap.
È quanto prevede un
dpr che sarà oggi all'attenzione del
consiglio dei ministri, presieduto
dal presidente del consiglio Silvio
Berlusconi, recante il regolamento per la
semplificazione e il riordino della
disciplina sullo sportello unico per le
attività produttive.
Il provvedimento dà attuazione all'articolo
38, comma 3 del dl n. 112/2008, allineandosi
anche al dettato della «direttiva servizi»,
recepita mediante il dlgs n. 59/2010.
Il Suap, istituito presso i municipi, dovrà
assicurare in maniera omogenea su tutto il
territorio una risposta telematica unica e
tempestiva agli operatori che esercitano
attività produttive o prestazioni di
servizi, sostituendosi quindi agli uffici
comunali e a tutte gli enti pubblici
comunque coinvolti nell'iter amministrativo
(inclusi quelli preposti alla tutela
ambientale, paesaggistica, culturale e di
tutela della salute). Tali enti, dispone
peraltro lo schema di dpr, dovranno
astenersi dal trasmettere alcun documento al
richiedente. Ogni ente locale dovrà
individuare il responsabile del Suap; nelle
more, il ruolo è ricoperto dal segretario
comunale. I municipi potranno esercitare
dette funzioni in forma singola o associata
tra loro, nonché in convenzione con le Cciaa.
Laddove entro 180 giorni dall'entrata in
vigore delle norme i comuni non abbiano
provveduto a costituire lo Sportello unico,
oppure non ne siano in grado per motivi
tecnici, l'esercizio delle funzioni relative
alla gestione del Suap saranno delegate alla
camera di commercio territorialmente
competente.
Previste ulteriori norme, inoltre, per
accelerare la fase di avvio di un'impresa.
Tra queste, la possibilità di presentare
contestualmente la Dia e la comunicazione
unica presso il registro delle imprese, che
provvederà a inoltrare al Suap la
documentazione.
Il provvedimento oggi sul tavolo del governo
prevede poi che la ricevuta telematica
rilasciata dal Suap a seguito di
presentazione della Dia rappresenti il
termine di avvio del procedimento e consenta
anche l'avvio immediato dell'attività nei
casi in cui la Dia si riferisca alle
attività di cui al dlgs n. 59/2010 (sono
esclusi, per esempio, ristoranti, bar, taxi,
nonché i servizi finanziari e assicurativi)
(articolo ItaliaOggi del 10.06.2010, pag.
21). |
APPALTI:
Modifiche al Codice in tema di
comunicazione introdotte dal dlgs che
recepisce la 2° direttiva ricorsi Ue.
Appalti, certezza impugnazioni.
Dall’aggiudicazione sale a 35 giorni il
termine per il contratto.
Il decreto legislativo 20.03.2010 n. 53
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 84
del 12.04.2010 (in vigore dal 27.04.2010)
realizza il definitivo recepimento
nell’ordinamento italiano della direttiva
ricorsi n. 2007/66/CE dell’11.12.2007 del
Parlamento europeo e del Consiglio, la
cosiddetta seconda direttiva ricorsi.
Il decreto legislativo di recepimento
introduce numerose modifiche, sia nel campo
sostanziale che processuale, al codice dei
contratti pubblici (dlgs 163/2006) ... (articolo
ItaliaOggi del 09.06.2010, pag. 38). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Permessi anche senza convivenza.
Sentenza innovativa della Cassazione sulla
fruizione dei tre giorni per l'assistenza.
L'importante è che l'aiuto al parente
disabile sia continuativo.
Per avere diritto ai tre giorni previsti
dalla legge 104/92 per l'assistenza ai
disabili è necessario che l'assistenza sia
in atto e sia continuativa ed esclusiva.
Mentre non è più necessario il requisito
della convivenza con il disabile.
È questo il principio affermato dalla
sezione lavoro della Corte di cassazione,
con una sentenza depositata il 22.04.2010
(9557).
Il provvedimento, di cui si è avuta notizia
solo in questi giorni, proietta altra luce
sulla questione dei permessi per i disabili,
sgombrando il campo dagli equivoci. I
giudici hanno ricostruito l'iter formativo
della normativa ricordando che, fino al
2000, per ottenere i permessi era necessario
che l'interessato convivesse con il disabile
assistito.
Dal 2000, invece, tale requisito è stato
espunto per effetto dell'entrata in vigore
della legge 53/2000, a sua volta conforme a
una precedente sentenza della Corte
costituzionale, che aveva indicato la strada
al legislatore (n. 335/1986).
La Suprema corte ha ricordato che la
Consulta aveva affermato che «non è
immaginabile che l'assistenza al disabile si
fondi esclusivamente su quella familiare, sì
che il legislatore ha, con la legge quadro
n. 104, ragionevolmente previsto, quale
misura aggiuntiva, la salvaguardia
dell'assistenza in atto, accettata dal
disabile, al fine di evitare rotture
traumatiche, e dannose, della convivenza».
E tale passaggio è stato interpretato dal
legislatore nel senso della non necessarietà
del requisito della convivenza, fatta salva
la necessità di tutelare l'attualità, la
continuità e l'esclusività dell'assistenza.
Il caso riguardava un lavoratore che si era
visto rifiutare i permessi previsti
dall'articolo 33 della legge 104/1992 per
assistere la propria madre portatrice di
handicap, sebbene non residente nella stessa
città.
Secondo il ricorrente per ottenere i
permessi sarebbe stata sufficiente una
qualche assistenza, sia pure non esaustiva,
già in atto che aveva affermato di aver
prestato con continuità, mediante
un'assistenza telefonica e logistica
convivendo, inoltre, per 45 giorni all'anno,
ossia nel periodo di ferie e festività, con
la madre handicappata.
Ma la Cassazione non ha condiviso tale tesi,
affermando che ai fini della fruizione dei
permessi di cui alla legge n. 104 del 1992,
art. 33, comma 3, occorre che l'assistenza
al parente o affine entro il 3 grado
portatore di handicap, ancorché non
convivente, sia in atto, continuativa ed
esclusiva. E che non basta intrattenere
contatti telefonici e convivere durante le
feste e le ferie (articolo ItaliaOggi
dell'08.06.2010, pag. 40). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Dirigenti, aumenti da 103 euro
ENTI LOCALI/ nuovo ccnl. Via libera al
contratto nazionale dei dirigenti delle
regioni ed enti locali.
È stata infatti sottoscritta ieri presso
l'Aran l'ipotesi
del contratto nazionale di lavoro 2008-2009
(secondo biennio economico) che
riguarda 9.935 dirigenti. In analogia con
quanto definito per le altre aree
dirigenziali, si legge in una nota,
l'ipotesi assegna a questo personale un
incremento economico pari al 3,2% che
corrisponde sullo stipendio tabellare a 103
euro a regime.
Per quanto attiene al trattamento economico
accessorio, coerentemente con le previsioni
del decreto legislativo 150/2009 (Riforma
Brunetta) una quota significativa delle
risorse è finalizzata alla retribuzione di
risultato, collegata al raggiungimento degli
obiettivi connessi all'incarico
dirigenziale.
Il commissario straordinario dell'Aran
Antonio Naddeo ha espresso la sua
soddisfazione per la chiusura del contratto:
«Siamo giunti quasi alla fine della
tornata contrattuale. Tutti i contratti che
stiamo chiudendo rispettano le norme della
manovra finanziaria e sono stati chiusi al
3,2%, anche grazie al grande senso di
responsabilità delle organizzazioni
sindacali» (articolo ItaliaOggi del
05.06.2010, pag. 26). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Dimissioni
subito valide.
Assume carattere generale il principio
previsto espressamente per i consiglieri.
Per l'assessore efficaci dalla
presentazione.
Da quando decorrono le dimissioni di un
assessore?
Il Tuoel nulla dispone al riguardo. Si
ritiene, tuttavia, consolidato
nell'ordinamento il principio dell'immediata
operatività e irretrattabilità delle
dimissioni degli amministratori degli enti
locali, a far tempo dall'abrogazione
dell'istituto della presa d'atto, operata
dalla legge di riforma delle autonomie
locali n. 142/1990.
Tale principio espressamente sancito
nell'art. 38, comma 8, del Tuoel n. 267/2000
per le dimissioni dei consiglieri, assume
carattere generale e non viene messo in
discussione dalla speciale disciplina
prevista per quelle del sindaco, la cui
revocabilità è giustificata dal rilievo
della gravità delle conseguenze connesse
alla loro presentazione.
Si ritiene, pertanto, che le dimissioni
dell'assessore, siano da considerarsi
irrevocabili sin dalla data della loro
presentazione (articolo ItaliaOggi del
04.06.2010, pag. 36). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/
L'INDENNITÀ SPETTANTE AL
SINDACO.
Un sindaco, dipendente di un istituto di
credito, che ha ottenuto dal proprio datore
di lavoro la concessione di un congedo
straordinario retribuito ai sensi dell'art.
42 comma 5 del decreto legislativo
26.03.2001, n. 151, ha diritto all'indennità
spettante al primo cittadino per l'intero?
Al riguardo, come osservato dalla dottrina (Vandelli
- Commenti al T.u. sull'ordinamento delle
autonomie locali, Maggioli editore p. 575)
si rileva che il legislatore del 2000 ha
inteso introdurre, nell'ambito degli enti
locali il concetto di attività politica come
attività professionale e, per far sì che gli
stessi amministratori possano meglio
adempiere al proprio mandato elettivo, ha
previsto agli artt. 81 e ss. del citato
Tuoel un sistema indennitario in base al
quale gli amministratori che sono al
contempo lavoratori dipendenti possono
essere collocati, a richiesta, in
aspettativa non retribuita per tutto il
periodo di espletamento del mandato.
Al sindaco collocato in aspettativa compete
un'indennità di funzione nei limiti fissati
da apposito decreto ministeriale mentre tale
indennità è dimezzata per i lavoratori
dipendenti che non hanno richiesto tale
aspettativa. Da tale assetto ne deriva che
possono percepire l'indennità di mandato
piena solamente quegli amministratori che,
ai sensi dell'art. 81 del decreto
legislativo n. 267/2000, sono collocati in
aspettativa per mandato elettivo.
Il primo cittadino del comune che ha posto
il quesito è dipendente di un istituto di
credito e, in costanza di rapporto di
lavoro, ha chiesto, ai sensi del citato
articolo 42 comma 5 del dlgs n. 151/2001, di
poter usufruire di un periodo di congedo dal
lavoro per assistere il proprio familiare.
Si osserva al riguardo che il presupposto
necessario per poter usufruire del periodo
di congedo previsto dalla normativa a tutela
e sostegno della maternità e della
paternità, per il quale peraltro il
legislatore ha previsto un trattamento
economico di favore per tutto il periodo di
congedo, equivalente all'ultimo stipendio
percepito, è proprio la circostanza che al
momento della richiesta il lavoratore si
trovi in costanza di rapporto di lavoro.
Diversamente, come già messo in rilievo, il
menzionato art. 82 Tuoel dispone che
l'amministratore locale ha diritto a
percepire l'indennità piena nel solo caso si
sia posto in aspettativa dal lavoro.
Ciò posto e indipendentemente dalla diversa
«ratio» che sottende i due diversi
impianti normativi, risulta essere di tutta
evidenza che il citato amministratore non
possa percepire l'indennità piena prevista
per lo svolgimento del mandato elettorale,
in quanto non si trova nelle condizioni
richieste dal più volte citato art 81 Tuoel
per percepire la menzionata indennità nella
misura piena (articolo ItaliaOggi del
04.06.2010, pag. 36). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Studi e consulenze col bilancino.
MANOVRA CORRETTIVA/ Comuni e province
dovranno rimettere mano alla programmazione.
Spesa per gli incarichi di collaborazione
tagliata dell'80%.
La stretta sulle
consulenze e gli incarichi di collaborazione
esterna vale anche per gli enti locali,
chiamati, dal 2011, a ridurre la spesa
complessiva destinata a tale scopo al 20% di
quella sostenuta nel 2009.
Gli enti locali sono compresi nell'elenco
delle pubbliche amministrazioni di cui al
comma 3 dell'articolo 1 della legge
196/2009, richiamato dalle norme sul
contenimento della spesa contenute nel dl n.
78/2010, essendo contemplati nella
ricognizione effettuata dall'Istat e
pubblicata sulla G.U. n. 176 del 31.07.2009.
Dunque, a decorrere dall'anno 2011 comuni e
province dovranno ridurre dell'80% la spesa
annua per studi ed incarichi di consulenza,
anche conferiti a pubblici dipendenti
rispetto a quella sostenuta nell'anno 2009.
Ciò non solo all'evidente scopo di
conseguire risparmi di spesa, ma anche al
fine, esplicitato dalla manovra, «di
valorizzare le professionalità interne alle
amministrazioni».
L'articolo 6, comma 7, del dl n. 78/2010
estendendo la sua portata anche agli enti
locali, modifica implicitamente la
disciplina degli incarichi di collaborazione
contenuta nell'articolo 3, commi 18 e da 54
a 57, della legge 244/2007.
Tali disposizioni hanno sin qui assegnato a
ciascun ente locale la possibilità di
fissare col regolamento sull'ordinamento
degli uffici e dei servizi, in conformità a
quanto stabilito dall'articolo 7, commi 6 e
seguenti del dlgs n. 165/2001, limiti,
criteri e modalità per l'affidamento di
incarichi di collaborazione autonoma, da
applicare a tutte le tipologie di
prestazioni. Inoltre, il limite massimo
della spesa annua per incarichi di
collaborazione, ai sensi del comma 56 del
citato articolo 3, può essere fissato col
bilancio ... (articolo
ItaliaOggi del 04.06.2010, pag. 34
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Consulenze legali nella p.a. a
dieta.
MANOVRA CORRETTIVA/ Tutte le misure del
decreto legge che riguardano di riflesso gli
avvocati. Dal 2011 ridotto al minimo il
ricorso a professionalità esterne.
Ridotte ai minimi termini le consulenze per
le pubbliche amministrazioni. Dal 2011 gli
enti pubblici potranno spendere per
consulenze solo il 20% della cifra spesa nel
2009. Anche le spese per la consulenza
legale rientrano nei provvedimenti
taglia-spese della manovra Tremonti (decreto
legge 31.05.2010 n. 78).
L'articolo 6 del decreto, che introduce
misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica
(pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del
31.05.2010), prevede, infatti, che, al fine
di valorizzare le professionalità interne
alle amministrazioni, a decorrere dall'anno
2011, la spesa annua per studi ed incarichi
di consulenza, inclusa quella relativa a
studi ed incarichi di consulenza conferiti a
pubblici dipendenti, sostenuta dalle
pubbliche amministrazioni incluse le
autorità indipendenti, escluse le
università, gli enti e le fondazioni di
ricerca e gli organismi equiparati, non può
essere superiore al 20 per cento di quella
sostenuta nell'anno 2009 ... (articolo
ItaliaOggi del 03.06.2010, pag. 35
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Dirigenti locali, contratto
ridotto.
MANOVRA CORRETTIVA/ L'accordo è
incompatibile col dl 78/2010. Aumenti per
194 euro. Niente incrementi decentrati per
rispettare il tetto del 3,2%.
La cifra che le casse dello stato
risparmieranno dal congelamento per tre anni
(2011-2013) degli stipendi pubblici per il
momento non si conosce. E, come ammesso dal
governo nella relazione tecnica alla
manovra, si saprà solo a consuntivo. Ma
intanto l'austerity sulle retribuzioni del
pubblico impiego sta per mietere la prima
vittima illustre: il contratto dei dirigenti
degli enti locali (Area II) per il biennio
economico 2008-2009 che potrebbe essere
chiuso già venerdì prossimo. Ma sul cui
cammino pesano come un macigno le nuove
norme in materia di contenimento della spesa
pubblica.
Il nuovo Ccnl dei circa 14 mila manager di
regioni ed enti locali è, infatti, il primo
accordo a presentare seri problemi di
compatibilità con i principi contenuti nel
dl 78/2010. Che, oltre a bloccare le buste
paga a livello del 2010 per tre anni a
partire dall'anno prossimo, impedisce ai
rinnovi contrattuali per il 2008-2009 (anche
a quelli già sottoscritti) di corrispondere
aumenti superiori al 3,2 per cento.
Una soglia che le nuove buste paga dei
dirigenti locali potrebbero superare se, ai
194,52 euro di aumento mensile previsto dal
nuovo Ccnl, si dovessero sommare anche gli
incrementi eventualmente previsti a livello
locale dagli enti virtuosi (in regola con il
patto di stabilità nel triennio precedente,
con una bassa incidenza della spesa per il
personale sul totale delle entrate e con
pochi dirigenti in rapporto al numero dei
dipendenti).
Si tratta di una possibilità meramente
teorica, non un obbligo, ma sufficiente a
convincere l'Aran a non siglare il
contratto. Per questo le organizzazioni
sindacali che venerdì si incontreranno per
la firma si troveranno davanti a un bivio:
rimandare l'accordo sul Ccnl o chiudere
subito la partita, stralciando però la norma
sulle risorse extra che fa a pugni con il
tetto imposto dalla manovra correttiva.
A quel punto ai dirigenti locali resterebbe
solo l'incremento di 194,52 euro al mese.
Così composto: 103,3 euro sul tabellare, 27
euro sul salario di posizione fissa e 64,22
euro sul salario di risultato. Incrementi
che sarebbero perfettamente in linea con il
tetto del 3,2%.
Quale che sia la sorte dei manager locali,
il varo della manovra correttiva ha
determinato una vera e propria corsa al
rinnovo dei contratti in sospeso. Dopo la
firma nei giorni scorsi dei Ccnl dei
dipendenti di palazzo Chigi e dei dirigenti
del Cnel, da ieri anche i dirigenti della
presidenza del consiglio hanno di che
festeggiare per la chiusura del contratto
nazionale relativo al quadriennio 2006-2009
e al biennio economico 2006-2007. In questo
caso, gli aumenti saranno ancora più
sostanziosi perché ad essi non si applica il
tetto del 3,2% ma quello del 4,85% del monte
salari medio.
E così i manager di palazzo Chigi si
porteranno a casa 280,22 euro in più al mese
se appartengono alla seconda fascia
dirigenziale e addirittura 676,01 euro se
sono dirigenti di prima fascia. Il tutto a
decorrere dal 1° gennaio 2007 ad eccezione
della quota di aumento rappresentata dalla
retribuzione di risultato (rispettivamente
99,15 e 376,66 euro) che decorre dal 31
dicembre 2007.
«È un risultato importante», commenta
Daniela Volpato, segretario nazionale Cisl
Fp, «che porta miglioramenti
significativi, che saranno completati con il
secondo biennio contrattuale 2008-2009 per
il quale a breve inizieremo le trattative.
La firma di ieri», conclude Volpato, «rappresenta
un'altra tappa importante del percorso di
definizione dei rinnovi contrattuali
2006-2009 che con il secondo biennio di
questo contratto e quello dell'Area II della
dirigenza delle autonomie locali volge alla
conclusione».
Intanto, in una nota diffusa ieri la Confsal,
la quarta confederazione sindacale italiana,
ha ribadito il giudizio critico sulla
manovra, giudicata «iniqua e penalizzante
per i lavoratori pubblici e i pensionandi».
La confederazione autonoma, pur riconoscendo
che il testo ufficiale del decreto legge «riporta
qualche lieve miglioramento riguardo allo
slittamento temporale del congelamento delle
retribuzioni e alla modulazione della
rateizzazione delle liquidazioni dei
dipendenti pubblici, conferma la sua
valutazione complessivamente negativa in
merito ai provvedimenti riguardanti pubblico
impiego e pensioni».
Per la Confsal la manovra così com'è «non
risolve le due grandi questioni italiane:
l'eliminazione degli sprechi della politica
e la riduzione dell'evasione fiscale e
contributiva» (articolo ItaliaOggi del
02.06.2010, pag. 27). |
CORTE DEI
CONTI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Le progressioni verticali abolite
negli enti locali. La magistratura contabile
della Lombardia cambia parere.
La Corte dei conti della Lombardia ci
ripensa: le progressioni verticali sono
abolite anche per gli enti locali. Ma vi
possono essere «strascichi» per quelle
programmate prima della vigenza del dlgs
150/2009.
Il
parere 28.04.2010
n. 517 della Sez. regionale di
controllo della Lombardia rivede l'avviso
espresso col precedente
parere 18.03.2010 n. 375, secondo
il quale, al contrario, i concorsi interni
per l'ascesa sarebbero stati ancora
legittimi.
Sulla questione della vigenza o meno delle
progressioni verticali, successivamente alla
prima presa di posizione assunta dalla
sezione della Lombardia si è espressa la
sezione delle autonomie, che col parere
10/2010 in maniera tranciante aveva escluso
la possibilità di una reviviscenza, una
volta in vigore la riforma-Brunetta.
La nuova pronuncia della sezione della
Lombardia cerca di mediare tra la posizione
precedentemente assunta e le conclusioni cui
è pervenuta la Sezione delle autonomie. Il
parere evidenzia l'importanza delle norme
del dlgs 150/2009, qualificandole come
attuative dei principi costituzionali in
tema di massima apertura al pubblico delle
procedure selettive.
Secondo il nuovo parere, pur dovendosi al
tempo stesso valorizzare l'autonomia
riconosciuta costituzionalmente agli enti
locali, si deve ritenere che l'entrata in
vigore del testo novellato dell'articolo 52,
comma 1-bis, del dlgs 165/2001 impone
l'adeguamento contestuale dei regolamenti di
organizzazione degli enti locali, poiché
l'articolo 74 della riforma Brunetta
considera la disciplina dell'obbligatorietà
del concorso pubblico con riserva di posti
fino al 50% di quelli messi a bando come
norma di diretta attuazione della
Costituzione.
Gli enti locali, prosegue il parere, sono
tenuti ad adeguare i propri regolamenti a
decorrere dal 1° gennaio 2010 e tale
adeguamento non può che essere integralmente
conforme alle nuove norme di legge che
regolano l'istituto delle progressioni di
carriera.
Il parere lascia, tuttavia, aperte le porte
a progressioni verticali anche nel 2010.
Infatti, secondo la ricostruzione della
sezione Lombardia, mancando un regime
transitorio chiaramente definito dalla
novella legislativa, possono concludersi
legittimamente nel 2010 le progressioni
verticali già formalmente autorizzate in
sede di programmazione del fabbisogno di
personale, secondo le modalità definite nei
regolamenti ancora vigenti. Unica cautela:
le progressioni verticali non possono essere
avviate quando abbiano effetto oltre il
31.12.2010.
Questi ultimi due aspetti contrastano con le
conclusioni cui è pervenuta la Sezione
autonomie, secondo la quale a partire dalla
data di entrata in vigore del dlgs 150/2009,
i regolamenti di organizzazione degli enti
locali che disciplinassero le progressioni
verticali, si sono posti in immediato e
diretto contrasto sia con la riforma, sia
con la Costituzione. Lo stesso è avvenuto
per i contratti collettivi e l'articolo 91,
comma 3, del dlgs 267/2000.
Dunque, gli enti locali non possono
riferirsi ad alcuna «norma vigente»
nelle more dell'adeguamento dei loro
ordinamenti alla riforma, che possa
consentire loro una legittima conduzione di
progressioni verticali nel 2010, anche se
precedentemente programmata.
Pare, allora, necessario prendere atto non
solo che le progressioni verticali sono
state eliminate dalla riforma, ma che non vi
sia alcuno spazio per l'espletamento
legittimo di selezioni interamente riservate
nel 2010, perché l'articolo 52 novellato del
dlgs 165/2001 determina l'immediata
abrogazione di ogni fonte incompatibile col
principio di assunzione esclusivamente per
concorso pubblico, compresi i regolamenti e
più ancora gli atti di programmazione
triennale delle assunzioni (articolo
ItaliaOggi del 05.06.2010, pag. 26). |
ENTI LOCALI:
Richiesta di parere inoltrata dal Sindaco
del Comune di Castel San Lorenzo (Sa)
in merito alla restituzione agli
utenti dei canoni di depurazione versati a
seguito della sentenza della Corte
Costituzionale n. 335 dell'08.10.2008
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Campania,
parere 01.04.2010 n.
25). |
GIURISPRUDENZA |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Ordinanza
ripristinatoria - Artt. 14 d.lgs. n. 22/97 -
Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Competenza -
Sindaco - Deroga al disposto di cui all’art.
107 d.lgs. n. 267/2000.
L’art. 14 D.lgs 22/1997 -attualmente
riprodotto senza modifiche nell’art. 192
Codice dell’Ambiente- affida il compito di
emanare tali ordinanza ripristinatorie al
Sindaco ,e trattandosi di norma speciale
rispetto all’art. 107 D.lgs. 267/2000, deroga
alla ordinaria competenza dei funzionari per
i provvedimenti di ordinaria
amministrazione.
L'art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006
poi è norma speciale sopravvenuta rispetto
all'art. 107, comma 5, del D.lgs. n.
267/2000 ed attribuisce espressamente al
Sindaco la competenza a disporre con
ordinanza le operazioni necessarie alla
rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti,
prevalendo per il criterio della specialità
e per quello cronologico sul disposto
dell'art. 107, comma 5, del D.lgs. n.
267/2000 (cfr. Consiglio di Stato, Sez.V,
25.08.2008, n. 4061) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. IV,
sentenza 09.06.2010 n. 1764 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Art. 34 d.lgs. n. 163/2006 -
Società semplici - Partecipazione alle gare
di appalti pubblici - Preclusione -
Contrasto con il diritto comunitario -
Esclusione - Ragioni.
L’art. 10, l. n. 109/1994 e l’art. 34, lett.
a), d.lgs. n. 163/2006, laddove non
consentono alle società semplici la
partecipazione alle gare di appalti
pubblici, non contrastano con il diritto
comunitario dei pubblici appalti che, pur
affermando il principio di libertà di forma
del concorrente, tuttavia non impedisce agli
Stati membri di regolare la capacità
giuridica dei soggetti diversi dalle persone
fisiche, e di vietare a determinate
categorie di persone giuridiche di offrire
lavori, beni o servizi sul mercato.
Invero, la regola contenuta nel c.c. secondo
cui la società semplice non può svolgere
attività commerciale, è coerente con l’art.
4, par. 1, direttiva 2004/18/CE che lascia
agli Stati membri la possibilità di
autorizzare o meno determinate categorie di
soggetti a offrire prestazioni sul mercato
e, in definitiva, di riconoscere o meno a
determinati soggetti la relativa capacità
giuridica (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 08.06.2010 n. 3638 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di una società semplice da una gara
d'appalto.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
adottato nei confronti di un'impresa
concorrente che rivesta la forma giuridica
di società semplice, adottato ai sensi
dell'art. 10, L. n. 109/1994, nonché
dell'art. 34, lett. a) del d.lgs. n. 163/2006
(Codice dei contratti), ciò in quanto le
predette disposizioni normative non
contrastano con i principi comunitari di
libera concorrenza e massima partecipazione,
i quali consentono comunque, ai Paesi membri
dell'Unione, di valutare l'opportunità di
affidare la realizzazione di lavori e
servizi a determinate categorie di imprese;
d'altro canto, la disposizione di cui
all'art. 2249 c.c., che esclude la
possibilità, per le società semplici, di
svolgere un'attività commerciale, appare
ragionevole e non discriminatoria, in virtù
del peculiare regime di responsabilità della
società semplice verso i terzi, rispetto a
quello che connota , viceversa, le altre
categorie sociali.
Peraltro la regola contenuta nel c.c. è
coerente con l'art. 4, par. 1, direttiva
2004/18/CE che lascia agli Stati membri la
possibilità di riconoscere o meno a
determinati soggetti la relativa capacità
giuridica (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 08.06.2010 n. 3638 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Siti inquinati - Competenza
provinciale - Esclusività - Nei soli
procedimenti ordinari -Potere di ordinanza contingibile e urgente - Sussistenza -
Applicabilità della disciplina generale ex
art. 50, c. 5, d.lgs. n. 267/2000 -
Presupposti - Artt. 244 e 191 d.lgs. n.
152/2006.
La competenza della Provincia in
materia di superamento dei valori di
concentrazione soglia in ordine al livello
di contaminazione di un sito (art. 244
d.lgs. n. 152/2006) può essere considerata
come esclusiva soltanto in relazione ai
procedimenti ordinari, visto che la norma
attributiva del potere non fa uno specifico
riferimento alle situazioni in cui si
ravvisi l’indifferibilità e l’urgenza di
provvedere (per una fattispecie opposta,
ossia in cui è prevista esplicitamente
l’emanazione di ordinanze contingibili e
urgenti, si veda l’art. 191 del D.Lgs. n.
152 del 2006).
Di conseguenza, pur a fronte
di una normativa speciale che si occupa, di
regola, dell’attività amministrativa in
ordine ai siti inquinati, si deve ritenere
applicabile la normativa generale,
espressione di un potere atipico e
residuale, in materia di ordinanze contingibili e urgenti previste dall’art.
50, comma 5, del D.Lgs. n. 267 del 2000 (T.U.E.L.),
allorquando se ne configurino i relativi
presupposti: sussistenza di una situazione
di effettivo pericolo grave ed imminente per
l’incolumità pubblica, non fronteggiabile
con gli ordinari strumenti di
amministrazione attiva, debitamente motivata
a seguito di approfondita istruttoria (cfr.
Consiglio di Stato, V, 12.06.2009, n.
3765; II, parere 24.10.2007, n. 2210;
TAR Lombardia, Milano, IV, 16.07.2009, n. 4379).
INQUINAMENTO - Siti inquinati - Ordinanza
contingibile e urgente - Previa
individuazione del soggetto responsabile -
Necessità - Esclusione - Destinatario
dell’ordine - Proprietario dell’area
inquinata.
In tema di siti inquinati,
l’astratta configurabilità del potere di
ordinanza contingibile e urgente di cui
all’art. 50, c. 5, del d.lgs. n. 267/2000
consente di prescindere dalla previa
individuazione del soggetto responsabile
dell’inquinamento, rendendo possibile
indirizzare l’ordine di intervento
direttamente al proprietario dell’area
inquinata (Consiglio di Stato, V, 07.09.2007, n. 4718; TAR Lombardia,
Milano, IV, 16.07.2009, n. 4379) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 08.06.2010
n. 1758 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla necessità per un consorzio
di dimostrare di poter effettivamente
disporre dei mezzi di altri soggetti
necessari alla esecuzione di un appalto.
Secondo l'art. 47, secondo comma della
direttiva 2004/18/CE, "un operatore
economico può, se del caso e per un
determinato appalto", fare affidamento
sulle capacità di altri soggetti, a "prescindere
dalla natura giuridica dei suoi legami con
questi ultimi. In tal caso deve dimostrare
all'amministrazione aggiudicatrice che
disporrà dei mezzi necessari, ad esempio
mediante presentazione dell'impegno a tal
fine di questi soggetti": in definitiva,
per potersi avvalere di mezzi di altri,
occorre comprovarne l'effettiva
disponibilità, spettando al "giudice
nazionale valutare se tale prova sia fornita
nella fattispecie di cui alla causa a qua"
(cfr., sentenza 02.12.1999, in causa
C-176/98, cit.).
Il detto indirizzo è stato condiviso dal
Consiglio di Stato, che ha considerato a tal
fine documento appropriato un atto
unilaterale di impegno, irrevocabile e
incondizionato, assunto da una società, con
il quale il personale di essa, nella misura
necessaria ad assicurare il rispetto del
requisito, è stato messo a disposizione di
altra società per l'esecuzione dei servizi
oggetto della procedura di gara, pur nel
concorso dell'identica composizione
societaria, il che ha reso ulteriormente "palese
la realizzazione di un unitario e comune
centro di interessi tra le due società"
(cfr., C.d.S., sez. V, 15.12.2005, n. 7134).
Detta prova ha fatto, peraltro, palesemente
difetto nel caso di specie, non essendo
stato documentato che i soggetti terzi
rispetto alla gara, ma proprietari dei
ridetti mezzi, si fossero formalmente
obbligati a porli a disposizione del
consorzio partecipante alla gara per l'arco
temporale di esecuzione del servizio, a
nulla rilevando che i detti proprietari
avessero consegnato a quest'ultimo i
rispettivi libretti di circolazione,
consegna che, a tale scopo, non può assumere
il valore di un impegno, sostanziale e
formale, circa il loro utilizzo, pur in
presenza di un generico "rapporto di
gruppo" (cfr., in termini, C.d.S., sez.
VI, 09.02.2010, n. 641 e TAR Lazio, Roma,
sez. III-ter, 25.08.2006, n. 7515) (TRGA
Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 07.06.2010 n. 151 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Vicolo archeologico - Divieto di
edificazione di nuove costruzioni - Nozione
di interventi di nuova costruzione -
Differenziazione ontologica tra interventi
di ampliamento e interventi di
sopraelevazione - Esclusione.
Il divieto di edificazione di nuove
costruzioni -nella specie, a tutela di beni
archeologici- deve necessariamente essere
inteso alla luce del pertinente quadro
normativo, il quale ascrive alla nozione di
‘interventi di nuova costruzione’ (inter
alia) l’ampliamento degli immobili esistenti
all’esterno della sagoma esistente (art. 3,
co. 1, lett. e.1), d.P.R. 06.06.2001, n.
380), non consentendo -sotto tale aspetto-
alcuna ontologica differenziazione in
relazione agli interventi i quali comportino
unicamente una sopraelevazione di immobili
già realizzati (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.06.2010 n. 3556 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla necessità di rendere la
dichiarazione relativa all'assenza di
sentenze penali anche non definitive, nel
caso in cui ciò sia richiesto dal bando di
gara a pena di esclusione.
In materia di appalti pubblici vige
l'obbligo, in capo al legale rappresentante
di un'impresa concorrente, di presentare la
dichiarazione relativa all'assenza di
sentenze, ancorché non definitive, relative
ai reati che precludano la partecipazione
alle gare, e ciò nell'ipotesi in cui detta
prescrizione sia imposta, come nel caso di
specie, dal bando di gara, in quanto,
secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa, le
valutazioni effettuate dalle commissioni in
sede di giudizio sono strettamente vincolate
al rispetto delle clausole del bando
stabilite espressamente a pena di
esclusione, dal momenti che, in tali
ipotesi, la rigida applicazione della lex
specialis garantisce la parità di
trattamento tra tutti i partecipanti, al
fine di scongiurare eventuali atteggiamenti
arbitrari da parte delle commissioni stesse
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 03.06.2010 n. 1352 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Demolizione disposta dal Sindaco di immobile
vincolato - Tutela della pubblica incolumità
- Condotta del Sindaco - Adempimento di un
dovere - Assenza di antigiuridicità -
Sanzione ripristinatoria - Illegittimità.
La possibilità di qualificare l’intervento
di demolizione di un immobile vincolante,
disposto dal Sindaco, come adempimento di un
dovere (nella specie, tutela dell’incolumità
pubblica dal pericolo di crollo), fa venir
meno la illiceità della condotta, in quanto
manca l’antigiuridicità del fatto: ciò rende
illegittima la sanzione ripristinatoria
imposta dal Ministero per i Beni e le
Attività Culturali - Ufficio Centrale per i
Beni Archeologici, Artistici e Storici (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 01.06.2010 n. 1734 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sul riscatto esercitato da un
comune della proprietà degli impianti di
illuminazione pubblica.
Il comune che esercita il riscatto della
proprietà degli impianti di illuminazione
deve subentrare nei contratti in essere,
quantomeno fino all'indizione di una nuova
gara per l'affidamento del servizio.
E' legittimo il provvedimento con il quale
il comune ha legittimamente ordinato il
rilascio degli impianti di illuminazione
pubblica insistenti sul territorio comunale,
esso si qualifica, infatti, come mezzo di
autotutela, adottato ai sensi dell'823 del
cod. civ., in ragione della scelta operata
di riscattare i suddetti impianti.
Secondo la giurisprudenza, infatti, "l'assoggettabilità
degli impianti di distribuzione del gas al
regime di autotutela previsto dall'art. 823
c.c. è confermato dall'art. 826, c. 3,
secondo cui fanno parte del patrimonio
indisponibile...gli altri beni destinati a
un pubblico servizio".
Dato tale principio, e considerato che anche
l'impianto di illuminazione pubblica è
senz'altro riconducibile alla categoria dei
beni destinati a un pubblico servizio, anche
in relazione a quest'ultimo risulta pertanto
possibile il ricorso allo speciale potere di
autotutela, che, per giurisprudenza
costante, non può essere limitato alla
tutela dei beni appartenenti al demanio, ma
deve essere esteso anche a quelli
patrimoniali indisponibili. Ne consegue che,
per gli impianti di illuminazione pubblica
può essere fatto ricorso al potere di
autotutela di cui agli art. 823 del cod.
civ.
Tra il riscatto degli impianti e successivo
affidamento del servizio mediante gara, non
può non frapporsi un periodo di "raccordo",
nel quale il Comune deve garantirsi gli
strumenti per poter assicurare che non
intervenga alcuna interruzione
nell'erogazione del servizio, a tutela da un
lato dei terzi e dall'altro della continuità
del servizio. Ed è proprio questa ragione a
giustificare il subentro, nelle more
dell'espletamento della gara, nei contratti
già in essere con il gestore uscente per il
mantenimento del funzionamento della rete
(cfr. le sentenze n. 2162 e n. 2166 del
medesimo Tar) (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 27.05.2010 n. 2165 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
pubblicazione all'albo pretorio del comune è
prescritta dall'art. 124 t.u.e.l. per tutte
le deliberazioni del comune e della
provincia, ed essa riguarda non solo le
deliberazioni degli organi di governo
(consiglio e giunta municipali), ma anche le
determinazioni dirigenziali, esprimendo la
parola "deliberazione" “ab antiquo” sia
risoluzioni adottate da organi collegiali
che da organi monocratici.
L’art 124 del t.u.e.l. approvato con d.lgs.
267/2000 soddisfa il requisito della
previsione normativa della forma di
pubblicità utile per la decorrenza del
termine decadenziale di cui al primo comma
dell’art. 21 l. 1034/1971 -come modificato
dalla l. 205/2000- per tutti gli atti di cui
non sia richiesta la notifica individuale.
Infatti, la pubblicazione all'albo pretorio
del comune è prescritta dall'art. 124
t.u.e.l. per tutte le deliberazioni del
comune e della provincia, ed essa riguarda
non solo le deliberazioni degli organi di
governo (consiglio e giunta municipali), ma
anche le determinazioni dirigenziali,
esprimendo la parola "deliberazione" “ab
antiquo” sia risoluzioni adottate da
organi collegiali che da organi monocratici,
essendo l'intento legislativo quello di
rendere pubblici tutti gli atti degli enti
locali di esercizio del potere deliberativo
indipendentemente dalla natura collegiale o
meno dell'organo emanante (Consiglio Stato,
sez. V, 15.03.2006, n. 1370)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 27.05.2010 n. 2095 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere in parziale difformità.
L’articolo 34 del D.P.R. n. 380 del 2001,
già articolo 12 della legge n. 47 del 1985,
si riferisce alle sole opere realizzate in
parziale difformità dal permesso di
costruire (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 24.05.2010 n. 19538 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI SERVIZI:
In house providing, pulizie
escluse. Il Tar della Puglia ha bocciato
l'iniziativa di una Asl che aveva costituito
un'apposita società. Affidamento ammesso
solo per servizi di interesse generale.
Il servizio di pulizia degli uffici e dei
presidi ospedalieri non può essere
considerato un servizio strettamente
necessario al perseguimento delle finalità
istituzionali di un'azienda sanitaria
locale.
Con la
sentenza 17.05.2010 n. 1898 il
TAR Puglia-Bari, Sez. I, ha bocciato, ai
sensi dell'art. 3, comma 27, della
Finanziaria 2008 (legge 24/12/2007 n. 244),
il modello dell'«in house providing»
per l'affidamento di tale tipologia di
servizio.
Oggetto della pronuncia del Tar per la
Puglia è l'affidamento in house posto in
essere dall'Azienda sanitaria locale di (_)
dei servizi di pulizia, ausiliariato e
portierato alla società unipersonale (_),
costituita e interamente controllata
dall'ente affidante, a seguito del ricorso
presentato da un operatore privato,
appaltatore proprio del servizio di pulizia
presso la stessa azienda sanitaria
precedentemente all'affidamento in
questione.
L'Azienda sanitaria, infatti, con più
provvedimenti, tutti oggetto di impugnazione
da parte della società ricorrente, aveva
proceduto nel 2008 alla costituzione della
società in regime di in house providing
e sempre nel corso dello stesso anno ne
aveva anche modificato lo statuto proprio
per adeguarlo ai diversi principi sul tema
degli affidamenti in house affermarti dalla
giurisprudenza comunitaria e amministrativa
e a quelli contenuti nell'articolo 23-bis
del dl 25/06/2008 n. 112.
Inizialmente l'affidamento aveva avuto a
oggetto soltanto le prestazioni strumentali
al servizio di emergenza quali le attività
di trasporto e soccorso; successivamente
l'azienda aveva deciso di avvalersi della
società neocostituita per l'espletamento
delle «prestazioni di ausiliariato»
comprendenti anche il servizio di pulizia
degli uffici dell'azienda e dei presidi
sanitari di sua pertinenza.
Tale forma di affidamento avrebbe
riguardato, in via sperimentale e
limitatamente all'anno 2009, il servizio di
«messa a disposizione del personale»
consistente nella fornitura da parte della
società, dietro rimborso delle retribuzioni
e di tutti gli altri oneri contributivi e
assicurativi, di propri dipendenti da
impiegare nel servizio di pulizia che,
tuttavia, sarebbe stato espletato sotto la
direzione e il controllo dell'Azienda
sanitaria e con materiali e attrezzature
della stessa.
La modalità organizzativa prescelta, dopo il
verificarsi di alcuni disguidi proprio nella
gestione del servizio, era stata oggetto,
sempre nel corso del 2009, di un nuovo
intervento da parte dell'amministrazione
che, con un ulteriore provvedimento, ne
aveva modificato il contenuto prevedendo che
la società in house non avrebbe più svolto
il solo servizio di «messa a disposizione
del personale» ma assunto, invece, in
via diretta un'«obbligazione di risultato
assicurando personale, organizzazione,
attrezzature e materiali» necessari per
la gestione del servizio e stabilendone in
misura fissa la relativa remunerazione; in
altre parole, come evidenziato nel testo
della sentenza, l'azienda sanitaria aveva, a
tutti gli effetti, proceduto ad affidare
senza gara il servizio di pulizia alla
società interamente controllata.
Alla base della pronuncia del Tribunale
amministrativo vi è, quindi, la valutazione
di legittimità di tale affidamento in house
messo in atto dall'azienda sanitaria alla
luce dei limiti alla costituzione di società
e al possesso di partecipazioni societarie
introdotti per le amministrazioni pubbliche
dall'art. 3, comma 27, della legge n.
244/2007.
La norma in questione prevede, infatti, che,
al fine di tutelare la concorrenza e il
mercato, le amministrazioni pubbliche «non
possono costituire società aventi per
oggetto attività di produzione di beni e di
servizi non strettamente necessarie per il
perseguimento delle proprie finalità
istituzionali, né assumere o mantenere
direttamente partecipazioni, anche di
minoranza, in tali società»; è, invece,
ammessa la costituzione di società che
producono servizi di interesse generale e
che forniscono servizi di committenza e
l'assunzione di partecipazioni in tali
società.
In considerazione della predetta norma il
Tribunale sottolinea come le «uniche
tipologie di società partecipate di cui il
legislatore espressamente consente la
costituzione e il mantenimento sono, dunque,
le società che svolgono attività
strettamente necessarie (o addirittura
«imprescindibili», secondo l'espressione
della Corte costituzionale) alle finalità
istituzionali degli enti e le società che
producono servizi di interesse generale»;
considerando, dunque, il ricorso allo
strumento societario da parte delle
amministrazioni pubbliche connaturato allo
svolgimento di attività necessarie al
perseguimento delle finalità istituzionali o
di servizi di interesse generale, per il
Tribunale amministrativo «la possibilità
di costituire o mantenere una partecipazione
societaria deve dunque essere verificata in
relazione alle finalità che l'ente pubblico
intenda con essa realizzare, nell'ambito
delle proprie competenze istituzionali».
Nel caso di specie, a giudizio del Tar, il
servizio di pulizia degli uffici e dei
presidi ospedalieri non può di certo
annoverarsi tra i servizi strettamente
necessari al perseguimento delle finalità
istituzionali dell'azienda sanitaria locale;
«la pulizia quotidiana dei locali è
infatti strumentale al buon andamento di
qualsivoglia ente o ufficio pubblico,
nell'interesse di coloro che ivi lavorano e
degli utenti che vi si recano, ai quali
viene garantito il mantenimento di un
ambiente salubre».
I servizi di pulizia sono, dunque, come
rilevato nel testo della sentenza, da
considerarsi «intrinsecamente comuni e
generici, sono strumentali all'esercizio di
qualunque attività pubblica o privata, sono
erogabili da qualsiasi soggetto e a favore
di chiunque. Il loro affidamento costituisce
un appalto di servizi ed è soggetto alle
regole dettate dal Codice dei contratti
pubblici e dalle direttive comunitarie in
materia di appalti, improntate alla tutela
della concorrenza e alla massima apertura
dei mercati».
Dall'art. 3, comma 27, della legge n.
144/2007 discende, quindi, il divieto per le
amministrazioni pubbliche di costituire
società per l'espletamento del servizio di
pulizie nei propri immobili e uffici e la
conseguente illegittimità della costituzione
della società in house per i servizi di
pulizia da parte dell'azienda sanitaria
locale (articolo ItaliaOggi del 04.06.2010,
pag. 37). |
EDILIZIA PRIVATA:
In generale il potere di
autotutela, esercitabile con riferimento ad
una d.i.a. anche quando sia ormai decorso il
termine di decadenza per l'esercizio dei
poteri inibitori… deve essere opportunamente
coordinato con il principio di certezza dei
rapporti giuridici e di salvaguardia del
legittimo affidamento del privato nei
confronti dell'attività amministrativa.
L’art. 19 l. 241/1990, nel prevedere in
termini generali l’istituto della denunzia
di inizio attività, afferma com’è noto che “l'attività
oggetto della dichiarazione può essere
iniziata decorsi trenta giorni dalla data di
presentazione della dichiarazione
all'amministrazione competente” e che la
stessa “in caso di accertata carenza
delle condizioni, modalità e fatti
legittimanti, nel termine di trenta giorni
dal ricevimento della comunicazione di cui
al comma 2, o, nei casi di cui all’ultimo
periodo del medesimo comma 2, nel termine di
trenta giorni dalla data della presentazione
della dichiarazione, adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell'attività e di rimozione dei suoi
effetti”, salva la possibilità, decorso
il termine suddetto, di agire in autotutela.
In proposito, è ben noto al Collegio
l’orientamento, espresso per tutte da C.d.S.
sez. IV 25.11.2008 n. 5811, e invocato dalla
ricorrente, per cui in generale “il
potere di autotutela, esercitabile con
riferimento ad una d.i.a. anche quando sia
ormai decorso il termine di decadenza per
l'esercizio dei poteri inibitori… deve
essere opportunamente coordinato con il
principio di certezza dei rapporti giuridici
e di salvaguardia del legittimo affidamento
del privato nei confronti dell'attività
amministrativa”.
Tale orientamento, però, presuppone secondo
logica che l’attività sulla quale si va ad
intervenire sia effettivamente quella
oggetto della d.i.a., ritenuta illegittima,
appunto, per mancanza di un qualche
presupposto; viceversa, nessun affidamento
potrebbe sussistere allorquando si
intervenga su una attività diversa e
difforme da quella oggetto della d.i.a.
stessa, che in nessun modo si potrebbe
ritenere legittimata da essa
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 14.05.2010 n. 1767 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un
intervento che crea superficie utile non può
essere annoverato tra quelli di manutenzione
straordinaria in quanto, com’è noto, “la
manutenzione straordinaria non può
comportare aumento di unità immobiliari,
aumento di superfici utili, modifiche della
sagoma o mutamenti di destinazione d’uso”.
Nel caso di realizzazione di uno spianamento
con modifica della pavimentazione del
terreno da vegetale ad inerte, il giudice
amministrativo ha ritenuto non qualificabile
l’intervento come di manutenzione
straordinaria in quanto “gli interventi di
manutenzione straordinaria postulano la
preesistenza di un organismo edilizio già
ultimato ed operativo, di cui si intenda
conservare o rinnovare la funzionalità,
mentre esulano da tale nozione gli
interventi eseguiti su di una nuda area e
non collegati ad una costruzione pregressa.
Un intervento che crea superficie utile non
può essere annoverato tra quelli di
manutenzione straordinaria in quanto, com’è
noto, “la manutenzione straordinaria non
può comportare aumento di unità immobiliari,
aumento di superfici utili, modifiche della
sagoma o mutamenti di destinazione d’uso”
(Cass. pen., sez. III, 26.01.2007, n. 2881).
Infatti, come è stato ribadito di recente, “le
opere edilizie finalizzate ad aumentare la
superficie utile del manufatto e a
modificarne la destinazione non possono
essere qualificate come intervento di
manutenzione straordinaria” (TAR Valle
d’Aosta 11/2010).
In un caso, ancor più in termini, di
realizzazione di uno spianamento con
modifica della pavimentazione del terreno da
vegetale ad inerte, il giudice
amministrativo ha ritenuto non qualificabile
l’intervento come di manutenzione
straordinaria in quanto “gli interventi
di manutenzione straordinaria postulano la
preesistenza di un organismo edilizio già
ultimato ed operativo, di cui si intenda
conservare o rinnovare la funzionalità,
mentre esulano da tale nozione gli
interventi eseguiti su di una nuda area e
non collegati ad una costruzione pregressa:
correlativamente, la circostanza che l'area
della società ricorrente sia stata cosparsa
di materiale inerte, facendosi luogo,
secondo la p.a., ad una modifica della
pavimentazione del terreno (in precedenza,
di tipo vegetale), ma senza interessare,
neppure indirettamente, una struttura
edilizia già in essere (nella specie, non si
ravvisava, in particolare, una relazione di
funzionalità con la baracca ivi
localizzata), esclude la riconducibilità
dell'intervento alla categoria della
manutenzione straordinaria ex art. 3, comma
1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001”
(TAR Parma 49/2009).
Né è possibile far rientrare l’intervento di
realizzazione della piazzola nella categoria
del restauro e risanamento conservativo
perché quest’ultimo presuppone la
realizzazione di opere che lascino
inalterata la struttura dell’edificio e la
distribuzione interna della sua superficie
(TAR Lombardia, Milano, sez. II, 14.05.2007,
n. 3070).
Mentre, per definizione, non può parlarsi di
ristrutturazione edilizia in quanto per
definizione vi è ristrutturazione solo dove
vi è qualcosa di preesistente (TAR Napoli,
VII, 9323/2009: gli interventi di
ristrutturazione edilizia sono rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante
un insieme sistematico di opere che possono
portare ad un organismo edilizio in tutto o
in parte diverso dal precedente), mentre nel
caso in esame l’intervento è stato
realizzato ex novo
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 14.05.2010 n. 1734 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
prima dello scadere dei 30 gg. dalla data di
presentazione della DIA ovvero
se prima dell'intervenuta efficacia della
DIA presentata il Comune adegua gli
oo.uu. vigenti, la DIA presentata sconta
l'intervenuto aumento degli stessi.
La questione centrale, sulla quale si
fondano le ragioni della decisione, va
individuata nel momento dal quale possono
essere applicate le nuove tariffe degli
oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria, stabilite dalla delibera n. 73
del 21.12.2007 del Comune di Milano, in
relazione alla presentazione da parte della
società appellante, in data 21.12.2007 allo
sportello unico per l’edilizia, di una
dichiarazione di inizio di attività per
l’esecuzione di opere di completamento di un
immobile, di sua proprietà, sito in Via dei
Missaglia 89.
La scansione temporale dei fatti può essere
sinteticamente riassunta.
La delibera consiliare di approvazione delle
nuove tariffe è stata adottata nella seduta
del 21.12.2007 ed è divenuta esecutiva in
data 08.01.2008. La DIA della società
ricorrente è stata presentata, completa di
tutti gli allegati e dei conteggi degli
oneri, in data 21.12.2007, e quindi il suo
iter formativo si è concluso allo scadere
del termine di 30 giorni di cui al comma 1
dell’art. 23 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380
ossia dopo l’intervenuta efficacia della
delibera comunale.
Di fronte a detta situazione, il Comune ha
ritenuto di poter applicare le nuove tariffe
a “tutte le denuncie di inizio attività
che acquistano efficacia dopo l’entrata in
vigore della citata deliberazione e quindi
presentate dopo l’08.12.2007” e pertanto
anche alla DIA presentata dalla società
appellante. Al contrario, la Blue Milano
s.r.l. ritiene che il calcolo degli oneri di
urbanizzazione e del costo di costruzione
vada fatto in relazione alla situazione di
diritto esistente al momento della
presentazione della dichiarazione, in forza
del combinato disposto degli artt. 42, 44 e
48 della Legge regionale Lombardia
11.03.2005 n. 12 “Legge per il governo
del territorio”.
In merito a quest’ultima affermazione, la
Sezione ritiene corretta la ricostruzione
operata dal TAR che ha evidenziato
l’irrilevanza delle disposizioni regionali.
Infatti, l’art. 42, commi 2 e 3, in tema di
denuncia di inizio attività, stabilisce che
“Nel caso in cui siano dovuti oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione, il
relativo calcolo è allegato alla denuncia di
inizio attività e il pagamento è effettuato
con le modalità previste dalla vigente
normativa, fatta comunque salva la
possibilità per il comune di richiedere le
eventuali integrazioni. La quota relativa
agli oneri di urbanizzazione è corrisposta
al comune entro trenta giorni successivi
alla presentazione della denuncia di inizio
attività, fatta salva la facoltà di
rateizzazione”.
Si tratta di una disposizione che riguarda
le modalità di adempimento, e non il
perfezionamento della denuncia di attività.
Infatti, se la norma dovesse essere letta
come attributiva di efficacia alla DIA in
raccordo al suo momento di presentazione, si
assisterebbe alla singolare circostanza che
il pagamento sarebbe dovuto anche se, nel
corso del termine di 30 giorni,
l’amministrazione dovesse intervenire con
l’ordine motivato di blocco dei lavori.
L’art. 44, comma 12, in materia di oneri di
urbanizzazione, in merito agli interventi
comportanti modificazioni delle destinazioni
d'uso su edifici esistenti, prevede che “per
quanto attiene all'incidenza degli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria, il
contributo dovuto è commisurato alla
eventuale maggior somma determinata in
relazione alla nuova destinazione rispetto a
quella che sarebbe dovuta per la
destinazione precedente e alla quota dovuta
per le opere relative ad edifici esistenti,
determinata con le modalità di cui ai commi
8 e 9”, e dispone al comma 13 che “L'ammontare
dell'eventuale maggior somma va sempre
riferito ai valori stabiliti dal comune alla
data del rilascio del permesso di costruire,
ovvero di presentazione della denuncia di
inizio attività.”
Si tratta di un caso molto particolare, non
valido nella situazione in scrutinio, e che
non appare irragionevole differenziare dal
regime ordinario di DIA, atteso che il
mutamento di destinazione d’uso è ex lege
oggetto di disciplina regionale.
Infine, l’art. 48, comma 7, sul costo di
costruzione, afferma che “La quota di
contributo relativa al costo di costruzione,
determinata all'atto del rilascio, ovvero
per effetto della presentazione della
denuncia di inizio attività, è corrisposta
in corso d'opera, con le modalità e le
garanzie stabilite dal comune e comunque non
oltre 60 giorni dalla data dichiarata di
ultimazione dei lavori”.
Anche in relazione a tale ultima
disposizione, valgono le considerazioni
sopra espresse sulle conseguenze
irragionevoli che deriverebbero dalla
ricostruzione proposta dall’appellante.
Nessuna delle disposizioni indicate è quindi
destinata ad incidere sulla vicenda in
scrutinio, che deve quindi essere esaminata
solo in rapporto alla disciplina generale,
fondata sul testo unico dell’edilizia.
Proprio in ragione di tale evenienza,
occorre evidenziare che, in disparte
l’annosa questione sulla ricostruzione
dell’istituto, in termini pubblicistici,
come è l’orientamento di questa Sezione, o
in termini privatistici, dove si fa
risaltare l’azione del cittadino, il testo
normativo (art. 23, comma 1, del testo unico
sull’edilizia) permette la realizzazione
delle opere solo allo spirare del termine di
30 giorni.
Poiché i contributi urbanistici sono
collegati alla realizzazione delle opere,
deve convenirsi con la ricostruzione del
giudice di primo grado che vede un nesso tra
l’intervenuta efficacia, data dalla
possibilità effettiva di realizzare
l’intervento, e l’applicazione della
disciplina del calcolo dei costi, che non
può che avvenire in quel momento, in
rispetto di un’ordinaria logica di
corrispettività.
Ciò comporta che fino al momento
dell’attribuzione di efficacia, secondo ed
ultimo momento della realizzazione della
fattispecie precettiva, la vicenda non è
ancora conclusa ed è quindi ancora
possibile, ed anzi doveroso, dare risalto
agli eventi esterni sopravvenuti, quale è il
mutamento dei parametri di calcolo, come qui
esaminato, ma come anche potrebbe essere il
sopraggiungere di una nuova disciplina
urbanistica.
Deve quindi ritenersi corretta
l’interpretazione adottata dal Comune di
Milano nell’atto principalmente gravato, del
quale va quindi confermata la legittimità
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.05.2010 n. 2922 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
tettoia avente carattere di stabilità,
realizzata in aderenza ad un preesistente
fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione
autonoma, oltre a non poter essere
considerata una mera pertinenza, costituisce
un'opera esterna per la cui realizzazione
occorre la concessione edilizia (ora
permesso di costruire).
In considerazione delle caratteristiche del
manufatto, del materiale utilizzato per la
realizzazione, dell'ubicazione e del suo
utilizzo, il Collegio ritiene di poter
confermare quell'indirizzo giurisprudenziale
(cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 08.06.2005,
n. 4655) secondo cui una tettoia avente
carattere di stabilità, realizzata in
aderenza ad un preesistente fabbricato ed
idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a
non poter essere considerata una mera
pertinenza, costituisce un'opera esterna per
la cui realizzazione occorre la concessione
edilizia (ora permesso di costruire).
Alla medesima conclusione si può addivenire
anche tenendo ferma la natura pertinenziale
del manufatto, considerata l'idoneità di
questo ad incidere sull'assetto edilizio
preesistente (cfr. TAR Campania, Napoli,
sez. IV, 16.07.2002, n. 4107 e TAR Sicilia,
Palermo, sez. I, 08.07.2002, n. 1936).
Non può poi sottacersi (non condividendo sul
punto l'opinione della ricorrente) che le
descritte caratteristiche depongano per
ritenere che si tratti di opere nuove che
attuano una trasformazione permanente del
territorio, ciò sia per il materiale
utilizzato per la sua realizzazione (che non
consente un'agevole rimovibilità) che per la
sua localizzazione e per la funzione a cui
risulta adibito (deposito automezzi ed
attrezzi).
Ulteriore elemento che depone a favore della
necessità del previo rilascio del permesso
di costruire è possibile rinvenire nella
definizione di “nuova costruzione”
contenuta nell'art. 3 del DPR n. 380/2001,
ribadita dall'art. 27 della L.R. n. 12/2005.
Ed invero, l'art. 3, comma 1, lett. e.5),
del DPR n. 380/2001 annovera tra gli
interventi di nuova costruzione “l'installazione
di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere, quali
roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, e che non
siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee”.
Ciò posto, la realizzazione dei manufatti in
argomento avrebbe dovuto essere preceduta
dal rilascio del permesso di costruire, la
cui assenza giustifica l'adozione
dell'ordinanza impugnata
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 06.05.2010 n. 713 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non
sussiste l'obbligo di comunicare l'inizio
del procedimento per la diffida a demolire,
in considerazione del carattere vincolato
del provvedimento sanzionatorio.
In relazione a provvedimenti di demolizione
di opere abusive, l'obbligo di motivazione è
da intendere nella sua essenzialità ovvero è
da intendere assolto con l'indicazione dei
meri presupposti di fatto (constatazione
dell'esecuzione di opere edilizie in
difformità del permesso di costruire o in
assenza del medesimo), che poi determinano
l'applicazione dovuta delle misure
ripristinatorie previste (cfr. nei termini
da ultimo TAR Lazio Roma, Sez. I-quater,
16-11-2009, n. 11163) e che, considerando la
natura di atto dovuto e vincolato
dell'ordinanza di demolizione, l'obbligo
della motivazione -inteso nella sua
essenzialità, senza inutili e fuorvianti
formalismi- è sufficientemente assolto con
l'indicazione, anche "per relationem",
dei presupposti di fatto ("id est",
verbali di contravvenzione, individuazione
dettagliata delle opere abusive) attraverso
i quali sia comunque possibile ricostruire
l'"iter" logico seguito
dall'amministrazione ed al giudice, per tale
via, di esercitare il proprio sindacato di
legittimità.
Secondo un
principio giurisprudenziale oramai
consolidato nella materia, “Non sussiste
l'obbligo di comunicare l'inizio del
procedimento per la diffida a demolire, in
considerazione del carattere vincolato del
provvedimento sanzionatorio” (cfr. nei
termini TAR Lazio Roma Sez. II, 08-02-2006,
n. 902).
Peraltro “Non si deve ritenere viziata,
per violazione dell'art. 7 L. n. 241/1990,
l'ordinanza di demolizione, quando essa sia
stata adottata all'esito di un procedimento
innescato dall'istanza di condono delle
opere realizzate senza concessione da parte
ricorrente” (Cons. di Stato, Sez. IV,
12.09.2007, n. 4827).
Comunque, sebbene la disciplina ex comma 2
dell'art. 21-octies, co. 2, della l. n.
241/1990, introdotto dalla legge n. 15/2005,
avendo carattere processuale, è
immediatamente applicabile alle controversie
pendenti (TAR Lazio Roma Sez. I, 06.06.2005,
n. 6358), il provvedimento comunale di
ingiunzione della demolizione delle opere
edilizie abusive, adottato in difetto della
previa comunicazione di avvio del
procedimento ex art. 7 l. n. 241/1990, deve
ritenersi annullabile solo se, per la natura
vincolata dell'atto, non sia palese che il
suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 26.04.2010 n. 8493 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel
caso in cui il mutamento di destinazione
d'uso di un immobile, realizzato attraverso
opere interne, abbia impresso all'immobile
stesso un'effettiva nuova e diversa
destinazione rispetto a quella originaria,
occorre la concessione edilizia.
Gli interventi edilizi effettuati
all’interno dell’immobile di cui trattasi
(consistenti nella demolizione e
ricostruzione di tramezzi, predisposizione
di impianti idrici, elettrici e di
condizionamento e deumidificazione,
nell’esecuzione di opere necessarie alla
coibentazione acustica del locale a piano
terra, nella predisposizione delle opere
necessarie per la costruzione di un soppalco
per il collocamento dell’impianto delle luci
di scena e di amplificazione sonora) hanno
comportato il mutamento di destinazione di
uso dello stesso senza il previo rilascio
del relativo necessario titolo
autorizzatorio e perciò solo erano da
considerarsi legittimamente come opere
edilizie abusive senza concessione edilizia
e pertanto passibili di demolizione.
Secondo
consolidata e condivisa giurisprudenza, nel
caso in cui il mutamento di destinazione
d'uso di un immobile, realizzato attraverso
opere interne, abbia impresso all'immobile
stesso un'effettiva nuova e diversa
destinazione rispetto a quella originaria,
occorre la concessione edilizia (Consiglio
Stato, sez. V, 11.05.2004, n. 2954 e TAR
Campania Napoli, Sez. VI, 17.04.2008, n.
2320).
Nel caso di specie il mutamento di
destinazione di uso si è concretizzato con
la realizzazione di opere edilizie interne
per cui, indipendentemente dal rispetto o
meno degli standards urbanistici, era
necessario il previo rilascio di un titolo
edilizio e, comunque, non rileva la mancata
attuazione in sede regionale dell’ult. co.
dell’art. 25 della L. n. 47/1985, come
invece prospettato in ricorso.
Ai sensi dell’ult. co. della richiamata
norma, rubricata “Semplificazione delle
procedure”, “Le leggi regionali
stabiliscono quali mutamenti, connessi o non
connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso
di immobili o di loro parti, subordinare a
concessione, e quali mutamenti, connessi e
non connessi a trasformazioni fisiche,
dell'uso di immobili o di loro parti siano
subordinati ad autorizzazione”.
Tuttavia la circostanza che la norma statale
di cui all'art. 25, ultimo comma, della L.
n. 47/1985, ammetta espressamente la
possibilità che il mutamento di destinazione
senza trasformazioni fisiche dell'immobile
possa essere subordinato non solo ad
autorizzazione (o a denuncia di inizio di
attività), ma persino a concessione
edilizia, evidenzia il dovere di attribuire
una notevole rilevanza sul piano urbanistico
ai cambiamenti che possono apportarsi alla
utilizzazione degli immobili.
La finalità di tale disciplina, dunque, che
deve essere dettata con legge regionale, può
individuarsi nella esigenza di
individuazione delle differenti ipotesi di
mutamenti di destinazione degli immobili, al
fine precipuo di stabilire quali
provvedimenti debbano essere richiesti nei
singoli casi; ne consegue che la mancanza di
disciplina regionale, non può dirsi tale da
indurre a sostenere che il cambiamento di
destinazione costituisca una attività del
tutto "libera" e priva di vincoli non
potendo comportare, una simile lacuna
legislativa, la vanificazione di ogni
previsione urbanistica che disciplini l'uso
del territorio nel singolo comune; una
diversa soluzione non solo costituirebbe, in
linea di principio, una inammissibile
vulnerazione delle prerogative di autonomia
e responsabilità sul territorio degli enti
locali in parola, ma comporterebbe anche, in
concreto, la violazione di regole generali
finalizzate ad assicurare il corretto ed
ordinato assetto del territorio, con
conseguente inevitabile pericolo di
pregiudizievoli modificazioni degli
equilibri prefigurati dalla strumentazione
urbanistica, come già in precedenza
osservato dalla giurisprudenza (Cons. di
Stato, Sez. IV, 29.05.2008, n. 2561).
In senso contrario a quanto dedotto non vale
il richiamo insistente effettuato da parte
della difesa della società ricorrente alle
recenti statuizioni della Corte di
Cassazione Penale relativamente ai reati
contestati alla stessa in ordine ai lavori
effettuati all’interno dei locali di cui
trattasi; ed infatti è sufficiente rilevare
come, premesso che trattasi di piani
distinti, con le citate decisioni si è
confermata la circostanza che nei locali
siano stati effettuate opere interne (che
non hanno comportato modifiche né alla
sagoma dell’edificio né ai prospetti del
medesimo né, infine, hanno arrecato
pregiudizio alla statica dell’immobile).
Gli interventi edilizi effettuati
all’interno dell’immobile di cui trattasi
(consistenti nella demolizione e
ricostruzione di tramezzi, predisposizione
di impianti idrici, elettrici e di
condizionamento e deumidificazione,
nell’esecuzione di opere necessarie alla
coibentazione acustica del locale a piano
terra, nella predisposizione delle opere
necessarie per la costruzione di un soppalco
per il collocamento dell’impianto delle luci
di scena e di amplificazione sonora) hanno
comportato il mutamento di destinazione di
uso dello stesso (tanto è vero che proprio a
tal fine era stata presentata una istanza di
rilascio della concessione edilizia in
sanatoria ai sensi dell’art. 13 della L. n.
4771985, rigettata dal competente ufficio
con il provvedimento dirigenziale n.
1292/1993, mai impugnato dalla società
ricorrente) senza il previo rilascio del
relativo necessario titolo autorizzatorio e
perciò solo erano da considerarsi
legittimamente come opere edilizie abusive
senza concessione edilizia e pertanto
passibili di demolizione
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 26.04.2010 n. 8493 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
ristrutturazione dell’edificio è tale se ed
in quanto riproduca le precedenti linee
fondamentali per sagoma e volumi; in opposta
prospettiva, la ristrutturazione non
comporta l’alterazione della tipologia
edilizia e della volumetria preesistente.
I fatti di causa sono pacifici: con il
permesso di costruire avente ad oggetto la
ristrutturazione del preesistente manufatto
in muratura si è accorpata l’area di
proiezione e lo spazio relativi ad una
vetusta tettoia in legno aperta ai lati
aggrappata all’edificio e, come documentato
dalle fotografie versate in atti, in stato
fatiscente.
Si è di fatto modificato il manufatto
esistente realizzando un organismo edilizio
diverso dal precedente per volume e sagoma,
integrando gli estremi di una vera e propria
nuova costruzione non riconducibile
concettualmente né tipologicamente alla
categoria giuridica della ristrutturazione
come disciplinata dall’art. 3 d.P.R.
06.06.2001 n. 380 come modificato dall’art.
1 d.Lgs. 27.12.2002 n. 301.
Sebbene la norma non menzioni più il limite
della “fedele ricostruzione”,
nondimeno subordina pur sempre la
qualificazione della ristrutturazione alla
conservazione delle caratteristiche
fondamentali dell’edificio preesistente.
Sicché la ristrutturazione dell’edificio è
tale se ed in quanto riproduca le precedenti
linee fondamentali per sagoma e volumi
(Cons. St., sez. IV, 07.09.2004 n. 5791, Id,
sez. V, 10.02.2004 n. 475); in opposta
prospettiva, la ristrutturazione non
comporta l’alterazione della tipologia
edilizia e della volumetria preesistente
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 11.07.2007 n. 1367 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La destinazione in modo durevole al servizio
od ornamento della cosa principale, che ai
sensi dell’art. 817 c.c. qualifica la
pertinenza, rileva in ambito urbanistico ed
edilizio ai fini dell’uso, non già per
sovvertire il dato materiale-strutturale del
manufatto (preesistente) che per materiali e
tecnica di realizzazione occupi parti
circoscritte e ben individuate di suolo e
volume.
L'entità strutturale della tettoia,
aperta ai lati e realizzata mediante tavole
di legno, non è assimilabile ad una costruzione
mediante l’attribuzione dell’attributo
giuridico del carattere pertinenziale.
La destinazione in modo durevole al servizio
od ornamento della cosa principale, che ai
sensi dell’art. 817 c.c. qualifica la
pertinenza, rileva in ambito urbanistico ed
edilizio ai fini dell’uso, non già per
sovvertire il dato materiale-strutturale
del
manufatto (preesistente) che per materiali e
tecnica di realizzazione occupi parti
circoscritte e ben individuate di suolo e
volume (in termini, da ultimo Cons. St.,
sez. IV, 15.09.2006 n. 5375)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 11.07.2007 n. 1367 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
distanza di 10 metri fra pareti finestrate
vincola con carattere cogente in via
generale ed astratta, in considerazione
delle esigenze collettive connesse ai
bisogni di igiene e sicurezza, anche i
Comuni in sede di formazione e revisione
degli strumenti urbanistici.
L’art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 che prevede la
distanza minima assoluta di 10 metri tra
costruzioni in applicazione dell’art.
41-quinquies l.u. integra con efficacia
precettiva, in forza della norma di legge
appena richiamata, il regime delle distanze
nelle costruzioni.
Sicché la distanza di 10 metri fra pareti
finestrate vincola con carattere cogente in
via generale ed astratta, in considerazione
delle esigenze collettive connesse ai
bisogni di igiene e sicurezza, anche i
Comuni in sede di formazione e revisione
degli strumenti urbanistici (cfr. Cons. St.,
sez. V, 26.10.2006 n. 6399).
Limite minimo integrativo, inoltre, delle
disposizioni previste agli artt. 872 ss c.c.
ritenuto espressione di disciplina d’ordine
pubblico a tutela della salubrità dei luoghi
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 11.07.2007 n. 1367 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L’accesso
ad appunti, pro-memoria, canovacci è
pacificamente riconosciuto dalla
giurisprudenza ove non rimangano relegati
nella sfera interna e privata dell’autorità
che li elabora atteso che in tal caso tali
appunti non confluiscono né negli atti
formalmente precedenti il provvedimento
finale né in quest’ultimo e stante la loro
natura non devono essere conservati né vi è,
logicamente, alcun obbligo di custodia degli
stessi.
Ai fini dell’indagine inerente la detenzione
dei requisiti sostanziali legittimanti
l’accesso agli atti, occorre tenere conto
delle innovazioni apportate alla legge n.
241 del 1990 dalla legge n.15 del 2005;
novella quest’ultima:
1)
che non ritiene più sufficiente (come nel
vecchio Ordinamento) la titolarità di un “interesse
personale e concreto per la tutela di
situazioni giuridicamente rilevanti”
(art. 1 d.P.R. n. 352 del 1992), da “specificare
ed, ove occorra, comprovare” (art. 3
cit. d.P.R.) da parte dell’interessato
all’accesso, prescrivendo, quale ulteriore
qualificazione dell’interesse in argomento,
la sua attualità (oltre che la sua
corrispondenza ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l’accesso);
2)
in forza della quale non appare più
consentito che il titolo legittimante
all’esercizio del diritto strumentale di
accesso consista anche in posizioni di
interesse non attuali (o almeno non
rilevabili con immediatezza) e che possono
concretizzarsi e specificarsi proprio a
seguito ed in forza degli elementi di
conoscenza acquisibili attraverso l’iter
procedimentale previsto dal Legislatore.
L’accesso ad
appunti, pro-memoria, canovacci è
pacificamente riconosciuto dalla
giurisprudenza ove non rimangano relegati
nella sfera interna e privata dell’autorità
che li elabora (cfr., ex multis, Cos.
St., IV, n. 6440 del 2006), atteso che in
tal caso tali appunti (cui, nel caso di
specie, sono equiparabili le videate
richieste dal ricorrente) non confluiscono
né negli atti formalmente precedenti il
provvedimento finale né in quest’ultimo e
stante la loro natura non devono essere
conservati né vi è, logicamente, alcun
obbligo di custodia degli stessi; il che ne
rende impossibile la relativa ostensione
come si verifica nel caso di specie in cui
–come affermato dalla resistente– dei
criteri personali e propri eventualmente
utilizzati dai commissari nella fase
pre-istruttoria non rimane traccia e tutta
la fase collegiale istruttoria si svolge
senza l’ausilio del sistema computerizzato
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis,
sentenza 09.05.2007 n.
4155). |
EDILIZIA PRIVATA:
Perché un intervento possa essere
ricompreso tra quelli di ristrutturazione
edilizia è che la ricostruzione dell’opera
venga effettuata in un tempo ragionevolmente
prossimo a quello della demolizione.
L’art. 3 (definizioni degli interventi
edilizi) del D.P.R. 06.06.2001, n. 380
(recante il testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia
edilizia), alla lettera d), come modificata
dall’art. 1 del D.L.vo 27.12.2002, n. 301,
ricomprende tra gli interventi di
ristrutturazione edilizia <<…gli
interventi rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad
un organismo in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il
ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell’edificio,
l’eliminazione, la modifica e l’inserimento
di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito
degli interventi di ristrutturazione
edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve
le sole innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica>>.
Orbene, anche a voler ritenere che le
previsioni del piano di recupero, che
pervero ricomprende tra gli interventi di
ristrutturazione edilizia quelli che possono
attuarsi anche mediante <<la definizione…
(e non già la demolizione) e la
ricostruzione degli edifici esistenti,
semore secondo la indicazioni del Piano di
Recupero>>, siano integrate da quelle
dettate con la riportata lett. d) dell’art.
3 del D.P.R. n. 380/2001, nondimeno è
necessario, secondo quanto costantemente e
persuasivamente avvertito dalla
giurisprudenza amministrativa (cfr., tra le
altre, Cons. Stato, sez. V, 03.04.2000 n.
1906 e 08.08.2003 n. 4593), perché un
intervento possa essere ricompreso tra
quelli di ristrutturazione edilizia, che la
ricostruzione dell’opera venga effettuata in
un tempo ragionevolmente prossimo a quello
della demolizione.
In altri termini, la demolizione deve essere
effettuata nel contesto di un’attività
volta, sin dall’origine, alla
ristrutturazione del manufatto; sicché deve
escludersi, anche alla luce del tenore
letterale della definizione contenuta nella
più volte citata lett. d) dell’art. 3 del
D.P.R. n. 380/2001, che ricomprende tra gli
interventi di ristrutturazione edilizia
soltanto quelli consistenti <<...nella
demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente>>,
che il concetto di ristrutturazione edilizia
possa estendersi alla rinnovata edificazione
di manufatti da anni inesistenti perché
distrutti o demoliti (TAR Basilicata,
sentenza 22.08.2006 n. 529 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il concetto di ristrutturazione
edilizia di cui all’art. 31, I comma, lett.
d), della L. n. 457/1978 comprende anche la
demolizione seguita dalla fedele
ricostruzione del manufatto, con l’unica
condizione che la riedificazione assicuri la
piena conformità di sagoma, volume e
superficie tra il vecchio ed il nuovo
manufatto.
Ciò comporta che, per effetto della
ristrutturazione, si può pervenire ad un
organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente, purché la diversità
sia dovuta ad elementi comprendenti il
ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell’edificio,
l’eliminazione, la modifica e l’inserimento
di nuovi elementi ed impianti, ma non già la
realizzazione di un manufatto diverso nei
suindicati elementi.
Secondo un indirizzo costante della
giurisprudenza di questo Consiglio, il
concetto di ristrutturazione edilizia di cui
all’art. 31, I comma, lett. d), della L. n.
457/1978 comprende anche la demolizione
seguita dalla fedele ricostruzione del
manufatto, con l’unica condizione che la
riedificazione assicuri la piena conformità
di sagoma, volume e superficie tra il
vecchio ed il nuovo manufatto.
Ciò comporta che, per effetto della
ristrutturazione, si può pervenire ad un
organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente, purché la diversità
sia dovuta ad elementi comprendenti il
ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell’edificio,
l’eliminazione, la modifica e l’inserimento
di nuovi elementi ed impianti, ma non già la
realizzazione di un manufatto diverso nei
suindicati elementi.
Né rileva che il legislatore,
successivamente, ha espunto dal testo di cui
all’art. 3, comma 1, lett. d), del DPR
06.06.2001 n. 380 il termine “fedele”
ed il riferimento ai materiali edilizi in
quanto, anche se per effetto della nuova
normativa la nozione di ristrutturazione è
stata ulteriormente estesa, non per questo
sono venuti meno i limiti che ne
condizionano le caratteristiche e che
consentono di distinguerla dall’intervento
consistente in una nuova costruzione, ossia,
la necessità che la ricostruzione sia
identica per sagoma, volumetria e superficie
al fabbricato demolito (C.S. 4011/2005)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.05.2006 n. 3229 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il solo
rispetto della volumetria nella
ricostruzione non può ritenersi sufficiente
a concretare l’ipotesi della
ristrutturazione edilizia, posto che la
diversità di sagoma prevista evidentemente
esclude la riconduzione dell’intervento
proposto nella fattispecie descritta
dall’art. 3, lett. d), del D.P.R. n.
380/2001.
L’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, codificando
un principio più volte affermato dalla
giurisprudenza amministrativa (Cons. St. IV
Sez. 07/09/2004 n. 5795), ha puntualmente
ricondotto nell’ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia anche “quelli
consistenti nella demolizione e
ricostruzio-ne con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente”.
Ne consegue che
il solo rispetto della volumetria nella
ricostruzione non può ritenersi sufficiente
a concretare l’ipotesi della
ristrutturazione edilizia, posto che la
diversità di sagoma prevista evidentemente
esclude la riconduzione dell’intervento
proposto nella fattispecie descritta
dall’art. 3, lett. d), del D.P.R. n.
380/2001 (ristrutturazione edilizia)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 09.09.2005 n. 4191 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Modifiche
del prospetto, della sagoma e delle
volumetrie dell’edificio concretizzano
interventi esorbitanti dal concetto di
restauro e risanamento conservativo, che,
per pacifico orientamento giurisprudenziale,
non è configurabile nei casi in cui
l’aspetto esteriore e la volumetria del
fabbricato vengano a subire modifiche.
Il restauro e risanamento conservativo è
incompatibile con gli aumenti di volumetria
e le modifiche della sagoma e del prospetto
dell’edificio.
Le opere abusive realizzate hanno
determinato modifiche del prospetto, della
sagoma e delle volumetrie dell’edificio,
concretandosi perciò in interventi
esorbitanti dal concetto di restauro e
risanamento conservativo, che, per pacifico
orientamento giurisprudenziale, non è
configurabile nei casi in cui l’aspetto
esteriore e la volumetria del fabbricato
vengano a subire modifiche (TAR Toscana, II,
14.09.1994 n. 334; TAR Abruzzo–L’Aquila,
01.03.1996, n. 41).
Il restauro e
risanamento conservativo è incompatibile con
gli aumenti di volumetria e le modifiche
della sagoma e del prospetto dell’edificio
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 15.04.2002 n. 838 - link
a www.giustizia-amministrativa.it) |
EDILIZIA PRIVATA: Il
procedimento repressivo degli abusi edilizi,
in quanto integralmente disciplinato dalla
legge speciale e da questa rigidamente
vincolato, non richiede la previa
comunicazione di avvio ai destinatari
dell’atto finale
A fronte degli
interventi di ristrutturazione edilizia
abusiva, l’art. 9 L. 28.02.1985, n. 47
prevede espressamente l’emissione di
un’ingiunzione a demolire, che ha valore di
diffida finalizzata a consentire al
responsabile di provvedere spontaneamente
alla regolarizzazione urbanistica della
costruzione; in caso di inadempienza è poi
prevista, alternativamente, o la demolizione
in danno, ovvero l’applicazione di una
sanzione pecuniaria (TAR Lazio, II,
17.07.1986 n. 1156; TAR Liguria, I,
25.05.2000, n. 636).
Di conseguenza, se anche l’abuso realizzato
dovesse considerarsi come un’ipotesi di
ristrutturazione edilizia, l’ingiunzione a
demolire sarebbe comunque legittima, mentre
viziato potrebbe semmai essere soltanto
l’eventuale atto dichiarativo
dell’acquisizione gratuita.
Questa stessa Sezione, aderendo al costante
orientamento della giurisprudenza, ha
infatti più volte affermato che il
procedimento repressivo degli abusi edilizi,
in quanto integralmente disciplinato dalla
legge speciale e da questa rigidamente
vincolato, non richiede la previa
comunicazione di avvio ai destinatari
dell’atto finale (TAR Puglia–Bari, II,
28.03.1998, n. 349; TAR Toscana, III,
02.11.1998, n. 396; TAR Piemonte, I,
25.02.1999, n. 105; TAR Lazio, II,
26.11.1999, n. 2455; TAR Piemonte, I,
13.06.2001, n. 1302);
L’omessa comunicazione di avvio del
procedimento ex art. 7 L. 07.08.1990, n. 241
non costituisce perciò in alcun modo vizio
dell’impugnata ingiunzione a demolire
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 15.04.2002 n. 838 - link
a www.giustizia-amministrativa.it) |
AGGIORNAMENTO AL 09.06.2010 |
ã |
CONVEGNI |
Bottone "CONVEGNI" è scaricabile il materiale
informativo della giornata di studio
tenutasi a
Bergamo martedì 08.06.2010 e
co-organizzata dal portale PTPL. |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Viviani,
L’attività
edilizia libera di cui al novellato art. 6
del D.P.R. n. 380/2001 (ad opera della Legge
n. 73/2010). |
EDILIZIA PRIVATA: L.
Spallino,
La ristrutturazione edilizia in Lombardia
alla luce della l.r. 7/2010 di
interpretazione autentica dell'art. 27 l.r.
12/2005
(link a www.studiospallino.it). |
APPALTI:
V. Lopilato,
CATEGORIE CONTRATTUALI, CONTRATTI PUBBLICI E
I NUOVI RIMEDI PREVISTI DAL DECRETO
LEGISLATIVO N. 53 DEL 2010 DI ATTUAZIONE
DELLA DIRETTIVA RICORSI (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Partecipazione a gare d’appalto: Le
situazioni di esclusione non si trasmettono
all’impresa cessionaria (link a
www.mediagraphic.it). |
QUESITI &
PARERI |
LAVORI PUBBLICI:
Verifica preliminare di interesse
archeologico per un progetto di scavi
stradali in un Comune privo di aree di
tutela archeologica.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente
in ordine alla necessità di sottoporre
preliminarmente un progetto relativo ad una
attività di scavo per la costruzione di
strade, fognature, acquedotti o altre opere,
al parere della Soprintendenza per i beni
archeologici, indipendentemente
dall’esistenza o meno di un’area di
interesse archeologico.
Il Comune richiedente aggiunge che il Piano
Regolatore Generale Comunale vigente non
individua aree di tutela archeologica nel
territorio comunale.
Vengono inoltre richiamate due norme di
riferimento per la fattispecie in oggetto e
segnatamente: l’art. 95 del D.lgs. 163/2006
–Verifica preventiva dell’interesse
archeologico in sede di progetto
preliminare– e l’art. 28 del D.lgs. 42/2004
–Misure cautelari e preventive- (Regione
Piemonte,
parere n.
41/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ampliamento di un immobile sito
in prossimità di un corso d’acqua.
E’ chiesto parere in merito all’assentibilità
di intervento edilizio consistente
nell’ampliamento di un immobile preesistente
a distanza inferiore a 100 metri da un corso
d’acqua (Regione Piemonte,
parere n.
40/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Congruità dell’inquadramento di
un dipendente con specifiche responsabilità.
Il Comune di (omissis) chiede parere sulla
congruità dell’inquadramento nella posizione
giuridica B3 a dipendente a tempo pieno ed
indeterminato, assunto nella 5^ qualifica
funzionale ed attualmente inquadrato in
categoria B3 (pos. Econ. B6) nell’Area
Anagrafe e Stato Civile cui sono state
attribuite una serie di specifiche
responsabilità (deleghe Ufficiale di
anagrafe e di stato civile, deleghe in
materia di documentazione amministrativa,
nomina a messo notificatore, responsabilità
di istruttoria e del procedimento “area
legale e legislativa servizi amministrativi”).
Chiede inoltre se sia ancor possibile la
progressione verticale stante le vigenti
disposizioni in materia (Regione Piemonte,
parere n.
38/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
D.L. 78/2010: tagli alle spese
per le consulenze nella manovra estiva senza
nulla in cambio
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 07.06.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
D.L. 78/2010: nei fatti la
manovra estiva porta ad un allungamento
dell'età pensionabile
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 07.06.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
D.L. 78/2010: la manovra estiva
taglia migliaia di precari
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 07.06.2010). |
PUBBLICO IMPIEGO:
In attesa di elaborazioni più
approfondite, alcuni primi esempi dei
"tagli" sulla previdenza per i lavoratori
dipendenti del Pubblico Impiego - ALCUNI
ESEMPI A CONFRONTO DOPO IL DECRETO LEGGE
78/2010 MANOVRA FINANZIARIA
(CGIL-LOMBARDIA,
nota
04.06.2010). |
GIURISPRUDENZA |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO - Ordinanza
contingibile e urgente - Adozione -
Presupposto - Tutela di un interesse
generale - Singolo cittadino - Tutela
privatistica in tema di immissioni.
In tema di inquinamento acustico,
presupposto per la misura contingibile è,
tra l’altro, che il pericolo che si intende
fronteggiare minacci un interesse di natura
generale, in qualche modo diffusa, o che
comunque trascende la posizione del singolo
nominativamente individuato cittadino al
quale l'ordinamento offre la tutela
privatistica del codice civile in tema di
immissioni (TAR Toscana, sez. II,
27.12.2000, n. 2695; TAR Campania Napoli,
sez. V, 08.02.2006, n. 1776) (TAR Toscana,
Sez. II,
sentenza 07.06.2010 n. 1704 -
link a www.dirittoambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I Comuni non possono autorizzare
certi tipi di impianti per la produzione di
energia elettrica da fonti rinnovabili (F.E.R.)
caratterizzati da determinate capacità di
generazione, perché -secondo la legge
nazionale- non ne hanno la competenza.
ENERGIA - Impianti alimentati a
fonti rinnovabili - Art. 3, c. 1, L.r.
Molise n. 22/2009 - Competenza
autorizzatoria derogatoria rispetto all’asse
delineato dall’art. 12 d.lgs. n. 387/2003 -
Illegittimità costituzionale.
L’art. 3, comma 1, della legge della Regione
Molise n. 22 del 2009, crea una competenza
autorizzatoria, a favore dei Comuni, per
tipi di impianti caratterizzati da
determinate capacità di generazione,
derogatoria rispetto all’assetto delineato
dal d.lgs. n. 387 del 2003, che all’art. 12
assoggetta la costruzione ed esercizio degli
impianti alimentati da fonti rinnovabili
all’autorizzazione unica delle Regioni (o
delle Province delegate), e ove la capacità
di generazione degli stessi impianti sia
inferiore alle soglie individuate dalla
tabella A dello stesso d.lgs. n. 387 del
2003, ne subordina la costruzione e
l’esercizio alla sola denuncia di inizio
attività (DIA).
L’autorizzazione unica regionale prevista
dal d.lgs. n. 387 del 2003, solo
limitatamente derogabile a favore di
procedure semplificate, concreta una
procedura uniforme mirata a realizzare le
esigenze di tempestività e contenimento dei
termini per la conclusione dei procedimenti
amministrativi inerenti alla costruzione ed
esercizio degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili, che resterebbe vanificata ove
ad essa si abbinasse o sostituisse una
disciplina regionale (ordinanza n. 203 del
2006).
Ulteriore profilo di illegittimità della
norma regionale si rileva nell’aumento della
soglia di potenza per la quale, innalzando
la capacità, dai limiti ben più contenuti di
cui alla tabella A allegata al d.lgs. n. 387
del 2003, a 1 Mw elettrico, la costruzione
dell’impianto risulta subordinata a
procedure semplificate, laddove maggiori
soglie di capacità di generazione e
caratteristiche dei siti di installazione,
per i quali si proceda con diversa
disciplina, possono essere individuate solo
con decreto del Ministro dello sviluppo
economico, di concerto con il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio
e del mare, d’intesa con la Conferenza
unificata, senza che la Regione possa
provvedervi autonomamente (sentenze n. 119 e
n. 124 del 2010) (Corte Costituzionale,
sentenza 04.06.2010 n. 194 - link
a www.dirittoambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il concetto di “nuova
costruzione” di cui all’art. 41-sexies L. n.
1150/1942 comprende il cambio d’uso
implicante aggravio del carico urbanistico.
Sulla scorta di una interpretazione
teleologica dell’art. 41-sexies L.
1150/1942, la giurisprudenza –anche della
Sezione– si é consolidata nel senso di
ritenere che il concetto di “nuova
costruzione” di cui all’art. 41-sexies
L. n. 1150/1942 comprende il cambio d’uso
implicante aggravio del carico urbanistico
(Cons. di St., V, 27.09.2004, n. 6297; id.,
22.06.1998, n. 921; TAR Lombardia, II,
03.03.2006, n. 571; TAR Liguria, I,
11.03.2003, n. 289) (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 03.06.2010 n. 3943 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel rilascio del titolo
abilitativo a costruire, il comune è tenuto
a verificare
non soltanto il rispetto della quantità
delle aree da asservire a parcheggio privato
nella misura proporzionale stabilita dalla
legge ma, altresì, la loro concreta idoneità
a soddisfare le esigenze basilari
dell'ordinata convivenza perseguite dalla
disciplina urbanistica.
Se
in linea di principio è possibile che siano
vincolate a parcheggio anche aree esterne al
fabbricato, è comunque necessario che esse
siano prossime a questo e comunque poste ad
una distanza tale da non vanificare il nesso
di funzionalità rispetto all’edificio
principale, nesso che –diversamente–
resterebbe affidato soltanto ad un
adempimento di carattere meramente formale
(la stipulazione di un atto di
asservimento), totalmente avulso dalle
caratteristiche oggettive dei beni.
In vista del
rilascio del titolo edilizio,
l’amministrazione comunale è tenuta a
verificare non soltanto il rispetto della
quantità delle aree da asservire a
parcheggio privato nella misura
proporzionale stabilita dalla legge ma,
altresì, la loro concreta idoneità a
soddisfare le esigenze basilari
dell'ordinata convivenza perseguite dalla
disciplina urbanistica.
In proposito, l’art. 41-sexies L. 1150/1942
prescrive che gli spazi a parcheggio siano
reperiti “nelle aree di pertinenza”
delle nuove costruzioni.
Orbene, è noto che la nozione di pertinenza
urbanistica ha peculiarità sue proprie, che
la differenziano da quella civilistica,
comportando l’esistenza di un nesso di
funzionalità rispetto all'edificio
principale, apprezzabile su di un piano
oggettivo, a prescindere dalla soggettiva
destinazione impressa dal proprietario.
Se in linea di principio ciò non impedisce
che siano vincolate a parcheggio anche aree
esterne al fabbricato, è comunque necessario
che esse siano prossime a questo e comunque
poste ad una distanza tale da non vanificare
il nesso di funzionalità rispetto
all’edificio principale, nesso che
–diversamente– resterebbe affidato soltanto
ad un adempimento di carattere meramente
formale (la stipulazione di un atto di
asservimento), totalmente avulso dalle
caratteristiche oggettive dei beni.
Nel caso di specie, la notevole distanza
delle aree vincolate a parcheggio
pertinenziale rispetto ai locali oggetto di
ristrutturazione le rende concretamente non
fruibili in funzione dello scopo sotteso
alla norma di legge, che è quello di evitare
la sosta di auto sulle strade pubbliche
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 03.06.2010 n. 3943 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Rimozione, recupero e
smaltimento - Ordinanza - Destinatari -
Trasgressori del divieto - Proprietario -
Responsabilità solidale - Dolo o colpa -
Specifica indicazione.
Gli obblighi relativi alla rimozione, al
recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed
al ripristino dello stato dei luoghi possono
essere legittimamente imposti dal Sindaco
unicamente ai soggetti trasgressori del
divieto di abbandono o di deposito dei
rifiuti.
Il proprietario dell’area interessata può
essere chiamato in causa, in modo solidale,
soltanto se la violazione sia imputabile
anche a lui “a titolo di dolo o di colpa”.
Ne consegue che, qualora l’ordinanza del
Sindaco chiami il proprietario ad effettuare
tali interventi, deve essere specificato il
titolo di responsabilità, dolosa o colposa,
di costui, insieme alla ricostruzione dei
fatti e delle deduzioni di ordine logico che
conducono a ritenere che effettivamente il
proprietario si sia reso responsabile delle
violazioni (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 28.05.2010 n. 2699 -
link a www.dirittoambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Bonifica - Art. 17
d.lgs. n. 22/1997 - Situazioni di inquinamento
verificatesi anteriormente all'entrata in
vigore del d.m. n. 471/1999 - Applicabilità.
La normativa in materia di bonifiche di cui
all'art. 17 d.lg. 05.02.1997 n. 22 è
applicabile a qualunque situazione di
inquinamento ancora in atto al momento
dell'entrata in vigore del decreto
legislativo, indipendentemente dal momento
in cui sono avvenuti i fatti che hanno
provocato l'inquinamento e anche in
situazioni verificatesi in epoca anteriore
all'emanazione del regolamento di cui al
d.m. 471 del 1999 (Cons. St., sez. VI,
09/10/2007, n. 5283).
INQUINAMENTO - Obbligo di
bonifica - Art. 17 d.lgs. n. 22/1997 -
Autore dell'inquinamento - Proprietario
incolpevole.
L'art. 17, c. 2, del d.lgs. n. 22/1997
individua dal punto di vista soggettivo
nella responsabilità dell'autore
dell'inquinamento, a titolo di dolo o di
colpa, la fonte dell'obbligo a provvedere
alla messa in sicurezza e all'eventuale
bonifica del sito inquinato, con conseguente
mancanza di responsabilità, e quindi di
obbligo a bonificare o di mettere in
sicurezza, del proprietario incolpevole
(cfr. TAR Toscana, sez. II, 17/04/2009 n.
665; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I,
20/10/2009 n. 1118).
INQUINAMENTO - Ordinanza
contingibile e urgente ex art. 13 d.lgs. n.
22/1997 - Preclusione in ragione
dell'esistenza di apposita disciplina -
Inconfigurabilità.
L'esistenza di un’apposita disciplina non
preclude al Sindaco l’esercizio del potere
di ordinanza contingibile ed urgente ex art.
13 d.lgs. n. 22/1997 quando la necessità di
provvedere con efficacia ed immediatezza a
tutela del bene pubblico sia tanto urgente
da non consentire il tempestivo utilizzo dei
rimedi ordinari offerti dall’ordinamento.
INQUINAMENTO - Imposizione
dell'onere reale - Preventivo accertamento
della responsabilità del proprietario -
Necessità - Esclusione.
L’imposizione dell’onere reale, così come
delineata dall'art. 17 del d.lgs. n.
22/1997, non è subordinata all’accertamento
della responsabilità del proprietario che,
anche se incolpevole, qualora il
responsabile non si attivi o non sia
identificabile, finisce “comunque per
essere il soggetto definitivamente gravato”
(TAR Friuli-Venezia Giulia 27/07/2001 n.
488).
INQUINAMENTO - Proprietario
estraneo all'inquinamento - Esecuzione degli
interventi di bonifica - Onere - Evizione
del bene.
Per il proprietario estraneo
all'inquinamento, l'esecuzione degli
interventi di bonifica prescritti
dall'amministrazione è un vero e proprio
onere, finalizzato a rimuovere il
pregiudizio costituito dall'onere reale e
dal connesso privilegio immobiliare gravante
sul bene: l'evizione del bene che il
proprietario può di fatto subire a causa
dell'inerzia dell'inquinatore non
costituisce, però, una sanzione per non aver
bonificato il sito, ma una conseguenza
dell'attività di ripristino ambientale
realizzata dall'Ente pubblico nell'interesse
della collettività, tramite un meccanismo
che presenta similitudini più con
l'esproprio che con il risarcimento del
danno ambientale (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 28.05.2010 n. 2697 -
link a www.dirittoambiente.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: La
nomina della commissione esaminatrice (di
pubblico concorso) non ha natura di atto
d’indirizzo e rientra nelle competenze
dell’apparato burocratico dell’Ente locale.
Nella pronuncia in rassegna si dibatteva
sulla illegittimità della nomina della
commissione di concorso da parte della
Giunta comunale, organo politico, anziché da
parte del dirigente, organo burocratico; a
riguardo i giudici del Tribunale
Amministrativo di Cagliari riprendono le
osservazioni di una loro decisione
contenente un’identica questione giuridica.
Spiegano, pertanto, che la legge 142/1990 ha
per la prima volta introdotto nel nostro
ordinamento un vero e proprio spartiacque
tra sfera politica e sfera gestionale,
divenuto poi punto fermo della legislazione
successiva (D.lgs. 29/1993), che si è
caratterizzata per una volontà ancora più
precisa di sostituire il presupposto
gerarchico, quale chiave di volta
dell’organizzazione burocratica dell’ente
locale, con il principio della cooperazione
tra due distinti apparati, politico e
tecnico-gestionale.
Infatti l’art. 51 della L. 142/1990 prima e
poi l’art. 107 del D.lgs. 30.03.2001, n. 165
(T.U.EE.LL.) che lo assorbe in parte,
conferma e addirittura rafforza il principio
secondo cui i poteri di indirizzo e di
controllo politico–amministrativo spettano
agli organi di governo, mentre la gestione
amministrativa, finanziaria, tecnica è
attribuita ai dirigenti (compresa la
responsabilità delle procedure di
concorso,art. 107 c. 3. T.U.) e da essi
esercitata mediante autonomi poteri di
spesa, organizzazione risorse umane,
strumentali e di controllo.
In quest’ottica va considerata la potestà
regolamentare attribuita alle
amministrazioni dall’art. 27, comma 1,
D.lgs. 30.03.2001 n. 165, che sostituisce
l’art 27-bis del D.lgs. 03.02.1993 n. 29,
aggiunto dall’art. 17 del D.lgs. 31.03.1998
n. 80. Essa è, infatti, finalizzata a
stabilire il modo di esercizio delle
funzioni, mentre la fonte primaria individua
la titolarità delle funzioni, coperta da
specifica riserva di legge.
La nomina della commissione esaminatrice non
ha natura di atto d’indirizzo e rientra
nelle competenze dell’apparato burocratico,
mentre nel caso in esame è stato
illegittimamente attribuito dal regolamento
comunale dei concorsi all’organo politico,
la Giunta comunale.
Diverso sarebbe stato se il Comune in causa
avesse applicato l’art. 53, c. 23, della L
n. 388/2000 (finanziaria 2001) che prevede
la possibilità per gli enti locali con
popolazione inferiore ai 3000 abitanti, che
riscontrino e dimostrino la mancanza non
rimediabile di figure professionali idonee
nell’ambito dei dipendenti, ai fini del
contenimento di spesa, di adottare
disposizioni regolamentari organizzative a
carattere derogativo rispetto al riparto di
competenze precisato dall’art. 107 T.U.
(comma 5) “attribuendo ai componenti
dell'organo esecutivo la responsabilità
degli uffici e dei servizi ed il potere di
adottare atti anche di natura tecnica
gestionale” Solo in tal caso si potrebbe
ammettere l’attribuzione ai membri della
Giunta comunale della competenza ad adottare
atti di natura tecnico–gestionale
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 28.05.2010 n.
1396 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
La mancanza, al momento della
notifica del ricorso, di un atto applicativo
del P.P.R., rende inammissibile la sua
impugnazione.
La domanda di annullamento del Piano
Paesaggistico Regionale proposta con il
ricorso introduttivo deve essere dichiarata
inammissibile.
Come affermato dalla Sezione con la sentenza
n. 1811 dell’08.10.2007, le disposizioni del
PPR, aventi carattere generale, possono
essere impugnate solo a seguito
dell’emanazione di un provvedimento
applicativo, quali un diniego di concessione
edilizia o di autorizzazione paesaggistica.
La mancanza, al momento della notifica del
ricorso, di un atto applicativo del PPR,
rende inammissibile la sua impugnazione (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 28.05.2010 n. 1392 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La modifica dell’assetto del
territorio non richiede la concessione
edilizia solo quando sia di minima entità
ovvero di carattere precario.
La modifica dell’assetto del territorio non
richiede la concessione edilizia solo quando
sia di minima entità ovvero di carattere
precario, così intendendosi le opere,
agevolmente rimuovibili, funzionali a
soddisfare una esigenza oggettivamente
temporanea (es. baracca o pista di cantiere,
manufatto per una manifestazione…) destinata
a cessare dopo il tempo, normalmente non
lungo, entro cui si realizza l’interesse
finale (cfr. TAR Sardegna, sez. II,
12.2.2010 n. 158) (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 28.05.2010 n. 1391 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di diffida a non
eseguire i lavori oggetto di dichiarazione
di inizio di attività non occorre la
preventiva comunicazione degli elementi
ostativi ex art. 10-bis L. 241/1990.
La comunicazione dei motivi ostativi
all'accoglimento della domanda prevista
dall'art. 10-bis l. 07.08.1990 n. 241,
introdotto dalla l. 11.02.2005 n. 15, non è
necessaria nel caso di diffida a non
eseguire i lavori oggetto di dichiarazione
di inizio di attività (Consiglio Stato, sez.
IV, 12.09.2007, n. 4828; TAR Lombardia
Milano, sez. IV, 26.11.2008, n. 5651) (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 28.05.2010 n. 1391 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità dell'avviso di
gara nella parte in cui prevede l'esclusione
dei concorrenti che si trovino in causa con
l'Ente appaltante.
E' illegittima la clausola dell'avviso di
gara con la quale venga comminata
l'esclusione nei confronti dei concorrenti
che abbiano in corso con l'Ente appaltante
contestazioni per altri contratti dello
stesso genere, o che si trovino comunque in
causa con l'Ente, ciò in quanto la stessa si
pone in contrasto con l'art. 24 cost., che
riconosce la piena tutela in giudizio dei
diritti ed interessi, nonché con i principi
di iniziativa economica e libertà d'impresa
garantiti dall'art. 41cost..
Peraltro, la clausola vìola il principio di
più ampia partecipazione agli appalti
pubblici, applicabile anche nell'ambito dei
contratti attivi come nel caso di specie,
riducendo l'effettiva concorrenza fra le
imprese del settore, senza che a ciò faccia
riscontro una vera tutela di un interesse
pubblico.
Infatti la semplice esistenza d'un
contenzioso in atto non è d'inaffidabilità
dell'impresa, potendosi la controversia
risolvere a favore della stessa; pertanto,
la suddetta clausola sanzionatoria non
conduce a una selezione qualitativa dei
partecipanti, ma solo ad un'evidente
finalità di penalizzazione (TAR Basilicata,
sentenza 28.05.2010 n. 325 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: CLAUSOLE
RESTRITTIVE DELLA CONCORRENZA E REVOCA
DELL'AGGIUDICAZIONE.
1.- Appalto di servizi -
Bando - Affidamento a privati di impianti
sportivi - Clausola limitativa ai
partecipanti con sede nel comune appaltante
- Illegittimità - Ragioni - Invocabilità
dell'art. 90, co. 25, L. n. 289/2002 - Non
sussiste.
1.- E' illegittima la clausola di un bando
per l'affidamento di impianti sportivi che
limiti la partecipazione alla gara ai soli
soggetti con sede del territorio comunale.
Ed infatti, se è vero che l'individuazione
dei criteri di accesso alle procedure
selettive rientra di norma nella sfera
discrezionale dell'amministrazione, è vero
anche che la clausola che restringe il
novero dei possibili concorrenti alle sole
associazioni sportive aventi sede sul
territorio comunale si presenta
irragionevole e discriminatoria, violando i
principi di imparzialità, parità di
trattamento e di massima partecipazione. Non
vale, in contrario, sostenere che solo le
associazioni presenti sul territorio
comunale avrebbero avuto interesse alla
gestione dell'impianto, dovendosi in
contrario osservare che spetta soltanto ai
potenziali concorrenti valutare la
convenienza di partecipare o meno alla gara.
Neppure l'art. 90 co. 25, L. 27.12.2002 n.
289, che concerne l'affidamento della
gestione degli impianti sportivi a società,
associazioni ed enti privati qualora l'ente
territoriale non intenda procedervi
direttamente, fa menzione alcuna di
associazioni sportive a base territoriale
per fondarne un privilegio nell'affidamento
degli impianti in questione; tale legge,
invero, menziona le società e le
associazioni sportive dilettantistiche con
sede locale soltanto nel successivo comma 26
e soltanto al fine di stabilire che le
palestre, le aree di gioco e gli impianti
sportivi scolastici devono essere posti a
disposizione (compatibilmente con taluni
limiti) di società e associazioni sportive
dilettantistiche aventi sede nel medesimo
comune in cui ha sede l'istituto scolastico
ovvero, vi si aggiunge, in comuni confinanti
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 27.05.2010 n. 9742
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un concorrente che abbia omesso di
indicare il nominativo del proprio Direttore
tecnico, nonché di allegare le relative
dichiarazioni.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un'impresa che, nell'ambito di
una procedura per l'affidamento del servizio
di igiene ambientale, abbia omesso di
indicare il nominativo del proprio direttore
tecnico, ciò in quanto, ai sensi dell'art.
26 del d.P.R. n. 34/2000, è fatto obbligo,
anche alle imprese partecipanti ad un
appalto di servizi, come nel caso di specie,
di munirsi, in aggiunta al responsabile
tecnico, di un direttore dei lavori, a cui
competono, ai sensi del primo comma dello
stesso articolo, gli adempimenti di
carattere tecnico ed organizzativo necessari
nella successiva fase deputata
all'esecuzione dei lavori (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 26.05.2010 n. 3364 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: ORDINANZA
SINDACALE DI RIMOZIONE RIFIUTI E AVVIO DEL
PROCEDIMENTO.
1. Ambiente - Rifiuti -
Smaltimento - Ordinanza per le operazioni di
smaltimento - Obbligo di comunicazione
dell'avvio del procedimento - Necessità
-Ragioni.
2. Ambiente - Rifiuti - Smaltimento -
Ordinanza sulle operazioni di smaltimento -
Competenza del Sindaco - Sussistenza -
Ragioni.
1. L'acquisizione dell'apporto
procedimentale dei destinatari
dell'ordinanza avente ad oggetto le
operazioni necessarie alla rimozione ed allo
smaltimento dei rifiuti, di per sé
necessaria in applicazione dell'art. 7, L.
07.08.1990 n. 241, assume un'importanza
ancora maggiore ai sensi dell'art. 192, co.
3, D.Lgs. 03.04.2006 n. 152, il quale
dispone che l'ordinanza di rimozione debba
essere preceduta da un accertamento da parte
dei soggetti preposti al controllo da
svolgersi in contraddittorio con gli
interessati (Cons. Stato, sez. V,
25-08-2008; TAR Emilia Romagna Parma, sez.
I, 31-01-2008 n. 64).
2. L'articolo 192, co. 3, del D.Lgs.
03.04.2006 n. 152, è norma speciale
sopravvenuta rispetto all'art. 107, co. 5,
del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, ed attribuisce
espressamente al Sindaco la competenza a
disporre con ordinanza le operazioni
necessarie alla rimozione ed allo
smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il
criterio della specialità e per quello
cronologico sul disposto del testo unico
degli enti locali (TAR Veneto, sez. III,
20-10-2009 n. 2623; TAR Veneto, sez. III,
29-09-2009 n. 2454; Cons. Stato, sez. V,
25-08-2008 n. 4061; TAR Veneto, sez. III,
14-01-2009 n. 40)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 26.05.2010 n. 2210
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le stazioni appaltanti non
possono richiedere ai concorrenti
un'attestazione di buon esito dei lavori a
prova della loro capacità tecnica.
Sull'illegittimità della richiesta del
fatturato globale al netto degli oneri
fiscali, a riprova della capacità
economico-finanziaria dei concorrenti.
Sull'impossibilità di richiedere ai mandanti
delle ATI di progettazione una percentuale
di possesso dei requisiti minimi.
E' illegittima la richiesta di una stazione
appaltante ai concorrenti di certificare, a
prova della loro capacità tecnica, che i
servizi portati a riprova del requisito in
questione siano stati svolti anche in modo
soddisfacente, in quanto alcuni incarichi
svolti afferiscono ad opere in corso di
esecuzione e pertanto non è possibile
documentare che l'incarico di progettazione
relativo a dette opere sia stato svolto in
modo soddisfacente.
Peraltro, nel d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei
contratti), non è stata riproposta la norma
che nel pregresso ordinamento degli appalti
pubblici imponeva la certificazione
dell'avvenuta esecuzione "a regola d'arte
e con buon esito". Inoltre, in nessuna
parte dell'art. 42 è prevista la
possibilità, per la stazione appaltante, di
richiedere anche l'attestazione, che i
servizi siano stati svolti a regola d'arte o
con buon esito; lo stesso l'art. 13 del
d.lgs. 17.03.1995 in materia di appalti di
servizi non abilitava l'amministrazione a
richiedere ai concorrenti la suddetta
certificazione.
E' illegittima la richiesta dell'indicazione
del fatturato globale al netto degli oneri
fiscali a riprova della capacità economica
dei concorrenti, in quanto ciò non trova
supporto nel dettato di cui all'art. 41 del
d.lgs. n. 163/2006, come sostituito dal
terzo correttivo recato con il d.lgs. n.
152/2008.
La norma stabilisce, infatti, che la prova
della capacità economico-finanziaria può
esser fornita mediante uno o più dei
documenti menzionati nelle lettere di cui si
compone la disposizione e alla lettera c)
figura una "dichiarazione, sottoscritta
in conformità alle disposizioni del decreto
del Presidente della Repubblica 28.12.2000,
n. 445, concernente il fatturato globale
d'impresa e l'importo relativo ai servizi o
forniture nel settore oggetto della gara,
realizzati negli ultimi tre esercizi".
Peraltro, una simile richiesta si
risolverebbe in un onere aggiuntivo, che
vìola il principio di massima partecipazione
alla gara, costringendo i concorrenti ad
risalire al quantum del prelievo fiscale che
ha colpito il fatturato negli anni di
riferimento utili per la competizione ed
anche anno per anno.
E' illegittima, per contrasto con la
disposizione di cui all'art. 65, c. 4,
ultima alinea del D.P.R. n. 554/1999 in
forza del quale ai mandanti "non possono
essere richiesti percentuali di possesso dei
requisiti minimi", la determinazione di
esclusione da una gara per l'affidamento di
servizi di architettura ed ingegneria, di un
raggruppamento di professionisti per non
avere ciascuno dei mandanti, comprovato di
possedere una data percentuale dei requisiti
minimi, essendo, a monte, illegittime quelle
prescrizioni della legge di gara che
impongano, come nella specie, a ciascuno di
essi il possesso di una percentuale di
requisiti minimi (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 21.05.2010 n. 2424 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'aggiudicazione di una gara ad un
concorrente al quale la stazione appaltante
abbia concesso un ulteriore ampio termine
per produrre successive giustificazioni in
ordine alla propria offerta.
E' legittimo il provvedimento di
aggiudicazione adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un'impresa che,
nel corso del provvedimento di verifica,
abbia beneficiato di un lasso temporale
ampio per produrre ulteriori giustificazioni
relative alle proprie offerte, ciò in
quanto, l'art. 88 del d.lgs n. 163/2006
(Codice dei contratti), non stabilisce, in
maniera vincolante, il numero dei
chiarimenti che possono essere richiesti,
pertanto l'accertamento della congruità
dell'offerta può svolgersi in più riprese ed
attraverso una serie indefinita di
integrazioni.
Quanto detto è conforme agli orientamenti
giurisprudenziali espressi in sede
comunitaria, secondo i quali il concorrente
deve poter far valere, in contraddittorio,
il proprio punto di vista su ciascuno dei
vari elementi di prezzo proposti, prima
ancora che l'amministrazione respinga
un'offerta ritenuta anormalmente bassa.
Il procedimento di verifica di anomalia è
improntato alla massima collaborazione tra
stazione appaltante e offerente, onde
consentire all'amministrazione di
raggiungere un risultato comunque
affidabile, lasciando, tuttavia, alla stessa
ampia discrezionalità nel circoscrivere i
termini in relazione all'oggetto
dell'appalto ed alla natura delle
prestazioni.
Tale impostazione è dettata nel rispetto
della par condicio di tutti i concorrenti e
a garanzia del pubblico interesse,
assicurando, pertanto, la definizione della
gara in termini rapidi e certi (TAR
Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 20.05.2010 n. 12518 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: AVVIO
DEL PROCEDIMENTO COMUNICATO IN VIA DI FATTO:
EQUIVALE A COMUNICAZIONE FORMALE?
1. Procedimento
amministrativo - Avvio - Comunicazione -
Necessità - Non sussiste - Ipotesi -
Ragioni.
1. Non sussiste violazione dell'art. 7 L.
241/1990, sull'obbligo di comunicazione
dell'avvio del procedimento, nel caso in cui
un atto di diffida dell'amministrazione sia
preceduto da un sopralluogo effettuato in
presenza dell'interessato, il quale viene
così edotto dalla situazione; in questo
caso, di provvedimento esecutivo preceduto
dalla diffida, un ulteriore avviso di inizio
di procedimento non può aggiungere elementi
di conoscenza.
Si rammenta, infatti, come tutti i requisiti
formali contemplati dall'art. 8 L. 241/1990
per l'avviso di inizio di procedimento non
siano ritenuti imprescindibili dal
prevalente orientamento giurisprudenziale,
essendo sufficiente che l'Amministrazione
abbia svolto una previa attività informativa
sostanzialmente equipollente (ex multis,
TAR Veneto Venezia, 04-12-2009 n. 3460)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 18.05.2010 n. 2043
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il termine iniziale
dell'interdizione annuale dalle gare per chi
abbia reso false dichiarazioni ai sensi
dell'art. 38, c. 1, lett. h), d.lgs. n. 163
del 2006 decorre dalla data di iscrizione
nel casellario AVCP delle notizie
concernenti le false dichiarazioni.
In ordine all’individuazione del termine
iniziale dell’interdizione annuale dalle
gare per chi abbia reso false dichiarazioni
ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. h),
d.lgs. nr. 163 del 2006, la Sezione IV del
Consiglio di Stato reputa che l’orientamento
più volte ribadito dall’Autorità (secondo
cui gli effetti dell’interdizione annuale
decorrono dalla data di iscrizione nel
casellario delle notizie concernenti le
false dichiarazioni, quale unico riferimento
temporale certo e non contestabile) appaia
maggiormente in linea con le richiamate
esigenze di certezza e stabilità dei
rapporti giuridici, e che per converso non
possa assumere rilievo decisivo lo
spatium temporis eventualmente
intercorrente tra il momento storico della
falsa dichiarazione e quello dell’iscrizione
nel Casellario (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.05.2010 n. 3125 -
link a www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
La convenzione
può prevedere impegni patrimoniali più
onerosi per i privati rispetto a quelli
stabiliti in via generale dalla tabella
degli oneri di urbanizzazione primaria,
trattandosi di materia nella piena
disponibilità delle parti.
Ad oggi l’affidamento diretto al titolare
del permesso di costruire della
realizzazione di opere di urbanizzazione a
scomputo dei relativi oneri può ancora
ritenersi ammissibile quando ricorrano due
condizioni necessariamente cumulative,
ovvero:
(a) se l’importo dei lavori sia
particolarmente modesto (mancando una
precisa clausola de minimis potrebbe essere
utilizzata come riferimento la soglia di €
100.000, che autorizza sempre la procedura
negoziata ex art. 122 comma 7 del Dlgs.
163/2006);
(b) se le esigenze di urbanizzazione siano
limitate al semplice insediamento
individuale di un edificio.
È vero che la
sede più adeguata per la previsione di opere
di urbanizzazione al servizio di un’intera
zona è la convenzione di lottizzazione, nel
cui ambito è possibile prevedere che i
lottizzanti si facciano carico anche
dell’urbanizzazione di aree estranee alla
lottizzazione. Tuttavia particolari accordi
con l’amministrazione possono essere
collegati anche ai permessi di costruire
singoli (v. TAR Brescia 13.07.2005 n. 749;
TAR Brescia 16.05.2006 n. 567; TAR Brescia
26.11.2008 n. 1691).
La convenzione può prevedere impegni
patrimoniali più onerosi per i privati
rispetto a quelli stabiliti in via generale
dalla tabella degli oneri di urbanizzazione
primaria, trattandosi di materia nella piena
disponibilità delle parti (v. CS Sez. IV
28.07.2005 n. 4015).
Naturalmente la pretesa dell’amministrazione
di condizionare l’intervento edilizio alla
realizzazione di specifiche opere di
urbanizzazione incontra delle limitazioni.
In particolare:
(a) deve trattarsi di opere necessarie per
dotare la zona di servizi non rinunciabili
secondo canoni urbanistici moderni;
(b) l’onere economico deve essere ripartito
tra il privato e l’amministrazione in misura
proporzionale al rispettivo interesse.
Non esiste un’unità di misura dell’interesse
che si adatti a tutte le situazioni.
Costituiscono parametri idonei il numero
delle abitazioni che possono allacciarsi ai
nuovi servizi e le dimensioni delle stesse
con il relativo peso insediativo (v. TAR
Brescia 19.12.2007 n. 1362).
Nel caso delle infrastrutture del servizio
idrico integrato il peso insediativo può
essere misurato attraverso il volume degli
edifici che beneficeranno degli estendimenti
della rete.
Con il terzo motivo di ricorso viene in
rilievo un altro aspetto del problema delle
urbanizzazioni, ossia il divieto legislativo
di origine comunitaria di affidare al
titolare del permesso di costruire (o al
presentatore della DIA) l’esecuzione di
opere pubbliche al di fuori di una procedura
a evidenza pubblica. Per i lavori sotto
soglia l’art. 122, comma 8, del Dlgs.
163/2006 prevede quantomeno una procedura
negoziata con invito rivolto a cinque
aspiranti idonei.
La tesi è in gran parte condivisibile ma
sostanzialmente inutile per i fini che la
ricorrente intende perseguire in questo
giudizio.
Occorre precisare che l’affidamento diretto
al titolare del permesso di costruire della
realizzazione di opere di urbanizzazione a
scomputo dei relativi oneri può ancora
ritenersi ammissibile quando ricorrano due
condizioni necessariamente cumulative,
ovvero:
(a) se l’importo dei lavori sia
particolarmente modesto (mancando una
precisa clausola de minimis potrebbe
essere utilizzata come riferimento la soglia
di € 100.000, che autorizza sempre la
procedura negoziata ex art. 122 comma 7 del
Dlgs. 163/2006);
(b) se le esigenze di urbanizzazione siano
limitate al semplice insediamento
individuale di un edificio (argomento
desumibile da C. Giust. Sez. VI 12.07.2001
C-399/98, punto 67, che ravvisa la presenza
di lavori pubblici quando l’opera soddisfi
esigenze ulteriori rispetto a quelle
strettamente collegate all’inserimento
dell’edificio del privato).
Nel caso in esame le due condizioni
sussistono per i parcheggi e il marciapiede
(tenuto conto dei costi stimati nel ricorso
e del fatto che si tratta di tipologie di
opere di interesse pubblico ormai
normalmente collegate alla realizzazione di
nuovi edifici), mentre per quel che riguarda
gli estendimenti della rete del servizio
idrico integrato ricorre la prima condizione
ma non la seconda, in quanto l’interesse
principale, almeno sotto il profilo
quantitativo, è delle abitazioni esistenti
che potranno allacciarsi, e quindi in
definitiva del Comune.
Di conseguenza, il Comune non può
subordinare l’intervento edilizio
all’assunzione da parte della ricorrente
dell’impegno a realizzare gli estendimenti
della rete del servizio idrico integrato.
Questo significa che le relative opere
dovranno essere realizzate dal Comune o dal
gestore del servizio, prima dell’inizio dei
lavori relativi all’edificio residenziale o
in contemporanea se sarà concluso un accordo
in questo senso.
Il Comune può invece imporre la ripartizione
della spesa sostenuta per i suddetti
estendimenti
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 14.05.2010 n. 1739 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
L'assenso dell'Autorità comunale
al piano di lottizzazione non è atto dovuto
pur se conforme al piano regolatore
generale.
Se per costante giurisprudenza l'assenso
dell'Autorità comunale al piano di
lottizzazione non è atto dovuto pur se
conforme al piano regolatore generale, esso
“è pur sempre espressione del potere
discrezionale della stessa circa
l'opportunità di dare attuazione alle
previsioni dello strumento urbanistico
generale”, e di conseguenza deve essere
motivato per contrasto con norme di legge,
regolamento o dello stesso strumento
urbanistico (TAR Calabria Catanzaro, sez. I,
28.01.2008, n. 84), tanto più che “in
sede di rilascio del provvedimento
abilitativo l'amministrazione non ha il
potere di introdurre limiti alle facoltà
edificatorie dei privati, ulteriori rispetto
a quelli di fonte legale o pianificatoria”
(Tar Palermo 12.06.2006 n. 1428).
Ora, come è noto, la disciplina normativa
inerente il piano di lottizzazione, dettata
dall'art. 28 della l. 17.08.1942 n. 1150, è
volta a garantire l'attuazione, su un
territorio non urbanizzato o non
sufficientemente urbanizzato, di opere di
urbanizzazione primaria o secondaria,
occorrenti per le necessità
dell'insediamento, senza che la legge
contenga alcuna preclusione in ordine alla
possibilità di ricorrere a tale strumento
anche per aree parzialmente edificate.
Ciò che rileva, infatti, non è che la zona
sia edificata o meno, ma che residui un’
interesse dell’amministrazione al
completamento dell’urbanizzazione, tale da
comportare una nuova definizione
dell'assetto preesistente, attraverso la
redazione e la stipula di una convenzione
lottizzatoria adeguata alle caratteristiche
dell'intervento di nuova realizzazione (TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 10.05.2010 n. 3367 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Distanze
tra fabbricati: é usucapibile il diritto a
mantenere le costruzioni a distanza
inferiore a quella di legge.
Su indicazione dello Studio legale Carrara e
Luzzi di Sondrio, segnaliamo una
interessante sentenza della Corte di
Cassazione in materia di distanze tra
fabbricati.
Afferma la Corte che, ferma la distinzione
dei caratteri tra potere privato e potere
pubblico, deve ritenersi ammissibile
l'acquisto per usucapione di una servitù
avente ad oggetto il mantenimento di una
costruzione a distanza inferiore a quella
fissata dalle norme del codice civile o da
quelle dei regolamenti e degli strumenti
urbanistici locali.
Non sono di ostacolo a questa concezione
-afferma la Corte- le possibili frodi
prospettate dalla giurisprudenza.
Si tratta,
infatti:
- di un inconveniente (dipendente comunque
da un congegno macchinoso e precario) che
non giustifica un inquadramento incoerente
dei principi vigenti sui modi di acquisto
dei diritti reali e sulla disciplina dei
limiti legali della proprietà.
Tantomeno questo inconveniente vale a
giustificare la illogica dicotomia tra
tutela delle distanze di fonte codicistica e
di fonte regolamentare.
Non sarebbero neppure configurabili le
temibili diseconomie esterne (conseguenze
negative sul piano della salute e
dell'ambiente) che gli studiosi di analisi
economica del diritto rinvengono nella
deroga pattizia alle distanze.
Altro è infatti incidere sui poteri
pubblici, o consentire una generalizzata
derogabilità, il che può cagionare effetti
lesivi permanenti dell'interesse generale
tutelato; altro è ammettere che operi il
fenomeno dell'usucapione.
Esso vale soltanto a riportare il meccanismo
di contemperamento dei diritti soggettivi
nell'alveo ordinario previsto dal
legislatore, escludendo la sussistenza, nel
circoscritto ambito della proprietà
immobiliare, di diritti soggettivi a tutela
rafforzata
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 22.02.2010 n. 4240 -
commento e sentenza tratti da http://studiospallino.blogspot.com). |
AGGIORNAMENTO AL 04.06.2010 |
ã |
QUESITI |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia,
Esame impatto paesistico dei progetti ex art. 35 della
normativa del Piano Paesistico del P.T.R. (deliberazione
C.R. 19.01.2010 n. 951) in relazione ad interventi edilizi
sottratti ad ogni tipo di atto abilitativo (D.L. 40/2010
coordinato con la Legge di conversione 73/2010):
DOMANDE:
a decreto legge convertito in legge come sopra evidenziato,
in merito agli interventi edilizi che possono essere
eseguiti senza alcun titolo abilitativo (ndr: di tipo
edilizio) con o senza la preventiva comunicazione di inizio
dei lavori all’Ufficio Tecnico comunale:
1. è, comunque, fatta salva la necessaria e preventiva
autorizzazione paesaggistica laddove il territorio fosse
paesaggisticamente vincolato ex D.Lgs. n. 42/2004, e ciò a
prescindere dalla classificazione dell’intervento edilizio e
sempre che lo stesso incida sull’esteriore aspetto dei
luoghi e degli edifici?
2. per il territorio non paesaggisticamente vincolato, come
si correla la nuova attività edilizia libera con l’obbligo
normativo regionale di effettuare, comunque, l’esame
dell’impatto paesistico di tutti quegli interventi, a
prescindere dalla loro classificazione, che incidono
sull’esteriore aspetto dei luoghi e degli edifici?
(risposta
e-mail del 03.06.2010 della Regione Lombardia, U.O.O.
Giuridico per l'edilizia, il paesaggio e le valutazioni
ambientali - D.G. Territorio e Urbanistica). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi edilizi di
manutenzione straordinaria: nuova normativa
(anche in Lombardia).
In data 26.05.2010 è entrata in vigore la
legge 22.05.2010, n. 73 -conversione del
D.L. n. 40/2010- che all’art. 5 detta
disposizioni in materia di attività
edilizia, andando a sostituire l’art. 6 del
T.U. dell’edilizia (D.P.R. n. 380/2001).
Rispetto alla stesura iniziale del D.L., la
norma è stata completamente riscritta in
sede parlamentare: tra le novità introdotte,
la più importante è la cancellazione
dell’inciso secondo cui le nuove regole
dettate in materia di attività edilizia
libera, sono applicabili “salvo più
restrittive disposizioni previste dalla
disciplina regionale”.
La modifica,
che si pone nel solco dei precedenti
provvedimenti anticrisi adottati dal Governo
e dal Parlamento nell’ambito della propria
politica economico-finanziaria,
pare introdurre una disciplina
uniforme dell’attività edilizia libera,
finalizzata a definire un livello minimo di
semplificazione non derogabile in senso
restrittivo dalla Regione, alla quale è
consentito solo di integrare e adattare la
normativa statale.
Una tale lettura del nuovo art. 6 del D.P.R.
n. 380/2001 non consente di considerare "di
dettaglio" le disposizioni ivi previste;
queste ultime,
pertanto,
non potranno più ritenersi
disapplicate per effetto dell’art. 103,
comma 1, della L.R. n. 12/2005, legge per il
Governo del Territorio.
Pertanto,
anche in Regione Lombardia, trova
immediata applicazione il regime
semplificato delineato a livello statale per
gli interventi di manutenzione straordinaria
e per gli altri normativamente individuati.
Il presente comunicato annulla evidentemente
il precedente, pubblicato in data 31.03.2010
a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n.
40.
L’Assessore al Territorio e Urbanistica,
Daniele Belotti
Il Direttore Generale, Bruno Mori (comunicato
03.06.2010 - link a
www.territorio.regione.lombardia.it).
---------------
N.B.:
attenzione, pertanto, che dallo scorso
26.05.2010 bisogna fare i conti con la nuova
normativa nazionale, nell'ambito
dell'istruttoria delle varie istanze
edilizie (od esecuzione libera di lavori). |
URBANISTICA:
Chiarimenti ai Comuni
sull'applicazione della VAS a seguito della
sentenza del TAR Lombardia.
Il TAR della Lombardia-Milano, con
sentenza
17.05.2010 n. 1526, ha annullato il PGT di un Comune
della provincia di Como e nel contempo il
punto 3.2 dell’allegato 1 della
deliberazione della Giunta regionale n. 6420
del 27.12.2007 in materia di VAS.
Sotto quest’ultimo profilo, tra le
motivazioni addotte dal tribunale
amministrativo viene richiamata la “necessaria
imparzialità dell’autorità competente
rispetto all’autorità procedente”.
Nel comunicare che Regione Lombardia si
appresta a impugnare avanti il Consiglio di
Stato la richiamata sentenza del TAR, con
richiesta di sospensiva, si precisa che
il
procedimento di Valutazione Ambientale del
Documento di piano del PGT resta al momento
disciplinato dagli allegati 1a (Documento di
Piano – PGT) e 1b (Documento di Piano – PGT
piccoli Comuni), approvati con la successiva
deliberazione della Giunta regionale n.
10971 del 30.12.2009.
Regione Lombardia si riserva di formulare
ulteriori indicazioni a seguito della
definizione del contenzioso in atto.
L'Assessore al Territorio e Urbanistica,
Daniele Belotti
Il Direttore Generale, Bruno Mori (comunicato
01.06.2010 - link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
ENTI LOCALI:
Utilizzo delle autovetture in dotazione
alle amministrazioni pubbliche (direttiva
11.05.2010 n. 6/2010). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
La manovra estiva del Governo:
schede illustrative
(CGIL-FP,
nota 03.06.2010). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA:
La distinzione tra vincoli
espropriativi (o di inedificabilità) e
conformativi non discende dalla collocazione
in una specifica categoria di strumenti
urbanistici, ma dipende soltanto dai
requisiti oggettivi, di natura e struttura,
dei vincoli stessi.
Devono considerarsi conformativi i vincoli
inquadrabili nella zonizzazione dell'intero
territorio comunale, o di parte di esso, che
incidono su di una generalità di beni, nei
confronti di una pluralità indifferenziata
di soggetti, in funzione della destinazione
dell'intera zona in cui i beni ricadono ed
in ragione delle sue caratteristiche
intrinseche o del rapporto (per lo più
spaziale) con un'opera pubblica.
Sono, invece, espropriativi i vincoli
incidenti su beni determinati, in funzione
non già di una generale destinazione di zona
ma della localizzazione di un'opera
pubblica, la cui realizzazione non può
coesistere con la proprietà privata, con la
conseguente influenza sugli effetti
indennitari e sulla durata dei vincoli.
Per giurisprudenza costante, la distinzione
tra vincoli espropriativi (o di
inedificabilità) e conformativi non discende
dalla collocazione in una specifica
categoria di strumenti urbanistici, ma
dipende soltanto dai requisiti oggettivi, di
natura e struttura, dei vincoli stessi.
In particolare, devono considerarsi
conformativi i vincoli inquadrabili nella
zonizzazione dell'intero territorio
comunale, o di parte di esso, che incidono
su di una generalità di beni, nei confronti
di una pluralità indifferenziata di
soggetti, in funzione della destinazione
dell'intera zona in cui i beni ricadono ed
in ragione delle sue caratteristiche
intrinseche o del rapporto (per lo più
spaziale) con un'opera pubblica.
Sono, invece, espropriativi i vincoli
incidenti su beni determinati, in funzione
non già di una generale destinazione di zona
ma della localizzazione di un'opera
pubblica, la cui realizzazione non può
coesistere con la proprietà privata, con la
conseguente influenza sugli effetti
indennitari e sulla durata dei vincoli
(Consiglio Stato, sez. IV, 23.09.2008, sez.
IV n. 4606; 09.06.2008, n. 2837; Cassazione
civile, sez. I, 19.09.2006, n. 20252).
Sono stati pertanto ritenuti conformativi, e
come tali non soggetti a decadenza, i
vincoli con cui determinati terreni sono
classificati come "aree per attrezzature
collettive e di uso collettivo (Consiglio
Stato, sez. IV, 23.09.2008, n. 4606 cit.),
ed anche i vincoli di "verde pubblico-verde
urbano" o "verde attrezzato"
(Consiglio Stato, sez. IV, 25.05.2005, n.
2718) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 03.05.2010 n. 2398 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sussiste l’impossibilità di un
divieto generalizzato di collocare mezzi
pubblicitari, esteso indistintamente a tutto
il territorio comunale, che come tale
sarebbe certamente lesivo della libertà di
iniziativa economica privata, dato che in
termini semplici non consentirebbe alle
imprese del settore di lavorare.
Il potere regolamentare del Comune in
materia deve essere esercitato secondo
proporzionalità e adeguatezza, prevedendo in
via generale le limitazioni necessarie al
“pubblico interesse”, nel quale rientra
senza dubbio anche la sicurezza stradale; i
singoli provvedimenti di diniego dovranno
poi motivare, in base ad una corretta e
completa istruttoria, quali siano le
esigenze in concreto pregiudicate, che non
consentono di accoglier una domanda.
Norme di
legge le quali disciplinano la collocazione
sul territorio comunale di mezzi
pubblicitari sono fondamentalmente tre.
L’art. 23 del d. lgs. 30.04.1992 n. 285, cd.
Codice della strada, stabilisce un principio
generale per cui è possibile da parte degli
enti proprietari delle strade il rilascio di
autorizzazioni a collocare cartelli ed altri
mezzi pubblicitari; prevede poi divieti di
collocazione in fattispecie particolari, che
hanno come comune denominatore l’esigenza di
garantire una sicura circolazione stradale.
Vi è, poi, l’art. 3 del d.lgs. 15.11.1993 n.
507, secondo il quale il Comune deve dotarsi
di un regolamento sulla pubblicità che “disciplina
le modalità di effettuazione” della
stessa e “può stabilire limitazioni e
divieti per particolari forme pubblicitarie
in relazione ad esigenze di pubblico
interesse”.
Vi è, da ultimo, l’art. 62, comma 2, lettera
c), del d.lgs. 15.12.1997 n. 446, per cui il
Comune, nel regolamento sull’imposta
prevista per la pubblicità, può
disciplinarne le “modalità di impiego”.
Da tale complesso normativo, la
giurisprudenza, anche di questo Tribunale,
ha desunto, a contrario, l’impossibilità di
un divieto generalizzato di collocare mezzi
pubblicitari, esteso indistintamente a tutto
il territorio comunale, che come tale,
condividendosi sul punto il rilievo della
ricorrente, sarebbe certamente lesivo della
libertà di iniziativa economica privata,
dato che in termini semplici non
consentirebbe alle imprese del settore di
lavorare.
La normativa infatti ragiona di limitazioni
nell’ambito di un generale principio per cui
la pubblicità è permessa, non già di una
proibizione in linea di principio, salve
deroghe.
Il potere regolamentare del Comune in
materia deve, quindi, essere esercitato
secondo proporzionalità e adeguatezza,
prevedendo in via generale le limitazioni
necessarie al “pubblico interesse”,
nel quale rientra senza dubbio anche la
sicurezza stradale; i singoli provvedimenti
di diniego dovranno poi motivare, in base ad
una corretta e completa istruttoria, quali
siano le esigenze in concreto pregiudicate,
che non consentono di accoglier una domanda
(nel senso dell’illegittimità di un divieto
generalizzato, TAR Veneto sez. III,
09.02.2006, n. 339 e, nella giurisprudenza
di questo TAR, l’ord. 09.11.2007 n. 854;
identico principio ribadiscono TAR Lazio
Latina, 04.01.2007, n. 7 e TAR Lazio Roma
sez. II, 11.12.2007, n. 12951 anche con
riguardo al caso particolare in cui il
regolamento comunale manchi).
E’ solo per completezza infine che si
precisa come divieti generalizzati di
collocazione di impianti pubblicitari
potrebbero derivare da altre disposizioni di
legge, diverse da quelle citate ed
espressione di valori a loro volta
costituzionalmente tutelati, come ad esempio
nel caso di vincoli ambientali o
paesaggistici, dei quali peraltro nella
specie non è stata invocata l’esistenza.
Pertanto, vanno annullati, in conformità
alla domanda della ricorrente, sia le
disposizioni regolamentari che tale divieto
generalizzato impongono, sia il
provvedimento puntuale che ne ha fatto
applicazione, nei termini precisati in
dispositivo (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 21.04.2010 n. 1596 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 03.06.2010 |
ã |
CONVEGNI |
Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a
Bergamo per martedì 08.06.2010 co-organizzata dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le
istruzioni ivi riportate. |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Una "manovra estiva" iniqua,
centralista e contraddittoria
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 31.05.2010). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 31.05.2010 n. 125, suppl. ord. n. 115,
"Approvazione dello schema aggiornato
relativo al VI Elenco ufficiale delle aree
protette, ai sensi del combinato disposto
dell’articolo 3, comma 4, lettera c), della
legge 06.12.1994, n. 394 e dall’articolo 7,
comma 1, del decreto legislativo 28.08.1997,
n. 281" (Ministero dell'Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare,
decreto 27.04.2010). |
ENTI LOCALI - VARI: G.U.
31.05.2010 n. 125, suppl. ord. n. 114/L, "Misure
urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica"
(D.L. 31.05.2010 n. 78 -
file 1 -
file 2). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 22 del
31.05.2010, "Direzione Centrale Affari
Istituzionali e Legislativo – Nomine e
designazioni di competenza della Giunta
regionale: Commissioni Regionali per il
Paesaggio (rif. art. 78 della l.r.
11.03.2005, n. 12 «Legge per il governo del
territorio»)" (comunicato
regionale 26.05.2010 n. 69 - link
a www.infopoint.it). |
ESPROPRIAZIONE:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 22 del
31.05.2010, "Valori agricoli medi validi
per l’anno 2010 dei terreni, considerati
liberi da vincoli di contratti agrari,
secondo i tipi di coltura effettivamente
praticati, determinati nell’ambito delle
singole regioni agrarie lombarde a norma
dell’art. 41 –comma 4– del d.P.R.
08.06.2001, n. 327 e successive modifiche ed
integrazioni – Integrazione al comunicato
08.04.2010 n. 45 per le province di Brescia
e Lecco" (comunicato
regionale 24.05.2010 n. 65 - link
a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n.
21 del 28.05.2010, "Indicazioni generali
per i Comuni sui turni di servizio dei
giorni festivi e domenicali nonché delle
ferie annuali degli impianti di
distribuzione dei carburanti in attuazione
dell’art. 3 della d.g.r. 21.10.2009, n.
10359"
(decreto
D.S. 24.05.2010 n. 5368 - link a www.infopoint.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
L. D'Angelo,
Divagazioni sull’accesso immediato nei
procedimenti di gara (link a
www.altalex.com). |
URBANISTICA:
VAS e PGT: per il TAR Lombardia, se la prima
é illegittima, lo é anche il secondo
(link a
http://studiospallino.blogspot.com). |
PUBBLICO IMPIEGO: S.
Delle Donne,
Mobbing e dintorni.
In materia di mobbing non esiste una
normativa specialistica e i legali impegnati
a difendere queste vittime fondano le loro
giuste pretese sulle disposizioni
codicistiche e la giurisprudenza,
cimentandosi quotidianamente in un
aggiornamento rigoroso.
In questi anni, infatti, la Magistratura ha
indicato alcuni elementi distintivi del
mobbing, giudicati col passare del tempo
essenziali e irrinunciabili, al fine di
identificare e riconoscere tale nuova
fattispecie giuridica.
La Corte di Cassazione, anche nelle sentenze
più recenti, confermando la tesi prevalente,
ha tradotto il termine inglese “mobbing”
con “persecuzione”, poiché il
fenomeno può essere descritto soltanto come
un coacervo di azioni (legali e non)
finalizzate a un obiettivo specifico
(l’estromissione del lavoratore dal gruppo
umano), attuate per un congruo periodo e
soprattutto artatamente congegnate
dall’autorità vigente, cioè da chi può
premiare e punire i sottoposti, quindi anche
abusare di tale potere a fini estorsivi.
Queste strategie di sopruso, spesso presenti
in vari ambienti di lavoro, segnano in modo
indelebile i lavoratori, danneggiando
drammaticamente le loro esistenze (e quelle
dei familiari): ciò accade, in particolar
modo, quando la persecuzione si perfeziona
con il licenziamento o addirittura con
l’infamante licenziamento disciplinare, che
aggiunge dolore a chi già soffre per
l’incomprensione di parenti e amici e per la
perdita del proprio ruolo sociale
(link a www.diritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Note applicative del d.lgs. 150/2009
(Comitato per l’attuazione del Protocollo di
Intesa tra UPI e Ministero per la pubblica
amministrazione e innovazione - link a
www.ambientediritto.it). |
NEWS |
ENTI LOCALI - VARI:
L'abc della manovra di Tremonti in 62 voci
(link a www.ilsole24ore.it). |
ICI - VARI:
Sì all'Ici per i terreni
vincolati Anche se la mission è scaduta.
L'Ici va pagata sui
terreni anche se formalmente non sono più
fabbricabili perché è decaduto lo strumento
urbanistico attuativo e anche se vincoli
urbanistici impediscono l'effettiva
realizzazione di costruzioni. Per
l'imponibilità è infatti sufficiente il
piano regolatore generale.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che,
con la sentenza 28.05.2010 n. 13135, ha
accolto il ricorso del comune di Ascoli
Satriano che chiedeva il pagamento dell'Ici
su un terreno soggetto a una serie di
vincoli urbanistici e il cui piano attuativo
era decaduto.
Il proprietario, dopo aver ricevuto
l'accertamento, lo aveva impugnato di fronte
al giudice tributario e, in primo e secondo
grado aveva vinto. A questo punto l'ente
locale ha fatto ricorso in Cassazione che ha
ribaltato le sorti della vicenda.
I consiglieri di Piazza Cavour, analizzando
il panorama normativo entrato in vigore dopo
il decreto Bersani, hanno stabilito che «ai
fini dell'applicazione del dlgs n. 504/1992,
un'area è da considerarsi fabbricabile se
utilizzabile a scopo edificatorio in base
allo strumento urbanistico generale adottato
dal comune, indipendentemente
dall'approvazione della regione e
dall'adozione di strumenti attuativi del
medesimo: in tal caso, l'Ici deve essere
dichiarata e liquidata sulla base del valore
venale in comune commercio, tenendo anche
conto di quanto sia effettiva e prossima la
utilizzabilità a scopo edificatorio del
suolo e di quanto possano incidere gli
ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione.
Inoltre nel sistema dell'Ici, quella di area
fabbricabile è una nozione ampia ed ispirata
alla mera potenzialità edificatoria, che non
può essere esclusa dalla sussistenza di
vincoli capaci di condizionare in concreto
la possibilità di costruire, perché tali
limiti non fanno venir meno ed, anzi,
presuppongono la vocazione edificatoria del
terreno, incidendo soltanto sul suo valore
venale».
Dopo aver applicato questo principio
generale, i giudici hanno inoltre
bacchettato la commissione tributaria
regionale che, secondo loro, «avrebbe
dovuto ritenere la natura fabbricabile dei
terreni, essendo al riguardo ininfluente sia
l'intervenuta decadenza dello strumento
urbanistico attuativo sia la dedotta
inedificabilità concreta dei suoli».
La procura generale di Piazza Cavour aveva
invece espresso un'opinione contraria. Aveva
infatti sollecitato il collegio a respingere
il ricorso del comune (articolo ItaliaOggi
dell'01.06.2010, pag. 27). |
APPALTI:
La p.a. lumaca paga. Una
circolare Assonime illustra una sentenza del
Cds. Ritardi, no a modifiche unilaterali.
Sono illegittime le
clausole, contenute in un bando di gara, con
cui la pubblica amministrazione apporta
modifiche unilaterali alla disciplina dei
ritardi di pagamento che siano difformi da
quelle previste dal dlgs n. 231/2002. Le
deroghe alla norma, infatti, devono
risultare da accordi espliciti tra le parti.
Inoltre, anche le associazioni di categoria,
pur non essendo imprese che partecipano alla
gara, sono legittimate ad agire in giudizio
in tali casi. Queste, infatti, tutelano
interessi collettivi rispetto a clausole
contrattuali che, a causa della loro
iniquità, possono avere avuto un effetto
dissuasivo nei confronti di altri possibili
partecipanti.
È quanto ricorda l'Associazione fra le
società italiane per azioni (Assonime) nella
sua
circolare 31.05.2010 n. 19, con
la quale riprende i rilevanti contenuti
della sentenza n. 469/2010 emessa dal
Consiglio di Stato in tema di bandi di gara
della pubblica amministrazione e disciplina
dei ritardi di pagamento.
Un documento, quello pubblicato da Assonime,
che vuole essere un vero e proprio
vademecum per le imprese che si
apprestano a partecipare a bandi di gara
emessi da stazioni appaltanti pubbliche,
sottolineando gli indirizzi
giurisprudenziali più recenti che possono
tutelare le imprese partecipanti.
Sulla scorta pertanto della pronuncia di
Palazzo Spada, che ha respinto l'appello del
Ministero della Giustizia in ordine a
clausole contenute in un proprio bando di
gara, Assonime ricorda che la deroga agli
articoli 4 e 5 del citato dlgs n. 231/2002
(norme, queste, che prevedono il pagamento
del corrispettivo a 30 giorni e, in caso di
ritardo, il pagamento degli interessi nella
misura dell'8%) «è ammessa solo
attraverso un accordo esplicito tra le parti
a seguito di apposita contrattazione e
trattativa sul punto».
In sostanza, si legge nel documento, le
stazioni appaltanti non possono
autoritativamente inserire nei bandi di
gara, clausole che prevedono il pagamento in
un termine superiore a quello previsto dalla
disposizione normativa, ovvero una misura
degli interessi che sia «difforme» da
quanto ivi previsto, a meno che esse non
siano il frutto di «un accordo o comunque
una esplicita e libera accettazione delle
parti interessate».
In particolare, la p.a. non ha il potere di
stabilire in modo unilaterale le conseguenze
del proprio inadempimento contrattuale (come
gli interessi o l'allungamento della propria
obbligazione a pagare), a meno che essa «non
voglia ricadere sotto le sanzioni di
invalidità per iniquità e vessatori età».
Infine, la circolare di Assonime ricorda
come nella sentenza in esame, il collegio di
Palazzo Spada abbia sancito, in particolare,
la legittimazione ad agire da parte delle
associazioni di categoria e tutela degli
interessi collettività, pur non essendo
imprese partecipanti alla gara.
Il Consiglio, infatti, ha rilevato che
l'oggetto del giudizio non era il bando «bensì
le clausole inique in esso contenute».
Ed è pacifico che le associazioni di
categoria tutelano interessi collettivi
rispetto a clausole contrattuali inserite
nei bandi che possono, a causa della loro
iniquità, avere un effetto dissuasivo nei
confronti di una più ampia platea di
possibili partecipanti (articolo ItaliaOggi
dell'01.06.2010, pag. 21). |
PUBBLICO IMPIEGO: Come
cambiano le pensioni. Tutte te novità su
finestre, invalidità e liquidazioni.
Fino a un anno in più per l'addio al lavoro.
Penalizzati soprattutto i trattamenti di
vecchiaia. Per l'anzianità l'attesa può
crescere anche di un solo mese ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 31.05.2010 - link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Liquidazioni
«leggere». Cambiano i criteri di calcolo per
il trattamento di fine servizio.
Donne in salvo. L'età pensionabile delle
dipendenti pubbliche. Cassata la norma che
prevedeva l'innalzamento dell'età
pensionabile per la pensione di vecchiaia
delle dipendenti pubbliche.
Nel testo presentato dal Governo è scomparsa
la norma che prevedeva l'accelerazione
dell'innalzamento dell'età pensionabile per
la pensione di vecchiaia delle dipendenti
pubbliche da 60 a 65 anni, attraverso una
diversa scalettatura -non più un anno ogni
biennio, ma un anno ogni 18 mesi- che
avrebbe determinato che già dal 1° luglio
2011 sarebbero stati necessari 62 anni ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 31.05.2010 - link a www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
SEGRETARI COMUNALI: I
segretari danno l'addio all'indennità da
direttore.
La parola d'ordine «risparmio» nella
Pa fa mettere le mani nelle retribuzioni dei
segretari comunali. Non potrà più essere
riconosciuta l'indennità di direttore
generale se il segretario opera in un comune
con popolazione non superiore 100mila
abitanti.
Ad affermarlo è la Corte dei Conti -sezione
controllo per la Lombardia- con il parere
06.05.2010 n. 593.
Il problema è sorto con l'approvazione della
legge 42/2010, di conversione del Dl 2/2010,
che àbroga la figura del direttore generale
nei comuni succitati, ma nulla dispone sulla
attribuzione delle relative funzioni ai
segretari comunali ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 31.05.2010 - link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Termini
incerti sulle progressioni. Per la Corte dei
Conti l'obbligo di concorso è già in vigore.
Sulla questione delle progressioni verticali
dopo la riforma Brunella è intervenuta anche
la sezione regionale della Corte dei Conti
del Piemonte che, con il
parere 20.05.2010 n. 41/2010,
prende in considerazione i passaggi di
carriera.
Tralasciando l'ipotesi che le novità
potessero essere efficaci dal 15 novembre
scorso, rimangono in piedi due
interpretazioni difficilmente conciliabili.
Da una parte chi sostiene che le
progressioni verticali alla vecchia maniera
fossero possibili solamente fino al
31.12.2009; dall'altra c'è chi vede uno
spazio per poter procedere per tutto il 2010
in quanto gli enti locali sono chiamati a un
adeguamento e nel frattempo rimane in vigore
la norma speciale dell'articolo 91, comma 3,
del Dlgs 267/2000.
Nel mezzo la fermezza dell'Anci che ha
ribadito, nel forum online del 25 maggio
scorso, come quest'anno si potranno portare
a termine solo le progressioni verticali già
previste nella programmazione triennale del
fabbisogno di personale vigente all'entrata
in vigore del Dlgs 150/2009.
La questione è stata trattata diversamente
dagli enti locali e dalla pubblica
amministrazione che, nel tentativo di
riconoscere le ultime progressioni di
carriera anche a non laureati e con concorsi
riservati agli interni, si sono affrettati
ad adottare atti e deliberazioni ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 31.05.2010 - link a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere di urbanizzazione -
Scomputo oneri concessori - Fungibilità
oneri relativi ad opere di urbanizzazione
primaria ed oneri relativi ad opere di
urbanizzazione secondaria - Va esclusa.
Delibera emessa
su richiesta proveniente dal Comune di
Andezeno recante quesiti in
materia di scomputo degli oneri di
urbanizzazione
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Piemonte,
parere
20.05.2010 n. 40). |
GIURISPRUDENZA |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Bonifica -
Ordinanza - Competenza - Provincia - Art.
244 d.lgs. n. 152/2006.
L’art. 244 del d.lgs. n. 152/2006 ha
assegnato la competenza ad adottare
l’ordinanza di bonifica, finalizzata ad
assicurare la tutela ambientale, alla
Provincia e non al Comune, in ragione
verosimilmente dei molteplici interessi
pubblici coinvolti in episodi di
inquinamento i quali normalmente trascendono
l’ambito territoriale comunale.
INQUINAMENTO - Bonifica
di un sito inquinato - Utilizzo dello
strumento dell’ordinanza contingibile e
urgente - Illegittimità - Ragioni - Art. 244
d.lgs. n. 152/2006.
L'esercizio del potere di ordinanza
contingibile e urgente del sindaco
presuppone la necessità di provvedere con
immediatezza in ordine a situazioni di
natura eccezionale ed imprevedibile, cui non
si potrebbe far fronte col ricorso agli
strumenti ordinari apprestati
dall'ordinamento (ex plurimis: Cons.
St., Sez. IV, 13.12.1999, n. 1844).
Ne deriva che l’ordinanza contingibile e
urgente non è legittimamente utilizzabile
per disporre in ordine alla bonifica di un
sito inquinato, ipotesi per la quale l’art.
244 del d.lgs. n. 152/2006 appresta una
specifica e articolata procedura.
INQUINAMENTO - Obbligo
di bonifica dei siti inquinati -
Responsabile dell’inquinamento - Disciplina
- Artt. 242 e ss. d.lgs. n. 152/2006 -
Principio “chi inquina paga”.
Nell'attuale sistema normativo, l'obbligo di
bonifica dei siti inquinati grava, in primo
luogo, sull'effettivo responsabile
dell'inquinamento, responsabile che le
Autorità amministrative hanno l'onere di
ricercare ed individuare (artt. 242 e 244
D.Lgs. 152/2006), mentre il proprietario non
responsabile dell'inquinamento o altri
soggetti interessati hanno una mera "facoltà"
di effettuare interventi di bonifica (art.
245); nel caso di mancata individuazione del
responsabile o di assenza di interventi
volontari, le opere di bonifica saranno
realizzate dalle Amministrazioni competenti
(art. 250), salvo, a fronte delle spese da
esse sostenute, l'esistenza di un privilegio
speciale immobiliare sul fondo, a tutela del
credito per la bonifica e la qualificazione
degli interventi relativi come onere reale
sul fondo stesso, onere destinato pertanto a
trasmettersi unitamente alla proprietà del
terreno (art. 253).
Il complesso di questa disciplina, conforme
al diritto comunitario, appare ispirato al
cosiddetto principio del “chi inquina
paga”, da intendersi in senso
sostanzialistico e che consiste, in
definitiva, nell’imputazione dei costi
ambientali al soggetto che ha causato la
compromissione ecologica illecita.
INQUINAMENTO - Principio
di effettività della protezione del’ambiente
- Individuazione dei responsabili dei fatti
di contaminazione - Condotte attive e
omissive - Indizi gravi, precisi e
concordanti.
Alla luce dell’esigenza di effettività della
protezione dell’ambiente, ferma la
doverosità degli accertamenti indirizzati ad
individuare con specifici elementi i
responsabili dei fatti di contaminazione,
l’imputabilità dell’inquinamento può
avvenire per condotte attive ma anche per
condotte omissive, prendendo in
considerazione elementi di fatto dai quali
possano trarsi indizi gravi precisi e
concordanti, che inducano a ritenere
verosimile, secondo l’ “id quod plerumque
accidit”, che si sia verificato un
inquinamento e che questo sia attribuibile a
determinati autori (cfr.
TAR Calabria-Catanzaro 1118/2009) (TAR
CALABRIA-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 31.05.2010 n. 959 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Convenzioni urbanistiche - Natura
contrattuale - Valore vincolante - Modifiche
unilaterali - Limiti - Prestazioni eccedenti
gli oneri di urbanizzazione.
Le convenzioni urbanistiche stipulate tra i
privati e l'Amministrazione hanno natura
contrattuale disciplinando il rapporto tra
le parti con valore vincolante e, pertanto,
resta esclusa la possibilità che
l'amministrazione o il privato, che a tale
regolamentazione dei reciproci rapporti si
sono assoggettati, possano legittimamente
avanzare la pretesa di modificarne
unilateralmente il contenuto (cfr. TAR
Lombardia Brescia, 25.07.2005, n. 784).
Inoltre, in virtù della convenzione, il
privato è obbligato ad eseguire puntualmente
tutte le prestazioni ivi assunte, a nulla
rilevando che queste possano eccedere
originariamente o successivamente gli oneri
di urbanizzazione (cfr. Consiglio Stato,
sez. V, 10.01.2003, n. 33) (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 31.05.2010 n. 956 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La costruzione abusiva di un
manufatto di non trascurabili dimensioni
rientra a pieno titolo tra quelle
trasformazioni fisiche del territorio a
carattere permanente assoggettate a previo
rilascio del permesso di costruire.
La nozione urbanistica di pertinenza è assai
più ristretta di quella contenuta nell’art.
817 del codice civile, essendo la prima
configurabile solo quando l’opera non abbia
un consistente e autonomo impatto sul
territorio.
La costruzione abusiva di un manufatto di
non trascurabili dimensioni (m. 2,05 x 2,55
con altezza di m. 2,05) rientra a pieno
titolo tra quelle trasformazioni fisiche del
territorio a carattere permanente che l’art.
1 della L. n. 10 del 1977 (all’epoca
vigente) assoggettava a previo rilascio
della concessione edilizia (ora permesso di
costruire).
Nemmeno può condividersi la tesi di parte
ricorrente che, con il terzo motivo, assume
il carattere pertinenziale del manufatto in
questione (prefabbricato destinato a legnaia
o, secondo la prospettazione degli
interessati, adibito a ricovero attrezzi),
con conseguente asserita sottrazione dello
stesso al regime concessorio in favore di
quello autorizzatorio.
Il Collegio osserva, infatti, che detto
manufatto, ancorché di non considerevoli
dimensioni, non può essere qualificato come
pertinenza ai sensi dell’art. 7 del D.L. n.
9 del 1982, convertito, con modificazioni,
dalla L. n. 94 del 1982, in quanto la
nozione urbanistica di pertinenza è assai
più ristretta di quella contenuta nell’art.
817 del codice civile, essendo la prima
configurabile solo quando l’opera non abbia
un consistente e autonomo impatto sul
territorio (v. TAR Emilia–Romagna –BO- sez.
II n. 3735 del 2010 cit. e anche
TAR Lombardia –BS- n. 204 del 2010).
Nella specie, pertanto, ove il manufatto ha
dimensioni non trascurabili, ha oggettiva
autonomia funzionale rispetto all’edificio
residenziale principale e risulta destinato
a esigenze di carattere permanente, si deve
concludere che é stata realizzata una nuova
costruzione che era soggetta a previo
rilascio di concessione edilizia, con
conseguente legittimità della sanzione
demolitoria prevista dall’art. 7 L. n. 47
del 1985 proprio per reprimere tale
tipologia di abusi edilizi (TAR Emilia Romagna-Bologna,
Sez. II,
sentenza 28.05.2010 n. 5157 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'adozione di un provvedimento
sanzionatorio di abuso edilizio è atto
vincolato e, quindi, non sussiste obbligo
per l’amministrazione di inviare
all’interessato la comunicazione di avvio
del relativo procedimento.
Secondo il consolidato orientamento di
questo Tribunale sul punto, trattandosi di
provvedimento sanzionatorio di abuso
edilizio e, quindi, di atto vincolato, non
sussiste obbligo per l’amministrazione di
inviare all’interessato la comunicazione di
avvio del relativo procedimento (v. da
ultime: TAR Emilia Romagna –BO- sez. II,
14/05/2010 n. 4660; 21/04/2010 n. 3735; v.
anche TAR Toscana n. 42 del 2010) (TAR Emilia Romagna-Bologna,
Sez. II,
sentenza 28.05.2010 n. 5157 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
In assenza di alcuna esplicita
previsione nel bando non vi è un obbligo
legale e specifico di comunicazione
dell’esito del concorso nei confronti dei
soggetti non vincitori.
Come è stato rilevato dalla medesima
Sezione, con riferimento all'atto conclusivo
di una procedura concorsuale con il quale
viene approvata la graduatoria di un
concorso a pubblico impiego, la
amministrazione ha uno specifico interesse
ad attivare forme individuali di
comunicazione solo nei confronti di quei
soggetti che, in quanto vincitori, dovranno
entrare a far parte del suo assetto
organizzativo per rivestire la qualifica di
pubblico dipendente.
Nei confronti di tutti gli altri
partecipanti può configurarsi a carico della
amministrazione solo l'obbligo di rendere
pubblico e conoscibile l'esito del concorso
con le ordinarie forme di pubblicità notizia
per cui dalla data di tale pubblicità
notizia decorre il termine per ricorrere
contro la graduatoria (Cons. Stato, Sez. V,
del 09.10.2002 n. 5407).
In sostanza, in assenza di alcuna esplicita
previsione nel bando di concorso, non vi è
un obbligo legale e specifico di
comunicazione dell’esito del concorso nei
confronti dei soggetti non vincitori.
D’altro canto, per l’ente locale l’obbligo
legale di fornire una adeguata forma di
pubblicità notizia si realizza attraverso la
pubblicazione sull'albo pretorio dell'ente
della graduatoria definitiva (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 28.05.2010 n. 3417 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La responsabilità precontrattuale
della pubblica amministrazione non è
configurabile anteriormente alla scelta del
contraente.
La responsabilità precontrattuale della
pubblica amministrazione ai sensi dell’art.
1337 c.c. si ricollega alla violazione della
regola di condotta stabilita a tutela del
corretto svolgimento dell’iter di formazione
del contratto e presuppone che tra le parti
siano intercorse trattative per la sua
conclusione (ex multis, Cass. Civ.
sez I, 18.06.2005, n. 13164).
Secondo un consolidato orientamento, dal
quale il Collegio non ritiene di discostarsi
(Cass. Civ. Sez. I, 18.06.2005, n. 13164;
Cons. St. A.P. 05.09.2005, n. 6; Sez. IV,
11.11.2008, n. 5633), essa non è
configurabile anteriormente alla scelta del
contraente, nella fase, cioè, in cui gli
interessati non hanno ancora la qualità di
futuri contraenti, ma soltanto quella di
partecipanti alla gara e vantano
esclusivamente una posizione di interesse
legittimo al corretto esercizio dei poteri
della pubblica amministrazione, mentre non
sussiste una relazione specifica di
svolgimento delle trattative (Cass. S.U.
26.05.1997, n. 4673) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 28.05.2010 n. 3393 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Avviso di gara - Clausola di
esclusione di coloro che si trovino in causa
con l’Ente appaltante - Illegittimità -
Contrasto con gli artt. 24 e 41 Cost.
E’ illegittima la clausola dell’avviso di
gara con la quale venga comminata
l’esclusione nei confronti di coloro che si
trovino in causa con l’Ente appaltante, dato
che la stessa si pone in contrasto con
l’art. 24 della Costituzione che riconosce
la piena tutela in giudizio dei diritti ed
interessi nonché con i diritti di iniziativa
economica e di libertà d’impresa garantiti
dall’art. 41 della Costituzione (cfr. TAR
Calabria, Reggio Calabria, n. 1277/2007).
La clausola “de qua” restringe la
facoltà di esercizio del diritto di impresa
e riduce l’effettiva concorrenza fra le
imprese del settore, senza che a ciò faccia
riscontro una vera tutela di un interesse
pubblico.
Infatti la semplice esistenza d’un
contenzioso in atto non è di per sé indice
d’inaffidabilità dell’impresa, potendosi la
lite chiudere a favore della stessa, ragion
per cui la disposizione impugnata non
conduce a una selezione qualitativa dei
partecipanti, non avendo alcun riflesso
sull’efficacia dell’azione amministrativa,
ma solo un’evidente e univoca finalità di
penalizzazione (TAR Basilicata, Sez. I,
sentenza 28.05.2010 n. 325 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Dichiarazione circa l’assenza di
pregiudizi penali - Art. 38 d.lgs. n.
163/2006 - Dichiarazione del legale
rappresentante con riguardo ai terzi -
Assolvimento dell’obbligo - Fondamento.
Dichiarazione circa l’assenza di
pregiudizi penali - Art. 38 d.lgs. n.
163/2006 - Mancata allegazione - Sanatoria
tramite regolarizzazione documentale -
Esclusione.
L'obbligo di dichiarare l'assenza dei c.d. "pregiudizi
penali", di cui all’art. 38, d.lgs.
12.04.2006 n. 163, può ritenersi assolto dal
legale rappresentante dell'impresa anche
avuto riguardo ai terzi (direttori tecnici o
altri soggetti comunque muniti di poteri di
rappresentanza anche se cessati dalla carica
nel triennio antecedente), tanto nel
presupposto che anche in questo caso operino
le previsioni di responsabilità penale ed il
potere di verifica da parte della stazione
appaltante (cfr. da ultimo C.d.S., sez. V,
19.11.2009, n. 7244; C.d.S., sez. V,
07.10.2009, n. 6114; Cons. giust. amm.,
11.04.2008, n. 312).
La mancata allegazione, nel termine di
scadenza fissato dal bando, delle
dichiarazioni inerenti i soggetti previsti
dall’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 non può
essere sanata per il tramite dell’istituto
della regolarizzazione documentale di cui
all’art. 46 del codice dei contratti
pubblici, atteso che tale rimedio non si
applica al caso in cui l’impresa concorrente
abbia integralmente omesso la produzione
documentale prevista dall’art. 38 dello
stesso codice (cfr. TAR Lazio Roma, Sez. II,
22.09.2008 n. 8425) (TAR Campania-Napoli,
Sez. I,
sentenza 27.05.2010 n. 9649 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA: La
decadenza dei vincoli preordinati
all'esproprio comporta l'obbligo per il
comune di reintegrare la disciplina
urbanistica dell'area interessata.
Nel caso deciso, alla richiesta di
reintegrazione della destinazione
urbanistica avanzata dal proprietario
dell'area sulla quale erano posti i vincoli
oramai decaduti, il comune rispondeva con
una mera lettera di intenti.
Il comune, infatti, rispondeva che la
questione lungi dal dover essere trattata al
momento, sarebbe stata eventualmente oggetto
di riflessione in ambito di revisione dello
strumento urbanistico. La risposta del
comune provocava l'azione giudiziaria della
parte la quale impugnava l'illegittimità del
silenzio serbato dall'amministrazione.
Nel decidere la questione, i giudici
siciliani richiamano la precedente
giurisprudenza del Consiglio di Stato: la
decadenza dei vincoli urbanistici
espropriativi o che, comunque, privano la
proprietà del suo valore economico, comporta
l’obbligo per il Comune di “reintegrare”
la disciplina urbanistica dell’area
interessata dal vincolo decaduto con una
nuova pianificazione.
Ne consegue che il proprietario dell’area
interessata può presentare un’istanza, volta
a ottenere l’attribuzione di una nuova
destinazione urbanistica -così come è
avvenuto nel caso in esame- e
l’Amministrazione è tenuta a esaminarla,
anche nel caso in cui la richiesta medesima
non sia suscettibile di accoglimento, con
l’obbligo di motivare congruamente tale
decisione (Consiglio di Stato, sez. IV,
22.06.2004, n. 4426; TAR Campania, Salerno,
sez. I, 03.06.2009, n. 2825; TAR Sicilia,
Palermo, sez. III, 25.06.2009, n. 1167;
Catania, sez. I, 13.03.2008, n. 467;
18.07.2006, n. 1183; 21.06.2004, n. 1733):
fermo restando, naturalmente, il
mantenimento del potere discrezionale
dell’Amministrazione comunale in ordine alla
verifica e alla scelta della destinazione,
in coerenza con la più generale disciplina
del territorio, meglio idonea e adeguata in
relazione all’interesse pubblico al corretto
e armonico suo utilizzo (Consiglio di Stato,
sez. IV, 08.06.2007, n. 3025).
Nello specifico riguardo del silenzio
ritenuto illegittimo dal proprietario del
terreno, appellandosi ancora una volta alla
giurisprudenza di secondo grado, i giudici
esprimono un concetto molto importante: in
riferimento all'obbligo di provvedere sulla
istanza di reintegrazione della destinazione
urbanistica dell'area, causa decadenza dei
vincoli all'espropriazione, non costituisce
adempimento da parte del Comune il semplice
e prospettato avvio del procedimento di
revisione del piano regolatore generale
comunale.
L’obbligo gravante sul Comune in caso di
decadenza di vincolo preordinato
all’esproprio, va assolto mediante
l’adozione di una variante specifica o di
variante generale, gli unici strumenti che
consentono alle amministrazioni comunali di
verificare la persistente compatibilità
delle destinazioni già impresse ad aree
situate nelle zone più diverse del
territorio comunale, rispetto ai principi
informatori della vigente disciplina di
piano regolatore e alle nuove esigenze di
pubblico interesse (in termini: Consiglio di
Stato, sez. IV, 31.05.2007, n. 2885)
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Sicilia-Palermo,
Sez.
II, sentenza 27.05.2010 n. 7035 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Volumi tecnici non comportanti nuovi volumi
e nuove superfici - Eccezione al divieto di
autorizzazione paesistica in sanatoria -
Nozione di volume tecnico - Fattispecie.
Secondo parte della giurisprudenza fanno
eccezione al divieto di rilasciare
l'autorizzazione paesistica in sanatoria,
previsto dall'art. 167, comma 4, d.lgs. n. 42
del 2004, i soppalchi, i volumi interrati e
i volumi tecnici che non abbiano comportato
nuovi volumi e nuove superfici (TAR
Lombardia Milano, sez. IV, 16.02.2009, n.
1309; TAR Campania Napoli, sez. VII,
03.11.2009, n. 6827): la nozione di volume
tecnico può però essere applicata solo alle
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa (TAR Campania
Napoli, sez. IV, 05.08.2009, n. 4738).
In particolare, non costituisce volume
tecnico un vano scala finalizzato non alla
installazione ed accesso a impianti
tecnologici necessari alle esigenze
abitative, ma a consentire l'accesso da un
appartamento ad una terrazza praticabile
(Consiglio Stato, sez. V, 26.07.1984, n.
578) (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 25.05.2010 n. 8748 -
link a www.ambientediritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Conferimento degli incarichi
dirigenziali - Potere discrezionale -
Valutazioni di carattere fiduciario -
Provvedimento di nomina - Obblighi
motivazionali - Diffusa esternazione
dell’iter valutativo - Necessità -
Esclusione.
La Pubblica Amministrazione fruisce di un
potere ampiamente discrezionale in ordine al
conferimento degli incarichi dirigenziali,
in ragione del ruolo di collegamento di tali
incarichi tra la funzione di indirizzo
politico e quella amministrativa, in
ossequio al principio legislativo secondo il
quale, nell’attribuzione delle qualifiche di
vertice, deve privilegiarsi l’obiettivo
della piena efficienza della P.A. attraverso
la più ampia possibilità di reperimento dei
soggetti più capaci e meritevoli, che
giustifica l’evidenza pubblica (cfr. Cons.
di Stato, sez. IV, n. 1391/2005, ex
pluris).
La scelta dei soggetti da nominare,
nondimeno, prescinde da ogni forma di
valutazione comparativa, il che esime anche
da adempimenti di partecipazione
procedimentale, e deve avvenire sulla base
di valutazioni di carattere eminentemente
fiduciario con riferimento alla probabilità
di svolgimento ottimale delle mansioni
pubbliche, in piena autonomia, ma in
consonanza con l’indirizzo politico del
nominante (cfr. Cons. di Stato, cit.).
Ne deriva che il provvedimento di nomina non
richiede la diffusa esternazione dell’iter
valutativo compiuto dall’Amministrazione,
dovendosi ritenere assolto l’obbligo di
motivazione allorché sia dato atto della
positiva valutazione dei requisiti
professionali del nominato, in relazione
alla particolarità dell’incarico da
svolgere, all’esito di un apprezzamento
complessivo della sua professionalità (cfr.
TAR Calabria, CZ, sez. II, n. 1452/2007)
(TAR Abruzzo-L’Aquila, Sez. I,
sentenza 24.05.2010 n. 420 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI: Non
è in contrasto con il principio della
certezza del diritto la proroga del periodo
transitorio per l’apertura alla concorrenza
del mercato del gas.
Nella decisione in commento, i giudici di
Palazzo Spada sono stati chiamati ad
affrontare la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 23 del d.l.
273/2005 che dispone una proroga del periodo
transitorio per l’apertura alla concorrenza
del mercato del gas stabilito dal D.Lgs.
164/2000.
Per sostenere l’illegittimità della
disposizione citata il comune ne chiede la
valutazione in merito alle direttive 98/30 e
2003/55 nonché alla pronuncia della Corte di
Giustizia 17.07.2008 emessa nella causa
C-347-2006.
Secondo il comune, le direttive sono state
emanate per liberalizzare il mercato del gas
rendendolo concorrenziale, l’obbiettivo era
perseguibile mediante la previsione di un
periodo transitorio entro il quale far
cessare le vecchie concessioni di
distribuzione del gas, da non vanificare con
la previsione di proroghe delle scadenze.
A sostegno della propria posizione il comune
richiama la sentenza della Corte di
Giustizia emessa nella causa C- 347/2006 che
ha stabilito che gli artt. 43, 49, 86 CE non
ostano al prolungamento di un periodo
transitorio, purché esso possa essere
considerato necessario per permettere alle
parti di sciogliere i rispettivi rapporti
contrattuali a condizioni accettabili.
Secondo il Comune tale esigenza non sarebbe
sussistita nel caso dell’art. 23 in quanto
il periodo originario non era troppo breve.
In effetti la parte sostiene che i 5 anni
stabiliti dal D.Lgs. 164/2000 costituiscano
un periodo congruo per consentire la
risoluzione dei rapporti in essere a
condizioni accettabili. Inoltre le
concessioni di cui all’art. 23 essendo state
affidate senza il ricorso a procedura ad
evidenza pubblica non sono meritevoli di
tutela.
Non hanno la stessa posizione i giudici di
Palazzo Spada: a loro avviso le affermazioni
della Corte di Giustizia in ordine ai
requisiti legittimanti il ricorso alla
proroga hanno senso solo se riferite ad un
periodo di tempo significativo.
In effetti le parti attribuiscono alle
parole della Corte di Giustizia un
significato diverso. Secondo il Comune,
essendo il termine stabilito dal decreto
Letta abbastanza lungo non emergerebbero
quelle esigenze che ad avviso della Corte
non ostano al prolungamento del termine,
secondo i Giudici quelle affermazioni hanno
senso solo se riferite ad un periodo
significativo atteso che un periodo di
prolungamento relativamente breve, non
idoneo a comportare conseguenze sfavorevoli
ai singoli o alle imprese, è da considerarsi
non adeguato a comportare la violazione del
principio di certezza del diritto che la
Corte ha stabilito che fosse meritevole di
tutela.
Secondo i Giudici la disamina dell’intera
normativa (decreto legislativo 164/2000, la
successiva modifica apportata dalla legge
239/2004) dimostra che la proroga effettuata
dal d.l. 273/2005 non varia in modo
significativo il periodo transitorio
stabilito dalla normativa, quindi non
comporta conseguenze sfavorevoli “anche
economiche, inaccettabili in capo ai singoli
e alle impresa perché di entità tale da non
violare il principio di certezza del diritto”
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato,
Sez. V,
sentenza 21.05.2010 n. 3216 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Con l’atto di insediamento del
Commissario ad Acta è precluso
all’amministrazione ogni margine di
ulteriore intervento.
Secondo la giurisprudenza di questo
Consiglio di Stato, se è vero che deve
ammettersi che l’amministrazione rimane
titolare del potere di provvedere anche
tardivamente, dopo la scadenza del termine
fissato dal giudice, è anche vero che
all’atto di insediamento del commissario
ad acta ovvero con la redazione del
verbale di immissione del commissario nelle
funzioni amministrative e con la sua presa
di contatto con la amministrazione, si
verifica un definitivo trasferimento dei
poteri rimanendo precluso alla
amministrazione ogni margine di ulteriore
intervento (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
10.04.2006 n. 1947) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 21.05.2010 n. 3214 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le clausole di esclusione poste
dalla legge o dal bando in ordine alle
dichiarazioni cui è tenuta la impresa
partecipante alla gara sono di stretta
interpretazione dovendosi dare esclusiva
prevalenza alle espressioni letterali in
esse contenute restando preclusa ogni forma
di estensione analogica diretta ad
evidenziare significati impliciti, che
rischierebbe di vulnerare l’affidamento dei
partecipanti, la par condicio dei
concorrenti e l’esigenza della più ampia
partecipazione.
Le norme di legge e di bando che
disciplinano i requisiti soggettivi di
partecipazione alle gare pubbliche devono
essere interpretate nel rispetto del
principio di tipicità e tassatività delle
ipotesi di esclusione che di per sé
costituiscono fattispecie di restrizione
della libertà di iniziativa economica
tutelata dall’art. 41 della Costituzione,
oltre che dal Trattato comunitario.
In ordine alla regolarità contributiva
stabilisce l’art. 38, primo comma, lett. g),
del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, che “sono
esclusi dalla partecipazione alle procedure
di affidamento delle concessioni e degli
appalti di lavori, forniture e servizi, né
possono essere affidatari di subappalti, e
non possono stipulare i relativi contratti i
soggetti che hanno commesso violazioni,
definitivamente accertate, rispetto agli
obblighi relativi al pagamento delle imposte
e tasse secondo la legislazione italiana o
dello Stato in cui sono stabiliti”.
Analoga previsione è posta all’art. 38,
primo comma, lettera i), quanto alle
violazioni di carattere previdenziale ed
assistenziale.
In materia di procedure ad evidenza
pubblica, le clausole di esclusione poste
dalla legge o dal bando in ordine alle
dichiarazioni cui è tenuta la impresa
partecipante alla gara sono di stretta
interpretazione dovendosi dare esclusiva
prevalenza alle espressioni letterali in
esse contenute restando preclusa ogni forma
di estensione analogica diretta ad
evidenziare significati impliciti, che
rischierebbe di vulnerare l’affidamento dei
partecipanti, la par condicio dei
concorrenti e l’esigenza della più ampia
partecipazione (tra molte: Cons. Stato, sez.
V, 28.09.2005 n. 5194; V, 13.01.2005 n. 82;
IV, 15.06.2004 n. 3903; VI, 02.04.2003 n.
1709).
Pertanto le norme di legge e di bando che
disciplinano i requisiti soggettivi di
partecipazione alle gare pubbliche devono
essere interpretate nel rispetto del
principio di tipicità e tassatività delle
ipotesi di esclusione che di per sé
costituiscono fattispecie di restrizione
della libertà di iniziativa economica
tutelata dall’art. 41 della Costituzione,
oltre che dal Trattato comunitario (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 21.05.2010 n. 3213 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’omissione della dichiarazione
concernente il diritto al lavoro dei
disabili costituisce causa di esclusione
dalla gara anche se non richiamata dalla lex
specialis.
Viene in
rilievo l'art. 17 della L. 12.03.1999 n. 68
che prevede che le imprese, sia pubbliche
sia private, qualora partecipino a bandi
gare per appalti pubblici o intrattengano
rapporti convenzionali o di concessione con
pubbliche amministrazioni, sono tenute a
presentare preventivamente alle stesse la
dichiarazione del legale rappresentante che
attesti di essere in regola con le norme che
disciplinano il diritto al lavoro dei
disabili.
Al riguardo la giurisprudenza di questo
Consiglio di Stato ha costantemente rilevato
che la dichiarazione di cui all'art. 17, l.
12.03.1999 n. 68, in materia di tutela dei
disabili, costituisce requisito di
partecipazione alla gara; ne consegue che la
omissione di detta dichiarazione costituisce
causa di esclusione per la forza cogente
propria della legge, anche se non richiamata
dalla lex specialis (Cons. Stato,
sez. V, 10.01.2007 n. 33; V, 24.01.2007 n.
256; IV, 14.05.2004 n. 3148; V, 06.07.2002
n. 3733)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.05.2010 n. 3213 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Offerta economica - Mancata
allegazione del documento d’identità - Non
costituisce motivo di esclusione - Ragioni.
Ove le istanze o le dichiarazioni cui
allegare il documento di identità siano rese
dalla stessa persona in un medesimo
procedimento e fanno parte di un medesimo
insieme probatorio, non è necessario che
siano accompagnate, ciascuna, da una
fotocopia del documento di identità,
altrimenti la formalità prescritta dall’art.
38 del d.p.r. 28.12.2000, n. 445 si
tramuterebbe in un formalismo senza scopo
(cfr. TAR Sardegna, n. 457/2008).
In tal senso è anche il parere espresso
dall’Autorità della vigilanza sui contratti
pubblici di lavori servizi e forniture
(deliberazione n. 256/2007) in cui si
puntualizza che la mancata allegazione del
documento d’identità all’offerta economica
non può essere motivo di esclusione: il
riferimento dell’Autorità è ad un
orientamento giurisprudenziale che consente
addirittura la sanatoria, a mezzo
integrazione postuma, nelle ipotesi di
omessa allegazione della copia del documento
di identità, sul presupposto che la mancata
allegazione alla dichiarazione sostitutiva
di un atto di notorietà sottoscritta dal
dichiarante della copia del documento di
identità del sottoscrittore, da rendersi ai
sensi dell’art. 38, comma 3, del d.p.r.
28.12.2000, n. 455, non comporta la nullità
della dichiarazione stessa, piuttosto
rappresentata un esempio tipo di
regolarizzazione successiva, attenendo detta
regolarizzazione non al contenuto del
documento, ma solo alla garanzia della sua
provenienza, di modo che non viene implicata
alcuna lesione del principio della par
condicio dei concorrenti (TAR Puglia-Bari,
Sez. I,
sentenza 21.05.2010 n. 1972 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di radio-comunicazione - Norma
regolamentare comunale - Divieto di
localizzazione nelle zone interessate da
vincolo paesaggistico, panoramico e
archeologico - Illegittimità - Contrasto con
i principi di cui al d.lgs. n. 259/2003.
La norma regolamentare comunale con la quale
è fatto divieto di localizzare impianti di
radio telecomunicazione in tutte le zone
interessate da vincolo paesaggistico,
panoramico e archeologico è incompatibile
con i principi desumibili dal D.L.vo
259/2003, dai quali emerge un evidente favor
per la installazione degli impianti di che
trattasi, i quali vengono espressamente
considerati quali opere di pubblica utilità
ed assimilati ad opere di urbanizzazione
primaria.
E’, pertanto, evidente che laddove una norma
regolamentare di fatto impedisca la
installazione di impianti soggetti al D.L.vo
259/2003 in ampie zone del territorio,
mettendo così a rischio l’efficacia del
sistema di comunicazione, essa, benché
ispirata dall’intento di salvaguardare
l’integrità di beni soggetti a tutela, non
può che considerarsi incompatibile con il
menzionato testo legislativo (TAR Puglia-
Bari, Sez. II,
sentenza 20.05.2010 n. 1963 -
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EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Natura - Profili di
discrezionalità amministrativa - Sindacato
del giudice amministrativo - Limiti.
La valutazione d’impatto ambientale, anche
con riferimento alla tutela dei siti di
interesse naturalistico SIC e ZPS, non
costituisce un mero giudizio tecnico,
suscettibile in quanto tale di verificazione
sulla base di oggettivi criteri di
misurazione, ma presenta profili
particolarmente intensi di discrezionalità
amministrativa, sul piano dell’apprezzamento
degli interessi pubblici in rilievo e della
loro ponderazione rispetto all’interesse
all’esecuzione dell’opera, apprezzamento che
è sindacabile dal giudice amministrativo
soltanto in ipotesi di manifesta illogicità
o travisamento dei fatti, nel caso in cui
l’istruttoria sia mancata, o sia stata
svolta in modo inadeguato, e sia perciò
evidente lo sconfinamento del potere
discrezionale riconosciuto
all’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez.
V, 22.06.2009 n. 4206; Id., sez. V,
21.11.2007 n. 5910; Id., sez. VI, 17.05.2006
n. 2851; Id., sez. IV, 22.07.2005 n. 3917)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 14.05.2010 n. 1897 -
link a www.ambientediritto.it). |
VARI:
Guida con il cellulare. I punti
sulla patente? Tolti solo a chi guida.
Nel caso di multa, per guida al volante con
il cellulare, senza auricolare o vivavoce,
non contestata immediatamente al guidatore,
sarà quest’ultimo a subire la detrazione del
punti sulla patente, anche nel caso in cui
la contravvenzione sia notificata al
proprietario del veicolo.
Quest’ultimo dovrà semplicemente indicare il
nome di colui che si trovava alla guida del
mezzo al momento della violazione (Corte di
Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 29.04.2010 n. 10363 -
link a www.altalex.com). |
SICUREZZA LAVORO:
Sicurezza sul lavoro: valutazione
dei rischi e infortuni.
In materia antinfortunistica c’è colpa del
datore di lavoro non solo per l’omessa
redazione del DVR (documento valutazione
rischi) ma anche per il suo mancato,
insufficiente o inadeguato aggiornamento
oppure per l’omessa valutazione della
individuazione degli specifici pericoli a
cui i prestatori di lavoro siano sottoposti
in relazione alle diverse mansioni.
I giudici della Suprema Corte, con la
sentenza 10448/2010 ribadiscono il concetto
che la valutazione dei rischi (con la
conseguenza elaborazione dell’idoneo
documento) costituisce, senza ombra di
dubbio, un fondamentale passaggio per la
prevenzione degli infortuni, anche se il
rapporto di causalità tra omessa previsione
del rischio e infortunio (o il rapporto di
causalità tra omesso inserimento del rischio
nel documento di valutazione dei rischi e
infortunio) deve essere accertato in
concreto rapportando gli effetti indagati e
accertati della omissione, all'evento che si
è concretizzato, non potendo essere
affermata una causalità di principio.
In base alla normativa vigente in materia
(TU unico 81/2008 e correttivo 106/2009) si
prevede che uno dei primi e fondamentali
obblighi del datore di lavoro è quello di
redigere il documento contenente la
valutazione dei rischi dell’attività di
lavoro da svolgere, e soprattutto che
l’elaborazione di tale documento da parte
del datore non è delegabile né ai dirigenti,
né ai preposti (Corte di Cassazione, Sez. IV
penale,
sentenza 16.03.2010 n. 10448 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Realizzazione di
soppalco.
La realizzazione di un soppalco non rientra
nell'ambito degli interventi di restauro o
risanamento conservativo (i quali
presuppongono, ai sensi dell'art. 3, lett.
c), D.P.R. n. 380/2001, la conservazione di
elementi, anche strutturali, degli edifici,
che siano comunque preesistenti, ovvero
l'inserimento di elementi nuovi, che abbiano
tuttavia carattere accessorio), ma nel
novero degli interventi di ristrutturazione
edilizia, di cui alla lettera c) del comma
primo dell'articolo 10 d.P.R. n. 380/2001,
dal momento che determina una modifica della
superficie utile dell'appartamento, con
conseguente aggravio del carico urbanistico
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 18.02.2010 n. 1953 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Normative di settore - Immobili
vincolati.
Ai sensi dell'art. 149, comma 1, lett. a),
del D.Lg. n. 42/2004 mentre la presentazione
della d.i.a. per la esecuzione di interventi
di manutenzione straordinaria o di restauro
e risanamento conservativo, che non alterino
lo stato dei luoghi o l'aspetto esteriore
degli edifici, non deve essere preceduta
dall'autorizzazione dell'amministrazione
preposta alla tutela del vincolo,
necessitano, in ogni caso, di detta
autorizzazione gli interventi di
ristrutturazione edilizia, sia se soggetti
alla d.i.a. di cui ai primi due commi
dell'art. 22 d.P.R. n. 380/2001, secondo il
combinato disposto di cui all'art. 3, comma
1, lett. d), ed art. 10, comma 1, lett. c),
del citato decreto, sia se soggetti alla
cosiddetta super d.i.a. di cui all'art. 22,
comma 3, sostitutiva del permesso di
costruire, nei casi previsti dal citato art.
10, comma 1 lett. c) (massima tratta da www.studiospallino.it -
Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 21.01.2010 n. 8739). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione di
annullamento (d.i.a.).
I terzi, che ritengano di essere
pregiudicati dall'effettuazione di una
attività edilizia assentita in modo
implicito, possono agire innanzi al giudice
amministrativo per chiedere l'annullamento
del titolo abilitativo formatosi per il
decorso del termine fissato dalla legge
entro cui l'Amministrazione può impedire gli
effetti della d.i.a. (massima tratta da www.studiospallino.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.01.2010 n. 72 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Superficie lorda
(incremento).
Per stabilire se vi sia ristrutturazione (e,
quindi, se l'intervento edilizio sia
oneroso) occorre infatti valutare le opere
nel loro complesso indipendentemente dal
fatto che si realizzi un guadagno di
superficie lorda di pavimento (massima
tratta da www.studiospallino.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 02.11.2009 n. 1785 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Trasformazione di volumi
pertinenziali.
La nozione di ristrutturazione, sebbene
ulteriormente estesa per effetto delle
disposizioni contenute nell'art. 3 d.P.R.
06.06.2001 n. 380, si distingue pur sempre
da quella di nuova costruzione per la
necessità che la ricostruzione sia identica
per sagoma, volumetria e superficie al
fabbricato demolito; così, i lavori di
rifacimento di ruderi, di un edificio già da
tempo demolito o diruto sono qualificabili
come nuova costruzione, con necessità di
un'apposita concessione edilizia o titolo
corrispondente, secondo la vigente normativa
e nel concetto giuridico di rudere rientra,
senza dubbio, il caso del rifacimento di un
organismo edilizio dotato di sole mura
perimetrali, e privo di copertura, con
conseguente non invocabilità della
disposizione urbanistica che consenta il
mantenimento dei volumi preesistenti, e
quindi la mera ristrutturazione e non la
nuova costruzione.
Non si verifica un aumento non consentito
delle volumetrie attraverso la
trasformazione dei volumi pertinenziali
all'esercizio di un "essiccatoio pelli"
in volumi residenziali: i volumi citati non
possono considerarsi tecnici, poiché ab
origine funzionali alla pregressa
attività agricola ( destinati ad ospitare
impianti legati da un rapporto di
strumentalità necessaria con l'utilizzazione
dell'immobile), mentre il concetto di volume
tecnico comprende invero ogni spazio
destinato alla allocazione di impianti
tecnici a servizio del manufatto e non può
riferirsi a ben due piani in sopraelevazione
di un edificio, per i quali è ben definita
la funzione indispensabile al sistema
produttivo che si svolgeva nella fabbrica,
non trattandosi di una funzione meramente
complementare o accessoria al resto
dell'edificio (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli,
Sez. II,
sentenza 11.09.2009 n. 4949 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Oneri (equiparazione
agli interventi nuova costruzione).
È legittima la delibera in cui vengono
equiparati gli oneri per gli interventi di
ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione a quelli previsti per gli
interventi di nuova costruzione, in misura
doppia rispetto a quella prevista per gli
interventi di ristrutturazione.
L’entità degli oneri di urbanizzazione è
correlata alla variazione del carico
urbanistico, sicché è ben possibile che un
intervento di ristrutturazione mediante
demolizione e ricostruzione possa comportare
aggravi di carico urbanistico identici a
quelli derivanti da nuove costruzioni.
Un intervento di ristrutturazione globale di
un edificio, attuato mediante demolizione e
ricostruzione porta, invero, alla
realizzazione di un organismo edilizio
sostanzialmente nuovo: non appare quindi
illogico ritenere che un intervento così
radicale determini, di regola, un incremento
del carico urbanistico pari a quello legato
alla realizzazione di una nuova costruzione
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Brescia, sentenza 21.07.2009
n. 4455). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Sopraelevazione.
Le opere edilizie, che hanno comportato la
sopraelevazione di un nuovo piano, non
possono considerarsi di ristrutturazione
conservativa atteso che, comportando una
modifica radicale delle caratteristiche
tipologiche del preesistente edificio, vanno
necessariamente annoverate nell’ambito della
tipologia delle nuove costruzioni, per la
cui realizzazione è necessario il previo
rilascio del permesso di costruire (massima
tratta da www.studiospallino.it - Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.07.2009 n. 4566 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Volumetria, sagoma e
superficie (rispetto).
La ristrutturazione «pesante» ben può
comportare, ai sensi dell’art. 10, testo
unico, la trasformazione dell’organismo
preesistente, ma non postula la sua
demolizione integrale; laddove, invece, vi
sia demolizione integrale seguita da
ricostruzione, l’intervento in tanto è
assimilabile ad una ristrutturazione in
quanto la ricostruzione sia fedele, si
mantenga cioè nei limiti dell’organismo
originario, come si evince dall’art. 3,
primo comma, lettera d), dello stesso testo
unico (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 09.06.2009 n. 3939 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fattispecie in materia di ristrutturazione -
Sostituzione edilizia.
Il comma primo dell'art. 3 del testo unico
edilizia (d.P.R. n. 380 del 2001),
contenente le definizioni degli interventi
edilizi, non fa menzione alcuna della
nozione di sostituzione edilizia, per cui
l'inquadramento della fattispecie concreta
prevista dalla pianificazione locale deve
avvenire in una delle categorie indicate
dalla legge nazionale (nella specie la
ristrutturazione), posto che la previsione
predetta appare apportatrice di una
normazione contenente principi, e come tale
inderogabile dalle normative locali, fatto
salvo quanto disposto ad altri fini per le
leggi regionali dall'art. 10, comma 3, del
testo unico per l'edilizia (massima tratta
da www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez.
I,
sentenza 08.06.2009 n. 1292 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Opere interne.
Le opere interne e gli interventi di
ristrutturazione edilizia, come pure quelli
di manutenzione ordinaria o straordinaria,
ogniqualvolta comportino mutamento di
destinazione d'uso tra categorie
d'interventi funzionalmente autonome dal
punto di vista urbanistico e, qualora
debbano essere realizzati nei centri
storici, anche nel caso in cui comportino
mutamento di destinazione d'uso all'interno
di una categoria omogenea, come ad esempio
quella industriale o residenziale,
richiedono il permesso di costruire.
Gli stessi interventi di ristrutturazione o
manutenzione, comportanti modificazioni
della destinazione d'uso nell'ambito di
categorie omogenee, qualora siano realizzati
fuori del centro storico richiedono solo la
denuncia di inizio attività.
Inoltre, la c.d. lottizzazione cd. materiale
non presuppone necessariamente il compimento
di opere su un suolo inedificato, ma può
verificarsi anche attraverso la
modificazione della destinazione d'uso di un
edificio già esistente (Cass. sez. III,
sentenza n. 6990 del 2006) (massima tratta
da www.studiospallino.it - Corte di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza
13.05.2009 n. 20149). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Ricostruzione su area di
«sottotetto termico non abitabile».
L'intervento che prevede la demolizione di
un preesistente manufatto e la
ricostruzione, su diversa area di sedime, di
un altro radicalmente differente dal primo
per sagoma, superficie e volume, non può
essere inquadrato nella categoria della
ristrutturazione edilizia; per quanto
riguarda in particolare il calcolo del
volume, l'opera progettata, impropriamente
definita «sottotetto termico non
abitabile», non può rientrare nella
destinazione dichiarata né è sussumibile nel
concetto di volume tecnico, che comprende
esclusivamente le porzioni di fabbricato
destinate ad ospitare impianti, legati da un
rapporto di strumentalità necessaria con
l'utilizzazione dello stesso.
In realtà, come chiarito dalla Sezione in
analoghe fattispecie (cfr. TAR Campania, II
Sezione, 03.02.2006 n. 1506 e 29.06.2007, n.
6382), tenuto conto nella specie delle
caratteristiche costruttive, della rilevante
superficie (160 mq.) ed altezza media nonché
della presenza di ampie balconate, esso
integra piuttosto un nuovo organismo
edilizio autonomamente utilizzabile,
sostanziandosi in un piano di copertura
oggettivamente suscettibile di uso
abitativo.
Invero, ai fini della qualificazione di una
costruzione, rilevano le caratteristiche
oggettive della stessa, prescindendosi
dall'intento dichiarato dal privato di voler
destinare l'opera ad utilizzazioni più
ristrette di quelle alle quali il manufatto
potenzialmente si presta (cfr. Consiglio di
Stato, V Sezione, 21.10.1992 n. 1025 e
13.05.1997 n. 483; TAR Campania, IV Sezione,
12.01.2000 n. 30; II Sezione, 03.02.2006 n.
1506).
In definitiva, viene in rilievo una nuova
costruzione, secondo la definizione
contenuta nell'art. 3, comma 1, lettera
e.1), del d.P.R. n. 380 del 2001 -che
peraltro prevale sulle contrarie
disposizioni degli strumenti urbanistici
generali e dei regolamenti edilizi, ai sensi
del secondo comma dello stesso art. 3- la
cui cubatura, pertanto, va computata nel
conteggio della volumetria complessiva.
In linea con le
costanti acquisizioni giurisprudenziali
(cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV,
10.02.2004, n. 476, 11.04.2007, n. 1669;
Sezione V, 04.03.2008, n. 918; TAR Campania,
Sezione IV, 05.03.2004, n. 2751; Sezione II,
14.03.2006, n. 2929), può escludersi che
l'intervento dichiarato sia riconducibile al
novero della ristrutturazione –atteso che
esso comporta rilevanti modifiche nella
sagoma, nella superficie e volume rispetto
al manufatto preesistente– dovendo piuttosto
essere qualificato come di "nuova
costruzione" e, in quanto tale,
assoggettato al regime del permesso di
costruire ed alle limitazioni imposte dalle
norme urbanistiche vigenti nella zona
territoriale di riferimento (cfr., sul
punto, Consiglio di Stato, Sezione V,
03.03.2004 n. 1022)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 16.03.2009 n. 1461 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Volumetria, sagoma e
superficie (rispetto).
Ai sensi dell’art. 22, comma 3, lettera a),
del d.P.R. n. 380 del 2001, possono essere
realizzati mediante denuncia di inizio
attività, in alternativa al permesso di
costruire, gli interventi di
ristrutturazione edilizia di cui all’art.
10, comma 1, lettera c), dello stesso T.U.,
interventi che possono in effetti portare
alla realizzazione di un organismo edilizio
in tutto o in parte diverso dal
preesistente; tuttavia la fattispecie
concreta va ricondotta all’ipotesi specifica
di ristrutturazione attuata mediante
demolizione e ricostruzione, che è
espressamente disciplinata dall’art. 3,
comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del
2001, il quale richiedeva, nell’originaria
formulazione, la «fedele ricostruzione»
della preesistenza (quanto a sagoma, volumi,
area di sedime e caratteristiche dei
materiali); successivamente, l’art. 1,
d.lgs. 27.12.2002 n. 301, pur espungendo
dalla citata previsione normativa
l’originario riferimento alla "fedele
ricostruzione", ha comunque ribadito
che: «Nell’ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi
anche quelli consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve
le sole innovazioni necessarie per
l’adeguamento alla normativa antisismica»;
a fronte della tassativa previsione della
fonte primaria, come ora ricostruita, ed in
linea con le costanti acquisizioni
giurisprudenziali, può quindi escludersi che
l’intervento dichiarato sia riconducibile al
novero della ristrutturazione -atteso che,
come sopra chiarito, esso comporta rilevanti
modifiche nella sagoma, nella superficie e
volume rispetto al manufatto preesistente-
dovendo piuttosto essere qualificato come di
"nuova costruzione" e, in quanto
tale, assoggettato al regime del permesso di
costruire ed alle limitazioni imposte dalle
norme urbanistiche vigenti nella zona
territoriale di riferimento (massima tratta
da www.studiospallino.it - TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 16.03.2009 n. 1461 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione
dichiarativa (d.i.a.).
Nella contestazione della legittimità di
lavori eseguiti con denuncia di inizio
attività è esperibile, in base all'art. 24
della Costituzione, anche un'azione di
accertamento atipica tutte le volte in cui
una simile azione risulti necessaria per la
soddisfazione concreta della pretesa
sostanziale del ricorrente (massima tratta
da www.studiospallino.it - TAR
Abruzzo-Pescara, Sez. I,
sentenza 05.03.2009 n. 134 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
qualificabile come costruzione qualsiasi
manufatto “non completamente interrato” che
abbia i caratteri della solidità, stabilità,
ed immobilizzazione al suolo.
Ai fini dell’osservanza delle norme sulle
distanze legali stabilite dall’art. 873 del
codice civile, deve farsi riferimento alle
sole costruzioni che, essendo erette sopra
il suolo, ne sporgano stabilmente, mentre
sono di certo escluse dal rispetto delle
distanze legali i manufatti completamente
interrati.
La giurisprudenza ha costantemente chiarito
che è qualificabile come costruzione
qualsiasi manufatto “non completamente
interrato” che abbia i caratteri della
solidità, stabilità, ed immobilizzazione al
suolo (Cass. Civ., sez. II, 28.09.2007, n.
20574, e 27.10.2008, n. 25837).
Cioè, in altri termini, ai fini
dell’osservanza delle norme sulle distanze
legali stabilite dall’art. 873 del codice
civile, deve farsi riferimento alle sole
costruzioni che, essendo erette sopra il
suolo, ne sporgano stabilmente, mentre sono
di certo escluse dal rispetto delle distanze
legali i manufatti completamente interrati
(Cass. Civ., sez. II, 04.10.2005, n. 19350)
(TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I,
sentenza 05.03.2009 n. 134 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI: Il
criterio per accertare se una costruzione
sia da considerare modesta, e rientri quindi
nella competenza professionale dei geometri,
va individuato nelle difficoltà tecniche che
la progettazione e l’esecuzione dell’opera
comportano e nelle capacità occorrenti per
superarle; ed a questo fine si è ritenuto
che assumono rilievo, oltre alla complessità
della struttura e delle relative modalità
costruttive, anche, in via complementare, il
costo presunto dell’opera, in quanto si
tratta di un elemento sintomatico che vale
ad evidenziare le difficoltà tecniche che
coinvolgono la costruzione.
la competenza professionale dei geometri in
materia di progettazione e direzione dei
lavori di opere edili riguarda le
costruzioni rurali e degli edifici per uso
di industrie agricole, di limitata
importanza, di struttura ordinaria,
“comprese le piccole costruzioni accessorie
in cemento armato” che non richiedano
particolari operazioni di calcolo e che per
la loro destinazione non possono comunque
implicare pericolo per la incolumità delle
persone.
Secondo quanto
costantemente chiarito dalla giurisprudenza
(Cass. Civ., sez. I, 27.02.2008, n. 5203, e
sez. III, 14.06.2007, n. 13968), il criterio
per accertare se una costruzione sia da
considerare modesta, e rientri quindi nella
competenza professionale dei geometri, va
individuato nelle difficoltà tecniche che la
progettazione e l’esecuzione dell’opera
comportano e nelle capacità occorrenti per
superarle; ed a questo fine si è ritenuto
che assumono rilievo, oltre alla complessità
della struttura e delle relative modalità
costruttive, anche, in via complementare, il
costo presunto dell’opera, in quanto si
tratta di un elemento sintomatico che vale
ad evidenziare le difficoltà tecniche che
coinvolgono la costruzione.
In aggiunta, si è anche precisato che la
competenza professionale dei geometri in
materia di progettazione e direzione dei
lavori di opere edili riguarda le
costruzioni rurali e degli edifici per uso
di industrie agricole, di limitata
importanza, di struttura ordinaria, “comprese
le piccole costruzioni accessorie in cemento
armato” che non richiedano particolari
operazioni di calcolo e che per la loro
destinazione non possono comunque implicare
pericolo per la incolumità delle persone
(Cons. St., sez. IV, 05.09.2007, n. 4652 e
TAR Campania, sez. Salerno, sez. II,
19.07.2007, n. 860).
Ciò posto, ritiene il Collegio che la
realizzazione di un garage, per le sue
modeste dimensioni, ben avrebbe potuto
essere progettato da un geometra, in quanto,
pur essendo realizzato in cemento armato, il
manufatto non richiedeva per la sua
progettazione particolari operazioni di
calcolo; inoltre, tale opera per la sua
collocazione (totalmente interrato) e per la
sua specifica destinazione (a garage) non
può comunque implicare pericolo per la
incolumità delle persone
(TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I,
sentenza 05.03.2009 n. 134 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Volumetria,
sagoma e superficie (rispetto).
Per giurisprudenza pacifica (anche di questo
Tribunale: cfr., in termini, Tar
Campania-Napoli, IV, 3067/2003), al fine di
qualificare come ristrutturazione edilizia
un’opera, alla luce dell’art. 31, lett. d),
l. 05.08.1978 n. 457, occorre che il
complesso edilizio, sul quale si operano gli
interventi, rimanga alla fine
sostanzialmente il medesimo per forma,
volume e altezza.
Il risultato della ristrutturazione può
essere, infatti, un organismo edilizio anche
diverso dal precedente purché però la
diversità sia dovuta ad interventi
comprendenti il ripristino o la sostituzione
di alcuni elementi costitutivi del manufatto
ovvero l’eliminazione, le modifica e
l’inserimento di nuovi elementi ed impianti,
in quanto la ristrutturazione edilizia mira,
in definitiva, alla salvezza del complesso
esistente (fra le ultime: Consiglio di
Stato, sez. V, n. 1246 del 05.03.2001, n.
6768 del 18.12.2000 e n. 3901 del
13.07.2000).
Rientrano nella nozione di ristrutturazione
edilizia anche gli interventi consistenti
nella demolizione e successiva fedele
ricostruzione di un fabbricato nelle sue
caratteristiche preesistenti, non soltanto
dimensionali, ma anche architettoniche e
stilistiche che lasciano inalterati i volumi
e la sagoma (fra le ultime Consiglio di
Stato, sez. V, n. 5410 del 09.10.2002, n.
6769 del 18.12.2000, n. 3901 del 13.07.2000
cit.).
Esula invece dal concetto di
ristrutturazione la totale demolizione e
ricostruzione di un manufatto nel caso che
il nuovo stabile non sia fedele al
precedente, per sagoma, volumi e
collocazione (Consiglio di Stato, sez. V, n.
5093 del 26.09.2000). In tal caso
l’intervento deve considerarsi come nuova
costruzione e, come tale, è soggetto alle
limitazioni imposte dalle norme urbanistiche
in vigore al momento in cui va esaminata la
possibilità o meno di riconoscerne la
legittimità (Consiglio di Stato, sez. V n.
4397 del 10.08.2000) (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli,
Sez. VIII,
sentenza 27.02.2009 n. 1153 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Volumetria,
sagoma e superficie (rispetto).
In base alla disciplina del t.u.
dell’edilizia gli interventi di
ristrutturazione edilizia eseguiti con
demolizione e ricostruzione, possono
comportare la realizzazione di un organismo
in tutto o in parte diverso dal precedente,
purché il complesso edilizio, sul quale si
operano gli interventi, rimanga alla fine
sostanzialmente il medesimo per forma,
volume ed altezza (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 19.02.2009 n. 1322 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione
dichiarativa (d.i.a.).
Avverso una denuncia di inizio attività il
terzo è legittimato all'instaurazione di un
giudizio di cognizione tendente ad ottenere
l'accertamento dell'insussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti dalla
legge per la libera intrapresa dei lavori a
seguito di DIA.
Il terzo che intenda agire a tutela della
propria sfera giuridica lesa da un supposto
intervento sprovvisto di ogni titolo potrà
dunque contrastarlo in giudizio non già
tramite l'impugnazione tesa all'annullamento
di un inesistente provvedimento
amministrativo, ma assai più semplicemente
richiedendo l'accertamento della
insussistenza dello jus in capo al
soggetto agente.
Così configurandosi il rapporto triadico tra
denunciante, amministrazione e terzo
controinteressato, in sede di giurisdizione
esclusiva il terzo controinteressato che
contesti la presentazione di una denuncia di
inizio attività associata al successivo
silenzio dell'Autorità amministrativa, potrà
attivare un giudizio di cognizione volto
all'accertamento della corrispondenza, o
meno, di quanto dichiarato dall'interessato
e di quanto previsto dal progetto ai canoni
stabiliti per la regolamentazione
dell'attività edilizia in questione, oltre
che all'eventuale difformità dell'opera
realizzata rispetto al progetto
anteriormente presentato in sede di DIA,
azione non soggetta ad alcun termine di
decadenza previsto esclusivamente per la
disciplina del processo in sede di
giurisdizione generale di legittimità
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 18.02.2009 n. 219 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione
dichiarativa (d.i.a.).
La d.i.a. è un atto di un soggetto privato e
non di una pubblica amministrazione, che ne
è invece destinataria, e non costituisce,
pertanto, esplicazione di una potestà
pubblicistica.
È esperibile, da parte del terzo leso dagli
effetti di una denuncia di inizio di
attività, un'azione di accertamento
-ancorché atipica- della carenza dei
presupposti per l'esercizio dell'attività
oggetto di dichiarazione.
Detta azione di accertamento, non essendo
diretta alla tutela di un diritto
soggettivo, ma di un interesse legittimo,
deve essere sottoposta all'ordinario termine
di decadenza (massima tratta da www.studiospallino.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.02.2009 n. 717 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Oneri (elemento temporale di
rifermento).
Gli oneri concessori vanno calcolati facendo
riferimento non alla destinazione d’uso
pregressa, ma alla destinazione d’uso
risultante dalla ristrutturazione, una volta
qualificato l’intervento in questione come
ristrutturazione.
Infatti, la funzione del contributo di
costruzione sta nel fatto che la costruzione
progettata partecipa alle utilità derivanti
dalla presenza delle opere di urbanizzazione
già realizzate dal Comune e l’uso di queste
ultime dà la giustificazione giuridica
dell’”an debeatur”, mentre le
modalità dell’uso danno la ragione del "quantum
debeatur" (Consiglio Stato, sez. V,
23.05.1997, n. 529).
Pertanto, se il "quantum debeatur" è
determinato dalle modalità attraverso cui
l’edificio ristrutturato usa le opere di
urbanizzazione già realizzate dall’autorità
comunale, a tal fine non può che rilevare la
destinazione d’uso conseguenza della
ristrutturazione e non quella originaria,
perché sarà la destinazione d’suo creata
dalla ristrutturazione che concretamente
insisterà sul territorio e sfrutterà le
opere di urbanizzazione realizzate
dall’autorità comunale (nello stesso senso
sembra essere da ultimo Tar Campania,
Napoli, sez. VIII, 03.09.2008, n. 10035)
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.01.2009 n. 93 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
restauro e risanamento conservativo
presuppone la realizzazione di opere che
lascino inalterata la struttura
dell’edificio e la distribuzione interna
della sua superficie.
Questa Sezione ha già avuto modo di
precisare che il restauro e risanamento
conservativo presuppone la realizzazione di
opere che lascino inalterata la struttura
dell’edificio e la distribuzione interna
della sua superficie (TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 14.05.2007, n. 3070) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.01.2009 n. 93 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Normative di settore - Immobili
vincolati.
In presenza di un intervento di
ristrutturazione edilizia, deve trovare
applicazione l’art. 33, comma 3, d.P.R.
06.06.2001 n. 380 (T.U. in materia
edilizia), il quale -per le opere eseguite
su immobili vincolati ai sensi del d.lgs.
29.10.1999 n. 490- stabilisce che spetta
all’Amministrazione competente a vigilare
sull’osservanza del vincolo, salva
l’applicazione di altre misure e sanzioni
previste da norme vigenti, ordinare la
restituzione in pristino a cura e spese del
responsabile dell’abuso, indicando criteri e
modalità diretti a ricostruire l’originario
organismo edilizio ed irrogare una sanzione
pecuniaria da Euro 516,00 a 5.164,00 (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.01.2009 n. 79 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Normative di settore - Distanze
in materia sanitaria.
Nel caso in cui il regolamento edilizio
prescriva, per il rilascio della concessione
di costruzione di porcilaie, una determinata
distanza da una sorgente, agli effetti della
verifica della legittimità dell'impugnato
diniego è ininfluente accertare se nella
specie si trattava di nuova costruzione
ovvero di mera ristrutturazione di un locale
prima destinato all'allevamento di bovini ed
ora da utilizzare per l'allevamento di
suini, atteso che non è il tipo di
intervento, ma la destinazione dell'impianto
alla produzione suinicola a imporre
l'osservanza della disciplina edilizia sulle
distanze di sicurezza (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Molise, Sez. I,
sentenza 14.01.2009 n. 6
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione di
annullamento (d.i.a.).
Poiché con la d.i.a. si è in presenza,
decorsi i trenta giorni (art. 23, commi 1 e
6, d.P.R. n. 380 del 2001), di una
autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, il terzo può contestarla
direttamente, entro l'ordinario termine di
decadenza di sessanta giorni, decorrenti
dalla comunicazione al terzo del
perfezionamento della d.i.a., o
dall'avvenuta conoscenza del consenso
(implicito) all'intervento oggetto di d.i.a.
In presenza di una serie di differenziate
ricostruzioni dell'istituto della d.i.a., il
collegio ritiene preferibile il più recente
insegnamento espresso al riguardo dal
Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., sez VI,
05.04.2007 n. 1550, sez. IV, 29.07.2008 n.
3742, v. ora anche sez. IV 25.11.2008 n.
5811) con il quale è stato rilevato che "il
terzo che si oppone ai lavori edilizi
intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere
al Comune di porre in essere i provvedimenti
sanzionatori previsti in genere per gli
abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di
inerzia, alla procedura del
silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al
giudice per chiedere l'adempimento delle
prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di
svolgere, ovvero chiedere l'annullamento
della determinazione formatasi in forma
tacita, o comunque contestare la
realizzabilità dell'intervento. Né, ancora,
il terzo è tenuto, entro il termine di
decadenza, ad instaurare un giudizio di
cognizione, tendente ad ottenere
l'accertamento della insussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti dalla
legge, per la legittima intrapresa dei
lavori a seguito di d.i.a.".
Il terzo, invece, è legittimato a proporre
ricorso direttamente avverso il titolo
abilitativo formatosi a seguito di d.i.a.,
il cui possesso è essenziale, non potendo da
esso prescindersi, non trattandosi di
ipotesi di attività edilizia liberalizzata.
Il terzo che si oppone ai lavori edilizi
intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere
al Comune di porre in essere i provvedimenti
sanzionatori previsti in genere per gli
abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di
inerzia, alla procedura del
silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al
giudice per chiedere l’adempimento delle
prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di
svolgere, ovvero chiedere l’annullamento
della determinazione formatasi in forma
tacita, o comunque contestare la
realizzabilità dell’intervento; né, ancora,
il terzo è tenuto, entro il termine di
decadenza, ad instaurare un giudizio di
cognizione, tendente ad ottenere
l’accertamento della insussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti dalla
legge, per la legittima intrapresa dei
lavori a seguito di d.i.a. Al contrario,
egli è legittimato a proporre ricorso
direttamente avverso il titolo abilitativo
formatosi a seguito di d.i.a., non
trattandosi di ipotesi di attività edilizia
liberalizzata (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 10.01.2009 n. 15 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione di
annullamento (d.i.a.).
Per ciò che concerne la natura della
denuncia di inizio attività, la stessa va
equiparata al permesso di costruire quanto
all’impugnazione, dal che consegue che la
relativa decisione giurisdizionale
riguarderà quella parte ammissibile
dell’impugnazione, con cui si chiede di
voler conseguire l’annullamento del titolo
edilizio conseguito dalla controinteressata
con il deposito della denuncia, trascorso il
tempo di legge.
Mentre i soggetti terzi, che si assumano
lesi dal silenzio serbato
dall'Amministrazione a fronte della
presentazione di una denuncia di inizio
attività, sono legittimati a gravarsi non
avverso il silenzio stesso ma, nelle forme
dell'ordinario giudizio di impugnazione,
avverso il titolo che, formatosi e
consolidatosi per effetto del decorso del
termine, si configura in definitiva come
fattispecie provvedimentale a formazione
implicita (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 09.01.2009 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Ricostruzione di un
fabbricato in rovina.
Gli interventi di ristrutturazione edilizia,
ma anche di demolizione e di successiva
ricostruzione, presuppongono sempre che i
relativi lavori siano riferiti ad un
edificio esistente, ossia che esista un
organismo edilizio, seppur non
necessariamente abitato o abitabile,
connotato nei suoi connotati essenziali,
dotato di mura perimetrali, strutture
orizzontali e copertura in stato di
conservazione tale da consentire la sua
fedele ricostruzione (cfr., ex multis,
C.d.S., sez. V, 10.02.2004, n. 475), mentre
non possono essere ammessi tali interventi
nei confronti di ruderi o resti di edifici
da tempo demoliti, attesa la mancanza di
elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche
dell'edificio da recuperare (cfr., C.d.S.,
sez. IV, 15.09.2006, n. 5375), in cui si
configura un intervento di nuova
costruzione, assoggettato ai limiti
stabiliti dalla vigente disciplina
urbanistica (cfr., TAR Veneto, sez. II,
29.06.2006, n. 1944 e 05.06.2008, n. 1667)..
Da quanto precede consegue che gli
interventi di demolizione sono ammissibili
nei limiti dello stato fisionomico attuale
del fabbricato, senza alcuna possibilità di
recupero di parti strutturali che, anche se
originariamente esistenti, sono
successivamente venute meno per qualsiasi
evenienza.
Pertanto, è legittimo l'operato della
Amministrazione comunale che non assente un
intervento di ripristino di un manufatto
che, seppure in passato esistente, non è più
identificabile né nella sua posizione né
nelle dimensioni né nella volumetria, in
quanto ormai del tutto privo degli elementi
strutturali essenziali che lo possano ancora
connotare come un edificio, essendo tale
intervento correttamente individuabile quale
ricostruzione integrale su diverso sedime e,
quindi, una novella edificazione,
autorizzabile nei soli limiti previsti dalle
norme di piano (massima tratta da
www.studiospallino.it - TRGA Trentino Alto
Adige-Trento,
sentenza 08.01.2009 n. 3 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Ricostruzione di un
fabbricato in rovina.
La ricostruzione di un fabbricato, rovinato
da molto tempo e del quale residuavano, al
momento della presentazione dell'istanza di
ristrutturazione da parte del privato, solo
piccole frazioni dei muri, di per sé
inidonee a definire l'esatta volumetria
preesistente, costituisce vera e propria
costruzione "ex novo" e non già
ristrutturazione, né tampoco mero restauro o
risanamento conservativo e, come tale, è
soggetta a concessione edilizia secondo le
regole urbanistiche vigenti al momento
dell'istanza del privato, e non già a quelle
esistenti all'epoca in cui fu realizzato il
manufatto originario, in quanto l'effetto
ricostruttivo perseguito mira non già a
conservare o, se del caso, a consolidare un
edificio comunque definito nelle sue
dimensioni, né alla sua demolizione e fedele
ricostruzione, bensì a realizzarne uno del
tutto nuovo e diverso (massima tratta da
www.studiospallino.it - TRIBUNALE di Chieti,
sentenza 02.01.2009 n. 2). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Trasformazione di edificio
agricolo in villa.
La trasformazione di due manufatti agricoli
in villa ad uso residenziale, con
accorpamento di volumi e parziale
spostamento dell'area di sedime esula dalla
nozione di ristrutturazione, sia come
attualmente definita dall'art. 3, comma 1,
lettera d), del d.P.R. 0.06.2001 n. 380
(Testo Unico dell'Edilizia), sia in rapporto
al previgente art. 31, comma 1, lettera d),
della l. n. 457 del 1978.
Ciò che distingue, infatti, gli interventi
di tipo manutentivo e conservativo da quelli
di ristrutturazione è, indubbiamente, il
carattere innovativo di quest'ultima in
ordine all'edificio preesistente; ciò che
contraddistingue, però, la ristrutturazione
dalla nuova edificazione è la già avvenuta
trasformazione del territorio, attraverso
una edificazione di cui si conservi la
struttura fisica (sia pure con la
sovrapposizione di un «insieme
sistematico di opere, che possono portare ad
un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente»), ovvero la cui
stessa struttura fisica venga del tutto
sostituita, ma -in quest'ultimo caso- con
ricostruzione, se non «fedele»
(termine espunto dall'attuale disciplina),
comunque rispettosa della volumetria e della
sagoma della costruzione preesistente
(massima tratta da www.studiospallino.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 16.12.2008 n. 6214 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Realizzazione di soppalco.
La realizzazione di un soppalco non rientra
nell'ambito degli interventi di restauro o
risanamento conservativo (i quali
presuppongono, ai sensi dell'art. 3, lett.
c), D.P.R. n. 380/2001, la conservazione di
elementi, anche strutturali, degli edifici,
che siano comunque preesistenti, ovvero
l'inserimento di elementi nuovi, che abbiano
tuttavia carattere accessorio), ma nel
novero degli interventi di ristrutturazione
edilizia, di cui alla lettera c) del comma
primo dell'articolo 10 d.P.R. n. 380/2001,
dal momento che determina una modifica della
superficie utile dell'appartamento, con
conseguente aggravio del carico urbanistico
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 28.11.2008 n. 20563 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione di
annullamento (d.i.a.).
La d.i.a., in virtù di una preventiva
valutazione legale tipica, si traduce in
un’autorizzazione implicita
all’effettuazione dell’attività edilizia,
con la conseguenza che i terzi lesi possono
impugnare innanzi al giudice amministrativo
il titolo abilitativo formatosi per il
decorso del termine (cfr., in tal senso,
Cons. Stato, sez. VI, 05.04.2007, n. 1550 e
sez. V, 20.01.2003, n. 172) (massima tratta
da www.studiospallino.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 25.11.2008 n. 5811 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
sede di rilascio del permesso di costruire,
il Comune è tenuto a verificare la
legittimazione soggettiva del richiedente,
con il solo limite di non poter procedere
d'ufficio ad indagini su profili della
stessa che non appaiano controversi.
L'art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10,
attualmente riprodotto dall'art. 11 del
d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (t.u. edilizia),
prevede che la concessione edilizia, oggi
permesso di costruire, sia rilasciata "al
proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo": in proposito,
costante giurisprudenza (v., per tutte,
Cons. Stato, sez. V, 15.03.2001 n. 1507)
afferma allora che, in sede di rilascio, il
Comune è tenuto a verificare la
legittimazione soggettiva del richiedente,
con il solo limite di non poter procedere
d'ufficio ad indagini su profili della
stessa che non appaiano controversi.
E se è vero, come qui sostiene l’appellante
principale, che il potere/dovere così
delineato in capo all’Amministrazione può
limitarsi alla verifica dell’esistenza del
possesso dell’area (e cioè del concreto
esercizio, da parte del richiedente il
titolo, del potere sulla cosa, che si
concreta in un’attività corrispondente
all’esercizio della proprietà o di altro
diritto reale), tale accertamento attiene
pur sempre ad un livello minimo di
istruttoria, che va superato ed approfondito
allorché, come appunto avviene nel caso di
specie e come ampiamente documentato in atti
dall’originaria ricorrente, problematiche di
asserita, indebita, appropriazione del fondo
altrui insorsero già all’atto
dell’edificazione dei condomìni, cui
ineriscono le opere, di cui alla D.I.A. in
argomento.
Una tale verifica, imposta dai più volte
citati artt. 4 della legge n. 10/1977 ed 11
del d.P.R. n. 380/2001 (che, nel richiedere
la sussistenza di un titolo legittimante,
non possono che riferirsi alla concreta
estensione del diritto vantato e fatto
valere avanti all’Amministrazione, senza che
per questo debba ritenersi devoluto alla
stessa il definitivo accertamento di
eventualmente confliggenti posizioni di
diritto soggettivo, demandato alla sede
naturale della risoluzione di tali conflitti
ch’è la giurisdizione ordinaria), è
nell’istruttoria all’esame del tutto
mancata, sì che della stessa deve farsi
càrico l’Amministrazione stessa nella
riedizione dell’attività amministrativa
imposta dall’effetto conformativo scaturente
dalla presente decisione (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 25.11.2008 n. 5811 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
L’esercizio del potere di
reiterazione del vincolo -preordinato
all'esproprio- può essere esercitato solo
sulla base di una idonea istruttoria e di
una adeguata motivazione che faccia
escludere un contenuto vessatorio o comunque
ingiusto dei relativi atti, occorrendo
l’effettiva cura di un pubblico interesse.
L'Amministrazione deve indicare la ragione
che la induce a scegliere nuovamente proprio
l’area sulla quale la precedente scelta si
era appuntata: la reiterazione del vincolo
espropriativo, sic et simpliciter, non è
dunque consentita, dovendo l’Amministrazione
evidenziare l’attualità dell’interesse
pubblico da soddisfare, in quanto si va ad
incidere sulla sfera giuridica di un
proprietario che già per un quinquennio è
stato titolare di un bene suscettibile di
dichiarazione di pubblica utilità e
successivamente di esproprio.
Poiché l’art. 2 della legge n. 1187 del 1968
aveva previsto la decadenza del vincolo
preordinato all’esproprio per il decorso del
quinquennio in assenza della dichiarazione
della pubblica utilità, si è ammesso che
l’esercizio del potere di reiterazione del
vincolo possa essere esercitato solo sulla
base di una idonea istruttoria e di una
adeguata motivazione che faccia escludere un
contenuto vessatorio o comunque ingiusto dei
relativi atti, occorrendo l’effettiva cura
di un pubblico interesse.
Infatti, “l'Amministrazione deve indicare
la ragione che la induce a scegliere
nuovamente proprio l’area sulla quale la
precedente scelta si era appuntata: la
reiterazione del vincolo espropriativo, sic
et simpliciter, non è dunque consentita,
dovendo l’Amministrazione evidenziare
l’attualità dell’interesse pubblico da
soddisfare, in quanto si va ad incidere
sulla sfera giuridica di un proprietario che
già per un quinquennio è stato titolare di
un bene suscettibile di dichiarazione di
pubblica utilità e successivamente di
esproprio” (Sez. IV, dec. n. 159 del
1994, cit., § 11).
Quanto alla adeguatezza della motivazione,
l’Adunanza Plenaria n. 7/2007 ha ritenuto
che essa vada valutata tenendo conto di
diverse circostanze, fra cui la eventuale
reiterazione del vincolo.
Se, in linea di principio, può ritenersi
giustificato il richiamo alle originarie
valutazioni, quando vi è una prima
reiterazione, quando il rinnovato vincolo
sia a sua volta decaduto l’Autorità
urbanistica deve procedere con una ponderata
valutazione degli interessi coinvolti,
esponendo le ragioni –riguardanti il
rispetto degli standard, le esigenze della
spesa, specifici accadimenti riguardanti le
precedenti fasi procedimentali- che inducano
ad escludere profili di eccesso di potere e
ad ammettere l’attuale sussistenza
dell’interesse pubblico (cfr. AP cit.)
Peraltro, il T.U. n. 327 del 2001, ispirato
anche al principio della valorizzazione
della partecipazione degli interessati,
all’art. 11 ha previsto che la reiterazione
di un vincolo preordinato all’esproprio,
finalizzato ad uno specifico intervento,
debba essere preceduto dall’avviso di avvio
del procedimento, con connesso onere di una
motivazione specifica, perché si va ad
incidere su una posizione determinata.
Con ciò riconoscendo valore giuridico alla
finalità contemperatrice dell’interesse
pubblico con gli interessi privati incisi
dalla reiterazione del vincolo
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.10.2008 n. 4765 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fattispecie in materia di ristrutturazione -
Volumetria, sagoma e superficie (rispetto) -
Normativa antisismica.
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d),
T.U. 06.06.2001 n. 380 gli interventi
consistenti nella demolizione e
ricostruzione rientrano nella nozione di «ristrutturazione
edilizia» a condizione che presentino la
stessa volumetria e sagoma dell’immobile
preesistente, salvo che non si tratti
innovazioni necessarie per l’adeguamento
alla normativa antisismica (massima tratta
da www.studiospallino.it - TAR Molise,
sentenza 24.09.2008 n. 720 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Corte di Cassazione offre la ricostruzione
della evoluzione normativa, dottrinale e
giurisprudenziale sul tema della disciplina
dei parcheggi.
La soluzione della questione sottoposta
all'esame della Corte richiede una sia pur
sintetica ricostruzione della evoluzione
normativa, dottrinale e giurisprudenziale
sul tema della disciplina dei parcheggi.
La regolamentazione giuridica delle aree
destinate a parcheggio trova fondamento
nelle esigenze di natura urbanistica
determinate dal degrado ambientale prodotto
dalla sosta degli autoveicoli nei centri
urbani.
La L. 06.08.1967, n. 765 (c.d. legge ponte),
all'art. 18, introduce nella Legge
Urbanistica 17.08.1942, n. 1150, art.
41-sexies, prescrivendo che "Nelle nuove
costruzioni ed anche nelle aree di
pertinenza delle stesse, debbano essere
ricavati appositi spazi per parcheggio in
misura non inferiore ad un metro quadrato
per ogni venti metri cubi di costruzione"
(poi divenuti dieci a norma della L.
24.03.1989, n. 122, art. 2).
La norma, che fissa per la prima volta degli
standards minimi da osservare nella
progettazione urbanistica con riguardo agli
spazi destinati alla sosta, esigendo che le
nuove costruzioni siano dotate di aree di
parcheggio, ha - come generalmente affermato
dalla dottrina -carattere pubblicistico,
essendo, per un verso, diretta a regolare,
sotto il profilo urbanistico, l'attività
edilizia, ed essendo, per l'altro, rivolta
direttamente all'autorità amministrativa,
tenuta a subordinare il rilascio della
concessione edilizia al rispetto dei
predetti standars, da determinare in base al
rapporto tra superficie e volumetria.
3.3. -
Peraltro, nel silenzio della norma in esame
sulla natura giuridica del vincolo
concernente i parcheggi, la dottrina
dominante ha escluso che il richiamato art.
41-sexies, assuma altresì una valenza nei
rapporti tra privati, introducendo nuovi
vincoli alla circolazione giuridica delle
aree destinate a parcheggio (teoria
oggettiva). Gli spazi per parcheggio
previsti dalla legge non sarebbero gravati
da alcun vincolo di tipo soggettivo che ne
prescriva l'utilizzazione da parte dei soli
proprietari delle unità immobiliari situate
nel fabbricato cui tali parcheggi accedono.
Essi, pertanto, potrebbero essere
liberamente attribuiti non solo in
proprietà, ma anche in uso a soggetti che
non siano proprietari o comunque
utilizzatori di unità immobiliari poste nel
fabbricato di cui lo spazio per parcheggio
fa parte o di cui costituisce pertinenza.
La libera alienabilità degli spazi per
parcheggio potrebbe essere agevolmente
desunta, secondo i fautori della teoria in
esame, dalla ratio della norma, la
quale mira, come si è visto, ad evitare la
congestione delle strade derivante dal
parcheggio indiscriminato degli autoveicoli.
A tal fine sarebbe irrilevante la persona
che utilizza lo spazio per parcheggio; ciò
che interessa, infatti, sarebbe solo che
detto spazio sia utilizzato per il
parcheggio di autovetture, che sia, cioè,
rispettato il vincolo.
Solo una parte minoritaria della dottrina ha
interpretato il richiamato art. 41-sexies,
come diretto, oltre che a porre un vincolo
oggettivo di destinazione, a regolare
altresì i rapporti tra privati attraverso la
introduzione di un vincolo di destinazione
necessario, inderogabile pattiziamente, alla
circolazione giuridica delle aree destinate
a parcheggio (teoria soggettiva).
Secondo tale posizione, gli spazi per
parcheggio di cui alla legge ponte
dovrebbero essere necessariamente utilizzati
dai proprietari e/o utilizzatori delle unità
immobiliari di cui fa parte l'edificio cui
detti spazi accedono.
Il vincolo opererebbe in un duplice senso,
anzitutto ponendo una relazione di
accessorietà tra la costruzione e gli spazi
per parcheggio, rilevante nei rapporti
interprivati. Detta relazione potrebbe
atteggiarsi in modo diverso. Se lo spazio
per parcheggio è interno alla costruzione,
il vincolo legale opererebbe nel senso di
qualificare detto spazio quale parte comune
condominiale destinata a un servizio comune
di cui la legge configura l'esigenza e
impone l'assolvimento.
Se, invece, lo spazio è esterno il vincolo
opererebbe nel senso di qualificare detto
spazio quale pertinenza del fabbricato: si
tratterebbe di una "pertinenza ex lege",
in quanto la qualifica pertinenziale e le
conseguenze giuridiche ad essa riconducibili
non derivano, come di regola, dalla
obiettiva destinazione al servizio della
cosa principale, bensì direttamente dalla
legge.
In entrambi i casi il rapporto di
accessorietà esistente tra l'edificio e gli
spazi per parcheggio farebbe sì che la
vendita della singola unità immobiliare, in
difetto di contraria disposizione scritta ai
sensi dell'art. 1117 c.c., ovvero dell'art.
818 cod. civ., comma 1, comporti la vendita
anche dello spazio per parcheggio.
In secondo luogo, il vincolo di destinazione
opererebbe nel senso di impedire che i
privati, nell'esercizio della propria
autonomia negoziale, possano derogare al
principio della necessaria utilizzazione
degli spazi per parcheggio da parte dei
proprietari e/o utilizzatori del fabbricato.
In altri termini sarebbe consentito con
apposita pattuizione scritta derogare al
principio accesorium sequitur
principale solo quanto alla proprietà dello
spazio per parcheggio, ma non quanto all'uso
dello stesso. Si parla di un diritto di uso
ope legis, con la conseguenza che una
contraria pattuizione delle parti sarebbe
nulla per contrasto con una norma imperativa
ai sensi dell'art. 1418 cod. civ., e
verrebbe sostituita di diritto dalla norma
imperativa violata ai sensi dell'art. 1419
cod. civ., comma 2.
3.4. -
Nella giurisprudenza di legittimità, accanto
all'orientamento volto ad escludere la
configurabilità nell'art. 41-sexies, di una
disciplina incidente direttamente sui
rapporti tra privati, ed a riconoscere a
detta disposizione rilevanza unicamente nel
rapporto costruttore-pubblica
amministrazione (Cass. 24.04.1981, n. 2452;
15.10.1982, n. 5344; 09.05.1983, n. 3179), è
possibile riscontrare un indirizzo
favorevole a concepire la norma in esame
come norma di relazione nei rapporti
privatistici concernenti i parcheggi (Cass.
18.12.1981, n. 6714), con il fine di
tutelare l'acquirente e garantire
l'effettiva destinazione del posto-auto.
Tale iniziale contrasto ha determinato
l'intervento delle Sezioni Unite (Sez. Un.
17.12.1984, nn. 6600, 6601 e 6602), le quali
hanno affermato che l'art. 41-sexies,
costituisce una disposizione imperativa ed
inderogabile in correlazione agli interessi
pubblicistici da esso perseguiti e che, in
quanto tale, non opera soltanto nel rapporto
tra costruttore-proprietario dell'edificio e
Pubblica Amministrazione, ma anche nei
rapporti privatistici inerenti agli spazi
per parcheggio.
Conseguentemente il posto-auto viene
considerato parte comune dell'edificio se
ricavato all'interno dello stesso e
pertinenza, legata ad un vincolo di
destinazione funzionale, se posto
all'esterno; ciò in mancanza di un titolo
attributivo della proprietà esclusiva ai
singoli condomini.
Le pattuizioni negoziali che, sotto forma di
riserva di proprietà a favore del
costruttore o di cessione a terzi,
sottraggono ai condomini l'uso del
parcheggio vengono considerate nulle e, di
conseguenza, il contratto traslativo della
proprietà di un appartamento in condominio
che non prevede anche il contestuale
trasferimento del posto-auto si ritiene
integrato ope legis, ex art. 1374
cod. civ., con il riconoscimento di un
diritto reale di uso su quello spazio in
favore del condomino, e di un diritto
dell'alienante ad un'integrazione del
prezzo, nel caso in cui esso sia stato
determinato solo sulla base del valore
dell'appartamento.
3.5. -
Successivamente al ricordato intervento
delle Sezioni unite, la L. 28.02.1985, n.
47, art. 26, comma 5 (poi abrogato dal
D.Lgs. 06.06.2001, n. 378, art. 136), ha
stabilito che "Gli spazi di cui all'art.
18 della legge 06.08.1967, n. 765
costituiscono pertinenze delle costruzioni,
ai sensi e per gli effetti degli artt. 817,
818 e 819 cod. Civ.".
La norma, scritta, come emerge dai lavori
preparatori, proprio per dirimere il
contrasto di opinioni che si era creato al
riguardo in dottrina e giurisprudenza
(tant'è che in origine la medesima era da
sola contenuta nell'art. 21 del disegno di
legge governativo recante la rubrica
"interpretazione autentica"), non ha sortito
il risultato sperato.
Essa ha definitivamente sancito la
sussistenza del rapporto di accessorietà,
proprio delle pertinenze, del posto auto
rispetto al fabbricato, come era stato già
individuato dai sostenitori della teoria
soggettiva; ma, nel contempo, attraverso il
richiamo all'art. 818 cod. civ. (che, al
secondo comma, stabilisce che "le
pertinenze possono formare oggetto di
separati atti o rapporti giuridici"),
consente di affermare la alienabilità del
posto auto separatamente dall'unità
immobiliare di cui costituisce pertinenza.
Il riconoscimento della natura di pertinenza
integra uno specifico tipo di
regolamentazione dei rapporti interprivati
in base al quale il proprietario che vende
l'immobile ad altro soggetto può ben
riservarsi la proprietà dell'area di
parcheggio con il solo obbligo di rispettare
il vincolo di destinazione.
Si è, in tale prospettiva, da alcuni Autori,
invocata la natura interpretativa della
norma da ultimo richiamata, che avrebbe
avuto la finalità di chiarire, in modo
vincolante e con efficacia retroattiva, che
i posti auto possono essere alienati anche
separatamente dall'edificio o dai singoli
appartamenti. Altri Autori hanno, invece,
attribuito all'art. 26 una portata
innovativa, che avrebbe reso possibile, per
il futuro, derogare al vincolo che pone i
parcheggi al servizio della costruzione.
In ambito giurisprudenziale, dopo il
susseguirsi di pronunce contraddittorie (a
favore del carattere innovativo dell'art.
26: Cass. 06.05.1966, n. 3370; di senso
contrario: Cass. 09.06.1987, n. 5036 e
29.02.1988 n. 2129), sono intervenute le
Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con
la sentenza 18.07.1989, n. 3363, affermando
che "gli spazi a parcheggio sono
liberamente alienabili, ma nei limiti della
destinazione a parcheggio non modificabile e
del diritto reale di uso esclusivo
riconosciuto agli utenti degli alloggi".
Al riguardo è stato ribadito che la norma
urbanistica che imponga vincoli o limiti
alla proprietà, ha natura imperativa e
inderogabile non solo nei rapporti fra
costruttore e Pubblica Amministrazione, in
quanto norma di azione, ma anche nei
rapporti tra costruttore e terzi che da quei
vincoli o limiti ricevono un vantaggio, in
quanto norma di relazione.
Il vincolo di destinazione permanente a
parcheggio va inquadrato nella categoria
delle "limitazioni legali della proprietà
privata per scopo di pubblico interesse"
e si conforma ope legis in un diritto
reale di uso dell'area di parcheggio in
favore del condominio. L'inderogabilità
comporta la nullità dei patti contrari e la
loro sostituzione con le previsioni della
legge. La L. n. 47 del 1985, art. 26, non ha
portata innovativa, ma confermativa del
regime della L. n. 765 del 1967, proprio in
forza del riferimento al vincolo
pertinenziale.
In altri termini, il vincolo che grava sulle
aree a parcheggio ha natura non solo
oggettiva ma anche soggettiva, e si
trasferisce, automaticamente, con il
trasferimento della titolarità
dell'abitazione: è un diritto reale d'uso,
di natura pubblicistica, che la legge pone a
favore dei condomini del fabbricato cui
accede, e limita il diritto di proprietà
dell'area.
Peraltro, nel rispetto di tale vincolo, il
proprietario può riservarsi la proprietà o
cederla a terzi, mentre, qualora nei titoli
di acquisto non vi sia stata al riguardo
alcuna riserva o sia stato omesso qualunque
riferimento, gli spazi destinati a
parcheggio vengono ceduti in comproprietà
pro quota, quali pertinenze delle singole
unità immobiliari secondo il regime previsto
dagli artt. 817 e 818 cod. civ., venendo
così a fare parte delle cose comuni di cui
all'art. 1117 cod. civ. (v., sul punto, tra
le altre, Cass. 16.01.2008. n. 730 e
18.07.2003, n. 11261).
3.6. -
E', poi, intervenuto nuovamente il
legislatore con la legge 24.03.1989, n. 122
(c.d. legge Tognoli).
L'art. 2 di detta legge ha, come si è visto,
innanzitutto modificato la L. n. 1150 del
1942, art. 41-sexies, nel senso di aumentare
la quantità delle aree da destinare a
parcheggio delle nuove costruzioni, portando
il rapporto tra tali aree e la volumetria
del fabbricato ad un metro quadro per ogni
dieci metri cubi di costruzione
(considerando, quindi, le aree di parcheggio
uno standard urbanistico).
Di più importante rilievo giuridico è l'art.
9, che prevede che "i proprietari di
immobili possono realizzare nel sottosuolo
degli stessi ovvero in locali siti al piano
terreno parcheggi da destinarsi a pertinenza
delle singole unità immobiliari e ciò anche
in deroga agli strumenti urbanistici e ai
regolamenti edilizi vigenti" (comma 1),
stabilendo la soggezione di tali interventi
-anziché a concessione edilizia- a sola
autorizzazione gratuita (comma 2, poi
sostituito, per effetto dal D.P.R.
27.12.2002, n. 301, art. 137, nel senso
della soggezione degli interventi medesimi a
denuncia di inizio attività), e richiedendo
un quorum ridotto per le delibere
condominiali necessarie per l'approvazione
degli interventi in oggetto (comma 3).
In ogni caso, è previsto che i parcheggi,
così realizzati, "non possono essere
ceduti separatamente dall'unità immobiliare
alla quale sono legati da vincolo
pertinenziale. I relativi atti di cessione
sono nulli" (comma 4).
Tale normativa, dettata con riferimento ai
soli parcheggi costruiti con le agevolazioni
della legge c.d. Tognoli, è stata invocata a
proprio favore da entrambi gli orientamenti
contrapposti.
I fautori della teoria oggettiva, infatti,
hanno sostenuto che, se il legislatore del
1989 ha sancito il divieto di circolazione
del parcheggio separatamente dall'unità
immobiliare di cui questo costituisce
pertinenza soltanto con riferimento ai
parcheggi costruiti con le agevolazioni
previste dalla predetta legge, evidentemente
egli ha presupposto che nessun regime
vincolistico sussiste per gli altri
parcheggi.
I sostenitori della teoria soggettiva, per
converso, hanno intravisto nella legge
Tognoli la conferma dell'inderogabilità del
vincolo soggettivo di destinazione già
sancito nella legge ponte. In realtà, l'art.
9 della legge richiamata detta una
disciplina vincolistica diversa da quella
che, secondo gli stessi fautori della teoria
soggettiva, vige per i parcheggi di cui alla
legge ponte, i quali possono sicuramente
essere alienati separatamente dall'unità
immobiliare cui accedono, fermo restando il
diritto di uso in capo al proprietario e/o
utilizzatore dell'immobile principale.
A ben vedere, la ratio del divieto di
circolazione dei parcheggi di cui alla legge
Tognoli ben può ravvisarsi nell'intento di
evitare speculazioni da parte di chi ha
usufruito di speciali deroghe ed
agevolazioni per la realizzazione degli
stessi.
3.7. -
Certo è che il susseguirsi degli interventi
legislativi nella materia in oggetto ha
fatto evidenziare, secondo dottrina e
giurisprudenza, tre diverse tipologie di
parcheggi, ciascuna caratterizzata da una
propria disciplina:
a)
parcheggi soggetti a vincolo di
destinazione, cioè "a utilizzazione
vincolata", ai quali inerisce una
qualificazione pertinenziale ex lege,
in quanto realizzati ai sensi dell'art. 18
della legge ponte (poi integrata dall'art.
26 della legge sul condono);
b)
parcheggi soggetti a vincolo di destinazione
e a vincolo di inscindibilità dall'unità
principale, cioè "a utilizzazione
vincolata" e, al tempo stesso, "a
circolazione controllata", perché costruiti
in base alla Legge Tognoli (122/1989);
c)
parcheggi non rientranti in tali due specie,
soggetti alla regole del diritto comune e,
quindi, "a utilizzazione e a circolazione
libera", non vincolata in base a
speciali limiti (inderogabili) di legge (v.
Sezioni unite, sentenza 15.06.2005, n.
12793).
La L. 28.11.2005, n. 246 (Semplificazione e
riassetto normativo per l'anno 2005),
all'art. 12, comma 9, ha, poi, modificato la
L. n. 1150 del 1942, art. 41-sexies,
aggiungendovi il comma 2, per effetto del
quale "Gli spazi per parcheggi realizzati
in forza del primo comma non sono gravati da
vincoli pertinenziali di sorta né da diritti
d'uso a favore dei proprietari di altre
unità immobiliari e sono trasferibili
autonomamente da esse".
La norma richiamata -che, come già chiarito
da questa Corte, trova applicazione soltanto
per il futuro, vale a dire per le sole
costruzioni non realizzate o per quelle per
le quali, al momento della sua entrata in
vigore, non erano ancora state stipulate le
vendite delle singole unità immobiliari
(Cass. 24.02.2006, n. 4264)- liberalizza,
infine, il regime delle aree destinate a
parcheggio.
La L. n. 246, è di poco successiva alla già
ricordata sentenza 15.06.2005, n. 12793,
nella quale le Sezioni unite, nel risolvere
un contrasto giurisprudenziale, hanno
affermato che i parcheggi realizzati in
eccedenza rispetto alla superficie minima
richiesta dalla legge non sono soggetti ad
alcun diritto d'uso da parte degli
acquirenti delle singole unità immobiliari
dell'edificio; in tal modo già delimitando
quantitativamente il regime vincolistico
delle aree in questione
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 01.08.2008 n. 21003). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Volumetria,
sagoma e superficie (rispetto).
Nel caso in cui la sagoma, i prospetti e le
superfici dell’immobile in questione
risultino essere stati mutati, essendo
invece rimasto quasi invariato il volume,
cosicché ne risulti un manufatto assai
differente da quello preesistente, non può
pertanto applicarsi la nozione di
ristrutturazione, apparendo invece più
confacente la fattispecie che ha riguardo
alla nuova costruzione (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 25.07.2008 n. 1543 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Ricostruzione di un
fabbricato in rovina.
Risanamento conservativo e ristrutturazione
edilizia costituiscono interventi di
recupero del patrimonio edilizio esistente
e, in quanto tali, postulano necessariamente
la preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare o risanare, ossia di un
organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura; pertanto, la ricostruzione su
ruderi o su di un edificio già da tempo
demolito (anche in parte) o diroccato deve
essere assentita non come intervento di
recupero, ma con concessione edilizia di
nuova opera, anche qualora l'intervento
proposto preveda il mantenimento (in luogo
della completa rimozione) delle residue
parti murarie della vecchia struttura
edilizia (massima tratta da
www.studiospallino.it -
TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 17.06.2008 n. 1213
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Trasformazione di volumi
pertinenziali.
La realizzazione di una villetta in
sostituzione di un preesistente deposito
destinato al ricovero di attrezzi configura
un intervento di nuova edificazione e non
una ristrutturazione edilizia, non
sussistendo alcuna connessione tra
l’edificio già esistente e quello in seguito
realizzato (massima tratta da www.studiospallino.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.04.2008 n. 1550
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Sedime (rispetto).
In tema di reati edilizi, anche dopo le
modifiche apportate dal d.lgs. 27.12.2002,
n. 301 all’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001, n.
380, gli interventi di ristrutturazione
edilizia ricomprendono anche la demolizione
e la ricostruzione del preesistente
manufatto purché vi sia identità dell’area
di sedime e ne rimangano inalterate la
volumetria e la sagoma, configurandosi,
diversamente, un intervento di "nuova
costruzione" (Corte di Cassazione, Sez.
III penale, sentenza 08.04.2008 n. 28212). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Volumi tecnici.
Nel mancato rispetto delle puntuali
caratteristiche preesistenti, ossia quando
non vi sia piena «fedeltà» per tali
aspetti dell’intervento progettato (appunto
anche di demolizione e ricostruzione) al
vecchio fabbricato, non può parlarsi di «ristrutturazione»,
bensì il medesimo intervento deve essere
qualificato come di «nuova costruzione»
e, in quanto tale, resta assoggettato alle
limitazioni imposte dalle norme urbanistiche
dettate in proposito.
È noto, infatti, che i volumi tecnici sono
quelli destinati esclusivamente agli
impianti necessari per l’utilizzo
dell’abitazione e che non possono essere
ubicati al suo interno; pertanto non sono
tali -quindi sono computabili ai fini della
volumetria consentita- le soffitte, gli
stenditori chiusi e quelli «di sgombero»,
nonché il piano di copertura, impropriamente
definito sottotetto, ma costituente in
realtà, come nella specie, una mansarda in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda (massima tratta
da www.studiospallino.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 04.03.2008 n. 918 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Oneri (calcolo).
Appare legittimo l’operato del Comune che,
in assenza di computo metrico estimativo
delle opere di ristrutturazione, ha riferito
gli oneri di urbanizzazione alla superficie
reale interessata dall’intervento,
applicando l’importo unitario al metro
quadro, previsto dalle tabelle comunali per
gli interventi di ristrutturazione, alla
superficie dichiarata dalla ricorrente
nell’istanza di condono (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 28.01.2008 n. 225 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione di
annullamento (d.i.a.).
In caso di denunzia di inizio attività
edilizia è preferibile la tesi per cui
l'unico veicolo d'accesso alla tutela
giurisdizionale sia costituito dalla
impugnazione del provvedimento di diniego o
del silenzio-rifiuto di esercitare il potere
sanzionatorio opposto all'istanza del terzo
che lamenti l'illegittima esecuzione di
opere (cfr. Cons. St., sez. V, 22.02.2007 n.
948) (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 11.12.2007 n. 2050
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Soppalchi.
In ordine al titolo abilitativo per la
realizzazione di soppalchi interni alle
abitazioni occorre distinguere i casi nei
quali, in relazione alla tipologia e alla
dimensione dell’intervento, può essere
sufficiente una denuncia di inizio di
attività, dai casi nei quali occorre una
vera e propria concessione edilizia, oggi
permesso di costruire; deve infatti
ritenersi sufficiente una d.i.a. nel caso in
cui il soppalco sia di modeste dimensioni e
al servizio della preesistente unità
immobiliare (TAR Salerno 883 - 04.09.2003)
mentre, viceversa, deve ritenersi necessario
il permesso di costruire quando il soppalco
sia di dimensioni non modeste e comporti una
sostanziale ristrutturazione dell’immobile
preesistente, ai sensi dell’art. 3, comma 1,
d.P.R. 06.06.2001 n. 380, comportando un
incremento delle superfici dell’immobile e
quindi anche un ulteriore possibile carico
urbanistico.
Si è quindi giustamente ritenuto che la
realizzazione di un soppalco che comporta la
riorganizzazione interna dell'immobile
ampliandone considerevolmente le superfici e
riorganizzando i volumi determina un vero e
proprio intervento di ristrutturazione
edilizia e necessita di concessione edilizia
(in termini TAR Friuli Venezia Giulia,
Trieste n. 473 del 28.06.2003, Cassazione
penale, sez. III, 14.06.2000) (massima
tratta da www.studiospallino.it - TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 10.12.2007 n. 15871 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il termine di
45 giorni previsto dall'art. 4, l.
28.02.1985 n. 47, entro cui il comune, dopo
la emissione dell'ordinanza di sospensione
dei lavori abusivi, deve emanare i
provvedimenti definitivi diretti a reprimere
l'abuso edilizio accertato, designa il
termine della legale durata del
provvedimento di sospensione dei lavori,
trascorso il quale lo stesso perde la sua
efficacia; la scadenza di detto termine,
tuttavia, non priva il comune del potere di
adottare i provvedimenti definitivamente
repressivi della violazione edilizia che, in
caso di inosservanza della disposta
sospensione, sia stata eseguita pur dopo il
decorso dello stesso termine, né
l'inosservanza di esso consente comunque la
prosecuzione dei lavori da parte
dell'esecutore delle opere ritenute abusive.
L'ordine di demolizione di opere edilizie
abusive non deve essere preceduto
dall'avviso ex art. 7 della legge 241/1990,
trattandosi di un atto dovuto, che viene
emesso quale sanzione per l’accertamento
della inosservanza di disposizioni
urbanistiche secondo un procedimento di
natura vincolata precisamente tipizzato dal
legislatore conseguente rigidamente
disciplinato della legge.
L'omessa comunicazione di avvio del
procedimento ex art. 7 L. 07.08.1990, n. 241
non costituisce in alcun modo vizio
dell'impugnata ingiunzione a demolire anche
alla luce di quanto recentemente stabilito
dall’art. 21-octies, comma 2, della legge n.
241 del 1990, nel testo aggiunto dalla legge
n. 15 dell’11.02.2005, secondo cui “Non è
annullabile il provvedimento adottato in
violazione di norme sul procedimento o sulla
forma degli atti qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che
il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”.
Premesso che il
provvedimento di sospensione ad horas
delle opere abusive -come disciplinato
dall’abrogato art. 4 della legge n. 47/1985–
è un provvedimento per sua natura avente
efficacia temporalmente circoscritta sino
all’adozione dei provvedimenti repressivi
successivi, l’art. 7 della legge 47/1985,
vigente all’epoca (ed abrogato dall'art.
136, comma 2, d.p.r. 06.06.2001, n. 380, a
decorrere dal 30.06.2003, ai sensi dell'art.
3, d.l. 20.06.2002, n. 122, conv., con
modificazioni, in l. 01.08.2002, n. 185),
con riferimento alle opere eseguite in
assenza di concessione, in totale difformità
o con variazioni essenziali attribuiva al
sindaco -accertata l'esecuzione di tali
opere- il potere/dovere di ingiungere la
demolizione.
Il termine di 45 giorni previsto dall'art.
4, l. 28.02.1985 n. 47, entro cui il comune,
dopo la emissione dell'ordinanza di
sospensione dei lavori abusivi, deve emanare
i provvedimenti definitivi diretti a
reprimere l'abuso edilizio accertato,
designa infatti il termine della legale
durata del provvedimento di sospensione dei
lavori, trascorso il quale lo stesso perde
la sua efficacia; la scadenza di detto
termine, tuttavia, non priva il comune del
potere di adottare i provvedimenti
definitivamente repressivi della violazione
edilizia che, in caso di inosservanza della
disposta sospensione, sia stata eseguita pur
dopo il decorso dello stesso termine, né
l'inosservanza di esso consente comunque la
prosecuzione dei lavori da parte
dell'esecutore delle opere ritenute abusive
(TAR Puglia Lecce, sez. II, 07.05.2007, n.
1821; TAR Lazio Roma, sez. II, 03.02.2006,
n. 780).
Per
giurisprudenza pacifica di questo Collegio,
l'ordine di demolizione di opere edilizie
abusive non deve essere preceduto
dall'avviso ex art. 7 della legge 241/1990,
trattandosi di un atto dovuto, che viene
emesso quale sanzione per l’accertamento
della inosservanza di disposizioni
urbanistiche secondo un procedimento di
natura vincolata precisamente tipizzato dal
legislatore conseguente rigidamente
disciplinato della legge.
Peraltro, trattandosi di un atto volto a
reprimere un abuso edilizio , esso sorge in
virtù di un presupposto di fatto, ossia
l’abuso, di cui il ricorrente doveva essere
ragionevolmente a conoscenza, rientrando
nella propria sfera di controllo.
Questa stessa Sezione, aderendo al costante
orientamento della giurisprudenza, ha più
volte affermato che il procedimento
repressivo degli abusi edilizi, in quanto
integralmente disciplinato dalla legge
speciale e da questa rigidamente vincolato,
non richiede la previa comunicazione di
avvio ai destinatari dell'atto finale (TAR
Puglia-Bari, II, 28.03.1998, n. 349; TAR
Toscana, III 02.11.1998, n. 396; TAR
Piemonte, I, 25.02.1999, n. 105; TAR Lazio,
II, 26.11.1999, n. 2455; TAR Piemonte, I,
13.06.2001, n. 1302).
L'omessa comunicazione di avvio del
procedimento ex art. 7 L. 07.08.1990, n. 241
non costituisce perciò in alcun modo vizio
dell'impugnata ingiunzione a demolire anche
alla luce di quanto recentemente stabilito
dall’art. 21-octies, comma 2, della legge n.
241 del 1990, nel testo aggiunto dalla legge
n. 15 dell’11.02.2005, secondo cui “Non è
annullabile il provvedimento adottato in
violazione di norme sul procedimento o sulla
forma degli atti qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che
il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 10.12.2007 n. 15871 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Volumi tecnici.
La realizzazione di nuovi volumi e
superfici destinati a rampa di scala di
accesso ad un terrazzo o ad un locale
lavanderia non costituisce un’ipotesi di
ristrutturazione edilizia (massima
tratta da www.studiospallino.it -
C.G.A.R.S., Sez. giurisd.,
sentenza 05.12.2007 n. 1096
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Sedime (rispetto).
Nella ristrutturazione edilizia consistente
nella demolizione integrale con successiva
fedele ricostruzione di un nuovo fabbricato,
disciplinata dall’art. 3, comma 1, lett. d),
d.P.R. 06.06.2001 n. 380, il concetto di
fedeltà della ricostruzione va ricondotto
alla nozione di recupero, nel senso che
l’opera, pur potendo costituire un organismo
edilizio anche in tutto diverso, deve essere
comunque materialmente riferibile al
manufatto preesistente e non devono essere
modificati né il sedime né i volumi (TAR
Piemonte, sez. I, 18.10.2004, n. 2504)
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 31.10.2007 n. 3493 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Trasformazione di villa in
edificio ad appartamenti.
Gli interventi di restauro e di risanamento
conservativo sono interventi sistematici
che, pur con rinnovo di elementi costitutivi
dell'edificio, ne conservano tipologia,
forma e struttura; la ristrutturazione
edilizia è invece un insieme sistematico di
opere dirette a creare un organismo edilizio
in tutto o in parte diverso.
Un esempio tipico di ristrutturazione
edilizia è quello diretto a trasformare una
villa, mantenendo o meno l'aspetto
architettonico esterno, in un edificio ad
appartamenti (massima tratta da
www.studiospallino.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 09.10.2007 n. 5273 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Normative di settore -
Normativa antisismica.
Ai fini del calcolo della volumetria non si
tiene conto delle innovazioni necessarie per
l’adeguamento alla normativa antisismica (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 17.09.2007 n. 1439
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il concetto di ristrutturazione
edilizia comprende anche la demolizione
seguita dalla fedele ricostruzione del
manufatto, purché tale ricostruzione
assicuri la piena conformità di sagoma, di
volume e di superficie tra il vecchio ed il
nuovo manufatto.
Per giurisprudenza assolutamente costante,
ai sensi dell'art. 31, comma 1, lett. d), l.
05.08.1978 n. 457, il concetto di
ristrutturazione edilizia comprende anche la
demolizione seguita dalla fedele
ricostruzione del manufatto, purché tale
ricostruzione assicuri la piena conformità
di sagoma, di volume e di superficie tra il
vecchio ed il nuovo manufatto (per tutte, C.
Stato, V, 30.08.2006 n. 5061).
Ma anche la giurisprudenza successiva
all’entrata in vigore del T.U. edilizia ha
fin di recente precisato che il concetto di
ristrutturazione comprende anche la
demolizione e ricostruzione sempre che ciò
avvenga con la stessa volumetria e sagoma
(C. Stato, IV, 31.10.2006 n. 6464) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 17.09.2007 n. 1439
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Ridistribuzione di volumi.
Rientrano nella nozione di "ristrutturazione
edilizia" gli interventi edilizi che
alterino, anche sotto il profilo della
distribuzione interna, l'originaria
consistenza fisica di un immobile e
comportino altresì l'inserimento di nuovi
impianti e la modifica e ridistribuzione dei
volumi, che non possono pertanto
configurarsi né come manutenzione
straordinaria, né come restauro o
risanamento conservativo (Cons. St., sez. V,
17.12.1996, n. 1551).
In altre
parole, affinché sia ravvisabile un
intervento di ristrutturazione edilizia è
sufficiente che risultino modificati la
distribuzione della superficie interna e dei
volumi dell’edificio, ovvero l’ordine in cui
risultavano disposte le diverse porzioni
dell’edificio, per il solo fine di rendere
più agevole la destinazione d’uso esistente,
poiché anche in questi casi sussistono un
rinnovo degli elementi costitutivi
dell’edificio ed un’alterazione
dell’originaria fisionomia e consistenza
fisica dell’immobile, incompatibili con i
concetti di manutenzione straordinaria e di
risanamento conservativo, che presuppongono
la realizzazione di opere che lascino
inalterata la struttura dell’edificio e la
distribuzione interna della sua superficie.
Sempre con riferimento alla distinzione tra
interventi di ristrutturazione edilizia e di
risanamento conservativo, la stessa
giurisprudenza ha altresì chiarito come la
differenza sia da ricercarsi nella
differenza del risultato finale
dell'intervento nei riguardi dell'edificio
preesistente.
Non è, infatti, elemento caratteristico il
mezzo, ossia il lavoro di consolidamento nel
primo caso, di sostituzione delle strutture
nel secondo, in quanto il rinnovo degli
elementi strutturali è ammesso anche nel
primo caso, mentre la modifica estetica è
ammessa (sia pure con lieve entità) sia nel
primo che nel secondo caso, dovendosi in
sede di restauro eliminare le
superfetazioni.
L'elemento differenziatore è da ritenere
costituito dal fatto che nella
ristrutturazione il risultato può portare ad
un edificio anche in tutto diverso dal
precedente, nel caso di restauro e
risanamento conservativo, il risultato va
inteso e valutato nel complesso, e non nelle
singole parti, per cui l'edificio deve
restare il medesimo soprattutto come forma,
sia pure con modifiche non rilevanti
architettonicamente (cfr., per tutte, Cons.
St. sez. V, 02.07.1994, n. 807 e TAR
Toscana, sez. II, 31.01.2006, n. 249)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.05.2007 n. 3070 -
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EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Soppalchi.
L’abuso in contestazione (“soppalco ed
opera accessoria abusivamente realizzate
all’interno di locale dell’ex macello”)
ha, senza dubbio alcuno, natura di opera
interna, priva di autonomia funzionale,
inidonea a determinare modifiche della
sagoma e dei prospetti e perciò soggetta al
regime della denuncia di inizio attività
(TAR Campania Napoli, sez. II, 19.10.2006 n.
8680; TAR Calabria Catanzaro, sez. II,
24.04.2006 n. 406) poiché rientrante
nell’accezione lata di “ristrutturazione
edilizia” (TAR Piemonte Torino, sez I,
15.02.2006 n. 910).
Di conseguenza, è sproporzionata la sanzione
demolitoria adottata in relazione ad un
simile abuso, in quanto eccessiva in
riferimento ad opere edilizie abusive non
necessitanti del titolo concessorio
concessorio (rectius permesso di
costruire) (ex multis TAR Campania
Napoli sez. II, 19.10.2006 n. 8680) (TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 11.04.2007 n. 3329 -
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EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Sopraelevazione.
Costituisce
principio costante e pienamente
condivisibile quello in base al quale la
sopraelevazione -per tale intendendosi
qualsiasi costruzione che si eleva al di
sopra della linea di gronda di un
preesistente fabbricato- deve rispettare le
distanze legali tra costruzioni stabilite
dalla normativa vigente al momento della
realizzazione della stessa, poiché comporta
sempre un aumento della volumetria
preesistente (cfr. ad es. TAR Puglia Lecce,
sez. III, 27.01. 2006, n. 565 e Cassazione
civile, sez. II, 12.01.2005, n. 400).
Ha natura inderogabile la norma sulle
distanze minime fra edifici, essendo
disposizione di ordine pubblico atta ad
evitare intercapedini dannose per la salute
pubblica; in particolare, la normativa
dettata dall'art. 9, comma 1, d.m.
02.04.1968 n. 1444, laddove prescrive per
gli edifici ricadenti in zone territoriali
diverse dalla zona A la distanza minima
assoluta di 10 metri tra le pareti di
edifici antistanti, è tassativa ed
inderogabile, con l'unica eccezione di
edifici ricompresi in un piano
particolareggiato.
Le norme sulle distanze dei fabbricati
contenute nel d.m. citato quindi, a
differenza di quelle sulle distanze dai
confini derogabili mediante convenzione tra
privati, hanno carattere pubblicistico e
inderogabile, in quanto dirette, più che
alla tutela di interessi privati, a quella
di interessi generali in materia
urbanistica, sicché l'inderogabile distanza
di 10 metri tra pareti finestrate e
pareti di edifici antistanti vincola anche i
comuni in sede di formazione e di revisione
degli strumenti urbanistici, con la
conseguenza che ogni previsione
regolamentare in contrasto con l'anzidetto
limite minimo è illegittima essendo
consentita alla p.a. solo la fissazione di
distanze superiori. (cfr. ad es. TAR Liguria
Genova, sez. I, 07.07.2005, n. 1027).
Più in generale, sulla costante valenza
della disciplina predetta, poiché l'art. 136
t.u. 06.06.2001 n. 380, nell'abrogare (con
effetto ex nunc) l'art. 17, comma 1,
lett. c, delle legge n. 765 del 1967, ha
lasciato in vigore i commi 6, 8, 9,
dell'art. 41-quinquies della legge n. 1150
del 1942, gli strumenti urbanistici locali
devono osservare la prescrizione di cui
all'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che
prevede la distanza minima inderogabile di
mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti; pertanto, nel caso di
norme contrastanti, il giudice è tenuto ad
applicare la disposizione di cui al citato
art. 9, in quanto automaticamente inserita
nello strumento urbanistico in sostituzione
della norma illegittima (cfr. ad es.
Cassazione civile, sez. II, 29.05.2006, n.
12741).
Inoltre, nel nuovo contesto costituzionale
post riforma del titolo V della parte
seconda della Carta fondamentale, assumono
rilievo la natura delle norme sulle
distanze, il richiamo espresso contenuto nel
testo unico dell'edilizia ed il loro
inquadramento ai sensi dell'art. 117 lett.
l) ed m) cost.: da ciò non può che
conseguire un’applicazione della normativa
in materia sulla scorta dell’unica opzione
ermeneutica conforme a Costituzione.
Ai fini dell’individuazione della tipologia
di un intervento edilizio, il concetto di
sopraelevazione si differenzia da quello di
mero innalzamento, dovendosi considerare che
quest’ultimo, specie se modesto ed inidoneo
a determinare un incremento volumetrico, può
risultare compatibile con la nozione di
ristrutturazione, mentre non altrettanto può
affermarsi nel caso di una sopraelevazione
che sia inscindibilmente connessa
all’incremento volumetrico in ragione di un
rapporto di causa ed effetto e che sia
quindi diretta all’accrescimento della
cubatura di un fabbricato (cfr. ad es. TAR
Piemonte Torino, sez. I, 19.11.2003, n.
1603) (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 19.12.2006 n. 1711
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EDILIZIA PRIVATA:
Le
autorizzazioni paesaggistiche, quantunque
abbiano natura di atti ampliativi della
sfera giuridica dei destinatari, debbono
essere congruamente motivate in modo che
possa essere ricostruito l'”iter” logico che
ha condotto a ritenere le opere autorizzate
non lesive dei valori paesistici sottesi
all'imposizione del vincolo.
In sede di esame dell'istanza di
autorizzazione paesistica, l'autorità
delegata o subdelegata deve motivare
l'autorizzazione in modo tale che emerga
l'apprezzamento di tutte le rilevanti
circostanze di fatto e la non manifesta
irragionevolezza della scelta effettuata
sulla prevalenza di un valore in conflitto
diverso da quello tutelato in via primaria.
Il difetto di motivazione
dell'autorizzazione paesaggistica non è
qualificabile alla stregua di un vizio di
forma ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2,
l. n. 241 del 1990, atteso che sottende
all'esplicazione di un giudizio connesso
alla tutela di interessi primari di tutela
ex art. 117, lett. s), Cost., né
l'autorizzazione paesaggistica può
qualificarsi come atto vincolato trattandosi
di valutazione di compatibilità rispetto ai
vincoli sussistenti in loco pienamente
discrezionale.
Costituisce
principio ormai consolidato quello per cui
le autorizzazioni paesaggistiche, quantunque
abbiano natura di atti ampliativi della
sfera giuridica dei destinatari, debbono
essere congruamente motivate in modo che
possa essere ricostruito l'”iter”
logico che ha condotto a ritenere le opere
autorizzate non lesive dei valori paesistici
sottesi all'imposizione del vincolo.
In particolare, in sede di esame
dell'istanza di autorizzazione paesistica,
l'autorità delegata o subdelegata deve
motivare l'autorizzazione in modo tale che
emerga l'apprezzamento di tutte le rilevanti
circostanze di fatto e la non manifesta
irragionevolezza della scelta effettuata
sulla prevalenza di un valore in conflitto
diverso da quello tutelato in via primaria;
inoltre, pur se in sede di pianificazione
urbanistica sono valutati anche gli
interessi di rilievo paesistico ed
ambientale, nel corso del procedimento di
rilascio dell'autorizzazione paesistica
l'autorità delegata o subdelegata deve
effettuare le specifiche valutazioni
richieste dall'art. 151 d.lgs. n. 490 del
1999 (oggi sostituito dall'art. 146 d.lgs.
n. 42), in considerazione della distinzione,
che emerge dalla Costituzione, delle materie
del paesaggio e dell'urbanistica (cfr. ad
es. TAR Liguria, sez. I, 27.10.2005, n. 1408
e Consiglio Stato, sez. VI, 08.11.2005, n.
6219).
Inoltre, va evidenziato come il difetto di
motivazione dell'autorizzazione
paesaggistica non sia qualificabile nella
specie alla stregua di un vizio di forma ai
sensi dell'art. 21-octies, comma 2, l. n.
241 del 1990, atteso che sottende
all'esplicazione di un giudizio connesso
alla tutela di interessi primari di tutela
ex art. 117, lett. s), Cost., né
l'autorizzazione paesaggistica può
qualificarsi come atto vincolato (prima
parte, comma 2), trattandosi di valutazione
di compatibilità rispetto ai vincoli
sussistenti in loco pienamente
discrezionale, né nel caso di specie è stato
dedotto alcun difetto di comunicazione
(seconda parte, comma 2) (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 19.12.2006 n. 1711
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EDILIZIA PRIVATA:
Nel rilasciare un permesso di
costruire non è necessario comunicare
l'avvio del procedimento ai terzi
confinanti.
In sede di
procedimento diretto al rilascio di una
concessione edilizia i soggetti
potenzialmente legittimati ad impugnare non
possono qualificarsi, ai sensi dell'art. 7
l. n. 241 del 1990, in termini di soggetti
nei confronti dei quali è necessaria la
comunicazione di avvio del procedimento
(cfr. ad es. TAR Liguria, sez. I,
15.11.2005, n. 1461) (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 19.12.2006 n. 1711
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EDILIZIA PRIVATA:
Normative di settore - Zona
di rispetto cimiteriale.
Anche se l’art. 24, l.r. Piemonte n. 56 del
1977 consente in zona di rispetto
cimiteriale gli interventi di
ristrutturazione edilizia, con esclusione di
qualsiasi aumento volumetrico, senza però
menzionare l’ipotesi di mutamento di
destinazione d’uso degli edifici, questa
tipologia di intervento non può ritenersi
preclusa dal legislatore regionale,
dovendosi fare riferimento, in materia di
legislazione concorrente, ai principi
ricavati dalla normativa statale, che
all’art. 338 del r.d. 27.07.1934 n. 1265,
avente valenza anche urbanistico-edilizia,
consente in tali zone tanto gli interventi
di ristrutturazione quanto il mutamento di
destinazione d’uso (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 11.10.2006 n. 3383
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